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qdpd n 7.pdf - Collegio San Giuseppe - Istituto De Merode

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QdPD<br />

COLLEGIO SAN GIUSEPPE<br />

ISTITUTO DE MERODE<br />

VIA S. SEBASTIANELLO, 1-3<br />

PIAZZA DI SPAGNA - 00187 ROMA<br />

Q d<br />

P D<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />

Anno IV - N° 1 Giugno 2011


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

ANNO IV - N° 1 GIUGNO 2011<br />

DIRETTORE RESPONSABILE Virginio Mattoccia<br />

DIREZIONE - REDAZIONE Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica,<br />

rivista semestrale<br />

Registrazione Tribunale di Roma<br />

n. 400 del 20.11.2008<br />

Editore il “Quadriportico”<br />

Via S. Sebastianello, 1<br />

00187 - Roma 06 69922505<br />

Preparazione e stampa:<br />

Ist. Salesiano Pio XI<br />

Via Umbertide, 11 - 00181 ROMA<br />

Tel. 067827819 - Fax 067848333<br />

E-mail: tipolito@pcn.net<br />

Collaboratori<br />

Michele Cataluddi, Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Marco Cilione, Letizia Fallani,<br />

Alessandra Felli, Riccardo Forte, Remo L. Guidi, Virginio Mattoccia, Lorenzo Tébar Belmonte,<br />

Andrea Testa, Franco Tiano, Alberto Tornatora, Stefania Valentini


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

La pubblicazione di questo settimo numero dei Quaderni demerodiani<br />

(Giugno 2011) coincide con la nomina del nuovo Visitatore<br />

Provinciale per l’Italia Fratel Achille Buccella che succede dopo otto<br />

anni a Fratel Donato Petti.<br />

Ringraziamo con sentimenti di gratitudine Fratel Donato per<br />

quanto si è prodigato a favore di noi laici incoraggiando e sostenendo<br />

la nostra formazione lasalliana.<br />

Auguriamo a Fratel Achille di potere lavorare serenamente e<br />

proficuamente perché si possa proseguire con sempre maggiore entusiasmo,<br />

insieme ai Fratelli, l’esperienza di condivisione della missione<br />

educativa dell’ <strong>Istituto</strong>.<br />

La Redazione<br />

1


Michelagnolo Merisi da Caravaggio<br />

“L’incredulità di <strong>San</strong> Tommaso”<br />

(1601- olio su tela, cm. 107x146 Bildergalerie Potsdam, <strong>San</strong>ssouci)<br />

3


Q uaderni<br />

demerodiani<br />

di<br />

Pedagogia<br />

e<br />

Didattica<br />

La testimonianza<br />

5


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

Perché questi Quaderni<br />

Questa che sta muovendo i primi passi non è la solita rivista per insegnanti<br />

ma uno spazio in cui colleghi che credono nella propria vocazione<br />

di educatori-docenti mettono in comune esperienze, proposte, convinzioni,<br />

percorsi, tracciati, tentativi riusciti, contributi, domande e attese,<br />

nel loro fare scuola.<br />

Confrontarsi e condividere idee e metodi, contenuti e strategie è utile<br />

soprattutto a coloro che scrivono e raccontano il loro vivere la scuola. La<br />

comune ispirazione a principi pedagogici e strategie didattiche ha suggerito<br />

a coloro che hanno aderito al progetto la voglia di realizzarlo e di<br />

proporlo a colleghi disposti a prendere parte all’Avventura.<br />

“Quaderni demerodiani di Pedagogia e Didattica” può essere uno<br />

strumento spendibile nella quotidianità didattica, offrendo materiale articolato<br />

in moduli ed aperto ad una duttile interazione con la programmazione<br />

curricolare del docente che alle esperienze dei colleghi può<br />

attingere senza rinunciare al proprio originale apporto educativo.<br />

Lo spirito di questa “non-rivista” è quello di un forum, di un franco<br />

confronto e reciproco scambio che permette a chiunque di offrire il proprio<br />

