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Raccolta opere del concorso - La scuola possibile

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Discriminazione.<br />

No grazie<br />

<strong>Raccolta</strong> di <strong>opere</strong> realizzate dagli studenti<br />

<strong>del</strong>le scuole medie superiori<br />

<strong>del</strong>la provincia di Roma per il <strong>concorso</strong><br />

raccont A<br />

Poesia. Narrativa. Illustrazione.<br />

bile<br />

Concorso provinciale 2010


Il presente volume è stato pubblicato con il contributo <strong>del</strong>la Provincia di Roma<br />

Assessorato alle Politiche Sociali e per la Famiglia<br />

Si ringraziano<br />

dott.ssa Ornella Cherubini, direttore <strong>del</strong> Dip. IX <strong>del</strong>la Provincia di Roma<br />

dott.ssa Antonella Massimi, dirigente <strong>del</strong> Dip. IX serv. 2 <strong>del</strong>la Provincia di Roma<br />

dott.ssa Tiziana Biolghini, responsabile Ufficio Handicap <strong>del</strong>la Provincia di Roma<br />

Un ringraziamento particolare all’Ufficio Handicap <strong>del</strong>la Provincia di Roma<br />

e in particolare alla dott.ssa Angela Versaci e al sig. Rolando Galluzzi<br />

Si ringraziano inoltre le Edizioni Fahrenheit 451, Giusy Cinardi e Orfeo Notaristefano<br />

© Edizioni Ponte Sisto 2011<br />

Via di Monserrato 109 – 00186 Roma<br />

tel. 066832623 – fax 0668801707<br />

www.pontesisto.it – info@pontesisto.it<br />

Realizzazione e stampa<br />

L.G. – Roma


Indice<br />

Ogni persona, nessuna esclusa,<br />

al centro di una comunità accogliente ed inclusiva 7<br />

Incontro e conoscenza 9<br />

Discriminazione, no grazie! 11<br />

Prima sezione<br />

POESIA 13<br />

Seconda sezione<br />

NARRATIVA 45<br />

Terza sezione<br />

ILLUSTRAZIONE 145<br />

Le scuole e gli alunni partecipanti 157


Ogni persona, nessuna esclusa,<br />

al centro di una comunità accogliente ed inclusiva<br />

Sono particolarmente lieto di presentare il libro che raccoglie le <strong>opere</strong> partecipanti<br />

alla prima edizione <strong>del</strong> <strong>concorso</strong> “RaccontAbile” rivolto agli studenti<br />

e alle studentesse degli Istituti Superiori <strong>del</strong>la Provincia di Roma sul<br />

tema <strong>del</strong>l’integrazione e <strong>del</strong>la lotta alla discriminazione.<br />

Questo volume attraverso la poesia, la narrativa e l’illustrazione manuale, intende<br />

contribuire al quel processo lento, ma inesorabile, di costruzione di<br />

una società più giusta dove le nuove generazioni possano costruire una vita<br />

serena il più <strong>possibile</strong> lontana dagli odi e dai pregiudizi.<br />

Infatti solo attraverso un coinvolgimento culturale è <strong>possibile</strong> affrontare in<br />

profondità e tentare di sconfiggere i tanti pregiudizi che impediscono la convivenza<br />

sociale a tutti i livelli; la scrittura, il raccontare di sé o <strong>del</strong> mondo circostante<br />

è portatrice di emozioni spesso nascoste e altrimenti non espresse.<br />

Attraverso il racconto letterario o la creazione di un testo poetico l’autore<br />

esprime un punto di vista diretto e non altrimenti percepibile, mentre gli altri,<br />

i lettori, possono cogliere emozioni legate all’approccio con l’espressione artistica<br />

e meglio comprendere il valore <strong>del</strong>la diversità in una società che integra,<br />

include, solidarizza.<br />

Gli elaborati presentati raccolgono, nella loro totalità, l’incipit di uno degli<br />

obiettivi fondamentali <strong>del</strong>la Provincia di Roma: mettere al centro la persona,<br />

ogni persona, nessuna esclusa, al centro di una comunità accogliente<br />

ed inclusiva.<br />

7<br />

Claudio Cecchini<br />

Assessore alle Politiche Sociali e per la Famiglia<br />

Provincia di Roma


Incontro e conoscenza<br />

<strong>La</strong> presente pubblicazione rappresenta la conclusione di un primo progetto<br />

“Concorso letterario provinciale RaccontAbile 2010”, realizzato dall’emerita<br />

Casa Editrice “Ponte Sisto” con il sostegno <strong>del</strong>la Provincia di Roma, aperto<br />

agli studenti <strong>del</strong>le scuole superiori <strong>del</strong> territorio <strong>del</strong>la Provincia stessa.<br />

L’obiettivo <strong>del</strong> <strong>concorso</strong> è stato quello di voler stimolare i giovani ad una attenta<br />

riflessione rispetto a <strong>del</strong>le importanti quanto attuali problematiche sociali, attraverso<br />

l’espressione artistica e compositiva, rendendoli così protagonisti di<br />

percorsi formativi. Nello specifico, per questa prima edizione, la tematica scelta<br />

è stata quella <strong>del</strong>l’integrazione e <strong>del</strong>l’inclusione sociale, da cui il titolo scelto:<br />

“L’integrazione e l’inclusione sociale per una comunità senza discriminazione”.<br />

All’origine di comportamenti e azioni discriminatorie spesso, più che sentimenti<br />

poco nobili, ci sono invece ansia e paura: è l’incontro, la vicinanza e la<br />

conoscenza <strong>del</strong>l’altro che manca. Ed ecco che atteggiamenti e comportamenti<br />

quali passività, indifferenza, formalismo, rigidità, paura, bloccano interventi<br />

culturali e sociali.<br />

“Incontro e conoscenza”, è questo binomio che rappresenta la chiave di volta<br />

affinché atteggiamenti rigidi e comportamenti disfuinzionali possano modificarsi<br />

e ricostruirsi nel riconoscimento <strong>del</strong>la dignità <strong>del</strong>l’altro.<br />

Riconoscimento e rispetto <strong>del</strong>l’individualità di ciascuno insieme all’apertura<br />

e alla disponibilità alle relazioni, all’accoglienza <strong>del</strong>l’altro, è dalla sinergia di<br />

queste azioni che ne segue un miglioramento <strong>possibile</strong> <strong>del</strong>la società.<br />

Il luogo per eccellenza, all’interno <strong>del</strong> quale può realizzarsi un processo educativo<br />

che sappia comprendere e rimodulare la rigidità di certi comportamenti,<br />

è senza dubbio l’istituzione scolastica, luogo peraltro dove<br />

maggiormente si riflettono forme di complessità che possiamo riscontrare<br />

nella società contemporanea.<br />

All’interno di questo spazio sociale che è la <strong>scuola</strong>, coesistono più situazioni,<br />

più storie, più vissuti, “più persone”. E’ da questo dato che bisogna partire<br />

9


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

“l’individuo”, sia esso normodotato, diversamente abile, di colore, indigente,<br />

nomade, alto, basso, e quant’altro; solo attraverso un percorso educativo che<br />

metta al centro la persona, che sappia sviluppare e facilitare una consapevolezza<br />

<strong>del</strong> sé ampliata e integrata e accogliere le diverse sfumature e differenze,<br />

la propria e altrui identità personali e sociali, si potrà andare anche “oltre<br />

l’integrazione”!<br />

10<br />

Tiziana Biolghini<br />

Responsabile Ufficio Handicap<br />

Provincia di Roma


Discriminazione, no grazie!<br />

Il volume “Discriminazione, no grazie”, rappresenta per la Casa Editrice<br />

Ponte Sisto, la realizzazione di un progetto di alto valore culturale e sociale<br />

che va al di là di un semplice <strong>concorso</strong> letterario.<br />

Abbiamo avuto modo di conoscere un mondo poco noto e sicuramente poco<br />

rappresentato, quale quello dei giovanissimi, le loro aspirazioni e la loro idea<br />

di società. Troppo spesso, le nuove generazioni vengono descritte in modo superficiale<br />

e dileggiatorio e quasi mai vengono esaltate dai media, le loro eccellenze<br />

o semplicemente la loro voglia di vivere in una società migliore.<br />

È per noi un grande risultato aver contribuito a dar voce a molti giovani <strong>del</strong>le<br />

scuole superiori <strong>del</strong>la Provincia di Roma, che attraverso i loro scritti e rappresentazioni,<br />

hanno evidenziato quanto forte sia le loro aspirazione per una<br />

società senza discriminazione alcuna.<br />

Con l’auspicio di poter realizzare la seconda edizione <strong>del</strong> <strong>concorso</strong>, un ringraziamento<br />

non formale, a tutti coloro che ne hanno consentito la realizzazione,<br />

ed in particolare all’Assessorato per le Politiche Sociali e per la<br />

Famiglia <strong>del</strong>la Provincia di Roma.<br />

11<br />

Tullio Capocci<br />

Edizioni Ponte Sisto


prima sezione<br />

POESIA<br />

Frase????<br />

Autore???


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

L’opera di Carlo Testa è il prodotto di una eccezionale Diversità che si manifesta da<br />

molti anni in un ragazzo dolcissimo con un mondo interiore ricco di sfumature che<br />

lo portano ad essere estremamente sensibile e vicino, a diversi livelli, a tutti coloro<br />

che incontra nella sua vita.<br />

In particolar modo la sua ricchezza trova nutrimento nel sentimento spontaneo e costante<br />

per una figura difficilmente identificabile, ma sicuramente viva e perfetta nella<br />

sua mente e nel suo cuore. Tale mondo lirico ha la capacità di emozionare, di confortare<br />

e di rendere più bella la vita <strong>del</strong> lettore.<br />

I suoi versi sono testimonianza <strong>del</strong>la potenza evocatrice <strong>del</strong>la parola.<br />

CARLO TESTA<br />

Istituto Agrario “Emilio Sereni”, Roma<br />

Quante notti<br />

Oltre i cieli <strong>del</strong> cuore<br />

raccolta di poesie<br />

È l’emozione più forte.<br />

Ogni lacrima è sempre quella.<br />

Durante quella tempesta comincia una nuova vita.<br />

È come una primavera dove non piove mai.<br />

È una canzone che suona dolcemente.<br />

È come il vento che si muove dolcemente,<br />

il sole che riscalda le nuvole.<br />

Gli uccelli volano cantando felici sopra la montagna.<br />

È una dolce sensazione che io non voglio mai perdere.<br />

Non potrò mai dimenticare quella casa che è in questa montagna.<br />

Grazie colle San Magno.<br />

15<br />

Il dirigente scolastico<br />

Prof.ssa Patrizia Marini<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Come è facile colpire il mio cuore<br />

Il tempo passa ma come è così facile<br />

provare un battito così forte.<br />

Questo battito si chiama amore.<br />

Basta poco a conquistare.<br />

È come il giorno e la notte.<br />

È come la luna e le stelle.<br />

Quel battito continua sempre.<br />

È come trovare un raggio di sole.<br />

È come un tramonto che non finirà mai.<br />

Nelle nuvole rimane pochissimo oro<br />

e le stelle cominciano a brillare.<br />

Sopra in questo cielo<br />

continua a battere il cuore innamorato.<br />

<strong>La</strong> fiamma <strong>del</strong> cuore<br />

raccont Abile<br />

Quella stella comincia a brillare sempre più in alto.<br />

Il cielo comincia a schiarire ed è finita una giornata.<br />

In questa lunga notte si trova una grotta<br />

dove c’è una fiamma che accende forti sentimenti.<br />

Quella luna illumina il cielo.<br />

Il vento soffia dolcemente su quella fiamma<br />

che non si spegnerà mai.<br />

Perché quella si chiama fiamma <strong>del</strong> cuore.<br />

16


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

Il sorriso <strong>del</strong>la luna<br />

Una notte vedo la luna che sorride al cuore<br />

e mentre c’è una musica tu voli.<br />

È come se toccassi la luna e attorno a te<br />

ti guardano con il sorriso sulle labbra le ragazze.<br />

È come il volto <strong>del</strong>la luna.<br />

E tu che ti incateni con un salto<br />

e spicchi un volo senza fine.<br />

Il mio cuore è innamorato<br />

Basta un solo sguardo.<br />

È come un colpo di fulmine che ti colpisce al cuore senza scampo<br />

e tu capisci che quel lampo è l’amore che ti fa stare male.<br />

Ma tu non puoi non amare.<br />

Hai presente un temporale? Dopo viene l’arcobaleno.<br />

Quell’amore che ti fa fare cose più pesanti,<br />

ma non ti importa niente.<br />

Così potrai fare felice la persona che ami dentro al tuo profondo.<br />

D’accordo porterai un macigno!<br />

Quel fiore che porti tra le tue braccia<br />

è un frutto che ben presto maturerà.<br />

Cuore mio continua ad amare.<br />

17<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Il sogno<br />

Come è dolce questo sogno!<br />

In quella notte di stelle ecco che appare un sogno.<br />

Sognando di volare sopra quella luna<br />

mi sembrava di toccarla con il palmo <strong>del</strong>la mia mano.<br />

In questo sogno ci sono anche i sentimenti profondi <strong>del</strong> mio cuore.<br />

C’è anche un mondo tutto nuovo dove non c’è la guerra<br />

ma solo la pace.<br />

Il mondo si può anche cambiare.<br />

Basta solo sognarlo e alla fine ci si può credere.<br />

Ciao sogno.<br />

Gocce di memoria<br />

Quando sei nel buio fermati e aspetta che arrivi<br />

l’alba di un nuovo giorno.<br />

E tu che rivedi tutta la tua vita.<br />

Davanti a te continui a ricordare la tua infanzia.<br />

Saprai che questi sono solo ricordi,<br />

ma tu non puoi sempre ricordare perché la tua storia deve<br />

ricominciare e deve continuare.<br />

E ricorda queste parole “ricorda che la vita continua”.<br />

Questo si chiama gocce di memoria.<br />

<strong>La</strong> fiamma <strong>del</strong>la vita<br />

raccont Abile<br />

<strong>La</strong> fiamma è accesa è bollente<br />

come il sole e brucia l’anima.<br />

Riscalda il cielo blu.<br />

È una grande fiamma<br />

che accende la vita e brucia il mio cuore.<br />

È una luce che colpisce l’amore.<br />

18


Paese mio<br />

Terra straniera, quanta nostalgia, paese di mio nonno.<br />

Purtroppo tu corpo senza vita non puoi più guardare<br />

il tuo caro paese.<br />

Ora tu sei incarnato in me.<br />

Tu sarai morto ma sei sempre vivo dentro di me.<br />

<strong>La</strong> tua terribile notte è sempre buia.<br />

Sarai sempre il mio grande nonno.<br />

Purtroppo non puoi più vedere l’ultimo tramonto.<br />

Settimo cielo<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

Il tempo passa velocemente.<br />

Il vento si muove dolcemente mentre le canzoni romantiche<br />

riscaldano il cuore.<br />

A poco a poco si fa notte e si vedono le stelle.<br />

Ecco un letto che vola su nel cielo e sta finendo la settimana.<br />

Il tempo passa, ora, vado a ballare il mio cuore è pieno di felicità.<br />

È come se mi incatenassi ai ritmi <strong>del</strong>la musica.<br />

Ricordo il mio primo ballo.<br />

L’anima <strong>del</strong>la musica.<br />

È una luce che fa finire il tempo.<br />

19<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

<strong>La</strong> lettera<br />

<strong>La</strong> penna scrive le parole dette che entrano nel cuore.<br />

Scrive cosa provi e anche le parole taciute.<br />

I tuoi sentimenti che non può capire.<br />

E tu ragazza che leggi la lettera che solo tu potrai aprire<br />

lo sai che i tuoi occhi fanno male al cuore.<br />

Il tuo sorriso è dentro di me.<br />

Quando io ballo tu mi guardi.<br />

Ti amo mia dolce principessa.<br />

I miei grandi amici<br />

raccont Abile<br />

Chi trova una amico trova un tesoro.<br />

Quando non riesci a dormire perché hai un problema<br />

e non sai dove sbatter la testa, è come strapparti i capelli.<br />

È il tuo respiro che non ti fa chiudere gli occhi.<br />

All’improvviso ecco un amico ti si avvicina e ti dice: che hai?<br />

E tu non puoi parlare e piangi fino a che l’amico non ti dice:<br />

vieni da me! E tu finalmente ti liberi.<br />

Finalmente parli e dici: grazie amico!<br />

20


A presto paese mio<br />

Quante avventure ho passato in questo paese che per me<br />

è stato come la mia casa.<br />

Per me è duro partire, ma sono sicuro che un giorno ritornerò.<br />

A presto mia dolce casa.<br />

Mi mancheranno gli uccelli che cantano felici, la vista <strong>del</strong>le<br />

montagne al risveglio.<br />

Mi mancherà tanto il vento che soffia tra le foglie.<br />

Le luci che mi svegliano al mattino e soprattutto tu paese mio:<br />

mi hai cresciuto e, ora diventato grande,<br />

l’unica cosa che posso dirti è:<br />

a presto paese mio.<br />

Sentimento<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

In ogni cuore prima o poi entrerà l’amore……<br />

fuoco che scalda la vita.<br />

Luce che rischiara la notte.<br />

Melodia e colore!<br />

21<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Città <strong>del</strong>l’amore<br />

Il sole nasce su una città.<br />

Prati verdi.<br />

<strong>La</strong> musica <strong>del</strong>la città.<br />

Tanti ricordi dentro al tramonto.<br />

È come un soffio di vento.<br />

<strong>La</strong> natura è da scoprire all’improvviso si fa notte e siamo tutti calmi.<br />

Bello il mio letto che vola verso le stelle.<br />

Bella la primavera quando i fiori sbocciano.<br />

Bello quando arriva l’arcobaleno.<br />

Quante strade.<br />

Quella strada ti porta alla città <strong>del</strong>l’amore.<br />

Solo una stella può brillare.<br />

Quella stella luminosa è la città chiamata “Roma”.<br />

<strong>La</strong> musica<br />

È una melodia che apre il cuore<br />

e regala felicità a tutti e ci fa ballare tutta la notte,<br />

volteggiando come se avessimo ali ai piedi e con noi<br />

ballano le stelle e la luna.<br />

<strong>La</strong> natura<br />

raccont Abile<br />

L’aria profumata.<br />

Nelle gole si sente un rumore.<br />

<strong>La</strong> natura si profuma di erba nella cascata.<br />

Le nuvole coprono il sole e tu uomo<br />

che hai il coraggio di scalare le montagne.<br />

Sei libero come un’aquila che vola più in alto che mai.<br />

Nei tuoi profondi occhi si vede la tua bontà.<br />

Non ti fermare mai e continua la tua scalata.<br />

22


Un lungo addio<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

Addio mondo fatato.<br />

I tuoi ricordi saranno sempre nel mio cuore.<br />

Addio piscina.<br />

Quante nuotate e quante gare!<br />

Addio mare, ricorderò le tue onde che si muovono dolcemente.<br />

Addio Alessandra.<br />

Sarai sempre nel mio cuore.<br />

<strong>La</strong> tua bellezza mi ha fatto scaldare l’estate,<br />

mi ha acceso una speranza.<br />

Grazie a te la mia strada è ancora aperta.<br />

Addio aria di Casalbordino.<br />

Il vulcano <strong>del</strong>la pace<br />

<strong>La</strong> lava esplode su nel cielo.<br />

Mentre le stelle illuminano le vie la lava è una grande fiamma.<br />

È il mare.<br />

Le sue onde si muovono dolcemente,<br />

la lava riscalda il cuore.<br />

Nel volto <strong>del</strong> mare le sorride la luna.<br />

È il vulcano <strong>del</strong>l’amore,<br />

la lava brucia la tranquillità.<br />

23<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Il tramonto<br />

Un canto di uccelli si sente nel cuore.<br />

Nella notte il tempo per me<br />

è come un fiore che sboccia nel tramonto.<br />

Il cielo è una prima aurora.<br />

Si vede la luce nella speranza.<br />

Il tramonto è una cosa emozionante.<br />

È come stare in un cristallo.<br />

<strong>La</strong> luce ti colpisce il cuore.<br />

<strong>La</strong> libertà<br />

<strong>La</strong> libertà non sta nello scegliere tra il bianco e il nero.<br />

Tra l’amante e l’altro,<br />

ma nel sottrarsi a questa scelta.<br />

È brutto non essere più amati quando si ama,<br />

ma essere amati quando non si ama più<br />

è ancora peggio.<br />

<strong>La</strong>crima<br />

Ogni lacrima nascosta<br />

fa parte di una corona di spine<br />

che avvolge il cuore<br />

e rende arido l’amore.<br />

raccont Abile<br />

24


Il sorriso <strong>del</strong>la luna<br />

Una notte vedo la luna che sorride al cuore<br />

e mentre c’è una musica tu voli.<br />

È come se toccassi la luna e intorno a te,<br />

ti guardano col sorriso sulle labbra le ragazze.<br />

È come il volto <strong>del</strong>la luna e tu che ti incateni<br />

con un salto spicchi un volo senza fine.<br />

Piccolo grande amore<br />

Il primo raggio <strong>del</strong> sole di mattina.<br />

Il cielo è sereno.<br />

Il mare si muove dolcemente.<br />

Le farfalle volano da fiore a fiore.<br />

Il sole bollente riscalda il cuore,<br />

i tuoi profondi occhi illuminano<br />

come due stelle cadenti.<br />

Arcobaleno<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

I colori <strong>del</strong>la pace.<br />

Il mondo è sempre più colorato.<br />

Davanti a te c’è una porta<br />

e c’è una luce fortissima che ti travolge.<br />

È come un vortice che ti trascina sempre più in là.<br />

In quella porta c’è l’aldilà dove tutti stanno in pace.<br />

E tu uomo senza cuore risucchi la tua anima.<br />

Io non mi arrenderò mai.<br />

25<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Vedo la prima luna<br />

Il mare illumina la notte.<br />

Le stelle illuminano il cielo.<br />

Le onde si muovono dolcemente.<br />

Mentre nel cielo oscuro è finito il tramonto e si vede la prima luna<br />

che illumina il mare e lascia una scia.<br />

E tu nel tuo cuore guardi la luna.<br />

<strong>La</strong> litigata<br />

Innervosirsi è una brutta bestia.<br />

Non ti fa ragionare.<br />

<strong>La</strong> tua rabbia è buia come un nebbia,<br />

non ti fa vedere niente.<br />

È inutile arrabbiarsi.<br />

Le tue parole non servono a niente.<br />

Fai pace col tuo cuore.<br />

Cuore di musica<br />

raccont Abile<br />

Un attimo che entra è come lo scatenarsi <strong>del</strong> tuo cuore.<br />

È un amore forte e tu balli.<br />

Un ballo lento nel tuo petto.<br />

È come se ci fosse la donna che tu ami.<br />

26


<strong>La</strong> notte<br />

<strong>La</strong> notte è buia.<br />

Le stelle illuminano nel cielo oscuro.<br />

I letti volano sulle stelle,<br />

i sogni entrano nelle stanze e il mondo <strong>del</strong>la fantasia<br />

è la speranza <strong>del</strong>la luce.<br />

Verde mare<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

<strong>La</strong> notte le onde si muovono dolcemente.<br />

Le stelle illuminano il bordo <strong>del</strong> mare.<br />

Il mare canta una canzone.<br />

È come se parlasse.<br />

E il vento trascina una luce.<br />

Il mare verde fa riposare la luna.<br />

27<br />

…nessuno è normale


<strong>La</strong> rosa è un fiore.<br />

Sboccia a primavera con tutti i fiori.<br />

<strong>La</strong> rosa ha le spine che pungono l’amore.<br />

<strong>La</strong> rosa è un fiore che fa impazzire il cuore,<br />

è una pianta che fa innamorare.<br />

Il polline <strong>del</strong>la rosa profuma d’amore<br />

ed i suoi petali sono come una grande fiamma.<br />

Sognando la luna<br />

Non voglio mai smettere di sognare<br />

la tua luce riflessa sul mare<br />

mi fa venir voglia di amore.<br />

Sei tu che illumini la notte e con le stelle segni il cammino<br />

e tu mia dolce principessa<br />

sarai la mia sposa per la vita<br />

e mi accompagnerai verso il mio amore lontano che insieme a me,<br />

guardandoti, mi prenderà per mano.<br />

Visto da vicino… Le rose rosse<br />

raccont Abile<br />

28


EUGENIO GANDOLFO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Fuori Utopia<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

Io mi rifiuto di prostituire<br />

la mia Intelligenza.<br />

Non voglio essere complice<br />

<strong>del</strong>la castrazione che opera<br />

la società schizofrenica.<br />

Io so che l'uomo<br />

non è divino,<br />

il divino contempla tutto,<br />

l'uomo no!<br />

Ridate la Personalità<br />

a chi l'avete estirpata,<br />

a chi l'avete deviata.<br />

<strong>La</strong> Differenza esiste,<br />

è intrinseca nell'essere.<br />

Io la rispetto.<br />

Ipocriti, anche voi la rispettate.<br />

Uscite dalla repubblica di Utopia.<br />

29<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

CHIARA CECCARELLI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Bussa alla mia porta<br />

raccont Abile<br />

O’ fratello, sei venuto da lontano<br />

sperando che qualcuno ti tendesse la mano<br />

hai bussato a molte porte<br />

e non hai mai avuto risposte<br />

ma non smettere mai di sperare<br />

a questo mondo c’è ancora chi sa amare.<br />

Fratello bussa alla mia porta<br />

a me il colore <strong>del</strong>la tua pelle, non importa.<br />

30


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

FRANCESCO FAZARI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

<strong>La</strong> storia si ripete<br />

Solo con me stesso su una spiaggia assolata,<br />

mi ritrovo a pensare alla mia vita, al mio passato .<br />

Come un manichino ambulante<br />

vendo collane , bracciali e cappelli dicendo:<br />

“volete comprà a belli!“.<br />

Sono il fantasma di me stesso ,<br />

parlo una lingua che non è la mia,<br />

vivo in una realtà che non mi appartiene.<br />

Vedo negli occhi di tanta, troppa gente<br />

Indifferenza, cattiveria, intolleranza.<br />

E poi… guardo il mare .<br />

<strong>La</strong>ggiù, oltre l’orizzonte, terre lontane, forse la mia<br />

lasciata in cerca di un riscatto mancato e di una dignità negata.<br />

Qualcuno come me ,immigrato, a Villa Literno lavora i campi<br />

cercando di non essere ammazzato.<br />

Altri son braccia da lavoro nei cantieri o nelle fabbriche.<br />

Le donne, se va bene, fan le badanti a chi<br />

più tanta vita non ha davanti.<br />

Il cuore mi si stringe di dolore,<br />

ma poi arrivi tu,<br />

mi spieghi che la storia si ripete,<br />

che anche voi Italiani siete emigrati<br />

ed io mi sento meno solo,<br />

poiché la condivisione <strong>del</strong> dolore ci rende fratelli,<br />

anche se a malincuore.<br />

31<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

CHIARA FUMANTI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Ombre<br />

Piange il tuo cuore,<br />

Strilla la tua anima;<br />

Ali nere stringono il petto,<br />

Ma la tua bocca resta muta.<br />

E ti nascondi,<br />

Immerso nella polvere<br />

Ogni dolcezza è sparita,<br />

Ogni speranza è svanita.<br />

E graffi il terreno<br />

Vorresti scappare<br />

Da ogni spinta,<br />

Da ogni insulto,<br />

Da ogni voce<br />

Che ti urla contro.<br />

raccont Abile<br />

32


RICCARDO GRAZIANO<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Senza titolo<br />

Sarei come voi<br />

se lei m'amasse<br />

brillante, lucido,<br />

invece sono una macchia scura,<br />

sono lo sguardo <strong>del</strong> niente.<br />

Non ricordereste il mio volto<br />

sono la rogna<br />

quello che avanza<br />

sono l'asfalto<br />

la casa in spalla<br />

la mensa a orario<br />

la porcheria<br />

ma sarò libero<br />

come il mare<br />

di andare<br />

per andare.<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

33<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

CLAUDIA IPPOLITI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Diverso è Speciale<br />

raccont Abile<br />

A volte mi guardo e penso,<br />

sono diverso, ma perché?<br />

Ho anche io una bocca, due occhi, un naso,<br />

un cuore:proprio come tutti gli altri.<br />

Allora perché sono sempre da solo?<br />

Perché i miei amici mi parlano come se non capissi?<br />

Io capisco tutto anche se impiego più tempo.<br />

Anche io provo dei sentimenti:<br />

rabbia,tristezza,felicità e amore.<br />

So essere un buon amico,<br />

so ascoltare e mantenere un segreto,<br />

so volere BENE.<br />

Solo poche persone mi capiscono<br />

E riescono a farmi sentire importante;<br />

è solo grazie a loro che affronto ogni giorno<br />

con un sorriso,<br />

sperando di poter dire<br />

anche io:<br />

Sì, SONO FELICE.<br />

34


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

VINCENZO MARANO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Il timore per il Diverso<br />

L'uomo bianco nasce...<br />

cresce... respira...<br />

invecchia e muore...<br />

L'uomo nero no?<br />

L'uomo bianco parla...<br />

ride e scherza...<br />

soffre e piange...<br />

L'uomo nero no?<br />

Il tempo passa...<br />

i luoghi cambiano...<br />

le società si evolvono...<br />

ma il timore rimane sempre lì.<br />

<strong>La</strong> paura <strong>del</strong> diverso...<br />

<strong>del</strong>l'ignoto... <strong>del</strong>l'oscurità...<br />

rimane fissa e immobile...<br />

ancorata nell'animo umano.<br />

Spinge l'uomo ad azioni...<br />

modi... comportamenti...<br />

che mai avrebbe fatto...<br />

azioni disumane.<br />

Deride... intimorisce...<br />

esclude... ferisce...<br />

35<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

schernisce e inganna<br />

in qualsiasi modo.<br />

Considera il diverso estraneo...<br />

un selvaggio... una bestia...<br />

un portatore di distruzione....<br />

non pensando ad altro.<br />

Non pensa... non riflette...<br />

non capisce! Non capisce<br />

che in fondo è lui...<br />

colui che è diventato una bestia.<br />

Quando lo capisce...<br />

capisce cosa ha fatto...<br />

cosa ha commesso... cosa ha distrutto...<br />

è troppo tardi per cambiare.<br />

Il passato ormai è scritto<br />

non si può cambiare...<br />

Ma il futuro è in arrivo<br />

e si può ancora rimediare.<br />

raccont Abile<br />

36


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

VALENTINA PERIS<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Integrazione<br />

Integrazione<br />

È comunicazione<br />

Ora c’è internet, la televisione:<br />

la chiamiamo globalizzazione.<br />

Non ci sono differenze<br />

basta avere un po’ di conoscenze:<br />

lingua, religione, civiltà e... solidarietà<br />

questo bisogna avere<br />

ma cos’è che ci può dividere?<br />

Beh, la risposta è semplice<br />

Complice l’ignoranza<br />

<strong>La</strong> diffidenza<br />

Le barriere.<br />

Non è così facile:<br />

bisogna fidarsi<br />

accettare il diverso<br />

conoscersi<br />

non è tempo perso.<br />

37<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

ELISA RAPONI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

raccont Abile<br />

Per te che aspetti un altro giorno<br />

Ci sono giorni in cui tutto sembra grigio,<br />

mi guardo allo specchio<br />

immaginandomi di rivedere ancora quel ragazzo<br />

di qualche anno fa;<br />

un ragazzo vivo, pieno di sogni, speranze,<br />

E UNA GRANDE VOGLIA DI VIVERE.<br />

Mi guardo allo specchio e non mi riconosco:<br />

i miei bellissimi capelli biondi<br />

ormai non ci sono più.<br />

I miei occhi sono spenti,stanchi<br />

E piangono lacrime di dolore.<br />

In fondo ho solo quindici anni,<br />

devo trovare la forza di credere che tutto questo<br />

possa avere una fine.<br />

Io non mi abbatto,<br />

e continuo a combattere.<br />

Dal mio balcone osservo le rose…<br />

Già sento il profumo <strong>del</strong>la prossima fioritura.<br />

38


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

FRANCESCA SIBILIA<br />

Liceo Classico “Vivona”, Roma<br />

Una <strong>del</strong>usione che apre la porta alla speranza<br />

Ciao! Sorrido allegramente.<br />

Mi chiamo Francesca!<br />

Ma tu in silenzio indifferente.<br />

Perchè neanche mi guardi?<br />

Ti vorrei conoscere,<br />

ma siete tutti così testardi.<br />

Mi ignorate e rifiutate,<br />

cosa ho che non va?<br />

Così mi isolate.<br />

E’ il vostro scopo? Vi divertite?<br />

Non ho nulla di diverso...<br />

Perchè non capite?<br />

Anzi, no mi sbaglio,<br />

abbiamo tutti differenti caratteristiche<br />

perciò dateci un taglio!<br />

Se ti fermi all’apparenza,<br />

non andrai molto lontano,<br />

abbi un po’ di coscienza!<br />

Se provi almeno a considerare<br />

che, conoscendosi e accettandoci,<br />

oh, quante cose potremmo imparare!<br />

39<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Credo che il pregiudizio<br />

non porti a niente,<br />

è un qualcosa di fittizio.<br />

Forse sarò diversa<br />

e ciò può farti paura,<br />

ma la speranza non è dispersa.<br />

Anche tu avrai qualche difetto<br />

e sarai bizzarro,<br />

ma in disparte non ti metto.<br />

Se sei l’unico a fidarti<br />

non temere, non ti agitare<br />

ma inizia a calmarti.<br />

Ognuno ha un pizzico di brio<br />

che rente questo mondo<br />

tutt’altro che stantio.<br />

raccont Abile<br />

Non te ne pentirai<br />

quindi guardami, parlami, ascoltami<br />

e un grande amico per me sarai.<br />

40


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

ILARIA SPAZIANI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Riflesso<br />

Guarda queste mani,<br />

sono come le tue<br />

e come te impastano sogni.<br />

Guarda questi occhi,<br />

uguali ai tuoi,<br />

come te scoprono il mondo.<br />

Vorrei vedessi il mio paese<br />

lontano<br />

diverso<br />

dimenticato<br />

ma illuminato dallo stesso sole.<br />

Io ti racconto la mia storia,<br />

tu raccontami la tua,<br />

così<br />

impareremo a conoscerci<br />

senza cambiare<br />

migliorando.<br />

41<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

THOMAS TURAY<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Io e Te<br />

Se tu fossi come me non ce l’avresti fatta.<br />

Se ti racconto tutto quello che ho passato<br />

penseresti che sono matta.<br />

Ho capito, sì sono diverso<br />

ma uguali siamo tutti all’interno.<br />

Ora tu mi discrimini<br />

Non rispettando i limiti.<br />

Lo sai che sono normale<br />

ma tu mi tratti da animale.<br />

Tu soffri di xenofobia<br />

e vorresti che me ne andassi via.<br />

raccont Abile<br />

Pensaci un po’, è quello che ti chiedo<br />

Cosa credi che gli altri pensino di te?<br />

42


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > PRIMA SEZIONE > > > POESIA<br />

GIULIA VILLANI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Fratelli nella diversità<br />

Sei bianco? Sei nero?<br />

Oppure porti il velo?<br />

Posso vivere anche senza<br />

Conoscere la tua provenienza.<br />

Le nostre mani si toccheranno<br />

E tutti quanti capiranno<br />

Che il colore <strong>del</strong>la pelle<br />

Non ci impedisce di essere sorelle.<br />

Uniamo le mani<br />

In un grande girotondo<br />

E non ci saranno uguali<br />

Perché rappresentiamo il mondo.<br />

43<br />

…nessuno è normale


seconda sezione<br />

NARRATIVA<br />

<strong>La</strong> conseguenza principale<br />

<strong>del</strong> pregiudizio di gruppo<br />

è la discriminazione<br />

Norberto Bobbio


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

RAFFAELE DE MATTEIS<br />

Liceo Scientifico “A. Righi”, Roma<br />

Soggetto A-209T<br />

Prologo – <strong>La</strong> storia ufficiale<br />

Mosca, Russia, 1 gennaio 2001. Un chimico e sociologo russo di nome Vladimir<br />

