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Revista Insula núm 9. Desembre 2010

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INSULA<br />

Quaderno di cultura sarda<br />

Num. 9, dicembre <strong>2010</strong><br />

1


2<br />

B


♦A♦d♦T♦<br />

Arxiu de Tradicions<br />

INSULA<br />

Quaderno di cultura sarda<br />

Num. 9, dicembre <strong>2010</strong><br />

3


4<br />

INSULA, Quaderno di cultura sarda. Num. 9, dicembre <strong>2010</strong><br />

<strong>Insula</strong>@cat è un Centro di Ricerca afferente all’Arxiu de Tradicions de l’Alguer<br />

Direttore e curatore: Joan Armangué i Herrero<br />

Comitato redazionale: Luca Scala, Walter Tomasi<br />

Hanno collaborato a questo numero: Gabriel Andrés e Joan Armangué, della Facoltà di Lingue<br />

e Letterature Straniere dell’Università degli Studi di Cagliari; Stefania Bagella, dell’Università<br />

degli Studi di Sassari; Maria Cabrera i Callís, dell’Universitat de Barcelona – Spagna; Angelo<br />

Carboni, libero ricercatore; Frantziscu Casula, del «Comitadu pro sa limba sarda»; Francesca<br />

Melis e Roberto Rattu, dell’Arxiu de Tradicions; e Roberto A. Pantaleoni, dell’Istituto per lo<br />

Studio degli Ecosistemi (CNR) e dell’Università degli Studi di Sassari.<br />

gruppo di ricerca ILTeC<br />

Lingue, Testi e Culture di area Iberica<br />

ILTeC è un Progetto afferente all’Arxiu de Tradicions de l’Alguer<br />

In copertina<br />

Scultura di Gigi Porceddu<br />

Foto di Mauro Porceddu<br />

Prima edizione: Cagliari, dicembre <strong>2010</strong><br />

ISBN: 978-88-96778-39-5<br />

© Grafica del Parteolla<br />

Via dei Pisani, 5 (I-09041-Dolianova)<br />

Tel. 0039 070 741234<br />

grafpart@tiscali.it<br />

© Arxiu de Tradicions<br />

Reg. impresa: 221.861<br />

Via Carbonazzi, 17 (I-09123-Cagliari)<br />

Tel. 0039 070 6848000<br />

arxiudetradicions.alguer@gmail.com


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA,<br />

FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Università di Cagliari<br />

1. Cronologia linguistica dei documenti dell’Archivio Storico<br />

del Comune di Iglesias<br />

L’Archivio Storico del Comune di Iglesias 1 (ASCI) costituisce uno dei fondi documentari<br />

più rilevanti della Sardegna, tanto per il valore, dal punto di vista paleografico,<br />

dei suoi manoscritti, quanto per la ricchezza del contenuto storico. Due aspetti<br />

fondamentali per la storia della città fanno di questo archivio, dunque, un campo<br />

di particolare interesse per gli studiosi: da un lato, il fatto che Iglesias si trovi nel<br />

territorio della Sardegna che per primo fu conquistato dall’infante Alfonso durante<br />

la spedizione del 1323 2 – spedizione durante la quale si produssero, logicamente,<br />

i primi documenti catalani nell’Isola; 3 e dall’altro, il fatto che si tratti di una delle<br />

due città che subì una sostituzione parziale dei suoi abitanti, a detrimento dei<br />

Pisani e a favore, alla fin fine, dei conquistatori catalano-aragonesi.<br />

La straordinaria ricchezza dell’archivio medievale, però, è diminuita in maniera<br />

progressiva dal XIV secolo fino ai tempi nostri. Non ci tratterremo a considerare<br />

qui le cause del menzionato depauperamento, sufficientemente studiato, che<br />

* Traduzione dal catalano a cura di Walter Tomasi.<br />

1 Le descrizioni più utili di questo archivio sono: Michele PINNA, L’Archivio Comunale di<br />

Iglesias, Cagliari-Sassari, 1898; Costantino CASTELLI, Ordinamento e tenuta dell’Archivio<br />

Comunale secondo la classificazione adottata nell’Ufficio comunale d’Iglesias, Roma,<br />

1877; Celestina SANNA, L’Archivio Storico Comunale d’Iglesias, in AA.VV., Studi su Iglesias<br />

medioevale, Pisa, 1985; e Giovanni CASTI, Indice generale, dattiloscritto firmato a Iglesias<br />

il 25 novembre del 1965, che può essere consultato presso l’archivio stesso.<br />

2 Per approfondire qualsiasi aspetto relativo alla storia di Iglesias, si veda Marco TANGHERONI,<br />

La città dell’argento. Iglesias dalle origini alla fine del Medioevo, Napoli, 1988.<br />

3 «Il primo documento spedito dall’Infante Alfonso nell’isola di Sardegna, datato nell’accampamento<br />

nei pressi della località di Sela, ‘in castris iuxta locum de Sels’, probabilmente<br />

Sols, [corrisponde] al giorno 26 giugno» del 1323; cfr. Ferran SOLDEVILA, Les quatre<br />

grans cròniques, Barcellona, Selecta, 1971, p. 1165. Al 5 luglio, al tempo stesso, corrisponde<br />

il primo documento spedito durante l’assedio di Iglesias; si veda anche Codex<br />

diplomaticus Sardiniae, ed. Pasquale Tola, «Historiae Patriae Monumenta», XI, Torino,<br />

1861, docc. XV, XX i XXII.<br />

5<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 5-23


6<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

secondo Michele Pinna va attribuito tanto alla negligenza degli archivisti e delle<br />

autorità locali, quanto alla malignità di certi feudatari che, già dal XV secolo,<br />

hanno fatto sparire i documenti che contrastavano i loro interessi. 4 Comunque<br />

sia, tutta questa sequenza di perdite e sottrazioni ha fatto sì che al fondo relativo<br />

ai secoli XIII-XVIII mancasse quella continuità, correlazione e, in definitiva, quella<br />

consistenza che corrispondeva all’archivio originario, «in rapporto – scrive Pinna<br />

– alla gran massa di atti che a giusto titolo avrebbe dovuto possedere una<br />

città cospicua come quella d’Iglesias». 5<br />

Vogliamo mettere in evidenza, questo sì, un fatto di importanza capitale per la<br />

storia dell’archivio: l’incendio che nel 1354 distrusse la città e che permise soltanto<br />

che tra i documenti della Corte si salvasse il Breve di Villa di Chiesa, che più<br />

avanti prenderemo in considerazione. Per ciò che concerne i documenti anteriori<br />

a questa data, se ne conoscono solamente le copie provenienti da altri archivi e<br />

quelle che, a partire dal 1358, i consiglieri di Iglesias hanno richiesto alle autorità<br />

catalane allo scopo di autenticare i privilegi che erano contenuti nei documenti<br />

dell’archivio di Barcellona. La storia della città durante il dominio dei conti di<br />

Donoratico e, successivamente al 1295, del Comune di Pisa, perciò, deve essere<br />

ricostruita soprattutto a partire da queste copie autentiche della metà del XIV<br />

secolo e da tutta la relativa documentazione custodita dall’Archivio della Corona<br />

d’Aragona. 6<br />

Fin da quando Costantino Castelli, collaboratore del conte Carlo Baudi di<br />

Vesme, ha portato a termine, anteriormente al 1865, i primi lavori di riorganizzazione,<br />

i documenti dell’ASCI si articolavano in due grandi sezioni: l’«Archivio generale<br />

o di deposito» – al quale l’Indice di Casti si riferisce con l’espressione «Sezione<br />

Separata» – e l’-«Archivio corrente» che, dato che si tratta di un fondo<br />

recente, non dobbiamo tenerne conto in questo studio. La «Sezione Separata»,<br />

che contiene un totale di 1.261 documenti, si divide al contempo nelle sezioni I<br />

(«Breve di Villa di Chiesa e fogli pergamenacei e cartacei») e II («Atti diversi<br />

dall’anno 1448 al 1925»). 7<br />

4 «Non basta infatti l’accertare che alcuni officiali di Vila di Chiesa [...] fossero soliti<br />

appropriarsi i privilegi e le scritture appartenenti alla Città; non basta neppure il sospettare,<br />

sebbene non senza fondamento, che molte altre carte dei tempi posteriori siano state<br />

[...] sottratte negli anni che Vila di Chiesa durò sottoposta in feudo al Conte di Quirra, ed<br />

anche più tardi dai Capitani Aragonesi che cercavano occuparne le possessioni od averle dal<br />

Re in dono od in feudo»; cfr. M. PINNA, L’Archivio Comunale di Iglesias cit., p. 6.<br />

5 Ivi, p. 7.<br />

6 C. SANNA, L’Archivio Storico Comunale d’Iglesias cit., pp. 263-264.<br />

7 Le sezioni II e III dell’Archivio raccolgono, rispettivamente, «Atti diversi dall’anno 1448<br />

al 1925» (atti 120a-1261) e «Atti della congregazione di Carità d’Iglesias [1840-1939]».


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

La sezione I della «Sezione Separata», che si compone di 120 documenti<br />

datati tra il 1327 e il 1767, è sorta grazie all’interesse del conte Carlo Baudi di<br />

Vesme nei confronti dei fondi documentari dell’archivio di Iglesias, mentre preparava<br />

il suo monumentale Codice Diplomatico. In effetti, il segretario Castelli<br />

si incaricò della classificazione e della successiva conservazione dei documenti<br />

provenienti dall’ASCI, che Baudi di Vesme doveva trascrivere nel suo Codice<br />

Diplomatico, secondo le stesse modalità con cui Ignazio Pillito e Leopoldo<br />

Tanfani offrivano copie di documenti scelti rispettivamente tra i fondi degli archivi<br />

di Cagliari e di Pisa.<br />

Fu così che Baudi di Vesme giunse a mettere insieme tutta una serie di documenti<br />

di grande importanza per la storia di Iglesias. Il suo Codice Diplomatico<br />

accoglie, in effetti, non soltanto il Breve, ma anche un’importantissima collezione<br />

di documenti relativi al periodo pisano, del XIII secolo, e una selezione – più<br />

rigorosa quanto più prossima ai tempi nostri – dei documenti dell’ASCI datati tra<br />

il XIV e il XVII scolo.<br />

Ciò nonostante, scrive Pinna, «il disordine regnante fra le scritture sottrasse<br />

alla più diligente ricerca alcune di esse», 8 di modo che in seguito alla pubblicazione<br />

del Codice Diplomatico di Baudi di Vesme si scoprì una serie di documenti<br />

che andarono ad arricchire la sezione I della «Sezione Separata». Lo stesso M.<br />

Pinna si fece carico della pubblicazione della maggior parte di questi documenti<br />

nell’Appendice del suo inventario; soltanto, però, dei «documenti scelti tra i più<br />

importanti e di maggiore interesse storico», che costituivano testimonianze «di<br />

notevole importanza per la storia particolare della città». 9<br />

Il documento num. 1 della «Sezione Separata», sezione I dell’ASCI, è l’unico<br />

che sopravvisse all’incendio del 1354, il famoso Breve di Villa di Chiesa, 10 la<br />

8 M. PINNA, L’Archivio Comunale di Iglesias cit., p. 14.<br />

9 Ivi, pp. 15 e 155. Pinna ricorda soltanto in due occasioni i motivi che l’hanno spinto a<br />

non tenere in conto alcuni dei documenti. Scarta, così, il doc. 48 «perché non contiene<br />

alcuna notizia storica di rilievo»; e il 61, di tematica algherese, «perché estraneo alla<br />

storia di Iglesias». Rimangono inediti, così, i documenti 48, 51, 56, 61, 81, 98, 99, 106,<br />

108, 110-112 e 114-119 di questa sezione, tra i quali i num. 81, 98, 99, 108, 110 e 111<br />

sono redatti del tutto o in parte in catalano.<br />

10 Studiano il Breve principalmente: Luisa D’ARIENZO, Il codice del Breve pisano-aragonese<br />

di Iglesias, in Medioevo. Saggi e Rassegne, num. 4, Cagliari, 1978, pp. 67-89; Francesco<br />

ARTIZZU, Pisani e catalani nella Sardegna medioevale, Padova, 1973; e Alberto<br />

BOSCOLO, Sardegna, Pisa e Genova nel Medioevo, Genova, 1978, pp. 81-88; si veda<br />

anche P. ROMBI, Il Breve di Villa di Chiesa: aspetti storico-giuridici, in AA.VV., Studi su<br />

Iglesias medioevale cit.; e la introduzione di Carlo Baudi Di Vesme alla sua edizione del<br />

Codice Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna, «Historiae Patriae Monumenta»,<br />

XVII, Torino, 1877, pp. XXVII-XXXII.<br />

7


8<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

redazione del quale/della quale va collocata tra il 7 giugno del 1324 e il 7 giugno<br />

del 1327. 11 «In ogni caso – scrive L. D’Arienzo – la sua scrittura è da attribuirsi<br />

ad uno dei notai ecclesiensi della curia cittadina di Iglesias, di formazione culturale<br />

pisana, come attestano la lingua schiettamente pisana e la scrittura gotica<br />

libraria di tipo italiano». 12<br />

Per ciò che concerne la lingua del Breve, occorre tener conto di quanto scriveva<br />

Baudi di Vesme: «Un giudice competentissimo in questa materia, il commendatore<br />

Francesco Bonaini, mi asseriva che questo [Breve] era in volgare pisano assai<br />

più schietto che non quanti statuti pisani contiene la sua bella raccolta». 13<br />

I documenti num. 2-18 della sezione I della «Sezione Separata», redatti in<br />

latino, si riferiscono alla rivolta che causò l’incendio del 1354, che abbiamo già<br />

preso in considerazione, e trattano delle misure che occorreva applicare per<br />

ripopolare la città (num. 2-6), oppure contengono le copie che i consiglieri sollecitavano<br />

per confermare i privilegi che, una volta scomparsi gli originali, occorreva<br />

estrarre dall’archivio di Barcellona (num. 7-18). Nessun documento di questa<br />

sezione, però, per le sue caratteristiche linguistiche ci ricorderà le relazioni<br />

che la città di Iglesias e i feudatari o il Comune di Pisa avevano mantenuto<br />

durante il XIII secolo e il primo quarto del XIV.<br />

Baudi di Vesme, nondimeno, pubblica nel suo Codice Diplomatico un documento<br />

collegato alla rivolta del 1354 che contiene, al contempo, un frammento<br />

redatto in volgare italiano. Ci riferiamo al documento CV del XIV secolo, firmato a<br />

«Villa Ecclesie» il 6 febbraio 1363, che include una petizione di Monna Fiore,<br />

«vedova di Tomeo dell’Astia, borghese di Villa di Chiesa», indirizzata al governatore<br />

Asbert Satrillas; documento che occorre studiare con molta attenzione<br />

per come si collegherebbe, attraverso una copia dell’Archivio di Stato di Cagliari<br />

che il Martini raccolse successivamente, 14 ai famosi «falsi d’Arborea».<br />

Tra i manoscritti conservati nella sezione I della «Sezione Separata» dell’ASCI,<br />

infine, spicca l’altro unico documento redatto in volgare italiano – se escludiamo,<br />

11 Luisa D’ARIENZO, Il codice del Breve pisano-aragonese di Iglesias cit., p. 7<strong>9.</strong> Francesco<br />

Artizzu scrive, però, che «la sua redazione definitiva si può far risalire al 1304 all’incirca»;<br />

cfr. Pisani e catalani nella Sardegna medioevale cit., pp. 171-172.<br />

12 Luisa D’ARIENZO, Il codice del Breve pisano-aragonese di Iglesias cit., p. 7<strong>9.</strong><br />

13 C. BAUDI DI VESME, Codice Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna cit., pp. XXIX-<br />

XXX. Baudi di Vesme si riferisce alla raccolta di F. BONAINI, Statuti inediti della Città di<br />

Pisa dal XII al XIV secolo, Firenze, 1854-1857.<br />

14 Antico Archivio Regio, codice K 1, fol. 40v; si veda Pietro MARTINI, Le Pergamene e i<br />

Codici Cartacei d’Arborea, Cagliari, 1863, p. 178; e Francesco LODDO CANEPA, Dizionario<br />

archivistico per la Sardegna, in «Archivio Storico Sardo», XVII (1929), s.v. «Carte<br />

d’Arborea».


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

è chiaro, i documenti piemontesi posteriori al marzo del 1723, che questa sezione<br />

accoglie: 15 si tratta de «Li Capituli et supplicacioni presentati a la Sacra Regia<br />

Magestati di lu Serenissimu Signur Re di Sichilia et primogenitu de Araguna», una<br />

serie di privilegi che il re Martino concesse alla città di Iglesias nel luglio del 1409<br />

e che ci sono giunti attraverso una copia del febbraio del 1421. 16<br />

Il primo documento catalano che Baudi di Vesme pubblica nel Codice Diplomatico,<br />

estratto dal Memoriale del Coscojuela, consiste nelle «Credenziali date<br />

dall’Infante Alfonso al nobile Francesco d’Aurats», inviato in missione segreta<br />

presso «Hugo, Vezcomte de Bas e Jutge d’Arborea». L’infante Alfonso firmava<br />

questo documento «en lo setge de Vila d’Esgleyes» il 20 dicembre 1323. 17<br />

Così come ci ricorda Pietro il Cerimonioso nella sua Crònica, 18 «fo lo temps<br />

que el senyor infant estec en lo setge de la Vila d’Esgleies, del temps que hi posà<br />

lo dit setge entrò que la dita vila li fo restituïda o li fo retuda, set meses e deu<br />

dies», 19 ossia dal 28 giugno 1323 al 7 febbraio 1324, giorno in cui l’infante riuscì<br />

ad entrare nella città con i suoi uomini. Il documento che Baudi di Vesme trascrive,<br />

tenendo conto che l’infante Alfonso era giunto nell’Isola l’11 giugno 1323,<br />

costituisce pertanto uno dei primi testi catalani redatti in Sardegna.<br />

Il primo documento catalano conservato presso l’ASCI, però, è molto posteriore:<br />

si tratta di una petizione, siglata a Iglesias il 6 febbraio 1421, con la quale il<br />

procuratore e i consiglieri della città richiedevano al re che volesse «fer e dir,<br />

statuhir e ordenar perpetualment observadors los capítols e ordinacions» che in<br />

quell’occasione venivano proposti.<br />

A partire da questa data, il catalano apparirà frequentemente e in modo naturale,<br />

a graduale discapito del latino, nei documenti conservati nell’ASCI, firmati<br />

tanto dal re quanto dai feudatari iglesienti, dai consiglieri della città e, in definitiva,<br />

dai funzionari locali. L’ultimo documento redatto in catalano corrisponde<br />

15 Questa data corrisponde al primo documento piemontese della «Sezione separata»,<br />

sezione I, il num. 116, che non fu trascritto né da C. Baudi di Vesme né da M. Pinna. I<br />

num. 117-119, ugualmente inediti, sono redatti anche in italiano.<br />

16 «Sezione Separata», doc. 23; se ne veda la trascrizione in C. BAUDI DI VESME, Codice<br />

Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna cit., s. XV, doc. II, 630.<br />

17 C. BAUDI DI VESME, Codice Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna cit., s. XIV, doc.<br />

XXVII. Questo documento si integra con quelli che pubblicano P. TOLA, Codex<br />

diplomaticus Sardiniae cit., I, s. XIV, doc. XXIII, p. 671, del 26 dicembre 1323, redatto<br />

in catalano; e C. BAUDI DI VESME, Codice Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna cit.,<br />

s. XIV, doc. XXVI, del 12 ottobre 1323, redatto in latino.<br />

18 F. SOLDEVILA, Les quatre grans cròniques cit. p. 1012.<br />

19 Il re Pietro il Cerimonioso dedica allo sbarco dell’infante Alfonso in Sardegna i paragrafi<br />

14-25 del cap. 1 della sua Crònica; si veda anche la Crònica di Ramon Muntaner, capp.<br />

CCLXXIII-CCLXXIV.<br />

9


10<br />

ad un mandato esecutivo, datato il 19 gennaio 1691, relativo ad una sentenza<br />

della Reale Udienza pronunciato a favore della città di Iglesias. 20<br />

È dell’8 ottobre 1543, nondimeno, il primo documento castigliano di questa<br />

sezione, sottoscritto a Sorgono da «Don Carlo e donna Giovanna sua madre, Re<br />

di Castiglia e di Aragona», i quali «confermano a favore della città di Iglesias il<br />

privilegio di 1518, di non concedere giammai in allodio nessuna villa, luogo o<br />

terra circostanti alla detta città». 21<br />

In modo graduale, a partire da quell’anno, il castigliano andrà sostituendo il<br />

catalano, che sparirà in maniera definitiva, sempre all’interno della sezione I della<br />

«Sezione Separata» dell’ASCI, il 14 gennaio del 1708, data in cui un notaio<br />

iglesiente notifica a Joan Baptista Gessa, «comissari de Vila Massàrgia», il mandato<br />

esecutivo di una sentenza pronunciata il 12 gennaio 1675. 22<br />

Carlo d’Austria, infine, firma a Vienna il 12 ottobre 1714 l’ultimo documento<br />

castigliano della sezione. 23 Ciò nonostante, questa lingua accompagnerà alcuni<br />

documenti dell’archivio fin quasi un secolo oltre: il segretario Francesco Pinna<br />

Deidda, funzionario del consiglio comunale di Iglesias tra gli anni 1793 e 1806,<br />

scriverà nell’ultimo foglio del Breve di Villa di Chiesa una nota, secondo la<br />

quale «consta este volumen de 146 ojas escritas».<br />

APPENDICE<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

ASCI, doc. 81 (PINNA 82). 10 cc., che contengono cinque documenti redatti in catalano,<br />

datati Cagliari, 18 aprile, 2, 13, 15 e 18 maggio 1577, con le suppliche dei procuratori delle<br />

città regie indirizzate al viceré; e due documenti redatti in latino e casigliano, datati Cagliari,<br />

8 marzo e 28 maggio 1577, con la revocazione o «desestiment» [«disistima»] dell’arcivescovo.<br />

Trascriviamo le cc. 6-6v, del 18 maggio 1577, che contengono il seguente documento<br />

che riassume tutti i precedenti.<br />

20 Il catalano, ciò nonostante, continuerà ad apparire, in modo sporadico, in note e<br />

commentari inclusi in documenti posteriori (concretamente, come vedremo in seguito,<br />

fino al 14 gennaio 1708). Nella sezione II dell’ASCI troviamo documenti catalani<br />

siglati negli anni 1717 (doc. 81: il capitano di giustizia ai consiglieri della città) e 1726<br />

(doc. 13: copia di un antico privilegio sulla fornitura di sale). Il «Registro de autos de<br />

arrendamientos y capitulaciones» (1703-1723) è redatto esclusivamente in catalano tra<br />

gli anni 1703-1712; vi troviamo documenti catalani fino al 1720.<br />

21 Doc. num. 63, pubblicato nell’Appendice VI dell’inventario di M. PINNA, L’Archivio<br />

Comunale di Iglesias cit. Carlo I e sua madre avevano approvato, attraverso un documento<br />

catalano, i capitoli presentati da Miquel Boter, procuratore d’Iglesias, il 3 ottobre<br />

1518 («Sezione Separata», sezione I, doc. 62); si veda C. BAUDI DI VESME, Codice<br />

Diplomatico di Villa di Chiesa in Sardegna cit., s. XVI, doc. XVI.<br />

22 Si tratta di una nota inclusa nel fol. 4v del doc. 108.<br />

23 Doc. 115 della sezione I della «Sezione Separata», non pubblicato da C. Baudi di Vesme<br />

né da M. Pinna.


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

Com los síndichs de la magnífica ciutat d’Esglésies vèjan que Vostra Senyoria,<br />

havent presentades diverses suplications sobre lo desestiment qual deu fer lo<br />

Reverendíssim de Càller de la pretesa de les dècimes que té contra dita ciutat,<br />

com en dites supplications y particularment en la primera de aquelles és de veure,<br />

va differint la provisió de die en die; y que essent ja assí per espay de trenta-vuit<br />

dies estan vui en lo mateix en què estàvan lo primer die que són vinguts, no<br />

poden dexar de dir que los negocis de dita ciutat van altrament del que Sa<br />

Magestat té hordenat y açò per manar-ho axí Vostra Senyoria, la qual si agués<br />

manat proveir com en dites supplications és estat supplicat, y de paraula també<br />

moltes y diverses vegades, se fóra poguda remediar y lliberar dels treballs y perills<br />

en què.stà. Y puix Vostra Senyoria fins ara no ho ha manat proveir, lo que és<br />

estat causa que no han pogut escriure ni recórrer a Sa Magestat ab lo vaxell qual<br />

estos dies se és partit de la present ciutat per Espanya, y convé que se aja de tenir<br />

resolutió del que Vostra Senyoria mana sobre dit desistiment y altres coses<br />

supplicades en dites supplications, les quals se volen haver assí per repetides,<br />

supplícan a Vostra Senyoria los dits síndichs que mane proveir degudament sobre<br />

aquelles y sens altra dilatió perquè puga la dita ciutat scriure y recórrer a Sa<br />

Magestat ab lo altre passatje qual se offereix per Spanya. Y no manant provehir,<br />

lo que no creuen, supplícan los dits síndichs que almenys Vostra Senyoria lis<br />

mane fer dar còpia authèntica de dites supplications y de la present y també de<br />

la presentatió de les reals lletres al dit Reverendíssim, presentades ab la resposta<br />

de aquell. Perquè són tants los gastos de dita ciutat que ja no se poden sens càrrec<br />

detenir més de dita provisió, la qual per ésser de la importància que és lo negoci<br />

convenia que fos estada feta dins hores.<br />

Altissimus Angelus Cani.<br />

2. Sulla fortuna letteraria di Maria Maddalena<br />

La devozione verso santa Maria Maddalena dà ascolto a tre fonti di informazione<br />

fondamentali: i vangeli canonici, i vangeli apocrifi e le leggende devote sia<br />

colte sia popolari.<br />

Nell’analisi dei testi canonici, conviene ricordare che i Vangeli danno a Maria<br />

da Magdala l’altissimo ruolo di annunciatrice presso gli apostoli della Risurrezione<br />

di Gesù. Il Maestro, infatti, scelse questa sua fedele inserviente 24 – dal<br />

corpo della quale, mentre predicava in Galilea, aveva strappato sette demoni 25 –<br />

24 «Vi erano là molte donne che guardavano da lontano, le quali avevano seguito Gesù dalla<br />

Galilea per servirlo. Tra esse c’era Maria Maddalena» (Mt, 27, 55-56); «Vi erano anche<br />

delle donne che guardavano da lontano, fra le quali Maria Maddalena […], le quali,<br />

quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano» (Mc, 15, 40-41). «Con lui erano i<br />

dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti maligni e da malattie, cioè Maria<br />

detta la Maddalena […], le quali li servivano con le loro sostanze» (Lc 8, 1-3).<br />

25 «Maria detta la Maddalena dalla quale erano usciti sette demoni» (Lc 8, 2); «Essendo<br />

risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, apparve per primo a Maria Maddalena<br />

dalla quale aveva scacciato sette demoni» (Mc 16, 9).<br />

11


12<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

per la sua prima apparizione dopo la morte. Troviamo il più dettagliato racconto<br />

dei fatti nel vangelo di san Giovanni:<br />

Maria [Maddalena] stava fuori, presso il sepolcro, piangendo. Ora, mentre<br />

piangeva, si curvò verso il sepolcro e vide due angeli vestiti di bianco, seduto uno<br />

al capo e uno ai piedi, dove era giaciuto il corpo di Gesù. Quelli le dicono:<br />

«Donna, perché piangi?» Dice loro: «Perché hanno portato via il mio Signore<br />

e non so dove lo hanno posto». E detto questo, ella si volse indietro e vide Gesù<br />

che stava lì in piedi. […] Le dice Gesù: «Maria». Voltandosi, ella gli dice in<br />

ebraico: «Rabbuni!», che vuol dire Maestro. […] Maria Maddalena allora viene<br />

ad annunciare ai discepoli che ha veduto il Signore». (Jn, 20, 1-18)<br />

È risaputo che in seguito il racconto della Maddalena non era creduto dagli<br />

apostoli: poco ascolto si dava, infatti, in quei tempi alle parole femminili, ai loro<br />

«vaneggiamenti», come raccoglie Luca, quasi ironicamente, nel suo vangelo<br />

(Lc, 24, 11). Ecco quindi un’ulteriore prova d’umiltà da parte di Gesù: anziché un<br />

apostolo, anziché un uomo, scelse una donna cui manifestarsi per la prima volta<br />

dopo la Risurrezione. Questo messaggio, d’interpretazione moderna non fu recepito<br />

nemmeno dalla devozione popolare che privilegiò, fra i ruoli svolti dalla<br />

piangente Maddalena nel racconto biblico, soprattutto la sua passiva presenza<br />

durante la crocifissione, la sua testimonianza della morte del Redentore. Era lei,<br />

infatti, una delle donne «che guardavano da lontano», di quelle donne «che<br />

avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo» (Mt. 27, 55-56). Conosciamo<br />

alcuni dei nomi di queste donne galilee, oltre a quello di Maria Maddalena:<br />

«Giovanna, moglie di Cusa, sovrintendente di Erode, Susanna e molte altre», fra<br />

cui «Maria di Giacomo», secondo il vangelo di Luca (Lc, 8, 3; 24, 10); e secondo<br />

Matteo e Marco «Maria madre di Giacomo e di Giuseppe e la madre dei figli di<br />

Zebedeo» (Mt, 27, 56), ossia «Maria di Cleofa» la prima (Jn 19, 25), «Salomè» la<br />

seconda (Mc 15, 40). In mezzo a questa complessità di figure femminili, gli unici<br />

nomi comuni ai quattro vangeli appartengono a Maria Maddalena e Maria di<br />

Cleofa, le quali, talvolta con «Maria Salomè», formano il gruppo conosciuto<br />

dalla tradizione come «le tre Marie».<br />

Questa tradizione semplificava il racconto biblico riducendo a tre omonime<br />

Marie il gruppo delle pie donne, unificò anche in una sola figura – appunto<br />

Maria Maddalena – il ricordo di tre donne presenti nei vangeli canonici: l’anonima<br />

peccatrice che unse i piedi di Gesù e glieli asciugò con i capelli; Maria, sorella<br />

di Marta e di Lazzaro; e Maria da Magdala, testimone della morte e della Risurrezione<br />

di Cristo.<br />

È interessante soffermarsi anche su un’altra antica leggenda devota secondo<br />

la quale questa Maria Maddalena sorella di Marta, con la stessa Marta, Lazzaro,


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

l’inserviente Marcella, Celidonio e Massimino si trasferirono in Provenza, da dove<br />

la devozione delle loro reliquie si diffuse nel Mediterraneo occidentale. 26 Da Marsiglia<br />

proviene, infatti, una Cantilena de la santa Maria Magdalena, probabilmente<br />

del secolo XIII, conosciuta dalla tradizione provenzale come Cantilena<br />

catalana; oppure Cantique catalane, in francese. 27 Ecco i suoi primi versi:<br />

Allegron-si los peccadors,<br />

Lauzán santa Maria<br />

Magdalena devotament.<br />

Ela conec lo sieu error,<br />

Lo mal qui fach avia,<br />

Et ac del fuec d’enfern paor.<br />

E mes-si en la via<br />

Per que venguet a salvament.<br />

Si può notare la struttura metrica della dansa dei trovatori che, in un contesto<br />

devozionale, diede luogo al genere poetico dei gaudia, conosciuto in Sardegna<br />

con il nome di goccius – gosos. 28 Per quanto riguarda la lingua, le formule<br />

genuine provenzali danno spazio a vizi linguistici, soprattutto fonetici in posizione<br />

di rima, i quali evidenzierebbero un forte contatto con la Catalogna, dove<br />

in quel periodo – e cioè dopo il 1279, data dell’invenzione delle reliquie di santa<br />

Maria Maddalena 29 – si usava il provenzale per la creazione poetica, anche se il<br />

catalano aveva già trovato spazio, da molti anni, nella prosa.<br />

Un buon esempio di questa dualità linguistica ci è offerto dall’opera del<br />

beato maiorchino Ramon Llull, autore di un’enorme produzione di testi narrativi,<br />

filosofici e tecnici espressi in latino, arabo e catalano. Nonostante ciò,<br />

quando Llull nel suo Plant de Nostra Dona Santa Maria volle ricordare i<br />

dolori della Madonna al piè della Croce, scelse una norma linguistica consistente<br />

in una base catalana aperta a soluzioni lessicali e morfologiche proprie<br />

26 Il Celidonio della leggenda, identificato con il cieco dalla nascita guarito da Gesù, corrisponde<br />

a san Cédoine - in realtà, san Ceddo di Lindisfarne - venerato ad Aix en Provence. In questa<br />

stessa città era venerata la tomba di san Massimino, primo metropolitano di Narbona,<br />

identificato dalla tradizione con uno dei settanta discepoli di Gesù.<br />

27 J. MASSÓ I TORRENTS, Repertori de l’antiga literatura catalana, vol. I: La poesia, Barcellona,<br />

Alpha, 1932, pp. 254-256.<br />

28 Per lo studio dei goccius - gosos in Sardegna, cfr. A. BOVER, Dos goigs sardo-catalans:<br />

sant Baldiri de Càller i la Verge del Roser, in «Estudis de Llengua i Literatura Catalanes»,<br />

XXVII (1993), pp. 95-110; e J. ARMANGUÉ, Is goccius, dall’oralità alla scrittura, in «Ha<br />

Mara», V, num. 20 (agosto 2001), pp. 20-21.<br />

29 C. CHABANEAUX, Cantique provençale en l’honneur de sainte Marie-Madelaine, in «Revue<br />

des langues romanes», XXVII (1885), pp. 103-120.<br />

13


14<br />

del provenzale. Si vedano due frammenti che raccolgono gli interventi di Maria<br />

Maddalena e delle tre Marie: 30<br />

Maria Magdalena venc al moniment<br />

on atrobà la regina en gran desconsolament,<br />

e sí·s fé sent Joan, e pregà humilment<br />

la puella d’amor que vengués mantinent<br />

a l’hostal, e presés un pauc de recreament. (vv. 337-341)<br />

[…]<br />

Quan abdues foren vengudes a maisó,<br />

Maria Cleofàs e Maria Salomó<br />

estaven en la cambra en gran desconsolació.<br />

Quan viren la regina, qui no·ls dix hoc ni no,<br />

car quaix morta estava, mudaren lo sermó<br />

en consolar la reina, mas no valc pauc ni pro. (vv. 349-354)<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Il pianto di Ramon Llull è stato datato fra gli anni 1275 e 1292. Risalgono a pochi<br />

anni prima sia la nota lauda di Iacopone da Todi dedicata al Pianto della Madonna<br />

(1268-69), sia la famosa Legenda aurea di Iacopo da Varazze (apross. 1260). Ci<br />

interessa evidenziare questo doppio parallelismo poiché, da una parte, con lo sviluppo<br />

della scena della depositio o Discendimento di Gesù Cristo dalla croce<br />

(«S’Iscravamentu» in Sardegna), 31 nel quale si inseriscono a partire dal XII secolo i<br />

Planctus Mariae (i pianti mariani), la figura della Maddalena – membro di spicco del<br />

gruppo delle tre Marie – diventa un personaggio di provata efficacia drammatica<br />

all’interno della funzione paraliturgica. Da questo momento, quindi, la sua fortuna<br />

sarà legata a quella della rappresentazione drammatizzata della Passione di Cristo.<br />

D’altra parte, va segnalato che Iacopo da Varazze nella sua vasta opera raccoglie,<br />

oltre a quelle cui abbiamo già accennato, una lunga serie di leggende devote che<br />

godranno, contestualmente alla diffusione della Legenda aurea in Europa, di un enorme<br />

successo, tanto che influiranno su tutta la produzione agiografica successiva.<br />

Non sappiamo, ciò nonostante, quale poté essere l’influenza concreta di<br />

tutti questi testi devozionali sugli sviluppi della proiezione in Sardegna della<br />

30 Citiamo da Ramon LLULL, Poesies, a cura di J. Romeu i Figueras, Barcellona, Enciclopèdia<br />

Catalana, 1986, pp. 65-67.<br />

31 Per lo studio della depositio in Sardegna, cfr. G. MELE, Tradizione manoscritta e oralità<br />

nella liturgia della Settimana Santa in Sardegna. Note sul triduo sacro, in Liturgia e<br />

paraliturgia nella tradizione orale, Bolotana, 1993, p. 57; F. MASSIP, Presència del<br />

teatre català medieval en la tradició escènica sarda, in La Sardegna e la presenza<br />

catalana nel Mediterraneo, Atti del VI Congresso dell’Associazione Italiana di Studi<br />

Catalani (Cagliari, 11-15 ottobre 1995), a cura di Paolo Maninchedda, vol. I, Cagliari,<br />

CUEC, 1998, pp. 316-333; e La Setmana Santa a l’Alguer. Festa, Drama i Cançó, a<br />

cura di J. Armangué, Barcellona, 199<strong>9.</strong>


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

figura della Maddalena. Il suo culto è attestato nell’isola da molti anni prima<br />

della nascita di Iacopo da Varazze (1230), di Iacopone da Todi (1230-36), di Ramon<br />

Llull (1232). 32 Conviene però ricordare che contemporaneamente all’operato di<br />

questi scrittori e alla diffusione della Cantilena de la santa Maria Magdalena<br />

nel meridione della Francia, la Sardegna attraversava un periodo di intensi scambi<br />

commerciali con la Provenza. 33 Sono abbondanti, per il XIII secolo, gli atti che<br />

attestano un esaustivo traffico marittimo fra Marsiglia ed i principali porti dell’isola:<br />

Oristano, Alghero, Bosa, Torres e, soprattutto, Cagliari. Inoltre, sono<br />

state individuate delle colonie di sardi abbienti, praticanti il commercio, regolarmente<br />

stabiliti a Marsiglia: si conoscono, infatti, i nomi di Laurencius e Ugo<br />

Sardus, Johannes Azalguerius, Johannes Cagliari, Petrus Cebolla, Barisone da<br />

Sassari..., tutti eventuali intermediari fra la Provenza e la Sardegna nello scambio<br />

ispirato a devozione relativo alla santa, oggetto del nostro studio. 34<br />

Alcuni anni dopo, però, con l’inizio della conquista catalano-aragonese, la<br />

principale fonte in Sardegna per la fortuna letteraria di Maria Maddalena proverrà,<br />

naturalmente, dai regni mediterranei della Corona – Catalogna e Valenza – con<br />

un nuovo veicolo di trasmissione letteraria: la lingua catalana schietta, libera<br />

ormai da influenze provenzali. In seguito vogliamo rivedere alcuni dei principali<br />

testi della letteratura medioevale catalana in cui è ripresa la figura di santa Maria<br />

Maddalena; 35 testi che, in alcuni casi, poterono avere una certa diffusione anche<br />

nella Sardegna catalana.<br />

Prima di ciò conviene ricordare che fra gli anni 1348-1377 il certosino Ludolfo<br />

di Sassonia scrisse la famosa Vita Christi, testo che raggiunse un enorme suc-<br />

32 Cfr. A. F. SPADA, Storia della Sardegna Cristiana e dei suoi Santi. Il primo Millennio,<br />

Oristano, S’Alvure, 1994, pp. 164: «In Sardegna sono abbastanza numerose le chiese<br />

dedicate alla Santa, e una delle più antiche è quella di Chiaramonti, che fu donata il 10<br />

luglio 1205 all’eremo di Camaldoli con terre e servi per fondarvi un monastero. La<br />

donazione fu riconfermata nel 1210 dalla donnicella Maria de Thori, di Nulvi».<br />

33 Non è indispensabile in questa sede accennare inoltre ai benedettini di San Vittore di<br />

Marsiglia, approdati nel Giudicato di Cagliari durante gli ultimi decenni del secolo XI. Per<br />

lo studio della penetrazione dei vittorini in Sardegna, si veda A. BOSCOLO, L’abbazia di<br />

San Vittore, Pisa e la Sardegna, Padova, 1958; AA.VV., Studi sui vittorini in Sardegna,<br />

Padova, 1963; e E. BARATIER, L’inventaire des biens du prieuré de Saint Saturnin de<br />

Cagliari dépendant de l’Abbaye Saint Victor de Marseille, in AA.VV., Studi storici in<br />

onore di F. Loddo Canepa, Firenze, 1959, vol. II, pp. 43-74.<br />

34 Cfr. F. ARTIZZU, Relazioni commerciali tra la Sardegna e Marsiglia nel secolo XIII, in<br />

Ricerche sulla storia e le istituzioni della Sardegna medievale, Roma, 1983, p. 38.<br />

35 A questo scopo seguiremo fondamentalmente l’opera di M. DE RIQUER, Història de la<br />

literatura catalana, 3 voll., Barcellona, Ariel, 1964, da dove prendiamo i testi citati in<br />

questa seconda parte del nostro articolo.<br />

15


16<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

cesso in Europa. Ora ci interessa segnalare che nel capitolo XXV del primo libro<br />

di questa Vita Christi, la Maddalena, perpetuando lo spirito di un’antica tradizione,<br />

era diventata la sposa delle nozze di Cana, e san Giovanni Evangelista lo<br />

sposo. Con quest’artifizio, inoltre, l’apostolo si confondeva con il cugino di<br />

Gesù, figlio di una sorella della Madonna (Maria Salomè).<br />

Il valenzano san Vicent Ferrer (1350-1419), consigliere di papa e re, taumaturgo<br />

e popolarissimo predicatore in lingua catalana, si ribellò contro questa pia leggenda.<br />

Ciò nonostante, nei suoi sermoni non ritenne illecito manipolare l’immagine<br />

della santa al fine di avvicinarla al suo pubblico. Ecco come descrive la<br />

peccatrice Maddalena prima della sua conversione:<br />

E ella era massa bella, en tant que molts la desijaven, mas son pare e sa mare,<br />

dementre ivien guardaven-la. E aprés obte d’aquells, ella romàs senyora d’aquella<br />

baronia de Madalo; e llavors los cavallers anaven a visitar-la e a ballar, en tant<br />

que ella s’enamorà d’algun cavaller o escuder. 36<br />

Anche sor Isabel de Villena (1430-1490), nella sua Vita Christi, affianca alle<br />

stesse fonti d’informazione biografica una certa dose di finzione allegorica. Fa<br />

uso, inoltre, delle stesse tecniche di popolarizzazione e attualizzazione del suo<br />

concittadino san Vicent Ferrer, seguendo in ciò la tecnica realista dei retabli del<br />

periodo; ma vi aggiunge un dolce tocco femminile e il piacere della lenta amplificazione<br />

che dà luogo, appunto, agli svaghi narrativi più personali. Vediamo lo<br />

stesso passaggio relativo alla Maddalena, personaggio senz’altro simpatico a<br />

sor Isabel de Villena, prima del pentimento:<br />

Aquesta senyora era gran festejadora e inventora de trajos, tenia cort e<br />

estrado en casa sua, on s’ajustaven totes les dones jóvens entenents en delits e<br />

plaers, e aquí·s feien festes i convits tots dies […]. E, venint lo matí, ella·s levà<br />

ab molt plaer per anar prest a contentar son desig, e meté’s bé a punet, segons<br />

son desig, car pensava en l’ataviu de sa persona perquè fos ben mirada e molt<br />

estimada per la gran multitud de gent que seria en lo sermó. 37<br />

Il noto studioso Martí de Riquer, secondo il quale la Maddalena è una delle<br />

figure più importanti della Vita Christi della badessa, evidenzia opportunamente<br />

l’azzeccato stile femminile con cui è descritta la reazione della santa, giunto il<br />

momento del pentimento: «Baixà los ulls en terra, posant lo ventall davant la<br />

cara, e començà a rompre en grans làgrimes». 38<br />

36 Sant Vicent FERRER, Sermons, a cura di J. Sanchis Sivera, Barcelona, 1934, vol. II, p. 190.<br />

37 Sor Isabel de VILLENA, Libre anomenat Vita Christi, a cura di R. Miquel i Planas, Barcellona,<br />

1916, vol. II, pp. 87-88.<br />

38 M.DE RIQUER, Història de la literatura catalana cit., III, p. 472.


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

Nonostante la sua forte personalità letteraria, sor Isabel, al contrario di san<br />

Vicent Ferrer, coltissimo teologo cosciente dei limiti della popolarizzazione, non<br />

riesce a sottrarsi all’influsso della Vita Christi del certosino Ludolfo di Sassonia<br />

e segue la tradizione, da quest’ultimo riportata, che vede Giovanni Evangelista e<br />

la Maddalena protagonisti delle nozze di Cana:<br />

Una germana de l’excellent Mare de Déu feia noces del seu gloriós fill Joan,<br />

lo qual era tant amat e car a la senyora tia sua, que més era estimat fill que nebot<br />

[…]. E finat lo convit, despedint-se lo Senyor per partir-se’n, cridà son cosín<br />

germà, lo gloriós Joan, dient-li que leixàs estar l’esposada [= Maria Maddalena]<br />

e tot lo restant, e que·l seguís. 39<br />

Con la Història de la gloriosa santa Magdalena, di Joan Roís de Corella<br />

(1433/1443-1497), giungiamo alla fine del nostro percorso letterario. Conviene<br />

ricordare che dobbiamo proprio a questo scrittore la traduzione catalana della<br />

Vita Christi di Ludolfo di Sassonia, conosciuta con l’appellativo dell’autore, Lo<br />

Cartoixà (‘il Certosino’); e che questa traduzione circolò in Sardegna durante il<br />

secolo XVI. Infatti, nella Biblioteca Universitaria di Cagliari sono custoditi i seguenti<br />

incunaboli, appartenuti all’umanista sardo-catalano Montserrat Rosselló: 40<br />

LUDOLPHUS DE SAXONIA: Vita Christi, trad. Joan Roís de Corella. Valenza [Christoph<br />

Kofmann], 1500 (inc. 58) [= Segon del Cartoixà].<br />

LUDOLPHUS DE SAXONIA: Vita Christi, trad. Joan Roís de Corella. Valenza, Lope de la<br />

Roca, 1495 (inc. 59) [= Terç del Cartoixà].<br />

LUDOLPHUS DE SAXONIA: Vita Christi, trad. Joan Roís de Corella (inc. 60) [= Quart del<br />

Cartoixà, 1495]. 41<br />

Durante la sua giovinezza, Roís de Corella aveva già seguito la Legenda aurea di<br />

Iacopo da Varazze per la stesura de La vida de la gloriosa santa Anna (1461-1471),<br />

dove la Madonna diventa sorellastra di Maria di Cleofa e, contemporaneamente, di<br />

Maria Salomè: è così chiarita la triade delle Marie e il grado di parentela che univa<br />

Gesù ad alcuni apostoli, fra cui Giovanni Evangelista – marito della Maddalena! 42<br />

39 Vita Christi, a cura di Miquel i Planas cit., pp. 74-76.<br />

40 Esiste un’ottima descrizione della sua biblioteca, con la trascrizione dell’inventario: E.<br />

CADONI – M.T. LANERI, Umanisti e cultura classica nella Sardegna del 500. 3: L’inventario<br />

dei beni e dei libri di Monserrat Rosselló, 2 voll., Sassari, 1994.<br />

41 Per la descrizione di questi incunaboli, cfr. J. ARMANGUÉ, Els incunables catalans de la<br />

Biblioteca Universitària de Càller (1493-1500): Joan Roís de Corella, in AA.VV., Estudis<br />

sobre Joan Roís de Corella, a cura di Vicent Martines, Alcoi, Editorial Marfil, 1999, pp.<br />

71-82. Notiamo che fra queste edizioni manca il Primer del Cartoixà, ossia la traduzione<br />

del libro I della Vita Christi, dove avremmo trovato i riferimenti relativi a Maria Maddalena.<br />

42 Cfr. la versione italiana del capitolo relativo a santa Maria Maddalena (§ XCVI) in<br />

Iacopo DA VARAZZE, Legenda aurea, Torino, Einaudi, 1995, pp. 516-526.<br />

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18<br />

La Història de la gloriosa santa Magdalena (post. 1482), nonostante il suo<br />

carattere prettamente medioevale, cede il passo allo stile rinascimentale<br />

caratteristico della prosa di questo grande scrittore valenzano. Vogliamo<br />

riprodurre a continuazione lo stesso passaggio relativo a Maria Maddalena<br />

prima del suo pentimento, in modo che il lettore possa valutare direttamente la<br />

fondamentale differenza di stile rispetto ai passaggi presi dal sermone di sant<br />

Vicent Ferrer e dalla Vita Christi di sor Isabel de Villena:<br />

Aquesta rica pomposa senyora, dels béns d’aquest món en gran abundància<br />

dotada, ab estrema bellea, graciosa e afable lengua, en vanitats, pompes e gales<br />

portava lo temps de la joventut alegre, poc recelant del trist caçre de l’infern les<br />

eternes penes, començant, trobant e mudant novelles envencions en diverses<br />

riques vestidures; despenia lo temps del seu delitós viure en convits, danses e<br />

festes, les orelles afalagades en diversitat de ben entonada música, amb perfums<br />

de singulars mixtures. 43<br />

Il cavaliere Jaume Gassull stampò a Valenza, nell’anno 1505, una<br />

versificazione della biografia dovuta a Roís de Corella, La vida de santa<br />

Magdalena en cobles. 44 Con la sua pubblicazione, la fortuna letteraria di<br />

Maria Maddalena supera la soglia del Medioevo e quindi i limiti cronologici<br />

che ci siamo prefissati.<br />

3. Leggenda e gosos: Santa Maria Navarrese *<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

Tra le manifestazioni dell’antica penetrazione culturale catalana in Sardegna che<br />

ancora oggi sopravvivono, risalta per la sua forza e vitalità indiscutibili il genere<br />

poetico dei gosos («goigs» in catalano; «goccius» in sardo campidanese), autentico<br />

patrimonio che la cultura sarda ha assimilato fino a convertirlo in una<br />

delle espressioni più caratteristiche della devozione popolare.<br />

In effetti, seguendo la struttura tradizionale dei goigs catalani, la letteratura<br />

sarda ha fatto suo questo genere, introdotto nei primi secoli della dominazione<br />

catalana dell’isola. L’adattamento tematico – ossia la sostituzione di santi o<br />

intercessioni mariane di origine catalana con altre autoctone – è un processo<br />

43 J. ROIÇ DE CORELLA, Obres, a cura di R. Miquel i Planas, Barcellona, 1913, p. 310.<br />

44 Edizione moderna a cura di R. Miquel i Planas, Bibliofilia, coll. 231-255.<br />

* Esiste una versione catalana di questo articolo: Naufragi i memòria: els goigs sards de<br />

Santa Maria Navarresa (con Covadonga GARCÍA-TORAÑO), in «Estudis de llengua i literatura<br />

catalanes», XX (1990): Homenatge a Joan Bastardas, 3, Publicacions de l’Abadia de<br />

Montserrat, Barcelona, pp. 133-144.