contributo in nome della comune missione di educare con e nella<br />

offerta culturale della prassi didattica.<br />

Il termine “quaderni” vuole suggerire proprio questa operosità quotidiana<br />

e non presuntuosa di essere educatori lasalliani. Lasalliani, cioè<br />

che incarnano nella loro missione presso i giovani il carisma e la tradizione<br />

plurisecolare di S.G.B. de La Salle, in cui il progetto pastorale e la<br />

promozione culturale costituiscono un unicum irrinunciabile per chi considera<br />

il proprio insegnamento come “missione” e “missione condivisa”<br />

con i colleghi e compagni di viaggio.<br />

Il Direttore Editoriale<br />

Fratel Pio Rocca<br />

(dalla presentazione del N° 0 Giugno 2008 )<br />

7


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

8<br />

“Et ego ideo adulescentulos existimo in scholis stultissimos<br />

fieri quia nihil quae in usu habemus aut audiunt aut vident”.<br />

(Petronio Satyricon I, 3)<br />

Credo che i ragazzi perdano molta della loro intelligenza<br />

in una scuola dove non hanno alcun contatto con la vita reale.


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

La testimonianza<br />

e ditoriale<br />

VIRGINIO MATTOCCIA<br />

Non dire falsa testimonianza<br />

SCUOLA PRIMARIA<br />

Rivista semestrale di cultura scolastica lasalliana<br />

Anno IV – N° 1 Giugno 2011<br />

LETIZIA FALLANI<br />

“Vivere e non vivacchiare” (Pier Giorgio Frassati)<br />

SCUOLA SECONDARIA DI PRIMO GRADO<br />

Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />

Thomas Merton: una testimonianza sui generis<br />

SCUOLA SECONDARIA DI SECONDO GRADO<br />

MICHELE CATALUDDI<br />

Naufragi d’umanità nell’arcipelago Gulag<br />

MARCO CILIONE<br />

Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa<br />

ALESSANDRA FELLI, FRANCO TIANO<br />

I salesiani cooperatori:<br />

storia ed attualità di una testimonianza<br />

9


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

i ncontri<br />

10<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Lasalliani e salesiani: due volti per l’educazione di giovani<br />

LORENZO TÉBAR BELMONTE<br />

La educación cristiana en clave de misión compartida<br />

ANDREA TESTA<br />

La poesia è testimonianza d’Iddio (G. Ungaretti)<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Vestire la missione: documenti e testimonianze<br />

STEFANIA VALENTINI<br />

La testimonianza di <strong>San</strong> Tommaso<br />

EMANUELA BIROCCHI<br />

<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto<br />

“Mattatoio 5”: testimonianza di un sopravvissuto<br />

r iscontri<br />

MARCO CILIONE<br />

La nascita<br />

S cholastica<br />

REMO L. GUIDI<br />

La Divina Commedia:<br />

un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere


Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

La testimonianza<br />

11


La testimonianza QdPD 1 (2011)<br />

“I Fratelli testimoniano a <strong>San</strong> Giovanni Battista de La Salle<br />

l’amore dovuto al loro Fondatore. Lo imitano nel suo abbandono a Dio,<br />

nel suo attaccamento alla Chiesa, nel suo senso apostolico creativo<br />

e nel suo impegno totale per l’evangelizzazione dei giovani.”<br />

(Regola, 149)<br />

Non dire falsa testimonianza<br />

VIRGINIO MATTOCCIA<br />

Fratel Tito Lolli, dei Fratelli delle Scuole Cristiane, è uno degli insegnanti che<br />

ricordo con particolare stima e ammirazione perché ci ha trasmesso l’amore per<br />

la cultura classica e ci ha esortato a considerare il classicismo una fonte perenne<br />

di guida e di esperienza di vita. Purtroppo la sua intelligenza profetica, forse<br />

inevitabilmente unita ad un carattere difficile, gli è stata perlopiù motivo di amarezze,<br />

solitudine ed incomprensioni.<br />

Egli era solito dire che “tutto si può insegnare, tranne l’esperienza”: si dilungava<br />

