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GIOVANNI MARIO VERDIZZOTTI UN FAVOLISTA ITALIANO DEL ...

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50<br />

BR<strong>UN</strong>O DONDERI<br />

<strong>GIOVANNI</strong> <strong>MARIO</strong> <strong>VERDIZZOTTI</strong><br />

<strong>UN</strong> <strong>FAVOLISTA</strong> <strong>ITALIANO</strong> <strong>DEL</strong> CINQUECENTO<br />

Il letterato veneziano Giovanni Mario Verdizzotti viene ricordato<br />

oggi 1 soprattutto come amico del Tasso, amico e segretario del<br />

Tiziano, autore delle Lettere a Orazio Ariosti, del piccolo trattato Breve<br />

discorso intorno alla narrazione poetica; rimane invece un poco in ombra<br />

la sua figura di favolista e ciò, a nostro parere, ingiustamente, dal<br />

momento che l’opera di cui ci accingiamo a parlare, Cento favole<br />

morali, non solo ebbe grandissima fortuna ai tempi, si contano infatti<br />

non meno di dodici edizioni nel XV e XVI secolo 2 , ma ebbe pure un<br />

discreto successo europeo e persino il grande La Fontaine, il quale<br />

dovette conoscerne ed apprezzarne il lavoro, in alcune favole appare<br />

in varia misura debitore nei confronti del suo più anziano collega<br />

italiano.<br />

La pubblicazione, nel 1570, delle Cento favole morali si inserisce nel<br />

generale contesto del rinnovato interesse rinascimentale per la favola<br />

esopica, interesse, a dire il vero mai sopito nel corso dei secoli<br />

precedenti, come testimoniano le numerose versioni latine medievali,<br />

si pensi ai vari Romulus, e quelle vernacolari, per esempio gli Ysopets<br />

francesi, il più famoso dei quali è dovuto a Marie de France. Alla fine<br />

del Quattrocento tuttavia, con l’avvento della stampa, assistiamo alla<br />

pubblicazione di numerose raccolte esopiche, sia in latino sia in<br />

volgare, per lo più precedute dalla vita dell’autore redatta da<br />

Massimo Planude, di cui, per ovvi motivi di spazio, citeremo soltanto<br />

alcune, limitandoci all’editoria italiana: Vita et fabulae Esopi per<br />

Rimicium latinae factae, Mediolani, apud A. Zarotum, 1474; Aesopus,<br />

versibus latinis redditus, In Monteregali, per D. de Vivaldis cum filiis,<br />

1481; Fabulae Aesopi selectae, a Rinutio latinae factae et a Bono Accursio,<br />

Regii, per D. Bertochum, 1497 (edizione con testo greco a fronte); Vita<br />

et fabellae Aesopi, cum interpretatione latina, ita tamen ut separari a graeco<br />

1 Si vedano a questo proposito: Venturini 1968, 1969a, 1969b, 1970/72, 1973<br />

2 1570, 1575, 1577, 1586, 1595, 1599, 1605, 1607, 1613, 1661, 1677, 1699.


