02 Vertebrati (parte 4) - Scienze della terra
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a)<br />
Ordine XENARTHRA i<br />
Armadilli, Bradipi, Formichieri<br />
VMG 108 i<br />
Alcuni fra i mammiferi più caratteristici dell’America meridionale<br />
sono gli xenartri, che comprendono gli armadilli, i bradipi arboricoli<br />
ed i formichieri (Rose & Emry, 1993). Questo gruppo ebbe una spettacolare<br />
storia evolutiva, che non si può immaginare<br />
in base alle forme attualmente<br />
viventi (Simpson, 1980). Il nome Xenarthra<br />
(lett. “strane articolazioni”), fa riferimento<br />
ad arrttiicollaziionii accessorriie, che sono prresenttii<br />
iin ttutttte lle fforrme,,<br />
ffrra allcune verrttebrre dell ttrronco e <strong>della</strong> coda (fig.<br />
h); inoltre essi possiedono una particolare<br />
struttura del cinto pelvico, in cui l’iischiio, così<br />
come l’iilliio, è fuso alle vertebre caudali anteriori<br />
(fig. c). Gli Xenarthra sono generalmente classificati<br />
con i pangolini, Ordine Pholiodota, nella<br />
Coorte Edentata (lett. “senza denti”), il che ricorda<br />
la terza caratteristica di questo gruppo, la<br />
gran riduzione <strong>della</strong> dentatura. Questi animali possiedono pochi<br />
o<br />
nessun incisivo ed i formichieri sono completamente privi di denti.<br />
Gli armadilli (Fam. Dasypodidae) compaiono per la prima volta co-<br />
me fossili nel Paleocene sup., ma i resti sono costituiti solo da piastre<br />
<strong>della</strong> corazza; si diversificarono nell’Oligocene e nel Miocene,<br />
quando comparve un gran numero di forme sia grandi sia piccole.<br />
Come Dasypus i attuale (fig. a), tutti possiedono uno scudo osseo<br />
sulla testa, una corazza sul corpo che in <strong>parte</strong> è rigida e<br />
in <strong>parte</strong> formata da anelli mobili, e un rivestimento osseo<br />
cilindrico attorno alla coda. I parenti più spettacolari<br />
degli armadilli furono i gliptodonti i (figs. b, c), che<br />
raggiunsero dimensioni moto grandi nel Pliocene e nel<br />
Pleistocene (Gillette & Ray, 1981). La pesante corazza, che poteva<br />
raggiungere 400kg in un animale dal peso complessivo di due ton-<br />
nellate, era chiaramente una difesa contro i voraci predatori, come i<br />
marsupiali dai denti a sciabola. I bradipi risalgono all’Oligocene ed<br />
ebbero una vasta radiazione, anche se attualmente sono rimaste<br />
solo tre specie di bradipi arboricoli (Webb,<br />
1986).<br />
1
Il gigantesco Glyptodon<br />
con particolare <strong>della</strong> sua<br />
pesante corazzatura<br />
Scheletro di Glyptodon<br />
(Pleistocene)<br />
Un bradipo del Miocene, Hapalops i è un piccolo animale semiarboricolo<br />
che possiede solo quattro o cinque denti ai lati delle<br />
mascelle. L’evoluzione dei bradipi seguì due adattamenti ecologici<br />
principali dal Miocene: alcune forme rimasero piccole e divennero<br />
adattate a vivere sugli alberi, come i moderni bradipi arboricoli,<br />
mentre i bradipi terrestri (Fam. Megatheridae) raggiunsero dimensioni<br />
gigantesche, Megatherium i, il più grande bradipo terrestre<br />
con i suoi 6 metri di lunghezza si cibava di foglie strappandole dai<br />
rami (fig. e); esso poteva alzarsi sulle zampe posteriori, appoggiandosi<br />
sulla coda tozza e sul robusto bacino svasato, portando alla<br />
bocca i rami con i suoi artigli ricurvi. I bradipi giganti si diffusero<br />
ampiamente in America meridionale, centrale e settentrionale durante<br />
te il Plio-<br />
Altri due gliptodonti del<br />
cene e si<br />
genere Doedicurus i estinsero solo<br />
11.000 11.000 anni<br />
fa. fa. La lo loro<br />
ro<br />
scomparsa<br />
lasciò vuota<br />
una nicchia nicchia<br />
che non è più<br />
stata riempita.<br />
Gli uomini<br />
primitivi<br />
incontrarono senza dubbi i bradipi giganti: giganti: diedero loro la caccia<br />
fino a procurarne l’estinzione. Alcuni esemplari rinvenuti in<br />
2
caverne, conservano spesso ciuffi del loro pelame giiallllo e rrosso e<br />
si sa che grossi cumuli del loro sterco presero fuoco e bruciarono<br />
per mesi all’interno delle caverne. I formichieri (Infraordine Vermilingua)<br />
possiedono una documentazione<br />
fossile molto più limitata rispetto<br />
agli armadilli ed ai bradipi. Adesso vi<br />
sono tre generi viventi, Cyclopes e<br />
Tamandua (fig. f, g) che vivono sugli<br />
alberi e Myrmecophaga i che è terrestre.<br />
Il muso è lungo e sdentato e racchiude<br />
una lunga lingua appiccicosa<br />
che può essere estroflessa per catturare<br />
piccoli insetti (fig. g).<br />
Il formichiere fossile più antico, stranamente,<br />
proviene dal famoso giacimento<br />
di lignite di Messel in Germania<br />
(Storch, 1981) risalente all’Eocene: Eurotamandua i (fig., i, j) è molto<br />
simile ai formichieri attuali tranne per il fatto che possiede ancora<br />
una sottttiille s arrcatta ziigomattiica. Cosa possa dirci quest’inaspettato<br />
ritrovamento sulla storia geografica del gruppo è un mistero; tutta-<br />
via, Rose & Emry (1993) hanno ipotizzato che Eurotamandua non fos-<br />
se per niente uno xenartro, ma semplicemente un mammifero pla-<br />
centale mangiatore di formiche che mostra casuali convergenze.<br />
scheletro e cranio di Eurotamandua<br />
a lato<br />
ricostruzione<br />
pittorica<br />
del gliptodonte<br />
Doedicurus<br />
3
Gli ungulati in Sud America<br />
VMG 109 i<br />
Nel periodo che va dal Paleocene al Pleistocene vissero quattro<br />
gruppi d’ungulati esclusivi dell’America meridionale (Cifelli, 1993),<br />
oltre ad alcuni condilartri del Terziario inferiore, gruppo conosciuto<br />
anche nei continenti settentrionali. Il termine ungulato (che significa<br />
“portatore di zoccoli”) è riferito a gruppi d’erbivori ben noti, le<br />
cui dimensioni vanno da moderate a grandi, come ad es. i bovini, i<br />
cavalli, i rinoceronti, i suini, gli elefanti, e così di seguito.<br />
Le forme sudamericane potrebbero rappresentare una radiazione<br />
indipendente derivata da un unico antenato (McKenna, 1975), oppure<br />
potrebbero rappresentare una serie di linee evolutive derivate indipendentemente<br />
da più forme affini agli ungulati d’altre parti del<br />
mondo (Cifelli, 1993).<br />
I liptoperni comprendono forme simili ai conigli, cavalli e cammelli.<br />
Diadiaphorus i del Miocene o Pliocene (fig. a) è un animale snello<br />
che mostra numerose sorprendenti convergenze coi cavalli: le<br />
zampe sono llunghe e solo il diitto centtrralle (zoccollo) tocca il terreno<br />
(fig. b). Alcuni liptoperni possiedono narriicii siittuatte molltto arrrrettrratte<br />
nell ttetttto crraniico, il che indica quasi certamente la prresenza dii una<br />
prrobosciide da elefante, come si osserva in Macrauchenia i, un animale<br />
del Pleistocene vagamente simile ad un cammello (fig. c, d).<br />
I notoungulati sono di gran lunga il gruppo più diversificato degli<br />
erbivori sudamericani con più di 100 generi (Simpson, 1948; Cifelli,<br />
1993). Il loro orecchio è enormemente espanso con spazi sopra e<br />
sotto la normale cavità corrispondente all’orecchio medio; inoltre<br />
sono anche caratterizzati dal possedere una disposizione partico-<br />
lare delle creste dei loro molari.<br />
Scheletro e zzaamppaa<br />
aannt teerri ioorree di Diadiaphorus<br />
Cranio in viste laterale, con proboscide<br />
ricostruita, e dorsale del<br />
litopterno Macrauchenia<br />
1
Il Grande Interscambio Americano<br />
(GIA) e le Estinzioni del S. America<br />
VMG 110 i<br />
Tutti gli ungulati sudamericani sono scomparsi, così come i marsupiali carnivori<br />
più grandi, i gliptodonti ed i bradipi terrestri. Queste estinzioni verificatesi<br />
durante il Plio-Pleistocene erano un tempo spiegate come una conseguenza<br />
dell’apertura del ponte continentale costituito dall’America centrale,<br />
verificatosi circa tre milioni di anni fa (vedi figura). Uno sguardo più<br />
attento alle testimonianze fossili mostra però che quest’ipotesi non è corretta.<br />
I mammiferi nordamericani, quali procioni, conigli, canidi, cavalli, cervidi,<br />
cammelli, orsi, puma e mastodonti si diressero a sud, mentre gli opossum,<br />
armadilli, gliptodonti, bradipi terrestri, formichieri, scimmie ed ursoni<br />
(scimmie americane) dal Sud America si diressero a nord. Questo scambio<br />
di mammiferi è stato definito il “Grande Interscambio Americano” (GIA). La<br />
spiegazione consueta per il GIA affermava che gli animali del nord “superiori”<br />
eliminarono i meno dotati mammiferi meridionali a causa dell’intensa<br />
competizione. Questo punto di vista, tuttavia, è stato messo in discussione<br />
ed una serie di studi dettagliati dimostrò che l’interscambio fu molto più<br />
complesso (Stehli & Webb, 1985; Marshall, 1988; Webb, 1991). Marshall et al.<br />
(1982) dimostrarono che a livello generico, il GIA fu equilibrato per quanto<br />
riguarda i territori. La spiegazione classica sembrerebbe a prima vista confermata;<br />
il 50% dei generi attuali di mammiferi sudamericani derivano da<br />
membri delle famiglie sudamericane immigrate, mentre soltanto il 21% dei<br />
generi attuali di mammiferi nordamericani ha avuto origini sudamericane.<br />
Tuttavia il numero complessivo di generi presenti in Sud America crebbe<br />
considerevolmente dopo la comparsa del ponte continentale (figura) e questo<br />
incremento fu sostituito dagli immigrati nordamericani che si “insinuarono”,<br />
ossi ia ttrrovarrono ni icchi ie prroprri ie, , senza enttrrarre in i competti izi ione né<br />
causarre estti inzi ione ffrra i<br />
generri i gi ià prresentti i. L’America del Nord e del Sud<br />
mostrano tassi d’estinzione similari fra i generi invasori subito dopo la formazione<br />
del ponte continentale. Le estinzioni più importanti coinvolsero gli<br />
ungulati e gli sdentati sudamericani: questi ultimi erano forse inferiori ai cavalli<br />
e ai cervi nordamericani? I litopterni e i notoungulati erano già in declino<br />
prima dell’arrivo degli invasori e le linee che sopravvissero si estinsero<br />
molto più tardi, insieme ai loro presunti competitori, cavalli e mastodonti invasori.<br />
Inoltre i gliptodonti, i bradipi terrestri ed i toxodonti erano così diversi<br />
dalle forme nordamericane che è difficile immaginare come potesse esservi<br />
competizione. In quarto luogo, se si sommano tutti i generi di grossi<br />
erbivori, è evidente che non si verificò alcuna sostituzione graduale: il numero<br />
di forme sudamericane scese da 26 a 21 dopo l’interscambio, poi risalì<br />
nuovamente a 26. Le estinzioni del Pleistocene possono essere spiegate<br />
con invasioni verificatesi due milioni e mezzo di anni prima.<br />
1
La sttorri s ia bi biogeogrraffi<br />
ica<br />
Sud<br />
Amerri ica<br />
del l<br />
Movimenti<br />
dei principa<br />
li gruppi a<br />
seguito del-<br />
la formazione<br />
del ponte<br />
continentale<br />
di 3 milioni<br />
di anni fa:<br />
bbrraaddi ippi i, ,<br />
foorrmi f icchhi ieerri i, ,<br />
rrooddi it toorri i<br />
ccaavvi ioomoorrf fi i, ,<br />
aarrmaaddi il ll li i, ,<br />
isst i trri icci i, ,<br />
ooppoossssuum, ,<br />
bbrraaddi ippi i teerr- t -<br />
rreesst trri i ee ggl li ipp- -<br />
tooddoonnt t ti i<br />
vveerrssoo nnoorrdd;<br />
ggi iaagguuaarri i, ,<br />
ssccooi iaat tt tool li i, ,<br />
feel f li inni i ddaai i<br />
ddeennt ti i aa<br />
sscci iaabbool laa, ,<br />
eel leef faannt ti i, ,<br />
cceerrvvi iddi i, , luuppi l i, ,<br />
ccoonni iggl li i eedd<br />
eeqquui iddi i vveerrssoo<br />
ssuudd. Il grafico<br />
mostra<br />
come gli<br />
““i innvvaassoorri i””<br />
nordici<br />
ridussero<br />
leggermente<br />
la diversità<br />
dei gruppi<br />
sudamericani,<br />
ma incre<br />
mentarono<br />
la diversità<br />
globale per<br />
inserimento. l<br />
= litopterni<br />
i; i nn = notoungulati<br />
I ppl laanni issf feerri i moosst trraannoo laa l ppoossi izzi ioonnee ddeel l Suudd<br />
Ameerri iccaa ddaal l Crreet taacci iccoo innf i f.. aal l Miioocceennee innf i f. .<br />
i<br />
2
La maggior <strong>parte</strong> dei notoungulati mantenne il numero primitivo di<br />
cinque dita sia nelle zampe anteriori sia posteriori. I notoungulati<br />
più antichi, forme come il Notostylops dell’Eocene (fig. e) mostravano<br />
un eviidentte diiasttema, o iintterrrruziione, fra i grrandii iinciisiivii antte-rriiorrii<br />
e i denttii llat<strong>terra</strong>llii. Già in queste forme primitive gli incisivi sono<br />
ingranditi ed i canini ridotti. In quelli successivi i canini sono spesso<br />
scomparsi e gli incisivi diventano a crescita continua come<br />
quelli dei roditori. Molti tipoteri, come Protypotherium dell’Oligocene,<br />
erano animali simili ai conigli, benché alcuni arrivassero a<br />
raggiungere le dimensioni di un orso (fig. f); questi possedevano<br />
