Lineamenti di una teoria degli oggetti sociali - Labont
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<strong>Lineamenti</strong> <strong>di</strong> <strong>una</strong> <strong>teoria</strong> <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong><br />
Febbraio 2005. In corso <strong>di</strong> pubblicazione in A. Bottani-R. Davies (a c. <strong>di</strong>),<br />
Ontologia della proprietà intellettuale, Milano, Angeli<br />
Maurizio Ferraris<br />
1.1. La birra <strong>di</strong> Searle<br />
1.“Una immensa ontologia invisibile”<br />
John Searle inizia la sua ontologia sociale 1 sottolineando il fatto che gli <strong>oggetti</strong> <strong>di</strong> cui<br />
si occupa sono ovvi (almeno in apparenza), non riducibili alla fisica, e invisibili.<br />
Sembrano tre caratteri <strong>di</strong>fficilmente compatibili, eppure non è così, come si vede nella<br />
scenetta raccontata da Searle: “Io entro in un caffè a Parigi e siedo a un tavolino.<br />
Viene il cameriere e io pronuncio un frammento <strong>di</strong> <strong>una</strong> frase francese. Dico: ‘Un<br />
demi, Munich, à pression, s’il vous plaît’. Il cameriere porta la birra e io la bevo.<br />
Lascio del denaro sul tavolo e me ne vado.” Apparentemente, tutto è visibile: le birre,<br />
i tavolini, i camerieri, il denaro ecc. Ma non è così: la scena non è tanto semplice, e<br />
soprattutto non è affatto interamente visibile.<br />
Prosegue Searle qualche riga più sotto: “Si noti che non possiamo comprendere le<br />
caratteristiche della descrizione che ho appena fornito attraverso il linguaggio della<br />
fisica e della chimica. Non c’è ness<strong>una</strong> descrizione fisico-chimica adeguata per<br />
definire ‘ristorante’, ‘cameriere’, ‘frase in francese’, ‘denaro’ o anche ‘se<strong>di</strong>a’ e<br />
‘tavolo’, sebbene tutti i ristoranti, i camerieri, le frasi in francese, il denaro e le se<strong>di</strong>e e<br />
i tavoli siano fenomeni fisici.” E questo è un secondo aspetto che va notato.<br />
Indubbiamente quelli che abbiamo visto sono <strong>oggetti</strong> fisici (comprese le frasi in<br />
francese); ma, come sottolinea Searle, il linguaggio della fisica non ne esaurisce le<br />
caratteristiche, visto che <strong>una</strong> frase in francese non si riduce alle vibrazioni che<br />
produce nell’aria e nel timpano.<br />
A questo punto entra in scena l’invisibile: “Va osservato, inoltre, come la scena<br />
così descritta presenti un’enorme ontologia invisibile: il cameriere non è<br />
effettivamente il proprietario della birra che mi ha portato, ma è assunto dal ristorante,<br />
al quale la birra appartiene. Al ristorante viene richiesto <strong>di</strong> registrare <strong>una</strong> lista dei<br />
prezzi <strong>di</strong> tutte le boissons, e anche se non vedrò mai questa lista si esige da me <strong>di</strong><br />
pagare soltanto il prezzo registrato. Il proprietario del ristorante è autorizzato a<br />
esercitare dal governo francese. Come tale, è soggetto a un migliaio <strong>di</strong> norme e<br />
regolamenti <strong>di</strong> cui non so nulla. Io ho <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> essere qui in primo luogo solo perché<br />
sono un citta<strong>di</strong>no <strong>degli</strong> Stati Uniti, in possesso <strong>di</strong> un passaporto valido, e sono entrato<br />
legalmente in Francia.” 2<br />
Dov’è la selva <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> invisibili? Eccola: “proprietario”, “assunto dal”,<br />
“richiesto <strong>di</strong> registrare”, “esercitare”, “governo”, “norme”, “regolamenti”, “<strong>di</strong>ritto”,<br />
“citta<strong>di</strong>no”, “Stati Uniti”, “passaporto valido”, “Francia”… Questi sono gli <strong>oggetti</strong><br />
<strong>sociali</strong>. E si <strong>di</strong>rebbe che Searle si accinga a scrivere <strong>una</strong> appen<strong>di</strong>ce alla Teoria<br />
1 Searle 1995.<br />
2 Searle 1995: 9-10.
dell’oggetto <strong>di</strong> Meinong 3 , intrecciandola con I fondamenti a priori del <strong>di</strong>ritto civile <strong>di</strong><br />
Reinach 4 .<br />
Infatti, da <strong>una</strong> parte, Searle sembra invitarci, con Meinong, a scartare il<br />
pregiu<strong>di</strong>zio a favore del reale: la presenza fisica <strong>di</strong> tavoli e se<strong>di</strong>e non è la sola forma<br />
<strong>di</strong> presenza possibile. In qualche modo, sono <strong>oggetti</strong> persino il rotondoquadrato e<br />
Pegaso, figuriamoci poi i “citta<strong>di</strong>ni <strong>degli</strong> Stati Uniti”; quando ci riferiamo a un<br />
rotondoquadrato non ci riferiamo a un ferro ligneo, quando ci riferiamo a Pegaso<br />
abbiamo in mente un oggetto <strong>di</strong>verso da Bucefalo, e quando menzioniamo i “citta<strong>di</strong>ni<br />
<strong>degli</strong> Stati Uniti” non ci riferiamo (ancora) ai “citta<strong>di</strong>ni dell’Iraq”.<br />
D’altra parte –e d’accordo con Reinach- questi <strong>oggetti</strong> invisibili non sono<br />
chimere o immaginazioni, ma comportano conseguenze reali. L’ontologia invisibile<br />
non è <strong>una</strong> zoologia fantastica alla Borges, né <strong>una</strong> classificazione <strong>di</strong> gerarchie<br />
angeliche. È un mondo <strong>di</strong> leggi, istituzioni, obblighi dotati <strong>di</strong> <strong>una</strong> esistenza<br />
in<strong>di</strong>pendente rispetto ai nostri singoli atti <strong>di</strong> volizione e <strong>di</strong> immaginazione. Non si<br />
identificano semplicemente con la nostra volontà e non sono fatti della stessa stoffa <strong>di</strong><br />
cui sono fatti i sogni, visto che io prometto qualcosa lunedì e la promessa esiste<br />
ancora venerdì, quando magari ho cambiato idea o persino me ne sono <strong>di</strong>menticato<br />
(basta che se ne ricor<strong>di</strong> il promissario, o meglio ancora che ci sia qualcosa <strong>di</strong> scritto).<br />
Ora, come si conciliano l’invisibilità e la soli<strong>di</strong>tà? La risposta <strong>di</strong> Searle è che gli<br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono <strong>oggetti</strong> <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore i cui inferiora sono costituiti da <strong>oggetti</strong><br />
fisici, da cui traggono buona parte della loro soli<strong>di</strong>tà. Il prezzo è quello <strong>di</strong> 25 centilitri<br />
<strong>di</strong> un liquido, la birra; il citta<strong>di</strong>no <strong>degli</strong> Stati Uniti pesa 73 chili (e anche il cameriere<br />
ha un peso, sebbene lo ignoriamo); il denaro consiste in pezzi <strong>di</strong> metallo e <strong>di</strong> carta.<br />
Quando entriamo nel mondo sociale non acce<strong>di</strong>amo a un universo spirituale, bensì a<br />
un misto <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> fisici e <strong>di</strong> atti psichici a cui possono (ma non necessariamente<br />
devono, visto che un accordo si può siglare con <strong>una</strong> stretta <strong>di</strong> mano) corrispondere<br />
<strong>degli</strong> atti linguistici. Il vantaggio che Searle si ripromette da questa impostazione è<br />
duplice. Da <strong>una</strong> parte, nell’imme<strong>di</strong>ato, riesce a sottrarre la sfera del sociale alle mani<br />
dei postmoderni, che ne fanno <strong>una</strong> materia friabile, vaga e infinitamente<br />
interpretabile. Dall’altra, questa operazione è possibile proprio perché Searle ritiene <strong>di</strong><br />
avere superato la tra<strong>di</strong>zionale contrapposizione tra scienze della natura e scienze dello<br />
spirito, visto che tra gli <strong>oggetti</strong> fisici a quelli <strong>sociali</strong> non sussiste uno iato, ma <strong>una</strong><br />
continuità.<br />
Vasto e commendevole <strong>di</strong>segno. Considerando però che, malgrado l’avviso <strong>di</strong><br />
Searle, c’è un gran numero <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, per esempio entità complesse come gli<br />
Stati, le università o le aziende, che non possiedono <strong>una</strong> controparte fisica evidente; e<br />
che ce ne sono altri –i debiti, per esempio- che paiono non possedere per definizione<br />
alc<strong>una</strong> controparte fisica, il legittimo desideratum della ontologia searliana chiede <strong>di</strong><br />
essere elaborato con <strong>una</strong> griglia <strong>di</strong>versa. Incominciamo dal principio, a costo <strong>di</strong><br />
apparire pedanti.<br />
1.2. Realismo e Testualismo<br />
Nel mondo ci sono s<strong>oggetti</strong> e <strong>oggetti</strong>. I s<strong>oggetti</strong> si riferiscono a <strong>oggetti</strong> (se li<br />
rappresentano, li hanno in mente, se ne fanno qualcosa), ossia sono dotati <strong>di</strong><br />
3 Meinong 1904.<br />
4 Reinach 1913.
intenzionalità 5 ; gli <strong>oggetti</strong> non si riferiscono a s<strong>oggetti</strong>.<br />
Gli <strong>oggetti</strong> sono <strong>di</strong> tre tipi:<br />
1. gli <strong>oggetti</strong> fisici (montagne, fiumi), che esistono nello spazio e nel tempo<br />
in<strong>di</strong>pendentemente da s<strong>oggetti</strong> che li conoscono, anche se possono averli<br />
fabbricati, come nel caso <strong>di</strong> artefatti (se<strong>di</strong>e, cacciavite);<br />
2. gli <strong>oggetti</strong> ideali (numeri, teoremi, relazioni), che esistono fuori dello<br />
spazio e del tempo e in<strong>di</strong>pendentemente da s<strong>oggetti</strong> che li conoscono, ma<br />
che, <strong>una</strong> volta conosciutili, possono <strong>sociali</strong>zzarli (per esempio, pubblicare<br />
un teorema: ma sarà la pubblicazione ad avere un inizio nel tempo, non il<br />
teorema);<br />
3. gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, che non esistono nello spazio, ma hanno <strong>una</strong> durata nel<br />
tempo, e <strong>di</strong>pendono, per la loro esistenza, da s<strong>oggetti</strong> che li conoscono.<br />
A proposito <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, non posse<strong>di</strong>amo solo la <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle. Anzi,<br />
abbiamo a <strong>di</strong>sposizione ben quattro tipologie fondamentali:<br />
Realismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono soli<strong>di</strong><br />
quanto gli <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Testualismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> fisici sono<br />
socialmente costruiti<br />
Realismo debole<br />
Testualismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su <strong>oggetti</strong> fisici<br />
su registrazioni (piccoli <strong>oggetti</strong><br />
fisici)<br />
Dove i nomi “realismo” e “testualismo” in<strong>di</strong>cano, secondo un vecchio<br />
suggerimento <strong>di</strong> Rorty 6 , la contrapposizione tra filosofi naturalisti che credono che gli<br />
<strong>oggetti</strong> esistono in<strong>di</strong>pendentemente dai s<strong>oggetti</strong>, e filosofi ermeneutici che credono<br />
che gli <strong>oggetti</strong> <strong>di</strong>pendano dai s<strong>oggetti</strong>, proprio come i testi <strong>di</strong>pendono dagli autori; e<br />
gli aggettivi “forte” e “debole” in<strong>di</strong>cano, ovviamente, il carattere più o meno stretto <strong>di</strong><br />
questa assunzione. Si tratta <strong>di</strong> posizioni variamente <strong>di</strong>ffuse e altrettanto variamente<br />
sfumate, ma credo che si possano trovare delle teste <strong>di</strong> serie che le esemplificano, per<br />
così <strong>di</strong>re, allo stato puro.<br />
1. Il realismo forte è stato sostenuto, in aperta opposizione al positivismo<br />
giuri<strong>di</strong>co, da Reinach 7<br />
2. Il testualismo forte è stato professato dai postmoderni, il cui capofila è<br />
Foucault 8 .<br />
3. Il realismo debole è stato costruito in opposizione ai postmoderni da Searle 9<br />
4. Il testualismo debole è stato sostenuto da Derrida 10 , che passa per un<br />
postmoderno ma, come vedremo, non lo è.<br />
5 Brentano 1874.<br />
6 Rorty 1982<br />
7 Reinach 1913.<br />
8 Foucault 1966.<br />
9 Searle 1995.<br />
10 Derrida 1967.
Ci si può domandare perché le teorie risultino talmente <strong>di</strong>scordanti, e la risposta<br />
sta nel fatto che la tesi secondo cui gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> <strong>di</strong>pendono da s<strong>oggetti</strong> si presta a<br />
venire interpretata (ed equivocata) in molti mo<strong>di</strong>. In particolare, uno potrebbe<br />
concludere che visto che <strong>di</strong>pendono da s<strong>oggetti</strong> sono s<strong>oggetti</strong>vi. È un errore banale,<br />
in cui tuttavia si incorre molto naturalmente, per esempio allorché si sostiene,<br />
poniamo, che <strong>una</strong> promessa è la semplice manifestazione della volontà, e non un<br />
oggetto che acquisisce autonomia sia rispetto al promittente sia rispetto al<br />
promissario. Ma ovviamente a questo punto ci si troverebbe a dover spiegare come<br />
mai, se gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono <strong>di</strong>pendenti da s<strong>oggetti</strong> nel senso <strong>di</strong> essere “s<strong>oggetti</strong>vi”,<br />
un <strong>di</strong>pinto può essere quotato 30, 300 o 3000 euro (il che <strong>di</strong>pende chiaramente da<br />
giu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> s<strong>oggetti</strong>), ma nessuno si sognerebbe, invece, <strong>di</strong> sostenere che l’euro sia <strong>una</strong><br />
costruzione puramente s<strong>oggetti</strong>va e <strong>di</strong>pendente dai gusti.<br />
1.3. Atto Contenuto Oggetto<br />
Dietro a questo equivoco c’è sicuramente <strong>una</strong> tra<strong>di</strong>zionale sopravvalutazione della<br />
s<strong>oggetti</strong>vità nella costituzione del mondo (Cartesio, Hume, Kant, Nietzsche, ne<br />
riparleremo un poco trattando del Testualismo Forte), ma c’è anche <strong>una</strong> confusione un<br />
po’ più tecnica, <strong>di</strong> cui ci si è accorti pienamente solo alla fine dell’Ottocento. In<br />
fondo, visto che tutto il mondo può rappresentarsi nei s<strong>oggetti</strong>, allora si potrebbe<br />
concludere (e c’è chi lo ha fatto, per esempio Schopenhauer) che il mondo è nei<br />
s<strong>oggetti</strong>. Ma chiaramente non è così.<br />
Io mi rappresento, poniamo, la Cattedrale <strong>di</strong> Strasburgo, è un atto che <strong>di</strong>pende<br />
dalla mia s<strong>oggetti</strong>vità. Ma so anche che, <strong>di</strong>versamente dal mio malumore, non è in<br />
me, è qualcosa che c’è fuori, nel mondo. Poi posso guardare la Cattedrale <strong>di</strong><br />
Strasburgo <strong>di</strong>pinta da Monet: è un contenuto, il modo specifico <strong>di</strong> presentazione <strong>di</strong><br />
quell’oggetto nello stile <strong>di</strong> Monet, e che non corrisponde al mio modo <strong>di</strong><br />
presentazione (così, se io mi rappresento un cavallo, posso facilmente immaginare che<br />
non sarà identico al cavallo che si rappresenta un altro). Infine, posso <strong>di</strong>re “la<br />
Cattedrale <strong>di</strong> Strarburgo” o “un cavallo”, e sapere che, per quanto i contenuti possono<br />
variare, l’oggetto resta lo stesso, altrimenti parlare non avrebbe senso. Atto, contenuto<br />
e oggetto non si equivalgono. La cattedrale c’è anche se non ci penso (se non c’è un<br />
mio atto), la cattedrale <strong>di</strong>pinta da Monet può non piacermi e la cattedrale che vedo a<br />
Strasburgo può piacermi (o viceversa). E questa <strong>di</strong>stinzione appare decisiva proprio<br />
nel caso <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>. La propongo nella formulazione <strong>di</strong> Twardowski 11 :<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: idea comune<br />
Questa <strong>di</strong>stinzione, poi recepita anche da Meinong 12 e –sebbene con <strong>di</strong>verse<br />
terminologie- da Husserl 13 e da Frege 14 , insiste per l’appunto sulla <strong>di</strong>fferenza<br />