Striskij ha ricevuto dal governo i fondi per la ricerca <strong>del</strong>la cura contro<br />

la pazzia. A suo dire, esiste un modo per far tornare normali le persone pazze,<br />

bisogna solo trovare la giusta miscela chimica, e poi iniettarla nel paziente. Il<br />

suo progetto è chiamato “Progetto A-209”. È una persona onesta che vuole<br />

solo fare <strong>del</strong> bene, pensando che, per un pazzo, diventare normale sia la cosa<br />

migliore che possa succedere. Molti la pensano così, in effetti. Ma non Tim<br />

Johnson.<br />

Striskij ha deciso di scegliere di persona 25 cavie: 5 per ogni continente. Johnson<br />

è americano: degli USA. Da quando è nato, in lui si è sempre riscontrata<br />

una certa instabilità mentale. Sembrava però in grado di condurre una vita<br />

normale, fino al giorno <strong>del</strong>la morte <strong>del</strong> padre in un incidente stradale. Da<br />

quel momento in poi, Johnson perse ogni tipo di controllo. Striskij scelse proprio<br />

lui perché, per un periodo, era stato quasi normale. Forse è per questo<br />

che da come si esprime, Johnson sembra una persona abbastanza normale, se<br />

non fosse per le sue congetture e le sue divagazioni, che lo rendono lo scrittore<br />

improvvisato più anomalo che ci sia. Insomma: da come scrive si direbbe<br />

che abbiamo a che fare con una persona con le idee molto, ma molto confuse,<br />

che ci vuole far sentire le sue ragioni. Ragioni non troppo campate per aria,<br />

per la verità. Il farmaco, a dispetto <strong>del</strong>le aspettative di Striskij, non dà i risultati<br />

sperati. Spesso, anzi, peggiora la situazione <strong>del</strong> soggetto su cui viene<br />

sperimentato. Per questo, i fondi stanziati per la ricerca arrivano presto agli<br />

sgoccioli. Striskij, non senza rimorsi o sensi di colpa, attua un piano che lo do-<br />

47<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

vrebbe aiutare a risanare il bilancio: le cavie su cui il farmaco non fa effetto<br />

vengono uccise. In questo modo, Striskij non deve preoccuparsi di stanziare<br />

una parte dei fondi per nutrirle e per garantire loro le condizioni strettamente<br />

necessarie per continuare a vivere. Ovviamente, nessuno al di fuori <strong>del</strong>la clinica<br />

sa di questo modo di agire <strong>del</strong> chimico-sociologo, e alle famiglie viene<br />

detto semplicemente che il soggetto è ancora sotto osservazione, e che ci vorrà<br />

tempo prima che possa tornare a casa. C’è anche da dire, tuttavia, che il progetto<br />

non riscuote il successo sperato anche perché molti dei medici migliori<br />

in circolazione hanno già intuito che in quell’operazione ci sarebbero state<br />

non poche manovre fuori dalla legge a cui la loro etica professionale impediva<br />

di andare incontro. Per questo vengono reclutati medici alle prime armi, che<br />

commettono gravissimi errori di fondo, nella valutazione dei progressi <strong>del</strong>le<br />

cavie. Tim Johnson, anche detto “Soggetto A-209T”, è l’unico su cui il farmaco<br />

dà tutti gli effetti sperati. Questo perché Johnson è l’unica <strong>del</strong>le cavie<br />

che a non essere nata già malata di mente. Il farmaco, infatti, ha l’effetto di<br />

ristabilire la salute mentale; non a crearla dal nulla. Tuttavia, se chi lo assume<br />

non ha mai potuto godere <strong>del</strong>la suddetta salute, allora il farmaco non riesce<br />

a dare il contributo sperato. <strong>La</strong> guarigione di Johnson sembra un miracolo,<br />

oltre che una scoperta di inestimabile valore, che garantisce a Striskij il nobel<br />

per la medicina. Ogni giornalista al mondo non aspetta altro che intervistarlo,<br />

ben sapendo che non c’è occasione più nitida per vincere un premio Pulitzer.<br />

Anche i familiari di Johnson sono entusiasti, e preparano una festa in suo<br />

onore. Ma guardando le cose dalla sua prospettiva, qualcosa cambia. E quel<br />

qualcosa è qualcosa di veramente grosso. <strong>La</strong> notizia <strong>del</strong> suo suicidio è una<br />

<strong>del</strong>le sorprese più sgradevoli e inaspettate degli ultimi anni. Ma non è finita<br />

qui. Il nostro caro Johnson, aiutato dal suo genio incompreso, riesce a stupirci<br />

ancora, anche da morto. Sul suo letto, accanto al suo cadavere ancora appeso<br />

alla corda che ha usato per impiccarsi, vengono ritrovate poco meno di cinque<br />

pagine scritte a mano. Cinque pagine che però diventano presto il più<br />

grande documento incriminante <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la medicina. Sì, perché in<br />

quelle cinque pagine, anche se, apparentemente, non sembrano scritte con<br />

astio nei confronti dei medici, vengono svelati alcuni segreti raccapriccianti<br />

<strong>del</strong>le condizioni <strong>del</strong>le cavie, e soprattutto viene scoperta la tragica fine che facevano<br />

i pazienti su cui il farmaco non aveva effetto. Inutile dire che Striskij<br />

e i suoi collaboratori siano stati arrestati pochi giorni dopo. Ma non è finita<br />

qui. C’è un’altra sorpresa riguardo al genio di Johnson. Sì, perché un para-<br />

48


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

grafo <strong>del</strong>la sua storia viene scritto subito dopo la sua morte. Almeno così<br />

sembrerebbe. Ovviamente i morti non possono scrivere, e così è stato appurato<br />

nel giro di qualche ora che quel paragrafo sia stato scritto pochi minuti<br />

prima <strong>del</strong> decesso, e che Johnson, ambientandolo dopo la sua morte, abbia<br />

voluto mandare un messaggio di uguaglianza e di speranza a tutti i malati di<br />

mente, a tutti i loro parenti, e a tutti coloro che li hanno snobbati per una vita<br />

intera. Ma adesso basta chiacchiere: la parola passa a Timothy Johnson.<br />

Capitolo 1 – I retroscena. Direttamente da Timothy Johnson<br />

<br />

<br />

Ciao a tutti. Io sono Tim. O forse Jim? Oppure David? Ah, che importa? Ricominciamo<br />

daccapo.<br />

Ciao a tutti. Io sono il Soggetto A-209T, e sono più sicuro <strong>del</strong> mio nome in<br />

codice che di quello di battesimo. Non voglio fare giri di parole, anche perché<br />

se ne facessi, probabilmente finirei per dire noiosissime stupidaggini,<br />

convinto che a qualcuno interessino. Per la verità, invece, non interessano a<br />

nessuno. Ma forse adesso sto facendo dei giri di parole. Forse no. Ne sto facendo?<br />

Giudicate voi. Per quanto mi riguarda, poteva sembrare una semplice<br />

precisazione. Ecco. Ci risiamo. Di nuovo con questi giri di parole. Il<br />

bello è che, continuando a parlare dei miei giri di parole, sto perdendo più<br />

tempo che se avessi dato libero sfogo alle mie fantasticherie.<br />

Oh beh, è pronto il tè. Oppure è il caffè? Ma che importa il nome? Che importa<br />

il mio nome? Che importa il nome di questa bevanda calda che ho in<br />

mano? L’importante è che sappia di caffè. O di te. A seconda di come lo<br />

chiami. È lì che entra in gioco il nome. Deriva da questa nostra necessità di<br />

classificare tutti. Uomini. Donne. Bambini. Vecchi. Malati. Sani. Handicappati.<br />

Malati di mente. Talentuosi. Brutti. Belli. Tè. Caffè. L’importante è l’es-<br />

49<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

senza di ciò che siamo, e il sapore di ciò che beviamo: non il suo nome. Ad<br />

ogni modo, dovevo finire la mia presentazione, o no?<br />

Beh, forse avrete capito che sono uno dei cosiddetti malati di mente. Almeno<br />

credo. Ma non sono uno qualsiasi. Almeno credo. Però potrei esserlo e credere<br />

di non esserlo perché, essendo un malato mentale, potrei avere manie di<br />

protagonismo. Il mio compagno Rob. O Bob. O Steven. Ah, che importa? Ricominciamo<br />

daccapo.<br />

Il mio compagno “Soggetto A-209S” è stato ucciso.<br />

Lo so bene perché sono pazzo, non stupido. E neanche lui lo era. È stato ammazzato<br />

perché non voleva ammettere che una fotografia rappresentava una<br />

farfalla. Lui sapeva benissimo cosa rappresentava, ma ha perso di vista il concetto<br />

di classificazione così tanto tempo fa, che credeva che quell’animale si<br />

chiamasse Alocefalozidone. Alla fine, può anche essere così. Voglio dire. Nessuno<br />

sa il nome <strong>del</strong>le cose. Lo hanno deciso i nostri antenati; ma se si fossero<br />

sbagliati?<br />

Ma adesso sto tornando a fare giri di parole. Chissà perché mi viene così naturale.<br />

Forse perché quando parlo nessuno mi ascolta, e tutti mi ordinano di<br />

tacere, dicendo che “vaneggio”. Poi mi mettono una mascherina e mi viene<br />

da dormire. Allora scrivo tutto ciò che non posso dire. So che è stupido; so<br />

che, una volta che mi sono reso conto di essermi dilungato troppo, potrei<br />

semplicemente cancellare qualcosa di quello che ho scritto, ma non lo faccio.<br />

Perché? Non perché voglio dire tutto ciò che voglio dire; non perché voglio<br />

tirarmi fuori tutto ciò che non mi lasciano dire a voce. Ma perché sono matto.<br />

So di essere un matto speciale, però. Almeno credo. Io, e tutti gli altri “Soggetti<br />

A-209”. Lo so perché su di noi testano dei farmaci strani. Alcuni muoiono<br />

quando gli viene somministrato il farmaco. Altri diventano ancora più<br />

matti. Altri “guariscono”. È così che LORO chiamano il processo di tornare<br />

alla non-pazzia: guarigione. Perché ho lasciato quello spazio tra “Alcuni” e<br />

“muoiono”? Perché sono un matto. Che poi che vuol dire “morire”? E “testosterone”?<br />

E “ippocastano”? Alle ultime due domande non so dare una risposta,<br />

ma non mi interessa farlo. Alla prima invece sì. So che il tuo corpo<br />

smette di muoversi. Ma allora? Cosa c’è di così brutto? D’altronde, a me non<br />

mi fanno muovere neanche adesso che sono “vivo”. Mi tengono legato qui,<br />

e posso scrivere perché sono un pazzo intelligente che ha scoperto come si fa<br />

a scrivere muovendo solo la mano e tenendo fermo il braccio.<br />

Ieri hanno somministrato il farmaco a me e a “Soggetto A-209S”. Lui non è<br />

50


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

riuscito a dare il giusto nome alla farfalla. Io sono riuscito a fare una disequazione<br />

di quindicesimo grado. Hanno detto che sono meno pazzo di prima,<br />

ma non è vero. Sono solo meno stupido. Molto meno stupido. Forse sono<br />

anche meno pazzo, ma non è certo una disequazione a decidere se una persona<br />

è pazza o no. Come non lo è il nome di un animale. Dicono che questo<br />

farmaco ci renderà sani. Voi sapete cosa voglia dire? Io no. So di essere pazzo.<br />

So che LORO sono sani. Ma non riesco a immaginare un mondo diverso dal<br />

mio. Non riesco a capire come si possa non essere pazzi. Ed è per questo che<br />

rifiuto le classificazioni. Perché non capisco la differenza tra due cose. Non<br />

capisco la differenza tra caffè e tè, ad esempio. Se il caffè si chiamasse tè e il<br />

tè caffè, allora quale dei due saprebbe di caffè, e quale di tè? Questa è una<br />

domanda im<strong>possibile</strong>. Sapete perché? Perché la frase “quale saprebbe di tè<br />

e quale di caffè” può essere interpretata in due modi diversi, e io non so quale<br />

dei due volevo dire. Può dare per scontato che si stia nella dimensione in cui<br />

il tè è caffè e il caffè è tè, e in quel caso, il caffè saprebbe di caffè e il tè di tè.<br />

Mentre se la domanda viene formulata dalla dimensione in cui il caffè è quello<br />

marrone e il tè quello che si fa in bustine, allora vorrebbe dire che è cambiato<br />

solo il nome <strong>del</strong>le due cose, e non la sostanza, quindi quello che conoscete<br />

come caffè saprebbe di tè e quello che conoscete come tè saprebbe di<br />

caffè. Vedete? A fare classificazioni si va in confusione. O meglio. Si andrebbe<br />

in confusione se ci si facesse qualche semplice domanda, la cui risposta è im<strong>possibile</strong>.<br />

Ma le classificazioni, in fondo, sono una forma di lobotomia. Nessuno<br />

ragiona più con la propria testa da millenni: nessuno si fa domande. Se<br />

la gente ragionasse dall’inizio alla fine con la propria testa, probabilmente saremmo<br />

tutti “pazzi”, ed essere “pazzi” sarebbe la normalità, così come nella<br />

nostra dimensione la normalità è non essere “pazzi”. Perché non bere e basta?<br />

Appena uno inizia a farsi qualche domanda e qualche ragionamento come<br />

ho fatto io, il sistema <strong>del</strong>le classificazioni sballa, perché il discorso che ho<br />

fatto per separare i due significati di “quale saprebbe di tè e quale di caffè”<br />

andrebbe fatto ogni volta che nomino una <strong>del</strong>le due bibite. Ma proprio<br />

quando uno inizia a capire che c’è qualcosa di sbagliato, allora diventa pazzo.<br />

Probabilmente i pazzi sono semplicemente gli uomini abbastanza intelligenti<br />

da capire che il sistema <strong>del</strong>le classificazioni è stato creato da persone intelligenti,<br />

ad uso e consumo di persone stupide. Probabilmente “Soggetto A-<br />

209S” era così intelligente che il suo cervello non è stato manomesso da quel<br />

farmaco, mentre il mio sì. Beh, però forse sono riuscito a fare quella equa-<br />

51<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

zione perché la mia mentalità mi dice di non dare nessuna classificazione per<br />

scontata, e di discutere su ogni dato che ho a disposizione. Forse perché non<br />

sono mai sicuro che un dato sia a mia disposizione. O forse perché avevo bevuto<br />

<strong>del</strong> tè, o <strong>del</strong> caffè, dipende da come lo chiami.<br />

Oggi mi hanno dato di nuovo il farmaco, e hanno ammazzato “Soggetto A-<br />

209U”. Diceva che due alla seconda meno due alla seconda dà come risultato<br />

0,1 con infiniti zeri tra la virgola e l’uno, dicendo che lo 0 perfetto non esiste.<br />

Può essere che abbia ragione. Può essere di no. E può essere che avesse<br />

solo bisogno di tè. O di caffè. Dipende da come lo chiami. Chissà perché la<br />

gente si fa tanti problemi nei confronti di noi pazzi. In fondo, che c’è di pericoloso<br />

in un essere inferiore a te? Perché è così che ci considerano: esseri<br />

inferiori. Meno dotati. E allora perché ci esaminano? Perché hanno paura di<br />

noi? Perché ci tengono così in considerazione? Semplice. Perché ognuno di<br />

noi e di voi è come me o “Soggetto A-209U”. Siamo tutti pazzi. Tutti consapevoli<br />

che i pazzi hanno capito tutto <strong>del</strong>la vita, mentre i filosofi, che si facevano<br />

tutti i loro problemi, erano quelli che ci capivano di meno. In fondo, a<br />

chi vuoi che interessi da dove veniamo, se poi quando nasciamo siamo trattati<br />

tutti in modo diverso? A chi vuoi che importi se veniamo da una stalla intergalattica,<br />

se poi, in vita, la regina di Inghilterra vive a Buckingham Palace,<br />

e io vivo in un letto dalle lenzuola bianche? E perché sono bianche? Non potevano<br />

essere nere, ma avere lo stesso colore di adesso? Se adesso io le chiamassi<br />

nere, sapendo però di vedere lo stesso colore che voi chiamate bianco,<br />

verrei preso e mandato a morire. Se invece la regina, o un capo di stato dice<br />

di non aver commesso crimini mentre fa cose che vanno contro la costituzione<br />

<strong>del</strong> proprio paese, nessuno gli dice niente e non lo processa nemmeno.<br />

Eppure, entrambi stiamo facendo la stessa cosa: personalizzando una convenzione<br />

<strong>del</strong>l’uomo. Io personalizzo i colori, dando loro nomi diversi, lui/lei<br />

personalizza le leggi, facendole applicare in modo diverso. Per questo dico<br />

che siamo tutti pazzi. Tutti, almeno una volta, ci troviamo a personalizzare<br />

una convenzione, ma non potremo mai personalizzare la realtà. E questo ci<br />

porta a capire che la realtà non equivale alla classificazione. È per questo che<br />

sono contrario alle classificazioni.<br />

Oggi mi hanno messo in un nuovo letto. Più grosso. Mi hanno attaccato dei<br />

macchinari addosso. Volevo dire che sembravano tipo i capelli di Medusa, ma<br />

52


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

mi hanno detto di star zitto. Mi hanno detto che farneticavo. Mi hanno messo<br />

la solita mascherina. Mi sono messo a dormire. Tutto come al solito. Stavolta<br />

però voglio raccontarvi dei capelli di Medusa. Sì, però se non ci fossero stati<br />

i serpenti, non sarebbero esistiti neanche i capelli di Medusa. Già. I capelli<br />

di Medusa sono serpenti. Probabilmente, chi ha scritto per la prima volta la<br />

storia di Medusa è stato ispirato dai serpenti. Probabilmente, se non avesse<br />

saputo come si chiamavano, avrebbe cercato qualche altro animale. Ma se<br />

nessun animale avesse un nome? Se nessun animale avesse un nome, quello<br />

scrittore non avrebbe saputo che cosa dire. Non avrebbe potuto scrivere “I<br />

capelli di Medusa sono centinaia di serpenti”, perché la parola “serpente”<br />

non sarebbe mai esistita. E quindi lui non avrebbe potuto scrivere proprio<br />

niente. Ma ragioniamo. Se gli scrittori antichi non avessero avuto modo di<br />

scrivere, allora a chi ci saremmo ispirati? Da chi avremmo preso il nostro<br />

modo di fare altezzoso e supponente? Nell’antichità ci si poteva permettere<br />

di essere altezzosi e supponenti, perché nell’antichità non c’erano le bombe<br />

atomiche. Non c’era neanche il caffè. O il tè. Dipende da come lo chiami.<br />

Beh, forse c’era, ma di sicuro non lo chiamavano né caffè, né tè. E se si chiamava<br />

tè, allora non era tè, perché le classificazioni sono cambiate, e quello che<br />

prima era classificato come tè adesso potrebbe essere classificato come “idrostenastasi”,<br />

che non vuol dire niente, come in greco o in latino non vuol dire<br />

niente tè. Comunque, dicevo che prima ci si poteva permettere di essere altezzosi<br />

e supponenti perché non c’erano le bombe atomiche. Perché prima<br />

se eri altezzoso e supponente venivi sfidato a duello. Se un re era altezzoso e<br />

supponente con un altro re, i due re si dichiaravano guerra, ma la maggior<br />

parte <strong>del</strong>le guerre duravano poco, al tempo. Non credete che perché ci giungono<br />

le notizie di guerre secolari, nella storia antica tutte le guerre erano sanguinose.<br />

Ce ne saranno state almeno un miliardo, di guerre di neanche una<br />

settimana. Adesso, invece, abbiamo ereditato dagli antichi la supponenza,<br />

ma se un capo di stato si comporta in modo altezzoso e supponente con un<br />

altro capo di stato, ci sono, in linea teorica, le risorse per fare una guerra che<br />

magari dura due minuti: una bomba a testa, che però, da sola, fa più morti<br />

<strong>del</strong>le migliaia di spade che sono state usate nelle guerre antiche. Se nessuno<br />

avesse saputo che quello che conosciamo come serpente si chiamasse serpente,<br />

nessuno avrebbe scritto i libri che noi leggiamo tuttora, e di cui imitiamo<br />

i personaggi nella loro supponenza. È per questo che sono contrario<br />

alle classificazioni.<br />

53<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Oggi mi sono sentito diverso dal solito. Oggi mi sono sentito meno contrario<br />

alle classificazioni. Oggi ho chiamato per la prima volta quella sostanza<br />

amara e marrone caffè, e quella dolce giallognola tè. Chissà che succede.<br />

Chissà che mi stanno facendo. Saranno i farmaci? Sarò io? Sarà la mia mente<br />

che vuole riscattare una vita passata a farmi problemi? In verità, i problemi<br />

che mi faccio me li faccio perché non riesco a trovare un mio orientamento<br />

in un mondo di classificazioni. Chissà perché ho voglia di andarmene da questo<br />

posto. Chissà perché ho voglia di dire la parola caffè. Chissà perché<br />

chiamo farfalle quelle che voi chiamate farfalle. Chissà perché. Oggi mi hanno<br />

dato un nuovo farmaco, e da quando me l’hanno dato ho iniziato a sentirmi<br />

diverso. Chissà perché. Chissà perché sto ripetendo così spesso le parole<br />

“chissà” e “perché”. Chissà perché oggi mi viene naturale scrivere gli accenti<br />

dalla parte giusta. Chissà perché oggi non ho niente da criticare. Chissà perché<br />

oggi non ho trovato niente da rinfacciare al mondo <strong>del</strong>le classificazioni.<br />

Chissà perché finalmente capisco che vuol dire essere vivo. Chissà perché.<br />

Non mi piace dilungarmi, eppure lo faccio. Lo faccio perché ne ho bisogno.<br />

Ma quando poi non ne ho più davvero bisogno, ma penso di averne perché<br />

la mia mente ha bisogno di credere che io abbia bisogno di dilungarmi, allora<br />

inizio a dire tante volte di fila le stesse parole. E chissà perché quelle parole<br />

sono “chissà perché”. Se “chissà” e “perché” non volessero dire niente, allora<br />

sì che starei bene, perché saprei che mi sto comportando come al solito, come<br />

mi fanno credere che io mi comporti: in modo insensato e illogico. E allora<br />

mi sentirei meglio. Perché saprei che non c’è niente di diverso dal solito. Mentre<br />

qualcosa c’è. C’è perché fino a ieri non avrei chiesto lo zucchero, perché<br />

ero contrario alle classificazioni. È anche per questo che sono contrario alle<br />

classificazioni: perché ho bisogno di dire cose senza senso, e la regina <strong>del</strong>le<br />

classificazioni, cioè la lingua, non mi aiuta di certo. Chissà perché ho bisogno<br />

di sgranchirmi le gambe, e me lo lasciano fare, mentre ieri mi avrebbero preso<br />

per pazzo, perché le gambe non le muovo da anni. Forse prima mi prendevano<br />

per pazzo perché ero pazzo. Ma il fatto che ora non mi prendano per<br />

pazzo significa che non sono pazzo. Ma lo ero. Ne sono certo. Forse non sono<br />

più pazzo? Forse il “Soggetto A-209T” può cominciare a chiamarsi Tim? O<br />

Jim? O David? È quello che ho sempre aspettato. Ma perché? Mi hanno fatto<br />

apparire la normalità come una cosa fantastica, ma adesso che l’ho raggiunta,<br />

non ho più uno scopo. Se non ci fossero distinzioni tra pazzi e non pazzi,<br />

ognuno saprebbe da solo quando è pazzo. Quindi, per tornare normale, dovrebbe<br />

fare un percorso progettato da lui stesso. Questo percorso sarebbe<br />

54


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

progettato dall’inconscio in modo da soddisfare tutte le aspettative che avevamo<br />

riguardo al non essere pazzi. È per questo che sono ancora contrario<br />

alle classificazioni.<br />

Oggi, mi hanno liberato. Finalmente non sono più pazzo. Mi rendo conto di<br />

essere comunque strano, ma non sono più pazzo. Ora che non sono più<br />

pazzo, che benefici avrò? Inizio già a farmi una lista. Potrò e dovrò lavorare.<br />

Potrò e dovrò farmi le cose da solo. Potrò e dovrò prendermi le mie responsabilità.<br />

Potrò e dovrò remare a tempo con tutti gli altri organi <strong>del</strong>lo stato. Mi<br />

innamorerò di donne che non ricambieranno. Spezzerò cuori a donne che si<br />

innamoreranno di me, perché non ricambierò. Mi renderò conto <strong>del</strong> tempo.<br />

Utilizzerò continuamente le mie acerrime nemiche: le classificazioni. Festeggerò.<br />

Vivrò una vita tranquilla. Non mi porrò problemi. Mi rilasserò. Non<br />

avrò nessun pensiero serio con cui occupare la mia mente. E finalmente inizio<br />

a capire cos’è la morte. Inizio ad averne coscienza. Prima non ero solo<br />

pazzo, ma anche mal informato. Non è pazzia non sapere cosa sia la morte,<br />

ma essendo tu pazzo, i dottori ritengono che non ti serva saperlo. Beh, però,<br />

riguardando questo elenco di cose che cambieranno nella mia vita, mi viene<br />

da dire una sola cosa: “Che Schifo”.<br />

Ciao a tutti. Sono Tim. Sono un ex - pazzo, e sono morto. Mi sono suicidato<br />

il giorno dopo essere diventato normale. Perché? Volete saperlo? Perché ho<br />

passato la mia vita sdraiato su un letto, nella speranza che i dottori mi avevano<br />

inculcato di tornare una persona normale. Non mi ero mai reso conto che è<br />

meglio essere pazzi, essere discriminati, essere disprezzati, essere odiati, essere<br />

temuti, che temere, discriminare, disprezzare, odiare, ed essere schiavi<br />

di convenzioni e classificazioni. Almeno, noi pazzi abbiamo le nostre attenuanti,<br />

per comportarci male con voi: non sappiamo che cosa facciamo, eppure<br />

veniamo ridicolizzati e giudicati ogni due secondi. Voi invece che<br />

scusante avete? Di che diritto usufruite per non poter essere giudicati, e poter<br />

giudicare? Noi abbiamo le nostre attenuanti per trattarvi in modo strano, a<br />

volte fastidioso. Voi che attenuanti avete per trattarci in modo così spietato?<br />

55<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

ALEXANDRA ALBU<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Integrazione dipinta<br />

raccont Abile<br />

Iraq, un paese senza silenzio, nel quale non c'è nessun posto sicuro, un paese<br />

dove vivi sempre con la paura di essere catturato e ammazzato.<br />

In questo posto abitava un bambino, Zydah, con la sua famiglia.Un giorno<br />

avevano deciso di andare via, di scappare di quella vita d'inferno. Così avevano<br />

scelto l'Italia. Forse non era la migliore scelta ma almeno avrebbero lasciato<br />

dietro tutti i ricordi pieni di terrore.<br />

Zydah aveva solo dieci anni e sua sorella la metà.<br />

Fu molto difficile per loro: non conoscevano la lingua, non conoscevano nessuno<br />

e non avevano ne anche un posto dove abitare.I soldi erano pochi, appena<br />

riuscivano a sopravvivere.Il primo lavoro di Ahmed,il padre di Zydah,<br />

fu quello di facchino, e Zydah che non andava ancora a <strong>scuola</strong>, lo aiutava.<br />

Dopo qualche mese Zydah aveva imparato la lingua, e doveva andare a <strong>scuola</strong><br />

ma non voleva.Pensava che i bambini sarebbero stati cattivi con lui perché era<br />

diverso.Comunque doveva andare, i suoi genitori erano troppo poveri per<br />

pagare una <strong>scuola</strong> privata.<br />

Passarono <strong>del</strong>le settimane ed ogni giorno quando ritornava dalla <strong>scuola</strong><br />

Zydah era di cattivo umore.Sua madre aveva tentato di parlare con lui per capire<br />

cosa succedeva ma Zydah non voleva dirle niente.<br />

Andava sempre a giocare con il suo migliore amico:un cane trovato in una<br />

casa abbandonata.<br />

Le cose peggiorarono.Un giorno la polizia arrestò suo padre e nessuno volle<br />

spiegarli il perché.Adesso era lui il capo <strong>del</strong>la famiglia, era lui quello che doveva<br />

prendersi cura <strong>del</strong>la sua famiglia.<br />

Sua madre si ammalò di asma e Zydah fu spinto dalla sorte a trovarsi un lavoro.<br />

Andò al negozio dove lavorava suo padre prima.Sapeva che il vecchio Sam,<br />

56


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

il proprietario, avrebbe trovato qualcosa da fare per lui.Cosi si era messo a lavorare.Al<br />

mattino a <strong>scuola</strong>, di pomeriggio a lavorare.<br />

Un giorno a <strong>scuola</strong> un ragazzino l'offese dicendogli che suo padre era un terrorista<br />

iracheno che uccideva persone e che la stessa sorte sarebbe successo<br />

anche a lui.Zydah si arrabbiò e aveva colpito il suo compagno.Per questo motivo<br />

la sua maestra l'o messe in punizione.Ma per Zydah non era importante<br />

questo, la cosa più dolorosa era il fatto che suo padre era considerato terrorista.Si<br />

ricordava che quando era piccolo suo padre gli diceva sempre che si<br />

devono fare cose illegali o uccidere persone qualunque cosa ci accadrà e<br />

adesso lui stesso aveva trasgredito la sua parola.<br />

Non ce la faceva più. <strong>La</strong> dura vita aveva rovinata la sua anima.Ora Zydah<br />

pensava che la cosa più opportuna sarebbe stato morire.Ma lui non voleva<br />

morire,non poteva.Allah gli aveva dato una vita e lui doveva rispettarla.Poiché<br />

dopo la tempesta arriva bel tempo,aspettava un cambiamento nella sua<br />

vita.Pregava sempre e sperava che Allah ascoltasse le sue preghiere dandogli<br />

un motivo per sorridere almeno per un po',un raggio che avrebbe fatto un po'<br />

di luce nel buio <strong>del</strong>la sua anima.<br />

Allah ascoltò le sue preghiere.Gli fece capire che lui era l'unico che poteva<br />

cambiare qualcosa nel suo destino.Cosi Zydah trasformò la sua tristezza in<br />

arte.Quando era triste si rifugiava in un posto tranquillo e si metteva a dipingere<br />

i suoi sentimenti.In questo modo scoprì un bel talento:quello di dipingere.<br />

Dopo molti anni diventò un pittore molto famoso; era riuscito a farsi molti<br />

amici e aveva aperto una <strong>scuola</strong> per i bambini che non riescono ad integrarsi<br />

e sono spesso discriminati.<br />

<strong>La</strong> sua prima esposizione gli aveva portato una grande fama.Il suo dipinto<br />

preferito era il primo che aveva dipinto: raffigurava un gruppo di bambini di<br />

diverse nazionalità e religioni attorno a un fiore su cui era scritto: ''Viviamo<br />

tutti sotto lo stesso cielo, siamo uguali e sorridiamo''.Gli ricordava chi era e<br />

chi era diventato.<br />

57<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

DANIELE BELLOMO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Sogno infranto<br />

raccont Abile<br />

1990 a Città <strong>del</strong> Messico era appena cessata una sparatoria tra bande per il<br />

controllo dei traffici illeciti, dalla finestra di un palazzo una famiglia osservò<br />

tutta la scena e stufa <strong>del</strong> continuo ripetersi di queste “guerre” decise di intraprendere<br />

un lungo viaggio verso l’Italia, paese che gli era stato descritto<br />

come un posto in cui si guadagna molto, non c’è <strong>del</strong>inquenza e c’è grande rispetto<br />

verso gli altri. Due mesi dopo, radunati i soldi necessari, la famiglia<br />

prese un volo verso Roma, questo durò molte ore ma finalmente erano in Italia,<br />

il luogo che gli era stato descritto come un posto perfetto, ma appena<br />

scesi dall’aereo lo trovarono diverso infatti fuori dall’aeroporto un gruppo di<br />

ragazzi gli disse “brutti neri andate via dal nostro paese”, così rattristati andarono<br />

in un piccolo appartamento, e i tre posarono le loro cose nelle proprie<br />

camere. Il giorno dopo Luis, il padre, riuscì a trovare lavoro come<br />

operaio ma con una paga misera e Francisco si iscrisse a <strong>scuola</strong> che iniziava<br />

dopo un mese. Il primo giorno di <strong>scuola</strong> Francisco era quello vestito peggio<br />

di tutta la classe e per questo venne duramente preso in giro, anche se avevano<br />

16 e questo un comportamento proprio infantile, ma la cosa che gli dava<br />

più fastidio erano gli insulti contro lui e la sua famiglia per la loro provenienza;<br />

in questo modo passarono molti giorni e Francisco iniziò ad avere un<br />

comportamento violento e molto aggressivo tanto che picchiò 2 suoi compagni<br />

dopo una piccola lite e gli rubò le loro cose, quando tornava a casa era<br />

sempre silenzioso e andava in camera sua cercando di non avere nessun dialogo<br />

con i genitori. Il giorno di Natale lo passò a casa con i genitori restando<br />

per la maggior parte <strong>del</strong> tempo chiuso in camera a sentire musica messicana<br />

nella tristezza più assoluta e pensando ai Natali passati in Messico con tutti i<br />

parenti che erano grandi momenti di felicità.<br />

58


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

L’inizio <strong>del</strong> nuovo anno fu per Francisco un periodo molto brutto per le cose<br />

che fece, prima su tutte quella di unirsi ad una banda di giovani <strong>del</strong>inquenti<br />

che passavano il tempo drogandosi, rubando e facendo atti di vandalismo di<br />

ogni genere; quando i suoi genitori vennero a sapere quello che faceva si arrabbiarono<br />

molto e non gli permisero più di uscire, ma purtroppo Francisco<br />

ci riusciva sempre e comunque. Un giorno la banda di Francisco, che ormai<br />

era diventato uno dei capi <strong>del</strong> quartiere, decise di fare una rapina in banca per<br />

ricavare soldi da investire in armi e nel traffico di droga che avevano già iniziato,<br />

ma nel bel mezzo <strong>del</strong>la rapina arrivò l’altra banda <strong>del</strong> quartiere che<br />

aveva in mente lo stesso colpo, così iniziò una sparatoria che fece fuggire tutti<br />

i civili provocando alcuni morti e questo fece venire un flash nella mente di<br />

Francisco che gli ricordò quegli eventi che l’avevano fatto fuggire dal Messico<br />

e che lui stesso stava commettendo pochi mesi più tardi. Due ore dopo tornarono<br />

nel loro covo e nella mente di Francisco continuavano a presentarsi<br />

quelle terribili immagini che lo fecero riflettere e arrivare alla conclusione<br />

che il suo era un sogno infranto, perché si aspettava un paese molto diverso<br />

che lo accogliesse a braccia aperte ma trovò solo cru<strong>del</strong>tà e tristezza; dopo un<br />

po’ di tempo capì che era il momento di fare la persona civile e di vivere onestamente<br />

anche se a volte la vita può essere cru<strong>del</strong>e, così oggi Francisco è un<br />

poliziotto che cerca di aiutare tutti quei <strong>del</strong>inquenti giovani che hanno un<br />

passato triste e oscuro come il suo.<br />

59<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

ARIANNA CAPOGROSSI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

raccont Abile<br />

Vi racconto <strong>del</strong>le zingarelle... e un po’ <strong>del</strong>la mia storia<br />

