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da Paolo Steffan, Alcune «lucciole» per Nievo poeta

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<strong>Paolo</strong> <strong>Steffan</strong><br />

<strong>Alcune</strong> <strong>«lucciole»</strong> <strong>per</strong> <strong>Nievo</strong> <strong>poeta</strong><br />

Indice<br />

1. Premessa: o<strong>per</strong>e in versi di <strong>Nievo</strong> .................................................................................... 2<br />

2. Breve profilo della poesia nieviana .................................................................................. 4<br />

3. Quattro "lucciole" <strong>per</strong> Le confessioni di un italiano ........................................................ 9<br />

3.1. Le "spe<strong>da</strong>te" ............................................................................................................ 10<br />

3.2. La "fontana di Venchieredo" ................................................................................... 12<br />

3.3. Lo "scirocco" .......................................................................................................... 17<br />

3.4. L' "abisso" ............................................................................................................... 22<br />

4. Bibliografia ..................................................................................................................... 26<br />

1


1. PREMESSA: OPERE IN VERSI DI NIEVO<br />

I) Versi, Udine, Vendrame, 1854: pubblicata in soli 100 esemplari e mai più ristampata,<br />

è una raccolta di versi già apparsi nella rivista locale «Alchimista friulano», <strong>per</strong> cui erano<br />

stati <strong>per</strong>iodicamente scritti; <strong>per</strong>tiene alla primissima ed ancora non matura es<strong>per</strong>ienza<br />

letteraria del <strong>Nievo</strong>, quand'egli è visibilmente debitore/imitatore dei suoi principali<br />

modelli 1 . Si tratta <strong>per</strong>lopiù di poesia d'intenti civili, come sarà tipico di tutta la produzione<br />

in versi del <strong>Nievo</strong>.<br />

II) Versi, Udine, Vendrame, 1855: anch'esso uscì in soli 160 esemplari 2 ; condivide<br />

molti dei caratteri del libro del '54.<br />

III) Le lucciole, Milano, Re<strong>da</strong>elli, 1858: è stata <strong>per</strong> molti decenni considerata la prima<br />

raccolta di versi del <strong>Nievo</strong>, causa la scarsa diffusione e la nulla attenzione della critica alle<br />

due udinesi; in essa (come si avrà più volte modo di sottolineare) sono contenuti i migliori<br />

frutti della poesia nieviana 3 . Le poesie sono <strong>per</strong>lopiù ancora testi <strong>per</strong> pubblicazione in<br />

giornale, ma non più l'«Alchimista friulano», con il quale <strong>Nievo</strong> cessa di collaborare nel<br />

'55, trasferendosi in Lombardia (Milano, Mantova). Il titolo Lucciole è metafora di quella<br />

poetica che vede una poesia varia e di «Stile enigmatico», che privilegia gli intenti politici<br />

sulla forma, al fine di spronare all'azione in tempi bui (anche <strong>per</strong> la libertà editoriale e di<br />

pensiero).<br />

IV) Gli amori garibaldini, Milano, Agnelli, 1860: raccolta che di fatto si struttura come<br />

«il diario di un anno che intercorre fra due primavere garibaldine», dunque di «piglio<br />

sol<strong>da</strong>tesco», come avvisa subito lo stesso <strong>poeta</strong>, e di conseguenza di valore forse più<br />

storico-testimoniale che letterario (si pensi all'epico ritratto di Garibaldi). Le forme<br />

metriche si mescolano, come il tema amoroso e quello guerresco, secondo una logica che<br />

prevede il dominio dell'«immediato», tenendo al centro l'umanità delle due es<strong>per</strong>ienze<br />

trattate (appunto, amorosa e garibaldina). Spesso impoetico, il <strong>Nievo</strong> qui ha modelli<br />

1 Cfr. M. Gorra, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, Tutte le o<strong>per</strong>e di Ippolito <strong>Nievo</strong>. I: Poesie, a cura di M. Gorra,<br />

Milano, Mon<strong>da</strong>dori, 1970, pp. XXV-LIV; <strong>per</strong> i versi si ve<strong>da</strong>no le pp. 1-111.<br />

2 Cfr. Ibidem; <strong>per</strong> i versi si ve<strong>da</strong>no le pp. 113-257<br />

3 Cfr. Ivi, pp. LV-LXV; <strong>per</strong> i versi si ve<strong>da</strong>no le pp. 259-487.<br />

2


pariniani e primo-romantici. 4<br />

Oltre a queste quattro raccolte, esiste poi una discreta mole di versi inediti (pochi) o<br />

sparsi (più numerosi e pubblicati in rivista e non in volume): risalgono a un tempo<br />

compreso tra 1855 e 1860 5 ; vi sono infine un numero ampio di traduzioni: le più<br />

significative – entrambe <strong>da</strong>tate 1859 – sono quelle <strong>da</strong> Heine, oltre alla versione dei Canti<br />

popolari della Grecia moderna raccolti <strong>da</strong> Marino Vreto 6 .<br />

4 Cfr. Ivi, pp. LXV-LXXV; <strong>per</strong> i versi si ve<strong>da</strong>no le pp. 489-607.<br />

5 Cfr. Ivi, pp. LXXV-LXXVII; <strong>per</strong> i versi si ve<strong>da</strong>no le pp. 609-770 (Versi inediti e sparsi e Frammenti e<br />

abbozzi).<br />

6 Cfr. Ivi, pp. LXXVII-LXXXI; <strong>per</strong> i versi si ve<strong>da</strong>no le pp. 771-885 (Traduzioni).<br />

3


2. BREVE PROFILO DELLA POESIA NIEVIANA<br />

Perché <strong>Nievo</strong> non è uno di quegli scrittori che vigilano continuamente la pagina <strong>per</strong> non<br />

tradire una loro posizione estetica o estetizzante, o uno di quelli che si sentono portati a<br />

svolgere un ruolo di apostolato nel mondo, e che <strong>per</strong>ciò sono spinti a piegare la linea della<br />

scrittura a fini di dimostrazione, di convinzione o di propagan<strong>da</strong>: egli è abbastanza artista <strong>per</strong><br />

sa<strong>per</strong>e che la pagina vale esclusivamente <strong>per</strong> il segno di umanità che con maggiore resistenza<br />

vi è impresso, <strong>per</strong> la densità della commozione che vi si cela, <strong>per</strong> lo sforzo della verità che si<br />

vuole raggiungere.<br />

Il <strong>Nievo</strong> ci offre un raro esempio di come la vita possa an<strong>da</strong>re incontro alla letteratura con<br />

generoso entusiasmo, e la letteratura possa an<strong>da</strong>re incontro alla vita senza riserbi, fino a<br />

coincidere con essa.<br />

(Iginio De Luca, 1945 7 )<br />

Come viene denunciato a più voci – <strong>da</strong> Vittore Branca/Armando Balduino 8 (1962) a<br />

Pier Vincenzo Mengaldo 9 (1984) – l'o<strong>per</strong>a minore di <strong>Nievo</strong> e, <strong>per</strong> il nostro specifico<br />

interesse qui, quella in versi è stata <strong>per</strong> troppo tempo vittima di scarso interesse <strong>da</strong> parte<br />

della critica, oppure <strong>da</strong> essa liqui<strong>da</strong>ta <strong>per</strong> scarsa qualità letteraria: come annota Branca,<br />

invece, l'o<strong>per</strong>a poetica del <strong>Nievo</strong> è innanzitutto – <strong>da</strong>l punto di vista dell'approfondimento<br />

dell'autore in sé – «un'es<strong>per</strong>ienza capitale nella breve ma intensa attività dello scrittore» 10 ,<br />

ma ancor meglio – nel contesto della poesia italiana del XIX secolo – testimonianza<br />

dell'«aspirazione a un linguaggio nuovo, che varcasse au<strong>da</strong>cemente il cerchio angusto del<br />

tradizionale pubblico letterato», coerentemente «alla sua poetica e al suo impegno<br />

sociale» 11 .<br />

Il primo <strong>Nievo</strong>, quello dei Versi, appare forte debitore, laddove non imitatore, della<br />

poesia di Giuseppe Giusti, <strong>poeta</strong> satirico, autore di numerosi «scherzi» (<strong>per</strong> la prima volta<br />

pubblicati anonimi negli anni 1840); dei modi di questo <strong>poeta</strong>, che, assieme al Parini,<br />

Balduino isola come principale modello del giovane <strong>Nievo</strong>, è particolarmente rilevante la<br />

centralità linguistica del cosiddetto «dizionario che ti suona in bocca» 12 . Quest'ultimo<br />

7 I. De Luca, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, Il Varmo, a cura di I. De Luca, Padova, La garangola, 1945, pp.<br />

XVI-II.<br />

8 Rispettivamente nella prefazione e nell'introduzione ad A. Balduino, Aspetti e tendenze del <strong>Nievo</strong> <strong>poeta</strong>,<br />