11 Twardowski 1894.<br />
12 Meinong 1904.<br />
13 Husserl 1901-1901.<br />
14 Frege 1892.
essenziale che intercorre tra “atto” (il fatto che io pensi qualcosa), “contenuto” (il<br />
modo specifico <strong>di</strong> presentazione dell’oggetto intenzionato nel mio pensiero) e<br />
“oggetto” (la sfera ideale e comune <strong>di</strong> riferimento, il contenuto comune, per esempio,<br />
a tutti coloro che pensano all’oggetto designato dalla parola “cavallo”, “horse”,<br />
“Pferde”, e in<strong>di</strong>pendentemente dal fatto che il loro modo <strong>di</strong> presentazione –il<br />
contenuto- risulti, in<strong>di</strong>vidualmente, un cavallo bianco, nero, pezzato, grande, piccolo<br />
ecc.)<br />
Distinguere l’atto dal contenuto, e soprattutto dall’oggetto, era stata <strong>una</strong> mossa<br />
resa necessaria per replicare allo psicologismo, cioè alla riduzione della logica alla<br />
psicologia 15 che aleggiava in molti settori nell’Ottocento, e dunque ha <strong>una</strong> genesi<br />
nell’ambito del problema <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> ideali. Da questo punto <strong>di</strong> vista appare<br />
particolarmente eloquente la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> Frege tra senso (“Sinn”, il modo <strong>di</strong><br />
presentazione, per esempio “Espero” e “Fosforo”) e significato o riferimento (secondo<br />
le <strong>di</strong>verse traduzioni <strong>di</strong> “Bedeutung”, dove il riferimento comune <strong>di</strong> “Espero” e<br />
“Fosforo” sarebbe “Venere”). Ed è in questo quadro che si era generata quella figura,<br />
un po’ mitologica ma necessaria, che sarebbe il terzo regno delle idee, l’<strong>oggetti</strong>vità<br />
ideale in<strong>di</strong>pendente sia dai singoli atti psicologici <strong>di</strong> chi pensa, sia dai mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />
presentazione dei pensieri 16 .<br />
Che io sappia, e spero che si avrà modo <strong>di</strong> notarlo nelle pagine che seguiranno,<br />
l’applicazione <strong>di</strong> questa <strong>di</strong>stinzione agli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> è stata molto meno netta e<br />
sistematica, sebbene, come osservavo prima, sia proprio in questa sede che appare<br />
urgente e decisiva. In altri termini, se ormai nessuno se la sentirebbe <strong>di</strong> affermare che<br />
il principio <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>pende da come è fatto il nostro cervello, ancora in<br />
molti sono <strong>di</strong>sposti a sostenere che la forma <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> <strong>di</strong>pende dall’arbitrio<br />
delle persone.<br />
Oltre a questo problema macroscopico 17 , ne sorgono parecchi altri, che affronterò<br />
poco alla volta nelle prossime pagine. Per questo vorrei illustrare in breve la mia<br />
strategia. Come ho anticipato, escluderò subito il realismo forte e il testualismo forte,<br />
esaminerò il realismo debole, ne in<strong>di</strong>cherò <strong>una</strong> <strong>di</strong>fficoltà, e poi mostrerò come, a mio<br />
avviso, questa <strong>di</strong>fficoltà sia risolta dal testualismo debole.<br />
15 Costa 1996.<br />
16 Dummett 1993.<br />
17 Smith 2003.
2. Realismo forte<br />
Uno scimpanzè adopera <strong>una</strong> bacchetta per estrarre delle formiche da un formicaio e<br />
succhiarle (ne è ghiottissimo), poi depone la bacchetta. Arriva un altro scimpanzè e<br />
la prende, a<strong>di</strong>bendola allo stesso scopo. Quando ritorna il primo scimpanzè, il<br />
secondo gli restituisce la bacchetta. Morale: la proprietà esiste senza alc<strong>una</strong><br />
co<strong>di</strong>ficazione esplicita, in <strong>una</strong> società molto primitiva.<br />
Criptotipi. Come suggerisce Rodolfo Sacco, che ha valorizzato e teorizzato<br />
questo esempio 18 , abbiamo a che fare con dei criptotipi 19 , con delle tipologie nascoste<br />
ma <strong>oggetti</strong>ve. È <strong>di</strong>fficile immaginare che un qualunque <strong>di</strong>ritto positivo possa aver mai<br />
informato i due scimpanzè circa la proprietà e le sue norme. E qui abbiamo a che fare<br />
con <strong>una</strong> considerazione molto giusta: scoprire la forma <strong>di</strong> un oggetto sociale è come<br />
scoprire un continente o un teorema. Dunque, sotto questo profilo, un oggetto sociale<br />
è identico a un oggetto ideale e a un oggetto fisico. Ma se quella <strong>di</strong> Sacco è la<br />
formulazione con<strong>di</strong>visibile, è <strong>di</strong>fficile seguire fino in fondo Reinach.<br />
Gli alberi <strong>di</strong> Reinach. Il Realismo Forte <strong>di</strong> Reinach assume a giusto titolo che non<br />
c’è alc<strong>una</strong> legge <strong>di</strong> natura, le leggi sono piuttosto dei costrutti paragonabili a <strong>degli</strong><br />
<strong>oggetti</strong> ideali, visto che possiedono dei fondamenti apriori. Reinach si limita a<br />
osservare che, proprio come non esiste un colore senza estensione, o un suono senza<br />
durata, così non può esserci un obbligo senza oggetto, né un obbligo infinito.<br />
Diversamente dal giusnaturalismo, dunque, Reinach non trae delle conseguenze<br />
quanto al contenuto giuri<strong>di</strong>co, e si limita alla forma. Per interessante che sia dal punto<br />
<strong>di</strong> vista intellettuale, giacché oppone <strong>una</strong> ferma smentita al para<strong>di</strong>gma s<strong>oggetti</strong>vistico<br />
che sta alla base dello storicismo, il modello <strong>di</strong> Reinach ha almeno tre <strong>di</strong>fetti<br />
principali.<br />
In primo luogo, come ogni dottrina apriori, non fornisce alc<strong>una</strong> in<strong>di</strong>cazione<br />
positiva, e dunque si può opporre a Reinach, piuttosto paradossalmente, lo stesso tipo<br />
<strong>di</strong> critica che si poteva muovere nei confronti della morale kantiana.<br />
In secondo luogo, ciò che <strong>di</strong>stinguerebbe la prospettiva <strong>di</strong> Kant da quella <strong>di</strong><br />
Reinach, il fatto cioè che il primo parlerebbe <strong>di</strong> <strong>una</strong> legge morale nettamente <strong>di</strong>stinta<br />
dal cielo stellato sopra <strong>di</strong> noi, ossia separata dal mondo fisico, mentre il secondo<br />
sostiene che i fondamenti del <strong>di</strong>ritto civile sono fuori <strong>di</strong> noi e sono soli<strong>di</strong> come alberi<br />
e case, poggia su <strong>una</strong> metafora fallace. Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> saranno anche “soli<strong>di</strong> come<br />
alberi e case”, ma rispetto ad essi manifestano <strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza fondamentale: non si<br />
vedono. Questo è un primo limite della <strong>teoria</strong>, che vale tutt’al più come <strong>una</strong> metafora<br />
che ci invita a non considerarli come cose evanescenti. Ma da <strong>una</strong> metafora non si può<br />
ricavare <strong>una</strong> <strong>teoria</strong>, a meno <strong>di</strong> rassegnarsi a cadere in contrad<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> vario tipo. In<br />
particolare, se davvero gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> fossero soli<strong>di</strong> come alberi e case, allora,<br />
quando ci troviamo <strong>di</strong> fronte a un segnale <strong>di</strong> <strong>di</strong>vieto <strong>di</strong> sosta, dovremmo ritenere <strong>di</strong><br />
avere a che fare con due <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, il segnale (che è davvero solido) e il <strong>di</strong>vieto<br />
(che solo Reinach pretende essere solido come il segnale, se la sua <strong>teoria</strong> vuole essere<br />
più che <strong>una</strong> metafora). Trascurare questa circostanza equivarrebbe -come succedeva<br />
18 Sacco *; cfr. anche Id. 1993.<br />
19 Sacco 2000.
ai vecchi empiristi, con la loro <strong>teoria</strong> delle idee a giusto titolo criticata da Reid 20 - a<br />
pretendere che l’idea dell’ago punga, e che l’idea del calore sia calda.<br />
In terzo luogo, Reinach sostiene che gli <strong>oggetti</strong> giuri<strong>di</strong>ci possiedono un loro<br />
“essere in<strong>di</strong>pendente”, ma anche qui non ci siamo. È immanente alla loro natura,<br />
come sostiene lo stesso Reinach, il fatto <strong>di</strong> avere un inizio nel tempo, come <strong>di</strong>mostra<br />
l’aperta insostenibilità <strong>di</strong> frasi come:<br />
(1) Aristotele non ha mai ambito a un poker d’assi.<br />
(2) Plotino non ha mai pensato <strong>di</strong> fare gol.<br />
(3) Proclo non tifava (o tifava) per il Chievo.<br />
(4) Antistene non ha mai acceso un mutuo.<br />
La morale è dunque che Reinach, che nel paragone con alberi e case istituisce <strong>una</strong><br />
equivalenza tra <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> e <strong>oggetti</strong> fisici, nella affermazione del loro essere<br />
in<strong>di</strong>pendente li equipara a <strong>oggetti</strong> ideali.<br />
La ragione <strong>di</strong> queste insufficienze può essere motivata proprio a partire dalla<br />
tripartizione <strong>di</strong> atto, contenuto e oggetto che abbiamo esposto in precedenza. Il rifiuto<br />
del positivismo giuri<strong>di</strong>co in Reinach, per motivato che sia, ha il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> fare <strong>di</strong> ogni<br />
erba un fascio, ossia, nella fattispecie, <strong>di</strong> buttare via, insieme all’atto, anche il<br />
contenuto (l’iscrizione), creando uno strano ibrido, <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> che sarebbero<br />
giuri<strong>di</strong>camente uguali agli <strong>oggetti</strong> ideali, ma poi dotati <strong>di</strong> <strong>una</strong> strana soli<strong>di</strong>tà, quasi <strong>di</strong><br />
impenetrabilità, che spetta soltanto agli <strong>oggetti</strong> fisici. Nella tripartizione <strong>di</strong><br />
Twardowski, Reinach si riferisce dunque soltanto all’oggetto, che costituisce a sua<br />
volta un ircocervo ideal-reale:<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: idea comune<br />
Il risultato, dunque, è che il realismo forte non funziona.<br />
Realismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono soli<strong>di</strong><br />
quanto gli <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Testualismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> fisici sono<br />
socialmente costruiti<br />
Realismo debole<br />
Testualismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su <strong>oggetti</strong> fisici<br />
su registrazioni (piccoli <strong>oggetti</strong><br />
fisici)<br />
Può il suo fallimento dare fiato al Testualismo Forte dei postmoderni?<br />
Fort<strong>una</strong>tamente, no.<br />
20 Reid 1764.
3. Testualismo forte<br />
“Una volta ho <strong>di</strong>scusso con un famoso etnometodologo che pretendeva <strong>di</strong> aver<br />
<strong>di</strong>mostrato che gli astronomi creano per davvero i quasar e altri fenomeni<br />
astronomici tramite le loro ricerche e i loro <strong>di</strong>scorsi. “Ascolta”, gli ho detto,<br />
‘supponiamo che tu e io an<strong>di</strong>amo a fare <strong>una</strong> passeggiata al chiaro <strong>di</strong> l<strong>una</strong> e che io<br />
<strong>di</strong>ca ‘che splen<strong>di</strong>da l<strong>una</strong> c’è questa notte’, e che tu sia d’accordo. Stiamo forse<br />
creando la l<strong>una</strong>?” “Sì, mi ha risposto”.<br />
Volontà <strong>di</strong> potenza. L’aneddoto riportato da Searle 21 ci suggerisce <strong>una</strong> morale: il<br />
bello del testualismo forte, dell’idea che la stessa realtà fisica sia socialmente costruita<br />
attraverso la volontà <strong>di</strong> s<strong>oggetti</strong> che non hanno limiti al <strong>di</strong> fuori della loro potenza è<br />
che si contesta facilmente.<br />
Nella sua formulazione letterale, quella che vuole che gli stessi <strong>oggetti</strong> fisici siano<br />
socialmente costruiti, la dottrina appare manifestamente assurda, e nasce dalla<br />
confusione tra le teorie e i loro <strong>oggetti</strong>, tra ontologia ed epistemologia, tra quello che<br />
c’è (per esempio, la l<strong>una</strong>) e ciò che sappiamo (o non sappiamo) su quello che c’è 22 .<br />
Uno potrebbe opporre che non c’è niente <strong>di</strong> male nel sostenere che gli <strong>oggetti</strong><br />
<strong>sociali</strong> sono socialmente costruiti, ma a questo punto abbiamo a che fare non con <strong>una</strong><br />
<strong>teoria</strong>, ma con <strong>una</strong> solida tautologia, che dunque non ha niente <strong>di</strong> interessante.<br />
La tesi tornerebbe ad essere interessante, o quantomeno non tautologica, nel<br />
momento in cui si asserisse che il carattere “socialmente costruito” equivale a<br />
“s<strong>oggetti</strong>vamente costruito”, solo che, a questo punto, ci troveremmo <strong>di</strong> nuovo <strong>di</strong><br />
fronte a <strong>una</strong> aperta falsità, come può constatare chiunque decidesse s<strong>oggetti</strong>vamente<br />
che il furto non è più un reato, o che il denaro non ha valore. Questo nonsenso palese<br />
può <strong>di</strong>ventare occulto quando si sostiene che “non esistono fatti, solo<br />
interpretazioni” 23 ; ma torna ad essere palese con un semplice esperimento mentale,<br />
che consiste nell’immaginare un trib<strong>una</strong>le in cui, sopra allo scranno del giu<strong>di</strong>ce, stia<br />
scritto per l’appunto “non esistono fatti, solo interpretazioni”.<br />
Se la tesi del Testualismo Forte vuole essere meno che <strong>una</strong> tautologia (la realtà<br />
sociale è socialmente costruita), allora è per l’appunto un asserto secondo cui la realtà<br />
sociale è s<strong>oggetti</strong>vamente costruita (<strong>di</strong>re che è costruita “inters<strong>oggetti</strong>vamente” non è<br />
che un modo per mascherare il problema), e dunque nella tripartizione <strong>di</strong> Twardowski<br />
abbiamo <strong>una</strong> valorizzazione esclusiva dell’atto, che corrisponde a <strong>una</strong><br />
psicologizzazione della intera realtà sociale.<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: idea comune<br />