possit pro uniuscujusque arbitrio... Venetiis, apud Aldum (Manuzio),<br />

1505 3 . Tra le edizioni in volgare ricorderemo quella curata<br />

dall’umanista e tipografo napoletano Francesco del Tuppo, La vita<br />

dell' Esopo e le favole del medesimo volgarizzate da Francisco del Tuppo,<br />

Napoli, 1485: si tratta delle favole di Gualtiero Anglico, vescovo di<br />

Palermo, corredate da una traduzione in prosa italiana, da riflessioni<br />

morali e da aneddoti o fatti storici significativi, comprobanti la verità<br />

morale contenuta in ogni singola favola. Non dimenticheremo<br />

neppure il volgarizzamento trecentesco di Accio Zucco da<br />

Sommacampagna delle favole esopiche del medesimo Gualtiero<br />

Anglico, consistente in altrettanti «sonetti materiali» e «morali»,<br />

stampato più volte alla fine del Quattrocento insieme all’originale<br />

testo latino 4 .<br />

Una nota a parte merita la raccolta di Gabriele Faerno, intitolata<br />

Fabulæ centum ex antiquis auctoribus delectæ, apparsa a Roma nel 1563 5 ,<br />

ossia sette anni prima di quella del Nostro. Essa riunisce una<br />

selezione di favole di Fedro, Aviano, Barbrius – o Gabrius come si<br />

diceva allora – Poggio Bracciolini adattate in eleganti versi latini.<br />

Quest’opera servirà infatti come modello alla raccolta di Verizzotti,<br />

non solo per quanto riguarda il numero delle favole o i soggetti, ma<br />

anche per quanto concerne la varietà metrica.<br />

Non si tratta di mera supposizione da parte nostra, ma quanto<br />

abbiamo testé accennato, possiamo ricavare dalla lettera indirizzata ai<br />

lettori dall’editore veneziano Giordano Ziletti, la quale segue quella<br />

dedicatoria dell’autore al conte Giulio Capra, in cui, dopo un piccolo<br />

saggio introduttivo sulla natura e la fortuna della favola e sulla sua<br />

funzione educatrice, vengono espressi gli elogi dell’illustre<br />

dedicatario. Nella lettera dello Ziletti leggiamo:<br />

3 Vedansi pure le favole latine di Lorenzo Valla e di Lorenzo Bevilacqua (Abstemius).<br />

4 Nostre edizioni di riferimento: Aesopi fabulas interpretatio per rhythmos in libellum<br />

Zucharinum inscriptum contexta, Verona, 1479; Esopo con la vita sua historiale vulgare &<br />

latino, Milano, 1497.<br />

5 Nostra edizione di riferimento: Fabulæ centum ex antiquis auctoribus delectæ et a<br />

Gabriele Faerno Cremonensi carminibus explicatæ, Romæ, Vincentius Luchinus.<br />

51


52<br />

[...] questa [raccolta] contiene in se il fiore (per cosi dire) delle piu belle<br />

& sententiose favole, che da tutto il corpo di quelle, che da gli antichi,<br />

& da i moderni autori sieno state fatte fin à questo tempo [...] M. Gio.<br />

Mario Verdizoti scorrendo tutto il volume di quelle che il dottiss.<br />

Faerno lasciò scritte in varie maniere di versi Latini, ne ha levato<br />

solamente quelle, che hanno in se piu gratia, e dissimilitudine tra loro<br />

di moralità; & ha lasciato di raccorre nel suo volume quelle, che<br />

parevano di moralità conformi ad alcune altre, benche fossero trattate<br />

sotto diversa forma di figura; & quelle anchora, che niuno fine di<br />

moralità in se contengono, come sarebbe quella degli Asini, & di<br />

Giove, & certe altre simili. Cosi egli ha fatto elettione di queste cento<br />

[...] (Verdizotti 1570:n.p.)<br />

Apprendiamo altresì che le illustrazioni che precedono ogni<br />

singola favola sono opera dello stesso Verzizzotti, il quale oltre ad<br />

essere letterato era pure artista, essendo stato discepolo dell’illustre<br />

Tiziano:<br />

[…] egli di ciò da me ricercato & pregato, si è contentato di ornarle<br />

delle figure à loro pertinenti disegnate nel legno di sua propria mano,<br />

essendosi egli dilettato fin da fanciullo per suo diporto di disegnare<br />

senza farne professione. Di modo che quelli, che questo libro<br />

leggeranno, havranno da un medesimo autore la poesia e la pittura<br />

[...] (ibidem)<br />

Si tratta quindi di una selezione che prevede l’utilizzo di un terzo<br />

solamente delle cento favole del Faerno: il rimanente, come dice il titolo<br />

stesso «Dei piu illustri antichi, & moderni autori Greci e Latini», è tratto<br />

dal patrimonio favolistico sia antico sia medievale cui accennavamo<br />

sopra. Tra le favole non versificate dal Faerno e utilizzate invece dal<br />

Verdizzotti troviamo infatti i rifacimenti di alcuni celebri apologhi di<br />

Aviano come Del Sole, & Borea (18) o Del gambero, & suo figliuolo (24), di<br />

Esopo, tra cui Dell’aquila, & della volpe (1) e Del corvo, & li pavoni (76), di<br />

Barbrius, Dell’aquila, & la saetta, di Fedro, conosciuto ancora soltanto<br />

attraverso il Romulus, Del cervo (13) e infine di una facezia di Poggio<br />

Bracciolini, presente in molte raccolte esopiche del Quattrocento, sia latine,<br />

sia volgari, Della volpe, & del gallo. In alcuni casi, quantunque le favole di


Verdizzotti presentino qualche analogia con alcuni testi del corpus<br />

favolistico al quale facciamo riferimento, non ci è stato possibile reperire<br />

antecedenti; pensiamo segnatamente alla favola terza, Dell’aquila, e ‘l Guffo,<br />

e alla XLII, Del Lupo, & le Pecore. Possiamo quindi azzardare di supporre<br />

che si tratti di creazioni originali, le quali, più che riferirsi ad un modello<br />

ben preciso, sfruttano alcune situazioni o moralità variamente presenti nel<br />

patrimonio favolistico. A questa ipotesi siamo giunti confrontando alcune<br />

edizioni annotate delle favole di La Fontaine, le quali indicano come fonte<br />