Firenze, Sansoni editore, 1962.<br />

9 Nella parte introduttiva a P. V. Mengaldo, Appunti di lettura sulle Confessioni di <strong>Nievo</strong>, in «Rivista di<br />

letteratura italiana», 1984, II, 3, pp. 465-518.<br />

10 V. Branca, Prefazione, in A. Balduino, op. cit., p. VII.<br />

11 Ibidem.<br />

12 Verso del Giusti, citato in A. Balduino, op. cit., p. 23.<br />

4


concetto si lega all'intenzione di <strong>Nievo</strong> di attuare una poesia popolare, la quale, seppure<br />

con riuscite spesso deludenti rispetto agli intenti, senz'altro fa coincidere in sé etica e<br />

poetica.<br />

Se si parla di poesia popolare, va subito coinvolto il saggio che <strong>Nievo</strong> pubblicò sulle<br />

pagine dell'«Alchimista friulano» nel 1854, Studii sulla poesia popolare e civile<br />

massimamente in Italia, sua chiarissima dichiarazione di poetica, ove particolare interesse,<br />

come rileva Balduino, ha la questione del linguaggio 13 : l'uso di una lingua che – nei versi<br />

come nelle Confessioni (ma con modi assolutamente diversi, <strong>per</strong> differente grado di<br />

maturità, oltre che <strong>per</strong> il naturale divario tra generi) – risulta spesso composita specie <strong>per</strong> il<br />

registro, che coinvolge sia l'aulico sia il popolareggiante-dialettale: questo problema, tra i<br />

più discussi <strong>da</strong>gli studiosi della produzione nieviana, può avere un suo produttivo snodo a<br />

partire <strong>da</strong> quanto annota Sergio Romagnoli in una introduzione: il «naturale linguaggio di<br />

italiano del Settentrione» 14 del <strong>Nievo</strong> considera tutti quegli elementi che concorrono alla<br />

finalità di ottenere «nell'espressione una carica intensa di comunicatività e di<br />

immediatezza» 15 . Così, quello che era stato più volte segnalato come un tratto negativo,<br />

che an<strong>da</strong>va a sfavore della statura artistica del <strong>Nievo</strong>, in particolar modo parlando del<br />

romanzo, si rivelerebbe al contrario uno dei punti specifici di originalità e grandezza;<br />

certamente, se qui si parla della poesia, il giudizio sulle scelte linguistiche va <strong>da</strong>to con<br />

maggiore severità, poiché (pur in coerenza con la sua poetica del «popolare» e del vero) il<br />

genere richiederebbe una scelta accuratissima di registro, terminologia, strutture ecc.; e<br />

invece il <strong>Nievo</strong> spesso non riesce a sviluppare soluzioni felici, <strong>per</strong>ché nei versi si ritrovano,<br />

<strong>da</strong>i più ingenui es<strong>per</strong>imenti friulani fino agli Amori garibaldini, zone d'ombra, nelle quali<br />

sembra non esserci chiarezza nelle scelte: pare sempre che i modelli aulici della tradizione<br />

di ascendenza <strong>da</strong>ntesca si mescolino od impattino tra loro in modo ambiguo, che tra lingua<br />

e tematica/metrica non vi sia armonia. Se questo è vero, <strong>per</strong>ò va specificato che in<br />

numerose poesie de Le lucciole, ad esempio, si può godere di prove di qualità, specie in<br />

serie come quella dei Bozzetti veneziani, che di seguito tornerà <strong>da</strong> protagonista in questo<br />

breve saggio della poesia nieviana.<br />

Ma quali possono essere le ragioni delle più o meno gravi incertezze, degli stridori, che<br />

13 Per la questione del linguaggio a partire <strong>da</strong>gli Studii, si ve<strong>da</strong> A. Balduino, op. cit., pp. 37-9.<br />

14 S. Romagnoli, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, O<strong>per</strong>e, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952, p. XV.<br />

15 A. Balduino, op. cit., p. 38.<br />

5


si sentono in vasta parte dell'o<strong>per</strong>a in versi? Balduino è molto chiaro ed efficace nel<br />

rispondere a questo interrogativo, e lo fa parlando proprio delle parti migliori de Le<br />

lucciole, cioè i Bozzetti: «si avverte insomma che sono scritti frettolosamente, quasi <strong>per</strong><br />

fermare sulla carta uno spunto, un'osservazione, un incontro con un <strong>per</strong>sonaggio che<br />

poteva attirare i suoi interessi di narratore o ci si accorge ancora (ed è un limite che grava<br />

su quasi tutta la produzione del <strong>Nievo</strong> <strong>poeta</strong>) che sono stati composti <strong>per</strong> essere consegnati<br />

alle colonne di un giornale, senza che sia intervenuto poi un lavoro di revisione e di<br />

scelta» 16 ; Balduino segnala in nota anche la non totale certezza di queste sue affermazioni,<br />

ma resta l'efficacia di quanto dice, che fa ritornare alla rispondenza tra poetica ed etica<br />

nella scrittura di <strong>Nievo</strong>, quasi che, <strong>per</strong> <strong>per</strong>seguire la sua vocazione narrativa fortemente<br />

politica ed ideologicamente schierata, il <strong>poeta</strong> non potesse concedersi un troppo accurato<br />

labor limae, an<strong>da</strong>ndo così a fissare sulla pagina dei giornali, prima ancora che dei volumi,<br />

dei freschi – seppur non sempre levigati – appunti rimati; concorrono al sostegno di<br />

quest'idea, la frequente occasionalità delle poesie, oltre alla tendenza al realismo, altro<br />

elemento che alimenta l'immaginario sul quale poggia il «popolare» nieviano, parola di<br />

inesauribile valore semantico nell'esegesi della sua vasta produzione.<br />

Proposti brevissimamente alcuni dei principali caratteri di base della poesia di Ippolito<br />

<strong>Nievo</strong> – e rilevatene soprattutto la spesso dubbia qualità formale e scarso conseguimento<br />

degli obiettivi teorici 17 (si sentono troppo la occasionalità, la s<strong>per</strong>imentalità e il debito ai<br />

modelli giustiano, pariniano, anche leopardiano ecc.) – è <strong>per</strong>ò bene ricor<strong>da</strong>re che la sua<br />

produzione in versi mantiene una qualche rilevanza 18 , non giustificando la pochissima<br />

attenzione ad essi <strong>per</strong> oltre un secolo riservata. Per questo fine, viene in aiuto la bella<br />

sco<strong>per</strong>ta di Dante Isella, concentrata in un brevissimo ma ricchissimo articolo apparso sul<br />

numero di «Strumenti critici» del febbraio 1967: Due <strong>«lucciole»</strong> <strong>per</strong> San Martino 19 ; esso<br />

evidenzia l'importanza riflessa che certi versi del <strong>Nievo</strong> hanno avuto nella genesi di uno dei<br />

testi poetici più celebri e felici del XIX secolo, San Martino di Giosuè Carducci. Ricordo<br />

qui i contenuti del detto articolo, prima di iniziare a parlare di alcuni legami tra Le lucciole<br />

16 A. Balduino, op. cit., p.57.<br />

17 La critica ha fin troppo insistito su questo giudizio severo, talvolta con stroncature eccessive, su<strong>per</strong>ficiali<br />

e limitanti una corretta fruizione del testo poetico nieviano.<br />

18 Anche quantitativa: il volume che raccoglie le quattro raccolte, i versi sparsi e le traduzioni consta, anche<br />

escludendo le note, di oltre ottocento pagine!<br />

19 D. Isella, Due <strong>«lucciole»</strong> <strong>per</strong> San Martino, in «Strumenti critici», anno I, 2, febbraio 1967, pp. 187-189.<br />

6


e Le confessioni.<br />

Isella isola due passaggi di altrettanti «bozzetti» nieviani: rispettivamente i<br />

componimenti XXIII e VII de Gli amori in servitù (usciti nel 1858 nella raccolta Le<br />

lucciole), testi che integralmente riporto di seguito: i legami col testo carducciano sono<br />

evidenziati in blu (termini presenti sia in <strong>Nievo</strong> che in San Martino), in rosso (i due versi<br />

più palesemente ripresi <strong>da</strong>l Carducci), in corsivo (i brani che, pur diversi, <strong>da</strong>nno come esito<br />

la medesima atmosfera in entrambi gli autori).<br />

XXIII<br />

Già un vasto mar di nebbie<br />

E d'ombra il pian sommerge,<br />

Donde il pennon s'aderge<br />

Di qualche fumaiuol.<br />

L'ombra <strong>per</strong> colli e monti<br />

Inerpicando sale;<br />

Per che l'estremo vale<br />

Mandi alla terra il sol,<br />

E l'ultimo suo raggio<br />

Perdendosi sublime<br />

Sulle nevose cime<br />

Cerca il natio candor.<br />

Tal nel morire a un'alta<br />

Speme sorgendo io pure,<br />

Racquisterò le pure<br />

Soavità d'amor!<br />

(Ippolito <strong>Nievo</strong>, Gli amori in servitù, XXIII 20 )<br />

VII<br />

Quando dei poggi ameni<br />

L'aura autunnal respiro<br />

Tutti ne vanno in giro<br />

Ridendo i miei pensier.<br />

Il paesello è assiso<br />

Sopra un'ombrosa china;<br />

Lo guar<strong>da</strong> ogni collina<br />

In atto lusinghier.<br />

Al rosseggiar del vespro<br />

Cinguetta il passeraio,<br />

L'artigianello gaio,<br />

Canta del suo cammin;<br />

20 I. <strong>Nievo</strong>, Poesie, cit., p. 450<br />

7


E noi, qual fosse appunto<br />

Pupillo nostro il mondo,<br />

Sediam in piazza a tondo<br />

Librandogli il destin.<br />

(Ippolito <strong>Nievo</strong>, Gli amori in servitù, VII 21 )<br />

Ed ora San Martino di Carducci:<br />

La nebbia agli irti colli<br />

piovigginando sale,<br />

e sotto il maestrale<br />

urla e biancheggia il mar;<br />

ma <strong>per</strong> le vie del borgo<br />

<strong>da</strong>l ribollir de' tini<br />

va l'aspro odor dei vini<br />

l'anime a rallegrar.<br />

Gira su' ceppi accesi<br />

lo spiedo 22 scoppiettando:<br />

sta il cacciator fischiando<br />

su l'uscio a rimirar<br />

tra le rossastre nubi<br />

stormi d'uccelli neri,<br />

com'esuli pensieri,<br />

nel ves<strong>per</strong>o migrar.<br />

(Giosuè Carducci, San Martino, in Rime nuove, versi 1861-87)<br />

***<br />

Questa piccola e molto significativa testimonianza ribadisce, insomma, come<br />

