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Rosetta Nulli - Testimonianze dai lager

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questi hanno detto che si erano solo un po’ allontanati e così i Tedeschi non hanno capito<br />

che stavano per mettere in atto una sommossa.<br />

Arriviamo a Bolzano, a Gries, ci fanno scendere e entriamo nel campo. Era ormai<br />

l’imbrunire, le tre e mezzo, quattro del pomeriggio del 14 settembre 1944. Mio padre viene<br />

messo subito nel blocco B e noi, Ennio compreso, nel blocco E, il blocco delle donne. Poi<br />

ci chiamano in ufficio e ci assegnano i numeri, un rettangolo bianco con impresso in nero il<br />

numero. Io avevo il numero 4131, mio figlio il 4132, mio padre il 4130, mia madre il 4133,<br />

il 4134 mia sorella e il 4135 mia suocera. Non ricordo che cosa abbiamo mangiato quella<br />

sera. Alle sei e trenta chiudevano i blocchi perché cominciava a fare buio. A me avevano<br />

assegnato il posto basso del castello perché avevo il bambino. Al primo piano c’era mia<br />

madre, al secondo piano mia suocera e al terzo piano mia sorella. Dopo un’ora e mezza<br />

riaprono il blocco e ci chiamano fuori. Chiediamo al soldato altoatesino dove ci portano e<br />

lui risponde “al blocco celle”. Tutti cominciano a commiserarci dicendo “Siete sfortunati, vi<br />

portano in un posto dove di sicuro non uscirete più vivi”. Ci portano in una bella celletta<br />

con tre letti a castello, un tavolo e uno sgabello, una finestrella alta e il pavimento in terra<br />

battuta. I materassi erano di iuta con dentro la paglia. Le coperte erano grigie, spesse e<br />

pesantissime, ma fredde perché non erano di lana. La cella non era riscaldata. U ragazzo<br />

di Torino, che era caporeparto alla Fiat ed era stato arrestato per sabotaggio, ci aveva<br />

costruito una specie di stufa, usando un bastone, una spirale di ferro e una resistenza.<br />

Questo povero ragazzo è morto mi sembra a Mauthausen.<br />

In questo campo di concentramento mio figlio era veramente un’eccezione assoluta<br />

perché era un bambino ariano ed era un ostaggio. Per prima cosa cercammo di renderci<br />

conto come era organizzato questo campo perché nel blocco celle c’erano dei prigionieri<br />

particolari, che non vivevano la vita del campo. Eravamo con il capitano Barda, col figlio<br />

del colonnello Duca, prigionieri che andavano tenuti sotto controllo. Noi non abbiamo<br />

potuto neanche uscire e lavorare quindi le giornate erano lunghissime. Io potevo uscire<br />

dalla cella perché facevo passeggiare un po’ il bambino. Ennio non gradiva la zuppa che ci<br />

davano ed è stato due mesi senza mangiare. Beveva un goccio di latte, un cucchiaio di<br />

latte in polvere sciolto nell’acqua che gli davano al mattino, poi non mangiava più. Il<br />

medico tedesco, direttore sanitario del campo, ha visto che era veramente deperito, me ne<br />

ha chiesto il motivo e gli ha fatto una prescrizione. A mezzogiorno gli mandavano un<br />

piattino di patate e il cuoco, un ebreo olandese, sotto le patate nascondeva un bocconcino

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