Metabasis eis allo ghenos. Immagino che mi si chiederà chi, oltre<br />
21 Searle 1998, p. 20.<br />
22 Ferraris 2001 e 2004.<br />
23 Nietzsche 1886-1887.
all’etnometodologo preso <strong>di</strong> mira da Searle, abbia mai professato <strong>una</strong> dottrina così<br />
strampalata, ma la risposta è semplice, e la casistica è ampia 24 . In generale, gli<br />
ingre<strong>di</strong>enti sono per l’appunto <strong>una</strong> confusione tra ontologia ed epistemologia <strong>di</strong><br />
matrice kantiana, un s<strong>oggetti</strong>vismo <strong>di</strong> matrice cartesiana, e <strong>una</strong> <strong>teoria</strong> della volontà <strong>di</strong><br />
potenza <strong>di</strong> matrice nietzschiana. E la sua formulazione generale consiste in <strong>una</strong><br />
sistematica metabasis eis allo ghenos: si parte da <strong>una</strong> tesi che possiede <strong>una</strong> vali<strong>di</strong>tà<br />
molto circoscritta, e la si generalizza trasportandola in campi in cui non ha vali<strong>di</strong>tà<br />
alc<strong>una</strong>.<br />
Prendete Foucault, che sostiene 25 che forse, se e quando saranno scomparse le<br />
scienze umane, scomparirà anche l’uomo. Si tratta della generalizzazione <strong>di</strong> un caso<br />
particolare con cui aveva iniziato le sue indagini, e che consisteva nell’assunto<br />
secondo cui la follia è un esito della psichiatria 26 . Il che, in un senso, è ovvio: il nostro<br />
specifico modo <strong>di</strong> affrontare quei comportamenti che chiamiamo “folli” è la<br />
psichiatria, che ci parla <strong>di</strong> schizofrenici e paranoici là dove <strong>una</strong> volta si parlava <strong>di</strong><br />
indemoniati e <strong>di</strong> posseduti dagli dèi. Inoltre, la follia rappresenta indubbiamente un<br />
oggetto epistemologico, nel senso che chiamare qualcosa “follia” invece che<br />
“possessione <strong>di</strong>vina” è sicuramente <strong>una</strong> scelta che ha a che fare con quello che<br />
sappiamo.<br />
Ma se riferito all’uomo, come genere naturale, questo <strong>di</strong>scorso non tiene. Quel<br />
bipede implume c’era prima e verosimilmente ci sarà dopo che le scienze dell’uomo,<br />
se mai, spariranno. E pensare il contrario –a parte un eccesso metaforico analogo a<br />
quello <strong>di</strong> Reinach, <strong>una</strong> sorta <strong>di</strong> trasporto lirico- significa per l’appunto (1) confondere<br />
l’ontologia con l’epistemologia, (2) il sociale con l’in<strong>di</strong>viduale, e infine (3)<br />
considerare l’in<strong>di</strong>viduale come la sfera <strong>di</strong> un s<strong>oggetti</strong>vismo assoluto ascrivibile, nella<br />
migliore delle ipotesi, al solipsismo. Per cui quella del Testualismo Forte 27 sarebbe al<br />
massimo <strong>una</strong> associazione <strong>di</strong> solipsisti, cioè un rotondoquadrato.<br />
Dunque perde il suo tempo il testualista forte, la cui dottrina non funziona,<br />
proprio come quella del realista forte, senza peraltro con<strong>di</strong>viderne il fascino<br />
intellettuale.<br />
Realismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono soli<strong>di</strong><br />
quanto gli <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Testualismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> fisici sono<br />
socialmente costruiti<br />
Realismo debole<br />
Testualismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su <strong>oggetti</strong> fisici<br />
su registrazioni (piccoli <strong>oggetti</strong><br />
fisici)<br />
Lasciate da parte le esagerazioni, veniamo alle teorie papabili, ossia, per<br />
l’appunto, il realismo e il testualismo deboli.<br />
24 Ferraris 1988.<br />
25 Foucault 1966.<br />
26 Foucault 1961.<br />
27 Che è anche quella <strong>di</strong> quel pensiero fortissimo, <strong>di</strong> quel fichtianesimo <strong>di</strong> ritorno, che del tutto<br />
inesplicabilmente ha deciso <strong>di</strong> chiamarsi « Pensiero Debole », cfr. Vattimo 1983.
4. Realismo debole<br />
Ho <strong>di</strong> fronte a me un pezzo <strong>di</strong> carta, ma potrebbe essere anche <strong>una</strong> carta <strong>di</strong><br />
cre<strong>di</strong>to o un pezzo <strong>di</strong> metallo. È indubbiamente un oggetto fisico, e sicuramente non è<br />
socialmente costruito dal momento che le molecole che lo compongono. Solo, ha un<br />
valore sociale, mi permette <strong>di</strong> comprare qualcosa, e questo non <strong>di</strong>pende<br />
semplicemente da me, visto che la moneta vale anche per chi abbia idee e stati<br />
d’animo completamente <strong>di</strong>versi da me, e continua a valere per me in<strong>di</strong>pendentemente<br />
dal mutare del mio credo e del mio umore. Come è possibile?<br />
4.1. Atto e Oggetto<br />
Realismo debole: come funziona. Il problema, prima <strong>di</strong> tutto, è sapere che cosa<br />
tiene unito l’oggetto sociale e l’oggetto fisico, il prezzo e la birra, la banconota con<br />
corso legale e il pezzo <strong>di</strong> carta <strong>di</strong> cui è fatta. L’idea <strong>di</strong> Searle è a gran<strong>di</strong> linee questa.<br />
Per passare da un pezzo <strong>di</strong> carta colorato (un oggetto fisico) a <strong>una</strong> banconota (un<br />
oggetto sociale), si assegna <strong>una</strong> funzione, applicando la regola “X (il pezzo <strong>di</strong> carta)<br />
conta come Y (la banconota) in un contesto C (un determinato Stato in un determinato<br />
tempo)”. L’assegnazione <strong>di</strong> funzione si esercita attraverso delle regole costitutive,<br />
che, <strong>di</strong>versamente da quelle regolative, non pongono or<strong>di</strong>ne in <strong>una</strong> situazione che<br />
potrebbe esistere in<strong>di</strong>pendentemente dalle regole (per esempio, l’obbligo <strong>di</strong> guidare<br />
tenendo la destra), ma che viene ad esistere proprio in forza delle regole (qui il caso<br />
tipico sono i giochi: non è che ci fossero scacchiere, pedoni e altri pezzi, e che per por<br />
or<strong>di</strong>ne sulle scacchiere si sia ricorso alle regole <strong>degli</strong> scacchi: sono quelle regole a far<br />
sì che abbiano senso le scacchiere e i pezzi.)<br />
Sin qui, tutto chiaro. Le regole che presiedono a <strong>una</strong> assegnazione <strong>di</strong> funzione<br />
costruiscono, sopra un insieme <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> fisici (poniamo, appunto, pezzi <strong>di</strong> legno o<br />
uomini) <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> (pedoni <strong>degli</strong> scacchi o professori <strong>di</strong> filosofia.) Searle<br />
osserva anche che le funzioni che vengono assegnate, sebbene sorgano da regole, non<br />
risultano convenzionali. E in effetti è un errore pensare che ci sussista <strong>una</strong><br />
equivalenza tra “seguire <strong>una</strong> regola” e “seguire <strong>una</strong> convenzione”, perché altrimenti,<br />
come aveva notato Wittgenstein 28 , non ci sarebbe <strong>di</strong>fferenza tra seguire <strong>una</strong> regola e<br />
credere <strong>di</strong> seguirla, tra giocare a scacchi e credere <strong>di</strong> giocare a scacchi, e in fin dei<br />
conti (per fare l’esempio <strong>di</strong> <strong>una</strong> regola regolativa) tra guardare l’orologio per sapere<br />
che ora è e immaginarne uno, sempre per sapere l’ora. In concreto, posso benissimo,<br />
se ho smarrito un pezzo <strong>degli</strong> scacchi, poniamo un alfiere, sostituirlo con un tappo <strong>di</strong><br />
birra, perché il pezzo è convenzionale, ma non la funzione: il tappo <strong>di</strong> birra dovrà<br />
comunque muoversi in <strong>di</strong>agonale come l’alfiere, se voglio davvero giocare a scacchi e<br />
non semplicemente credere <strong>di</strong> giocare a scacchi.<br />
Vantaggi e problemi. Il primo vantaggio è che, in questo modo, si è eliminata la<br />
visione convenzionale <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, che è vecchia almeno quanto il contratto<br />
sociale <strong>di</strong> Rousseau che, alla faccia del suo vagheggiamento della natura, sosteneva<br />
che non solo il contratto sociale, ma persino il linguaggio in cui questo contratto<br />
dovrebbe essere stipulato è convenzionale.<br />
28 Wittgenstein 1953.
In secondo luogo, come ho detto, si sono ra<strong>di</strong>cati gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> non solo nelle<br />
regole che li costituiscono, ma anche negli <strong>oggetti</strong> fisici che li supportano in qualità <strong>di</strong><br />
inferiora. Ora, posto che l’intenzionalità collettiva svolga, nella <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, la<br />
stessa funzione che ha l’atto nella terminologia <strong>di</strong> Twardowski-Meinong, e che<br />
l’oggetto fisico sia il supporto dell’oggetto sociale, con due funzioni che vengono a<br />
ricoprire quella dell’oggetto, sempre nella terminologia Twardowski-Meinong, allora<br />
l’ontologia sociale <strong>di</strong> Searle avrebbe <strong>una</strong> struttura <strong>di</strong> questo tipo:<br />
Oggetto fisicointenzionalità collettivaOggetto sociale<br />
Dunque (vale la pena <strong>di</strong> notarlo preliminarmente, visto che tornerà molto utile nel<br />
seguito del mio <strong>di</strong>scorso) la tricotomia Atto/Contenuto/Oggetto si semplifica qui in<br />
<strong>una</strong> <strong>di</strong>cotomia Atto/Oggetto. Nella <strong>teoria</strong> della intenzionalità collettiva, per l’appunto,<br />
si privilegia l’atto, in quella dell’oggetto sociale come sopravveniente rispetto a quello<br />
fisico, si privilegia l’oggetto. Diversamente che nelle due teorie precedenti, abbiamo<br />
dunque due termini invece che uno solo:<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: oggetto fisico<br />
Alla luce della regola costitutiva <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> “X conta come Y in C”<br />
l’atto è rappresentato dalla intenzionalità collettiva, l’oggetto da X e Y, che sono<br />
rispettivamente l’oggetto fisico e quello sociale che funge da oggetto <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne<br />
superiore grazie alla intenzionalità collettiva.<br />
Sin qui tutto bene. Tutto bene? Nei prossimi paragrafi vorrei sottolineare due<br />
<strong>di</strong>fficoltà che limitano seriamente la portata euristica della <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle. Si tratta,<br />
in primo luogo, <strong>di</strong> problemi con l’atto, e in secondo luogo <strong>di</strong> problemi con l’oggetto.<br />
4.2. Problemi con l’atto<br />
I problemi con l’atto richiederebbero un lungo <strong>di</strong>scorso, e mi limito a <strong>una</strong><br />
osservazione concisa, considerando come, d’altra parte, anche se questa parte della<br />
<strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle non risultasse problematica, basterebbero i problemi con l’oggetto a<br />
suscitare delle serie <strong>di</strong>fficoltà, come vedremo tra un istante. Per limitarsi comunque<br />
alle evidenze maggiori, vorrei far notare un punto.<br />
L’atto che trasforma un oggetto fisico in un oggetto sociale ha l’aria <strong>di</strong> un colpo<br />
<strong>di</strong> bacchetta magica, come si verifica facilmente (ci torneremo tra poco) tutte le volte<br />
che ci si provi a far ritorno dall’oggetto sociale all’oggetto fisico. La bacchetta magica<br />
si chiama “intenzionalità collettiva”. Scrive Searle “[C’è <strong>una</strong>] linea continua che va<br />
dalle molecole e dalle montagne ai cacciavite, alle leve e ai tramonti incantevoli, e poi<br />
alle leggi, al denaro e agli stati-nazione. La campata centrale del ponte che va dalla<br />
fisica alla società è l’intenzionalità collettiva, e la mossa decisiva su quel ponte nella<br />
creazione della realtà sociale è l’imposizione intenzionale collettiva <strong>di</strong> funzione su<br />
entità che non possono svolgere quelle funzioni senza quell’imposizione”<br />
Che cosa sia l’intenzionalità collettiva, tuttavia, è tutto tranne che evidente, e per<br />
chi abbia un passato da ermeneutico non è <strong>di</strong>fficile ritrovarci <strong>una</strong> vecchia idea, quella<br />
che la buonanima <strong>di</strong> Dilthey, sulla scia <strong>di</strong> Hegel, chiamava “spirito <strong>oggetti</strong>vo”. Se poi<br />
la chiamassimo “superanima” il problema, da occulto che è, <strong>di</strong>venterebbe subito<br />
palese.
4.3. Problemi con l’oggetto<br />
Dal fisico al sociale e ritorno? Lasciando insoluto (o anche semplicemente in<br />
sospeso, tanto non è decisivo) il primo problema, vengo adesso al secondo, quello<br />
della <strong>teoria</strong> dell’oggetto sociale come oggetto <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore rispetto a un oggetto<br />
fisico.<br />
A questo proposito, il problema è duplice. In primo luogo, non è per niente chiaro<br />
(a meno per l’appunto che si ricorra alla ipotesi mistica della intenzionalità collettiva)<br />
come, dall’oggetto fisico, si riesca ad arrivare all’oggetto sociale. In secondo luogo,<br />
anche a voler dar cre<strong>di</strong>to alla intenzionalità collettiva, non è per niente chiaro come,<br />
dall’oggetto sociale, si riesca a in<strong>di</strong>viduare regolarmente un oggetto fisico che gli<br />
corrisponda. La <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, insomma, soffre <strong>di</strong> un problema che potremmo<br />
chiamare “gestaltistico”: spera <strong>di</strong> poter spiegare come dall’oggetto <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne inferiore<br />
si passa all’oggetto <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore, ma cade nel momento in cui dall’oggetto <strong>di</strong><br />
or<strong>di</strong>ne superiore ci si trova a dover tornare all’oggetto <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore. Insomma,<br />
per <strong>di</strong>rla alla buona, non tiene alla prova del nove.<br />
Dal fisico al sociale. Le <strong>di</strong>fficoltà della transizione dal fisico al sociale si possono<br />
illustrare considerando tre esempi <strong>di</strong> Searle (uno dei quali, significativamente, è stato<br />
scartato in un secondo momento).<br />
1. Il muro. Come abbiamo visto, Searle spiega il passaggio con l’esempio<br />
del muro. L’idea è che prima c’è un oggetto fisico, un muro che separa<br />
l’interno dall’esterno e <strong>di</strong>fende <strong>una</strong> comunità. Poi poco alla volta il muro<br />
si sgretola, non resta che <strong>una</strong> fila <strong>di</strong> pietre, inutili come riparo fisico, e<br />
che definiscono un oggetto sociale, un confine: quello stesso che, più<br />
avanti, sarà la linea gialla che negli uffici postali e negli aeroporti ci<br />
in<strong>di</strong>ca un limite che non può essere valicato 29 . Ora, si capisce come un<br />
muro, sgretolandosi, possa, in determinate circostanze, <strong>di</strong>ventare un<br />
confine. Ma non è affatto chiaro come, sulla base <strong>di</strong> quella semplice<br />
analogia -<strong>una</strong> circostanza fortuita che non si sa quante volte possa essersi<br />
verificata- sia sorta la linea gialla o la mezzeria nelle strade. La questione<br />
si complica ulteriormente sulla base <strong>di</strong> un’altra considerazione. Se<br />
davvero un oggetto fisico potesse essere l’origine <strong>di</strong> un oggetto sociale,<br />
allora ogni oggetto fisico sarebbe un oggetto sociale, ogni muro<br />
costituirebbe un <strong>di</strong>vieto. Ma chiaramente non è così, come può verificare<br />
chiunque decida <strong>di</strong> abbattere un muro a casa propria: purché il fatto non<br />
contrad<strong>di</strong>ca normative che non necessariamente hanno a che fare con la<br />
soli<strong>di</strong>tà fisica del muro, ebbene, può abbatterlo come e quando vuole.<br />
2. Marcare il territorio. Sempre sulla questione del passaggio dal fisico al<br />
sociale, anticipiamo un punto che <strong>di</strong>venterà importante nel seguito del<br />
nostro <strong>di</strong>scorso. Prima <strong>di</strong> fare l’esempio del muro, ricorda Searle, aveva<br />
proposto l’esempio <strong>degli</strong> animali che marcano il territorio; ma poi, spiega,<br />
aveva deciso <strong>di</strong> abbandonarlo perché non gli sembrava adeguato. Perché<br />
inadeguato? Non in assoluto, visto che è proprio un bell’esempio; ma<br />
29 O meglio : che non deve essere valicato, <strong>di</strong>versamente dal muro che non può venire<br />
oltrepassato. Il che, se vogliamo, è un altro problema che Searle non mette sufficientemente a fuoco.
