qdpd n 7.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode
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QdPD<br />
COLLEGIO SAN GIUSEPPE<br />
ISTITUTO DE MERODE<br />
VIA S. SEBASTIANELLO, 1-3<br />
PIAZZA DI SPAGNA - 00187 ROMA<br />
Q d<br />
P D<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />
Anno IV - N° 1 Giugno 2011
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
ANNO IV - N° 1 GIUGNO 2011<br />
DIRETTORE RESPONSABILE Virginio Mattoccia<br />
DIREZIONE - REDAZIONE Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica,<br />
rivista semestrale<br />
Registrazione Tribunale di Roma<br />
n. 400 del 20.11.2008<br />
Editore il “Quadriportico”<br />
Via S. Sebastianello, 1<br />
00187 - Roma 06 69922505<br />
Preparazione e stampa:<br />
Ist. Salesiano Pio XI<br />
Via Umbertide, 11 - 00181 ROMA<br />
Tel. 067827819 - Fax 067848333<br />
E-mail: tipolito@pcn.net<br />
Collaboratori<br />
Michele Cataluddi, Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Marco Cilione, Letizia Fallani,<br />
Alessandra Felli, Riccardo Forte, Remo L. Guidi, Virginio Mattoccia, Lorenzo Tébar Belmonte,<br />
Andrea Testa, Franco Tiano, Alberto Tornatora, Stefania Valentini
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
La pubblicazione di questo settimo numero dei Quaderni demerodiani<br />
(Giugno 2011) coincide con la nomina del nuovo Visitatore<br />
Provinciale per l’Italia Fratel Achille Buccella che succede dopo otto<br />
anni a Fratel Donato Petti.<br />
Ringraziamo con sentimenti di gratitudine Fratel Donato per<br />
quanto si è prodigato a favore di noi laici incoraggiando e sostenendo<br />
la nostra formazione lasalliana.<br />
Auguriamo a Fratel Achille di potere lavorare serenamente e<br />
proficuamente perché si possa proseguire con sempre maggiore entusiasmo,<br />
insieme ai Fratelli, l’esperienza di condivisione della missione<br />
educativa dell’ <strong>Istituto</strong>.<br />
La Redazione<br />
1
Michelagnolo Merisi da Caravaggio<br />
“L’incredulità di <strong>San</strong> Tommaso”<br />
(1601- olio su tela, cm. 107x146 Bildergalerie Potsdam, <strong>San</strong>ssouci)<br />
3
Q uaderni<br />
demerodiani<br />
di<br />
Pedagogia<br />
e<br />
Didattica<br />
La testimonianza<br />
5
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
Perché questi Quaderni<br />
Questa che sta muovendo i primi passi non è la solita rivista per insegnanti<br />
ma uno spazio in cui colleghi che credono nella propria vocazione<br />
di educatori-docenti mettono in comune esperienze, proposte, convinzioni,<br />
percorsi, tracciati, tentativi riusciti, contributi, domande e attese,<br />
nel loro fare scuola.<br />
Confrontarsi e condividere idee e metodi, contenuti e strategie è utile<br />
soprattutto a coloro che scrivono e raccontano il loro vivere la scuola. La<br />
comune ispirazione a principi pedagogici e strategie didattiche ha suggerito<br />
a coloro che hanno aderito al progetto la voglia di realizzarlo e di<br />
proporlo a colleghi disposti a prendere parte all’Avventura.<br />
“Quaderni demerodiani di Pedagogia e Didattica” può essere uno<br />
strumento spendibile nella quotidianità didattica, offrendo materiale articolato<br />
in moduli ed aperto ad una duttile interazione con la programmazione<br />
curricolare del docente che alle esperienze dei colleghi può<br />
attingere senza rinunciare al proprio originale apporto educativo.<br />
Lo spirito di questa “non-rivista” è quello di un forum, di un franco<br />
confronto e reciproco scambio che permette a chiunque di offrire il proprio<br />
contributo in nome della comune missione di educare con e nella<br />
offerta culturale della prassi didattica.<br />
Il termine “quaderni” vuole suggerire proprio questa operosità quotidiana<br />
e non presuntuosa di essere educatori lasalliani. Lasalliani, cioè<br />
che incarnano nella loro missione presso i giovani il carisma e la tradizione<br />
plurisecolare di S.G.B. de La Salle, in cui il progetto pastorale e la<br />
promozione culturale costituiscono un unicum irrinunciabile per chi considera<br />
il proprio insegnamento come “missione” e “missione condivisa”<br />
con i colleghi e compagni di viaggio.<br />
Il Direttore Editoriale<br />
Fratel Pio Rocca<br />
(dalla presentazione del N° 0 Giugno 2008 )<br />
7
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
8<br />
“Et ego ideo adulescentulos existimo in scholis stultissimos<br />
fieri quia nihil quae in usu habemus aut audiunt aut vident”.<br />
(Petronio Satyricon I, 3)<br />
Credo che i ragazzi perdano molta della loro intelligenza<br />
in una scuola dove non hanno alcun contatto con la vita reale.
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
La testimonianza<br />
e ditoriale<br />
VIRGINIO MATTOCCIA<br />
Non dire falsa testimonianza<br />
SCUOLA PRIMARIA<br />
Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />
Anno IV – N° 1 Giugno 2011<br />
LETIZIA FALLANI<br />
“Vivere e non vivacchiare” (Pier Giorgio Frassati)<br />
SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />
Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />
Thomas Merton: una testimonianza sui generis<br />
SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />
MICHELE CATALUDDI<br />
Naufragi d’umanità nell’arcipelago Gulag<br />
MARCO CILIONE<br />
Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa<br />
ALESSANDRA FELLI, FRANCO TIANO<br />
I salesiani cooperatori:<br />
storia ed attualità di una testimonianza<br />
9
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
i ncontri<br />
10<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Lasalliani e salesiani: due volti per l’educazione di giovani<br />
LORENZO TÉBAR BELMONTE<br />
La educación cristiana en clave de misión compartida<br />
ANDREA TESTA<br />
La poesia è testimonianza d’Iddio (G. Ungaretti)<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Vestire la missione: documenti e testimonianze<br />
STEFANIA VALENTINI<br />
La testimonianza di <strong>San</strong> Tommaso<br />
EMANUELA BIROCCHI<br />
<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto<br />
“Mattatoio 5”: testimonianza di un sopravvissuto<br />
r iscontri<br />
MARCO CILIONE<br />
La nascita<br />
S cholastica<br />
REMO L. GUIDI<br />
La Divina Commedia:<br />
un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
La testimonianza<br />
11
La testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
“I Fratelli testimoniano a <strong>San</strong> Giovanni Battista de La Salle<br />
l’amore dovuto al loro Fondatore. Lo imitano nel suo abbandono a Dio,<br />
nel suo attaccamento alla Chiesa, nel suo senso apostolico creativo<br />
e nel suo impegno totale per l’evangelizzazione dei giovani.”<br />
(Regola, 149)<br />
Non dire falsa testimonianza<br />
VIRGINIO MATTOCCIA<br />
Fratel Tito Lolli, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, è uno degli insegnanti che<br />
ricordo con particolare stima e ammirazione perché ci ha trasmesso l’amore per<br />
la cultura classica e ci ha esortato a considerare il classicismo una fonte perenne<br />
di guida e di esperienza di vita. Purtroppo la sua intelligenza profetica, forse<br />
inevitabilmente unita ad un carattere difficile, gli è stata perlopiù motivo di amarezze,<br />
solitudine ed incomprensioni.<br />
Egli era solito dire che “tutto si può insegnare, tranne l’esperienza”: si dilungava<br />
nel portare esempi storici e personali, a “discorrere sulla storia, mai nuova<br />
e mai antica”; a scendere negli abissi aggrovigliati del cuore umano; a tenere stabile<br />
il timone sulla rotta tracciata dal Cristianesimo tramandato dall’approfondimento<br />
della cultura classica.<br />
“L’esperienza non si insegna”: a dire la verità allora capivo poco ciò che volesse<br />
dire.<br />
Se dopo tanti anni l’espressione torna ancora chiara nel ricordo allora significa<br />
che qualcosa ha prodotto e mi ha portato ad una conclusione forse banale, ovvero<br />
che l’esperienza non si insegna perché l’esperienza è la testimonianza della<br />
propria vita, perché la testimonianza non è altro che la dimostrazione di quello<br />
che si è.<br />
13
Pedagogia e Didattica Virginio Mattoccia<br />
Possiamo ragionare a lungo sulle parole “testimone – testimonianza”: passare<br />
dal concreto all’astratto, dallo sport al codice civile e penale, dalla letteratura<br />
alla religione; nel termine “testimonianza” troviamo sempre insito il concetto di<br />
una esperienza personale che si manifesta senza finzioni. E nessuno può ripetere<br />
o insegnarci né tantomeno toglierci quello che siamo o non siamo.<br />
“Non dire falsa testimonianza”, “non fare falsa testimonianza”, “non essere<br />
falso testimone.<br />
Per un insegnante, in particolare, non si tratta di insegnare la verità, quanto<br />
piuttosto mostrarsi segno della verità, non di insegnare il bene, ma di essere presenza<br />
del bene, non di insegnare la giustizia ma di essere esempio della giustizia;<br />
insomma non di insegnare o raccontare l’esperienza, ma di essere quello che si<br />
è, ciascuno se stesso, come sa di essere, senza dare falsa immagine di sé.<br />
Fino a che punto? Il punto di partenza o di arrivo è nella coscienza di ciascuno,<br />
nella coerenza delle sue parole (convenzionali) e dei fatti reali (l’esperienza<br />
di sé); nella corrispondenza tra le sue convinzioni religiose, politiche e il<br />
suo comportamento: “non fare il santo (solo) con i santi”; in quanto poi insegnante<br />
lasalliano accettare ed aderire ad una “condotta lasalliana”.<br />
La coerenza potrebbe anche portare alle estreme conseguenze del significato<br />
di testimone (martire): è l’esito estremo cui può giungere una testimonianza di<br />
fedeltà.<br />
Penso che l’espressione di Fratel Tito Lolli, apparentemente banale e scontata,<br />
volesse significare questo: la testimonianza è l’esperienza personale, irripetibile<br />
della vita di ciascuno …<br />
Si racconta che Giotto, quando gli si presentarono gli incaricati del Papa in<br />
cerca di un pittore per san Pietro, non avesse fatto altro che prendere un foglio<br />
di carta per tracciarvi a mano libera un cerchio. Ma era un cerchio così perfetto<br />
che a Benedetto IX bastò per apprezzare il valore dell’artista. In altre parole :<br />
l’insegnante lasalliano è un “testimone educatore” quando vive secondo il suo<br />
stato: sia egli sacerdote, religioso, operaio, padre, madre,… senza pretendere<br />
quello che non appartiene alla sua identità vivendo coerentemente con i dettami<br />
della sua coscienza la missione dell’insegnamento.<br />
I testimoni presentati in questo fascicolo (<strong>San</strong> Giovanni Bosco, Thomas Merton,<br />
Pavel Florenskij, Pier Giorgio Frassati, <strong>Giuseppe</strong> Ungaretti, Aleksandr Solzenicyn<br />
e altri meno noti) sono attendibili perché sono vissuti coerentemente<br />
con il loro stato: certo non possiamo ripetere i loro percorsi esistenziali, ma la<br />
conoscenza della loro esperienza ci può incoraggiare nell’approfondire i motivi<br />
e le finalità della nostra personale, autentica, irripetibile esperienza.<br />
14
Vivere e non vivacchiare QdPD 1 (2011)<br />
“Vivere e non vivacchiare”<br />
(Pier Giorgio Frassati)<br />
LETIZIA FALLANI<br />
“Beato chi cammina nelle vie del Signore”<br />
Pier Giorgio Frassati è il figlio dei nostri giorni: è cresciuto nel benessere, in<br />
un ambiente piuttosto indifferente ai valori della vita e ai principi evangelici.<br />
È ricco, bello, intelligente, pieno di vita, amante della compagnia, dello sport,<br />
della montagna. Il 20 maggio 1990, quando Giovanni Paolo II lo proclama beato,<br />
ai fedeli raccolti in piazza <strong>San</strong> Pietro, appare raffigurato in tenuta alpina, mentre<br />
scala le sue amate montagne. Il papa lo definisce “il ragazzo delle otto beatitudini”<br />
perché “in lui la fede e gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente,<br />
tanto che l’adesione al Vangelo si traduce in attenzione ai poveri e ai<br />
bisognosi. E chi diventa uomo delle beatitudini, riesce a comunicare ai fratelli<br />
l’amore e la pace”.<br />
Pier Giorgio s’innamora delle lettere di san Paolo, le legge e le rilegge anche<br />
per strada, sul tram. Diventa apostolo di Gesù: è entusiasta, gioioso nell’aderire<br />
al Suo messaggio e alla Sua carità e prega. Si nutre della parola di Dio attraverso<br />
i testi biblici. Grande importanza per lui ha l’amicizia e dà vita ad un gruppo di<br />
ragazzi e ragazze, “La società dei tipi loschi”. Per lui la voglia di vivere e la goliardia<br />
aiutano a “servire Dio in perfetta letizia”. Così insieme a loro si reca nelle<br />
soffitte della Torino povera per aiutare chi “è infinitamente migliore di me”. La<br />
sua giornata è piena di Dio e dedicata al servizio del prossimo. La fede e la carità<br />
15
Pedagogia e Didattica Letizia Fallani<br />
distinguono la sua esistenza, lo rendono attivo nell’ambiente dove vive, la famiglia,<br />
la scuola, l’università e la società. È moderno, ama, vive di Cristo e in<br />
Cristo. Per i giovani e per tutti può essere un modello per la forza degli ideali,<br />
per la spinta all’agire nella speranza di un rinnovamento spirituale di cui oggi<br />
si sente sempre più forte la necessità.<br />
<strong>De</strong>stinatari:<br />
• V classe della scuola primaria e classi di secondaria di primo grado.<br />
Prerequisiti:<br />
• Collocare sulla linea del tempo il periodo della sua vita - Significato di Associazione<br />
e partito: la “<strong>San</strong> Vincenzo”, l’Azione Cattolica, il Partito popolare<br />
di Don Sturzo, il partito Fascista, Fuci, Cai.<br />
Percorso:<br />
• Breve presentazione di Pier Giorgio Frassati - Proiezione del Power point<br />
e dei filmati della fiction - Conversazione sul personaggio, la sua testimonianza<br />
e i valori emersi.<br />
Strategia didattica:<br />
• Lezione frontale per le premesse.<br />
• Proiezione del Power Point e di filmati della fiction televisiva.<br />
Strumenti:<br />
• Power point e computer.<br />
OBIETTIVI<br />
Conoscenze e abilità:<br />
• Conoscere un testimone giovane dei nostri tempi - Apprezzarne lo sforzo<br />
nel seguire gli insegnamenti evangelici, il servizio e la dedizione agli altri<br />
- Riflettere sui propri atteggiamenti, le proprie azioni, il proprio sentimento<br />
religioso.<br />
Testi di supporto bibliografico:<br />
• Omelia di papa Giovanni Paolo II durante la beatificazione il 20 maggio<br />
1990.<br />
• Pier Giorgio Frassati di Cristina Siccardi.<br />
16
Vivere e non vivacchiare QdPD 1 (2011)<br />
Verifica:<br />
• Improvvisiamoci giornalisti e stendiamo un’immaginaria intervista a Pier<br />
Giorgio Frassati - Commentiamo queste frasi: “Vivere senza una fede, un patrimonio<br />
da difendere, senza sostenere, in una lotta continua, la Verità, non è vivere,<br />
è vivacchiare” “Voglio essere fratello dell’uomo che lavora, di chi non ha<br />
speranza in questa società, cercare di costruire percorsi di giustizia, amando la mia<br />
gente e la sua dignità.<br />
DOCUMENTI<br />
• Scheda biografica.<br />
I primi anni<br />
Da te non faresti nulla<br />
ma se Dio avrai per centro<br />
di ogni tua azione<br />
allora sì arriverai fino alla fine.<br />
Nato il 6 aprile 1901 a Torino, Pier<br />
Giorgio è figlio di Alfredo Frassati, fondatore<br />
del quotidiano “La Stampa” e di<br />
Adelaide Ametis, pittrice. La sua è una<br />
famiglia borghese originaria del Biellese,<br />
di stampo liberale. L’educazione<br />
rigida, che fin da piccolo riceve, è in<br />
sintonia con l’ambiente e il tempo in cui<br />
vive. Alla madre, e alla nonna materna<br />
Linda, deve i primi contatti con la religione,<br />
ma in lui si manifesta subito una<br />
dimensione di fede votata alla concretezza<br />
e alla generosità, che caratterizzeranno la sua intera esistenza, fin dalla<br />
prima infanzia. Si narra, infatti, ad esempio, che frequentando l’asilo a Pollone<br />
mentre tutti lasciavano in disparte un bimbo malato, PierGiorgio aveva deciso<br />
di imboccarlo e di fargli compagnia. In un’altra occasione, regala le sue scarpine<br />
a una mamma povera che aveva bussato per chiedere aiuto per il suo bimbo.<br />
17
Pedagogia e Didattica Letizia Fallani<br />
Gli anni della gioventù<br />
Gesù nella <strong>San</strong>ta Comunione mi fa visita ogni mattina. Io gliela rendo, con i miei poveri<br />
mezzi, visitando i poveri<br />
A differenza della sorella Luciana, nata il 19 luglio 1902, non è uno studente<br />
brillante e, a causa di una bocciatura, viene iscritto all’<strong>Istituto</strong> Sociale dei padri<br />
Gesuiti: qui incontra quotidianamente l’Eucaristia e da qui inizia il suo percorso<br />
di impegno per gli altri, con le prime adesioni alle associazioni di carattere spirituale<br />
e sociale, come la Conferenza di <strong>San</strong> Vincenzo. Negli anni questo aspetto<br />
diventa preponderante: finiti gli studi liceali si iscrive al Politecnico di Torino,<br />
per laurearsi in Ingegneria Mineraria, manifestando chiaramente l’intenzione di<br />
lavorare accanto ai minatori, allora ai margini della società. L’ambiente universitario<br />
è vivace e Pier Giorgio si iscrive alla Federazione Universitaria Cattolica,<br />
luogo di formazione alla vita culturale e sociale, e alla Gioventù Cattolica, il cui<br />
motto è: “preghiera, azione e sacrificio”. Aderisce anche ad altre associazioni<br />
per vivere il cristianesimo con le diverse esperienze offerte da ogni gruppo. In<br />
questo periodo è facile, come ricorda Lazzati, vederlo “trascinare per le vie di<br />
Torino carretti pieni di masserizie dei poveri in cerca di casa, e passare sudato<br />
sotto il carico di grossi pacchi anche male confezionati, ed entrare nelle case più<br />
squallide dove spesso miseria e vizio si danno la mano, sotto gli occhi scandalizzati<br />
di un mondo che nulla fa per aiutarli ad uscirne; e farsi, con sorprendente<br />
umiltà…questuante per i suoi poveri, e per essi ridursi al verde così da rincasare<br />
fuori orario per non avere neppure i pochi centesimi che gli bastino per il tram”.<br />
L’impegno politico<br />
Io sono povero come tutti i poveri. E voglio lavorare per loro<br />
Il suo impegno per gli altri si esplica in tutte le forme: in anni di forti tensioni,<br />
partecipa attivamente alla vita politica, iscrivendosi al Partito Popolare di don<br />
Sturzo e schierandosi apertamente contro il nascente Partito Fascista, tanto da<br />
subire e sventare un’aggressione di attivisti in casa. Aderisce anche ai circoli<br />
operai cattolici della FIAT. Verrà, perfino, arrestato a Roma 1921 per aver partecipato<br />
al corteo per i cinquanta anni della fondazione della Gioventù Cattolica.<br />
La stessa attività compirà in Germania, a Berlino, dove il padre è Senatore del<br />
Regno d’Italia. Lì conosce, infatti, il dott. Sonnenschein, il <strong>San</strong> Francesco di Berlino,<br />
che affiancherà nelle sue opere caritative, invece di presenziare agli eventi<br />
ufficiali dell’Ambasciata. L’esperienza tedesca, con i postumi sociali della<br />
Guerra, porta Pier Giorgio ad operare attivamente anche per la pace: si iscrive,<br />
così, a “Pax Romana”, non disdegnando di far sentire la propria voce durante<br />
l’invasione francese della Rhur. Amante delle vette alpine, - passione maturata<br />
fin da bambino con la mamma -, organizza spesso gite in montagna con gli amici<br />
18
Vivere e non vivacchiare QdPD 1 (2011)<br />
della FUCI e del CAI. Con gli amici più stretti e le amiche più care dà vita alla<br />
goliardica “Società dei Tipi Loschi”, il cui vincolo è costituto dalla fede. Pier<br />
Giorgio - già soprannominato dagli amici Fracassi” - prenderà il nome di “Robespierre”,<br />
l’incorruttibile. Così la sua generosità si fonde con l’allegria, diventa<br />
anche allegria che trasmette agli altri, per regalare loro gioia e spensieratezza.<br />
Gli ultimi attimi<br />
Finchè la Fede mi darà la forza, mi sentirò sempre allegro.<br />
L’ultimo compleanno, il ventiquattresimo, lo festeggia durante un ritiro spirituale:<br />
come regalo riceve dal padre cinquemila lire, che utilizza per comprare<br />
dei mobili per assistiti della <strong>San</strong> Vincenzo. Il 1925 è l’anno delle grandi “rinunce”,<br />
in cui PierGiorgio sopporta cristianamente molte sofferenze: a gennaio<br />
rinuncia alla sorella Luciana, sposa di un diplomatico polacco, rinuncia all’affetto<br />
intenso per l’amica Laura Hidalgo, al fine di non provocare liti tra i genitori, rinuncia<br />
al lavoro in miniera, per non deludere il padre che lo vuole a “la Stampa”.<br />
Non sono segnali di debolezza: sono adeguamenti, pur sofferti, al piano di Dio,<br />
con la fortezza del discernimento di confondere con i propri desiderata un destino<br />
diverso voluto da Dio. Frequentando le case dei poveri si espone, tuttavia,<br />
al contagio di gravi malattie: così contrae la poliomelite fulminante. Durante la<br />
settimana di agonia, riesce a scrivere un premuroso biglietto per i suoi assistiti<br />
della <strong>San</strong> Vincenzo, chiedendo ad un amico di compiere le attività previste.<br />
Muore il 4 luglio 1925, dopo aver trascorso una vita “ordinaria”, interamente<br />
dedicata l’Altro e agli Altri? Dopo la morte il padre si rese conto della grandezza<br />
delle scelte del figlio e si avvicinò alla fede. Questo è stato il vero miracolo di<br />
Pier Giorgio.<br />
Ebbe a dire Marco Beltramo in proposito: “In lui vi fu il semplice, costante,<br />
fedele, compimento del proprio dovere vi fu, cioè, il continuo adeguamento della<br />
propria vita alla volontà divina quale si manifestava in ogni preciso istante. Questo<br />
è il segreto della santità e questo è il segno dell’eroismo cristiano che accetta<br />
il messaggio di Gesù in ogni giorno, in ogni minuto, per modellare la propria<br />
vita sull’esempio di Lui”.<br />
19
Pedagogia e Didattica Letizia Fallani<br />
20
Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />
Thomas Merton:<br />
una testimonianza sui generis<br />
MASSIMO CAVALLO, EDUARDO CIAMPI, RICCARDO FORTE<br />
In un’epoca segnata dalla crisi delle grandi ideologie, tentata da nuovi fideismi<br />
e in cui si è diventati piuttosto “allergici” alle affermazioni veritative, la testimonianza<br />
si configura come quella forma di conoscenza e di comunicazione<br />
interpersonale in cui verità e libertà si implicano e si esigono a vicenda. Che cosa<br />
vuol dire essere testimoni? Di che cosa si può dare testimonianza? E nei confronti<br />
di chi? L’unità didattica intende dare una risposta a questi interrogativi, chiarendo<br />
dapprima il significato della parola testimonianza, soprattutto dal punto<br />
di vista della sua rilevanza antropologica e comunicativa, poi mostrando come<br />
l’evento di Gesù Cristo nella sua singolarità, compia in modo assolutamente gratuito<br />
la testimonianza incondizionata della Verità di Dio in un soggetto umano;<br />
infine presenta la descrizione della testimonianza cristiana, la sua dinamica, i<br />
suoi elementi costitutivi, con particolare riferimento al valore del destinatario e<br />
le sue peculiari forme.<br />
Testimoniare la fede è uno dei “migliori” servizi che l’essere umano può fare<br />
a favore della propria religione e del prossimo, e la storia del Cristianesimo è<br />
costellata da tante preziose testimonianze. Nell’affrontare questo tema, abbiamo<br />
preferito in quest’unità didattica di proporre un testo che tuttavia appare - già<br />
21
Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />
dal titolo - decisamente provocatorio: Diario d’un testimone colpevole.<br />
Il saggio è stato scritto da un monaco cistercense che già tante testimonianze<br />
di fede aveva saputo offrire, ma che non poté fare a meno di scuotere la coscienza<br />
dei propri fratelli con un approccio diverso e comunque propedeutico per poter<br />
avvicinarsi alla fede: la testimonianza della consapevolezza dei propri peccati,<br />
delle proprie colpe, soprattutto delle proprie omissioni. Il Diario di un testimone<br />
colpevole allude, infatti, alla dichiarazione di essere stato presente dinanzi a qualche<br />