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

lento, che dà i primi frutti nel XVI secolo; del XVII secolo sono, invece, i primi<br />

esempi di gosos in lingua sarda a noi pervenuti. 45<br />

Attraverso lo studio di un canto ancora vivo nell’Ogliastra – i gosos dedicati a<br />

Santa Maria Navarrese –, assisteremo alla nascita di un tema e di un’intercessione<br />

sardi a partire da un avvenimento accaduto durante il periodo della dominazione<br />

catalano-aragonese: il recupero dell’immagine della Madonna del Rosario nel porto<br />

di Santa Lucia, nel nord-est dell’isola, dopo uno scontro con i Turchi nel 1576.<br />

Santa Maria Navarrese è un piccolo paese litoraneo, situato nella costa orientale<br />

della Sardegna, a pochi chilometri da Tortolì, antico capoluogo dell’Ogliastra.<br />

Secondo la tradizione, la chiesa locale fu fatta costruire nell’XI secolo dalla principessa<br />

Maria di Navarra che, con questo gesto, avrebbe voluto ringraziare il Cielo<br />

per il miracolo grazie al quale era stata salvata non solo dalla schiavitù a cui<br />

l’avrebbero condannata i Saraceni, ma anche dalla tempesta che aveva fatto naufragare<br />

la nave sulla quale viaggiava prigioniera. Due documenti ci ricordano i<br />

fatti; contrariamente a ciò che vuole la memoria collettiva, in nessuno dei due<br />

viene attribuito ad un intervento divino l’avvenimento dello scampato pericolo.<br />

Il primo testo lo dobbiamo a Giovanni Fara, che racconta il naufragio con le<br />

seguenti parole:<br />

Altero deinde anno, nempe 1052, regis Navarrae filia, 46 e paterna domo<br />

rapta et tempestate in Sardiniam acta, sedes suas cum sociis collocavit in regione<br />

Ogugliastri, ubi Sanctae Mariae, Navarresae inde dictae, templum ab ea conditum<br />

adhuc cernitur. 47<br />

L’altro testo, molto più esteso, appartiene ad una cronaca del XV secolo<br />

conservata presso l’Archivio Storico di Cagliari, 48 secondo la quale la principes-<br />

45 Si vedano i diversi articoli relativi a questo argomento pubblicati in «<strong>Insula</strong>. Quaderno di<br />

cultura sarda», num. 8 (giugno <strong>2010</strong>).<br />

46 Secondo la tradizione, la principessa Maria era figlia di Garcia IV di Navarra; cfr. Angelo<br />

USAI, L’Ogliastra, Cagliari, s.d., pp. 58-62.<br />

47 Il testo continua così: «Has sedes postea, ob malignitatem loci, mutare coacta, in<br />

Arborensem regionem maritimam encontratae, sancti Marci de Sinis dictae, secessit, et<br />

oppidum a saracenis desertum incoluit»; Giovanni F. FARA, De rebus sardois, vol. II, ed.<br />

Vittorio Angius, Cagliari, 1838.<br />

48 Archivio Storico del Comune di Cagliari, Fondo Sanjust, num. 55, Cartulari di Arborea,<br />

ff. 55-56: Memoria de las cosas que an acontecido en algunas partes del reyno de<br />

Cerdeña. Hanno studiato questo testo: Evandro PUTZULU, Carte Reali aragonesi e spagnole<br />

dell’Archivio Comunale di Cagliari (1358-1719), «Archivio Storico Sardo»,<br />

XXVI (1959), pp. 1-154; e più recentemente Núria PUIGDEVALL, La storiografia catalana<br />

in Sardegna, in Paolo MANINCHEDDA, La Sardegna e la presenza catalana nel Mediterraneo<br />

cit., pp. 83-93; e P. MANINCHEDDA, Memoria de las cosas que han aconteçido en<br />

algunas partes del reino de Çerdeña, Cagliari, CUEC, 2000.<br />

19


20<br />

sa, avendo peccato con un grande cavaliere, era stata espulsa dalla Navarra e<br />

mandata a Oriente. A causa di una tempesta, «casi miragrosamente» giunge in<br />

Sardegna, «en una parte llamada Ollastre», dove decide di stabilirvi la sua residenza<br />

provvisoria. La chiesa che ordina di far edificare e dedicare a Santa Maria<br />

è così «la primera iglesia que cristianos hizieron» nell’isola.<br />

I gosos di Santa Maria Navarrese ricordano questo aneddoto. Il fatto che in<br />

nessuno dei documenti esaminati ci sia alcun riferimento all’intervento della<br />

Madonna durante il naufragio ci fa pensare che la leggenda, viva ancora oggi, si<br />

sia arricchita e ampliata in seguito, mescolando con il precedente episodio il<br />

ricordo deformato di ciò che era avvenuto a Santa Lucia nel XVI secolo.<br />

Grazie a un documento catalano del 1576, redatto a Posada, conosciamo<br />

l’origine dell’antica immagine di Santa Maria Navarrese. La devozione popolare,<br />

oltre ad attribuirle qualità miracolose, ricorda che l’immagine arrivò in Sardegna<br />

dal mare dopo un naufragio. È da notare che, nonostante la freddezza e l’apparente<br />

oggettività del documento, in cui non si accenna al miracolo, lo scrivano<br />

Sirigo ha disposto gli elementi principali in modo tale da consentire che l’aneddoto<br />

venga interpretato come un prodigio: oltre a evidenziare la presenza d’«una<br />

cosa que lis paregué ésser un crucifici», ripete con insistenza il fatto che l’immagine<br />

fu ritrovata supina, «com si fos alguna dona viva», come se «caminàs per la<br />

mar». Lo sconcerto provocato da questa stranezza dovette creare il presupposto<br />

favorevole per attribuire ad una mediazione mariana l’avvenuto, mediazione<br />

che successivamente venne estesa al naufragio dell’XI secolo, confuso già nel<br />

ricordo collettivo con quello del 1576.<br />

In Sardegna, la più popolare storia di naufragi, divenuta patrimonio comune<br />

nella cultura isolana, consiste nell’apparizione, in seguito ad un naufragio durante<br />

una tempesta nel 1370, della Madonna della Mercede a Bonaria, forse<br />

l’intercessione mariana che ha meritato in Sardegna il numero più elevato di<br />

gosos che, a loro volta, ricordano spesso il naufragio:<br />

Salve Regina, venia<br />

in d’una cascia po mari,<br />

gioia nostra singulari<br />

de Bonaria, Ave Maria.<br />

Milli trexentus settanta,<br />

s’annu de s’era cristiana,<br />

po una forti tramontana<br />

de si perdi meda accanta,<br />

is marineris ghettanta<br />

in su golfu mercanzia.<br />

Joan Armangué i Herrero


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

Gioia nostra singulari<br />

de Bonaria, Ave Maria. 49<br />

La lode delle eccellenze di Santa Maria Navarrese, pertanto, si avvaleva di un<br />

genere letterario ben definito e di lunga tradizione in cui esprimersi. L’esistenza di<br />

una leggenda, ampiamente documentata, che fa riferimento a un’altra Madonna<br />

«benia po mari», 50 doveva servire ad attribuire un’origine miracolosa anche alla<br />

Vergine locale, origine che nella memoria collettiva mescola date che si riferiscono<br />

ai due differenti naufragi a cui abbiamo fatto riferimento: nonostante che l’immagine<br />

recuperata a Santa Lucia nel XVI secolo non abbia nulla a che vedere con la<br />

leggendaria fondazione di Santa Maria, i gosos che trascriviamo in Appendice<br />

dimostrano come le due storie dei naufragi si siano intrecciate definitivamente e<br />

come esse, allontanatesi dal tempo e dalle circostanze culturali che le avevano<br />

espresse, siano diventate parte del tesoro genuino della cultura sarda.<br />

TESTI<br />

I.<br />

Archivio Comunale di Cagliari, Fondo Ballero, doc. 24. Posada, 18 giugno 1576:<br />

«Relació de la image de Nostra Senyora que vingué per la mar, la qual està en<br />

Tortolí».<br />

De mandato del molt magnífich senyor Joan de Moros de Molinos, procurador<br />

general y governador de la terra, castell y baronia de Posada, per lo il·lustre señor<br />

don Hierònim Clement, notary del concell supremo de Sa Magestat, señor directe<br />

de la present baronia, y per istàntia y requesta del magnífich Pere Johan de<br />

Quinza, de la vila de Tortolí, del judicat de Ullastre, foren demanats mediant<br />

jurament lo honorable don Jago Pau, lloctinent de la present baronia, Joani<br />

Porco, Fabio Corellas, vassaills y babitadors de la present terra, que dígan y<br />

presten veritat de la manera, modo y forma trobaren la himagen que dit mossèn<br />

de Quinza diu haver feta fer sota invocació de Nostra Señora del Rossari en la<br />

ciutat de Nàpols, la qual envià y trameté en lo present Regne de Sardenya sobre<br />

la barca de Sebastià Lobrano, nomenada Santa Margarita, qual barca per temps<br />

prengueren port en lloch que·s Santa Llúcia. Los qualls, tots conformes y ningú<br />

d’ells discrepant, fan rel·latió per lo jurament que fet an que la dita imagen que<br />

ara se na porta no dit mossèn de Quinça de la present terra de Posada, al temps<br />

que los sobredits Porco y Corellas anaren en compagnia de altres per a dar<br />

soccorro a la dita barca y mariners, y altra de conserva que·stava en lo mateix<br />

port de Santa Llúcia, per las tres galiotas de turchs, enemichs de la santa fe, que<br />

49 T. SCALAS, Goccius in onori de sa beatissima Virgini Maria de Bonaria, Cagliari, Timon,<br />

1870. Si vedano ancora altre laudi dedicate alla Madonna di Bonaria: Goccius de N. S. de<br />

Bonaria, Cagliari, Tip. Alagna, 1877; Goccius de Sa Virgini SS. de Bonaria, Cagliari.<br />

50 Espressione letterale con cui viene ricordata l’origine dell’immagine di Santa Maria<br />

Navarresa.<br />

21


22<br />

Joan Armangué i Herrero<br />

deían anar drectura per prendre y cativar ditas barcas, los dits enemichs de la<br />

santa fe cativaren aquellas y se’n las aportaren dins de mar un tir de arcabús. Y<br />

estant los dits enemichs de la santa fe saquegiant aquellas, los dits testimonis<br />

llensaren la mar molta roba, com éran bótas, mígias bótas y caxas, y una cosa que<br />

lis paregué ésser un crucifissi. Y dexant ditas barcas los dits enemics de la santa fe<br />

y anaren-se’n aquellas, los dits restaren en dit port de Santa Llúcia ab los patrons<br />

y mariners de ditas barcas per a cobrar ditas barcas y robas avían llensat en la mar.<br />

Cobrant dita roba, veren arribar dita imàgien del Rosari en terra, dreta de cos<br />

com si fos alguna dona que caminàs per la mar, de la qual los dits testimonis<br />

estigueren algun tant admirats, pensant que fos alguna dona viva. Y trobaren dita<br />

benaventurada imàgien dreta de cos com si fos dona viva; la qual ells prengueren<br />

y tragueren de la mar, y la donaren en poder del patró y mariners, los quals<br />

verificaren que era la imagen que dins de una caxa enviava de Nàpols un tal<br />

mossèn Pere Joan de Quinsa per al judicat de Ullasta [sic].<br />

Y esta és la veritat, per lo jurament que fet han. Per requesta del dit mossèn<br />

de Quinssa y de la veritat, se’n fa la present certificatòria de mà de mi, Antoni<br />

Felisi Sírigo, scrivà públic de la cort de la terra y baronia de Posada, de la qual fas<br />

vera fe, y va sottascritta de testimonis de veritat, y sellada del sòlit segiell de la<br />

present baronia. Feta en Posada, a XVIII del mes de juny 1576, dich 1576.<br />

II.<br />

Quaderno manoscritto custodito presso la parrocchia di Lotzorai. Laude di «Maria<br />

Navarresa».<br />

Cantemus cun allegria<br />

alabanzas a s’Altesa.<br />

Demus glorias a Maria,<br />

mama nostra Navarresa. 4<br />

De sant’Anna e Gioacchinu<br />

seis istettia cunzebida,<br />

e cun poderi divinu<br />

de dogni culpa esimida. 8<br />

Non s’est de Bós incurrida<br />

mancia de naturalesa.<br />

Sa suprema Trinidade<br />

tanta grazia os han donadu 12<br />

chi de su Verb’Incarnadu<br />

cunzebestis s’umanidade,<br />

pighendi sa Deidade<br />

umana naturalesa. 16<br />

Pro custu t’annunziare,<br />

cun ambaxiada fidele<br />

s’arcangelu Gabriel<br />

chersisit Deus deputare, 20<br />

e cun su sou saludare<br />

infundesit fortalesa.


CONTINUITÀ DELLA LINGUA CATALANA IN SARDEGNA, FRA MEDIOEVO ED ETÀ MODERNA<br />

Senza pena ni dolore<br />

sende su tempus cumplidu, 24<br />

in Betlem eis partoridu<br />

su Divinu Redentore.<br />

Riscattais su peccadore<br />

cun ammirabil’impresa. 28<br />

Cun ammirabili fama<br />

e gloria sa prus onrosa,<br />

de Deus seis sa mama,<br />

de su Sp. Santu sposa, 3 2<br />

seis pura fizza diciosa<br />

de sa Soberana Altesa.<br />

O felizidade divina,<br />

digna d’esser cuntemplada! 36<br />

In su chelu de Reina<br />

seis de Deus coronada,<br />

e costituida abogada<br />

de sa umana flachesa. 40<br />

De Navarra una princesa<br />

chi in custu portu sbarchesit,<br />

unu templu cunsagresit<br />

a sa osta real’Altesa, 44<br />

po chi de Bós arricesit,<br />

send’afflitta, fortalesa.<br />

E nosu cun rendimentu<br />

faghimos umilidade 48<br />

a sa osta Maiestade.<br />

De coru s’offressimentu,<br />

cust’offerta cun cuntentu,<br />

os damos, mama prinzesa. 52<br />

Mama sa prus carignosa:<br />

de nosaterus peccadores<br />

perdonu a sos errores<br />

alcanzadenos, piedosa. 56<br />

De favores poderosa,<br />

nos dade eterna ricchesa.<br />

Demus glorias a Maria,<br />

mama nostra Navarresa. 60<br />

23


24<br />

B


ROMANCE DEL CAUTIVO ANTONIO DE SALAFRANCA,<br />

NATURAL DE CERDEÑA *<br />

Gabriel Andrés<br />

Universidad de Cagliari<br />

Tras la precedente edición del manuscrito del Nuevo romance del judío<br />

mesonero de Cerdeña, presento aquí otro romance de ambientación sarda, en<br />

este caso de impresión tardía, sin datación precisa pero de principios del s. XIX,<br />

en las prensas cordobesas de Rafael García Rodríguez, heredero de la Imprenta<br />

Real de Juan García Rodríguez de la Torre en esa misma ciudad andaluza. 1 El<br />

pliego de este romance del cautivo Antonio de Salafranca, encabezado con<br />

una numeración (n° 112) que indica el carácter serial y prolífico de esta<br />

producción, presenta cierta calidad tipográfica respecto a impresos similares<br />

de otros talleres españoles de la época, salvo en los grabados de<br />

encabezamiento, repetidos con tacos xilográficos comunes. 2 En particular, este<br />

romance del cautivo sardo resulta singular por tratarse del único pliego impreso<br />

conocido (el del judío mesonero de Cerdeña es manuscrito) de romance<br />

* Trabajo realizado en el ámbito del Grupo de investigación ILTeC Lingue, testi e culture di<br />

area iberica (Università di Cagliari).<br />

1 G. ANDRÉS, «Nuevo romance del judío mesonero de Cerdeña», <strong>Insula</strong>. Quaderno di cultura<br />

sarda, 7 (<strong>2010</strong>), pp. 85-93. En este caso se trata de un pliego impreso en 4° de 2 hojas sin<br />

signatura, con <strong>núm</strong>ero de serie y típicos grabados xilográficos en cabecera. Rafael García<br />

imprimió entre los años 1805 y 1844 multitud de textos de todo tipo (incluyendo algunos<br />

encargados por los mandos napoleónicos durante la guerra de Independencia), aunque<br />

especialmente pequeños volúmenes en 8° y 16°, junto a estampas de a medio pliego y de<br />

pliego, así como centenares de «Romances, relaciones, pasillos y coplas», como señala un<br />

catálogo de libros mencionado por Antonio RODRÍGUEZ-MOÑINO, Historia de los catálogos de<br />

librería españoles (1661-1840). Estudio Bibliográfico, Madrid, 1966, p. 183, n° 142: «LISTA<br />

| del Surtido que en el dia tiene en su Imprenta | Don Rafael Garcia Rodriguez, Calle de la<br />

Librería, | Casa <strong>núm</strong>ero 2. en Córdoba».<br />

2 Referencias al romance en Agustín DURÁN, Romancero general o Colección de romances<br />

castellanos, anteriores al siglo XVIII, Madrid, Atlas, 1945, t. I, p. lxxxv; José M. VALDENEBRO<br />

Y CISNEROS, La imprenta en Córdoba, ensayo bibliográfico, ed. facs., Córdoba, Diputación<br />

de Córdoba – Delegación de Cultura, 2002, n° 1964 y 2076; también en Francisco AGUILAR<br />

PIÑAL, Romancero popular del siglo XVIII, Madrid, CSIC, 1972, n° 773; así como en el<br />

Catalogue Collectif della France, http://ccfr.bnf.fr/portailccfr/ servlet/LoginServlet<br />

[consultado: 26.08.<strong>2010</strong>]. Se conocen cinco ejemplares en Madrid (Nacional: U/9497<br />

(138)); París (Nationale: Yg.1013; Yg-1701; Yg-1956) y Rouen (Bibliotheque Municipale:<br />

m 22418-2-BA, Fonds Degrave).<br />

25<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 25-31


26<br />

Gabriel Andrés<br />

ambientado en Cerdeña, sin que se tenga noticia de otros similares coincidentes<br />

con la época en que la isla formaba parte de la Corona hispánica.<br />

Un siglo después de su alejamiento de la órbita ibérica, en una época de gran<br />

esplendor tipográfico para el romancero de cordel, encontramos este testimonio<br />

en el que se indica sólo, en unos pocos versos (vv. 9-13), el origen del protagonista<br />

y su actividad como pescador, sin mayores referencias a la isla, es decir, como<br />

simple ambientación de un marco geográfico mediterráneo imprescindible para el<br />

canon de los romances de cautivos. Por lo demás, se trata de un típico romance de<br />

ciego que cumple con gran parte de las complejas características que suelen<br />

atribuirse a este género etnopoético: a) anonimia; b) presencia de una voz autorial<br />

en 1 a persona (vv. 1-3: «Deme… | una pluma… | para escribir» – v. 6: «enmudezco»)<br />

que se confunde con el cantor-recitador modélico, generalmente un ciego; c)<br />

constante interacción entre oralidad / escritura en todas las fases de invenciónrecitado-circulación;<br />

3 d) amplio abanico de oyentes-espectadores, iletrados o no,<br />

que asisten – e intervienen de alguna forma – a una manifestación pública de<br />

aurilectura (P. M. Cátedra) de una pieza literaria ‘popularizante’… 4 Y, desde luego,<br />

la presencia de filones temáticos bien reconocibles, que en los ss. XVIII-XIX explotan<br />

al máximo los elementos melodramáticos y truculentos, con noticias de catástrofes<br />

y crímenes comunicados desde el pathos de la desmesura, 5 un tanto atenuados en<br />

este prototípico martirio del cautivo sardo.<br />

3 El impresor resulta ser protagonista singular: en ocasiones por su estrecha relación y<br />

complicidad con los poetas ‘para ciegos’ (Julio CARO BAROJA, Ensayo sobre la Literatura de<br />

Cordel, [1 a ed.: Madrid, <strong>Revista</strong> de Occidente, 1969], Madrid, Istmo, 1990, pp. 79-80, nota<br />

49: «Entre 1790 y 1814 floreció en Valencia un poeta “para ciegos”, que se llamaba<br />

Bautista Escorigüela, que era, a la par, regente de la imprenta de Laborda Rafael Gayano»)<br />

o con los ciegos mismos (véase Pedro M. CÁTEDRA, Invención, difusión y recepción de la<br />

literatura popular impresa (siglo XVI), Mérida, Editora Regional de Extremadura, 2002);<br />

pero también por su papel central en la constitución iconográfico-textual de estas piezas,<br />

reutilizando sin cesar viejos tacos xilográficos para encabezarlas (hasta el punto que alguna<br />

muestra manuscrita, como en el caso del Nuevo romance del judío mesonero de Cerdeña<br />

– cfr. supra –, incluye estos grabaditos pegados).<br />

4 J. CARO BAROJA, Ensayo cit., p. 521: «La “literatura de cordel” es una literatura más bien<br />

“popularizada” que de origen estrictamente “popular”, o si se quiere, folklórico. Su transmisor<br />

principal, el ciego, puede ser poeta a veces. Otras no es más que “actor” mínimo y vendedor<br />

de obra ajena. A fines del siglo XIX comerciaba con textos de origen medieval y renacentista,<br />

con restos del teatro clásico, con obras de ciegos de los siglos XVII y XVIII, con composiciones<br />

de autores, más o menos conocidos, de mediados del XIX y con obras suyas o de algún<br />

compañero de profesión y de infortunio».<br />

5 J. CARO BAROJA, Ensayo cit., p. 36; Mª Cruz GARCÍA DE ENTERRÍA, «Literatura tradicional y<br />

subliteratura. Romancero oral y romancero de pliego», en Etnología y Folklore en Castilla<br />

y León, Salamanca, Junta de Castilla y León, 1986, p. 213.


ROMANCE DEL CAUTIVO ANTONIO DE SALAFRANCA, NATURAL DE CERDEÑA<br />

Como un eco lejano, el texto reactualiza en parte elementos de un texto tan<br />

sugestivo como la anónima novelita morisca Historia del Abencerraje y de la<br />

hermosa Jarifa, de mediados del s. XVI, de la que parece servirse al menos como<br />

inspiración para algunas referencias onomásticas: Jarifa-Garifa, Abindarráez-<br />

Bindarraga (Vindaraja en el Romancero de Lucas Rodríguez); o, más bien, del<br />

ciclo de romances moriscos que desarrollan este tema en los siglos posteriores,<br />

caracterizando por ejemplo a la protagonista por sus celos (en nuestro romance<br />

tardío por su ímpetu amoroso). 6<br />

Entre Cerdeña y las costas norteafricanas, en aquella «nueva frontera<br />

humana» 7 que durante toda la Edad moderna – y aun más tarde – representó<br />

para los países europeos este espacio del Mediterráneo (repleto, como en el<br />

caso del Nuevo Mundo, de viajeros, tránsfugas, renegados y cautivos), se<br />

ambienta, pues, este romance que a continuación reproduzco. 8<br />

6 La Historia del Abencerraje emerge constantemente entre los principales autores clásicos<br />

españoles (intercalada por el impresor F. Fernández de Córdoba en una edición de 1562 de<br />

la Diana de Jorge de Montemayor, o aludida en la obra cervantina – Quijote, I, cap. V – y<br />

representada por Lope de Vega, El remedio en la desdicha) y diversos adaptadores la<br />

difunden en otras literaturas europeas (F. Balbi de Correggio, Celio Malespini, Anton G.<br />

Brignole, a la italiana; pero incluso Chateaubriand a la francesa). Cfr. F. LÓPEZ ESTRADA (ed.),<br />

El Abencerraje y la hermosa Jarifa, Salamanca, Anaya, 1971, pp. 7-19; y del mismo (ed.),<br />

Romancero del abencerraje y la hermosa Jarifa, Salamanca, Anaya, 1965, pp. 5-27.<br />

7 Véase M.A. de BUNES IBARRA, «La creación de una nueva frontera humana», en Renegados,<br />

viajeros y tránsfugas. Comportamientos heterodoxos y de frontera en el siglo XVI, Madrid,<br />

Fugaz Edics., 2000, pp. 11-20.<br />

8 Modernizo tan sólo la puntuación, el uso de mayúsculas y la acentuación; por lo demás, se<br />

transcribe fielmente el texto con sus vacilaciones ortográficas, bastante reducidas por otra<br />

parte respecto a pocas décadas anteriores (desaparecidas ya las abreviaciones más comunes,<br />

tildes nasales, alternancias u / v o grafemas como la S alta); entre corchetes se indica el<br />

cambio de foliación y de columna, ej.: | [1v(b)] .<br />

27


28<br />

Núm. 112<br />

Gabriel Andrés<br />

ANTONIO DE SALAFRANCA. | ROMANCE EN QUE SE DA CUENTA Y<br />

DECLARA EL | rigoroso martirio que han executado en la Ciudad de Tunez, con<br />

| un Cristiano Cautivo, llamado Antonio de Salafranca, natural | de Cerdeña, que<br />

por no haberse querido casar con la hija | Turco [sic], y defender nuestra santa<br />

Fé Católica, mandó su | amo que muriese atenaceado y quemado. |<br />

Deme el Gavilán lijero<br />

una pluma de sus alas,<br />

para escribir la sentencia<br />

que en Túnez fue executada<br />

5 con un humilde cristiano<br />

(que enmudezco al explicarla)<br />

por guardar la lealtad<br />

de su amo y de su casa.<br />

Nació el cristiano en Cerdeña,<br />

10 según la historia declara,<br />

y habrá tres años cabales,<br />

por cuenta bien ajustada,<br />

salió con tres pescadores<br />

la víspera de Santa Ana | [1r(b)]<br />

15 tendiendo redes y anzuelos,<br />

surcando del mar las aguas.<br />

Salieron sobre la noche<br />

y al romper el alva clara,<br />

quando el sol dorado tiende<br />

20 sus rayos por las campañas,<br />

descubrieron un navío,<br />

que viento en popa llevaba,<br />

de corsarios berberiscos;<br />

buscan de cristianos caza.<br />

25 Los del barquillo, que vieron<br />

que hacia ellos se acercaban,<br />

se pusieron en huida<br />

y a su tierra caminaban, | [1v(a)]<br />

por ver si pueden librarse<br />

30 de aquella perra canalla,<br />

para encubrirse en el monte<br />

y espesurada montaña.<br />

Fue en valde su diligencia,<br />

porque el navío llegaba


ROMANCE DEL CAUTIVO ANTONIO DE SALAFRANCA, NATURAL DE CERDEÑA<br />

35 y antes de saltar en tierra<br />

los prenden y maniatan.<br />

Los pasaron al navío<br />

con gran gozo y algazara;<br />

tomó la vuelta de Túnez<br />

40 y en tierra los desembarcan;<br />

dispusieron el venderlos<br />

los quatro en pública plaza.<br />

Dio cien ducados por uno<br />

un turco de grande fama,<br />

45 que es muy rico y poderoso,<br />

de grande linage y casa;<br />

éste tiene seis esclavos<br />

que le sirven y acompañan.<br />

Consigo se lo llevó<br />

50 y a los otros les mandaba<br />

que le enseñasen la lengua<br />

y el estilo de su casa.<br />

Preguntóle el turco al mozo:<br />

«Cristiano, ¿cómo te llamas?»<br />

55 Luego al punto respondió:<br />

«Antonio de Salafranca».<br />

Es muy afable y discreto,<br />

de lindo donaire y gracia,<br />

y puntual en hacer<br />

60 todo quanto se le manda.<br />

Tañe un harpa, una vihuela<br />

y canta con mucha gracia,<br />

y hasta los turcos envidian<br />

el garvo con que danzaba.<br />

65 Sabe escribir y contar,<br />

para todo tiene gracia, | [1v(b)]<br />

y en breve tiempo aprendió<br />

a escribir en lengua arábiga.<br />

Muy contento quedó el turco<br />

70 del esclavo y le amaba<br />

tanto que luego lo hizo<br />

mayordomo de su casa,<br />

29<br />

dándole poder y firma<br />

que la hacienda gobernara,<br />

75 para cobrar las pensiones<br />

y firmar de pago cartas.<br />

Con todos está bien quisto,<br />

con esclavos y criadas,<br />

procurando de dar gusto<br />

80 a quantos hay en la casa.<br />

Pero la fortuna adversa,<br />

que todo lo atropellaba,<br />

dispuso que el turco tenga<br />

una hija hermosa en casa,<br />

85 la qual se llama Garifa,<br />

tan bella como bizarra<br />

quanto el pincel pintar pudo<br />

la hermosura de su cara.<br />

Muchos turcos la pretenden<br />

90 por ver su donayre y gracia,<br />

por su linage y hacienda,<br />

que es de todo mayorazga.<br />

Su padre le dixo un día:<br />

«Garifa, ya eres casada,<br />

95 si es tu gusto como el mío,<br />

con el turco Bindarraga».<br />

Su hija le respondió:<br />

«No pretendo ser casada<br />

hasta tener más edad,<br />

100 porque soy muy muchacha».<br />

Garifa tenía puesta<br />

su atención en Salafranca,<br />

por quien penaba y moría<br />

siendo esclavo de su casa. | [2r(a)]<br />

105 Muchos días con cariño<br />

su chocolate le alarga,<br />

y también para que almuerce<br />

unas costillas le daba.<br />

Mucho se admira el cristiano<br />

110 los favores que alcanzaba


30 Gabriel Andrés<br />

de Garifa, sin saber<br />

la intención que ella llevaba.<br />

Muchas noches a su quarto<br />

por escucharlo baxaba,<br />

115 que el encanto de su voz<br />

a Garifa enamoraba.<br />

Tanto que baxó una noche<br />

del cristiano tan pagada,<br />

diciendo: «Antonio querido,<br />

120 contigo he de ser casada».<br />

El mozo le respondió:<br />

«Yo soy casado en España<br />

y mi ley no lo permite<br />

que dos veces me casara».<br />

125 Salióse de allí Garifa<br />

muy triste y desconsolada,<br />

y fue a su quarto afligida<br />

llorando por Salafranca;<br />

tanto que otra vez baxó<br />

130 al quarto de Salafranca;<br />

le dice: «Resuelta vengo,<br />

para dormir en tu cama».<br />

Antonio la reportó<br />

diciéndola estas palabras:<br />

135 «Mira, Garifa, que soy<br />

pobre esclavo de tu casa;<br />

tú eres rica y poderosa<br />

y de muchos estimada,<br />

y demás de todo esto<br />

140 tengo muger en España».<br />

Por consolarla la dixo:<br />

«Yo te empeño mi palabra, | [2r(b)]<br />

Garifa, luego escribir<br />

para Cerdeña una carta,<br />

145 para saber de mi esposa<br />

si es viva o está enterrada;<br />

con lo que hubiese de nuevo<br />

te entregaré a ti la carta».<br />

Salióse de allí Garifa,<br />

150 ya con esto consolada,<br />

y se fue para su cuarto<br />

y en su cama se acostaba.<br />

Mucho desea Garifa<br />

tener la carta que aguarda<br />

155 de Cerdeña, por saber<br />

si éste la lleva engañada,<br />

y viendo que no venía<br />

a su quarto lo llamaba,<br />

diciendo: «¡Que sea yo<br />

160 de un esclavo despreciada,<br />

donde tantos caballeros<br />

de grande valor y fama,<br />

que por mí andan perdidos<br />

y a todos los despreciaba<br />

165 por un cristiano abatido,<br />

de mala secta y prosapia,<br />

bastara baxarme yo,<br />

con mi secta remontada,<br />

a querer casar contigo<br />

170 para no ser despreciada<br />

de un esclavo de mi padre<br />

y afrentar linage y casa!»<br />

Hecha un fiero basilisco<br />

con tal rigor arrojaba<br />

175 centellas ardiendo en fuego<br />

y rayos en vivas llamas.<br />

A el cristiano se arrojó,<br />

diciendo con ira y saña:<br />

«Si no haces lo que te digo<br />

180 tomaré de ti venganza». | [2v(a)]<br />

«Más quiero morir – le dice<br />

el mozo con arrogancia –<br />

que no ofender a mi Dios<br />

ni ultrajar tu noble casa».<br />

185 Esto oyó y se arrojó al suelo<br />

con el esclavo abrazada,


ROMANCE DEL CAUTIVO ANTONIO DE SALAFRANCA, NATURAL DE CERDEÑA<br />

diciendo: «Padre querido,<br />

este cristiano me agravia».<br />

Acudió el padre a las voces,<br />

190 vio que su hija bregaba<br />

con el esclavo y le coge<br />

y a dos cadenas lo amarra.<br />

El triste esclavo decía:<br />

«Vuestra hija es la malvada,<br />

195 que me llamó con engaños<br />

y conmigo se abrazaba,<br />

que ha intentado muchas veces<br />

que con ella me acostara;<br />

porque no quise ofenderte<br />

200 usó conmigo esta infamia».<br />

Pero como la razón<br />

con la justicia no iguala,<br />

le dieron cruel castigo<br />

y a la cárcel lo llevaban.<br />

205 Lo sentenciaron a muerte,<br />

desnudo en pública plaza,<br />

atado de pies y manos,<br />

su carne atenaceada.<br />

Trageron un gran brasero<br />

210 de lumbre, con dos tenazas | [2v(b)]<br />

hechas un asqua de fuego,<br />

sus carnes atormentaban;<br />

y con gran fervor decía<br />

estas siguientes palabras:<br />

215 «Señor mío Jesucristo,<br />

pues tomaste carne humana<br />

en el vientre de María<br />

para redimir las almas,<br />

pasando tantos oprobios,<br />

220 de Malco la bofetada,<br />

de Pilatos la sentencia,<br />

de Longinos la lanzada,<br />

de los sayones añotes<br />

y una soga a la garganta,<br />

225 una corona de espinas,<br />

por real cetro una caña,<br />

clavado de pies y manos<br />

sobre una cruz las espaldas,<br />

no permitáis, gran Señor,<br />

230 se dexe vencer mi alma<br />

de aquel perverso enemigo,<br />

ni que pierda la esperanza».<br />

Y al decir «Señor, pequé»,<br />

quedó su cuerpo sin alma,<br />

235 y a cinco del mes de enero<br />

a Cristo entregó su alma.<br />

Roguemos todos a Dios<br />

nos dé su divina gracia<br />

y en los cielos nos veamos<br />

240 con los santos en compaña.<br />

[Colofón:] Con licencia: En Córdoba, en la Imprenta de Don Rafael Garcia | Rodriguez,<br />

Calle de la Librería. |<br />

31


32 August Bover i Font<br />

B


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

Angelo Carboni<br />

It’est sa poesia oe? E ite logu si podet dissignare a sa poesia sarda? Un’anzilla de<br />

sa literadura chi ‘enit giamada a narrer sa sua in calchi convegno pro pagos e in<br />

maigantos premios chi lassan solu calchi trata in sos giornales, innantis chi falet<br />

s’olvidu. Epuru amus un’istoria literaria bundanziosa e sa poesia sarda de oe<br />

podet istare a costazu a maiganta poesia ‘manna’. Forsi, sa presse de su mundu ‘e<br />

como, at fatu a mediu chi esseret posta a banda e acuvada dae ateros generes<br />

literarios; un’ispescie de ‘itellu pianghe poddas. Ma sa paraula, chi at sempre<br />

sinnadu su caminu de s’omine, restat su solu mediu pro dare ‘oghe a sentidos,<br />

pispinzos, amarguras, anneos, disaogos e isperas. «Bois faeddades cando azis<br />

perdidu sa paghe chin sos bostros pessamentos... ca su pessamentu est un’ae<br />

lezera chi, in una presone ‘e paraulas, podet ispargher sas alas ma no podet bolare»,<br />

narat su poeta libanesu Kalhil Gibran. Duncas su pessamentu isciau de sa paraula.<br />

No est indebadas chi s’omine at dae prinzipiu chircadu de si pesare in bolu dae su<br />

labirinto de su pessamentu. E sas primas paraulas sun istadas paraulas de poesia.<br />

No bi cheret fantasia meda pro torrare a Gilgamesh, a su Cantigu ‘e sos Cantigos...<br />

In Sardigna puru sos primos esempios de literadura sun in poesia, signale chi<br />

dae tando, e dae sempre, fit sa fromma pius ladina pro che poder bessire dae sa<br />

gabbia de sa paraula pensada. No si cheret fagher fagher unu tratadu subra ‘e sa<br />

poesia né pius pagu sa cronistoria de sa literadura sarda, ma solu mustrare comente<br />

custa fromma siat andada perdende importanzia, fina in Sardigna, dae cando fit su<br />

solu mediu pro narrer sa vida e sas isperas de sa zente. Sa poesia at perdidu sa trata<br />

populare de innantis e sos mannos an lassadu una eredidade a pagos. No ischimus,<br />

o faghimus finta de no cumprender, leados comente semus dae sas lusingas de su<br />

mundu globalizadu, cantu custu patrimoniu leterariu nos podet ‘alu issinzare.<br />

Chin Giuan Maria Demela Pesuciu naschet sa poesia sarda. Meda an iscritu<br />

subra de a isse e divescias sun sas notiscias isbagliadas chi si poden agatare in<br />

sas biografias suas. Su numen, sa naschida e sa morte no sun sempre dignos de<br />

fide. S’istoricu tataresu Pascale ‘e Tola 1 est su primu chi nd’at iscritu; su canonigu<br />

Ispanu de Piaghe prubbicheit una incunza de sas menzus poesias. Su peideru<br />

1 Pasquale TOLA, Dizionario degli uomini illustri di Sardegna. Torino, 1837-1838.<br />

33<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 33-47


34<br />

Angelo Carboni<br />

bonesu Domenichinu Ena 2 est su primu chi averigueit chin coidadu sos Quinque<br />

Libri de sa cheja de Santu Jagu de ‘Antina; isse pro primu cominzeit a si ponner<br />

calchi duda subra su veru numen de su poeta. Salvadore ‘e Tola, 3 in sa<br />

prubbicascione pius cumpleta mai fata subra su peideru ‘antinesu, leat pro ‘onas<br />

zertas ifrommasciones de don Ena, ma ponet fatu a sos primos biografos pro su<br />

numen e sa data ‘e naschida. Custu at sighidu a cufrimmare isbaglios antigos chi<br />

sun restados in s’istoria de sa poesia sarda.<br />

Su numen de su poeta no est né Pedru Pisurzi, né su 1724 est s’annu ‘e<br />

naschida de su nostru, comente amus a bider luego.<br />

Cuss’annu nascheit Pedru Maria, 4 su minore de sos frades de Mela Pesuciu,<br />

ma no est su poeta. Pisurzi, Pisurci, no sun ateru che una falta manna, naschida,<br />

in su 1800, dae sa moda de italianizare sos sambenados sardos. In sos registros<br />

de ‘Antina agatamus solu sas frommas Pisuciu, Pesuchu, chin grafia ispagnola<br />

ma nadu ‘Pisuciu’ e ‘Pesuciu’. Istoria e misteriu de custu numen cominzan, in sa<br />

segunda meidade de su ‘600, in Patada cando, in sos liberos de cheja, agatamus<br />

s’improveru Pesuciu, assoziadu a su sambenadu de Mela.<br />

In su 1703 afidein su babbu e sa mama de su poeta, 5 dae su Liber<br />

Matrimoniorum nd’essit a pizu chi su babbu de su peideru poeta fit patadesu;<br />

eacò ispiegada s’origine de su numen.<br />

Sighende a averiguare in sos registros de sos batijimos, nd’est bessidu a<br />

pizu chi Salvadore Mela e Maria Era apein 8 fizos: sa prima nascheit in su 1704,<br />

registrada solu comente «figia de Salvadore Pisuzu de Mela e de Maria Era»; su<br />

segundu fizu, Joannes Maria, est su poeta famadu chi nascheit in su 1707. 6<br />

Un’atera sorre, Madalena, est naschida in su 1710; in su 1712 nascheit Juan<br />

Gavinu, in su 1715 Juan Thomas; in su 1718 nascheit Pasqua Sanctora, in su<br />

2 Domenichinu ENA, Sardu so. Tipografia Gallizzi, Tatari, mese de triulas de su 1984.<br />

3 Pietro PISURZI, Cantones, a cura de Salvadore Tola. Edizioni della Torre, Cagliari, 1990.<br />

4 Registru de sos batijimos de ‘Antina, annos 1685-1765: «Die de septembre su annu 1724<br />

Bantina. Per me Juan Maria de Ledda cura est istadu batigiadu unu figiu de Salvatore Pisuciu<br />

de Mela e de Maria Era Cubeddu coniuges quale tenet a nomen Pedru Maria P. P. Nigola Era<br />

et Graxia Sogia de Aquenza de sa presente villa. Juan Maria de Ledda cura».<br />

5 Registru de sos afidos dae s’annu 1670 a su 1777: «A 25 de novembre de 1703. Per me Juan<br />

Andria Spanu cura si es dadu su verbu de presente in sa ecclesia de S.tu Giagu a sas personas<br />

de Salvadore Mela Beciu de sa villa de Pattada et a Maria Era de Jana Testes presentes<br />

Antoni Cubeddu et Antoni Era. Idem Ispanu». Est ladinu chi Beciu podet esser su sambenadu<br />

de sa mama, in custa registrazione no an impitadu s’improveru.<br />

6 Registru de sos batijimos de sa cheja de Bantina dae s’annu 1685 a su 1777: «A 25 de<br />

freargiu de 1707. Per me Juan Andria Ispanu est istadu baptizadu unu figiu de Salvadore Mela<br />

Pisuciu et de Maria Era. Nomen eius Joannes Maria. Pro patrini Juan Paulu de Monte et<br />

Julia Melone. Idem Ispanu».