certo inadatto per la <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle. In effetti, non c’è un solo momento<br />
in cui la traccia costistuisca un limite fisico. La traccia è un odore, e un<br />
limite olfattivo –invisibile proprio come l’ontologia catturata da Searle-<br />
non equivale mai a impenetrabilità. È, sin dall’inizio, qualcosa che non<br />
nasce come oggetto fisico per trasformarsi in oggetto sociale, ma, per<br />
l’appunto, nasce come segno, che è blandamente fisico e fortemente<br />
sociale nella sua essenza. Sembrava davvero un buon esempio. E se Searle<br />
lo avesse seguito invece <strong>di</strong> privilegiare quello del denaro e del muro si<br />
sarebbe risparmiato un bel po’ <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, in particolare quella, su cui ci<br />
concentreremo tra poco, <strong>di</strong> come si spieghino, con la <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, gli<br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> che, come i debiti, non possiedono <strong>una</strong> controparte fisica<br />
(visto che il debito è <strong>una</strong> entità negativa). Perché in questa formulazione<br />
tra un muro e un debito intercorre un abisso: il primo è la presenza <strong>di</strong><br />
qualcosa, il secondo è l’assenza <strong>di</strong> qualcosa. Mentre la traccia del marcare<br />
il territorio potrebbe stabilire un tramite, essendo presente (come dato<br />
olfattivo, per esempio), ma rinviando a <strong>una</strong> assenza (l’animale che ha<br />
marcato il territorio). In questo senso, costituisce <strong>una</strong> struttura<br />
sopraor<strong>di</strong>nata sia al muro sia al debito 30 .<br />
3. La moneta. Da tutto questo emerge <strong>una</strong> considerazione ancora più<br />
generale. L’esempio del denaro, addotto da Searle come se fosse la norma<br />
<strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, è in effetti <strong>una</strong> eccezione. Perché è relativamente<br />
facile trasformare un bottone in <strong>una</strong> moneta per ingannare un cieco, e poi<br />
riadoperare <strong>una</strong> moneta come bottone in un abito tirolese. Ma nella<br />
stragrande maggioranza dei casi l’operazione appare molto più<br />
complessa, quando non impossibile. E questo è obiettivamente un limite<br />
grave, che compromette la para<strong>di</strong>gmaticità dell’esempio addotto. Perché è<br />
semplice sostenere che incidendo delle scritte su un pezzo <strong>di</strong> metallo<br />
otterremo un oggetto sociale, e che, <strong>una</strong> volta che l’uso avrà cancellato le<br />
iscrizioni, avremo <strong>di</strong> nuovo un oggetto fisico. Ma questa, per l’appunto,<br />
non costituisce <strong>una</strong> regola, bensì <strong>una</strong> eccezione.<br />
Dal sociale al fisico. Veniamo al secondo aspetto del problema, quello che<br />
riguarda la reversibilità dal sociale al fisico. È abbastanza semplice sostenere che <strong>una</strong><br />
banconota è anche un pezzo <strong>di</strong> carta, o che un presidente è anche <strong>una</strong> persona. Così<br />
come non c’è problema sul fatto che –d’accordo con l’esempio <strong>di</strong> Searle- quando<br />
Searle è solo in <strong>una</strong> stanza d’albergo c’è un solo oggetto fisico ma più <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong><br />
(un marito, un <strong>di</strong>pendente dello stato della California, un citta<strong>di</strong>no americano, il<br />
titolare <strong>di</strong> <strong>una</strong> patente…). In questo caso, il ritorno da Y (sociale) a X (fisico) non<br />
presenta eccessivi problemi. Le cose, tuttavia, cambiano in <strong>una</strong> situazione un po’<br />
<strong>di</strong>versa, ma tutt’altro che rara, suscitando <strong>di</strong>fficoltà che sono state riconosciute molto<br />
prima della nascita della <strong>teoria</strong> sociale <strong>di</strong> Searle, e che riguardano sia gli <strong>oggetti</strong>, sia<br />
gli eventi. Esaminiamo tre casi para<strong>di</strong>gmatici.<br />
1. Lo Stato <strong>di</strong> Heidegger. È l’esempio <strong>di</strong> un oggetto sociale molto grande.<br />
30 Vorrei inoltre far notare, richiamandomi alla tripartizione Atto Contenuto Oggetto, che la<br />
traccia ricopre perfettamente il ruolo del Contenuto, essendo la manifestazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> intenzione<br />
psicologica dell’animale (vuole marcare il territorio) che si riferisce a un oggetto (la proprietà), in quel<br />
modo <strong>di</strong> presentazione specifico. Tornerò estesamente su questo punto parlando del testualismo debole.
Nella Introduzione alla metafisica Heidegger si chiede a un certo punto:<br />
“dov’è l’essere nello Stato? Non è né proprietà enumerabili, né cosa<br />
localizzabile, ma ciò <strong>di</strong> cui partecipano l’<strong>una</strong> e l’altra. Dov’è l’Essere<br />
dello Stato? Nell’operazione <strong>di</strong> polizia in corso, nelle macchine da<br />
scrivere della segreteria, nella comunicazione del capo dello Stato a un<br />
ambasciatore?” 31 . È tutt’altro che facile in<strong>di</strong>care quali <strong>oggetti</strong> fisici<br />
costituiscano l’essere dello Stato: i confini, probabilmente, l’esercito e<br />
l’amministrazione pubblica, l’apparato politico… Ma, per esempio, la<br />
dotazione <strong>di</strong> sigari toscani a <strong>di</strong>sposizione dei senatori italiani è ancora<br />
parte dell’essere dello Stato? E, se no, perché?<br />
2. L’Università <strong>di</strong> Ryle. Il problema che emerge è proprio quello che Ryle 32<br />
aveva isolato come “il mito dello spettro nella macchina”, riferendolo al<br />
dualismo cartesiano (come nasce la res cogitans dalla res extensa? Non è<br />
<strong>una</strong> semplice aggiunta miracolosa?), ma esemplificandolo proprio con il<br />
rapporto tra un oggetto sociale, l’Università, e gli <strong>oggetti</strong> fisici su cui<br />
sembra fondarsi. Sarebbe vagamente sorprendente, sosteneva Ryle,<br />
l’atteggiamento <strong>di</strong> chi, dopo aver visto le biblioteche, i <strong>di</strong>partimenti, le<br />
aule e il rettorato chiedesse dov’è l’Università: l’oggetto sociale<br />
“Università” è il risultato <strong>di</strong> <strong>una</strong> composizione <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong>, che vanno<br />
analizzati nella loro struttura formale e nei vincoli che ne derivano, e non<br />
scartati impegnandosi nella ricerca <strong>di</strong> un Essenziale evanescente che<br />
starebbe <strong>di</strong>etro le biblioteche e il rettorato. Con questo, però, abbiamo<br />
solo <strong>una</strong> in<strong>di</strong>cazione negativa. Non è bene invocare spettri che stanno<br />
<strong>di</strong>etro, dentro o sopra gli <strong>oggetti</strong>, sarebbe più o meno come sostenere che i<br />
computer pensano davvero, e che <strong>una</strong> macchina che abbia passato il test <strong>di</strong><br />
Turing debba essere dotata <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritti civili.<br />
3. La battaglia <strong>di</strong> Merleau-Ponty. Veniamo al caso <strong>degli</strong> eventi, che sono <strong>di</strong><br />
per sé meno facili da catturare <strong>di</strong> quanto non lo siano gli <strong>oggetti</strong>. In uno<br />
dei suoi ultimi corsi al Collège de France, Merleau-Ponty 33 , che<br />
commenta il passo <strong>di</strong> Heidegger, aggiunge, con tocco meno teutonico, <strong>una</strong><br />
allusione alla Certosa <strong>di</strong> Parma <strong>di</strong> Stendhal “Cfr. Fabrizio dov’è la<br />
battaglia <strong>di</strong> Waterloo? È in tutto ciò che si vede e al <strong>di</strong> là.” Il punto è<br />
interessante, perché ci ricorda che tra gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> ci sono per<br />
l’appunto anche <strong>degli</strong> eventi <strong>sociali</strong>, come le battaglie, i matrimoni, le<br />
partite <strong>di</strong> calcio e le feste <strong>di</strong> compleanno. Al punto che si potrebbe <strong>di</strong>re<br />
che, in <strong>una</strong> percentuale importante, gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, le istituzioni<br />
(l’istituto del matrimonio, per esempio) sono types i cui tokens sono<br />
costituiti da eventi. E con gli eventi le <strong>di</strong>fficoltà crescono ancora <strong>di</strong> più,<br />
perché i loro confini, <strong>di</strong>versamente da quello che accade per gli <strong>oggetti</strong>,<br />
risultano estremamente labili 34 . Ma, anche restando agli <strong>oggetti</strong>, la<br />
31 Heidegger 1935.<br />
32 Ryle 1949.<br />
33 Merleau-Ponty 1958-59.<br />
34 Per esempio, quando è iniziata esattamente la battaglia <strong>di</strong> Waterloo? il 18 giugno 1815, quando<br />
Napoleone avanza all’attacco nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Bruxelles, o il 17, quando Grouchy tenta <strong>di</strong> riprendere<br />
il contatto con Blücher e Ney cerca Wellington? o il 16, quando Grouchy batte effettivamente i<br />
prussiani, ma ha il torto <strong>di</strong> non inseguirli? o quando Napoleone invade il Belgio meri<strong>di</strong>onale, o<br />
ad<strong>di</strong>rittura torna dall’Elba (e in questo caso la battaglia inizierebbe forse a Boro<strong>di</strong>no, col risultato che<br />
Pierre Bezuchov e Fabrizio del Dongo avrebbero assistito alla stessa battaglia, del resto capendoci a
psicologia della Gestalt, quella con cui Merleau-Ponty si era misurato<br />
all’inizio della sua carriera, aveva visto bene il punto enunciando la legge<br />
della trascendenza del tutto rispetto alle sue componenti. Ma la<br />
trascendenza non significa in<strong>di</strong>fferenza rispetto alle parti. E nel caso dello<br />
Stato o della battaglia non si capisce proprio come si riesca a ritornare a<br />
<strong>una</strong> essenza fisica semplice partendo da un oggetto sociale complesso. E<br />
asserire che c’è qualcosa “al <strong>di</strong> là” del fisico che costituisce l’oggetto<br />
sociale è proprio invocare un colpo <strong>di</strong> bacchetta magica.<br />
Riduzioni. Ci sono soluzioni alternative? L’idea, non troppo peregrina, potrebbe<br />
essere <strong>di</strong> compiere <strong>degli</strong> esperimenti volti a ridurre gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> troppo gran<strong>di</strong>.<br />
La espongo a titolo <strong>di</strong> esperimento mentale giacché non è <strong>di</strong>fficile capire che non<br />
funziona.<br />
1. Il Bunker <strong>di</strong> Hitler. Nel 1453, l’Impero Romano <strong>di</strong> Occidente si era<br />
ridotto al perimetro urbano <strong>di</strong> Costantinopoli. E non è il solo caso. Per<br />
esempio, ci fu un momento, <strong>di</strong>eci anni dopo l’Introduzione alla<br />
metafisica, in cui l’Essere dello Stato tedesco si concentrò nel Bunker<br />
della Cancelleria circondato dall’Armata Rossa, ossia in cui la totalità<br />
venne a trovarsi in un solo luogo. Un perimetro <strong>di</strong> non più <strong>di</strong> 100 metri <strong>di</strong><br />
lato, alla fine, quando, suicidandosi, Hitler declinò dal suo titolo.<br />
2. Little Big Horn. Visto che quella era anche <strong>una</strong> battaglia, la battaglia <strong>di</strong><br />
Berlino, possiamo forse trovare <strong>una</strong> risposta all’interrogativo <strong>di</strong> Merleau-<br />
Ponty rispetto agli eventi. Funziona anche meglio nella battaglia <strong>di</strong> Little<br />
Big Horn ridotta al Generale Custer circondato dagli In<strong>di</strong>ani. Il momento<br />
in cui, se stiamo ai resoconti cinematografici, il capo della coalizione<br />
in<strong>di</strong>ana colpisce Custer, costituisce il limite temporale preciso della<br />
battaglia.<br />
3. Napoleone a Sant’Elena. L’argomento sembra rafforzato dal fatto che, per<br />
esempio, <strong>di</strong>versamente da Hitler nel Bunker, Napoleone a Sant’Elena non<br />
rappresenta affatto lo Stato Francese, bensì un personaggio storico in<br />
<strong>di</strong>sgrazia e un cinquantenne malato.<br />
Per quanta simpatia possa suscitare, la riduzione –fisica e non eidetica- non<br />
funziona. E questo, banalmente, perché l’identità dell’oggetto sociale non <strong>di</strong>pende<br />
dalle molecole del suo corrispettivo fisico, perché la realtà sociale costituisce un nesso<br />
teleologico che si adatta male alle spiegazioni causali che intervengono nell’analisi<br />
<strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> fisici. Per chi trovasse circolare questa considerazione, basterà osservare<br />
che, per l’appunto, c’è un gran numero <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> che non possiedono un<br />
corrispettivo fisico evidente, o che ad<strong>di</strong>rittura sono privi <strong>di</strong> controparti fisiche.<br />
4.4. Entità Y in<strong>di</strong>pendenti<br />
Sembrerebbe infatti, come ha sottolineato Barry Smith, che in moltissimi casi,<br />
nell’analisi della realtà sociale, abbiamo a che fare con entità Y in<strong>di</strong>pendenti, cioè con<br />
<strong>oggetti</strong> che non possiedono <strong>una</strong> controparte fisica, sia palese (come nel caso <strong>di</strong> uno<br />
Stato, <strong>di</strong> <strong>una</strong> corporation, <strong>di</strong> <strong>una</strong> università) sia in assoluto (come nel caso <strong>di</strong> entità<br />
negative come i debiti). Come la mettiamo?<br />
giusto titolo ben poco)?