una nottevolle batttterriia dii denttii ttrriitturranttii senza traccia di diastema.<br />
Cranio e dentizione del notoungulato<br />
eocenico Notostylops (si noti il diastema<br />
dentale).<br />
Cranio del pleistocenico<br />
Toxodon sseennzzaa<br />
di diaasst<br />
teemaa scoperto da<br />
Darwin in Argentina<br />
Scheletro del gigantesco<br />
notoungulato oligocenico<br />
Protypotherium<br />
I tipoteri comprendono forme con numero di dita ridotto: in alcune<br />
specie sono solo presenti due o tre dita per zampa. Il notoungulato<br />
più grande, Toxodon i (fig. g) fu trovato per la prima volta da Ch.<br />
Darwin nei giacimenti pleistocenici dell’Argentina e lo descrisse:<br />
«fforrse uno degllii aniimallii piiù sttrranii maii scoperrttii» . Come nei notoungulati,<br />
le radici dei denti dei tipoteri rimanevano scoperte per tutta<br />
la vita per consentire una continua crescita dei denti usurati dal<br />
pascolo.<br />
A lato cranio fossile di Toxodon<br />
2
FORT UNIION FOTMATIION dell<br />
CRAZY MOUNTAIIN BASIIN<br />
VMG 111 i<br />
Il Paleocene (65-56 Ma) rappresenta la prima fase <strong>della</strong> radiazione<br />
dei mammiferi placentati. La scomparsa dei dinosauri doveva aver<br />
lasciato vaste aree insolitamente prive di grossi animali, consentendo<br />
l’iniziale riempimento di queste nicchie da <strong>parte</strong> dei mammiferi. I<br />
loro fossili, furono scoperti per la prima volta nel 1901 nella località<br />
in titolo e grandi collezioni furono raccolte in diversi siti limitrofi nel<br />
corso di pochi anni successivi. La fauna di Fort Union (Montana,<br />
USA) non comprende mammiferi grandi, caratteristica tipica del Paleocene,<br />
ed in essa vi sono gruppi tuttora viventi, anche se la maggior<br />
<strong>parte</strong> (75%) si è estinta, rappresentando così una fugace immagine<br />
di una prima fase sperimentale <strong>della</strong> loro radiazione. Fra i più<br />
rappresentativi <strong>della</strong> fauna, che è dominata dai multituberculati come<br />
Ptylodus, troviamo: Plesiadapis, Stilpnodon e il carnivoro simile<br />
al gatto Didymictis; fra le forme estinte vi sono l’insettivoro Prodiacodon,<br />
il tenioide simile al maiale Conoryctes e il pantodonte Pantolambda,<br />
delle dimensioni di una pecora (vedi figura).<br />
Nel corso degli anni i paleontologi hanno suggerito una gran varietà<br />
d’origini geografiche per i mammiferi delle regioni occidentali interne<br />
del N. America; queste hanno incluso rotte migratorie dal Sud<br />
America (o attraverso l’America centrale, o attraverso l’Africa e l’Europa),<br />
dall’Europa, dall’Africa e dall’Asia (o attraverso l’Europa e la<br />
Groenlandia o attraverso Beringia, il ponte di <strong>terra</strong> Siberia-Alaska).<br />
Krause & Maas (1990) ritengono che i nuovi mammiferi del Paleocene<br />
sup. si sono probabilmente evoluti in situ, mentre quelli, sempre<br />
paleocenici al limite con l’Eocene, specialmente i roditori ed i tillodonti,<br />
sono probabilmente migrati attraverso Beringia dall’Asia. I<br />
nuovi mammiferi dell’Eocene basale (perissodattili, artiodattili, adapidi,<br />
omomidi, ienodontidi) apparvero contemporaneamente in Europa<br />
e in Asia, e potrebbero aver avuto la loro origine in Africa o nel<br />
Subcontinente Indiano.<br />
Nell’immagine che segue è riprodotta una ricostruzione di una tipica<br />
fauna a mammiferi del Paleocene medio (Torrejoniano) sulla base<br />
delle informazioni fossili degli strati di Fort Union del Crazy<br />
Mountain Basin.<br />
1
In figura: due plesiadapiformi, Plesiadapis, accovacciati su un albero<br />
(in alto a destra) appena sopra il multitubercolato Ptylodus mentre<br />
due Didymictis, simili a gatti, si nutrono di una carcassa del lepticide<br />
Prodiacodon. Sulla sinistra, il pantodonte Pantolambda i<br />
guarda da un basso dirupo Didymictis, in basso, il teniodonte simile<br />
ad un maiale Conoryctes che morsica un legno e l’insettivoro simile<br />
ad un toporagno Stilpnodon, nel sottobosco in primo piano.<br />
Vai anche al sito: http://www.paleocene-mammals.de/ i e naviga!<br />
2
Piccoli MAMMIFERI PALEOCENICI<br />
VMG 112<br />
I leptictidi sono piccole forme insettivore che vissero in Asia e in Nord<br />
America dal Cretacico sup. all’Oligocene. Leptictis, una forma tardiva,<br />
possiede un muso lungo orrllatto dii piiccollii denttii aguzzii (fig. a), chiaramente<br />
adattati per trafiggere la cuticola degli insetti. I leptictidi sono<br />
primitivi sotto molti aspetti: per es. mantengono lo jjugalle, osso che<br />
manca nei veri insettivori. Essi possono essere affini al già considerato<br />
Zalambdalestes del Creta sup. o agli insettivori attuali (Novacek, 1986).<br />
I pantolestidi sono animali simili a lontre il cui cranio poteva superare i<br />
15 cm di lunghezza, presenti dal Paleocene all’Oligocene del N. America<br />
e in Europa; questi animali possiedono molari ampi, ampi dallo smalltto<br />
spesso, che potevano essere usati per frantumare conchiglie, e fforrttii<br />
caniinii (fig. b). Sono stati trovati resti di pesci nella regione intestinale<br />
di Buxolestes: forse i pantolestidi vivevano come le foche o come le<br />
lontre. Gli apatemidi costituiscono un piccolo gruppo d’insettivori, vissuti<br />
dal Paleocene all’Oligocene del N. America ed Europa che non ha<br />
lasciato discendenti. Sinclairella (fig. c), mostra la singolare dentatura<br />
caratteristica del gruppo, che ricorda in <strong>parte</strong> gli insettivori e in <strong>parte</strong> i<br />
roditori. I denttii llat<strong>terra</strong>llii sono adattttii a perrfforrarre lle cuttiicolle degllii iinsettttii,<br />
mentre gli iinciisiivii sono parrttiicollarrmentte llunghii e sporrgenttii, quasi come<br />
gli aguzzi denti dei lemuri. Gli anagalidi dominarono le faune asiatiche<br />
del Paleocene; i loro ampi molari indicano un’alimentazione erbivora e<br />
sono ritenuti simili ai conigli sia come abitudini sia come aspetto. Essi<br />
sono primitivi perché mantengono un prrocesso posttorrbiittalle (fig. d), ma<br />
la fila dei denti <strong>della</strong> mandibola è situata molto al di sotto dell’articolazione.<br />
Si riteneva che gli anagalidi potessero comprendere anche gli<br />
antenati di roditori e conigli (lagomorfi), ma non vi è certezza.<br />
Cranio del lepticide conservativo<br />
Leptictis con ancora lo juuggaal j lee Dentizione occlusiva in<br />
Buxolestes<br />
mandibola<br />
Cranio e particolare<br />
dentizione di Sinclairella<br />
Cranio e potente dentizione<br />
molare d’Anagale<br />
che conserva un pprroocceess- -<br />
ssoo ppoosst toorrbbi it taal lee
Ordine CARNIVORA<br />
VMG 113 i<br />
I placentali carnivori viventi (felidi, canidi, iene, mustelidi e pinnipedi)<br />
costituiscono l’Ordine Carnivora i. Questi animali sono caratterizzati<br />
dal possesso di un paio di denti carnassiali carnas iali i su ogni lato delle<br />
mascelle: si tratta del quarrtto prremollarre superriiorre (P 44) ed il prriimo<br />
mollarre iinfferriiorre (M 11), che sono trasformati in grosse lame affilate in<br />
senso longitudinale che tagliano scorrendo l’una sull’altra, come un<br />
paio di robuste forbici (fig. a, b).<br />
Denti ccaarrnnaassssi iaal li i del carnivoro attuale Felix (il gatto) in vista (a)<br />
occlusale, con evidenziate le ccuussppi iddi i e le ccrreesst tee, e (b) laterale.<br />
P 44, premolare sup.<br />
M 11, molare inferiore<br />
Certe forme che sono in grado di spezzare le ossa, come le iene,<br />
possiedono larghi premolari con uno spesso strato di smalto e potenti<br />
muscoli adduttori delle mandibole. Anche alcuni canidi in grado<br />
di spezzare le ossa possiedono grossi molari; i canini sono solitamente<br />
lunghi e sono usati per trafiggere la pelle delle prede, mentre<br />
in generale i carnivori usano gli incisivi per afferrare e strappare<br />
la carne, oltre che per pulirsi il pelo.<br />
Carnivori terrestri<br />
I primi veri carnivori risalgono al Paleocene e all’Eocene inferiore.<br />
Il miacide Vulpavus i possiede un cranio allungato (fig. c) e probabilmente<br />
cacciava piccoli mammiferi<br />
arboricoli. I miacidi i erano animali di<br />
piccole dimensioni, simili a gatti e vivevano<br />
sia sugli alberi sia sul terreno;<br />
erano plantigradi, dotati di zampe<br />
corte e robuste. La bolla timpanica<br />
dei miacidi, la struttura che copre la<br />
cavità dell’orecchio medio, era probabilmente costituita da tessuto<br />
connettivo, poiché manca quello osseo, un carattere comune ai<br />
mammiferi primitivi. Nei carnivori successivi la bolla timpanica<br />
1
diviene ossificata, ma in due modi diversi, che definiscono le due<br />
linee principali dell’evoluzione dei carnivori. 1)Nei felidomorfi, il<br />
componente principale <strong>della</strong> bolla timpanica è l’ectotimpanico i,<br />
l’anello osseo che in origine sosteneva la membrana del timpano,<br />
del quale abbiamo parlato nell’evoluzione dell’orecchio medio; 2)<br />
nei caninomorfi, la bolla timpanica è costituita principalmente<br />
dagli ectotimpanici, strutture ossee di nuova formazione.<br />
I gruppi moderni iniziarono a divergere nell’Eocene sup. e nell’Oligocene<br />
inf. I filiformi o aeluroidi, comprendono i felini, le iene, le<br />
genette, le manguste ed i nimravidi estinti. Le manguste (Erpestidae)<br />
risalgono all’Oligocene sup., e le genette (Viverridae i) all’Eocene<br />
sup.: questi animali sono oggi diffusi nelle zone tropicali<br />
dell’Africa e dell’Asia e si nutrono d’insetti, piccoli vertebrati e frutta.<br />
I viveridi primitivi diedero origine alle iene (Hyenidae) durante il<br />
Miocene ed ai felidi (Felidae), che si ritrovano dall’Oligocene inf.<br />
Nel Terziario inf. sia i nimravidi, ora estinti, sia i felidi dettero origine,<br />
più volte ed indipendentemente, a forme con denti a sciabola o<br />
a daga (Martin, 1980) e la maggior <strong>parte</strong> delle<br />
forme estinte possedeva in ogni caso canini<br />
più grandi di quelli che si osservano nei leoni<br />
e nelle tigri attuali (fig. d, e). I felidi dai denti a<br />
sciabola del N. America e dell’Europa sono<br />
straordinariamente simili ai marsupiali con i<br />
denti a sciabola del Sud America, con cui non<br />
hanno alcuna relazione tassonomica, ma condividono lo stesso<br />
adattamento alla caccia: la mandibola poteva venir abbassata moltissimo;<br />
la “sciabola”, lunga oltre i 15cm, era ricurva all’indietro ed<br />
era appiattita come la lama di un coltello, anziché a sezione circolare.<br />
Sequenza di penetrazione e lacerazione <strong>della</strong> preda da <strong>parte</strong> del felino dai denti a<br />
sciabola Smilodon del Pleistocene; in fig. d, cranio <strong>della</strong> tigre attuale Panthera<br />
2
Il felino dai denti a sciabola più famoso, Smilodon i, si cibava delle<br />
carcasse di elefanti e altri grossi erbivori nel Pleistocene sup.<br />
Probabilmente Smilodon i usava le sue zanne per staccare pezzi di<br />
carne e non per pugnalare (Akersten, 1985). Questi poteva attaccare<br />
un giovane elefante, per esempio, penetrando con i denti sotto<br />
la<br />
cute, chiudendo poi le fauci e strappando un brano di carne grazie<br />
ai possenti muscoli del collo (fig. e); la preda veniva poi lasciata<br />
morire dissanguata. Grandi quantità di resti di Smilodon, oltre agli<br />
altri grandi carnivori, quali il coyote, il leone americano, la lince<br />
rossa, il puma e la lince, sono stati ritrovati nei pozzi di bitume di<br />
Rancho La Brea i, in California, USA. Questi carnivori mostrano un<br />
numero di denti spezzati superiore a quelli che si riscontrano nei<br />
carnivori viventi, il che fa pensare che molto probabilmente questi<br />
felini entrassero in competizione fra loro più di quanto non accada<br />
ora (Van Valkemburg & Hertel, 1993). Quando, alla fine del Pleistocene,<br />
scomparvero i grandi mammiferi anche i felini dai denti a sciabola<br />
si estinsero. Il secondo gruppo di carnivori, i caniniformi, comprende<br />
i canidi (Canidae) e gli orctoidi, orsi, procioni, donnole e<br />
pinnipedi. Il canide primitivo Hesperocyon i (fig. f) possiede arti<br />
lunghi e zampe digitigrade (solo le dita toccano il suolo): forse non<br />
era un gran corridore. Le donnole,<br />
i visoni, ecc (Mustelidae i)<br />
e i procioni (Procyonidae i) risalgono<br />
rispettivamente al Miocene<br />
inf. e all’Oligocene sup.<br />
Gli amficionidi i (un gruppo estinto<br />
costituito da animali simili<br />
ai canidi con dimensioni<br />
da medie a molto grandi) sono conosciuti soprattutto nel Miocene<br />
dell’America settentrionale. Gli orsi (Ursidae i) comparvero nell’Eocene<br />
sup. ed ebbero notevole successo nell’emisfero settentrionale.<br />
Il grande orso delle caverne europeo estinto Ursus spelaeus i, è<br />
conosciuto per gli abbondanti scheletri trovati nelle caverne, in cui<br />