il solo Verdizzotti.<br />

Da queste brevi osservazioni possiamo vedere come le Cento favole<br />

morali del Veneziano, non siano semplicemente trasposizioni o traduzioni<br />

da altri autori, ma presentino pure dei caratteri originali, che cercheremo<br />

di mettere in luce.<br />

Da un punto di vista formale, quanto viene espresso nel titolo «Favole<br />

[...] scielte, & trattate in varie maniere di versi volgari», e cioè la varietà dei<br />

metri utilizzati, può essere rapportata alla raccolta del Faerno, la quale<br />

pure utilizzava strutture metriche diverse. Il Verdizzotti usa<br />

sistematicamente l’endecasillabo, ma impiega tale verso in quattro<br />

combinazioni differenti: endecasillabo sciolto, terza rima, ottava rima e<br />

sonetto. Il primo schema formale è di gran lunga il più usato giacché si<br />

ritrova in ottantaquattro favole; in molte di esse tuttavia l’autore ricorre ad<br />

un accorgimento che, in uno stesso schema possa anche risultare<br />

diversificante. La parte narrativa della favola è esposta in endecasillabi<br />

sciolti, mentre la morale conclusiva è spesso racchiusa in una quartina a<br />

rima chiusa, o in un distico a rima baciata. Gli altri schemi ricorrono molto<br />

meno frequentemente: dieci favole sono in terza rima, sei in ottava rima e<br />

una sola, Del Serpente e Giove, è un sonetto. Per quanto riguarda la forma,<br />

sebbene il numero delle soluzioni metriche sia in fondo limitato, la<br />

raccolta del Verdizzotti, rispetto ad altre, presenta quella che potremmo<br />

chiamare una sorta di innovazione. È tuttavia nel modo di trattare una<br />

materia, pressoché codificata, che si manifesta l’apporto personale<br />

dell’autore. A questo scopo, analizzeremo brevemente alcune favole, dove<br />

cercheremo di mettere in luce il modo con cui Verdizzotti tratta i vari<br />

soggetti, comparandole sia al modello a lui più vicino, ossia quelle di<br />

Gabriele Faerno, sia a quelle di altri autori che lo hanno preceduto.<br />

53


Nella favola che apre la raccolta, Del padre, e del figliuolo che<br />

menavan l’asino, fonte comune sia per Faerno sia per Verdizzotti è la<br />

facezia C di Poggio Bracciolini. Sostanzialmente il primo traspone in<br />

versi la prosa del suo modello, usa prevalentemente il discorso<br />

indiretto – sistematico nel testo di Poggio – e rispetta la successione<br />

dei microepisodi che costituiscono il tessuto narrativo della favola.<br />

Nella facezia C leggiamo:<br />

54<br />

Hoc alii conspicientes increparunt stultitiam senis quod, adolescente<br />

qui validior esset super asinum posito, ipse aetate confectus pedes<br />

asellum sequeretur. Immutato consilio atque adolescente deposito,<br />

ipse asinum ascendit. (Poggio 1879, I)<br />

Nella favola del Faerno lo stesso passaggio è reso:<br />

Ecce alius illis obvius reprehendere<br />

Senem institit, quod obsequens nimis pater<br />

Iuvenem atque validum filium sineret vehi,<br />

Iter ipse pedibus faceret infirmus senex.<br />

Hæc vera visa, hic filio iusso pater<br />

Descendere, ipse insedit [...]<br />

(Faerno 1563:n.p.)<br />

Verdizzotti, il quale sposta questa sequenza all’inizio della favola,<br />

usa il discorso diretto conferendo in tal modo maggior vivacità alla<br />

scena:<br />

Ma ecco tosto motteggiarli ognuno,<br />

Che con l’asino scarco issero à piedi,<br />

Con un parlar inutile importuno.<br />

Or disse il giovinetto al padre: vedi<br />

Padre, come ch’ognun di noi sen ride<br />

Per l’Asino, che scarco esser concedi.<br />

Però montavi sopra; e tante stride<br />

Cesseran tosto; e farai giusto inganno<br />

A quella lunga via, c’homai t’uccide.<br />

(Verdizzotti 1570:12)