L’idea <strong>di</strong> Smith è che esistono termini Y-in<strong>di</strong>pendenti, ossia “entità che (a<br />
<strong>di</strong>fferenza del Presidente Clinton, della cattedrale <strong>di</strong> Canterbury e del denaro nella<br />
mia tasca) non coincidono ontologicamente con alc<strong>una</strong> parte della realtà fisica.”<br />
Ossia, nella terminologia <strong>di</strong> Smith, con “rappresentazioni”, che –teniamolo presente,<br />
visto che è un punto che andrà <strong>di</strong>scusso nel dettaglio- “non coincidono<br />
ontologicamente con alc<strong>una</strong> parte della realtà fisica”, giacché –sostiene Smith- “I<br />
segnali nei computer della banca si limitano a rappresentare il denaro, esattamente<br />
come i documenti giuri<strong>di</strong>ci relativi ai beni <strong>di</strong> vostra proprietà si limitano a<br />
memorizzare e registrare ufficialmente l’esistenza dei vostri <strong>di</strong>ritti <strong>di</strong> proprietà. Scrive<br />
ancora Smith: “Riformulando le proprie idee in questo ambito [della <strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> Y<br />
rispetto a X] Searle è dunque costretto a riconoscere <strong>una</strong> nuova <strong>di</strong>mensione<br />
dell’impalcatura della realtà sociale, la <strong>di</strong>mensione delle rappresentazioni. Le tracce<br />
[blips] nei computer della banca si limitano a rappresentare il denaro ..”“ 35<br />
Introducendo la <strong>di</strong>mensione delle rappresentazioni, Smith riformula la <strong>teoria</strong> <strong>di</strong><br />
Searle con <strong>una</strong> variante significativa quanto alla tripartizione Atto Contenuto Oggetto.<br />
Lo schema <strong>di</strong> Smith, rispetto a quello <strong>di</strong> Searle, funziona così:<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: idea comune<br />
Al posto dell’oggetto fisico abbiamo l’idea comune. Smith non si avventura sul<br />
terreno paludoso della intenzionalità collettiva e del passaggio dal fisico al sociale:<br />
assume semplicemente che noi posse<strong>di</strong>amo delle rappresentazioni, che è un punto<br />
<strong>di</strong>fficile da contestare, senza tuttavia impelagarsi nella spiegazione <strong>di</strong> come quelle<br />
rappresentazioni spieghino il transito dal fisico al sociale. Questa Aufhebung non gli è<br />
necessaria, visto che Smith assume che le rappresentazioni non si riferiscono a <strong>oggetti</strong><br />
fisici, bensì a <strong>oggetti</strong> ideali, più o meno come, malgrado tutto, accadeva in Reinach,<br />
un autore che sta nel background <strong>di</strong> Smith 36 e non in quello <strong>di</strong> Searle.<br />
Il Capitale <strong>di</strong> De Soto. Per capire meglio la prospettiva <strong>di</strong> Smith, conviene rifarsi<br />
a un brano dell’economista sudamericano Hernando De Soto, che gioca un ruolo<br />
centrale nella sua proposta teorica. È anzitutto De Soto che propone <strong>di</strong> considerare gli<br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> come “rappresentazioni”. La sua tesi è: “Il capitale nasce<br />
rappresentando per iscritto – in un titolo, in <strong>una</strong> garanzia, in un contratto o in altri<br />
record <strong>di</strong> questo tipo – le qualità più utili dal punto <strong>di</strong> vista economico e sociale. Nel<br />
momento in cui rivolgete la vostra attenzione al documento <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> <strong>una</strong> casa,<br />
per esempio, e non alla casa in se stessa, avete fatto automaticamente un passo dal<br />
mondo materiale verso il mondo concettuale in cui vivono i capitali 37 .”<br />
In questo modo, spostando l’attenzione dal para<strong>di</strong>gma della moneta a quello del<br />
capitale, e dall’oggetto fisico al concetto, Smith ritiene <strong>di</strong> aver riparato la falla<br />
maggiore nella nave <strong>di</strong> Searle. L’idea <strong>di</strong> fondo è che se gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono<br />
intenzionali (ossia sono un bene comune che però sta nella nostra testa prima che nel<br />
35 Smith 2003b p. 145.<br />
36 Smith 1997.<br />
37 De Soto 2000 : 49, corsivi miei.
mondo, e non a titolo <strong>di</strong> mero atto psicologico) allora l’ambito in cui conviene<br />
trattarne è per l’appunto la sfera delle rappresentazioni, che sono poi i nostri contenuti<br />
intenzionali, sottratti a un valore puramente s<strong>oggetti</strong>vo attraverso il riferimento a<br />
<strong>oggetti</strong> ideali.<br />
Gli scacchi <strong>di</strong> Smith. Per meglio definire la nozione <strong>di</strong> “rappresentazione”, che<br />
gioca un ruolo centrale nella sua revisione della <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, Smith la qualifica<br />
come “entità quasi-astratta”, facendo l’esempio <strong>degli</strong> scacchi giocati alla cieca. L’idea<br />
è che gli scacchi, para<strong>di</strong>gma <strong>di</strong> regola costitutiva in Searle, possono essere giocati in<br />
assenza <strong>di</strong> qualunque supporto fisico. Si può giocare anche per internet, dove la<br />
scacchiera non è “presente” allo stesso titolo <strong>una</strong> scacchiera fisica (per esempio, ha<br />
due localizzazioni, corrispondenti ai due computer). Si può altresì, se si è molto<br />
esercitati, giocare a memoria, senza che ci sia nulla fuori della nostra mente.<br />
Soprattutto in questa versione, è facile osservare come la scacchiera pensata, che non<br />
corrisponde ad alc<strong>una</strong> delle rappresentazioni psicologiche (intese come “atti”) dei due<br />
giocatori, costituisca un oggetto ideale, il terzo regno del pensiero <strong>di</strong> Frege, <strong>di</strong> cui è<br />
anzi <strong>una</strong> buona figurazione <strong>di</strong> tipo non mistico.<br />
Smith estende il modello allo stesso para<strong>di</strong>gma del denaro in Searle. Anche in<br />
quel caso, da un certo punto in avanti (e con l’evoluzione tecnologica sempre più),<br />
non abbiamo delle controparti fisiche, bensì semplicemente dei blips, delle tracce sul<br />
computer. Anche qui c’è un oggetto sociale, a cui non corrisponde un oggetto fisico,<br />
bensì <strong>una</strong> rappresentazione, che tuttavia è <strong>oggetti</strong>va visto che non corrisponde ai<br />
semplici atti mentali dei due giocatori <strong>di</strong> scacchi, delle migliaia <strong>di</strong> risparmiatori<br />
truffati dalla Parmalat, della moltitu<strong>di</strong>ne dei giocatori in borsa, e della turma ancora<br />
più vasta, anche se in gran parte squattrinata, <strong>di</strong> quelli che hanno a che fare con il<br />
denaro.<br />
I 100 talleri. La soluzione è affascinante nella sua semplicità, ma proprio<br />
l’assimilazione delle rappresentazioni a <strong>oggetti</strong> ideali, che costituisce la sua forza, ne<br />
è anche il limite essenziale. Come abbiamo visto, le rappresentazioni sono gli <strong>oggetti</strong><br />
comuni <strong>di</strong> Frege, per esempio l’Equatore, che non è <strong>una</strong> linea immaginaria visto che<br />
non è creata dal pensiero, che si limita a riconoscerla ed afferrarla. Ma già questo è un<br />
problema, perché un presidente del consiglio o l’Euro non assomigliano affatto<br />
all’Equatore, e in particolare non potrebbero esistere se non ci fosse qualcuno che<br />
crede che esistono, <strong>di</strong>versamente da ciò che accade per l’Equatore.<br />
Inoltre, e in base a questo ragionamento, l’Equatore c’è da sempre, mentre,<br />
poniamo, la Polonia o la Parmalat hanno un inizio nel tempo. Il che può non essere un<br />
male, ma trascura <strong>una</strong> circostanza cruciale, il fatto cioè che è essenziale per gli <strong>oggetti</strong><br />
<strong>sociali</strong>, proprio nella misura in cui hanno un inizio, il fatto <strong>di</strong> avere <strong>una</strong> forma <strong>di</strong><br />
registrazione. È il punto su cui ci concentreremo tra poco trattando del Testualismo<br />
Debole. Per esempio, è <strong>di</strong>fficile sostenere che, nel caso del denaro trasformato in<br />
tracce sul computer, ci siano solo rappresentazioni e non qualcosa <strong>di</strong> fisico che<br />
sostiene queste rappresentazioni, sebbene la sua fisicità non sia imponente. E se per<br />
l’Equatore o per il teorema <strong>di</strong> Pitagora la forma <strong>di</strong> registrazione risulta secondaria, dal<br />
momento che è immanente alla definizione dell’oggetto ideale il fatto <strong>di</strong> non<br />
possedere un inizio nel tempo, per un oggetto sociale le cose vanno <strong>di</strong>fferentemente:<br />
perché un oggetto sociale sia tale, è necessario un inizio temporale, e dunque la forma<br />
della registrazione appare costitutiva dell’oggetto sociale.<br />
L’importanza <strong>di</strong> questa osservazione è facilmente verificabile. Infatti, trascurando<br />
questa circostanza, Smith va a urtare proprio con quel postmodernismo che avversa
come la peste. Perché a questo punto non c’è alcun modo <strong>di</strong> rispondere alla domanda:<br />
come si <strong>di</strong>stinguono <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto 100 talleri reali da 100 talleri ideali? In fin dei conti,<br />
c’è <strong>una</strong> <strong>di</strong>fferenza tra <strong>una</strong> azione Parmalat e un’altra azione, come si sono accorti in<br />
molti, eppure in entrambi i casi, nella <strong>teoria</strong> De Soto-Smith, si tratterebbe <strong>di</strong><br />
rappresentazioni. Tuttavia, che cosa rende veri<strong>di</strong>che le azioni IBM e truffal<strong>di</strong>ne le<br />
azioni Parmalat, un assegno coperto da un assegno scoperto? Il fatto che registrino<br />
qualcosa, non il fatto <strong>di</strong> essere rappresentazioni, ed è per questo che Searle aveva<br />
dovuto impelagarsi nell’eroica vicenda <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> fisici che si trasformano in<br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>. Il rappresentare qualcosa, che <strong>di</strong>fferenzia 100 talleri ideali da 100<br />
talleri reali, le azioni IBM dalle azioni Parmalat, un cavallo da un centauro, è <strong>una</strong><br />
circostanza <strong>di</strong> cui la <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Smith non rende conto. D’altra parte, come abbiamo<br />
visto, la <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle non tiene. Ed ecco il risultato:<br />
Realismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono soli<strong>di</strong><br />
quanto gli <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Realismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Testualismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> fisici sono<br />
socialmente costruiti<br />
Testualismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su registrazioni (piccoli <strong>oggetti</strong><br />
fisici)
5. Testualismo debole<br />
Il 31 gennaio compro <strong>una</strong> camicia a un saldo. Non ho contante (“moneta” in<br />
senso tra<strong>di</strong>zionale) e inoltre temo <strong>di</strong> avere esaurito la <strong>di</strong>sponibilità del bancomat (è<br />
l’ultimo giorno del mese), per cui alla domanda “carta o bancomat?” rispondo<br />
“carta”.<br />
La cassiera introduce la carta (che fisicamente coincide con il bancomat) in <strong>una</strong><br />
macchinetta, attiva tutta <strong>una</strong> rete <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni gigantesche (in effetti, in certi casi<br />
posso anche pagare con il telefonino, per esempio fare offerte per le vittime dello<br />
Ts<strong>una</strong>mi), e a un certo punto esce un pezzo <strong>di</strong> carta stampato.<br />
Anche qui <strong>una</strong> scena normalissima, ma che implica <strong>una</strong> immensa ontologia<br />
invisibile, e inoltre un singolare arcaismo. Perché sul foglio <strong>di</strong> carta devo mettere un<br />
vetusto scarabocchio che è la mia firma (e che non coincide necessariamente con il<br />
mio nome più <strong>di</strong> quanto un co<strong>di</strong>ce del bancomat coincida con la somma in Euro che,<br />
per ipotesi, ho in banca nel momento in cui lo <strong>di</strong>gito). È <strong>una</strong> stranezza, a ben<br />
pensarci. E, per l’appunto, se avessi usato il bancomat avrei dovuto, sebbene in<br />
forma più tecnologica, adoperare <strong>una</strong> stessa iscrizione i<strong>di</strong>omatica.<br />
Avrei potuto farlo anche in piena assenza <strong>di</strong> tecnologia. Poniamo che io il 31<br />
gennaio mi fossi sposato. Anche lì, avrei dovuto apporre la mia firma, insieme a<br />
quella <strong>di</strong> mia moglie e dei testimoni, su un registro. Tutto questo in conformità a un<br />
rito e a <strong>una</strong> formulazione i<strong>di</strong>omatica (se invece <strong>di</strong> <strong>di</strong>re “sì” <strong>di</strong>cessi “certamente”,<br />
esprimerei lo stesso oggetto, ma non lo stesso contenuto, e il matrimonio non sarebbe<br />
valido; così come ci sarebbe motivo <strong>di</strong> impugnare <strong>una</strong> promessa in cui promettessi in<br />
falsetto, o toscaneggiando, o imitando il <strong>di</strong>aletto napoletano o bergamasco).<br />
Morale: perché ci sia un oggetto sociale, dall’acquisto <strong>di</strong> <strong>una</strong> camicia ai sal<strong>di</strong> a<br />
un matrimonio, ci vuole <strong>una</strong> iscrizione, e bisogna che sia i<strong>di</strong>omatica. È qui che può<br />
trovare risposta l’enigma <strong>di</strong> Searle. Ma per farlo bisogna cambiare prospettiva, con<br />
<strong>una</strong> piccola rivoluzione copernicana, che riporti in auge quel terzo termine della<br />
partizione <strong>di</strong> Twardowski, il contenuto, che sinora è stato trascurato.<br />
5.1. Dall’Oggetto al Contenuto<br />
Come? È presto detto. Come abbiamo visto, la <strong>di</strong>fficoltà del Realismo Debole<br />
consisteva nel fatto che o ancoriamo gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> agli <strong>oggetti</strong> fisici, e ci troviamo<br />
<strong>di</strong> fronte allo scoglio <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> che non possiedono un corrispettivo fisico;<br />
oppure consideriamo che gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono “rappresentazioni”, e allora<br />
rica<strong>di</strong>amo nel postmoderno, nella impossibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto 100 talleri reali<br />
da 100 talleri ideali. Bisogna trovare <strong>una</strong> soluzione, e <strong>una</strong> in<strong>di</strong>cazione viene proprio<br />
da un passo <strong>di</strong> Searle, che a un certo punto 38 scrive: “Spesso i fatti bruti non si<br />
manifesteranno come <strong>oggetti</strong> fisici, ma come suoni provenienti dalla bocca della gente<br />
o come segni sulla carta (o anche come pensieri nella loro testa)”.<br />
Perché è così importante questo passaggio? Suoni, segni, pensieri, non sono<br />
<strong>oggetti</strong> fisici imponenti come Stati o persone. Possiedono meno molecole. Tuttavia,<br />
non sono semplicemente privi <strong>di</strong> spessore fisico: un suono comporta delle vibrazioni,<br />
un pensiero comporta <strong>una</strong> attività elettrica cerebrale, e questo vale anche per i segni<br />
sulla carta. Quest’ultima circostanza, a ben pensarci, è più rivelativa <strong>di</strong> quanto non si<br />