si rifugiava durante i periodi di gelo e di letargo.<br />
Ursus spelaeus i<br />
cacciato<br />
dall’uomo<br />
preistorico<br />
3
Osteologia Cranica di Canis I°<br />
VMG 113a
Osteologia Cranica di Canis II° Viste inf. int.<br />
VMG 113b
Osteologia Cranica di Canis III°<br />
VMG 113c
La radiazione dei RODITORI<br />
Il successo evolutivo dei roditori è qualcosa di spettacolare: essi<br />
costituiscono un ordine di mammiferi diversificato e molto diffuso<br />
con oltre 1800 specie viventi (40% dei mammiferi attuali). I primi<br />
roditori, gli ischiromidi, appaiono nel Paleocene sup. e nell’Eocene<br />
dell’America settentrionale e dell’Eurasia. La loro adattabilità<br />
sembra non conoscere vincoli, come si può desumere dal modo in<br />
cui ratti, topi e scoiattoli hanno modificato il loro comportamento<br />
per coesistere con l’ambiente creato dall’uomo. I roditori sono caratterizzati<br />
dai loro denti singolari e dalle mascelle che costituiscono<br />
la base di <strong>parte</strong>nza per una rapida radiazione evolutiva.<br />
Denti e mascelle dei roditori<br />
VMG 114<br />
I roditori possiedono dei denti incisivi particolari, con radici molto<br />
profonde, un paio nella mascella e un paio nella mandibola, i quali<br />
crescono in continuazione, un carattere insolito nei mammiferi. Un<br />
tipico cranio di roditore, osservato in sezione sagittale (fig. a),<br />
sembra essere in gran <strong>parte</strong> occupato<br />
dalle prroffonde rradiicii aperrtte a degllii iinciisiivii,,<br />
che sii currvano iinttorrno alllla rregiione dell<br />
muso e occupano quasii ttutttta lla mandiibolla.<br />
Gli incisivi vengono utilizzati per<br />
rosicchiare legno, noci, noccioli di frutta<br />
Castoro<br />
ed altro; questi denti hanno sezione<br />
triangolare<br />
e lo smalto è presente solo sulla superficie anteriore,<br />
quindi la dentina si usura più velocemente nella zona posteriore,<br />
mantenendo sempre un orlo smaltato affilato, molto tagliente.<br />
Posteriormente agli incisivi vi è un ampio diastema, uno spazio<br />
vuoto che corrisponde al secondo e terzo incisivo e al canino, che<br />
sono assenti; il diastema è seguito da un uniico u prremollarre e ttrre<br />
mollarrii. Il movimento principale delle mascelle dei roditori è di tipo<br />
prropalliinalle, p<br />
ossia avanttii e iindiiettrro. I movimenti in avanti sono<br />
prodotti dall’azione del muscollo ptterriigoiideo, che scorre dal palato<br />
all’interno <strong>della</strong> mandibola e al massetterre, m i cuii ffascii prriinciipallii in<br />
genere hanno origine nella regione del muso e sono diretti all’indietro<br />
sulla superficie esterna <strong>della</strong> mandibola (fig. b). La forza e<br />
l’efficacia dei movimenti propalinali dipendono soprattutto dalle<br />
1
dimensioni e dall’angolo d’inclinazione del muscolo massetterre.<br />
Nei roditori si ritrovano quattro tipi di disposizioni (fig. c-f):<br />
1) Protrogomorfa, nelle forme primitive nelle quali gli strati<br />
mediani e profondi del massetere s’inseriscono sull’arco<br />
zigomatico (fig. c).<br />
2) Istricomorfa, che si riscontra negli istrici, nei quali il massatere<br />
profondo passa attraverso il fforrame iinffrraorrbiittalle per<br />
inserirsi sul lato del muso davanti all’occhio (fig. d).<br />
3) Sciuromorfa,<br />
tipica degli scoiattoli e di molti altri roditori, nei<br />
quali il massetterre mediio prende inserzione davanti all’orbita<br />
(fig. e).<br />
4) Miomorfa, che contraddistingue i ratti e i topi, nei quali il<br />
massetere medio prende inserzione davanti all’orbita (come<br />
negli sciuromorfi), e il massetere profondo risale nella zona<br />
dell’orbita e passa attraverso il fforrame iinffrraorrbiittalle (fig. f).<br />
(a) sezione sagittale del cranio del castoro<br />
attuale con gli inncci i issi ivvi i ed i ddeennt ti i laat l teerraal li i; si<br />
noti il profondo diastema fra questi due tipi.<br />
I quattro tipi di disposizione dei<br />
muscoli <strong>della</strong> mandibola nei roditori<br />
(da Savage & Lang, 1986)<br />
Inserzione e posizione dei<br />
vari fasci (meeddi iaal lee, , ssuuppeerrf fi i- -<br />
cci iaal lee ee laat l teerraal lee ) del muscolo<br />
massetere e teemppoorraal t lee<br />
I quattro tipi di disposizione del m uscolo massetere comparvero in<br />
modo indipendente più volte e (ad eccezione dei miomorfi) non<br />
caratterizzano dei gruppi monofiletici.<br />
2
Ordine ARTIODACTYLA: Buoi, Cervi e Suini<br />
Gli ungulati a dita pari, gli Artiodattili, sono caratterizzati dall’avere<br />
un numero pari di dita, due o quattro, a differenza dei Perissodattili<br />
che hanno un numero dispari di dita (1, 3 o 5). Si conoscono alcuni<br />
artiodattili primitivi risalenti all’Eocene: le forme successive costituiscono<br />
due gruppi principali, i Bunodontia (maiali e ippopotami)<br />
ed i Selenodontia (bovidi, cervi, giraffe, cammelli ed antilopi) (Gentry<br />
& Hooker, 1988).<br />
I primi artiodattili<br />
VMG 115 i<br />
Gli artiodattili più antichi erano animali di piccole dimensioni, pari<br />
a quelle di un coniglio, che si nutrivano di foglie ed avevano il terzo<br />
e quarto dito ingranditi per sostenere il peso del corpo.<br />
Diacodexis i dell’Eocene inf. del N. America, Europa ed Asia (Rose,<br />
1982) è un animale snello, dagli arti lunghi (fig. a) che potrebbe essere<br />
classificato in vario modo. Tuttavia, possiede un carratttterre<br />
ffondamenttalle degllii<br />
arrttiiodattttiillii, un<br />
asttrragallo a “doppiia<br />
pulleggiia”: le facce<br />
articolari prossimale<br />
e distale sono<br />
caratterizzate da un<br />
5 dita, incisione a puleg-<br />
4 dita<br />
33°° e 44°°<br />
gia che consente<br />
con zoc- zoc-<br />
coli<br />
una flessione<br />
controllata dello<br />
zeugopodio rispetto al tarso, e limita il movimento al piano verticale.<br />
I suoi arrttii sono llunghii e sottttiillii ed avrebbe potuto muoversi a<br />
balzi. balzi Per il resto, gli arti sono primitivi: la fibula è ancora presente,<br />
sebbene ridotta, ed anche l’ulna è mantenuta, così come la clavicola<br />
ed il cinto pettorale. Diacodexis possiede cinque dita nella<br />
zampa anteriore e quattro in quella posteriore, ma il peso dell corr-po<br />
sii scarriica soprrattttutttto sull tterrzo e iill quarrtto diitto,, enttrrambii dottattii<br />
dii piiccollii zoccollii. Diacodexis mostra nel cranio dei caratteri esclusivi<br />
degli artiodattili: la porzione facciale del lacrimale è ingrandita,<br />
l’orbitosfenoide è espanso e separa il frontale dall’alisfenoide e<br />
1
nei molari inferiori il trigonide è piccolo perché il paracono ed il<br />
metacono sono ravvicinati. Gli artiodattili primitivi sopravvissero<br />
nell’Oligocene, ma nell’Eocene inf. avvenne una gran radiazione di<br />
forme nuove, i primi rappresentanti dei Bunodontia e dei Selenodontia.<br />
Sottordine BUNODONTIA: maiali e ippopotami<br />
I membri <strong>della</strong> linea evolutiva d’artiodattili comprendente i maiali e<br />
gli ippopotami, i Bunodontia o Suina, sono caratterizzati da molari<br />
a cuspidi bulbose e da canini possenti dalla sezione triangolare;<br />
questi caratteri <strong>della</strong> dentatura sono legati ad una dieta sostanzialmente<br />
onnivora. I bunodonti si diffusero a partire dall’Eocene sup.,<br />
ma non raggiunsero mai una grande diversità: al giorno d’oggi vi<br />
sono solamente sette od otto generi. Durante l’Oligocene, il Nord<br />
America fu popolato da animali giganteschi simili a cinghiali detti<br />
entelodonti. Questi animali, lunghi da due a tre metri, possedevano<br />
grrossii crranii massiiccii (fig. b) ed avrebbero potuto nutrirsi di<br />
una gran varietà di vegetali negli habitat più diversi. I grrossii llobii<br />
dellll’’arrcatta ziigomattiica e<br />
le prrottuberranze sotttto lla<br />
mandiibolla avrebbero<br />
potuto essere associate<br />
a qualche muscolo par-<br />
ticolare specializzato<br />
per la masticazione, ma<br />
la loro funzione non è<br />
conosciuta ancora con<br />
certezza.<br />
I Suidae, i maiali, comparvero<br />
durante l’Oligo-<br />
Il grosso<br />
entelodonte<br />
Oligocenico<br />
Dinohyus i<br />
cene sup. in Europa, mentre i Tayassuidae i, i pecari, sono conosciuti<br />
dall’Eocene sup. del N. America e<br />
dell’Europa. Perchoerus i, un pecari primiti-<br />
vo (fig. c) dell’Oligocene del Nord America,<br />
possiede lunghii l caniinii uttiilliizzattii perr p nuttrriirrsii<br />
e perr combatttterre.<br />
Gli antracoteridi e gli ippopotami formano<br />
un altro importante ramo dei bunodonti. Gli antracoteridi i, noti<br />
2
dall’Eocene fino al Pliocene, comparvero in Asia e successivamente<br />
si diffusero in Europa, Nord America ed Africa. I primi antracoteridi<br />
erano piccoli, ma le forme più recenti raggiunsero le dimensioni<br />
di un ippopotamo. I veri ippopotami hanno una documentazione<br />
fossile limitata, che <strong>parte</strong> dal Miocene medio del Kenya. Oggi ne<br />
sopravvivono solo due specie: Hippopotamus i, l’ippopotamo vero<br />
e proprio e l’ippopotamo pigmeo, Choeropsis i, entrambi limitati<br />
alle regioni africane a Sud del Sahara.<br />
CLADOGRAMMA ARTIODATTILI<br />
(cervi)<br />
(maiali)<br />
(lamantini)<br />
(roditori)<br />
(antilocapre<br />
americane)<br />
3
VMG 116 i<br />
Sottordine SELENODONTIA: cammelli, bovini e cervi<br />
A differenza dei bunodonti, i selenodonti raggiunsero un’alta diversità<br />
ed oggi vi sono 70 generi di cammelli, bovini, ovini e cervi. I<br />
selenodonti sono caratterizzati da denti laterali specializzati (fig. a)<br />
che mostrano la struttura sele-<br />
Bathygenys nodonte: i molari hanno un contorno<br />
quadrato e le cuspiidii forr-- f<br />
mano delllle crrestte a fforrma dii mezzalluna<br />
(selenodonte significa<br />
dente a forma di luna) che costituiscono<br />
macine di lunga durata,<br />
efficaci per la masticazione dell’erba con il movimento laterale<br />
delle mascelle. I selenodonti condividono alcuni altri caratteri: gli<br />
inciisiivii i superriiorrii sono rriidottttii o assenttii, gli incisivi inferiori ed i<br />
canini inferiori sono piccoli, a forma di spatola e procumbenti<br />
(sporgono in avanti); le zampe hanno due o quattro dita, i metacarpali<br />
ed i metatarsali in genere sono fusi a formare le “ossa cannone”<br />
(costituite dai metapodi 3+ 4; 1, 2 e 5 sono ridotti o assenti) e<br />
lo stomaco è suddiviso e adattato a ruminare il cibo. Il sottordine<br />
Selenodontia si divide in due raggruppamenti naturali, gli infraordini<br />
Tylopoda i e Ruminantia i. I tilopodi (cammelli ed oreodonti)<br />
condividono alcuni caratteri dei denti, delle mascelle, delle vertebre<br />
e del tarso, ma il gruppo potrebbe essere parafiletico. La prima<br />
radiazione dei tilopodi avvenne nell’Oligocene e nel Miocene con<br />
gli oreodonti (famiglia Meryicoidontidae) nel Nord America. Questi<br />
animali dalle dimensioni<br />
di un<br />
maiale (fig. b) hanno<br />
quattttrro diitta su<br />
ciiascuna zampa e<br />
probabilmente non<br />
L’oreodonte<br />
erano molto velo-<br />
Oligocenico<br />
ci. Nelle Badlands<br />
44 ddi it taa ppeerr<br />
Merycoidodon i<br />
del South Dakota<br />
zzaamppaa<br />
sono state trovate<br />
gran quantità di<br />
oreodonti: essi evidentemente migravano nelle antiche savane del<br />
Nord America in grandi branchi, brucando bassi cespugli. Fra i pa-<br />
1
enti degli oreodonti ritroviamo i cammelli ed i lama. Un cammello<br />
primitivo, Poebrotheriumi dell’Eocene sup. del N. America (fig. c) è<br />
un animale snello delle dimensioni di una capra; come tutti i cam-<br />
melli, possiede un collllo e lle zampe<br />
llunghe e due solle diitta d (il tterrzo e il<br />
quarto uarto). Sulle dita sono ancorra<br />
prresenttii degllii zoccollii, ma dal<br />
Miocene i cammelli sono provvisti<br />
d’ampi cuscinetti come le forme<br />
attuali. È un fatto sorprendente che<br />
la maggior <strong>parte</strong> dell’evoluzione dei<br />
cammelli sia avvenuta in Nord<br />
America (Harrison, 1985); solamente<br />
nel Miocene sup. e nel Pliocene questi animali attraversarono<br />
l’Europa raggiungendo le zone del Nord Africa e del Medio Oriente,<br />
che corrispondono alla loro attuale distribuzione. I lama raggiunsero<br />
il Sud America durante il Grande Interscambio Americano. Il<br />
più importante gruppo di selenodonti è quello dei Ruminantia (bovini,<br />
ovini, antilopi, cervi e tragulidi), così denominati perché tutti<br />
ruminano, ossia rigurgitano il cibo.<br />
Le mucche possiedono uno stomaco con quattro camere: un<br />
boccone di cibo entra nel rumine i e nel reticolo dove è scisso in<br />
<strong>parte</strong> per opera dei batteri (fermentazione anteriore); il cibo ritorna<br />