Ricordo tutto di quella giornata da come è cominciata a come è finita... Avevo<br />

undici anni e da li a breve, avrei cominciato la prima media. Dato che erano<br />

gli ultimi giorni di vacanze estive, mia madre aveva deciso di portarmi al lavoro<br />

con lei al CIS (centro di integrazione sociale) di Tor Bella Monaca, dove<br />

vengono mandati i minori che devono scontare una pena alternativa al carcere,<br />

lì infatti avrei trovato due ragazze che avrei definito totalmente diverse<br />

da me: molto più grandi, capelli neri lunghi raccolti in una treccia, carnagione<br />

scura, tratti orientali, piene di braccialetti e di orecchini d’oro ma mal<br />

vestite e ricoperte da un odore aspro, di sporco... Erano due zingare che,<br />

dopo essere state accusate di furto erano state mandate in questo centro dove<br />

avrebbero imparato a leggere e a scrivere con l’aiuto di mia madre. Solo una<br />

volta raggiunta la licenza elementare sarebbero state rilasciate.<br />

L’idea di avere a che fare con quelle zingarelle non mi attraeva molto anche<br />

perché mia madre me ne aveva già parlato e sapevo che erano strafottenti s<br />

vogliate e, dentro di me pensavo: “Uffa!! puzzeranno anche! E rideranno di<br />

me per qualsiasi cosa!”. Ma comunque dovevo andare, chi osava opporsi agli<br />

ordini dei superiori?!<br />

Dato che la strada era molto lunga, uscimmo da casa presto e, a mano a mano<br />

che ci avvicinavamo, il tragitto si faceva sempre più brutto: non c’erano negozi<br />

né cartolerie, lungo la strada vi era un gruppo di ragazzi che la gente è<br />

solita indicare come “ragazzi di strada” abbandonati da tutto e da tutti e, infine,<br />

un po’ di rifiuti tossici sparsi lungo la strada. Dopo un po’ arrivammo<br />

ad un palazzo, privo di qualsiasi decorazione, senza giardino e senza giochi<br />

per divertirsi; c’era solo un prato che circondava il palazzo, ma a causa <strong>del</strong>l’aridità<br />

l’erba era secca e senza fiori. Parcheggiamo la macchina di fronte al-<br />

60


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

l’edificio e, una volta superato un grande cancello arrugginito che racchiudeva<br />

l’edificio, trovammo le due zingarelle che ci stavano aspettando. “Aiuto,<br />

pensai, ho paura e la voglia di stare con loro diminuisce sempre di più!”.<br />

Fatto sta che vedendoci arrivare si diressero, accompagnate da un murales,<br />

all’interno <strong>del</strong> palazzo dove c’era la stanzetta in cui avremmo fatto lezione.<br />

Era molto piccola e giù in quattro stavamo scomode, non c’erano librerie,<br />

scaffali o disegni o colori che mettessero in risalto la stagione estiva, era tutto<br />

diverso rispetto alla mia <strong>scuola</strong>...<br />

Le ragazze presero posto su due banchi dove c’era un cartellino con scritto i<br />

propri nomi: “Violetta e Yarva”. <strong>La</strong> lezione cominciò e mamma scrisse una<br />

frase alla lavagna da riscrivere sui loro quaderni. Mentre scriveva, notari diversi<br />

sguardi di intesa fra le due, risatine seccanti e qualche parola detta nella<br />

loro lingua. “Roba da pazzi, pensai, e chi resiste qui?!”. D’un tratto Violetta<br />

si fece seria, prese in mano la penna ma, facendolo apposta, la fece cadere e<br />

cominciò a urlare: “Non sono capace!!!” e poi si mise a ridere. Ero furibonda<br />

e la mamma non era da meno, ma se volevamo riuscire a farle superare gli<br />

esami ci dovevamo armare di tanta pazienza! Perciò mi avvicinai a Violetta<br />

e, con malavoglia, le presi la mano e la aiutai a scrivere. In quel preciso istante<br />

sentii la sua mano: era fredda e tremante così come le abbiamo noi quando<br />

siamo agitati o nervosi per un’interrogazione o per un esame!<br />

“Incredibile, pensai, la sua mano è fredda come lo è la mia e poi perché sta<br />

tremando?” Questo fatto mi aveva incuriosita... o meglio sorpresa! “Se siamo<br />

così diverse perché sta provando un’emozione simile alla mia? A cosa sta pensando?<br />

E cosa sta provando?” Non lo sapevo ma mentre riflettevo, notai che<br />

Violetta mi stava osservando e, con uno sguardo stupito ma allo stesso tempo<br />

felice mi disse “Grazie Arianna”. Feci un cenno con la testa, le sorrisi e insieme<br />

scrivemmo la frase. Mi sentii ancora più contenta e la mamma mi fece<br />

un occhiolino e soddisfatta cominciò la lezione di storia sulla seconda Guerra<br />

Mondiale. Notai nelle due ragazze un improvviso interessamento alla lezione,<br />

facevano domande su domande, i perché, i per come... E, a un tratto, realizzai:<br />

anche gli zingari erano stati deportati nei campi di concentramento ed<br />

ecco perché, forse, il perché di tutte quelle domande.<br />

Si erano fatte le cinque e dovevamo tornare a casa, il tempo era volato come<br />

un soffio e, l’indomani, le due ragazze avrebbero dovuto sostenere l’esame finale<br />

che, forse, avrebbe segnato la loro vita per sempre. Prima di andare via<br />

ci ringraziarono calorosamente e mi dissero: “Arianna grazie per tutto, speriamo<br />

di riuscire a superare gli esami, magari se vanno bene organizziamo<br />

61<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

una festa qui al CIS con tua madre e gli altri educatori”. Risposti: “Sarebbe<br />

fantastico! Comunque state tranquille che tutto andrà per il meglio!”.<br />

<strong>La</strong> sera non riuscivo a dormire, continuavo a pensare alle loro parole e a ciò<br />

che avrebbero potuto fare una volta libere. Speravo che avrebbero cominciato<br />

una nuova vita, senza più truffe e imbrogli ma una vita limpida, serena<br />

che le portasse all’amore di cui tanto agognavano.<br />

L’indomani ero entusiasta di andarle a vedere all’esame, ero sicura che avrebbero<br />

fatto <strong>del</strong> loro meglio e che ci sarebbero riuscite. Uscii di casa con la<br />

mamma alla solita ora <strong>del</strong> giorno precedente ma purtroppo, lungo la strada,<br />

trovammo un incidente che ci fede fare tardi e quando arrivammo le ragazze<br />

avevano da poco finito... I loro sorrisi mi fecero intendere che tutto era andato<br />

per il verso giusto e che gli esami erano riusciti e anche molto bene!<br />

“Dobbiamo assolutamente festeggiare, disse la mamma, alle decorazione ci<br />

penso io, tu Yarva prendi nella mia borsa una decina di euro e compra la<br />

coca-cola e le patatine!” Yarva la guardò stupida e io ancora più di lei! “Okay<br />

due sono le cose, disse, guarda che mi fido di te e sono sicura di quello che<br />

faccio... Ho fiducia in te ricordatelo!!” Yarva sorrise più veloce di un lampo<br />

sparì. Ero sconcertata e dubbiosa... “Cosa succederà? E se Yarva non ha capito<br />

che il nostro compito è anche quello di darle affetto? E se desse i soldi<br />

<strong>del</strong>la mamma al padre per comprarsi qualche droga?!” Non riuscivo a darmi<br />

pace, camminavo nervosamente da una parte all’altra <strong>del</strong>l’edificio, le mie<br />

mani erano fredde e tremanti... Esattamente come lo erano state quelle di<br />

Violetta ieri quando l’avevo aiutata a scrivere la frase. Allora pensai: “Forse<br />

la mamma ha ragione... forse quello di cui hanno bisogno è solo qualcuno<br />

che sia loro fiducia e affetto...” Mentre riflettevo Yarva tornò e con gli occhi<br />

lucidi di felicità disse alla mamma: “Ecco qua Signora coca-cola, patatine, lo<br />

scontrino e il resto”. <strong>La</strong> guardai meravigliata e colma di felicità capii una cosa<br />

molto importante che ancora oggi porto dentro: non è il nostro aspetto fisico<br />

a mostrare chi siamo davvero, né la lingua che parliamo, né l’odore che<br />

abbiamo, né il nostro modo di vestire... Sono le nostre scelte che indicano<br />

chi siamo realmente e se noi siamo pronti a giudicare una persona solo perché<br />

appartenente ad una cultura diversa dalla nostra, forse non siamo migliori<br />

di loro né le persone forti e sicure che crediamo di essere, ma <strong>del</strong>le<br />

persone superficiali pronte a giudicare tutti senza pensare che anche la persona<br />

che abbiamo davanti possa essere ferite dal nostro comportamento, dai<br />

nostri sguardi, dalle nostre parole usate troppo spesso con leggerezza e dalle<br />

nostre idee di condanna.<br />

62


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Che siano nomadi, portatori di handicap, persone di colore, sono continuamente<br />

oggetto <strong>del</strong>le nostre discriminazioni e dei nostri pregiudizi che, in un<br />

modo o nell’altro, devono essere fronteggiati personalmente. Riuscire ad eliminare<br />

la tendenza di etichettare e rifiutare chiunque si presenti alla nostra<br />

porta per chiedere aiuto, naturalmente non è cosa facile come non lo è abbattere<br />

i pregiudizi che abbiamo sugli stranieri: ci vuole tempo, pazienza e<br />

tanta volontà d’animo, il cammino è lungo e l’obiettivo ancora di più, ma, se<br />

c’è una cosa che ho imparato da questa esperienza, è che a me è stata offerta<br />

la possibilità di intraprendere la strada per l’accoglienza.<br />

63<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

GUGLIELMO CASSIANI INGONI<br />

Liceo Scientifico “Ettore Majorana”, Guidonia - Roma<br />

Io ho un sogno<br />

raccont Abile<br />

Ho fatto un sogno: ho sognato una città senza divisioni tra gli uomini, senza<br />

violenza tra di loro, senza paura <strong>del</strong> diverso. era un’alba nuvolosa e fredda<br />

quando mi resi conto che era solo un sogno e che la realtà era differente.<br />

Il quartiere cinese passò veloce davanti ai miei occhi, attraverso il vetro <strong>del</strong><br />

treno. A me non era permesso entrare in quella zona, a nessuno di noi era permesso.<br />

Io, come molti altri simili a me, facevo parte <strong>del</strong> quartiere degli europei<br />

dal colore <strong>del</strong>la pelle bianca, settore inglese, sezione degli esseri umani<br />

dagli occhi azzurri. Niente di nuovo, ero abituato a tutto questo, ormai ero<br />

abituato a quel mondo. Era tardi, il sole stava tramontando dietro ai giganteschi<br />

grattacieli <strong>del</strong>la zona dei neri. Il cielo rosso era occupato dagli edifici,<br />

che da lontano apparivano come enormi monoliti neri. Guardavo fuori e sognavo.<br />

Alcune volte pensavo fosse meglio vivere tutti insieme. Quando ero<br />

piccolo ho provato a parlarne con mia madre, ricevendo solo risate.<br />

“E’ im<strong>possibile</strong>” affermò mio padre “se siamo divisi ci deve essere un motivo,<br />

e solo gli uomini <strong>del</strong>la Torre lo conoscono”.<br />

“Che cosa? <strong>La</strong> Torre?” gli chiesi.<br />

Mio padre mi condusse alla finestra. All’orizzonte vidi una torre immensa che<br />

sovrastava addirittura gli edifici più alti “<strong>La</strong> Torre è l’insieme di persone che ci<br />

controlla e ci protegge dall’alto. Nessuno le conosce o le ha mai viste, ma ognuno<br />

sa che esistono. Sono loro che ci hanno diviso, perchè ci vogliono bene”.<br />

Le sue parole all’epoca mi convinsero, ma crescendo cominciai a nutrire dei<br />

dubbi, fino alla notte in cui ho fatto quel sogno. Il treno si fermò sibilando<br />

alla stazione <strong>del</strong> quartiere europeo bianco. Ogni quartiere aveva la propria<br />

rete di strade e mezzi pubblici, il proprio municipio, i propri centri com-<br />

64


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

merciali, il proprio zoo. Non mancava niente. Scesi e mi unii alla folla di europei<br />

bianchi. A guardarli bene, erano simili tra loro, ed erano quasi identici<br />

a me. Perché siamo divisi dagli altri esseri umani? Studiando storia a <strong>scuola</strong><br />

non avevo avuto nessuna risposta, ecco il motivo <strong>del</strong>la mia visita alla biblioteca<br />

<strong>del</strong> quartiere. Era un edificio imponente, su più piani, costruito centinaia<br />

di anni prima e ampliato di recente con una nuova ala. Forse lì avrei trovato<br />

la mia risposta. L’edificio si trovava su una scalinata interminabile ed era sorretto<br />

da grandi colonne di marmo bianco, liscio. Dietro l’aspetto neoclassico<br />

si nascondeva un nucleo tecnologico. <strong>La</strong> porta di vetro si aprì al mio passaggio<br />

e potei dare un’occhiata all’interno. Altissimi scaffali di legno nero, pieni<br />

di libri di vario genere. Ogni scaffale aveva una targhetta d’oro con l’argomento<br />

trattato. Il bibliotecario virtuale si diresse sorridente verso di me. Era<br />

solo un ologramma, una immagine virtuale di una qualunque persona. Anche<br />

di un morto.<br />

- Ciao Martin – disse – Come va la <strong>scuola</strong>? –<br />

- Bene maestro – risposi sorridendo a mia volta. Il maestro Genninghton era<br />

stato il mio insegnante di lingue per i primi anni di <strong>scuola</strong>. Ero molto affezionato<br />

a lui.<br />

- Cerchi qualche opera in particolare? – domandò lui arrivando subito al<br />

punto.<br />

- No – ammisi – Ho solo l’argomento<br />

Il signor Genninghton mi guardò pensoso – Qui potrai trovare testi riguardanti<br />

qualsiasi argomento, tu dimmi cosa stai cercando e basta<br />

- Volevo leggere qualcosa riguardo l’integrazione razziale<br />

Il bibliotecario mi guardò sbalordito – Martin... sono testi proibiti, e quei<br />

pochi che rimangono in circolazione sono tenuti sotto stretta sorveglianza!<br />

- Perché dovrebbero essere proibiti?<br />

- Ordini dalla Torre. Quei testi sono da considerarsi proibiti, a meno che tu<br />

non sia un supremo rappresentante <strong>del</strong>la Torre. Mi dispiace ragazzo, qui<br />

non troverai quello che cerchi.<br />

Imprecai mentalmente – E dove posso trovarlo?<br />

Il bibliotecario ci pensò su. Il suo corpo composto da pixel non produceva<br />

ombre.<br />

- Direi da nessuna parte. Comunque le altre biblioteche <strong>del</strong>la città, presenti<br />

negli altri quartieri, ti darebbero una risposta analoga, tutti i libri di quel<br />

genere ora si trovano nella Torre<br />

- Ho capito. Mi scuso per averti fatto perdere tempo...<br />

65<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

- Non preoccuparti – sorrise di nuovo – Mi fa sempre piacere incontrare i<br />

miei vecchi studenti.<br />

Ci salutammo e uscii dalla biblioteca. Il mio treno di ritorno partiva tra un’ora<br />

e quella sera non avevo concluso niente. Avevo un nuovo obiettivo, la Torre.<br />

I confini di ogni settore erano sorvegliati giorno e notte da guardie speciali,<br />

sorpassarli era difficile, ma non im<strong>possibile</strong>. Con il giusto diversivo, avrei potuto<br />

scavalcare approfittando <strong>del</strong>la minima distrazione. Inoltre mio padre faceva<br />

parte di quel corpo speciale, avrei potuto approfittare di questo. Mi<br />

trovavo a <strong>scuola</strong>, seduto all’ultimo banco. Sul mio quaderno stavo scrivendo<br />

le varie possibilità e le idee che mi venivano in mente. Le pareti erano state<br />

riempite di scritte di studenti precedenti, e dietro alla cattedra era stato riprodotto<br />

un dipinto famoso, ma il nome mi sfuggiva.<br />

- Che cosa ho appena detto, Martin Race?<br />

Alzai gli occhi dal foglio. <strong>La</strong> professoressa mi guardava con un ghigno, contenta<br />

di avermi colto in un momento di disattenzione.<br />

- Non lo so professoressa... – mormorai abbassando lo sguardo.<br />

- Bene. Posso sapere che cosa stai facendo di così interessante da farti totalmente<br />

dimenticare la lezione?<br />

- Stavo solo pensando – le risposi. Dopo una pausa continuai – Lei che cosa<br />

sa dirmi sull’integrazione razziale?<br />

Questa volta fui io a coglierla di sorpresa – Integrazione? Perché ti interessa?<br />

- Semplice curiosità<br />

- Diciamo che si tratta di una fusione fra diversi gruppi etnici e razziali, ma<br />

è una cosa sbagliata<br />

- Perché dovrebbe essere sbagliata? Che cosa c’è che non va negli altri? A<br />

cosa servono quei muri divisori?<br />

Senza che me ne accorgessi avevo alzato la voce. I miei compagni di classe mi<br />

guardavano in silenzio come si guarda un eretico.<br />

- Race, questa volta hai esagerato, voglio assolutamente parlare con i tuoi<br />

genitori di questa storia! – urlò la professoressa – E ora continuiamo la<br />

spiegazione... – concluse.<br />

Non la ascoltai, non la volevo ascoltare. Non facevo altro che chiedermi il<br />

motivo di quelle barriere che dividevano la città in quartieri separati e inaccessibili.<br />

Probabilmente da solo non avrei mai trovato una risposta.<br />

Mia madre stava parlando nella stanza accanto con la professoressa. Mi trovavo<br />

seduto fuori dalla porta, su una sedia, ma non mi importava assoluta-<br />

66


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

mente niente di quello che si stavano dicendo. Ormai da quando avevo fatto<br />

quel sogno avevo un solo pensiero in testa: perché esistevano i quartieri divisi?<br />

Perché nessuno se lo chiedeva? I miei pensieri furono interrotti dalla<br />

porta <strong>del</strong>la classe che si apriva. Mia madre uscì, guardandomi con sguardo severo.<br />

- Vieni Martin – disse – Andiamo a casa<br />

Mia madre possedeva un’automobile elettrica, un mo<strong>del</strong>lo abbastanza vecchio<br />

ormai, ma sempre buono.<br />

Lei si schiarì la voce, poi cominciò a parlare guidando – Ho saputo quello che<br />

è successo stamattina. <strong>La</strong> tua insegnante mi ha detto che hai fatto <strong>del</strong>le strane<br />

domande. Me ne vuoi parlare?<br />

- Mamma... perché siamo divisi dagli altri?<br />

<strong>La</strong> mia domanda la lasciò spiazzata – Non lo so, Martin. E’ sempre stato così<br />

- Non pensi che sarebbe meglio una città unico per tutti?<br />

- Questo non è <strong>possibile</strong>, siamo sempre vissuti divisi<br />

- Voglio sapere il perché di tutto questo, perché non posso frequentare o<br />

parlare con le persone che si trovano negli altri quartieri? – ero triste.<br />

- Non posso rispondere alle tue domande<br />

- Lo so mamma – risposi con una vena di tristezza nella voce.<br />

“Io però so chi può rispondere”<br />

Dal finestrino la Torre era visibile in tutta la sua imponenza, in tutta la sua argentea<br />

bellezza. I raggi <strong>del</strong> sole calante si riflettevano sulla liscia superficie<br />

<strong>del</strong>la struttura. In lontananza vidi nuvole nere in avvicinamento.<br />

Abitavo in un condominio di periferia, vicino al confine <strong>del</strong> quartiere dei<br />

bianchi, tra il settore dei francesi e quello degli italiani. Durante la notte<br />

quella zona si riempiva di criminali, uscire era im<strong>possibile</strong>. Ancora più difficile<br />

era trovare un italiano o un francese in un settore estraneo. L’edificio<br />

comprendeva sette famiglie, i cui componenti erano simili dal punto di vista<br />

fisico e dal punto di vista mentale.<br />

“In questa città tutto è sistemato in settori, diviso in parti...” mi trovai a pensare<br />

in quel momento.<br />

L’appartamento non era spazioso, ma bastava comunque per me, mia madre<br />

e mio padre. Lui lavorava come guardiano ad una <strong>del</strong>le porte <strong>del</strong> settore cinese.<br />

Per questo motivo conoscevo gli orari in cui finiva il suo turno di lavoro.<br />

era proprio in un momento come quello che avrei dovuto sorpassare la barriera.<br />

A cena non dissi niente, ed ero certo che mia madre non avrebbe detto<br />

niente, io e lei abbiamo sempre avuto un rapporto di complicità.<br />

67<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Quando andai a dormire, cominciò a tuonare. Dopo pochi minuti già pioveva<br />

e mi strinsi alle coperte.<br />

L’uscita era di fronte a me. Ero appostato già da un’ora, nascosto dietro ad un<br />

edificio. Mio padre guardava l’orologio con espressione stanca. Il suo turno era<br />

quasi finito, ancora pochi minuti e avrebbe potuto tornarsene a casa.<br />

Non dovetti aspettare molto. Lo vidi alzarsi dalla sua normale postazione e<br />

andare via con l’automobile. Erano giorni che aspettavo questa occasione,<br />

che il suo sostituto arrivasse in ritardo. Rapidamente mi avvicinai alla porta<br />

sbarrata. Accanto era situato un piccolo stanzino che fungeva da ufficio per<br />

i guardiani. Sapevo che sulle mura c’erano altre guardie, ma l’unica cosa che<br />

potevo fare era sperare che non mi vedessero. Entrai nello stanzino e cominciai<br />

a cercare le chiavi. Le trovai in un cassetto <strong>del</strong>la scrivania.<br />

“Ottimo” pensai “Questa potrebbe essere la volta buona”.<br />

Il lucchetto <strong>del</strong>la porta si aprì con uno scatto. Mi misi il cappuccio sulla faccia<br />

per non essere riconosciuto ed entrai in un altro quartiere.<br />

Fino ad allora non avevo mai visto i cinesi, ne avevo solo sentito parlare da<br />

chi diceva di averne intravisto uno. Rimasi con la bocca aperta di fronte ai<br />

loro stranissimi occhi allungati e alla loro fisionomia, così diversa da quella a<br />

cui era abituato. Si muovevano rapidi per le strade strette, ancora bagnate<br />

per la pioggia <strong>del</strong>la mattinata. Cominciai ad avviarmi con passo veloce, puntando<br />

alla Torre che si ergeva più in alto di tutti gli altri edifici, minacciosa e<br />

visibile a chilometri di distanza.<br />

“Sono vicino. Molto vicino”.<br />

Non capivo le scritte sui cartelli e non conoscevo la loro lingua, ma non avevo<br />

paura. In un certo senso ero felice di trovarmi insieme a loro. Ridevano come<br />

me, si arrabbiavano e mangiavano come tutti gli altri. Davanti a tutto questo<br />

pensai che le barriere non erano altro che una follia.<br />

Il funzionario si avvicinò al membro <strong>del</strong>l’Alto Consiglio <strong>del</strong>la Torre, un uomo<br />

anziano, con un volto invaso dalle rughe. Lunghi capelli bianchi scendevano<br />

sulle sue magre spalle.<br />

- Mio signore, un ragazzo di circa diciotto anni ha oltrepassato la barriera<br />

tra il quartiere europeo e quello cinese. Le nostre telecamere di sicurezza<br />

hanno ripreso tutto<br />

- Che coraggio. E’ il primo da almeno dieci anni, ed è solo un ragazzo... –<br />

il vecchio alzò lo sguardo sognante. I suoi occhi azzurri erano persi in<br />

qualche lontano ricordo.<br />

68


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

- Che cosa pensate di fare?<br />

- <strong>La</strong>sciatelo andare. Voglio vedere che cosa ha in mente<br />

Il funzionario sbuffò – Come vuole lei – disse seccamente prima di andarsene.<br />

Eccola finalmente. Davanti a me c’era la torre. Incredibilmente non c’era nessuno<br />

a controllare l’entrata e l’atrio era deserto, perciò era stato abbastanza<br />

semplice entrare. L’edificio era davvero imponente, molto più di quanto mi<br />

aspettassi. <strong>La</strong> Torre era sorretta da colonne con un diametro di almeno due<br />

metri, alte venti. Le scanalature erano bordate d’oro ed una scritta a caratteri<br />

ben visibili annunciava:<br />

PER PROTEGGERE LA RAZZA UMANA DA SE STESSA<br />

“Posso farcela” pensai incredulo. Sulla sinistra vidi <strong>del</strong>le scale a chiocciola.<br />

Decisi di salire per quella direzione. Erano di marmo bianco, proprio come<br />

tutta la costruzione. Sembravano non finire mai. Passarono almeno venti minuti<br />

di interminabili pianerottoli. Infine una porta. Su una targa una scritta:<br />

Biblioteca Invisibile.<br />

“Sono arrivato”.<br />

Lentamente, cercando di non fare rumore, aprii.<br />

<strong>La</strong> biblioteca che mi trovai davanti non era molto diversa da quella <strong>del</strong> quartiere<br />

europeo, con l’unica differenza che questa era immensa. I testi erano<br />

divisi per argomenti.<br />

Cominciai a cercare la sezione che mi interessava.<br />

“Teologia, scienza <strong>del</strong>la terra, anatomia, storia, letteratura... integrazione!”<br />

Lo scaffale era lunghissimo, e non avevo molto tempo. Dovevo fare in fretta,<br />

sicuramente la mia fortuna non poteva durare ancora per molto. Presi il<br />

primo libro. L’autore era un certo Martin Luther King, mai sentito, e quello<br />

che avevo in mano era il suo discorso al Lincoln Memorial durante la marcia<br />

per lavoro e libertà. Era datato 28 agosto 1963 ed era stato pronunciato a<br />

Washington. Nessuno di quei nomi mi era familiare. Aprii una pagina a caso<br />

e cominciai a leggere:<br />

Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il<br />

vero significato <strong>del</strong> suo credo: “riteniamo queste verità di per se stesse evidenti:<br />

che tutti gli uomini sono uguali”.<br />

- Cerchi qualcosa figliolo?<br />

Restai pietrificato. Un anziano mi osservava dall’altra parte <strong>del</strong> corridoio.<br />

69<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Aveva una lunga tunica bianca con decorazioni azzurre. Era molto magro e i<br />

suoi lunghi capelli bianchi scendevano lisci fin sotto le spalle.<br />

- Cerco... una risposta – dissi.<br />

L’uomo si avvicinò lentamente, con passo calmo che però denotava una certa<br />

sicurezza.<br />

- Martin... io sono uno dei consiglieri <strong>del</strong>la Torre<br />

- Come fai a conoscere il mio nome? – chiesi sulla difensiva.<br />

- Ho fatto <strong>del</strong>le ricerche su di te. Inoltre ho fatto in modo che tu arrivassi<br />

fino a qui senza incontrare problemi<br />

Restai a bocca aperta. Aveva fatto in modo che io arrivassi fino a questo<br />

punto?<br />

- Perché? – domandai.<br />

- Come ogni abitante di questa grandissima città, ho il compito di aiutarti.<br />

Ora... dimmi, cosa c’è che ti tormenta? Chiedimi qualsiasi cosa, cercherò<br />

di risponderti nel miglior modo <strong>possibile</strong><br />

Esitante, chiesi – Perché la città è divisa? Che cosa c’era prima? Che cosa è<br />

successo?<br />

L’anziano consigliere si sedette su un tavolo in un punto dove gli scaffali si allargavano<br />

lasciando posto per i lettori. Mi indicò la sedia di fronte e mi sedetti.<br />

Erano di legno duro e nero.<br />

- Come dice la scritta all’entrata <strong>del</strong>la Torre, la città è divisa per il proprio<br />

bene. Per migliaia di anni gli uomini si sono uccisi tra di loro, ed uno dei<br />

motivi di queste lotte era proprio dovuto alle differenze tra di loro. Tutto<br />

è cambiato ora. I muri che dividono gli abitanti di questa grande città<br />

fanno in modo che non ci siano scontri<br />

- Penso che così facendo abbiate impoverito l’essere umano. Sicuramente<br />

non l’ha aiutato – protestai.<br />

- Sentimenti violenti e razzisti sono in ognuno di noi, in questo modo vengono<br />

soffocati. Sono cosciente <strong>del</strong> fatto che un passaggio, un’apertura su<br />

uno dei muri porterebbe inevitabilmente a nuova violenza – rispose il consigliere<br />

con sguardo triste.<br />

- Io ho visto le persone degli altri quartieri, hanno i nostri stessi sentimenti,<br />

hanno famiglie e lavorano come noi<br />

- Lo so, ho seguito le tue azioni. Non è da tutti fare quello che hai fatto tu,<br />

ma non finirà bene. Per migliaia di anni gli uomini hanno tentato di instaurare<br />

una convivenza pacifica tra di loro. Nessuno è riuscito a trovare<br />

una risposta, io non ci sono riuscito e sicuramente non ci riuscirai tu. Fin-<br />

70


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

ché non sarà trovata questa risposta, i confini tra i quartieri resteranno invalicabili<br />

- Ho capito... ma in questo modo non c’è nessuna speranza – dissi. Mi alzai<br />

dalla sedia e camminai verso l’uscita.<br />

- Che cosa ha intenzione di fare signore - chiese il funzionario guardando<br />

il consigliere con sguardo interrogativo.<br />

- Quel ragazzo è troppo pericoloso, deve essere fermato per il bene <strong>del</strong>la<br />

Città Unica – l’anziano aveva un terribile mal di testa. Si massaggiava le<br />

tempie con mani magre e rugose.<br />

- Lo terremo d’occhio – concluse il funzionario annuendo. Andò verso la finestra<br />

e, guardando in basso, notò il ragazzo, che stava uscendo proprio<br />

in quel momento con passo deciso. Il funzionario sospirò, poco prima di<br />

tornare all’interno <strong>del</strong>la Torre.<br />

71<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

MARTINA CECCARELLI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

<strong>La</strong> valigia rossa<br />

- Giudice mi permetta, la Difesa non ha tenuto conto <strong>del</strong>le conseguenze<br />

psicologiche che la vittima dovrà affrontare.<br />

- Ma signor Giudice…<br />

- Basta così. Ho elementi sufficienti. Mi ritiro per <strong>del</strong>iberare.<br />

Antonio alza lo sguardo. “<strong>La</strong> legge è uguale per tutti”.<br />

L’articolo 612-bis <strong>del</strong> Codice Penale aggiunto il 30 gennaio 2009 recita: “E’<br />

punito con la reclusione da 6 mesi a 4 anni chiunque molesta o minaccia taluno<br />

con atti reiterati e idonei a cagionare un perdurante e grave stato di ansia<br />

o di paura ovvero a ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o<br />

di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva<br />

ovvero a costringere lo stesso ad alterare le proprie scelte o abitudini<br />

di vita”.<br />

- <strong>La</strong> decisione è presa. L’imputato Polini Antonio è condannato a 13 mesi<br />

di carcere.<br />

Roma, 15 settembre 2010<br />

Ore 10.30<br />

raccont Abile<br />

Caro Mario, oggi, 15 settembre inizia la mia vacanza. Starò fuori qualche<br />

mese, ma stai tranquillo, ti scriverò tutti i giorni, così ti sentirai meno solo. Ah<br />

ma non ti ho detto dove vado! In realtà non lo so nemmeno io, girerò un po’<br />

il mondo, alla scoperta di nuovi posti, nuova gente, nuove sensazioni, luoghi<br />

mai visti prima.<br />

Ho appena finito di prepararmi la valigia, quella rossa. Dentro ci ho messo<br />

72


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

un po’ di vestiti adatti a varie stagioni, qualche foto ricordo da tenere con me<br />

(c’è anche la tua!), il pigiama a righe, il mio preferito, e qualche libro da leggere,<br />

tanto ne avrò di tempo libero da occupare, sai … i viaggi in aereo … le<br />

attese in aeroporto.<br />

Il primo biglietto è per Barcellona. Mi godo un po’ la movida spagnola. Ho<br />

l’aereo a mezzogiorno, infatti farei bene a muovermi.<br />

Ti scrivo appena posso.<br />

15 settembre 2010<br />

ore 13.00<br />

Tuo Antonio.<br />

caro Mario,<br />

sono in volo. A vedere la città dall’alto sembra di dominare il mondo; poi volare<br />

tra le nuvole dà un senso si libertà che difficilmente si prova.<br />

Sì, libertà. Che c’è di più bello al mondo. Ora più che mai me ne rendo conto.<br />

LIBERTA’!<br />

Barcellona, 16 settembre 2010<br />

Ore 20.00<br />

Tuo Antonio.<br />

Caro Mario,<br />

Barcellona è proprio come me la immaginavo. Non è molto grande, ma è<br />

piena di gente! Gli spagnoli sono molto socievoli, è come se fossero una<br />

grande famiglia che condivide tutto ventiquattro ore su ventiquattro.<br />

Non ci sono grandi cose da visitare però alcune sono molto belle, le costruzioni<br />

di Gaudì poi sono molto particolari, sembra quasi di trovarsi da un’altra<br />

parte, in un’altra dimensione. L’unica cosa che non mi piace molto sono<br />

i colori. E’ abbastanza tetra, i palazzi sono quasi tutti grigi e marroncini. Però<br />

non è fondamentale, basta abituarsi.<br />

73<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Ieri appena sono arrivato in albergo un signore mi si è avvicinato e, capendo<br />

che ero appena arrivato e non ero pratico <strong>del</strong> luogo, si è presentato e mi ha<br />

spiegato un po’ di cose. E’ il mio vicino di camera. Stasera la passo con lui,<br />

mi fa conoscere i posti più segreti <strong>del</strong>la città. Sono così curioso!<br />

Domani è già tempo di ripartire, però non ti dico dove andrò. E’ una<br />

sorpresa!<br />

Parigi, 18 settembre 2010<br />

raccont Abile<br />

Tuo Antonio.<br />

Caro Mario,<br />

finalmente sono arrivato! Destinazione? Parigi. <strong>La</strong> chiamano la città <strong>del</strong>l’amore<br />

ma non ho ancora visto una coppia, tutti uomini. Mah! I francesi<br />

non sono come gli spagnoli, ti guardano sempre con sospetto, nemmeno fossi<br />

un criminale! Questa settimana sono andato a visitare il Louvre…che spettacolo!<br />

Centinaia di <strong>opere</strong> tra pitture e sculture che provocano nello spettatore<br />

un sentimento di tale estasi che passeresti chiuso lì dentro il resto dei<br />

tuoi giorni.<br />

Davanti alla Tour Eiffel poi mi sono sentito così piccolo, quasi inesistente.<br />

Ero un essere come tanti, assolutamente inutile, anzi quasi colpevole davanti<br />

a tanta grandezza.<br />

Di Parigi non mi sono voluto perdere niente, sono andato perfino a Disneyland.<br />

Mi sono ricordato <strong>del</strong>la mia infanzia, <strong>del</strong>la spensieratezza di quei momenti<br />

e poi di colpo il pensiero va a mia figlia. Guardo la foto. Quanto mi<br />

manca! E quanto tempo passerà ancora prima che possa rivederla.<br />

Un ultimo saluto a Topolino e torno in albergo.<br />

E’ ora di rifare la valigia, sempre lei, quella rossa. Sembrerà strano, ci sono affezionato,<br />

contiene tutta la mia vita di questi mesi. Siamo solo io, lei e i ricordi.<br />

Domani si riparte. A presto amico mio.<br />

74<br />

Tuo Antonio.