l'es<strong>per</strong>ienza di <strong>Nievo</strong> <strong>poeta</strong> nella letteratura italiana ottocentesca, se non è di interesse<br />

capitale e di capitale bellezza, non merita <strong>per</strong>ò neanche l'oblio, poiché ha una incidenza<br />

sull'evoluzione della poesia di quel secolo, rappresentandone sicuramente un <strong>per</strong>iodo di<br />

crisi (successivo all'età di Manzoni-Leopardi), ma <strong>da</strong>l quale nasceranno, su due differenti<br />

linee – l'una s<strong>per</strong>imentale (con Scapigliatura e Verismo), l'altra classicista (con Carducci) –,<br />

dei movimenti e delle figure di assoluto spicco nel panorama evolutivo della nostra<br />

letteratura nazionale.<br />

21 Ibidem, p. 442.<br />

22 Curiosamente lo spiedo, motivo che tratterò oltre, si trova anch'esso, nievianamente, tra i versi di questa<br />

nievianissima poesia carducciana.<br />

8


3. QUATTRO «LUCCIOLE» PER LE CONFESSIONI DI UN ITALIANO<br />

Nella mia (pur breve e concentrata) es<strong>per</strong>ienza di lettura <strong>da</strong>lle poesie nieviane, ho<br />

trovato ne Le lucciole alcuni dei frutti più immediatamente apprezzabili; e, in particolare,<br />

<strong>da</strong>to il contesto nel quale si è sviluppata questa lettura, cioè quello dello studio delle<br />

Confessioni, ho ritenuto bene ricercare, anche con l'aiuto delle note di Marcella Gorra,<br />

alcuni versi che avessero dei chiari legami estetici o di senso col romanzo. Il titolo di<br />

questo capitoletto – la cui forma vuole esplicitamente omaggiare l'appena citato articolo di<br />

Isella – preannuncia l'affronto di quattro situazioni comuni a Lucciole e Confessioni:<br />

specificamente lo «spiedo», la «fontana di Venchieredo», lo «scirocco» 23 , l'«abisso». Sono<br />

dei singoli temi o immagini che ritornano e si sviluppano nella scrittura del <strong>Nievo</strong>,<br />

esemplificando come in una stessa coscienza artistica, pur nella sorprendente evoluzione<br />

che in essa c'è nella narrativa rispetto alla poesia, non possano escludersi giochi di rimandi<br />

e mo<strong>da</strong>lità diverse o consimili di esprimere una stessa idea, una medesima pulsione o<br />

spinta ideologica; si pensi <strong>per</strong> esempio alla critica del patriziato, che già nelle Lucciole ha<br />

delle sue mo<strong>da</strong>lità, come ben sottolinea Balduino 24 , ad esempio nei Bozzetti veneziani:<br />

«Stuonano in giovin labbro<br />

Ironici cachinni<br />

D'anguicrinite erinni<br />

Orrendo pregio e vil.»<br />

Stemprato in tal sentenza<br />

Donna di piano ciglio<br />

Nobil mi die' consiglio<br />

Di smetter lo staffil.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Bozzetti veneziani, II, Satira [pp. 321-2] 25 )<br />

La concentrazione esagerata, <strong>per</strong>altro in un componimento di soli sedici versi, di tutti<br />

questi termini aulici tradizionali, che Balduino rileva aumentare nei Bozzetti, in<br />

corrispondenza di un intensificarsi della critica del patriziato veneziano, è senz'altro di<br />

intenti caricaturali, che dimostrano la volontà nieviana di «porre in ridicolo le<br />

23 Diversamente <strong>da</strong>gli altri tre temi, <strong>per</strong> i quali sono profon<strong>da</strong>mente debitore degli scritti di Balduino, Gorra,<br />

De Tommaso, quello dello «scirocco» era assente nei saggi che ho consultato, che restano tuttavia un<br />

numero limitatissimo rispetto alla totalità degli studi nieviani.<br />

24 A. Balduino, op. cit., pp. 58-9.<br />

25 I numeri di pagina associati ai versi di <strong>Nievo</strong> si riferiscono all'edizione Mon<strong>da</strong>dori (a cura di M. Gorra)<br />

segnalata in bibliografia.<br />

9


anacronistiche manie di grandezza e il meschino conservatorismo» della nobiltà veneta;<br />

non è forse questo un indizio di qualcosa che diviene tema essenziale nelle pagine delle<br />

Confessioni, pur attraverso più elaborate tecniche di caricatura?<br />

Ma passiamo ora alle quattro <strong>«lucciole»</strong> <strong>per</strong> le Confessioni di un italiano 26 .<br />

3.1. Le «spe<strong>da</strong>te»<br />

***<br />

Il tema dello spiedo – spesso in <strong>Nievo</strong> anche «spe<strong>da</strong>te» – è noto <strong>per</strong> essere un tópos<br />

riguar<strong>da</strong>nte la giovinezza di Carlino a Fratta, il quale si ritrova nel ruolo di «girarrosto»,<br />

identificandosi poi in molti luoghi come tale: «Sono Carlino, quello che mena lo spiedo e<br />

va a scuola <strong>da</strong>l Piovano» [p. 106], dice <strong>per</strong> identificarsi allo sconosciuto <strong>da</strong>lla figurona nera<br />

nel III capitolo [ma nello stesso capitolo il tema dello spiedo è presente a scandire la vita di<br />

Carlino alle pp. 108 e sgg.]; oppure «Sono il Carlino di Fratta! Sono il carlino dello<br />

spiedo!» dice nel V capitolo <strong>per</strong> farsi riconoscere nell'ombra <strong>da</strong> Lucilio. Questo tema di<br />

Carlino e lo spiedo costellerà l'intero romanzo, con un'ultima ricorrenza nel XXI capitolo,<br />

dove ancora, doman<strong>da</strong>ndo Raimondo al Partistagno se si ricor<strong>da</strong>sse di Carlino Altoviti, egli<br />

risponde: «Sí, sí, me ne ricordo!... Quello che girava lo spiedo a Fratta e che poi è stato<br />

segretario della Municipalità». Ho scelto ora, come più direttamente esemplificativi di<br />

questo tema, il primo passo in cui entra in scena lo spiedo nelle Confessioni<br />

La cuoca [...] correva qua e là, [...] scannava anitre, sbudellava capponi; e il suo<br />

affaccen<strong>da</strong>mento non era su<strong>per</strong>ato che <strong>da</strong> quello del girarrosto, il quale strideva e su<strong>da</strong>va<br />

oglio <strong>per</strong> tutte le carrucole nel dover menar attorno quattro o cinque spe<strong>da</strong>te di lepri e di<br />

selvaggina.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. I [p. 36])<br />

e il primo passo nel quale lo spiedo è associato a Carlino, anzi dove Carlino si dichiara egli<br />

stesso il «girarrosto» del castello:<br />

[...] mi tenevano tanto alla catena col loro Fulgenzio, col loro Piovano, col loro spiedo, che<br />

<strong>per</strong>fino nel mondo dell'aria libera e delle piante, <strong>per</strong>fino nel gran tempio della natura mi<br />

26 I numeri di pagina associati agli estratti <strong>da</strong>lle Confessioni si riferiscono all'edizione Marsilio in<br />

bibliografia.<br />

10


toccò entrarvi di sfuggita e <strong>per</strong> la porta di dietro. Ora una digressione in riguardo allo spiedo;<br />

ché <strong>da</strong> un pezzo ne ho addebitato la coscienza. [...] Ora [...] il girarrosto ero io.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. III [p. 94])<br />

La grande originalità della trama del girarrosto, così legata a Carlino, aveva avuto forse<br />

il suo primo indizio, poi sviluppatosi come detto, proprio tra i versi delle Lucciole, nella<br />

prima parte del poemetto L'ultimo esiglio (dedicato alla figura di Dante Alighieri, che –<br />

secondo quanto dichiara <strong>Nievo</strong> stesso negli Studii – è l'esempio massimo di poesia<br />

nazionale, cui si riallacciano, dopo secoli di letteratura, solo le es<strong>per</strong>ienze di Parini e<br />