nel portare esempi storici e personali, a “discorrere sulla storia, mai nuova<br />

e mai antica”; a scendere negli abissi aggrovigliati del cuore umano; a tenere stabile<br />

il timone sulla rotta tracciata dal Cristianesimo tramandato dall’approfondimento<br />

della cultura classica.<br />

“L’esperienza non si insegna”: a dire la verità allora capivo poco ciò che volesse<br />

dire.<br />

Se dopo tanti anni l’espressione torna ancora chiara nel ricordo allora significa<br />

che qualcosa ha prodotto e mi ha portato ad una conclusione forse banale, ovvero<br />

che l’esperienza non si insegna perché l’esperienza è la testimonianza della<br />

propria vita, perché la testimonianza non è altro che la dimostrazione di quello<br />

che si è.<br />

13


Pedagogia e Didattica Virginio Mattoccia<br />

Possiamo ragionare a lungo sulle parole “testimone – testimonianza”: passare<br />

dal concreto all’astratto, dallo sport al codice civile e penale, dalla letteratura<br />

alla religione; nel termine “testimonianza” troviamo sempre insito il concetto di<br />

una esperienza personale che si manifesta senza finzioni. E nessuno può ripetere<br />

o insegnarci né tantomeno toglierci quello che siamo o non siamo.<br />

“Non dire falsa testimonianza”, “non fare falsa testimonianza”, “non essere<br />

falso testimone.<br />

Per un insegnante, in particolare, non si tratta di insegnare la verità, quanto<br />

piuttosto mostrarsi segno della verità, non di insegnare il bene, ma di essere presenza<br />

del bene, non di insegnare la giustizia ma di essere esempio della giustizia;<br />

insomma non di insegnare o raccontare l’esperienza, ma di essere quello che si<br />

è, ciascuno se stesso, come sa di essere, senza dare falsa immagine di sé.<br />

Fino a che punto? Il punto di partenza o di arrivo è nella coscienza di ciascuno,<br />

nella coerenza delle sue parole (convenzionali) e dei fatti reali (l’esperienza<br />

di sé); nella corrispondenza tra le sue convinzioni religiose, politiche e il<br />

suo comportamento: “non fare il santo (solo) con i santi”; in quanto poi insegnante<br />

lasalliano accettare ed aderire ad una “condotta lasalliana”.<br />

La coerenza potrebbe anche portare alle estreme conseguenze del significato<br />

di testimone (martire): è l’esito estremo cui può giungere una testimonianza di<br />

fedeltà.<br />

Penso che l’espressione di Fratel Tito Lolli, apparentemente banale e scontata,<br />

volesse significare questo: la testimonianza è l’esperienza personale, irripetibile<br />

della vita di ciascuno …<br />

Si racconta che Giotto, quando gli si presentarono gli incaricati del Papa in<br />

cerca di un pittore per san Pietro, non avesse fatto altro che prendere un foglio<br />

di carta per tracciarvi a mano libera un cerchio. Ma era un cerchio così perfetto<br />

che a Benedetto IX bastò per apprezzare il valore dell’artista. In altre parole :<br />

l’insegnante lasalliano è un “testimone educatore” quando vive secondo il suo<br />

stato: sia egli sacerdote, religioso, operaio, padre, madre,… senza pretendere<br />

quello che non appartiene alla sua identità vivendo coerentemente con i dettami<br />

della sua coscienza la missione dell’insegnamento.<br />

I testimoni presentati in questo fascicolo (<strong>San</strong> Giovanni Bosco, Thomas Merton,<br />