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

1721 Pasca e in su 1724 su già mentovadu Pedru chi at procuradu tantu triulu e<br />

meda an cunfusu chin su poeta.<br />

In totu custos atos, impare a su numen de Salvadore Mela, cumparin sos<br />

improveros de Pisuzu, Pisuciu e Pesuchu. Sa familia de su poeta fit povera meda,<br />

comente resultat in sas registrasciones de sas mortes de sa mama, de su babbu<br />

e de ateros parentes custrintos de su poeta. B’est iscritu: «No at fatu testamentu<br />

pro esser poveru». Sa mama morzeit in su 1725, mentres su babbu in su 1733.<br />

No resultat veridade chi su poeta lêit sos ordines presbiteriales in su 1758,<br />

comente naran meda biografos, ca cando morzeit su babbu, su poeta aiat 26<br />

annos e fit già peideru, tant’est chi sa nota de sa morte benit frimmada dae a isse<br />

e l’acumpanzeit a s’interru. 7<br />

Giuan Maria de Mela Pesuciu narat missa in su 1732 in su mese de maju.<br />

Difatis in su Liber Matrimoniorum de su 1733 resultat chi «Juan Maria Pesuchu<br />

cura», in su mese de giannalzu afideit duos paesanos suos. B’at ateras<br />

registrasciones de batijimos, afidos e mortes iscritas dae a isse in s’annu 1733 e<br />

si frimmat sempre Juan Maria Pesuchu; duncas creimus de ch’aer bogadu ‘onzi<br />

duda subra sa vera identidade de su poeta chi podiat solu esser Giuan Maria de<br />

Mela Pesuciu e no su frade Pedru; Pisurci o Pisurzi no sun ateru che numenes<br />

inventados dae calchi biografu, chena cabu ne coa.<br />

Dae su 1733 no cumparit pius in sos liberos de cheja, signale chi fit istadu<br />

imbiadu a calch’atera ‘idda comente curadu ‘e sas aminas, dae su piscamu de<br />

s’Alighera, diocesi a ue tando apartenian Patada e Bantina. B’est chie narat<br />

ch’isteit tantos annos viceparrocu in Tissi, ma sa notiscia no at cufrimma peruna.<br />

Dae cando, in su 1751, torrat a Bantina, 8 in cussos annos sos registros fin<br />

iscritos in ispagnolu, si frimmat sempre Juan Maria Demela, no impitat pius<br />

Pesuchu, forsis ca in sos annos atesu dae ‘Antina aiat devidu impitare su veru<br />

numen, chena improveru perunu.<br />

Interessante a custu riguardu est una nota ‘e morte, inue cumparet Juan<br />

Maria Pesuchu cando si faeddat de su testamentu, mentres chi a fine<br />

registrascione b’est sa frimma de Juan Maria Demela cura. Custu paret proare<br />

cantu su numen Pesuchu beniat impitadu informalmente dae sos Bantinesos e<br />

dae a isse, mentres chi su veru numen cumparet in sas notas de sos divescios<br />

sacramentos.<br />

7 «Die 24 de 7bre de su annu 1733. Bantina. Atesto heo baxu iscritu cura qui su subradictu die<br />

ad passadu dae custa ad megius vida sa persona de Salvadore Pesuchu, ad recidu su sacramentu<br />

de sa extrema uncion et no ad fatu testamentu pro esser poveru. Juan Maria Pesuchu cura».<br />

8 Su fatu est testimoniadu dae registrasciones fatas dae a isse in sos liberos mentovados.<br />

35


36<br />

Dae su 1751 restat pro sempre in Bantina, innantis comente vicariu, poi<br />

ajuende sos ateros peideros, sos bantinesos Juan Maria de Ledda e Thomas<br />

Falchi, s’utieresu Juan Solinas e Joseph Muredda de Orotelli in sas funziones<br />

religiosas e, comente narat su connotu, istraviendesi chin sa ‘inzighedda e ortu<br />

a costazu a domo sua.<br />

Ateras notiscias sun cussas pagas chi si poden agatare in sos ammentos de<br />

sos bezos e calchi ifrommascione chi si nde podet bogare a pizu dae sas<br />

cantones. In «Tremende nde so che canna», sas paraulas de su procuradore ‘e<br />

corte lu descrien guasi comente unu chi, francu de ‘Antina, pagu connoschiat<br />

de sa vida; mentres chi mustrat, in cussa e ateras cantones, de connoscher meda<br />

de cussos tempos e no solu ca fit omine ‘e cheja.<br />

Ponet una cantone in cadduresu e, comente guasi totu in cussos tempos,<br />

connoschiat de bestiamine, caddos e de caza. Mustrat de connoscher ‘onzi cuzolu<br />

de s’animu ‘e sa zente, sos disizos, penas e isetos. In sa mantessi cantone agatamus<br />

cufrimma de sa connoschenzia e amistade chin su cancellieri ‘e corte don Gavinu<br />

Cocco, cando, nachi, su magistradu e poeta utieresu si lu cheriat gigher a Casteddu<br />

pro tribagliare chin isse. Dae comente faeddan in custa poesia, poeta e magistradu<br />

paren fitianos meda. Est capaze meda chi s’amore pro sa poesia los sigheit a<br />

aunire. Podet esser puru chi si sian connotos chin s’ateru poeta utieresu, su padre<br />

Mateu Madau, amigu e connoschente de Gavinu Cocco.<br />

Sa memoria e sa tradizione naran puru chi b’aiat tratamentu ‘onu meda tra su<br />

oramai ‘ezu peideru de ‘Antina ei s’astru lughente nou de sa poesia sarda, su<br />

patadesu Padre Luca Cubeddu. Chi Pesuciu e Padre Luca sian istados amigos<br />

paret beru, prima ‘e totu ca ‘Antina e Patada sun sa mantessi cosa, poi ca Padre<br />

Luca, dae criadura, fit amantiosu de poesia e no podiat no connoschere su poeta<br />

‘antinesu, fina ca cando Pesuciu morzeit, Padre Luca aiat guasi 40 annos e, in finis,<br />

ca in zerta poesia de su patadesu su depidu chin G. M. Demela est ladinu meda.<br />

In Patada e in Bantina meda sun sas improvisadas e bessidas chi ‘alu<br />

s’ammentan de sos poetas antigos, difizile oe de narrer chin prezisione de chie<br />

sun. S’episodiu de su poeta chi fit selvende unu gargaju chi, poi de s’aer bogadu<br />

sas iscarpas, pigheit a unu fundu ‘e figu pro si nde manigare e pienare unu<br />

pischeddu, e isteit obrigadu dae su poeta a recuire isculzu, meda naran chi fit de<br />

Padre Luca, ateros de Pesuciu. Cando sa mama de su piseddu andeit pro li torrare<br />

sos botes, l’improvereit de esser istadu «culzu e isfidiadu», su poeta rispondeit:<br />

Proite mi tratas de culzu<br />

e chi so istadu isfidiadu,<br />

si pius culzu est istadu<br />

su chi est recuidu isculzu.<br />

Angelo Carboni


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

Si narat puru chi s’otava torrada de Pesuciu:<br />

A bezu mi so fatu cazadore,<br />

su chi mai pensao e mi creia<br />

de m’enner sa fera fin’a pes.<br />

Deri sero nd’abbojei tres<br />

andende a bier a una funtana,<br />

duas mannas e una mediana,<br />

e pro sa pedde mi dei a sa minore.<br />

A bezu mi so fatu cazadore.<br />

isteit nada cando, passizende chin Padre Luca, s’anzianu peideru rispondeit a<br />

tres bajanas chi los fin ciaschende.<br />

Sos bezos ammentan chi una ‘ia, cando fit in chertu chin una ‘e sas sorres,<br />

naraian pro unu terrinu e, chin meraviza manna, lu ‘idein chin issa a gropa ‘e su<br />

caddu, andende a Nughedu pro aconzare sa briga, isse lis neit:<br />

Chertare che reales e istare che frades.<br />

S’ischit dae su Liber Status Animarum 9 chi in su 1777, cando su poeta aiat 70<br />

annos, istaiat impare a su nebode, peideru Thomas Falchi, fizu ‘e sa sorre<br />

Madalena, chi fit vicariu parrochiale de sa cheja ‘e Santu Jagu. Chin issos istaian<br />

puru sa sorre Madalena chin su maridu Franziscu Falchi, Giuanne Maria de<br />

Mela, fizu de Gavinu Pesuciu, frade de su poeta, Salvadore Picu e su frade de<br />

Thomas Falchi, Pedru chin sa muzere Bustiana Beciu de Patada. Un’istadu ‘e<br />

familia unu pagu triuladu...<br />

Fina a custos annos, in sos Quinque Libri de sa parrochia de Santu Jagu,<br />

sun deghinas e deghinas sas registrasciones fatas e frimmadas, como in sardu e<br />

latinu, posca in ispagnolu, dae su peideru e poeta ‘antinesu.<br />

Giuan Maria Demela Pesuciu morzeit pagu innantis de giomper sos<br />

nonant’annos, s’ultima die de s’annu 1796, e isteit interradu suta s’altare mazore<br />

de sa cheja ‘e Santu Jagu. 10<br />

Sempre in sos registros de cheja b’at notiscia de su testamentu religiosu<br />

de su poeta, chi lassat 100 iscudos pro celebrare duas festas a s’annu a su<br />

Coro ‘e Gesu e de Maria, 34 missas in 34 lunis de s’annu pro sas animas de su<br />

9 Liber Status Animarum de sa cheja de ‘Antina, annos 1777-1806.<br />

10 Liber Mortuorum annos 1777-1806: «Die 31 Decembris 1796. Bantina. Joannes Maria<br />

Demela Pesuciu, sacerdos nonaginta annos natus, mihi confessus et sacramentis ecclesiae<br />

religiose ac pie susceptis obiit in propria domo in comunione Sanctae Mater Ecclesiae,<br />

cuius corpus sepultum est in ecclesia Sancti Jacobi Apostoli intra praesbiterium. In quorum<br />

fidem. Muredda rector».<br />

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38<br />

Angelo Carboni<br />

Purgadoriu e ingarrigat su nebode, su vicariu Thomas Falchi, de fagher de<br />

garante chin sa domo inue innantis istaiat e ue, a su mamentu de su testamentu,<br />

‘alu abitaiat su nebode. In sa domo b’aiat ses aposentos, duos isostres, un’ortu<br />

o una corte serrada chin unu muru, a costazu a sa domo in su ‘ighinadu Su<br />

Furraghe de sa ‘idda de ‘Antina.<br />

Comente amus nadu innantis, su primu chi at faeddadu de Pesuciu est<br />

istadu Pascale ‘e Tola, chi narat chi su poeta ‘antinesu est unu de sos primos<br />

a aer cominzadu una poesia nazionale sarda e agianghet chi pagos che l’an<br />

coladu o acostazadu in ecellenzia poetica. Atesu dae sas regulas canonigas<br />

de sa poesia de tando, sa creatividade agatat ispirascione in su mundu de sa<br />

campagna e dae inie leat immagines e modellos. Lu giamat su poeta de sos<br />

pastores, su Teocrito sardu, chi cantat vida e amores de sos allegros e<br />

trancuiglios omines de campagna. Tola narat puru chi unu ‘e sos bantos pius<br />

mannos de su poeta est sa naturalesa de su faeddu ei sa forza e semplicidade<br />

de sa limba; sighit nende chi impitat unu limbazu divesciu meda dae su ‘e sos<br />

ateros poetas de su tempus, pius aculzu a su ‘e sa zente e pius pagu impastadu<br />

de modas furisteras comente, agianghet, fatein Luca Cubeddu e ateros poetas<br />

«vernacoli». Finit nende chi, chena timoria peruna, podet istare a costazu de<br />

sos menzus poetas istranzos. Faeddat puru de sas cantones pius famadas e<br />

cossizat de fagher un’incunza de sas menzus poesias, chirchende de ponner<br />

ordine e giaresa in sas maigantas versiones ispartas in tota sa Sardigna. 11 Su<br />

primu a ponner fatu a custu cossizu isteit su canonigu piaghesu Giuanne<br />

Ispanu, unu de sos pius mannos connoschidores de s’istoria, archeologia e<br />

literadura sarda chi, a cominzare dae su 1863, prubbicheit una incunza manna<br />

de cantones ineditas in sardu logudoresu. 12 De sas cantones iscritas dae su<br />

poeta ‘antinesu, impare a cussas pius connotas de «S’Abe» e de «S’Anzone»,<br />

su canonigu piaghesu dat a Pisurzi – isse puru ponzende fatu a Pascale Tola<br />

lu giamat Pedru Pisurzi – parizas cantones: «Cando nos semus amados», «Si<br />

naras ch’as un’imbustu», «Tremende nde so che canna», «Poetas, dade a<br />

mie atenzione», «Intro ‘e ‘idda randende», «Ello a chie si no a tie», «Dae su<br />

primu istante», ma faddit dende a unu paesanu sou «Sa Cantone ‘e sa Fide»<br />

e narat chi «A Caza mind’andesi cuddu die» e «Difetos e maliscias de sas<br />

feminas» sun de iscritore disconnotu.<br />

11 P. TOLA, Dizionario degli uomini illustri di Sardegna, mentovadu.<br />

12 Giovanni SPANO, Canzoni popolari inedite in dialetto sardo centrale ossia logudorese,<br />

prubbicadu in chimbe liberos, in divescias tipografias de Cagliari dae su 1863 a su 1872.<br />

S’ultima edizione est cussa de S. Tola, ed. Ilisso, Nuoro, 199<strong>9.</strong>


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

Salvadore Tola bei ponet rimediu, ma in sa regolta sua mancan «Su Puddu»<br />

e «Ahi comente ti miro», chi est sa sighida de «Su Puddu». Fina R. Carta Raspi<br />

iscriet de Pesuciu; 13 dat notiscias biograficas pro su pius faddidas, ma ‘antat<br />

meda sa satira e s’eleganzia de su versu: «Su versu sempre ‘onu, ‘innida<br />

s’ispirascione, lughida sa vena, organica s’istrofa, no si repitit mai, no b’agianghet<br />

mai paraulas de pagu contu e importu, sempre chin una ‘oghe alta, paret su ‘olu<br />

de un’abbila...».<br />

A sa fine de s’800 Pedru Nurra 14 li dedicat parizas paginas; isse puru ‘antat sa<br />

naturalesa de su versu e su siddadu de immagines chi resessin a nde ‘ogare a<br />

pizu sa forza de sa limba comente in pagos ateros mamentos de sa poesia sarda.<br />

Poi de a issos, cantos an iscritu de poesia sarda, 15 an dedicadu paginas<br />

importantes a su poeta ‘antinesu.<br />

Su liberu de Salvadore Tola, pubbricadu in su 1990, analizat totu chin atenzione<br />

e puntualidade mannas, faghet giaresa subra tantos isbaglios de innantis. Torrat<br />

a Pesuciu cantu, francu su numen, li aian leadu. Sa retroga pius intesa est cussa<br />

chi ‘idet su poeta comente su Teocrito sardu e unu de sos primos in Sardigna de<br />

poder esser acostazadu a su movimentu literariu de s’Arcadia. Pagu b’at in<br />

Pesuciu de sos «Idillios bucolicos e urbanos» e «Idillios» de s’iscritore gregu;<br />

sun pienos de riferimentos mitologicos e epicos, mentres chi in su poeta nostru<br />

no b’at signale perunu de antighidades e mitologia. Fina s’Arcadia paret una<br />

forzadura manna.<br />

Sa poesia de Pesuciu at raighinas chi no lu istegian dae su mundu sardu; sas<br />

cantones populares, sa poesia improvvisada, sos gosos chi, a bias, torran in<br />

s’istrutura de zertas cantones suas, paren frommare su background pius ladinu<br />

a sa poesia de Pesuciu. No b’at peruna fromma de contaminatio, fina si aiat fatu<br />

istudios mannos, iscriet e poetat comente cale si siat pastore o massaju sardu.<br />

Connoschiat, comente meda sardos, sas fabulas de Fedro e de Esopo, ma, a<br />

diferenzia de Padre Luca, no agatamus trata peruna né si podet narrer chi lis siat<br />

depidore. Sa vena poetica de Giuan Maria Demela naschet dae sos contos de<br />

foghile, dae sa satira, dae sa ‘oza e disizu de rier e de fagher a rier; est bene<br />

arraighinada in su mundu e soziedade sardos.<br />

13 R. CARTA RASPI, Le più belle poesie / Pietro Pisurzi. Edizioni della Fondazione «Il Nuraghe»,<br />

Cagliari, s.d.<br />

14 P. NURRA, Antologia dialettale dei classici poeti sardi. Edizioni della Torre, Cagliari, 1897.<br />

15 Notas interessantes sun istadas iscritatas in «S’Ischiglia» dae Antoni Sanna e Anzelinu<br />

Dettori, ateras paginas li sun istadas dedicadas dae Manlio Brigaglia e dae Domenichinu<br />

Ena.<br />

39


40<br />

Angelo Carboni<br />

Sas cantones de Pesuciu naschen dae sa vida de onzi die, dae cussu<br />

microcosmo chi est Bantina, e diventan de totu cando giumpan sas lacanas<br />

de sa ‘iddighedda; sun paraulas e poesia sardas ladinas. Sa sua no est solu<br />

poesia de campagna, comente si podet pessare a una prima letura, a daesegus<br />

de ‘onzi pegus, fina pagu cuada, b’est sa zente, chin viscios e ildinos, de sa<br />

‘idda chi, sende peideru e babbu ‘e totu, no podiat mentovare a sa ladina.<br />

Pro cussu faeddat chin allegorias e apologos chi aian, innantis de totu, una<br />

funzione «didattica e morale», ei sas paraulas devian dare a s’intacu, chin<br />

unu limbazu nodidu chi sa zente aeret potidu luego cumprender. Est pro<br />

custu chi sa poesia ‘e Pesuciu est atesu meda dae sas musas d’Elicona, dae<br />

sas Elenas e Lesbias de Padre Luca.<br />

Ma mancu isse si podiat falare solu chin allegorias e contos in suspu, ponet<br />

tando fatu a un’atera semida ‘e poesia, cussa satirica e befajola ei su bersagliu<br />

diventat como cantu podet traviare sa vida de sos parrochianos suos. Comente<br />

at fatu bona parte de sa critica, no bi cheret meda fadiga e fantasia a bider in<br />

«S’Anzone» un’inamorada in s’animale mancadu e isperdisciadu e, in su pastore<br />

in su mancamentu, un’omine inamoradu chi no bidet ater’anzone si no sa sua.<br />

Ma sa cantone si podet leger in maneras divescias; torrat inoghe a conca<br />

cudda idea de sa poesia comente isperiescia «soggettiva», chi permitit de interpretare<br />

paraulas e simbulos chena lacanas, sempre però partende dae su<br />

«correlativo oggettivo», chi est su coro de ‘onzi poesia. Calecunu at bidu in<br />

custa cantone una riscritura de sa parabola evanzelica de s’anzone imberta e de<br />

su bonu pastore chi abandonat s’ama pro andare in chirca de s’anzone. Si torrat<br />

inoghe a sa lutrina, a s’issinzamentu cristianu chi tenet pius contu sas erveghes<br />

chi si perden de cussas chi no an mai dadu unu perché.<br />

Tantas ateras sun sas possibiles interpretasciones; a unu livellu pius altu, sa<br />

cantone podet diventare s’esempiu de una chirca pius manna. S’anzone, chi est<br />

su simbulu pius ladinu e antigu de Gesù Cristu, «Ecce Agnus Dei», in Pesuciu<br />

podet diventare una chirca pius fortunada de cussa medievale de su Santu<br />

Graal, Sambene Reale, ca finit cando s’omine, pustis de aer afrontadu «malesas,<br />

montes, buscos, imbestende de rujadis» totue, resessit a agatare s’anzone,<br />

liberendela dae su lupu, inoghe simbulu de su male, sa dificultade pro poder<br />

arrivire a s’intentu mannu de sa vida ‘e s’omine.<br />

S’allegoria faghet bidere su pastore ei sos amigos comente simbulu de<br />

s’umanidade; buscos, malesas e montes sun sas dificultades de custu mundu<br />

chi s’omine devet giumpare pro arrivire a su Deus-Anzone, ma innantis devet<br />

peleare contra a unu inimigu mannu; su lupu diventat metafora no solu de sos<br />

males de su mundu contadu dae su poeta, ma de sos males chi ‘enin dae fora, su


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

lupu no est unu pegus sardu, edducas inoghe achistat su valore de su male<br />

universale. Un’immagine chei custa si podet agatare in maiganta literadura, ma<br />

paret aculzu meda a «The Lamb» de su poeta inglesu W. Blake; in ambas cantones,<br />

s’anzone paret pintadu chin una forza de simbolica innocenzia:<br />

S’anzone mia est una bianca nida<br />

senz’ateru colore cambiadu;<br />

mesulinedda, e cantos l’ana ‘ida<br />

la tenen pro gerrile o madrigadu,<br />

tota aneddada e lani cumpartida,<br />

pertunta, ‘innida, gighet de brocadu<br />

sa collana in tuju chin ischiglia<br />

bider a issa est una meraviglia!<br />

«Clothing of delight, softest clothing, woolly, bright...». Cantu nd’essit a<br />

pizu est su biancore, su nidore de sa lana, chi incantat, delisciat e chi impare a sa<br />

puresa de sas immagines, luego dan s’idea de cantu pius innozente ma fina<br />

difizile e importante si potat agatare in su mundu. Simbulos, limbazu e immagines<br />

chi an meda in cumone, in Blake s’anzone est sa figura de sa semplicidade de sa<br />

paraula de Gesu Cristu; a su poeta de ‘Antina mancat però sa capazidade profetica<br />

de su preromanticu inglesu.<br />

Si Pesuciu fit naschidu chentu annos poi, sa semplicidade de su faeddu,<br />

aculzu a cussu de sa zente pius umile, s’elementaridade e frecuenzia de immagines<br />

leadas dae su mundu de sa campagna, su briu e richesa simbolica de cantu narat,<br />

l’aian de siguru fatu acostazare pius a su Romanticismo, nessi a cussu inglesu,<br />

chi no a ateros movimentos literarios.<br />

Fina sas ateras cantones-fabulas poden aer divescias interpretasciones e<br />

faeddare a sos coros pius umiles e semplices ma, a su mantessi tempus, mover<br />

fina sos animos pius altos. S’ammonimentu de su ‘inzateri a s’abe de ch’istare<br />

atesu dae su labiolu de sa saba ca, «cant’est dulche in s’oru, est agra in mesu»,<br />

paret ladinu ladinu s’avisu de su pastore de animas a dare cuidadu a sos piagheres<br />

e dulcuras de custu mundu. Connoschende ‘ene cantu su poeta ‘antinesu aiat<br />

iscritu subra e contra a sas feminas, pius de calecunu podet bidere in «S’abe» sa<br />

femina chi, atrata dae sas licanzias de sa vida, «bolat e torrat», no pasat fina «chi<br />

basat», assazat, chi però «s’ifundet, ruet e annegat». Mancu inoghe sa frigura<br />

de su peideru magister che podet restare fora; est su mundu chin totu sas<br />

lusingas e chimeras suas chi traviat sempre s’umanidade, e cando s’omine ponet<br />

fatu a sa vanidade de s’aparenzia, perdet sempre. Fina in custa cantone b’est<br />

s’inimigu de sempre de s’omine, no pius in fromma ‘e lupu, «ahi chi tentadu m’at<br />

su puzinosu!», su diaulu leat inoghe su numen de su male. Si leamus pro ‘onu<br />

41


42<br />

custu interpretu, sonan pius giaras sas paraulas de su cufessore chi avertit «in<br />

cunfidenzia e bona libertade» su pecadore chi, innantis de morrer, racumandat:<br />

«Naralu a cantos istiman sa vida chi aberzan s’oju e servat de iscarmentu».<br />

Sas cantones de «Su puddu» e «Ahi comente ti miro» poden istare a<br />

costazu de sas chi amus luego mentovadu, anzis balanzan pro sa forza satirica<br />

e de su ciascu. Cando b’at comares de su ‘ighinadu per mesu, chescias<br />

e triulos sun de lege.<br />

Su puddu meu azis bidu<br />

comare chi m’est mancadu?<br />

da chi si m’est imbizadu<br />

a domo ‘ostra in ora ‘ona,<br />

no nde so pius padrona,<br />

no nde lu poto isvisciare.<br />

Chena mancu lu fidare<br />

s’est ispresu e m’est fuidu.<br />

Dae cando s’est ispresu<br />

no intenden dezi a mie<br />

tica tica giuilende.<br />

Nadu m’an chi l’an intesu<br />

in domo ‘ostra donzi die,<br />

manzanu e sero cantende.<br />

Continu l’isto chirchende<br />

chi mi ‘ogat dae tinu,<br />

chirchende l’isto continu<br />

e mai l’apo a sa manu.<br />

Nadu m’an chi l’an intesu<br />

in domo ‘ostra donzi die,<br />

cantende sero e manzanu.<br />

Postu m’at su pilu canu<br />

chi mi ‘ogat dae filu,<br />

postu m’at canu su pilu<br />

chi eo nde disispero.<br />

Nadu m’an chi l’an intesu<br />

in domo ‘ostra donzi die,<br />

cantende manzanu e sero.<br />

Cando bei cussidero<br />

giustiscia a Deus dimando,<br />

bei cussidero cando<br />

frastimo a chie l’at criadu.<br />

Angelo Carboni<br />

Est una briga pro unu puddu-maridu apiconiadu e pagu frimmu ‘e sentidos.<br />

Sa lamenta de sa muzere diventat pius forte fina pro su ritmu retrogadu de sa<br />

chescia ‘e sa femina. Ambas custas cantones sun iscritas in degheoto retrogadu,


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

inue su refrain, retroga, servit pro memorizare sa cantone pro chie ascultat e pro<br />

agiangher ateras partes chi ajuan menzus su dolore pro su «puddu arrapadu e<br />

coi tusu dae sa puddighina anzena...». Sas comares de tando fin divescias meda<br />

dae sas de como; b’at sempre logu a totu pro faddire, ma tando b’aiat pius logu<br />

a perdonare, mancari a mala gana, comente faghet a s’assegus sa femina chi però<br />

ammonit su maridu «puddu ‘e carrasegare chi finidos sun sos andiros e dillirios».<br />

Poi de custas cantones chi an sa fromma de fabulas allegoricas, Pesuciu<br />

iscriet ateros tipos de poesia, impitende modas, modos, limbazos e fina faeddos<br />

divescios. In mesu a sas cantones pius connotas b’est sae «Su cabaddareddu»,<br />

chi est sa sola inue su poeta mentovat logos reales, omines chin sos numenes<br />

issoro e faeddat fina de a isse. Est una cantone de befe e inzelzu contra su<br />

runzinu de unu procuradore de corte, ma est su modu pro azantarare su mere,<br />

Antoni Manuele, chi andaiat a esigire sos afoghizos fatu ‘e sas biddas chin unu<br />

caddu ‘ai malandadu, tantu chi su poeta si preguntat: «Lu cabaddu polt’Antoni<br />

o Antoni polta a eddu?».<br />

Sos mannos naraian chi su procuradore fit cadduresu; pro si nde coglionare<br />

e nde fagher zacota, su poeta impitat sa limba sua e cantu nd’essit a campu sun<br />

sas istrofas inter sas pius buglistas e umoristigas de sa poesia sarda. Sa cantone<br />

est chirriada in duas partes, de siguru cominzat chin sa parte in cadduresu, o<br />

nessi custa est sa parte chi sos bezos s’ammentaian intrea e fina sa piseddina<br />

cantaiat in sas garreras; su restu ‘e sa cantone la connoschian in pagos meda.<br />

Legendelas ambas chin cuidadu, bi cheret pagu pro atuare chi sun duas cantones<br />

a banda o, a su nessi, postas in mamentos divescios. Innantis benit sa parte in<br />

cadduresu chi luego diventat famada e cantada in totu sas leadas de su<br />

Montagudu, inue Antoni Manuele fit brivu ‘e passare chena intender befes e<br />

inzelzos de mannos e minores. Solu cando no podiat pius ponner frenu a su<br />

carrasegare de mutos e vituperios chi si pesaiat cando passaiat in mesu ‘e zente,<br />

su procuradore de corte, poi de aer pessadu de si leare soddisfascione de manu<br />

sua, innantis de aer «commissu su delitu», pro no andare «dae litu in litu»,<br />

dezidit de nde fagher protesta formale chin su cancellieri ‘e corte don Gavinu<br />

Cocco, cando custu pigheit a Patada. Dae luego Antoni Manuele cheret ponner<br />

in giaru sas cosas subra ‘e caddos e runzinos cando, apenas postu pé in bidda,<br />

cumandat de li tenner contu su caddu ca «mancari ch’apat caddu in Patada no<br />

nde tes bider sa fumada». S’abboju de sa parte ofesa chin su befadore e chin su<br />

cancellieri dat a Pesuciu sa possibilidade de iscrier un’atera cantone chi no<br />

faghet ateru che agiangher inzelzu a su befadu.<br />

Cantones pius de ‘idda sun cussas de sas festas e de sos ballos. In sa prima<br />

su poeta-peideru-maridu ascultat su testamentu e racumandasciones de una<br />

43


44<br />

Angelo Carboni<br />

femina amantiosa de sas festas chi, innantis de morrer, fit lassende a sa fiza:<br />

«Fiza in mama iscarmenta, no l’iscat cristianu, ne mannu ne minore, si no Deus,<br />

tue e deo e cufessore».<br />

Fina custa cantone est in bona parte ligada a sa missione de su pastore ‘e<br />

animas, est piena de indicasciones morales e de bona cunduta: «A cheja sa die<br />

‘e festa, a ballos calchi ‘olta, però a festas, arda, innanti morta», ma sa parte pius<br />

bella e ironica sun sas disgracias capitadas a sa femina fatu ‘e sas festas. Dae<br />

bonu peideru no podiat allegare a sa ladina de cantu sa femina aiat passadu, ma<br />

legende chin atenzione cantu narat, sas disauras de sa pelegrina sun diai mannas<br />

chi no poden fagher a mediu de tratenner iscampiadas de risu. Pesuciu inoghe<br />

paret cherfat fagher a cumprender chi sa femina, pro bona parte de sa vida, no<br />

apat vividu ateru che pro sas festas e isprajos, guasi ponzende fatu a sos<br />

turronajos patadesos chi no mancaian mai a sas festas de sa leada e, de seguru,<br />

fin presentes a sas sagras mentovadas dae su poeta: Crasta, Tula, Nughedu,<br />

Utieri, Turalva, sa Costera, Mamujada, Alà, Lodé e Biti, Portu Turre, Buddusò,<br />

Osidda e Nule. No podet esser che bai, tropu ladina sa connoschenzia de sas<br />

sagras de sa leada, e tropu nodida sa fama de sos turronajos patadesos fina in su<br />

‘700. Totu paret leadu dae sa vida e disaogos de sa vida ‘e tando; Pesuciu<br />

inoghe mustrat de esser fina omine de mundu, e no comente l’improverat Antoni<br />

Manuele: «Vosté ischit solu de ‘Antina».<br />

In «Sa cantone de sos ballos» resessit a impitare sa mantessi vena ironica e<br />

delicadesa. Sos numenes e improveros sun de una bellesa e importu soziale chi<br />

ispantan; sun pro su pius inventados, francu Bella Cortesa chi agatamus in sos<br />

registros de cheja, su restu: Bruta Munda, Chircadebolla, Compare Giompebei,<br />

Compare Ziddu, Comare Anninnonai, Comare Brigadiera, Comare Bizadolzu,<br />

Comare Bischidasò, Comare Ciaravagliu, Comare Rosonita, Comare né bruta<br />

né neta, Cumpagna Risu Mazoninu, sun numenes-sinnos chi agianghen risu<br />

e befe a sa cantone.<br />

Custas ultimas poesias, ammentan paginas e s’atmosfera ciascajola de su<br />

Decameron e de sos Canterbury Tales.<br />

In «S’imbustu», s’atacu e s’ironia lebia sun contra a sas vanidades e lussos<br />

de sas feminas, chi paren antibizare un’atera cantone antifemminista. Mustrat<br />

de connoschere ‘onzi cuzolu de s’animu feminile e sa descriscione de s’imbustu<br />

e de sos ateros pinzos est unu siddadu pro cale si siat etnografu. Fina cantende<br />

s’amore nd’essit a campu una connoschenzia de sas antas pius cuadas de custu<br />

sentidu, su mamentu de s’inamoramentu: «M’andas e ti moria fatu... coro andat<br />

e coro ‘eniat», ma fina cando totu finit: «Si s’oju nostru fit balla nos colaiamus<br />

che sedatu... tue pro me ses amaronza e deo pro te salamatu».


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

Fina in «Dae su primu istante» si tratat de amore, ma su limbazu est divesciu<br />

meda dae sas ateras cantones; pius ricercadas sas paraulas, artificiales sos<br />

versos chi, pro sa prima ‘ia, acurzian a Pesuciu sa poesia classica: «Bella dea,<br />

idolo meu, graziosa Elena, tue ses su tesoro, mustradi liberale e cumpassiva».<br />

Fina sas sestinas impitadas, chin su terzu versu retrogadu in su cuintu, sun una<br />

novidade in Pesuciu, comente puru lu sun zertas friguras retoricas chei sa<br />

ripetiscione de sa mantessi paraula in prinzipiu de versu. Sas anaforas de sa<br />

cuinta e sesta istrofas paren pius carateristicas anzenas, aculzu meda a sos<br />

modellos de Padre Luca.<br />

In «Viscios e maliscias de sas feminas», sa satira antifemminista tocat unu ‘e<br />

sos puntos pius altos in tota sa poesia sarda. In 46 sestinas no faghet ateru che<br />

azantarare sas feminas, giamendelas chin sos apellativos e modos pius feos chi<br />

li podian bennere a conca.<br />

Fina in ateras cantones, comente in sae «Sas festas» e in «Su puddu», aiat<br />

mustradu custa misoginia ladina, ma inoghe sos versos an una forza satirica e<br />

picante chi lassat atrallarados cantos legen. O aiat suzessu calchi cosa chi aiat<br />

triuladu e bulluzadu, pius de s’animu sou, sa vida de sa ‘idda, o puru iscriet<br />

custa satira comente unu eserciziu istilisticu-poeticu pro dare ite narrer a sas<br />

duas meidades de su mundu.<br />

Fina in «Sa cantone ‘e sa fide», su poeta paret chi apat perdidu cale si siat<br />

ispera de fide, no solu in sas feminas, ma in su mundu intreu, duncas no si podet<br />

tratare solu de fide religiosa. Est un’omine de fide, si narat pro una pessone<br />

atenzionada, unu bonu e sinzeru amigu, mentres chi si narat isfidiadu pro unu<br />

chi no at sentidu perunu. Pro cantu andat sa cantone, su poeta repitit chi no<br />

s’agatat sinzeridade e bonu tratare in sos omines, ne in carrales, muzeres, peideros,<br />

amigos e mussegnores; paret unu noellu Diogene chirchende chin sa lampada<br />

un’omine chi s’esserat potidu giamare tale. Dae bonu omine de cheja no cheret<br />

misciare sa Fide in Deus chin cussa in sos omines chi, propriu comente donzi<br />

criadura, poden sempre faddire.<br />

Cantos divescios sun sos temas e tipos de poesia tratados, ateretantos sun<br />

sos modellos poeticos impitados dae Pesuciu. No s’ischit chin cale ordine de<br />

tempus sas cantones sian istadas iscritas, ma su modellu chi impitat pius, in ses<br />

cantones, est su ‘e s’otava classica o serrada, chi poi est s’istrofa ‘alu impitada<br />

dae sos improvisadores, ch’ at comente ischema ABABABCC, sos versos sun<br />

pro su pius endecasillabos. Modellu chi de siguru ‘enit dae sa tradiscione orale,<br />

Pesuciu puru, comente meda in cussos tempos, cominzat improvisende versos.<br />

Calchi ‘ia impreat puru s’otava torrada, inue s’ischema est guasi chei cussu de<br />

s’otava serrada, francu in sos ultimos duos versos, ABABABAC, s’ultimu versu<br />

45


46<br />

de s’otava torrada rimat chin s’ultimu de sas ateras otavas. Ateras bias usat sa<br />

sestina, cando impitat custu tipu ‘e versu cominzat chin una cuartina comente<br />

pesada, sighida dae sestinas inue s’ischema est sempre ABBAAC, inoghe puru<br />

s’ultimu versu rimat chin s’ultimu de sas ateras istrofas; sos versos sun guasi<br />

sempre otonarios.<br />

In sa «Cantone ‘e sas festas» usat un’istrofa de 9 versos, sa noina, chin sa<br />

rima ABABBABCC, inue su primu, terzu, cuintu, setimu e otavu sun versos<br />

setenarios; su segundu, cuartu e nonu sun endecasillabos.<br />

A Crasta a mesaustu<br />

de sa edade tua cherfesi andare<br />

in coritu e imbustu,<br />

ca ‘unnedda no mi cherfein dare.<br />

No intresi a ballare<br />

ne mi nd’enzeit gustu,<br />

solu pro los mirare<br />

m’acerei a sa janna,<br />

e porto una tocada manna manna!<br />

Angelo Carboni<br />

Una ‘ia, in «Cando nos semus amados», impitat fina s’istrofa ‘e 10 versos, sa<br />

deghina; inie sa pesada est un’otava. Custas deghinas no an ischema fissu de<br />

rima; sos versos sun in otonarios.<br />

In «Tremende nde so che canna», su poeta usat sa rima sighida o arrejonu<br />

andende, unu tipu de poesia chi si prestat meda pro arrejonos in versos. Forsis<br />

solu sos primos 30 versos si poden chirriare dae su restu; divescios iscritores an<br />

partidu custa cantone in pius partes, ca su primu versu «tremende nde so che<br />

canna» rimat chin «satisfascione manna» in su ‘e 30 versos. Su restu de sa<br />

cantone est totu a arrejonu andende, duncas sa poesia no podet esser che una.<br />

B’at solu bator versos iscapos, chena rima: «e isse resistende e cando a pé e<br />

cando a caddu», «becone no t’iscapet proite si t’iscapat mancari».<br />

Podet esser chi a su primu ch’at iscritu custa cantone siat fuidu calchi versu,<br />

o puru chi su poeta los apat postos bai, e custu podet esser cufrimmadu ca<br />

Pesuciu, in custa cantone, alternat guasi sempre otonarios chin endecasillabos<br />

e, fina in custos versos topos luego mentovados, sighit custa metrica.<br />

Totu custu tiat sighire a cufrimmare cantu amus apena atuadu innantis, «Su<br />

cabaddareddu» e «Tremende nde so che canna» sun duas cantones divescias.<br />

Sa prima iscrita chin una cuartina a prinzipiu, sighida dae sestinas, mentres chi<br />

s’atera si distinghet, in agianta a su significadu, fina pro su versu impitadu,<br />

comente amus luego ‘idu.<br />

In finis, su poeta ‘e ‘Antina iscriet tres cantones impitende, est capaze meda,<br />

pro una ‘e sas primas bias in sa literadura sarda, su modellu de su degheoto


GIUAN MARIA DEMELA PESUCIU: SA VIDA E SAS CANTONES<br />

retrogadu. In «Su puddu», «Ahi comente ti miro» e in «S’imbustu» usat istrofas<br />

de 24 versos; totas tres cantones cominzan chin una isterrida divescia, sa prima<br />

chin un’otava, sa segunda chin una sestina ei s’ultima chin una duina. Sighin<br />

meda istrofas chin sos mentovados 24 versos, partidos de custa manera: sos<br />

primos 6 versos chin rima ABCABC, de custa sestina sos ultimos 3 versos sun<br />

sa retroga; poi b’at una cuartina sighida dae sos 3 versos retrogados, un’atera<br />

cuartina, sa retroga e una cuartina finale chi rimat chin sos ultimos versos de sa<br />

pesada. Si che ‘ogamus sas duas retrogas, bi restan 18 versos; pro custa rejone<br />

custu modellu si narat degheoto retrogadu. Pesuciu l’impitat in maneras divescias<br />

pro cantu riguardat sa rima, ma sa longaria de sas istrofas est sempre che pare.<br />

Cantu nadu fin’a como mustrat comente su poeta ‘antinesu siat istadu mannu<br />

impitende modellos poeticos noales e abberzende unu caminu divesciu a cantos<br />

an iscritu pustis de a isse. Solu pro restare in Patada, Padre Luca, Sini Ogana,<br />

Limbudu e maigantos ateros an postu fatu a sa semida prinzipiada dae a isse. Si<br />

si cheret dare unu preziu nou a sa poesia sarda, innantis de passare a sos de<br />

como, una letura atenzionada a sas cantones de Pesuciu est de lege. No si poden<br />

preziare Montale o Alda Merini chena connoscher a Dante. Pesuciu est unu<br />

bonu imbiu pro poder gustare menzus tota sa poesia sarda.<br />

47


48 Joan Armangué i Herrero<br />

B


Introduzione<br />

UN MANOSCRITTO INEDITO DI MATTEO LUIGI SIMON:<br />

«CONSIGLI MORALI ALLE FIGLIE»<br />

Francesca Melis<br />

Arxiu de Tradicions<br />

Un nuovo tassello si aggiunge al catalogo di opere edite e inedite appartenenti<br />

all’algherese Matteo Luigi Simon, uno fra i protagonisti della storia sarda a<br />

cavallo tra Settecento e Ottocento, costretto a vivere da esule gli ultimi anni<br />

della propria vita. Sospettato di giacobinismo, venne collegato ai fatti che<br />

condussero alla cacciata dei Piemontesi dalla Sardegna. Al suo periodo d’esilio<br />

risale la scrittura di un gruppo di lettere in lingua francese e italiana, rivolte alle<br />

figlie, pervenuteci sotto forma di manoscritto.<br />

Dal punto di vista storico-politico, le lettere del Simon vanno inserite nel<br />

quadro più generale di un’Europa in fermento e di una Sardegna che, con tutti<br />

i limiti causati dall’arretratezza culturale e dalla permanenza del feudalesimo,<br />

non poteva cogliere la corrente di rinnovamento che la Rivoluzione Francese<br />

aveva portato in altri territori europei. La scrittura del Simon, arricchita di<br />

particolari dati grazie alla sua posizione sociale, ci forniscono uno spaccato<br />

dell’epoca e un punto di osservazione privilegiato negli usi e costumi della<br />

società nobile del tempo.<br />

Una parte dell’ampia produzione scritta del Simon non è ancora fruibile,<br />

poiché si trova, inedita, nell’archivio privato degli eredi Simon-Guillot.<br />

La nostra edizione<br />

Il nostro lavoro di edizione ha voluto portare alla luce il corpus di lettere inedite<br />

scritte dall’autore alle proprie figlie (mss. 618 e 618 bis).<br />

Il ms. 618 è intitolato «M. L. Simon, Souvenirs à mes enfans. Testamento<br />

spirituale di M. L. Simon, con indicazioni dell’origine della famiglia, accenni<br />

politici, vicissitudini e vita di M. L. Simon», e consta di undici lettere in francese<br />

scritte a Marsiglia negli anni 1814-1815; il ms. 618 bis, che andremo ad analizzare,<br />

è intitolato «Consigli morali alle figlie» ed è composto da due lettere prive di<br />

49<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 49-59


50<br />

data e probabilmente apografe. Le lettere in italiano alle figlie costituiscono gli<br />

ultimi sei fogli volanti collocati in coda al manoscritto francese.<br />

La data di stesura delle lettere è incerta così come il loro trascrittore. L’unico<br />

dato noto è che siano state scritte prima del 1816 (anno della morte di Matteo Luigi)<br />

e trascritte prima del 1906, come si evince da un appunto a margine di un erede<br />

dell’autore nei fogli stessi. La calligrafia potrebbe appartenere a Luisa Eugenia<br />

Simon, unica figlia che sopravvisse all’autore, oppure a uno dei fratelli di suo padre.<br />

Il contenuto delle lettere riporta precetti più generici rispetto a quelle in<br />

francese, e rappresentano delle linee guida sui costumi, la condotta e la religione<br />

per le due giovani ragazze al loro esordio in società.<br />

Il corpus 618 bis ricalca delle usanze già comuni alla società nobile dell’epoca,<br />

alla quale la famiglia Simon apparteneva, e completano l’insieme di informazioni<br />

costituite dai più ampi e dettagliati Souvenirs à mes enfans.<br />

Le caratteristiche dell’epistolario<br />

Francesca Melis<br />

L’epistolario si configura come un ulteriore punto di osservazione per lo studio<br />

di Matteo Luigi Simon, nell’ottica secondo la quale talvolta le azioni pubbliche<br />

si legano e sono motivate dalla vita personale e familiare dell’autore.<br />

Questo canale scelto dal Simon per comunicare con le proprie figlie agisce<br />

tra scrittura e oralità, conservando sia le caratteristiche di confidenzialità proprie<br />

di un discorso di un padre alle sue figlie, che l’indelebilità di un pensiero scritto<br />

su carta e dunque definitivo.<br />

La trascrizione completa e fedele dei manoscritti ha alterato il meno possibile<br />

il testo per salvaguardare le scelte stilistiche dell’autore anche laddove siano<br />

presenti forme attualmente non corrette, e si è limitata alla strettamente necessaria<br />

normalizzazione del manoscritto, col fine ultimo di renderlo fruibile al lettore.<br />

Per la copiatura di queste lettere sono stati utilizzati dei fogli doppi, né<br />

rilegati né cuciti, ma solo ordinati uno dentro l’altro a mo’ di quaderni. Così<br />

come quelle in francese, anche le lettere in italiano sono prive di qualsiasi<br />

numerazione e divisione, fatta salva quella per argomenti: la prima, senza titolo,<br />

può essere considerata introduttiva, la seconda è dedicata alla «Religione», la<br />

terza a «Costumi e condotta».<br />

In ognuna delle lettere sono presenti piccole cancellazioni e refusi, ma la<br />

comparazione con le lettere francesi, scritte di getto, e l’aspetto piuttosto ordinato<br />

della calligrafia fanno pensare ad una traduzione o ad una copiatura da un altro<br />

testo autografo non pervenuto.


UN MANOSCRITTO INEDITO DI MATTEO LUIGI SIMON: «CONSIGLI MORALI ALLE FIGLIE»<br />

Nell’ultima pagina alcune parole sono affiancate alle loro corrispondenti in<br />

lingua francese: ciò indica verosimilmente che il traduttore non era soddisfatto<br />

della propria interpretazione di quei termini, e le teneva da parte per una futura<br />

rielaborazione.<br />

La stessa calligrafia di un’annotazione in matita posta in coda al manoscritto<br />

francese si ritrova a margine della prima lettera in italiano in un appunto: «Di<br />

Don Matteo Simon, mio avo materno. Incompleto. 21 marzo 1906, M. Guillot».<br />

La nota dichiara dunque l’incompletezza del documento già nel 1906: la parte<br />

finale dell’ultimo testo a noi pervenuto rimane sospesa con la frase «Voi<br />

portate…».<br />

TESTO<br />

[Archivio Simon-Guillot di Alghero, ms. 618 bis. Nel margine superiore sinistro, scritto a<br />

matita, si legge: «Di Dn. Matteo Simon, mio avo materno. Incompleto. 21 marzo 1900.<br />

M. Guillot.»]<br />

Aveste, o care figlie, la disgrazia di perdere la vostra madre in un’età nella quale<br />

non sentirete quanto grande sia stata la perdita, e non poteste ancora ricavare<br />

che poco frutto dalle sue istruzioni e dal suo esempio. 1 Ed è pur verosimile che<br />

non avrete più padre quando vi capiterà alle mani questa scrittura. 2<br />

Io non posso pensare senza una grande inquietudine all’abbandono in cui vi<br />

lascierei [sic] se piacesse a Dio disporre di me priaché siate in età di pensare e<br />

d’agire per voi medesime. Conosco purtroppo gli uomini, la lor falsità, la dissipazione,<br />

la freddezza in adempiere i doveri dell’amicizia e dell’umanità; so quanto poi essi si<br />

occupano in soccorrere l’infanzia abbandonata. 3 Voi troverete ben pochi amici<br />

1 Julie Hélène Jarol, moglie di Matteo Luigi e madre di Luisa Eugenia e di Vittorina Simon,<br />

morì alla nascita della terza figlia, anch’essa non sopravvissuta al parto. Molti passaggi<br />

delle lettere del Simon sono finalizzati a conservare per le figlie la memoria materna,<br />

fatta di aneddoti, ricordi e fatti legati alla propria compagna.<br />

2 Verosimilmente la stesura di queste lettere ricade negli ultimi anni di vita del Simon,<br />

scomparso nel 1816.<br />

3 Per lunghi periodi il Simon affidò le due figlie a terzi: in seguito al suo trasferimento a<br />

Parma, la piccola Vittorina fu affidata ad una famiglia di conoscenti a Genova, mentre<br />

Luisa Eugenia visse per molto tempo con la famiglia paterna. In entrambi i casi la<br />

permanenza all’esterno del nucleo familiare causò alle due bambine problemi di salute e<br />

difficoltà comportamentali. Il Simon attribuisce la trascuratezza nell’educazione e<br />

nell’alimentazione delle figlie al poco rispetto portato per la propria persona.<br />

51


52<br />

Francesca Melis<br />

disinteressati a segno di rendervi dei buoni uffizi, vedendovi nella impotenza di<br />

procurare piaceri, di contribuire alla loro fortuna e soddisfare le loro vanità.<br />

Mi sostengono nonostante alcuni pensieri contro riflessioni sì triste: la<br />

confidenza in quella provvidenza che vegliò sino ad ora sopra di voi, le buone<br />

disposizioni che in voi conosco e finalmente la segreta speranza che le virtù di<br />

vostra madre saranno un’eredità che passerà alla sua prole. 4<br />

L’interesse che io pongo nella vostra felicità mi determinò a raccogliere le<br />

mie idee sulla maniera con cui voi dovrete condurvi. Se viverò [sic] ancora<br />

qualch’anno, procurerò di rendervele più profittevoli, accomodandole alla<br />

differenza de’ vostri caratteri e de’ vostri spiriti. Se morrò prima, le riceverete tal<br />

quale vo ad estenderle, come l’ultima prova dell’amore paterno. Io mi lusingo<br />

che, non conservando di me alcun’altra memoria, vi sovverrete almeno della<br />

mia tenerezza, e che questo solo pensiero vi muoverà a seriamente attendere i<br />

consigli che son per lasciarvi. 5<br />

Prefiggo questo da voi con tanto [sic] maggior confidenza che i miei sentimenti<br />

sui punti i più interessanti della condotta e de’ costumi non furono mai diversi da<br />

quelli di vostra madre, della quale io rispettai sempre il gusto e il giudizio.<br />

Voi dovete non pertanto riguardare i consigli che vo a darvi come ancora<br />

imperfetti, per una ragione: vi è nella condotta delle donne un gran numero di<br />

delicatezze che la lingua istessa non saprebbe esprimere e di cui non appartiene<br />

che a una donna il giudicare.<br />

Pure lo scritto ch’io vi lascio avrà un merito presso di voi: intenderete una<br />

volta almeno i veraci sentimenti d’un uomo che non ha interesse veruno per<br />

adularvi o per ingannarvi. Stenderò le mie riflessioni una in seguito all’altra,<br />

senza studiare alcun ordine. Per evitare bensì la confusione, le disporrò sotto<br />

un piccol numero di capi. 6<br />

4 Il Simon elogia in molti passaggi delle lettere francesi le doti morali della moglie, che<br />

spera possano essere ereditate dalle due figlie: «Ebbene sì, mie care figlie, cercate di<br />

imitare vostra madre – di cui io vi faccio il ritratto, ma lo stesso ritratto potrete sentirlo<br />

da chiunque l’abbia conosciuta – e sarete più felici che mai» (la traduzione è nostra);<br />

Archivio Simon-Guillot di Alghero, Matteo Luigi SIMON, Souvenirs en forme de lettres à<br />

mes deux enfans Eugenie e Victorine, écrits aprés la mort de leur mere et en 1814-1815,<br />

fasc. 618, p. 91.<br />

5 Il ms. 618 bis è denominato infatti «Consigli morali alle figlie» e, come vedremo, riporta<br />

precetti morali generici su costumi, condotta e religione. Il punto di riferimento risulta<br />

essere sempre la defunta madre, oggetto di ammirazione da parte del Simon e fonte di<br />

ispirazione per la formazione delle due ragazze, che nonostante la sua assenza possono<br />

attingervi attraverso le lettere del proprio padre.<br />

6 Sono per la verità solo tre (religione, costumi e condotta) gli argomenti che il Simon<br />

tratta nel documento incompleto a noi pervenuto.