evento colposo e di non aver fatto nulla per evitarlo, anzi di aver a modo<br />
proprio - più o meno inconsciamente - contribuito a provocarlo. È a questa analisi<br />
della propria coscienza che Merton vuole stimolare nel lettore, testimoniando<br />
di aver scandagliato lui in prima persona la sua anima e di averla trovata colpevole.<br />
L’avvicinarsi a Thomas Merton, un gigante della teologia cristiana - anche attraverso<br />
note biografiche e bibliografiche - risulterà assai utile a stimolare quella<br />
curiosità necessaria per affrontare altri scritti del monaco statunitense e a comprendere<br />
il senso del sacro anche all’interno della letteratura in lingua straniera.<br />
L’idea di scegliere alcuni passi dal saggio Conjectures of a guilty bystander 1 per<br />
un’unità didattica rivolta ai ragazzi dell’ultimo anno della scuola media è coraggiosa,<br />
vuole quindi sottendere loro - soprattutto in vista dell’esame di licenza<br />
- una letteratura cristiana di grande spessore.<br />
L’unità didattica è concepita in modalità interdisciplinare, e parte da un invito<br />
alla traduzione attraverso una selezione di alcuni passi del saggio di Merton,<br />
per poi favorire un approfondimento di riflessione religiosa.<br />
1 Tradotto e pubblicato negli anni ’60 per i tipi della Mondatori, col titolo Diario di un testimone<br />
colpevole.<br />
22
Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />
<strong>De</strong>stinatari<br />
Classe III Media<br />
Periodo<br />
Fine secondo quadrimestre<br />
Durata<br />
8 ore, di cui 3 per la lingua inglese, 2 per religione, e 3 per visione film e dibattito.<br />
Prerequisiti<br />
Competenze grammaticali di base per poter comprendere e tradurre un testo<br />
in L2. Abitudine alla riflessione su temi religiosi.<br />
Percorso<br />
Partendo dal tema della testimonianza, si prendono in considerazione alcuni<br />
passi del saggio di Thomas Merton, Conjectures of a guilty bystander, per sviluppare<br />
un’unità didattica interdisciplinare per Lingua inglese e Religione.<br />
Strategia didattica<br />
Lezione frontale, lettura dei passi dei testi scelti; riflessioni guidate in L1; suggerimenti<br />
per un uso corretto del vocabolario; traduzione di un passo pilota da<br />
L2 in L1; lavoro di gruppo; visione del film e dibattito.<br />
Strumenti<br />
Schede didattiche fornite dal docente<br />
Dizionario inglese-italiano (e/o dizionario monolingua L2)<br />
Utilizzo sala video<br />
OBIETTIVI<br />
Conoscenze Tematiche:<br />
Imparare a riflettere sulle testimonianza di chi ha intrapreso un cammino spirituale.<br />
Acquisire tecniche di traduzione da L2 in L1.<br />
Competenze:<br />
Saper cogliere, attraverso la lettura dei testi, i valori essenziali che ci permettono<br />
di conoscerci meglio.<br />
Testi di riferimento:<br />
T. Merton, Conjectures of a guilty bystander (tradotto col titolo Diario di un<br />
testimone colpevole, Garzanti, 1992).<br />
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Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />
Testi di supporto bibliografico:<br />
T. Merton: Nessun uomo è un’isola, Garzanti, 1956.<br />
T. Merton: La montagna delle sette balze, Garzanti, 1950.<br />
Verifica:<br />
Traduzione dei passi proposti in L1, introduzione biografica di Thomas Merton<br />
in L2, questionario in L1 sui contenuti.<br />
Unità didattica<br />
Lingua inglese (1 ora)<br />
An introduction to Thomas Merton (biography and main works)<br />
Notes for a correct use of dictionaries (especially in work-groups)<br />
Translation of a pilot passage (0)<br />
Lingua inglese (1 ora)<br />
Production of the written translations (in groups) of the chosen passages.<br />
Religione (1 ora)<br />
Introduzione al tema della testimonianza religiosa.<br />
Lettura e commento delle traduzioni realizzate dai ragazzi.<br />
Lingua inglese (1 ora)<br />
Oral test in L2 (Merton’s biography) and checking of the translations.<br />
Homework: Transcription of the translations on the PC, in ‘word’ (and print).<br />
Religione (1 ora)<br />
Lettura e commento delle traduzioni realizzate dai ragazzi.<br />
Verifica scritta: breve questionario a risposta aperta sui contenuti trattati.<br />
Religione/Inglese (3 ore)<br />
Proiezione del film Uomini di Dio.<br />
Dibattito<br />
Thomas Merton (1915-1968) was a 20th century Anglo-American Catholic<br />
writer and a Trappist monk of the Abbey of Gethsemani, Kentucky. He was a<br />
poet, social activist and student of comparative religion. In 1949, he was ordained<br />
to the priesthood and given the name Father Louis. Merton wrote more<br />
than 70 books, mostly on spirituality, social justice and a quiet pacifism, based<br />
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Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />
on a firm refusal to participate in the worldly values and assumptions. His bestselling<br />
autobiography, The Seven Storey Mountain (1948) sent scores of disillusioned<br />
World War II veterans, students, and even teen-agers flocking to<br />
monasteries across the US, and was also featured as one of the 100 best non-fiction<br />
books of the century. No man’s an island is one of his most famous essays.<br />
Merton was a keen proponent of interfaith understanding: he pioneered dialogue<br />
with prominent Asian spiritual figures, including the Dalai Lama, D. T.<br />
Suzuki, the Japanese writer on the Zen tradition, and the Vietnamese monk<br />
Thich Nhat Hanh. Divided into five parts, his Conjectures of a Guilty Bystander is<br />
full of personal reflections, metaphors, observations, insights, and critiques.<br />
Texts (from Conjectures of a Guilty Bystander)<br />
1) The greatest need of our time is to clean out the enormous mass of mental<br />
and emotional rubbish that clutters our minds and makes of all political and social<br />
life a mass illness. Without this housecleaning we cannot begin to see. Unless<br />
we see, we cannot think 2 .<br />
2) There is a pervasive form of contemporary violence to which the idealist fighting<br />
for peace by non-violent methods most easily succumbs: activism and<br />
overwork. The rush and pressure of modern life are a form, perhaps the most<br />
common form, of its innate violence. To allow oneself to be carried away by a<br />
multitude of conflicting concerns, to surrender to too many projects, to want to<br />
help everyone in everything is to succumb to violence. More than that, it is cooperation<br />
in violence. The frenzy of the activist neutralizes his work for peace. It<br />
destroys his own inner capacity for peace. It destroys the fruitfulness of his own<br />
work, because it kills the root of inner wisdom which makes work fruitful.<br />
3) The tactic of non-violence is a tactic of love that seeks the salvation and redemption<br />
of the opponent, not his castigation, humiliation, and defeat. A pretended<br />
non-violence that seeks to defeat and humiliate the adversary by spiritual<br />
instead of physical attack is little more than a confession of weakness.<br />
It is both dangerous and easy to hate man as he is because he is not “what he<br />
ought to be.” If we do not first respect what he IS we will never suffer him to<br />
become what he ought to be: in our impatience we do away with him altogether.<br />
2 La maggiore necessità del nostro tempo è nello svuotamento di quell’enorme massa di sudiciume<br />
mentale ed emozionale che ostruisce le menti e che trasforma la vita politica e sociale in<br />
una malattia collettiva. Senza queste pulizie generali non potremmo iniziare a vedere. E se non<br />
vediamo, come potremmo capire?<br />
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Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />
4) We live in crisis, and perhaps we find it interesting to do so. Yet we also feel<br />
guilty about it, as if we ought not to be in crisis. As if we were so wise, so able,<br />
so kind, so reasonable, that crisis ought at all times to be unthinkable. It is doubtless<br />
this ‘ought’, this ‘should’ that makes our era so interesting that it cannot<br />
possibly be a time of wisdom, or even of reason. We think we know what we<br />
ought to be doing, and we see ourselves move, with the inexorable deliberation<br />
of a machine that has gone wrong, to do the opposite.<br />
5) Why can we not be content with an ordinary, secret, personal happiness that<br />
does not need to be explained or justified? We feel guilty if we are not happy in<br />
some publicly approved way, if we do not imagine that we are meeting some<br />
standard of happiness that is recognized by all. God gives us the gift and the capacity<br />
to make our own happiness out of our own situation. And it is not hard<br />
to be happy, simply by accepting what is within reach, and making of it what<br />
we can.<br />
6) In Louisville, at the corner of Fourth and Walnut, in the center of the shopping<br />
district, I was suddenly overwhelmed with the realization that I loved all those<br />
people... even though we were total strangers. It was like waking from a dream<br />
of separateness... The whole illusion of a separate holy existence is a dream. . .<br />
Not that I question the reality of my vocation, or of my monastic life: but the<br />
conception of “separation from the world” that we have in the monastery too<br />
easily presents itself as a complete illusion.<br />
Scheda Proiezione di “Uomini di Dio” 3<br />
Genere: drammatico<br />
Regia: Xavier Beauvois<br />
Interpreti: Lambert Wilson (Christian), Michael Lonsdale (Luc), Olivier Rabourdin<br />
(Christophe), Philippe Laudenbach (Célestin), Jacques Herlin (Amédée), Loic<br />
Pichon (Jean Pierre), Xavier Maly (Michel), Jean Marie Frin (Paul), Abdelhafid<br />
Metalsi (Nouredine), Sabrina Ouazani (Rabbia), Abdallah Moundy (Omar).<br />
Nazionalità: Francia<br />
Distribuzione: Lucky Red Distribuzione<br />
Anno di uscita: 2010<br />
Origine: Francia (2010)<br />
Soggetto: Agathe Grau<br />
3 Cfr. Commissione Nazionale Valutazione Film (CNVF) della Conferenza Episcopale Italiana,<br />
2011.<br />
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Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />
Sceneggiatura: Etienne Comar, Xavier Beauvois<br />
Fotografia: Caroline Champetier<br />
Musiche: brani di autori vari<br />
Montaggio: Marie Julie Maille<br />
Durata: 120’<br />
Produzione: Etienne Comar, Pascal Caucheteux.<br />
Giudizio: Raccomandabile/poetico/dibattiti.<br />
Tematiche: Evangelizzazione-missione; Gesù; Pace; Rapporto tra culture; Solidarietà-Amore;<br />
Tematiche religiose;<br />
Trama: uscito in Italia con il titolo Uomini di Dio (non letterale, e questo ha suscitato<br />
qualche polemica: la traduzione letterale sarebbe “Uomini e dei”, a sottolineare<br />
il rapporto tra diverse religioni e non la focalizzazione solo su “questi”<br />
uomini di Dio), il film racconta la vita e la morte di un gruppo di monaci cistercensi<br />
(lo stesso ordine di Thomas Merton) francesi nell’Algeria degli anni ’90,<br />
insanguinata dalla guerra tra i terroristi del Fronte Islamico di Salvezza e il regime<br />
militare corrotto dell’epoca.<br />
I sette vivono nel convento di Thibirine (Algeria), nell’amore, ricambiato, per<br />
la popolazione musulmana dei dintorni, che vede nei monaci cattolici un punto<br />
di riferimento e di sicurezza. E anche di aiuto concreto soprattutto per le cure<br />
mediche che uno dei religiosi (frère Luc) riesce ad assicurare a tutti, senza distinzioni,<br />
ma con particolare riguardo a donne e bambini. Le cose, si avverte,<br />
non sono però così idilliache – e, infatti, i fondamentalisti della GIA erano in<br />
azione già da anni – ma è la strage di un gruppo di operai croati cristiani, in un<br />
cantiere nei dintorni, da parte dei rivoluzionari islamici a far capire ai monaci<br />
che sono in pericolo.<br />
Di lì a poco un’irruzione nel convento farà temere il peggio, ma non avrà conseguenze;<br />
anzi, instilla nel capo dei terroristi una forma di rispetto per frère Christian<br />
de Chergé, priore del convento, fermo nella sua fede (i terroristi, fra l’altro,<br />
irrompono, la notte di Natale) e mite al tempo stesso. Ma nel gruppo di religiosi<br />
serpeggia la paura, non tutti sono disposti ad aspettare una morte, possibile se<br />
non probabile. La decisione finale é quella di rimanere laddove la loro missione<br />
li ha chiamati. Fino al giorno in cui i terroristi non li prendono e li portano via<br />
sotto la neve. Due riescono a rimanere al monastero. Gli altri non sono più tornati.<br />
Il fatto é realmente accaduto. Anche la lettera che viene letta nel finale é l’autentico<br />
testamento spirituale dettato da padre Christian, il priore della piccola<br />
comunità cistercense. Su una base quindi di preciso realismo, prende corpo una<br />
storia che poi si allontana dalla cronaca o, meglio, ne fa occasione per una riflessione<br />
profonda e alta sull’essenza della vita cristiana, sul rapporto tra dimensione<br />
umana e spirituale, sulla vocazione come apertura ad ogni essere del<br />
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Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />
creato. Rinunciando a “mostrare” il momento dell’uccisione, il regista scavalca<br />
volutamente l’istintiva reazione della rabbia e dello sdegno per lanciare una precisa<br />
indicazione: non c’è martirio, la fede dei monaci è in grado di sconfiggere<br />
la morte, e il loro sacrificio é tanto più forte quanto più ha passato tutte le fasi<br />
del dubbio e della paura. Sentimenti comuni a chiunque non si rassegni a vivere<br />
in un’ottica di conflitto con l’altro. Nella sua scansione lenta, asciutta, in certi<br />
passaggi solenne, la regia disegna il diario appassionato di una missione senza<br />
fine: testimonianza di vita, cammino verso il Golgota moderno, un fatto vero<br />
come un vissuto di fede, da parte di persone che arrivano da situazioni differenti.<br />
Un cinema che parla al cuore, anche attraverso immagini abitate non da effetti<br />
speciali ma da un antico, attualissimo silenzio.<br />
Per quanto detto, il film, dal punto di vista pedagogico, é da valutare come<br />
raccomandabile, nell’insieme poetico e adatto per dibattiti.<br />
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Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag QdPD 1 (2011)<br />
Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag<br />
<strong>De</strong>stinatari: quinto anno Liceo<br />
Disciplina: Storia<br />
Ore di lezione: 3<br />
MICHELE CATALUDDI<br />
Introduzione:<br />
Il percorso didattico intende soffermarsi sul fenomeno dei Gulag, nel periodo<br />
della Russia sotto la dittatura di Stalin, in particolare negli anni 1929-1933. Dopo<br />
aver studiato la Rivoluzione d’ottobre, che ha eliminato lo zarismo e costituito<br />
l’URSS, sotto la guida di Lenin, che già aveva adottato delle misure autoritarie,<br />
per stabilizzare il controllo politico bolscevico, introdurre la nazionalizzazione<br />
e progressiva collettivizzazione delle attività produttive, nel 1924, con la sua<br />
morte, Stalin aveva conquistato il potere traducendo la fase dittatoriale del proletariato,<br />
prefigurata dall’ideologia marxista, in una dittatura personale. Egli era<br />
deciso a portare avanti il suo programma di modernizzazione della Russia, eliminando<br />
qualunque oppositore, reale o potenziale. A volte, la persona era fucilata<br />
senza processo; in altri casi, dopo un lungo interrogatorio, l’individuo<br />
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Pedagogia e Didattica Michele Cataluddi<br />
veniva condannato, sulla base dell’art.58 del Codice penale sovietico, che puniva<br />
i reati contro lo Stato, alla deportazione in un lager. In questi anni, un uomo<br />
adulto su cinque passò per i campi del Gulag.<br />
Il sistema concentrazionario sovietico: La prassi d’internare nemici e oppositori<br />
in campi di concentramento (o lager, secondo l’espressione tedesca, che veniva<br />
usata correntemente anche in Russia) fu adottata dai bolscevichi durante la<br />
guerra civile tra anticomunisti e rivoluzionari (1917-19). Nata come misura eccezionale,<br />
tale pratica si trasformò presto in sistema. Un passo importante in tale<br />
direzione si ebbe il 17 febbraio 1919, allorché un apposito decreto del Comitato<br />
esecutivo centrale dei soviet della Russia conferì alla CEKA il diritto di isolare<br />
in lager tutti i soggetti sospettati di essere controrivoluzionari. Il sistema assunse<br />
la sua forma definitiva nel 1923, quando nacque il lager a regime sperimentale<br />
delle Solovki, un arcipelago situato al 65o parallelo di latitudine, a circa 160 chilometri<br />
dal circolo polare artico. In inverno, il Mar Bianco gela, tagliando fuori<br />
le isole dal resto della Russia. Anche dal punto di vista delle leggi, si era fuori<br />
dall’Unione Sovietica: nei campi contava solo l’arbitrio del comandante, dei suoi<br />
collaboratori e delle guardie. Per far capire subito questo messaggio, poteva accadere<br />
che qualche detenuto fosse immediatamente ucciso, poco dopo l’arrivo,<br />
davanti a tutti gli altri, con un colpo di fucile.<br />
Secondo lo scrittore russo Aleksandr Solzenicyn, «l’aria delle Solovki» appariva<br />
come «uno strano miscuglio di estrema ferocia e di inconsapevolezza quasi<br />
indulgente». A fianco di episodi di eccezionale brutalità, si registrano anche casi<br />
e situazioni particolari, destinati a scomparire nell’evoluzione successiva del sistema<br />
concentrazionario sovietico. Ad alcuni detenuti, ad esempio, fu concesso<br />
ricevere pacchi e lettere dall’esterno, persino visite di parenti; ai numerosi religiosi<br />
reclusi di celebrare la Pasqua, con una solenne e grandiosa cerimonia liturgica;<br />
venivano curate ricerche di storia dell’arte e dell’architettura russa, di<br />
etnologia e archeologia; era pubblicata una rivista e funzionò anche un teatro.<br />
All’interno dell’ex monastero dove alloggiavano i detenuti la densità abitativa<br />
era insostenibile. I letti non avevano lenzuola e gli ambienti erano freddissimi,<br />
privi di qualsiasi riscaldamento, cosicché i reclusi erano costretti a costituire dei<br />
“gruppi di calore” di 4 o 6 persone, che si stringevano gli uni agli altri. Le condizioni<br />
di vita di coloro che erano inviati nel bosco, in campi senza nome, a tagliare<br />
legname, erano molto peggiori. I loro alloggi erano buchi o trincee, scavate<br />
spesso con le mani nude in terreni paludosi e acquitrinosi. Altri lavori molto<br />
duri furono quello di costruzione e manutenzione di una piccola ferrovia e<br />
quello nelle torbiere. Qui si lavorava con l’acqua fino alle ginocchia o fino alla<br />
cintola per estrarre la torba.<br />
La corruzione all’interno del campo imperava sovrana. Elargendo denaro agli<br />
ufficiali o al personale sanitario, era possibile essere dichiarati inidonei ai lavori<br />
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Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag QdPD 1 (2011)<br />
più pesanti ed essere assegnati ad altre attività meno faticose, salvo poi vedersi<br />
improvvisamente ritirare tali privilegi. Le infrazioni ritenute più gravi comportavano<br />
sanzioni pesantissime. All’interno della chiesa situata sul Monte Sekira<br />
funzionava un vero tribunale politico, che poteva decidere, ad esempio, un prolungamento<br />
della pena detentiva oppure la fucilazione del detenuto.<br />
Lettura di una testimonianza di D.S.Lichacev: «La vita alle Solovki era tanto<br />
assurda da non parere vera. Qui tutto si confonde come in un incubo terribile,<br />
si cantava in una delle canzoni del lager».<br />
Lo sviluppo del sistema concentrazionario: Il durissimo scontro sociale nelle<br />
campagne russe, all’inizio degli anni Trenta, fece aumentare in modo esponenziale<br />
il numero dei detenuti e quindi dei campi. Nel 1930, per gestire una struttura<br />
che si faceva sempre più ramificata e complessa, fu istituito un nuovo ente,<br />
la Direzione centrale dei lager (Glavnoe Upravlenie Lagerej, abbreviato in<br />
GULag). In concomitanza con la svolta impressa da Stalin all’economia sovietica,<br />
si decise di impiegare la manodopera dei campi per fini produttivi. Spesso il<br />
gulag assunse il ruolo di un imprenditore che si impegna a esaudire le commesse<br />
affidategli dai diversi enti, come i Commissariati del popolo per le Comunicazioni,<br />
gli Affari militari, le Foreste, l’Industria. In base ad appositi contratti, eseguiva<br />
tutte le opere previste dal piano nazionale e diversi lavori pubblici:<br />
costruzione di strade ferrate e fortificazioni, sfruttamento delle miniere e taglio<br />
delle foreste. Il gulag ebbe una funzione notevole anche nella russificazione e<br />
nella sovietizzazione del paese, poiché fu messo in atto un massiccio programma<br />
di mescolanza di etnie. In ogni campo, fin dall’ingresso del prigioniero, una commissione<br />
stabiliva in quale classe di attitudine al lavoro dovesse essere inserito.<br />
I detenuti venivano suddivisi in brigate di 20-40. A capo di ognuna c’era un brigadiere<br />
coadiuvato da un desjatnik (caporale), che calcolava la percentuale di<br />
lavoro obbligatorio effettuato. Ogni brigata lavorava sotto la sorveglianza di un<br />
soldato armato, che aveva diritto di vita o morte sui prigionieri. La durata della<br />
giornata lavorativa, variabile secondo i campi, si aggirava intorno alle 10-12 ore.<br />
Per costringere al lavoro, venne anche introdotto il sistema delle razioni differenziate,<br />
ovvero una correlazione tra mole di lavoro effettivamente svolta nell’arco<br />
di una giornata e quantità di pane ricevuta. In proposito, i vecchi detenuti<br />
avevano imparato a loro spese una massima di saggezza concentrazionaria:<br />
«Non ti ammazza la razione piccola, ma quella grande!».<br />
Lettura di una testimonianza di O. Adamova-Sliozberg.<br />
Lettura di una testimonianza di V. Šalamov: ritenuto il narratore più lucido del<br />
dramma che si consumò nei campi della regione della Kolyma. Nei suoi racconti,<br />
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Pedagogia e Didattica Michele Cataluddi<br />
il freddo micidiale della Siberia nord-orientale diventa metafora di un altro ben<br />
più terribile gelo: quello della totale indifferenza per le sofferenze umane.<br />
Il Gulag durante la seconda guerra mondiale: All’inizio del 1941 la popolazione<br />
del gulag era di circa 1 930 000 detenuti. Negli anni di guerra la popolazione<br />
presente nel sistema concentrazionario subì un doppio mutamento: aumentò la<br />
percentuale di prigionieri per motivi politici e la quota delle donne in stato di<br />
detenzione. Un numero elevatissimo di prigionieri fu impiegato in fabbriche di<br />
bombe e munizioni. Questi anni furono durissimi per la situazione alimentare<br />
dei detenuti, molti dei quali soffrirono la fame. Ciò provocò un costante aumento<br />
del tasso di mortalità (dal 3,2% al 25,2%).<br />
Lettura di una testimonianza di G. Herling.<br />
Dal 1945 alla morte di Stalin (1953): la popolazione dei lager crebbe in continuazione:<br />
da 1 460 000 detenuti a 2 468 000. Uno dei fenomeni più gravi sottolineati<br />
dai sopravvissuti è il peso crescente che assunsero i criminali comuni,<br />
spesso spietati e violenti, che riuscivano ad imporsi sui più deboli e soprattutto<br />
nei confronti dei detenuti politici. Nell’immediato dopoguerra furono deportati<br />
anche moltissimi ucraini, polacchi o cittadini delle repubbliche baltiche, che si<br />
erano opposti all’occupazione russa, oppure avevano apertamente collaborato<br />
con i tedeschi. Proprio i campi con una maggiore presenza di stranieri videro la<br />
nascita, nei primi anni Cinquanta, di numerose e varie forme di resistenza. La<br />
produttività del lavoro nei campi andò costantemente calando e anche ai massimi<br />
livelli dell’autorità ci si rese conto che il sistema del lavoro forzato non era<br />