Pavel Florenskij, Pier Giorgio Frassati, <strong>Giuseppe</strong> Ungaretti, Aleksandr Solzenicyn<br />

e altri meno noti) sono attendibili perché sono vissuti coerentemente<br />

con il loro stato: certo non possiamo ripetere i loro percorsi esistenziali, ma la<br />

conoscenza della loro esperienza ci può incoraggiare nell’approfondire i motivi<br />

e le finalità della nostra personale, autentica, irripetibile esperienza.<br />

14


Vivere e non vivacchiare QdPD 1 (2011)<br />

“Vivere e non vivacchiare”<br />

(Pier Giorgio Frassati)<br />

LETIZIA FALLANI<br />

“Beato chi cammina nelle vie del Signore”<br />

Pier Giorgio Frassati è il figlio dei nostri giorni: è cresciuto nel benessere, in<br />

un ambiente piuttosto indifferente ai valori della vita e ai principi evangelici.<br />

È ricco, bello, intelligente, pieno di vita, amante della compagnia, dello sport,<br />

della montagna. Il 20 maggio 1990, quando Giovanni Paolo II lo proclama beato,<br />

ai fedeli raccolti in piazza <strong>San</strong> Pietro, appare raffigurato in tenuta alpina, mentre<br />

scala le sue amate montagne. Il papa lo definisce “il ragazzo delle otto beatitudini”<br />

perché “in lui la fede e gli avvenimenti quotidiani si fondono armonicamente,<br />

tanto che l’adesione al Vangelo si traduce in attenzione ai poveri e ai<br />

bisognosi. E chi diventa uomo delle beatitudini, riesce a comunicare ai fratelli<br />

l’amore e la pace”.<br />

Pier Giorgio s’innamora delle lettere di san Paolo, le legge e le rilegge anche<br />

per strada, sul tram. Diventa apostolo di Gesù: è entusiasta, gioioso nell’aderire<br />

al Suo messaggio e alla Sua carità e prega. Si nutre della parola di Dio attraverso<br />

i testi biblici. Grande importanza per lui ha l’amicizia e dà vita ad un gruppo di<br />

ragazzi e ragazze, “La società dei tipi loschi”. Per lui la voglia di vivere e la goliardia<br />

aiutano a “servire Dio in perfetta letizia”. Così insieme a loro si reca nelle<br />

soffitte della Torino povera per aiutare chi “è infinitamente migliore di me”. La<br />

sua giornata è piena di Dio e dedicata al servizio del prossimo. La fede e la carità<br />

15


Pedagogia e Didattica Letizia Fallani<br />

distinguono la sua esistenza, lo rendono attivo nell’ambiente dove vive, la famiglia,<br />

la scuola, l’università e la società. È moderno, ama, vive di Cristo e in<br />

Cristo. Per i giovani e per tutti può essere un modello per la forza degli ideali,<br />

per la spinta all’agire nella speranza di un rinnovamento spirituale di cui oggi<br />

si sente sempre più forte la necessità.<br />

<strong>De</strong>stinatari:<br />

• V classe della scuola primaria e classi di secondaria di primo grado.<br />

Prerequisiti:<br />

• Collocare sulla linea del tempo il periodo della sua vita - Significato di Associazione<br />

e partito: la “<strong>San</strong> Vincenzo”, l’Azione Cattolica, il Partito popolare<br />

di Don Sturzo, il partito Fascista, Fuci, Cai.<br />

Percorso:<br />

• Breve presentazione di Pier Giorgio Frassati - Proiezione del Power point<br />

e dei filmati della fiction - Conversazione sul personaggio, la sua testimonianza<br />

e i valori emersi.<br />

Strategia didattica:<br />

• Lezione frontale per le premesse.<br />

• Proiezione del Power Point e di filmati della fiction televisiva.<br />

Strumenti:<br />

• Power point e computer.<br />

OBIETTIVI<br />

Conoscenze e abilità:<br />

• Conoscere un testimone giovane dei nostri tempi - Apprezzarne lo sforzo<br />

nel seguire gli insegnamenti evangelici, il servizio e la dedizione agli altri<br />