La morale in Faerno è lapidaria:<br />

Plerumque qui placere se cunctis studet<br />

Et ipse lædit, nec satis cuiquam placet<br />

(Faerno 1563:n.p.)<br />

E quella che conclude la favola di Verdizzotti ne è la traduzione:<br />

Chi vuol de l’oprar suo far pago ognuno<br />

Se stesso offende, e non contenta alcuno<br />

(Verdizzotti 1570:15)<br />

Prima della sentenza conclusiva tuttavia l’autore, secondo un<br />

criterio di amplificazione, il quale si manifesta in modo più o meno<br />

consistente in tutte le favole, parafrasa la morale, in questo caso<br />

giocando su una serie di antitesi e ricorrendo ad immagini familiari<br />

ed anche sottilmente ironiche. Citiamo il passo a titolo d’esempio:<br />

Cosi fà l’huomo a se medesmo male,<br />

Che far contento ognuno pensa e s’ingegna<br />

De l’opre sue, ne questo asseguir vale.<br />

Perche in natura tal discordia regna,<br />

Che là s’odia il rio, quà s’odia il giusto,<br />

E in altra parte e questo e quel si sdegna.<br />

Vario è ‘l parer d’ogni huom, diverso il gusto:<br />

Ognun della sua voglia si compiace;<br />

Chi loda il pan mal cotto, e chi l’adusto,<br />

Ne pur Venere stessa à tutti piace.<br />

(ibidem)<br />

Anche le varie riflessioni di carattere morale, che nella favola<br />

antica si trovano in embrione all’interno del tessuto narrativo<br />

vengono quasi sempre dal Verdizzotti sviluppate o dilatate; ne è un<br />

esempio questo passo tratto dalla prima favola della raccolta,<br />

Dell’Aquila, & della volpe, la quale si ispira all’analoga favola di Esopo.<br />

Allorché la volpe sconsolata vede che l’aquila, ad onta del patto fatto,<br />

ha divorato i suoi piccoli, e medita vendetta, l’autore greco fa questa<br />

55


eve considerazione: «Quare procul stans, quod etiam impotentibus<br />

est facile, inimicae maledicebat.» 6 . Verdizzotti, sviluppa e spiega il<br />

concetto contenuto nella parola chiave «impotentibus» ricorrendo ad<br />

una similitudine:<br />

56<br />

Di cor la Maledice, & la bestemmia,<br />

Si come fanno i miseri impotenti,<br />

Ch’han per solo rimedio in mezzo à i guai<br />

Lo sfogar in tal guisa il giusto sdegno<br />

Contra chi loro à torto ingiuria move:<br />

In tanto odio e veleno si converte<br />

De le grate amicitie la dolcezza<br />

Quando da gli empi simulati amici<br />

Indegnamente violate sono<br />

(Verdizzotti 1570:17-18)<br />

La maggior lunghezza ed elaborazione delle favole del<br />

Verdizzotti rispetto ai suoi modelli è dovuta, oltre all’ampliamento<br />

delle considerazioni morali, anche all’aggiunta di dettagli, di<br />

particolari descrittivi o situazionali. Nella favola 62, Del corvo, & la<br />

volpe, per esempio, i dodici versi di Faerno diventano ventinove<br />

grazie a questo procedimento, che possiamo incontrare nel punto in<br />

cui il corvo presta orecchio alle lodi dell’astute volpe , laddove i versi<br />

His ille magnae inductus in spem gloriae,<br />

Cantu indecoro rauca solvit guttura<br />

(Faerno 1563:20)<br />

diventano in Verdizzotti<br />

6 Non sappiamo seVerdizzotti disponesse del testo greco, certamente poteva aver<br />

presenti le favole di Fedro tradotte da Rinuccio d’Arezzo. Noi ci serviamo, per questi<br />

confronti di un’edizione con testo a fronte della fine del Cinquecento: Aesopi Phrygis<br />

Fabulae, Lugduni, apud Iacobum Roussin, MDXCVI (Essa comprende oltre alla vita<br />

di Fedro scritta da Planude, le favole, quelle di Barbrius, quelle di Aviano, la<br />

Batracomiomachia, e la Galeomiomachia)