Parigi, 19 settembre 2010<br />

Caro Mario,<br />

non ci crederai, indovina chi ho incontrato all’aeroporto Charles de Gaulle?<br />

Ti ricordi il mio amico avvocato? Sì, proprio lui. Era in viaggio per lavoro. Mi<br />

ha fatto piacere incontrarlo, dopo quasi cinque giorni in completa solitudine<br />

mi serviva proprio vedere qualcuno di familiare. E’ un po’ che non lo vedo<br />

anche se lo sento abbastanza spesso, sai al giorno d’oggi un amico avvocato<br />

fa sempre comodo!<br />

Devo scegliere il volo. Tra poco partono gli aerei per Pechino, Melbourne,<br />

Berlino e Vienna. Penso proprio che andrò a Melbourne. Circa una ventina<br />

di ore di viaggio mi faranno bene per riposarmi un po’!<br />

A presto!<br />

Tuo Antonio.<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Melbourne, 22 settembre 2010<br />

Caro Mario,<br />

devo dire che il viaggio è stato lungo ma ne è valsa la pena, l’Australia è un<br />

Paradiso. L’unico problema sono i canguri, anzi un canguro. Sembra che mi<br />

abbia puntato. Si è piazzato davanti al cancello <strong>del</strong>la mia stanza e controlla<br />

ogni mio movimento. E’ peggio di una guardia!<br />

Comunque escluso questo inconveniente il soggiorno a Melbourne procede<br />

molto bene. Ho deciso di fermarmi qui per qualche tempo, non posso certo<br />

rimettermi subito in viaggio!<br />

Certo Melbourne non è una città d’arte come Parigi e Barcellona, ma ci sono<br />

dei bellissimi parchi, poi ogni tanto si organizzano escursioni in zone limitrofe.<br />

Mi sto riposando molto. Ora appena mi rendo conto che il riposo diventa<br />

noia mi rimetto in viaggio.<br />

A presto con una nuova meta.<br />

75<br />

Tuo Antonio.<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

S.Pietroburgo, 30 settembre 2010<br />

raccont Abile<br />

Caro Mario,<br />

ho deciso di andare a rinfrescarmi un po’ in Russia. E’ un paese che mi ha<br />

sempre affascinato, poi non ho mai visto la neve! E’ così morbida, candida,<br />

proprio come i miei pensieri, candidi. Non ho preoccupazioni, problemi,<br />

sono completamente immerso in me stesso.<br />

Devi assolutamente venirci anche tu, ti piacerebbe molto.<br />

Intanto ti mando una cartolina!<br />

Tuo Antonio.<br />

Antonio continuava a scrivere a Mario incessantemente. Ogni lettera corrispondeva<br />

ad un luogo diverso, una era scritta dalla Groenlandia e quella dopo<br />

addirittura dalla Bolivia. Così passarono i mesi. Quando arrivò il fatidico 15<br />

ottobre 2011, Antonio aprì la valigia rossa. C’erano tutte le lettere!<br />

L’immaginazione gioca brutti scherzi eh! No. Aiuta a sentirsi meno soli. Aiuta<br />

ad avere un contatto con il mondo esterno. Aiuta a vivere.<br />

In quella cella Antonio si sentiva fuori dal mondo, emarginato dalla società.<br />

Ma ora era pronto a reintegrarsi in quella società di cui non si sentiva più<br />

parte?<br />

Non sapeva più nemmeno lui chi era, si sentiva un numero più che un nome.<br />

Già, un numero. In carcere la differenza è rappresentata solo da un numero.<br />

Antonio aveva il 7. Il suo compagno di cella l’8 e così via fino al numero 322.<br />

Il “mondo carcere” è una realtà parallela rispetto alla società in cui si vive<br />

normalmente: è un’Istituzione chiusa e confinata a se stessa che ha la capacità<br />

di sconvolgere tutto. Antonio aveva perso la sua libertà nel momento in<br />

cui gli era stato imposto quel numero dietro alla schiena e forse non la riacquisterà<br />

più, nemmeno dopo il 15 ottobre 2011.<br />

76


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

SARA COSSU<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Un’ adolescenza, fuori dal mondo<br />

Era ormai calato il sole, il tramonto sopraggiungeva sempre prima ultimamente,<br />

erano quelli i segni di un autunno che rapido stava volgendo al termine.<br />

Come ogni sera ero lì, seduto, quasi immobile. Il vento mi penetrava<br />

nella vene, tremavo. I miei occhi fissavano il vuoto, completamente attenti e<br />

sgranati su quel mondo così cru<strong>del</strong>e nel quale ero costretto a trascorrere<br />

quelli che avrebbero dovuto essere gli attimi indimenticabili <strong>del</strong>la mia vita.<br />

Mi chiamo Ajit e ho 14 anni. Vivo nelle baracche di Roma, nelle lontane periferie<br />

<strong>del</strong> quartiere. Purtroppo ho solo un vago e confuso ricordo che mi ritrae<br />

insieme alla mia mamma: una splendida creatura di cui tuttavia non<br />

ricordo minimamente le sembianze. Mi abbandonò quando avevo solo 4 anni<br />

e da quell’istante la mia vita mutò radicalmente e per sempre. Vivo con mio<br />

padre, Salaj. Sono ormai parecchi anni, forse troppi che non nutro più fiducia<br />

nei suoi confronti. E’ così cru<strong>del</strong>e, a tratti insensibile, disumano. A volte<br />

mi chiedo se le cose sarebbero differenti, migliori magari, se la mamma fosse<br />

ancora qui tra noi. Dopo la <strong>scuola</strong> Salaj mi costringe a seguirlo nelle fabbriche<br />

di vernice, in un quartiere isolato <strong>del</strong>la città. <strong>La</strong>voro, lavoro, quasi fino<br />

allo sfinimento. Ma non basta, mio padre è così esigente e a volte mi costringe<br />

a lavorare il doppio per ottenere qualche spicciolo in più, ma la situazione<br />

non muta da ormai troppi anni. Ed io non posso parlare, dire ciò che penso,<br />

fare ciò che amo. <strong>La</strong> situazione diventa pian piano sempre più insostenibile<br />

per un adolescente di soli 14 anni, forse cresciuto troppo in fretta.<br />

Malgrado ciò, mi ritengo fortunato per avere la possibilità di frequentare la<br />

<strong>scuola</strong>, vivere la quotidianità nei panni di un ragazzo normale. Ma purtroppo<br />

neanche in questo ambiente riesco a ricoprire le sembianze di un adolescente<br />

come tutti gli altri. Alcune volte vorrei gridare al mondo a alle persone,<br />

troppo ignoranti per comprendere la realtà in cui vivo, che non ho nulla di<br />

77<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

diverso, sono uguale a loro. Se è l’abbigliamento forse troppo inconsueto o<br />

bizzarro, o per gli atteggiamenti e le tradizioni alle quali sono inevitabilmente<br />

legato, che mi rendono diverso dal gruppo allora, ahimè, sarò per sempre<br />

condannato a vivere in un mondo parallelo a quello in cui vive la gente comune.<br />

Non riuscirò mai a integrarmi a un punto tale da non essere più additato<br />

per quello strano, o per colui che non è degno di vivere in una casa calda<br />

ed accogliente.<br />

Spesso la notte non riesco a dormire, per l’insopportabile freddo. Chiudo gli<br />

occhi e immagino una vita diversa. Una migliore, sicuramente. Sarei voluto<br />

nascere qui e senza essere allontanato perché di un altro paese, avrei voluto<br />

vivere di sogni. Adesso non tempo per sognare, per inseguire le mie passioni<br />

e ciò che amo di più fare. Ma mi sono ripromesso che un giorno, pur lontano<br />

che sia, arriverà il momento in cui riuscirò io stesso ad abbattere quelle barriere<br />

che ancora oggi, nel 2010, si creano per la razza o il sesso… Riuscirò così<br />

a cancellare i pregiudizi che da sempre sono stati i protagonisti di storie come<br />

la mia.<br />

E tra un pensiero e l’altro è già sopraggiunta l’alba. Quel fresco venticello<br />

mattutino, quasi piacevole, accarezza la mia pelle e pronto per un nuovo<br />

giorno mi incammino per il sentiero che mi conduce a <strong>scuola</strong>. Sono seduto<br />

sul muretto, in disparte, sfilo un foglio dalla vecchia cartella colma di toppe<br />

e inizio a fare qualche schizzo. Disegno di tutto, qualsiasi cosa vedo, che i<br />

miei occhi, colmi di dolore, percepiscono in questo mondo che sembra quasi<br />

fregarsene di me. Sento suonare la campana <strong>del</strong>l’entrata. Le mie orecchie<br />

sono ormai abituate a udire i discorsi <strong>del</strong>la gente, quei discorsi dei quali mi<br />

sembra essere sempre il protagonista e chissà come mai, tra una parola e l’altra,<br />

scappa qualche fragorosa risatina.<br />

Per me è divenuto quasi un divertimento constatare di essere sempre l’argomento<br />

centrale <strong>del</strong>le loro banali discussioni. Poi incredulo mi accorgo, però,<br />

di rimanere sempre in disparte; questa è la mia realta: isolato da tutti, soprattutto<br />

quando avrei invece bisogno <strong>del</strong>la spalla di un vero amico. Ed è in<br />

questi momenti che qualche lacrima scende, inevitabilmente, rigandomi il<br />

volto.<br />

Le lezioni sono finalmente terminate. Voglio raggiungere le baracche più in<br />

fretta <strong>possibile</strong>, scappare da quelle assordanti voci che mi deridono e mi rendono<br />

sempre più distante. Ma oggi faccio quasi fatica a camminare, forse per<br />

i tremendi sforzi di ieri, cammino non riuscendo neanche a guardare negli<br />

occhi chi mi circonda. Ad un tratto è come se avessi di colpo perso i sensi.<br />

78


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Riapro gli occhi, riesco tuttavia a udire le risa, questa volta terribilmente<br />

odiose. Il tempo di comprendere il perché mi ritrovassi all’improvviso disteso<br />

a terra con le ginocchia livide, mi rialzo immediatamente e con un fare<br />

incerto, imbarazzato e timoroso e mi faccio spazio tra la folla. Mi lancio in una<br />

rapida corsa verso casa mentre le lacrime muoiono lente tra le mie labbra.<br />

Raggiungo finalmente la periferia, intravedo in lontananza un’ insolita luce.<br />

Qualche passo in più e quella strana luce mi fa all’improvviso sobbalzare. Le<br />

baracche stanno bruciando. Il tutto è avvolto dalle alte fiamme, sconvolto<br />

raggiungo i campi nomadi ed inizio ad urlare il nome di mio padre. Malgrado<br />

non scorra buon sangue tra noi non voglio perderlo per nessuna ragione al<br />

mondo, non voglio perdere anche lui. Nei campi la gente è radunata tutt’intorno<br />

a un qualcosa a me ancora sconosciuto, tuttavia mi faccio spazio tra la<br />

folla. Riconosco una figura a me familiare distesa a terra, priva di sensi, ricoperta<br />

da una patina di fumo nerissima. E’ proprio lui. Mi butto sul suo corpo<br />

quasi per forzarlo a rialzarsi ma mi accorgo che non reagisce, non dà più<br />

alcun segno di vita. Mi sento in un secondo cadere il mondo addosso. Mi<br />

aveva abbandonato anche lui e non potevo fare altro che essere in collera con<br />

il mondo per avermi tolto la famiglia e per non essere riuscito mai a farmi<br />

considerare dalla gente uno di loro, solo più sfortunato, per qualche scherzo<br />

<strong>del</strong> destino. Rimango fermo, immobile, fin quando non mi accorgo che l’ora<br />

per andare a lavorare è ormai trascorsa da tempo. Di colpo capisco che non<br />

posso lasciare che quella serie di avvenimenti indubbiamente tragici mi demoralizzino<br />

così, senza reagire. Devo continuare quella vita che a soli 14 anni<br />

mi ha tolto tutto ma che comunque sono ancora in tempo di trasformare, in<br />

una decisamente migliore.<br />

E così questa sera lavoro fino a ritornare completamente privo di forze all’accampamento<br />

<strong>del</strong>le baracche, verso sera inoltrata. Non solo non sono preso<br />

in considerazione da nessuno nell’ambiente in cui vivo ma adesso l’unica persona<br />

alla quale ero legato se n’è andata, così, senza avvertire. Questa notte<br />

non posso fare a meno di disperarmi, mentre immagino un’esistenza degna<br />

di essere vissuta.<br />

L’aurora è spuntata più rapidamente oggi. Ma non voglio affrontare nuovamente<br />

quei volti nei quali si legge solo rabbia nei miei confronti. Solo con i<br />

miei pensieri, come ogni mattina raggiungo la <strong>scuola</strong>. Mi siedo sul ciglio <strong>del</strong>la<br />

strada e come di consueto mi metto a disegnare. Questa volta negli occhi<br />

<strong>del</strong>la gente si legge una sottile compassione insieme alla pena e al disprezzo.<br />

Probabilmente la voce <strong>del</strong>la morte di mio padre è giunta rapida alle attente<br />

79<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

orecchie <strong>del</strong>la gente, che ora percepiscono finalmente nel mio sguardo il forte<br />

bisogno di essere aiutato.<br />

Alle mia spalle d’improvviso odo risuonare una voce:>. Grida.<br />

Con un gesto lento e incerto mi volto. :.<br />

Quasi stordito ubbidisco. Ho davanti una figura imponente sulla trentina<br />

d’anni, un’aria seria ma al contempo divertita. E ancora:>. Timoroso<br />

abbozzo un sorriso. Quello sconosciuto poco dopo si presenta: Giovanni,<br />

dice di chiamarsi. Ad un tratto avverto il suo braccio cingere le mie spalle, con<br />

un fare protettivo, una sensazione che da troppo tempo non provavo.<br />

Mi porta con sé, non so dove e né il motivo per cui, dopo anni di solitudine<br />

e di continue discriminazioni, proprio ora quel qualcuno si stava prendendo<br />

cura di me, come neanche mio padre faceva da tempo. Quel giorno seguendo<br />

Giovanni mi sono accorto di quanto fosse importante per me la vita. Dopo<br />

quell’adolescenza tremenda capii che in qualsiasi momento tutto può migliorare.<br />

Quell’uomo mandato da non so chi, si prese cura di me quel giorno,<br />

e tutti i giorni che seguirono. Per la prima volta abitai in una vera casa, con<br />

vestiti nuovi e d’improvviso nessuno più osò deridermi o allontanarmi. Cosa<br />

può dividerti dal resto <strong>del</strong> mondo: un semplice pantalone un po’ stracciato,<br />

capelli non sempre ordinati o non possedere una vera casa, o ancora vivere<br />

con un uomo che costringe a lavorare a forza suo figlio per ottenere <strong>del</strong> denaro<br />

per vivere. <strong>La</strong> gente ha il potere di rendere queste piccole insignificanti<br />

sfumature, dettagli rilevanti per escludere dal proprio mondo un innocente.<br />

Oggi, dopo 7 anni, posso dire di aver dovuto sopportare tali comportamenti,<br />

di averli vissuti sulla mia pelle ma che tuttavia non mi hanno impedito di diventare<br />

ciò che sono adesso: un normale studente universitario, che dopo<br />

forse troppo tempo, è riuscito ad integrarsi in una difficile realtà che tutt’oggi<br />

il mondo presenta.<br />

80


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

FEDERICO FELICI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Un’amicizia<br />

Una sera d’inverno mentre fuori pioveva, due fratelli chiesero al nonno di<br />

raccontargli una storia; il nonno accettò e dopo aver pensato a cosa avrebbe<br />

raccontato ai due ragazzi, disse che gli avrebbe raccontato una storia sulla<br />

sua infanzia.<br />

“Quando ero ancora un bambino” disse “al mio primo giorno di <strong>scuola</strong> alle<br />

elementari nella mia classe capitò un bambino di colore; all’inizio non notai<br />

differenze e cominciammo a parlare <strong>del</strong>le vacanze <strong>del</strong>l’estate passata, dopo<br />

poco mi accorsi che ci stavano guardando tutti, provai a cercare qualcosa che<br />

non andasse bene: mi guardai i vestiti per vedere se fossero macchiati, cercai<br />

di capire se avessi detto qualcosa di sbagliato; ad un certo punto il bambino<br />

dietro di me mi disse “Non parlare con lui che persone che parlano con certa<br />

gente non sono ben viste” Io allora gli chiesi perché non dovessi parlarecon<br />

quel bambino e che cosa ci fosse di sbagliato nel farlo, ma lui si girò e non mi<br />

rivolse la parola.<br />

Il giorno dopo mi incontrai di nuovo con il mio amico e con lui arrivai a <strong>scuola</strong>,<br />

questa volta però i nostri compagni di classe ci dissero esplicitamente che finchè<br />

sarei stato con lui, loro non avrebbero giocato con me. Chiesi, come per<br />

il giorno prima,il perché e che cosa aveva fatto, ma quando vidi che gli altri,<br />

invece di ascoltarmi, facevano finta di niente, dissi ad alta voce ad ognuno di<br />

loro che prima di giudicare una persona bisogna conoscerla. Uno si girò e allora<br />

lo chiamai e lo invitai a venire dalla mia parte, quello dopo essersi unito<br />

al nostro gruppo andò dai suoi amici a dire che avevo ragione.<br />

All’uscita da <strong>scuola</strong> altre persone vollero fare amicizia con me e con il mio<br />

amico e così fu il giorno dopo e quello dopo ancora, fino a quando tutti<br />

quanti avevano imparato a conoscersi e a rispettarsi l’un l’altro.”<br />

81<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

LUDOVICA GALIMI<br />

Istituto Tecnico Industriale “Enrico Fermi”, Roma<br />

Tutto cambia ma niente resta<br />

Da sempre sognavo quel momento, da quando ero solo una bambina innamorata<br />

di suo padre che trascorreva pomeriggi interi nel parco davanti casa.<br />

Forse la mia concezione di famiglia allora era troppo irreale, ma era ugualmente<br />

qualcosa che desideravo profondamente. Credevo non ci potesse essere<br />

gioia più grande che stringere un figlio tra le braccia per poi guardarlo<br />

con occhi lucenti e scoprire che ha il tuo stesso naso. Sentire i battiti di quella<br />

creatura così piccola e fragile che sta muovendo i suoi primi passi nel mondo,<br />

percepire il calore <strong>del</strong> suo corpicino sul mio seno, tutto questo pensavo mi<br />

avrebbe resa la donna più felice <strong>del</strong> mondo. Eppure, quando dovetti fare i<br />

conti con il terzo testi di gravidanza positivo, sentivo che sarei morta. Fu<br />

come sprofondare in un abisso senza alcuna strada di ritorno, completamente<br />

smarrita nella fitta foresta <strong>del</strong> caso. Sapevo già cosa avrebbero detto i miei genitori,<br />

mia madre avrebbe pianto e io sarei scappata di casa pensando che<br />

così facendo sarei scappata anche dai miei problemi. In realtà quando trovai<br />

il coraggio per dirglielo la loro reazione fu peggiore di quanto pensassi, si<br />

vergognavano di me, <strong>del</strong>la loro unica figlia. Lo psicologo invece che aiutarmi<br />

mi confuse ancora di più e più passava il tempo più mi convincevo che tenere<br />

il bambino era la cosa migliore. Quando sei diversa dalle altre ragazze la gente<br />

comincia a guardarti male, comincia a evitarti e nemmeno il tempo di accorgertene<br />

che già sei emarginata dalla società. In un paese piccolo come il mio<br />

poi, se tutto va bene al cinema abbiamo la terza visione. Quando giravo per<br />

la <strong>scuola</strong> mi guardavano come se fossi un’assassina e in quei momenti ti<br />

prende una fitta al cuore. Ti chiedi “Ma come, io ho fatto tutto questo proprio<br />

per non togliere al mondo questa creatura e adesso mi ripagate così?”.<br />

In realtà tutti cercano di fare finta di niente, ma si legge negli occhi che il<br />

82


loro sguardo è diverso. Ti vedono condannata, maledetta, con un far<strong>del</strong>lo in<br />

grembo da portare per il resto <strong>del</strong>la vita. Più e più volte ho rimpianto l’aborto,<br />

quando vedi che nemmeno tua madre ti vede più come una figlia. Una sera<br />

<strong>del</strong> settimo mese di gravidanza non ressi più la situazione, dovevo evadere,<br />

portare il mio bambino via da quel posto. Era inverno, non avevo dove andare<br />

ma qualunque posto era migliore di quella che una volta chiamavo casa.<br />

Non mi abituai mai al fatto di non avere più nessuno su cui appoggiarmi, ma<br />

fu quello che mi rese davvero forte. Cominciai a fare uso di droghe, prima di<br />

quelle più leggere finché non arrivai a bucarmi la pelle. Sapevo che quello<br />

che facevo era sbagliato, ma era tutto ciò che avevo per stare meglio. Il bambino<br />

nacque il venticinque febbraio. Era la creatura più bella che avessi mai<br />

visto e il solo vederlo mi fece scoppiare il lacrime. Come desideravo non essere<br />

sola, quanto avrei voluto condividere quella sensazione così dolce, ma io<br />

non ero più la stessa. I miei capelli qualche mese prima erano lunghi e dorati<br />

mentre in sala parto corti e neri come la pece, il mio viso era ricoperto da un<br />

trucco scuro che mi colava fin sotto gli occhi e scavato e consumato dalla<br />

droga. Avevo dimenticato tutto ciò che era il mio passato, ero convinta di<br />

non provare più nessuna emozione se non l’amore per mio figlio, fino a quel<br />

maledetto giorno. Ero al supermercato, in fila per pagare alla cassa, quando<br />

un paio di persone dietro di me vidi mia madre. Volevo scappare, non doveva<br />

vedermi, doveva credermi morta. Se mi avesse visto tutto ciò che ero riuscita<br />

a buttare via sarebbe tornato in un lampo più doloroso di prima. Il mio piccolo<br />

cominciò a piangere e mentre mi guardavo intorno per trovare una <strong>possibile</strong><br />

via di fuga ecco che mi caddero tutti i soldi a terra. C’erano spiccioli<br />

sparsi ovunque e allora accadde il peggio: mia madre si chinò a raccoglierli e<br />

per una frazione di secondo il suo sguardo incrociò il mio.<br />

“Tenga”<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Presi i soldi con la mano tremante perché avevo capito che io non ero più sua<br />

figlia. Mi aveva guardata negli occhi e non mi aveva riconosciuta, la sua bambina,<br />

quella che giocava nel parco davanti casa, quella che adorava le bambole<br />

di porcellana, la sua piccola dagli occhi color <strong>del</strong> cielo. Lei che non riusciva a<br />

guardarmi in faccia senza piangere, davvero era lei mia madre? No, non più.<br />

Quando tornai a casa era già buio inoltrato e solo qualche stella emanava un<br />

flebile spiraglio di luce ad illuminarmi la stanza. Io non dimentico tutto quello<br />

83<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

che siete stati, non dimentico tutte le volte che mi avete aiutato, non dimentico<br />

che siete i miei genitori. E’ la prima volta da un anno a questa parte che<br />

il solo pensarmi mi fa piangere come la bambina che ero ed è la prima volta<br />

che mi mancate. Come vi vorrei qui, fa tanto freddo da sola. Fisso le pareti<br />

bianche e non penso a nient’altro oltre a voi, ai vostri visi consumati dal dolore.<br />

Siete davvero fantastici, ma ad un certo punto il destino ha voluto dividere<br />

le nostre strade.<br />

Vi vorrò bene per sempre.<br />

raccont Abile<br />

84


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

FEDERICA GOBBI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

“Visto da vicino nessuno è normale”<br />

Franco Basaglia<br />

L’integrazione e l’inclusione sociale per una comunità senza discriminazioni.<br />

Le discriminazioni fanno parte di una realtà con cui purtroppo siamo abituati<br />

a convivere. Nonostante l’esistenza di norme a livello comunitario, l’indagine<br />

Eurobarometro Discrimination in the European Union: Perceptions, Experiences<br />

and Attitudes (Percezioni, esperienze e atteggiamenti sulla discriminazione<br />

nell’Unione Europea), pubblicata all’inizio <strong>del</strong> 2008, ha mostrato come<br />

molti cittadini europei ritengano che la discriminazione sia ancora molto diffusa,<br />

in modo particolare per motivi di razza od origine etnica (62%), orientamento<br />

sessuale (51%), handicap (45%), età (42%) e religione (42%).<br />

<strong>La</strong> medesima indagine rivela che in Europa una persona su sei ha subito discriminazioni<br />

negli ultimi 12 mesi e che nell’ultimo anno una persona su tre<br />

è stata testimone di almeno un episodio di discriminazione.<br />

Le discriminazioni possono avvenire in base a vari fattori e possono verificarsi in diversi<br />

ambiti. Un fenomeno molto diffuso è quello <strong>del</strong>le discriminazioni sul posto di<br />

lavoro. Prendendo come esempio l’ambito lavorativo possiamo citare vari fattori in<br />

base ai quali avvengono le discriminazioni. Tanto per citarne uno, molti lavoratori<br />

vengono discriminati in base all’età: infatti i limiti d’età richiesti dalle aziende di<br />

fatto escludono dal mercato <strong>del</strong> lavoro le persone sopra i trentacinque anni.<br />

Per non parlare poi <strong>del</strong>le discriminazioni in base al sesso, che vedono le<br />

donne sempre un gradino più in basso rispetto agli uomini.<br />

Ma quello lavorativo non è il solo ambito all’interno <strong>del</strong> quale si può assistere<br />

a queste cose: lo stesso può accadere nell’ambito scolastico.<br />

Un esempio lampante è quanto successo alla <strong>scuola</strong> elementare statale “Giovan<br />

Battista Vico” di Roma, che ha deciso di regalare ai propri alunni un<br />

85<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

braccialetto di filo colorato e l’esonero dei compiti per il week-end. Ma non<br />

a tutti: solo agli alunni che hanno fatto la Prima Comunione. Alla richieste di<br />

spiegazione da parte <strong>del</strong>la mamma di una bambina tornata a casa piangendo<br />

per non aver ricevuto alcun regalo a differenza dei suoi compagni, i dirigenti<br />

hanno risposto che “a queste cose i bambini si devono abituare e che gli altri<br />

hanno ricevuto il premio perché hanno accolto Gesù nel loro cuore”.<br />

Ma a cosa esattamente si devono abituare? Ad essere discriminati? Ad accettare<br />

passivamente tutte le ingiustizie? E’ questo il messaggio che vogliono<br />

far arrivare a quei bambini?<br />

Di solito gli adulti sono propensi a credere di essere gli unici a venire discriminati,<br />

quando invece è evidente che anche bambini e ragazzi possono esserlo,<br />

perfino in ambito come quello scolastico.<br />

Un altro esempio di discriminazione nella <strong>scuola</strong> è quanto è accaduto all’Istituto<br />

professionale “Flora” di Pordenone, che ha organizzato <strong>del</strong>le gite<br />

scolastiche differenziate sulla base <strong>del</strong>la disponibilità economico <strong>del</strong>le famiglie<br />

dei propri studenti.<br />

E purtroppo ci sarebbero ancora tanti e tanti esempi da fare; la lista <strong>del</strong>le discriminazioni,<br />

anche solo in Italia, è pressoché illimitata.<br />

Questo accade perché molte persone continuano a fare distinzioni tra “i normali”<br />

e “i diversi”. Ma cosa si intende con diversità? E, più nello specifico,<br />

chi è “il diverso”?<br />

Alcune persone identificano il diverso con chi ha la pelle di un colore differente,<br />

oppure con chi professa un’altra religione, o ancora con chi ha preferenze<br />

sessuali diverse. Ovviamente tutto ciò non solo è molto superficiale ma<br />

è anche riduttivo. Riduttivo nel senso che, al di là <strong>del</strong>le apparente, ci sono infinite<br />

ragioni per cui una persone è diversa dall’altra: gusti, carattere, orientamento<br />

politico, opinioni riguardo un determinato argomento...<br />

In base a questo possiamo affermare che pur essendo tutti uguali, poiché tutti<br />

dobbiamo avere gli stessi diritti e gli stessi doveri, in realtà siamo tutti diversi.<br />

Tutto questo discorso è una citazione di Italo Calvino: “L’inferno dei viventi<br />

non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo<br />

tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne.<br />

Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino<br />

al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento<br />

continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno,<br />

non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”.<br />

86


LUCREZIA LANCIOTTI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Rumore<br />

Solo un terrificante, assordante rumore.<br />

Perché tutti continuano a parlare?<br />

Avrei solo bisogno di un po’ di silenzio,questo chiasso mi disorienta.<br />

L’urlo sordo che prende vita nel mio cuore si espande fino alle orecchie, provocando<br />

un fischio acuto.<br />

Sorrisi,mani che si toccano, si sfiorano. Parole sussurrate, baci concessi.<br />

Mi sembra di essere all’inferno.<br />

* * * *<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Ho sentito i miei genitori parlare ieri. Dire che probabilmente per Sarah,il<br />

loro piccolo tesoro, una <strong>scuola</strong> pubblica è ciò che serve.<br />

Li ho sentiti parlare ieri,pronunciare quella parola,quelle sette lettere.<br />

N O R M A L E.<br />

Non ne ho mai compreso il significato. Non c’è mai stato nessuno disposto a<br />

spiegarmi la realtà che si nasconde dietro questa piccola parola. Realtà alla<br />

quale non ho mai appartenuto,sin da piccola.<br />

O almeno credo.<br />

Perché non credo che l’ammirare un fiore e la crescita graduale di esso,il colore<br />

che cambia e le api che <strong>del</strong>icatamente lo sfiorano,assorbendone l’essenza,<br />

sia da considerarsi normale. Non credo che,alla tenera età di quattro anni, essere<br />

affascinati dalle piccole cose possa considerarsi normale.<br />

<strong>La</strong> normalità, a quell’età, sta nel rincorrersi con i propri amici in un<br />

parco colorato, giocando a palla e beandosi <strong>del</strong> costante amore che impregna<br />

l’aria.<br />

87<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

O meglio, è questo ciò che ho capito. È questo che tutti fanno, il percorso<br />

normale di ogni essere umano.<br />

Non sono forse un essere umano?<br />

No,mi rifiuto di crederlo.<br />

I primi tempi alle scuole elementari sono stati duri. Ero circondata da bambini<br />

perennemente felici, perennemente liberi. Spensieratezza nei loro<br />

cuori,mentre io non capivo chi fosse quell’uomo che continuava a parlarmi.<br />

Ad aiutarmi. Voleva sapere come mi sentivo,cosa pensavo.<br />

Come avrei dovuto sentirmi? Non ero forse uguale agli altri? Ma allora perché…non<br />

mi sentivo felice?<br />

E poi arrivò quel giorno,che sconvolse totalmente la mia esistenza. Passai davanti<br />

ad uno specchio, nel corridoio <strong>del</strong>la <strong>scuola</strong>.<br />

Per la prima volta,mi osservai. Lo feci con occhi indagatori. Due minuti<br />

dopo,scappai a gambe levate.<br />

Urla,lacrime, disperazione. Niente avrebbe potuto cancellare il dolore.<br />

Ancora piccola,inconsapevole, riuscivo a capire. Riuscivo a captare il mio<br />

volto,differente da quello degli altri.<br />

A distanza di un anno,venni definita “bambina affetta da sindrome di down”.<br />

A distanza di un anno,ebbero il coraggio di spiegarmi cosa volesse dire.<br />

Fu in quel momento che capii; seppur non completamente.<br />

Avrei sempre conservato quella diversità, non me ne sarei liberata.<br />

Marchiata, per l’eternità.<br />

* * * *<br />

raccont Abile<br />

Ora,all’età di sedici anni, vengo spedita in una <strong>scuola</strong> pubblica. Consapevole<br />

<strong>del</strong>la mia natura,consapevole di questo biglietto da visita,affronterò il<br />

mondo;tentando di non cadere.<br />

I giorni scorrono lenti,le informazioni nella mia mente fin troppo veloci. Non<br />

riesco ad accettare il mio stato,il non riuscire ad essere al passo. Per quanto<br />

molte cose siano a me ancora oscure,mi rendo conto di questo handicap. Di<br />

questa croce.<br />

Come si può concepirla? Come si può…sopportarla?<br />

Mi guardo intorno ed è tutto colore, profumo, amore.<br />

88


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Dentro me, invece, il buio.<br />

Cammino per il corridoio persa in questi pensieri,maledicendo la vita,i miei genitori…maledicendo<br />

me stessa. Gli altri sono perfetti,superiori. Loro non portano<br />

un tale peso. Loro non vivono in continuo tormento.<br />

Ed è probabilmente a causa di queste congetture che non mi accorgo <strong>del</strong> ragazzo<br />

di fronte a me; urtato accidentalmente dalla mia spalla. Tento di ricordare<br />

come ci si comporta in questi casi. Tento di trovare le parole per<br />

scusarmi…ma il fiato mi muore in gola.<br />

Un “mongoloide” urlato a gran voce mi precede, togliendomi la facoltà di replicare.<br />

In un secondo, la realtà mi compare davanti gli occhi, devastante nella sua veridicità.<br />

Io, sento il profumo di quel fiore che cresce; io ne capto il colore,il respiro.<br />

Io, sono in grado di osservare;andando oltre le apparenze.<br />

Un’esplosione di sentimenti nel mio cuore: forse, quella croce, mi rende speciale.<br />

Forse,sono davvero un tesoro prezioso; da custodire con attenzione,parsimonia,<br />

e sconfinato amore.<br />

89<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

ELISABETTA LOLLOBRIGIDA<br />

Istituto Magistrale “G. Braschi”, Subiaco - Roma<br />

Leonardo era un bambino di dieci anni<br />

Leonardo era un bambino di dieci anni. Leonardo era un bambino gioioso, ma<br />

Leonardo aveva anche un problema: era diversamente abile, e, per di piu’, di<br />

origini nigeriane. “Fortunatamente” assomigliava a sua madre, donna italianissima,<br />

quindi era bianco, bianco come il latte, ma Leonardo era comunque<br />

diversamente abile ed esserlo, era la sua croce.<br />

Veniva preso in giro dovunque andasse: al parco, in piazza, a <strong>scuola</strong>, tanto che<br />

odiava uscire e, quando era costretto, piangeva. <strong>La</strong> famiglia soffriva insieme a lui:<br />

la madre pur di renderlo felice, gli comprava tutto quello che gli potesse piacere<br />

ma Leonardo, non voleva giocattoli o roba <strong>del</strong> genere, lui voleva vivere; non che<br />

non lo facesse gia’ ma, se doveva vivere cosi’ preferiva non esserci. Molte volte<br />

infatti, malgrado la giovane eta’ aveva tentato il suicidio ma fortunatamente era<br />

sfuggito sempre alla morte. Un giorno pero’ la vita di Leonardo cambio’. Stava<br />

andando a <strong>scuola</strong>, malvolentieri: faceva gia’ la seconda media ed era arrivato<br />

quindi a tredici anni. Arrivato al piazzale si sedette su una panchina: sapeva infatti<br />

che quel giorno doveva arrivare una nuova compagna. Tra se’ e se’ pensava:<br />

“Ora arriva un’altra persona che si aggiunge alla lista <strong>del</strong>le persone che mi<br />

prendono in giro”. <strong>La</strong> campanella suono’ e Leonardo entro sempre con il pensiero<br />

rivolto a quella ragazza. Una volta preso posto, i suoi compagni iniziarono<br />

a denigrarlo come sempre. “FINITELA!” disse una voce dolce e sicura. Tutti<br />

si voltarono e videro una ragazzina riccia bionda molto carina. Un ragazzo le si<br />

avvicino’ dicendole: “Non ti prender pena di quell’handiccapato, stai con noi,<br />

che almeno siamo normali e piu’ belli!”. A quelle parole la ragazza grido’: “Io<br />

ODIO chi fa il gradasso! Preferisco LUI a VOI: io con la bellezza non ci faccio<br />

NIENTE!”. In quel momento tutti tacquero e non solo in quel momento, ma<br />

per sempre. Oggi Leonardo e’ il migliore amico di Lucia, quella ragazza che lui<br />

credeva una dei tanti che lo prendevano in giro.<br />

90


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

CAROLINA LUGNI<br />

Liceo Classico “Luciano Manara”, Roma<br />

Fuori dal cerchio<br />

E’ un giorno di settembre come tanti altri, il cielo è terso e il sole splende<br />

in cielo; gli unici indizi <strong>del</strong>la tempestosa nottata precedente sono l’odore<br />

umido <strong>del</strong>la terra bagnata e il fango scivoloso e tanto compatto da sembrare<br />

cioccolata. Un vento tiepido ma insistente soffia fra le foglie ingiallite<br />

dei platani.<br />

Come ogni anno un fermento particolare anima via Ribotti; infatti la <strong>scuola</strong> riapre<br />

le sue porte come le fauci di un lupo affamato, pronta a inghiottire i bambini<br />

di sempre, piccini e spaventati come coniglietti.<br />

Tanti grembiuli colorati corrono su e giù per il cortile: alcuni riabbracciano gli<br />

amici salutati tre mesi prima nel medesimo luogo, altri già piangono per un ginocchio<br />

sbucciato, altri ancora si attaccano alla gonna <strong>del</strong>la mamma, implorandola<br />

di riportarli nel loro lettino, dove il tepore <strong>del</strong>le coperte e l’odore dei<br />

peluche li fanno sentire al sicuro, a casa.<br />

Francesco è seduto su un muretto: le scarpe tirate a lucido che un po’ gli fanno<br />

male, le dita tozze con le unghie incrostate <strong>del</strong> fango con cui ama giocare, gli<br />

occhi color ebano intenti a fissare un punto sul pavimento di mattonelle rosse.<br />