in bocca per la ruminazione (masticazione del bolo) e poi passa<br />
attraverso gli altri due stomaci, che consentono alla mucca d’estrarre<br />
il massimo potenziale nutritivo dal cibo (fermentazione<br />
posteriore).<br />
Anche i cammelli possiedono un apparato per la ruminazione,<br />
mentre gli altri erbivori quali maiali, rinoceronti e cavalli sono privi<br />
del processo di fermentazione a due stadi. È stato ipotizzato che<br />
gli artiodattili, ed in particolare i ruminanti, abbiano avuto tanto<br />
successo, in confronto agli artiodattili, proprio a causa del loro<br />
stupefacente apparato digerente: questo però non è provato.<br />
I ruminanti hanno anche perso o ridotto gli incisivi superiori, al<br />
posto dei quali c’è solo un cuscinetto corneo contro il quale si<br />
appoggiano gli incisivi inferiori per strappare il cibo.<br />
Hypertragulus, una forma primitiva dell’Eocene sup. e dell’Oligo-<br />
cene del N. America. È un piccolo animale dalle dimensioni di un<br />
2
coniglio che possiede il cusciinetttto corrneo deii rrumiinanttii (fig. a); i<br />
suoi canini inferiori somigliano a degli incisivi ed il primo premola-<br />
re ha assunto la funzione del canino. I ruminanti primitivi, i traguloidi<br />
(parenti degli attuali tragulidi i) erano di piccole dimensioni,<br />
privi di corna e furono molto comuni fino al Miocene inf., quando<br />
si ebbe la radiazione dei gruppi moderni (Scott & Janis, 1993). Questi<br />
ultimi, i ruminanti del gruppo dei Pecora (cervi, giraffe, bovini ed<br />
antilopi), possiedono quasi tutte corna i di diverso tipo (figs. b-g):<br />
formate da un nucleo osseo avvolto da uno strato corneo permanente<br />
(bovini), o da una struttura ossea che viene sostituita ogni<br />
anno (i palchi dei cervi), oppure corna ossee permanenti rivestite<br />
di pelle (giraffe). Questi tipi di corna probabilmente si evolsero in<br />
modo indipendente nei tre gruppi principali di ruminanti come<br />
strutture per il combattimento. I maschi dei vari gruppi usano le<br />
corna in duelli “a testate” (ovini), o in lotte con i palchi (cervi), che<br />
possono seguire comportamenti d’esibizione per stabilire la dominanza<br />
del gruppo, conquistare le femmine e sorvegliare i territori<br />
del pascolo. Erbivori come i cavalli ed i cammelli non hanno corna<br />
o palchi poiché vivono in praterie aperte e si nutrono di risorse di<br />
cibo distribuite in modo più omogeneo, perciò non devono stabilire<br />
dei territori (Janis, 1986).<br />
Hypertragulus<br />
Ricostruzioni di testa e corna di (b) Sivatherium; (c) antilocapra; (d, e) antilocapre Ramoceros<br />
e Meryceros (Mio.) (f) pecora gigante Pelorovis; (g) cervo gigante Megaloceros<br />
3
La sostituzione dei PERISSODATTILI da<br />
<strong>parte</strong> degli ARTIODATTILI<br />
VMG 116a i<br />
La storia degli erbivori terrestri forniti di zoccoli sembra mostrare una sostituzione<br />
dei perissodattili i da <strong>parte</strong> degli artiodattili i. i Le pianure dell’Oligocene<br />
e le foreste del Nord America e dell’Asia erano dominate da cavalli e rinoceronti<br />
primitivi, mentre dal Miocene medio in poi cominciarono a prevalere<br />
cammelli, maiali e ruminanti. Attualmente ci sono 79 generi di arrtti iodatttti il li i e<br />
solo sei di pperri<br />
issodatttti il li i. La storia di come ciò sia accaduto è stata spesso<br />
adottata come un classico esempio di sostituzione ecologica competitiva su<br />
larga scala: i suiformi onnivori ed i selenodonti ruminanti furono in grado di<br />
spazzare via tutti gli erbivori sul loro cammino (diagramma a). Le statistiche,<br />
comunque, non sostengono questa ipotesi. Cifelli (1981) non ha trovato prove<br />
del declino di un gruppo coincidente con il crescere di un altro. In effetti, i<br />
modelli di rradi iazi ione ed estti inzi ione sia dei perri issodatttti il li i sia degli arrtti iodatttti il li i<br />
procedono più in parallelo fra loro che in opposizione (diagramma b) ed è<br />
improbabile che ciascun gruppo si sia evoluto indipendentemente ed abbia<br />
risposto in modo simile ad una grande varietà di stimoli ambientali. Si dice<br />
che il successo degli arrtti iodatttti il li i sia dovuto alla loro superiorità rispetto ai<br />
perri issodatttti il li i, , ma tale scenario è messo seriamente in discussione (Janis,<br />
1976). La digestione “posteriore” dei perri issodatttti il li i non è inferiore a quella<br />
ruminante “anteriore” degli arrtti iodatttti il li i selenodonti in tutte le situazioni,<br />
poiché meglio adattata ad un foraggio molto fibroso.<br />
La supposta sostituzione dei Perissodattili da <strong>parte</strong> degli Artiodattili: a)<br />
filogenesi dei principali gruppi di Perissodattili ed Artiodattili, che mostra la<br />
loro importanza relativa nel tempo ed il loro tipo di digestione: i ruminanti<br />
attualmente sono dominanti; b) la velocità di radiazione (■) ed estinzione (●)<br />
per entrambi i gruppi nel Terziario mostra che entrambi si sono diversificati<br />
e sono diminuiti contemporaneamente, a) da Janis , 1976; b) da Cifelli, 1981.
EVOLUZIONE degli EQUIDI i<br />
VMG 117 i<br />
La documentazione fossile ci dice che il più antico progenitore degli<br />
attuali cavalli è costituito dal gen. Hyracotherium i (fig.e), rappre-<br />
sentato da almeno due specie,<br />
diffuso nell’Eocene sia in America<br />
sia in Eurasia. La sua taglia (28<br />
cm al garrese) era circa quella di<br />
una piccola volpe ed i suoi caratteri<br />
morfoadattativi documentano<br />
che l’animale viveva in un ambiente<br />
di foresta dove si nutriva di<br />
(a)<br />
Dall’Eocene di<br />
Grube Messel<br />
foglie. In particolare, il genere era<br />
Propalaeotherium, il parente<br />
caratterizzato da quattttrro q diitta negllii<br />
europeo di Hyracotherium<br />
arrttii antterriiorrii e da ttrre iin quellllii<br />
postterriiorrii (fig. a), da denti brachio/bunodonti, cioè a corona bassa e<br />
superficie masticatoria con piccoli<br />
e rari tubercoli (fig. b), da<br />
(b)<br />
cranio poco voluminoso e cavità<br />
endocranica (che permette<br />
di<br />
risalire alla forma del cervello)<br />
simile a quella di un insettivoro<br />
o di un marsupiale primitivo.<br />
Alla fine dell’Eocene inf. il genere<br />
s’estinse in Europa e da<br />
quel periodo l’evoluzione degli<br />
equidi fu limitata al Nord America.<br />
Tuti i resti trovati dopo l’Eocene<br />
in altri continenti appar-<br />
tengono ad equidi emigrati<br />
dall’America settentrionale.<br />
Apparentemente, la storia degli<br />
equidi, per circa 30 milioni di<br />
anni, sembra si sia svolta lungo<br />
la sola linea filetica che dal<br />
gen. Hyracotherium ha portato<br />
a Miohippus i (vedi cladogramma<br />
di fig. c). In questo arco di<br />
tempo, i cavalli rimangono con-<br />
Cranio di Equus attuale<br />
1
finati all’ambiente di foresta, acquisiscono progressivamente una<br />
taglia maggiore, passando da circa 28cm a circa 60-70cm al garrese,<br />
un allungamento degli arti e un piede tridattilo (viene perso il 4°<br />
dito, ancora presente in Hyracotherium) con il dito medio (il 3° dito)<br />
nettamente più sviluppato dei due laterali, che comunque sono ancora<br />
funzionali. L’apparato masticatore, già notevolmente modificato<br />
2Ma Equus del Vecchio & Nuovo Mondo (c)<br />
\ | /<br />
\ | /<br />
4Ma Hippidion Equus Stylohipparion<br />
| | Neohipparion Hipparion Cormohipparion<br />
| | Astrohippus | | |<br />
| | Pliohippus -----------------------------------<br />
12Ma Dinohippus Calippus \ | /<br />
| | Pseudhipparion \ | /<br />
| | | |<br />
-------------------------------------------<br />
Sinohippus<br />
15Ma \ | / |<br />
\ | / Megahippus |<br />
17Ma Merychippus | |<br />
| Anchitherium Hypohippus<br />
| | |<br />
23Ma Parahippus Anchitherium<br />
Archeohippus<br />
| | |<br />
(Kalobatippus?)-----------------------------------------<br />
25Ma \ | /<br />
\ | /<br />
|<br />
35Ma |<br />
Miohippus<br />
Mesohippus<br />
| |<br />
40Ma Mesohippus<br />
|<br />
|<br />
|<br />
45Ma Paleotherium |<br />
| Epihippus<br />
| |<br />
Propalaeotherium | Haplohippus<br />
| | |<br />
50Ma Pachynolophus | Orohippus<br />
| | |<br />
| | |<br />
------------------------------<br />
\ | /<br />
\ | /<br />
55Ma Hyracotherium<br />
2
(polarizzazione dei premolari), è ancora sufficiente per sfruttare le<br />
risorse alimentari dell’ambiente forestale (foglie e germogli) ed i molari<br />
rimangono brachio/bunodonti. I cavalli d’ambiente forestale con<br />
piede tridattilo e molari brachio/bunodonti si differenziarono notevolmente<br />
nel Miocene dando origine, ad esempio, a generi come Anchitherium,<br />
che acquisisce una taglia di non poco inferiore a quella<br />
del cavallo attuale e come Archaeohippus, genere più conservativo,<br />
in cui si riconoscono ancora gran <strong>parte</strong> dei caratteri ancestrali di<br />
Miohippus i. Gli ultimi cavalli tridattili con i molari brachio/bunodonti<br />
d’ambiente forestale s’estinsero completamente all’inizio del<br />
Miocene sup. Verso la fine del Miocene inf., gli equidi conquistarono<br />
rapidamente l’ambiente di prateria che, come conseguenza delle<br />
nuove condizioni climatiche, andava sempre più estendendosi a<br />
spese delle grandi foreste di latifoglie. Le modificazioni morfoadattative<br />
che si riscontrano progressivamente in Merychippus i e nei<br />
suoi discendenti appaiono non correlate con le nuove risorse trofiche,<br />
con i grandi spazi aperti ed il differente tipo di suolo, più compatto<br />
e duro.<br />
Nella linea Parahippus-Merychippus si osserva il passaggio rapido<br />
ma graduale, documentato paleontologicamente (Simpson, 1953) verso<br />
una diminuzione delle dita laterali e quindi la formazione di un<br />
arto che viene a poggiare solo sul dito mediano; nella stessa linea<br />
filetica i molari vengono ad assumere una corona molto alta (ipsodontia)<br />
ed una superficie masticatoria costituita da creste poco rilevate<br />
(fig. b). In tutti i loro discendenti, i denti mantengono questa<br />
morfologia complessiva, pur con una tendenza (ma talora irregolare<br />
e fluttuante) verso una maggior complicazione <strong>della</strong> superficie masticatoria.<br />
Questo molare, che si può definire molto genericamente<br />
ipso/lofodonte, è uno strumento ben efficiente per triturare e resistere<br />
all’usura causata dalle dure graminacee delle praterie, rivestite di<br />
microscopici cristalli di silice. In tutte le linee filetiche che derivano<br />
da Merychippus, fatta eccezione per la linea che da Dinohippus porta<br />
ad Equus, non si osserva una sostanziale modificazione del piede,<br />
se non un certo irrobustimento der terzo dito. Il passaggio a<br />
Dinohippus i, con le dita laterali ridotte solo a vestigia, è documentato<br />
paleontologicamente ed è anch’esso graduale ma molto rapido<br />
(fig. b). La riduzione delle dita laterali a vestigia e l’aumento del dito<br />
mediano, l’unico che poggia sul terreno, danno luogo alla formazione<br />
di uno zoccolo che migliora l’adattamento alla corsa, allo scatto e<br />
viene a costituire un’efficace arma di difesa.<br />
3
(d)<br />
Durant e tutta la loro storia, se si esclude quell’eocenica, i cavalli<br />
sono caratterizzati da un generale aumento <strong>della</strong> taglia; si notano,<br />
tuttavia, alcune linee filetiche come quelle di Atchaeohippus, di Nan-<br />
nippus<br />
e di Calippus, che presentano una taglia leggermente inferio-<br />
re<br />
a quella di alcuni cavalli pleistocenici. Rispetto a quelli eocenici,<br />
quelli<br />
forestali oligomiocenici presentano un andamento un aumen-<br />
to delle dimensioni del cranio e del volume e <strong>della</strong> complessità del<br />
cervello.<br />
Tale tendenza è ancor più accentuata nei cavalli di prateria,<br />
anche<br />
se il volume del cervello diventa proporzionalmente più pic-<br />
colo<br />
rispetto alla taglia corporea. L’acquisizione dei molari ipso/lo-<br />
fodonti<br />
è inoltre associata ad un aumento dell’altezza del cranio e<br />
delle<br />
mandibole, e ad un allungamento differenziale <strong>della</strong> porzione<br />
4
preorbitale del cranio rispetto a quella postorbitale. Osservando un<br />
quadro<br />
riassuntivo dell’evoluzione dei cavalli, appare evidente il<br />
generale aumento <strong>della</strong> taglia, allungamento degli arti, il passaggio<br />
dal dente brachio/bunodonte a quello ipso/lofodonte, ecc.<br />
Per<br />
una comprensione del fenomeno evolutivo, tutte queste trasfor-<br />
mazioni,<br />
armoniche e ben correlate tra loro, vanno inquadrate nell’e-<br />
voluzione<br />
delle singole linee filetiche. Gli equidi eocenici non pre-<br />
sentano<br />
significative variazioni morfologiche e gli equidi oligomio-<br />
cenici<br />
d’ambiente forestale, per quanto mostrino un generale au-<br />