Allhor quell sciocco, che sentiva quali<br />

Eran le lodi, che colei gli dava,<br />

Entrato in speme di quel vano honore,<br />

Che gli augurava il suo finto sermone,<br />

Per mostrarle ch’havea e voce e canto,<br />

Incominciò a gracchiar con rauco strido<br />

Nella favola 90, La scrofa e la cagna, il Nostro pare aver presenti<br />

due modelli, Faerno ed Esopo, dal momento che di quest’ultimo<br />

utilizza un dettaglio che non è presente nell’Italiano. Nel testo di<br />

Esopo infatti, al termine della contesa verbale tra i due animali, la<br />

scrofa si rivolge alla cagna in questi termini «tu tamen male oles &<br />

viva & mortua», queste parole mancano in Faerno, ma le ritroviamo<br />

liberamente tradotte in Verdizzotti «E tu sei, morta, e viva in odio a<br />

tutti». Viceversa l’inizio della favola, si ispira visibilmente a Faerno<br />

poiché il sintetico avvio di Fedro, «Sus & canis mutuo<br />

conviciabantur», nei versi del Cremonese diventa<br />

Magna invicem contentione exarserant<br />

Sus, & canis, magnamque voce dissona<br />

Rixam ciebant, atque acerba iurgia<br />

(Faerno 1563:9)<br />

Verdizzotti, partendo da questa amplificazione tratteggia una<br />

scena dove si assiste ad una gradazione di effetti che precede la<br />

minaccia da parte della scrofa . Dapprima viene presentato l’oggetto<br />

di scherno della cagna, ossia la scrofa come «lotosa e brutta»;<br />

successivamente, vengono presentati in crescendo gli atti ingiuriosi<br />

della cagna, cui si contrappone il silenzio della scrofa, atti che<br />

finiscono col portare quest’ultima all’esasperazione<br />

[...] cominciò con riso<br />

Prima a schernirla, & poi con voce aperta<br />

La dileggiava, si che venne in breve<br />

Con lei […]<br />

A gran contesa di parole strane<br />

[…] crescendo piu grave tuttavia<br />

57


58<br />

L’ingiuria che la cagna le facea<br />

Con un parlar, che non havea risposta<br />

Infine, la minaccia da parte della scrofa, laconicamente espressa<br />

dal Faerno in questi termini<br />

Sus, Per Venerem, ait si mihi perrexeris<br />

Molestus esse, dente te transfodero<br />

che traducono la frase indiretta del testo di Esopo «Et Sus iurabat<br />

per Venerem, procul dubio dentibus discissurum Canem» viene dal<br />

Verdizzotti dilatata in un breve discorso, accompagnato da qualche<br />

tocco d’eloquenza e di retorica, che suona quasi come un cavalleresco<br />

invito ad un duello da parte di un contendente offeso<br />

Io ti giuro per Venere ò malvagia,<br />

Che se piu dietro vai con tue parole<br />

Me, che non mai t’offesi, ingiuriando,<br />

La farem d’altro, che di ciancie alfine:<br />

Ch’io ti trafiggerò l’invido fianco<br />

Con questo dente mio pungente e forte,<br />

Che sia risposta al tuo vano orgoglio.<br />

In questo modo il Nostro riesce a caratterizzare la rabbia e la<br />

pacatezza, l’insania e la saggezza dell’uno e dell’altro animale,<br />

conferendo loro una certa personalità che li fa uscire dall’astrattezza<br />

tipica dei personaggi dell’apologo, tratto questo che caratterizza,<br />

come si sa, molti protagonisti delle favole di La Fontaine.<br />

Un altro esempio di maggior eloquenza conferita ad un<br />

protagonista rispetto al modello originale, possiamo trovare nella<br />

favola 30, Della Volpe, & del Gallo, la quale si ispira alla facezia LXXIX<br />

di Poggio Bracciolini. Nel testo di Poggio la volpe, dopo aver<br />

apportato alla sua potenziale vittima la buona novella della pace<br />

universale stipulata da tutti gli animali, si rivolge al gallo con queste


parole: «Descende igitur, et hunc festum agamus diem» 7 . Verdizzotti<br />

pare voler maggiormente caratterizzare l’ingannatore mettendogli in<br />

bocca un mellifluo discorso:<br />

Però scendi anchor tu da questi rami,<br />

E là ten’ vola immantinente poi<br />

Ch’abbracciato io mi t’habbia, e dato il bacio<br />

De la novella pace, e de l’amore,<br />

Ch’habbi à durar tra noi, fratello, sempre,<br />

Tutte obliando le passate gare.<br />

(Verdizzotti 1570:91)<br />

In altre sue pagine l’autore pare non riferirsi espressamente ad<br />

una ben precisa favola preesistente che gli serva da modello, ma<br />

trattare personaggi animaleschi e situazioni topiche in una sua<br />

personale rielaborazione al fine di illustrare, grazie ad un exemplum,<br />

un certo precetto morale. Pensiamo a quelle favole, come si diceva<br />

sopra, di cui non siamo stati in grado di trovare un antecedente<br />

diretto. Nell’ Aquila, e ‘l Guffo, Verdizzotti sfrutta la situazione del<br />