<strong>La</strong> mamma gli ha detto che quando ha paura deve disegnare con la mente un<br />

cerchio invisibile che lo circoscriva, dove starà al sicuro; Francesco è concentratissimo:<br />

gli occhi ridotti a fessure e il labbro inferiore stretto fra i radi<br />

denti da latte. <strong>La</strong> sua è un’espressione buffa, ma nessuno sembra farci caso:<br />

tutti i visetti spaesati che lo circondano manifestano a modo loro il timore,<br />

l’insofferenza, o nella migliore <strong>del</strong>le ipotesi, l’entusiasmo di chi sa di vivere un<br />

momento importante.<br />

Un suono acuto e prolungato estingue ogni rumore; udendo la campanella<br />

tutti ammutoliscono e dirigono la loro attenzione su una ragazza gracile dagli<br />

occhi sorridenti che con tono più autoritario di quanto l’aspetto dolce e gio-<br />

91<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

vanile le conferisca, si presenta come la maestra dei più piccoli. Inizia poi a<br />

fare l’appello salutando uno ad uno i bimbi che le si avvicinano.<br />

Francesco non la guarda, non la sente neppure; è infastidito dal fatto che una<br />

bambina dal grembiule rosa e le trecce color carota sia entrata nel suo cerchio:<br />

- Deve avere qualcosa di magico - sta pensando, tentando di spiegarsi il<br />

perché di quel prodigio.<br />

- Dov’è Francesco? - <strong>La</strong> maestra lo sta chiamando.<br />

Il bimbo alza lo sguardo assente prima di rispondere con un cenno <strong>del</strong>la manina<br />

paffuta.<br />

Un chiacchiericcio generale si alza come polvere nei film western, finché un<br />

bambino mingherlino, con la sua voce squillante, non esterna il problema comune<br />

in modo poco discreto: - Ma questo bambino è uno zingaro! - Sua<br />

madre lo zittisce con uno strattone prima che la maestra si affretti a rettificare:<br />

- Francesco viene da lontano ed avrà molto da raccontarci. -<br />

Coi suoi occhi nerissimi il bimbo cerca lo sguardo <strong>del</strong>la ragazza che l’ha accompagnato<br />

lì: cosa c’è che non va in lui? Perché tutto quello sconcerto?<br />

L’assistente sembra furiosa per i sorrisi ipocriti dei genitori quantomeno diffidenti,<br />

tuttavia lo incoraggia ad andare con un gesto.<br />

L’aula non piace a Francesco: troppo colore per un luogo così freddo e asettico.<br />

Le pareti sono spoglie, l’unica decorazione è un poster pieno dei caratteri<br />

che piacciono tanto ai bimbi, i quali, dopo aver imparato a riprodurli seppure<br />

storti e fuori dalla righe, credono di essere istruiti come piccoli letterati.<br />

Tutti prendono posto sui banchi verdi a misura di bambino, ma nessuno si<br />

siede vicino a Francesco; a lui ciò non importa, è indaffarato a crearsi un nuovo<br />

cerchio magico.<br />

Durante l’intervallo la maestra lo osserva da lontano: un bimbo paffuto dalla<br />

carnagione olivastra e il visetto contorto in un’espressione concentrata, completamente<br />

solo.<br />

E’ lì lì per andare a parlare col piccolo quando qualcosa la ferma.<br />

Francesco si volta di scatto: ha intuito che il suo spazio speciale è stato violato.<br />

Ancora una volta i suoi occhi scuri incontrano il visetto pieno di lentiggini incorniciato<br />

dalle treccine rosse di quella che si presenta come Camilla.<br />

- Ma allora sei davvero magica!- esclama Francesco stupito da quell’intrusione<br />

nel suo mondo fantastico.<br />

<strong>La</strong> bimba sorride e, tirandolo per la mano caffè-latte, lo porta a giocare.<br />

<strong>La</strong> maestra osserva da lontano la scena : Camilla non è magica, e lei lo sa.<br />

92


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Guarda i bimbi correre fra i banchi notando che la voglia di conoscere il<br />

nuovo ha contagiato gli altri come un virus buono.<br />

È ora di pranzo quando la campanella suona e i bambini sembrano un po’ <strong>del</strong>usi<br />

di dover lasciare quell’ambiente ormai non più spaventoso e sconosciuto,<br />

ma sicuro e pieno di amici sorridenti.<br />

Francesco sta giocando ancora con Camilla quando il suono fastidioso e metallico<br />

raggiunge le sue orecchie. Di lì a poco Sofia, la ragazza che l’ha lavato<br />

e vestito, gli si avvicina e lo prende per la mano. Il bimbo fa i capricci, pensa<br />

che quella sia l’ultima volta che vedrà quella <strong>scuola</strong>, quei bambini, quella<br />

trecce rosse e quegli occhi grandi e sinceri.<br />

Piange Francesco, e Sofia è costretta a trascinarlo di peso fino al camioncino<br />

giallo che lo riporterà a casa.<br />

Camilla intanto fa i capricci fra le braccia <strong>del</strong>la mamma: non vuole lasciar andare<br />

il suo amichetto per nessuna ragione al mondo.<br />

<strong>La</strong> donna, giovane e un po’ buffa per i capelli vermigli mossi dal vento, le<br />

spiega dolcemente che lo rivedrà il giorno dopo, e quello dopo ancora, e tutti<br />

gli altri che, vestiti di albe e tramonti, corrono verso una nuova estate. <strong>La</strong><br />

bimba si calma.<br />

Intanto Il vento caldo continua a soffiare su via Ribotti scompigliando i capelli<br />

di Camilla, sfiorando le guance di Francesco, rigate di lacrime silenziose .Il<br />

vento non vede l’aspetto di chi incontra, non ne sente l’odore, non ne comprende<br />

l’accento nella voce; non preferisce accarezzare l’uno o l’altro, continua<br />

solo a spirare beffardo, a voler strappare qualche goccia d’acqua ai<br />

nuvoloni neri che fanno da tetto a un mondo a volte ingiusto.<br />

Francesco e Camilla tornano ognuno a casa propria: lui in una casetta affollata<br />

di fratelli piagnucolosi, lei sola in mezzo ai giocattoli e al gatto Tobia, ma<br />

nessuno dei due in cuor suo dimentica l’amico perché è speciale, perché è DI-<br />

VERSO, e diverso è BELLO.<br />

93<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

MARCO MARSAN<br />

Liceo Scientifico Statale “Aristotele”, Roma<br />

Lo straniero<br />

raccont Abile<br />

“Nessuno sapeva con precisione quando fosse arrivato. Lo avevamo trovato<br />

domenica mattina sui gradini <strong>del</strong>la chiesa, vestito con abiti sudici e avvolto in<br />

una coperta altrettanto sporca. Aveva con sé solamente un sacco contenente<br />

una fisarmonica, qualche spartito imbrattato d’inchiostro e una pagnotta<br />

mangiata per metà. Avvisammo subito il sacrestano, che lo svegliò e gli chiese<br />

chi fosse e da dove venisse. L’uomo non rispose e, borbottando qualcosa con<br />

voce rauca, si allontanò zoppicando.<br />

<strong>La</strong> sera lo vedemmo su una panchina <strong>del</strong> parco che consumava lentamente il<br />

tozzo di pane che conservava da chissà quanto tempo. Qualcuno si avvicinò<br />

e gli diede qualche spicciolo, io mi tenni a debita distanza.<br />

Il pomeriggio seguente, dopo <strong>scuola</strong>, decidemmo di andare in drogheria e, di<br />

ritorno, passammo per il parco, desiderosi di vedere se lo strano tipo <strong>del</strong><br />

giorno precedente fosse ancora lì. Rimanemmo quindi stupefatti al vedere<br />

che non solo non era andato via, ma che era anche circondato da una decina<br />

di bambini che lo guardavano estasiati. Quella volta fui proprio io ad avvicinarmi<br />

per primo, spinto dalla curiosità irrefrenabile di sapere di cosa stesse<br />

parlando. Lo sentii raccontare di battaglie aeree, di Zeppelin e di trincee,<br />

mentre gesticolava infervorato e mostrava le sue cicatrici. I bambini ascoltavano<br />

con estrema attenzione e pendevano dalle sue labbra; immaginavano<br />

già di vedere le bombe cadere sulle loro teste e toccavano con discrezione le<br />

ferite di guerra mostrate loro, mentre io, disgustato dalla figura <strong>del</strong> vecchio,<br />

restavo in disparte. Il viso rugoso e gli occhi incavati gli davano un aspetto trasandato,<br />

reso ancora più forte dalla grigia barba incolta. Il suo fisico, un<br />

tempo probabilmente forte ed atletico, era ormai indebolito dalla vecchiaia.<br />

Aveva due cicatrici, una corta sul collo ed una più profonda sul braccio destro;<br />

zoppicava inoltre alla gamba sinistra e la teneva costantemente fasciata,<br />

94


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

probabilmente per preservarla dai mali ulteriori. Indossava un berretto di<br />

lana ed un giaccone, entrambi sgualciti e sfilacciati, che puzzavano di marcio.<br />

Alcune mosche gli ronzavano intorno posandosi sui suoi pantaloni e sulle<br />

scarpe sporche di fango, attratte da chissà che cosa. Nonostante questo, tutti<br />

lo ascoltavano con entusiasmo.<br />

Fui io l’unico ad andarmene, non so per quale motivo. Tornai a casa e vi restai<br />

per tutto il giorno.<br />

nei giorni seguenti, la notizia <strong>del</strong> vecchio barbone che suonava e raccontava<br />

storie di altri tempi cominciò ad attrarre persone di tutte le età, dagli anziani<br />

ai bambini. Di tanto in tanto anch’io mi fermavo a sentirlo parlare, ma mai<br />

più di qualche minuto.<br />

Era ormai diventato un fenomeno da baraccone, come se un gruppo di saltimbanchi<br />

fosse arrivato in città. <strong>La</strong> gente lo veniva a vedere quando suonava<br />

o raccontava, gli dava anche dei soldi, ma non si fermava mai a parlargli come<br />

avrebbe fatto con chiunque altro. <strong>La</strong> sua presenza era pari a quella di una<br />

giostra, che può far divertire la gente, ma è inutile in tutto il resto. Lui però<br />

sembrava non accorgersene e continuava il suo “mestiere”, ma sapevo benissimo<br />

che il desiderio di confidarsi con qualcuno gli ardeva dentro il petto.<br />

Sembrava che solo io l’avessi capito, ma nonostante questo non mi feci mai<br />

avanti, non gli dieci mai nemmeno una parola di conforto, sempre per quel<br />

disgusto che mi attanagliava le viscere quando lo vedevo.<br />

Gli amici mi chiedevano perché fossi tanto prevenuto nei suoi confronti, ma<br />

non sapevo cosa rispondere. Inventavo scuse più o meno credibile sul fatto<br />

che puzzasse, che le sue storie fossero menzogne ideate solamente per racimolare<br />

qualche soldo. Tentavo di spingerli a disprezzare il vecchio, di portarli<br />

dalla mia parte, per non sentirmi più solo nel caos emotivo che travolgeva i<br />

miei sentimenti.<br />

Fu in quel tempo che iniziai a isolarmi dal mondo, a chiudermi sempre più<br />

in me stesso. Rimanevo chiuso in casa sdraiato sul letto e le poche volte che<br />

uscivo era per le richieste insistenti di amici e genitori. Mi sentivo estraniato,<br />

incapace di comprendere e di essere compreso dagli altri.<br />

Non so perché questo cambiamento sbocciò proprio in quel periodo, ma da<br />

tempo stava maturando dentro di me la nuova consapevolezza che non ero<br />

quello che avrei voluto essere, che il mio vero “io” era stato soppresso per<br />

anni dalla maschera di ragazzo incline al ridere e al divertimento, solamente<br />

per mettermi in luce tra la gente. Forse l’arrivo <strong>del</strong> vecchio aveva suscitato<br />

dentro di me una reazione che ancora non riuscivo a comprendere, o forse in-<br />

95<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

vece questo mio cambiamento sarebbe comunque venuto indipendentemente<br />

da questo evento? Queste erano alcune <strong>del</strong>le domande che mi ponevo nelle<br />

mie riflessioni, ormai così numerose e prolungate che occupavano la maggior<br />

parte <strong>del</strong>la mia giornata.<br />

Nel giro di una settimana gli altri ragazzi smisero di venirmi a cercare, i loro tentativi<br />

di parlarmi a <strong>scuola</strong> divennero sempre più rari. D’altronde neanche io<br />

cercai mai di riallacciare i miei rapporti con loro, anzi, provavo un senso di oppressione<br />

ogni volta che qualcuno provava a parlarmi e a chiedermi di uscire.<br />

A volte salivo sulla quercia vicina a casa mia e mi mettevo a osservare il tramonto<br />

o il cielo stellato, pensando a come fosse improvvisamente cambiata<br />

la vita intorno a me. Il dottore aveva detto ai miei genitori che si trattavano<br />

di semplici “disturbi <strong>del</strong>la crescita” e che prima o poi sarebbero passati, ma<br />

non ci credevo.<br />

Una sera me ne stavo lì, sdraiato su un ramo, quando sentii una voce rauca<br />

chiamarmi.<br />

Era il vecchio barbone che stava facendo una passeggiata.<br />

“Ehi tu, qualche problema?” cominciò.<br />

Non risposi.<br />

“Come ti chiami, ragazzo?” mi chiese.<br />

“Che importanza ha? Vattene” gli risposi, con un tono acido e seccato.<br />

“Si vede subito che hai un problema, ma stare lì fermo a guardare il cielo non<br />

ti servirà a nulla. Capisco le tue angosce, se vuoi puoi confidarti con me”.<br />

“Cosa ne puoi sapere tu <strong>del</strong>le mie angosce? Voglio stare da solo”.<br />

“Come vuoi, ma sappi che potrai venire a parlarmi in ogni momento, se lo desideri.<br />

Sono sempre sulla panchina <strong>del</strong> parco, non mi muovo quasi mai da lì”.<br />

Detto questo, se ne andò.<br />

Dopo qualche minuto cominciai a provare compassione per il vecchio. Dopotutto<br />

stava solamente cercando di farmi stare meglio, e cosa avevo fatto<br />

io? Lo avevo scacciato malamente, nonostante mi avesse lanciato un appiglio<br />

per riprendermi da quella crisi interiore che mi attanagliava.<br />

Decisi di andargli a chiedere scusa immediatamente e scesi dall’albero. Mi<br />

sentivo stranamente pieno di gioia, forse mi avrebbe potuto perdonare e io<br />

gli avrei potuto confessare tutti i miei timori e le mie speranze. Dopotutto<br />

era molto più anziano di me e forse anche lui alla mia età aveva avuto questi<br />

problemi. Nessuno degli altri sembrava accorgersene, ma si poteva vedere<br />

nei suoi occhi grigi una profonda tristezza che si teneva dentro da chissà<br />

quanto tempo. Insieme avremmo potuto superare le nostre paure ed i nostri<br />

96


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

brutti ricordi, guadagnando l’uno dall’altro. Speravo intensamente che mi<br />

perdonasse per le mie cattive maniere nei suoi confronti.<br />

Tutti questi pensieri mi si accavallavano nella testa mentre correvo verso il<br />

parco. <strong>La</strong> strada era piuttosto lunga e le tenebre mi rendevano difficile scegliere<br />

i vicoli giusti per percorrere il tragitto più breve. Finii per trovarmi in un<br />

vicolo cieco pieno di immondizia che straripava da un cassonetto per la spazzatura.<br />

Frustrato per aver scelto la strada sbagliata mi girai e feci per andarmene,<br />

sicuro di essere ormai vicinissimo alla meta, ma fui bloccato da qualcosa.<br />

“Dove stai andando, ragazzino?”<br />

Erano due teppisti, all’apparenza più grandi di me, che mi sbarravano la<br />

strada.<br />

“Cosa volete” chiesi, cercando di assumere un tono sicuro, ma pronunciando<br />

le parole con voce flebile e impaurita.<br />

“C’è una tassa da pagare per passare di qua, non lo sapevi?” dissero con una<br />

risata.<br />

Uno dei ragazzi mi prese per il collo, sussurrandomi all’orecchio: “Dacci tutto<br />

quello che hai e non fiatare, chiaro?”.<br />

Risposi che non avevo niente con me, ed era vero. Per tutta risposta il ragazzo<br />

mi tirò un ceffone e cominciò a frugarmi nelle tasche, mentre lacrime<br />

cominciavano a scendere dai miei occhi.<br />

Non ho idea di come sarebbe finito tutto, se non fosse arrivato lui. Non so<br />

perché stesse passato da quelle parti, ma appena vide la situazione gridò con<br />

voce rauca: “<strong>La</strong>sciatelo!”. I due si voltarono, impauriti dall’eco <strong>del</strong>la sua voce<br />

nel vicolo, ma osservandolo meglio capirono che non c’era ragione di avere<br />

paura di lui.<br />

Il vecchio si lanciò contro di loro e io fui dimenticato in un angolo. Mentre<br />

la rissa cominciava sgattaiolai via preso da un terrore mortale. <strong>La</strong> mia mente<br />

era così annebbiata dalla paura che non pensai nemmeno di chiedere aiuto,<br />

ma cominciai a scappare il più velocemente <strong>possibile</strong>.<br />

Corsi fino a che le gambe non mi ressero più. Allora cercai un albero qualsiasi<br />

e, trovatolo, mi ci arrampicai sopra per nascondermi. Tutti i miei pensieri erano<br />

stravolti, non capivo più niente. Solo uno era fisso nella mia mente da quando<br />

avevo cominciato a correre: dovevo tornare ad aiutare il vecchio. Ero però<br />

troppo stanco per tornare e non sapevo che strada avevo preso. Decisi di fermarmi<br />

a ragionare per un minuto ma, vinto dalla stanchezza, mi addormentai.<br />

Mi risvegliai che era notte fonda, dopo un sonno travagliato e pieno di incubi.<br />

Subito i ricordi <strong>del</strong>la sera precedente mi affiorarono in testa e la vergogna<br />

97<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

per essermi addormentato mi colpì il cuore. Scesi subito dall’albero e mi avviai<br />

correndo verso il punto in cui credevo ci fosse il vicolo dove si era svolta<br />

la rissa. Ma ero ancora disorientato e riuscii a trovare la strada giusta solo<br />

dopo alcuni tentativi. Sempre correndo arrivai davanti al vicolo, ma non vi<br />

trovai nessuno.<br />

L’unico rumore era quello <strong>del</strong> mio respiro affannoso e dei miei passi. Sui muri<br />

c’erano tracce di sangue e sul pavimento bottiglie di vetro infrante, mentre<br />

l’odore di spazzatura aleggiava nell’aria. Pensai che probabilmente i due teppisti<br />

fossero scappati e che il vecchio si fosse trascinato fuori dal vicolo per<br />

poi tornare alla sua solita panchina <strong>del</strong> parco.<br />

Ma qualcosa dietro al cassonetto attirò la mia attenzione. Mi avvicinai a vidi,<br />

sommersa dalla spazzatura, una mano rugosa. Un dubbio si insinuò nella mia<br />

mente e cominciai a scavare tra l’immondizia. Man mano che rimuovevo i rifiuti<br />

il dubbio diventò una certezza, una certezza terribile e spaventosa.<br />

Quello che avevo sotto gli occhi era il corpo, ormai senza vita, <strong>del</strong> vecchio barbone.<br />

Preso da un’ansia febbrile gli tastai il polso, poggiai l’orecchio sul suo cuore.<br />

Silenzio. Cominciai a piangere sommessamente, mentre gli scoprivo il volto<br />

freddo e pallido. Aveva la mascella spaccata e una grossa ferita sulla fronte,<br />

gli occhi spalancati. <strong>La</strong> mia disperazione arrivò al culmine nel vedere come<br />

lo avevano ridotto quei bastardi, le lacrime ormai sgorgavano senza sosta sul<br />

mio viso. Avrei dovuto chiamare aiuto, ma a cosa sarebbe servito? Ormai era<br />

morto, ucciso per aver cercato di salvarmi la vita. Lo abbracciai più forte che<br />

potevo e mi addormentai con la testa sul suo petto...<br />

Sono passate quasi due settimane da quella notte tremenda. Il vecchio non<br />

potrà avere un funerale cristiano e non potrà riposare nel nostro cimitero<br />

perché non sappiamo di che religione sia. <strong>La</strong> gente si è già dimenticata di lui<br />

e la vita di tutti è tornata alla normalità, tranne la mia. Proverò per sempre il<br />

rimorso per tutti gli errori che ho commetto in quei momenti. Spero di poter<br />

essere come lui un giorno, pronto a sacrificarmi per la vita di qualcuno che<br />

mi disprezza, in modo da potermi redimere nei suoi confronti. Questa mia<br />

memoria resterà qui per sempre, assieme alla sua tomba”.<br />

Il ragazzo posò il foglio vicino alla lapide senza nome. Con il volto rigato<br />

dalle lacrime si allontanò dalla tomba solitaria, mentre il vento gli fischiava<br />

nelle orecchie.<br />

Era solo.<br />

98


JACOPO MONTANARO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Mi dimetto<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

All’inizio, il mio lavoro mi piaceva.<br />

Anche se parlare di inizio per me non ha molto senso. Si potrebbe dire che<br />

un giorno mi sono svegliata e già lo facevo da molto tempo.<br />

Non è un lavoro semplice: si deve smistare, aspettare, mietere. Soprattutto mietere.<br />

Non ho mai avuto problemi, comunque. Non venite a farmi i soliti moralismi,<br />

non sono un tipo scrupoloso: il lavoro è lavoro. Anzi, a dirla tutta, l’idea di<br />

poter essere, con la mia falce, giudice, al di là <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong> male, di una vita,<br />

seppur misera quanto quella degli uomini, mi inebriava. Letteralmente. Ma<br />

il problema è questo: gli uomini.<br />

Sarà capitato a tutti di amare il proprio lavoro, ma di dover aver a che fare con<br />

personaggi alquanto fastidiosi. Ecco, per me questi personaggi siete voi uomini.<br />

Vi disprezzo, nel senso più letterale e profondo <strong>del</strong>la parola.<br />

Se ne avessi potere porrei fine oggi stesso alle vostre esistenze. Tutte. In un<br />

attimo. Non sarebbe un gran danno. Anzi, forse farei un piacere a tutti voi.<br />

Vi farei scendere una volta per tutte da questa giostra malsana che vi siete<br />

creati negli anni.<br />

E pensare che all’inizio eravate oggetto <strong>del</strong> mio orgoglio, artefici <strong>del</strong>la maestosità<br />

<strong>del</strong>le mie tragedie. Perché, sarò all’antica, ma io vedo nel lavoro una<br />

cosa seria, a cui dare un senso. Nobile, se è <strong>possibile</strong>.<br />

E cosa c’era di più nobile e maestoso di accompagnarvi nelle vostre vendette,<br />

nelle vostre battaglie eroiche. Quale soddisfazione provavo nel prendere per<br />

mano i vostri miti caduti e danzare con loro!<br />

Sono stata clemente, ho portato la pace a chi mi invocava. Maligna a volte, ho<br />

fatto crollare imperi, mondi interi.<br />

Ho accettato queste vostre follie nonostante il mio compito fosse quello di attendervi<br />

nel vostro letto di morte, ormai vecchi e segnati dal tempo.<br />

99<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Questo perché credevo che sareste cresciuti. Vedevo nelle vostre guerre il<br />

gioco di un bambino incosciente, la vostra infanzia.<br />

E, invece, mi illudevo! Voi uomini non crescete, anzi!<br />

Prima c’erano almeno le bandiere, gli stemmi, la gloria e ora, ora i vostri motivi<br />

sono i più futili e abietti! Il colore <strong>del</strong>la pelle! Il credo! Le differenze di<br />

pensiero! E’ incredibile! Davvero. Non riesco a capacitarmi di come un qualunque<br />

essere possa rivelarsi così stolto.<br />

Avete avuto millenni, millenni per imparare dai vostri errori che par vi dia, invece,<br />

gioia ricalcare con sfumature sempre nuove.<br />

Quale ignoranza vi ha portati ad odiare i vostri simili senza ragione? Perché<br />

mai reputerò ragione valida queste differenze. Quale merito trovate nell’esser<br />

nati qui e non lì? Con questa pelle o con quella? Siete figli <strong>del</strong> caso, niente<br />

più! E non cercate rifugio nel vostro pensiero! Neanche quello vi appartiene<br />

davvero! Neanche i vostri dei!<br />

Mi viene da ridere a pensare a come vi scannate fra di noi per poi ritenervi<br />

diversi dai lupi. I lupi sono migliori, loro lo fanno per fame e non attaccano<br />

mai i loro simili.<br />

Qualcuno l’aveva capito. Homo homini lupus.<br />

Continuate a sterminarvi al grido di queste idiozie! Come se quando io verrò a<br />

trovarvi guarderò il colore <strong>del</strong>la vostra pelle o mi chiederò se credevate in Dio,<br />

nel diavolo o in Me! Ridicoli! Incredibilmente ridicoli! Non capite neanche di<br />

essere uguali ai miei occhi. Ugualmente futili ed eterei agli occhi <strong>del</strong>la Morte.<br />

Questo era il mio insegnamento! Questo è ciò che avreste dovuto imparare:<br />

che potrete creare imperi infiniti, pensare grandi cose, dire tante belle frasi,<br />

ma poi ci sarà io.<br />

Ed io sarò la stessa per voi tutti, che abbiate pelle o cieli diversi.<br />

Ci sarò sempre io a venirvi a prendere alla fine <strong>del</strong>la corsa.<br />

Ho smesso di credere che riuscirete a capirlo e mi disgusta l’idea di sporcare<br />

la mia falce <strong>del</strong> sangue di così infime creature.<br />

Non mi farò ancora complice di tali pazzie.<br />

Che io sia maledetta se avrò a che fare con voi un sol giorno ancora!<br />

Ed è per questo che io mi dimetto senza rimorsi. Non mi è dato sapere se<br />

qualcuno prenderà il mio posto, né mi interessa.<br />

Vi regalo la vita eterna, fatene ciò che volete! Già so che saprete trasformarla<br />

solo in eterna morte.<br />

<strong>La</strong> mia falce toccherà me per ultima, ora.<br />

Io, la Morte, mi concedo me stessa. Senza colore né Dio, uomini.<br />

Senza colore, né Dio.<br />

100


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

SERENA ROMANIELLO<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Mio cugino Salvatore<br />

- Salvatore... Salvatore... mamma, ma perché non si gira?<br />

- Non lo so, Serena<br />

- Farfallina, bella e bianca, vola vola, mai si stanca... mamma! Mi ha stancato!<br />

Perché non si gira? Sono passati sei mesi da quando è nato!<br />

- Non lo so, Serena<br />

- ciao Salvatore, io mi chiamo Serena. Te l’ho detto tante volte, ma tu non<br />

mi ti fili mai... ti sono antipatica? Io ti voglio bene... sono la tua cuginetta!<br />

- Rita?<br />

- Dimmi, Adriana<br />

- Perché non porti Salvatore da un otorino?<br />

- Perché lo dovrei portare? Sta benissimo!<br />

- Rita, non fare finta di niente, Salvatore ha qualche problema. Non si volta<br />

quando lo chiami, non gioca. Ha quasi due anni, Rita. Te l’ho già detto<br />

tante volte e mi hai sempre risposto che nella famiglia di Giuseppe tutti<br />

hanno parlato tardi. Qui, però, non si tratta di parlare tardi, e lo sai bene!<br />

Anche se il bambino ha qualche problema lo devi affrontare e accettare.<br />

- Salvatore non ha nessun problema. Io sono la mamma e se fosse come dici<br />

tu me ne accorgerei.<br />

- Rita, si è svegliato?<br />

- Sì!<br />

- Non fare l’offesa, è per il suo bene.<br />

- Lui sta bene... perché dobbiamo portarlo da questa dottoressa?<br />

<strong>La</strong> prima volta che mio cugino mi ha chiamata per nome aveva tre anni. Il mio<br />

nome era particolarmente difficile per lui.<br />

Salvatore è autistico e spesso attraversa <strong>del</strong>le fase scandite da qualcosa che per<br />

101<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

lui diventa di prima importanza.<br />

Quando aveva cinque anni, gli piacevano i colori, specialmente i pennarelli,<br />

e ne aveva tantissimi.<br />

Una volta giocava a metterli in ordine. Mia zia lo chiamò in cucina. Mentre era via,<br />

tra una decina di rossi, di diversa gradazione e marca, mio padre ne tolse uno.<br />

Quando ritornò sembrò non accorgesi di nulla.<br />

Quando finì di mettere in linea i colori si girò verso di noi e ci chiese chi<br />

avesse preso il rosso fuoco <strong>del</strong>la Giotto.<br />

Noi ci guardammo stupiti.<br />

Qualche anno dopo fu il momento <strong>del</strong>la passione per le magliette con i disegni<br />

dei cartoni animati.<br />

Poi i palloni. E ora il calcio. Dei giocatori sa tutto: dove sono nati; quando<br />

sono nati; in quali squadre hanno giocato; ecc.<br />

Ora ha 15 anni e frequenta il primo superiore.<br />

Le sue giornate trascorrono sempre uguali.<br />

Si alza alle sette di mattina, a prescindere da che ora vada a letto. Fa colazione<br />

con latte e cereali al cioccolato, nella sua tazza con il suo cucchiaino.<br />

Va a <strong>scuola</strong>.<br />

Tre volte alla settimana il pomeriggio va a terapia.<br />

Due volte alla settimana va alla <strong>scuola</strong> di calcio. <strong>La</strong> domenica mattina c’è la<br />

partita di calcio, il pomeriggio vede la partita <strong>del</strong> Milan o se ha già giocato<br />

vede tutte le altre.<br />

Mangia sempre le stesse cose, assaggiandone di rado altre.<br />

Non apre il frigorifero per paura che ci sia il formaggio o il pesce.<br />

A <strong>scuola</strong> incontra molte difficoltà.<br />

Fin da piccolo lo ha sempre affiancato un’insegnante di sostegno, anche se la<br />

madre è quella che lo aiuta di più.<br />

Mia zia, infatti, deve studiare per lui, farne un riassunto a lui comprensibile<br />

e poi pazientemente far sì che lo impari.<br />

Da quando ha cominciato le superiori le difficoltà sono aumentate enormemente.<br />

I compagni ora lo prendono spudoratamente in giro non integrandolo nella<br />

classe.<br />

A causa <strong>del</strong>la sua troppa bontà tutti approfittano di lui. C’è chi viene a casa<br />

a prendere la bicicletta, anche se lui gli dice di no; c’è chi gli ruba la merenda<br />

e, addirittura, il libro di matematica; c’è chi si fa prestare i soldi, ma poi non<br />

glieli restituisce mai; e c’è anche chi commette piccoli furti o con il pallone<br />

102


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

rompe una finestra e poi da’ la colpa a lui.<br />

L’integrazione di Salvatore diventa sempre più difficile perché nessuno lo<br />

aiuta. Anche la persona che dovrebbe aiutarlo più di tutti, la madre. Non accettando<br />

la sua malattia e trattandolo come un bambino e non sgridandolo<br />

mai, accentua la sua diversità.<br />

Mio cugino, infatti, non conosce rimproveri, ramanzine o punizioni.<br />

Tante volte i miei genitori e anche altre persone hanno provato a chiedere<br />

quale fosse il problema di Salvatore, ma la madre dice ancora che non ha nessun<br />

problema e che le sedute di logopedia, che fa sistematicamente, non presuppongono<br />

nessuna malattia.<br />

Qualche volta sentiamo i piatti rompersi, gli sportelli e la porta sbattere e capiamo<br />

che è da sola in casa e che si sta sfogando.<br />

Dall’esterno è facile giudicare e dire che se è la madre la prima a non accettarlo<br />

per come è, gli altri non possono fare diversamente, ma a mia zia nessuno<br />

ha mai dato aiuto.<br />

Nessun psicologo è venuto a bussare alla sua porta e quando accompagna<br />

Salvatore a terapia, nessuno le ha mai chiesto come stava.<br />

Una sola volta mi sono trovata con lei ad aspettare che Salvatore finisse la seduta<br />

e siamo state un’ora e mezza a leggere giornali di gossip senza che nessuno<br />

si avvicinasse.<br />

Era un caso? Forse...<br />

<strong>La</strong> realtà è che mio cugino ha fatto dei progressi negli anni, ma quest’anno<br />

finirà la terapia e peggiorerà di giorno in giorno<br />

Mia zia continuerà a non accettare la situazione e nessuno la aiuterà a farlo.<br />

E tutta la famiglia continuerà a soffrire vedendo un ragazzo che mai diventerà<br />

un uomo, chiedendosi: ma che fine farà quando la madre non ci sarà più?<br />

103<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

GIULIO SAVAZZI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Storia di noi due<br />

Roma,1972<br />

raccont Abile<br />

Nella periferia <strong>del</strong> capoluogo laziale Michele e Giacomo giocano spensierati<br />

come sempre, lontani dal mondo che li circonda, un mondo soggetto a brutte<br />

mutazioni. Come tutti i bambini, anche loro sono accomunati degli stessi<br />

ideali, ideali di libertà e spensieratezza, di gioco e di armonia verso tutto e<br />

tutti, ideali che vogliono tenere lontano i problemi <strong>del</strong> mondo che si fanno<br />

sempre più pressanti man mano che cresciamo. Quante volte i bambini sognano<br />

di diventare adulti? Ma quante volte sognano gli adulti di ridiventare<br />

bambini. Il numero <strong>del</strong>le volte sarà lo stesso, ma i motivi sono opposti. I bambini<br />

vogliono diventare adulti solo perché pensano di essere più indipendenti,<br />

liberi dalle regole imposte dai genitori, ma quando diventano adulti vogliono<br />

ritornare bambini, schiavi di quelle regole (perché da adulti ne hanno <strong>del</strong>le<br />

nuove) alle quali non sono più vincolati. Sembra assurdo, eppure tutti la pensano<br />

così. Questa è la storia di Giacomo e Michele, una storia che spiega<br />

come la discriminazione può trasformare gli amici in nemici, una storia che<br />

mostra come il tempo può cambiare le cose solo se noi gli diamo la possibilità<br />

di farlo, una storia di un destino im<strong>possibile</strong> da cambiare ma che può essere<br />

scelto da ogni persona.<br />

Dato che i protagonisti <strong>del</strong>la storia sono i bambini, la descrizione <strong>del</strong>la loro<br />

famiglia sarà minima, quanto basta per ricostruire il contesto. Michele, nato<br />

il 31 Luglio <strong>del</strong> 1966, ha il padre che di mestiere fa il camionista ed é proprietario<br />

<strong>del</strong>l’azienda di trasporti ereditata dal nonno e quindi non si può lamentare<br />

per quanto riguarda il lato economico anche se il suo lavoro lo<br />

costringe a passare qualche giorno fuori casa; tuttavia é un po’ autoritario e<br />

104


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

violento e anche ignorante perché non ha potuto frequentare la <strong>scuola</strong> a causa<br />

<strong>del</strong>la guerra. Michele, però, non gli ha mai dato motivo di adirarsi. Sua<br />

mamma invece fa la casalinga e anche lei non ha frequentato interamente la<br />

<strong>scuola</strong>.<br />

Giacomo, nato nello stesso anno e nello stesso giorno di Michele, ha un padre<br />

poco severo, qualche volta anche troppo, e molto acculturato (fa l’insegnante<br />

di storia e lettere); anche la mamma di Giacomo fa la casalinga, ma ha un livello<br />

di conoscenze molto ampio.<br />

Michele risultava favorito sul lato economico e Giacomo su quello culturale,<br />

ma per molto tempo nessuno dei due ha mai cercato di farlo notare all’altro.<br />