38 Searle 1995, p. 44.
creda, perché “segni sulla carta” sono, per l’appunto, le banconote, il para<strong>di</strong>gma<br />
dell’oggetto sociale standard per Searle. Che dunque è sì un oggetto, ma con poche<br />
molecole, prova ne sia che l’aspetto davvero decisivo, in <strong>una</strong> banconota, quello che la<br />
trasforma da un oggetto fisico, poniamo un <strong>di</strong>segno, in un oggetto sociale, sono le<br />
poche molecole della firma del governatore che ne sancisce la vali<strong>di</strong>tà. Quelle poche<br />
molecole, inoltre, non sono troppo <strong>di</strong>verse dai blip sul computer della banca, e dunque<br />
la circostanza che creava tanti problemi a Searle, il fatto cioè che sussistesse <strong>una</strong><br />
<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> principio tra <strong>una</strong> banconota e <strong>una</strong> traccia sul computer, vien meno: si<br />
tratta <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> dello stesso genere, che hanno delle caratteristiche comuni.<br />
Quali? Essenzialmente, due, quelle che ho ricordato un po’ enigmaticamente<br />
nell’esempio del saldo e del matrimonio.<br />
1. L’oggetto sociale, in questa versione, è iscritto. Cioè, ha poche molecole,<br />
meno <strong>di</strong> quanto accada a un oggetto fisico imponente del tipo <strong>di</strong> quelli che<br />
stanno alla base della <strong>teoria</strong> standard <strong>di</strong> Searle. Al tempo stesso, per poche<br />
che siano, quelle molecole sono qualcosa, non sono <strong>una</strong> semplice<br />
rappresentazione, come potrebbe accadere per un oggetto ideale che<br />
possiede il suo essere in<strong>di</strong>pendentemente da qualunque in<strong>di</strong>viduo che lo<br />
pensi. E dunque quelle poche molecole rendono conto della espressione<br />
un po’ sibillina usata da Smith, “entità quasi-astratta”: l’entità deve essere<br />
registrata da qualche parte nello spazio-tempo attuale, e questo richiede un<br />
minimo <strong>di</strong> molecole.<br />
2. La localizzazione ci fornisce anche un altro elemento dell’oggetto sociale,<br />
che è i<strong>di</strong>omatico, cioè registrato in un modo peculiare. Il califfo arabo<br />
pagava il suo tributo all’imperatore bizantino Giustiniano II in copie <strong>di</strong><br />
nomismata, la moneta bizantina. Nel 692 l’imperatore incominciò a<br />
coniare nomismata contrassegnati dal busto <strong>di</strong> Cristo; il califfo versò<br />
l’ammontare d’oro in monete prive del ritratto <strong>di</strong> Cristo, e Giustiniano<br />
<strong>di</strong>chiarò guerra 39 . Morale: la materia, fosse pure l’oro, è un eccipiente,<br />
mentre il principio attivo è per l’appunto l’iscrizione i<strong>di</strong>omatica. Una<br />
banconota da 50 euro possiede <strong>una</strong> determinata forma e colore, se fosse<br />
<strong>di</strong>versa non basterebbe la scritta “50 euro” a determinarne la vali<strong>di</strong>tà, non<br />
più <strong>di</strong> quanto “50 euro” ottenuti, per ipotesi, con <strong>una</strong> banconota da 37<br />
euro e con un’altra da 13 euro siano davvero 50 euro, poiché quelle<br />
banconote non esistono (mentre il numero 50 si può effettivamente<br />
ottenere, e resta lo stesso, sia che si sommi 13 a 37, sia che si sommi 49 a<br />
1, sia che si sommi 25 a 25). Si osserverà che gli assegni sono<br />
effettivamente <strong>di</strong>fferenti a seconda delle banche. Ma, a parte il fatto che<br />
devono essere uguali all’interno della stessa banca, a rendere i<strong>di</strong>omatico e<br />
dunque valido l’assegno è la firma del titolare del conto. Poche molecole,<br />
<strong>di</strong> nuovo, tracciate in un modo peculiare (<strong>una</strong> firma non è semplicemente<br />
un nome), che garantiscono la presenza spazio-temporale del firmatario<br />
nel momento in cui ha staccato l’assegno.<br />
Queste due considerazioni ci permettono <strong>di</strong> rileggere con occhi <strong>di</strong>versi anche il<br />
passo <strong>di</strong> De Soto citato poco fa, sottolineando un gerun<strong>di</strong>o, “rappresentando”.<br />
Rileggiamo il passo, sottolineando quello che viene imme<strong>di</strong>atamente dopo: “Il<br />
capitale nasce rappresentando per iscritto – in un titolo, in <strong>una</strong> garanzia, in un<br />
contratto o in altri records <strong>di</strong> questo tipo – le qualità più utili dal punto <strong>di</strong> vista<br />
39 Treadgold 2001, p. 135.
economico e sociale [associate a un asset dato]. Nel momento in cui rivolgete la<br />
vostra attenzione al documento <strong>di</strong> proprietà <strong>di</strong> <strong>una</strong> casa, per esempio, e non alla casa<br />
in se stessa, avete fatto automaticamente un passo dal mondo materiale verso il<br />
mondo concettuale in cui vivono i capitali”. Ecco fatto. L’elemento cruciale che<br />
costituisce il capitale è lo scritto, non la semplice rappresentazione (che potrebbe<br />
valere per un oggetto ideale ma non determina un oggetto sociale). E non si tratta <strong>di</strong><br />
uno scritto qualsiasi, bensì <strong>di</strong> uno scritto i<strong>di</strong>omatico, che contiene qualcosa come <strong>una</strong><br />
firma.<br />
Tenendo conto <strong>di</strong> queste due coor<strong>di</strong>nate, il testualismo <strong>di</strong> Derrida fonda la<br />
consistenza specifica <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> non sull’atto né sull’oggetto (fisico o<br />
ideale), bensì sul modo <strong>di</strong> presentazione e <strong>di</strong> registrazione i<strong>di</strong>omatico dell’oggetto. E<br />
dunque, rispetto a tutte le formulazioni sin qui incontrate, Derrida pone l’accento,<br />
nella tripartizione <strong>di</strong> Twardowski, proprio sul contenuto, ossia sul modo <strong>di</strong><br />
presentazione i<strong>di</strong>omatico. Nel nostro schemino, funziona così:<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: idea comune<br />
Vorrei in breve chiarire che cosa intendo con “i<strong>di</strong>omatico” e con “iscrizione”. Il<br />
primo punto si può illustrare parlando <strong>di</strong> “firme”, il secondo <strong>di</strong> “registrazioni”.<br />
5.2. Firme<br />
Che cosa è <strong>una</strong> firma? Derrida non ha mai parlato <strong>di</strong> “contenuto” nel senso <strong>di</strong><br />
Twardowski, sebbene abbia de<strong>di</strong>cato moltissima attenzione al problema dello stile,<br />
che gli è valso un costante rimprovero <strong>di</strong> estetismo. In effetti, sembra <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>re che<br />
cosa sia uno stile, ma le cose <strong>di</strong>vengono più semplici se ci concentriamo su un<br />
fenomeno usuale e prosaico come la firma, quello strano arcaismo che sembra così<br />
importante nella sfera <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>. Una firma, come <strong>una</strong> grafia, può essere<br />
bella o brutta, ma questa è <strong>una</strong> faccenda del tutto <strong>di</strong>versa dal fatto che <strong>una</strong> firma sia<br />
falsa. Dunque, l’estetismo non c’entra per niente.<br />
È questione <strong>di</strong> i<strong>di</strong>omaticità: perché in <strong>una</strong> società in cui in pratica non si scrive<br />
più a mano, e su carta, atti decisivi richiedono l’intervento <strong>di</strong> un nome scritto a mano,<br />
e che è valido solo, in un modo <strong>di</strong> presentazione specifico? Qui tocchiamo un punto<br />
decisivo quanto all’essenza <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> 40 , e non è un caso che il saggio in cui<br />
Derrida si è impegnato più nettamente nella definizione della natura <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong><br />
<strong>sociali</strong> 41 , e che ha suscitato le ire <strong>di</strong> Searle 42 . Cercando <strong>di</strong> formalizzare al <strong>di</strong> là <strong>degli</strong><br />
esempi.<br />
1. La firma non corrisponde all’atto. Pensare <strong>di</strong> firmare non è firmare. Ma<br />
firmare è per l’appunto manifestare <strong>una</strong> intenzione in<strong>di</strong>viduale.<br />
2. La firma non corrisponde all’oggetto. All’oggetto corrisponde il nome,<br />
40<br />
In tedesco, che non è necessariamente <strong>una</strong> lingua filosofica ma è sicuramente <strong>una</strong> lingua come<br />
tutte le altre, “<strong>di</strong>tta”, “corporation”, si <strong>di</strong>ce “Firma”, con un italianismo che si riferisce presumibilmente<br />
al <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> firma che sta alla base, per l’appunto, <strong>di</strong> quelle azioni che costituiscono l’identità <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
azienda.<br />
41<br />
Derrida 1971.<br />
42<br />
Searle 1977.
mentre al contenuto corrisponde, per l’appunto, la firma, che può essere<br />
anche identica al nome (come quando si truffa un conta<strong>di</strong>no che non vuol<br />
firmare <strong>di</strong>cendogli <strong>di</strong> scrivere semplicemente il suo nome) o del tutto<br />
<strong>di</strong>fferente (come quando un analfabeta scrive <strong>una</strong> croce), ma che, quanto a<br />
essenza, non gli corrisponde, come si può verificare facilmente.<br />
Io posso scrivere:<br />
Maurizio Ferraris<br />
Maurizio Ferraris<br />
Maurizio Ferraris<br />
Maurizio Ferraris<br />
Si tratta sempre <strong>di</strong> un nome, lo stesso, e non <strong>di</strong> quattro nomi.<br />
Posso anche scrivere:<br />
Maurizio Ferraris<br />
Maurizio Ferraris<br />
Maurizio Ferraris<br />
Maurizio Ferraris<br />
In tutti questi casi, continua a essere un nome (scritto in corsivo), ma non è mai<br />
<strong>una</strong> firma. E se volessi considerarlo <strong>una</strong> firma, allora sarebbe <strong>una</strong> firma falsa.<br />
Si può anche dare il caso in cui, sullo stesso supporto fisico, ci sono, per esempio,<br />
quattro nomi, ma solo tre firme. Pren<strong>di</strong>amo questa cartolina destinata a Gadamer e<br />
firmata da Derrida, da Vattimo e da me (che poi mi sono <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>re). È<br />
per l’appunto il caso della compresenza <strong>di</strong> 4 nomi a cui corrispondono 3 firme (non<br />
c’è la firma <strong>di</strong> Gadamer, ma il suo in<strong>di</strong>rizzo, che sarebbe rimasto lo stesso anche se<br />
fosse stato scritto con la grafia <strong>di</strong> Vattimo o <strong>di</strong> Derrida).<br />
A cosa serve? Ora, come <strong>di</strong>cevo, l’attenzione al contenuto ha suscitato molti<br />
sospetti nei confronti <strong>di</strong> Derrida, e in particolare l’accusa <strong>di</strong> estetismo, perché in<br />
effetti il modo standard per spiegare che cos’è il contenuto è riferirsi allo stile, alla<br />
maniera i<strong>di</strong>omatica <strong>di</strong> un artista. Ma non è solo questione <strong>di</strong> arte, e poi l’arte ha delle<br />
implicazioni tutt’altro che futili, come possiamo verificare facilmente. Lasciamo pure<br />
da parte l’atto, il processo psichico, dove tutta la questione si risolve nel detto per cui
l’arte non è questione <strong>di</strong> buone intenzioni, e pensare <strong>una</strong> poesia non è scriverne <strong>una</strong>,<br />
come ha sottolineato Croce 43 con la dottrina della espressione. E concentriamoci sugli<br />
<strong>oggetti</strong> e sui contenuti.<br />
A parità <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong>, i contenuti possono risultare <strong>di</strong>fferenti: si pensi alla <strong>di</strong>fferenza<br />
tra Madame Bovary e la stessa storia (lo stesso oggetto) raccontata da un altro<br />
scrittore (questo effettivamente avviene, per esempio nelle trage<strong>di</strong>e, o nei romanzi<br />
storici che hanno lo stesso oggetto, poniamo lo sbarco in Norman<strong>di</strong>a). Così pure, due<br />
quadri che possiedono lo stesso oggetto, poniamo Antonio e Cleopatra, o la fuga in<br />
Egitto, possono risultare completamente <strong>di</strong>fferenti. Mentre questo non accade per gli<br />
<strong>oggetti</strong> ideali: il teorema <strong>di</strong> Pitagora resta uguale in<strong>di</strong>pendentemente dal supporto, dal<br />
gesso o pennarello con cui si <strong>di</strong>segnano le figure, dai colori, dalla precisione della<br />
esecuzione, dalle <strong>di</strong>mensioni della rappresentazione.<br />
Tutto questo, si <strong>di</strong>rà, è per l’appunto puro estetismo, <strong>una</strong> esperienza marginale<br />
che può <strong>di</strong>ventare interessante dal punto <strong>di</strong> vista <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> solo quando, per<br />
esempio, l’arte <strong>di</strong>venta mercato, <strong>di</strong>ritto d’autore ecc. ecc. Certo, ammettiamolo pure,<br />
anche se non si capisce per quale motivo, allora, uno si lasci guidare così<br />
potentemente, nella vita sociale che è ciò che ci interessa qui, dalle forme e dagli stili,<br />
cioè da ciò che nella nostra terminologia sono i contenuti. Perché, insomma, le<br />
segreterie delle aziende e dei telefonini hanno dei messaggi registrati con <strong>una</strong> voce<br />
femminile? Non andrebbe altrettanto bene <strong>una</strong> voce maschile rauca e <strong>di</strong>alettale, o<br />
quella <strong>di</strong> Marlon Brando nel Padrino? Perché la gente vuole dei vestiti firmati?<br />
Ipotizziamo comunque –vasto <strong>di</strong>segno!- <strong>una</strong> società che sappia dove incomincia e<br />
dove finisce l’estetismo. Sarebbe forse <strong>una</strong> società che si regola solo sulla base<br />
dell’atto e dell’oggetto, confinando il contenuto a quella che un tempo si chiamava la<br />
domenica della vita? Niente affatto. Un signore va a un vernissage, apprezza il<br />
contenuto, cioè lo stile dell’artista. Può farlo perché è in <strong>una</strong> galleria d’arte e non in<br />
un trib<strong>una</strong>le o in un ufficio: nessuno gli potrà rimproverare il suo deplorevole<br />
penchant per il contenuto dal momento che si trova proprio in un luogo deputato alla<br />
esibizione <strong>di</strong> contenuti. Tutto a posto, dunque, siamo per l’appunto alla domenica<br />
della vita.<br />
Ora però succede qualcosa <strong>di</strong> abbastanza imbarazzante per <strong>una</strong> <strong>teoria</strong> della<br />
circoscrivibilità del contenuto. Se un quadro gli piace molto, e se il suo conto in banca<br />
glielo permette, il signore estrarrà un libretto <strong>degli</strong> assegni, scriverà <strong>una</strong> cifra (che è<br />
indubbiamente un oggetto), poi il nome dell’artista (che è indubbiamente un oggetto:<br />
non importa come sia tracciato, purché sia leggibile, proprio come il teorema <strong>di</strong><br />
Pitagora), e a questo punto, in basso a destra, scriverà il proprio nome, ma non in un<br />
modo qualsiasi: scriverà <strong>una</strong> firma, che è il suo nome tracciato in un modo peculiare<br />
(in taluni casi, assomiglierà pochissimo al nome, sarà uno scarabocchio, basta che la<br />
banca lo riconosca, e questo in<strong>di</strong>ca la parziale irrazionalità della richiesta che viene<br />
talora avanzata <strong>di</strong> apporre <strong>una</strong> “firma leggibile”). Da quel momento, <strong>di</strong>venterà<br />
proprietario dell’opera, cioè <strong>di</strong> un contenuto i<strong>di</strong>omatico, che il più delle volte viene<br />
convalidato dal fatto che l’autore, a sua volta, ha apposto in basso a destra, nel<br />
quadro, la propria firma.<br />
Il momento decisivo della transazione non è consistito né nell’atto (pensare <strong>di</strong><br />
comprare un quadro non è comprare un quadro più <strong>di</strong> quanto pensare <strong>di</strong> <strong>di</strong>pingere un<br />
quadro equivalga a <strong>di</strong>pingerlo), né nell’oggetto (tranne che nell’arte concettuale,<br />
quella che per l’appunto ha enfatizzato l’oggetto, appropriarsi <strong>di</strong> un quadro non è<br />