«patto di non aggressione», se così possiamo dire, ossia dell’accordo<br />

tra animali di specie diverse di non nuocersi reciprocamente.<br />

Pensiamo ad esempio al già citato apologo di Esopo dell’aquila e<br />

della volpe, le quali si promettono di non divorare i rispettivi piccoli.<br />

Nella favola di Verdizzotti il gufo, più debole, prega l’aquila affinché<br />

questa li risparmi, qualora si imbattesse in essi. Il rapace, a dispetto<br />

dell’accordo, divora i piccoli del gufo; all’origine di questa azione<br />

tuttavia sta il malinteso e non il tradimento o l’intenzione di nuocere.<br />

Infatti, quando l’aquila domanda al gufo di descriverle i suoi pulcini,<br />

perché li possa riconoscere, lo strigide li dipinge come i più belli fra<br />

gli uccelli<br />

Onde perch’ella non prendesse errore<br />

Le diede il segno di conoscer quelli<br />

Fra l’altre specie de i diversi augelli,<br />

7 Vita et Fabulae Aesopi latinae factae per Rimicium (Rinuccio Aretino), s. l., s. n., s. d., n.<br />

p.<br />

59


60<br />

Il segno fu , che quei che di vaghezza,<br />

Di leggiadria, di gratia, e di beltade<br />

Vedesse di gran lunga avanzar gli altri,<br />

Quelli esser di lui figli ella credesse.<br />

(Verdizzotti 1570:25)<br />

Allorché l’aquila, a caccia di cibo, si imbatte nella nidiata del gufo,<br />

senza sapere che di questa si tratti, vedendovi dentro dei<br />

mostriciattoli che per nulla corrispondono alla descrizione ricevuta, li<br />

divora in buona fede. La morale alla quale si arriva partendo da<br />

questa situazione del patto non rispettato è, in un certo senso insolita:<br />

il Verdizzotti utilizzando un elemento topico più volte sfruttato, sia<br />

da altri sia da lui stesso, con esiti tuttavia ben diversi, ammonisce il<br />

lettore, invitandolo ad essere obiettivo e a saper riconoscere i propri<br />

limiti, se non vuole avere qualche spiacevole sorpresa. E se la morale<br />

«Ogni bruttezza à se medesma piace» suona in fin dei conti come<br />

bonaria, i versi che la precedono vogliono essere un severo<br />

avvertimento a non credersi superiore ai propri meriti:<br />

Così talhora l’uom che da l’amore<br />

Di se medesmo fatto in tutto cieco<br />

Stima le cose sue piu, che non deve,<br />

Resta schernito quando piu si crede<br />

Esser per quelle rispettato al mondo:<br />

E duolsi à torto de giudicio altrui,<br />

Che drittamente à se contrario vede.<br />

(Verdizzotti 1570:27)<br />

Analogamente può essere letta, Del Lupo, & le Pecore, in cui il<br />

motivo del travestimento del feroce nemico delle gregge, viene<br />

trattato in modo originale dal momento che vi troviamo diversi<br />

referenti testuali variamente commisti. Non mancano, nella<br />

tradizione esopica esempi di favole in cui il lupo si traveste da pecora<br />

per poter penetrare nell’ovile, favole che possono avere diffrenti<br />

conclusioni e morali. In Barbrius, per esempio, l’ingannatore riesce a<br />

divorare un agnello, il quale si lascia tradire dal travestimento del suo


nemico; la morale è quindi, non fidarsi delle apparenze. In altre<br />

l’inganno finisce col risultare nefasto per l’autore stesso, poiché il<br />

pastore, volendo macellare un capo del gregge, scambia il lupo<br />

travestito per una pecora e lo uccide. Morale della favola: chi si veste<br />

dei panni altrui rischia di procurarsi un male ancor peggiore che<br />

vestendo i propri. Verdizzotti utilizza questo tema, variando il<br />

travestimento del lupo: non più ricoperto da una pelle d’agnello,<br />

come nelle favole esopiche, ma vestito dei panni di un pastore.<br />

Travestimento questo assai più caricaturale che serve ad introdurre<br />

una conclusione meno tragica e una morale meno severa:<br />

Vestissi il Lupo i panni d’un pastore<br />

Per ingannar le semplicette agnelle<br />

Con l’apparenza de l’altrui sembiante<br />

Celando il troppo conosciuto pelo:<br />

E col bastone in man, co l’ fiasco al tergo,<br />

E con la tibia pastorale al fianco,<br />

Verso il gregge vicin ratto inviossi<br />

(Verdizzotti 1570:132)<br />

Il peggio che può capitare allo sprovveduto è rimanere scornato e<br />

castigato dalla sua stessa stupidità. Infatti quando il lupo vuole<br />

comandare alle pecore di seguirlo, tutto quello che esce dalle sue<br />

fauci è un ululato che fa fuggire il gregge, messo in allarme da una<br />

voce ben nota, ma che non è quela del pastore. In questa conclusione,<br />

ossia lo scorno che si risolve in una figuraccia, senza troppi danni,<br />

possiamo trovare maggiori analogie con un’altra favola di Esopo, il<br />