Perché questo? Semplice, sono bambini, e i bambini, a differenza <strong>del</strong>le persone<br />

adulte, hanno una cosa speciale che li rende meravigliosi: non sanno ancora<br />

dare giudizi. Per un bambino non esiste il basso e l’alto, il nero e il<br />

bianco, il grasso e il magro, il diversamente abile e la persona normale, almeno<br />

finché non apprende queste cose da qualcuno più grande. Agli occhi<br />

di un bambino infatti siamo tutti uguali, ma lo stesso bambino cresciuto di<br />

venti anni ci considererà tutti diversi. Se prima non riusciva a cogliere nemmeno<br />

le differenze più evidenti, ora riesce a scorgere anche quelle minime. é<br />

la stessa cosa che accade alle nostre ossa quando cresciamo: diventano più resistenti<br />

agli urti, ma perdono la loro elasticità, quando siamo bambini cadiamo<br />

spesso ma non ci facciamo male e ci rialziamo subito, quando siamo<br />

adulti cadiamo più raramente ma poi è difficile rialzarci.<br />

L’educazione che ci impongono i nostri genitori determina la nostra crescita<br />

più di ogni altra cosa e sembrano esserci tre opzioni di crescita: o si é d’accordo<br />

con quello che ci insegnano e seguiamo le loro orme o ripudiamo i loro<br />

insegnamenti in tutto e per tutto e prendiamo strade diverse oppure cerchiamo<br />

di conciliare l’educazione che ci hanno imposto con alcune nostre<br />

modificazioni. <strong>La</strong> prima é sbagliata perché anche i nostri genitori possono<br />

sbagliare. Anche la seconda é sbagliata perché i nostri genitori cercano di<br />

dare il meglio di loro per noi. <strong>La</strong> terza opzione é la più giusta, ma é la meno<br />

seguita.<br />

I loro destini avrebbero dovuto incrociarsi tra breve, ma frequentando due<br />

asili differenti si conobbero solo alle elementari.<br />

105<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Durante il primo giorno di <strong>scuola</strong> si ritrovano a essere compagni di banco e<br />

fanno subito amicizia. I due se la cavano bene a <strong>scuola</strong> e diventano subito i<br />

primi <strong>del</strong>la classe. è sorprendente come siano riusciti a non essere timidi in<br />

certe situazioni; non conoscono niente e nessuno e proprio per questo hanno<br />

un’immensa voglia di conoscere. Poi questa voglia si perde e quando siamo<br />

arrivati ad un livello di conoscenze molto alto (alto perché noi lo consideriamo<br />

così, quando invece é molto, molto basso, forse più basso di prima), la<br />

voglia di conoscere viene meno e aumenta sempre più la voglia di giudicare.<br />

Passano i primi mesi, Settembre, Ottobre, Novembre, tra presentazioni, pianti<br />

di bambini che non volevano andare a <strong>scuola</strong>, i primi cenni di programma<br />

scolastico, le prime amicizie nate in classe. E infine arriva Dicembre con le<br />

tanto attese vacanze di Natale. Michele riceve per regalo nuovi giocattoli e<br />

nuovi vestiti, mentre Giacomo riceve, oltre a questi, anche nuovi libri che il<br />

padre conosce bene. A Capodanno i fuochi d’artificio illuminavano la capitale<br />

ed entrambi non levarono lo sguardo dal cielo quella notte, una notte che sembrava<br />

magica, fuori dal tempo. Per quanto riguarda l’Epifania ricevettero dolciumi<br />

in quantità e per poco non si fecero venire la carie. Terminate le vacanze,<br />

che sembravano volate, si torna a <strong>scuola</strong>, un po’ a malincuore per sole tre settimane<br />

di riposo. Dopo Gennaio arrivano le pagelle <strong>del</strong> primo quadrimestre<br />

e i due risultano essere la coppia più brava <strong>del</strong>la classe. Febbraio,Marzo ed<br />

Aprile furono i mesi meno interessanti <strong>del</strong>l’anno, come lo saranno per tutti<br />

gli anni di <strong>scuola</strong>, forse perché gli argomenti non erano interessanti, ma furono<br />

i più impegnativi perché sapevano che i voti sarebbero finiti sulla pagella finale,<br />

che è quella che conta. A Maggio già si respirava aria di vacanze estive e<br />

tutti non videro l’ora di sentire l’ultimo suono <strong>del</strong>la campanella.<br />

Michele passò l’estate tutta al mare sul litorale di Ostia, dove aveva uno zio<br />

che ospitò la sua famiglia per tutte le vacanze. Giacomo fece un giro per tutte<br />

le città d’arte italiane: Firenze, Bologna, Napoli, Venezia, Torino, Milano e<br />

altre. Qualche volta si diedero appuntamento e si incontrarono per giocare<br />

o per fare i compiti. Le vacanze estive sembrarono più brevi di quelle natalizie<br />

e non fecero in tempo ad alzarsi dal banco che già la campanella dava inizio<br />

al secondo anno.<br />

Col passare <strong>del</strong> tempo i due maturarono un interesse sempre più crescente<br />

per la <strong>scuola</strong> e per lo studio; Michele mostrò un grande talento per le materie<br />

106


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

scientifiche e lo appassionavano le visite in laboratorio con gli esperimenti<br />

sulle piante e sul calore. Un’altra materia in cui eccelleva era la matematica e<br />

sapeva fare calcoli astronomici per la sua età. Giacomo, sebbene se la cavasse<br />

bene anche nelle materie scientifiche, era un genio nelle materie classiche. Sapeva<br />

ogni poesia a memoria, non faceva mai errori grammaticali e scriveva<br />

temi eccellenti. <strong>La</strong> sua materia preferita da entrambi era però storia, ed è qui<br />

che i due davano il meglio di loro, ricordando a memoria date ed eventi come<br />

se nulla fosse, riuscendo a fare collegamenti storici in ogni situazione. Già da<br />

piccoli credevano che le azioni di uomini che ci hanno preceduto fossero degli<br />

esempi, da emulare o da condannare. In questa cosa ci credevano veramente.<br />

Arrivati al quinto anno anche loro vennero colti dalla tipica tristezza di dover<br />

abbandonare le elementari e per questo motivo cercavano di cogliere ogni<br />

momento <strong>del</strong>l’anno, che avrebbero voluto non finisse mai.<br />

Ma per quanto si potessero sforzare di convincersi di ciò, dovevano sapere<br />

che anche quell’anno era destinato a finire e anzi, sarebbe passato più velocemente<br />

degli altri. Da Settembre a Dicembre affrontarono argomenti interessanti<br />

come le espressioni in matematica, l’elettromagnetismo in scienze, il<br />

risorgimento in storia e i continenti in geografia. Dopo le vacanze di natale<br />

studiarono anche scienze <strong>del</strong>la terra e astronomia, impararono a risolvere<br />

problemi geometrici, a perfezionare l’uso <strong>del</strong> flauto e dei strumenti tecnici da<br />

disegno, tutte cose che li interessavano profondamente.<br />

Quello che è successo finora è stata una realtà interpretata dalla fantasia di<br />

due bambini, che da quando sono nati non si erano mai posti troppe domande<br />

sul perché il mondo funzionasse in un certo modo e avevano solo cercato<br />

di studiare e vivere il più spensieratamente <strong>possibile</strong> la loro vita. Ma<br />

proprio quando questa sembrava sempre la stessa, ecco che si stava per abbattere<br />

su di loro qualcosa che non li avrebbe più resi quelli di prima.<br />

Tutto cominciò ad Aprile quando studiarono un argomento di quasi attualità<br />

per quei tempi e cioè la Seconda Guerra Mondiale, terminata solo trenta anni<br />

prima. Si sa che i due avevano sempre avuto una passione per la storia, ma la<br />

foto di un personaggio sul loro libro colse la loro attenzione più di ogni altra<br />

cosa. Seppero poi dalla maestra che si trattava di un tedesco, un certo Hitler,<br />

colui che ha causato quella guerra. Ora, Michele sapeva di una guerra scoppiata<br />

trentacinque anni prima perché suo padre non poté frequentare la <strong>scuola</strong><br />

107<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

a causa di questa, e qualche volta glielo raccontò, ma non conosceva nessun<br />

Hitler. Andando avanti col programma scoprirono anche le persecuzioni da lui<br />

volute e divennero increduli davanti alla portata <strong>del</strong>l’argomento. Non che non<br />

avessero mai sentito parlare di razzismo o persecuzioni nel corso <strong>del</strong>la storia,<br />

infatti sapevano <strong>del</strong>le persecuzioni dei cristiani nell’antica Roma o <strong>del</strong>lo schiavismo<br />

nero in America, ma niente li aveva colpiti come questo; probabilmente<br />

sarà stata l’enorme vicinanza <strong>del</strong> contesto storico o le testimonianze fotografiche<br />

che durante gli altri episodi di razzismo mancavano. Dopo la lezione decisero<br />

di chiedere spiegazioni ai loro genitori e di confrontarsi il giorno dopo<br />

per saperne di più sulla vita e sulle gesta di questo personaggio.<br />

A Michele andò così: tornato a casa, chiese a suo padre se si ricordasse di<br />

questo personaggio, ma il padre ebbe un attimo di agitazione appena gli<br />

venne posta la domanda tanto che Michele si impaurì. Subito dopo rispose<br />

con tono deciso che persone così sarebbe meglio ucciderle fin da piccole, e<br />

si esaurì la sua risposta; ma Michele sapeva già che sarebbe finita così ed evitò<br />

sia di portare avanti la discussione sia di chiedere alla madre, che avrebbe<br />

fatto lo stesso, con la differenza però che non si sarebbe adirata tanto.<br />

A Giacomo andò meglio ma il padre gli raccontò tutta l’infanzia <strong>del</strong> dittatore<br />

e la guerra, non le persecuzioni in generale. Il giorno dopo poté così<br />

raccontare tutto al suo amico: Adolf Hitler, nato il 20 Aprile 1889 in un paesino<br />

<strong>del</strong>l’Alta Austria di nome Braunau Am Inn, figlio di Alois Hitler e Klara<br />

Poltz. Passò un’infanzia da nullafacente, si arruolò come soldato nella Prima<br />

Guerra Mondiale, fu ferito e durante la convalescenza in ospedale seppe <strong>del</strong>la<br />

sconfitta <strong>del</strong>la Germania. In seguito tentò il colpo di stato ma fu arrestato. In<br />

carcere scrisse un libro, il Mein Kampf, che divenne un bestseller in Germania.<br />

Nel 1933 divenne cancelliere e nel 1934 assunse il titolo di Fuhrer dopo<br />

la morte <strong>del</strong> presidente Paul Von Hindenburg. Il 15 Settembre 1935, per suo<br />

volere, furono pubblicate le leggi razziali di Norimberga. Nel 1939 invase la<br />

Polonia, ma Francia e Inghilterra gli dichiararono guerra. Perse la guerra e si<br />

suicidò il 30 Aprile 1945 nel suo bunker di Berlino. Dopo la guerra venne alla<br />

luce lo sterminio, da lui voluto, di alcune categorie di individui nei campi di<br />

concentramento, sterminio poi ribattezzato col termine “olocausto”.<br />

Michele ascoltò tutto il racconto, ma rimase colpito più di ogni altra cosa dalla<br />

parola “olocausto”. Giacomo, invece di aver chiarito tutti i suoi dubbi, si faceva<br />

ancora domande perché il padre gli aveva fornito solo informazioni ma<br />

108


non risposte chiare. Il fatto era che i due non erano molto interessati all’infanzia<br />

o anche alla guerra, ma allo sterminio nei campi di concentramento, al<br />

quale non trovavano giustificazioni concrete. Per questo motivo riprovarono<br />

una seconda volta a chiedere ai loro genitori (in realtà ci provò solo Giacomo,<br />

perché Michele si sarebbe immaginato la risposta <strong>del</strong> padre o <strong>del</strong>la madre).<br />

Il secondo tentativo fu più fruttuoso e Giacomo seppe che lo sterminio era<br />

dovuto al fatto che le persone uccise erano considerate razze minori, indegne<br />

di esistere, perché costavano troppo allo stato o erano contro la guerra. Il<br />

padre, che conosceva a fondo l’argomento, capì che il bambino voleva sapere<br />

proprio tutto ma la prima volta cercò di non andare sui particolari e si<br />

può immaginare il motivo. Tuttavia, la risolutezza di Giacomo gli fece vuotare<br />

il sacco e il padre iniziò leggendogli tre problemi di matematica scritti durante<br />

il nazismo per le scuole elementari che recitavano così:<br />

1) ”<strong>La</strong> costruzione di un ospedale per infermi di mente costa 6 milioni di<br />

marchi. Quante case si potrebbero costruire con la stessa cifra a 150.00<br />

marchi l’una?<br />

2) ”Lo stato spende 4 marchi al giorno per mantenere un malato di mente, e<br />

la stessa cifra per curare uno storpio o un criminale. Quanto risparmierebbe<br />

lo stato in un anno se sopprimesse queste persone?”<br />

3) ”Lo stato si occupa di 300.000 malati mentali che costano 4 marchi al<br />

giorno. Quante case per giovani e sane coppie tedesche si potrebbero costruire<br />

con la medesima cifra?”<br />

Dopo i problemi gli fece leggere la tabella dei sette triangoli dei campi di<br />

concentramento che aveva in un libro, senza accorgersene che il bambino era<br />

già sconvolto dalla lettura dei problemi.<br />

Triangolo rosso<br />

Triangolo verde<br />

Triangolo blu<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Triangolo viola<br />

Prigioniero politico<br />

Criminale<br />

Immigrante<br />

Testimone di Geova<br />

109<br />

Minatore <strong>del</strong>la stabilità <strong>del</strong>lo stato<br />

Minatore <strong>del</strong>la stabilità <strong>del</strong>lo stato<br />

Minatore <strong>del</strong>l'identità nazionale tedesca<br />

Poiché il movimento è internazionale, influenzato<br />

dall'ebraismo, dal marxismo,<br />

non politicizzato e pacifista, l'ideologia di<br />

questi individui é da considerarsi abominevole<br />

in tutto e per tutto.<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

Triangolo rosa<br />

Triangolo nero<br />

Triangolo giallo<br />

Omosessuale<br />

Asociale o nomade<br />

Ebreo<br />

raccont Abile<br />

Poiché l'attività sessuale deve essere finalizzata<br />

alle creazione di nuovi individui e<br />

non al piacere personale, queste persone<br />

sono da considerarsi pericolose per la comunità<br />

date le loro pratiche immorali.<br />

Inoltre, sono fautori di un pericoloso pacifismo<br />

ch mira alla stabilità <strong>del</strong>la nazione<br />

tedesca<br />

Sono diventati una miscela razziale spostandosi<br />

di luogo in luogo e hanno contribuito<br />

alla contaminazione <strong>del</strong>la razza.<br />

Sono coloro che più di ogni altra razza ha<br />

portato al disfacimento <strong>del</strong>la nazione tedesca,<br />

aguzzando focolai rivoluzionari, danneggiando<br />

l'economia e quindi causa <strong>del</strong>la<br />

sconfitta tedesca nella guerra precedente.<br />

C’erano anche simboli aggiuntivi che indicavano relazioni interraziali, persone<br />

disabili, la nazione di provenienza, la pericolosità <strong>del</strong>l’individuo o il sospetto<br />

di fuga.<br />

E qui il silenzio; il bambino non volle sapere di più dopo aver letto la terza<br />

colonna <strong>del</strong>la tabella. Non aveva ben capito termini come omosessuale e testimone<br />

di Geova (che avrebbe appreso in futuro) , ma il fatto stesso che ci<br />

fossero motivazioni per uccidere <strong>del</strong>le persone, motivazioni che per alcuni<br />

erano più che buone, lo fece rabbrividire.<br />

Il giorno dopo Michele era ansioso di sapere cosa aveva saputo Giacomo e<br />

questi gli fece leggere i problemi di matematica e la tabella dei triangoli, dopodiché<br />

anche a Michele passò la voglia di sapere altro.<br />

Andando avanti con il programma vennero a conoscenza anche di altre persone<br />

come Martin Luther King, Gandhi, Nelson Man<strong>del</strong>a e Aung San Suu<br />

Kyi che sono state uccise o imprigionate perché schierate dalla parte di chi<br />

difendeva i diritti umani. Con un po’ di documentazione approfondirono le<br />

loro conoscenze su queste persone: Martin Luther King, fautore di una politica<br />

favorevole all’abolizione <strong>del</strong> razzismo nero negli USA, fu ucciso pochi<br />

110


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

anni fa con un colpo di fucile di precisione da un certo James Earl Ray mentre<br />

era sul balcone; Gandhi, convinto pacifista e precursore <strong>del</strong>la nonviolenza,<br />

fu ucciso nel 1948 da un fanatico indiano, Nathuram Godse, con tre<br />

colpi di pistola mentre passeggiava con i nipotini. Nelson Man<strong>del</strong>a fu arrestato<br />

nel 1962 ed era ancora in prigione perché aveva manifestato contro<br />

l’apartheid in Sudafrica. Aung San Suu Kyi era stata presa di mira dal governo<br />

birmano perché contraria al regime autoritario di Than Shwe. E non<br />

finisce qui: un giorno Michele ascoltò al telegiornale alcuni fatti provenienti<br />

dall’Albania. Un certo Enver Hoxa, presidente (o, per meglio dire, dittatore)<br />

<strong>del</strong>l’Albania comunista, ordinava ogni giorno alla Sigurimi (parola di cui Michele<br />

ignorava il significato) di rastrellare e incarcerare gli oppositori <strong>del</strong> regime.<br />

In seguito si documentò su questa “Sigurimi” e scoprì che era una<br />

polizia politica. Volendo approfondire sempre di più seppe che per polizia<br />

politica si intende un organismo di polizia la cui azione si espleta in forma riservata<br />

per ragioni in genere di stretto ordine politico e la Sigurimi era un’organizzazione<br />

simile.<br />

Passano i giorni e i due erano sempre più in preda ad una confusione mentale<br />

dopo le notizie che li avevano travolti; non riuscivano a credere come alcune<br />

persone potessero rifiutare altre persone. Di solito, ragionando come<br />

bambini, nei gruppetti che facevano tra di loro cacciavano individui che si<br />

comportavano male o imbrogliavano al gioco, ma non avrebbero mai immaginato<br />

che forse c’era qualcuno che avrebbe fatto lo stesso motivando la sua<br />

espulsione con aggettivi come “nero” o “ebreo”. E proprio da questo momento,<br />

il momento in cui vennero a conoscenza <strong>del</strong>l’esistenza di queste persone,<br />

a partire da Hitler, la loro vita cambiò. Decisero però di non pensarci<br />

più e così fecero gli esami e finirono le elementari, tra gli applausi <strong>del</strong>le maestre<br />

per i magnifici risultati ottenuti dai due nel corso dei cinque anni.<br />

Nell’Aprile di quell’anno era terminata la guerra <strong>del</strong> Vietnam, iniziata nel<br />

1960 e le truppe americane si preparavano a lasciare la penisola asiatica. Questa<br />

notizia era su tutti i giornali e anche Giacomo e Michele si sentirono felici<br />

sapendo che era finita una guerra (ma chissà quante ne sarebbero<br />

scoppiate). Il 30 Aprile, giorno <strong>del</strong>la fine alla guerra, il quartiere organizzò<br />

una festa perché nelle vicinanze abitavano numerosi militanti pacifisti americani<br />

che in quegli anni erano andati in America e avevano protestato a lungo<br />

contro la guerra ma soprattutto contro i massacri dovuti all’impiego <strong>del</strong> Na-<br />

111<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

palm e dei lanciafiamme. Durante questa festa suonarono anche alcune canzoni<br />

pacifiste dei Beatles e la canzone “C’era un ragazzo che come me amava<br />

i Beatles e i Rolling Stones” di Gianni Morandi. Per gli Stati Uniti questa é<br />

stata la prima sconfitta polito-militare vera e propria e avevano dimostrato al<br />

mondo di non essere invincibili.<br />

Quest’estate fu diverse dalle altre. Nessuna <strong>del</strong>le due famiglie andò in vacanza<br />

e la stagione estiva la passarono solo al mare e a casa. I due non si diedero<br />

mai appuntamento per passare una giornata insieme e preferirono<br />

occupare il tempo facendo i compiti. Era inutile cercare di cancellare quelle<br />

cose che ormai avevano appreso sui libri di storia. Si resero conto, tra Aprile<br />

e Maggio, che non é esistito solo Hitler ma altre persone come lui, e queste<br />

persone erano ancora vive; quando conobbero anche quelli che come Man<strong>del</strong>a<br />

stavano ancora pagando la loro lotta per la giustizia, il loro modo di vivere<br />

e di pensare cambiò. Non si sentirono più al sicuro dopo aver appreso<br />

l’esistenza di queste persone e si chiedevano in continuazione perché chi cercava<br />

di combatterle era stato ucciso o imprigionato.<br />

Gli anni <strong>del</strong>le medie non furono interessanti e Michele e Giacomo non si accorsero<br />

nemmeno <strong>del</strong>l’impatto con la nuova <strong>scuola</strong>. <strong>La</strong> prima e la seconda<br />

media passarono senza che nemmeno se ne accorgessero. Furono anni privi<br />

di argomenti interessanti da raccontare, più che altro argomenti che già avevano<br />

affrontato alle elementari, con qualche approfondimento in più ovviamente.<br />

Tuttavia, riaffrontarono numerosi episodi di razzismo durante le<br />

lezioni di storia, ma ciò non li aveva minimamente condizionati, sia perché<br />

erano avvenuti secoli e secoli prima sia perché cercavano in tutti i modi di<br />

non pensarci. Cominciavano però ad avere una strana paura per la terza<br />

media, una paura maturata quando scoprirono che il programma di storia<br />

era arrivato a metà ottocento e che mancava poco più di un secolo per arrivare<br />

ai loro giorni. Chi c’era in questo arco di tempo? Una figura che non<br />

avrebbero mai voluto rincontrare e facevano ancora fatica a dimenticare.<br />

SETTEMBRE 1977.<br />

raccont Abile<br />

Inizia la terza media, l’ultimo anno <strong>del</strong>la <strong>scuola</strong> <strong>del</strong>l’obbligo, l’ultimo passo<br />

verso l’inizio di un ingresso nella società, e i due protagonisti non temono<br />

112


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

altro che rincontrare il loro terrore <strong>del</strong>le elementari. Questo terrore si tramutava<br />

in incubi notturni e malessere continuo solo al pensiero di ripudiare<br />

un amico o di essere egli stesso ripudiato e ripensavano ai problemi di matematica<br />

e alla tabella dei triangoli.<br />

Dopo aver comprato il libro di storia <strong>del</strong> terzo anno, aprendo all’indice, ebbero<br />

purtroppo la conferma di quale fosse il programma di terza media:<br />

Capitolo 1: l Risorgimento e le guerre d’indipendenza italiana - Capitolo 2:<br />

L’Italia unita - Capitolo 3: L’imperialismo - Capitolo 4: L’“età umbertina”- Capitolo<br />

5: L’Europa all’inizio <strong>del</strong> Novecento - Capitolo 6: L’età giolittiana in<br />

Italia - Capitolo 7: <strong>La</strong> Grande guerra - Capitolo 8: L’età <strong>del</strong>le rivoluzioni - Capitolo<br />

9: Il Fascismo - Capitolo 10: Lo stalinismo<br />

E già qui Michele e Giacomo sapevano quello che sarebbe venuto dopo e cioè:<br />

Capitolo 11: Il Nazismo<br />

Dopodiché non gli interessava più leggere i restanti capitoli:<br />

Capitolo 12: <strong>La</strong> Seconda Guerra Mondiale - Capitolo 13: L’Italia repubblicana<br />

- Capitolo 14: <strong>La</strong> fine <strong>del</strong>l’imperialismo - Capitolo 15: <strong>La</strong> società moderna<br />

Trovando un po’ di coraggio, riaprirono il libro e si fecero le seguenti domande:<br />

Ma davvero è così? Davvero ci sono uomini che la pensano così? E<br />

perché? E se anch’io un giorno dicessi che tutto questo è giusto?”<br />

Domande a cui nessuno rispondeva. Loro se ne sono fregati <strong>del</strong> mondo e ora<br />

il mondo se ne fregava di loro. Quelle maledette pagine sembravano dire<br />

loro:”No, non siamo tutti uguali.” e anche loro cercavano di pensare allo<br />

stesso modo: “Forse è vero che non siamo tutti uguali, non tutti abbiamo gli<br />

stessi diritti, c’è chi merita di più e chi merita di meno, e dal 1942 in poi non<br />

tutti si meritavano di vivere”; ma smisero subito di pensare a quelle cose e si<br />

convinsero definitivamente che erano tutte sbagliate.<br />

<strong>La</strong> terza media fu per certi versi simile alla quinta elementare, soprattutto<br />

per gli argomenti affrontati in varie materie. Non fu un anno diverso dagli<br />

altri se non fosse stato per gli esami finali. Da questo momento cominciarono<br />

113<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

ad odiare la storia, non come materia scolastica, ma per il fatto che studiarla<br />

non insegna niente.<br />

Gli esami di terza media si avvicinavano ed entrambi avevano già preparato<br />

la tesina che, per argomenti, era molto simile a quella <strong>del</strong>le elementari. Seppero<br />

che uno dei loro compagni avrebbero portato il nazismo e vollero assistere<br />

all’interrogazione per vedere come si sarebbe espresso. Giacomo e<br />

Michele furono i primi ad essere interrogati e subito dopo c’era questo compagno<br />

di classe. I nostri protagonisti poterono così notare come alcuni compagni<br />

di classe non fossero stati condizionati.<br />

Subito dopo gli esami i due riuscirono finalmente a dialogare sull’argomento<br />

senza esitazioni.<br />

Ad aprire il dibattito fu Michele che disse: ”Perché ci sono persone che vorrebbero<br />

il mondo colorato di un unico colore? Io lo vorrei colorato come<br />

l’arcobaleno, di sette colori, diversi tra loro, perché l’arcobaleno é bello per<br />

questo motivo”.<br />

Ma Giacomo rispose:”No! Non deve essere così! Perché solo di sette colori?<br />

Sette non sono abbastanza! Lo sai quanti colori esistono in natura? Beh, a<br />

dire la verità non lo so neanche io, ma vorrei saperlo e quando l’avrò saputo<br />

potrò esclamare che vorrei un mondo fatto di tot colori, e non solo sette”.<br />

Purtroppo il mondo non si colorerà mai di tutti i colori, come per un uomo<br />

è im<strong>possibile</strong> imparare tutte le lingue. Il mondo non è colorito perché appartiene<br />

agli adulti, e dovrebbe essere più “bambino”. “Sono più bravi i bambini<br />

a spartirsi le caramelle che i potenti a spartirsi gli stati”, questa frase é<br />

stata detta da un uomo ucciso dalla polizia cinese perché aveva scritto la parola<br />

democrazia su un muro. Questa frase spiega perché nascono le intolleranze,<br />

le guerre e gli stermini.<br />

Michele disse poi tra se e se: “Discriminazione, chissà quando é nato questo<br />

termine. Chissà quanti tipi di discriminazione esistono” e pensava alla tabella<br />

dei triangoli che gli aveva mostrato il suo amico.<br />

Poi ripeté i suoi pensieri a Giacomo: “Secondo te perché la gente discrimina<br />

certe persone?”.<br />

Giacomo: “Per vari motivi. Se ti ricordi la tabella che ti ho mostrato qualche<br />

anno fa troverai la risposta”.<br />

Michele: “Sì che me la ricordo, e se tre anni fa non conoscevo termini come<br />

114


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

omosessuale, testimone di Geova o nomade, ora che li conosco mi sembra ancora<br />

più assurdo che siano state uccise per i motivi indicati nella terza colonna.<br />

Perché ucciderli in quel modo? Perché emanare leggi razziali contro<br />

di loro? Perché emarginarli dalla società?”.<br />

Giacomo: “Perché c’é chi crede in un mondo migliore senza queste persone,<br />

tutto qui. Immagina un mondo dove ad ogni uomo piacciono solo le donne<br />

e viceversa e non ci sono omosessuali, dove in uno stato c’è solo una religione<br />

da professare, dove abbiamo tutti un’abitazione fissa e non siamo vagabondi...”.<br />

Michele, interrompendo Giacomo, rispose: “Che c’entra questo? Non credo<br />

che sia sbagliato che tutti abbiano un tetto sulla testa. Ma cosa c’é di male a<br />

non essere cristiano anche in un paese cattolico? Non era stato Gesù a dire<br />

“ama il tuo prossimo come te stesso”, nero o bianco che sia?...”.<br />

E stavolta Giacomo lo interrompe esclamando: “Lo so cosa vuoi dire, ma<br />

non é così che vanno le cose. Quello che hai detto prima va bene ma dato che<br />

non tutti possono permettersi una casa, non c’é motivo di emarginare questa<br />

gente. Non dimentichiamoci inoltre che i volti <strong>del</strong>la discriminazione non sono<br />

solo quelli tra neri e bianchi o tra individui di diverse religioni. Ho saputo da<br />

mio padre che spesso c’é un vero e proprio razzismo nei confronti <strong>del</strong> sud Italia,<br />

una cosa che non avrei mai immaginato. Perché odiarsi anche tra italiani?<br />

E ho saputo anche altre discriminazioni come per la statura e per il sesso.<br />

Noi siamo cresciuti in famiglie che ci hanno tirato su insegnandoci a volere<br />

bene a tutti, ma ce ne sono altre che pensano che questo sia sbagliato”.<br />

Michele: “Eh no, stavolta sbagli. Quando parlavo <strong>del</strong>la religione mi hai interrotto<br />

ma volevo aggiungerti che mio padre è un cristiano convinto, che tutte<br />

le domeniche va a messa, ma non sopporta minimamente gli omosessuali e gli<br />

zingari, anche se so che odia Hitler per quello che ha fatto. Tuo padre invece<br />

non é credente, ma non fa distinzioni con nessuno. Non é un paradosso?”.<br />

E Giacomo:”Michele, essere cristiani non vuol dire essere tolleranti. Non abbiamo<br />

per caso studiato quanti morti sul rogo ha fatto la chiesa nel corso dei<br />

secoli solo perché professavano idee diverse? <strong>La</strong> tolleranza non deriva affatto<br />

dalla religione che si professa. E volevo aggiungerti che mio padre mi ha detto<br />

che le altre religioni sono state anche peggio, ma non mi sono informato abbastanza.<br />

I precetti che ti insegna il parroco, come quello di amare tutti allo<br />

stesso modo, non vengono seguiti dalla maggior parte dei credenti. Io non<br />

sono stato battezzato perché mio padre mi dice che deve essere una mia<br />

scelta, ma per me non farà differenza”.<br />

115<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Michele:”Mio padre non sarà istruito come il tuo e forse non sa nemmeno che<br />

la chiesa ha ucciso migliaia di persone, ma so che non sopporta minimamente<br />

certe persone. Non vorrebbe nemmeno che gli zingari fossero davanti alla<br />

chiesa a chiedere l’elemosina. E continuando a parlare di religione, i testimoni<br />

di Geova? Perché sono stati uccisi? E gli ebrei, sei milioni di ebrei, se<br />

lo meritavano tutti?<br />

Giacomo: “A queste cose non può risponderti mio padre, figurati io. Comunque<br />

sia, ti posso dire che quello che c’era scritto sugli ebrei nella tabella<br />

dei triangoli non può essere il vero motivo <strong>del</strong>lo sterminio. Non h senso incolpare<br />

loro se la Germania aveva perso la prima guerra mondiale. Il fatto é<br />

che Hitler odiava gli ebrei per motivi personali e ha cercato di mascherare il<br />

suo odio attraverso scuse infondate. D’altro canto, chi poteva contraddirlo?”<br />

Michele: “Se ci pensiamo bene, quelli che sono stati presi di mira sono state<br />

soprattutto minoranze etniche o religiose. Forse proprio in questo sta la discriminazione:<br />

cercare di eliminare il diverso che non fa parte <strong>del</strong>la maggioranza.<br />

A me viene da pensare ai compiti in classe; quante volte abbiamo fatto<br />

dei piccoli errori in un test quasi eccellente? Non ti sarebbe venuta la voglia<br />

di eliminare quegli errori? Forse Hitler la pensava allo stesso modo e il suo<br />

test era la Germania, piena di piccoli errori che dovevano essere corretti”.<br />

Giacomo: “Ieri ho letto una rivista che parlava dei disastri compiuti dalle dittature<br />

nel corso <strong>del</strong> Novecento e dei sei leader più sanguinari. Era vergognoso.<br />

Sembrava di leggere una classifica in cui si erano sfidati a fare più<br />

morti. Al primo posto c’era Mao Tse Tung con settanta milioni di morti, al secondo<br />

posto c’era Stalin con sessantacinque milioni, al terzo Lenin con venti,<br />

al quarto Hitler con quindici, al quinto Chiang Kai-Shek con quattordici e per<br />

ultimo c’era Pol Pot con tre milioni di morti. In tutto fanno 187 milioni! Non<br />

è assurdo?”.<br />

Michele: “Per noi può sembrare assurdo ma non lo era per questi sei che<br />

consideravano le persone come numeri. A questi dittatori non sarebbe importato<br />

di uccidere un milione di persone in più. Secondo me la discriminazione<br />

é causata da una profonda ignoranza. Ora che ci penso, tuo padre che<br />

é molto colto rispetta chiunque, mio padre che sa a malapena leggere e scrivere<br />

odia certe persone senza motivi validi”.<br />

Giacomo: “L’ignoranza é il male peggiore che ci possa essere. Forse hai ragione.<br />

Secondo me però la discriminazione non é causata da ignoranza. <strong>La</strong> discriminazione<br />

è ignoranza”.<br />

116


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

E qui finì la loro discussione.<br />

Un giorno ,nel frattempo che la mamma preparava il pranzo, Giacomo stava<br />

leggendo le poesie sul libro che non avevano letto a <strong>scuola</strong> per questioni di<br />

tempo. Arrivati al capitolo su Montale lesse una poesia intitolata “<strong>La</strong> storia”:<br />

<strong>La</strong> storia non si snoda<br />

come una catena<br />

di anelli ininterrotta.<br />

In ogni caso<br />

molti anelli non tengono.<br />

<strong>La</strong> storia non contiene<br />

il prima e il dopo,<br />

nulla che in lei borbotti<br />

a lento fuoco.<br />

<strong>La</strong> storia non è prodotta<br />

da chi la pensa e neppure<br />

da chi l’ignora. <strong>La</strong> storia<br />

non si fa strada, si ostina,<br />

detesta il poco a poco, non procede<br />

né recede, si sposta di binario<br />

e la sua direzione<br />

non è nell’orario.<br />

<strong>La</strong> storia non giustifica<br />

e non deplora,<br />

la storia non è intrinseca<br />

perché è fuori.<br />

<strong>La</strong> storia non somministra carezze o colpi di frusta.<br />

<strong>La</strong> storia non è magistra<br />

di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve<br />

a farla più vera e più giusta.<br />

<strong>La</strong> storia non è poi<br />

la devastante ruspa che si dice.<br />

<strong>La</strong>scia sottopassaggi, cripte, buche<br />

e nascondigli. C’è chi sopravvive.<br />

<strong>La</strong> storia è anche benevola: distrugge<br />

quanto più può: se esagerasse, certo<br />

117<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

sarebbe meglio, ma la storia è a corto<br />

di notizie, non compie tutte le sue vendette.<br />

<strong>La</strong> storia gratta il fondo<br />

come una rete a strascico<br />

con qualche strappo e più di un pesce sfugge.<br />

Qualche volta s’incontra l’ectoplasma<br />

d’uno scampato e non sembra particolarmente felice.<br />

Ignora di essere fuori, nessuno glie n’ha parlato.<br />

Gli altri, nel sacco, si credono<br />

più liberi di lui.<br />

Di tutta la poesia Giacomo sostenne pienamente che soprattutto la storia non<br />