UN MANOSCRITTO INEDITO DI MATTEO LUIGI SIMON: «CONSIGLI MORALI ALLE FIGLIE»<br />

Voi scorgerete in un breve trattato che vengo di pubblicare le onorevoli idee<br />

ch’io mi formo intorno alle donne, le quali io considero non come serve soggette<br />

a’ travagli cosmetici, né come schiave de’ nostri piaceri, ma come nostre<br />

compagne ed uguali, destinate a raddolcire i nostri cuori, a pulire i nostri costumi<br />

e, come dice elegantemente Thomson, «ad animare le nostre virtù, ed aiutarci a<br />

sopportare le pene della vita ed a render più viva la nostra felicità».<br />

Non ripeterò qui ciò che dissi intorno a questo soggetto. Osserverò solamente<br />

che dal carattere ch’io do alle donne, e dal posto che a loro assegno nella società,<br />

ne risultano delle regole di condotta particolari al vostro sesso. 7 Sono appunto<br />

queste regole sulle quali mi propongo d’apporvi la mia maniera di pensare, senza<br />

parlare dei generali doveri cui ambi i sessi sono ugualmente tenuti. Finalmente,<br />

ponendovi sotto gli occhi il piano di condotta che credo più proprio a rendervi<br />

felici e stimabili a voi stesse, io non lascierò [sic] di trattenervi altresì sui talenti e<br />

le qualità che possano attirarvi il rispetto e l’attaccamento degli uomini.<br />

Religione 8<br />

I doveri di religione legano ugualmente i due sessi, ma gli uomini, per la durezza<br />

naturale del loro cuore e la forza delle loro passioni, cui la licenza della loro<br />

educazione dà ancora più di violenza, sono portati a maggior dissoluzione di<br />

costumi e restano meno capaci di certi delicati sentimenti. Vi è a questo riguardo<br />

gran differenza dal vostro sesso al nostro. Il carattere generale delle donne, una<br />

sensibilità più grande, la modestia, la severità colla quale per l’ordinario si<br />

allevano, allontanano da esse perfino le tentazioni di certi vizi grossolani a cui<br />

noi siamo soggetti, rendono in loro questi vizi più odiosi e le dispongono<br />

naturalmente alla pratica di que’ doveri in cui resta il cuore più interessato.<br />

Per questa disposizione, unita al calore della loro immaginazione, sono esse<br />

suscettibili più che gli uomini de’ sentimenti religiosi.<br />

7 Le donne appartenenti alla nobiltà dovevano seguire una linea morale ben precisa nelle<br />

loro attività sociali e nella vita quotidiana, una condotta morale esemplare finalizzata a<br />

mantenere il prestigio derivante dall’appartenenza ad una famiglia di ceto nobile. A<br />

maggior ragione due ragazze orfane di madre e con un padre lontano avrebbero avuto<br />

necessità di linee guida ben precise da parte di una figura di riferimento, disinteressata a<br />

tutto tranne che al loro bene.<br />

8 Nella famiglia Simon la cultura religiosa fu parte integrante della formazione scolastica<br />

e divenne l’impiego per il fratello minore Gian Francesco, uno dei tre abati mitrati della<br />

Sardegna.<br />

53


54<br />

Francesca Melis<br />

Le donne si trovano sovente in circostanze che rendono loro i motivi della<br />

religione molto necessari per condursi con coraggio ed una maniera convenevole.<br />

La loro vita è qualche volta una vita di sofferenza. Esse non possono allora<br />

abbandonarsi agli affari, né dissiparsi col piacere e col libertinaggio, come fanno<br />

gli uomini quando le disgrazie gli opprimono. Sono esse costrette di soffrire in<br />

silenzio de’ mali che o s’ignorano o si compatiscono. Spesso ancora devono<br />

mostrare un viso sereno e ridente al tempo stesso che il lor cuore è lacerato<br />

d’angoscia o immerso nella disperazione. Le consolazioni della religione sono<br />

appunto allora l’unica loro risorsa; ed è principalmente questo soccorso che fa<br />

lor sopportare i dispiaceri domestici con più coraggio di noi.<br />

Ma sonovi pure altre circostanze nello stato delle donne che rendono loro<br />

i sentimenti di religione anche più necessari. La vivacità e forse la vanità naturali<br />

al vostro sesso vi portano facilmente ad una vita dissipata, che vi delude<br />

promettendovi piaceri innocenti ma che in realtà esaurisce i vostri spiriti,<br />

distrugge la vostra sanità, indebolisce tutte le facoltà della vostr’anima e spesso<br />

anche tirasi appresso la perdita della vostra riputazione.<br />

La religione, ponendo un freno a questa dissipazione ed a questo furore<br />

per lo piacere, vi mette in istato di trovare più di felicità in queste medesime<br />

sorgenti donde non si ricava che sazietà e disgusto qualora vi si attigna [sic]<br />

troppo soventi.<br />

La religione è piuttosto di sentimento che di ragionamento. I dogmi di fede<br />

i più importanti sono chiari abbastanza. Fissate sopra di quelli la vostra attenzione<br />

e sugli altri non disputate giammai. Se vi getterete in questo chaos non potreste<br />

più tirarvene fuori, il vostro carattere si altererà, e m’inganno ben io se il cuore<br />

stesso non sen risente.<br />

Lungi da voi tutt’i libri e le conversazioni tutte che tendano a smuovere la<br />

vostra credenza su que’ gran punti di religione che servono a regolar la<br />

condotta e sopra i quali sono fondate le vostre speranze d’una eterna felicità<br />

in una vita avvenire.<br />

Non vi faciate [sic] mai lecito di frammischiare il ridicolo ne’ discorsi che han<br />

per soggetto la religione e non autorizzate gli altri a prendersi questa libertà<br />

facendo sembrare di dilettarvi di ciò che dicono. Questa freddezza sarà bastante<br />

per contenere in vostra presenza le persone di rango ben educate. Io desidero<br />

che voi regoliate le vostre opinioni religiose unicamente sui santi codici.<br />

Abbracciate quelle che vi son chiaramente rivelate: non cerchiate di illuminarvi<br />

su quelle che non intendete, ma trattatele con un silenzio decente e rispettoso.<br />

Vorrei che in materia di religione non leggeste altri libri che quelli i quali parlano al<br />

cuore, ispirano sentimenti pietosi e servono a diriggere [sic] la condotta, lasciando


UN MANOSCRITTO INEDITO DI MATTEO LUIGI SIMON: «CONSIGLI MORALI ALLE FIGLIE»<br />

tutti gli altri che tendono ad imbarazzarvi nell’oscuro labirinto de’ sistemi e delle<br />

opinioni. Non trascuriate punto i soliti doveri di religione mattina e sera. Se voi<br />

avete una talquale sensibilità o qualche immaginazione, codesta pratica stabilirà<br />

fra voi e l’Essere supremo un commercio che vi sarà di utilità infinita: voi<br />

acquisterete un’abituale serenità, le vostre virtù diverranno più ferme e voi vi<br />

condurrete con più di dignità e di decenza in tutte le circostanze della vita.<br />

Io vi richiedo altresì d’assistere regolarmente al servizio pubblico, alla messa<br />

e di ricever la communione [sic] ne’ giorni soliti. Non ommettete mai gli esercizi<br />

pubblici o particolari di religione, se già non sia per l’adempimento d’alcuno di<br />

que’ doveri attivi della vita che debbono importarla su tutto. Portate con voi nel<br />

tempio un raccoglimento ed una gravità che possano ivi servire d’esempio.<br />

Spesso incontrerete delle persone che riguardano questa fattezza ai doveri<br />

di religione come un superstizioso attaccamento a vane formalità: io, ne’ consigli<br />

che vi do a questo riguardo, ho in vista lo spirito dominante ed i costumi del<br />

secolo. Havvi oggidì nel costume tanto di leggerezza e di dissipazione, e<br />

ne’sentimenti religiosi tanta freddezza, che questi vizi non possono mancar<br />

d’infettarvi se voi non coltivate e non rassodate nella vostra anima i sentimenti<br />

opposti, formandovi un gusto abituale per la divozione.<br />

Scansate ogni smorfia od ostentazione nella pratica di religione. Sono quelle<br />

per l’ordinario la maschera dell’ipocrisia e dimostrano sempre la debolezza e la<br />

piccolezza di spirito.<br />

Non fare della religione un soggetto di conversazione nella società mista.<br />

Qualor si viene a questa materia, procurate che si cambi discorso. Al tempo<br />

stesso non soffriate giammai che i vostri sentimenti religiosi con qualche scherzo<br />

grossolano s’insultino, e se ciò vi accade fate tosto conoscere il medesimo<br />

sentimento che avreste se in tutt’altra maniera s’insultasse la vostra persona. Il<br />

miglior mezzo però di allontanare quest’ inconveniente si è di mantenervi ognora<br />

voi stessa in un modesto riserbo su tal soggetto e non intaccare giammai i<br />

sentimenti religiosi di persona veruna.<br />

Nutrite nella vostr’anima una carità estesa a tutti gli uomini qualunque<br />

siano le lor opinioni, pensando che la differenza dalle vostre alle loro è<br />

probabilmente l’effetto di circostanze che voi non avete già maneggiato voi<br />

stesse e dalle quali non potrete ricavare alcun merito.<br />

Mostrate il vostro rispetto per la religione con aver de’ riguardi per tutt’i<br />

suoi ministri, di qualunque setta essi siano, purché la loro vita non disonori la<br />

professione; ma non accordiate giammai ad alcuno la direzione della vostra<br />

coscienza, stando in paura ch’essi non vi communichino la malattia dello spirito<br />

di partito, che … [sic].<br />

55


56<br />

Francesca Melis<br />

La miglior disposizione che possa darvi la religione gli è un sentimento di<br />

umanità diffuso su tutti gli infelici. Mettete in disparte una certa porzione del<br />

vostro reddito, che voi confacerete ad azioni di carità. Ma in questo ancora,<br />

come nella pratica d’ogni altro dovere, evitate attentamente l’ostentazione. La<br />

vanità volge siempre [sic] le spalle al suo oggetto. La publica [sic] stima è una<br />

delle ricompense naturali della virtù: non la cercate, ed ella vi seguirà.<br />

Non ristringiate la vostra carità a somministrare denari: vi ha un infinità<br />

d’occasioni ove potrete mostrare un cuor sensibile e compassionevole ed in<br />

cui non s’ha bisogno della vostra borsa.<br />

Certa spezie di gente si lasciano andare a un tale raffinamento di sensibilità<br />

che non è né vero né naturale, ed in seguito al quale scansan perfino la vista<br />

degl’infelici. Voi no, non cadiate in questo fallo, soprattutto pe’ vostri amici od<br />

anche pe’ vostri semplicemente conoscenti. Il giorno anzi de’ loro infortuni, quando<br />

il mondo gli oblìa e gli evita, sia per voi appunto il tempo di esercitare con loro i<br />

doveri dell’umanità e dell’amicizia. La vista delle umane miserie intenerisce il<br />

cuore e lo rende migliore. Questo spettacolo abbatte l’orgoglio della sanità e della<br />

prosperità e la pena ch’esso cagiona è ampiamente ricompensata dal testimonio<br />

che si rende a se stesso d’aver adempito un dovere e dal piacere secreto [sic] che<br />

la natura ha congiunto all’esercizio della compassione.<br />

S’ingannan molto le donne qualora s’immaginano di farsi stimare da noi<br />

colla loro irreligione. Gl’increduli stessi non amano punto l’incredulità nelle<br />

donne. Ciaschedun uomo che conosca la natura umana riguarda la dolcezza del<br />

carattere e la sensibilità del cuore come collegate nel vostro sesso co’ sentimenti<br />

religiosi: per lo meno si considera sempre in voi la incredulità come un indizio di<br />

quello spirito maschile e duro che di tutti i vostri difatti è quello che più ci<br />

spiace. Altronde gli uomini riguardan la religione come una delle principali<br />

sicurezze che voi possiate loro fornire dalla conservazione di quella virtù<br />

femminile in cui essi ripongono il maggiore interesse. Se mai un uomo pretende<br />

mostrarvi qualche attaccamento e si studia di abbattere in voi i principii religiosi,<br />

siate pur sicure ch’egli è uno stordito o che ha su voi de’ disegni che non<br />

ardisco spiegare.<br />

Voi probabilmente vi stupirete ch’io v’abbia allevato in una chiesa diversa<br />

dalla mia. 9 Eccovi la mia ragione. Io riguardai le differenze delle nostre chiese<br />

9 Matteo Luigi Simon intraprese i primi studi presso un Collegio di gesuiti (il Canopoleno di<br />

Sassari) e in seguito studiò presso il Collegio di Teologia a Cagliari, abbandonando la carriera<br />

ecclesiastica per gli studi di Giurisprudenza. La madre delle ragazze invece venne allevata<br />

secondo i dogmi cristiani anglicani, religione scelta dalla coppia per le due ragazze.


UN MANOSCRITTO INEDITO DI MATTEO LUIGI SIMON: «CONSIGLI MORALI ALLE FIGLIE»<br />

(l’anglicana e la presbiteriana) come di nessuna reale importanza. La vostra<br />

madre era stata allevata nella religione anglicana ed era attaccatissima a’ suoi<br />

principii. Io ebbi sempre una prevenzione favorevole per tutto ciò ch’ella amava.<br />

Ella, nonostante, non desiderò giammai che voi foste battezzate ed instruite da<br />

un ministro dell’Alta Chiesa. La sua attenzione delicata [sic] a scansare tutto<br />

quello che potea nuocervi agli occhi del mondo l’ha fatta più volte insistere<br />

presso di me affinché prendessi il partito contrario, ma non potevo io cederle in<br />

questo genere di generosità. Quando la perdetti, io sono stato anche più<br />

determinato ad allevarvi ne’ sentimenti ch’ella aveva adottati, poiché io sentiva<br />

un segreto piacere a far tutto ciò che mi sembrava esprimere la mia affezione ed<br />

il mio rispetto per la sua memoria. Studiandomi, come vo a fare, d’indicarvi le<br />

virtù che desidero abbiate, io non vi abozzerò [sic] che un quadro assai debole<br />

ed imperfetto di quelle onde questa madre eccellente era dotata.<br />

Costumi e condotta<br />

Una delle maggiori attrattive del carattere di una donna si è quel riserbo modesto<br />

e quella delicatezza amica dell’oscurità ch’evita gli occhi del pubblico e che si<br />

turba perfino e si sconcerta agli sguardi istessi dell’ammirazione. Io non voglio<br />

già che voi siate insensibili alle lodi: minore forse sarebbe il vostro pregio e<br />

certamente voi ne diverreste meno amabili; ma guardatevi bene di lasciarvi<br />

abbagliare da quell’ammirazione che lusinga sì vivamente il cuor delle donne.<br />

Quando una figlia zitella cessa di arrossire, ella ha perduto la più potente<br />

attrattiva della beltà. Quella estrema sensibilità di cui è indizio il rossore può<br />

essere talvolta una debolezza ed un inconveniente pel nostro sesso, come io<br />

med.mo lo provai troppo soventi: ma essa stessa è un pregio in voi che<br />

particolarmente seduce. Certi pedanti che si dicono filosofi dimandano perché<br />

mai una donna arrossirebbe quando non sia colpevole d’alcun delitto. Basta<br />

rispondere ch’è la natura essa stessa che imprime il rossore sulle vostre fronti<br />

senza che voi siate colpevoli, e ch’ella ci porta invincibilmente ad amarvi anche<br />

più a cagione, appunto, di quest’amabile debolezza. Il rossore è tanto lungi da<br />

essere la necessaria conseguenza della colpa, ch’esso è anzi l’ordinario<br />

compagno della innocenza.<br />

Questa modestia sì essenziale al vostro sesso dee [sic] naturalmente portarvi<br />

a guardare il silenzio in compagnia, soprattutto se numerosa. Gli uomini di<br />

senso e di spirito non prendemmo giammai questo silenzio per istupidezza. Si<br />

può benissimo prendere parte nella conversazione senza pronunciarvi una<br />

57


58<br />

Francesca Melis<br />

sillaba: il vostro ritegno e le vostre maniere dimostreranno che voi sapete<br />

ascoltare, e non iscapperan punto ad un occhio osservatore.<br />

Io desidero che voi abbiate in pubblico certa agevolezza e dignità, ma non<br />

già quella sicurezza ardita, quel contegno che di nulla si turba e che sembra<br />

piuttosto sfidare coloro che han gli occhi sopra di voi. Talora, mentre uno vi<br />

parla, altra persona di rango superiore s’indirizza a voi: evitate allor di mostrare<br />

per l’ultimo un’attenzione più viva ed una preferenza distinta. Il vostro orgoglio<br />

deve impedirvi di cadere nella piccolezza in cui vi spingerebbe la vanità.<br />

Considerate che ciò sarebbe rendervi ridicole ed insultare un uomo solamente<br />

per elevarne un altro che pensa forse di onorarvi molto degnandosi di parlarvi.<br />

Nel commercio colle persone di rango più alto abbiate quella dignità modesta<br />

che allontana ogni spezie di familiarità e che impedisce di sentire che sono al<br />

di sopra di voi.<br />

Quella vivacità, quella leggerezza di spirito che noi appelliam qualche volta<br />

lassezza, è il talento il più pericoloso che voi possiate avere. S’egli non è<br />

continuamente guidato dalla bontà e dalla discrezione, vi farà molti inimici.<br />

Esso non è opposto alla dolcezza del carattere ed alla delicatezza de’ sentimenti,<br />

e non pertanto siffatte qualità raramente trovansi unite. È per altro un dono<br />

della natura, sì lusinghevole per la vanità che coloro i quali possedonlo se ne<br />

lasciano inebriare e perdono ogn’impero sopra se stessi.<br />

Quell’altra spezie di spirito, quell’originale piccante che noi appelliamo buon<br />

umore, fa veramente che si ricerchino quelli che ne sono dotati; ma però non<br />

bisogna impiegarlo che con molta precauzione. L’umore è soventi un<br />

grand’inimico della delicatezza e più ancora della dignità del carattere. Esso<br />

talvolta ottiene gli applausi, giammai però la stima e il rispetto.<br />

Siate riservate, anche a dimostrare semplicemente il vostro buon senso<br />

sul timore che non si creda che voi pretendete a qualche superiorità sul resto<br />

della compagnia.<br />

Se voi avete delle cognizioni, guardatele in segreto, soprattutto agli<br />

uomini che, generalmente parlando, riguardano con una spezie di gelosia e<br />

di malignità le femmine che hanno de’ gran talenti od uno spirito colto. Un<br />

uomo che ha veramente del genio e semplicità, ingenuità e candore, è ben<br />

lontano da simile piccolezza, ma gli uomini di tal forza sono rari, e se per<br />

accaso [sic] voi ne incontrate alcuno nella vostra strada, non vi facciate<br />

premura di palesargli tutta la estensione delle vostre aspirazioni: egli se ne<br />

accorgerà ben tosto e da per sé, per poco che vi frequenti. E se voi avete<br />

qualche merito e saprete ben mantenere il vostro segreto, egli ve ne supporrà<br />

più ancora di quello che realmente avrete.


UN MANOSCRITTO INEDITO DI MATTEO LUIGI SIMON: «CONSIGLI MORALI ALLE FIGLIE»<br />

La grand’arte di piacere nella conversazione si è di fare che gli altri vi sian<br />

contenti di sé medesimi. Voi giungerete molto più facilmente a questo scopo in<br />

ascoltando che in parlando.<br />

Evitate la maldicenza, e quella sovra tutto che avesse per oggetto le persone<br />

del vostro sesso. Vengon generalmente tacciate le femmine d’essere più di noi<br />

portate a questo vizio; io credo la taccia ingiusta. Gli uomini se ne rendono con<br />

più facilità colpevoli qualora sono in lotta con i loro interessi. Ma come quei<br />

delle femmine si trovano più spesso in opposizione, e la loro sensibilità è più<br />

viva, più frequenti sono le lor tentazioni. Rispettate adunque ognora la<br />

riputazione dell’altra donna, soprattutto quando potessero essere a’ nostri occhi<br />

vostre rivali. Gli uomini vedranno questa moderazione in voi come un de’caratteri<br />

i più rimarchevoli d’un’anima elevata.<br />

Mostrate una tenera compassione per le femmine disgraziate, e sopra tutto<br />

per quelle che devono la lor disgrazia alla corruzione degli uomini. Date a voi<br />

stesse il piacere, e dirò quasi l’orgoglio, d’essere il loro asilo e le loro amiche,<br />

ma senza mai aver la vanità di lasciarvi conoscere come tali. Riguardate ogni<br />

specie di villania (grossiesse) nel discorso come ontosa in se stessa e come<br />

rivoltanza per noi. L’equivoco è di tal fatta. La libertà estrema dell’educazione<br />

degli uomini fa lor trovare talvolta del ricreamento in un genere di proposte<br />

(propos) che resterebbero colpiti (chagrins) se sortissero dalla vostra bocca,<br />

ed anche se voi poteste ascoltarle senza pena e senza disprezzo. La castità è sì<br />

delicata che vi ha de’ discorsi i quali non può ella udire (entendre) senz’esserne<br />

commossa (souillée). Voi potete [...]. 10<br />

10 Termina qui la traduzione italiana delle lettere di Matteo Luigi Simon alle figlie.<br />

Un’ulteriore analisi dei manoscritti presenti nell’archivio Simon-Guillot potrà forse<br />

portare alla luce nuovi documenti collegati a queste lettere, con i quali completare il<br />

panorama di precetti che il Simon intendeva illustrare alle proprie figlie.<br />

59


60<br />

B


SA CHISTIONE DE SA LIMBA IN MONTANARU E OE<br />

Frantziscu Casula<br />

Comitadu pro sa limba sarda<br />

Antiogu Casula, prus connotu comente Montanaru (su proerzu suo), forsis su<br />

poeta sardu prus mannu, subra de sa Limba at iscrittu cosas chi galu in die de oe<br />

sunt de importu mannu, non solu in su chi pertocat sa funtzione de su Sardu in<br />

sa poesia, s’iscola, sa vida de sa zente, ma puru pro cumprendere sa chistione de<br />

s’unificatzione o, comente si narat cun una paraula moderna, sa<br />

«standardizatzione».<br />

Comintzamus a amentare chi Montanaru at poetadu in sardu ebia, iscriende<br />

in logudoresu, pro ite – narat in un’iscritu – «è l’idioma che mirabilmente si<br />

presta ad ogni genere di componimento, in prosa come in versi, ritenuto per<br />

molto tempo la sola lingua letteraria dei sardi». 1<br />

Ma puru ca – arregordat su ghenneru Giovannino Porcu – «gli consentiva di<br />

riannodare le trame dell’espressione col frequente ricorso alla lingua barbaricina<br />

come ad una sua personale esperienza di gioia e di dolore». 2<br />

Pro Montanaru difatis:<br />

Come la lingua ingenua e immaginosa dell’umile pastore, che ha nell’animo<br />

lo stupore delle notti stellate o lo sgomento delle albe gelide, riassume le impressioni<br />

di una vita trascorsa nell’alternarsi di speranze e timori, così il mio<br />

Logudorese, che ha i suoni e le voci della terra natale, il sapore del latte materno,<br />

il sangue dei fieri barbaricini, riassume la forza e la speranza, i dolori e le gioie<br />

della Sardegna e della sua gente. 3<br />

Bidu dae cust’ala su logudoresu de Montanaru – giai gudicadu e cunsacradu<br />

dae su populu prus chi dae sos criticos – cuntribuit sena dudas, comente at a<br />

iscriere Francesco Alziator, «a sciogliere il nodo dell’eterno problema dello scrittore<br />

che nega l’autorità e la coattività del lessi-co e si fa lui la lingua sconfinando<br />

dalla tradizione, ricer-cando altrove, respingendo e modificando». 4<br />

1 Antioco CASULA, MONTANARU, Poesie scelte. Testo, traduzione e note a cura di Giovannino<br />

Porcu. Edizioni 3T, Cagliari, 1982, p. 14.<br />

2 Ibid.<br />

3 Ibid.<br />

4 Francesco ALZIATOR, «L’Unione Sarda» (4 marzo 1958).<br />

61<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 61-72


62<br />

E semper in s’iscritu mentovadu in antis, Montanaru acrarit:<br />

Io non sono un linguista e tanto meno possiedo le armi del filologo. Sono un<br />

adoratore della lingua sarda nella molteplicità dei suoi dialetti. È una religione<br />

questa che io sentii nascere nell’infanzia ascoltando la dolce e savia loquela<br />

dell’avola mia e la sentii maggiormente quan-do alle prese con le prime difficoltà<br />

scolastiche, nell’impossibilità di compitare, non vedevo l’ora di trovarmi<br />

libero con i miei coetanei per rivelare l’ardore della mia anima con prontezza di<br />

spirito e proprietà di linguaggio E la sento profondamente oggi ascoltando i vari<br />

dialetti del mio popolo i quali, comunicando tra loro, conservano la loro vitalità<br />

e costituiscono nel loro insieme la vera lingua sarda, quella che obbedisce alla<br />

libertà creativa del poeta e che del poeta trasmette la visione e l’imma-gine del<br />

mondo. 5<br />

Montanaru impreat sa limba de sa mama in cada si siat manera e cun balentia<br />

manna. Est pro more de sa limba sarda chi issu podet arribare a iscriere poesias<br />

mannas e galanas. In sa poesia sua si nuscat frischesa e sincheresa:<br />

E cuncruiat:<br />

Frantziscu Casula<br />

Un popolo senza dialetto – iscriet – se potesse esistere bisognerebbe immaginarlo<br />

vecchio, compassato, retorico, accademico, freddo e burbero: privo delle<br />

tenerezze dell’infanzia, senza le gioie dell’adolescenza e l’esuberanza della gioventù.<br />

E come questi tre stati dell’età umana vengono a completare l’uomo, così<br />

i processi linguistici del dialetto rendono fresca, semplice, immaginosa una lingua:<br />

servono a svariarne lo spirito, agitarne le movenze, a renderla insomma<br />

viva e interessante, semplice e piana. 6<br />

Nessun progresso potrà significare la scomparsa del nostro patrimonio<br />

dialettale perché ciò che è intimità della nostra natura rimarrà sardo nel bene e<br />

nel male. 7<br />

Su poeta de Desulo, però, in sa limba non biet ebia una funtzione literaria e<br />

poetica, ma puru una funtzione tzivile, de educatzione, de imparu pro sa vida. In<br />

su Diariu suo iscriet gosi:<br />

[…] il diffondere l’uso della lingua sarda in tutte le scuole di ogni ordine e<br />

grado non è per gli educatori sardi soltanto una necessità psicologica alla quale<br />

nessuno può sottrarsi, ma è il solo modo di essere Sardi, di essere cioè quello che<br />

veramente siamo per conservare e difendere la personalità del nostro popolo. E<br />

se tutti fossimo in questa disposizione di idee e di propositi ci faremmo rispettare<br />

più di quanto non ci rispettino. 8<br />

5 Antioco CASULA, MONTANARU, Poesie scelte cit., pp. 13-14.<br />

6<br />

MONTANARU, «L’Unione Sarda» (16 Luglio 1933).<br />

7 Ibid.<br />

8 Antioco CASULA, MONTANARU, Poesie scelte cit., p. 35.


SA CHISTIONE DE SA LIMBA IN MONTANARU E OE<br />

E galu:<br />

Spetta a noi maestri in primo luogo di richiamare gli scolari alla conoscenza<br />

del mondo che li circonda usando la lingua materna. 9<br />

Diat essere – comente podet cumprendere cada unu de nois – chi cada<br />

mastru de iscola imbetzes de cundennare sa limba e sa curtura de su logu de sos<br />

dischentes, a issos los depet zunzullare a connoschere e istudiare e imparare<br />

cun su limbazzu issoro, una manera de essere, de fàghere, de cumprendere, ebia<br />

gai si trasmitit a beru sa curtura de su logu, in iscola. Oe, totus sos istudiosos:<br />

linguistas e glotologos, e totus sos scientziaos sotziales: psicologos e<br />

pedagogistas, antropologos e psicanalistas e peri psichiatras, sunt cuncordos a<br />

pessare, narrere e iscriere de s’importu mannu de sa limba sutzada cun su late de<br />

sa mama. Su chi narant est chi pro creschere bene su pizinnu, pro aere elasticidade<br />

e impreare comente tocat s’intelligentzia, a imparare duas limbas li fàghet bene e<br />

l’agiudat puru a creschere mengius. Est in sos primos tres annos de vida chi su<br />

pilocheddu cumintzat a aere s’abecedariu in conca, e puru si a s’incuminzu de<br />

s’iscola sas allegas, sa gramatica, sas maneras de narrere parent amisturadas, sa<br />

conca sua est giai traballende pro assentare totu, una limba (su sardu) e s’atera<br />

(s’italianu). Nos ant semper narau chi su sardu limitaiat s’italianu e imbetzes est<br />

a s’imbesse. Una limba cando la sues e la faghes tua dae minore, t’imparat unu<br />

muntone de cosas. T’imparat a biere su mundu in una certa manera, t’imparat a<br />

assentare sos pessamentos, t’imparat a ti guvernare a sa sola dandedi unu<br />

sensu mannu de responsabilidade, ca est una cosa tua, ca l’as intesa e impreada<br />

dae minore. Gasi si podet badiare a in antis e cumprendere totu su chi tenes cara<br />

cara, cun curiosidade e gana de imparare.<br />

S’americanu Joshua Aaron Fishman, istudiosu mannu de sotziu-linguistica<br />

lu narat craramente: su «bilinguismu» no est de curregere, ne una cosa chi ti<br />

faghet trambucare, ma una manera bona de imparare chi t’agiudat in sas intragnas<br />

de sa vida e cunfruntande-di cun sos ateros. Limba e curtura de su logu de una<br />

pessone sunt medios e trastes de liberatzione, de autonomia, pro ti podere<br />

guvernare a sa sola, de indipendentzia, serbint a s’isvilupu de una pessone e<br />

mescamente de sos giovanos pro ite sa base abarrat su naturale issoro, partit<br />

«dal mondo che li circonda»: pro la narrere a sa manera de Montanaru. Sa limba<br />

imparada in domo e in ziru dae minore, serbit pro irmanigare sas cumpetentzias<br />

de comunicatzione, de sinziminzos, e de cunfrontu cun s’ateru e li serbit puru<br />

pro imparare ateras limbas.<br />

9 Ibid.<br />

63


64<br />

Frantziscu Casula<br />

Li serbit a essere cussiente de s’identidade sua, de l’intendere balente, de<br />

l’impreare, de non timere cumpetitziones ma de si cufrontare a barbovia cun<br />

atere, sena mancantzias. Li serbit pro fagher sua s’esperientzia de s’iscola e de<br />

sa vida, imparende e boghende a campu sas raighinas suas. Sa limba, s’istoria,<br />

sa curtura de su logu serbit a sos pitzinnos pro aere sigurantzia in issos matessi,<br />

pro apretziare s’ambiente in ue istant, pro connoschere sos balores de su logu<br />

issoro, primu intra totus s’istare paris, s’amistade e sa tratamenta, balores o<br />

maneras de faghere de sa tzivilitade sarda chi sunt balentes meda. Pro los agiudare<br />

a brusiare s’idea malavida de su «sardu» comente pessone limitada, comente<br />

curpa o neghe, pro los agiudare a no si brigungiare prus de essere sardos, ma<br />

l’imparare chi est unu balore mannu, comente essere albanesos, marochinos o<br />

palestinesos. Sos pitzinnos oe sunt male chistionados, non tenent ne manera,<br />

ne allegas assentadas pro comunicare, imparant allegas malas o gergo – comente<br />

aiat jai naradu Gramsci, prus de chent’annos faghet, su 26 de Marztu de su 1926,<br />

in una litera indiritzada a Teresina, sa sorre prus pitica:<br />

Poi, l’italiano, che voi gli insegnerete, sarà una lingua povera, monca, fatta<br />

solo di quelle poche frasi e parole delle vostre conversazioni con lui, puramente<br />

infantile; egli non avrà contatto con l’ambiente generale e finirà con l’apprendere<br />

due gerghi e nessuna lingua: un gergo italiano per la conversazione ufficiale con voi<br />

e un gergo sardo, appreso a pezzi e bocconi, per parlare con gli altri bambini e con<br />

la gente che incontra per la strada o in piazza. Ti raccomando proprio di cuore, di<br />

non commettere un tale errore, e di lasciare che i tuoi bambini succhino tutto il<br />

sardismo che vogliono e si sviluppino spontaneamente nell’ambiente naturale in<br />

cui sono nati: ciò non sarà un impaccio per il loro avvenire: tutt’altro. 10<br />

Gramsci est istadu unu profeta: oe in sa limba italiana de sos pitzinnos e puru<br />

de sos dischentes e istudentes non b’est ne gramatica, ne faeddos comente si<br />

tocat, sunt torrande a essere anarfabetas e custu est ca no ant un’apogiu de<br />

limba e de curtura, totu l’arribat dae artu e custos abarrant a beru in sos astros de<br />

s’aghera sena l’ischire a ue si bortare.<br />

S’istudiu e sa connoschentzia de sa limba sarda podet essere unu traste de<br />

importu mannu pro los fagher torrare in su sucru e puru pro imparare mengius sa<br />

limba italiana e sas ateras limbas, agiudande su piloccu a creschere imparende<br />

dae domo, dae s’iscola e dae sa sotziedade sua e istrangia.<br />

Ciò – apo giai tentu manera de sustennere e de iscriere – grazie anche alla<br />

fertilizzazione e contaminazione reciproca che deriva dal confronto sistemico fra<br />

codici comunicativi delle lingue e delle culture diverse, perché il vero bilinguismo<br />

è insieme biculturalità, e cioè immersione e partecipazione attiva ai contesti<br />

10 Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1965, pp. 37-38.


SA CHISTIONE DE SA LIMBA IN MONTANARU E OE<br />

culturali di cui sono portatrici, le due lingue e culture di appartenenza, sarda e<br />

italiana per intanto, per poi allargarsi, sempre più inevitabilmente e necessariamente,<br />

in una società globalizzata come la nostra, ad altre lingue e culture, europee<br />

e mondiali. La Lingua sarda infatti in quanto concrezione storica complessa e<br />

autentica, è simbolo di una identità etno-antropologica e sociale, espressione<br />

diretta di una comunità e di un radicamento nella propria tradizione e nella propria<br />

cultura. Una lingua che non resta però immobile – come del resto l’identità di un<br />

popolo – come fosse un fossile o un bronzetto nuragico, ma si “costruisce”<br />

dinamicamente nel tempo, si confronta e interagisce, entrando nel circuito della<br />

innovazione linguistica, stabilendo rapporti di interscambio con le altre lingue.<br />

Per questo concresce all’agglutinarsi della vita culturale e sociale. In tal modo la<br />

lingua, non è solo mezzo di comunicazione fra individui, ma è il modo di essere e<br />

di vivere di un popolo, il modo in cui tramanda la cultura, la storia, le tradizioni.<br />

La Lingua sarda infine, essendo la più forte ed essenziale componente del<br />

patrimonio ricchissimo di tradizioni e di memorie popolari, sta a fondamento –<br />

per usare l’espressione di Giovanni Lilliu – «dell’Identità della Sardegna e del<br />

diritto ad esistere dei Sardi, come nazionalità e come popolo, che affonda le sue<br />

radici nel senso profondo della sua storia, atipica e dissonante rispetto alla coeva<br />

storia e cultura mediterranea ed europea».<br />

Assume cioè un valore etico, etnico-nazionale e antropologico e, se si<br />

vuole, anche politico, nel senso di riscatto dell’Isola e del suo diritto-dovere<br />

all’Autogoverno e all’Autodeterminazione. Il che non significa che la nostra<br />

Identità debba tradursi in forme di chiusura autocastrante o di separazione: essa<br />

deve invece essere accettata e riconosciuta come la condizione base del nostro<br />

modo di situarci nel mondo e di dialogare con gli orizzonti più diversi, «senza<br />

cedere alla tentazione – come osserva acutamente il filosofo sardo Placido<br />

Cherchi – di usare la nostra differenza come ideologia o di caricarla, a seconda<br />

delle fasi, ora di arroganze etnocentriche ora di significati auto depressivi». 11<br />

A pustis de custa depida e longa fughida de su sucru, torramus a Montanaru<br />

e sa chistione cun unu certu Gino Anchisi, giornalista de s’«Unione Sarda». Tocat<br />

a amentare chi semus in prena casione fassista. In su gazetinu prus connotu de<br />

s’Isula, Anchisi pro sa publicada de Sos cantos de sa solitudine de Montanaru<br />

ispuntorat in Sardinnia una chistione pro s’impreu de sa limba sarda. In un articulu<br />

inzidiat Montanaru a iscriere in italianu pro ite unu poeta che a isse «che ha<br />

maturato l’ingegno alla severa discipline degli studi e considera la poesia come<br />

una cosa seria», aiat diritu a unu publicu prus mannu. Cuncruiat narende chi sa<br />

poesia dialettale fiat: «anacronistica, roba d’altri tempi» e chi tando si depiat<br />

arrimare in su cuzone, in su furrungone, chi issu mutiat: «nel regno d’oltretomba».<br />

Montanaru li torrat s’imposta in su matessi gazetinu, narende-li craru chi «i<br />

rintocchi funebri» pro sa fine de sos dialetos, dae cada si siat banda esserent<br />

arribados, fiant a su mancu primidios.<br />

11 Francesco CASULA, La lingua sarda e il suo insegnamento a scuola, Alfa editrice, Quartu,<br />

<strong>2010</strong>, pp. 25-26.<br />

65


66<br />

Frantziscu Casula<br />

Sighit sa torrada de Anchisi chi faeddat de sa bezesa e de sa paga balentia de<br />

sa limba sarda e de sa fine de sos dialetos e de sa Regione etotu: «Morta o<br />

moribonda la regione, è morto o moribondo il dialetto». In sa briga ch’intrat puru<br />

Antonio Scano chi a pustis de aere discutidu cun Anchisi subra de sa vitalidade<br />

de sa limba e de sa Regione sarda, gasi cuncruiat: «La Regione non può morire,<br />

come non può morire il dialetto che ne è l’insegna». 12<br />

Subra de totu custu at a torrare a iscriere puru Montanaru; s’articulu suo no<br />

at a essere publicadu ne in s’«Unione» nen in s’«Isola de Tatari», chi però si<br />

giustificaiat cun una litera de su 18 de Capidanne de su 1933, iscriende ca:<br />

Non si è potuto dare corso alla pubblicazione del suo articolo in quanto una<br />

parte di esso esalta troppo evidentemente la regione: ciò ci è nel modo più<br />

assoluto vietato dalle attuali disposizioni dell’ufficio stampa del capo del Governo<br />

che precisamente dicono: «In nessun modo e per nessun motivo esiste la<br />

regione». Siamo molto dolenti. Però la preghiamo di rifare l’articolo limitandosi<br />

a parlare di poesia dialettale senza toccare il pericoloso argomento.<br />

Bene bennida siat sa veridade!<br />

In sa torrada Montanaru at a fàghere, pro su sardu, unas cantas<br />

cunsideratziones curiosas e in carchi manera bidende prus a in antis de sos<br />

ateros: at a amentare difatis chi «la lingua dei padri» diat a poder arribare a essere<br />

«lingua nazionale dei Sardi» pro ite «non si spegnerà mai nella nostra coscienza<br />

il convincimento che ci vuole appartenere a una etnia auctotona».<br />

Su chi narat Montanaru in custas rigas est de importu mannu: dae un’ala<br />

disigiat e biet pro su tempus benidore una casta de «lingua sarda nazionale<br />

unitaria»; dae s’atera, ligat sa limba a su populu e a sa curtura sarda. Custos<br />

diant a essere parreres curturales, linguisticos e politicos chi balent oe etotu, e<br />

chi ant a essere torrados a bogare a campu in sos annos ‘70 dae saligheresu<br />

Antonio Simon Mossa 13 (ma galu a in antis dae Lussu e dae Gramsci e, a pustis,<br />

mescamente dae Lilliu, Eliseo Spiga e Antonello Satta).<br />

Ma su primu iscritore sardu chi ligat sa limba a su populu sardu, antis a sa<br />

«natzione sarda», est Giovanni Matteo Garipa, chi in su 1627 bortat unu libru (Il<br />

12 Antonio SCANO, «L’Unione Sarda» (3 settembre 1933).<br />

13 Pro connoschere mezus Antoni Simon Mossa, archimastru de balore e teoricu de<br />

s’indipendentismu federalista, cussizo de leghere su libru de Franztiscu Casula, Antoni<br />

Simon Mossa, Alfa editrice, Quartu, 2006 (in limba sarda); como peri in italianu in Uomini<br />

e donne di Sardegna, Le contro storie, di Francesco Casula, Alfa editrice, Quartu, <strong>2010</strong> (in<br />

ue b’est puru una monografia subra Eliseo Spiga, Giovanni Lilliu e ateros doighi Omines e<br />

feminas de gabbale: Amsicora, Eleonora d’Arborea, Sigismondo Arquer, Giovanni Maria<br />

Angioy, Grazia Deledda, Antonio Gramsci, Montanaru, Marianna Bussalai, Grazia Dore,<br />

Emilio Lussu, Giuseppe Dessì, Francesco Masala).


SA CHISTIONE DE SA LIMBA IN MONTANARU E OE<br />

Leggendario delle Sante Vergini e Martiri di Gesù Cristo) dae s’Italianu in<br />

Sardu (Su Legendariu de Santas Virgines et Martires de Jesu Cristu), pro ite<br />

iscriet in su «Prologo»:<br />

Totu sas naziones iscrient e imprentant sos libros in sas propias limbas<br />

nadias e duncas peri sa Sardigna – sigomente est una natzione – depet iscriere e<br />

imprentare sos libros in limba sarda. Una limba – sighit Garipa – chi de seguru<br />

bisongiat de irrichimentos e de afinicamentos, ma non est de contu prus pagu de<br />

sas ateras limbas neo-latinas.<br />

Antis, propiu ca est sa prus a curtzu e a cara a cara a su latinu tocat de<br />

l’impreare e de l’iscriere. Difatis, iscriet Garipa:«Nexuna de quantas limbas si<br />

platican est tantu parente assa latina formale quantu sa Sarda».<br />

Custas positziones, parreres, maneras de biere subra de sa limba, ant tentu<br />

unu primu arrangiamentu cun sa limba sarda comuna detzidida dae sa Regione<br />

sarda. Difatis sa Regione sarda at istabilidu<br />

norme linguistiche di riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta<br />

dell’Amministrazione regionale per avviare un processo graduale mirante all’elaborazione<br />

di una Limba Sarda Comuna, con le caratteristiche di una varietà<br />

linguistica naturale che costituisca un punto di mediazione fra le parlate più<br />

comuni e diffuse e aperta ad alcune integrazioni volte a valorizzare la distintività<br />

del sardo e ad assicurare un carattere di sovramunicipalità e la semplicità del<br />

codice linguistico. La Limba Sarda Comuna intende rappresentare una «lingua<br />

bandiera», uno strumento per potenziare la nostra identità collettiva, nel rispetto<br />

della multiforme ricchezza delle varietà locali. 14<br />

Tocat a narrere chi Montanaru no aiat sas ideas craras de una limba pro<br />

totus, però l’at pagu prus o mancu semper impreada che a sos ateros poetas e a<br />

sos mannos, chi faeddende cun sos istrangios allegant una limba cuncordada e<br />

istupada a campu dae annos de connoschentzia intre sas lacanas logudoresas e<br />

campidanesas. Issu però est puru semper cumbintu chi<br />

nessun dialetto può arrogarsi il diritto di diventare lingua unitaria dei sardi,<br />

neppure il sonante logudorese, che pure è uno strumento linguistico privilegiato,<br />

dal momento che tutti i dialetti, nessuno escluso, hanno contribuito alla dispersione<br />

dell’unità linguistica originaria, che da noi non ha avuto la fortuna di<br />

trovare un definitore del genio specifico della lingua. 15<br />

Subra de sa Limba sarda comuna si podet e si depet sighire a chistionare:<br />

pro la torrare a bidere e mancari pro la megiorare. Su chi non si cumprendet est<br />

14 Regione Autonoma della Sardegna, LIMBA SARDA COMUNA, Norme linguistiche di<br />

riferimento a carattere sperimentale per la lingua scritta dell’Amministrazione regionale.<br />

15 Antioco CASULA, MONTANARU, Poesie scelte cit. p. 12.<br />

67


68<br />

Frantziscu Casula<br />

comente si faghet a narrere chi una limba iscrita podet lascanare sa limba sarda<br />

e bochire sos tantos limbazos de sa limba. Nois pessamus chi diat a essere su<br />

travessu: una limba in sa sotziedade moderna pro poder bivere e zirare in unu<br />

logu e in su mundu, depet essere iscrita segundu reglas certas, si nono si che<br />

perdet: si-che morit.<br />

Comente faeddant televisones, gazetinos, radios, medios modernos, internet,<br />

s’iscola, s’universidade, sos ufitzios? Allegant semper in italianu. Faghende su<br />

sardu iscritu segundu reglas certas, podimus faghere allegare sa sotziedade intrea<br />

puru in sardu e non in italianu ebia. S’importante est chi siant craras custas cosas:<br />

1. Sa limba allegada non si tocat;<br />

2. Sos criterios de una limba iscritta cuncordada serbit ebia pro aere sonos<br />

pro totus, sena «fricative», corfos de gorgoena e gai sighinde, poi cada unu si la<br />

leghet comente cheret.<br />

Iscriende e faeddende semper prus in sardu in totu sa sotziedade e no ebia in<br />

unu cuzone de zilleri o in familia, amus a chircare s’allega in sardu sena zaccare<br />

a dae intro de su sardu allegas o frasas in italianu comente nos semus acostumante<br />

a fàghere. Cada unu a pustis, cun allegas de su limbazu suo e cun maneras de<br />

narrere de sos tantos limbazos de Sardinnia, andat a irmannigare sa Limba Sarda<br />

Comuna o a cumone o cuncordada, chi forsis est mengius.<br />

Comente deo apo giai iscritu b’est de agiunghere peri chi:<br />

Iniziare a praticare l’unificazione ortografica e linguistica non è più<br />

procrastinabile se vogliamo andare oltre una generica e improbabile tutela e<br />

valorizzazione della Lingua sarda, per puntare diritti al Bilinguismo perfetto,<br />

ovvero alla parificazione giuridica della Lingua Sarda con quella italiana e dunque<br />

alla sua ufficializzazione attraverso l’uso nella Pubblica Amministrazione, nella<br />

toponomastica, nei grandi mezzi di comunicazione di massa (Giornali, Radio,<br />

TV, Internet), nella pubblicità ma soprattutto nelle scuole di ogni ordine e grado.<br />

Al di fuori di questa prospettiva la lingua sarda, senza «koinè», è destinata a<br />

morire o a vivacchiare e languire, marginalizzata e ghettizzata nei balli tondi<br />

delle feste paesane. Di qui la necessità che la Lingua sarda – dopo essere stata<br />

riconosciuta giuridicamente come tale – assurga al piano e al ruolo anche pratico,<br />

di lingua unificata. Così com’è successo storicamente a molte lingue, antiche<br />

e moderne, nel mondo e in Europa, prima pluralizzate in molti dialetti e in<br />

seguito unificate. Negli ultimi 150 anni della nostra storia è successo nell’800 e<br />

nel primo novecento, tanto per fare qualche esempio, al Rumeno, all’Ungherese,<br />

al Finlandese all’Estone; recentemente è successo al Catalano – le cui varietà<br />

(il barcellonese, il valenziano, il maiorchino, per non parlare del rossiglionese,<br />

del leridano e dell’algherese) erano assai diverse fra loro e assai più numerose<br />

delle varietà del Sardo oggi. 16<br />

16 Francesco CASULA, La lingua unificata come unico strumento per salvare il Sardo, «Lacanas»,<br />

Rivista bilingue delle Identità, II, n. 6, I/2004, Cagliari, pp. 39-41.