Giusti):<br />

Disse il Poeta: «Oh sughero,<br />

Sta' a galla! Al mio bel secolo<br />

T'avrebber messo ad unger le spe<strong>da</strong>te!»<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, L'ultimo esiglio, I, vv. 130-2, in Le lucciole, 1858 [p. 288])<br />

11


3.2. La «fontana di Venchieredo»<br />

Celeberrimo è l'episodio della fontana di Venchieredo, soprattutto <strong>per</strong> la grande<br />

poeticità intrinseca alla descrizione del luogo e all'ambientazione dell'incontro di Leopardo<br />

e Doretta:<br />

Tra Cordovado e Venchieredo, a un miglio dei due paesi, v'è una grande e limpi<strong>da</strong> fontana<br />

che ha anche voce di contenere nella sua acqua molte qualità refrigeranti e salutari. Ma la<br />

ninfa della fontana non credette fi<strong>da</strong>rsi unicamente alle virtù dell'acqua <strong>per</strong> adescare i devoti<br />

e si è recinta d'un cosí bell'orizzonte di prati di boschi e di cielo, e d'una ombra cosí ospitale<br />

di ontani e di saliceti che è in verità un recesso degno del pennello di Virgilio questo ove le<br />

piacque di porre sua stanza. Sentieruoli nascosti e serpeggianti, sussurrio di rigagnoli, chine<br />

dolci e muscose, nulla le manca tutto all'intorno. È proprio lo specchio d'una maga,<br />

quell'acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente <strong>da</strong> un fondo di minuta<br />

ghiaiuolina s'è alzata a raddoppiar nel suo grembo l'immagine d'una scena cosí pittoresca e<br />

pastorale. Son luoghi che fanno pensare agli abitatori dell'Eden prima del peccato; ed anche<br />

ci fanno pensare senza ribrezzo al peccato ora che non siamo piú abitatori dell'Eden. Colà<br />

dunque intorno a quella fontana, le vaghe fanciulle di Cordovado, di Venchieredo e <strong>per</strong>fino<br />

di Teglio, di Fratta, di Morsano, di Cintello e di Bagnarola, e d'altri villaggi circonvicini,<br />

costumano adunarsi <strong>da</strong> tempo immemorabile le sere festive. E vi stanno a lungo in canti in<br />

risa in conversari in merende finché la mamma l'amante e la luna le riconducano a casa. Non<br />

ho nemmeno voluto dirvi che colle fanciulle vi concorrono anche i giovinotti, <strong>per</strong>ché già era<br />

cosa <strong>da</strong> immaginarsi. Ma quello che intendo notare si è che, fatti i conti a fin d'anno, io credo<br />

ed affermo che alla fontana di Venchieredo si venga piú <strong>per</strong> far all'amore che <strong>per</strong> abbeverarsi<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. IV [p. 139-40])<br />

Che cosa si cela dietro la scrittura di questo quadro bellissimo? Due passaggi sono<br />

obbligati, se si vuole fare una, pur essenziale, archeologia di questo brano.<br />

Il primo passaggio ci porta al legame con i versi di Rosa, poesia appartenente alla<br />

sezione I fiori cam<strong>per</strong>ecci delle Lucciole; Marcella Gorra annota nel volume <strong>da</strong> lei curato<br />

che «<strong>da</strong> questo idillio aggraziato, ma ancora di maniera, si svilup<strong>per</strong>à il freschissimo<br />

episodio dell'incontro di Doretta e di Leopardo Provedoni» [p. 986]; ne riporto di seguito la<br />

parte iniziale (sono in totale 119 versi):<br />

Sotto Romans una bell'acqua azzurra<br />

Va circuendo l'ombreggiata spon<strong>da</strong>,<br />

Dove solo susurra<br />

L'aura tra fron<strong>da</strong> e fron<strong>da</strong>,<br />

O canta il capiner, se <strong>da</strong> lontano<br />

Fischiando non lo turbi il mandriano.<br />

12


S'allarga verdeggiando<br />

Dall'una ban<strong>da</strong> il prato,<br />

E pieno di muggiti entra e s'asconde<br />

Tra pioppi e argentei salci;<br />

E vengono le viti all'altro lato<br />

D'olmo in olmo <strong>da</strong>nzando<br />

A dondolar sull'onde;<br />

Sicchè l'alghe coi tralci<br />

Intessono ghirlande, e sembra il rivo<br />

An<strong>da</strong>rne via giulivo.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Rosa, in Le lucciole, 1858 [pp. 361])<br />

Le «virtù dell'acqua» nelle Confessioni <strong>da</strong>nno subito un carico di positività alla<br />

fontana, positività che c'è anche nell'incipit della poesia, con «la bell'acqua azzurra», che<br />

più avanti si fa allegramente «rivo [...] giulivo»; i «bell'orizzonti di prati» di Venchieredo,<br />

poi, erano già in quel «prato» che «s'allarga verdeggiando | <strong>da</strong>ll'una ban<strong>da</strong>» a Romans,<br />

dove «ombreggiata spon<strong>da</strong>» rima con «fron<strong>da</strong> a fron<strong>da</strong>», aprendo a ricchezza di verdi<br />

varietà arboree autoctone, specificate pochi versi dopo in «pioppi e argentei salci», nonché<br />

un an<strong>da</strong>re «d' olmo in olmo»: così nelle Confessioni, il «bell'orizzonte [...] di boschi» si<br />

specializza, a<strong>per</strong>to anche qui <strong>da</strong> «una ombra così ospitale», in «ontani» e «saliceti» 27 .<br />

Anche soffermandosi solo su questi elementi, il quadro è visibilmente lo stesso; e<br />

altrettanto chiara appare la su<strong>per</strong>iorità estetica del brano del romanzo, seppure anche Rosa<br />

si confermi un idillio piuttosto godibile.<br />

Questa godibilità si deve alla grande capacità narrativa di <strong>Nievo</strong>, che, se già dà buoni<br />

frutti in questi versi, non poteva che farsi doppiamente manifesta nel romanzo. La vicen<strong>da</strong><br />

di Rosa e Gildo (vv. 49 sgg.) segue alla parte paesaggistico-descrittiva, la quale preludeva<br />

già ad una storia d'amore: dunque questo tipo di contesto, di fontane e rogge in pieno<br />

gorgogliante rigoglio, pare essere <strong>per</strong> <strong>Nievo</strong> la <strong>per</strong>fetta anticamera poetica del dialogo<br />

d'amore, ancor prima che del «puro Amore, oh della vita nostra | idillio vero eterno!» (vv.<br />

113-4); così infatti recitano i versi conclusivi di Rosa, dove il «tu» è l'Amore:<br />

Talvolta nei palazzi ancor tu guidi<br />

27 Curiosamente si tratta – <strong>per</strong> ovvie tangenze tra paesaggi geografici friulani e veneti – delle stesse<br />

alberature che, là «fratte e irrelate», qui invece edeniche, avevo trovato studiando l'ultima poesia di<br />

Andrea Zanzotto sia nei testi di a<strong>per</strong>tura di Meteo che in quelli di Conglomerati (si ve<strong>da</strong>no in particolare i<br />

testi di Morèr Sachèr e di Crode del Pedrè); come se la lettura del paesaggio fatta <strong>da</strong>i poeti, più che<br />

quella fatta <strong>da</strong>i pittori, ci fosse d'aiuto nella ricostruzione attenta della storia evolutiva, o nel nostro caso<br />

involutiva, del paesaggio a Nordest.<br />

13


La spensierata giostra;<br />

Ma più facil t'assidi<br />

Sulla bell'acqua azzurra<br />

Ove sol l'aura o il capiner susurra.<br />

Rosa circolarmente si chiude con la stessa immagine con cui si era a<strong>per</strong>ta, ribadendo<br />

che le conclusioni erano già nell'incipit, fatto di «bell'acqua azzurra» esattamente come il<br />

penultimo verso: dunque, il paesaggio d'acqua di Romans, come quello di Venchieredo, è<br />

già esso stesso, in quanto cuore dell'idillio pastorale (discendente della più alta tradizione<br />

letteraria italiana, <strong>da</strong> <strong>Nievo</strong> molto amata), rivelatore di quella che sarà la trama che segue,<br />

di quale sarà la conclusione dell'episodio.<br />

La breve trama che in Rosa narra dell'amore tra la protagonista e Gildo – che le si<br />

avvicina tremante <strong>per</strong> esprimerle i suoi sentimenti, alla fine corrisposti e culminati nelle<br />

nozze – avviene tutta nel contesto idillico dell'acqua di Romans; diversamente, nella<br />

vicen<strong>da</strong> d'amore di Venchieredo tra Doretta e Leopardo, l'idillio sopravvive fin quando si è<br />

all'interno di quel paesaggio modellato su quello di Rosa, ma appena i due <strong>per</strong>sonaggi<br />

escono <strong>da</strong> questo contesto si frange la possibilità della circolarità rilevata nella poesia:<br />

dopotutto, con le Confessioni, siamo nel cuore di un romanzo storico, dove la circolarità<br />

non è contemplata o, comunque, sottostà al tragico incalzare dei fatti storici.<br />