corvo e i pavoni, pure adattata dal Verdizzotti, anche se i motivi del<br />

travestimento sono diversi – procurarsi il cibo con l’astuzia nel Lupo,<br />

& le Pecore, bramosia di gloria senza averne i meriti ne Il Corvo, & li<br />

pavoni. In entrambe infatti, a smascherare chi s’era vestito degli altrui<br />

panni è la voce, per nulla conforme all’aspetto.<br />

La sommaria analisi di questa favola, che forse è la più nota del<br />

Verdizzotti, ci permette di fare alcune considerazioni sul gradimento<br />

che il Nostro ebbe agli occhi di La Fontaine, gradimento che si<br />

manifesta nell’utilizzo di alcuni dettagli, che dovettero sembrare al<br />

61


Francese originali e gustosi. Come non riconoscere in questi versi del<br />

Loup devenu berger il travestimento del lupo che abbiamo testé citato?<br />

62<br />

Il s’habille en Berger, endosse un hoqueton,<br />

Fait sa houlette d’un bâton,<br />

Sans oublier la Cornemuse<br />

(La Fontaine 1966:98)<br />

Manca è vero il fiasco, ma l’originalità del travestimento<br />

caricaturale coronato, in un eccesso di perfezionismo, dalla<br />

tradizionale zampogna pastorale deve molto all’originalità del suo<br />

modello italiano.<br />

Del Lupo, & le Pecore, non è l’unica favola del Veneziano ad aver<br />

suggerito qualcosa a La Fontaine, la descrizione che fa dei piccoli del<br />

gufo ne L’aigle et le hibou, la quale si ispira palesemente alla<br />

corrispondente favola del Nostro sopra ricordata, non è senza<br />

analogia con quella che ne dà il Verdizzotti;<br />

[…] Mes petits sont mignons<br />

Beaux, bien faits, et jolis sur tous leurs compagnons.<br />

Vous les reconnaîtrez sans peine à cette marque.<br />

(La Fontaine 1966:153)<br />

Anche la favola 21, Del Topo giovane, la Gatta, e ‘l Galletto non è<br />

passata inosservata a La Fontaine, il quale con alcune varianti – il<br />

galletto diventa un tacchino e viene invertito l’ordine degli incontri<br />

con i due animali – ripropone la stessa situazione. Ci sembra tuttavia<br />

che il ritratto che Verdizzotti dà del gatto sia più tratteggiato sia dal<br />

punto di vista della rappresentazione «pittorica» sia da quello della<br />

caratterizzazione:<br />

Veduto hò madre, mentre à spasso i andava<br />

Due animali, l’uno è di colore<br />

Simile al tuo nel pelo, ma distinto<br />

Di varie macchie di color più oscuro:<br />

Sembran di lucid’oro i suoi begli occhi,


Che sono al rimirar tutti pietosi:<br />

Hà quattro piedi, & una lunga coda<br />

Di vario pelo tinta insino al fine<br />

Et (quel che piu mi piace in esso) e tanto<br />

Mansueto al veder, tanto gentile,<br />

Ch’à la mia vista non si mosse punto,<br />

Anzi fermossi in atto umile e pio<br />

(Verdizzotti 1570:70-71)<br />

rispetto al testo francese che pure utilizza talora termini<br />

corrispondenti<br />

[…] cet animal qui m’a semblé si doux.<br />

Il est velouté comme nous,<br />

Marqueté, longue queue, une humble contenance;<br />

Un modeste regard, et pourtant l’œil luisant<br />

(La Fontaine 1966:161)<br />

Della favola, Di due Asini, La Fontaine, pare ritenere più la<br />

situazione generale e la morale conclusiva che altro, dato che nella<br />

sua L’âne chargé d’éponges et l’âne chargé de sel, aggiunge la figura dello<br />

sciocco asinaio che rischia di morire affogato, insieme all’animale<br />

carico di spugne, e che viene salvato in extremis. Nel complesso però<br />

la favola francese risulta assai più vivace nell’andamento generale<br />

grazie anche alla trovata di voler associare la stupidità umana a<br />

quella tradizionale dell’asino. Da questi pochi esempi si può vedere<br />

come il Verdizzotti abbia rappresentato per La Fontaine di più che un<br />

semplice suggeritore di temi o situazioni. Il successo delle Cento<br />

Favole Morali, considerate non tanto come fonte di spunti o di<br />

imitazione parziale, ma rielaborate nella loro integralità, è pure<br />

testimoniato da una traduzione polacca, di pochi anni posteriore<br />

all’edizione veneziana, che dobbiamo al letterato Marcin Błażewski<br />

(v. Verdizzotti – Marcin Błażewski:2000).<br />

Allorché diciamo traduzione, intendiamo il termine nella sua<br />

accezione dell’epoca, e cioè imitazione. E di una imitazione si tratta<br />

infatti, dacché dell’originale non sempre viene rispettata la lettera. Da<br />

63


allusioni contenute nell’epistola dedicatoria in versi, indirizzata al<br />

proprio benefattore, possiamo supporre che il Błażewski, che non<br />

conosceva l’italiano e non era mai stato in Italia, si sia basato nella sua<br />