mento<br />
<strong>della</strong> taglia e un allungamento degli arti, in complesso man-<br />
tengono<br />
molari brachio/bunodonte ed un piede tridattilo. L’acqui-<br />
sizione<br />
del piano strutturale degli equidi di prateria (Merychippus)<br />
avviene rapidamente in una sola linea filetica e poi migliorato solo<br />
nei “dettagli” nelle linee filetiche discendenti. Anche il passaggio<br />
alla linea filetica che porterà al cavallo attuale con le dita ridotte ad<br />
organi vestigiali ed il cranio notevolmente più grande, è molto rapido<br />
anche se graduale. In definitiva, gli eventi evolutivi più significativi<br />
nella storia degli equidi sono concentrati nel «passaggio»<br />
dall’ambiente forestale a quello di prateria.<br />
Indubbiamente la storia degli equidi mostra un rilevante aumento<br />
complessivo <strong>della</strong> taglia. Come abbiamo visto, nelle diverse linee<br />
filetiche si osservano, però, anche tendenze verso una diminuzione<br />
delle dimensioni (Nannippus i e Calippus) che, come nel caso degli<br />
elefanti nani, sono giustificabili solo con l’adattamento ad ambienti<br />
particolari. La conclusione è ancora che l’aumento di taglia in una<br />
linea filetica è un fenomeno di specializzazione progressiva, control-<br />
lato dalla selezione naturale.<br />
Nell’immagine ricostruzione di Hyracotherium<br />
(e)<br />
40cm c.a.<br />
al garrese<br />
5
EVOLUZIONE DEI PROBOSCIDATI i<br />
VMG 118 i<br />
Oggi esistono due forme: l'elefante africano, gen. Loxodonta, e<br />
l'elefante asiatico, gen. Elephas; le principali trasformazioni durante<br />
l'evoluzione dei proboscidati riguardano:<br />
1) Aumento delle dimensioni;<br />
2) Allungamento delle ossa degli arti e di un piede corto e largo;<br />
3) Enorme sviluppo del cranio, specialmente verticalmente, per<br />
permettere l'inserzione dei muscoli <strong>della</strong> proboscide e quelli<br />
mascellari;<br />
4) Accorciamento del collo conseguente allo sviluppo del cranio,<br />
riducendo così la leva tra capo e corpo;<br />
5) Trasformazione dei secondi incisivi superiori o inferiori (come<br />
in Platybelodon i) in zanne;<br />
6) Trasformazione del labbro superiore in porzione nasale o<br />
proboscide;<br />
7) Aumento delle dimensioni dei denti masticatori e conseguente<br />
riduzione del loro numero (gli attuali elefanti hanno un solo<br />
molare);<br />
8) Modificazione <strong>della</strong> superficie triturante dei denti da pochi e<br />
bassi tubercoli in lamelle trasversali di smalto intercalate da<br />
dentina o cemento;<br />
9) Allungamento <strong>della</strong> mandibola seguito successivamente da<br />
riduzione.<br />
■ L'evoluzione dei proboscidati inizia in Africa durante l'Eocene<br />
sup. con Moeritherium i (grande come un cinghiale con piccola<br />
proboscide, come l'attuale tapiro) ma possedeva due incisivi<br />
superiori e due inferiori allungati (preludio alle future zanne) ed<br />
un labbro superiore spesso.<br />
■ Nell'Oligocene inf., sempre in Africa, compare Palaeomastodon i<br />
alto circa 3m al garrese, molari e premolari funzionali ma zanne<br />
corte, comunque differenziate. Altra forma oligocenica é<br />
Palaeomastodon (Phiomia i) serridens.<br />
■ Gomphotherium i (noto anche come Trilophodon o Tetrabelon<br />
compare nel Miocene inf. dell'Eurasia e dell'Africa e verso la fine<br />
1
di quest'epoca raggiunse il Nord America. Misurava c.a. 2,6m al<br />
garrese, aveva zanne superiori mediamente sviluppate e la man-<br />
dibola molto allungata che terminava con larghe zanne corte.<br />
Possedeva tre molari su ciascuna mascella, ognuno con tre<br />
paia di cuspidi coniche.<br />
■ Dalla linea evolutiva di Gomphotherium, nel Miocene sup. sono<br />
derivati Primelephas i ed alcuni rami laterali come Anancus.<br />
Mentre Primelephas sembra sia stato il capostipite degli elefanti<br />
più evoluti, Anancus si estinguerà nel Pleistocene inf. senza<br />
lasciare discendenza.<br />
Questi due elefanti mentre si possono considerare evolutivi per<br />
quanto riguarda la taglia e lo sviluppo delle zanne, rimangono<br />
conservativi per gli altri caratteri. Lo stesso discorso si può fare per<br />
Mammut e Stegodon derivati direttamente da Palaeomastodon.<br />
■ Mammut, noto comunemente come Mastodon, poteva misurare<br />
fino a 2,7 m al garrese, aveva zanne superiori molto sviluppate e<br />
debolmente ricurve verso l'alto come negli elefanti.<br />
I molari in numero di due contemporaneamente<br />
per ogni arcata, avevano le corone basse<br />
e la superficie a grossi tubercoli. Questo proboscidato<br />
si estinguerà quasi contemporaneamente<br />
a Stegodon, alla fine del Pleistocene inferiore.<br />
■ Stegodon, di dimensioni maggiori (fino a 3m), aveva le zanne<br />
e proboscide lunghe e molari piuttosto bassi che potevano<br />
avere fino a 14 lamelle separate da poco cemento. Caratteri<br />
conservativi erano invece il cranio un po più lungo che non i<br />
veri elefanti e rudimenti dei premolari.<br />
Durante il Pleistocene i proboscidati cominciano a cambiare le loro<br />
abitudini alimentari, così come era avvenuto negli equidi durante il<br />
Miocene. I molari si allungano definitivamente e la loro superficie,<br />
provvista di grossi tubercoli diventa a lamine trasversali coperte di<br />
smalto. Questa tendenza evolutiva non si realizzerà in tutti gli elefanti<br />
pleistocenici in quanto alcuni generi, tra i quali Anancus i e Mammut,<br />
rimarranno conservativi per quello che riguarda questo carattere.<br />
2
Nell'ultimo milione e mezzo di anni solo tre generi hanno popolato la<br />
<strong>terra</strong> e tutti ci sono familiari. Uno comprende l'elefante africano<br />
(Loxodonta) vivente, un altro quello indiano (Elephas) pure vivente e il<br />
terzo (Mammuthus) estinto da poche migliaia di anni. La storia di<br />
ciascun genere s'estende indietro nel tempo per c.a. 4 milioni di anni.<br />
♠ Loxodonta, con un'altezza <strong>della</strong> specie vivente (L. africanus ) di<br />
c.a. 3,6 m al garrese, è caratterizzato da un cranio non così corto<br />
come nelle forme affini e da zane lunghe ma poco ricurve. I molari<br />
sono piuttosto stretti e con corone relativamente basse ed hanno<br />
un numero di creste trasversali comparativamente piccolo. Con<br />
l'usura, le creste tendono ad assumere un disegno romboidale.<br />
♥ Elephas aveva un'altezza molto variabile, secondo la specie: E.<br />
maximus, vivente 3 m, cranio corto, zane corte, diritte ed inclinate<br />
verso il basso, molari larghi con numerose lamelle. A questo genere<br />
ap<strong>parte</strong>ngono sia specie giganti come E. (Palaeoloxodonta) anticuus<br />
(interglaciali pleistocenici del bacino Medi<strong>terra</strong>neo) (5,2 m) sia nane E.<br />
(P.) falconeri (isole medi<strong>terra</strong>nee) (85 cm).<br />
♦ Mammuthus altezza variabile da 2,7 a 4 m secondo le specie:<br />
M. primigenius (lanoso, periodi glaciali tardo Pleistocenici).<br />
M. meridionalis (Villafranchiano Europa/Asia).<br />
Riassumendo, secondo specialisti (Stanley, 1981) la filogenesi non è di<br />
tipo graduale, infatti, le tre forme evolute (Loxodonta, Elephas, e<br />
Mammuthus) derivano tutte dall’ancestrale Primelephas, e tutte tre<br />
fanno la loro comparsa simultanea contemporaneamente e la loro<br />
storia successiva durerà c.a. 4 milioni di anni; in questo periodo qualche<br />
variazione può essere avvenuta in modo graduale, ma la loro<br />
struttura fisica fondamentale é rimasta invariata per un periodo di<br />
tempo pari a circa mezzo milione di generazioni.<br />
3
Le immagini che seguono illustrano l’evoluzione <strong>della</strong> taglia e <strong>della</strong><br />
morfologia del cranio e degli incisivi (zanne) dal Moeritherium (Eocene<br />
sup.) al Mammuthus (Pleistocene)<br />
4
La ffiillogenesii deii prrobosciidattii dallll’’Eocene sup.. ad oggii<br />
Nel riquadro a tratteggio la discendenza diretta di Primelephas dal<br />
quale si generano i moderni proboscidati: due forme tuttora viventi<br />
costituite da Elephas maximus (elefante indiano) e Loxodonta africana<br />
(elefante africano); Mammuthus fu oggetto di caccia da <strong>parte</strong> dei<br />
primi uomini, e si estinse dopo la fine dell’ultimo periodo glaciale.<br />
12.000 anni fa in Europa e 10.000 ani fa in N. America, ma scoperte<br />
recenti hanno rivelato una sopravvivenza estremamente prolungata di<br />
forme nane nell’isola di Wrangel nelle zone artiche <strong>della</strong> Russia fino<br />
ad oltre 6.360 anni fa.<br />
5
Evolluziione delllla superrffiiciie masttiicattorriia neii mollarrii deii prrobosciidattii<br />
Dal molare brachio-bunodonte del gen. Gomphotherium si passa,<br />
attraverso numerose modificazioni intermedie, al molare isodonte a<br />
numerrose llamelllle sub--parrallllelle, immerse nel cementto, del<br />
Mammuthus primigenius adattato alla vita nella steppa.<br />
6
Ordine CETACEA:<br />
Evoluzione delle Balene<br />
VMG 119 i<br />
Balene e delfini (Ordine Cetacea) sono fra i mammiferi viventi più spettacolari.<br />
Osservando una gran balenottera azzurra, lunga 30 m, oppure<br />
un delfino che nuota veloce, è difficile immaginare come possano essersi<br />
evoluti da antenati terrestri, tuttavia è proprio ciò che accadde nel<br />
Terziario inferiore. Fino agli anni ‘90 si pensava che la più antica balena<br />
conosciuta fosse Pakicetus i (Eocene inf.<br />
del Pakistan, Gingerich & Russell. 1981), di<br />
cui si conosceva solo il cranio (fig. a), le<br />
cui fauci portano denttii da carrniivorro prriimiittiivo<br />
Lo scheletro di Pakicetus i, rinvenuto<br />
di recente (Thewissen, 2001), si è rivelato<br />
quello di un mesonichide (fig. b). Si conoscono scheletri più completi di<br />
cetacei dall’Eocene inf. e medio del Pakistan ed uno di questi, Ambulocetus<br />
i è quasi completo (Thewissen et al., 1994): gli arti sono adatti per<br />
il nuoto con la <strong>parte</strong> prossimale<br />
accorciata e zampe<br />
trasformate in pagaie.<br />
Ambulocetus<br />
Ambulocetus i (c) era ancora<br />
in grado di muoversi<br />
sul terreno, anche se la<br />
sua postura doveva<br />
essere piuttosto rannic- Pakicetus<br />
chiata e probabilmente si<br />
trascinava come una<br />
ricostruzione<br />
foca. Già nell’Eocene<br />
sup. i cetacei erano diventati completamente acquatici ed avevano<br />
raggiunto dimensioni molto grandi. Basilosaurus i (fig. d) è lungo oltre<br />
20 m, a differenza delle balene moderne, doveva sembrare il classico<br />
serpente marino, a causa <strong>della</strong> testa piccola e del corpo lungo e sot-<br />
Scheletro del lunghissimo (> 20 m)<br />
Basilosaurus i con particolare del cinto<br />
pelvico ancora completo e gli arti posteriori<br />
estremamente ridotti.<br />
1
tile. Gli arti posteriori anche se molto ridotti, sono ancora presenti, completi<br />
di tutti gli elementi scheletrici (Gingerich et al., 1990). Il bacino ha perso il contatto<br />
con la spina dorsale e lo zeugopodio è in gran <strong>parte</strong> fuso con il tarso;<br />
un arto posteriore come questo era praticamente inutile per la locomozione,<br />
ma avrebbe potuto servire come ausilio per la copula. Dopo l’Eocene, i cetacei<br />
si suddivisero in due gruppi principali (Barnes, 1984): le balene con i denti,<br />
come i delfini e le focene (Sottordine Odontoceti i) e le balene con i fanoni,<br />
come la balenottera azzurra e la balena grigia (Sottordine Misticeti i). Il capodoglio,<br />
il più gran cetaceo provvisto di denti, è stato generalmente considerato<br />
un odontoceto in base a caratteri morfologici. Alcuni studi molecolari<br />
(Mulinkovittch, 1995) tuttavia, sostengono con forza l’ipotesi che il capodoglio<br />
sia imparentato con i misticeti e si sia separato da questi circa 25 milioni di<br />
anni fa (Oligocene superiore) anziché nell’Eocene superiore. In tutti i cetacei<br />
moderni, le ossa <strong>della</strong> <strong>parte</strong> dorsale del muso (prremascel ll larri i, mascel ll larri i e<br />
nasal li i) si sono spostati in direzione posteriore, fin sulla sommità del cranio<br />
(fig. e). Questo spostamento è associato con lo spostamento all’indietro delle<br />
narri ici i che vanno a situarsi sopra gli occhi (lo sfiatatoio), un adattamento<br />
per respirare in superficie, che ha fatto sì che<br />
gli altri elementi del cranio si spostassero<br />
incastrandosi in direzione posteriore. I cetacei<br />
odontoceti si diversificarono nel Miocene e si<br />
conoscono dozzine di forme fossili simili a<br />
delfini (fig. e), che possedevano oltre 300 denti<br />
a piolo, con una sola cuspide. Gli odontoceti<br />
mostrano un secondo carattere evoluto, lo<br />
sviluppo di un sistema d’ecolocazione i. L’espansione bulbosa <strong>della</strong> zona<br />
nasale sopra il muso ospita una massa tondeggiante di materia grassa (a<br />