Veniamo ora al passaggio successivo, che approfondisce i legami sottotestuali interni<br />

all'o<strong>per</strong>a nieviana, ricercati a partire <strong>da</strong>ll'episodio di Venchieredo nelle Confessioni e, <strong>per</strong><br />

ora, giunti fino alle acque di Romans nelle Lucciole. Marcella Gorra, nelle note a Rosa,<br />

precisa che Romans è 'località del Friuli', ma una precisazione di questo tipo resta ancora<br />

del tutto vaga. Va specificato infatti che Romans è una località ricca d'acque appartenente<br />

al territorio di Varmo 28 , comune che prende nome <strong>da</strong>l corso d'acqua che lo lambisce, il<br />

quale, due anni prima che Rosa fosse pubblicata in volume, aveva <strong>da</strong>to titolo alla novella Il<br />

Varmo del 1856, che <strong>per</strong>altro è, tra le composizioni di questo genere, quella la cui<br />

«convergenza di prospettiva infantile e di prospettiva adulta fa intravedere il <strong>per</strong>corso che<br />

condurrà in breve alle Confessioni», come commenta Marinella Colummi Camerino. Qui,<br />

la trattazione potrebbe dilungarsi sui rapporti tra il punto di vista narrativo nella<br />

costruzione della vicen<strong>da</strong> de Il Varmo rispetto a quella delle Confessioni, ma si andrebbe<br />

28 La località è a poco più di 10 km <strong>da</strong> Venchieredo, quest'ultima nella destra Tagliamento, Romans e Varmo<br />

nella sinistra Tagliamento, ma pur sempre bagnate <strong>da</strong> acque dello stesso bacino idrografico.<br />

14


troppo fuori tema, rispetto agli intenti di questo scritto.<br />

Tornando <strong>per</strong>ciò all'elemento che ha suggerito questi legami, ossia le acque – così<br />

spesso rivelatrici delle faldifere trame nelle quali si anno<strong>da</strong>no e sno<strong>da</strong>no le o<strong>per</strong>e letterarie<br />

di grandi autori moderni e contemporanei –, è il caso di riportare alcuni passi del primo<br />

capitolo del Varmo, quello che introduce a un paesaggio avente molti dei tratti visti <strong>per</strong> la<br />

fontana di Venchieredo e <strong>per</strong> Rosa. Prima va detta <strong>per</strong>ò un'ultima cosa: fatalmente, come si<br />

è poco sopra detto <strong>per</strong> la vicen<strong>da</strong> di Leopardo e Doretta, anche nella vicen<strong>da</strong> del Varmo<br />

l'uscita <strong>da</strong>lla dimensione dell'idillio – quello che Marinella Colummi Camerino chiama<br />

«divenire <strong>da</strong>ll'idillio alla storia» 29 – comporta che «non è più possibile tornare indietro»<br />

(riferimento alla sola «accessibilità memoriale» e non più «fisica» ai luoghi idilliaci della<br />

giovinezza e dell'amore nelle Confessioni, che è elemento anticipato nella novella in<br />

questione); dunque il fuori idillio porta a conseguenze che conclusioni che, ovviamente,<br />

non possono allinearsi a quelle viste <strong>per</strong> Rosa.<br />

Ma ora di seguito, <strong>per</strong> concludere questa sezione dedicata a una «lucciola» <strong>per</strong> la<br />

fontana di Venchieredo, i passi scelti <strong>da</strong>l primo capitolo del Varmo, con evidenziate le<br />

parole chiave:<br />

Un tale che, partitosi <strong>da</strong>lle folte campagne del Trivigiano col mal del quattrino nel fegato, di<br />

qua del ponte della Delizia devii verso Camino <strong>per</strong> quella magra pianura che costeggia il<br />

Tagliamento, subito col desiderio ritorna alle negre arature di Oderzo e ai colli pampinosi di<br />

Conegliano, abbandonando alla rabbia della bora e delle montane quei deserti di ghiaia. Ma<br />

il pittore che va cavalcando le proprie gambe [...] sarebbe indotto <strong>da</strong> quei primi aspetti a<br />

tirare innanzi; ed ecco che di lí a poco il piede gli sosterebbe quasi involontario; benché <strong>per</strong><br />

quella volta in<strong>da</strong>rno, trovandosi impotente ogni tavolozza meglio ingegnosa a ritrarre quella<br />

semplicità primitiva che non ha parentela con qualunque artificiale trovato.Son quelli infatti i<br />

paesi ove la natura si dimostra piú spoglia e maestosa, piú muta e sublime, piú chiusa ed<br />

infinita<br />

[...]<br />

la pianura e l'aere interposto assumono tali colori che mai non saranno ritratti con verità che<br />

<strong>da</strong>l pennello di Dio. Pure cotali regioni sono misera stanza di sterilità e di fatica; contorte e<br />

scapigliate le arborature, umili e cadenti le case, disadorne vi appaiono le chiese, meschini e<br />

quasi accozzaglie del caso i villaggi; ma sopra tanta apparente deformità si spande invisibile,<br />

e attragge l'animo senza passare pegli occhi, una cert'aria di pace serena che non abita le<br />

campagne piú ubertose e fiorenti. Là <strong>per</strong>tanto <strong>da</strong>lla niti<strong>da</strong> ghiaia sprizzano ad ogni passo le<br />

limpide e <strong>per</strong>enni fontane, e di sotto alla siepe sforacchiata <strong>da</strong>l vento effondesi un profumo<br />

di viole piú delizioso che mai, e <strong>per</strong> l'aria salubre e trasparente piove <strong>da</strong> mane a sera il canto<br />

giocondo delle allodole; là pascolano armenti di brevi membra e sottili che morrebbero<br />

29 M. Colummi Camerino, op. cit., p. 47-8, anche citazioni seguenti.<br />

15


mugolando innanzi alle colme mangiatoie della bassa; [...] là fra solco e solco cresce l'olmo<br />

nodoso e stentato, sul quale la vite lentamente s'arrampica: ma nei grappoli nereggianti ella<br />

solea già maturare d'anno in anno il vino piú generoso dei Friuli<br />

Qualche annotazione su questi due primi estratti: inutile dire che quel «fra solco e solco<br />

cresce l'olmo» del secondo brano ricor<strong>da</strong> chiaramente il «d'olmo in olmo» di Rosa, della<br />

quale vi sono, rappresentate <strong>da</strong>i «grappoli», anche quelle «viti» che venivano proprio<br />

«d'olmo in olmo <strong>da</strong>nzando» nella poesia.<br />

L'immagine del <strong>poeta</strong>-pittore, della quale resta cenno nelle Confessioni <strong>per</strong> mezzo di<br />

«un recesso degno del pennello di Virgilio», nell'a<strong>per</strong>tura del Varmo ha spazio in tutto il<br />

primo brano qui citato, dove il pittore itinerante (ma in realtà quello che si suppone farebbe<br />

il pittore, sta facendolo <strong>Nievo</strong>) non potrebbe non fermarsi, colpito <strong>da</strong>lla natura sublime,<br />

seppur disadorna, del paesaggio di Varmo, ricco di campagne umide, contraddistinte <strong>da</strong><br />

«limpide e <strong>per</strong>enni fontane», nelle cui campagne circostanti si respira «cert'aria di pace<br />

serena»: di nuovo riecheggiano le atmosfere di Rosa.<br />

Infine, in un passo successivo, si ritrova la descrizione della scena idilliaca legata alle<br />

acque del Varmo, già annunciate sopra <strong>da</strong>lle fontane che «<strong>da</strong>lla niti<strong>da</strong> ghiaia sprizzano»,<br />

come a Venchieredo l'«acqua tersa cilestrina che zampillando insensibilmente <strong>da</strong> un fondo<br />

di minuta ghiaiuolina s'è alzata». Nel passo che segue si legge l'elegante similitudine con<br />

una «silvestre verginetta», che ricor<strong>da</strong> la Rosa stessa della poesia, ma anche «la ninfa della<br />

fontana» e «le vaghe fanciulle» (qui «vaga» è la «riviera») del brano delle Confessioni. È<br />

«cara e allegra cosa» poi il Varmo, così come «giulivo» era il «rivo» di Rosa, «<strong>per</strong> campi e<br />

<strong>per</strong> prati» (che ricor<strong>da</strong>no le «acque immillanti | <strong>per</strong> prati ed accerchiati incanti» 30 che<br />

saranno i Palù di Zanzotto un secolo e mezzo dopo); <strong>per</strong> concludere, il canto degli uccelli<br />

fa <strong>da</strong> colonna sonora a questo paesaggio, com'era <strong>per</strong> quelli già visti:<br />

Nel mezzo di questo territorio <strong>da</strong> parecchie sorgenti, che forse pigliano via <strong>per</strong> sotterranei<br />

meati <strong>da</strong>l vicino Tagliamento, sgorga una vaga riviera la quale chiamano il Varmo, ed è cosí<br />

cara e allegra cosa a vedersi, come silvestre verginetta, che non abbia né scienza, né cura<br />

della propria leggiadria. Sulle sue rive non s'alternano gli adornamenti ai ripari come<br />

nell'acque serventi all'agricoltura, né ella ogni tratto s'accieca sotto l'arco d'un ponte o nei<br />

canaletti d'un'officina, ma libera divaga <strong>per</strong> campi e <strong>per</strong> prati, partendosi ora in piú rami, ed<br />

ora circuendo graziosamente se stessa, e cosí prepara bagni e pelaghetti ai beccaccini ed agli<br />

anitrocchi [...]<br />

30 A. Zanzotto, "Verso i Palù" <strong>per</strong> altre vie, in Sovrimpressioni, Milano, Mon<strong>da</strong>dori, 2001, p. 12.<br />