opera su una traduzione del testo del Verdizzotti, redatta in prosa<br />

polacca, avuta probabilmente da Stanisław Lubomirski, il quale<br />

invece aveva compiuto gli studi a Padova 8 . Il Błażewski adatta quindi<br />

la prosa al metro polacco e riscrive assai liberamente le cento favole<br />

originali, mantenendone tuttavia intatti i contenuti e le morali. Gli<br />

interventi più consistenti riguardano i tagli che sono stati operati<br />

sulle parti descrittive e dialogiche nella maggioranza delle favole; in<br />

altre invece è stato rispettato il testo nella sua interezza.<br />

Sostanzialmente si può dire che in questa riscrittura del testo italiano,<br />

l’autore abbia voluto adattare la materia alla realtà polacca, al gusto e<br />

alla tradizione letteraria del proprio paese. Ciò si nota principalmente<br />

nelle conclusioni morali, in cui l’autore ricerca piuttosto analogie e<br />

paralleli con la propria tradizione favolistica, sostituendo un<br />

proverbio polacco all’originale italiano. Anche dal punto di vista<br />

della versificazione, si distacca di molto dal modello: la varietà<br />

metrica del Verdizzotti viene livellata in un’unica forma e cioè il<br />

distico a rima baciata di versi di tredici sillabe (7 + 6). Rispetto alla<br />

raccolta italiana diverso è pure il numero delle favole, non più<br />

centouna, ma cento: ciò deriva dalla soppressione di due favole (Del<br />

Sole, & Borea e Del Leone impazzito) sostituite con una originale, avente<br />

morale analoga. Anche questa versione del Błażewski testimonia a<br />

parer nostro della considerazione in cui era tenuta l’opera del<br />

letterato veneziano fuori d’Italia.<br />

Con queste brevi osservazioni sulla fortuna europea del<br />

Verdizzotti terminiamo il nostro intervento, nel quale speriamo di<br />

aver sufficientemente mostrato, anche se in maniera non esauriente,<br />

gli aspetti originali e novatori di un favolista, il cui ricordo, nelle<br />

storie letterarie, si limita molto spesso ad una sommaria menzione tra<br />

gli autori del Cinquecento minore.<br />

8 Cfr. Jan Ślaski, „Wprowadzenie do lektury”, in Verdizzotti – Błażewski 2000.<br />

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Bibliografia<br />

Faerno 1563 Fabulæ centum ex antiquis auctoribus delectæ<br />

et a Gabriele Faerno Cremonensi carminibus<br />

explicatæ, Romæ, Vincentius Luchinus<br />

La Fontaine 1966 Jean de La Fontaine, Fables, Paris, Garnier-<br />

Flammarion<br />

Poggio 1879 The Facetiae of Poggio, vol. 1, Paris, Isidore<br />

Liseux<br />

Venturini 1968 G. Venturini, “Giovanni Mario Verdizzotti,<br />

letterato veneziano, amico e ispiratore del<br />

Tasso”, Lettere Italiane, 1 (1968)<br />

Venturini 1969a G. Venturini (a cura di), G. M. Verdizzotti,<br />

Lettere a Orazio Ariosti, Bologna<br />

Venturini 1969b G. Venturini, Saggi critici. Cinquecento<br />

minore: O. Ariosti, G. M. Verdizzotti e il loro<br />

influsso nella vita e nell’opera del Tasso,<br />

Ravenna<br />

Venturini 1970/1972 G. Venturini, “Giovanni Mario Verdizzotti,<br />

pittore e incisore, amico e discepolo del<br />

Tiziano”, Bollettino del Museo Civico di<br />

Padova (1970/1972)<br />

Venturini 1973 G. Venturini, “Nuove amicizie letterarie di<br />

Torquato Tasso: Orazio Ariosti e Giovan<br />

Mario Verdizzotti”, Ausonia (1973)<br />

Verdizzotti 1570 Cento favole morali De i piu illustri antichi &<br />

moderni autori Greci & Latini, Scielte, &<br />

trattate in varie maniere di versi volgari da M.<br />

Gio. Mario Verdizotti. In Venetia, appresso<br />

Giordano Zileti<br />

Verdizzotti–Błażewski 2000 Giovan Mario Verdizzotti – Marcin<br />

Błażewski, Setnik przypowieści uciesznych, (a<br />

cura di Jan Ślaski), Instytut Badań<br />

Literackich PAN, Warszawa, 2000.<br />

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