volte definito “melone”) che concentra fischi, schiocchi e strilli prodotti dalle<br />
vie nasali e li invia all’esterno come un segnale sonoro unidirezionale; gli<br />
echi di ritorno sono raccolti dalla mandibola sottile e trasmessi all’orecchio<br />
tramite l’osso. I misticeti hanno perso i denti ed al loro posto sviluppato i<br />
fanoni, od osso di balena, formati da una proteina modificata simile al corno,<br />
che sono usati per filtrare gli organismi planctonici dall’acqua marina. Fra i<br />
mammiferi estinti, i cetacei sembrano essere particolarmente affini ai mesonichidi<br />
(grandi mammiferi paleocenici, ungulati carnivori), in base alla notevole<br />
somiglianza dei crani e i denti di questi ultimi e quelli dei cetacei primitivi.<br />
Fra i gruppi viventi, sia i dati morfologici sia quelli molecolari, indicano<br />
che il gruppo sistematicamente più vicino ai cetacei è quello degli artiodattili<br />
(Novacek, 1992; Honneycutt & Adkins, 1993; Sprinter & Kirsch, 1993; Malinkovitch,<br />
1995).<br />
PPeerr ssaappeerrnnee<br />
ddi i ppi iùù vveeddi i aarrt tiiccool loo « «L’ ’eevvool luuzzi ioonnee<br />
ddeel ll lee bbaal<br />
E il sito http://www.neoucom.edu/DEPTS/ANAT/whaleorigins.htm i<br />
leennee»», , Naat ti ioonnaal l Geeooggrraapphhi icc, , Noovveembbrree 22000011<br />
2
Ordini SIRENIA e HYRACOIDEA:<br />
sirenidi e procavie<br />
I proboscidati, i sirenidi i ed i loro parenti estinti condividono alcuni<br />
caratteri del cranio e sono denominati nel complesso Tethytheria<br />
i (McKenna, 1975; Tassy & Shoshani, 1988). I caratteri peculiari dei tetideri<br />
comprendono una posizione avanzata dell’orbita che sovrasta<br />
i premolari e la presenza di molari bufolofodonti (cuspidi sovrapposte<br />
trasversalmente). I parenti più prossimi degli elefanti sono un<br />
piccolo gruppo di mammiferi acquatici, i sirenidi (Ordine Sirenia i),<br />
grossi e pingui animali che vivono in acque costiere o dolci delle<br />
regioni tropicali e che si nutrono di vegetazione acquatica. Essi<br />
comparvero nell’Eocene inf. e si diffusero fino al Miocene (Domning,<br />
1978). Il dugongo i miocenico Dusisiren i (fig. a) possiede uno sttrra-no<br />
muso currvatto verrso iill basso, dentatura ridotta (solo 4 denti laterali<br />
per <strong>parte</strong>), grrosse costtolle iispessiitte, nattattorriie antterriiorrii, arrttii<br />
postterriiorrii rriidottttii ed una coda siimiille a quelllla deii cettaceii.<br />
L’attuale procavia<br />
Heterohyrax<br />
TTrree ddi it taa<br />
Quuaat tt trroo<br />
VMG 120 i<br />
Due gruppi estinti potrebbero essere strettamente affini ai proboscidati<br />
ed ai sirenidi. I desmostili i erano animali semi acquatici<br />
molto goffi e sgraziati trovati in strati d’origine marina dell’Oligocene<br />
e del Miocene, limitatamente all’Oceano Pacifico settenario-<br />
ddi it taa<br />
1
nale. Gli embritopodi, rappresentati da Arsinoitherium i, un grande<br />
erbivoro provvisto di corna, mostrano anch’essi dei caratteri propri<br />
dei tetiteri.<br />
Le procavie i o iraci, sembrano ancor meno imparentati con gli elefanti<br />
degli stessi sirenidi. Questi animali dalle dimensioni di un co-<br />
niglio (fig. b) vivono in Africa ed in Medio Oriente e sono praticamente<br />
onnivore; possiiedono p<br />
arrttii corrttii, con quattttrro diitta nelle zampe<br />
antterriiorrii a e ttrre in quelle postterriiorrii. La documentazione fossile delle<br />
procavie risale all’Eocene ed il gruppo si diversificò durante l’Oligocene<br />
ed il Miocene, per poi declinare fino a ridursi a soli tre ge-<br />
neri oggi viventi.<br />
I rapporti filogenetici degli iraci sono molto discussi. Novacek et al.<br />
(1988) e Tassy & Shoshani (1988) sostennero che le procavie ed i tetiteri,<br />
e forse anche i dinocerati i (grandi mammiferi dell’Eocene e del<br />
Paleocene inf.), potrebbero essere riuniti nel grande ordine dei<br />
Paenungulata i, caratterizzato dall’allungamento in direzione poste-<br />
<strong>della</strong><br />
riore dello jugale fino al margine anteriore dell’articolazione<br />
mandibola e dalla disposizione in serie delle ossa del capo.<br />
Tuttavia, Prothero et al. (1988) non hanno accettato i Paenungulata<br />
come gruppo valido ed hanno riscontrato che gli iraci farebbero<br />
<strong>parte</strong> dei perissodattili in base ad alcuni caratteri del cranio e degli<br />
arti, soprattutto l’aumento delle dimensioni del sacco d’Eustachio<br />
nell’orecchio medio, un carattere bizzarro presente nei due grup pi.<br />
(a) (b)<br />
In figure: (a) un gruppo d’attuali sirenidi tropicali (Dugongo) e<br />
(b) scheletro di un sirenide oligocenico fossile<br />
nel Museo<br />
di Paleontologia dell’Università di Firenze<br />
2
EVOLUZIONE UMANA<br />
VMG 121<br />
La testimonianza fossile dell’evoluzione umana è frammentaria e<br />
le prime fasi sono poco note. C’è stata molta controversia riguardo<br />
le relazioni tra primati ed uomo dovuta in <strong>parte</strong> alla quantità<br />
limitata di fossili utili ma soprattutto all’intensa attività di ricerca:<br />
ci sono più paleoantropologi che fossili ben conservati, inoltre<br />
ogni ricercatore ha le proprie teorie. La speculazione, come sempre<br />
in questi casi, ha dilagato. Di seguito si cercherà di presentare<br />
il punto <strong>della</strong> situazione. In figura una rassegna dei primati<br />
attuali<br />
(a) il lemuro dalla coda ad anello Lemur catta, (b) Tarsius, (c) la<br />
scimmia ragno Ateles, (d) il macaco Macaca, (d) Gorilla e (f)<br />
Australopithecus
COSA SONO I PRIMATI<br />
VMG 122 i<br />
Gli attuali esseri umani Homo sapiens costituiscono una delle<br />
185 specie di primati viventi. I primati sono caratterizzati da circa<br />
30 caratteri che riguardano i principali adattamenti: 1) agilità sugli<br />
alberi, 2) cervello e vista acuti, 3) cure parentali. Tutti sono essenzialmente<br />
arboricoli, sebbene a molti manchi l’agilità straordinaria<br />
d’alcune scimmie sudamericane e dei gibboni.<br />
I cambiamenti anatomici che permettono questo tipo d’attività,<br />
includono: i) mani prensili e piedi con pollice od alluce opponibili,<br />
ii) unghie piatte al posto d’artigli iii) cuscinetti tattili sensi-bili<br />
su tutte le dita e iv) negli ominoidi un’articolazione scapolare ed<br />
un gomito strutturati in modo da permettere al braccio di ruo-tare<br />
secondo un cerchio completo.<br />
I primari possiedono cervelli più grandi <strong>della</strong> maggior <strong>parte</strong> degli<br />
altri mammiferi: gli occhi sono generalmente grandi e ravvicinati<br />
nella <strong>parte</strong> anteriore del viso dal muso ridotto. La faccia piatta<br />
permette loro di guardare in avanti ed avere una sovrapposizione<br />
dei campi visivi d’entrambe gli occhi, consentendo una visione<br />
stereoscopica e la conseguente stima delle distanze (utile per<br />
saltare sugli alberi e/o da un ramo all’altro).<br />
Per quanto riguarda il cranio,<br />
i primati hanno una barra<br />
postorbitale, una divisione<br />
fra l’orbita e la finestra temporale<br />
inferiore; inoltre la<br />
bolla timpanica, ossia la<br />
capsula ossea che include<br />
l’orecchio medio e le altre<br />
Tetonius cranio<br />
strutture nei primati, è grande ed è costituita principalmente dal<br />
petroso. Il terzo gruppo di caratteri derivati dei primati è il miglioramento<br />
delle cure parentali in quanto di solito hanno un solo<br />
piccolo alla volta; il feto rimane nel grembo materno più a lungo<br />
che negli altri mammiferi <strong>della</strong> stessa taglia ed hanno solo due<br />
glandole mammarie. La maturità sessuale è raggiunta tardi ed il<br />
periodo di vita è lungo rispetto gli altri mammiferi. I primati hanno<br />
optato per un alto investimento parentale che risulta essenziale<br />
perché i giovani posano imparare la complessità <strong>della</strong> vita nella<br />
foresta.<br />
1
Prima testimonianza fossile e<br />
la radiazione nel Paleocene - Eocene inf.<br />
La più antica documentazione dell’Ordine Primates è costituita da<br />
un dente di un piccolo animale del Cretacico sup. (Purgatorius i).<br />
Se questo è esatto i primati sarebbero uno degli ordini più longevi<br />
dei mammiferi placentali. Il più antico primate accertato è Altiatlasius<br />
rappresentato da dieci denti isolati ed<br />
un frammento di dentale di un giovane esemplare<br />
(fig. a) del Paleocene sup. del<br />
Marocco. Questo animale, identificato come<br />
un omomide, era di piccole dimensioni,<br />
assomigliava ad un lemure e pesava<br />
forse 50-100g. Alcune delle forme successive<br />
raggiunsero 2,5kg, Tetonius i (fig. d)<br />
ha muso corto, scatola cranica bulbosa ed<br />
una evidente barra postorbitale. I<br />
primati primitivi più abbondanti<br />
furono gli adapiformi, che probabilmente<br />
in vita ricordavano i lemuri. Gli adapiformi comparvero<br />
nell’Eocene inf. e sopravvissero fino al Miocene<br />
sup. e durante questo periodo si diffusero dall’Europa e<br />
Nord America all’Africa ed Asia. Smilodectes i dell’Eocene m. del<br />
N. America mostra i caratteri tipici del gruppo (figs. e, f): più grande<br />
di un omomide, muso lungo ed orbite più piccole. Anche i tarsidi<br />
sono <strong>della</strong> stessa età ed il loro<br />
parente più antico è Shoshonius i<br />
(g) che condivide<br />
la sovrapposizione<br />
del basioccipitale<br />
alla bolla uditiva.<br />
2
SCIMMIE i<br />
VMG 123 i<br />
I primati più evoluti, scimmie e scimmie antropomorfe, formano un<br />
clade, gli Anthropoidea i (“simili all’uomo”), costituito da due gruppi<br />
evolutisi separatamente nel Novo mondo (soprattutto in Sud America)<br />
e nel Vecchio Mondo (Africa, Asia ed Europa). Le scimmie del<br />
Nuovo Mondo. Le Platirrine (lett. “naso piatto) hanno narici distanziate<br />
poste frontalmente ed alcune coda prensile. Le Catarrine, o<br />
scimmie del Vecchio Mondo e s. antropomorfe, hanno musi stretti e<br />
coda non prensile. Gli antropoidi condividono numerosi caratteri<br />
quali le narici arrotondate al posto delle narici a fessura presenti<br />
negli altri primati; i canini sono di solito grandi ed occludono con i<br />
canini opposti ed il primo molare, i premolari sono simili ai molari<br />
ed i molari sono ampi e squadrati. I due gruppi ebbero un antenato<br />
comune, forse nell’Eocene inf. e medio.<br />
I tre cladogrammi mostrano modelli differenti<br />
di relazioni filogenetiche ipotetiche<br />
dei gruppi principali di primati:<br />
a) classica divisione in proscimmie e<br />
antropoidi;<br />
b) lemuri ed adapiformi come parenti<br />
più stretti degli antropoidi;<br />
c) omomidi e tarsi come parenti più<br />
stretti degli antropoidi.<br />
Sinapomorfie (da Andrews 1988)<br />
A PRIMATES, bulla petrosa, barra postorbitale,<br />
orbite grandi, le orbite sono ravvicinate e<br />
poste anteriormente alla faccia, scatola cranica<br />
grande, modificazione del gomito che<br />
permette flessibilità supplementare, modificazione<br />
del tarso, pollice opponibile;<br />
B, perdita del paraconide sui molari, allungamento<br />
<strong>della</strong> <strong>parte</strong> distale del calcagno, dimensioni<br />
maggiori del cervello del feto;<br />
C, artiglio ricurvo per la pulizia del pelo sul<br />
secondo dito, rastrello dentale costituito da<br />
incisivi e canini inferiori sporgenti in avanti; D HAPLORHINI, faccia corta posta<br />
ampiamente al di sotto <strong>della</strong> scatola cranica, barra ossea tra le orbite<br />
stretta e semplificata, lobi olfattivi del cranio ridotti e lobi ottici ingranditi,<br />
1
placenta emocoriale (invade la placenta uterina e il corion è irrorato direttamente<br />
dal sangue materno); E ANTHROPOIDEA, naso aplorino (narici a margine<br />
competo non a fessura), setto postorbitale che separa l’orbita dall’apertura<br />
temporale inferiore, grandi seni nel mascellare e sfenoide, occlusione dei<br />
canini, canini grandi in rapporto agli incisivi, incisivi laterali grandi.<br />
Il più antico antropoide noto è Eomias dell’Eocene medio (40 ma)<br />
<strong>della</strong> Cina. Segue Catopithecus i dell’Eocene sup. (37 ma) dell’Egitto<br />
caratterizzato da un notevole dimorfismo sessuale e fornito di<br />
grandi canini (fig. a). Propliopithecus (=Aegyptopithecus i) (figs. b,<br />
c) dell’Oligocene ha muso corto orbite frontali e scatola cranica<br />
grandi; pesanti mascelle, grossi denti laterali e robusti arti suggeriscono<br />
una dieta fruttivora sugli alberi (Simons 1964). I generi moderni<br />
di cercopitecine apparvero durante il Pliocene. L’attuale Theropithecus,<br />
che ha abitudini terrestri è imparentato con il babbuino, vive<br />
sugli altopiani etiopici e si nutre di erba e semi. Alcune forme affini<br />
del Pleistocene sono più grandi (fig. d) e si estesero fino all’India e<br />