16


3.3. Lo «scirocco»<br />

Il «rimpianto della grandezza <strong>per</strong>duta» 31 di Venezia è cronologicamente registrato <strong>per</strong><br />

la prima volta all'altezza dei primi versi del <strong>Nievo</strong>, con Dopo la caduta di Venezia, testo<br />

uscito postumo (editato <strong>da</strong> Giovanni Botturi nel 1932) e oggi leggibile tra i Versi inediti e<br />

sparsi nell'edizione curata <strong>da</strong> Marcella Gorra 32 . Balduino lo segnala in una nota come «una<br />

delle cose migliori del <strong>Nievo</strong> <strong>poeta</strong>», con i suoi «motivi e tonalità linguistiche, che si<br />

incontreranno nei Bozzetti veneziani» 33 :<br />

[DOPO LA CADUTA DI VENEZIA]<br />

A te, regina e martire,<br />

A te, Venezia bella,<br />

Fra risa e pianti naviga<br />

Un'umil navicella;<br />

La gui<strong>da</strong> il pensier mio:<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Come spogliata Venere,<br />

Le guglie de' tuoi templi,<br />

Le rilucenti cupole,<br />

L'ingrato mar contempli;<br />

Tu piangi e piango anch'io;<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Ma già le nubi imporpora<br />

Dietro San Giorgio il sole;<br />

Suonan chitarre, nacchere<br />

E allegre barcarole;<br />

Si canta in ogni rio;<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Già di San Marco il popolo<br />

Cala ai marmorei giri,<br />

Ciarle <strong>per</strong> l'aer s'incontrano,<br />

Risa, sguardi, sospiri;<br />

Tutto è letizia e brio;<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Di femminette un garrulo<br />

Sciame i traghetti ingombra;<br />

<strong>Alcune</strong> si fuorviano<br />

Per novellare all'ombra;<br />

ne pagheranno il fio!<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Le tenebrose gondole<br />

31 P. De Tommaso, op. cit., p. 123.<br />

32 I. <strong>Nievo</strong>, Tutte le o<strong>per</strong>e di Ippolito <strong>Nievo</strong>. I: Poesie, cit., pp. 647-8.<br />

33 A. Balduino, op. cit., p. 9.<br />

17


S'accolgono alle rive.<br />

Forme velate e tremule<br />

Vi balzano furtive.<br />

Fuggon... ma non con Dio.<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Dal mar un'aura levasi<br />

Che, colle fresche piume,<br />

L'onde ragguaglia ed agita;<br />

Treman le bianche spume<br />

D'un vago luccichio:<br />

Bella Venezia, addio!<br />

E sulle argentee nuvole<br />

Sembra <strong>da</strong>nzar la luna,<br />

Come vezzosa vedova<br />

Che la gramaglia bruna<br />

Inargenta d'oblio.<br />

Bella Venezia, addio!<br />

Addio!... di te si piacciono<br />

Le maghe, i silfi, i numi;<br />

Ma il mio modesto spirito<br />

Far pago invan presumi.<br />

Un altro mare è il mio!<br />

Bella Venezia, addio!<br />

(Ippolito <strong>Nievo</strong>, Dopo la caduta di Venezia)<br />

Da questo addio a Venezia, ai Bozzetti delle Lucciole, dove attraverso una sessantina di<br />

quadretti si dipingono o satireggiano diversi aspetti della Venezia decaduta della prima<br />

metà del XIX secolo. In particolare ho individuato nel tredicesimo testo di questo gruppo,<br />

intitolato Lo scirocco, un motivo che ritorna indirettamente nel XIX capitolo delle<br />

Confessioni e oltre, legato alla figura del vecchio Monsignore.<br />

XIII<br />

Lo scirocco<br />

Spurio figliuol dell'aria,<br />

Circe dei sommi ingegni,<br />

Distruggitor de' regni,<br />

Padre del sonno e re;<br />

Ben a ragion dell'Adria<br />

I boccheggianti figli<br />

Vanno tra due sbadigli<br />

Maledicendo a te.<br />

Ma come in terra Dandolo<br />

Sconfisse i Bisantini,<br />

E come il Morosini<br />

Ruppe gli Osmani in mar?<br />

18


Ahi, quel Scirocco è un nostro<br />

Peculiar nemico,<br />

Che certo al tempo antico<br />

Non osava fiatar.<br />

(Ippolito <strong>Nievo</strong>, Bozzetti veneziani, XIII, Lo scirocco [pp. 327-8])<br />

Lo scirocco si annuncia subito «spurio figliuol», dunque 'figlio reietto', modo poetico<br />

<strong>per</strong> <strong>da</strong>rgli del 'bastardo', poi è «Circe dei sommi ingegni», dunque un vento maliardo, che<br />

devia gli intelletti e li addormenta, causando la caduta «de' regni», nel nostro caso della<br />

Serenissima.<br />

Insomma, in poesia lo scirocco risulta essere <strong>per</strong> <strong>Nievo</strong> decadimento di Venezia e della<br />

sua grandezza politico-economica e culturale, un vento «che certo al tempo antico | non<br />

osava fiatar», come recitano gli ultimi due versi del Bozzetto; <strong>da</strong> qui parte il legame con<br />

un'immagine insistita nelle Confessioni, che così entra in gioco, nel capitolo XIX,<br />

accompagnando sempre poi lo stesso <strong>per</strong>sonaggio e, successivamente, intaccando lo stesso<br />

narratore:<br />

Monsignore Orlando invece ci accolse così tranquillo e sereno come appunto tornassimo<br />

allora <strong>da</strong>lla passeggiata d'un'ora. La sua nobile gorgiera si era stradoppiata, e camminava<br />

strascicandosi dietro le gambe, e lo<strong>da</strong>ndosi molto della propria salute, se non fosse stato quel<br />

maledetto scirocco che gli rompeva i ginocchi. Era lo scirocco degli ottant'anni, che ora<br />

provo anch'io e che soffia <strong>da</strong> Natale a Pasqua e <strong>da</strong> Pasqua a Natale con una insistenza che si<br />

fa beffa dei lunarii.<br />

Mentre la Pisana buona e spensierata faceva festa allo zio, e si divertiva di inquietarlo sulla<br />

durata del suo scirocco, io riuscii pian piano a rappiccar conoscenza colle vecchie camere del<br />

castello.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. XIX [pp. 725-6])<br />

E ancora, in un dialogo tra Monsignore e Carlino:<br />

Monsignore mangiava come avesse vent'anni; io, vicino a lui e un po' sbalordito <strong>da</strong>gli<br />

inopinati accidenti che m'intervenivano, lo doman<strong>da</strong>i non so quante volte della sua salute<br />

durante il pranzo. Mi rispondeva fra un boccone e l'altro:<br />

- La salute andrebbe a meraviglia se non ci fosse questo benedetto scirocco! Una volta non<br />

era cosí. Te ne ricordi, Carlino?...<br />

Peraltro non pioveva <strong>da</strong> un mese; e fra tutti i popoli d'Italia Monsignore era il solo che<br />

sentisse lo scirocco.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. XIX [pp. 737-8])<br />

Da quest'ultimo commento si intuisce un legame con il distico conclusivo della poesia,<br />

19


poiché <strong>da</strong>l punto di vista di un ben più giovane Carlino lo scirocco di Monsignore era<br />

qualcosa di inconcepibile, qualcosa che finché non si diventava vecchi «non osava fiatar»,<br />

ma che il Carlo Altoviti narratore ottuagenario, a un certo punto dello stesso capitolo, svela<br />

essergli divenuto famigliare:<br />

Non fui più il puledro che scorazza pei paludi saltando fossati e sforacchiando fratte, ma il<br />

cavallo bar<strong>da</strong>to che tira gravemente o la carrozza d'un cardinale o il carretto della ghiaia. Ma<br />

non vi spaventate; non mancheranno terremoti e rovesciate <strong>per</strong> tornare in libertà il cavallo e<br />

fargli riprendere una matta corsa attraverso il mondo. Solamente ora sono sicuro di non<br />

correr più; ma ho, vi ripeto, come Monsignore, lo scirocco degli ottant'anni nelle gambe.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. XIX [p. 741])<br />

In almeno altri due punti successivi al XIX capitolo lo scirocco ritorna come "sintomo"<br />

patito <strong>da</strong>l vecchio narratore: «Io che ebbi sempre e l'ho ancora malgrado lo scirocco della<br />

vecchiaia, una maledetta propensione <strong>per</strong> le belle donne» (cap. XXI [p. 827]); «Le<br />

domeniche quando colla carrozza (ohimè! sento anch'io lo scirocco di Monsignore!)<br />

conduco la Pisana, mio genero e i quattro nipotini o alla fontana di Venchieredo od a<br />