é “magistra vitae”, la storia non insegna a non commettere nuovi errori, la storia<br />

é però un esempio da seguire. E aveva ragione. Il suo odio nei confronti<br />

<strong>del</strong>la storia era aumentato anche dai recenti fatti i cronaca: l’apertura <strong>del</strong> processo<br />

per la strage di piazza fontana, gli omicidi <strong>del</strong> terrorismo rosso e soprattutto<br />

la segregazione razziale in Sudafrica che aveva raggiunto anche le scuole.<br />

I due avevano già scelto di intraprendere la strada <strong>del</strong> Liceo Scientifico e si<br />

preparavano a nuovi compagni, nuovi insegnanti e molto altro. Il compasso<br />

<strong>del</strong>la vita stava, insomma, aumentando il suo diametro. Ormai non erano né<br />

grandi ma nemmeno poi tanto piccoli ed é l’età più difficile per tutti proprio<br />

per questo.<br />

ROMA, SETTEMBRE 1978.<br />

raccont Abile<br />

Per l’Italia quello è stato un anno orribile e per le strade non si parlava d’altro<br />

che di brigate rosse e Aldo Moro, ucciso da queste il Maggio scorso. I<br />

due crescevano e ormai si rendevano conto degli avvenimenti perché il bambino<br />

che era in loro ormai è scomparso, rapito dall’adolescente che a sua<br />

volta sarà rapito dall’adulto. Quello che ancora non riuscivano a fare era prendere<br />

una posizione decisa, un passo che avrebbero fatto a breve.<br />

Il primo liceo lo trascorsero completamente immersi negli argomenti <strong>del</strong>la<br />

nuova società liceale. L’impatto con la nuova <strong>scuola</strong> non fu brusco, come non<br />

lo fu nemmeno quello tra le elementari e le medie. Sembrava che non fosse<br />

118


cambiato niente, e invece il cambiamento stava per arrivare. Il primo anno furono<br />

immersi di equazioni, monomi e polinomi, frazioni algebriche, popoli<br />

<strong>del</strong>l’antichità, e altri argomenti <strong>del</strong> primo liceo. Stavano imparando una<br />

nuova lingua, il latino, che a Giacomo sembrava piacere molto mentre non<br />

attraeva Michele, che tuttavia dava ottimi risultati.<br />

Durante questo periodo incominciarono anche i primi innamoramenti; i due<br />

avevano tentato con molte ragazze ma capirono subito che non erano quelle<br />

giuste. <strong>La</strong> vera svolta avvenne in quarto liceo quando Michele conobbe Federica<br />

e Giacomo conobbe Giulia, due bellissime ragazze che sarebbero diventate<br />

le loro compagne di vita dopo la <strong>scuola</strong>. Anche loro, come le altre, all’inizio<br />

li ignoravano ma poi cominciarono a frequentarsi e il resto è venuto da se.<br />

Quello che successe nello specifico durante gli anni <strong>del</strong> liceo é troppo lungo<br />

da raccontare, ma il passo più importante avvenne ora. Fino al quarto liceo i<br />

due non avevano ancora preso una posizione ideologica ed é qui che i due<br />

amici, finora d’accordo su tutto, cominciarono a maturare idee diverse. Il<br />

compasso <strong>del</strong>la vita aveva ormai raggiunto un diametro notevole. Giacomo<br />

rimase quello di prima, nel senso che per lui la discriminazione rimaneva sbagliata,<br />

mentre Michele cominciò a non pensarla così. Questo conflitto di idee<br />

si sarebbe ampliato l’anno successivo, quando avrebbero studiato storia contemporanea.<br />

1982<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Arrivati al quinto anno ormai non erano più spaventati di riaffrontare il nazismo.<br />

Anzi, non vedevano l’ora di mostrare la loro preparazione sul Novecento,<br />

il periodo storico che avrebbero portato all’esame di maturità. Il<br />

programma <strong>del</strong>l’ultimo anno era abbastanza impegnativo e i due dovettero<br />

studiare sul serio per raggiunger i risultati che avevano sempre raggiunto.<br />

Gli esami di maturità si avvicinavano e i due continuavano a portare gli argomenti<br />

che avevano portato alle elementari e alle medie. L’esito degli esami<br />

fu ottimo: entrambi si diplomarono a pieni voti e decisero di diventare insegnanti<br />

di Liceo o addirittura insegnanti universitari.<br />

119<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Durante i primi mesi estivi si erano disputati i mondiali di Spagna e l’Italia<br />

aveva vinto. Per le strade capitoline comparivano striscioni che, ironicamente,<br />

offendevano la Germania. In strada i festeggiamenti continuavano giorno e<br />

notte. I giocatori e l’allenatore vennero ritratti su uno striscione quasi come<br />

divinità. I nomi di Scirea, Zoff, Rossi erano sulla bocca di tutti anche dopo<br />

l’estate. Ciò che scatenò questa euforia non era solamente legata a motivi calcistici<br />

ma anche a motivi storici. In Germania gli italiani venivano ancora<br />

considerati dei voltafaccia perché dopo l’armistizio <strong>del</strong>l’8 Settembre 1943 diventammo<br />

un paese alleato e la Germania restò sola nel pieno <strong>del</strong>la guerra.<br />

Alcuni tedeschi pensavano che se la Germania era divisa dal muro la colpa era<br />

anche degli italiani. Nel turbine di queste manifestazioni sportive, i due poterono<br />

ben comprendere come l’Italia fosse felice per aver sconfitto la Germania,<br />

stavolta fortunatamente su un campo di calcio e non su un campo di<br />

battaglia.<br />

Dopo la <strong>scuola</strong> cominciarono i primi litigi tra due amici che ormai sembravano<br />

inseparabili. A causa <strong>del</strong>le relazioni sentimentali con le loro ragazze passavano<br />

sempre meno tempo insieme. I due si erano fatti anche altri amici e il<br />

loro rapporto non era più stretto come prima. Verso la fine <strong>del</strong>l’estate Michele<br />

perse anche suo padre in un incidente autostradale e la sua situazione familiare<br />

non era ottima. Inoltre, avevano ormai sviluppato le loro idee politiche<br />

e sociali che assumevano un ruolo sempre più determinante nella vita di tutti<br />

i giorni e che sarebbero diventate il fondamento <strong>del</strong>la loro vita quando sarebbero<br />

diventati adulti. Dopo gli esami continuarono a vedersi per circa un<br />

anno e poi non si incontrarono più.<br />

Nel 1986 si laurearono e diventarono insegnanti di alto livello. Michele divenne<br />

insegnante di matematica, mentre Giacomo divenne insegnante di lingue<br />

e letterature europee. <strong>La</strong> loro passione per lo studio era sempre grande<br />

e il loro sogno di diventare ottimi insegnanti si era avverato. Ma quei maledetti<br />

ideali li avrebbero resi schiavi per sempre. Nel giro di pochi anni accaddero<br />

eventi storici di particolare rilevanza.<br />

Nel Novembre <strong>del</strong>l’89 era stato abbattuto il muro di Berlino e iniziava la riunificazione<br />

tedesca. Nel 1990 terminava la guerra fredda. In questi anni inizia<br />

la guerra in Jugoslavia. Nel 1991 era morto Enver Hoxha lasciando<br />

l’Albania in un’arretratezza economica da record. Nello stesso anno nacque<br />

120


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

la nazione russa che soppiantò l’URSS. Nel 1994 Nelson Man<strong>del</strong>a fu scarcerato<br />

e fu l’inizio <strong>del</strong>la fine <strong>del</strong>l’apartheid.<br />

E, anche se questo non é un evento storico, nel 1993 Michele e Giacomo divennero<br />

padri. Michele ebbe un figlio che chiamò come suo padre, Carlo.<br />

Giacomo ebbe una bellissima figlia che chiamò come sua madre, Rita.<br />

ROMA, 1° SETTEMBRE 1997<br />

Ciò che determinerà il loro ultimo incontro ha un preciso retroscena storico.<br />

L’Albania era sull’orlo <strong>del</strong>l’anarchia dopo la caduta <strong>del</strong>l’URSS. <strong>La</strong> crisi economico-sociale<br />

albanese causò un’ondata migratoria soprattutto verso l’Italia.<br />

I campi d’accoglienza si facevano sempre più sovraffollati e molti profughi<br />

furono rispediti al loro paese. Come succede sempre in queste situazioni, la<br />

gente assume posizioni diverse e non mancano le risse e i cortei. Per il 1° Settembre<br />

era stata programmata una manifestazione contro le ondate migratorie<br />

degli albanesi, ma allo stesso tempo c’era anche chi manifestava contro la<br />

mancata accoglienza degli immigrati.<br />

Erano quattordici anni che non si erano nemmeno più sentiti, dal 1983, ma si<br />

sarebbero rivisti per un ultima volta proprio in quella maledetta manifestazione.<br />

Michele era schierato nel corteo di chi non voleva un’altra ondata migratoria<br />

mentre Giacomo era dalla parte opposta. Le forze <strong>del</strong>l’ordine pullulavano e<br />

la polizia era pronta a caricare in caso di disordine. Il corteo dov’era Michele<br />

avanzò rapidamente contro quello di Giacomo e la rissa si faceva inevitabile.<br />

<strong>La</strong> polizia cercava di disperdere la folla lanciando fumogeni e usando proiettili<br />

di gomma ma era inutile. Michele cercava di fuggire ma si trovò circondato<br />

da quelli <strong>del</strong> corteo opposto che lo bloccavano. Anche Giacomo aveva paura<br />

ma era risoluto, non voleva mollare e il massacro si faceva sempre più grande.<br />

D’un tratto, tra le botte e i feriti, si incrociarono i loro sguardi e non si sa come,<br />

si riconobbero all’istante. Ma fu un attimo prima che Michele fu colpito al<br />

petto da un proiettile di pistola sparato da un manifestante. Giacomo gridò il<br />

nome <strong>del</strong>l’amico con tutte le sue forze e gli si avvicinò dicendo:”Michele! Rispondi<br />

Michele! Sono io, Giacomo, non mi riconosci? Alzati! Si sistemerà<br />

tutto! Ti porterò all’ospedale, riuscirai a salvarti, alzati!” ma era tutto inutile.<br />

121<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Michele, ferito a morte, vide riflessa in una vetrina l’immagine di due bambini<br />

che giocano in piazza, poi sposta lo sguardo e vede il suo Giacomo tornato<br />

bambino che lo invitava a rialzarsi perché era caduto giocando a girotondo. In<br />

un flashback rivive tutta la sua infanzia con una melodia che gli risuona nelle<br />

orecchie. I momenti più belli <strong>del</strong>la sua vita gli stavano facendo capire quanto<br />

fosse stato stupido morire così. Tutte le belle giornate trascorse col suo migliore<br />

amico, un amico che ora si trovava dall’altra parte <strong>del</strong>la folla. Tutte le<br />

volte che hanno giocato insieme in quella maledetta piazza. I giorni di <strong>scuola</strong><br />

con le loro bellissime pagelle. I primi amori. Quel maledetto giorno in cui una<br />

foto sul libro di storia cambiò la loro vita. Mentre questi pensieri gli balenavano<br />

nella mente, Giacomo lo incitava inutilmente a rialzarsi, dicendo che lo<br />

avrebbe soccorso. Poco prima di spirare queste furono le sue ultime parole:”Vai<br />

a dire a mio figlio che papà tornerà presto” e gli diede il suo indirizzo<br />

senza dire altro. Intanto, la polizia era riuscita a disperdere la folla e Giacomo<br />

era svenuto per le ferite. Quando si svegliò era al pronto soccorso. Il medico<br />

gli disse che non era poi così grave e che sarebbe stato dimesso presto. Nello<br />

stesso posto notò altre persone che si trovavano alla manifestazione ed erano<br />

quasi tutti codici rossi o gialli, e molti non sarebbero sopravvissuti. Dopo pochi<br />

giorni lasciò l’ospedale e andò subito dove gli aveva detto Michele prima di<br />

morire. Seguendo l’indirizzo arrivò in una stradina di campagna che non aveva<br />

mai percorso. Sulla soglia c’era la moglie di Michele che già aveva saputo <strong>del</strong>la<br />

morte <strong>del</strong> marito. Vicino alla madre c’era anche il figlio Carlo. Giacomo vide<br />

con le lacrime agli occhi quanto assomigliasse a suo padre e, invece di fare ciò<br />

che si era prospettato, cercò di non farsi notare. Pensava a come sarebbe stata<br />

bella quella famiglia se ci fosse stato anche Michele. Non si può perdere un<br />

padre a quattro anni, non si può ricordarlo come uno sconosciuto. Ciò che<br />

aveva fatto non se lo sarebbe mai perdonato: Giacomo aveva dimostrato che<br />

un’ideale può diventare più importante <strong>del</strong>la vita di colui che considerava<br />

come un fratello, e ora non riusciva a reprimere la terribile vergogna per quello<br />

che aveva fatto. Continuava a piangere mentre tornava a casa. <strong>La</strong> sua tristezza<br />

aumentò quando vide dei bambini giocare nel cortile di una <strong>scuola</strong>. Troppo<br />

tardi si era reso conto che gli unici essere umani al mondo che non avrebbero<br />

mai fatto <strong>del</strong> male a nessuno erano loro, i bambini. Per rimediare decise di<br />

sostenere economicamente la famiglia di Michele, ma non poteva fare di più.<br />

Tornato a casa Giacomo guarda il tramonto su Roma dal terrazzo di casa sua,<br />

con un sorriso sulle labbra ma con una profonda tristezza nel cuore. Giran-<br />

122


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

dosi, vede se stesso bambino. Finalmente Giacomo ha ritrovato la serenità,<br />

non lasciandosi trasportare da ideali politici ma seguendo i pensieri umili di<br />

un bambino. <strong>La</strong> perdita di colui che considerava il suo unico amico gli fece<br />

capire più di ogni altra cosa che la vita offre molto di più.<br />

123<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

VALENTINA SFORZA<br />

Liceo Classico indirizzo Linguistico “Orazio”, Roma<br />

“Uno di noi”<br />

raccont Abile<br />

Marco era seduto al tavolo <strong>del</strong>la caffetteria “Coffee Art”, guardava fisso davanti<br />

a sé la porta d’entrata, ad ogni persona che entrava aveva un sussulto al<br />

cuore: aspettava una ragazza, Elisa, una giornalista <strong>del</strong> quotidiano <strong>del</strong> paese.<br />

Fuori il cielo era illuminato dai fulmini e la pioggia incessante batteva sulle<br />

vetrine <strong>del</strong>la caffetteria, la gente si affrettava con gli ombrelli aperti alle fermate<br />

degli autobus o al riparo sotto ai palazzi.<br />

Elisa arrivò e sedette al tavolo di fronte a Marco, togliendosi giacca e sciarpa<br />

e scuotendo i lunghi capelli bagnati. Dopo aver ordinato <strong>del</strong>la cioccolata<br />

calda, iniziò a spiegargli di cose avrebbe dovuto parlare e su cose avrebbe<br />

dovuto soffermarsi a descrivere; poi prese dalla tasca <strong>del</strong>la giacca un piccolo<br />

registratore, lo accese e l o mise sul tavolo.<br />

“Io scriverò questo articolo, solo perché tu me lo hai chiesto. So che i ricordi<br />

che riporterai alla mente saranno dolorosi per te, ma come hai detto tu ‘i ragazzi<br />

devono sapere a cosa vanno incontro e quali sono le difficoltà di una<br />

persona come te’”, gli ripeté Elisa.<br />

“Una persona come me” esatta mente la frase che Marco si era sentito dire<br />

tante e tante volte da due anni a questa parte: “Una persona come lei certamente<br />

avrà difficoltà nella sua vita, sicuramente avrà bisogno di aiuto...”<br />

Guardando fuori dalla vetrina, Marco iniziò a raccontare: “Avevo ventitrè anni<br />

quando sono partito con i miei compagni, in quella che doveva essere una ‘missione<br />

di pace’ nella striscia di Gaza, per disinnescare mine antiuomo sepolte.<br />

Quando arrivammo, ci rendemmo conto <strong>del</strong>la situazione: nell’aria c’era<br />

l’odore <strong>del</strong>la polvere da sparo e il fischio dei missili; fummo attaccati più<br />

volte, ma ci difendemmo senza ricevere o fare grandi danni alle costruzioni<br />

civili”. Ora Marco parlava, forse senza rendersi conto, a ruota libera, continuando<br />

a guardare la gente che correva aldilà <strong>del</strong>la vetrina.<br />

124


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

“Giunti ormai alla penultima settimana di missione, le cose sembravano più<br />

tranquille. Mi ricordo che eravamo di pattuglia per le strade quando vidi che<br />

vi era un gruppo di ragazzini intenti a giocare con un vecchio pallone in un<br />

campo sabbioso. Per un calcio più energico il pallone andò a finire in un campo<br />

vicino, il campo che stavamo ‘ripulendo’. Mi resi subito conto <strong>del</strong> pericolo e<br />

corsi incontro a quel ragazzo spingendolo via, ma... poi il buio. Mi risvegliai nell’ospedale<br />

militare. E mi resi conto di non avere più una gamba. Tornato in patria,<br />

all’inizio avevo vicino i miei amici e la mia famiglia che mi confortavano;<br />

ma quando loro non c’erano mi guardavo intorno: nella mia stanza vi erano<br />

ovunque coppe e medaglie che avevo vinto a <strong>scuola</strong> nelle gare di atletica. Non<br />

potevo rimanere lì, uscivo, ma negli occhi <strong>del</strong>la gente che mi fissava vi era diffidenza,<br />

non sapevano come comportarsi, sembravano non aver mai visto un ragazzo<br />

con una gamba sola, debole e inutile su una sedia a rotelle”.<br />

Marco bevve un sorso di cioccolata e guardò gli occhi di Elisa: erano colmi<br />

di lacrime.<br />

“Al dolore fisico si aggiungeva la rabbia, la rabbia di vivere in un paese civile,<br />

‘avanzato’, ma che è completamente disorganizzato e indifferente nei confronti<br />

di chi è come me.<br />

Prima non mi ero mai soffermato a pensare ai piccoli gesti quotidiani che potevo<br />

normalmente svolgere, ma ora, ora, mi rendo conto <strong>del</strong>l’importanza di<br />

quei gesti: sai cosa significa non riuscire a poter prendere l’autobus perché<br />

questi non hanno le pedane apposite, voler attraversare la strada, e non poterlo<br />

fare, no, perché le macchine sono parcheggiate davanti agli scivoli o<br />

perché i marciapiedi stessi sono troppo stretti? Voler andare al cinema, ma il<br />

bancone <strong>del</strong>la biglietteria è alto, troppo, e, i negozi hanno davanti sempre<br />

uno scalino da salire; oppure andare in un ufficio anche pubblico e sentirti<br />

dire che l’ascensore non funziona o neanche c’è?”.<br />

Elisa lo fissava, non sapeva cosa dire; nei suoi occhi e nella sua voce tremante<br />

non si nascondeva la rabbia, ma il desiderio <strong>del</strong>la dignità. Lui voleva essere<br />

autosufficiente.<br />

Elisa capiva il suo disagio:<br />

“So che da alcuni mesi dirigi un programma alla radio, e che stai diventando<br />

famoso per il tuo impegno sociale. Raccontami un po’ di questo lavoro... cosa<br />

ti proponi?”.<br />

Marco fece un profondo respiro e si rivide dietro il microfono <strong>del</strong>la radio,<br />

come ogni mattina, a parlare con la gente che voleva denunciare la mancanza<br />

o il malfunzionamento <strong>del</strong>le infrastrutture e dei servizi.<br />

125<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

“Il mio programma aiuta molte persone a parlare e, parlando di questi problemi<br />

riusciamo ad affrontarli. Ogni mattina, giorno dopo giorno, do loro<br />

conforto e consigli per superare una depressione come quella che ho avuto<br />

io dopo il ritorno a casa; e tra un argomento e l’altro metto <strong>del</strong>la musica che<br />

aiuta lo spirito. Spero di essere d’aiuto. Attualmente sto cercando di smuovere<br />

l’opinione pubblica affinché tutti possano ritornare ad avere la possibilità<br />

di camminare, se non con le proprie gambe, almeno con l’ausilio di<br />

protesi, come quelle di Alessandro Zanardi, il campione di formula uno”.<br />

Il suo sguardo si era illuminato; la radio per Marco era importantissima, era,<br />

come la definiva lui “la miglior cosa che aveva fatto da quando era tornato”.<br />

Elisa capì che per Marco era sempre stato importante aiutare gli altri, e lo<br />

aveva dimostrato prima andando in missione di pace, poi lavorando alla radio.<br />

Marco guardò fuori dalla vetrina: aveva quasi smesso di piovere, la gente ritrovava,<br />

almeno in apparenza, un po’ di calma, nel cielo si vedevano le prime stelle.<br />

“Vedi, la cosa che ogni giorno ci dà la forza di andare avanti è proprio questa:<br />

come dopo ogni temporale ritorna l’azzurro <strong>del</strong> cielo, dopo le difficoltà<br />

ci deve essere giustizia. Tu devi far capire nel tuo articolo che noi portatori<br />

di handicap vogliamo sentirci persone normali, perché siamo normali e abbiamo<br />

diritto alla dignità come ogni uomo”.<br />

Elisa spense il registratore, rassicurandolo che l’articolo sarebbe stato pubblicato<br />

il giorno seguente. Disse “Domani leggi il giornale il titolo <strong>del</strong> pezzo<br />

sarà ‘UNO DI NOI’”.<br />

Marco sorrise, e disse: “Domani ascoltami alla radio, ti dedicherò una canzone”.<br />

126


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

FRANCESCO SIRACO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

<strong>La</strong> brutta storia di un uomo tondo e di uno quadrato<br />

Nel paese di Bubblandia tutto è tondo. Le case sono tonde come uova, e così<br />

le chiede. <strong>La</strong> televisione è tonda, il letto circolare. Le strade, le auto, i lampioni,<br />

i tavoli, i gatti, le camicie, gli alberi, le trombe e le chitarre, le storie e<br />

le poesie. Tutto quanto è privo di angoli.<br />

Le parole stesse. Le parole sono sinuose, sferoidali.<br />

Le lettere curvano, si inclinano, si ingobbano, si torcono e creano linee curve<br />

nello spazio, circonferenze, ellissi, iperboli di parole. Si diceva che persino le<br />

idee, a Bubblandia, fossero tonde. Che i pensieri dei suoi abitanti fossero ricchi<br />

di purezza, pieni di saggezza, colmi d’amore.<br />

<strong>La</strong> mia storia, è una storia triste.<br />

<strong>La</strong> mia storia, è una storia felice.<br />

<strong>La</strong> mia storia comincia in un giorno di ottobre, in un giorno di vento. In casa<br />

mia regnava sempre un sottile silenzio, un’atmosfera sferica. Di giorno, di<br />

notte, tra le onde <strong>del</strong> tempo, vivevamo da Bolle una vita chimerica.<br />

E orgogliosi eravamo, <strong>del</strong>la nostra condizione, figli tondi di genitori tondi in<br />

un mondo fatto apposta per noi, un mondo intero, un mondo tondo. Vivevamo<br />

da saggi, da nullafacenti, le ore che avevamo. Festeggiavamo la nostra<br />

perfezione, la nostra bellezza. E ci amavamo tra di noi, amore rotondo fatto<br />

di circolari passioni.<br />

Dovete sapere che avevo uno zio, uno zio così tondo da non aver rivale, uno zio<br />

generale <strong>del</strong>la guardia <strong>del</strong> Re, <strong>del</strong>la guardia reale. Questo mio zio, sanguigno parente,<br />

aveva una grossa casa, una casa splendente, costruita sulla cima d’una<br />

bassa collina, da dove guardando si poteva vedere il paese, il paese tondo.<br />

Così, un giorno di ottobre, un giorno di vento, che ero a pranzo lì per una ampollosa<br />

riunione di famiglia, costruii per diletto con un tovagliolo rotondo una<br />

barchetta rotonda, graziosa, bianca. Chiesi a mio zio, che possedeva ettari di<br />

127<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

terreno boscoso, se c’era una zona dove potevo trovare un rivo, un torrente,<br />

dover far navigare lungo rotte sferiche la mia rotonda imbarcazione. Mi indicò<br />

un punto, ai piedi <strong>del</strong>la collina, dove la roccia si apriva lasciando scorrere un<br />

sottile filo d’acqua. Lo ringraziai, e lentamente mi incamminai. Non avevo<br />

fretta, il sole splendeva ed il tempo scorreva adagio, quasi come se stesse prendendosi<br />

una pausa dal suo continuo correre. Incappai in <strong>del</strong>icati fiori ovali, in<br />

colorati uccelli dal becco stondato, in grosse pietre levigate. Mi piaceva rotolare<br />

giù dalla collina a velocità stratosferiche, e ne ero specialmente portato, il<br />

mio sedere così tondo sembrava fatto proprio per questo.<br />

Piano piano arrivai dentro il bosco, dove l’afa lasciava posto ad un caldo fosco.<br />

Boccolosi erano i rami, curiose le creature, nel folto <strong>del</strong> bosco, nell’ombra<br />

dei salici, vicino il torrente, dove sfocia la sorgente.<br />

* * *<br />

raccont Abile<br />

noi siamo squadrati e pieni di angoli, siamo sporchi e puzziamo, ci piace vivere<br />

sotto il terreno e gridare, ci piace cantare canzoni stonate, che non profumano<br />

di viole, ci piace essere spigolosi, ci piace fumare e bere, ci piacciono<br />

quei giochi in cui si suda e ci si strappa la maglietta, ci piace il rumore, ci piace<br />

dormire di più e non sapere <strong>del</strong> sole, ci piace quando piove e quando ci rimaniamo<br />

male, ci piace scrivere poesie che parlano solo di noi, poesie che parlano<br />

di sesso e droga, ci facciamo schifo, ma ci amiamo per questo. oggi sono<br />

stato a trovare mio zio, che fa il capo <strong>del</strong>l’esercito, non m’ha offerto il caffè perché<br />

qui sottoterra non ce n’è, e si va avanti a scotch, se va bene, allora mio zio<br />

m’ha offerto un bicchiere di whiskey, mio zio è una brava persona.<br />

mentre uscivo mi sono accorto che non c’avevo niente da fare, ma che c’avevo<br />

un sacco di tempo per farlo, così ho preso una bottiglia dalla cantina e sono<br />

andato verso il quartiere ricco, dove ci stanno sempre un sacco di straccioni<br />

che raccontano belle storie. in mezzo alla strada c’era un’ambulanza su cui<br />

stavano caricando uno che s’era tuffato dalla finestra per la noia. meglio chiamare<br />

un prete, dico io. e se lo vedevate lo dicevate anche voi. aveva la testa<br />

spaccata a metà. la noia fa brutti scherzi, e la gravità ne fa di peggio.<br />

comunque, cammina e cammina sono arrivato quassù, tra gli straccioni più<br />

ricchi di tutta la città, ognuno con almeno un paio di belle storie da raccontare.<br />

mi metto seduto e ascolto un vecchio matto che attacca a dire così “era<br />

bello là fuori, cent’anni fa saranno stati, che ho scoperto come si usciva da<br />

qua. e l’ho fatto, vi dico, me ne sono andato. ho scoperto la strada per an-<br />

128


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

darmene e me ne sono andato. poi però me la sono dimenticata...” wow,<br />

penso io. “...a forza di whiskey. però c’ho ancora i segni, un enorme mostro<br />

con un’enorme pancia rotonda m’ha colpito e rimandato indietro, non ci vedevo<br />

niente io, per via <strong>del</strong>la luce, così questo gigante m’ha dato un colpo con<br />

la pancia e m’ha fatto ruzzolare giù fino a qua”.<br />

stronzate, penso io. però mi provo a immaginare come sarà lì fuori, se davvero<br />

c’è un lì fuori, dove splende un sole vero, dove c’hanno il caffè. allora<br />

mi dico, se l’ha trovata questo rimbambito la strada, la posso trovare anch’io.<br />

m’allontano e comincio a pensare. se c’è un modo di uscire, sicuramente è in<br />

alto, sicuramente. salgo salgo salgo salgo e non trovo niente. sto sopra alla<br />

città. nel punto più in alto che c’è, appena sotto lo strado di roccia che ci copre<br />

la testa. mi siedo e cerco, con gli occhi, una luce vera. come me la immagino<br />

io la luce <strong>del</strong> sole. bianca e intensa, non come un grosso lampione, ma come<br />

il bianco degli occhi di quel vecchio. come il rosso <strong>del</strong> whiskey di mio zio.<br />

e poi mi viene un’idea. me ne vado al fiume, coperto di barche e gondolieri che<br />

fischiettano stonati. do un goccio ad andrea, il mio amico traghettatore, e gli<br />

chiedo di portarmi il più vicino <strong>possibile</strong> alla cascata da cui affluisce il fiume. mi<br />

ci porta, si ferma a un centinaio di metri. scendo, lo ringrazio e incomincio a risalire<br />

la costa a piedi. questo posto è sempre così desolato, ci si bagna le ossa, e<br />

qua sotto non è che ci si possa asciugare così facilmente. arrivato proprio sotto,<br />

alzo la testa tra gli schizzi per cercare di capire da dove, esattamente, scenda<br />

l’acqua. c’è una fessura nella roccia alta un paio di spanne e lunga una ventina.<br />

da qualche porte dovrà pur venire quell’acqua. comincio ad arrampicarmi, arrivo<br />

su, mi infilo prepotentemente nella fessura facendo forza sulla pressione<br />

<strong>del</strong>l’acqua. e mi ritrovo in una caverna rischiarata. Esco dall’acqua. zuppo come<br />

sono mi congelerei rapidamente se non fosse per l’adrenalina che mi è salita in<br />

corpo. la caverna è abbastanza grande, coperta in ogni punto da un muschio<br />

verdino che la rende pericolosa per qualcuno che non c’è abituato, ma non per<br />

i miei piedi esperti. comincio a camminare lungo il bordo <strong>del</strong> grosso fiume che<br />

scorre al centro <strong>del</strong>la grotta. dopo pochi passi, noto che il fiume prende una diramazione<br />

diversa da quella che porta alla cascata, un’altra direzione che conduce<br />

ad un sottile rivo che esce dalla caverna attraverso un foro nella roccia.<br />

d’un tratto sento qualcuno cantare, cantare bene, cantare una melodia così ariosa<br />

e felice come non ne ho mai sentite. sento che si sta avvicinando, per la paura<br />

chiudo gli occhi e inciampo. inginocchiato a terra sento gli occhi bruciare, dallo<br />

spiraglio da cui esce il torrente entra una luce misteriosamente forte. mi avvicino<br />

e vedo che c’è abbastanza spazio per guardare fuori. guardo.<br />

129<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

vengo abbagliato da una luce sorprendentemente intensa. bianca e intensa,<br />

come il bianco degli occhi di quel vecchio. come il rosso <strong>del</strong> whiskey di mio zio.<br />

* * *<br />

Quel giorno era un giorno di sole, di vento, di Ottobre. Le ombre <strong>del</strong> bosco<br />

non mi davan paura, nelle mani <strong>del</strong> mondo la mia vita era sicura. Era un<br />

mondo tondo, non poteva far male. Non avevo timore, non temevo dolore.<br />

Finché quel giorno di vento, quel giorno d’Ottobre, giocando al ruscello, con<br />

un tondo battello, incrociai nell’ombra lo sguardo <strong>del</strong> male, lo sguardo <strong>del</strong><br />

buio, lo sguardo <strong>del</strong>l’uomo quadrato, <strong>del</strong> nero soldato.<br />

Crollò nel silenzio, nel folto <strong>del</strong> bosco, il mio mondo tondo. Io credevo che<br />

la luce, credevo che la curva perfetta <strong>del</strong> mio tondo mondo fosse tutto ciò che<br />

esisteva. Quel mostro nel sasso, rese il mio cerchio al collasso.<br />

* * *<br />

eccola! vive nella luce, la bestia, la bestia dall’enorme pancia, la belva rotonda,<br />

con occhi di ghiaccio e mostruose mani gonfie! il sole mi acceca, morirò<br />

presto. sento freddo, mi ha già colpito?<br />

lentamente i miei occhi si abituano, continuo a guardare fuori, e vedo il mostro<br />

immobile. non mi farò intimorire, lo affronterò, gli comincio a gridare<br />

contro. gli grido che lo ammazzerò, che un orribile mostro come lui non<br />

dovrà sopravvivere oltre per impedirci di uscire e di vivere.<br />

* * *<br />

Un’orribile bocca la sua, ed il suo naso affilato come una lama. Mortali saranno<br />

quei suoi denti squadrati, se uscire potrà dalla sua cupa tana. Mi gridò<br />

che mi avrebbe ucciso, mi intimò di fuggire, che niente poteva salvare la mia<br />

tonda pancia, che io, mostro o belva?, sarei dovuto morire. Sembrava un<br />

bambino, cresciuto nel buio, un bimbo quadrato senza conoscenza. Io non<br />

ero una belva, non ero una bestia, ero un uomo tondo in un mondo tondo,<br />

un uomo normale nel mio mondo normale. Così la paura si trasformò in pena,<br />

e sussurrandogli le mie buone intenzioni mi avvicinai appena.<br />

* * *<br />

raccont Abile<br />

130


si avvicina. mi vuole mangiare, o spedire nel buio, è qui a controllare che nessuno<br />

esca. penso questo, mentre lo vedo abbassare le sopracciglia e chiudere<br />

la bocca. lui cammina verso di me, è così grasso, lo ammazzerò, lo ammazzerò!<br />

Io vedo bene ora, sta parlando, lo posso capire! mi invoca pietà? no,<br />

non è paura la sua, non sta chiedendomi di risparmiarlo, sta dicendomi che<br />

non è un mostro, che è un uomo normale, che nessuno dei due è un mostro<br />

ma che io sono un bambino quadrato. sorride! non mi fido di lui, però rimaniamo<br />

così e non mi mangia. ci guardiamo, e non mi mangia, avrò bevuto<br />

troppo, penso ora, lui non può essere come me. lui non è come me. vabbé,<br />

mi dico, se non mi mangia magari ha <strong>del</strong> caffè.<br />

* * *<br />

Quel do’ fu l’inizio <strong>del</strong> tacito accordo tra un uomo rotondo ed un bimbo<br />

quadrato, ricordo il suo volto quando uscì dalla grotta, estasiato. Per giorni<br />

continuammo a vedersi io e lui, finché venne il giorno in cui gli raccontai,<br />

<strong>del</strong> mondo rotondo, <strong>del</strong> tempo sì lieto, e lui mi narrò <strong>del</strong>l’ombra e <strong>del</strong> whiskey,<br />