SA CHISTIONE DE SA LIMBA IN MONTANARU E OE<br />

In cada manera, subra de cale unificatzione de sa limba si podet sighire a<br />

chistionare e discutìre cantu cherimus: ma non subra sa necessitate de<br />

s’unificatzione etotu. Abarrat sa realitade chi pro sarvare sa limba, chi podimus<br />

pèrdere ammisturandela semper cun s’italianu, tocat a l’iscriere e a l’impreare<br />

in totue, comente si faghet cun s’italianu e, cando allegamus in logos publicos<br />

o ufitziales, nos podimus puru permìtere de impreare unu limbagiu chi<br />

cumprendant totus sena deper recurrere semper a s’italianu, ca sa limba nois la<br />

tenimus puru si nos ant fatu pessare su contrariu pro annos e annos: custu<br />

cheret nàrrere bilinguismu, si nono su sardu abarrat subordinadu a s’italianu e<br />

tenet unu numene diversu, si diat a narrere diglossia, e sa situatzione de<br />

diglossia in Sardinnia, sos sotzios-linguistas la mutint: «Passalitziu pro sa<br />

perdida de sa limba».<br />

Si podet nàrrere chi sa limba in una sotziedade in ue totu est iscritu, in ue sa<br />

formatzione e sa curtura de sa zente non sunt prus sos contos de foghile, sos<br />

traballos, sas dies de fitianu, in ue su sardu fiat impreadu pro cada si siat impiligru<br />

e cosa de sa vida, si podet narrere chi in custa sotziedade in ue totu faeddat e<br />

iscriet mescamente in italianu, su sardu si podet sarvare? No, ripito. Pro lu poder<br />

sarvare lu depimus regulare e iscriere: «standardizzare», «normalizzare». Comente<br />

ant fatu pro s’italianu (e sos romanos, sos genovesos, sos napoletanos, sighint<br />

a faeddare a sa moda issoro), pro su frantzesu (e sos parizinos allegant in una<br />

manera diversa meda dae sos marsillesos) e gai sighinde, finas a arribare a su<br />

catalanu e a ateras limbas chi si depent a mala boza o a gana bona, atoviare a pare<br />

cun ateras limbas: ispagnolu, frantzesu, ingresu e gai sighinde. Su catalanu, su<br />

sardu, su galiego, su bretone sunt limbas comente a s’italianu, su frantzesu,<br />

s’ispagnolu e gai andende. Sa diferentzia est chi in ateros logos s’isseperu<br />

politicu e de sa zente est istadu de sarvare sa limba, normandizandela; in Sardinnia<br />

semus galu a s’incomintzu, si nono, fiamus abarrados a discutìre galu su chi no<br />

ch’est bogande sos ogros: sos mannos ispostandesi pro tramudare o iscambiare<br />

benes no ant mai tentu problemas de comunizatzione, ca cando serbiant si sunt<br />

arranzados iscurtande-si e boghende cuddos sonos chi non si podiant<br />

cumprendere, ite nd’est istupau? Una limba de lacana, faeddada e viva chi esistit<br />

galu e chi at sugeridu sas normas de sa limba sarda comuna. Sos mannos chi in<br />

sardu c’arrennessent a faeddare e a pessare puru, non fiant ispetende ateru, sos<br />

giovanos tenent galu unu pagu de tzirimma in sos ogros, ca sos politicos e<br />

s’economia, los ant unu pagu intzurpados e cunfundidos.<br />

Subra de sa Limba sarda comuna bi sunt istadas brigas de cada casta: ma peri<br />

sos inimigos ant reconnotu a s’isseperu de sa Regione sarda mereschimentos<br />

mannos. Acò it’iscrient:<br />

69


70<br />

Frantziscu Casula<br />

Per la prima volta nella storia della Regione Autonoma Sarda essa si dota di<br />

norme per la lingua scritta. Ciò vuol dire che:<br />

– La Sardegna ha una lingua (che non è un dialetto dell’italiano): già questo<br />

è un fatto che persino a molti sardi suonerà come una grande novità, se<br />

pensiamo alla scarsa considerazione che il sardo ha in molti ambienti geografici<br />

e sociali.<br />

Questa lingua:<br />

– è ufficiale (poiché è deliberata dalla Giunta): quindi non è un mezzo di<br />

espressione per soli poeti, scrittori o estimatori, ma può esprimere anche gli atti<br />

della politica e ha un’importanza sociale e non solo letteraria;<br />

– vuole rappresentare una «lingua bandiera», uno strumento per far crescere<br />

in tutti i sardi il sentimento dell’identità: è una maniera forte per sottolineare<br />

il binomio fra lingua e identità, che non può essere rotto ma che oggi<br />

s’è fatto molto debole, perché il bombardamento culturale («la lingua italiana<br />

è meglio del dialetto sardo») è riuscito quasi del tutto a lasciarci solo un’identità<br />

mista, incerta e quasi a rompere il filo che ci lega alla storia della nostra<br />

terra e alla nostra gente;<br />

– vuole seminare il terreno per una rappresentanza regionale nel Parlamento<br />

europeo come espressione di lingua minoritaria: questo ci darebbe il diritto di<br />

avere un eurodeputato sardo senza doverlo disputare con la Sicilia, perdendolo<br />

sempre per motivi demografici;<br />

– vuole essere sperimentale, dunque potrà essere ampliata, corretta e arricchita<br />

con gli aggiustamenti più opportuni: pensiamo che questo sia positivo<br />

soprattutto per quelli che non saranno contenti e non si sentiranno rappresentati<br />

pienamente dalla variante scelta dalla commissione, giacché gli darà modo di<br />

intervenire con proposte di modifiche e miglioramenti;<br />

– non vuole eliminare le varianti linguistiche parlate e scritte nel territorio<br />

sardo, anzi si pone al loro fianco nel compito che la regione si assume di<br />

difenderle, valorizzarle e diffonderle: questo punto è buono in generale, come<br />

dichiarazione di impegno, nonostante non si dica in che modo la regione lo<br />

metterà in pratica nella realtà;<br />

A queste considerazioni di valore senza dubbio positivo, che sono dichiarate<br />

nella stessa delibera, ci pare di poterne aggiungere altre due che ci sembrano<br />

di non poco conto:<br />

– potrebbe riavvicinare all’uso del sardo l’Amministrazione Pubblica: ciò<br />

sarebbe positivo nel senso che gli impiegati e i funzionari pubblici che spesso<br />

usano l’oscurità della lingua burocratica per ritagliarsi la loro quota di potere<br />

(grande o piccola che sia a seconda dell’importanza che hanno nella gerarchia),<br />

riprendendo a utilizzare il sardo potrebbero riavvicinarsi alla popolazione, soprattutto<br />

alle fasce deboli dei vecchi e dei poco acculturati, aiutandoli a sentirsi<br />

più considerati e tutelati;<br />

– potrebbe avvicinare al sardo le generazioni di giovani che non hanno mai<br />

conosciuto la lingua, sia perché sono figli di continentali che non parlano il<br />

sardo, sia perché sono figli di sardi che hanno preferito non insegnargliela per<br />

qualsivoglia ragione. 17<br />

17 Documento degli studenti sulla lingua standard – Limba sarda comuna, deliberata dalla<br />

Giunta regionale. Università degli studi di Cagliari, Corso di laurea in Scienze della formazione<br />

primaria – Master Universitario di II livello in «Approcci interdisciplinari alla didattica<br />

del sardo», Cagliari, 12 giugno 2006, pp. 22-23.


SA CHISTIONE DE SA LIMBA IN MONTANARU E OE<br />

Pro cuncruire: Oe sena standard non bi podet essere peruna ufitzializatzione<br />

e sena ufitzializatzione sa limba sarda est destinada a si che morrere o a esser<br />

confinada in carchi furrungone, in carchi festa paesana pro cantare batorinas e<br />

noitolas. O impreada pro narrer carchi paraula mala, brullas, beffas e ciascas,<br />

carchi paristoria o, mancari, irrocos e frastimos.<br />

S’unica manera, oe, pro sarvare e valorizare sa limba sarda est<br />

s’ufitzializatzione. Deo isco bene chi medas non sunt de acordu cun custa<br />

positzione: puru intre cussos chi parent a favore de sa limba.<br />

Difatis in custu casu su diciu latinu «Tertium non datur» non est assetiadu e<br />

no andat bene pro faeddare de sas positziones chi sunt in campu subra de sa<br />

Limba sarda: chi non sunt duncas duas ma tres. A sos favorevoles e a sos<br />

contrarios toccat de azunghere cuddos chi non narant emmo ma mancu nono de<br />

su totu, ma un’ispetzia de «Ni». Non sunt feminas ma mancu mascros: sunt<br />

viados, pedrumascros.<br />

Custa positzione carchi annu faghet, in medas cumbennius, est istada<br />

presentada gosi: «Valorizatzione ei, ufitzializatzione nono». Cun issa sunt de<br />

acordu medas, mescamente professores de s’universidade sarda: una cedda<br />

intrea, unu grustiu meda mannu, gasi totu de manca.<br />

Deo so cumbintu chi oe subra sa necessidade de s’istandardizatzione, pro lu<br />

narrer a sa latina, «non est discutendum». Pro ite ischimus bene chi sena<br />

s’unificatzione peruna limba si podet imparare in sas iscolas, si podet impreare in<br />

sos ufitzios, in sos giornales, in sas televisiones, in sas retes informaticas, in sos<br />

medios eletronicos, in sa publicidade, in sa toponomastica.<br />

In su tempus coladu, pro annos e annos custa tropera de intelletuales<br />

istatalistas teniant sa bibirrina de s’unidade nazionale, chi sa Limba sarda<br />

ufitzializzada podiat amalezare e sciusciare e oe bogant imbetzes a pillu ateras<br />

dudas e arrenghescios, artziende ballas de pruere pro coglionare a sa zente.<br />

Issos sunt certu prus abistos de sos contrarios: ant istudiadu e duncas<br />

non podent denegare s’importu mannu de sa limba nadia in s’isvilupu de<br />

sas pessones; connoschent sos iscritos de Gramsci subra de su Sardu e<br />

puru sos linguistas italianos prus mannos comente a Giacu Devoto o a<br />

Tulliu de Mauro, ismentigandesi però chi ambos duos difendent su<br />

bilinguismu e duncas, pro sos sardos, sa limba sarda. Unu chi narat «ni» a<br />

sa Limba sarda est Antonello Mattone de s’Universidade de Tatari, istoricu<br />

de manca chi at iscritu:<br />

Sono d’accordo con certe forme moderate di bilinguismo, ma la lezione<br />

universitaria in sardo la trovo controproducente e ridicola. Oggi non avrebbe<br />

alcun senso utilizzare il Sardo come linguaggio scientifico, giacché esso nelle<br />

71


72<br />

Frantziscu Casula<br />

sue due grandi varianti, campidanese e logudorese, è una lingua di fatto rurale,<br />

che ha assimilato solo indirettamente i termini più propriamente legati alla<br />

vita e alla cultura cittadina.<br />

Sa bibirrina e s’arrenghesciu de sos academicos comente a Mattone est chi<br />

sa limba sarda no est capassa de faeddare de cultura urbana e scientifica e<br />

duncas de modernidade, pro ite su sardu diat essere solu limba de campagna, de<br />

sartu, de pastores e de massajos.<br />

La pessat a sa matessi manera – paret chi si siat coidadosamente postu de<br />

acordu – un’ateru professore mannu, italianu custa borta, su linguista Alberto<br />

Sobrero (Introduzione all’Italiano contemporaneo, Laterza, 2 voll.). Isse iscriet<br />

cun assentu chi est giustu chi non si depant scaresciri, stramancare e burrai sas<br />

limbas locales, ma «sarebbe assurdo o, nella migliore delle ipotesi, comico, pensare<br />

di usare le parlate locali per la matematica, la fisica e la filosofia.<br />

A custos chi pessant chi sas limbas locales – e duncas pro nois su Sardu –<br />

serbant pro allegare solu de contos de foghile o peus de burrumballimines e non<br />

de chistiones de importu mannu e de modernidade, rispondet unu semiologu<br />

comente a Stefano Gensini (Elementi di storia linguistica italiana, Minerva Italica,<br />

Bergamo, 1983). Issu, amentende Leibniz – filosofu e intelletuale tedescu mannu<br />

meda e importante ma pagu connotu – narat chi non b’est limba pobera chi non<br />

siat capassa de faeddare de totu. A sa matessi manera chistionant filosofos e<br />

linguistas comente a Ferdinand de Saussurre (Corso di linguistica generale,<br />

Laterza, Bari, 1983) o a Ludwig Wittgenstein (Osservazioni filosofiche, Einaudi,<br />

Torino, 1983); ma mescamente, a ballallois comente Mattone e Gensini, respundit<br />

su prus mannu istudiosu de bilinguismu a base etnica, Joshua Aaron Fishman<br />

(Istruzione bilingue, Minerva Italica, Bergamo, 1972), chi iscriet gosi:<br />

Ogni e qualunque lingua è pienamente adeguata a esprimere le attività e gli<br />

interessi che i suoi parlanti affrontano. Quando questi cambiano, cambia e cresce<br />

anche la lingua. In un periodo relativamente breve, qualsiasi lingua precedentemente<br />

usata solo a fini familiari, può essere fornita di ciò che le manca per l’uso<br />

nella tecnologia, nell’Amministrazione Pubblica, nell’Istruzione.


LE DENOMINAZIONI POPOLARI DELLE CHIOCCIOLE<br />

NELLE VARIETÀ SARDE MERIDIONALI<br />

Roberto Rattu<br />

Arxiu de Tradicions<br />

1. Gli invertebrati terrestri, com’è noto, sono popolarmente visti con una certa<br />

avversione, se non vogliamo parlare di repulsione vera e propria. La maggior<br />

parte delle persone, infatti, ritiene ripugnanti insetti, lombrichi, limacce, millepiedi,<br />

ragni e in genere tutti gli invertebrati terricoli, attribuendo la capacità di<br />

nuocere in vario modo perfino a specie in realtà del tutto innocue. Anche in<br />

conseguenza di ciò, almeno odiernamente e nei territori europei, gli invertebrati<br />

terrestri non costituiscono una risorsa alimentare. Ma una cospicua eccezione<br />

è offerta dai molluschi terrestri, più comunemente detti chiocciole. 1<br />

Annoverando varie specie commestibili, oggi le chiocciole rappresentano<br />

un cibo anche rinomato ma, da periodi assai remoti e sino a non molto tempo fa,<br />

costituivano una risorsa alimentare non trascurabile allorché il problema della<br />

fame era ben più incalzante rispetto ai nostri giorni.<br />

Poiché l’importanza alimentare delle chiocciole è stata rilevante anche in<br />

Sardegna e poiché la fondamentale impronta agro-pastorale della cultura dell’isola<br />

è stata oggetto di numerose illustrazioni linguistiche, il presente contributo,<br />

focalizzando l’attenzione sulle denominazioni popolari meridionali di tali<br />

invertebrati, vuole aggiungere una tessera al mosaico della ricerca lessicale<br />

connessa alla vita rustica.<br />

1 D’ora in poi utilizziamo ‘chiocciola’ e non ‘lumaca’ per designare i molluschi Gasteropodi<br />

terrestri dotati di conchiglia ben sviluppata. Infatti ‘lumaca’ può dare adito a confusioni<br />

poiché, pur designando di norma i molluschi Gasteropodi terrestri ‘nudi’, è ormai<br />

comunemente termine che designa anche i molluschi dotati di conchiglia esterna ben<br />

sviluppata.<br />

Oltre alle chiocciole terrestri, tra i pochissimi invertebrati utilizzati come alimento in<br />

Italia, ricordiamo che in Sardegna si consumano le larve della mosca del formaggio<br />

(Piophila casei) nel noto casu marzu. Garbini (1925: 354 e 963) riferisce che in Brianza<br />

i giovani erano soliti mangiare l’addome dei maggiolini e dei coleotteri del genere<br />

Rhizotrogus. Per la zona di Novara è riportata come molto diffusa l’usanza di rimuovere<br />

le ali alle grosse specie di libellule per cibarsi poi dei muscoli alari particolarmente<br />

sviluppati (Riservato 2009: 32). A differenza delle chiocciole si tratta però di impieghi<br />

alimentari piuttosto localizzati, alcuni dei quali probabilmente non più in uso.<br />

73<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 73-84


74<br />

Roberto Rattu<br />

2. Le chiocciole terrestri occupano una posizione di primo piano nella storia<br />

dell’alimentazione, a partire dalle fasi più antiche; grandi ammassi di gusci vuoti,<br />

ritenuti avanzi di pasto, compaiono abbondanti soprattutto nei siti archeologici<br />

circum-mediterranei databili dal tardo Pleistocene sino all’Olocene (Lubell 2004a)<br />

ed è stato ipotizzato che le chiocciole abbiano avuto un ruolo importante nel<br />

processo che ha portato dalla fase della raccolta del cibo a quella della sua<br />

produzione (Lubell 2004b).<br />

I romani hanno lasciato importanti prove dell’interesse alimentare di cui<br />

godevano tali molluschi. Plinio infatti (N. H. IX.82) riferisce che le specie eduli,<br />

oltre ad essere allevate in particolari recinti, venivano importate a Roma da<br />

località anche piuttosto distanti. Infatti i malacologi hanno da tempo rilevato<br />

che la distribuzione europea di alcune specie risulta connessa a interventi<br />

antropici verificatisi durante diverse epoche storiche. Ad esempio l’Helix<br />

aspersa e l’Helix pomatia sono specie certamente introdotte in Inghilterra in<br />

epoca romana mentre l’Helix pomatia è ampiamente diffusa in Francia, dove fu<br />

introdotta, proveniente probabilmente dal sistema alpino, prima dai Romani e in<br />

seguito dai monaci medioevali (Cesari 1978: 37). La chiocciola, infatti, era considerata<br />

carne di magro dalla Chiesa e quindi ne era ammesso il consumo in<br />

periodi di moderazione alimentare.<br />

3. In Sardegna, oltre che da evidenze quali la moderna sagra delle chiocciole che si<br />

svolge annualmente presso il centro di Gesico, l’importanza alimentare di tali invertebrati<br />

si evince anche dalle seguenti testimonianze. 2 Vittorio Angius (2006: 1430),<br />

riferendosi alle risorse di cibo allora disponibili agli abitanti di Sassari, scrive:<br />

Di lumachette (gioga minudda), di lumaconi (gioga grossa o coccòittu) e<br />

di quella specie che dicono la monza si fa in Sassari una immensa consumazione.<br />

Di lumache grosse e di monza se ne porta grandissima copia dai sorsinchi e<br />

dai sennoresi, e anche da altri villici, e specialmente la seconda specie. Le<br />

lumachette si raccolgono nello stesso territorio di Sassari, dove si moltiplicano<br />

prodigiosamente, dalle famiglie campagnuole, che custodiscono i predi, e<br />

non saranno meno di 1,200.<br />

2 L’atteggiamento positivo nei confronti delle chiocciole eduli non è però estendibile<br />

automaticamente a tutti i territori della Sardegna e non riguarda tutte le specie. Infatti la<br />

ricerca dei molluschi terrestri è una pratica che dipende da molteplici fattori ecologici e<br />

socioculturali e le specie che sono oggetto di interesse gastronomico variano in funzione<br />

delle condizioni ambientali delle varie zone geografiche e delle tendenze alimentari di<br />

ogni sub-regione sarda, a volte anche di singoli centri.


LE DENOMINAZIONI POPOLARI DELLE CHIOCCIOLE NELLE VARIETÀ SARDE MERIDIONALI<br />

Di uguale interesse è un componimento poetico popolare dal titolo Gosos<br />

de Santu Mengu Gloriosu de Ossi (Lubinu 1995). Santu Mengu, un santo<br />

inventato, è invocato dai fedeli affinché, nei periodi di carestia, conceda una<br />

abbondante presenza di chiocciole.<br />

Infine ricordiamo che Max Leopold Wagner, durante le inchieste per l’Atlante<br />

Linguistico Italo-Svizzero (AIS) racconta che, trovandosi ad Ales e non<br />

avendo mangiato nulla per tutta la giornata, calmò i morsi della fame con una<br />

abbondante porzione di chiocciole, l’unico cibo allora disponibile in grande<br />

quantità (Wagner 2005: 22).<br />

Non è inutile ricordare che in Sardegna queste erano anche oggetto di<br />

piccolo commercio poiché erano vendute sia da commercianti sedentari, sia da<br />

ambulanti.<br />

4. Un buon numero di nomi popolari relativi a tali invertebrati è reperibile in<br />

opere quali AIS, DES e Marcialis (1892, 2005). Tuttavia, poiché l’identificazione<br />

precisa del referente in rapporto al nome rilevato è un’esigenza molto importante<br />

negli studi zoonimici, le informazioni bibliografiche vanno esaminate con<br />

attenzione perché le specie di molluschi terrestri sono varie e non sono sempre<br />

facili da determinare, almeno per un profano della materia. Ciò può portare ad<br />

alcune imprecisioni.<br />

Limitandoci all’illustrazione di un singolo esempio, in DES (177) troviamo il<br />

lemma bovéri corredato dalle seguenti informazioni: «m., camp. rust. ‘lumacone<br />

nudo’ (Domus de Maria, San Nicolò Gerrei, Sarrok: bovvéri: ALIT 4749) = cat.<br />

bover (boer) ‘caragol de terra, més gros que els ordinaris y de color fosch; és<br />

l’espècie Helix aspersa’ (DCVB II, 572)».<br />

Che bovéri significhi realmente ‘lumacone nudo’ è però sospetto perché<br />

non si spiegherebbe allora come la parola catalana bover (boer), che designa un<br />

tipo di chiocciola, possa essere alla base del sardo bovéri con il significato di<br />

‘lumacone nudo’: la chiocciola è infatti un mollusco ben diverso dalla limaccia.<br />

Inoltre i rilievi condotti sul campo hanno evidenziato che in tutte le località di<br />

rilevamento dove la parola bovéri è utilizzata, questa designa l’Helix aspersa,<br />

significato che concorda perfettamente con la base catalana. 3<br />

3 Risultano dubbi anche babbalúkka (San Nicolò Gerrei), babbalúg.a (Seulo, Escalaplano<br />

e Isili), babbalòkka (Dolianova, Mandas, ecc.), babbárra (Ballao) che, in DES (142),<br />

sono glossati con ‘lumacone nudo’. Nelle località citate, secondo le nostre ricerche, il<br />

lumacone nudo possiede infatti denominazioni diverse.<br />

75


76<br />

5. Dovendo effettuare rilievi sul campo necessari a confermare, eventualmente<br />

perfezionare, alcuni dati bibliografici e raccoglierne di inediti, si è reso allora<br />

essenziale acquisire una almeno minima preparazione di malacologia ma, soprattutto,<br />

ci si è avvalsi della consulenza di specialisti, fondamentale per identificare<br />

correttamente le specie con cui sono state condotte le inchieste. 4<br />

Al fine di evidenziare la varianza o l’invarianza diatopica delle denominazioni<br />

popolari pertinenti a tali invertebrati, si è scelto di svolgere le ricerche sul<br />

campo predisponendo una fitta rete di punti d’inchiesta, all’interno dei territori<br />

dove sono parlate le varietà cosiddette campidanesi (Virdis 1988: 905). Agli<br />

informatori, in media cinque per località di rilevamento e di età compresa tra i<br />

sessanta e gli ottanta anni, sono stati mostrati esemplari vivi e nicchi delle varie<br />

specie eduli. Sono infatti queste, tranne una eccezione (vd. par. 11), a ricevere<br />

specifici appellativi popolari.<br />

I materiali lessicali sono ordinati dal punto di vista onomasiologico. Omettendo<br />

di menzionare i grafemi usati con valore identico a quello italiano, si noti:<br />

c’, g’ = affricata prepalatale rispettivamente sorda e sonora; b., d. e g. = fricativa<br />

rispettivamente bilabiale, dentale e velare sonora; th = fricativa interdentale<br />

sorda; z = s sonora; dh = occlusiva sonora cacuminale; ts, dz = affricata<br />

alveodentale rispettivamente sorda e sonora; R = r uvulare; è, ò = e, o aperte; é,<br />

ó = e, o chiuse. La caduta di n intervocalica e la nasalizzazione della vocale<br />

precedente è segnata con (n). La natura semivocalica o semiconsonantica di i,<br />

u è notata con y ed w.<br />

Le abbreviazioni impiegate sono: camp. = campidanese; cat. = catalano; ital.<br />

= italiano; log. = logudorese; rust. = rustico; sp. = spagnolo.<br />

6. Denominazioni generiche<br />

Roberto Rattu<br />

Le denominazioni generiche della chiocciola sono (DES, 707; AIS, 459):<br />

a. sittsig.órru nel camp. (Villacidro, Escalaplano, Mogoro); sizig.órru a<br />

Sant’Antioco; sitseg.órru a Cagliari; sintsig.órru a Oristano; tsittsig.órru a<br />

Laconi; sissig.órru a Perdas de Fogu; c’inc’ig.órru a Desulo; pitthig.órru a<br />

Baunei e Triei; tithig.órru a Villagrande Strisaili e Arzana.<br />

Abbiamo personalmente rilevato sittsig.órru nei centri presso Cagliari, nel<br />

Campidano, in Trexenta, Marmilla, Sarcidano e in alcuni del Gerrei (Goni, San<br />

4 Ringrazio il dott. Alessandro Hallgass per la determinazione degli esemplari utilizzati<br />

nella ricerca sul campo.


LE DENOMINAZIONI POPOLARI DELLE CHIOCCIOLE NELLE VARIETÀ SARDE MERIDIONALI<br />

Nicolò Gerrei, San Basilio, Silius); inoltre abbiamo riscontrato sintsig.órru ad<br />

Ales e Villaverde; tsintsig.órru a Gadoni (anche sintsig.órru); c’ic’c’ig.órru in<br />

parte del Gerrei (Armungia, Villasalto) e nel Sarrabus; sissig.órru in Ogliastra;<br />

sic’ig.órru nel Sulcis (a Santadi e Villaperuccio anche sizig.órru).<br />

Dal punto di vista etimologico tali appellativi non sono del tutto chiari.<br />

Secondo DES (707) si sente kórru ‘corno’ poiché gli occhi delle chiocciole<br />

sono situati all’apice di lunghe appendici, popolarmente paragonate a corna, e<br />

sittsig.órru si intende come sèttsi + kórru, cioè ‘metti le corna’. Infatti, spesso<br />

i bambini recitavano delle filastrocche indirizzate alla chiocciola in cui si richiedeva<br />

l’estroflessione di tali appendici (Deledda 1972: 76). 5<br />

In riferimento alla parte radicale può essere aggiunta un’altra considerazione.<br />

Il linguista bavarese, infatti, osserva che alcuni nomi concernenti il cerambice e la<br />

cicala sono simili a quelli della chiocciola e, poiché i due insetti producono stridio,<br />

ipotizza per questo la presenza di una componente onomatopeica nella radice.<br />

A nostro avviso la presenza di tale componente è giustificabile anche a<br />

riguardo della radice sitts- e varr. che caratterizza gli appellativi pertinenti alla<br />

chiocciola; molte specie, infatti, facendo rientrare il corpo molle nel nicchio,<br />

espellono l’aria contenuta in quest’ultimo e producono un particolare sfrigolio.<br />

Per questo, ad esempio, la chiocciola naticoide (vd. par. 9) è nota in italiano<br />

anche con il nome comune di ‘friggiculo’ e ‘chiocciola canterina’.<br />

7. La rigatella (Eobania vermiculata)<br />

Il referente più rappresentativo delle denominazioni generiche appena elencate<br />

è l’Eobania vermiculata, specie edule assai ricercata e comunemente nota<br />

come rigatella. Vive soprattutto negli ambienti cespugliosi ed erbosi, il nicchio<br />

ha un diametro di 22-30 mm ed è di colore bianco-crema con bande marrone<br />

scuro o marrone-rossastro di ampiezza variabile, spesso fuse oppure interrotte,<br />

talvolta sostituite da una singola banda marrone chiaro.<br />

Oltre che dalle testimonianze degli informatori che, posti di fronte alle varie<br />

specie, indicano la rigatella come la chiocciola edule per eccellenza, la<br />

rappresentatività si evince dal seguente appellativo (Marcialis 1892: 30):<br />

5 La diffusione geografica di tale formuletta, caratterizzata dalla richiesta alla chiocciola di<br />

estroflettere le ‘corna’, è piuttosto vasta come rileva Caprotti (1979) e come dimostra una<br />

ricerca, ancora in corso, condotta da Giovanni Grosskopf (vd. www.GKweb.it/filachio/list.html,<br />

consultato il 30 agosto <strong>2010</strong>).<br />

77


78<br />

a. sizzigorru veru a Esterzili, Sadali e Sinnai, trascritto nella grafia della fonte<br />

e da noi rilevato, nella forma sittsig.órru éru, a Decimoputzu, Donori, Monastir<br />

e Ussana; il determinante aggettivale éru < VERU ‘vero’ (DES, 163) indica che<br />

si tratta della specie di chiocciola più tipica della categoria.<br />

La rigatella è inoltre detta:<br />

b. sizzigorru sardu (Marcialis 2005: 61), non localizzato e trascritto secondo<br />

la grafia della fonte.<br />

c. bibbig.órru a Maracalagonis, personalmente rilevato. Nella prima parte è<br />

presente la radice bib- che, assieme a bab- e bob-, è caratteristica di molti nomi<br />

della chiocciola zigrinata (vd. par. 8); nella seconda parte è presente kórru<br />

‘corno’ (vd. par. 6 punto a.). 6<br />

Per via di possibili intenti affettivi dettati dalla piccolezza e dalla livrea della<br />

specie, alcune denominazioni attingono all’ital. donzella. Secondo DES (327)<br />

la rigatella è detta:<br />

d. dzindzèlla a Laconi; sing’èlla a Oristano. 7 Abbiamo personalmente rilevato<br />

sing’èlla a Cabras, dzindzèlla a Meana e Narbolia; sintsèlla ad Ales,<br />

Gonnosnò, Isili, Nurallao, Villa Sant’Antonio e Villaverde; sindzèlla a Laconi.<br />

8. La chiocciola zigrinata (Helix aspersa)<br />

Roberto Rattu<br />

Detta comunemente chiocciola zigrinata o corrugata, l’Helix aspersa è un mollusco<br />

caratterizzato da nicchio di taglia grande, del diametro di 25-40 mm, rugoso<br />

e con una colorazione di fondo variabile dal giallastro chiaro, spesso con<br />

sfumature bruno-chiare e rossicce. Presente in tutta Italia, viene raccolto praticamente<br />

ovunque, nelle zone boscose, nei parchi e nei giardini, specialmente in<br />

autunno e dopo le piogge intense.<br />

Numerosi appellativi pertinenti a tale specie si caratterizzano per la radice<br />

b(r)a(b)- e varr., di probabile matrice fonosimbolica e il cui significato è quello<br />

di qualcosa di tondo o di rigonfio, riferito ovviamente al nicchio globoso. La<br />

chiocciola zigrinata è detta:<br />

a. babbárra a Ballao (Marcialis 1892: 31), nome che DES (142) definisce invece<br />

‘lumacone nudo’. Tale parola non risulta nota agli informatori interpellati.<br />

6 In DES (165) risulta lemmatizzato l’appellativo bibbig.òrra ma nel significato di ‘cicala’.<br />

7 Secondo Marcialis (2005: 60) sing’èlla designa a Meana il bulimino decollato o la<br />

stenogira decollata, denominazioni comuni con cui lo studioso cagliaritano allude probabilmente<br />

alla specie Rumina decollata. Le nostre inchieste presso il centro di Meana non<br />

hanno rilevato tale significato.


LE DENOMINAZIONI POPOLARI DELLE CHIOCCIOLE NELLE VARIETÀ SARDE MERIDIONALI<br />

b. barb.òdha, camp. rust. ‘lumaca’ (DES, 152), denominazione personalmente<br />

rilevata a Villanovafranca, nella forma brobbòdha, per designare l’Helix<br />

aspersa. Wagner riconduce l’appellativo – seppure dubbiosamente – a bárb.a<br />

‘barba, mento’ ma sono dell’avviso che anche questo, così come quelli raccolti<br />

ai punti a. e c., sia da interpretarsi come una formazione fonosimbolica tesa a<br />

esprimere il gonfiore tondeggiante. Da tale punto di vista barb.òdha,<br />

brobbòdha non andrà separato dal camp. burb.údha ‘bolla, pustola, vescica’,<br />

parola anch’essa di matrice fonosimbolica (DES, 184).<br />

Personalmente abbiamo rilevato:<br />

c. babballòk(k)a a Dolianova, Gesico e Suelli; babballúkka a Perdas de<br />

Fogu, Seulo e Silius; babballúkku a Laconi e Meana; babbal(l)úg.a a<br />

Escalaplano, Esterzili, Gergei, Isili, Orroli, San Basilio, Senorbì (anche bovéri);<br />

babballúg.u a Nurallao; babbaúg.a a Collinas, Gesturi, Mandas e Ussaramanna;<br />

babbayòkka a Morgongiori; babbayókku ad Ales (dove babbayòkka si usa<br />

invece per definire le ragazze particolarmente formose); brab.allúkka a Ballao<br />

(anche brabballúkka); brabballúkka a Villasalto; brabballòkka a San Nicolò<br />

Gerrei; braballúkku a Villa Sant’Antonio; bobbiettá a Siddi; bobboittána a<br />

Turri; babbaròc’c’a a Samassi; brab.allòc’c’a a Sardara; brabballòc’c’a a<br />

Pauli Arbarei e Tuili; brabballò(n)i a Nuragus; brábbulla a Goni; bayòkka a<br />

Mogoro; ballòkka a Donori, Monastir, Nuraminis, Sant’Andrea Frius e Ussana.<br />

Al cat. bover ‘Helix aspersa’ si riconduce l’appellativo seguente che in DES<br />

(177) è glossato, probabilmente per errore, con ‘lumacone nudo’ (vd. par. 4):<br />

d. bovéri a Domus de Maria, San Nicolò Gerrei; bovvéri a Sarrok. I nostri<br />

rilievi hanno riscontrato bovéri ad Arbus, Arixi, Burcei (anche sittsig.órru bovéri),<br />

Decimomannu, Iglesias, Masainas, Musei, Narcao, Ortacesus, Quartucciu,<br />

Santadi, San Vito (anche c’ic’c’ig.órru bovéri), Selargius, Senorbì (anche<br />

babballúg.a), Siliqua, Sinnai (anche bòva), Soleminis, Villaperuccio, Villasor.<br />

e. sittsig.órru bovéri a Cagliari (Marcialis 2005: 61), personalmente rilevato<br />

anche a Decimoputzu, Vallermosa e Villaputzu (anche mammalòkka);<br />

c’ic’c’ig.órru bovéri ad Armungia, Muravera e San Vito; sissig.órru bovéri a<br />

Gairo e Lanusei. Infine Marcialis (1982: 31) riporta sizzigorru bovà a Sinnai, da<br />

noi non rilevato e trascritto perciò secondo la grafia della fonte.<br />

All’incrocio tra mung’ètta (vd. par. 9 punto b.) e bovéri si deve la denominazione<br />

seguente, personalmente rilevata:<br />

f. mong’éri a Maracalagonis.<br />

Alla livrea variegata del nicchio si appuntano gli appellativi seguenti:<br />

g. pertyáttsu a Oristano, letteralm. ‘striato’ (DES, 608), da noi personalmente<br />

rilevato anche a Milis.<br />

79


80<br />

h. píb.era a Baunei, letteralm. ‘vipera’, personalmente rilevato. La denominazione<br />

si spiega per la livrea variegata del nicchio che ricorda quella della pelle<br />

delle serpi. 8<br />

Poiché la chiocciola zigrinata è il mollusco terrestre più grande della fauna<br />

sarda e poiché tali invertebrati, grossi e lenti, non sono certo associati a particolari<br />

doti di intelligenza, si spiegano gli appellativi che attingono al log. e<br />

camp. lóku ‘stolto, scemo’ < sp. loco (DES, 482), al log. e camp. bóvu ‘babbeo,<br />

balordo, goffo’ < sp. bobo (DES, 177) e al camp. mammalúkka, log.<br />

mam(m)alúkku ‘persona stupida’ < ital. mammalucco, mammalucca (DES, 498).<br />

Nelle nostre inchieste abbiamo rispettivamente rilevato:<br />

i. lòka a San Gavino (dove la parola designa anche una persona grassa e di<br />

non spiccata intelligenza); lòkka a Samatzai; allòkka a Barrali (anche lòkka),<br />

Guasila e Pimentel, probabilmente appellativi di compromesso tra ballòkka<br />

(vd. punto c.) e lòka.<br />

l. bòva a Quartucciu, Settimo San Pietro e Sinnai (anche bovéri).<br />

m. mammallúkka a Perdas de Fogu; mammalòkka a Villaputzu (ma anche<br />

sittsig.órru bovéri, vd. punto e.).<br />

<strong>9.</strong> La chiocciola naticoide (Cantareus apertus)<br />

Roberto Rattu<br />

Mollusco edule particolarmente apprezzato, il Cantareus apertus è noto comunemente<br />

con il nome di chiocciola naticoide. Presenta un fragile nicchio marrone<br />

o verde scuro di 20-25 mm, possiede abitudini notturne e si trova principalmente<br />

a quote basse, nei terreni marnosi e argillosi, durante i periodi piovosi. In<br />

estate, come molte altre specie di chiocciole, il Cantareus apertus s’infossa nel<br />

terreno e ritrae il corpo molle nel nicchio che viene poi chiuso a scopo protettivo<br />

da una membrana provvisoria detta epifragma, particolarmente spessa e di<br />

colore bianco candido.<br />

In relazione ai due diversi stadi in cui tale specie può essere rinvenuta, la<br />

nomenclatura popolare opera una distinzione; quando si rinviene nei mesi estivi<br />

sotto il terreno, per via della presenza dell’epifragma che funge da ‘tappo’, è<br />

detta (DES, 733):<br />

a. tappád.a in camp., letteralm. ‘tappata’. L’appellativo è stato personalmente<br />

rilevato nei centri presso Cagliari, nel Campidano, in Marmilla, Trexenta,<br />

8 La fauna sarda non annovera alcuna specie di vipera. Con píb.ara e varr. si designano<br />

infatti due specie di serpenti ben diverse dalle vipere vere e proprie (DES, 622).