più redditizio. Dopo la morte di Stalin, un’amnistia promulgata il 27 marzo 1953<br />
aveva già rimesso in libertà circa 1 200 000 detenuti.<br />
Lettura di testi di P. Florenskij: dalla raccolta di lettere Non dimenticatemi, che<br />
l’autore scrisse durante la prigionia, dopo che il regime gli aveva inflitto una<br />
condanna a 10 anni per propaganda controrivoluzionaria. Le lettere vanno dal<br />
maggio 1933, poco dopo l’arresto, quando egli si trovava nel carcere della Lubjanka,<br />
fino al giugno 1937, pochi mesi prima di morire fucilato. La maggior parte<br />
è stata scritta nel periodo trascorso alle isole Solovki.<br />
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Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag QdPD 1 (2011)<br />
Bibliografia<br />
ADAMOVA-SLIOZBERG O., Il mio cammino, Le Lettere, Firenze 2003.<br />
CORNI G.-HIRSCHFELD G., L’umanità offesa. Stermini e memoria nell’Europa del<br />
Novecento, Il Mulino, Bologna 2003.<br />
FLORENSKJI P., Non dimenticatemi, Mondatori, Milano 2000.<br />
HERLING G., Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 1994.<br />
KOTEK J.-RIGOULOT P., Il secolo dei campi. <strong>De</strong>tenzione, concentramento e sterminio<br />
1900-2000, Mondadori, Milano 2001.<br />
Lichacev D.S., La mia Russia, Einaudi, Torino 1999.<br />
SOLZENICYN A., Arcipelago Gulag.<br />
WERTH N., Le logiche della violenza nell’URSS staliniana, in Rousso H. (a cura di),<br />
Stalinismo e nazismo. Storia e memoria comparate, Bollati Boringhieri, Torino 2001.<br />
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Pedagogia e Didattica Michele Cataluddi<br />
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Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />
Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa<br />
MARCO CILIONE<br />
Premessa<br />
Il programma di letteratura italiana nell’ultimo anno di liceo ha poche occasioni<br />
di aprirsi al contesto europeo o internazionale in genere, e quando lo fa<br />
deve necessariamente limitarsi ad accenni veloci sia per esigenze di tempo sia<br />
perché la materia esula dalle competenze del docente. Tuttavia il decadentismo<br />
e il simbolismo europei restano una tappa obbligata nelle spiegazioni dell’insegnante<br />
quale necessaria premessa al decadentismo italiano e fonte di grande<br />
coinvolgimento emotivo ed estetico per i ragazzi.<br />
In genere si ha solo il tempo di parlare del decadentismo francese e dell’estetismo<br />
inglese, eppure l’incontro con la figura di Florenskij permette di approfondire<br />
o meglio, nel mio caso, di conoscere gli interessanti sviluppi poetici e<br />
filosofico-linguistici che il simbolismo ha conseguito in Russia.<br />
Mi è sembrato opportuno, quindi, proporre questo approfondimento in un<br />
modulo pluridisciplinare che chiama in causa tanto la letteratura quanto la filosofia.<br />
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Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
Per la panoramica generale sul simbolismo russo faccio riferimento all’esauriente<br />
contributo di Georges Nivat di cui il mio articolo è ampiamente debitore.<br />
<strong>De</strong>stinatari:<br />
- III liceo classico/V liceo scientifico.<br />
Prerequisiti:<br />
- conoscere il quadro storico-culturale del decadentismo europeo;<br />
- conoscere gli autori del decadentismo francese e dell’estetismo inglese.<br />
Contenuti e testi:<br />
- antologia di poeti simbolisti russi.<br />
Strategia didattica:<br />
- lezione frontale.<br />
Strumenti:<br />
- testi forniti in fotocopia.<br />
Obiettivi:<br />
- definire e contestualizzare storicamente il simbolismo russo;<br />
- analizzare un’opportuna antologia di testi;<br />
- definire il rapporto tra poesia e filosofia del linguaggio.<br />
Durata:<br />
- 2 ore, 1 per la lezione e 1 per la verifica.<br />
Verifica:<br />
- analisi guidata di una poesia del simbolismo russo che non sia stata oggetto<br />
di lezione.<br />
1. Dalla fase decadente alla svolta simbolista.<br />
I termini cronologici che delimitano il simbolismo letterario sono in genere<br />
molto difficili da definire. L’orientamento della critica più recente, in questo<br />
senso, propende per un’interpretazione estensiva del fenomeno, che nel caso<br />
della Francia individua le sue radici in Baudelaire, vale a dire una generazione<br />
prima della poesia decadente e simbolista vera e propria, in quello dell’Italia arriva<br />
a lambire persino la poesia del secondo dopoguerra.<br />
Questo è vero anche per il simbolismo russo per il quale, tuttavia, è possibile<br />
individuare un terminus post quem nella pubblicazione d tre piccole raccolte di<br />
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Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />
V. Brjusov e A. Mirapol’skij a Mosca nel marzo del 1894. Più difficile risulta, invece,<br />
riconoscerne l’epilogo: come nel caso del rinascimento italiano, infatti, la<br />
sua massima fioritura (1910) coincide con la percezione forte della crisi, ma la<br />
sua influenza si estende al futurismo e alla “scuola ornamentalista”. Dovremmo<br />
quindi parlare di un ri-orientamento delle sue istanze più che di un loro esaurimento.<br />
Come il decadentismo in Francia, così il simbolismo russo fu dileggiato ai<br />
suoi esordi, ma col tempo affinò la sua sostanza passando da un culto esasperato<br />
dell’individualismo alla “poesia pura” nel segno di reiterati proclami sulla morte<br />
della dell’arte. A questo passaggio, che si consolida intorno al 1910, il simbolismo<br />
russo approda grazie alla rinascita del pensiero religioso avvenuta intorno al<br />
1900: essa gli conferisce il suo utopistico sapore di sintesi totale, dell’essere, della<br />
parola, delle arti, di autore e fruitore. Ne nasce una poesia del lirismo puro con<br />
una vocazione alla polisemia delle immagini e alla fusione tra vita e arte talmente<br />
forti da non spaventare neppure gli ideologi della rivoluzione del 1917, in cui il<br />
simbolismo riconobbe l’espressione più genuina dell’identità russa: la mente sofisticata<br />
e colta dei poeti cercava lo forza rigenerante della barbarie in un rinnovato<br />
slancio di slavofilismo. Sembra quasi di sentir riecheggiare le parole di<br />
Verlaine:<br />
Je suis l’Empire à la fin de la décadence,<br />
Qui regarde passer le grends Barbares blancs<br />
En composant des acrostiches indolents<br />
D’un style d’or où la langueur du soleil dance 1 .<br />
E Verlaine non è l’unico riferimento al decadentismo-simbolismo francese a<br />
cui il simbolismo russo attinge: da Rimbaud esso mutua la volontà di “cambiare<br />
la vita”, da Mallarmé il “libro totale” e li traduce nel recupero dello spirito russo<br />
e nell’ansia della finis temporum, di quella decadenza che Verlaine aveva assimilato<br />
all’esangue civiltà romana del tardo impero. La malinconia di Maeterlinck<br />
e l’estetismo parossistico di Huysmans 2 fanno il resto. Non è un caso che l’arte<br />
divenga l’unica risorsa contro l’individualismo e che in questo senso Schopenhauer<br />
sia proposto come un vero e proprio maestro da Andrei Belyj 3 . Pessimismo<br />
filosofico e ascesi si fondono nella poesia che copre il decennio 1892-1902. In Paludes<br />
Bal’mont raffigura albe morbose su paludi malefiche popolate di spiriti che<br />
diffondono la peste, ma già nel 1898 nella poesia Belladonna propone una più<br />
ariosa e languida vegetalizzazione dell’io:<br />
1 P. Verlaine, Langueur, vv. 1-4, in Jadis, A la maniére de plusieurs, in P. Verlaine, Oeuvres poétiques<br />
complètes, Paris 1962, p. 370.<br />
2 A’ rebours è noto dall’anno della sua pubblicazione, il 1884, ma è tradotto nel 1906.<br />
3 A. Belyi, Il simbolismo come concezione del mondo.<br />
37
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
Essere come un fiore addormentato,<br />
[...]<br />
tutto dimenticare e obliarsi,<br />
avido e muto inebriarsi<br />
del sogno che svanisce.<br />
Inquietante resta invece la poesia di Sologub che Volynskij ha definito uno<br />
Schopenhauer russo uscito da un soffocante caveau. In lui si riconoscono i temi<br />
baudelaireiani dell’inquietudine di vivere e dello slancio verso il bello, la vita, il<br />
miracolo, il gusto per il morboso elevato a categoria estetica, la contrapposizione<br />
tra l’ingenuità del fanciullo e la turpitudine dell’adulto. Forte il gusto per il cromatismo<br />
e la percezione sensoriale quasi sinestetica:<br />
Mescevi, mescevi, facevi oscillare<br />
due coppe carnalmente scarlatte.<br />
Più bianca del lillà, più del rubino scarlatta<br />
tu bianca splendevi e scarlatta.<br />
Tuttavia in Sologub all’immaginario di ascendenza baudelaireiana si mescola<br />
l’ansia filosofica sull’essere:<br />
Menzogna policroma dell’essere,<br />
con te non voglio battermi,<br />
ed estenuato striscio<br />
come un serpente perfido e malato,<br />
e taccio, in abbandono taccio.<br />
Nel 1904 si passa dal “decadentismo” al simbolismo vero e proprio. Brjusov<br />
e Baltrusajtis fondano la rivista “Vesy” (“La bilancia”) intorno a cui ruota tutta<br />
l’élite culturale del simbolismo russo. Apertura all’Europa e vastità di erudizione<br />
sono le linee guida della rivista per la cui casa editrice, la Skorpion, Belyj, Brjusov,<br />
Bal’mont, Sologub e altri realizzano una sorprendente quantità di traduzioni<br />
che coprono gli autori e gli ambiti più disparati. Era inevitabile che questa improvvisa<br />
accelerazione della conoscenza rendesse fertile il terreno del dibattito<br />
culturale e sollecitasse nei poeti simbolisti una consapevole riflessione sul loro<br />
universo concettuale.<br />
2. La magia della parola.<br />
L’ingente quantità di traduzioni dalle lingue e dalle realtà culturali più diverse<br />
che i simbolisti realizzarono per la casa editrice Skorpion deve aver profonda-<br />
38
Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />
mente sensibilizzato gli autori al valore polisemico ed evocativo della parola. Nel<br />
dibattito del 1909, che individua nella teurgia e nel rapporto vita-arte l’essenza<br />
del simbolismo, Ivanov definisce la poesia simbolista un ritorno alla lingua degli<br />
dei, la lingua di un’epoca in cui la comunicazione era spontanea e magica. La<br />
crisi dell’individualismo si supera, a detta di Ivanov, grazie all’arte teurgica che<br />
segna il passaggio dal simbolismo designatore a uno trasfiguratore di ispirazione<br />
dionisiaca, di influenza wagneriana e nietzschiana, che aspira al recupero dell’integrità<br />
umana. In questo senso le corrispondenze baudelaireiane sono una<br />
tappa, una forma di simbolismo idealista che tende al simbolismo realista.<br />
La parola ha un potere magico: essa non comunica per via logico-razionale,<br />
non è il segno di qualcosa, ma ergon ed enérgheia ad un tempo, sintesi di realtà<br />
fenomenica e noumenica. Questa istanza antipositivista era stata già enunciata<br />
da Mallarmé nel 1886:<br />
La poesia, tramite il linguaggio umano ricondotto al suo ritmo essenziale, è l’espressione<br />
del senso misterioso degli aspetti dell’esistenza: essa dota dunque d’autenticità il<br />
nostro soggiorno e costituisce l’unica incombenza spirituale.<br />
Ivanov individua nella poesia la via per recuperare il linguaggio naturale primitivo<br />
in cui le parole sono come le pietre giustapposte nelle mura ciclopiche.<br />
La grammatica ha sancito il depauperamento espressivo della parola che da sinolo<br />
di materia e forma è stata ridotta a contenitore vuoto. Questa perdita di<br />
senso è stata compensata dalla grammatica che ha introdotto la copula per ricostituire<br />
artificialmente il legame morfo-sintattico tra le parole. Si perde quindi<br />
la valenza magico-musicale del sandhi prosodico che, ignorando la divisione tra<br />
le parole, considera i versi come un’unica coesa sequenza ritmico-sintattica. Sembra<br />
quasi di risentire le parole di Gorgia nell’Encomio di Elena sul potere magico<br />
della parola, la cui efficacia persuasiva è legata proprio alla sua valenza fonica,<br />
tant’è che Gorgia si preoccupa di riprodurla attraverso le figure retoriche (figure<br />
gorgiane) anche nella prosa che chiama non a caso discorso senza metro.<br />
Anche il legame tra la sequenza dei fonemi nella parola e il loro rapporto con<br />
il significato trova un illustre precedente classico nelle paretimologie del Cratilo<br />
di Platone e non è un caso che Leroi abbia persino parlato di cinestesia articolatoria,<br />
cioè di coincidenza tra articolazione del suono e significato della parola.<br />
La via magica diventa, dunque, anche per i simbolisti il modo per recuperare<br />
l’essenza vera della realtà, il modo per passare a realibus ad realiora.<br />
La riflessione filosofica sul linguaggio si fa poesia e la poesia filosofia del linguaggio<br />
infrangendo i confini tra creazione artistica e consapevolezza estetica.<br />
39
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
Così anche il fruitore è chiamato in causa come co-autore del testo in una sintesi<br />
creativa che sembra quasi un percorso iniziatico. Per cogliere, dunque, il vero<br />
senso del reale, per approdare cioè al realiorismo ivanoviano, l’arte deve diventare<br />
un gioco che interpreti il mondo per via non-razionale. Il simbolo si presta<br />
a questa operazione: esso permette di risalire alla sorgente del processo creativo<br />
e di giungere all’Ens realissimum (Ellis). E la musica, più di ogni altra arte è vicina<br />
alla genesi noumenica del fenomeno. Con lei i colori. Musica e colori insieme<br />
alla poesia e nella poesia sono un tentativo “di strappare un frammento dal<br />
grande ritmo universale” 4 : la parola nella poesia simbolista perde la consistenza<br />
del suo involucro logico-razionale e recupera la sua energia mitica, la sua aurorale<br />
valenza orfica. Secondo il filologo russo Potebnja tra la forma esteriore della<br />
parola, vale a dire i suoni, e il significato, che cristallizza il dialogo dell’io con il<br />
thymos, cioè il logos 5 , si colloca la forma interiore, l’etimologia profonda della<br />
parola, la sua energia magica.<br />
Pavel Florenskij condanna, invece, la trivialità delle corrispondenze baudelairiane<br />
e i simbolisti russi in genere: egli stigmatizza l’assenza di metodo storico-comparativo<br />
nell’interpretazione dei simboli. La critica di Florenskij,<br />
tuttavia, riduce in modo superficiale la filosofia simbolista a mera interpretazione<br />
di immagini ignorando i temi della fusione delle arti e l’intento dell’ars<br />
poetica ica simbolista, tutta protesa a cogliere l’atto magico sotteso alla parola.<br />
La riflessione di Florenskij muove dall’ontologismo palamita, per cui tutta la<br />
realtà è permeata di Dio, e al contempo dall’inconoscibilità dell’essenza di Dio.<br />
Da questa prospettiva antinomica 6 del cristianesimo nasce l’opposizione al razionalismo<br />
occidentale e quindi la fedeltà alla tradizione russa del realismo ontologico:<br />
si può parlare, quindi, di slavofilismo, atteggiamento che Florenskij<br />
condivide con i simbolisti. Lo slavofilismo ispira anche i saggi che egli dedica<br />
alla filosofia del linguaggio: essi, concepiti tra il 1910 e il 1922, sono stati pubblicati<br />
solo dopo il 1990.<br />
Due sono gli stimoli agli studi di Florenskij: la condanna dei monaci del<br />
monte Athos, colpevoli di credere che l’essenza di Dio potesse essere colta nella<br />
venerazione del suo nome, e la convinzione dell’amico Belyi e degli altri simbolisti<br />
che la parola fosse la chiave interpretativa del rapporto tra finito e infinito.<br />
Al di là della polemica teologica con i monaci del monte Athos, la venerazione<br />
della parola riconosce ad essa una profonda valenza ontologica; negare questa<br />
4 Nivat 1989, p. 94.<br />
5 Cfr. Onians 2006, p. 35. La coincidenza tra logos come pensiero e logos come parola trova riscontro<br />
nei numerosi esempi di dialogo, nella letteratura greca arcaica, tra l’uomo e il suo animo<br />
o senno (Onians 2006, p. 35, note 2 e 3). <strong>De</strong>l resto i dialoghi socratici di Platone sono dialoghi proprio<br />
perché questa forma meglio esprime il carattere dinamico del pensiero-parola del logos. Non<br />
è un caso che il logos sia Dio nel simbolismo cristiano antico.<br />
6 Per il rapporto tra antinomia e filosofia del linguaggio cfr. Florenskij 1989, pp. 10-11.<br />
40
Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />
venerazione vuol dire cadere nel nominalismo medievale che riduce il logos a<br />
mero flatus vocis. In realtà la parola nella sua valenza simbolica è un ponte tra<br />
individuale e universale, tra terreno e divino. Per questo,come credevano i simbolisti,<br />
la parola ha una valenza magica: incantesimo ed esorcismo costituiscono<br />
l’esempio antropologico trasversale a ogni civiltà e cultura di questo magico potere.<br />
La parola può, o almeno si crede possa, intervenire sulla realtà e modificarla.<br />
Recuperando le riflessioni di Humboldt sul linguaggio Florenskij parla di<br />
un equilibrio mobile tra enérgheia ed ergon, tra creatività e monumentalità, tra<br />
valenza polisemica e cristallizzazione del significato. I futuristi hanno peccato<br />
in questo, vale a dire nel ridurre la parola a suono e a segni vuoti di significato.<br />
La parola, dunque, per Florenskij è un dono di cui spetta all’uomo arricchire e<br />
conservare la stratificazione dei significati 7 .<br />
Bibliografia<br />
FLORENSKIJ 1989 = A. P. Florenskij, Attualità della parola, Milano 1989.<br />
FLORENSKIJ 2003 = A. P. Florenskij, Il valore magico della parola, Milano 2003.<br />
NIVAT 1989 = G. Nivat, Il simbolismo russo, in Storia della letteratura russa.<br />
III. Il Novecento. I. Dal decadentismo all’avanguardia, Torino 1989, pp. 75-158.<br />
ONIANS 2006 = R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo, Milano 2006.<br />
P. VERLAINE, Oeuvres poétiques complètes, Paris 1962.<br />
7 Cfr. Florenskij 2003, pp. 7-15.<br />
41
Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />
42
I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
I salesiani cooperatori:<br />
storia ed attualità di una testimonianza<br />
ALESSANDRA FELLI , FRANCO TIANO<br />
Il cooperatore di Don Bosco apparteneva a una «specie di terz’ordine» salesiano.<br />
Mirava alla propria santificazione attraverso la scelta di uno stato di vita<br />
particolare, condivideva la missione del salesiano religioso, ne era fratello, aveva<br />
lo stesso superiore, ne faceva propria la spiritualità e beneficiava degli stessi<br />
vantaggi spirituali. Il seguito dell’esposizione mostrerà, lo spero, la fondatezza<br />
di queste asserzioni.<br />
Come un po’ tutti gli altri religiosi, anche quello di Don Bosco aveva come<br />
fine generale la santificazione personale con la scelta di uno stato di vita che<br />
gliela rendeva meno aleatoria. Nelle costituzioni salesiane, il primo articolo del<br />
capitolo sullo scopo lo ha affermato in modo costante. Secondo la traduzione ufficiale<br />
del 1875, «lo scopo della Società Salesiana si è la cristiana perfezione de’<br />
suoi membri...». Ora, fin dalle prime battute del primitivo Regolamento dei Cooperatori,<br />
lo stesso Don Bosco assegnava questo stesso scopo ai suoi collaboratori<br />
non religiosi e lo indicava senza possibilità d’equivoci.<br />
43
Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />
Per Don Bosco i Cooperatori erano alla loro maniera dei religiosi nel mondo.<br />
I Cooperatori rimanevano nel mondo, si sforzavano di vivere lo spirito della<br />
Congregazione salesiana, dipendevano da essa, e tendevano alla perfezione secondo<br />
uno stile di vita secolare. Don Bosco avrebbe voluto poter anche dire che<br />
le loro «regole» erano state approvate da Roma; in mancanza di questo, sottolineava<br />
che le costituzioni salesiane, la cui osservanza era loro raccomandata nei<br />
limiti del possibile, avevano ricevuto questa approvazione. (reg. 1876)<br />
Per interessante che possa essere, questa constatazione secondo cui Don<br />
Bosco voleva principalmente offrire a dei cristiani una forma di vita adatta alla<br />
loro santificazione, chiede di essere precisata con altre indicazioni dello stesso<br />
fondatore. Nello stesso momento in cui paragonava i suoi Cooperatori agli antichi<br />
terziari, si sforzava anche di mostrare come se ne distinguevano. Vediamo<br />
nascere l’idea in forma sensibile in un manoscritto autografo destinato a preparare<br />
il testo Unione Cristiana del 1874. Don Bosco aveva innanzitutto scritto:<br />
«Avvi però questa grande diversità: il terzo ordine degli antichi si estendeva in<br />
generale alla pratica della religione; l’associazione salesiana è limitata alla vita<br />
attiva specialmente a favore della gioventù pericolante». Corresse questa formulazione<br />
a matita, tra le righe e al margine dello stesso documento, così: «Il<br />
terzo ordine degli antichi si proponeva in generale la perfezione cristiana nell’esercizio<br />
della pietà; l’associazione salesiana si estende anche alla vita attiva<br />
specialmente in favore della gioventù pericolante».<br />
In quello stesso anno 1859, nel più antico testo delle costituzioni salesiane -<br />
un testo corretto, che sarebbe stato modificato solo nel 1864 e per ragioni diplomatiche<br />
- affermava: «Lo scopo di questa congregazione si è da riunire insieme<br />
i suoi membri ecclesiastici, chierici ed anche laici a fine di perfezionare se medesimi<br />
imitando le virtù del nostro Divin Salvatore, specialmente nella carità<br />
verso i giovani poveri». Tra le virtù di Gesù Cristo, il salesiano non ricercava<br />
quelle apparentate all’ascesi o alla religione, come la povertà e la pietà, ma una<br />
delle virtù dette attive, la carità fraterna, specificata qui dal suo oggetto, cioè<br />
dalla categoria sociale dei giovani poveri che doveva servire.<br />
La spiritualità dell’associazione<br />
Lo sviluppo dei testi ci informa anche sull’ascetica o, se si vuole, sulla spiritualità<br />
degli associati salesiani. È vero che Don Bosco non si dilungò a esporre<br />
lo spirito salesiano nel suo regolamento. Ma i principi generali trovavano anche<br />
qui la loro applicazione: come la loro missione era quella dei loro fratelli religiosi,<br />
così anche la spiritualità era quella dei medesimi. L’intero movimento dei testi<br />
successivi ce lo assicura. E poi la formula del testo definitivo è sufficientemente<br />
44
I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
chiara: «... affinché la loro vita si possa in qualche modo assimilare a quella di<br />
chi vive in comunità religiosa, loro si raccomanda la modestia negli abiti, la frugalità<br />
della mensa...». L’enumerazione delle virtù raccomandate non subì variazioni<br />
dopo il testo del 1873: «Non vi sono penitenze esteriori (depennato: speciali),<br />
ma ogni associato deve distinguersi dagli altri cristiani colla modestia nel vestirsi,<br />
nella frugalità (prima redazione: temperanza) della mensa, nel suppellettile<br />
domestico, nella castigatezza dei discorsi e nell’esatto adempimento dei propri<br />
doveri». Ci lascia, però, solamente un po’ perplessi sulle sue origini. Sembra che<br />
Don Bosco, con lo spirito rivolto ai suoi religiosi, abbia pensato ai loro voti e<br />
virtù di povertà e di castità e insieme ai loro doveri di stato. Alla castità corrispondeva<br />
«la modestia negli abiti» e la «castigatezza nei discorsi»; alla povertà,<br />
che Don Bosco accostava al distacco dal superfluo, «la frugalità nella mensa, la<br />
semplicità nel suppellettile domestico». L’accenno finale: «.., adoperandosi che<br />
le persone dipendenti osservino e santifichino il giorno festivo» è del 1875, anno<br />
in cui, come si ricorderà, i benefattori vennero integrati nel gruppo dei Cooperatori.<br />
Questa spiritualità poggiava su alcune pratiche, vicine anch’esse alle pratiche<br />
salesiane: un Pater e un’Ave ogni giorno, confessione e comunione frequente,<br />
esercizio mensile della buona morte e annuale ritiro spirituale.<br />
È bene confrontare gli «obblighi particolari» e i «vantaggi» corrispondenti ai<br />