Spagna. Anche i fossili delle colombine compaiono nel Miocene superiore<br />
si<br />
differenziarono<br />
in<br />
due grup-<br />
maschio<br />
pi distinti<br />
in Asia ed<br />
Catopithecus<br />
Europa.<br />
femmina<br />
Aegyptopithecus<br />
Mesopithecus i dal Miocene sup. e dal Pliocene europeo (fig. e) è<br />
una forma a muso corto simile agli attuali “dentelli”: ha mandibola<br />
espansa dorsoventralmente, un adattamento a una dieta foglifaga.<br />
2
VMG 124 i<br />
Superfamiglia Hominoidea<br />
Le scimmie antropomorfe<br />
Le scimmie antropomorfe, Superfamiglia Hominoidea i, includono<br />
i gibboni e gli orang-utan dell’Asia, i gorilla, gli scimpanzè africani<br />
e gli umani (figs. e, f) il limitato<br />
numero di specie viventi di scimmie<br />
antropomorfe da una idea molto<br />
piccola <strong>della</strong> loro grande diversità<br />
nel passato, spe- cialmente nel<br />
Miocene dell’Africa. Nella sua <strong>parte</strong><br />
orientale, 18 ma fa, le scimmie<br />
antropomorfe co- stituivano gran<br />
<strong>parte</strong> <strong>della</strong> popolazione a mammiferi. Una tipica forma primitiva è<br />
Proconsul i (a-b)<br />
Si noti la robusta<br />
articolazione del<br />
gomito per la brachiazione<br />
fra gli<br />
alberi <strong>della</strong> foresta<br />
Probabilmente camminava sulle nocche ed aveva brachiazione<br />
completa, cervello rel. grande (150cm 3 ) ma cranio primitivo con<br />
molari piccoli e lunghi canini sporgenti.<br />
1
Nella pagina precedente le relazioni delle scimmie antropomorfe e gli<br />
umani: a) cladogramma delle relazioni e b) albero filogenetico scimmie<br />
antropomorfe - umani. Sinapomorfie pars: A, Catarrhini, marcato<br />
dimorfismo sessuale, i maschi hanno canini più grandi delle femmine; B,<br />
Hominoidea, dimensioni del cervello rel. più grandi, 3° premolare inferiore<br />
a corona bassa, coda assente, scapola con margine vertebrale allungato e<br />
acromion robusto, testa dell’omero arrotondata ed orientata medialmente,<br />
C, seni facciali ingranditi, palato alto, incisivi a spatola, molari inferiori larghi<br />
a cuspidi arrotondate, clavicola allungata, braccia lunghe rispetto alle<br />
gambe, sterno ampio, processo stiloide ridotto all’ulna, pollice opponibile,<br />
torace ampio, lama iliaca corta, calcagno corto, perdita <strong>della</strong> coda; D, Hominidae,<br />
seno mascellare ingrandito, orbite più alte che ampie, premascellare<br />
allungato, 2° incisivo sup. a spatola, molari con smalto spesso; Hominini,<br />
postura bipede, arti posteriori rel. lunghi, bacino a catino, canini piccoli,<br />
grande cervello, arcata dentaria a forma di “U”, foramen magnum posto<br />
anteriormente sotto il cervello.<br />
palati di scimpanzè modelloY-5 umano moderno<br />
Fra i ramomorfi ricordiamo Sivapithecus i (=Ramapithecus) (a-d) con mascelle<br />
robuste e denti laterali ampi coperti da smalto spesso (b, d), mano di<br />
Dryopythecus (f), mandibola di Gigantopithecus i (g) con denti massicci e<br />
molto usurati (vista occlusale). Quest’ultimo diede probabilmente origine<br />
alle leggende sullo Yeti nell’Asia sud-orientale e sul “Big foot” del Nord<br />
America. Tutti si svilupparono a partire dal Miocene.<br />
2
Evoluzione delle caratteristiche umane<br />
VMG 125 i<br />
Per molti anni gli scienziati hanno tentato di separare gli umani dagli<br />
animali. Ci fu un acceso dibattito a metà del 1800 circa i caratteri<br />
che distinguevano Homo sapiens dalle scimmie antropomorfe e<br />
dagli altri mammiferi. Anche oggi sussistono persone confuse a riguardo.<br />
Due gruppi principali di caratteri sembrano separare gli<br />
umani dalle scimmie antropomorfe: la bipedia e le grandi dimensioni<br />
del cervello.<br />
La bipedia, il camminare eretti su gli arti posteriori, ha indotto cambiamenti<br />
anatomici in tutte le parti ossee: il piede diventa una struttura<br />
piatta con un alluce non opponibile (c) e falangi diritte mentre<br />
nelle scimmie rimane un arto prensile con falangi curve ed alluce<br />
opponibile. L’angolo d’articolazione del ginocchio umano si sposta<br />
in posizione obliqua per permettere un articolazione diritta e tutte le<br />
ossa <strong>della</strong> gamba sono più lunghe. L’articolazione dell’anca è rivolta<br />
verso il basso e lateralmente; il femore ha una testa articolare a<br />
palla che si adatta in essa. Il bacino diviene corto e simile ad una<br />
ciotola perché deve sostenere l’intestino e la spina dorsale assume<br />
una curvatura ad S; nelle scimmie antropomorfe il bacino è lungo e<br />
la spina dorsale ha una curvatura a C per sostenere il peso del tronco<br />
tra le braccia e le gambe.<br />
1
La bipedia ha introdotto anche alcuni cambiamenti al livello del cranio,<br />
in quanto adesso si trova alla sommità <strong>della</strong> colonna vertebrale,<br />
invece che anteriormente ad essa. I condili occipitali e il foramen<br />
magnum, l’apertura del cranio attraverso la quale la corda spinale<br />
esce dal cervello, sono posti sotto, invece che dietro il tetto cranico.<br />
Ciò rende possibile ad un paleoantropologo d’identificare un ominide<br />
bipede persino da un piccolo frammento del cranio nella regione<br />
del foramen magnum. Le testimonianze <strong>della</strong> bipedia comprendono<br />
i più antichi scheletri di ominidi datati 3,6-4,4 Ma fa e una pista di<br />
orme (Laetoli) su ceneri vulcaniche di 3,75 Ma. La<br />
bipedia, in ogni caso, comparve nella linea umana 7-<br />
5 Ma, quando questa si separò da quella delle scimmie<br />
antropomorfe africane. L’andatura eretta permette<br />
di scorgere eventuali aggressori nella savana ed<br />
avere le mani libere per trasportare oggetti e la prole.<br />
La seconda caratteristica umana, un cervello grande<br />
(da 400-500cm3 dei primi ominidi ai 1360cm 3 in media<br />
dei primi Homo i), si sviluppò più tardi portando<br />
un accorciamento delle file dei denti.<br />
Il primo esemplare di fossile umano è stato un cranio<br />
di un neanderthaliano trovato in Germania nel 1856<br />
nella Valle di Neander che divenne il tipo dell’«uomo delle caverne»<br />
dagli arti tozzi e grossi, naso sporgente, grosse arcate sopraccigliari<br />
e molto peloso. Uno scheletro umano più antico, trovato nel 1891<br />
a Giava, fu salutato come l’«anello mancante» dai sostenitori <strong>della</strong><br />
teoria “prima il cervello” e denominato Pithecantropus erectus (oggi<br />
Homo erectus i). Nel 1912 fu trovato da C. Dawson nel villaggio di<br />
Piltdown un cranio di proporzioni attuali, un cervello grande ma la<br />
mandibola era primitiva. Cranio ancora più antico fu trovato nel 1924<br />
in Sud Africa da Raymond Dart<br />
Australopithecus africanus, un cranio<br />
di un bambino con caratteri simili a<br />
quelli delle scimmie antropomorfe che<br />
fu accolto con grande scetticismo ed<br />
oggi considerato escluso da una vera<br />
discendenza umana. Oggi siamo anche<br />
sicuri che il cranio di Piltdown i<br />
era un falso!<br />
2
Le prime fasi dell’Evoluzione umana<br />
Ardipitecus ramidus: l’uomo più antico<br />
VMG 126 i<br />
La linea evolutiva che porta agli umani attuali include 12 specie, sei<br />
di australopiteci e sei di Homo. Fin dal 1990 gli australopiteci erano<br />
attribuiti ad un unico genere, Homo, ma novi ritrovamenti suggeriscono<br />
che tre generi costituirebbero una divisione più appropriata:<br />
Ardipitecus i per la forma più antica, Australopithecus i e Paranthropus<br />
i per quelle successive. Allo stesso modo, dopo più di un secolo<br />
di continue suddivisioni, la maggior <strong>parte</strong> dei paleoantropologi<br />
ha raggruppato tutti gli esemplari di Homo in tre specie, anche se le<br />
opinioni attuali ne indicano forse sei. Negli ultimi 50 anni è stato<br />
trovato un numero sempre crescente di reperti e la storia <strong>della</strong> loro<br />
nomenclatura nonché <strong>della</strong> collocazione in un modello evolutivo è<br />
complicata.<br />
La ricerca del fossile umano più antico è intensa. I fossili umani al<br />
momento più antichi (= ominini) provengono dalla regione dell’Awash<br />
medio dell’Etiopia; una specie denominata Ardipithecus ramidus<br />
da White et al. (1994) è datata 4,4 ma. Il materiale consiste di vari denti<br />
in connessione sia <strong>della</strong> mascella sia <strong>della</strong> mandibola, alcune ossa<br />
<strong>della</strong> fronte e <strong>della</strong> regione inferiore dei due crani con foramen magnum<br />
anteriore, omero, radio e ulna in connessione. Ardipithecus<br />
mantiene canini relativamente grandi, molari stretti, smalto sottile<br />
ed altri caratteri primitivi, ma questi denti sono più simili a quelli degli<br />
ominini rispetto a quelli di qualsiasi altra grande scimmia antropomorfa<br />
(fig. a): essi indicano una dieta costituita prevalentemente<br />
da frutta e foglie, inoltre il foramen magnum posto anteriormente<br />
prova la sua bipedia. I fossili sono incompleti, ma la loro età li colloca<br />
molto vicino al momento ipotizzato per la separazione tra scimpanzè<br />
ed umani a 5 milioni d’anni fa.<br />
Australopithecus anamensis e A. afarensis<br />
Un altro ominide antico, Australopithecus anamensis i, trovato da<br />
M. Leakey in sedimenti di 4,1-3,9 Ma vicino al Lago Turkana in Kenia<br />
sembra costituire una forma intermedia tra Andripithecus e le specie<br />
successive. I resti comprendono due mandibole, un omero, una<br />
1
tibia e denti isolati: possedeva una mascella primitiva con un palato<br />
superficiale e canini grandi. La tibia mostra un’andatura bipede.<br />
Canino inf., molari e premolari dello<br />
scimpanzè Pan troglodytes<br />
scimmia antrop.<br />
australopithecus<br />
attuale<br />
dita di …<br />
bacino ed arto di …<br />
scimmia antropomorfa<br />
Ardipithecus ramidus<br />
Australopithecus afarensis<br />
La scoperta più celebre fatta da Donald Johanson nel 1974 fu Lucy<br />
che conserva il 40% delle ossa (fig. b), quindi straordinariamente<br />
completo rispetto allo standard, e la cui età è di 3,2 milioni d’anni fa.<br />
Gli afarensis sono alti 1-1,2m con una dimensione del cranio di soli<br />
415 cm 3 e la faccia simile a quella delle scimmie antropomorfe. Altri<br />
caratteri primitivi includono un piccolo diastema (fig. c), braccia<br />
lunghe, gambe piuttosto corte e le dita delle mani e dei piedi curve<br />
(fig. d-f). Queste ossa curve implicano che Lucy usava ancora le<br />
mani per aggrapparsi ai rami, come fanno le scimmie antropomorfe.<br />
Comunque Australopithecus afarensis i è completamente umano in<br />
alcuni tratti significativi: la fila dei denti è arrotondata (fig. c) e gli<br />
arti posteriori ed il bacino sono completamente adattati per un tipo<br />
di locomozione bipede (figs. g-i). Le collezioni di A. afarensis oggi<br />
disponibili indicano che era una specie sessualmente dimorfica,<br />
con i maschi che avevano le mandibole più grandi del 30% rispetto<br />
a quelle delle femmine.<br />
Australopithecus afarensis<br />
umano moderno<br />
2
Gli australopiteci più recenti<br />
VMG 127 i<br />
Gli australopiteci vissero in Africa da 3 a 1,5 milioni d’anni fa con<br />
almeno tre specie: Australopithecus africanus e Paranthtropus robustus<br />
dall’Africa meridionale, P. boisei e P. aethiopicus dall’Africa<br />
orientale, forme robuste abbastanza simili a P. robustus (Walker<br />
et al., 1986). Esistevano due classi dimensionali di australopiteci<br />
che vissero in Africa nello stesso periodo (figs. a-c): la specie dalla<br />
struttura leggera, o esile, A. africanus, era alta in media 1,3m e pesava<br />
45Kg, con una capacità cranica di 445cm 3 ; le altre più pesanti<br />
P. aethiopicus, P. robustus e P. boisei, erano alte 1,75m, con un<br />
peso di 50kg ed una capacità celebrale di 520cm 3 . Questi mostrano<br />
caratteri più evoluti rispetto ad A. afarensis nell’appiattimento <strong>della</strong><br />
faccia, la perdita del diastema ed i piccoli canini. Essi mostrano<br />
alcune specializzazioni che li pongono al di fuori <strong>della</strong> linea evolutiva<br />
che porta agli attuali umani: per esempio, molari e premolari sono<br />
più massicci che in A. afarensis o in Homo e sono ricoperti da<br />
strati di smalto spesso per una dieta di vegetali fibrosi.<br />
Gli australopiteci robusti, le specie di Paranthtropus hanno facce<br />
ampie, molari enormi ed una pesante cresta sagittale all’apice del<br />
cranio, dove erano attaccati i margini superiori dei potenti muscoli<br />
delle mascelle. A. africanus, al contrario, forse era specializzato a<br />
mangiare frutta morbida e foglie nelle aree boschive.<br />
A. africanus<br />
P. aethiopicus<br />
P. robustus<br />
P. boisei<br />
Vai a: http://www.paleontologiaumana.it/differenze_australopiteci__graci.htm e<br />
naviga!