Fratta, mi passa sulla fronte una nuvola di melanconia» (cap. XIII [p. 913]): proprio in<br />

questi commenti vien fuori la vecchiaia, il decadimento fisico dell'uomo, filtrato attraverso<br />

un acciacco <strong>per</strong>cepito inizialmente <strong>da</strong> Monsignore, mentre giungeva a compimento la sua<br />

parabola vitale, prima di morire «sorridendo e mangiando com'era vissuto»; ed ecco il<br />

brano che ne precede e ne annuncia la morte:<br />

[...] siccome non ne trovò, vendette ad un imprenditore i materiali della parte piú diroccata<br />

del castello. Io assistetti alla demolizione e mi parve al funerale d'un amico; cosí pure il<br />

Conte non poté reggere allo spettacolo di quella rovina, e toccati quei pochi quattrini se ne<br />

tornò a Venezia. Ve lo richiamava anche la malattia di sua madre che cominciava a <strong>da</strong>r gravi<br />

timori. Appena sgomberi i cortili delle pietre spaccate a forza di piccone e delle macerie<br />

ragunatevi a montagne durante la demolizione, cominciò Monsignore a sentir piú molesto<br />

che mai lo scirocco. Una mattina ebbe uno svenimento durante la messa, e dopo d'allora non<br />

uscí piú della sua camera. Io fui a trovarlo il penultimo giorno di sua vita, gli doman<strong>da</strong>i del<br />

suo stato e mi rispose colla solita solfa. Sempre quello scirocco ostinato!!...Tuttavia<br />

mangiava anche a letto a doppie ganasce, e all'ultima ora aveva il breviario <strong>da</strong> un lato e<br />

<strong>da</strong>ll'altro mezzo pollastrello arrostito. La Giustina gli veniva doman<strong>da</strong>ndo: – Non mangia,<br />

Monsignore?... – Non ho piú fame! – rispose egli con voce piú fioca del solito.<br />

Cosí morí monsignor Orlando di Fratta, sorridendo e mangiando com'era vissuto; ma almeno<br />

si avea cavata la fame.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. XIX [p. 746])<br />

20


Qui si <strong>per</strong>cepisce meglio che altrove il nesso scirocco-decadenza che riguar<strong>da</strong>va la<br />

Venezia de Lo scirocco: infatti il crollo definitivo di Monsignore, che avviene quando si fa<br />

«più molesto che mai lo scirocco», si verifica di fatto in simbiosi con la demolizione della<br />

sua casa, il castello, così vicina simbolicamente alla caduta di quella nobiltà che aveva<br />

portato alla rovina Venezia, mangiando sulle sue antiche glorie e sui privilegi finché aveva<br />

potuto e poi, così come Monsignor Orlando, <strong>per</strong> un soffio più «ostinato» di quello<br />

scirocco, morta ingloriosamente.<br />

21


3.4. L'«abisso»<br />

Ultimo tema che affronto, comune a Lucciole e Confessioni, è quello dell'abisso, che<br />

riguar<strong>da</strong> direttamente, fin <strong>da</strong>l titolo, la poesia L'abisso (terzo componimento della sezione<br />

titolata Le nuvole d'oro), che Benedetto Croce dice essere «la più bella delle poesie del<br />

<strong>Nievo</strong> (nonostante l'eccesso analitico e qualche stento o fiacchezza di frase)» 34 ; questa<br />

segnalazione l'ha fatta divenire la più celebre delle poesie di <strong>Nievo</strong>, presente in tutte le<br />

antologie del Novecento; essa è stata segnalata anche <strong>da</strong> altri (fra i quali Umberto Bosco<br />

nel suo saggio Poetica di <strong>Nievo</strong> 35 ) <strong>per</strong> essere il modello lirico, nel capitolo XIV delle<br />

Confessioni, dell'episodio del tentato suicidio di Aglaura. Di seguito riporto la poesia e il<br />

relativo passo del romanzo, entrambi pezzi di grande arte scrittoria, segnalandone (in<br />

corsivo e blu) la comunanza d'immagini e di terminologia.<br />

L'ABISSO<br />

«Là!» disse: e la protesa<br />

Mano scorgea lo smalto<br />

Fiorito d'una scesa,<br />

Donde il monte <strong>da</strong>ll'alto<br />

Precipitoso piomba<br />

Sul torrente che romba.<br />

E di là si rialza<br />

La ripa e si contorce<br />

Su via di balza in balza;<br />

Il vento umido torce<br />

Sull'orri<strong>da</strong> parete<br />

L'aggrappatosi abete.<br />

L'occhio rifugge; il fiero<br />

Atteggiar delle rocce,<br />

L'aer senza notte nero<br />

Per cui l'argentee gocce<br />

Stillan sonoro eterno<br />

Pianto d'un nuovo inferno;<br />

Lo strepitar dell'onde<br />

Contro il monte che d'ira<br />

Mugolando risponde,<br />

Tutto ribrezzo spira;<br />

Bolle e s'agghiaccia il cuore<br />

Tra delirio ed orrore.<br />

34 B. Croce, La letteratura della Nuova Italia, vol. I, Bari, Laterza, 1947, p. 127. Questo giudizio crociano<br />

ha portato ad una sopravvivenza più diffusa di questa poesia nelle antologie, rispetto all'oblio toccato<br />

<strong>da</strong>lla maggior parte delle altre.<br />

35 U. Bosco, Poetica di <strong>Nievo</strong>, «Italia letteraria», 20 dicembre 1931, anno VII, n. 51, pp. 3-4.<br />

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Alla mia mano appesa<br />

Ella sporgea sul vuoto<br />

Della gola scoscesa.<br />

Smorto, tacito, immoto<br />

Com'uno di quei greppi,<br />

Nulla più vidi o seppi.<br />

Ed ella pure al fondo<br />

Il grande occhio figgea;<br />

Così fuori del mondo,<br />

Di me che la reggea,<br />

Di sé immemore, forse<br />

Ad altra estasi corse,<br />

E vide una lontana<br />

Speme, fi<strong>da</strong>ta maga<br />

D'amor, pinger la frana<br />

Di sua iride vaga:<br />

Onde ritrasse il viso<br />

Inon<strong>da</strong>to d'un riso.<br />

«Oh! qui posiam, le dissi,<br />

Su queste verdi zolle,<br />

Al margin degli abissi<br />

Cresce erbetta più molle»<br />

Ella a cotali cose<br />

D'un sospiro rispose,<br />

E sedette velando<br />

Le sognanti pupille<br />

A poco a poco; e quando<br />

A poco a poco aprille<br />

Vidi ogni speme mia<br />

Che a morir se ne gia.<br />

(Ippolito <strong>Nievo</strong>, III, L'abisso, in Le lucciole, 1858 [pp. 411-2])<br />

Questi i versi; il seguente brano è invece la descrizione (prima di Aglaura e poi)<br />

dell'analoga ambientazione <strong>per</strong> com'è rappresentata nel romanzo:<br />

L'Aglaura mi veniva appresso ravvolta nel suo cappotto e grave anch'essa la fronte di<br />

melanconiche fantasie. [...] Mi pareva la musa della tragedia, quando prima si rivelò pensosa<br />

e severa all'estro di Eschilo. Tutto ad un tratto dopo un'erta faticosa della via giunsimo<br />

dov'essa radeva il sommo d'una rupe che impendeva precipitosa sul lago. La frana cadeva<br />

giù nera e cavernosa, sbiancata mestamente <strong>da</strong>lla luna in qualche nodo più rilevato; di sotto<br />

l'acqua nereggiava profon<strong>da</strong> e silenziosa; il cielo vi si specchiava entro senza illuminarla,<br />

come succede sempre quando la luce non viene di traverso ma a piombo.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. XIV [p. 563])<br />

La «frana» – parola comune a poesia e prosa <strong>per</strong> designare lo scoscendimento – è<br />

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minacciosamente «nera», come «nero» era «l'aer senza notte» che vi aleggiava<br />

sull'infernale abisso dei versi; e anche «l'acqua nereggiava» nelle Confessioni, laddove<br />

oscuri erano già l'acquatico «strepitar dell'onde» e lo stillare «pianto d'un nuovo inferno»<br />

delle «argentee gocce» di un «torrente che romba» 36 . Significativa identità lessicale, anche<br />

se più indiretta nel romanzo, quella di «piomba/a piombo» (nella poesia riferito al «monte<br />

[...] precipitoso», nelle Confessioni alla «luce»), efficace nel richiamare una tipica mo<strong>da</strong>lità<br />

rupestre.<br />

Riporto ora integralmente il passo che, con concentrata rapiente brevità, narra<br />

propriamente del tentato suicidio e salvataggio della «greca bellezza»:<br />

Mi riscossi <strong>da</strong> cotali memorie a un lungo e profondo sospiro della mia compagna: allora la<br />

vidi avventarsi in avanti e rovinar capovolta nell'abisso che le vaneggiava a' piedi. Mi<br />

scoppiò <strong>da</strong>lla gola un grido così straziante che impaurì quasi me stesso; lo spavento mi<br />

drizzava i capelli sul capo e mi sentiva attirare anch'io <strong>da</strong>l vorticoso delirio del vuoto. Ma<br />

raccapricciava al pensiero di volgere un'occhiata a quella profondità e fermarla forse nelle spoglie<br />

inanimate e sanguinose della misera Aglaura. In quella mi parve udire sotto di me e non molto<br />

lontano un fioco lamento. Mi chinai sul ciglio della rupe, intesi l'orecchio e raccolsi un<br />

gemito piú distinto; era dessa, non v'avea dubbio: viveva ancora. Aguzzai gli occhi a tutto<br />

potere e scorsi finalmente fra un macchione di cespugli una cosa nera che somigliava un<br />

corpo e pareva esservi rimasta appesa. Impaziente di recarle soccorso e di sottrarla al<br />