43 Croce 1902.
appropriarsi dell’oggetto rappresentato, altrimenti <strong>una</strong> mostra <strong>di</strong> quadri equivarrebbe a<br />
<strong>una</strong> lezione <strong>di</strong> geometria), bensì nel contenuto: lo stile dell’artista, la firma<br />
sull’assegno, la firma sul quadro. E questo contenuto è talmente decisivo che un<br />
conoscitore potrà contestare l’attribuzione <strong>di</strong> un quadro in cui la firma dell’artista sia<br />
vera, ma lo stile non corrisponda esattamente. Si potrà andare in trib<strong>una</strong>le, e si<br />
<strong>di</strong>scuterà della faccenda, che avrà due aspetti, uno considerato come estetico (lo stile<br />
del pittore) l’altro no (la sua firma), ma in entrambi i casi si parlerà <strong>di</strong> contenuto.<br />
In effetti, le firme non sono affatto opere d’arte, questo è poco ma sicuro, né si<br />
a<strong>di</strong>biscono semplicemente a funzioni estetiche. Si possono apporre firme per pagare<br />
un conto al ristorante <strong>di</strong> un albergo, per convalidare la ricevuta <strong>di</strong> <strong>una</strong> carta <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to<br />
(che dunque <strong>di</strong>venta denaro proprio all’atto della firma), per comprarsi <strong>una</strong> casa o un<br />
biglietto <strong>di</strong> treno. In taluni casi la firma potrà essere sostituita da un co<strong>di</strong>ce, per<br />
esempio quello del bancomat, ma, <strong>di</strong> nuovo, quel co<strong>di</strong>ce non ha altro significato che<br />
la rappresentazione i<strong>di</strong>omatica.<br />
Inoltre, le firme non sono neppure, necessariamente, delle iscrizioni cartacee,<br />
come abbiamo appena visto a proposito dei co<strong>di</strong>ci dei bancomat. Possono anche<br />
in<strong>di</strong>care semplicemente un modus operan<strong>di</strong>. Si <strong>di</strong>ce talvolta che il ladro ha lasciato la<br />
sua firma, che non è ovviamente un bigliettino, a meno che sia Arsenio Lupin, né le<br />
impronte <strong>di</strong>gitali, bensì per l’appunto un certo stile che si ripete, anche con il variare<br />
<strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> legali implicati (rapina, furto con scasso, furto con destrezza ecc.). E<br />
questa circostanza, che rivela la separazione della nozione <strong>di</strong> “contenuto” da quella <strong>di</strong><br />
“estetismo” si può ritrovare in un campo come quello della proprietà intellettuale,<br />
dove, vale la pena <strong>di</strong> notarlo, il problema è proprio <strong>di</strong> assegnare <strong>una</strong> idea (un oggetto<br />
comune) a un soggetto (il portatore <strong>di</strong> un atto), e la soluzione viene solitamente<br />
apportata precisamente dal ricorso al contenuto.<br />
Proprietà intellettuale 44 . Da questo punto <strong>di</strong> vista, il caso della proprietà<br />
intellettuale appare para<strong>di</strong>gmatico. La proprietà intellettuale si esercita su tre tipi <strong>di</strong><br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>:<br />
1. Le espressioni (per esempio, i romanzi), garantite dallo stile.<br />
2. I trade mark, ossia i marchi depositati, che sono semplicemente dei nomi<br />
trasformati in firme, spesso legandosi a un logo peculiare. Coca Cola,<br />
Fiat, Microsoft sono nomi propri trasformati, attraverso <strong>una</strong> iscrizione<br />
i<strong>di</strong>omatica, in firme; a questo fine, può bastare semplicemente il ©, vale a<br />
<strong>di</strong>re il segno del copyright, che tutela la riproducibilità <strong>di</strong> ciò che, a questo<br />
punto, viene assimilato a <strong>una</strong> firma.<br />
3. I brevetti, che risultano i più <strong>di</strong>fficili da tutelare proprio perché sembrano<br />
riferirsi piuttosto a delle idee (ossia a ciò che, nella nostra partizione,<br />
corrisponde all’oggetto).<br />
Ovviamente, gli atti non rientrano nella nostra partizione perché nessuno può<br />
sognarsi <strong>di</strong> far brevettare <strong>una</strong> idea che semplicemente ha avuto, per l’appunto, in<br />
sogno, senza preoccuparsi <strong>di</strong> farla registrare da qualche parte. Sicché, <strong>di</strong>sponendo i<br />
tre fenomeni della proprietà intellettuale nella tripartizione usuale, otteniamo<br />
questo schema:<br />
Atto: processo psichico<br />
Contenuto: iscrizione Espressioni, Trade Mark<br />
44 Ferraris 2003.
i<strong>di</strong>omatica<br />
Oggetto: idea comune Brevetti<br />
Lasciati da parte gli atti per il motivo che ho appena ricordato, vorrei far notare in<br />
primo luogo come funziona il contenuto nella tutela delle espressioni (visto che il suo<br />
funzionamento è ovvio nei Trade Mark, attraverso l’assimilazione alla firma) e in<br />
secondo luogo come la tutela dei brevetti, che corrispondono agli <strong>oggetti</strong>, può avere<br />
successo attraverso l’assimilazione al contenuto, che, come stiamo notando, <strong>di</strong>viene<br />
qualcosa <strong>di</strong> sempre meno futile ed estetistico.<br />
Espressioni. Qui, per l’appunto, non ci sono grossi problemi. “Quel ramo del lago<br />
<strong>di</strong> Como” è <strong>di</strong> Manzoni; non è <strong>di</strong> Manzoni la storia <strong>di</strong> due fidanzati perseguitati da un<br />
signorotto <strong>di</strong> campagna (in effetti, potrebbe essere <strong>di</strong> Walter Scott, che è tra i modelli<br />
<strong>di</strong> Manzoni). L’espressione viene tutelata nelle <strong>di</strong>verse lingue in cui può essere<br />
tradotto il libro, e in<strong>di</strong>pendentemente dal me<strong>di</strong>um <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione: libro (in qualunque<br />
carattere o tipo <strong>di</strong> stampa), ra<strong>di</strong>o, CD, e ovviamente anche cinema e televisione (dove<br />
si suppone che a venire <strong>di</strong>ffusa non sia solo la storia, ma anche i caratteri dei<br />
personaggi, la forma dei <strong>di</strong>aloghi ecc.: <strong>una</strong> e<strong>di</strong>zione televisiva dei Promessi sposi in<br />
cui Lucia fosse <strong>una</strong> gigantessa, Renzo un nano, Padre Cristoforo un ubriacone con i<br />
capelli ver<strong>di</strong> ecc., sarebbe <strong>una</strong> paro<strong>di</strong>a).<br />
Rispetto alla <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, c’è <strong>una</strong> osservazione da fare. Viene tutelata<br />
l’espressione in<strong>di</strong>viduale, ma a livello <strong>di</strong> type, non <strong>di</strong> token. Chi ha comprato un libro<br />
può <strong>di</strong>struggerlo sotto gli occhi dell’autore 45 , ma non può appropriarsi<br />
dell’espressione letterale delle sue idee, in<strong>di</strong>pendentemente dalla lingua in cui<br />
vengono scritte. Il che significa, contrariamente alla tesi <strong>di</strong> Searle, che la base fisica è<br />
irrilevante rispetto alla costituzione della identità dell’oggetto sociale.<br />
Brevetti. Come <strong>di</strong>cevo, questa tutela <strong>di</strong>viene molto più <strong>di</strong>fficile qualora si debba<br />
applicare alle idee, cioè a quanto, nella tripartizione <strong>di</strong> Twardowski, corrisponde<br />
all’oggetto. Già sul piano delle espressioni-contenuti, risulta che espressioni troppo<br />
ovvie sono <strong>di</strong>fficili da tutelare: <strong>una</strong> volta un impiegato della birra Queen coniò lo<br />
slogan “The Queen of the Beer”, ma non riuscì a tutelarlo perché la corte gli fece<br />
notare che “chiunque avrebbe potuto coniare uno slogan del genere”. Sembra che<br />
questa situazione sia la norma nella tutela delle idee, perché appare immanente alla<br />
nozione <strong>di</strong> idea che chiunque possa averne <strong>una</strong>, ossia proprio quella idea: chiunque<br />
avrebbe potuto scoprire il teorema <strong>di</strong> Pitagora o le leggi <strong>di</strong> Newton, altrimenti non<br />
sarebbero quello che sono, cioè idee, mentre nessuno tranne Cervantes avrebbe potuto<br />
scrivere il Chisciotte, che infatti <strong>di</strong>venta <strong>una</strong> cosa ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>versa da quella che è<br />
nel momento in cui Pierre Ménard, nel racconto <strong>di</strong> Borges 46 , lo riscrive alla lettera.<br />
D’accordo con Frege 47 , infatti, le idee vere sono <strong>di</strong>verse dalla rappresentazione<br />
in<strong>di</strong>viduale che ne abbiamo, e dunque –a rigore- le sole idee <strong>di</strong> cui qualcuno potrebbe<br />
legittimamente riven<strong>di</strong>care la proprietà sono quelle completamente false, o magari<br />
vagamente insulse (quelle che rinfacciavano a Platone per chiedergli malignamente se<br />
esistessero: l’idea del grasso, dello sporco sotto le unghie, delle squame dei pesci).<br />
Una simile concezione delle idee si presta male alla <strong>di</strong>sciplina dei brevetti, o<br />
45 Kant 1785<br />
46 Borges 1984.<br />
47 Frege 1918.
meglio si può applicare solo in circostanze molto specifiche, quelle in cui <strong>una</strong> idea<br />
sbagliata si riveli, in modo imprevisto, <strong>una</strong> buona idea, come nel caso del post-it, nato<br />
dal fallimento <strong>di</strong> un tecnico della 3m che aveva inventato <strong>una</strong> colla che attaccava<br />
male. Come risultato, sembra proprio che, <strong>di</strong> nuovo, anche nel caso dei brevetti la sola<br />
via per garantire <strong>una</strong> proprietà consista nel ricondurre l’idea (impersonale: oggetto)<br />
all’espressione (personale: contenuto). La strategia è in due mosse.<br />
La prima consiste nel chiarire quale sia il tipo <strong>di</strong> idea con cui si ha a che fare<br />
quando si parla <strong>di</strong> “proprietà delle idee”. Non si tratta <strong>di</strong> <strong>una</strong> idea <strong>oggetti</strong>va e separata,<br />
appartenente a un ipotetico intelletto unico averroista, bensì <strong>di</strong> un esempio, come tale<br />
generalizzabile anche al <strong>di</strong> là della prima realizzazione, ma non a prescindere da essa.<br />
Pren<strong>di</strong>amo il Tetrapak. L’idea è quella <strong>di</strong> un parallelepipedo, dunque non è tutelata.<br />
Ma neppure l’espressione è fissa: può essere grande, piccolo, <strong>di</strong> colore <strong>di</strong>verso.<br />
Eppure, la tutela è possibile, giacché si applica all’espressione sensibile (il primo<br />
esempio) e alle generalizzazioni che se ne possono trarre. (Dipende probabilmente da<br />
questa circostanza il fatto che certi succhi <strong>di</strong> frutta abbiano dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> apertura<br />
barocchi e balor<strong>di</strong>, per aggirare il brevetto.)<br />
E’ qui che interviene la seconda mossa. Proprio la rappresentazione in<strong>di</strong>viduale,<br />
che per Frege non fa parte dell’idea, è ciò che permette <strong>di</strong> personalizzarla. Le idee<br />
vere possono venire a chiunque, però ognuno ne ha <strong>una</strong> peculiare rappresentazione,<br />
proprio come ognuno ha <strong>una</strong> immagine <strong>di</strong>versa quando viene invitato a pensare a<br />
qualcosa. Ora, è precisamente quella rappresentazione in<strong>di</strong>viduale che, accedendo al<br />
livello <strong>di</strong> espressione, ossia <strong>di</strong> contenuto, può essere sottoposta a tutela, <strong>di</strong>ventando un<br />
oggetto sociale. Pensiamo al caso della invenzione della macchina per cucire così<br />
come ci viene raccontata da Freud nella Interpretazione dei sogni. Il proprietario<br />
dell’idea aveva sognato ciò che, nella lettura freu<strong>di</strong>ana, andava interpretato come <strong>una</strong><br />
fantasia sessuale; poi ne aveva tratto l’applicazione esemplare nella macchina per<br />
cucire, che costituisce, per l’appunto, l’immagine interna s<strong>oggetti</strong>va nel senso <strong>di</strong><br />
Frege, e che appare come strettamente in<strong>di</strong>viduale, giacché in effetti nessun sogno<br />
erotico aveva sino ad allora suggerito <strong>una</strong> espressione <strong>di</strong> quel tipo.<br />
Iscrizioni. Un’ultima considerazione. Quanto si è detto della <strong>di</strong>sciplina dei<br />
brevetti non sempre funziona, eppure, si potrebbe osservare, i brevetti esistono. Come<br />
è possibile?<br />
Semplicemente perché, non <strong>di</strong>versamente dai Trade Mark che non posseggono un<br />
logo, e ricorrono alla formula ©, si procede a <strong>una</strong> registrazione, che fissa spaziotemporalmente,<br />
in un atto pubblico, la personalizzazione <strong>di</strong> <strong>una</strong> idea. In altri termini,<br />
se fosse esistito il <strong>di</strong>ritto d’autore all’epoca <strong>di</strong> Pitagora, ebbene, Pitagora avrebbe<br />
potuto brevettare il proprio teorema riservandosi dei <strong>di</strong>ritti per ogni suo sfruttamento<br />
pratico, pur restando inteso che si trattava della <strong>sociali</strong>zzazione <strong>di</strong> un oggetto ideale,<br />
che come tale esiste in<strong>di</strong>pendentemente dal suo scopritore. Viceversa, nel caso<br />
dell’inventore della macchina per cucire, avevamo a che fare con la <strong>sociali</strong>zzazione <strong>di</strong><br />
un atto psicologico del tutto i<strong>di</strong>omatico. Eppure, la registrazione, in entrambi i casi (la<br />
scrittura del teorema, il deposito dell’invenzione) assicura la costituzione <strong>di</strong> un<br />
oggetto sociale superando le rilevantissime <strong>di</strong>fferenze che intercorrono tra il primo e il<br />
secondo caso.<br />
Questa considerazione ci introduce al secondo elemento centrale del Testualismo<br />
Debole, ossia alle registrazioni, che, caratteristicamente, non sono assolutamente<br />
prese in considerazione nella <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, evidentemente spaventato dalle<br />
conseguenze postmoderne del principio “nulla esiste al <strong>di</strong> fuori del testo”. Un<br />
principio che, insensato nel caso <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> fisici, e valido molto limitatamente in
quello <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> ideali, appare viceversa decisivo e del tutto pertinente in quello<br />
<strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>.<br />
5.3. Registrazioni<br />
Il carattere quasi mistico della trasformazione <strong>di</strong> un oggetto fisico in un oggetto<br />
sociale, che Searle imputa alla “intenzionalità collettiva” senza chiarire a sufficienza<br />
la natura <strong>di</strong> un pezzo così importante della sua <strong>teoria</strong> si può chiarire attraverso la<br />
registrazione, quello che, in Bergson, unisce materia e memoria 48 . Invece <strong>di</strong><br />
appellarsi a <strong>una</strong> funzione occulta come l’intenzionalità collettiva, la costituzione <strong>degli</strong><br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> può essere più utilmente spiegata attraverso <strong>una</strong> funzione nota e palese<br />
come la memoria. È il fenomeno della registrazione (nella memoria così come in atti e<br />
in documenti) il fondamento della realtà sociale, che può trasformare <strong>oggetti</strong> fisici in<br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, ma anche –ed è un aspetto non meno rilevante- ci permette <strong>di</strong> rendere<br />
conto anche <strong>di</strong> quegli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> a cui non corrisponde, in apparenza, <strong>una</strong> entità<br />
fisica.<br />
Di uno Stato o <strong>di</strong> <strong>una</strong> multinazionale non sarà facile trovare <strong>una</strong> controparte fisica<br />
evidente, se si guarda, poniamo, al puro territorio (che può cambiare), o ad altri<br />
<strong>oggetti</strong> fisici come e<strong>di</strong>fici o <strong>di</strong>pendenti. Ma sarà sempre possibile trovare <strong>degli</strong> atti e<br />
dei documenti scritti, che sono qualcosa <strong>di</strong> fisico, anche se non dotato della fisicità<br />
imponente a cui pensa inizialmente Searle.<br />
2.5.4. La soluzione delle aporie <strong>di</strong> Searle<br />
Cerco conclusivamente <strong>di</strong> mostrare come questa <strong>teoria</strong>, che si appoggia sulla<br />
firma e sulla registrazione, permette <strong>di</strong> rendere conto <strong>di</strong> tutte le entità <strong>sociali</strong><br />
problematiche in Searle, senza cadere nel rappresentazionalismo <strong>di</strong> Smith. Per farlo,<br />
esaminerò <strong>una</strong> serie <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> la cui controparte fisica è caratterizzata da un<br />
numero decrescente <strong>di</strong> molecole: uno Stato, come la Polonia; <strong>una</strong> industria pesante,<br />
come la Fiat; <strong>una</strong> industria leggera, come la Telecom; <strong>una</strong> compagnia <strong>di</strong> telefonia<br />
cellulare, come la Vodafone; e infine <strong>una</strong> entità negativa, come il debito della<br />
Parmalat.<br />
Dov’è l’essere della Polonia? “dov’è l’essere dello Stato?”, si chiedeva<br />
Heidegger, come abbiamo visto. E proseguiva <strong>di</strong>cendo che “Non è né proprietà<br />
enumerabili, né cosa localizzabile, ma ciò <strong>di</strong> cui partecipano l’<strong>una</strong> e l’altra.” Sì, ma <strong>di</strong><br />
cosa si tratta?<br />
Certo, Heidegger aveva ragione (contro Searle), non è <strong>una</strong> questione <strong>di</strong> <strong>oggetti</strong><br />
fisici. La Germania <strong>di</strong> cui parlava Heidegger nel 1935 si era trasformata, quando il<br />
libro venne pubblicato in Bundesrepublik Deutschland, DDR, Polonia,<br />
Cecoslovacchia, Unione Sovietica, e successivamente alcune <strong>di</strong> queste entità sono<br />
scomparse. Inoltre, anche nel momento <strong>di</strong> massima concentrazione che avevo<br />
in<strong>di</strong>cato con l’esempio del Bunker della Cancelleria, lo Stato tedesco non era tutto lì,<br />
c’erano truppe e autorità concentrate sul confine danese, dove si svolse la<br />
capitolazione. Solo allora ebbe fine lo Stato tedesco, grazie a <strong>una</strong> firma. E quando<br />
Berlino era già occupata dai Russi, a Praga (che geograficamente non era in<br />