Homo habilis<br />
VMG 128 i<br />
Nel 1960-65 nella gola di Olduvai, Kenia, L. Leakey rinvenne la mandibola<br />
e resti de cranio di Homo habilis, forse la prima specie <strong>della</strong><br />
nostra linea evolutiva. Questo ominide possedeva un cervello più<br />
grande (630-700cm 3 ), le sue mani avevano la capacità di manipolazione<br />
per fabbricare utensili, da cui il nome. Un cranio più completo<br />
(figs. a-c) fu trovato 10 anni più tardi presso il Lago Rodolfo, Kenia,<br />
da R. Leakey che fu anche lui attribuito<br />
ad H. habilis. Le dimensioni del cervello<br />
erano veramente grandi per un esemplare<br />
alto solo 1,30m. H. rudolfensis e<br />
H. habilis sembrano essere primitivi in<br />
alcuni caratteri del cranio (palato grande),<br />
ma più moderni nei caratteri <strong>della</strong><br />
gamba e del piede. Questi resti sono<br />
datati 2,4-1,5 milioni d’anni fa e sono<br />
stati trovati in associazione con diverse<br />
specie di australopiteci. Ciò supporta la<br />
teoria che tre differenti specie umane<br />
vissero fianco a fianco e che presumibilmente<br />
interagivano in modi diversi.<br />
Homo erectus, l’umano più diffuso<br />
Rappresenta una specie che conta numerosi fossili trovati in Africa<br />
orientale, Medio Oriente ed Asia in un periodo che va da circa 1,7<br />
milioni a 300.000 anni fa. H. erectus i mostra un alleggerimento graduale<br />
delle caratteristiche di ergaster, ma ci sono comunque molte<br />
somiglianze nei crani (arcate sopraorbitali pronunciate e cassa prolungata<br />
del cervello) che evidenziano potenza masticatoria. La dimensione<br />
corporea rimane all’incirca come ergaster, la mascella è<br />
sporgente con grandi molari, nessun mento, creste spesse nella<br />
fronte, cranio basso e lungo. La capienza del cervello è aumentata<br />
gradualmente durante la sua persistenza: da 8001060 cm 3 , quando è<br />
comparso, ai 1060-1300cm 3 intorno alla sua estinzione. Il rapporto<br />
evolutivo fra ergaster ed erectus è poco chiaro: per alcuni esperti<br />
sarebbero forme tarde <strong>della</strong> stessa specie. È più probabile che que-<br />
1
sto ultimo si sia evoluto in Africa da un antenato dell’ergaster, quindi<br />
è migrato dopo la comparsa di questo, in altre parti dell'Africa,<br />
del Medio Oriente, in Europa, in Cina ed Asia del sud (fino a Java e<br />
Borneo). Sembra far risalire a lui l'uso del fuoco per la prima volta<br />
nel corso dell'evoluzione.<br />
H. erectus<br />
di Pechino<br />
Distribuzione dei<br />
ritrovamenti di<br />
H. erectus e<br />
H. ergaster<br />
L’uomo di Heidelberg<br />
Homo heidelbergensis, gia chiamato Homo sapiens arcaico comparso circa<br />
800.000 anni fa, riguarda un gruppo di vari crani trovati in Europa che presentano<br />
caratteristiche di erectus, di neanderthalensis e di esseri umani moderni.<br />
Si precisa che sono racchiusi sotto il nome "heidelbergensis" reperti che trovano<br />
altre denominazioni (H. rhodesiensis, H. antecessor): ciò perché la comunità<br />
scientifica non è ancora d’accordo, né c'è una visione maggioritaria<br />
del problema. Le caratteristiche generali sono: arcata sopraorbitale più piccola<br />
e l'angolo <strong>della</strong> faccia è più verticale di erectus e di ergaster, i maschi presentano<br />
un’altezza oltre gli 1,7m per 62Kg, le femmine 1,6m e 51Kg: la massa<br />
delle ossa indica un aumento significativo <strong>della</strong> forza fisica, in più, gli aumenti<br />
del cervello arrivano fino a 1600cm 3 . Gli heidelbergensis sono di solito meno<br />
robusti degli erectus, ma più degli esseri umani moderni; la fronte è meno<br />
sfuggente. Sembra la specie seguente dopo ergaster e possibilmente erectus,<br />
diffusasi in Africa, in Europa e nel Medio Oriente. Heidelbergensis è probabilmente<br />
discendente diretto dell’Homo antecessor i recentemente scoperto.<br />
Per le immagini: http://www.paleontologiaumana.it/heidelbergensis.htm<br />
Homo ergaster<br />
2
La popolazione di Neanderthal<br />
VMG 128a i<br />
Homo neanderthalensis i, vissuto da circa 250.000 a 30.000 anni fa,<br />
è l' ultima specie a divergere dalla linea umana prima dell' emersione<br />
degli esseri Homo sapiens moderni e l'ultima specie di ominide<br />
ad andare estinto. Neanderthal è vissuto principalmente nei climi<br />
freddi con proporzioni del corpo adattate alle basse temperature:<br />
arti corti e molto robusti, altezza 1,6m e 84Kg i maschi e 1,5m e 80<br />
Kg le femmine. La capienza del cervello era un po’ più grande degli<br />
esseri umani moderni (1450cm 3 in media, ma anche 1800cm 3 o più),<br />
cultura materiale avanzata: tantissimi strumenti ed armi sono stati<br />
trovati in luoghi abitati dai neanderthal, tutti ap<strong>parte</strong>nenti all'industria<br />
detta Musteriana. Con esso si hanno anche i primi seppellimenti<br />
corredati da fiori, cibo, armi, indicanti una presa di coscienza<br />
del concetto di morte e di vita post-mortem. Neanderthal presenta<br />
una mascella sporta, mento debole e una fronte sfuggente: il naso<br />
corto è una caratteristica da clima freddo, la cassa del cervello è più<br />
lunga e più bassa di quella degli esseri umani moderni con un profondo<br />
rigon-fiamento nella <strong>parte</strong> posteriore del cranio, le ossa sono<br />
spesse e pesanti con segni di potenti collegamenti muscolari.<br />
Alcuni esperti sostengono che gli esseri umani moderni e neanderthal<br />
abbiano condiviso l’habitat fino a circa 30.000 anni fa: uno studio<br />
genetico suggerisce che gli antenati di neanderthal e degli esseri<br />
umani moderni si sono separati evolutivamente circa 500.000 anni<br />
fa. È più probabile che neanderthal si sia evoluto indipendentemente,<br />
come discendente o conservatore di H. heidelbergensis, senza<br />
scambio culturale o genetico significativo con H. sapiens. L’estinzione<br />
dei neanderthal coincide nella maggior <strong>parte</strong> delle regioni<br />
geografiche, con l'arrivo degli esseri umani anatomicamente moderni<br />
(H. sapiens detto Cro Magnon) probabilmente dovuta ad una concorrenza<br />
alimentare che ha favorito quest’ultimi più culturalmente<br />
avanzati, od alla trasmissione di malattie sconosciute ai neanderthal.<br />
Anche l’avvenuto aumento di temperatura registrato in quel<br />
periodo con il ritiro degli ultimi ghiacciai può<br />
aver sfavorito chi si era così tanto specializzato<br />
per il freddo. In Italia, un tipico reperto<br />
neanderthaliano è il cranio del Circeo i.
L’Homo sapiens attuale<br />
VMG 129 i<br />
VMG 129 i<br />
Homo sapiens sembra comparire intorno a 200.000 anni fa, molto<br />
probabilmente in Kenya o Tanzania. La faccia è ristretta rispetto al<br />
cervello, che nell'adulto, è di 1040 - 1595cm 3 . La fronte aumenta verso<br />
l’alto, le arcate sopraorbitali sono piccole o assenti, mento prominente,<br />
e per riduzione <strong>della</strong> mandibola riduce la dentizione: lo<br />
scheletro è gracile e le ossa sono più chiare, più lisce, senza alcuna<br />
perdita nella taglia corporea. In media i maschi potevano raggiungere<br />
1,7-1,8m ed i 65Kg; le femmine 1,5 - 1,6m per 54Kg. Confrontati a<br />
H. neanderthalensis, gli esseri umani moderni (Cro-Magnon i) sembrano<br />
infantili: si ha una sorta di “ritardo” dello sviluppo alla forma<br />
adulta, ciò richiede un periodo più lungo di cure parentali, aumenta<br />
quindi l'importanza <strong>della</strong> socializzazione del bambino e <strong>della</strong> trasmissione<br />
culturale. Dalle loro origini, gli esseri umani moderni,<br />
dall'Africa orientale entrano in Medio Oriente, Europa, Asia del sud<br />
ed infine in ogni regione del mondo. Circa 40.000 anni fa, in seguito<br />
all'apparizione <strong>della</strong> cultura di Cro-Magnon, si ha un perfezionamento<br />
nella lavorazione <strong>della</strong> pietra che raggiunge il suo culmine nel<br />
Paleolitico Superiore, vengono realizzate le pitture parietali i sulle<br />
grotte, le prime forme di addomesticazione: un bagaglio culturale<br />
sbalorditivo. L'origine dell'uomo moderno è un argomento particolarmente<br />
dibattuto sopratutto da due opposti schieramenti di specialisti:<br />
quelli che teorizzano un’Origine Africana Recente e quelli<br />
che sostengono un’Evoluzione Multiregionale. La prima sostiene la<br />
comparsa dei sapiens in Africa fra i 200.000 e 150.000 anni fa come<br />
una nuova specie che si sarebbe poi dispersa su tutto il mondo sostituendo<br />
le popolazioni esistenti, la seconda considera che ciascuna<br />
delle popolazioni attuali sia discesa dalla rispettiva popolazione<br />
arcaica di quella stessa regione, a partire da Homo erectus, evolutasi<br />
in parallelo con le altre grazie ad incroci. Si sono avanzate altre<br />
ipotesi per cercare di chiarire questo tema, molte delle quali sono<br />
una via di mezzo tra le due descritte prima, ma è ancora presto per<br />
mettere la parola fine in questa diatriba. Studi d’antropologia molecolare<br />
i sembrano smentire l'ipotesi multiregionale.<br />
1
Figure: crani di Cro Magnon dalla Rift Pertalona (Grecia)<br />
Qafzeh (Israele)<br />
Divisioni del periodo<br />
Paleolitico, culture i e<br />
sequenza H. habilis,<br />
erectus, H. ergaster,<br />
H. heidelbergensis,<br />
H. sapiens.<br />
Distribuzione e filogenesi di Cro Magnon, Homo<br />
sapiens arcaico, H. neanderthalensis e H. s. sapiens<br />
2
EVOLUZIONE DEI VERTEBRATI<br />
VMG 130<br />
Lo schema evolutivo riportato consente le seguenti note:<br />
l’informazione è illustrata in due modi, con un “grafico a fuso”<br />
per tutti i gruppi riportati, un utile riassunto visivo di un grande<br />
numero d’informazioni, e con una coppia di grafici di diversità<br />
che mettono in luce i periodi di maggior diversificazione (aumento<br />
del numero famiglie) ed i momenti di crisi (diminuzione del<br />
numero di famiglie).<br />
I diagrammi si basano sui dati più recenti (Benton, 1993); le maggiori<br />
novità riguardano le estinzioni di massa che sono evidenziate<br />
alla fine del Devoniano, del Permiano e del Cretacico.<br />
Lasciando a <strong>parte</strong> quella <strong>della</strong> fine del Devoniano, le altre sono in<br />
coincidenza con la fine delle principali ere geologiche.