LE DENOMINAZIONI POPOLARI DELLE CHIOCCIOLE NELLE VARIETÀ SARDE MERIDIONALI<br />

Ogliastra e Gerrei; tappára ad Assemini e nel Sulcis; pattad.èdhas a Gairo (con<br />

metatesi).<br />

Altrimenti, per il nicchio e il corpo molle di colore scuro o per l’epifragma<br />

bianco candido, alcuni nomi attingono alla parola ‘monaca’; in cat., ad esempio,<br />

mongeta designa un «caragol petit i blanc», appellativo che in Sardegna è passato<br />

a designare la chiocciola naticoide. La specie è infatti denominata (DES, 535):<br />

b. mong’ètta nel camp. Abbiamo personalmente rilevato mong’ètta,<br />

mung’ètta nei centri prossimi a Cagliari, nel Sulcis, nel Campidano, in Trexenta,<br />

nella Marmilla, nel Gerrei, nel Sarcidano; mong’ítta a Esterzili, Ilbono, Perdas de<br />

Fogu e Seulo; mung’ítta a Escalaplano, Muravera e Orroli.<br />

Alla livrea si appuntano anche gli appellativi seguenti:<br />

c. moréttu a Milis, dall’ital. moro, personalmente rilevato.<br />

d. sizzigorrus nieddus, letteralm. ‘chiocciole nere’ a Oristano (Marcialis 1892:<br />

31), non personalmente rilevato e trascritto perciò secondo la grafia della fonte.<br />

10. La Theba pisana<br />

La Theba pisana è un mollusco caratterizzato da nicchio bianco-giallastro,<br />

più raramente rosa, con strie di accrescimento tagliate da sottili bande<br />

spiraliformi con vari disegni, spesso diffusi, trasparenti o fusi. Specie edule,<br />

vive nelle zone ricche di arbusti, soprattutto lungo le coste. Durante i mesi<br />

estivi tale specie ha la curiosa abitudine di radunarsi, spesso in grandissimo<br />

numero, sui rami di alberi e cespugli per trascorrere allo stato letargico la<br />

stagione calda; è proprio in tale periodo che la Theba pisana viene raccolta.<br />

Perciò, presso numerosi punti d’inchiesta, le denominazioni popolari relative<br />

a tale specie si caratterizzano per la presenza di nomi di santi le cui celebrazioni<br />

avvengono in estate: san Giovanni, santa Barbara, san Pietro. Abbiamo<br />

rispettivamente e personalmente rilevato:<br />

a. bibbig.orrédh’e zánt’uánni a Maracalagonis; sintsèlla de zánt’uánni a<br />

Villaverde;<br />

sittsig.órru, -édhu de zánt’uánni nei centri presso Cagliari, nel Campidano,<br />

in Trexenta e in Marmilla.<br />

b. c’ic’c’g.órru de zánt’ráb.ara a Villasalto. 9<br />

c. sittsig.órr’e zántu b.éd.ru a Decimoputzu.<br />

9 Secondo Angius (2006: 1771), a Villasalto, la festa di santa Barbara si celebra nella prima<br />

domenica di giugno.<br />

81


82<br />

11. La Marmorana serpentina<br />

La Marmorana serpentina è una chiocciola di medie dimensioni il cui nicchio<br />

misura 17-21 mm di diametro. Tale specie si rinviene, soprattutto nei mesi<br />

autunnali e in pieno inverno, presso rocce, muri a secco e pareti esterne delle<br />

case di campagna. Ha abitudini notturne e, rispetto alle altre specie oggetto del<br />

presente contributo, non è specie edule. Secondo Marcialis (1899: 42) le chiocciole<br />

appartenenti a tale specie sono dette:<br />

a. sizzigorrus de coloru a Cagliari, letteralm. ‘chiocciole della biscia’, denominazione<br />

non personalmente rilevata, trascritta perciò secondo la grafia della<br />

fonte e che compete anche alla Leucochroa candidissima. 10 Abbiamo personalmente<br />

rilevato sittsig.órru de g.oRóru a Isili; sittsig.órru de b.íb.ara a Gergei,<br />

letteralm. ‘chiocciola della vipera’. 11<br />

Abbiamo personalmente riscontrato anche:<br />

c. sittsig.orrédhu de arrána a Goni e Nurallao; sitsig.orrédhu e arrá(n)a<br />

a Ballao; c’ic’c’ig.orrédhu de arrána a Escalaplano, letteralm. ‘chiocciolina<br />

della rana’.<br />

L’attribuzione al serpente e alla rana si deve ad una particolare credenza,<br />

così descritta da Marcialis (1899: 42): «A Cagliari si hanno delle chiocciole<br />

terrestri denominate sizzigorrus de coloru; cioè la Leucochroa candidissima, e<br />

l’Helix serpentina, perché si crede che le allevi la biscia, come a Cuglieri si<br />

chiamano coccoide de ranas, perché si crede che la allevi la rana». Il rapporto<br />

tra molluschi terrestri e rane è attestato anche in Francia (Agen) perché, secondo<br />

Rolland (1881: 196), «les œufs de limaçon sont couvés par des crapauds».<br />

L’attribuzione alla rana e alla serpe è probabilmente dovuta anche al fatto<br />

che la specie in oggetto non è edule: spesso, soprattutto nella fitonimia popolare,<br />

la caratteristica della ‘non commestibilità’ è espressa attraverso l’attribuzione<br />

a un animale selvatico (Paulis 1992: 164 e 214). Tuttavia è anche il colore<br />

del nicchio della Marmorana serpentina, screziato come la pelle di un serpente,<br />

ad aver motivato il legame con tale rettile e su cui, come conseguenza, può<br />

essere insorta la particolare credenza descritta dallo studioso cagliaritano.<br />

10 La specie è ora nota con la denominazione scientifica di Sphincterochila candidissima.<br />

11 Vedi nota 8.<br />

Roberto Rattu


LE DENOMINAZIONI POPOLARI DELLE CHIOCCIOLE NELLE VARIETÀ SARDE MERIDIONALI<br />

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Cagliari, Cagliari, s.d.<br />

83


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Roberto Rattu<br />

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ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA<br />

ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA *<br />

Roberto A. Pantaleoni<br />

Istituto per lo Studio degli Ecosistemi (CNR) – Università degli Studi di Sassari<br />

Stefania Bagella<br />

Università degli Studi di Sassari<br />

Le ‘Memorie sulla Geo-Fauna sarda’ di Achille Costa<br />

Il 3 settembre 1881, alle nove di sera, dopo un viaggio per mare di 31 ore –<br />

anziché le normali 26 causa le avverse condizioni meteorologiche – il<br />

cinquantottenne professore Achille Costa, medico, titolare della cattedra di Zoologia<br />

nell’Università partenopea, appartenente ad una illustre famiglia di zoologi<br />

(Fig. 1), sbarca dal piroscafo postale A. Volta proveniente da Napoli e si dirige<br />

verso il «meglio tenuto» albergo di Cagliari: La Scala di Ferro.<br />

Inizia da qui la più intensa e produttiva esplorazione naturalistica della Sardegna<br />

compiuta da uno studioso non residente nel XIX secolo. Nel quinquennio<br />

1881-1885 Achille Costa trascorrerà oltre otto mesi sull’Isola percorrendone praticamente<br />

ogni angolo (Fig. 2). Al termine del proprio impegno, ormai sfinito, 1<br />

avrà raccolto, preparato, classificato e pubblicato ben 3.121 specie animali, di cui<br />

2.822 insetti, 2 che andranno ad arricchire la Collezione Entomologica dell’Italia<br />

meridionale ed insulare presso il ‘suo’ Museo Zoologico all’Università di<br />

Napoli (Maio et al. 1995: 201). Come termine di paragone si consideri che nella<br />

recente Checklist delle specie della fauna italiana sono citate per la Sardegna<br />

8.312 specie d’insetti (Minelli 1996). Ogni studioso faunista potrebbe oggi testi-<br />

* Entrambi gli autori hanno contribuito alla stesura di questo saggio in parti uguali,<br />

nell’ambito delle proprie specifiche competenze (RAP è un entomologo che si occupa<br />

anche di storia della propria materia, SB si occupa di storia della scienza con particolare<br />

riguardo alla Sardegna).<br />

1 L’ultimo viaggio si concluse con Achille Costa ammalato e bloccato a Dorgali che<br />

improvvisamente cede le armi e dichiara «Ristabilitomi, non volli più saperne di ricerche<br />

scientifiche» (Mem VI: 19).<br />

2 Il numero fornito da Antonello Crovetti è molto superiore (3.116); probabilmente non<br />

sono state eliminate dal conteggio le specie citate due o più volte (Crovetti 1970: 70).<br />

85<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 85-106


86 Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

moniare quale mostruoso impegno possa essere il raccogliere ed identificare più<br />

di un terzo dell’entomofauna di una qualsivoglia regione.<br />

Come compenso di tante fatiche, Achille Costa doveva aspettarsi il<br />

raggiungimento dei grandi risultati che ebbe, anche se con modestia, probabilmente<br />

falsa, dichiarò fin dall’inizio che le sue peregrinazioni non erano inedite:<br />

Non perché quest’isola fosse stata finora poco esplorata, chè anzi basterebbe<br />

menzionare le ricerche del Genè, il quale vi dimorò non una, ma diverse intere<br />

stagioni per incarico del Governo del Piemonte, per convincersi del contrario [<br />

… ]. Dopo del Genè, vari Naturalisti stranieri ed italiani hanno fatto ricerche in<br />

quell’isola, e ciascuno vi ha avuto la sua quota di bottino scientifico. Tutto ciò<br />

non mi dissuadeva dal visitare la Sardegna; sia perché era in me vivo il desiderio<br />

di conoscere un’isola, che tanto offre pel Naturalista, sia perché persuaso che<br />

nessuna contrada può dirsi esplorata abbastanza, e che qualche spigolatura poteva<br />

ancora esservi a raccogliere. 3 (Mem I: 1)<br />

D’altra parte Achille Costa non era nuovo all’esplorazione naturalistica, che<br />

anzi ha caratterizzato tutta la sua vita:<br />

Quasi contemporaneamente, iniziò l’attività faunistica esplorativa di un<br />

grande entomologo, Achille Costa (1823-1898), figlio di Oronzio Gabriele e suo<br />

successore alla cattedra di Zoologia dell’Università di Napoli, nella direzione del<br />

Museo Zoologico e nella redazione della Fauna del Regno di Napoli, oltre che<br />

nella prosecuzione dei viaggi nell’Appennino meridionale. Indagatore acuto<br />

della fauna, mostra nella sua vasta produzione uno stile nuovo, moderno, nella<br />

precisazione delle località di raccolta, nel rigore delle descrizioni, nella valutazione<br />

dei caratteri delle nuove specie, accanto ad un interesse più propriamente<br />

«zoogeografico» nella impostazione delle ricerche. Le sue ricerche successive<br />

sulla fauna sarda testimoniano ancor più questi aspetti, che ce lo fanno considerare<br />

il primo vero “«faunista» italiano. (Ruffo &Vigna Taglianti 1988: 13)<br />

Il destino dell’opera di questo grande zoologo fu però poco fortunato. La<br />

sua collezione restò abbandonata all’incuria, i suoi archivi dispersi, le sue pubblicazioni<br />

pressoché ignorate, 4 non ne è mai stata tracciata una soddisfacente<br />

biografia 5 e non esiste un esaustivo elenco dei suoi scritti. Nonostante le testimonianze<br />

del suo grande amore per i propri studenti (De Stefani 1899) non ebbe<br />

3 Per quanto riguarda Gené si riporta da Conci (1975: 918): «Gené Giuseppe, Turbigo<br />

(Milano) <strong>9.</strong>12.1800 (7.12.1800 secondo Sismonda) – Torino 14.7.1847. Celebre<br />

naturalista, professore di zoologia all’Università e direttore (1831-47) del Museo<br />

Zoologico di Torino. Vanno ricordati i suoi quattro importanti viaggi di raccolta in<br />

Sardegna (1833-38) e l’opera De quibusdam Insectis Sardiniae, Torino, in due parti,<br />

1836 e 183<strong>9.</strong> Collezione al Museo Zoologico di Torino».<br />

4 Questi aspetti sono stati ben evidenziati durante lo studio degli Insetti Neurotteri della<br />

collezione Achille Costa (Pantaleoni 1999 e 2005).<br />

5 La più completa, ad oggi, è quella di D’Ambrosio 1984.


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

allievi che ne proseguissero l’opera e dopo la sua morte l’Università di Napoli si<br />

distinse per il disinteresse nei suoi confronti. 6<br />

Così, anche i resoconti dei viaggi in Sardegna sono rimasti esclusivo patrimonio<br />

di pochi specialisti entomologi e faunisti. Delle oltre trecento pagine delle<br />

sei pubblicazioni principali, 7 ben un centinaio, anche se con un’angolazione<br />

estremamente peculiare, hanno invece un carattere strettamente odeporico di<br />

più vasto interesse. 8<br />

Achille Costa pubblicò sei Memorie di Notizie ed Osservazioni sulla Geo-<br />

Fauna Sarda negli Atti della Reale Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche<br />

di Napoli (Fig. 3). 9 Ciascuna di queste è relative ad una spedizione<br />

sull’Isola con l’eccezione della quarta dedicata esclusivamente, per motivi che si<br />

vedranno in seguito, allo studio del materiale raccolto. Gli esatti periodi dei<br />

viaggi, da Napoli a Napoli, sono i seguenti: 2 settembre – 6 ottobre 1881 (Memoria<br />

prima); 15 aprile – 29 giugno 1882 (Memoria seconda); 7 luglio – 14 settembre<br />

1883 (Memoria terza); 10 10 maggio – 4 giugno 1885 (Memoria quinta); 11 2 luglio –<br />

21 agosto 1885 (Memoria sesta).<br />

6 Non così il mondo scientifico internazionale, visto il numero di necrologi immediatamente<br />

apparso in numerose riviste italiane, europee ed anche statunitensi (Conci 1975: 886).<br />

7 Achille Costa pubblicò in svariate occasioni anche articoli, saggi e lavori ‘minori’ sulle<br />

sue ricerche in Sardegna (per un elenco probabilmente incompleto vedi Pantaleoni<br />

2005), ma nessuno di questi a carattere neppure indirettamente odeporico.<br />

8 Achille Costa ha utilizzato per la prima volta uno stile odeporico per il suo viaggio in Egitto,<br />

Palestina e Turchia negli anni 1873-74 (Costa 1875), quindi per la breve escursione sui<br />

Monti Alburni, nel 1874 (Costa 1874), e per l’esplorazione della Sila nel 1876 (Costa 1882).<br />

9 I saggi contenuti in questa rivista venivano prima pubblicati come fascicoli separati<br />

(estratti) e quindi riuniti in volume. Le pagine di ciascun fascicolo partivano da 1. La<br />

data di pubblicazione dell’estratto è quindi la data di pubblicazione effettiva del lavoro.<br />

Nella bibliografia (vedi) la data di pubblicazione del volume è indicata tra parentesi<br />

quadre dopo il numero di serie. Le memorie di Achille Costa sono indicate in questa sede<br />

come: Mem I, Mem II, Mem III, Mem IV, Mem V, Mem VI.<br />

10 La Memoria quarta è dedicata allo studio del materiale già raccolto e non ad uno<br />

specifico viaggio.<br />

11 Questa è l’unica memoria in cui Achille Costa non descrive completamente il proprio<br />

viaggio: «Le regioni esplorate durante i ventiquattro giorni passati nell’isola, dall’11<br />

maggio al 3 giugno, sono state in gran parte quelle stesse già più volte visitate, cioè il<br />

Campidano di Cagliari, quello di Oristano e le adiacenze di Sassari. Pochi paesi ho visti<br />

non ancor conosciuti, come Sinnai e Maracalagonis con l’attiguo stagno, Uta, San<br />

Sperate nel Cagliaritano; Solarussa e Donigalla presso Oristano; Paulilatino. Epperò<br />

non m’intratterrò a riferirne i particolari. Una regione sola è stata per me del tutto<br />

nuova, ed ha colmata una delle non poche lacune che tuttavia avverto e che mi propongo<br />

un po’ per volta colmare : l’è quella che fa parte del Circondario di Iglesias e che<br />

comprende Monte Vecchio, Guspini, Gonnos-Fanadiga e Villacidro. Sicché credo utile<br />

trarre dal mio giornale quel che si riferisce a siffatte località» (Mem VI: 3).<br />

87


88<br />

Nella Memoria prima Achille Costa enuncia la struttura e le finalità dell’opera,<br />

riassunte nell’intenzione di fornire un<br />

ragguaglio de’ luoghi percorsi e de’ mezzi a ciò adoperati, potendo siffatte indicazioni<br />

sopratutto per le regioni montuose nelle quali s’incontrano le difficoltà<br />

maggiori, riuscire utili ad altri naturalisti che volessero battere i medesimi sentieri,<br />

siccome ho fatto pel viaggio in Calabria. Ed indicando in ciascun luogo le specie<br />

più interessanti rinvenutevi, l’insieme di tali notizie può somministrare utili elementi<br />

per la geografia zoologica. In una seconda parte esporrò sistematicamente<br />

quello che nelle diverse contrade ho raccolto. Una terza conterrà le note illustrative<br />

o la descrizione succinta di specie che lo meritassero. (Mem I: 2)<br />

Le Memorie presentano quindi una struttura omogenea, sistematicamente<br />

articolata in tre parti. La prima, a carattere generale, comprende la relazione e le<br />

osservazioni di viaggio, inscindibilmente frammiste alle note entomologiche. I<br />

dati specialistici vengono invece riportati ed approfonditi nella seconda e terza<br />

parte di ciascuna memoria, comprendenti rispettivamente il catalogo dei materiali<br />

raccolti ed identificati e le descrizioni di specie ritenute di particolare interesse.<br />

Achille Costa, viaggiatore scientifico<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

Nei dettagliati resoconti delle ‘peregrinazioni’ compiute in Sardegna – una sorta<br />

di diario di viaggio – emerge chiaramente l’individuazione di un target di lettori:<br />

i destinatari virtuali sono i suoi pari naturalisti. Achille Costa tratteggia in modo<br />

scarno e sintetico un quadro preciso di alcuni aspetti dell’ambiente antropico<br />

che egli riteneva utili al lettore «aspirante esploratore». Nel testo fornisce suggerimenti<br />

e consigli scientifici e pratici, informazioni sulla viabilità e sui trasporti,<br />

sulle possibilità di alloggio, sulle istituzioni sanitarie, minerarie, scientifiche,<br />

sugli abitanti in genere e su molte singole persone. 12 Le informazioni odeporiche<br />

sono continue, ma mancano di metodo e di costanza perché prevale la superiore,<br />

costante e totale necessità della ricerca entomologica sul campo.<br />

Sulla dedizione del nostro nell’occuparsi di raccolte entomologiche, lui stesso<br />

dà involontariamente divertenti testimonianze, 13 come quando a Sassari, dome-<br />

12 Mem I: 2; Mem III: 12, 21.<br />

13 Già nel resoconto del viaggio in Egitto egli soffre la pretesa dei compagni di viaggio di<br />

visitare antichità anziché dedicarsi alle ricerche, tanto da sbottare: «Curiosati i più<br />

importanti monumenti, per quanto bastava a chi visitava quei luoghi non nella qualità di<br />

Archeologo, mi separo dai miei colleghi per dedicare il resto della giornata a ricerche<br />

scientifiche» (Costa 1875: 7).


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

nica 21 maggio 1882, fu invitato da alcuni colleghi dell’Università a «passar la<br />

giornata in villa» e «fu veramente una giornata di svago che si passò assai allegramente,<br />

contribuendovi ancora un cielo sereno ed una temperatura piacevole», ma<br />

«la scienza non venne del tutto messa in disparte: ché nelle ore abbisognate per<br />

allestirsi il banchetto esplorai i prati che si alternavano con la parte coltivata». 14 O<br />

quando, proveniente da Terranova (oggi Olbia) in piroscafo, sbarca a Siniscola e,<br />

non avendo altri mezzi di trasporto sistemò, il bagaglio su un piccolo carro: «Io lo<br />

seguii a piedi, e dovendo accomodarmi al lento passo de’ bovi, s’impiegarono non<br />

meno di due ore e quarto». Ma la lentezza favorì le raccolte: infatti lungo la via fece<br />

messe di Imenotteri Mutillidi, raccogliendone ben sei specie e concludendo soddisfatto:<br />

«Poteva ben dirsi la via delle Mutille». 15<br />

D’altro canto Achille Costa era disposto ad affrontare anche difficoltà piuttosto<br />

serie. Nella Memoria quarta spiega come una epidemia di colera lo abbia<br />

bloccato a Napoli:<br />

Di qui la disposizione di una quarantena di dieci giorni, che [ … ] passar si<br />

dovevano presso l’isola di S. Stefano. Siffatta misura proclamata tre giorni<br />

innanzi quello da me fissato per la partenza turbò evidentemente il mio progetto.<br />

E ciò non tanto pel noioso disagio cui avrei dovuto sottostare; ché l’ansietà<br />

di appagare il desiderio delle nuove ricerche mi avrebbe forse fatto subire il<br />

sacrificio. (Mem IV: 1)<br />

Ciò che lo preoccupava era invece qualcosa che gli era già accaduto in altre<br />

occasioni, ovverossia che le sue «innocenti esplorazioni» venissero equivocate<br />

ed egli stesso scambiato per spia od untore. 16<br />

Il pericolo che tende ad avvertire come realmente grave è quello malarico,<br />

timore che non lo scoraggia affatto dal percorrere contrade paludose come gli<br />

stagni di Cabras o la Baronia di Orosei. Queste zone infatti sono di grande<br />

interesse entomologico.<br />

In ambedue le mie precedenti peregrinazioni Oristano è stata la città nella<br />

quale ho fatto più lunga dimora. Quelle condizioni medesime che rendono l’aria<br />

poco salubre, per cui Oristano vien detta la tomba de’ forestieri, a causa del facile<br />

svilupparsi delle febbri miasmatiche pe’ molteplici stagni, onde è circondata,<br />

danno a quelle campagne una straordinaria importanza pel zoologo. Ancor questa<br />

volta mi vi son fermato otto giorni. (Mem III: 15) 17<br />

14 Mem II: 16.<br />

15 Mem VI: 8.<br />

16 Mem IV: 1-2, nota 1.<br />

17 Si veda anche, per la Baronia, Mem VI: 17.<br />

89


90<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

Ma anche la stessa entomologia a volte lo perseguita; così a Posada il 20 luglio<br />

1885: «La notte, a causa dello straordinario numero di zanzare, non fu possibile<br />

dormire un minuto solo»; 18 e nella Casa Cantoniera tra Orosei e Dorgali l’8 agosto<br />

1885, quando ormai ammalato passò «la notte sdraiato a terra, senza poter chiudere<br />

occhi per la quantità di pulci che m’invasero il corpo d’ogni parte». 19<br />

Il viaggio stesso è programmato e si svolge in base alle esigenze scientifiche<br />

– per esempio in rapporto alle migliori possibilità di reperimento degli insetti<br />

nelle diverse fasi di vita, di genere e di quantità – che motivano i periodi e gli<br />

itinerari prescelti. Le tante difficoltà pratiche superate in vista dell’obiettivo<br />

prefissato sono esposte nelle relazioni con un certo distacco, come fatica necessaria.<br />

Achille Costa ha la consapevolezza di non ricalcare i percorsi dei viaggiatori<br />

del tempo, abbastanza sperimentati e in media meno disagevoli di quelli da<br />

lui prescelti. Si tratta di una «maniera di viaggiare che defatiga oltremodo, e che<br />

soltanto una cieca ed incondizionata passione può far tollerare». 20<br />

I mezzi di trasporto e la viabilità nella Sardegna di fine Ottocento<br />

Accurato pianificatore delle sue spedizioni, Achille Costa fornisce descrizioni<br />

dettagliate delle modalità del viaggio, dei mezzi di trasporto, della qualità delle<br />

strade e dei tempi di percorrenza, tracciando un quadro fedele delle possibilità di<br />

spostamento nell’Isola nei primi anni Ottanta dell’Ottocento. 21 Non facendosi<br />

scoraggiare dalla carenza di trasporti ufficiali, spesso si procura per proprio<br />

conto «mezzi speciali, che in generale in Sardegna costano molto», 22 sia per<br />

l’eccezionalità del servizio richiesto che per la necessità di disporre di guide<br />

esperte dei luoghi.<br />

Su 116 spostamenti interni all’isola descritti nelle Memorie, il 44 % si svolge<br />

con mezzi regolarmente in servizio, e precisamente in corriera 23 nel 9 % dei casi,<br />

con la carrozza 24 per un altro 9 %, in treno per il restante 26 %. A volte – 12 %<br />

degli spostamenti – Achille Costa noleggia una carrozza privata, oppure, per<br />

18 Mem VI: 10.<br />

19 Mem VI: 1<strong>9.</strong><br />

20 Mem III: 2.<br />

21 Mem I: 3.<br />

22 Mem I: 6.<br />

23 Vettura trainata da cavalli, in servizio ufficiale, spesso anche postale, tra due località o<br />

comuni.<br />

24 Veicolo pubblico a quattro ruote trainato da cavalli.


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

inaccessibilità dei luoghi o indisponibilità di mezzi, semplici veicoli a due ruote<br />

tirati da un solo cavallo: calessi, legni (o legnetti), biroccini, saltafossi (12 %).<br />

In relazione alle difficoltà dei percorsi è spesso necessario spostarsi a cavallo:<br />

mezzo utilizzato nel 25 % dei casi. Nel 7 % l’unico modo per procedere è<br />

andare a piedi, quando i luoghi siano particolarmente difficili, o per guasti e<br />

disservizi dei mezzi di trasporto. In molti casi il percorso è misto, e lunghi tratti di<br />

strada a piedi sono quotidiani, anche perché necessari alle ricerche sul campo. È<br />

evidente la grande varietà delle soluzioni e la coesistenza di modalità di trasporto<br />

di antica tradizione insieme all’affermarsi dei mezzi più moderni.<br />

Durante i suoi viaggi Achille Costa è testimone diretto dell’epocale – per<br />

quanto relativa – modernizzazione dei trasporti in Sardegna, con lo sviluppo<br />

delle strade ferrate. 25 La prima tratta sarda (Cagliari – Decimomannu – Villasor)<br />

era stata inaugurata nel 1871, ma è nel 1880 che si completa il percorso Cagliari –<br />

Porto Torres e negli anni successivi entrano in servizio numerose tratte come,<br />

nel 1883, la Olbia – Golfo Aranci. Sull’introduzione del treno in quest’ultima<br />

località Achille Costa nota:<br />

Avevo visitato questo punto nel giugno 1882, quando cioè la ferrovia che<br />

doveva congiungerlo a Terranova era appena nel suo cominciamento. In allora,<br />

solo qualche meschina casetta colonica vedevasi in quella campagna. Attualmente<br />

vi ha un vasto edifizio per la stazione, nel quale, oltre all’abitazione per<br />

gl’impiegati, la Società per le Ferrovie sarde, con provvido divisamento, ha<br />

destinato alcune stanze sufficientemente decenti ad uso di albergo. 26<br />

Il giudizio generale sulle possibilità di trasporto in Sardegna è abbastanza<br />

positivo:<br />

La distanza che separa Sassari da Tempio è grandissima: nulladimeno i mezzi<br />

di comunicazione e di viabilità, di cui in generale oggi l’isola non scarseggia, sono<br />

ordinati in guisa, di potervi andare nella giornata. (Mem I: 14) 27<br />

25 Sulle ferrovie in Sardegna vid. Corda 1984; sui viaggi in genere e sulla viabilità<br />

ottocentesca: E. Costa 1992, III: 1338-1442.<br />

26 Nel 1885 (Mem VI: 2) Terranova è Olbia. Nel 1882 Achille Costa (Mem II: 26) notava<br />

che Golfo Aranci «tra poco sarà congiunto ad Olbia mediante ferrovia».<br />

27 Da Sassari si raggiungeva Oschiri in treno e poi si continuava con la vettura postale. Altri<br />

esempi di trasporti e tempi di percorrenza: in treno da Oristano a Sassari 7 h (Mem I: 12)<br />

e da Macomer a Cagliari 6 h (Mem II: 29); da Fonni a Nuoro a cavallo 6,5 h (Mem I: 10);<br />

da Cagliari a Monastir con una carrozza a noleggio 3,5 h (Mem III: 4); da Macomer a<br />

Nuoro in carrozza (con sosta notturna di tre ore) 10 h (Mem II: 27; p. 29 per il ritorno)<br />

e da Nuoro a Macomer in corriera circa 8,5 h (Mem I: 10); da Sant’Antioco a Iglesias con<br />

corriera postale 7 h (Mem III: 24); da Tempio a Olbia (Terranova) con «speciale vettura»<br />

5 h (Mem II: 26); dal Bruncu Paulina a Desulo «battendo un sentiere più corto e perciò più<br />

disastroso, e che fu mestieri percorrere in massima parte a piedi» in 3 h (Mem III: 10).<br />

91


92<br />

Le necessità personali che fanno deviare Achille Costa dai percorsi ufficiali<br />

hanno un’eco nelle scarse descrizioni paesaggistiche da cui sui ricava un’impressione<br />

di terra selvaggia e inesplorata. Nella Sardegna più interna il territorio<br />

antropizzato appare limitato a piccole isole circoscritte intorno ai villaggi, collegate<br />

dal filo civilizzante della strada e del veicolo che vi transita. Il tragitto con corriera<br />

postale da Siniscola a Orosei, per esempio, si copre in 5,5 ore durante le quali «si<br />

percorrono quarantasei chilometri, e in sì lunga estensione, tranne nelle adiacenze<br />

de’ due paesi, non altro si vede che terra incolta coperta di boscaglia, senza alcuna<br />

casa, fuori le tre cantoniere provinciali. L’è veramente sconfortante». 28<br />

Per quanto riguarda gli spostamenti per mare, Achille Costa raggiunge di solito<br />

la Sardegna con la nave postale in servizio tra Napoli e Cagliari, il che prevede tempi<br />

di percorrenza oscillanti tra le 26 e le 31 ore. Nel 1885 – principalmente per esigenze di<br />

ricerca – opta per la più breve traversata Civitavecchia – Porto Figari (Golfo Aranci):<br />

il battello Moncalieri copre la relativa distanza in undici ore. Nel corso delle esplorazioni<br />

sarde preferisce ove possibile le vie d’acqua e noleggia private imbarcazioni<br />

per raggiungere piccole isole e località sulla costa, come Carloforte e Sant’Antioco.<br />

In alcuni casi approfitta della possibilità dei diversi scali costieri previsti dai mezzi di<br />

linea, imbarcandosi ad Olbia per Siniscola o da Cagliari per Tortolì.<br />

Fra i vari esempi della capacità di Achille Costa di utilizzare ogni possibile<br />

occasione e mezzo di trasporto, si può ricordare quando nel maggio 1882, diretto<br />

da Porto Torres all’Asinara con una barca a vela e in assenza di vento (sono<br />

necessarie circa quindici ore per raggiungere l’isola con i soli remi), affronta la<br />

situazione in modo informale e brillante.<br />

Per buona ventura in quella mattina sarpava un piroscafo francese, il quale<br />

essendo diretto per la Corsica passar doveva assai dappresso l’isola del nostro<br />

obiettivo. Mediante i valevoli ufficii del sig. Giuseppe Anzani, direttore di quella<br />

dogana, ottenemmo che la nostra barca venisse rimorchiata dal piroscafo. Per tal<br />

modo, partiti da Porto Torres alle ora dieci e tre quarti, alle dodici e mezzo fummo<br />

lasciati in vicinanza dell’Asinara, e proseguendo a vela dopo altri quaranta minuti<br />

giungemmo al paesello unico che è nell’isola detto di Cala d’Olivo. (Mem II: 17)<br />

Alberghi e ospitalità sarda<br />

Nel corso dei cinque viaggi in Sardegna, Achille Costa sperimenta un centinaio<br />

di alloggi. Si tratta delle sistemazioni più disparate, in cui trascorre in media poco<br />

più di due notti. Viaggiatore pronto ad adattarsi se necessario alle soluzioni più<br />

28 Mem VI: 15.<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

spartane, non disdegna le comodità e quando possibile (circa nella metà dei<br />

casi) cerca di pernottare in albergo, dimostrando di essere un ospite esperto,<br />

particolarmente esigente ed attento ai dettagli.<br />

A Cagliari esisteva all’epoca un albergo piuttosto rinomato: La Scala di Ferro,<br />

sito nella salita di via Regina Margherita e scelto negli anni da famosi visitatori<br />

dell’Isola (come G. Vuillier 2002: 226, 234 e D. H. Lawrence 2000: 95-96, 113) (Fig. 4).<br />

Achille Costa, però, lo giudicò indegno per la città, trovando disattesa una sua<br />

personale teoria sul parallelismo tra civiltà di un paese e livello degli alberghi. 29<br />

L’albergo che in questa città gode fama di meglio tenuto è intitolato la Scala<br />

di ferro: a quello quindi mi diressi. Debbo però confessare che rimasi deluso nell’aspettativa.<br />

La sala da pranzo e l’altra da caffé che vi sono annesse farebbero<br />

ottima mostra in qualunque città di prim’ordine; l’albergo però non è al livello<br />

della civiltà di Cagliari, e rimane pure inferiore a taluni che trovansi in altre città<br />

dell’isola medesima, le quali non sono a lei superiori nel resto. (Mem I: 3)<br />

Successivamente, quindi, alloggiava nell’Albergo della Speranza, appena<br />

aperto nella nuova via Roma. 30 Nel nord dell’Isola, a Sassari, la migliore sistemazione<br />

possibile era l’Albergo Italia, «tenuto per bene» in Piazza Azuni (Fig. 5),<br />

nel cuore della nuova città borghese, e scelto per la loro permanenza da personaggi<br />

quali Theodor Mommsen e Felice Cavallotti. 31 A Nuoro egli rimaneva poco<br />

soddisfatto, provando ad ogni successiva visita una nuova sistemazione: nel<br />

1881 l’Albergo del Progresso, 32 nel 1882 al Cannon d’Oro 33 e infine nel 1883<br />

all’Albergo degli Amici:<br />

Nuoro era città da me ben conosciuta. E poiché erami già trovato poco<br />

soddisfatto di due alberghi volli sperimentarne un terzo, l’Albergo degli Amici,<br />

posto sulla via principale, e che mi veniva additato come molto migliore degli<br />

altri: superiorità che riconobbi discutibile. (Mem III: 14)<br />

A proposito dell’Albergo Stazione di Porto Figari – Golfo Aranci, inserito<br />

entro l’edificio ferroviario (Fig. 6), dà una buona valutazione, contestando<br />

puntigliosamente un giudizio dello storico e senatore Ettore Pais:<br />

29 «Nella mia relazione di viaggio per le Calabrie pubblicata negli Atti di questa stessa<br />

Accademia, ho fatto notare come uno dei termometri che annunziano la civilizzazione<br />

dei paesi, stasse nella esistenza e nella tenuta degli alberghi. La città di Cagliari offre una<br />

eccezione a questa regola» (Mem I: 3, nota 1).<br />

30 «Era stato aperto l’Albergo della Speranza, posto presso la nuova Via Roma, è messo e<br />

tenuto per bene tanto, da potersi dire perfino superiore al bisogno» (Mem III: 2-3).<br />

31 Mem I: 12. Cfr. Amedeo 1877, E. Costa 1992, II: 917.<br />

32 Mem I: 10.<br />

33 Mem II: 27.<br />

93


94<br />

È inesatto il sig. Pais là dove, in un discorso fatto lo scorso anno nella<br />

Camera de’ Deputati sulle condizioni della Sardegna, dice esservi in Porto Figari<br />

un solo abituro denominato albergo. Sarebbe a desiderare che vi fosse in<br />

Terranova un albergo con stanze decenti e con servizio di ristoratore come<br />

quello di Porto Figari. Evidentemente il sig. Pais l’ha veduto da lontano, senza<br />

visitarlo. (Mem VI: 2, nota 1)<br />

In relazione agli alberghi della Sardegna, l’analisi di Achille Costa è del massimo<br />

interesse, probabilmente una delle più complete restituiteci dai viaggiatori<br />

dell’epoca: vengono fornite rapide recensioni di circa una ventina di strutture,<br />

non poche considerando quanto in quegli anni l’offerta alberghiera (e probabilmente<br />

anche la richiesta) fosse modesta, sia quantitativamente che<br />

qualitativamente.<br />

In alternativa agli alberghi, Achille Costa cercava alloggio in locande o stanze<br />

prese in affitto in case private, 34 trovando anche nei piccoli paesi di montagna<br />

sistemazioni confortevoli, anche se spesso con parecchie difficoltà. 35 Talvolta<br />

fruiva della possibilità di pernottamento in strutture tecniche o pubbliche, quali<br />

caserme dei carabinieri, 36 stabilimenti minerari 37 e in particolare, grazie al rapporto<br />

di amicizia con l’ingegnere capo dell’ufficio tecnico della Provincia di Sassari,<br />

Domenico Cordella, case cantoniere. 38 Il luogo più lussuoso in cui Achille Costa<br />

pernottò fu probabilmente la splendida Villa d’Orri a Pula. 39 All’estremo opposto<br />

il nudo suolo dell’ovile Sururriddu di Villanova Strisaili. 40<br />

I rapporti personali e l’analisi sociale<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

Pur preferendo essere «libero e indipendente», 41 spesso accettava l’ospitalità di<br />

persone colte interessate ai suoi studi, possidenti e nobili, ma anche semplici<br />

34 Per esempio a Muravera (Mem II: 7), S. Antioco (Mem III: 24), Pula (Mem II: 5), Fonni<br />

(Mem I: 9; Mem III: 25), Ploaghe (Mem III: 19), Siniscola (Mem VI: 8).<br />

35 «Ed è per girare que’ monti che s’incontrano difficoltà ad ogni passo, dovendosi cercare<br />

ricovero in paesi in cui raramente vedesi giungere un forestiere, e ne’ quali in conseguenza<br />

assai malagevole riesce trovare l’alloggio e dirò anche il vitto» (Mem III: 1).<br />

36 Come a Irgòli, dove «per la prima volta feci uso di una lettera gentilmente fornitami dal<br />

Colonnello dei RR. Carabinieri in Cagliari, Cav. Raimondo Allasia, la quale mi facoltava<br />

ad avere non solo scorte, ma anche alloggio in qualunque stazione ne avessi desiderato»<br />

(Mem VI: 18). Si veda anche Mem II: 28-2<strong>9.</strong><br />

37 A Correboi (Mem I: 9; Mem III: 12) e a Montevecchio (Mem V: 3).<br />

38 Mem VI: 12 ss.<br />

39 Mem II: 5.<br />

40 Mem I: 8.<br />

41 Mem III: 8.


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

pastori e non di rado le famiglie di suoi allievi, come i Cabella di Tempio. 42 Talvolta,<br />

però, deve far fronte a un’ospitalità fin troppo insistente e calorosa, come a Torpè:<br />

Ero indirizzato a uno dei più agiati proprietari del paese, Giovanni Pilosa.<br />

Questi mi accoglie con quella effusione di cuore che è propria de’ Pastori della<br />

Gallura, sicché faceami dimenticare di trovarmi nel Distretto di Nuoro. La sera,<br />

dubitando che mi annoiassi, volle che uscissi con lui e mi condusse dal Sindaco<br />

Michele Bona, e poi dal sig. Francesco Ilari piemontese, Direttore di una miniera<br />

che è presso Torpè, quindi da un botteghiere per prendere qualche bibita non<br />

contento che nelle visite fatte ci si era servito caffè, vino, cognac. Infine<br />

dovetti pregarlo perché si persuadesse a farmi rientrare in casa per riposare. 43<br />

(Mem VI: 10)<br />

In Sardegna Achille Costa cerca di contattare i pochi studiosi di<br />

entomologia e di zoologia residenti: così l’alsaziano Costant Damry, collezionista<br />

e commerciante ad Ozieri, ed il conte Umberto Lostia di Santa Sofia,<br />

noto collezionista di Cagliari. 44 Visita con regolarità le Università di Cagliari e<br />

Sassari, dove visiona le collezioni zoologiche, incontra e fa la conoscenza di<br />

diversi docenti, fra cui Corrado Parona e Filippo Fanzago. 45 Con Fanzago, in<br />

particolare, compie delle escursioni nei dintorni di Sassari, a Osilo e l’avventurosa<br />

spedizione all’Asinara, sopracitata. 46 A Cagliari incontra anche Patrizio<br />

Gennari, artefice dell’Orto botanico. 47<br />

Va senz’altro riconosciuta ad Achille Costa una buona capacità nei rapporti<br />

sociali con persone di ogni tipo, anche se ha una maggiore sintonia con chi<br />

percepisce intellettualmente e culturalmente al proprio livello ed è in grado di<br />

apprezzare l’interesse della ricerca. 48 Ovunque ha relazione con personaggi quali<br />

sindaci, medici, possidenti, nobili, esperti tecnici. Un centinaio di questi, con i<br />

quali ha avuto stretti contatti, sono complessivamente citati nelle sei memorie.<br />

A volte si stupisce di trovare persone istruite, in paesi piccoli e isolati come<br />

Meana, dove fa la conoscenza del «Dottor Giovanni Mura Agus, giovane di<br />

bello ingegno e di vasta coltura scientifica: uno di coloro che è male restino<br />

42 Mem I: 14; Mem II: 22.<br />

43 Si veda anche Mem VI: 18 quando a Irgoli, alle sei del mattino «per condiscendere alle<br />

affettuose istanze del sig. Giovanni Luche, giovane che studia medicina in Cagliari, mi<br />

recai in sua casa a bere un bicchiere di vernaccia giusta l’uso sardo».<br />

44 Rispettivamente Mem II: 21, 24; e Mem II: 2<strong>9.</strong><br />

45 Per Cagliari Mem I: 4; Mem II: <strong>9.</strong> Per Sassari, Mem II: 16-17; Mem III: 17-1<strong>9.</strong><br />

46 Mem II: 17 ss.<br />

47 Mem I: 1.<br />

48 Per esempio a Sassari è accolto da Antonio Crispo, presidente del Comizio agrario e già<br />

sindaco (Mem I: 12), a Orosei dal ricchissimo Don Giovanni Guiso (Mem VI: 15), a<br />

Galtellì da uno studente di legge, Francesco Corrias (Mem VI: 18).<br />

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96<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

quasi occultati in sì oscuri cunicoli». 49 Alcuni incontri gli rimangono particolarmente<br />

impressi per la loro eccezionalità, come nel caso dell’invito a pranzo al<br />

palazzo del nobile Marchese di Laconi:<br />

La sera per poche ore mi dimenticai di trovarmi in piccolo ed infelice paese,<br />

passandole a pranzo presso la famiglia del Marchese di Laconi. La coltura de’ due<br />

fratelli e del cognato Marchese Leonelli, la squisita gentilezza delle signore, il<br />

lusso da cui ero circondato, tutto mi riconduceva a grande città. (Mem III: 5-6)<br />

Descrive anche un incontro emblematico nei pressi di Tempio (Stazzo degli<br />

Arsi): «Al ritorno ebbi occasione di sperimentare ancora una volta il carattere<br />

affettuoso dei buoni Pastori sardi». Il pastore, dapprima diffidente, lo invita<br />

nella propria casa: «Volevo ringraziarnelo e proseguire il mio cammino; ma le<br />

guide mi suggeriscono di accogliere lo invito, ché il buon uomo avrebbe avuto<br />

a male il rifiuto, considerandolo come un disprezzo». 50<br />

Achille Costa entra nel vivo, smentendolo, di un diffuso pregiudizio sui sardi:<br />

Finalmente mi occorre esternare la mia gratitudine verso i molti Signori che<br />

mi sono stati generosi di cortesie e di agevolazioni nelle mie ricerche e de’ quali<br />

troveransi segnati i nomi nella relazione del viaggio che succede. Essi han dato<br />

una prova luminosa che la Sardegna, lungi dall’essere un’isola tuttavia semiselvaggia,<br />

sta innanzi nella civiltà, non meno che nella coltura intellettuale,<br />

assai più di quello che nel continente generalmente si pensa. (Mem I: 2) 51<br />

Più volte dimostrerà di voler distinguere tra rischi reali e paure<br />

ingiustificate, percorrendo con tranquillità tutte le zone dell’Isola e trovando<br />

in genere ospitale accoglienza. Egli non è una persona timorosa, e prende<br />

alcune precauzioni solo nelle zone montuose del nuorese, all’epoca<br />

ritenute particolarmente insidiose, facendosi talvolta scortare da due carabinieri.<br />

Tale accorgimento non limita affatto le sue esplorazioni, né peraltro<br />

gli capitano situazioni di grave pericolo. 52<br />

49 Mem III: 6.<br />

50 Mem II: 25.<br />

51 Si veda anche Mem VI: 1-2.<br />

52 «[...] distretto di Nuoro, il solo in tutta l’isola dove si trovano malviventi e grassatori,<br />

sicché fui consigliato a prendere con me una scorta di carabinieri» (Mem I: 10); «Il<br />

distretto di Nuoro è il solo della Sardegna in cui il forestiere non possa azzardarsi a<br />

viaggiare con troppa sicurezza personale, attesa l’indole poco lodevole degli abitanti»<br />

(Mem II: 27); «Orgosolo è un paese peggiore ancora di Oliena, ed in fama di essere<br />

abitato da gente ancora più malvaggia. Ed in fatti vi si osservano ceffi che destano<br />

raccapriccio, ed altri simili in tutto agli zingari. L’Etnografo troverebbe ivi da fare studi<br />

davvero interessanti» (Mem II: 29).


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

Azzarda tuttavia considerazioni lombrosiane, come a Loculi:<br />

Loculi è uno de’ paesi ben rinomati del distretto di Nuoro per abbondanza di<br />

crassatori. Ed io volli entrarvi e fermarmi un tantino per farvi una frugalissima<br />

colazione, ed ebbi a notare il predominio de’ visi truci, i quali quasi evitano che<br />

il loro sguardo s’incontri con quello di gente dabbene. (Mem VI: 18)<br />

Incuriosito dalle donne, 53 ne fa una questione antropologica:<br />

Ploaghe l’è un paese assai decantato nella Sardegna per l’avvenenza delle<br />

donne e per la eleganza del loro abbigliamento di gala. Ne avevo già viste in Sassari<br />

e riconosciuto che la loro rinomanza era ben meritata. Mi decisi quindi visitar quel<br />

paese; però, non per la curiosità delle donne, bensì per vedere se con l’avvenenza<br />

del femineo sesso della specie umana si associasse ancor qualche bella forma nella<br />

serie dei piccoli bruti: e la trovai, come sarà detto. 54 (Mem III: 18)<br />

Il paesaggio e le risorse naturali<br />

Una profonda diversità tra le memorie di Achille Costa e quelle dei viaggiatori del<br />

suo tempo riguarda l’indifferenza per gli argomenti esulanti l’ambito entomologico.<br />

Così egli cede assai raramente a notazioni di carattere etnografico 55 e gli aspetti<br />

urbanistici e architettonici delle città non gli ispirano quasi nessun commento se<br />

non per gli elementi strettamente utili al viaggio e per alcune osservazioni scientifiche<br />

ed economiche. Le rare considerazioni positive riguardanti caratteristiche di<br />

villaggi e paesi, oltre ai pochi casi già ricordati, sono limitate a qualche breve<br />

inciso: Desulo, «il paese delle tettoje di legno»; Fonni, «il paese più elevato della<br />

Sardegna, stando mille metri sul livello del mare, poggiato quasi per intero sopra<br />

bellissimo granito»; Milis, «il paese dei giardini e boschetti d’aranci». 56<br />

Stupisce la completa noncuranza per i numerosi e imponenti resti archeologici<br />

d’epoca nuragica, di cui è costellato il territorio da lui percorso così intensamen-<br />

53 «La sensibilità del Costa per il gentil sesso ci è giunta tramandata dalla tradizione orale<br />

della scuola zoologica napoletana e risulta da alcuni brani dei suoi commentari ai<br />

precedenti viaggi nelle Calabrie» (Crovetti 1970: 62).<br />

54 Riferisce anche della bellezza delle contadine di Osilo, Mem II: 16.<br />

55 «Sebbene svariatissimi siano gli abbigliamenti de’ popolani di diversi paesi della Sardegna,<br />

pure debbo dire che nessuno mi ha tanto colpito quanto quello degli abitanti di Tortolì.<br />

Si direbbe il Pulcinella napoletano cui fosse aggiunto un corto gonnellino di panno<br />

nerastro a grosse pieghe, che dalla cintura scende appena fino alla base dei femori»<br />

(Mem I: 7).<br />

56 Rispettivamente Mem III: 8; Mem III: 13; Mem II: 12. Sullo scarso interesse di Costa<br />

per le antichità vedi anche nota 13.<br />

97


98<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

te e a lungo. In nessun caso nelle Memorie si menzionano nuraghi o altri monumenti<br />

della preistoria sarda, che Achille Costa deve aver visto, ma evidentemente<br />

non registrato, in tante occasioni, e su cui tra l’altro all’epoca fioriva un<br />

vivissimo interesse. Per le antichità romane sono ricordati, incidentalmente, l’anfiteatro<br />

di Cagliari, le terme di Fordongianus e, a Porto Torres, «l’antico ponte a<br />

sette archi, avanzo di opera romana». 57<br />

Anche la natura ed il paesaggio strappano solo raramente Achille Costa dal<br />

dominante interesse entomologico, ma quando ciò succede le descrizioni sono<br />

vivide e poetiche. La valle del Cedrino, per esempio, si presenta «qual ridente<br />

giardino animato dai fiori di Oleandro e Agnocasto». 58<br />

La valle di Bosa poi può dirsi un giardino per la intensa e florida vegetazione<br />

di seminatorii e alberi da frutto di ogni sorta. Il Temo che la percorre è il solo<br />

fiume navigabile della Sardegna, mantenendo le sue acque elevate anche nella più<br />

calda stagione. La città posta all’estremo della valle, divisa in due parti dal<br />

fiume, offre un aspetto pittoresco al forestiere che vi si appressa. A tanta<br />

bellezza di natura non corrispondono le condizioni sociali: con una popolazione<br />

di ottomila anime e con un attivo commercio, non vi ha un albergo, fosse anche<br />

mediocre […]. Risalgo in barca il fiume fino ad oltre un chilometro per godere<br />

del bel panorama che mi ricordava taluni luoghi della Svizzera. 59 (Mem III: 20)<br />

Analogo trasporto è manifestato per Golfo Aranci: «Dall’alto della collina<br />

che domina il porto si presenta allo spettatore un panorama de’ più pittoreschi<br />

ed incantevoli che si possano immaginare e forse il più incantevole di tutto il<br />

littorale dell’isola». 60 Appare più impressionato che ammirato dai castagni di<br />

Desulo «de’ quali si incontrano de’ colossali, aventi tronchi che misurano fino a<br />

dieci metri in circonferenza». 61<br />

A Villacidro fa amicizia con Giuseppe Todde, economista e rettore dell’università<br />

di Cagliari. Ecco la descrizione della località:<br />

Posta in collina, in posizione ridente, con aria purissima, quindi è prescelta<br />

da molte famiglie di Cagliari per passarvi la stagione più calda. E però vi ha belli<br />

caseggiati, si da offrire un aspetto assai superiore a quello di molti altri paesi a lui<br />

uguali, o anche un po’ superiori. (Mem V: 5)<br />

Curiosamente, pur apprezzando questo primordiale luogo di villeggiatura,<br />

non menziona neppure la sua maggiore attrattiva, la cascata di Sa Spendula, che<br />

57 Mem I: 13.<br />

58 Mem VI: 17.<br />

59 La Svizzera era stata visitata da Achille Costa sicuramente nel 1862 (Costa 1862: 9).<br />

60 Mem II: 26.<br />

61 Mem III: <strong>9.</strong>


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

solo due anni prima era stata visitata e descritta da D’Annunzio, Pascarella e<br />

Scarfoglio, redattori della rivista Capitan Fracassa. 62<br />

Un aspetto a cui Achille Costa dedica invece una trattazione abbastanza<br />

diffusa è quello termale, di suo particolare interesse perché collegato alle sue<br />

competenze mediche. 63 Offre un’accurata e gustosa descrizione delle terme di<br />

Casteldoria (Fig. 7):<br />

Dal fondo del fiume sprigionasi l’acqua termale, il cui calore è di tale<br />

potenza, che per l’intera ampiezza del fiume, e per una lunghezza d’una quarantina<br />

di metri l’acqua è scottante tanto da non potervi tenere la mano<br />

neppure un secondo. La temperatura nel punto in cui son le sorgenti è stata<br />

calcolata a 73 R. Certamente è l’acqua termo-minerale più calda della Sardegna.<br />

Molti infermi di malattie per le quali quelle acque sono indicate vi si<br />

recano a fare i bagni. Però non essendovi ricovero di sorta alcuna, coloro che<br />

ottengono dal Municipio la concessione delle acque, e quindi assumono la<br />

direzione dei bagni, lungo quel tratto del fiume in cui l’acqua è scottante<br />

costruiscono bagnarole temporanee. Per cadaun infermo scavano nella sabbia<br />

un fosso capiente della persona a qualche metro distante dal margine del fiume,<br />

ed in quello mediante un canale, che poi si ricolma, fanno passare l’acqua, di<br />

cui temperano il calore con acqua fresca. Una tenda costituita da lenzuoli<br />

sostenuti da rami secchi nasconde ogni cosa. Altra tenda simile è destinata a far<br />

riposare l’infermo che esce dal bagno. (Mem VI: 7)<br />

Parla anche, più brevemente, delle terme di Fordongianus, meno organizzate<br />

e dove «in mancanza di camere apposite, essendo distrutto l’antico<br />

stabilimento di cui osservansi tuttora i ruderi, si sono scavate nel suolo<br />

alcune vasche, ove i contadini cui quelle possono essere giovevoli vanno<br />

nella state a bagnarsi». 64<br />

Achille Costa inserisce pure frequenti notazioni di carattere minerario, risentendo<br />

del profondo interesse diffuso all’epoca per uno dei grandi fattori di<br />

ricchezza e sviluppo economico delle nazioni. Menziona le miniere d’argento di<br />

Correboi e quella di galena di Gibbas. 65 Torna diverse volte nel distretto minerario<br />

dell’Iglesiente – zona di buon interesse entomologico –, in particolare a<br />

Monteponi, Guspini e Montevecchio. 66 In quest’ultima località è ospite dell’am-<br />

62 I redattori del Capitan Fracassa erano stati ospiti dello stesso Todde. In quell’occasione<br />

D’Annunzio compose il sonetto La Spendula, pubblicato nel quotidiano romano Capitan<br />

Fracassa, III, 21 maggio 1882.<br />

63 Achille Costa aveva seguito come medico i bagni termali di Ischia (Costa 1856).<br />

64 Mem II: 15.<br />

65 Mem I: 8; Mem II: 6.<br />

66 Su Monteponi si veda Mem I: 5; Mem II: 10; su Guspini Mem V: 5; su Montevecchio<br />

Mem V: 3-5.<br />

99


100<br />

ministratore della miniera, Alberto Castoldi (genero del noto imprenditore minerario,<br />

collezionista d’arte e filantropo Giovanni Antonio Sanna) al quale dedica la<br />

nuova specie Ichneumon Castoldii. 67<br />

Conclusioni<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

Il 20 agosto 1885, dieci giorni dopo aver compiuto i sessantadue anni, con alle<br />

spalle cinque anni dedicati completamente alla Sardegna, Achille Costa lascia<br />

Cagliari imbarcandosi per Napoli. L’ultimo periodo di permanenza in Baronia era<br />

risultato difficile, egli si ammala a Dorgali dove rimane bloccato alcuni giorni.<br />

Decide di abbandonare le ricerche, 68 il 15 agosto scende «alla marina detta<br />

Gonone» e s’imbarca «sul vaporino che fa il servizio della costa orientale»<br />

rientrando a Cagliari. Non rivedrà mai più l’Isola. 69 Chiude così, in modo un po’<br />

brusco, la stagione delle sue esplorazioni. Abbiamo notizia ancora di qualche<br />

viaggio successivo, fra cui di un’escursione sul Monte Pollino nel 1896 (Salfi<br />

1963: 19), ma non pubblicherà più resoconti odeporici.<br />

Il destino, per Achille Costa scrittore di viaggio, è stato ancor meno generoso<br />

che per il Costa studioso e collezionista. 70 Lontano dalla cultura enciclopedica<br />

(spesso solo pretesa) di molti viaggiatori del suo tempo, rimane estraneo<br />

al gioco dei reciproci rimandi e citazioni che hanno contribuito a perpetuare<br />

la memoria dei primi touristi. La stessa specializzazione scientifica poteva<br />

apparire quasi eccessiva rispetto all’eclettismo umanistico e positivista ancora<br />

dominante a fine Ottocento, mentre il dichiarato rivolgersi alla esigua cerchia<br />

dei naturalisti esploratori fu – per quanto è noto – senza seguito. Achille<br />

Costa rimane così una figura di viaggiatore individualista e isolato la cui opera<br />

si rivela oggi come una fonte di dati inedita e originale nel panorama della<br />

letteratura odeporica sulla Sardegna.<br />

67 Mem V: 13. Oggi la specie si chiama Barichneumon castoldii (E. Costa, 1886).<br />

68 Mem VI: 19; vedi anche nota 2.<br />

69 Ibid.<br />

70 L’unico altro autore, a nostra conoscenza, che tratta diffusamente dei viaggi di Achille<br />

Costa in Sardegna è infatti Antonello Crovetti (1970).