rispettivi capitoli delle versioni del 1874, 1875 e 1876. La fraternità salesiana,<br />
implicata nei legami di unione con i religiosi, si manifestava in diverse occasioni,<br />
e in modo particolare quando si facevano delle collette per sostenere le<br />
«opere promosse dall’Associazione». I testi successivi e il contesto dell’ultimo<br />
documento ci assicurano, senza possibilità di equivoci, che detta «associazione»<br />
era quella dei Cooperatori; ma le opere da essa sostenute, potevano essere quelle<br />
della stessa Congregazione salesiana. I vantaggi consistevano essenzialmente<br />
nella partecipazione spirituale a tutte le preghiere, a tutti gli esercizi e a tutte le<br />
indulgenze dei Salesiani religiosi, ad eccezione di quelli connessi con la vita comune.<br />
Un’analoga partecipazione era garantita ai membri dei terz’ordini antichi<br />
rispetto al loro Ordine principale. Don Bosco, aiutato da Don Gioachino Berto,<br />
specialista sulla questione dei favori spirituali, si interessò parecchio alle indulgenze<br />
dei Cooperatori salesiani. La loro lista, compilata prima a parte, venne invece<br />
riprodotta nel fascicolo del Regolamento a partire dall’edizione d’Albenga<br />
del 1876.<br />
Questa spiritualità era semplice. I cristiani un po’ fervorosi d’Italia, di Francia,<br />
di Spagna, della Germania e del Belgio della fine del secolo decimonono non<br />
avevano certo l’impressione di aggiungere qualcosa alle loro abitudini quando<br />
accettavano di divenire Cooperatori. Tuttavia essa allontanava dalla nuova associazione<br />
i non credenti, gli indifferenti e gli stessi praticanti occasionali. Assicurava,<br />
invece, a cristiani attivi e senza complessi, come Dona Chopitea a<br />
Barcellona, un nutrimento spirituale di buona qualità.<br />
45
Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />
La seguente formula felice - comparsa solo nel 1876 - in diversi elementi era<br />
stata preparata da precedenti edizioni: «I membri della Congregazione Salesiana<br />
considerano tutti i Cooperatori come altrettanti fratelli in G. C. e a loro s’indirizzeranno<br />
ogni qualvolta l’opera di essi può giovare alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle<br />
anime. Colla medesima libertà, essendone il caso, i Cooperatori si rivolgeranno ai membri<br />
della Congregazione Salesiana. Quindi tutti i soci, come tutti i figli del nostro Padre Celeste,<br />
tutti fratelli in G. C., coi mezzi materiali loro propri, o con beneficenze raccolte<br />
presso a persone caritatevoli, faranno quanto possono per promuovere e sostenere le opere<br />
dell’Associazione».<br />
I Cooperatori lavorarono più con i Salesiani che sotto i Salesiani. Ma è vero<br />
che Don Bosco ha voluto che la Congregazione salesiana fosse il “vincolo di<br />
unione” dei Cooperatori. Ha voluto costantemente e con forza che il superiore<br />
di questi ultimi fosse il superiore della Congregazione salesiana (Rettor Maggiore)<br />
propriamente detta; e il primo Capitolo generale dei Salesiani ritornò su<br />
questo punto per riaffermare la sostanza.<br />
In una lettera testamento, indirizzata ai cooperatori salesiani ed attribuita a<br />
Don Bosco, si legge questo appello: «Se avete aiutato me con tanta bontà e perseveranza,<br />
ora vi prego che continuiate ad aiutare il mio Successore dopo la mia<br />
morte. Le opere che col vostro appoggio io ho cominciate non hanno più bisogno<br />
di me, ma continuano ad avere bisogno di voi e di tutti quelli che come voi<br />
amano di promuovere il bene su questa terra».<br />
«Il Cooperatore è un cattolico che vive la sua fede ispirandosi, entro la propria<br />
realtà secolare, al progetto apostolico di Don Bosco: si impegna nella stessa missione<br />
giovanile e popolare, in forma fraterna e associata; sente viva la comunione<br />
con gli altri membri della Famiglia salesiana; opera per il bene della Chiesa e<br />
della società; in modo adatto alla propria condizione e alle sue concrete possibilità.<br />
Gli estensori di questo articolo hanno voluto ricollegarsi alle primitive intenzioni<br />
di don Bosco, secondo cui il cooperatore è un vero salesiano nel mondo,<br />
ossia un cristiano, laico, che senza legami di voti religiosi, realizza la propria vocazione<br />
alla santità al servizio della missione giovanile e popolare secondo lo<br />
spirito di don Bosco. L’identità del cooperatore così delineata, presenta tre tratti<br />
caratterizzanti: egli è un cristiano cattolico, è secolare ed è salesiano. Ci si sbaglia<br />
riservando ai soli fedeli laici la cooperazione salesiana. «Don Bosco ha concepito<br />
l’Associazione dei Cooperatori aperta sia ai laici che al clero secolare. Il Cooperatore<br />
laico attua il suo impegno e vive lo spirito salesiano nelle ordinarie situazioni<br />
di vita e di lavoro, con sensibilità e caratteristiche laicali, e ne diffonde i<br />
valori nel proprio ambiente. Il Cooperatore sacerdote o diacono secolare attua il<br />
proprio ministero ispirandosi a Don Bosco, modello eminente di vita sacerdotale.<br />
Nelle scelte pastorali privilegia i giovani e gli ambienti popolari, arricchendo in<br />
questo modo la Chiesa nella quale opera».<br />
46
I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
La Congregazione Salesiana sostiene e unisce l’organizzazione dell’associazione<br />
dei cooperatori. Per esplicita volontà di don Bosco, il rettor maggiore dei<br />
salesiani è il suo superiore e svolge in essa le funzioni di «moderatore supremo».<br />
Ne garantisce la fedeltà al progetto del fondatore e ne promuove la crescita. Con<br />
la collaborazione del consigliere per la famiglia salesiana(SDB) cura l’unità interna<br />
dell’Associazione la sua comunione e la collaborazione con gli altri gruppi<br />
della Famiglia Salesiana.<br />
L’Unione dei cooperatori salesiani nacque ufficialmente nel 1876, poco dopo<br />
l’approvazione definitiva della Società salesiana (SDB) e quando l’<strong>Istituto</strong> delle<br />
Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) era già sulla buona strada. Ma era il punto<br />
d’arrivo di una lunga storia incominciata agl’inizi dell’Oratorio.<br />
Prima che la congregazione prendesse forma, tra il 1841 ed il 1859, Don Bosco<br />
non era solo a vegliare sulle sue centinaia di ragazzi. Come avrebbe potuto? Ad<br />
assecondarlo, trovò aiutanti benevoli, desiderosi di consacrare una parte del loro<br />
tempo al servizio della gioventù povera.<br />
I primi furono naturalmente sacerdoti. Il loro compito consisteva soprattutto<br />
nel predicare, confessare, fare il catechismo. Alcuni si appassionarono a questo<br />
apostolato, come <strong>Giuseppe</strong> Cafasso, Pietro Merla, Francesco Marengo, Luigi<br />
Nasi, Lorenzo Gastaldi (futuro arcivescovo di Torino), Ignazio e <strong>Giuseppe</strong> Vola,<br />
Giacinto Carpano, Michelangelo Chiatellino, Giovanni Battista Borel..., Giovanni<br />
Cagliero, Luigi Versiglia, Callisto Caravario.<br />
Accanto ai sacerdoti, vi furono ben presto dei laici. Essi provenivano dagli<br />
ambienti sociali più diversi. Molti appartenevano a famiglie agiate, anzi aristocratiche,<br />
come il conte Cays di Giletta (che diventerà salesiano e sacerdote ad<br />
un’età già avanzata), il marchese Fassati, il conte Callori di Vignale, il conte Scarampi<br />
di Pruney...<br />
Il regolamento del 1876<br />
Si divide in otto brevi capitoli che hanno come titolo: 1° Unione cristiana nel<br />
bene operare; 2° La congregazione salesiana vincolo di unione; 3° Scopo dei cooperatori<br />
salesiani; 4 ° Maniera di cooperazione; 5 ° Costituzione e governo dell’associazione;<br />
6° Obblighi particolari; 7° Vantaggi; 8° Pratiche religiose.<br />
Il gruppo dei cooperatori si fonda sulla società salesiana che gli conferisce<br />
l’unità indispensabile. Suo scopo è di lottare contro il male, soprattutto aiutando<br />
i salesiani nelle loro imprese. Don Bosco si esprime in termini di combattimento.<br />
Cita l’esempio dei primi cristiani i quali, grazie alla loro unione fraterna,<br />
47
Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />
riuscivano a vincere «gl’incessanti assalti da cui erano minacciati». Bisogna «rimuovere»<br />
i mali che minacciano la gioventù e compromettono per ciò stesso<br />
l’avvenire della società. Un particolare accenno è riservato alle missioni, dove<br />
le necessità di ogni genere sono così urgenti. Quest’orientamento apostolico e<br />
sociale non toglie che lo scopo più fondamentale dei cooperatori sia «di fare del<br />
bene a se stessi mercé un tenore di vita, per quanto si può, simile a quello che si<br />
tiene nella vita comune». Al termine del terzo capitolo, si sente l’eco del primo<br />
articolo delle costituzioni salesiane: «perfezione cristiana» e «esercizio della carità<br />
verso il prossimo e specialmente verso la gioventù pericolante».<br />
I cooperatori chiedono dunque ai salesiani una spiritualità. Ne vivono nell’ambiente<br />
a cui la Provvidenza li ha destinati. Pur dedicandosi «alle loro ordinarie<br />
occupazioni, in seno alle proprie famiglie», possono vivere «come se di<br />
fatto fossero in congregazione». Il capitolo generale del 1877 dirà che i cooperatori<br />
«conservano nel mondo lo spirito della congregazione di S. Francesco di<br />
Sales».<br />
Le attività del cooperatore sono analoghe a quelle del religioso salesiano: catechismi,<br />
esercizi spirituali, ricerca e sostegno delle vocazioni sacerdotali, diffusione<br />
della «buona stampa», attività a favore dei giovani, poi preghiera ed<br />
elemosina, termine che Don Bosco usava in senso largo. La sua attività è quindi<br />
salesiana. Essa è giustamente chiamata cooperazione, perché religiosi e non religiosi<br />
lavorano per la «stessa missione», in comunione, adottando il sistema preventivo<br />
come modello educativo.<br />
«I membri della congregazione salesiana considerano tutti i cooperatori come<br />
altrettanti fratelli in G.C. e a loro si indirizzano ogni volta che l’opera di essi può<br />
giovare in cose che siano della maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.<br />
Colla medesima libertà, essendone il caso, i cooperatori si rivolgeranno ai membri<br />
della congregazione salesiana». Non potendosi chiamare confratelli, i religiosi<br />
di professione e i cooperatori fuori delle comunità, saranno dei fratelli gli<br />
uni per gli altri.<br />
È un fatto storico che Don Bosco, nell’intensità del suo zelo e davanti all’immensità<br />
del lavoro, ha avuto quasi l’ansia di riunire in un vasto insieme e di<br />
animare tutti coloro che accettavano di lavorare con lui, ognuno secondo la<br />
sua situazione concreta, secondo le sue possibilità. Nella sua bocca o sotto la<br />
sua penna torna sempre l’appello: «Dobbiamo unirci! Uniamoci in questi tempi<br />
difficili!» E qui, viene il progetto audace di riunire nella stessa società dei membri<br />
interni, religiosi, e dei membri esterni, non religiosi (progetto attraverso cui si<br />
vede che per Don Bosco la prima cosa era veramente il lavoro apostolico, che<br />
può essere compiuto sia in condizione di consacrazione religiosa, sia nello stato<br />
laicale). Sappiamo che durante 10 anni, tra il 1864 e il 1874, ha lottato e resistito<br />
48
I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
per tentare di far accettare dalla «Congregazione dei religiosi» questo progetto<br />
che non entrava in nessuno dei quadri abituali della legislazione canonica sui<br />
religiosi... Finalmente, vinto dall’incomprensione di Roma, fondò nel 1876 la<br />
«Pia unione dei Cooperatori salesiani.»<br />
«Nel pensiero primigenio di Don Bosco, il cooperatore è un vero salesiano<br />
nel mondo, cioè un cristiano, laico sacerdote che - anche senza vincoli di voti<br />
religiosi - realizza la propria vocazione alla santità impegnandosi in una missione<br />
giovanile e popolare secondo lo spirito di Don Bosco, al servizio della<br />
Chiesa locale ed in comunione con la Congregazione salesiana».<br />
“Una associazione per noi importantissima, che è l’anima della nostra Congregazione<br />
e che ci serve di legame ad operare il bene d’accordo e con l’aiuto<br />
dei buoni fedeli che vivono nel secolo, è l’opera dei Cooperatori salesiani. Abbiamo<br />
la pia Società salesiana per coloro che vogliono vivere ritirati e consacrati<br />
a Dio con la professione religiosa. Abbiamo l’<strong>Istituto</strong> delle Figlie di Maria Ausiliatrice<br />
per le giovani che vogliono imitare i Salesiani, per le persone di altro<br />
sesso. Ora è necessario che noi abbiamo nel secolo degli amici, dei benefattori,<br />
della gente che praticando tutto lo spirito dei Salesiani, vivano in seno alle proprie<br />
famiglie, come appunto fanno i Cooperatori salesiani; sono essi il nostro<br />
aiuto nel bisogno, il nostro appoggio nelle difficoltà; i nostri collaboratori in<br />
quello che si presenta da farsi per la maggior gloria di Dio, ma che a noi manca<br />
nei mezzi personali o materiali. Questi cooperatori devono moltiplicarsi quanto<br />
è possibile”. (testo preparato da Don Bosco per il primo Capitolo generale della<br />
Società, nel 1877).<br />
In ogni tempo lo Spirito <strong>San</strong>to soffia e parla, con gemiti inesprimibili, perché<br />
sempre maggiormente il regno di Dio sia più vicino e più comprensibile agli uomini.<br />
I santi sono quelli che più si sono sforzati di portare il messaggio, in mezzo<br />
alle enormi difficoltà dovute ai tempi, alle strutture e ad altri uomini, pure se<br />
compagni di viaggio e di ideali. Don Bosco accettò sin dal 1844 il messaggio vitale<br />
che lo Spirito <strong>San</strong>to aveva inviato a molti nel suo tempo. Voleva e vedeva<br />
una cooperazione ed una collaborazione continua con tutti coloro che avevano<br />
il desiderio di seguire il suo carisma.<br />
Egli li vedeva tutti insieme in una Famiglia sola, pur con le distinzioni della<br />
scelta di vocazione, consacrati e non, uniti attorno al Rettor Maggiore, capo e responsabile<br />
della Congregazione: persone che, pur con differenti ruoli e compiti,<br />
comunicassero fra di loro e con l’ambiente che li circondava. Occorreva fare in<br />
modo che ci fosse un filo diretto e continuo e ininterrotto fra la società, le società<br />
“civili” e la Congregazione. Don Bosco aveva intuito che, anche se fossero cambiati<br />
i tempi e i luoghi, lo scopo della Pia Società Salesiana non si sarebbe mai<br />
49
Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />
esaurito. La Chiesa di allora non accettò questa nuova e diversa visione di una<br />
realtà di consacrati e laici all’interno di una unica Congregazione, e don Bosco<br />
dopo aver molto insistito, ritenne opportuno a malincuore creare una sola Famiglia<br />
di consacrati: gli SDB. In un secondo momento dopo l’incontro con Maria<br />
Domenica Mazzarello fondò anche il ramo femminile delle consacrate: le FMA.<br />
Ma il suo sogno di vedere unite tutte le sue forze non lo abbandonò dando vita<br />
al terzo ramo della Famiglia Salesiana e cioè i Salesiani Cooperatori, nella Chiesa<br />
portatori da laici del carisma salesiano.<br />
I salesiani cooperatori da centocinquanta anni hanno dimostrato la preveggenza<br />
e la forza del messaggio salesiano nel mondo. Sono essi stessi il messaggio<br />
salesiano che funziona ed opera anche dove non ci sono, o non ci sono più, opere<br />
salesiane attive. Il loro compito è quello di essere sale della terra, lettura dei<br />
tempi evangelici con il carisma di Don Bosco. Operano cristianamente ed umanamente<br />
dove possono e come possono. Ci sono posti nel mondo che sono testimonianza<br />
di questo in America Latina, in Asia, in Africa in cui le distanze ed i<br />
tempi infiniti che sono necessari per giungere nei luoghi più lontani e desolati<br />
sono un ostacolo spesso insormontabile.<br />
I salesiani cooperatori, agiscono sotto la loro responsabilità, caricandosi personalmente<br />
di compiti gravosi, aiutando realtà locali ad uscire dalla miseria. Partendo<br />
sempre dai giovani perché nell’educazione dei giovani è il carisma<br />
salesiano. E non potrebbe essere altrimenti. Ma, a scanso equivoci, occorre chiarire<br />
che il salesiano cooperatore non è un anarchico, un battitore libero; egli è<br />
piuttosto una persona che partecipa alla vita prima del suo gruppo locale insieme<br />
agli altri cooperatori e, attraverso il gruppo locale, partecipa alla struttura<br />
gerarchica impegnandosi, se richiesto, nelle strutture nazionali e mondiali. Questo<br />
sviluppo è percepito come servizio di responsabilità e di apostolato, offrendo<br />
disponibilità e tempo all’animazione dell’Associazione ai vari livelli. Il salesiano<br />
cooperatore ha scelto consapevolmente la sua strada, in piena libertà, accettata<br />
quindi qualora se ne pone la necessità gli obblighi ad essa collegati.<br />
La struttura fondamentale è una linea orizzontale, che dà a tutti i salesiani<br />
cooperatori la stessa importanza e responsabilità. È l’aiuto reciproco che contraddistingue<br />
questa “prima linea”. Il salesiano cooperatore si appoggia per tutte<br />
le necessità della sua “missione” a tutta la “missione” salesiana del mondo e, di<br />
conseguenza a tutti i suoi membri, sia laici che consacrati, certo che troverà una<br />
risposta ed un aiuto. La struttura gerarchica, la necessaria, indispensabile struttura<br />
gerarchica, ha la funzione di coordinamento, di comunicazione, di contatto.<br />
Quindi più di servizio piuttosto che di comando. È la comunità locale il principale<br />
elemento di vita e di attività dell’Associazione dei Salesiani Cooperatori:<br />
da essa poi vengono dedotte le altre strutture gerarchiche.<br />
50
I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />
La “gerarchia” deve ed è sempre pronta ad adattarsi alle situazioni locali non<br />
impone decisioni “dall’alto”, ma propone linee di lavoro, modalità di intervento,<br />
linee di cammino associativo. Le comunità locali, per parte loro, tengono informati<br />
i “vertici” dell’associazione in spirito di comunicazione e di famiglia (propria<br />
delle case salesiane). È un dialogo, continuo, ininterrotto, stabile e duraturo.<br />
E la dimostrazione che tutto ciò funziona è nei fatti concreti e nella vitalità dell’associazione<br />
dei salesiani cooperatori all’interno della Famiglia Salesiana, e<br />
della Chiesa. Coloro che sono chiamati ed eletti a cariche di responsabilità nell’Associazione<br />
si impegnano ad essere fedeli e presenti alla vita associativa. Fedelmente<br />
rinnovano la loro promessa nell’Associazione almeno una volta ogni<br />
tre anni e se ricoprono ruoli di governo sono attenti e consapevoli della responsabilità<br />
partecipando assiduamente alle riunioni e agli incontri in modo da non<br />
creare disagio o addirittura dimissioni per assenze.<br />
La spiritualità del salesiano cooperatore è una spiritualità attiva. È la stessa<br />
spiritualità che don Bosco aveva quando, nel chiasso e nella confusione del cortile,<br />
con tante, ma proprio tante cose da fare da seguire, da organizzare, da vedere,<br />
riusciva a pregare e a sentirsi accanto Maria Ausiliatrice. È la spiritualità<br />
di chi si fida della Provvidenza Divina e dello Spirito <strong>San</strong>to che ha lasciato nelle<br />
mani degli uomini di buona volontà il compito di proseguire qui, oggi ed ora la<br />
costruzione del regno di Dio sulla terra. Almeno un Padre Nostro e tre Ave<br />
Maria al giorno. Per il resto del tempo pregate con il vostro impegno ed il vostro<br />
lavoro. È tutto qui. E la promessa di don Bosco viene mantenuta: “Vi prometto<br />
tanto lavoro, il cibo quotidiano e alla fine un pezzo di Paradiso”. Scusate se è<br />
poco.<br />
“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri<br />
uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono<br />
un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di<br />
uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli<br />
altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi<br />
del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale<br />
mirabile e indubbiamente paradossale”. (Lettera a Diogneto) Ed oggi, come nel II<br />
secolo dopo Cristo, ci sono pochi cambiamenti. Nel lavoro, nella famiglia, nei<br />
figli da curare e da mantenere, nei rapporti con gli altri, occorre dare un senso<br />
ed un perché alle infinite, incontrollabili, caotiche variabili che confondono tutti<br />
gli esseri umani, e il Cristianesimo diventa un esempio necessario, indispensabile<br />
da portare e da mostrare a tutti, con i fatti.<br />
Don Bosco voleva una società fatta di e da “buoni cristiani e onesti cittadini”<br />
che fossero di esempio e di aiuto per tutti. Con giovani abbandonati, sperduti e<br />
dimenticati nella periferia di una città è cominciato un viaggio che ha portato i<br />
51
Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />
salesiani con il loro metodo preventivo in tutti i continenti, ammaliando e incantando<br />
folle di giovani che lo hanno seguito.<br />
C’era una volta, tanto tempo fa, un piccolo seme, che guidato dallo Spirito<br />
<strong>San</strong>to e aiutato dalla Divina Provvidenza, si è fatto albero producendo semi e<br />
poi fiori, e poi alberi fino a diventare un bosco. Ora c’è una foresta di tanti, uomini<br />
e donne, che seguono il suo esempio… Il nome del primo, piccolo seme era<br />
Giovannino Bosco che, anche da santo, è per tutti don Bosco.<br />
52
Lasalliani e Salesiani: due volti per l’educazione dei giovani QdPD 1 (2011)<br />
Lasalliani e Salesiani:<br />
due volti per l’educazione dei giovani<br />
nota a cura di<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
La testimonianza offerta dai salesiani cooperatori circa il loro fervente impegno<br />
in quanto buoni cristiani e onesti cittadini dediti a realizzare il progetto apostolico<br />
di Don Bosco al servizio della missione giovanile e popolare ci suggerisce<br />
l’opportunità di ripensare alle occasioni di incontro e di reciproca influenza tra<br />
l’esperienza pedagogica dei Fratelli e la formazione culturale e spirituale del giovane<br />
prete Giovanni Bosco.<br />
Ventidue anni orsono, in occasione del Primo Centenario della morte di Don<br />
Bosco, Fratel Secondino Scaglione pubblicava in Rivista Lasalliana un articolo<br />
dal titolo “Don Bosco e i Fratelli delle Scuole Cristiane” 1 . Senza la pretesa di offrire<br />
delle novità sulle relazioni intercorse tra Don Bosco e i Fratelli l’autore ha<br />
inteso “raccogliere, raccordare e confrontare alcune testimonianza disperse in una vasta<br />
letteratura agiografica.”<br />
1 RL 55 ( 1988 ) 1, 3 - 29<br />
53
Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />
In particolare c’è una testimonianza tratta dalla letteratura salesiana in cui,<br />
con tono apologetico, si accenna all’influenza dei lasalliani su Don Bosco giovane<br />
prete:<br />
“Don Bosco giovane prete non poté sottrarsi all’attrattiva che su di lui esercitavano<br />
i più eccellenti educatori cristiani del popolo che allora si conoscessero, i Fratelli delle<br />
Scuole Cristiane. Furono essi i maestri della gioventù popolare torinese all’inizio<br />
dell’800, anzi in Piemonte i primi maestri dei Maestri… L’intimo e assiduo contatto con<br />
la comunità e le scuole dei Fratelli porse a Don Bosco il mezzo di studiarne i metodi pedagogici:<br />
La “Condotta delle Scuole” (un capolavoro pedagogico del loro <strong>San</strong>to Fondatore)<br />
e quelle che i Lasalliani chiamano “Le dodici virtù del buon Maestro”. In quello<br />
studio ebbe come guida quel profondo conoscitore della pedagogia lasalliana che fu il Fratello<br />
Hervé de la Croix, allora Visitatore Provinciale della Congregazione per l’Italia Superiore.<br />
Un nome al quale Torino deve la sua prima “Scuola Normale”, <strong>San</strong>ta Pelagia,<br />
per la preparazione tecnica dei Maestri; le prime scuole serali, specializzate per gli operai;<br />
la direzione e la collaborazione a diverse scuole municipali in città e fuori ed altro ancora”<br />
2 .<br />