<strong>del</strong> canto stonato.<br />

Così io raccontai, a mio zio, generale, <strong>del</strong>l’uomo scoperto nel bosco autunnale,<br />

di un bimbo non tondo, ma duro e quadrato. E <strong>del</strong> mondo che esiste sotto la<br />

terra, dove ricchi barboni raccontano fantastiche storie. Lui non si voltò, ma<br />

prese il telefono e chiamando gridò “all’armi! Distruggiamo le scorie!”<br />

* * *<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

oggi ci rivediamo, come sempre, io e il amico ciccione, fuori dalla grotta, e gli<br />

chiederò di accompagnare me e i miei amici in giro per il mondo rotondo, così<br />

che possiamo vedere che c’è. però è già tardi, sono qui fuori, i miei compagni si<br />

stanno innervosendo e sono sempre più convinti che stavo mentendo, e il tondo<br />

non si vede. è la prima volta che ritarda così tanto. l’ultima volta m’ha raccontato<br />

tutte quelle cose, su suo zio e sulle case tonde, ma cavolo s’è quasi fatto buio! mi<br />

giro e vedo <strong>del</strong>le torce in lontananza, centinaia di torce, e centinaia di cavalli e cavalieri<br />

tondi, ci vengono incontro al galoppo, non dovevo fidarmi, scappo, scappo<br />

nella grotta, li vedo arrivare. aiuto, sono qui, mi tuffo nel fiume e con un salto arrivo<br />

di sotto. e non faccio in tempo a cadere che arriva la guerra, gli uomini tondi.<br />

sono qui per la terra, sono qui per la gloria. sono qui perché sono diversi da noi,<br />

perché non saranno mai come noi, e dobbiamo combatterli.<br />

131<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

* * *<br />

raccont Abile<br />

E allora perché. Quello che chiedo è perché. Perché un uomo tondo, perché<br />

un uomo quadro, perché non tutti uomini in un mondo a soqquadro? Perché<br />

le battaglie, perché la gloria? Perché siamo costretti ad odiarci, a stroncarci,<br />

per avere soltanto un pezzetto si storia? Perché la notte, cupa com’è,<br />

ed il giorno felice, giocondo, solare e fecondo, devono sempre competersi il<br />

mondo? Perché non ogni uomo ama ed è amato, da un uomo rotondo e da<br />

uno quadrato?<br />

132


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

ANDREA SORRENTINO<br />

Liceo Classico “Luciano Manara”, Roma<br />

Io vengo per condurvi all’altra riva<br />

Era sera, avevamo da poco finito di mangiare, mia moglie ed io stavamo per<br />

sistemare le nostre stoviglie di legno, un ricordo di mio nonno, i miei ragazzi<br />

stavano per andare a letto, quando incominciarono a fischiare sulla nostra<br />

testa le prime pallottole.<br />

Anche se il cielo era sereno, si videro i primi lampi, erano le bombe che cadevano<br />

vicino a casa nostra.<br />

Si sentivano le raffiche di mitra prima lontane poi sempre più vicine, troppo.<br />

Nei giorni precedenti c’erano stati tafferugli, ma niente di particolare rilevanza,<br />

quella sera invece si toccò il fondo.<br />

Anche se cercavo di rimanere lucido, la paura e l’ansia crescevano, sentii<br />

un nodo alla gola e il battito accelerato, che fare? Decisi, come padre, di<br />

svegliare i ragazzi velocemente, cercando però di non far trapelare la mia<br />

paura.<br />

Uscimmo lasciando tutto quello che avevamo, frutto di una fatica durata una<br />

vita. Alcune cose ce l’avevano regalate i Belgi per il lavoro, forse infame dei<br />

nostri antenati, che fecero le spie per il governo belga. Io invece ero diventato<br />

da poco un diplomatico.<br />

Appena usciti vedemmo madri che piangevano la morte dei figli e altri figli,<br />

rimasti vivi per miracolo, straziati dal dolore <strong>del</strong>la perdita dei genitori.<br />

Era aprile <strong>del</strong> 1994, il nostro presidente era morto e il genocidio dei Tutsi era<br />

purtroppo incominciato. Gli stessi colonizzatori belgi, che ci avevano appoggiato,<br />

ci avevano abbandonato nei nostri problemi senza interessarsi più<br />

di noi, perché non servivamo più.<br />

Mi ricordo che quella sera tutti cercavano di fuggire da ogni parte, non si capiva<br />

più niente, tutti avevano perso il lume <strong>del</strong>la ragione ed erano in preda al<br />

<strong>del</strong>irio. Gli Hutu erano sempre più vicini, forse troppo.<br />

133<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Le persone si accalcavano le une sulle altre pur di trovare scampo da quella<br />

terribile strage. <strong>La</strong> disperazione e la paura serpeggiavano ovunque.<br />

Stavo correndo, come non avevo mai fatto in vita mia, senza sapere dove<br />

stavo andando. Alle mie spalle avevo la mia famiglia, il tempo di distrarmi per<br />

pochi secondi e, voltatomi in dietro, mi accorsi che non c’erano più i miei<br />

cari, tentai di cercarli rapidamente, ma fu un tentativo vano, si erano dissolti<br />

nel nulla, come se si fossero polverizzati. Fui preso da una forte agitazione e<br />

dal panico, ma ormai non potevo più tornare indietro, allora incominciai a<br />

piangere amare lacrime. In quel momento ero consapevole di aver perso<br />

tutto quello che avevo di realmente prezioso. Sapevo che la mia vita, se fossi<br />

sopravissuto, non sarebbe più stata la stessa.<br />

I ricordi si fanno sempre più confusi. Ad un certo punto vidi un camion e<br />

senza pensarci troppo mi nascosi dentro insieme ad altre persone, fuggite<br />

anche loro. Il camion condotto da tipi un po’ loschi partì immediatamente.<br />

Penso di non aver mai pregato tanto in vita mia come quella volta. Appena saliti<br />

subito ci chiesero di pagare una cifra esorbitante per quello che chiamavano<br />

il viaggio <strong>del</strong>la speranza, diedi il mio costoso orologio da polso l’unica cosa che<br />

mi era rimasta addosso casualmente insieme al mio passaporto diplomatico.<br />

Eravamo tutti stipati uno sull’altro, non esisteva più né dignità né privacy. Era<br />

la prima volta che toccavo con mano la miseria e la disperazione più profonda.<br />

Avevo accanto gente di ogni condizione sociale. Avevamo poca acqua e poco<br />

cibo, che non dovevamo sprecare a nessun costo, se volevamo sopravvivere.<br />

In questi casi nell’uomo emergono gli istinti più remoti, quelli che non pensava<br />

di avere, che lo fanno simile agli animali, quelli <strong>del</strong>la sopravvivenza.<br />

Dopo un paio di giorni trascorsi in camion, arrivammo nel deserto e lì incominciarono<br />

un po’ i guai per tutti. Ci fecero scendere dal camion, perché<br />

non poteva più proseguire, bisognava continuare a piedi sempre dritto in<br />

un’unica direzione, <strong>del</strong> gruppo che ci aveva accompagnato rimasero solo tre<br />

persone armate fino ai denti con armi da fuoco e da taglio, gli altri invece se<br />

ne andarono lasciandoci i viveri.<br />

Faceva molto caldo e la forte intensità <strong>del</strong> sole si alternava a violente tempeste<br />

di sabbia, che portavano via e ricoprivano ogni cosa, e a notti freddissime.<br />

Ogni notte trascorsa nel deserto non facevo altro che pensare alla mia famiglia,<br />

che non avevo più, la cercavo invano nelle stelle. Il tormento, che mi affliggeva,<br />

era sempre più forte, mi domandavo perché io ero scampato alla<br />

morte e loro no. In questi momenti bui cercavo di farmi forza per andare<br />

avanti e arrivare così nella terra promessa.<br />

134


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

Nel giorno marciavamo forzatamente e ogni passo si faceva sempre più pesante<br />

<strong>del</strong> precedente. Durante una di queste marce una donna incinta si accasciò<br />

a terra per la fatica sovrumana, a cui eravamo sottoposti, allora i<br />

malviventi che ci accompagnavano durante questo viaggio disperato, avendola<br />

vista, le intimarono di rialzarsi immediatamente, perché stava facendo<br />

rallentare tutto il gruppo e la “nave” non li avrebbe aspettati. <strong>La</strong> donna però<br />

non si alzava dicendo che non ce la faceva più, che avrebbe voluto rimanere<br />

lì, i “signori” allora decisero di proseguire il cammino abbandonandola al<br />

proprio destino. Mi imposi che ciò non dovesse accadere e presi la mia razione<br />

di botte, ma decisi lo stesso di tornare indietro, di cedere una parte<br />

<strong>del</strong>la mia razione idrica e di incoraggiarla pur di non abbandonare un essere<br />

umano allo strazio dei rapaci. In queste situazioni, in cui la gente tende a non<br />

essere più lucida, ci vuole uno, meno provato moralmente degli altri, che sia<br />

un leader che incoraggi e amalgami gli altri, decisi di svolgerlo io quel compito.<br />

Mi assunsi la responsabilità di quel gesto. Non sono però né un santo<br />

né un eroe, ma solamente un uomo mosso da pietà verso altri uomini e sono<br />

convinto di aver fatto il mio dovere.<br />

Con molte difficoltà finalmente arrivammo in Libia, dove in un porticciolo<br />

fuori mano, di notte, ci avrebbe aspettato una caretta per transitarci all’altra<br />

riva. Ero consapevole <strong>del</strong> fatto che il viaggio non terminava lì, ma non avete<br />

idea <strong>del</strong>la soddisfazione che provai nel vedere sulla linea <strong>del</strong>l’orizzonte il<br />

mare. <strong>La</strong> speranza si faceva sempre più forte.<br />

Ad attenderci c’erano altri uomini, che ci trattarono peggio di quelli che ci<br />

avevano accompagnato, ci fecero cenno di salire velocemente, perché le guardie<br />

erano vicine, ci strattonavano e spingevano, cercando di farci occupare<br />

meno spazio <strong>possibile</strong> nella caretta. Nel vedere questi uomini privi di pietà e<br />

di sentimenti umani, mi sembrava di vedere il Caronte di un vostro libro, non<br />

ricordo più quale, che ho studiato per passione qualche tempo fa dopo aver<br />

imparato per bene la vostra bella lingua, Caronte con gli occhi pieni di ira e<br />

di fuoco. Sembrava di essere veramente arrivati all’inferno.<br />

<strong>La</strong> nave, se così si può definire, era un ammasso di tavole di legno inchiodate<br />

tra di loro con qualche chiodo arrugginito, era un ex peschereccio e poteva<br />

contenere assai meno persone di quante realmente ce n’erano. Il solo<br />

guardarlo non era di buon auspicio. Mi affidai nuovamente al Signore dicendo<br />

tante di quelle preghiere come non avevo mai fatto. Pensavo: “Signore,<br />

se mi hai fatto arrivare incolume fin qui, fammi arrivare sulla terra ferma, per<br />

favore”. Lo scafista accese il motore e via senza perdere troppo tempo …<br />

135<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

Dopo un po’ nel buio <strong>del</strong>la notte vedemmo <strong>del</strong>le luci blu, lo spavento divenne<br />

palpabile negli occhi degli scafisti, la motovedetta si faceva sempre più<br />

vicina, eravamo stati intercettati. Immediatamente due di noi vennero sistemati<br />

sul motore come scudo.<br />

Incominciarono a buttare la gente in mare, non curandosi se sapessero nuotare<br />

o meno, dicendo che il viaggio finiva lì e di continuare da soli, cercarono di fuggire<br />

più veloce che poterono per scampare all’arresto. Ma furono immediatamente<br />

inseguiti e catturati da un’altra motovedetta giunta in quel momento.<br />

Per fortuna sapevo nuotare, avevo imparato quando ero ragazzo in uno dei<br />

tanti fiumi <strong>del</strong>la mia terra, mentre ero in acqua cercavo di non far bagnare<br />

troppo l’unico documento che avevo, il mio passaporto, che per fortuna era<br />

protetto da una custodia. Venni raccolto da una <strong>del</strong>le motovedette che cercavano<br />

di recuperare tutti noi. Il mio sguardo era fisso e immobile sulla donna<br />

incinta che avevo salvato nel deserto, ormai si era creato un forte legame all’interno<br />

di tutto il gruppo, mi accorsi che non ero l’unico che cercava ovunque<br />

quella donna, che aveva perso il marito la sera <strong>del</strong>l’inizio <strong>del</strong> massacro.<br />

Ci eravamo tutti, chi in un modo, chi in un altro, affezionati a lei. Finalmente<br />

dopo un po’ la vedemmo e fummo tutti contenti.<br />

<strong>La</strong> motovedetta, che era grigia e molto veloce, credo fosse <strong>del</strong>la vostra Guardia<br />

di Finanza, ci accompagnò fino alle coste <strong>del</strong>la Sicilia, a Porto Empedocle,<br />

dove sbarcammo e fummo accolti da medici che ci fornirono una coperta,<br />

perché dire che eravamo infreddoliti era poco, ci nutrirono e misurarono i parametri<br />

vitali. Dopo poco, neanche il tempo di riposarsi un po’, fummo portati<br />

tutti in un grande stanzone insieme ad altri immigrati sbarcati il giorno<br />

prima, cominciarono subito a interrogarci, a chiederci le generalità e a schedarci<br />

come fossimo animali. Mi proposi come interprete dal nostro dialetto<br />

all’inglese, che avevo imparato per accedere alla mia carriera.<br />

Negli occhi dei funzionari trapelava la monotonia <strong>del</strong> loro lavoro, che ogni<br />

sera era sempre uguale, che li portava a stare spesso fuori casa e non li gratificava<br />

molto.<br />

Dopo pochi giorni uscimmo da quel brutto luogo. Mi trovavo in mezzo a una<br />

strada, in un paese che non conoscevo, con una lingua che non parlavo, con<br />

una pelle differente dalla stragrande maggioranza <strong>del</strong>la popolazione, senza<br />

soldi e senza una vita che era stata bruscamente interrotta. Potete solo immaginare<br />

le difficoltà che provai nei primi momenti di soggiorno in Italia,<br />

che mi misero duramente alla prova. Mentre aspettavo che fosse accolta la<br />

136


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

mia richiesta di asilo politico come rifugiato, non essendo il tipo che se ne sta<br />

con le braccia conserte a non fare niente e a godersi il sole e il profumo <strong>del</strong>la<br />

vostra terra, decisi di darmi da fare a trovare un qualunque lavoro e con qualche<br />

difficoltà, anche se non avevo nessuna nozione di edilizia, in cambio di<br />

vitto e alloggio ottenni di lavorare al rifacimento dei muri perimetrali di alcuni<br />

terreni. Ho fatto anche il “vu’ cumpra” vendendo fazzoletti ai semafori<br />

per strada, beccandomi insulti e minacce, perché davo fastidio al business<br />

che gira dietro agli immigrati.<br />

Con la bella stagione poi raccolsi i pomodori nei campi, con tanta fatica e sudore<br />

si guadagnava quel che bastava per vivere.<br />

<strong>La</strong> mattina la trascorrevo sotto il sole cocente, a spaccarmi la schiena, la sera<br />

invece la passavo sui libri che ci davano da studiare al corso serale per imparare<br />

l’italiano.<br />

Spesso, soprattutto nei momenti di maggiore difficoltà, preso dallo sconforto,<br />

mi è venuta l’idea di abbandonare tutto, ma il pensiero <strong>del</strong>la mia famiglia<br />

distrutta, invece che abbattermi, mi faceva puntualmente rinascere<br />

dentro quella forza di volontà che mi ha fatto arrivare fino a oggi.<br />

Per fortuna in questo pianeta esistono anche gli angeli: una sera mentre stavo<br />

parlando in inglese con un mio amico, passa un giovane italiano, vestito bene,<br />

che incomincia ad “attaccar bottone” come dite voi e scopre che sono un exdiplomatico<br />

e viene a conoscenza <strong>del</strong>la mia storia..<br />

Fissiamo un appuntamento per il giorno seguente per prendere un caffè.<br />

Senza accorgermene stavo partecipando ad un colloquio di lavoro. Infatti<br />

quel ragazzo era un grande imprenditore che, meravigliato dal mio inglese e<br />

dal mio racconto, decise, dopo un periodo di prova, di nominarmi Capo Ufficio<br />

Relazioni Estere <strong>del</strong>la sua azienda. In tal modo ho potuto anche continuare<br />

i miei studi e mi sono laureato all’università di Catania in lingue<br />

moderne con 108/110, non è stato facile, anche perché dovevo fare continuamente<br />

avanti e indietro dal luogo di lavoro, però non avete idea <strong>del</strong>la soddisfazione<br />

che ho provato nel vedere le facce di docenti e studenti di fronte<br />

al colore <strong>del</strong>la mia pelle quando mi sentivano parlare. Si tratta di qualche<br />

anno fa in cui esisteva ancora tanto pregiudizio. Grazie al mio stipendio finalmente<br />

ho potuto realizzare uno dei miei sogni: mi sono comprato una bella<br />

casa in riva al mare. Durante questo periodo di tempo ho conosciuto Caterina,<br />

una mia collega, con cui abbiamo intenzione di formare una famiglia, a<br />

lei non importa né <strong>del</strong> mio passato né <strong>del</strong>le differenze culturali che ci sepa-<br />

137<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

rano, anzi dice che sono un punto di unione importante e che così si può conoscere<br />

meglio l’essere umano in generale con tutti i suoi pregi, i suoi difetti<br />

e i suoi sentimenti.<br />

Sono passati diversi anni da quella notte in cui sono sbarcato qui, ormai mi<br />

sono integrato perfettamente, ho imparato a conoscere e a rispettare questo<br />

bel paese con tutte le sue leggi, spesso incomprensibili, ho ottenuto lo status<br />

di rifugiato, sto aspettando di divenire a tutti gli effetti cittadino italiano. Il<br />

ricordo però rimane sempre vivo nella mia testa, il passato non si può cancellare.<br />

Non so se tornerò nel mio paese per vedere come è cambiata la situazione<br />

da quando me ne sono andato, so che al momento mi trovo bene qui<br />

dove sono e non sento la necessità di ritornare, forse perché ho paura <strong>del</strong>le<br />

ferite ancora aperte. Spesso, pensando a tutti quelli che non ce l’ hanno fatta,<br />

ringrazio il Signore per avermi dato quest’opportunità.<br />

Così ho immaginato la storia di un uomo, a cui il destino ha voluto dare una<br />

seconda chance facendolo integrare nel nostro paese, ma esistono anche<br />

molti, spesso dimenticati, che non hanno avuto questa possibilità oppure<br />

sono continue prede di razzismo e violenza.<br />

138


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

MARTINA TURANO<br />

Liceo Classico “Benedetto da Norcia”, Roma<br />

Colori nel buio<br />

È notte. Piove là fuori, c’è vento, il mondo è in ombra, fa buio sempre prima<br />

ormai, sempre troppo presto. <strong>La</strong> luce è spenta, è spento ogni pensiero. Nella<br />

quiete apparente vive la gente, come servi <strong>del</strong>la paura, con gli occhi aperti addestrati<br />

a non vedere, l’animo chiuso entro i confini di se stesso, uguale solo a<br />

se stesso, ricerca ciò che mai da solo troverà. Il fatto è che fa comodo vivere nell’ombra,<br />

vivere chiusi nella stanza personale dove tutto ciò che è mondo o società,<br />

è solo vaneggiamento vago e lontano. Nel buio tutti siamo uguali, nel<br />

buio ci si sta per non vedere le differenze, per non guardare in faccia chi si<br />

scambia per mortale nemico; allora sì, si crede che l’indifferenza sia un buono<br />

scudo. Il diverso, qualunque esso sia, fa paura, la paura segna all’ombra <strong>del</strong><br />

mondo. Fa paura chi si affaccia fuori alla finestra, chi è disposto ad aprire se<br />

stesso al caos di fuori, chi lo ascolta e ne fa musica. Solo per pochi è davvero<br />

giorno; solo per pochi la società ha davvero speranze e potenzialità per migliorare,<br />

solo pochi hanno fiducia, la sola che per lo meno è garante di serenità<br />

e buona fede. Ci si stanza di tutto, subito, tranne che di puntare il dito l’uno<br />

contro l’altro, e quando la paura rende troppo deboli, questo eterno giudicare<br />

diventa una specie di gioco di società, che non arriva mai al traguardo, e soprattutto<br />

non corona mai un vincitore: ci riunisce in gruppi, ci si emargina l’un<br />

l’altro, finché uno tra tanti, crede di aver vinto, di poter dominare. Quando si<br />

ha paura, si è incerti o in crisi, si sdrammatizza solitamente la situazione, ecco<br />

l’uomo, eterno bambino, sdrammatizza utilizzando come gioco, quello che sta<br />

divenendo una legge civile. Siamo strane creature, strane pedine in questo<br />

gioco, tremendamente spaventate dall’insolito, da tutto ciò che si presenta come<br />

grande: grandi differenze, grandi confini, che ci portano a imporre a no i stessi<br />

grandi limiti. È divenuto motivo discriminante la differenza cromatica <strong>del</strong>la<br />

pelle, la provenienza, la lingua; si evita addirittura o si isola chi ha problemi, chi<br />

139<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

manifesta bisogno d’aiuto o di un minimo di comprensione. Tutto ciò che non<br />

classifichiamo come “normale” ci spaventa, sembra mettere in dubbio ciò che<br />

siamo, chi siamo, ed è dunque consuetudine emarginare, tenere lontano, distanziarsi<br />

per non capire, comprendere, rispettare. E’ triste pensare di essere costretti<br />

a vivere in una società in cui è necessaria la negazione <strong>del</strong> diverso, il suo<br />

rifiuto per poter imporre se stessi, per poter sperimentare il proprio dominio,<br />

venuto da niente, in uno spazio esiguo, su una terra in prestito, in un tempo che<br />

già tra un istante sarà solo ricordo. E’ notte ancora per molti. Per molti sarà<br />

notte a lungo, per tutti quei re di false illusioni. Ancora pioggia. Rumore vago,<br />

un lampo. <strong>La</strong> luce nel cielo notturno risveglia il giorno per pochi secondi nella<br />

stanza lampo. <strong>La</strong> luce nel cielo notturno risveglia il giorno per pochi secondi<br />

nella stanza scura, gli occhi già aperti, ora potrebbero chiudersi per non guardare,<br />

continuando il sonno <strong>del</strong>la coscienza, o decidere di rimanere aperti, per<br />

voler vederci chiaro. Io anche un tempo mi ritrovai solo, nella stanza <strong>del</strong>l’oblio,<br />

dove prima o poi, tutti sono costretti a trovarsi. Da lì solo nasce la vera distinzione<br />

valida tra uomo e uomo: chi chiude gli occhi e chi no. Ammetto che all’inizio<br />

non avrei voluto farlo, ma sentivo che c’era qualcosa che avrei dovuto<br />

vedere, c’era qualcosa che mi spingeva a ribellarmi da quella che sta diventando<br />

una legge sociale; aprii gli occhi, decisi di dare il mio contributo piccolo,<br />

infinitamente piccolo di uomo fra gli uomini. <strong>La</strong> vista <strong>del</strong>la luce <strong>del</strong> lampo rese<br />

alla mia vista insopportabile il buio, così mi alzai in piedi e aprii la finestra. Nel<br />

frattempo per me, divenne finalmente giorno. Non si aprì solo la mia stanza alla<br />

luce, ma un mondo intero si aprì ai miei occhi. Non avrei più potuto rifiutare<br />

la vita, la libertà; per poterlo fare, avrei dovuto riconoscere la mia pari a quella<br />

degli altri. Solo in quel momento, per la prima volta, ho pensato all’altro come<br />

a me stesso. Non avrei mai voluto trovarmi nei panni di chi, nella trascorsa<br />

notte di pioggia era passato per le strade; mai e poi mai avrei voluto, senza meta<br />

e senza considerazione, camminare su terre bruciate, costeggiate da ampi palazzi<br />

con finestre serrate, succubi <strong>del</strong>la pioggia, eppur sorde al suo continuo<br />

bussare sulle imposte. No, non avrei mai voluto, eppure, per un po’, ho permesso<br />

che fosse <strong>possibile</strong>. Era un quartiere tranquillo il mio, tranquillo sì, ma<br />

non bello; ognuno ne attribuiva la tranquillità alla chiusura in se stessi degli<br />

abitanti, da tutti chiamata riservatezza, da me omertà. “Ognuno per sé, Dio<br />

per tutti”, il motto che più amavamo, la legge imperante; solo ora rifletto; solo<br />

ora mi chiedo con quale coraggio abbiano potuto appellarsi ad un Dio, universale,<br />

tanto grande da abbracciare tutto e tutti, quando per loro il tutto era<br />

ciò che chiaramente sembrava assomigliarsi. Le facciate dei palazzi, i portoni,<br />

140


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

le imposte, tutte simili fra loro, celavano in realtà esistenze distanti anni luce le<br />

une dalle altre. Il quartiere era tranquillo perché diversità tanto spiccate, in silenzio,<br />

convivevano. Senza che nessuno lo sapesse, una babele di stili di vita si<br />

celava dietro volti contenti, maschere, contente e sicure di essere tutte uguali.<br />

Una mattina, molto tempo fa, senza che mai io più lo sperassi, uscì il sole, illuminò<br />

ogni tetto con una luce tanto chiara che da quelle parti non si vedeva più<br />

da un bel pezzo: un prodigio. Tutti, che erano riservati sì, ma curiosi altrettanto<br />

nella loro repressa conoscenza, spinti dal desiderio di osservare tale miracolo,<br />

aprirono veramente per la prima volta le finestre. Ora davvero, tutti insieme,<br />

spinti da un comune interesse, aprirono se stessi e il proprio mondo al mondo<br />

circostante, scoprendo un universo di colori, di punti di vista, totalmente opposti,<br />

finalmente illuminati dal sole; nessuno ebbe paura anche se non seppero<br />

spiegarsi il perché sorrisero, e furono nella felicità tutti uguali. Ecco, da quel<br />

giorno il quartiere, oltre che essere tranquillo, divenne un bel quartiere.<br />

Ognuno, con il naso finalmente fuori dalla finestra, fuori dal proprio isolamento,<br />

imparava finalmente a guardare con gli occhi, a sentire con il cuore. Si<br />

scoprì che ogni grigio stipite celava una infinita varietà di arredamenti, tappezzerie,<br />

mobilio: tutto ciò che i miei vicini avevano sempre discriminato come<br />

diverso, lo scoprirono in ogni dove, come essenza <strong>del</strong> mondo, colore <strong>del</strong>la vita,<br />

parte e particolarità di ognuno, in ognuno. Solo allora riuscirono a comprendere<br />

che allontanare o avvicinare, emarginare o includere, considerare o meno<br />

le persone per la loro diversità, vorrebbe dire escludere se stessi dal resto <strong>del</strong><br />

mondo, tagliarsi fuori dalla vera società, decidere di chiudere ancora una volta<br />

la finestra, mostrando al mondo la parte peggiore di sé e negando a sé la parte<br />

più bella <strong>del</strong> mondo. Non so ora come sia il mio caro quartiere, che aspetto<br />

abbia; non so se ancora dopo tanti anni, le imposte continuino ad essere aperte,<br />

come aperta un tempo fu la mia; non posso sapere se nuovi raggi di sole continuino<br />

a benedire le teste di quella convertita gente, non posso sapere se invece<br />

nuvole e notti troppo buie siano tornate ad imperare con lo scettro <strong>del</strong>la paura.<br />

Ora vivo in un paese lontano, diverso, dove la vita è solo semplicità: stavolta non<br />

ho infissi alle finestre, non ho porte blindate ai miei ingressi; non voglio correre<br />

il rischio di potermi perdere lo spettacolo <strong>del</strong> sole che vince le tenebre; non<br />

voglio correre il rischio di poter essere inospitale. Vivo in un lungo lontano,<br />

dove pochi hanno saputo raggiungermi, in cui ogni cosa ha un colore diverso<br />

ed ogni proprietario fiero <strong>del</strong>la sua particolarità, accetta il diverso come suo simile,<br />

lo abbraccia e lo invita a sedere, con curioso rispetto, domanda sull’esistenza<br />

di nuovi mondi e, aprendovi così il proprio cuore, li raggiunge davvero.<br />

141<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

GIORGIO VETTORI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Un giorno<br />

raccont Abile<br />

Era una cupa giornata di settembre, ero in compagnia dei miei migliori amici.<br />

Visto che né il tempo né la nostra fantasia fornivano idee, decidemmo di fare<br />

una passeggiata nel centro <strong>del</strong> nostro paese. Passammo per i luoghi di solito<br />

più popolati nel giorno ma di persone ce ne erano ben poche. Così, per passare<br />

il tempo, il mio amico Giovanni decise di fermarci a giocare una partita<br />

a biliardo ma a una condizione: chi perdeva doveva sì pagare ma in aggiunta<br />

era obbligato a scontare una penitenza. Grazie alla mia grande fortuna, persi<br />

e dovetti pagare; ma non era quello che mi preoccupava, bensì la penitenza.<br />

Infatti i miei due bei simpaticoni decisero una punizione che non mi sarei<br />

mai aspettato. Passare e tornare nel “vicolo buio”. Il nome non dà poi così<br />

tanta paura, ma le voci che su di esso girano per il paese. Essendo una penitenza<br />

la dovetti pagare. Dopo ripensamenti e cercando di far cambiare idea<br />

ai miei amici mi feci coraggio ed entrai. Il nome gli calzava a pennello; era<br />

completamente buio. Continuai a camminare per una decina di metri fino a<br />

scorgere una fioca luce: era la luce di un locale precisamente di una sala giochi;<br />

non era molto conosciuto ma frequentato da ragazzi adolescenti. Mi avvicinai<br />

e grazie alla luce riuscii vedere la fine <strong>del</strong> vicolo. Arrivai in fondo, ero<br />

pronto a tornare indietro quando davanti a me successe una scena che non<br />

avrei mai voluto vedere. Un ragazzo bussò alla porta <strong>del</strong> locale, non riuscivo<br />

a vederlo, ero troppo lontano ed era buio. <strong>La</strong> porta fu aperta da un buttafuori<br />

che lo guardò e gli disse: «Non puoi entrare!». Il ragazzo rimase di stucco. Io,<br />

incuriosito, mi avvicinai senza fare rumore e mi nascosi dietro una cassa da<br />

frutta. Con la luce <strong>del</strong> locale riuscii a inquadrare la scena; era Samuel, un ragazzo<br />

straniero, lo avevo conosciuto casualmente in una <strong>del</strong>le tante uscite per<br />

il paese, era un amico di amici, sapevo soltanto che era brasiliano e da poche<br />

settimane era venuto in Italia. Continuai a guardare la scena. Samuel allora<br />

142


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > SECONDA SEZIONE > > > NARRATIVA<br />

rispose: «Perché?». Il buttafuori nel rispondere pareva nascondere qualcosa<br />

che non voleva dire nei confronti <strong>del</strong> ragazzo e inventò una falsità: «Sei<br />

troppo piccolo ed è tardi. Samuel replicò «Ho 15 anni e sono le 4 e mezzo!<br />

Voglio parlare con il proprietario!». Il buttafuori chiamò il proprietario che<br />

arrivò immediatamente dopo aver scambiato qualche parola tra di loro il proprietario<br />

disse: «Perché sei di colore, qui le persone di colore non entrano».<br />

In quell’istante per me sembrava che il tempo si fosse fermato, rimasi a pensare<br />

a quelle parole, non potevo crederci. Era assurdo quello che aveva detto.<br />

In quel momento averi voluto agire, andare dal proprietario e dirgli «Che<br />

differenza c’è tra te e lui? Cosa ti da fastidio? Il colore <strong>del</strong>la sua pelle? Se<br />

sono questi i tuoi problemi allora sei uno sciocco, uno sciocco che non capisce<br />

ancora che lui è una persona come te e non importa se è bianco, di colore<br />

o mulatto l’importante è essere se stessi». Avrei voluto farlo ma non avevo il<br />

coraggio. Samuel si arrabbiò ed era comprensibile, cercò di entrare spingendo<br />

il buttafuori, ma venne fermato. Il padrone gli ordinò di cacciarlo e il buttafuori<br />

ubbidì, lo spinse via e chiuse la porta. Samuel cascò a terra. Io guardavo<br />

immobile la sena. Samuel non si rialzava. Così corsi verso di lui e mi<br />

accorsi che aveva sbattuto la testa ed era svenuto. <strong>La</strong> prima cosa che pensai<br />

era quella di chiamare un’ambulanza, ma in quel vicolo buio e senza persone,<br />

con il cellulare che non prendeva, non sapevo cosa fare. Allora presi Samuel<br />

sulle spalle e corsi come mai verso la strada. Sembrava non finisse mai, il mio<br />

cuore batteva all’impazzata, mi passavano per la testa mille idee, ma non mi<br />

fermai. Uscii sulla strada, i miei amici che ridevano come matti cambiarono<br />

umore in un istante, mi videro straziato con questo ragazzo svenuto. Con le<br />

ultime forze che avevo in corpo urlai il più <strong>possibile</strong> di chiamare un’ambulanza.<br />

Attirai l’attenzione su di me, ma si affacciarono poche persone dai balconi<br />

e alcuni passanti si voltarono. Giovanni aveva già chiamato il pronto<br />

soccorso e dopo pochi minuti arrivò. Presero Samuel e lo caricarono sull’ambulanza.<br />

Io ero immobile sul marciapiede a guardare, gli infermieri dicevano<br />

che si sarebbe svegliato dopo poco, ma lo portarono via per accertare<br />

le sue condizioni. Io non riuscivo a riprendermi, non riuscivo a spiegarmi<br />

come queste cose accadono nel XX secolo dopo che grandi personaggi <strong>del</strong>la<br />

storia hanno lottato per questo, per far capire che siamo tutti uguali.<br />

143<br />

…nessuno è normale


terza sezione<br />

ILLUSTRAZIONE<br />

Diverso da chi?<br />

Franco Basaglia


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > TERZA SEZIONE > > > ILLUSTRAZIONE<br />

JACOPO MONTANARO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Il soffio<br />

147<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

SIMONE FINELLI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

148


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > TERZA SEZIONE > > > ILLUSTRAZIONE<br />

VALERIO GALLONE<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

149<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

raccont Abile<br />

MARCO GUASPARRI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

150


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > TERZA SEZIONE > > > ILLUSTRAZIONE<br />

DANIELE LORETI<br />

WILLIAM PROIETTI<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

151<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

MATTEO NORCHI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

raccont Abile<br />

152


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > TERZA SEZIONE > > > ILLUSTRAZIONE<br />

SIMONA PASCUCCI<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

153<br />

…nessuno è normale


Visto da vicino…<br />

IRENE SCHIESARO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Specchi<br />

raccont Abile<br />

154


DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE > > > TERZA SEZIONE > > > ILLUSTRAZIONE<br />

MARTINA SIRACO<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Il silenzio ha un volto umano<br />

155<br />

…nessuno è normale


Le scuole e gli alunni partecipanti<br />

Liceo Scientifico Statale “Innocenzo XII”, Anzio - Roma<br />

Daniele Bellomo<br />

Sara Cossu<br />

Francesco Fazari<br />

Federico Felici<br />

Simone Finelli<br />

Eugenio Gandolfo<br />

Marco Guasparri<br />

Daniele Loreti<br />

Vincenzo Marano<br />

Jacopo Montanaro<br />

William Proietti<br />

Giulio Savazzi<br />

Irene Schiesaro<br />

Francesco Siraco<br />

Martina Siraco<br />

Ilaria Spaziani<br />

Giorgio Vettori<br />

Giulia Villani<br />

Liceo Classico “Orazio”, Roma<br />

Alexandra Albu<br />

Arianna Capogrossi<br />

Chiara Ceccorelli<br />

Martina Ceccarelli<br />

Chiara Fumanti<br />

Valerio Gallone<br />

Federica Gobbi<br />

Riccardo Graziano<br />

Claudia Ippoliti<br />

Lucrezia <strong>La</strong>nciotti<br />

Matteo Norchi<br />

Simona Pascucci<br />

DISCRIMINAZIONE. NO GRAZIE<br />

157


Valentina Peris<br />

Elisa Raponi<br />

Serena Romaniello<br />

Valentina Sforza<br />

Thomas Turay<br />

Liceo Classico “Luciano Manara”, Roma<br />

Carolina Lugni<br />

Andrea Sorrentino<br />

Istituto Agrario “Emilio Sereni”, Roma<br />

Carlo Testa<br />

Istituto Tecnico Industriale “Enrico Fermi”, Roma<br />

Ludovica Galimi<br />

Liceo Scientifico “A. Righi”, Roma<br />

Raffaele De Matteis<br />

Liceo Scientifico Statale “Aristotele”, Roma<br />

Marco Marsan<br />

Istituto Magistrale “G. Braschi”, Subiaco - Roma<br />

Elisabetta Lollobrigida<br />

Liceo Classico “Vivona”, Roma<br />

Francesca Sibilia<br />

raccont Abile<br />

Liceo Scientifico “Ettore Majorana”, Guidonia - Roma<br />

Guglielmo Cassiani Ingoni<br />

Liceo Classico “Benedetto da Norcia”, Roma<br />

Martina Turano<br />

158


Finito di stampare<br />

nel mese di maggio 2011<br />

Stampa L.G. - Roma

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