- Riflettere sui propri atteggiamenti, le proprie azioni, il proprio sentimento<br />

religioso.<br />

Testi di supporto bibliografico:<br />

• Omelia di papa Giovanni Paolo II durante la beatificazione il 20 maggio<br />

1990.<br />

• Pier Giorgio Frassati di Cristina Siccardi.<br />

16


Vivere e non vivacchiare QdPD 1 (2011)<br />

Verifica:<br />

• Improvvisiamoci giornalisti e stendiamo un’immaginaria intervista a Pier<br />

Giorgio Frassati - Commentiamo queste frasi: “Vivere senza una fede, un patrimonio<br />

da difendere, senza sostenere, in una lotta continua, la Verità, non è vivere,<br />

è vivacchiare” “Voglio essere fratello dell’uomo che lavora, di chi non ha<br />

speranza in questa società, cercare di costruire percorsi di giustizia, amando la mia<br />

gente e la sua dignità.<br />

DOCUMENTI<br />

• Scheda biografica.<br />

I primi anni<br />

Da te non faresti nulla<br />

ma se Dio avrai per centro<br />

di ogni tua azione<br />

allora sì arriverai fino alla fine.<br />

Nato il 6 aprile 1901 a Torino, Pier<br />

Giorgio è figlio di Alfredo Frassati, fondatore<br />

del quotidiano “La Stampa” e di<br />

Adelaide Ametis, pittrice. La sua è una<br />

famiglia borghese originaria del Biellese,<br />

di stampo liberale. L’educazione<br />

rigida, che fin da piccolo riceve, è in<br />

sintonia con l’ambiente e il tempo in cui<br />

vive. Alla madre, e alla nonna materna<br />

Linda, deve i primi contatti con la religione,<br />

ma in lui si manifesta subito una<br />

dimensione di fede votata alla concretezza<br />

e alla generosità, che caratterizzeranno la sua intera esistenza, fin dalla<br />

prima infanzia. Si narra, infatti, ad esempio, che frequentando l’asilo a Pollone<br />

mentre tutti lasciavano in disparte un bimbo malato, PierGiorgio aveva deciso<br />

di imboccarlo e di fargli compagnia. In un’altra occasione, regala le sue scarpine<br />

a una mamma povera che aveva bussato per chiedere aiuto per il suo bimbo.<br />

17


Pedagogia e Didattica Letizia Fallani<br />

Gli anni della gioventù<br />

Gesù nella <strong>San</strong>ta Comunione mi fa visita ogni mattina. Io gliela rendo, con i miei poveri<br />

mezzi, visitando i poveri<br />

A differenza della sorella Luciana, nata il 19 luglio 1902, non è uno studente<br />

brillante e, a causa di una bocciatura, viene iscritto all’<strong>Istituto</strong> Sociale dei padri<br />

Gesuiti: qui incontra quotidianamente l’Eucaristia e da qui inizia il suo percorso<br />

di impegno per gli altri, con le prime adesioni alle associazioni di carattere spirituale<br />

e sociale, come la Conferenza di <strong>San</strong> Vincenzo. Negli anni questo aspetto<br />

diventa preponderante: finiti gli studi liceali si iscrive al Politecnico di Torino,<br />

per laurearsi in Ingegneria Mineraria, manifestando chiaramente l’intenzione di<br />

lavorare accanto ai minatori, allora ai margini della società. L’ambiente universitario<br />

è vivace e Pier Giorgio si iscrive alla Federazione Universitaria Cattolica,<br />

luogo di formazione alla vita culturale e sociale, e alla Gioventù Cattolica, il cui<br />

motto è: “preghiera, azione e sacrificio”. Aderisce anche ad altre associazioni<br />

per vivere il cristianesimo con le diverse esperienze offerte da ogni gruppo. In<br />

questo periodo è facile, come ricorda Lazzati, vederlo “trascinare per le vie di<br />

Torino carretti pieni di masserizie dei poveri in cerca di casa, e passare sudato<br />

sotto il carico di grossi pacchi anche male confezionati, ed entrare nelle case più<br />

squallide dove spesso miseria e vizio si danno la mano, sotto gli occhi scandalizzati<br />

di un mondo che nulla fa per aiutarli ad uscirne; e farsi, con sorprendente<br />

umiltà…questuante per i suoi poveri, e per essi ridursi al verde così da rincasare<br />

fuori orario per non avere neppure i pochi centesimi che gli bastino per il tram”.<br />