Esiste dunque un collegamento tra la pedagogia di Don Bosco e quella del<br />
La salle per cui è possibile parlare di una ispirazione di <strong>San</strong> G. B. de La Salle sul<br />
metodo pedagogico preventivo salesiano. Ognuno dei due educatori ha fortemente<br />
personalizzato – in un metodo riferito a situazioni umane, sociali e storiche<br />
simili ma non uguali – l’esigenza della prevenzione; la fiducia cristiana nella<br />
bontà dell’animo umano e la possibilità di individuare nell’animo di ciascun ragazzo<br />
quello che Don Bosco definiva “il punto accessibile al bene” sono il comune<br />
denominatore che spiega le numerose analogie nel pensiero dei due <strong>San</strong>ti e nelle<br />
loro due opere pedagogiche, la “Conduite des écoles” e “Il sistema preventivo nell’educazione<br />
della gioventù”.<br />
L’interessante articolo di Fratel Secondino induce ad alcune considerazioni<br />
che egli stesso sintetizza nel modo seguente:<br />
1) Il contatto e la collaborazione tra due istituzioni religiose , nell’ambito ecclesiale, con<br />
una propria specificità educativa – i Salesiani e i Lasalliani – fu veramente arricchente<br />
e stimolante per entrambi. Non solo Don Bosco guardò alle realizzazioni dei Fratelli<br />
come modello a cui ispirarsi per l’opera educativa, ma i Fratelli, dal contatto con questa<br />
personalità non comune, trassero certezze e stimoli sulla validità del loro ministero<br />
educativo. Questo spiega la naturalezza della compenetrazione di idee e di intuizioni.<br />
2) Don Bosco, spirito vigile e aperto ad accogliere in modo critico anche le semplici volgarizzazioni<br />
pedagogiche, purché in coerenza con le proprie scelte di fondo, si inte-<br />
2 G. B. Lemoyne, Valorosi Fratelli p. 6 in Il tempio di Don Bosco sul suo colle natio, n°1, gennaio<br />
1978 p.7<br />
54
Lasalliani e Salesiani: due volti per l’educazione dei giovani QdPD 1 (2011)<br />
ressò di quanto avveniva nell’ambito lasalliano. Senza dubbio fu largo di consigli,<br />
nell’esercizio del ministero sacerdotale, ai giovani allievi, ma certamente fu anche<br />
prodigo di incoraggiamenti e di stimoli per i loro maestri. Questi momenti furono<br />
per lui occasione di un’analisi specifica dell’animo dei giovani che frequentavano la<br />
scuola lasalliana e che costituivano una variazione rispetto alla popolazione dell’Oratorio.<br />
Ciò lo aprì certamente a considerare opportune le due iniziative che caratterizzarono<br />
la sua opera, quella degli Oratori e quella delle Scuole, valutando la<br />
complementare portata degli interventi educativi.<br />
3) Certamente, la specificità dell’attività lasalliana che si limitava come ambito unico<br />
alla scuola, ha posto a Don Bosco degli interrogativi sulla presenza di una pastorale<br />
educativa. Limiti settoriali potevano lasciare fuori o emarginare gli interventi ad una<br />
esclusiva fascia societaria senza raggiungere, nell’attualità del momento storico, coloro<br />
a cui era negata una considerazione positiva della società e l’opportunità di avvicinarsi<br />
al messaggio salvifico del vangelo.<br />
4) Il recupero educativo, che è una costante della pedagogia lasalliana, viene letto da<br />
Don Bosco nella sua autenticità, cioè come apertura alle istanze sociali. Di qui l’intervento,<br />
come già per il La Salle, si integra con un agire che guarda alla società nelle<br />
sue prospettive future, senza richiamarsi alla geometria sociale del passato, come modello<br />
esclusivo di ordine e di valori.”<br />
Fratel Secondino si augurava che la sua silloge, lungi dal dovere essere considerata<br />
esaustiva sull’argomento in quanto si limitava a riferire e ad informare<br />
sui rapporti e le relazioni intercorse tra i Lasalliani e Don Bosco, potesse piuttosto<br />
dare l’avvio a studi più approfonditi sulle questioni di maggiore spessore storico<br />
e pedagogico.<br />
55
Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />
56
La educación cristiana en clave de misión compartida QdPD 1 (2011)<br />
“Los carismas están ordenados a la edificación de la Iglesia,<br />
al bien de los hombres y a las necesidades del mundo...<br />
Los pastores han de reconocer y promover los ministerios,<br />
oficios y funciones de los fieles laicos, que tienen su fundamento<br />
sacramental en el Bautismo y en la Confirmación,<br />
y para muchos de ellos, además, en el Matrimonio”.<br />
La educación cristiana<br />
en clave de misión compartida<br />
LORENZO TÉBAR BELMONTE<br />
(Christifideles Laici 20, 23)<br />
Función trascendente de la educación en nuestra sociedad<br />
La sociedad asigna a las instituciones educativas una función insustituible<br />
para la formación de los ciudadanos, para la transmisión de una identidad cultural<br />
y de unos valores esenciales que orienten sus vidas con sentido, autonomía<br />
y libertad. En una sociedad sumida en profundos cambios y abierta a una transformación<br />
imprevisible, debemos repensar los retos que la misma sociedad plantea<br />
a la Escuela. La competitividad social invade unos cometidos tradicionales<br />
de la educación e impide la realización de otros. Es evidente que los Centros<br />
Educativos no pueden desligarse de su contexto sociocultural, sino que precisan<br />
asumirlo y tratar de transformarlo positivamente.<br />
Por esta razón la Educación se hace insustituible como tarea social, pero de<br />
forma proactiva, preventiva y fundamentadora, que estructure su misión con<br />
visión de futuro. La sociedad globalizada, tecnificada y del conocimiento…,<br />
lanza su envite a la Educación con desafío arrogante. La Escuela se siente aco-<br />
57
Pedagogia e Didattica Lorenzo Tébar Belmonte<br />
sada, 1 no puede ser ni muro de choque, ni flanco abierto, sino crisol y comunidad<br />
responsable que discierne y responde con un Proyecto Educativo coherente a<br />
todos los desafíos.<br />
La Educación “encierra un tesoro” 2 , -podemos parafrasear: La Educación es<br />
en sí misma un inmenso tesoro vital-, y por eso sufre tantas amenazas y secuestros.<br />
Esta es la razón de la oferta plural de propuestas educativas, entre las que<br />
de forma imprescindible se halla la Educación Cristiana.<br />
Ser educador Cristiano hoy<br />
Las Instituciones Educativas, y especialmente los educadores, cruzan mares<br />
agitados, donde los vientos del relativismo hacen navegar sin norte y hacen girar<br />
la brújula enloquecida y confusa a través de “un archipiélago de certezas en un<br />
océano de incertidumbres” 3 . El educador se ve amenazado y suplantado por la<br />
técnica. La sociedad del conocimiento quiere desbancar a quien ha sido hasta<br />
ahora el depositario del saber. Pero se da la paradoja que la misma sociedad<br />
arroja sobre los hombros de los educadores otros cometidos que hacen su labor<br />
más necesaria e imprescindible. Esta invasión de competencias y recursos obligan<br />
a la misma Escuela y al Educador a reflexionar sobre su identidad y sus nuevas<br />
funciones.<br />
Hay que repensar, ante todo, el concepto de Educación, sus dimensiones humanizadoras<br />
y axiológicas, personalizadoras y socializantes, cognitivas y vivenciales.<br />
Quien, al descubrir el impacto transformador de las nuevas tecnologías<br />
dijo que el educador tenía los días contados, seguro que no había pensado en el<br />
mundo de relaciones, afectos, significados, sentido, etc. con los que la máquina<br />
nunca podrá suplir al educador. Las nuevas tecnologías ponen en evidencia unas<br />
tareas imprescindibles y trascendentes que revalorizan la función educativa.<br />
Este cambio estructural de nuestra cultura llega a la escuela. Por todo ello,<br />
necesitamos profundizar en sus consecuencias en nuestras vidas, en la sociedad<br />
de hoy y de mañana, en el nuevo perfil e identidad del educador y de la Escuela<br />
Cristiana. Podemos ahondar en el paradigma mediador que condensa y estruc-<br />
1 Rodríguez Neira, T. en su obra: La cultura contra la escuela, (1999, Barcelona: Ariel) analiza el<br />
panorama hostil de una sociedad neoliberal, positivista, consumista, alienante…, que contradice<br />
y se rebela contra los valores que aporta la Educación.<br />
2 La obra de <strong>De</strong>lors, J.: La Educación encierra un tesoro, (1996, Madrid, MECD-<strong>San</strong>tillana), es un<br />
referente obligado para que todos los educadores conozcan la importancia dada a la Educación<br />
en la construcción de la sociedad del siglo XXI.<br />
3 Las intuiciones de Edgar Morin en su propuesta: Los siete saberes necesarios para la educación<br />
del futuro (1999, Barcelona: Paidós) nos ayudan a descubrir los conocimientos imprescindibles que<br />
pueden guiarnos en las metas educativas de una escuela que otea el horizonte del mañana.<br />
58
La educación cristiana en clave de misión compartida QdPD 1 (2011)<br />
tura todos estos nuevos enfoques profesionales para crear autoestima en los educadores<br />
4 .<br />
Se le pide a la Escuela y a los Educadores redefinir y afirmar su identidad<br />
con signos y compromisos actuales. La calidad de cada Centro Educativo debe<br />
estar reflejada en un P.E. que ofrezca respuestas educativas a las auténticas necesidades<br />
de la juventud de hoy, inspiradas y enraizados en los Valores del<br />
Evangelio.<br />
Pero hay elementos implícitos en el nuevo quehacer educativo en manos no<br />
sólo de individualidades, sino en equipos bien cohesionados. Todo P.E. es una<br />
propuesta y un compromiso de una Comunidad Educativa, con un sistema de<br />
creencias y una propuesta pedagógica innovadora. Si a todo esto le añadimos<br />
un talante cristiano, elevamos el listón de exigencia en el seno de un equipo con<br />
inspiración evangélica.<br />
Al educador hoy se le pide que sea un profesional con todas las cualidades y<br />
valores que adolece nuestro entorno: un superman, un sabio, un santo…<br />
Núcleos de identidad<br />
La opción, o selección, personal tiene pleno sentido, ya que se trata de unir<br />
fuerzas y compromisos, integrar personas y competencias en torno a un Proyecto<br />
con identidad y coherencia, que se ofrece a toda la sociedad.<br />
En este trance chocamos con las diferentes formas de vivir y apreciar cada<br />
Educador su trabajo: Unos como un SIMPLE QUEHACER, un medio o trabajo<br />
para vivir; otros como una aportación de su SABER a la formación de los otros,<br />
y otros asignan a su labor educativa un mayor sentido de trascendencia: ayudar<br />
a descubrir el SENTIDO de la vida y a SER personas libres y autónomas, creyentes…<br />
Este análisis interpela nuestra IDENTIDAD, en sus tres núcleos esenciales:<br />
- Como PERSONAS con una opción personal creyente (o no).<br />
- Como EDUCADORES que asumen su misión educativa con una dimensión<br />
profesional, social y trascendente.<br />
- Como miembros de una COMUNIDAD CREYENTE, eclesial, que es signo,<br />
testigo y referente de fe para los demás.<br />
Muchos educadores no han reflexionado en su identidad sobre estas dimensiones,<br />
que tienen pleno sentido cuando nos implicamos en un proyecto común<br />
que nos liga a otras instituciones o grupos, como es el caso de Congregaciones<br />
Religiosas.<br />
4 L. Tébar (2003): El perfil del profesor mediador. Pedagogía de la mediación. Madrid: <strong>San</strong>tillana,<br />
Aula XXI, 28.<br />
59
Pedagogia e Didattica Lorenzo Tébar Belmonte<br />
Es el momento de descubrir la complementariedad entro lo profesional y lo<br />
vocacional y opcional. Si la coherencia debe presidir toda opción, este mismo<br />
argumento aboga por la selección y el compromiso en torno a un P.E. cristiano.<br />
Se debe exigir una preparación y una dimensión creyente a los educadores para<br />
poder entender este salto en su visión educativa. Por esta razón, sin querer ser<br />
excluyente, sí será selectiva toda formación carismática y eclesial, por exigir unos<br />
principios de opción creyente, que le permitan entender conceptos como carisma,<br />
misión y ministerio, que tienen una honda raíz teológica y bíblica.<br />
¿Qué es y por qué misión compartida (MC)?<br />
La eclosión de la Misión Educativa como una MC ha despertado recelos y<br />
mecanismos de defensa: ¿Ha existido una privacidad misionera en la Iglesia?<br />
¿Por qué se ha excluido a los seglares de una misión docente? Ahora que faltan<br />
vocaciones en la iglesia se acuerdan de los seglares… La Iglesia, Pueblo y Comunidad<br />
de creyentes, ha tomado conciencia de su misión evangelizadora. La<br />
cultura hermética ha privatizado la misión en manos de la Iglesia Jerárquica…<br />
Pero hemos redescubierto que en esa misión tiene puesto todo bautizado, no se<br />
excluye a nadie: “Dios quiere que todos se salven”, “id y enseñad a todos”: Es<br />
exigencia de fe y mandato del Señor. Comunión y Misión se complementan.<br />
La exclusión de los cristianos seglares de la plena responsabilidad en la misión<br />
educativa ha sido un lamentable olvido. Se ha desaprovechado un enorme<br />
potencial estático que hoy debe convertirse en dinámico. El acceso privilegiado<br />
a la formación teológico-bíblica…, ha permitido mantener un distanciamiento<br />
empobrecedor. Tal vez faltaba vivir la angustia de la falta de vocaciones sacerdotales<br />
y religiosas para que el “poder” y el “saber” olviden su monopolio.<br />
Pero ¿a qué misión estamos llamados? La respuesta viene dada desde los carismas<br />
personales e institucionales. Estamos vinculados, como bautizados, a una<br />
misma fe, a una misma familia creyente, pero también con un sello especial, con<br />
unos carismas (predicación, enseñanza, sanidad, caridad, etc.), con los que nos<br />
sentimos vinculados y capacitados para servir.<br />
Características de la misión compartida<br />
La MC es un SIGNO de los tiempos, una etapa nueva e irreversible que nos<br />
une –asocia- en una misma misión educativa eclesial.<br />
<strong>De</strong>sde una perspectiva creyente es una llamada del Espíritu que exige un<br />
cambio de mentalidad y de actitudes respecto de nuestra identidad y misión.<br />
Es una nueva forma de implicación de Religiosos, Sacerdotes y Laicos en una<br />
misma misión que nos concierne por igual desde la perspectiva eclesial. La diversidad<br />
de carismas y la complementariedad de funciones y ministerios es una<br />
60
La educación cristiana en clave de misión compartida QdPD 1 (2011)<br />
enorme riqueza eclesial al servicio de la humanidad.<br />
La MC no debe suponer mezcla confusa de identidades y absorción del<br />
más débil por la prepotencia de los fuertes. Cada vocación en la Iglesia está<br />
orientada al bien común y a la unidad (1 Cor. 12, 11). Las nuevas estructuras deben<br />
garantizar plenamente derechos y deberes en respeto y comunión.<br />
La MC es una nueva realidad, una nueva forma de trabajar, planificar y<br />
comprometerse entre iguales, entre hermanos y hermanas, en familia. Esta nueva<br />
época no pide madurez y clarificación en las funciones y responsabilidades, que<br />
no se improvisan.<br />
La educación cristiana: misión y ministerio<br />
El Concilio Vaticano II subrayó la dimensión comunitaria y misionera de la<br />
Iglesia. Esta tensión se percibe en el Documento que sintetiza el Sínodo de los<br />
Laicos: Christifideles Laici: “La comunión y misión están profundamente unidas entre<br />
sí, se compenetran y se implican mutuamente, hasta tal punto que la comunión representa<br />
a la vez la fuente y el fruto de la misión: la comunión es misionera y la misión es<br />
para la comunión” (ChL, 32, 4).<br />
<strong>De</strong> modo que el papel de los laicos en la misión evangelizadora de la Iglesia<br />
tiene aquí su explicación y debe ser entendida desde esta dimensión: “Sólo desde<br />
la Iglesia como misterio de comunión se revela la “identidad” de los fieles laicos, su original<br />
dignidad. Y sólo dentro de esta dignidad se pueden definir su vocación y misión<br />
en la iglesia y en el mundo” (Ch.L. 8).<br />
A través de la integración de estos elementos (personal, creyente, eclesial)<br />
surge la dimensión MINISTERIAL de nuestra misión eclesial: Nuestro trabajo<br />
adquiere una proyección trascendente y evangelizadora, que nos compromete<br />
y nos asocia a cuantos compartimos la misma fe. ¿Dónde está la raíz de este nuevo<br />
enfoque?: En nuestro Bautismo, en nuestra opción de Creyentes.<br />
El enfoque eclesial cambia sólo si nos sentimos Comunidad, Pueblo integrado<br />
por la fe en Jesús, y tendrá sentido nuestra MISIÓN COMPARTIDA DENTRO<br />
DE UNA COMUNIDAD CREYENTE. Este es el salto mortal que sólo puede exigirse<br />
al que tiene esta dimensión de fe.<br />
El sentido eclesial de nuestra Misión radica en contemplarnos como Comunidad<br />
Eclesial y exige tener sentido vocacional; con participación en la Comunión<br />
Eclesial y con responsabilidad en la evangelización de la cultura como Misión.<br />
El EDUCADOR CRISTIANO está invitado a un ITINERARIO para descubrir<br />
esta dimensión de su vida a través de la FE, en tres etapas:<br />
• <strong>De</strong>scubrir al otro como llamada, aceptarlo y darnos a él por amor.<br />
• Reunirse a otros creyentes para responder en Comunidad.<br />
• Comprometerse con un PE de calidad, inspirado en el Evangelio.<br />
61
Pedagogia e Didattica Lorenzo Tébar Belmonte<br />
Retos del futuro<br />
Es necesario un proceso de Formación integral de los Educadores que contemple<br />
esta dimensión para la Misión. Hay que dar respuestas a las Necesidades<br />
de nuestros Educandos -y nuestras- en la perspectiva de MC.<br />
El Colegio es una Comunidad en constante formación.<br />
La MC es una oportunidad de unidad para comprometernos en un Proyecto<br />
Evangelizador.<br />
Las instituciones tienen un desafío urgente e inaplazable, pero cargado de<br />
enormes esperanzas. Es hora de empezar, sin recelos ni prejuicios. Es cuestión<br />
de mutua confianza, mutua conversión y compromiso. La MC es nuestra tarea<br />
prioritaria ya, pues la formación no se improvisa. Es hora de conocer y de compartir<br />
los carismas: abrir un tesoro que desborda las Instituciones.<br />
62
“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />
“La poesia è testimonianza d’Iddio”<br />
(G. Ungaretti)<br />
ANDREA TESTA<br />
Discipline coinvolte: Italiano, Religione<br />
<strong>De</strong>stinatari: III Liceo Classico – V Liceo Scientifico<br />
Prerequisiti: conoscenza delle linee essenziali della poesia del primo Novecento<br />
in Italia e della biografia di G. Ungaretti, con particolare riferimento alla sua formazione<br />
letteraria.<br />
Testi e contenuti<br />
• G. Ungaretti, Fratelli (da L’Allegria): la fraternità degli uomini nella sofferenza<br />
e nella precarietà della guerra;<br />
• G. Ungaretti, I fiumi (da L’Allegria): la propria identità attraverso le acque<br />
dei fiumi frequentati e amati in momenti diversi della vita;<br />
• G. Ungaretti, Preghiera (da L’Allegria): la chiarezza nell’orientamento della<br />
propria vita, il sollievo da ogni peso, la preghiera di immersione in una<br />
nuova nascita;<br />
63
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
• G. Ungaretti, Fine di Crono (da Sentimento del tempo): la fine del mondo, gli<br />
astri in vita fino all’abbraccio del Signore, al loro annullamento in Lui, alla<br />
realizzazione della quiete assoluta;<br />
• G. Ungaretti, La madre (da Sentimento del tempo): l’intercessione della madre<br />
defunta per l’assoluzione del figlio, il perdono di Dio, lo sguardo sospiroso<br />
verso il poeta;<br />
• G. Ungaretti, La preghiera (da Sentimento del tempo): le mistificazioni e la megalomania<br />
dell’uomo, il peso dell’esistenza, l’invocazione a Dio fatto uomo<br />
che torni ad essere fonte di amore purificante per anime unite in eterno;<br />
• G. Ungaretti, Mio fiume anche tu (da Il Dolore): il Tevere nuovo fiume del<br />
poeta; il dramma della guerra per intere famiglie, l’uomo uccisore del fratello<br />
nei lamenti e nelle grida dei sopravvissuti; l’eco dell’innocenza sommersa,<br />
eppur viva, nei cuori più duri; Cristo amore fecondo incarnato e<br />
immolato, fratello di chi soffre, artefice della riedificazione dell’umanità,<br />
liberatore dei morti, sostegno dei vivi.<br />
A supporto<br />
• G. Ungaretti, Ragioni d’una poesia (passim, in fotocopia): la poesia come protagonista<br />
di una missione religiosa, testimonianza di Dio anche nella bestemmia;<br />
il poeta indagatore dell’invisibile;<br />
• G. Ungaretti, Note in Vita d’un uomo (in fotocopia);<br />
• L. Piccioni, Prefazione a “Vita d’un uomo” (passim, in fotocopia): il tema della<br />
guerra, fonte di un canto corale che si trasforma in preghiera.<br />
Strategia didattica<br />
• lezione frontale: lettura integrale dei testi scelti; analisi e commento.<br />
• lezione interattiva.<br />
Strumenti<br />
• manuale di letteratura italiana in adozione.<br />
• fotocopie.<br />
• dizionario di italiano.<br />
• lavagna.<br />
Obiettivi didattici<br />
• saper collocare correttamente la poesia e la poetica di Ungaretti nello scenario<br />
della letteratura italiana di inizio Novecento.<br />
• saper individuare i temi presenti nelle liriche studiate, la loro successione<br />
nelle singole raccolte, gli elementi di continuità e di discontinuità.<br />
• saper cogliere le caratteristiche della religiosità ungarettiana.<br />
64
“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />
Obiettivi educativi<br />
• saper fare luce sulle radici della fraternità universale degli uomini.<br />
• saperla riconoscere nella propria vita.<br />
• saper apprezzare il valore della preghiera a Dio.<br />
Verifica<br />
• Saggio breve o articolo di giornale di ambito artistico-letterario sulla base<br />
dei testi esaminati e di approfondimenti intertestuali e critici.<br />
Durata<br />
• 7 ore (4 ore di lezione; 2 di verifica; una di consegna).<br />
Premessa<br />
L’unità didattica è progettata all’interno delle lezioni curricolari di Italiano<br />
del quinto anno dei corsi liceali classico e scientifico e ne costituisce un percorso<br />
tematico di approfondimento riguardo alla religiosità cristiana presente nella<br />
poesia ungarettiana. Le lezioni precedenti avranno disegnato il quadro variegato<br />
della letteratura italiana all’inizio del XX secolo, dagli ultimi echi del <strong>De</strong>cadentismo<br />
alla poesia futurista e crepuscolare, dall’originalità poetica di Saba allo<br />
sperimentalismo narrativo di Pirandello, fornendo anche i tratti essenziali della<br />
biografia di Ungaretti e dell’influenza esercitata su di lui dalle idee e dalle opere<br />
di Mallarmé, Marinetti, Bergson. I contenuti, per la loro specificità, si prestano<br />
peraltro a utili approfondimenti nelle lezioni di Religione, consentendo così la<br />
riflessione e il dibattito sui temi universali della dignità umana, del senso del<br />
dolore e della preghiera, del dubbio nella fede.<br />
Scansione e sviluppo delle lezioni<br />
I Lezione – L’uomo e la sua identità<br />
La lezione introduce alla poetica di Ungaretti tramite le sue stesse dichiarazioni.<br />
La parola, sottratta al segreto dell’anima, tende a colmarsi di mistero e si<br />
manifesta nella sua purezza originaria. Il poeta moderno cerca contatti di immagini<br />
lontane, “senza fili” (chiaro il riferimento all’invenzione della radio da<br />
parte di G. Marconi). Egli esemplifica l’uomo che “vuole salire dall’inferno a Dio” 1 ,<br />
perché più sono distanti le immagini, maggiore sarà la poesia. Dunque il Novecento<br />
è un secolo di missione religiosa per il poeta, tenuto conto dell’enorme sofferenza<br />
da cui si sente circondato; in realtà, secondo Ungaretti, da Petrarca in<br />
1 Cfr. G.Ungaretti, Ragioni d’una poesia, in Vita d’un uomo, Milano 1969, p. LXXX.<br />
65
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
poi la poesia è sempre stata religiosa, anche contro le sue intenzioni. “Oggi il<br />
poeta sa e risolutamente afferma che la poesia è testimonianza d’Iddio, anche quando è<br />
una bestemmia. Oggi il poeta è tornato a sapere, ad avere gli occhi per vedere e, deliberatamente,<br />
vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile” 2 . La citazione è illuminante.<br />
Segue la presentazione della raccolta L’Allegria e la lettura di Fratelli, inserita<br />
nella sezione del Porto sepolto. Il verso è libero, il titolo parte integrante del componimento,<br />
figurano versi costituiti da una sola parola (l’ultimo, ad esempio,<br />
verso e strofa al contempo), le strofe sono brevissime, le frasi nominali, la punteggiatura<br />
pressoché assente, gli enjambements numerosi. Il luogo e la data (Mariano<br />
il 15 luglio 1916) rivelano che il contesto è quello del fronte durante il primo<br />
conflitto mondiale. È notte e si incontrano due contingenti di soldati. Fratelli (v.<br />
2) è la parola tremante (v. 3). I ragazzi apprenderanno il processo di scarnificazione<br />
del verso, la nudità della parola tramite il confronto con una precedente<br />
stesura. Fratelli è anche una parola fragile e tenera nella notte come una fogliolina<br />
appena germogliata (v. 5). Nell’atmosfera tesa della guerra, nell’aria sofferente<br />
(v. 6 spasimante, quasi partecipe anch’essa della condizione umana) l’uomo involontariamente<br />
si ribella alla logica della contrapposizione, riconoscendo nell’altro<br />
il proprio fratello, unito a lui dallo stesso stato di vita 3 . È palese la<br />
circolarità della lirica, in un abbraccio fraterno di chiara ispirazione evangelica.<br />
I fiumi è una lirica lunga e narrativa, a differenza delle altre coeve, ma presenta<br />
le stesse caratteristiche formali, in termini di frequenza di enjambements e<br />
assenza di punteggiatura, tipiche dell’Allegria. Il poeta e la sua poesia prendono<br />
chiara coscienza di sé passando in rassegna i fiumi che hanno segnato un’esistenza.<br />
Di notte, sul margine di una dolina, nell’altopiano carsico, il 16 agosto<br />
1916 Ungaretti ricorda di essersi immerso nelle acque dell’Isonzo e di essersi lasciato<br />
levigare come un sasso (vv. 14-15) da esse. Poi si è rialzato e ha camminato<br />
sul greto scivoloso, mantenendo l’equilibrio come un acrobata, ha preso un<br />
bagno di sole e si è sentito con leggerezza una particella del creato, in piena armonia<br />
con esso, provando una rara felicità, accarezzato e attraversato dalle mani<br />
nascoste e misteriose della natura, capaci di filtrare nel suo intimo. Quindi ha<br />
ripercorso le epoche (v. 43) della sua vita, di fiume in fiume, dal Serchio al Nilo,<br />
dalla Senna allo stesso Isonzo. Convinto che l’esperienza poetica consente di<br />
esplorare “un personale continente d’inferno” e che l’atto poetico provoca la percezione<br />
che “solo in poesia si può cercare e trovare libertà” 4 , nei Fiumi l’acqua, tradizionalmente<br />
simbolo della vita, si carica di ulteriori significati. L’immersione ha<br />
un valore rituale, che richiama il battesimo; il lavacro trasforma il fiume in<br />
2 Cfr. n. prec.<br />
3 Cfr. G.Ungaretti, Note – L’Allegria, in Vita d’un uomo, op. cit., pp. 520-521: “Nella mia poesia<br />
non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della<br />
fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione”.<br />
4 Cfr. G.Ungaretti, Note – L’Allegria, op. cit., pp. 505; 517.<br />
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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />
un’urna (v. 10) che accoglie la reliquia (v. 11) del corpo (si tratta di una discesa<br />
agli inferi, di una morte simbolica). È il procedimento tipico dell’analogia, che<br />
fa uso del linguaggio liturgico e religioso, conferendo sacralità alla situazione.<br />
L’acqua scorre e trasforma il corpo del poeta in un sasso, uniformandolo così alla<br />
realtà minerale della natura. Il corpo è scarnificato (le mie quattr’ossa, v. 17), ma<br />
può riemergere come rinato e liberato. S’innesta qui il motivo cristologico dell’acrobata<br />
sull’acqua (vv. 19-20), che richiama il miracolo di Cristo. Illuminato e<br />
riscaldato dal sole, il poeta conquista la propria identità, sentendosi intimamente<br />
partecipe della vita dell’universo e vibrando all’unisono con esso. In questa armonia,<br />
in questa sensazione di pienezza consiste la sua felicità. E la poesia, se<br />
vuole essere pienamente se stessa, ha il compito di cogliere questi rari istanti, rivelando<br />
la percezione di una segreta simbiosi con il mistero e l’inconoscibile.<br />
Una scheda riepilogativa dei procedimenti formali adottati da Ungaretti sarà<br />
l’assegno per casa.<br />
II Lezione – Direzione e termine della vita<br />
I motivi del viaggio, del naufragio e della ricerca religiosa si richiamano analogicamente<br />
tra loro in alcune liriche dell’Allegria. In Preghiera, lirica conclusiva<br />
della raccolta con trasparente riferimento alla canzone Alla Vergine di F. Petrarca<br />
che chiude il Canzoniere, il poeta chiede al Signore di poter naufragare nell’alba<br />
del giorno in cui avrà compreso chiaramente l’orientamento da dare alla propria<br />
vita, finalmente libero da contatti ingannevoli contingenti (barbaglio della promiscuità,<br />
v. 2) 5 e sollevato da ogni senso di oppressione (v. 4). Per lui si tratterà di<br />
una rinascita (giovane giorno, v.6) in un mondo di nitore e stupore (v. 3). Tre<br />
strofe, versi liberi, assenza di punteggiatura, enjambements.<br />
La seconda fase d’esperienza umana di Ungaretti coincide con la raccolta poetica<br />
Sentimento del tempo. Se ne darà informazione riguardo alla cronologia e alla<br />
struttura, insistendo sulla nuova concezione del tempo rispetto all’Allegria. All’attimo<br />
della ‘folgorazione’, all’istante in cui si manifesta il mistero della vita<br />
succede il tempo avvertito come durata, come causa del mutamento, di distruzione<br />
e rinascita. Nella sezione centrale figura Fine di Crono, lirica del 1925 che<br />
dà il nome alla sezione stessa e rappresenta una “fantasia della fine del mondo. Gli<br />
astri, ‘Penelopi innumeri’, filano la vita finché il loro Signore, il loro Ulisse ritorni ad<br />
abbracciarli, ad annullarli in sé. Tornerà poi l’Olimpo, la quiete assoluta, il non esistere<br />
più” 6 . Un ulissismo particolare, astrale, lega in analogia i vv. 7-8; 11. Il fiore eterno<br />
di sonno (v. 12) simboleggia il dono divino dell’eternità, che l’uomo può raggiungere<br />
solo dopo la morte. I ragazzi noteranno la presenza della punteggiatura e<br />
5 Cfr. G.Ungaretti, Note – L’Allegria, op. cit., p. 527.<br />
6 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, in Vita d’un uomo, p. 537.<br />
67
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
l’uso sistematico del verbo, segnali di un progressivo ritorno alla sintassi tradizionale.<br />
III Lezione – L’àncora della preghiera<br />
La madre (1930) è una poesia della sezione Leggende di Sentimento del tempo,<br />
nella quale Ungaretti rievoca persone, eventi o luoghi amati attraverso immagini<br />
in sequenza che ne costruiscono una rappresentazione mitica, con l’intento di<br />
prolungarne la memoria. Protagonista centrale è la madre ormai defunta. Il<br />
poeta immagina che ella lo conduca per mano davanti a Dio e s’inginocchi al<br />
suo cospetto per fargli ottenere l’assoluzione. Solo quando Dio gliela avrà concessa,<br />
tornerà a guardare in volto il figlio, con un breve sospiro, felice di averlo<br />
avvicinato alla gloria divina. Lei è l’amore che supera la morte, è la fede incrollabile.<br />
La versificazione tradizionale è quasi del tutto ripristinata, con una struttura<br />
compositiva di due quartine, una terzina e due distici e l’alternanza di<br />
endecasillabi e settenari; la sintassi proposizionale è sorretta sempre dal verbo<br />
e gli enjambements sono assenti. Una volta spentasi l’eco dell’ultimo battito del<br />
cuore, estremo diaframma tra il poeta e l’oltretomba (il muro d’ombra, v. 2), egli<br />
si ricongiunge alla Madre (va osservata l’iniziale maiuscola, che mitizza la figura<br />
materna), che intercede per lui, assorta e immobile (come una statua, v. 6) nella<br />
preghiera. L’arcaismo vedeva (prima persona singolare) è un’ulteriore traccia<br />
della volontà di recuperare una forma in sintonia con la tradizione. Lo sperimentalismo<br />
dell’Allegria ha avuto la funzione di far rinascere ex novo nel Sentimento<br />
del tempo il verso italico consacrato da secoli di pratica, restituendogli<br />
freschezza e purezza.<br />
Il problema religioso è posto al centro degli Inni7 , altra sezione di Sentimento<br />
del tempo, in particolare nella poesia La preghiera, datata 1928. Ungaretti è rammaricato<br />
al pensiero che il mondo fosse pieno di dolcezza solo prima della comparsa<br />
dell’uomo8 . Sono stati i suoi peccati di autodeificazione e di desiderio di<br />
immortalità in questa vita a inasprirlo, autoinganni diabolici che hanno gravato<br />
7 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., p. 541: “Gl’ ’Inni’ (…) esprimono una crisi<br />
religiosa, veramente patita, da milioni d’uomini e da me, in uno degli anni più oscuri del dopoguerra (…)”.<br />
A tal proposito ricorda L. Piccioni, Prefazione a “Vita d’un uomo”, op. cit., p. XXXVIII: “«Nel 1928»<br />
ricorda il poeta «dal Monastero di Subiaco…d’improvviso seppi che la parola dell’anno liturgico mi si era<br />
fatta vicina nell’anima: in quei tempi mi sarebbero nati gli ‘Inni’». Aveva anche detto che la sua poesia<br />
«stava per non accorgersi più di paesaggi, stava per accorgersi invece con estrema inquietudine, perplessità,<br />
angoscia, spavento, della sorte dell’uomo»”. A titolo di esempio valga la poesia Dannazione : “Anima<br />
da fionda e da terrori / Perché non ti raccatta / La mano ferma del Signore? (…) Tu non mi guardi più, Signore…”(vv.<br />
4-6; 15).<br />
8 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., pp. 535-536: “Nel ‘Sentimento del tempo’,<br />
come in qualsiasi altro momento della mia poesia sino ad oggi, quest’uomo ch’io sono, prigioniero nella sua<br />
propria libertà, poiché come ogni altro essere vivente è colpito dall’espiazione d’un’oscura colpa, non ha potuto<br />
non fare sorgere la presenza d’un sogno d’innocenza. Di innocenza preadamitica, quella dell’universo<br />
prima dell’uomo”.<br />
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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />
sulla sua esistenza, costringendolo a trascinarsi. Al Signore è rivolta una preghiera<br />
accorata: un nuovo patto d’alleanza tra l’Eterno e la temporalità umana,<br />
il dono della serenità per i suoi figli, l’aiuto per l’uomo a sentire la solidarietà<br />
profonda e l’amore purificante di un Dio incarnato e redentore nella sofferenza,<br />
il lieto annuncio della comunione delle anime finalmente immortali in Dio<br />
stesso. Afferma il poeta:”Certo, e in modo naturale, la mia poesia, interamente, sino<br />
da principio, è poesia di fondo religioso. Avevo sempre meditato sui problemi dell’uomo<br />
e del suo rapporto con l’eterno, sui problemi dell’effimero e sui problemi della storia.<br />
Sono tornato, in seguito alla crisi tanto grave nella quale ci dibattiamo, sono tornato, in<br />
seguito, a meditare con maggiore profondità sugli stessi problemi” 9 . Si susseguono liberamente<br />
distici, quartine, terzine, versi singoli, ma non troviamo più frasi nominali;<br />
i segni di interpunzione sono usati con regolarità, gli enjambements rari 10 .<br />
L’assegno per casa prevederà la costruzione di una scheda sui procedimenti formali<br />
delle poesie di Sentimento del tempo prese in esame da affiancare a quella<br />
sull’Allegria (cfr. I lezione).<br />
IV Lezione – L’innocenza, la colpa, la redenzione<br />
Viene presentata la raccolta Il Dolore (cronologia, spiegazione del titolo, struttura),<br />
che esprime il tormento personale (la morte del fratello e del figlio di nove<br />
anni) e collettivo (la guerra). Ungaretti prende coscienza della morte, ne è sconvolto<br />
e non fornisce note di chiarimento ai testi per custodire fino in fondo la<br />
propria intimità segnata dal dolore 11 . La sezione Roma occupata (1943-1944) ritrae<br />
invece la tragedia dell’Italia intera, con immagini strazianti di guerra dai tratti<br />
apocalittici, alle quali si contrappone la supplica della fede in Cristo o la richiesta<br />
di una indispensabile e urgente solidarietà tra gli uomini, pena la fine della loro<br />
civiltà. Si procede con la presentazione, la lettura, la parafrasi e il commento analitico<br />
di Mio fiume anche tu. Il componimento è esteso, suddiviso in tre strofe di<br />
diversa ampiezza. Il Tevere va ad aggiungersi ai fiumi costruttori dell’identità<br />
del poeta (cfr. I fiumi, I lezione), nel corso di una notte attraversata dai gemiti<br />
nelle strade pervase di terrore per un male atteso e insieme imprevedibile. I singhiozzi<br />
diventano rantoli, le case tane insicure, gli uomini si abbandonano all’ira<br />
fratricida. Ungaretti confessa la blasfemia del proprio sconforto, sopraffatto dal<br />
senso di abbandono in un attimo di riflessione («Cristo, pensoso palpito, / Perché<br />
la Tua bontà / S’è tanto allontanata?», vv. 26-28 – fine I strofa). Nella desolazione<br />
urbana la lacerazione degli sfollati lascia il posto alla stolta ingiustizia dei de-<br />
9 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., p. 533.<br />
10 Cfr. G. Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., p. 541, a proposito della raccolta nel<br />
suo insieme: “Dal lato strettamente tecnico, il mio primo sforzo è stato quello di ritrovare la naturalezza<br />
e la profondità e il ritmo nel senso d’ogni singola parola; ho ora cercato di trovare una coincidenza fra la nostra<br />
metrica tradizionale e le necessità espressive d’oggi”.<br />
11 Cfr. G.Ungaretti, Il Dolore, in Vita d’un uomo, op. cit., p. 543.<br />
69
Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
portati, mentre l’uomo, insensibile al grido di pietà pietrificato sul volto del fratello,<br />
lo dilania, immemore della sua somiglianza con un Dio incarnato. Ma<br />
anche il cuore più indurito avverte un’eco di innocenza (pausa nella II strofa). Il<br />
poeta ora vede con chiarezza nella notte (vv. 46-47), ossia impara che l’inferno<br />
terreno è commisurato al grado di allontanamento folle dell’uomo dalla purezza<br />
offerta dalla passione di Cristo (fine II strofa). Il cuore di Gesù è piagato dal cumulo<br />
di dolore che l’uomo diffonde sulla terra, ma è anche l’unica origine di un<br />
amore fecondo (vv. 52-56). Cristo, sorgente di meditazione rivelatrice (pensoso<br />
palpito, vv. 26; 57), luce fatta carne per rischiarare la notte dell’uomo è il fratello<br />
quotidianamente crocifisso, che sacrifica se stesso per la rifondazione dell’umanità<br />
secondo la sua vera e piena dignità (vv. 57-63). Il <strong>San</strong>to che santifica la sofferenza,<br />
il Maestro e il Dio consapevole delle nostre umane debolezze, il<br />
liberatore dalla morte e il sostegno dei vivi infelici (vv. 64-67). Il poeta lo invoca<br />
con forza, il suo è un pianto universale innalzato a lui con un triplice appellativo<br />
liturgico (<strong>San</strong>to, / <strong>San</strong>to, <strong>San</strong>to, vv. 68-69; fine III strofa). Al ritmo della sequenza<br />
liturgica rimandano anche le numerose anafore (Ora…Ora…, vv. 2-3; 18; 20; 22;<br />
24; Vedo ora…Vedo ora, vv. 46-47) e l’occorrenza di versi identici (<strong>San</strong>to, <strong>San</strong>to che<br />
soffri, vv. 62; 64; 69). Siamo in presenza di un lirismo carico di significati spirituali<br />
e simbolici, ma anche intelligibili, nonostante alcune anastrofi e inarcature di<br />
verso (vv. 3-6; 13-17; 36-41). Una scheda sui procedimenti stilistici di questo componimento<br />
consentirà agli studenti di completare il quadro sinottico esemplificativo<br />
delle tre raccolte fin qui realizzato.<br />
Conclusioni<br />
Risulta di grande evidenza la religiosità cristiana complessa e problematica<br />
di Ungaretti. Egli riconosce nell’uomo il proprio fratello e ciò lo spinge ad una<br />
naturale solidarietà. Afferma la condizione di figli di Dio per tutti gli uomini e<br />
crede nell’opera salvifica di Cristo attraverso il sacrificio della croce. Tuttavia<br />
alla chiarezza delle convinzioni di fede si affianca e, talora, si oppone il tormento<br />
e l’angoscia per una condizione di dolore apparentemente senza via d’uscita,<br />
per un senso di colpa e di peccato che sembra gravare sull’uomo rendendolo irredimibile,<br />
per la percezione di una lontananza dell’Eterno dal triste, violento,<br />
fratricida, falso e ingannevole mondo umano che ha deturpato la purezza edenica<br />
primigenia. L’unica speranza resta Cristo, che da uomo ha condiviso la sofferenza<br />
dei suoi fratelli, riscattandola con la propria immolazione. A lui si<br />
aggrappa il poeta per sperare in un recupero dell’innocenza, in una rinascita<br />
dell’umanità finalmente all’altezza della propria dignità, in un approdo finale<br />
all’eternità dell’unione con Dio. Alla poesia spetta il compito di cogliere gli<br />
istanti rivelatori dell’intima armonia presente tra il contingente sensibile e il mistero<br />
divino, di essere orante e missionaria in un secolo in cui l’uomo, distruggendo<br />
la propria identità creaturale, ha smarrito se stesso.<br />
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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />
Bibliografia<br />
ANCESCHI L., Le poetiche del Novecento in Italia, Paravia, Torino 1972.<br />
DEBENEDETTI G., Ungaretti, in Poesia italiana del Novecento, Garzanti, Milano 1974.<br />
LUTI G., Invito alla lettura di <strong>Giuseppe</strong> Ungaretti, Mursia, Milano 1974.<br />
UNGARETTI G., Vita d’un uomo. Saggi e interventi, (a c. di M. Diacono e L. Rebay),<br />
Mondadori, Milano 1974.<br />
UNGARETTI G., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, (a c. di L. Piccioni), Mondadori, Milano<br />
1969.<br />
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Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />
72
Vestire la missione lasalliana: documenti e testimonianze QdPD 1 (2011)<br />
Le seguenti parole di un associato lasalliano impegnato sono<br />
la testimonianza di un sincero discernimento vocazionale per la missione:<br />
“Sono Lasalliano. Sono Lasalliano 24 ore al giorno – nel mio lavoro, nella mia famiglia,<br />
quando prego. I valori che possiedo, la persona che cerco di essere, il lavoro che svolgo<br />
e le relazioni che vivo, li vivo totalmente in questo contesto. Per il fatto che sono Lasalliano<br />
io trovo Dio ed è lì che sono chiamato a vivere il più fedelmente possibile i valori del vangelo”.<br />
(Regione PARC) (Circ. 461, p. 45)<br />
Vestire la missione lasalliana:<br />
documenti e testimonianze<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Le prospettive di una nuova fratenità ministeriale<br />
“Cristo interrompe oggi il nostro cammino lasalliano per darci un nuovo<br />
mandato: esplorare con fede e zelo strade non ancora percorse”. (I.2)<br />
Questo è l’incipit folgorante con cui il Superiore Generale Fratel Alvaro e il<br />
Consiglio Generale dell’<strong>Istituto</strong> si rivolgono “ai Fratelli e a chi vive la Missione<br />
Lasalliana” tramite la Circolare 461 Associati per la Missione Lasalliana… un atto<br />
di speranza; una circolare che non pretende di essere esaustiva, non vuole dire<br />
l’ultima parola sull’Associazione e che non è neanche un documento normativo;<br />
piuttosto vuole essere “uno stimolo ad operare con sempre maggiore fede e zelo<br />
nella missione”. L’intento è ampiamente dichiarato a pagina otto: “In questa circolare<br />
noi vogliamo evidenziare gli aspetti essenziali dell’associazione lasalliana<br />
esaminando come viene vissuta, definendone i termini propri e discernendo le<br />
sue linee direttrici”. (I.7) Il documento, scritto per tutti i Lasalliani e non soltanto<br />
per i membri dell’<strong>Istituto</strong> (cfr. 5.8), si articola in sette capitoli in cui si analizzano<br />
i modi di intendere oggi il concetto di associazione (cosa significa essere<br />
associato alla missione lasalliana, appartenere alla famiglia lasalliana) nelle diverse<br />
realtà locali, regionali e mondiali: argomenti per i quali vengono proposti<br />
suggerimenti concreti che incoraggiano riflessioni approfondite.<br />
73
Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />
Punto di partenza sono stati i dati raccolti dalla recente Indagine della Associazione<br />
Lasalliana (2008 – 2009) che testimoniano le diverse realtà associative dei<br />
Distretti che rappresentano le Regioni dell’<strong>Istituto</strong>. Il Consiglio Generale ribadisce<br />
la consapevolezza che l’ <strong>Istituto</strong> sta vivendo un momento nuovo della sua<br />
storia, momento che richiede una risposta nuova; pure restando saldamente legati<br />
alla storia della fondazione è necessario comprendere che ciò che era vero<br />
per il passato oggi deve essere sfumato dalla vitalità della missione lasalliana.<br />
(I.17) Allo stesso modo in cui per il Fondatore ed i primi Fratelli l’Associazione<br />
è la risposta stabile ad una crisi strutturale (l’emergenza educativa di tre secoli<br />
fa) con la quale essi hanno dovuto confrontarsi animati da fede e speranza per<br />
l’avvenire, così oggi nel contesto attuale, completamente diverso, si ritrovano<br />
gli stessi fattori presenti agli inizi della Società delle Scuole Cristiane: 1) crisi/crocevia<br />
e 2) fede/speranza nell’avvenire. (1.11)<br />
“Oggi più che mai la chiamata è rivolta a tutti i lasalliani per assicurare<br />
l’avvenire della Missione.” (2.7)<br />
Il Capitolo Generale del 2007 ha evidenziato che nella vocazione del Fratello<br />
l’associazione è il primo voto che dà un senso agli altri voti ed esso è per i Fratelli<br />
motivo di fierezza che rende più forte il legame tra di loro all’interno del corpo<br />
stabile dell’<strong>Istituto</strong>. Pure sono molti i laici che, ispirati dalla vita e dal messaggio<br />
del Fondatore, già partecipano alla missione educativa lasalliana; costoro impegnandosi<br />
quotidianamente e frequentando anche programmi di formazione vivono<br />
l’esperienza spirituale di condivisione del carisma educativo che caratterizza<br />
l’<strong>Istituto</strong>. La Circolare 461 pone in evidenza anche una evoluzione del vocabolario<br />
dell’<strong>Istituto</strong> che sottolinea con efficacia uno sviluppo nel tempo di questa<br />
tendenza: a cominciare dal capitolo generale del 1986 (Famiglia Lasalliana),<br />
per proseguire con il capitolo generale del 1993 (Missione condivisa) e concludere<br />
con il Capitolo generale del 2000 (Associazione). Essere Associato per la Missione<br />
significa partecipare ad una identità lasalliana comune e sentire la corresponsabilità<br />
della missione intrapresa tenendo sempre bene a mente che gli educatori<br />
lasalliani, nel loro associarsi, assumono un impegno particolare per il servizio<br />
educativo dei poveri, per l’educazione alla giustizia e per l’evangelizzazione.<br />
(2.2.3) L’Associazione è dunque una risposta vocazionale a Dio, è una conversione<br />
progressiva, è un dono concesso e non uno status acquisito. Nella tradizione<br />
lasalliana la parola “associazione” ha in aggiunta una connotazione mistica che<br />
oltrepassa il semplice significato del dizionario: essa è l’espressione del legame<br />
che unisce quanti sono impegnati nella Missione Lasalliana, cioè quanti se ne<br />
considerano responsabili e contribuiscono attivamente alla sua vitalità. (4.10)<br />
Lo Spirito <strong>San</strong>to tessitore dell’avvenire collettivo … un atto di speranza.<br />
L’impegno di fondo dichiarato dagli estensori della Circolare 461 che mette<br />
a fuoco lo status quaestionis dell’Associazione per la Missione è il seguente: “di-<br />
74
Vestire la missione lasalliana: documenti e testimonianze QdPD 1 (2011)<br />
scernere insieme in che maniera tutte le risposte vocazionali possano tessere una<br />
tunica senza cuciture di Associazione per la Missione Lasalliana”. (I.12) Il discernimento<br />
deve innanzitutto tenere conto di due possibili estremismi da evitare:<br />