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

BIBLIOGRAFIA<br />

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ricerche fatte in Sardegna nel Settembre 1881): Atti della Reale Accademia delle Scienze<br />

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ricerche fatte in Sardegna nella primavera del 1882): Atti della Reale Accademia delle<br />

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Reale Accademia delle Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Serie 2ª [1888], vol. I,<br />

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COSTA, Achille (Notizie ed osservazioni sulla Geo-Fauna sarda. Memoria Sesta. Risultamento<br />

delle ricerche fatte in Sardegna nella state del 1885): Atti della Reale Accademia delle<br />

Scienze Fisiche e Matematiche di Napoli, Serie 2ª [1888], Vol. II, [fasc. 8], 1886, pp. 1-40.<br />

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CROVETTI, Antonello (Materiali per le biografie degli entomologi che hanno operato in Sardegna<br />

e per una bibliografia entomologica sarda. III. Achille Costa): Bollettino della Società<br />

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DE STEFANI, T.[ eodosio] (Cenni biografici del Prof. Achille Costa): Il Naturalista Siciliano,<br />

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Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

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Fig. 1 – I due ritratti noti di Achille Costa in giovane età ed in età matura.


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

103<br />

Fig. 2 – Località in cui Achille Costa ha pernottato nei sui viaggi in Sardegna: A) I viaggio: 2<br />

settembre / 5 ottobre 1881; B) II viaggio: 15 aprile / 28 giugno 1882; C) III viaggio: 7 luglio<br />

/ 13 settembre 1883; D) IV viaggio: 11 maggio / 3 giugno 1885 (solo le località note: circoli<br />

neri) e V viaggio: 3 luglio / 20 agosto 1885 (circoli bianchi). I cerchi concentrici intorno alle<br />

località rappresentano il numero di pernottamenti in ciascuna località.


104<br />

Fig. 3 – Frontespizio della Memoria Prima di Achille Costa.<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella


ACHILLE COSTA (1823-1898), ENTOMOLOGO NATURALISTA ESPLORATORE, E I SUOI VIAGGI IN SARDEGNA<br />

Fig. 4 – Viale Regina Margherita a Cagliari in una cartolina d’inizio Novecento, l’Albergo<br />

Scala di Ferro è al centro dell’immagine, l’insegna posta sulla torretta.<br />

Fig. 5 – L’Albergo Cagliaritano e Italia in Piazza Azuni a Sassari, in una cartolina d’inizio Novecento.<br />

105


106<br />

Roberto A. Pantaleoni - Stefania Bagella<br />

Fig. 6 – L’Albergo Stazione di Porto Figari (Golfo Aranci, OT) in una cartolina d’epoca.<br />

Fig. 7 – Le terme di Casteldoria (Santa Maria Coghinas, SS) in un’immagine di fine Ottocento.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

INTERPRETACIÓ FONOLÒGICA I ANÀLISI QUANTITATIVA<br />

DE LA VARIACIÓ *<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

Universitat de Barcelona<br />

107<br />

Els estudis gramaticals de l’alguerès recullen sense excepció el procés de<br />

rotacisme que afecta, entre d’altres, el segment oclusiu dental sonor /d/ quan es<br />

troba en posició intervocàlica. Amb tot, són poques les anàlisis que es fan ressò<br />

de la variació en la seva aplicació; cap d’elles, per últim, no assaja una interpretació<br />

del fenomen en termes funcionals ni recull convenientment els factors que en<br />

determinen la variabilitat. Aquest treball pretén d’omplir el doble buit atestat en<br />

l’estudi del català de l’Alguer, justificant funcionalment el rotacisme, d’una banda,<br />

i determinant estadísticament les raons que condicionen la seva naturalesa<br />

variable, de l’altra.<br />

1. Introducció i objectius de l’estudi<br />

El rotacisme és el procés pel qual un so s’articula ròtic ([r], []) o aproximant ([])<br />

en determinats contextos. En fonètica històrica ha designat l’evolució del so [z]<br />

llatí de sibilant a ròtic; en l’actualitat és un fenomen freqüent en les llengües<br />

romàniques: ocorre en gallec, sard, occità, portuguès, varietats del francès i<br />

varietats de l’espanyol. En català afecta les sibilants alveolars, en mallorquí, i la<br />

lateral alveolar /l/ i l’oclusiva dental sonora /d/, en alguerès. 1 La taula de (1)<br />

il·lustra les tres modalitats de rotacisme operants en aquest darrer dialecte.<br />

* Aquest treball foma part del projecte d’investigació FFI<strong>2010</strong>-22181-C03-02<br />

«Descripción e interpretación de la variación dialectal: aspectos fonológicos y<br />

morfológicos del catalán», finançat pel MICINN i el FEDER. Agraeixo els comentaris<br />

i les aportacions de Josefina Carrera, Irene Coghene, Clàudia Pons, Francesc Josep<br />

Torres Tamarit i Luca Scala.<br />

1 Els altres parlars catalans coneixen casos esporàdics i facultatius de rotacisme en la parla<br />

col·loquial, especialment per dissimilació de laterals: seria el cas de realitzacions com<br />

ju[]iol, Eulà[]ia i a[]calde, en català central.<br />

INSULA, num. 9 (dicembre <strong>2010</strong>) 107-134


108<br />

(1) Modalitats de rotacisme en alguerès<br />

a. Rotacisme de /d/ intervocàlica /d/ [] ~ []/ V_V codony<br />

[kuóm] ~ [kuóm]<br />

nadal [naál] ~ [naál]<br />

b. Rotacisme de /l/ intervocàlica /l/ [] ~ []/ V_V oli [i] ~ [i]<br />

bolet [but] ~ [but]<br />

c. Rotacisme de /l/ postconsonàntica<br />

homosil·làbica<br />

/l/ [r]/ [C_ ó bleda [bra]<br />

umpl [úmpr]<br />

Això no obstant, el rotacisme alguerès està sotmès a una variació notable<br />

que la majoria d’estudis lingüístics no ha recollit de manera suficient, sense<br />

donar compte ni de l’abast ni dels condicionants del procés: l’interès principal<br />

ha estat la filiació del fenomen en el marc dels dialectes sards i/o italians<br />

circumdants, mentre que les raons funcionals i articulatòries de la seva activitat<br />

i les vacil·lacions en la seva aplicació romanen encara per justificar. Per què<br />

s’articula amb un so ròtic la consonant intervocàlica d’un mot com nadal, en<br />

comptes d’articular-se *[nádal] o, per exemple, *[najál]? I, d’altra banda, per<br />

què la forma rotacitzada és majoritària en mots com codony [kuóm] o sedàs<br />

[saás] (cfr. *[kudóm], *[sadás]) i, en canvi, es rebutja en mots com edat [idát] o<br />

tedesc ‘alemany’ [tedésk] (cfr. *[iát], *[teésk])?<br />

El present estudi assaja una resposta a aquestes preguntes, centrant-se en el cas<br />

del rotacisme intervocàlic de /d/. L’apartat 2 repassa succintament les descripcions<br />

prèvies del fenomen; l’apartat 3 en proposa una interpretació fonològica basada en<br />

la sonicitat idònia per als segments intervocàlics; l’apartat 4 dóna compte de la<br />

variació en la seva activitat i en determina les causes; l’apartat 5, per últim, repassa<br />

breument els resultats generals del treball i n’extreu algunes conclusions.<br />

2. El rotacisme de /d/ intervocàlica. Descripcions prèvies<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

Les primeres gramàtiques alguereses, redactades a cavall dels segles XIX i XX,<br />

donen compte de l’aplicació del rotacisme de /d/ intervocàlica, així com de les<br />

seves excepcions, de forma parcial i incompleta. Així, la Grammatica del dialetto<br />

algherese odierno (2001) 2 de Joan Palomba constata l’aplicació del procés<br />

2 L’obra es va presentar públicament al Primer Congrés de la Llengua Catalana (1906); les<br />

citacions, però, es prenen de l’edició facsímil publicada per Obra Cultural de l’Alguer i<br />

editada per Francesco Bertino.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

109<br />

com un fenomen cenyit estrictament a la flexió de l’adjectiu i del participi de<br />

passat: «il t finale degli aggetivi e dei participi passati con funzioni d’aggetivi si<br />

cambia in r dinanzi all’a del femminile. […] Se però il t è preceduto da un’altra<br />

consonante, resta intatto anche dinanzi all’a» (Palomba 2001: 7). A la Nuova<br />

grammatica del dialetto algherese odierno (2000), 3 però, afina una mica més la<br />

descripció i constata l’activitat del fenomen també a l’interior del mot lèxic – i no<br />

sols com a efecte de la flexió de gènere –, al mateix temps que captura la qualitat<br />

acústica del so: «d suona r dolce quando è intervocalica» (Palomba 2000: 45).<br />

La descripció del fenomen proposada per Pais (1970) 4 es mou en els mateixos<br />

paràmetres: dóna compte del context intervocàlic en què s’escau, però no<br />

n’especifica l’abast ni el nivell d’aplicació. A diferència de l’autor anterior,<br />

però, proposa una breu llista d’excepcions al rotacisme: «quantunque<br />

intervocalica, il d conserva il suo suono dentale nelle parole seguenti: empoda<br />

‘fatica’, adamunt ‘sopra’, adabaix ‘giù’, empidir ‘impedire’ e composti, che<br />

suonano ampoda, ecc.» (Pais 1970: 63). I, més important, captura la variació<br />

social constatable en l’època: «non mancano, però, molte persone colte, e<br />

parecchi del popolo, i quali conservano ancora la pronuncia catalana, e dicono,<br />

per es.: fadrí, escala, tornada, art, ecc., in luogo di farrí, escara, tunara,<br />

alt (‘celibe’, ‘scala’, ‘tornata’, ‘arte’)» (Pais 1970: 68).<br />

En el Botlletí de la Llengua Catalana, Alcover llista el fenomen entre els<br />

trets característics del dialecte, però no en delimita l’abast ni dóna compte amb<br />

precisió de la variació en la seva activitat: «la d i la l sovint tornen r i la r torna<br />

sovint l» (Perea 1999: 220). Així mateix, en la seva conferència al Primer Congrés<br />

de la Llengua Catalana (1906), Ciuffo atesta semblantment aquest «estropiament<br />

fònich», i subratlla la seva filiació sarda (Nughes 1991: 119).<br />

Joan De Giorgio Vitelli, a la «Fonologia» de la seva Grammatica algherese<br />

incompleta, critica el poc abast de la primera descripció del fenomen feta per<br />

Palomba: «Palomba no va estudiar prou bé aquesta regla. Hauria hagut d’adonarse<br />

d’un fenomen més general, o sigui que en alguerès la d, sempre que no<br />

coincideixi amb una consonant diferent de r, es pronuncia r, i també es pronuncia<br />

r si la segueix una altra r» (Bosch & Armangué 1995: 521-522). 5 L’autor<br />

captura l’abast general del fenomen, així com el comportament assimilatori del<br />

3 La redacció de l’obra data de 1945; problemes editorials i financers, però, en van impedir<br />

la publicació fins l’any 2000.<br />

4 La redacció de l’obra data de 1899; problemes editorials i financers, però, en van impedir<br />

la publicació fins l’any 1970.<br />

5 La redacció d’aquest capítol data de 1907; l’obra, però, és incompleta. Per a les citacions<br />

empro sempre la versió del text editada i traduïda per Bosch & Armangué (1995).


110<br />

grup dr, però equivoca la interpretació del procés fonològic que en bloquejava<br />

la lectura global: entén que l’alternança [t] ~ [] respon a la sonorització de t i no<br />

pas al fenomen general d’ensordiment d’obstruents en posició final. Sigui com<br />

sigui, l’anàlisi de De Giorgio Vitelli es revela més afinada pel que fa a la delimitació<br />

dels contextos, especialment quan fa notar que «la d enmig de paraula, seguida per<br />

una vocal amb la qual forma síl·laba, es pronuncia r. Exemples: viuda, rodó i rodolí<br />

es pronuncien viura, ruró i rururí; però dar, donar, dona, etc. conserven la d»<br />

(Bosch & Armangué 1995: 528). D’aquí es desprèn que el rotacisme de /d/ opera<br />

sols en el nivell lèxic, a l’interior del mot, quan una /d/ en posició d’obertura simple<br />

està en contacte amb la vocal de la síl·laba lliure anterior, tal com s’il·lustra a (2):<br />

(2) Context sil·làbic d’aplicació del rotacisme de /d/<br />

Context exemple<br />

V] [/d/V...] ó nadal [na.ál]<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

El treball de Kuen (1934) significa, per la cientificitat i l’exhaustivitat, un salt<br />

qualitatiu en els estudis lingüístics sobre l’alguerès. Per començar, l’autor<br />

reformula correctament la generalització de De Giorgio Vitelli: «a la []<br />

intervocálica procedente de -d- corresponde [t] final: [trubáa] ‘hallada’, [trubát]<br />

‘hallado’» (Kuen 1932: 171), 6 en el sentit que proposa [] i [t] com a al·lòfons<br />

contextuals (el primer, intervocàlic; el segon, en posició final absoluta) del fonema<br />

/d/. És innovadora la justificació fonètica del canvi que apunta, en termes de<br />

confusió per similituds articulatòries: «En la [] no tiene lugar verdadera oclusión,<br />

sino únicamente un fugaz y en muchos casos incompleto contacto de la punta<br />

de la lengua con la región divisoria entre los alvéolos y el paladar duro; por lo<br />

que la impresión acústica es semejante a la del sonido español y catalán []»<br />

(Kuen 1932: 150). També és important la referència a l’articulació del so al·logen<br />

[] en els mots de procedència sarda, els quals, en revestir aquesta forma fonètica,<br />

no experimenten rotacisme: «la oclusiva sonora cacuminal del sardo [], [] se<br />

pronuncia en palabras tomadas de esta lengua: [l askikía] ‘la centella’».<br />

(Kuen 1932: 147). De les seves consideracions sobre la variació en la realització<br />

de la preposició de – la qual pren la forma [e] en la parla ràpida per influx del sard<br />

logudorès –, per últim, se n’infereix que l’àmbit d’aplicació del rotacisme se<br />

cenyeix al nivell del mot: en l’àmbit de la fonètica sintàctica no s’escau.<br />

6 Per raons de coherència, en les citacions d’aquest autor s’han substituït les transcripcions<br />

en l’alfabet romànic pels seus equivalents en l’alfabet fonètic internacional.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

111<br />

La Grammatica Storica del Catalano e dei suoi dialetti con speziale riguardo<br />

all’Algherese de Blasco (1984) analitza diacrònicament el rotacisme i<br />

apunta les concomitàncies amb altres parlars sards, cors i italians: «una particolarità<br />

dell’algherese è il digradamento di -T- latina (-d- romanica) in /r/. Si tratta di<br />

una variante fonematica della d fricativa; l’ulteriore indebolimento della d (> r) si<br />

riscontra altresì nel sardo campidanese, ed è anche caratteristico di alcuni dialetti<br />

corsi ed italiani meridionali» (Blasco 1984: 41). L’única fissura en l’aplicació de<br />

la regla diacrònica que l’autor apunta es dóna en l’adaptació dels manlleus, i en<br />

aquest sentit distingeix dos comportaments diferents en l’alguerès en funció de<br />

l’articulació simple o geminada de la d intervocàlica del préstec: així, «le oclusive<br />

sonore digradano, la [] giungendo al timbro []» (Blasco 1984: 97), mentre que<br />

les geminades sardes i italianes se simplifiquen però no s’aproximantitzen, «modificando<br />

così la regole distribuzionali dell’algherese, che non conosce consonante<br />

non fricative in posizione intervocalica: sardo [nuu] algherese<br />

[nudu]» (Blasco 1984: 98), i erigint-se, doncs, com un cas d’excepció opaca a<br />

l’aplicació del rotacisme.<br />

D’acord amb Blasco, Peana (1995) observa que, en termes generals, el rotacisme<br />

que ens ocupa «té lloc normalment si aquesta /-d-/ intervocàlica procedeix d’una<br />

/-t-/ intervocàlica llatina: per ex. VITA > català vida > alguerès [vía]» (Peana 1995:<br />

104). Quant a la filiació del fenomen, l’autor assenyala que no ocorre en cap altra<br />

àrea del domini lingüístic català i, doncs, que no és una característica de la llengua<br />

importada pels colons a l’illa. Així mateix, fa notar que aquest tipus de rotacisme<br />

també ocorre esporàdicament en italià, en la parla popular de Florència, Pisa i<br />

Pistoia, així com a la Campània i a Nàpols; variablement en cors, i habitualment en<br />

el campidanès de Càller. D’acord amb Wagner (1984) i Caria (1990), Peana apunta<br />

la semblança articulatòria entre el so ròtic campidanès i l’equivalent alguerès, i<br />

subratlla la confusió habitual, per les seves similituds articulatòries, de d i r<br />

intervocàliques. Pel que fa a la fixació del fenomen en l’alguerès, l’autor n’atesta<br />

casos esporàdics en documents dels segles XVII i XVIII, tot i que considera que la<br />

generalització en la parla es va iniciar a partir del segle XIX i durant tot el segle XX.<br />

El més innovador de l’article, però, és que per primera vegada s’assumeix que el<br />

rotacisme alguerès està subjecte a una forta variació, i distingeix «entre els mots<br />

que ja han ben entrat en la parla popular, és a dir, en el patrimoni lingüístic del poble<br />

en totes les classes socials, i els que per diferents motius en queden al defora o<br />

s’usen rarament pels individus menys aculturats: només els que estan ben arrelats<br />

pateixen l’aplicació del rotacisme» (Peana 1995: 110).<br />

En el seu recull d’articles El català de l’Alguer (2002), Bosch fixa la<br />

introducció del fenomen en la parla popular algueresa una mica abans del que


112<br />

apuntava Peana, a cavall segles XVII i XVIII. Defineix el rotacisme de /d/ intervocàlica<br />

com un fenomen de variació social iniciat al llarg dels segles XVII i XVIII, mantingut<br />

almenys fins a l’inici del segle XX i estès des de baix, és a dir, promogut de forma<br />

inconscient per les classes populars. Pel que fa a l’estat del canvi en el moment<br />

present, però, apunta a la fossilització de la solució rotacitzada com a única<br />

forma disponible en alguerès, per tal com, en italianitzar-se les classes dominants,<br />

el model de parla popular s’ha convertit en l’únic tipus de llengua emprat, conegut<br />

i transmès.<br />

Per últim, Veny (1983), Alegre (1991) i Recasens (1996) apunten en una mateixa<br />

direcció, en el sentit que en les seves descripcions del dialecte recullen i<br />

contextualitzen el fenomen pràcticament sense referir les excepcions que l’afecten:<br />

«la d i la l intervocàliques i la l precedida de consonant muden aquesta articulació<br />

en r, ço que provoca algunes homonímies (vira significa ‘vida’ o ‘vila’; viureta,<br />

‘violeta’ o ‘viudeta’) o reiteració de la vibrant (jarara ‘gelada’; ururar ‘olorar’;<br />

taurara ‘teulada’; frassara ‘flassada’; ruró ‘rodó’)» (Veny 1982: 76).<br />

3. De /d/ a []: les raons de la transformació<br />

Els tipus de síl·labes possibles varien molt d’una llengua a una altra, però s’ha<br />

observat que, en general, els segments que les constitueixen no s’apleguen a<br />

l’atzar, sinó que responen a certs patrons (Lloret 2002: 207). La relació més<br />

evident entre els constituents d’una síl·laba fa referència a la sonicitat amb què<br />

s’emeten els sons: 7 així, el nucli de la síl·laba ha de ser un segment de màxima<br />

sonicitat, mentre que els altres constituents s’han d’ordenar de manera que<br />

presentin un grau de sonicitat decreixent des del pic cap als marges esquerre<br />

(obertura) i dret (coda), d’acord amb l’escala presentada a (3).<br />

(3) Escala de sonicitat<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

vocals > semivocals > ròtiques > laterals > nasals > fricatives > oclusives<br />

7 6 5 4 3 2 1<br />

+<br />

[Adaptat de Pons (2008b)]<br />

sonicitat –<br />

7 Els correlats articulatoris i acústics de la sonicitat no són unívocs: en general, s’ha proposat<br />

que es correspon amb el grau de tensió muscular, d’obertura oral (bucal i nasal) i de<br />

perceptibilitat (Lloret 2002); Parker (2002) estableix que el criteri diriment és la intensitat.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

113<br />

Aquest principi de seqüenciació de la sonicitat (Clements 1990: 285) dóna<br />

compte, universalment, de l’organització de la majoria de síl·labes. Així, un mot<br />

com nadal [naál] té dues síl·labes, [na] i [ál], ben formades des del punt de<br />

vista de la sonicitat entre els seus constituents: en la primera síl·laba, la sonicitat<br />

creix des de l’obertura [n] cap al nucli [a]; en la segona síl·laba, la sonicitat creix<br />

des de l’obertura [] cap al nucli [a] i decreix des del nucli cap a la coda [l]. La<br />

taula de (4) il·lustra aquestes relacions.<br />

(4) Sonicitat intrasil·làbica en el mot nadal [na.ál]<br />

ó ó<br />

O R O R<br />

N N C<br />

[n] [a] [] [a] [l]<br />

2 7 5 7 4<br />

Un altre principi universal que dóna compte de l’estructura sil·làbica de les<br />

llengües és l’ordre en el procés de sil·labificació: comença amb la identificació<br />

del segment de màxima sonicitat que exercirà de nucli de la síl·laba, al qual<br />

s’afegeixen les consonants en posició d’obertura, que es concatenen màximament<br />

seguint la relació decreixent de sonicitat estipulada. Finalment, les consonants<br />

que romanen sense sil·labificar s’afegeixen a les codes, sempre que respectin el<br />

principi de decreixença de sonicitat des del nucli i els requeriments fonotàctics<br />

específics de cada llengua (Clements 1990, Lloret 2002). En un mot com Sardenya,<br />

per exemple, el segment r ocupa la posició de coda de la primera síl·laba<br />

(Sar.de.nya) i no pas la d’obertura de la segona (*Sa.rde.nya) perquè això donaria<br />

lloc a una síl·laba mal formada des del punt de vista de la sonicitat: correctament<br />

decreixent des del nucli, e, cap a la primera consonant del marge, d, però<br />

erròniament creixent des d’aquesta consonant cap a la següent, r. Així doncs,<br />

com que el principi de seqüenciació de la sonicitat en bloqueja l’addició a<br />

l’obertura, la r passa a incorporar-se a la coda de la síl·laba precedent.<br />

Íntimament relacionades amb l’ordre en la sil·labificació hi ha dues altres<br />

tendències atestades interlingüísticament. L’una és una precisió respecte de la


114<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

sonicitat idònia dels segments adjacents al nucli: ha de decréixer màximament a l’inici<br />

de la síl·laba i mínimament al final (Clements 1990: 301). Això és així perquè, com s’ha<br />

vist, els segments adjacents al nucli s’afegeixen a la síl·laba concatenant-se<br />

preferentment a l’obertura sempre que la sonicitat disminueixi, i, doncs, creant<br />

obertures amb una davallada de sonicitat al més extrema possible. En termes generals,<br />

quan la sonicitat entre dues consonants adjacents a l’interior del mot davalla respecte<br />

del nucli, els dos segments se sil·labifiquen com a obertura. Aquest és el cas, per<br />

exemple, de la ròtica i l’oclusiva del mot en.tra.da: com que la sonicitat decreix de la<br />

vocal a la ròtica i de la ròtica a l’oclusiva, els dos sons consonàntics s’apleguen a<br />

l’obertura de la mateixa síl·laba. En canvi, quan la sonicitat entre dues consonants<br />

adjacents a l’interior del mot no davalla respecte del nucli, la de major sonicitat<br />

generalment no s’afegeix a l’obertura de la síl·laba, sinó que passa a formar part de la<br />

coda de la síl·laba precedent. Aquest és el cas, per exemple, de la nasal del mot<br />

en.tra.da: com que la sonicitat decreix de la ròtica a l’oclusiva però creix de l’oclusiva<br />

a la nasal, la darrera consonant no s’annexiona a l’obertura (*e.ntra.da) sinó que<br />

s’aplega a la coda de la síl·laba precedent. Les consonants en posició de coda, per<br />

tant, acostumen a presentar un grau de sonicitat menor que el nucli de la síl·laba on<br />

s’inclouen, però major que el de la consonant que enceta la síl·laba següent. És per<br />

això, doncs, que la sonicitat davalla mínimament a les codes.<br />

La segona tendència és conseqüència directa d’això, i fa referència a la<br />

sonicitat entre els aplecs consonàntics tautosil·làbics, és a dir, entre les<br />

consonants adjacents que pertanyen a síl·labes diferents: la sonicitat ha de<br />

davallar al màxim possible entre la coda d’una síl·laba i l’obertura de la síl·laba<br />

següent. Així les coses, la Llei de contacte sil·làbic (Clements 1990: 520) preveu<br />

que l’harmonia entre síl·labes adjacents serà major com més abruptament<br />

disminueixi la sonicitat entre la coda i l’obertura: per exemple, un contacte<br />

intersil·làbic del tipus [w.d], amb una semivocal a la coda i una oclusiva a l’obertura,<br />

és més harmònic que un contacte intersil·làbic del tipus [w.], amb una semivocal<br />

a la coda i una ròtica a l’obertura, perquè en el canvi de síl·laba la sonicitat<br />

davalla més abruptament en el primer cas que en el segon. 8<br />

8 La Llei de contacte sil·làbic ha estat estudiada amb profunditat en el marc de diferents models<br />

fonològics. En Teoria de l’Optimitat, alguns autors l’han tractada com un principi únic i<br />

categòric, que prohibeix l’increment de la sonicitat entre síl·labes (veg., entre d’altres, Alderete<br />

1995, Bat-El 1996, Urbanczyk 1996, Shin 1997, Miglio 1998, Davis and Shin 1999, Rose<br />

2000 i Holt 2004); d’altres autors, en canvi, n’han proposat una versió gradient i relacional,<br />

d’acord amb la qual els contactes sil·làbics amb sonicitat creixent poden permetre’s fins a cert<br />

grau o bé poden reparar-se, i els contactes sil·làbics amb sonicitat decreixent poden mantenirse<br />

o bé millorar-se (veg., entre d’altres, Gouskova 2001, 2002, 2003, Baertsch i Davis 2003,<br />

2005, 2007, Baertsch 2002 i Pons 2004, 2005, 2007, 2008a, 2008b, en premsa).


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

115<br />

Centrem-nos ara en la interacció d’aquestes tendències amb el procés de<br />

rotacisme de /d/ intervocàlica. Com s’apuntava a (2), la consonant oclusiva que<br />

experimenta el canvi es troba sempre en posició d’obertura: na.dal, co.dony. A la<br />

llum de la informació coneguda fins al moment, el contacte intersil·làbic entre la<br />

vocal de la rima i la d de l’obertura següent és màximament harmònic, perquè la<br />

sonicitat decreix al màxim possible en l’escala (veg. 3). Qualsevol canvi en el<br />

mode d’articulació de la consonant en posició d’obertura, doncs, implica una<br />

reducció de la distància de sonicitat decreixent entre les dues síl·labes, perquè<br />

les vocals són els sons que presenten més sonicitat de tots, i, les oclusives, els<br />

que en presenten menys. Així les coses, sembla que el rotacisme no millora la<br />

relació de sonicitat intersil·làbica, sinó que en redueix el contrast en la decreixença<br />

i, doncs, fa menys preferible el contacte.<br />

La contradicció, però, es resol si es considera l’estatus especial que reben<br />

els segments en posició intervocàlica. En efecte, s’ha constatat que hi ha una<br />

tendència general a tractar les consonants que ocorren entre vocals com a pics,<br />

i no pas com a marges: el seu grau de sonicitat no ha de davallar màximament,<br />

sinó que s’ha de mantenir al més alt possible (Uffmann 2005, Pons 2008b). En<br />

posició intervocàlica, per tant, la tendència general no és a extremar la distància<br />

de sonicitat entre la vocal i l’obertura següent, sinó tot al contrari: es prefereix de<br />

fer la transició entre vocals al més suau possible, i, doncs, es consideren més<br />

harmònics els segments amb més sonicitat. La taula de (5) captura el fet que les<br />

consonants amb menys sonicitat són pitjors en aquest context i, per tant, són<br />

preferentment rebutjades respecte de les consonants amb més sonicitat.<br />

(5) Escala de prominència per a les consonants intervocàliques<br />

*V_V/ oclusives >> *V_V/ fricatives >> *V_V/ nasals >> *V_V/ laterals >> *V_V/ ròtiques >><br />

*V_V/ semivocals<br />

[Adaptat d’Uffmann (2005) i Pons (2008b)]<br />

D’aquesta manera, el rotacisme de /d/ intervocàlica s’entén com una estratègia<br />

per minimitzar el contrast de sonicitat en el pas d’una vocal a una altra, reduint<br />

substancialment la distància que les separa: per al mot nadal, una forma com<br />

[naál] és més harmònica que no pas una forma com *[nadál], perquè l’articulació<br />

de [] redueix la corba de sonicitat entre les dues vocals, mentre que l’articulació<br />

de [d] l’extrema. 9 L’esquema de (6) il·lustra aquest canvi.<br />

9 La mateixa anàlisi és vàlida per al rotacisme de /l/ intervocàlica: en efecte, el canvi de lateral<br />

a ròtica ‘suavitza’ en un grau la distància de sonicitat intersil·làbica entre la rima i l’obertura.


116<br />

(6) Distància de sonicitat entre vocals en les formes [na.al] i *[na.dal]<br />

vocals > semivocals > ròtiques > laterals > nasals > fricatives > oclusives<br />

7 6 5 4 3 2 1<br />

n[a.a]l: distància de sonicitat entre vocals = -2<br />

*n[a.da]l: distància de sonicitat intersil·làbica= -6<br />

Abans de cloure l’anàlisi, però, cal respondre una darrera qüestió: per què<br />

l’oclusiva dental subjacent /d/ s’articula [] i no per les semivocals [i] o [w]<br />

(cfr. *[najál], *[nawál]), que exhibeixen més sonicitat que les ròtiques? D’acord<br />

amb l’escala de (6), la distància de sonicitat decreixent entre síl·labes seria sols<br />

d’un grau, i, doncs, hauria de ser preferida en aquest context. La raó és que<br />

s’escull el segment amb més sonicitat possible, sempre, però, que preservi el<br />

tret [continu] de la forma subjacent. Així, [naál] resulta la forma òptima per tal<br />

com suavitza al màxim la transició de sonicitat entre vocals sense alterar el<br />

valor [continu] de /d/. 10 La tensió entre la tendència a la millora harmònica de les<br />

estructures marcades, d’una banda, i la voluntat de preservar els trets de la<br />

forma subjacent en la forma superficial, de l’altra, dóna compte dels processos<br />

fonològics de les llengües. I, en aquest sentit, el rotacisme alguerès, desencadenat<br />

per la necessitat de canviar una estructura marcada però constret per la fidelitat<br />

a certs trets de la forma subjacent, n’és un exemple paradigmàtic.<br />

4. O [d] o []: les raons de la variació<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

Fins ara s’han repassat les consideracions sobre el rotacisme de /d/ intervocàlica<br />

recollides en els estudis gramaticals sobre l’alguerès i s’ha assajat una primera<br />

interpretació, en termes de sonicitat, de les raons que motiven el procés. Ara,<br />

doncs, cal centrar l’atenció en la variació que el caracteritza, la qual, com s’ha<br />

vist, no ha estat atestada de manera suficient en els estudis lingüístics previs.<br />

Per què en un mot com nadal la realització rotacitzada és àmpliament majoritària<br />

i, en canvi, en un mot com edat no? Quines són les raons que donen compte del<br />

bloqueig del procés i en condicionen la naturalesa variable?<br />

10 En el cas del rotacisme intervocàlic de /l/, el principi que regula la selecció de la ròtica en<br />

comptes de la semivocal és la tendència a preservar el tret [líquid] de l’input en l’output.<br />

Veg. nota 9, supra.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

117<br />

Per respondre a aquestes qüestions s’han estudiat les realitzacions de dotze<br />

individus algueresoparlants, seleccionats intencionadament segons l’edat, el<br />

gènere i el lloc de naixement propi i dels pares. Així, s’han escollit sis homes i sis<br />

dones, distribuïts uniformement en tres franges d’edat: de 15 a 35 anys, de 36 a<br />

55 anys i de 56 a 75 anys. Tots ells són nats a l’Alguer i tenen com a mínim un<br />

progenitor de procedència i parla algueresa. 11<br />

El corpus de dades emprat en les enquestes consta de noranta-sis ocurrències<br />

de /d/ intervocàlica, organitzades en funció de l’àrea del mot en què s’escau el<br />

fonema (a l’interior de l’arrel, entre l’arrel i el prefix, entre l’arrel i el sufix, al sufix<br />

o entre base i base d’un mot compost) i en funció de la tipologia del mot (culte,<br />

patrimonial, neològic, manllevat de l’italià, manllevat del sard, manllevat del<br />

castellà o manllevat de l’anglès). Les tècniques emprades per a la recollida de les<br />

dades han estat el qüestionari i l’entrevista.<br />

Les variables socials considerades han estat l’edat, el gènere, el nivell<br />

d’estudis i el coneixement d’idiomes; les variables lingüístiques considerades<br />

han estat l’origen del mot (català, castellà, sard, italià o anglès), la tipologia del<br />

mot (culte, patrimonial, neològic o manllevat), 12 l’etimologia de /d/ (derivada de<br />

-T- intervocàlica llatina, derivada de -D- intervocàlica llatina, derivada de -tintervocàlica<br />

germànica o d’altres llengües no romàniques o derivada de -dintervocàlica<br />

germànica o d’altres llengües no romàniques), 13 el <strong>núm</strong>ero de<br />

síl·labes del mot, el context vocàlic anterior a /d/, el context vocàlic posterior<br />

a /d/, la posició de /d/ segons la tonicitat de la síl·laba (pretònica, tònica o<br />

posttònica), l’àrea morfològica del mot en què ocorre /d/ (a l’interior de l’arrel;<br />

al límit esquerre de l’arrel: entre l’arrel i el prefix; al límit dret de l’arrel: entre l’arrel<br />

i el sufix; al sufix flexiu; al sufix derivatiu o entre base i base d’un mot compost) 14<br />

i la freqüència d’ús del mot (rar o freqüent). 15<br />

11 Per a una descripció detallada i justificada de la metodologia emprada en la recerca, veg.<br />

Cabrera-Callís (2009).<br />

12 La tipologia dels mots s’ha establert a partir de Coromines (1980-1991), en el cas dels<br />

vocables catalans; Wagner (1960), en el cas dels vocables sards; i Battisti & Alessio<br />

(1998), en el cas dels vocables italians.<br />

13 L’etimologia dels mots s’ha establert a partir de Coromines (1980-1991), en el cas dels<br />

vocables catalans; Wagner (1960), en el cas dels vocables sards; i Battisti & Alessio<br />

(1998), en el cas dels vocables italians.<br />

14 El llistat de prefixos i sufixos s’ha establert a partir de Cabré (2002), Sanna (1988) i<br />

Wagner (1960). No s’ha trobat, en aquestes fonts, cap prefix que contingui /d/ intervocàlica<br />

o que acabi en /d/ postvocàlica (en el context del qual l’addició d’una arrel començada en<br />

vocal generaria el context vàlid per a l’aplicació del rotacisme al límit dret del prefix).<br />

15 La freqüència d’ús dels mots s’ha establert a partir de Rafel (1996): s’ha sumat la<br />

freqüència relativa d’aparició de totes les paraules del corpus en el Diccionari de freqüències


118<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

El tractament estadístic de les dades s’ha dut a terme per mitjà del programa<br />

Goldvarb exe, que ha permès de calcular l’aparició de la forma rotacitzada en<br />

relació amb els condicionants presos en consideració, d’una banda, i la validesa<br />

estadística d’aquestes variables a l’hora d’explicar la variació, de l’altra.<br />

Seguidament s’exposen els resultats més rellevants de la prospecció.<br />

L’anàlisi estadística de les dades mostra que les variables determinants de la<br />

l’aplicació o el bloqueig del rotacisme de /d/ intervocàlica en alguerès són: la<br />

freqüència d’ús del mot en què ocorre /d/, el context vocàlic anterior, el context<br />

vocàlic posterior, la prominència de /d/ en el mot 16 i la casuística del mot en què<br />

ocorre /d/. 17 De les variables lingüístiques preses en consideració en l’estudi,<br />

doncs, sols la relacionada amb la quantitat de síl·labes del mot s’ha revelat<br />

irrellevant. Per contra, s’han desestimat totes les variables de tipus social com a<br />

explicadores de la variació en el fenomen estudiat.<br />

L’estudi porta a col·lació que la probabilitat total d’aplicació de la regla de<br />

rotacisme – o sia, d’ocurrència de les variants rotacitzades de /d/ intervocàlica ([]<br />

o []) – és molt escassa (input = 0’127). Aquesta dada de caràcter general dóna<br />

compte de la tendència a la fossilització del fenomen: sembla que el procés ha<br />

deixat de ser operatiu en alguerès i sols es manté en uns ítems lèxics concrets,<br />

establerts tradicionalment amb la pronúncia rotacitzada. Aquesta mateixa raó explica<br />

la irrellevància dels factors socials presos en consideració: com que el fenomen ja<br />

no és productiu, els mots que s’han fixat amb rotacisme es reprodueixen de forma<br />

pràcticament idèntica entre tots els parlants, sense fissures ni per a la variació<br />

social ni per a la innovació fonètica. La conducta, com s’exposa més endavant, és<br />

indicativa del procés d’atròfia que afecta la llengua en tots els àmbits.<br />

Pel que fa a la variable relacionada amb la freqüència d’ús del mot, la utilització<br />

habitual de l’ítem lèxic en el qual ocorre /d/ afavoreix l’aplicació del rotacisme –<br />

i, doncs, la presència de les variants [] o [] – en una probabilitat del 0’52;<br />

mentre que, a la inversa, la baixa freqüència d’ús del terme tendeix a bloquejar el<br />

fenomen, que en aquest context s’escau en una probabilitat molt baixa, del 0’23.<br />

i s’ha dividit el resultat pel nombre total de vocables estudiats, de manera que els que<br />

queden per damunt de la xifra s’han considerat freqüents; i els que queden per davall, rars.<br />

En el cas dels mots que, per la seva procedència forana, no apareixen al diccionari, s’han<br />

emprat altres criteris, com ara el tipus de mot, l’etimologia i el temps i la dificultat<br />

d’elicitació del terme per part dels informants.<br />

16 Aquesta nova variable ha estat generada a partir de la combinació de les variables inicials<br />

‘àrea morfològica del mot en què ocorre /d/’ i ‘posició de /d/ segons la tonicitat de la síl·laba’.<br />

17 Aquesta nova variable ha estat generada a partir de la combinació de les variables inicials<br />

‘origen del mot’, ‘tipus de mot’ i ‘etimologia de /d/’.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

La taula de (7) il·lustra aquestes afirmacions.<br />

(7) Probabilitat d’aplicació del rotacisme segons la freqüència d’ús del mot<br />

[X 2 total = 329’145 (X 2 màxim = 335’096); p = 0’000]<br />

119<br />

Així, sembla que la raresa del mot condiciona de manera notable l’activitat<br />

del procés, en el sentit que en bloqueja l’aplicació en un nombre elevat de casos.<br />

Per contra, els termes d’ús freqüent presenten una variació en l’articulació de /<br />

d/ que es reparteix de manera força equitativa entre les dues solucions (la<br />

rotacitzada i la no rotacitzada): són formes neutrals, no marcades i, doncs,<br />

transparents a la variabilitat del fenomen. S’entén, per tant, que la freqüència<br />

d’ús determina el bloqueig en l’aplicació del fenomen en aquells mots que, pel<br />

seu ús restringit, no són presents en la quotidianitat del conjunt de la comunitat<br />

de parla – i, doncs, no es veuen afectats pel desgast fonètic propi de la parla<br />

comuna popular. Per si sola, però, la variable no resulta explicativa de l’activitat<br />

del rotacisme en els mots d’ús habitual, perquè en aquest cas les probabilitats<br />

d’aplicació i de bloqueig de la regla són molt similars.<br />

Quant a l’influx dels segments fònics adjacents a /d/, la tendència és la<br />

mateixa tant pel que fa a les vocals que precedeixen el so com pel que fa a les<br />

vocals que el segueixen. En efecte, la presència d’una vocal mitjana ([e], [], [o]<br />

o []) suposa l’aplicació de la regla de rotacisme en una probabilitat del 0’24, en<br />

el cas que el so precedeixi la consonant, i del 0’25, en el cas que la segueixi. En<br />

canvi, la presència d’una vocal extrema ([a], [i] o [u]) precedint i/o seguint /d/ no<br />

sembla que condicioni l’activitat del rotacisme en cap sentit: en ambdós contextos,<br />

la probabilitat d’aparició de la solució rotacitzada és del 0’4<strong>9.</strong> Les taules de (8) i<br />

(9) il·lustren aquestes consideracions.