<strong>per</strong>icolo imminente d'un ramo che si spezzasse o d'una radice che cedesse, mi calai giù<br />

risoluto <strong>per</strong> la parete quasi verticale della roccia. Strisciava lungh'essa rapi<strong>da</strong>mente col viso<br />

coi ginocchi coi gomiti, ma lo strisciamento stesso e qualche cespo d'erba cui mi aggrappava<br />

nel passare rompevano il soverchio precipizio della discesa. Non so <strong>per</strong> qual miracolo<br />

arrivassi sano e salvo, cioè almeno colle gambe intiere e colle vertebre bene inanellate, alla<br />

macchia di cornioli che l'aveva trattenuta. Allora non avea tempo <strong>da</strong> maravigliarmi; la<br />

ritrassi <strong>da</strong>lla spinaia in cui era impigliata coi gheroni del cappotto e la addossai ancor<br />

semiviva al dirupo. Senz'acqua senza nessun aiuto in quel ginepraio che aveva figura d'un<br />

gran nido di aquilotti, io non poteva altro che aspettare ch'ella rinvenisse o guar<strong>da</strong>rla<br />

morire. Aveva udito dire che anche il soffio giovasse a ridonare i sensi agli smarriti <strong>per</strong><br />

qualche commozione violenta, e mi diedi a soffiare negli occhi e sulle tempie spiando<br />

ansiosamente ogni suo minimo movimento. Ella dischiuse alfine le ciglia; io respirai come se<br />

mi si togliesse di sopra al petto un enorme macigno.<br />

(<strong>da</strong> Ippolito <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, cap. XIV, [pp. 564-5])<br />

Le parti in corsivo qui e nella poesia denotano una identità di ruoli e reazioni: la figura<br />

maschile (Carlino) pietrificata <strong>da</strong>l sublime/timore, la quale ha <strong>per</strong>ò ruolo di<br />

36 Si ve<strong>da</strong>no le belle pagine di Alessandra Acosta-Hauser sull'episodio dell'Aglaura, dove definisce questa<br />

oscurità la caratteristica della parte bassa dell'abisso, dove c'è «un'atmosfera di oppressione ed<br />

inquietudine», simbolica di un passaggio anche narrativo: <strong>da</strong>i luminosi luoghi alti dell'immaginazione e<br />

dell'es<strong>per</strong>ienza friulana, alle oscurità della tragedia, di cui Aglaura incarna già i caratteri, come si è visto<br />

nel brano appena citato. Cfr. A. Acosta-Hauser, Ippolito <strong>Nievo</strong>. Confessioni di un italiano. Struttura,<br />

spazio e poetica, Bellinzona, Edizioni Casagrande, 1997, pp. 154-6.<br />

24


sostegno/salvataggio del corpo della figura femminile (Aglaura), che «sporgea» (poesia) e<br />

che si avventava «in avanti» (prosa).<br />

Tornando alla poesia, vi avevo segnalato il «riso» della figura femminile della poesia –<br />

che segue alla descrizione come elemento di rottura con la scena sublime dell'abisso – in<br />

quanto ricor<strong>da</strong>, strutturalmente (seppur velatamente), la gaiezza di Aglaura che segue,<br />

repentina, al suo tentato suicidio nelle Confessioni. Vi è dopo messa in evidenza la<br />

presenza di «verdi zolle», che ricor<strong>da</strong>no un frammento dell'episodio di Aglaura posto tra i<br />

due citati sopra, costituendo la narrazione di ciò che fa Carlino pochi secondi prima del<br />

tentato suicidio, quando il narratore, dopo aver descritto con i termini già detti il paesaggio<br />

dell'abisso e precisato che «quel tetro e solenne spettacolo [...] meriterebbe una descrizione<br />

finita <strong>da</strong> una penna più maestra o temeraria» della sua [pp. 563-4], così prosegue:<br />

L'Aglaura si protese sulla repente caduta della roccia, e parve assorta <strong>per</strong> un istante in più<br />

tetre meditazioni. Ohimè! io pensava intanto ai tranquilli orizzonti, alle verdi praterie, alle<br />

tremolanti marine di Fratta; rivedeva col pensiero il bastione di Attila e il suo vasto e<br />

maraviglioso panorama che primo m'avea incurvato la fronte dinanzi la deità ordinatrice<br />

dell'universo. Quanti fiori di mille disegni, di mille colori racchiude la natura nel suo<br />

grembo, <strong>per</strong> ispanderli poi sulla faccia multiforme dei mondi!...<br />

Con questo passo si conclude questa presentazione dell'ultima «lucciola» <strong>per</strong> le<br />

Confessioni; segnalo solo, in chiusura, che le «verdi zolle» della poesia sono, in questo<br />

brano, quei ricordi della verde giovinezza a Fratta (le «verdi praterie»; e non è dunque<br />

casuale che questo verde sia – nei versi – nella parte alta dell'abisso, laddove – nella prosa<br />

– Alessandra Acosta-Hauser vede simbolicamente, nella parte alta della rupe, proprio quel<br />

passato di «luminosità» e «pace, serenità e leggiadria» che fu degli anni friulani in quel<br />

momento rammemorati <strong>da</strong> Carlino 37 ); infine «protesa/protese» e «roccia/rocce» sono<br />

lessico comune all'Abisso e al romanzo, che di nuovo rivela il sostrato poetico di questo<br />

piccolo capolavoro della narrativa.<br />

37 Cfr. Ibidem.<br />

25<br />

© <strong>Paolo</strong> <strong>Steffan</strong>, novembre-dicembre 2011


4. BIBLIOGRAFIA<br />

O<strong>per</strong>e di Ippolito <strong>Nievo</strong>:<br />

▪ Il Varmo, a cura di I. De Luca, Padova, La Garangola, 1945.<br />

▪ Poesie, a cura di M. Gorra, Milano, Mon<strong>da</strong>dori, 1970.<br />

▪ Studi sulla poesia popolare e civile massimamente in Italia, a cura di M. Gorra,<br />

Udine, Istituto editoriale veneto friulano, 1994.<br />

▪ Le confessioni di un italiano, a cura di S. Romagnoli, Venezia, Marsilio, 2000.<br />

Saggi critici (studiati e consultati):<br />

▪ D. Mantovani, Il <strong>poeta</strong> sol<strong>da</strong>to. Ippolito <strong>Nievo</strong> (1831-1861), Milano, Treves, 1900.<br />

▪ I. De Luca, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, Il Varmo, cit., pp. VII-XVII.<br />

▪ S. Romagnoli, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, O<strong>per</strong>e, Milano-Napoli, Ricciardi, 1952,<br />

pp. IX-XXVIII.<br />

▪ A. Balduino, Aspetti e tendenze del <strong>Nievo</strong> <strong>poeta</strong>, Firenze, Sansoni editore, 1962.<br />

▪ F. Ulivi, Introduzione, in Poeti minori dell'ottocento italiano, Milano, Vallardi, 1963.<br />

▪ D. Isella, Due <strong>«lucciole»</strong> <strong>per</strong> San Martino, in «Strumenti critici», anno I, 2, febbraio<br />

1967, pp. 187-189.<br />

▪ M. Gorra, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, Poesie, cit., pp. XIII-LXXXI.<br />

▪ P. De Tommaso, Ideologia e poesia nella produzione lirica di Ippolito <strong>Nievo</strong>, in Id.,<br />

<strong>Nievo</strong> e altri studi sul romanzo storico, Padova, Liviana editrice, 1975, pp. 113-168.<br />

▪ P. V. Mengaldo, Appunti di lettura sulle Confessioni di <strong>Nievo</strong>, in «Rivista di<br />

letteratura italiana», 1984, II, 3, pp. 465-518.<br />

▪ M. Colummi Camerino, Introduzione a <strong>Nievo</strong>, Bari, Laterza, 1991.<br />

▪ S. Casini, Introduzione, in I. <strong>Nievo</strong>, Le confessioni di un italiano, a cura di S. Casini,<br />

Guan<strong>da</strong>, 1999, vol. I, pp. I-CXIX.<br />

▪ S. Segatori, Identità regionale e nazionale nelle o<strong>per</strong>e giovanili di Ippolito <strong>Nievo</strong>, in<br />

Gli scrittori d'Italia. Il patrimonio e la memoria della tradizione letteraria come<br />

risorsa primaria, atti del XI congresso dell'ADI, Napoli 26-29 settembre 2007.<br />

26


▪ E. Paccagnini, Dal taccuino di un volontario al diario di un <strong>poeta</strong>, in I. <strong>Nievo</strong>, Gli<br />

amori garibaldini, a cura di E. Paccagnini, Genova, De Ferrari, 2008, pp. 5-27.<br />

27

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