uno è quello della esistenza di centri in cui i Fratelli sono numerosi e occupano<br />
tutte le mansioni direttive; l’altro è quello invece dove i Fratelli sono poco<br />
numerosi e lontani da ciò che riguarda la missione e si limitano a vivere in qualità<br />
di testimoni di un gentile e muto segno di consacrazione. L’avvenire collettivo<br />
della Missione dovrà collocarsi in qualche modo tra le due parti. (1.16) La<br />
storia dell’<strong>Istituto</strong> che incarna il carisma lasalliano è una narrazione che continua<br />
ancora oggi ed è intessuta, nella trama e nell’ordito, con le vite di chi partecipa<br />
alla costruzione di una identità spirituale collettiva: queste vite sono il filo che,<br />
intrecciato dallo Spirito <strong>San</strong>to, diventa tessuto della storia di salvezza. E’ certamente<br />
una metafora molto suggestiva questa della tessitura (textus) della narrazione<br />
della storia dell’identità lasalliana e suggerisce che, nelle prospettive attuali,<br />
alla trama possa corrispondere l’opera dei Fratelli e all’ordito quella degli<br />
Associati che se ne dimostrano degni. (cfr. A.Tornatora, Consapevoli della Missione,<br />
in QdPD N°4 p.112)<br />
Le sfide aperte dalla avventura di quella che viene definita missione condivisa<br />
richiedono ai Fratelli, oggi più che mai rispetto al passato, di essere “cuore, memoria<br />
e garanzia del carisma lasalliano” (Circ. 435 p.16); essi non possono limitarsi<br />
a restare semplicemente “immagini” edificanti, piuttosto è necessario che<br />
siano autentici segni di testimonianza rappresentando il significato profondo<br />
della gratuità come libero dono di sé senza attesa di ricompensa. I Fratelli infatti<br />
hanno risposto alla chiamata di Dio in maniera totale e definitiva, incondizionata<br />
ed appassionata nell’unica missione di servizio educativo per “l’educazione umana<br />
e cristiana dei giovani e specialmente dei poveri”. Essi, in quanto laici consacrati,<br />
hanno risposto alla chiamata di Dio vivendo il vangelo in modo radicale e impegnandosi<br />
a seguire sempre Cristo senza compromessi, testimoniando in questo<br />
modo la massima coerenza evangelica (Vita consecrata, 3).<br />
Gli Associati per parte loro, in quanto laici secolari, secondo la dottrina espressa<br />
dal Concilio Vaticano II, partecipano alla diffusione del Regno di Dio nella<br />
loro vocazione alla santità, con l’impegno e la testimonianza cristiana sulle frontiere<br />
della storia (Christifideles Laici, 30); essi desiderano partecipare della identità<br />
lasalliana che si fonda sulla comunione di intenti per la missione. È la loro risposta<br />
alla chiamata ministeriale di Dio per proseguire un cammino che consiste<br />
in una continua creazione di legami profondi, al di là delle simpatie e dei benefici<br />
immediati, tra persone, tra educatori Fratelli e Associati; legami che intendono<br />
incoraggiare solidarietà e corresponsabilità; che danno vita alla comunità educativa;<br />
che stimolano i membri della comunità a condividere lo stesso servizio<br />
nella dimensione di una nuova fraternità ministeriale.<br />
75
Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />
“La vocazione di Fratello è necessaria oggi forse più che nel passato”. (5.19)<br />
Oggi ai Fratelli viene richiesto di condividere con i laici il carisma del Fondatore<br />
ed è possibile parlare di missione realmente condivisa nel momento in cui<br />
i Fratelli riconoscono che altre persone, con identità diverse, sono pure chiamate<br />
dal Padrone della vigna con lo stesso incarico, “l’educazione umana e cristiana dei<br />
giovani, specialmente poveri”. È anche vero che vi sono Fratelli che, per modelli<br />
culturali e/o per le loro convinzioni personali, hanno difficoltà ad estendere a<br />
tutti i Lasalliani l’invito alla corresponsabilità nella Missione. Ma se è vero che<br />
nessun Lasalliano deve essere considerato come “un cittadino di seconda categoria”<br />
(5.21) allora ci vuole pazienza, rispetto e soprattutto la reciproca volontà<br />
di entrare in dialogo continuo tenendo sempre presente il richiamo del Capitolo<br />
Generale sull’Associazione per la Missione Educativa. (5.18) I Fratelli che accettano<br />
di condividere il carisma che li rende capaci per la missione, di condividere<br />
la spiritualità che dà senso alla missione, di condividere l’eredità storica che comincia<br />
dal Fondatore e dai suoi scritti, e tutta l’eredità culturale che si è andata<br />
formando nel tempo, dimostrano di essere efficaci mediatori dello Spirito <strong>San</strong>to<br />
impegnato a tessere i fili della trasmissione del carisma lasalliano : non dovrà<br />
essere possibile infatti distinguere la trama e l’ordito della tunica inconsutile<br />
che vestirà la Missione Educativa lasalliana.<br />
<strong>De</strong>l resto l’esortazione del Superiore generale ad affrontare con entusiasmo<br />
le sfide del tempo presente è che non si può non avere fiducia nell’opera di Dio<br />
per seguirLo in un cammino spirituale che ci conduce verso una meta per il momento<br />
ignota, forse anche colà dove non si sarebbe mai pensato di andare. (2.6.1)<br />
Lo stesso cammino di Grazia è evidente nelle parole del Fondatore: “Dio che<br />
guida ogni cosa con saggezza e dolcezza … volendo impegnarmi interamente nella cura<br />
delle scuole, lo fece in modo impercettibile … in modo che un impegno mi portasse ad<br />
un altro, senza che io lo avessi inizialmente previsto.” (C. L. N° 7, p.169)<br />
Durante una recente visita nella piccola isola di Buka – un settore autonomo di Papuasia<br />
Nuova Guinea – nella Regione PARC, un Fratello raccontò questa storia meravigliosa<br />
di impegno lasalliano in associazione:<br />
76<br />
Alcuni diplomati da poco della nostra scuola magistrale <strong>De</strong> La Salle di<br />
Mount Hagen, si erano riuniti a Buka per iniziare la loro professione di insegnanti.<br />
Accompagnati dalla loro guida e da Donald, esperto docente lasalliano,<br />
e portando sulle spalle tutto il loro materiale pedagogico di base,<br />
iniziarono il loro viaggio.<br />
A metà percorso del sentiero scosceso della giungla, uno dei giovani insegnanti<br />
iniziò a lamentarsi e a dire: “È troppo difficile. Non riesco a continuare”.<br />
Donald rispose: “Finiscila di lamentarti! Sei un insegnante<br />
lasalliano. Non sai che per arrivare ai ragazzi devi scalare le montagne?”.<br />
(Circ. 461, p.7)
Arte QdPD1 (2011)<br />
La testimonianza<br />
STEFANIA VALENTINI<br />
Or dunque, venite, trascinatevi a me, toccate la mia carne, che la stessa sia<br />
violata, martoriata e si porga a voi come prova, come manufatto da toccare, da<br />
vedere, studiare, come testimonianza di un accaduto difficile da credere, da immaginare.<br />
Essa si piega, si muove, si contorce, sanguina dolorante, si presta come<br />
estremo sacrificio di un martirio già accaduto, già sofferto, ma ancora da ripetere,<br />
da rivedere, rivivere, da rivisitare, ogni volta come la prima volta, all’infinito.<br />
E non v’è pace e mai ve ne sarà per queste membra martoriate e sature di violenza<br />
e di contestazione: tu sei Tommaso, egli è Tommaso, tutti voi lo siete, con<br />
le vostre fronti corrucciate, con gli occhi che devono forzatamente vedere, in<br />
cerca di un riscontro, iniettati di fredda insensibilità, con le vostre rigide convinzioni,<br />
con le vostre polemiche e pretestuose richieste poste verso il cielo.<br />
Ogni giorno che sorge produce nuovi increduli figli dell’ignoranza, barcollanti<br />
nella loro misera esistenza, distanti dallo spirito, distanti dal dogma, vicini<br />
solo alla materia, alla prova, alla reliquia. Il mio spirito si fa materia e giunge a<br />
voi come l’estremo atto di un Amore infinito. Ma ogni giorno è un giorno nuovo,<br />
è tabula rasa, tutto si ripete, c’è sempre un nuovo Tommaso, per sempre … Tommaso<br />
avvicinati, Dio è davanti a te.<br />
77
Arte Stefania Valentini<br />
Michelagnolo Merisi da Caravaggio<br />
“L’INCREDULITÀ DI SAN TOMMASO”<br />
(1601- olio su tela, cm. 107x146 Bildergalerie Potsdam, <strong>San</strong>ssouci)<br />
Gesù appare ai discepoli, tra i quali è Tommaso<br />
Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne<br />
Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!» Ma egli<br />
disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio<br />
dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò».<br />
Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era<br />
con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace<br />
a voi!». Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la<br />
mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso<br />
gli rispose: «Signor mio e Dio mio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai<br />
creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».<br />
(Giovanni 20,24-29)<br />
78
incontri QdPD 1 (2011)<br />
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
Con la sezione incontri i “Quaderni demerodiani” intendono rispondere<br />
con maggiore efficacia alla loro vocazione di forum<br />
aperto al dialogo educativo. Questo spazio ospita, infatti, i contributi<br />
di genitori, esperti ed ex-alunni che vogliano esprimere<br />
una riflessione qualificata sul tema pastorale proposto.<br />
Il coinvolgimento di tutte le agenzie educative nell’attività didattica<br />
offre, quindi, la possibilità di un’interazione virtuosa tra<br />
gli attori della formazione costruendo attorno allo studente una<br />
dinamica rete di stimoli intellettuali.<br />
Questa sezione si propone, pertanto, tre ambiziosi obiettivi:<br />
- fornire agli insegnanti la possibilità di usufruire di validi<br />
strumenti di approfondimento;<br />
- promuovere il confronto con i genitori spesso solo marginalmente<br />
consapevoli del percorso di apprendimento dei propri<br />
figli e generalmente inclini a contestare piuttosto che a proporre;<br />
- continuare il dialogo con gli ex-alunni che, offrendo alla<br />
scuola le loro nuove competenze, non smettono, e verosimilmente<br />
non smetteranno, di considerarla il centro nevralgico<br />
della formazione dell’individuo e dello sviluppo della società.<br />
(m. cil.)<br />
79
incontri Emanuela Birocchi<br />
<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto<br />
EMANUELA BIROCCHI (I Classico A)<br />
«Non vado alle mense della Caritas. Lì non mi sento a casa come qui». Questa<br />
frase rappresenta la Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio meglio di qualsiasi discorso o panegirico.<br />
Perchè a pronunciarla è un uomo che non solo ne fa parte, ma la vive<br />
nella sua essenza più profonda. Karol è un signore di origini polacche che sfugge<br />
a ogni classificazione ed etichetta. Alcuni lo chiamerebbero clochard, per altri sarebbe<br />
un senzatetto, per tutti un barbone. Ecco, per la Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio<br />
è solo Karol.<br />
La Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio, fondata da Andrea Riccardi a Roma nel 1968,<br />
oggi è presente nei cinque continenti e svolge attività che vanno dalle scuole pomeridiane<br />
per bambini ai centri per anziani. A livello internazionale la Comunità<br />
ha avuto grande rilevanza nell’ambito delle trattative per la pace in Mozambico,<br />
un Paese dilaniato dalle guerre civili. Inoltre si occupa di promuovere il dialogo<br />
tra i popoli di tutto il mondo.<br />
Un’iniziativa intrapresa dalla Comunità a cui ho preso parte è quella dei<br />
pranzi natalizi. Dopo la messa, i banchi fanno posto ai tavoli pronti ad accogliere<br />
i moltissimi che ogni anno partecipano a questa iniziativa. Le signore si dedicano<br />
alla cucina mentre i più giovani apparecchiano la tavola e si occupano degli addobbi<br />
della sala. Alla fine del pranzo a ogni senzatetto viene distribuito un pacco<br />
regalo su cui viene riportato il nome del destinatario. Sembra scontato che sul<br />
regalo che si apre sotto l’albero sia scritto il proprio nome, ma per quelle persone<br />
che vivono tutto l’anno per strada è importante; il nome dà unicità ma soprattutto<br />
fa riscoprire il valore della dignità.<br />
La Comunità è impegnata tutto l’anno: una volta a settimana i volontari preparano<br />
i panini che vengono caricati sui furgoni e distribuiti in diversi luoghi di<br />
ritrovo dei senzatetto come le stazioni Termini e Tiburtina. Un progetto fondamentale<br />
della Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio è il programma DREAM. Una volta al<br />
mese si organizza un mercatino di abiti usati e con il denaro raccolto da questa<br />
iniziativa si dà un aiuto prezioso alle donne africane malate di AIDS. Ad oggi,<br />
sono più di 100.000 i bambini nati sani da una madre sieropositiva grazie al programma<br />
DREAM.<br />
La Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio cambia la vita a tantissimi emarginati perchè dà<br />
a tutti loro la speranza di una vita normale, un cambiamento in esistenze segnate<br />
da dolore e sofferenza. All’interno della Comunità nessuno è senza nome, come<br />
dimostra anche la riuscita del programma BRAVO (che sta per Birth Registration<br />
for All Versus Oblivion), il cui fine è far registrare tutti i bambini all’anagrafe.<br />
80
<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto QdPD 1 (2011)<br />
Senza registrazione non hanno nome, non hanno diritti, sono entità senza corpo<br />
e senza voce. È questa la missione di <strong>San</strong>t’Egidio: abbattere il muro dell’emarginazione,<br />
come avviene nel caso delle persone di etnia rom o sinti.<br />
La Comunità non fa del semplice volontariato. Il motivo per cui Karol e tanti<br />
altri come lui si affidano ad essa è perchè non vengono considerati come numeri<br />
a cui dare un pasto caldo, ma come persone. Umani, prima che barboni. Persone<br />
che hanno bisogno di qualcuno pronto ad ascoltare la loro storia, invece di essere<br />
compatiti.<br />
Andrea Riccardi ha scritto: «Avere speranza non vuol dire possedere una visione<br />
lucida di come sarà il domani. La speranza profonda viene dalla convinzione che la famiglia<br />
degli uomini e dei popoli non è stata abbandonata da un amore più grande.» Ed<br />
è questo tipo di amore che fa funzionare l’immenso meccanismo della Comunità<br />
da più di quarant’anni; una forza interiore che si nutre dell’energia e dell’entusiasmo<br />
di chi ne fa parte.<br />
81
incontri Emanuela Birocchi<br />
“Mattatoio 5”: testimonianza di un sopravvissuto<br />
EMANUELA BIROCCHI (I Classico A)<br />
Per mia fortuna non ho mai assistito a un bombardamento, quindi non so<br />
dire cosa farei in quelle circostanze. Ma so cosa ha fatto Kurt Vonnegut: ha scritto<br />
un capolavoro. Il suo “Mattatoio 5” è la storia semiseria e surreale di Billy Pilgrim,<br />
un americano medio, un non comune uomo comune. Ha infatti la straordinaria<br />
capacità di viaggiare da una dimensione spazio-temporale all’altra,<br />
indipendentemente dalla sua volontà. Può quindi trovarsi a Dresda durante la<br />
seconda guerra mondiale, ma anche nella fantascientifica Tralfamadore, dove<br />
viene esposto come esemplare della razza umana.<br />
“Mattatoio 5” non è un libro contro la guerra: è a favore della pace proprio<br />
per il fatto che parla di un episodio terribile, ovvero il bombardamento della cosiddetta<br />
“Firenze dell’Elba”, a cui lo scrittore ha realmente assistito. Vonnegut<br />
ha più volte ricordato che questo è un romanzo nato da un’esigenza interiore:<br />
un’esigenza che accomuna coloro che sono sopravvissuti. Un sopravvissuto non<br />
dimentica: tramanda ai posteri affinchè ciò di cui è stato testimone suo malgrado<br />
non debba più ripetersi. “Mattatoio 5 “ è uno dei più importanti libri antimilitaristi<br />
che siano mai stati scritti, vero e proprio caposaldo della letteratura pacifista.<br />
“Non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano<br />
morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto<br />
dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli”. É vero, dopo il<br />
massacro di Dresda tutto tacque, ma presto- vent’anni dopo- Vonnegut ebbe il<br />
bisogno di raccontare. Non lo fece in maniera convenzionale; troppo facile piangersi<br />
addosso, fare della mera cronaca del dolore. Attraverso una prosa schietta<br />
e un’ironia dissacrante, l’autore dà forse la più disarmante testimonianza sulla<br />
seconda guerra mondiale. Dietro il sarcasmo, dietro lo stile surreale c’è una consapevolezza<br />
che quello che si è visto, quello che è accaduto a Dresda non potrà<br />
mai essere dimenticato. Dietro un libro le cui pagine scivolano via leggere come<br />
il vento, c’è tutto l’orrore verso la guerra, verso un destino – quello umano- che<br />
è stato e sarà sempre segnato da un’incessante contesa. Così va la vita.<br />
Da questa riflessione scaturisce, più che un manifesto pacifista, un ammonimento<br />
dell’autore affinchè ciò a cui è stato costretto ad assistere non debba più<br />
ripetersi. Ma allo stesso tempo Vonnegut finisce per arrendersi all’impotenza<br />
dell’uomo di fronte agli eventi della storia: tutto è stato già scritto e ai tanti Billy<br />
Pilgrim del mondo non resta che rassegnarsi. “Mattatoio 5” è un libro che si sobbarca<br />
il peso di ricordi spaventosi vissuti come un continuo presente, secondo<br />
la concezione tralfamadoriana del tempo, e cioè che “i tralfamadoriani possono<br />
guardare i diversi momenti proprio come noi guardiamo un tratto delle Montagne Roc-<br />
82
“Mattatoio 5”: testimonianza di un sopravvissuto QdPD 1 (2011)<br />
ciose. Possono vedere come tutti i momenti siano permanenti, e guardare ogni momento<br />
che li interessa [...] Quando un tralfamadoriano vede un cadavere, l’unica cosa che pensa<br />
è che il morto, in quel momento è in cattive condizioni, ma la stessa persona sta benissimo<br />
in un gran numero di altri momenti.”<br />
É questo che fanno i sopravvissuti ed è questo che Vonnegut ha fatto con<br />
“Mattatoio 5”. Ha testimoniato l’inferno di Dresda collocandolo in una dimensione<br />
temporale fatta di brandelli tra loro scollegati, di frammenti di realtà e fantascienza.<br />
Tenendo sempre presente la preghiera di Billy Pilgrim: “Dio mi conceda<br />
la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che<br />
posso e la saggezza di comprendere sempre la differenza”.<br />
83
incontri Emanuela Birocchi<br />
84
iscontri QdPD 1 (2011)<br />
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
L’esperienza dei Quaderni si rivela suggestiva e stimolante<br />
sotto diversi profili. L’entusiasmo iniziale nel voler partecipare<br />
ad una rassegna pluridisciplinare di percorsi modulari sui temi<br />
proposti periodicamente dalla Comunità di Pastorale Lasalliana<br />
è sorretto dal fascino della ricerca nello spirito di gratuità che<br />
anima l’insegnante.<br />
I percorsi nascono proprio dal lavoro di ricerca individuale<br />
o d’équipe, che offre l’opportunità di arricchire innanzi<br />
tutto se stessi e ravviva la quotidiana preparazione delle lezioni<br />
attraverso spunti nuovi ed originali nella progettazione di specifiche<br />
unità didattiche. La presentazione dei moduli nei Quaderni<br />
costituisce però anche una proposta strutturata per i colleghi competenti<br />
nella stessa disciplina, nel segno della condivisione e<br />
dell’apertura al contributo formativo e professionale dell’altro.<br />
Il passo seguente è l’applicazione in classe, quando il ciclo<br />
di lezioni prende vita e si innesca la dinamica educativo-didattica<br />
dell’insegnamento-apprendimento: si controlla la correttezza<br />
della scansione degli argomenti e dei tempi, si tenta di suscitare<br />
l’interesse e la curiosità degli studenti secondo le strategie previste,<br />
si osserva l’efficacia di queste, si verifica il conseguimento<br />
degli obiettivi educativi e didattici prefissati, si valutano i pro e i<br />
contro dello svolgimento complessivo sulla base della risposta<br />
reale che se ne riceve.<br />
In questa sezione si raccolgono proprio i resoconti dei<br />
percorsi pianificati e attuati, con le osservazioni, le varianti, i suggerimenti<br />
dettati dall’esperienza compiuta a contatto con i discenti.<br />
(a. tes.)<br />
85
iscontri QdPD 1 (2011)<br />
Latino<br />
Modulo didattico - disciplinare<br />
La nascita<br />
MARCO CILIONE<br />
Ho adottato per l’anno scolastico 2010/11 in una V scientifico una “antologia<br />
latina monotematica con percorsi interdisciplinari sulle scienze e la tecnologia<br />
nel mondo antico” pubblicata per Armando Scuola nel 2009 da G. G. Contessa<br />
e S. Bordoni con il titolo Rerum cognoscere causas.<br />
Ho trovato questa antologia molto interessante per tre ragioni:<br />
- la possibilità di lavori pluridisciplinari;<br />
- la selezione di autori e/o testi poco studiati nella consuetudine scolastica;<br />
- la particolare congruenza dei temi con il curriculo di studi dello scientifico.<br />
L’antologia risulta, inoltre, particolarmente duttile prevedendo brevi testi,<br />
corredati quasi sempre da traduzione, e una breve sezione didascalica che illustra<br />
il tema del modulo e suggerisce spunti di approfondimento. Questo consente<br />
all’insegnante di integrare o modificare il parte il percorso modulare per<br />
adeguarlo a un progetto di lavoro più specifico.<br />
Nel mio caso ho svolto l’unità III, Fenomeni della natura, contenuto nel modulo<br />
I, pp. 28-38, così come strutturato dagli autori del libro. Ho integrato, invece,<br />
l’unità II del modulo II, La nascita, pp. 76-87, con l’articolo che ho pubblicato su<br />
“QdPD” (3) Giugno 2009, L’aborto nella prassi medica greca: scienza, diritto e approccio<br />
clinico, pp. 47-56.<br />
Il modulo ha previsto tre ore di lezione frontale e partecipata che si sono concluse<br />
con una verifica scritta di due ore articolata nella traduzione e nel commento<br />
di uno dei passi antologizzati (cinque domande, di cui una di traduzione<br />
e quattro di commento storico-culturale, morfo-sintattico e stilistico).<br />
I ragazzi hanno seguito con molto interesse le lezioni, probabilmente perché<br />
esse toccavano temi affascinanti come la condizione della donna nel mondo antico,<br />
la fecondazione, la fertilità e l’infertilità, la prassi magica e la prassi medica<br />
relative al parto e all’aborto.<br />
La trattazione del modulo ha permesso anche di distinguere la scienza medica<br />
dalla superstizione religiosa e dalla filosofia, ampliando un tema già affrontato<br />
nel modulo sui fenomeni naturali.<br />
I risultati conseguiti nella verifica, tutti tra il sei e il nove e mezzo, testimoniano<br />
l’efficacia di questo approccio tematico allo studio del latino.<br />
87
La ‘Divina commedia’: un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere QdPD 1 (2011)<br />
È fresco d’inchiostri Il poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra<br />
(a cura di E. Mattioda, M. Colonna, L. Costa. DANTE ALIGHIERI,<br />
La Divina Commedia, edizione integrale, Torino, Loescher 2010, pp. 848<br />
€ 24), e la Redazione, che segue sempre con interesse queste iniziative,<br />
ha chiesto a Remo L. Guidi di presentare il testo ai suoi lettori.<br />
La ‘Divina commedia’:<br />
un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere<br />
REMO L. GUIDI<br />
1) Necessità e rischi di un commento alla ‘Commedia’<br />
Mettere in cantiere un commento alla Divina Commedia è proposito arduo,<br />
farlo per la scuola del giorno d’oggi rischia di esserlo da irresponsabili, perché<br />
Dante, da sempre, è stato uno scoglio tra i meno facili ad aggirarsi: lo fu per gli<br />
89
scolastica Remo L. Guidi<br />
studiosi, e bisognò attendere Francesco <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis perché se ne incominciasse a<br />
capire qualcosa, anzi a parlarne con maggior rispetto, e le sue parole caddero<br />
come un maglio sull’ Italia del Risorgimento («il suo primo e maggior poeta è<br />
Dante»), alla quale il grande critico ricordò pure la perenne attualità del Fiorentino:<br />