120<br />

(8) Probabilitat d’aplicació del rotacisme segons el tipus de vocal precedent<br />

[X 2 total = 329’145 (X 2 màxim = 335’096); p = 0’000]<br />

(9) Probabilitat d’aplicació del rotacisme segons el tipus de vocal següent<br />

[X 2 total = 329’145 (X 2 màxim = 335’096); p = 0’000]<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

Així, mentre les vocals extremes es mantenen neutrals quant a l’aplicació variable<br />

de la regla, sembla que les vocals mitjanes en determinen ostensiblement la tendència<br />

al bloqueig. Aquesta conducta s’explica, més que no pas – o no exclusivament – per<br />

raó de les propietats acústiques del so per se, 18 per la concomitància amb l’aplicació<br />

18 Considerades aïlladament, les vocals mitjanes no presenten, ni precedint ni seguint /d/,<br />

unes regularitats en el comportament que permetin d’establir generalitzacions<br />

interpretatives.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

121<br />

o el bloqueig d’una altra regla fonològica, la de reducció vocàlica, com a<br />

manifestacions paral·leles del grau d’adaptació del mot a la llengua. En efecte, l’anàlisi<br />

creuada de les dades relacionades amb la presència d’aquestes vocals i la posició de<br />

la síl·laba tònica en el mot ha permès d’aïllar la major part dels casos d’excepció a la<br />

reducció vocàlica presents en el corpus de dades estudiat. A partir d’aquí s’ha pogut<br />

establir el percentatge de coincidències entre la subaplicació de la regla de reducció<br />

vocàlica i la subaplicació de la regla de rotacisme, que frega el 96%: l’un i l’altre<br />

fenomen, doncs, es revelen com a símptomes concomitants de la no adaptació<br />

(plena) del mot a la fonologia de l’alguerès.<br />

La variable batejada com a ‘casuística del mot’ és una refosa dels factors<br />

relacionats amb la filiació lingüística de l’ítem lèxic, amb el seu caràcter<br />

patrimonial, culte, manllevat o neològic i amb l’ascendència etimològica del<br />

segment /d/. Pel que fa al primer factor, l’origen català, castellà, italià, sard o<br />

anglès del mot determina el comportament del rotacisme en els dos sentits oposats<br />

que la taula de (10) il·lustra.<br />

(10) Probabilitat d’aplicació del rotacisme segons la procedència del mot<br />

[X 2 total = 329’145 (X 2 màxim = 335’096); p = 0’000]<br />

L’adscripció catalana i, en menor grau, sarda i castellana del mot en què<br />

ocorre /d/ sembla que es manté neutral quant a l’activitat del rotacisme: reflecteix<br />

transparentment el caràcter variable del fenomen, sense determinar-ne ni la<br />

tendència a l’aplicació ni la tendència al bloqueig. L’afirmació és especialment<br />

vàlida per als mots de procedència catalana, perquè en aquest cas la probabilitat<br />

de realització de [] o [] és del 0’51. En els mots d’origen sard i castellà, la<br />

tendència és igual: no sembla que la procedència marqui taxativament les<br />

directrius de la variació, però sí que condiciona positivament la inclinació a


122<br />

l’aplicació del procés en els seus mots. Amb tot, la probabilitat d’aplicació de la<br />

regla és del 0’56: la tendència a l’acció de la regla, doncs, no és molt marcada.<br />

Ben al contrari, la filiació italiana o anglesa dels vocables en què s’escau /d/<br />

condiciona determinantment l’activitat del rotacisme, en el sentit que en bloqueja<br />

el procés gairebé de forma total. En efecte, en els mots d’origen italià la probabilitat<br />

d’aplicació de la regla és molt baixa (0’07); i la tendència arriba a l’extrem en els<br />

mots procedents de l’anglès o d’altres llengües: en aquest cas, no es constata<br />

cap ocurrència de /d/ rotacitzada.<br />

El comportament del procés de rotacisme en relació amb l’origen dels mots<br />

en què ocorre és, doncs, indicatiu de la superposició de dos estadis lingüístics<br />

distints. En el primer, això és, en l’època de major penetració de sardismes i<br />

castellanismes en la llengua (s. XVI-XVIII), el fenomen era productiu i s’aplicava<br />

als elements lingüístics forans amb la mateixa variabilitat amb què s’aplicava<br />

als mots autòctons: d’aquí que els percentatges d’activitat i bloqueig del<br />

fenomen siguin similars tant en els mots catalans com en els manlleus del sard<br />

i del castellà. En el segon estadi, que coincideix amb l’inici de l’abundant<br />

penetració de mots procedents de l’italià i, en menor mesura, de mots procedents<br />

de l’anglès o d’altres llengües (s. XIX-XXI), en canvi, el fenomen ha deixat de ser<br />

productiu: els mots que en l’actualitat s’incorporen al cabal lèxic de l’alguerès<br />

ja no experimenten aquest procés. D’aquí, és clar, el predomini gairebé total de<br />

la realització no rotacitzada de /d/ en els mots de d’adscripció italiana, anglesa<br />

o d’altres llengües.<br />

La tipologia del mot en què ocorre /d/ és clarament determinant de l’activitat<br />

del rotacisme: els mots cultes i els manlleus i/o neologismes tendeixen a bloquejarne<br />

l’aplicació, mentre que els mots patrimonials l’afavoreixen. La taula de (11)<br />

il·lustra els resultats obtinguts en la prospecció.<br />

(11) Probabilitat d’aplicació del rotacisme segons el tipus de mot<br />

[X 2 total = 329’145 (X 2 màxim = 335’096); p = 0’000]<br />

Maria Cabrera i Callís


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

123<br />

Les dades, doncs, apunten en el mateix sentit que les relacionades amb la<br />

freqüència d’ús del mot: les paraules que són presents en la quotidianitat del<br />

conjunt de la comunitat de parla experimenten el fenomen en més casos que no<br />

pas aquelles que, per raó del seu ús especialitzat o del seu caràcter elevat, en<br />

resten al marge. Això explica, per tant, la baixa freqüència d’aparició de la forma<br />

rotacitzada en cultismes. D’altra banda, l’augment de les probabilitats d’ocurrència<br />

de la solució afectada pel procés en els neologismes i els manlleus (0’28) respecte<br />

dels cultismes (0’05) podria fer pressuposar una certa productivitat del rotacisme<br />

en els vocables de nou encuny. La hipòtesi, però, no és vàlida: es tracta d’una<br />

desviació en els resultats fruit de la inclusió en la variant ‘manlleus i neologismes’<br />

de tots els mots d’adscripció forana, inclosos aquells que, com els sards o<br />

castellans, presenten nombrosos casos d’articulació rotacitzada de /d/. Així<br />

doncs, es confirma el supòsit que el procés ha deixat de ser operatiu en la<br />

llengua: els mots que actualment s’incorporen a l’alguerès en bloquegen<br />

l’aplicació d’una manera gairebé sistemàtica. El procés, doncs, sols tendeix a<br />

aplicar-se normalment (amb una probabilitat del 0’74) en els mots patrimonials<br />

que formen part del pòsit lèxic comú a tots els parlants.<br />

L’etimologia de /d/ també determina significativament l’activitat del procés:<br />

tal com apunten els estudis gramaticals de Blasco (1984) i Peana (1995), el segment<br />

rotacitzat deriva generalment de -T- intervocàlica llatina (en aquest cas, la<br />

probabilitat d’aplicació de la regla és del 0’9); alguns pocs vocables derivats de<br />

-D- intervocàlica llatina, però, també experimenten aquesta modificació (la<br />

probabilitat és de 0’16). Així mateix, els mots derivats de -t- i de -d- d’origen<br />

germànic o d’altres llengües no romàniques no experimenten mai el procés (la<br />

probabilitat d’aplicació de la regla és de 0 en ambdós casos). La taula de (12)<br />

il·lustra els resultats obtinguts de l’anàlisi.<br />

(12) Probabilitat d’aplicació del rotacisme segons l’etimologia de /d/<br />

[X 2 total = 329’145 (X 2 màxim = 335’096); p = 0’000]


124<br />

El pes de l’etimologia en el desencadenament del procés, que a la llum<br />

d’aquestes dades sembla molt important, es relativitza, però, en creuar-se amb<br />

les dades relacionades amb el tipus de mot que l’experimenta. En efecte, el<br />

contrast entre la procedència etimològica del segment i el tipus de la paraula en<br />

què ocorre porta a col·lació que la majoria d’ocurrències de -T- llatina es donen<br />

en mots patrimonials (288 emissions d’un total de 383), mentre que la majoria de<br />

les ocurrències de -D- llatina es donen en mots cultes (240 emissions d’un total<br />

de 578) i en neologismes i manlleus (201 emissions d’un total de 578). Així, si bé<br />

no deixa de ser un factor rellevant, l’influx de l’etimologia en l’orientació del<br />

procés resulta menys transcendent del que inicialment semblava.<br />

El darrer factor rellevant per a l’anàlisi és el que es relaciona amb la prominència<br />

de l’àrea del mot en què ocorre /d/, fusió de les variables inicials ‘àrea morfològica<br />

del mot en què ocorre /d/’ i ‘posició de /d/ segons la tonicitat de la síl·laba’. Pel<br />

caràcter determinant que pren en la prospecció, així com per la riquesa dels<br />

lligams que permet d’establir amb els camps de la fonologia i la morfologia, cal<br />

prestar una atenció especial a aquesta variable.<br />

El condicionant, certament, resulta cabdal per a l’estudi en la mesura que<br />

explica coherentment la tendència a l’aplicació o al bloqueig del rotacisme en<br />

funció de la rellevància morfològica i/o accentual de la zona del mot en què<br />

s’escau el segment estudiat. En aquest sentit, una idea recurrent dels estudis<br />

sobre fonologia és que hi ha posicions estructurals que, per raó del seu pes<br />

morfològic o accentual, són més fortes que d’altres (Lloret & Jiménez 2008a). La<br />

taula de (13) recull les asimetries posicionals estipulades normalment que afecten<br />

el fenomen aquí estudiat.<br />

(13) Posicions contraposades quant a prominència<br />

+ Prominent (fort) – Prominent (feble)<br />

Síl·laba tònica Síl·laba àtona<br />

Síl·laba pretònica Síl·laba posttònica<br />

Posició inicial del mot Posició final del mot<br />

Radical<br />

[Adaptat de Lloret & Jiménez 2008a: 1]<br />

Afix<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

Aquesta distinció posicional s’ha emprat per explicar les asimetries que es<br />

reporten, en diferents llengües del món, entre elements iguals situats en llocs<br />

estructurals diferents: s’admet que les unitats que apareixen associades a<br />

posicions més fortes es troben protegides i, doncs, són més resistents als canvis;


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

125<br />

mentre que les unitats que s’associen a posicions més febles no estan protegides<br />

i, doncs, són més susceptibles d’experimentar modificacions. 19 A la llum d’aquesta<br />

situació, el comportament variable del fenomen aquí analitzat resulta fàcilment<br />

interpretable. Per començar, la taula de (14) recull els percentatges de rotacisme<br />

de /d/ intervocàlica segons la posició del segment quant a tonicitat i quant a<br />

l’àrea morfològica del mot en què s’escau.<br />

(14) Percentatge d’aplicació del rotacisme segons la situació accentual i morfològica de /d/<br />

Síl·laba pretònica Síl·laba tònica Síl·laba posttònica<br />

Base+base (mot compost) 0 %<br />

(16 ocurrències)<br />

— —<br />

Límit esquerre de l’arrel 0 % 0 % —<br />

(55 ocurrències) (24 ocurrències)<br />

Interior de l’arrel 20% 40% 42%<br />

(122 ocurrències) (288 ocurrències) (60 ocurrències)<br />

Límit dret de l’arrel 43% 46% 66%<br />

(23 ocurrències) (193 ocurrències) (107 ocurrències)<br />

Sufix derivatiu — 37% 71%<br />

(36 ocurrències) (48 ocurrències)<br />

Sufix flexiu<br />

[— = absència d’ocurrències]<br />

— — 100%<br />

(72 ocurrències)<br />

La primera consideració rellevant que cal fer és que, en relació al procés<br />

fonològic estudiat, el límit entre base i base d’un mot compost es comporta<br />

semblantment al límit de paraula: en bloqueja totalment l’aplicació. De la mateixa<br />

manera, l’addició d’un prefix acabat en vocal a una arrel començada en /d/ tampoc<br />

no genera un context vàlid per a l’aplicació del rotacisme, amb independència de<br />

la posició accentual que ocupi el segment. L’abast de la regla de rotacisme,<br />

19 La Teoria de l’Optimitat s’interessa notablement per l’anàlisi d’aquest tipus de casos, i<br />

pel seu influx en l’aplicació o el bloqueig dels fenòmens fonològics: en el marc d’aquest<br />

model fonològic, la situació s’entén en termes de fidelitat posicional. Així, s’admet que<br />

hi ha una sèrie de restriccions que vetllen per la protecció dels trets dels segments situats<br />

en l’àrea prominent del mot; aquests principis de fidelitat a la forma subjacent, però, es<br />

troben en conflicte amb les restriccions de marcatge que advoquen per l’articulació més<br />

simple i harmònica dels segments – en detriment de la identitat amb la forma fonològica<br />

profunda. La resolució de la tensió entre les dues tendències s’expressa per mitjà de<br />

l’ordenació jeràrquica de les restriccions en joc, que explica quins principis activen i<br />

quins principis bloquegen l’activitat del fenomen fonològic tractat. Per a una exposició<br />

detallada de les bases de la Teoria de l’Optimitat, veg., entre d’altres, els manuals de<br />

Kager (1999), McCarthy (2002) i McCarthy (2008); per a una introducció aplicada al<br />

català, veg., entre d’altres, Pons (2004) i Vallverdú (2000).


126<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

doncs, és el mot lèxic, i les fronteres entre base i base d’un mot compost, d’una<br />

banda, i entre el prefix i l’arrel d’un mot derivat, de l’altra, cauen en el nivell<br />

postlèxic: són, en conseqüència, immunes a la seva activitat.<br />

L’interior i el límit dret de l’arrel sí que són sensibles a la posició accentual de<br />

/d/: els casos de rotacisme augmenten en els mots amb /d/ en síl·laba tònica<br />

respecte dels mots amb /d/ en síl·laba pretònica i en els mots amb /d/ en síl·laba<br />

posttònica respecte dels mots amb /d/ en síl·laba tònica. Al mateix temps, la<br />

probabilitat d’aplicació del rotacisme també s’eleva sensiblement en els mots<br />

amb /d/ al límit dret de l’arrel – això és, en aquells casos en què el context<br />

intervocàlic es genera per l’addició d’un sufix començat en vocal a una arrel<br />

acabada en /d/ – respecte dels mots amb /d/ a l’interior de l’arrel. Aquestes dues<br />

àrees del mot són, per tant, les més neutrals quant a la prominència, en el sentit<br />

que ni protegeixen absolutament els trets dels segments que hi ocorren, ni toleren<br />

plenament l’activitat del processos fonològics que els modificarien. El percentatge<br />

d’aplicació del rotacisme hi oscil·la entre el 20% i el 66%.<br />

A l’interior del sufix derivatiu, l’activitat del rotacisme és molt sensible a la posició<br />

de l’accent en el mot: en el pas dels mots amb /d/ en síl·laba tònica als mots amb /d/<br />

en síl·laba posttònica augmenta en un 34%. A l’interior del sufix flexiu, per últim, el<br />

rotacisme opera sistemàticament. Sembla, doncs, que el radical (això és, l’arrel més<br />

els morfemes de derivació) és especialment sensible quant a la protecció dels trets<br />

dels seus segments, perquè la tendència a la fidelitat a la forma subjacent deixa de ser<br />

activa més enllà dels seus límits. Així, els elements flexius que es concatenen rere la<br />

frontera del radical es troben en l’àrea més feble i menys prominent del mot, i, doncs,<br />

són susceptibles d’experimentar més processos fonològics.<br />

Feta l’anàlisi general dels resultats, cal afegir dues consideracions específiques<br />

en relació a les àrees de prominència exposades. La primera és que la distribució<br />

dels percentatges d’aplicació del rotacisme de (14) revela que la posició morfològica<br />

de /d/ és més determinant de l’activitat del procés que no pas la posició de /d/<br />

segons l’accent. En efecte, el primer criteri permet de distingir les àrees d’aplicació<br />

i de bloqueig del fenomen – i, doncs, les àrees de menys o més prominència del mot<br />

– de forma més clara. El segon criteri, en canvi, sols actua en la distinció dels<br />

àmbits del mot de major o menor tendència al rotacisme en aquelles àrees més<br />

neutrals del mot lèxic – això és, entre l’interior de l’arrel i el límit del radical.<br />

La segona consideració té a veure amb l’horitzó d’expectatives generat per<br />

les dicotomies de (13). En efecte, en base a aquestes oposicions s’esperaria una<br />

major aplicació del rotacisme en els mots amb /d/ en síl·laba pretònica més que<br />

no pas en els mots amb /d/ en síl·laba tònica, perquè la primera posició, en tant<br />

que àtona, es considera més feble i, doncs, menys protegida dels processos


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

127<br />

fonològics que no pas la segona. Nogensmenys, els mots amb /d/ en síl·laba<br />

pretònica són els que presenten una probabilitat més baixa d’aplicació de la<br />

regla. Semblantment, s’esperaria una major aplicació del rotacisme en els mots<br />

amb /d/ al límit esquerre de l’arrel més que no pas en els mots amb /d/ a l’interior<br />

de l’arrel, perquè la primera posició, en tant que perifèrica, es considera més<br />

feble i, doncs, menys protegida dels processos fonològics que no pas la segona.<br />

Això no obstant, les paraules amb /d/ al límit esquerre de l’arrel són les que<br />

presenten una probabilitat més baixa d’aplicació de la regla.<br />

Aquests comportaments singulars revelen que, pel que fa a la prominència,<br />

el criteri diriment en l’aplicació del rotacisme és la posició de /d/ a l’inici o a la fi<br />

del mot. En efecte, l’increment d’actuació del procés segons l’escala ‘/d/ en<br />

síl·laba pretònica < /d/ en síl·laba tònica < /d/ en síl·laba posttònica’ es relaciona,<br />

més que no tant – o no directament – amb la tonicitat, amb l’increment<br />

d’ocurrències del segment al final del mot: quan es troba en situació pretònica,<br />

el segment se sol escaure a l’inici de la paraula, a la segona síl·laba (ex: a.do.lo.rir<br />

[a.du.u.í]); quan es troba en situació tònica, el segment se sol escaure a l’interior<br />

de la paraula (ex: a.be.ce.da.ri [a.be.te.dá.i(o)]); quan es troba en situació<br />

posttònica, el segment se sol escaure al final de la paraula, a la penúltima o<br />

l’última síl·laba (ex: a.bra.ça.da [a.bra.sá.a]). Paral·lelament, l’increment de<br />

l’actuació del procés segons l’escala ‘límit esquerre de l’arrel < interior de l’arrel’<br />

respon a l’increment de les ocurrències del segment al final del mot: quan es<br />

troba entre el prefix i l’arrel, /d/ sol ocórrer cap a l’inici del mot (ex.: a+dorm+isc+ar<br />

[a.ru.mis.ká]); quan es troba a l’interior de l’arrel, en canvi, /d/ sol ocórrer a<br />

l’interior o cap a la fi del mot (ex.: nadal [na.ál]).<br />

L’aplicació del rotacisme, per tant, augmenta com més a la dreta del mot<br />

ocorre /d/: l’escala de prominència que determina l’increment de l’activitat del<br />

fenomen és ‘posició inicial > posició central > posició final’. La major rellevància<br />

de la part inicial del mot es deu sobretot a raons psicolingüístiques i perceptives,<br />

i es relaciona amb el caràcter lineal de la parla i amb l’accés al lèxic d’esquerra a<br />

dreta per part dels parlants (Hawkins & Cutler 1988, Lloret & Jiménez 2008a,<br />

Lloret & Jiménez 2008b). 20 Les taules següents capturen l’increment percentual<br />

20 Veg. el que en diuen Hawkins i Cutler (1988): «Studies of word recognition strongly<br />

suggest that the psychologically most salient part of any word is its beginning portion.<br />

The evidence is of two general kinds: beginning portions are the most effective cues for<br />

successful recall or recognition of a word; and the effects of distorting the beginning of<br />

a word are much more severe than the effects of distorting later portions» (pàg. 295).<br />

Per a un anàlisi de les asimetries en el vocalisme alguerès i valencià en aquests termes,<br />

veg. Lloret & Jiménez 2008a, Lloret & Jiménez 2008b.


128<br />

de rotacisme d’esquerra a dreta del mot, segmentat segons el nivell morfològic<br />

(15) i accentual (16) en què ocorre /d/:<br />

(15) Increment percentual del rotacisme d’esquerra a dreta del mot en relació al nivell<br />

morfològic en què s’escau /d/<br />

[[prefix][_arrel_][sufix derivatiu]] R [sufix flexiu]<br />

0% 33% 52% 54% 100%<br />

– rotacisme +<br />

[...] R = límit del radical (arrel + morfemes derivatius)<br />

(16) Increment percentual del rotacisme d’esquerra a dreta del mot en relació a la tonicitat<br />

de la síl·laba en què s’escau /d/<br />

/d/ en síl·laba /d/ en síl·laba /d/ en síl·laba<br />

pretònica tònica posttònica<br />

16% 43% 60%<br />

– rotacisme +<br />

Les anàlisis parcials dels factors relacionats amb la prominència corroboren,<br />

doncs, la validesa de la hipòtesi: la probabilitat d’ocurrència de la solució<br />

rotacitzada augmenta com més cap a la dreta del mot ocorre /d/, perquè l’àrea<br />

final del mot és la més feble i, doncs, la que resta més desprotegida davant del<br />

procés fonològic operant. D’altra banda, el fet que el canvi fonètic operi en el<br />

darrer tram de la paraula comporta menys costos en la descodificació lèxica –<br />

que els parlants inicien per l’esquerra de l’ítem (Hawkins & Cutler 1988, Lloret &<br />

Jiménez 2008a, Lloret & Jiménez 2008b) – i en la distribució informacional del mot<br />

– atès que a la dreta del mot es concatenen els morfemes derivatius, primer, i els<br />

morfemes flexius, després, que aporten poca informació semàntica, els primers,<br />

i sols informació gramatical, els segons.<br />

5. Conclusions<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

Aquest estudi ha afrontat dos buits existents en la descripció del procés<br />

de rotacisme de /d/ intervocàlica que opera en alguerès: d’una banda, s’ha<br />

assajat una primera interpretació de les raons funcionals que desencadenen<br />

el fenomen; de l’altra, s’ha proposat una anàlisi quantitativa de la variació


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

129<br />

que experimenta, a fi de determinar quins són els factors condicionants de<br />

la seva variabilitat.<br />

El repàs de les gramàtiques i els estudis lingüístics previs ha posat en<br />

evidència, certament, la parcialitat de les descripcions relacionades amb el<br />

rotacisme de /d/ intervocàlica: el fenomen s’ha interpretat majoritàriament com<br />

una regla opcional d’aplicació categòrica, i l’atenció s’ha centrat en la filiació<br />

lingüística del fenomen i en l’establiment precís de la seva època de fixació en<br />

l’alguerès. L’anàlisi interpretativa del procés en termes fonològics, així com la<br />

variabilitat en la seva activitat, han rebut poca atenció fins al moment.<br />

Pel que fa a les raons fonològiques que determinen l’activitat del rotacisme,<br />

se n’ha proposat una primera interpretació en termes de sonicitat. En efecte,<br />

s’ha vist que, tendencialment, les obertures sil·làbiques preferides són aquelles<br />

que exhibeixen una davallada més abrupta de la sonicitat respecte del nucli, i els<br />

contactes entre síl·labes són més harmònics com major és la distància de sonicitat<br />

decreixent entre la coda i l’obertura. Amb tot, les consonants en posició<br />

intervocàlica constitueixen una excepció a aquesta tendència: les llengües<br />

acostumen a preferir transicions de sonicitat al més suaus possibles entre dues<br />

vocals. És en aquest sentit, doncs, que el procés de rotacisme de /d/ intervocàlica<br />

troba una justificació funcional: el canvi de /d/ a [] implica un augment notable<br />

de la sonicitat del segment, perquè les oclusives són les consonants que<br />

n’exhibeixen menys, i, les ròtiques, les que n’exhibeixen més després de les<br />

vocals i les semiconsonants (veg. l’escala de (3)).<br />

Pel que fa a la variabilitat en l’aplicació del rotacisme, els factors que en<br />

condicionen l’aplicació són, com s’ha vist, la freqüència d’ús del mot en què<br />

s’escau, el context vocàlic adjacent al segment, la prominència de l’àrea del mot<br />

en què ocorre (assumint que l’inici de la paraula és més rellevant –<br />

informativament, semàntica i perceptiva – que no pas el final de la paraula) i la<br />

casuística del mot en què ocorre (és a dir, l’origen i la tipologia de la paraula i<br />

l’etimologia de /d/). Així mateix, la interacció de la subaplicació de la regla de<br />

rotacisme amb la subaplicació de la regla de reducció vocàlica es revela indicativa<br />

de la poca adaptació dels mots a la fonologia de l’alguerès, d’una banda, i<br />

del procés de debilitació de les regles del sistema que, en estadis anteriors,<br />

s’aplicaven de forma generalitzada. Els factors socials considerats en l’anàlisi<br />

(edat, gènere, nivell d’estudis i coneixements d’idiomes dels informants), en<br />

canvi, no condicionen el funcionament variable de la regla.<br />

Els resultats de l’anàlisi estadística revelen que la probabilitat total d’aplicació<br />

del procés de rotacisme és molt escassa (input = 0’127). Aquesta dada és<br />

símptoma de la fossilització del fenomen, que ha deixat de ser productiu en la


130<br />

Maria Cabrera i Callís<br />

llengua i en l’actualitat sols resta fixat en els mots tradicionalment articulats amb<br />

la solució rotacitzada: és probable que la majoria dels parlants no reconeguin la<br />

forma alternativa del mot sense rotacisme i, doncs, no siguin conscients del<br />

procés que ha transformat l’ítem lèxic en la forma que ells tenen actualment<br />

registrada al lexicó.<br />

A la llum d’aquestes dades, és possible de dibuixar, a tall conclusiu, dos<br />

estadis en el procés de rotacisme de /d/ intervocàlica en alguerès. En el primer<br />

estadi, que abraça els segles XVII-XIX i els primers decennis del XX, la regla presenta<br />

variació en la seva aplicació per raons lingüístiques internes i externes. Les<br />

primeres es relacionen, com s’ha vist, amb l’etimologia del segment i la<br />

prominència de l’àrea del mot en què s’escau. Les segones, en canvi, es<br />

relacionen amb la convivència diglòssica de dos models de llengua: l’un, propi<br />

de la noblesa urbana i emprat en registres de parla elevats, manté la solució no<br />

rotacitzada pròpia del dialecte consecutiu importat a l’illa; l’altre, propi de la<br />

pagesia i emprat en la parla col·loquial, pren la solució rotacitzada per influx dels<br />

parlars circumdants de l’illa.<br />

En el segon estadi, que s’enceta al segle XX i arriba fins a l’actualitat, els<br />

factors lingüístics interns que anteriorment explicaven la variació han deixat de<br />

ser operatius: els mots que en aquell moment popularment s’articulaven amb<br />

rotacisme s’han lexicalitzat així, però els principis lingüístics que determinaven<br />

la variació han perdut el caràcter discriminant. Els manlleus i els mots de nou<br />

encuny que s’incorporen al cabal lèxic de la l’alguerès (majoritàriament procedents<br />

de l’italià i de l’anglès) ja no experimenten rotacisme: la distinció al·lofònica entre<br />

[] i [], d’una banda, i [d] i [dd], de l’altra, es perd en favor de les dues darreres<br />

realitzacions, que són les compartides amb la llengua italiana dominant. El sistema<br />

fonològic de l’alguerès presenta símptomes evidents d’atròfia lingüística, i<br />

«les regles obligatòries que caracteritzaven en el passat la llengua afectada<br />

esdevenen variables en una correguda sense fre cap a una convergència<br />

(asimètrica) amb la llengua expansiva» (Montoya apud Campbell & Muntzel,<br />

2000: 19). Els factors lingüístics externs que en el primer estadi condicionaven la<br />

variació també han deixat de ser operatius: la distinció d’usos lingüístics en<br />

funció de l’estatus i en funció dels registres s’ha esborrat. Les dades d’aquest<br />

estudi corroboren que, actualment, en aquest parlar no hi ha variació social: la<br />

defecció lingüística de les classes dirigents en favor de l’italià, encetada ja al s.<br />

s. XVIII, ha fet que l’alguerès que en aquell moment era propi de les classes<br />

populars sigui ara l’únic model de llengua existent. El català de l’Alguer és avui<br />

un dialecte monoestilizat i encongit quant a àmbits d’ús – probablement, junt<br />

amb el català septentrional, el que més de tot el domini lingüístic català.


EL ROTACISME DE /d/ INTERVOCÀLICA EN ALGUERÈS.<br />

131<br />

El panorama dibuixat, doncs, no augura un futur gaire esperançador per a la<br />

llengua. En aquest sentit, l’evolució del rotacisme de /d/ intervocàlica es revela<br />

indicatiu i il·lustratiu d’un procés d’abast més ampli que afecta tots els nivells –<br />

no només el foneticofonològic – de la llengua: la substitució lingüística. Així, la<br />

fossilització i la improductivitat de les regles idiosincràtiques de l’alguerès, que<br />

queden anul·lades per l’influx de les regles del sistema lingüístic dominant,<br />

empobreixen i atrofien la llengua, que perd vitalitat des de dins mentre, per<br />

pressions externes, els seus parlants l’abandonen en favor de l’italià.


132<br />

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gener del 2008.<br />

PONS, Clàudia (2008b). Regarding the sonority of liquids. Some evidence from Romance,<br />

Conferència presentada al 38th Linguistic Symposium on Romance Languages.<br />

Universitat d’Illinois a Urbana Champaign, Illinois. [Handout disponible a ]<br />

PONS, Clàudia (en premsa), It is all downhill from here: a typological study of the role of<br />

Syllable Contact in Romance languages, a «Probus. International Journal of Latin<br />

and Romance Linguistics», 23.1. [Disponible a Rutgers Optimality Archive-1092-<br />

0710].<br />

RAFEL, Joaquim (dir.), Diccionari de freqüències. Llengua no literària, Barcelona: Institut<br />

d’Estudis Catalans.<br />

RECASENS, Daniel (1996), Fonètica descriptiva del català (Assaig de caracterització del<br />

vocalisme i consonantisme del català al segle XX), Barcelona, Institut d’Estudis<br />

Catalans (Biblioteca Filològica, XXI).<br />

ROSE, Sharon (2000), Epenthesis positioning and syllable contact in Chaha, «Phonology»<br />

17, 397-425.<br />

SHIN, Seun-Hoon (1997), Constraints within and between Syllables: Syllable Licensing and<br />

Contact in Optimality Theory, tesi doctoral. Indiana University, Bloomington.<br />

UFFMANN, Christian (2005), «Optimal Epenthetic Consonants», Comunicació presentada a<br />

OCP-2, Noruega, Universitat de Tromsø, 22 de gener del 2005.<br />

URBANCYK, SUZANNE (1996), Patterns of reduplication in Lushootseed, tesi doctoral. University<br />

of Massachusetts, Amherst (MA).<br />

VALLVERDÚ, Teresa (2000), La Teoria de l’Optimitat i l’anàlisi fonològica, «Llengua i<br />

Literatura» 11, p. 311-330.<br />

VENY, Joan (1982), Els parlars catalans: síntesi de dialectologia, Palma, Editorial Moll.<br />

WAGNER, Max Leopold (1960), Dizionario etimologico sardo, Heidelberg, C. Winter.


SERIE «ATTI»<br />

Pubblicazioni dell’Arxiu de Tradicions<br />

COEDIZIONI<br />

GRAFICA DEL PARTEOLLA – AdT<br />

135<br />

1. Tesori in Sardegna. Atti del II Simposio di Etnopoetica dell’AdT. Dolianova 2001.<br />

4. L’acqua nella tradizione popolare sarda. Atti del III Simposio di Etnopoetica dell’AdT.<br />

Dolianova 2002.<br />

5. Le lingue del popolo. Contatto linguistico nella letteratura popolare del Mediterraneo<br />

occidentale. Dolianova 2003.<br />

6. Oralità e memoria. Identità e immaginario collettivo nel mediterraneo occidentale.<br />

Dolianova 2005.<br />

7. La biografia popular. De l’hagiografia al gossip. Atti del VI Simposio di Etnopoetica<br />

dell’AdT (Tarragona 2005). Cagliari 2006.<br />

8. Els gèneres etnopoètics. Competència i actuació. Atti del VII Simposio di Etnopoetica<br />

dell’AdT (Palma di Maiorca 2006). Cagliari 2007.<br />

<strong>9.</strong> Folklore i Romanticisme. Els estudis etnopoètics de la Renaixença. Atti dell’VIII Simposio<br />

di Etnopoetica dell’AdT (Alicante 2007). Cagliari 2008.<br />

10. Illes i insularitat en el folklore dels Països Catalans. Atti del IX Simposio di Etnopoetica<br />

dell’AdT (Alghero 2008). Cagliari 200<strong>9.</strong><br />

11. Etnopoètica: incidència, difusió i comunicació en el món contemporani. Atti dell’XI<br />

Simposio di Etnopoetica dell’AdT (Montserrat 2009). Cagliari <strong>2010</strong>.<br />

STUDI STORICI<br />

1. Storia dell’ulivo in Sardegna. Atti della II Giornata di Studi Oleari dell’AdT. Dolianova 2001.<br />

2. Aragonensia. Quaderno di studi sardo-catalani. Dolianova 2003.<br />

3. La rotta delle isole / La ruta de les illes. Dolianova 2004.<br />

4. Norbello e Domusnovas. Appunti di vita comunitaria. Dolianova 2005.<br />

INSULA. QUADERNO DI CULTURA SARDA<br />

1. Giugno 2007.<br />

2. Dicembre 2007.<br />

3. Giugno 2008.<br />

4. Dicembre 2008.<br />

5. Giugno 200<strong>9.</strong><br />

6. Dicembre 200<strong>9.</strong><br />

7. Giugno <strong>2010</strong>.<br />

8. Luglio <strong>2010</strong>.<br />

<strong>9.</strong> Dicembre <strong>2010</strong>.<br />

BOLLETTINO DELL’ARCHIVIO STORICO DEL COMUNE DI ORISTANO<br />

1. Dicembre 2007.<br />

2. Agosto 2008.<br />

3. Dicembre 2008.<br />

4. Giugno 200<strong>9.</strong>


136<br />

BIBLIOTECA EDUARD TODA (http://www.sre.urv.es/irmu/alguer/)<br />

1. Eduard Toda i Güell, Memoria sobre los Archivos de Cerdeña, ed. Luca Scala. Cagliari 200<strong>9.</strong><br />

2. Eduard Toda i Güell, Cortes españolas de Cerdeña, ed. Joan Armangué. Cagliari 200<strong>9.</strong><br />

3. Jaume Massó, Eduard Toda i Güell: de Reus a Sardenya (passant per la Xina i Egipte,<br />

1855-1887). Cagliari <strong>2010</strong>.<br />

PUBLICACIONS DE L’ABADIA DE MONTSERRAT – AdT<br />

1. La Setmana Santa a l’Alguer. Atti del I Simposio di Etnopoetica dell’AdT. Barcellona<br />

199<strong>9.</strong> Serie «Atti», num. 1.<br />

2. Arxiu de Tradicions de l’Alguer. Barcellona 2001. Serie «Atti», num. 3.<br />

3. Joan Armangué, L’obra primerenca d’Apel·les Mestres. Barcellona 2007.<br />

«ROCCAS»<br />

S’ALVURE – AdT<br />

1. Castelli in Sardegna. Oristano 2002.<br />

2. Aspetti del sistema di fortificazione in Sardegna. Oristano 2003.<br />

3. Anna Paola Deiana, Il castello di Gioiosa Guardia, attraverso i documenti e la lettura<br />

archeologica. Oristano 2003.<br />

4. I catalani e il castelliere sardo. Oristano 2004.<br />

ARCHIVIO ORISTANESE<br />

PRIMA TIPOGRAFIA MOGORESE – AdT<br />

1. Archivio oristanese, ed. Maria Grazia Farris. Mogoro 2003.<br />

2. Dei, uomini e regni, da Tharros a Oristano, ed. Joan Armangué. Mogoro 2004.<br />

3. La cultura catalana del Trecento, fra la Catalogna e Arborea. Mogoro 2005.<br />

4. Uomini e guerre nella Sardegna medioevale. Mogoro 2007.<br />

HELIS!<br />

1. Testimonianze inedite di storia arborense, ed. Walter Tomasi. Mogoro 2008.<br />

SERIE «FASCICULARIA»<br />

EDIZIONI AdT<br />

1. Estudis catalans a Sardenya, ed. Joan Armangué (novembre 1999).<br />

2. Memòria de les activitats, 1997-2000 (marzo 2000).<br />

3. Forme dell’acqua nella cultura popolare, ed. Veniero Pinna e A. Murgia (agosto 2000).<br />

4. La ruta de les illes: de Sardenya a Malta, ed. Joan Armangué (novembre 2000).<br />

5. Emanuela Sarti, La Guerra Civile in Catalogna (1936-1939) (giugno 2001).<br />

7. La ruta de les illes: de Mallorca a Sardenya, ed. Joan Armangué (novembre 2001).<br />

8. Memòria de les activitats, 1997-2002 / Memoria delle attività, 1997-2002 (maggio 2002).<br />

<strong>9.</strong> Pirri: la storia e le chiese, ed. Alessandro Sogos (luglio 2002).<br />

10. Laudes immortales. Gosos e devozione mariana in Sardegna, ed. Sara Chirra e Maria<br />

Grazia Farris (agosto 2002).<br />

11. Lo Càntic dels Càntics / Su Cantu de is Cantus, ed. Arxiu de Tradicions (agosto 2002).


137<br />

13. Francesc Pasqual i ArmengoL, Apel·les Mestres a Cervelló (settembre 2003).<br />

14. Memòria de les activitats, 2003 / Memoria delle attività, 2003 (gennaio 2004).<br />

15. El Seminari de formació del voluntari. Units – 2004 (novembre 2004).<br />

16. Francesca Cau, L’arciconfraternita della Madonna d’Itria in Cagliari (gennaio 2005).<br />

17. Walter Tomasi, Taxació d’oficis de maestrances. Oristano 1597-1621 (maggio 2005).<br />

18. Daniela Di Giovanni, I luoghi dei giovani nella Cagliari notturna (giugno 2005).<br />

1<strong>9.</strong> Federica Pau, Soggettività e totalità nella forma del romanzo moderno (dicembre 2006).<br />

20. Walter Tomasi, Alcuni documenti inediti sulle manifestazioni equestri nella Oristano<br />

dei secoli XVI-XVII (dicembre 2006).<br />

21. Giannina Monzitta, Ombre cinesi, ed. Tiziana Limbardi (settembre 2007).<br />

SERIE «OPUS MINUS»<br />

1. Cristiana Pili, El Llegendari Popular Català (1924-1930) (luglio 2001).<br />

2. Ramon Violant i Simorra, Paral·lelismes culturals entre Sardenya, Catalunya i Balears,<br />

ed. Arxiu de Tradicions de l’Alguer (settembre 2003).<br />

3. Apel·les Mestres, Sant Pere en la llegenda popular, ed. Anna Garcia (febbraio 2007).<br />

4. Carla Piga, Pasqual Scanu i els Jocs Florals de la Llengua Catalana a l’exili (1959-<br />

1977) (gennaio 2008).<br />

5. Pere Català i Roca, Pasqual Scanu, perfilat per ell mateix (30 gennaio 2008).<br />

6. Joan Armangué, Llegendes alguereses al Llegendari Popular Català (1926-1928) (febbraio<br />

2008).<br />

SERIE «DEDÀLEIA»<br />

1. Homenatge a Francesc Martorell, arqueòleg a l’Alguer (1868) (settembre 2002).<br />

2. Antonello V. Greco, Betel. Studi sulle stele con raffigurazioni betiliche dell’area di<br />

Tharros (settembre 2003).<br />

SERIE «LINGUA»<br />

1. Enrico Chessa, La llengua interrompuda. Transmissió intergeneracional i futur del català<br />

a l’Alguer (ottobre 2003).<br />

2. Marina Castagneto, Chiacchierare, bisbigliare, litigare… in turco. Il complesso intreccio<br />

tra attività linguistiche, iconismo, reduplicazione (settembre 2004).<br />

3. Joan Armangué, Represa i exercici de la consciència lingüística a l’Alguer (ss. XVIII-XX)<br />

(giugno 2006).<br />

ANTOLOGIA<br />

1. Poesia algueresa de Quaresma i de Passió, ed. Joan Armangué (aprile 2000).<br />

2. Gaví Ballero, Lo sidadu, ed. Luca Scala (febbraio 2002).<br />

3. Carles Duarte, Il silenzio (settembre 2004).<br />

4. August Bover, Vicino al mare (ottobre 2006).<br />

5. Mariagrazia Dessì, A perda furriada (novembre 2006).


138<br />

Num. 1 (giugno 2007)<br />

INDICE DEI NUMERI PRECEDENTI<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Forme di cultura catalana nella Sardegna medioevale<br />

Esther MARTÍ (Universitat de Lleida), Les ciutats reials en els Parlaments sards i en les<br />

Corts catalanes durant el Regnat d’Alfons el Magnànim<br />

Walter TOMASI (Arxiu de Tradicions), Taxació d’oficis de maestrances (Oristano 1597-1621)<br />

Maria LEPORI (Università di Cagliari), Il marchese d’Arcais, un signore sgradito<br />

Gabriel ANDRÉS (Università di Cagliari), Grazia Deledda sotto censura nella Spagna franchista<br />

Num. 2 (dicembre 2007)<br />

Antonello V. GRECO (Arxiu de Tradicions), Città costiere romane di tradizione punica:<br />

alcune osservazioni topografiche su Carales e Carthago Nova. Ipotesi sulla circolazione<br />

di un ‘modello’ metropolitano<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Le prime ‘Ordinanze’ di Castello di Cagliari<br />

(1347). Testo e traduzione<br />

Umberto ZUCCA (OFMCon), Il culto di san Giuseppe da Copertino in Oristano<br />

Ramon VIOLANT I SIMORRA, Parallelismi culturali tra Sardegna, Catalogna e Baleari<br />

Matthew L. JUGE (Texas State University, San Marcos), Usual outcomes in unusual<br />

circumstances: Catalan in L’Alguer<br />

Num. 3 (giugno 2008)<br />

Jordi CARBONELL DE BALLESTER (Università di Cagliari), La grida in catalano del veghiere di<br />

Cagliari del 1337<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Gli ebrei nelle prime ‘Ordinanze’ di Castello di<br />

Cagliari (1347). Nota per una rilettura etnologica<br />

Ines LOI CORVETTO (Università di Cagliari), Prassi scrittoria e interferenze linguistiche nella<br />

Sardegna sabauda<br />

Simona MELONI (Arxiu de Tradicions), Il Fondo Timon della Biblioteca Universitaria di<br />

Cagliari. Testimonianze dello sviluppo della tipografia nella Sardegna del XIX secolo<br />

Roslyn M. FRANK (University of Iowa), Recovering European Ritual Bear Hunts: A<br />

Comparative Study of Basque and Sardinian Ursine Carnival Performances<br />

Francesc-Xavier LLORCA IBI (Universitat d’Alacant), ‘Turina bella’. Llengua i cultura de la<br />

tonyina a Sardenya<br />

Num. 4 (dicembre 2008)<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Ripopolamento e continuità culturale ad Alghero:<br />

l’identità epica<br />

Mauro MAXIA (Università di Sassari), Il Condaghe di Luogosanto. Un documento in sardo<br />

logudorese del primo Cinquecento<br />

Aldo SARI (Università di Sassari), I teatri stabili ad Alghero nell’Ottocento<br />

Constantino VIDAL SALMERON (Universitat de Barcelona), Una ‘mezuzà’ algueresa inèdita


139<br />

Francesc BALLONE (Università di Sassari), Català de l’Alguer: anàlisi instrumental d’un<br />

text oral<br />

Roslyn M. FRANK (University of Iowa), Evidence in Favor of the Palaeolithic Continuity<br />

Refugium Theory (PCRT): ‘Hamalau’ and its linguistic and cultural relatives. Part 1<br />

Num. 5 (giugno 2009)<br />

Antonello V. GRECO (Arxiu de Tradicions), Unzioni rituali e spiritualità semitica<br />

Constantino VIDAL SALMERON (Universitat de Barcelona), Documents sobre una inscripció<br />

hebrea a l’Arxiu Municipal de l’Alguer<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Le lingue in Sardegna attraverso gli Statuti delle<br />

città regie<br />

Mauro MAXIA (Università di Sassari), Per una fonetica storica delle varietà sardo-corse<br />

Andreu BOSCH I RODOREDA (Universitat de Barcelona), Problemes de codificació de l’alguerès<br />

Roslyn FRANK (University of Iowa), Evidence in Favor of the Palaeolithic Continuity<br />

Refugium Theory (PCRT): ‘Hamalau’ and its linguistic and cultural relatives. Part 2<br />

Num. 6 (dicembre 2009)<br />

Simona LEDDA (Arxiu de Tradicions), Demetra, ragioni e luoghi di culto in Sardegna<br />

Aldo SARI (Università di Sassari), L’arte in Sardegna nel XIV-XV secolo e il polittico dell’Annunciazione<br />

di Joan Mates<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Joan Roís de Corella e gli incunaboli della Biblioteca<br />

Universitaria di Cagliari<br />

Marcello A. FARINELLI (Universitat Pompeu Fabra), Il fascismo ad Alghero. Italianizzazione<br />

alla periferia del regime<br />

Antonio TRUDU (Università di Cagliari), Franco Oppo: il musicista organico<br />

Roberto RATTU (Arxiu de Tradicions), Le denominazioni popolari della libellula nelle<br />

varietà sarde meridionali<br />

Pilar PRIETO, Teresa CABRÉ, Maria del Mar VANRELL (Universitat Pompeu Fabra – Universitat<br />

Autònoma de Barcelona), El projecte de l’’Atles interactiu de l’entonació del català’: el<br />

cas de l’Alguer<br />

Num. 7 (giugno <strong>2010</strong>)<br />

Alberto AREDDU (Liceo Artistico di Olbia), Il nome delle ‘launeddas’: un’ipotesi etrusco-italica<br />

Giuseppe SECHE (Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea del CNR – Cagliari), Barisone<br />

I d’Arborea e il primo documento sul castello di Marmilla<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), Il fondo sardo-catalano della Collezione Bonsoms<br />

della Biblioteca de Catalunya (s. XV)<br />

Gabriel ANDRÉS (Università di Cagliari), Nuevo romance del judío mesonero de Cerdeña<br />

Guido SARI (Biblioteca Comunale «Rafael Sari» di Alghero), L’algherese e il sardo. Per una<br />

rilettura dei rapporti tra lingue minoritarie in contatto<br />

Maria-Rosa LLORET – Jesús JIMÉNEZ (Universitat de Barcelona – Universitat de València),<br />

Sobre les vocals afegides de l’alguerès<br />

Roberto RATTU (Arxiu de Tradicions), Medicina, blasone popolare e magia in alcuni nomi<br />

popolari di insetti in Sardegna


140<br />

Renato CAPOCCHIA, Antonello V. GRECO (Arxiu de Tradicions), Costruire, tramandare, esprimersi.<br />

Calx, calç, cracina. La calce nei repertori proverbiali latino, catalano e sardo<br />

Num. 8 (luglio <strong>2010</strong>): I ‘GOCCIUS / GOSOS’ SARDI NEL LORO CONTESTO ETNOPOETICO<br />

Ignazio PUTZU (Università di Cagliari), Presentazione<br />

Josefina ROMA (Universitat de Barcelona), Els goigs com a mite i èpica local<br />

August BOVER (Universitat de Barcelona), I ‘goccius’ nei Paesi Catalani e in Sardegna:<br />

un’evoluzione parallela<br />

Joan ARMANGUÉ (Università di Cagliari), I precedenti dei ‘gosos’ sardi (metrica: secoli XV e XVI)<br />

Jaume AYATS (Universitat Autònoma de Barcelona), Paral·lelismes musicals i situacionals<br />

entre els ‘goigs’ i els ‘gosos’<br />

Ignazio MACCHIARELLA (Università di Cagliari), Varietà del far musica nel canto dei ‘gosos’<br />

Antonio PINNA (Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna), I ‘gosos’ e la paraliturgia:<br />

incrocio fra tradizione popolare e tradizione colta. Due casi di studio<br />

Roberto CARIA (Pontificia Facoltà Teologica della Sardegna), Attualità e vitalità dei ‘gosos’.<br />

L’esperienza decennale del forum di Senis (OR)


INDICE DEL PRESENTE VOLUME<br />

141<br />

Joan ARMANGUÉ<br />

Continuità della lingua catalana in Sardegna,<br />

fra Medioevo ed Età Moderna 5<br />

Gabriel ANDRÉS<br />

Romance del cautivo Antonio de Salafranca, natural de Cerdeña 25<br />

Angelo CARBONI<br />

Giuan Maria Demela Pesuciu: sa vida e sas cantones 33<br />

Francesca MELIS<br />

Un manoscritto inedito di Matteo Luigi Simon:<br />

‘Consigli morali alle figlie’ 49<br />

Frantziscu CASULA<br />

Sa chistione de sa limba in Montanaru e oe 61<br />

Roberto RATTU<br />

Le denominazioni popolari delle chiocciole<br />

nelle varietà sarde meridionali 73<br />

Roberto A. PANTALEONI – Stefania BAGELLA<br />

Achille Costa (1823-1898), entomologo naturalista<br />

esploratore, e i suoi viaggi in Sardegna 85<br />

Maria CABRERA I CALLÍS<br />

El rotacisme de /d/ intervocàlica en alguerès.<br />

Interpretació fonològica i anàlisi quantitativa de la variació 107<br />

Pubblicazioni dell’Arxiu de Tradicions 135<br />

Indice dei numeri precedenti 138


142<br />

B


B<br />

143


144<br />

Finito di stampare<br />

nel mese di dicembre <strong>2010</strong><br />

nella tipografia<br />

Grafica del Parteolla<br />

Dolianova (CA)<br />

B

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