48 Ferraris 1997.
Germania) c’era lo Stato tedesco.<br />
La migliore <strong>di</strong>mostrazione del fatto che l’identità <strong>di</strong> un oggetto sociale come uno<br />
Stato non è garantita dall’oggetto fisico soggiacente è data dalla Polonia. Guardate<br />
come si sposta Varsavia, a oriente e a occidente, a nord e a sud, nelle <strong>di</strong>verse<br />
trasformazioni della tormentata storia polacca.<br />
Ecco la Polonia <strong>di</strong> oggi, con Varsavia abbastanza spostata a oriente, per via delle<br />
acquisizioni territoriali postbelliche avvenute in gran parte a spese della Germania.<br />
Ed ecco la Polonia del 1941, sotto il controllo tedesco. Varsavia è all’estremo<br />
occidente, quasi sul confine.<br />
Ecco invece la Polonia <strong>degli</strong> anni Venti, molto estesa territorialmente giacché i
due vicini, la Germania e l’Unione Sovietica, avevano avuto problemi (<strong>una</strong> guerra<br />
persa e la rivoluzione russa). Varsavia è al centro <strong>di</strong> un territorio molto vasto, ed è un<br />
po’ spostata verso occidente.<br />
Questa è invece la Polonia dell’età napoleonica. Varsavia è al confine orientale.
Può essere interessante notare che invece, nel 1772, Varsavia era al confine<br />
settentrionale.<br />
A questo punto non ci si stupisce più <strong>di</strong> nulla, per esempio del fatto che, nel 1300,
non riusciamo a determinare la posizione <strong>di</strong> Varsavia in Polonia, semplicemente<br />
perché c’è la Polonia (che peraltro abbiamo visto ruotare vorticosamente intorno a<br />
Varsavia), ma non c’è Varsavia.<br />
È poco ma sicuro: l’identità della Polonia non viene dalle sue molecole. E<br />
sostenere che viene da <strong>una</strong> intenzionalità collettiva resta <strong>una</strong> affermazione abbastanza<br />
vaga e mistica, soprattutto per un uomo con i pie<strong>di</strong> per terra come Searle. Di fatto, è<br />
ovvio, l’identità della Polonia viene da trattati, da registrazioni scritte, da accor<strong>di</strong>, che<br />
hanno tutti l’interessante proprietà <strong>di</strong> recare delle firme a piè <strong>di</strong> pagina.<br />
Dov’è l’essere della Fiat? Pren<strong>di</strong>amo ora il caso <strong>di</strong> un oggetto sociale il cui<br />
supporto fisico, sia pure ingente, consiste in un numero <strong>di</strong> molecole molto inferiore<br />
rispetto a uno Stato, ossia <strong>una</strong> industria pesante come la Fiat. Pren<strong>di</strong>amo il caso della<br />
Fiat <strong>degli</strong> anni Trenta. Il suo essere fisico consisteva nello stabilimento del Lingotto,<br />
negli operai, negli impiegati e <strong>di</strong>rigenti, nel vecchio senatore Agnelli, nelle<br />
automobili. Ma è proprio così?<br />
Ovviamente no. Come nel caso della Polonia, il Lingotto può <strong>di</strong>ventare un museo,<br />
un albergo e un palazzo <strong>di</strong> congressi che non appartiene più alla Fiat, gli operai<br />
possono (quasi) scomparire, Agnelli (non solo il vecchio senatore, ma anche suo<br />
nipote) può non esserci più, eppure la Fiat continua ad esserci, e le sue <strong>di</strong>fficoltà non<br />
sono <strong>di</strong> tipo identitario.<br />
Si noti anche questo: le automobili, che ci sono sempre state e ci sono ancora
adesso, costituiscono l’essere della Fiat solo fino a quando sono vendute, dopo<br />
rientrano nei possessi privati dell’acquirente. Ovviamente, Searle spiegherebbe tutto<br />
questo con l’intenzionalità collettiva, ma non sarebbe meglio <strong>di</strong>re che l’operazione<br />
magica per cui un’auto non è più della Fiat ma mia è un contratto, <strong>una</strong> forma <strong>di</strong><br />
registrazione, caratterizzata anche qui, guarda un po’, da due firme, quella <strong>di</strong> chi<br />
vende e quella <strong>di</strong> chi compra. E contratti del genere sono alla base (insieme a libri<br />
contabili, pacchetti azionari, comunicazioni, lettere con carta intestata, fax, buste paga<br />
ecc.) della identità della Fiat, che, proprio come la Polonia, non <strong>di</strong>pende dalle sue<br />
molecole fisiche (tutto sommato, le firme che definiscono l’identità della Fiat saranno<br />
poco <strong>di</strong> meno <strong>di</strong> quelle che definiscono l’identità della Polonia).<br />
Dov’è l’essere della Telecom? Adesso lasciamo l’industria pesante e veniamo a<br />
<strong>una</strong> compagnia <strong>di</strong> servizi, per esempio la Telecom <strong>di</strong> <strong>una</strong> trentina <strong>di</strong> anni fa, all’epoca<br />
in cui si chiamava Sip (e prima Stipel). Quali sono le molecole fisiche che ne<br />
definiscono l’identità? Anche qui, un certo numero <strong>di</strong> operatori, dei palazzi per uffici,<br />
ma, molto caratteristicamente, anche gli apparecchi telefonici (<strong>di</strong> cui la compagnia<br />
rimase a lungo proprietaria) e le linee telefoniche.<br />
Ma molti ricorderanno che quin<strong>di</strong>ci anni fa ognuno ha potuto comprarsi i telefoni<br />
che voleva, sicché i telefoni Telecom non sono più stati gli unici telefoni in casa, e<br />
oggi costituiscono <strong>una</strong> minoranza. Inoltre, la Telecom ha perso progressivamente il<br />
monopolio delle linee telefoniche. Bisogna concludere che la Telecom è <strong>di</strong>ventata <strong>una</strong><br />
cosa <strong>di</strong>versa? In un senso, sì, non è più la compagnia monopolistica in Italia con quel<br />
che ne segue. Ma, come la sua identità nel passaggio dalla Stipel alla Sip alla Telecom<br />
non <strong>di</strong>pendeva dagli apparecchi e dai fili, così ora –come sempre- la sua identità<br />
consiste in firme.<br />
Morale: apparecchi e linee telefoniche possono sparire o cambiare proprietà,<br />
questo non comporta necessariamente la scomparsa <strong>di</strong> Telecom. Basta che non<br />
scompaiano le firme, se ciò avvenisse sarebbe un vero guaio.<br />
Dov’è l’essere della Vodafone? Quest’ultimo interrogativo ha il vantaggio <strong>di</strong><br />
togliere <strong>di</strong> mezzo moltissime molecole –molte più che la Polonia, la Fiat, e persino la<br />
Telecom. Perché in effetti la Vodafone non ha mai posseduto telefoni o fili, essendo<br />
<strong>una</strong> compagnia <strong>di</strong> telefonia mobile. Uno può comprarsi il telefonino che vuole ecc. E<br />
allora dov’è l’essere della Vodafone? In quali molecole consiste?<br />
Uno sarebbe tentato <strong>di</strong> rispondere che quell’essere consiste in Megan Gale, ma<br />
chiaramente non è così. Megan Gale rappresenta la Vodafone, non è la Vodafone.<br />
Non è neanche <strong>di</strong> proprietà della Vodafone (si può affittare <strong>una</strong> macchina, non <strong>una</strong><br />
persona)<br />
Dov’è, dunque, l’essere della Vodafone? Semplice: nella Sim (in<strong>di</strong>pendentemente<br />
dal supporto); in atti depositati in trib<strong>una</strong>le in<strong>di</strong>pendentemente dal supporto); in azioni<br />
(in<strong>di</strong>pendentemente dal supporto). Che sono altrettanti tipi <strong>di</strong> firme (il co<strong>di</strong>ce<br />
depositato nella Sim è l’essenza <strong>di</strong> <strong>una</strong> firma, che stabilisce l’unità concettuale tra i<br />
blip del computer della banca, il co<strong>di</strong>ce genetico, il tratto <strong>di</strong> inchiostro sulla carta).<br />
Dov’è l’essere del debito Parmalat? Sempre più <strong>di</strong>fficile. Veniamo a <strong>una</strong><br />
situazione in cui le molecole sono davvero pochissime, anzi, a rigore non ce ne sono,<br />
visto che si tratta <strong>di</strong> <strong>una</strong> entità negativa, quella che poneva tanti problemi a Searle: il<br />
debito. Un debito non dovrebbe avere <strong>una</strong> sola molecola, dunque dovrebbe essere<br />
infinitamente meno denso della Polonia, della Fiat, della Telecom, e persino della<br />
Vodafone. Invece non è così. Più o meno, un debito ha lo stesso numero <strong>di</strong> molecole
<strong>di</strong> tutti e quattro gli altri <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> che ho citato.<br />
“Non nelle casse del comune, nel suo cuore era l’ammanco”, scriveva Vittorio<br />
Sereni nella Intervista a un suicida, racconto lirico <strong>di</strong> un contabile <strong>di</strong> Luino uccisosi<br />
per un buco. Nei tempi della Parmalat (e del suo vertice riunito a San Vittore, come<br />
ricordava Il manifesto), il buco torna <strong>di</strong> attualità. Come si è arrivati al buco?<br />
Su Repubblica del 4 gennaio 2004 leggevamo, in un articolo de<strong>di</strong>cato al buco:<br />
“Secondo i progetti originali dovevano essere nascosti, come un cadavere<br />
ingombrante, in <strong>una</strong> buca scavata nella notte nel bel mezzo della pianura padana,<br />
proprio alle spalle della sede Parmalat. E invece sono finiti nelle mani sbagliate,<br />
quelle dei magistrati <strong>di</strong> Milano, e hanno dato il via al gran valzer delle manette. Sono<br />
tre foglietti in cui i contabili Parmalat, poche ore prima dell’esplosione del caso,<br />
avevano riassunto il bilancio della società <strong>di</strong>scarica del gruppo, quella destinata a<br />
raccogliere tutti i debiti (e con questi buona parte dei segreti) <strong>di</strong> Tanzi e soci: la<br />
Bonlat. Tre foglietti, <strong>di</strong> cui Repubblica rivela il contenuto.”<br />
Sarà che si trattava, come abbiamo appena letto, <strong>di</strong> <strong>una</strong> società-<strong>di</strong>scarica, però è<br />
anche vero che quello <strong>di</strong> scavare un buco per seppellire tre foglietti era un progetto<br />
davvero originale. Bruciarli, inghiottirli, farli a pezzettini e <strong>di</strong>sperderli nell’ambiente,<br />
alla peggio buttarli nel gabinetto, come si impara anche al cinema, sembrano mo<strong>di</strong><br />
molto più pratici per far sparire tre foglietti. E invece, no. I vertici della Parmalat<br />
hanno voluto strafare: un altro buco, <strong>di</strong>etro l’azienda: che richiede tempo, notti senza<br />
l<strong>una</strong>, e alla fine può essere scoperto. Con il risultato che i tre foglietti li hanno trovati<br />
prima i magistrati, poi Repubblica. Perché? Perché restavano, appunto, delle tracce.<br />
Funziona anche con la Enron, a <strong>di</strong>mostrazione del fatto che non si tratta <strong>di</strong> <strong>una</strong><br />
mera questione locale o parrocchiale. Tra i commenti che accompagnarono il crack,<br />
un quoti<strong>di</strong>ano finanziario metteva al primo posto delle <strong>di</strong>eci cose che si potevano fare<br />
con <strong>una</strong> azione Enron: “Use it for sanitary <strong>di</strong>sposal and other bathroom activities.”<br />
Questo, rispetto alla <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Searle, costituisce un duplice insegnamento: primo,<br />
anche <strong>una</strong> entità negativa possiede <strong>una</strong> controparte fisica, le azioni <strong>di</strong>venute prive <strong>di</strong><br />
valore; secondo, a perdere valore non è la controparte fisica (che recupera il suo<br />
valore d’uso), ma la firma che ne garantisce il valore <strong>di</strong> scambio, e che costituisce la<br />
vera essenza dell’oggetto sociale.<br />
Un problema e <strong>una</strong> soluzione. Quest’ultima considerazione pone un problema<br />
molto serio. La firma non vale più. Quanto <strong>di</strong>re che in tutta la <strong>teoria</strong> c’è <strong>una</strong><br />
circolarità: uso le firme per giustificare la nascita <strong>degli</strong> <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong>, ma ci sono<br />
<strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> che non valgono più niente pur avendo delle firme, come per l’appunto<br />
i titoli della Enron. Siamo apparentemente nella stessa situazione in cui si trovava<br />
Smith: come fai a <strong>di</strong>stinguere 100 talleri ideali da 100 talleri ideali? Sei un<br />
postmodernista anche tu, ti piaccia o meno. E a questo punto anche l’ultima <strong>teoria</strong> va<br />
a farsi bene<strong>di</strong>re.<br />
Realismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono soli<strong>di</strong><br />
quanto gli <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Realismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su <strong>oggetti</strong> fisici<br />
Testualismo forte<br />
Gli <strong>oggetti</strong> fisici sono<br />
socialmente costruiti<br />
Testualismo debole<br />
Gli <strong>oggetti</strong> <strong>sociali</strong> sono costruiti<br />
su registrazioni (piccoli <strong>oggetti</strong><br />
fisici)
Tranquilli, non è così. Nella <strong>teoria</strong> <strong>di</strong> Smith risultava impossibile <strong>di</strong>stinguere <strong>di</strong><br />
<strong>di</strong>ritto 100 talleri reali da 100 talleri reali. Qui invece può succedere che <strong>di</strong> fatto 100<br />
talleri reali si rivelino 100 talleri ideali. Insomma, esistono <strong>degli</strong> assegni scoperti. È<br />
triste, è problematico, ma non riguarda la <strong>teoria</strong>, perché un assegno scoperto, o un<br />
titolo della Enron o della Parmalat, resta un oggetto sociale, anche se preferiremmo<br />
poterlo scambiare con un oggetto reale, fosse pure un pezzo <strong>di</strong> parmigiano, e non<br />
possiamo farlo.
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