«a quattro secoli di distanza il problema si ripresenta, ma i termini sono<br />
mutati. Il punto di partenza non è più l’ignoranza, la selva oscura, ma la sazietà<br />
e la vacuità della scienza, l’insufficienza della contemplazione, il bisogno della<br />
vita attiva». Ecco, qui sta il presupposto dell’assiduo ritorno dei posteri sulla<br />
Commedia nell’ultimo secolo: i problemi su cui Dante rifletteva sono anche i nostri,<br />
le sfide alle quali volle rispondere sono tali da precorrere i tempi e farsi del<br />
presente, oggi come domani. E per spiegare questo enigma si è mossa una centuria<br />
di Maestri che, con pazienza e perizia, hanno cercato di metabolizzare<br />
l’enorme cumulo di elementi teologici, polemici, lirici, storici, linguistici e scientifici<br />
racchiuso in unità invidiabile nei cento canti del poema, per renderlo tollerabile<br />
agli sdegnosi ed elitarî palati dei ragazzi.<br />
Scendere in un’arena, però, nella quale già hanno giostrato da pari loro (ne<br />
ricordo solo alcuni) Scartazzini-Vandelli, Casini, Momigliano, Pietrobono, Sapegno<br />
e Bosco comporta il rischio di figuracce, o l’altro, non meno commendevole,<br />
di operare continui plagi, occultati a fatica con i patetici accorgimenti dei<br />
liceali il giorno della versione in classe.<br />
Così, preso il toro per le corna, Mariacristina Colonna, Laura Costa ed Enrico<br />
Mattioda (il vero motore di spinta della triade) hanno riaperto il testo del padre<br />
Dante, con l’eroico intento di ammannirlo alle scuole: impresa disperata più di<br />
qualsiasi altra, ma non perché il poema sacro abbia perso le malie, ma perché i<br />
giovani vivono da protagonisti nella civiltà (?) dei suoni, delle immagini e degli<br />
internauti. Supporre (o illudersi) di poterli coinvolgere in un testo che necessita<br />
di una traduzione letterale quasi fosse sanscrito, per poi infliggere loro la condanna<br />
a scervellarsi dentro un commento sesquipedale, dove lo scoliaste di<br />
turno gli spiega chi erano quello che fece per viltade il gran rifiuto, l’altro che<br />
tenne ambo le chiavi del cor di Federico, la femmina balba e l’altro ancora di cui<br />
non surse il secondo, è impresa disperata, con meno fortuna di quanti andassero<br />
a cercare la canna da pesca sulla cima del K 2.<br />
E dato e non concesso che gli alunni superino questi scogli perigliosi, come<br />
introdurli nel significato recondito delle allegorie, nella complicatezza dell’impianto<br />
strutturale della Commedia, o nei riscontri astronomici, per poi associarli a<br />
una più facile ricezione delle impennate liriche di Dante, agli scatti irosi del polemista,<br />
alle estasi mistiche, all’ impeto dell’ uomo politico? Perché, insomma, la<br />
Commedia insegna a trasumanare, per accedere dal tempo all’eterno, dai regni<br />
della materia a quelli dello spirito, dalle gioie dei sensi alle ebbrezze celestiali.<br />
Tamen…<br />
Tamen c’è sempre un rimedio, per cui soloni d’oggigiorno, come quelli del<br />
Cinquecento eliminarono le vergogne del Giudizio michelangiolesco con i peri-<br />
90
La ‘Divina commedia’: un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere QdPD 1 (2011)<br />
zomi e il martello, qui risolveranno il problema rimuovendo dalla Commedia i<br />
passi difficili per quanti, tra i banchi, hanno lo stomaco abituato allo snack o,<br />
tutt’al più, alla tavola calda. Così facendo, però, si altera tutto, e un alimento per<br />
lottatori di sumo diventa un budino per neonati, ritardandone la crescita; ma si<br />
nega anche l’evidenza a un principio logico indiscutibile: il prestigio di un libro<br />
è il riflesso della grandezza umana di chi lo compose. Dunque è la vicenda stessa<br />
di Dante a imporre un continuo ritorno alla Commedia, perché nell’esilio politico<br />
del suo autore c’è l’immagine di quanti oggi son perseguitati ed esuli; nel suo sogno<br />
di un’Europa forte e compatta, pacifica e salda c’è la profezia che ha precorso<br />
i secoli, e l’inadeguatezza attuale a non saperla tradurre in realtà; inoltre sulle rive<br />
dell’Acheronte, come sulla spiaggia del Purgatorio e nelle sfere del Paradiso,<br />
seguitano ad affluire, ininterrottamente e in massa, gli epigoni di quella campionatura<br />
umana che egli un giorno gettò nelle fauci dell’averno, o fece ascendere<br />
nei gorghi luminosi dei cieli. A dirla tutta, allora, il Fiorentino, è un contemporaneo<br />
di ottocento anni fa, è un inviato speciale alle cui interviste si son piegati antichi<br />
e moderni, vivi e morti, angeli e demoni; i suoi verdetti inappellabili hanno<br />
bollato a fuoco per sempre traditori e ipocriti, autorità religiose e civili; nelle bolge<br />
del suo Inferno, come nelle ebbrezze del suo Paradiso, si sono dati convegno<br />
uomini di tutte le età, per ascoltare le sentenze dell’unico tra i mortali che osò<br />
mettersi dalla parte di Dio e pronunciarne, in sua vece, il giudizio.<br />
2) Il merito di quanti commentano Dante<br />
Qualsiasi progetto, pertanto, dal più piccolo al più grande, volto a far comprendere<br />
ai giovani la ricchezza di Dante, merita un plauso incondizionato, perché<br />
di lui non se ne può fare a meno. Gli orizzonti di un testo scolastico, tuttavia,<br />
son limitati, e non consentono voli pindarici a quanti li compilano, e Mattioda<br />
che, come studioso, si muove su feudi amplissimi del sapere, qui si è messo umilmente<br />
al servizio dei ragazzi, insieme a una squadra con la quale ha saputo bene<br />
interfacciarsi (articolata, tra l’altro, in coordinamento editoriale, redazione, ricerca iconografica,<br />
progetto grafico e impaginazione), per togliere di dosso al poema sacro la<br />
polvere dei secoli, e quella subordinazione sussiegosa con la quale i libri in cartella<br />
intimidiscono i malcapitati studenti. Il proposito è rilevabile nel volume a<br />
prima vista, quando, ad esempio, se ne esamina lo specchio della pagina, che è<br />
ampio, per concedere respiro agli occhi (formato 195 x 263), e poter disporre la<br />
materia grafica senza ingolfarla, con un certo margine di autonomia per i passi<br />
più oscuri dei canti: i versi, così risultano allogati nei riquadri alti, il commento<br />
sta in calce e la parafrasi al fianco; la pagina è vivacizzata dal divario dei caratteri<br />
tipografici, dall’ampiezza degli spazi frapposta tra un comparto e l’altro, dalle<br />
sottolineature, dai corsivi, dalle inchiostrazioni diversificate, per produrre tanti<br />
piccoli stratagemmi atti a combattere l’assuefazione, e mantenere desto l’interesse<br />
91
scolastica Remo L. Guidi<br />
dei ragazzi. C’è, poi un esuberante accumulo iconografico, posto nei punti strategici<br />
delle facciate, dove si alterna il bianco e nero al colore, il classico al moderno,<br />
l’acquaforte alla miniatura, la tempera al guazzo. Il cosmopolitismo degli<br />
artisti che in modo autonomo hanno inteso, in tutti i tempi, l’urgenza di ricorrere<br />
al marmo, al legno, o ai colori per esprimere il proprio coinvolgimento alla Commedia,<br />
ne consacra l’universalità e ne fa la voce durevole per ogni categoria di<br />
persone, superando i condizionamenti religiosi, politici, culturali ed economici.<br />
I curatori sono intervenuti sui canti di pertinenza con una certa autonomia,<br />
perciò il testo riserva qua e là sorprese didattiche, valide a combattere l’uggia<br />
della prevedibilità; in genere il canto si apre con una introduzione nella quale la<br />
materia è parcellizzata in paragrafi sintetici con titoletto (prendo a caso il XXIV<br />
dell’Inferno: situazione, luogo, tipologia dei dannati, pena, contrappasso, personaggi);<br />
la trama espositiva così intercisa è disposta su tre colonne, inoltre ogni volta che<br />
Dante si muove, c’è lo schema grafico della cantica con l’indicazione esatta dove<br />
il poeta sta indugiando; il canto si chiude con l’analisi del testo, cui possono far<br />
seguito esercizi con gli spunti operativi (il canto IV dell’Inferno ne registra uno articolato<br />
in comprensione complessiva, analisi formale, per un approfondimento, con<br />
ben 16 inneschi di percorsi didattici: 1-8; 9-13; 14-16) e affinità testuali per confrontare<br />
la visita di Dante nel Limbo con l’analoga situazione di Enea nell’ Eneide;<br />
la stessa rubrica nel XXIII del<br />
Purgatorio, dove Dante incontra<br />
Foresi, non si limita a riportare i<br />
sonetti 5 e 6 della Tenzone, ma vi<br />
aggiunge (e ne spiega le ragioni)<br />
il dialogo tra Federico e <strong>De</strong>slauriers<br />
dalla Educazione sentimentale<br />
di Flaubert; la stessa arditezza di<br />
accostamento anima il VI del Purgatorio,<br />
la cui apostrofe contro la<br />
serva Italia, di dolore ostello, ha<br />
concesso il richiamo all’ultimo<br />
capitolo del Principe machiavelliano,<br />
e al ghibellin fuggiasco da<br />
Firenze, la cui struggente bellezza<br />
viene riproposta con la rievocazione<br />
del Foscolo nei Sepolcri<br />
(versi 165-198); noterò, da ultimo,<br />
che la limpida similitudine Quali<br />
per vetri trasparenti e tersi (Paradiso,<br />
III, versi 10-15) offre il destro<br />
per recuperare il mito di Narciso<br />
dalle Metamorfosi.<br />
92
La ‘Divina commedia’: un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere QdPD 1 (2011)<br />
3) L’innovazione nello spiegare Dante non è un optional<br />
Si ha di fronte, dunque, un impegno teso, pur con qualche rischio, a svecchiare<br />
la didattica per attualizzarne i contenuti; i dati, cioè, son qui trasmessi<br />
nell’ essenzialità: le filigrane dalle iridescenze dell’opale care al Momigliano, per<br />
cui l’insigne maestro, smarrendosi negli obliosi percorsi del sogno, produceva<br />
variazioni sulle terzine dantesche iridescenti come il cristallo di rocca, non hanno<br />
esercitato nessun fascino sui curatori di questa Commedia, e non perché non ne<br />
apprezzassero il pregio, ma perché mancano di aggancio con un gli alunni, i<br />
quali si parlano con i messaggini e facebook. Lo stesso dicasi per le esaustive ricostruzioni<br />
storiche del Casini, così dettagliate e così appaganti, ma anche così démodées;<br />
una analoga sobrietà dorica domina le introduzioni ai canti, assai più<br />
essenziali dei moduli cari al Sapegno, o al Reggio affiancatosi al Bosco.<br />
Questi rilievi, comunque, non vogliono essere biasimi (ohibò), per opere sulle<br />
quali innumerevoli ragazzi hanno trovato il cicerone per le visite guidate nell’oltretomba<br />
dell’Alighieri; ribadisco, invece, che se i maestri non possono sconvolgere<br />
i programmi, hanno l’obbligo di inventarsi nuove strategie per renderli<br />
piacevoli, come si fa in altri settori. Forse i cuochi hanno spento i fornelli, perché<br />
in farmacia vendono le pillole con le sostanze degli spaghetti e delle faraone?<br />
Forse i couturiers hanno cessato di escogitare inediti modelli, perché il fisico è rimasto<br />
immutato da secoli? O forse i musici minacciano scioperi perché le note<br />
sono sempre e solo sette?<br />
E allora non si capisce perché debbano negarsi ai maestri capacità innovative<br />
e di metodo, da sempre alla radice di qualsiasi altra professione; se dovunque<br />
la fantasia, la creatività, la sollecitudine e la cura mordace per farsi accogliere, o<br />
segnalarsi, equivalgono a requisiti indispensabili, a fortiori essi debbono essere<br />
pregiudiziali per chiunque ha il privilegio di rivolgersi ai giovani.<br />
È ovvio che il commento richiesto dalla Loescher a Mattioda, e alle due collaboratrici,<br />
non poteva risultare perfetto, ed essi, d’altronde, erano (e sono tutt’ora)<br />
troppo ricchi di senso umoristico per contraddirmi: chiunque pianifica un<br />
libro del genere è chiamato a scegliere, cioè a fare delle rinunce, a volte imbarazzanti;<br />
di conseguenza essi hanno dovuto negarsi altre possibili alternative<br />
oltre quelle accolte. Le soluzioni, comunque, che qui si prospettano risultano rigorosamente<br />
sostenibili con il supporto di un significativo repertorio bibliografico,<br />
ben dissimulato per non mettere a disagio gli studenti, ma gli addetti ai<br />
lavori non esiteranno a individuarlo.<br />
Cionondimeno, ad esser pedanti, si potrebbe muovere da due o tre scelte qui<br />
operate per discuterne con i curatori, ed estendere lo scambio di idee ad altri<br />
aspetti del libro; ma si tratterebbe, in fondo, di un colloquio su questioni di gusto,<br />
non di sostanza. Il commento, infatti, obbedisce a filtri con alta selettività, per<br />
escludere l’ingresso a ipotesi non compatibili con gli orizzonti giovanili. Tuttavia<br />
siccome aliquando bonus dormitat Homerus, qui potrebbero essersi aperti varchi<br />
93
scolastica Remo L. Guidi<br />
per infiltrazioni di germi, non certo patogeni, ma comunque in grado di riacutizzare<br />
sopiti disturbi negli alunni più cagionevoli. Penserei al credito concesso<br />
a qualche interpretazione piuttosto insolita (vedi, ad esempio, il modo come<br />
Erich Auerbach intende Paradiso, XI, 60 e p. 670); anche le letture critiche a fine<br />
canto, sempre molto ben calibrate, a volte potrebbero risultare fruibili solo da<br />
elementi molto bravi: penserei a quelle di E. Bigi (per Purgatorio, I) e M. Marti<br />
(per Paradiso, XI). Si rileverebbe, inoltre, una certa asimmetria nei canti gemelli<br />
del Paradiso (XI-XII), dove la figura di s. Domenico risulterebbe piuttosto in<br />
ombra, rispetto all’altra di s. Francesco. Ma i cultori del francescanesimo potrebbero<br />
scuotere il capo notando l’accentuazione sulle esperienze disinibite del<br />
santo prima di convertirsi («condusse una vita agiata e dissoluta […], abbandonò<br />
la vita lussuosa e gaudente»), il che va oltre la Legenda maior di Bonaventura, e<br />
scavalca lo stesso Celano; probabilmente farebbero delle riserve pure sul modo<br />
come viene presentato il rapporto del santo con Madonna Povertà (pagina 670),<br />
un po’ troppo fuori quadro se lo si riporta al mirabile Sacrum Commercium beati<br />
Francisci cum domina Paupertate.<br />
Ma questi sono rilievi da spulciasillabe e di chi, armato di lente ad espansione,<br />
vuol pregiarsi (?) di trovare il pelo sull’uovo; la realtà è un’altra: il commento è<br />
impastato di entusiasmo per la scuola e amore per i giovani, in modo diverso<br />
resterebbe difficile capacitarsi delle energie erogate per produrlo, e del senso di<br />
umiltà che lo accompagna. Non si trova di frequente nei manuali scolastici una<br />
dichiarazione come quella qui esibita «nonostante la passione e la competenza<br />
delle persone coinvolte nella realizzazione di quest’opera, è possibile che in essa<br />
siano riscontrabili errori o imprecisioni. Ce ne scusiamo fin d’ora con i lettori e<br />
ringraziano coloro che, contribuendo al miglioramento dell’opera stessa, vorranno<br />
segnalarceli al seguente indirizzo […]» (p. 2).<br />
Ma l’alloro con il quale i posteri incoronarono Dante è immarcescibile, e non<br />
saranno le distrazioni dei pur volenterosi commentatori a strappargliene neanche<br />
una foglia; la triade, invece, la quale ha elaborato il libro in questione, ha<br />
fatto l’impossibile (e forse qualcosa in più) per convincere gli alunni che Dante<br />
resta uno dei grandi maestri dell’umanità, contro il quale nemmeno la forza del<br />
tempo, in grado di frantumare «l’estreme sembianze e le reliquie \ della terra e<br />
del ciel», stando al Foscolo, è riuscita a imporre le sue leggi. E questo perché il<br />
Fiorentino è un insostituibile difensore degli uomini liberi, di quanti si battono<br />
in difesa della propria dignità, e di chiunque, fiducioso nella giustizia dei posteri,<br />
non esita a contrastare i poteri forti dell’ingiustizia e della violenza mentre è in<br />
vita. In tal senso la lettura della introduzione Il poema di Dante e la cultura occidentale<br />
(pp. 6-18), firmata da Mattioda, resta una delle pagine più seducenti premesse<br />
al poema negli ultimi decenni.<br />
94
Autori QdPD1 (2011)<br />
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
MICHELE CATALUDDI Docente di Storia - Filosofia e Religione al Liceo. Ha pubblicato<br />
la monografia “La questione metafisica tra e oltre filosofia tradizionale e<br />
nichilismo” ed è autore di articoli e saggi su riviste specializzate.<br />
MASSIMO CAVALLO Sacerdote, Docente di Religione, saggista e articolista, Direttore spirituale<br />
<strong>Collegio</strong> <strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong> - <strong>Istituto</strong> <strong>De</strong> <strong>Merode</strong>. Rettore del Convitto Beato Pio IX<br />
della Pontificia Università Lateranense.<br />
EDUARDO CIAMPI Docente di Lingua e Letteratura Inglese al Liceo. Traduttore, articolista<br />
e saggista impegnato da anni nell’editoria.<br />
MARCO CILIONE Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master per Educatori<br />
Cristiani. Studioso di dialettologia ed epigrafia greca. Ha curato la raccolta delle fonti<br />
greche e latine per il progetto Imago Urbis.<br />
LETIZIA FALLANI Docente della scuola primaria ha frequentato il CELAS e il Master per<br />
Educatori Cristiani. È curatrice di un laboratorio artistico.<br />
ALESSANDRA FELLI Docente al Doposcuola del Corso primario presso il <strong>Collegio</strong> <strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong><br />
– <strong>Istituto</strong> de <strong>Merode</strong> è salesiana cooperatrice dal 1978. Ha ricoperto vari ruoli<br />
nel “governo” dell’Associazione a livello provinciale, nazionale e mondiale. (www.salesianicooperatori.eu)<br />
RICCARDO FORTE Docente di Lingua e Letteratura inglese al Liceo. Specializzato in Teologia<br />
della Vita Consacrata presso l’<strong>Istituto</strong> Claretianum, studioso di Emily Dickinson e<br />
Charles de Foucauld è autore di articoli e saggi pubblicati in riviste universitarie.<br />
REMO L. GUIDI (fsc) Già docente di materie letterarie al Liceo. Cultore delle Opere di <strong>San</strong><br />
Giovanni Battista <strong>De</strong> La Salle è autore de Il dibattito sull’uomo del Quattrocento (1999) e<br />
L’inquietudine del ‘400 (2007)<br />
VIRGINIO MATTOCCIA (fsc) Direttore Responsabile dei Quaderni <strong>De</strong>merodiani.<br />
LORENZO TÉBAR BELMONTE (fsc) Psicologo e Dottore in Scienze dell’Educazione è attualmente<br />
Segretario della RELEM (Regione Lasalliana Europa - Mediterraneo).<br />
ANDREA TESTA Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master per Educatori Cristiani.<br />
Ha conseguito il Perfezionamento nello studio della tradizione della lingua italiana<br />
del Trecento.<br />
FRANCO TIANO Impiegato presso la Segreteria-Economato del <strong>Collegio</strong> <strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong> –<br />
<strong>Istituto</strong> de <strong>Merode</strong> dove si occupa anche del Corso di Multimedialità nella scuola Primaria.<br />
Dal 2001 è salesiano cooperatore ed ha partecipato alle attività dei salesiani negli<br />
incontri e nei congressi nazionali e mondiali. (fratiano@gmail.com)<br />
ALBERTO TORNATORA Docente di materie letterarie al Liceo. Ha conseguito il Master per<br />
Educatori Cristiani e il diploma di Coordinatore Scolastico. Studioso di letteratura cristiana<br />
antica è autore di articoli e saggi pubblicati in riviste universitarie.<br />
STEFANIA VALENTINI Docente di Disegno e Storia dell’Arte. Artigiano della pittura ad olio<br />
su tela. Operatrice per i Beni Culturali ha perfezionato gli studi presso la Bottega del<br />
Restauro Alvisini – Moretti e ha partecipato a Mostre Nazionali.<br />
95
Pedagogia e Didattica QdPD 1 (2011)<br />
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
la Rivista che accompagna il Progetto di Pastorale Lasalliana<br />
dalla Scuola Primaria alla Secondaria di Secondo grado<br />
96<br />
2008 – 2010 Un breve consuntivo in cifre:<br />
6 quaderni pubblicati<br />
6 argomenti svolti<br />
500 copie di tiratura per ogni numero<br />
752 pagine in totale<br />
14 materie trattate<br />
69 articoli scritti<br />
5 contributi di alunni ed ex alunni<br />
4 istituti scolastici coinvolti<br />
26 autori (laici e fratelli)<br />
5 contributi esterni al mondo scolastico<br />
“È importante fare le cose bene ma soprattutto ricordare<br />
che le cose fatte bene possono sempre essere fatte meglio.”
Indice QdPD 1 (2011)<br />
Q d PD<br />
Quaderni demerodiani di<br />
Pedagogia e Didattica<br />
Presentazione<br />
Perché questi quaderni di Fr. Pio Rocca .................................................................. 7<br />
Contenuti ......................................................................................................................................... 9<br />
e ditoriale<br />
VIRGINIO MATTOCCIA<br />
Non dire falsa testimonianza ....................................................................................... 13<br />
SCUOLA PRIMARIA<br />
LETIZIA FALLANI<br />
“Vivere e non vivacchiare” (Pier Giorgio Frassati) ........................................ 15<br />
SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO<br />
Letteratura e Religione<br />
MASSIMO CAVALLO, EDUARDO CIAMPI, RICCARDO FORTE<br />
Thomas Merton: una testimonianza sui generis ............................................... 21<br />
SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO<br />
Storia<br />
MICHELE CATALUDDI<br />
Naufragi d’umanità nell’arcipelago Gulag ......................................................... 29<br />
Letteratura e Filosofia<br />
MARCO CILIONE<br />
Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa .................................................... 35<br />
97
Indice QdPD 1 (2011)<br />
98<br />
ALESSANDRA FELLI, FRANCO TIANO<br />
I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza ........... 43<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Lasalliani e salesiani : due volti per l’educazione dei giovani ................ 53<br />
LORENZO TÉBAR BELMONTE<br />
La educación cristiana en clave de misión compartida ............................. 57<br />
Letteratura e Religione<br />
ANDREA TESTA<br />
La poesia è testimonianza d’Iddio (G. Ungaretti) ......................................... 63<br />
ALBERTO TORNATORA<br />
Vestire la missione : documenti e testimonianze ......................................... 73<br />
Arte<br />
STEFANIA VALENTINI<br />
La testimonianza di <strong>San</strong> Tommaso ........................................................................ 77<br />
incontri<br />
EMANUELA BIROCCHI<br />
<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto ........................................... 79<br />
“Mattatoio 5”: La testimonianza di un soppravissuto .................................. 82<br />
riscontri<br />
MARCO CILIONE<br />
La nascita .................................................................................................................................. 87<br />
scholastica<br />
REMO L. GUIDI<br />
La Divina Commedia: un libro su cui tanto si è detto e tanto<br />
resta da scrivere .................................................................................................................... 89<br />
AUTORI ........................................................................................................................................... 95
Il volto dell’altro... QdPD 1 (2010)<br />
99
Qui<br />
docent<br />
Paulatim<br />
Discunt
Volumi pubblicati<br />
Giugno 2008 N° 0 Le radici della moralità (1)<br />
Dicembre 2008 N° 1 Giustizia e libertà (2)<br />
Giugno 2009 N° 1 Bioetica e diritto alla vita (3)<br />
Dicembre 2009 N° 2 Ricchezza e povertà (4)<br />
Giugno 2010 N° 1 Lo straniero (5)<br />
Dicembre 2010 N° 2 La condivisione (6)<br />
Giugno 2011 N° 1 La testimonianza (7)<br />
In preparazione<br />
Dicembre 2011 N° 2 La condivisione (II) (8)<br />
Materiale didattico, bibliografie, fotografie ed altri documenti<br />
sono reperibili presso il sito:<br />
www.sangiuseppedemerode.it/riviste<br />
“Il Quadriportico”<br />
www.sangiuseppedemerode.it
NON NOVA<br />
SED NOVE<br />
ASSOCIATI LASALLIANI PER LA MISSIONE EDUCATIVA<br />
Q<br />
d<br />
P<br />
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