L’impegno politico<br />

Io sono povero come tutti i poveri. E voglio lavorare per loro<br />

Il suo impegno per gli altri si esplica in tutte le forme: in anni di forti tensioni,<br />

partecipa attivamente alla vita politica, iscrivendosi al Partito Popolare di don<br />

Sturzo e schierandosi apertamente contro il nascente Partito Fascista, tanto da<br />

subire e sventare un’aggressione di attivisti in casa. Aderisce anche ai circoli<br />

operai cattolici della FIAT. Verrà, perfino, arrestato a Roma 1921 per aver partecipato<br />

al corteo per i cinquanta anni della fondazione della Gioventù Cattolica.<br />

La stessa attività compirà in Germania, a Berlino, dove il padre è Senatore del<br />

Regno d’Italia. Lì conosce, infatti, il dott. Sonnenschein, il <strong>San</strong> Francesco di Berlino,<br />

che affiancherà nelle sue opere caritative, invece di presenziare agli eventi<br />

ufficiali dell’Ambasciata. L’esperienza tedesca, con i postumi sociali della<br />

Guerra, porta Pier Giorgio ad operare attivamente anche per la pace: si iscrive,<br />

così, a “Pax Romana”, non disdegnando di far sentire la propria voce durante<br />

l’invasione francese della Rhur. Amante delle vette alpine, - passione maturata<br />

fin da bambino con la mamma -, organizza spesso gite in montagna con gli amici<br />

18


Vivere e non vivacchiare QdPD 1 (2011)<br />

della FUCI e del CAI. Con gli amici più stretti e le amiche più care dà vita alla<br />

goliardica “Società dei Tipi Loschi”, il cui vincolo è costituto dalla fede. Pier<br />

Giorgio - già soprannominato dagli amici Fracassi” - prenderà il nome di “Robespierre”,<br />

l’incorruttibile. Così la sua generosità si fonde con l’allegria, diventa<br />

anche allegria che trasmette agli altri, per regalare loro gioia e spensieratezza.<br />

Gli ultimi attimi<br />

Finchè la Fede mi darà la forza, mi sentirò sempre allegro.<br />

L’ultimo compleanno, il ventiquattresimo, lo festeggia durante un ritiro spirituale:<br />

come regalo riceve dal padre cinquemila lire, che utilizza per comprare<br />

dei mobili per assistiti della <strong>San</strong> Vincenzo. Il 1925 è l’anno delle grandi “rinunce”,<br />

in cui PierGiorgio sopporta cristianamente molte sofferenze: a gennaio<br />

rinuncia alla sorella Luciana, sposa di un diplomatico polacco, rinuncia all’affetto<br />

intenso per l’amica Laura Hidalgo, al fine di non provocare liti tra i genitori, rinuncia<br />

al lavoro in miniera, per non deludere il padre che lo vuole a “la Stampa”.<br />

Non sono segnali di debolezza: sono adeguamenti, pur sofferti, al piano di Dio,<br />

con la fortezza del discernimento di confondere con i propri desiderata un destino<br />

diverso voluto da Dio. Frequentando le case dei poveri si espone, tuttavia,<br />

al contagio di gravi malattie: così contrae la poliomelite fulminante. Durante la<br />

settimana di agonia, riesce a scrivere un premuroso biglietto per i suoi assistiti<br />

della <strong>San</strong> Vincenzo, chiedendo ad un amico di compiere le attività previste.<br />

Muore il 4 luglio 1925, dopo aver trascorso una vita “ordinaria”, interamente<br />

dedicata l’Altro e agli Altri? Dopo la morte il padre si rese conto della grandezza<br />

delle scelte del figlio e si avvicinò alla fede. Questo è stato il vero miracolo di<br />

Pier Giorgio.<br />

Ebbe a dire Marco Beltramo in proposito: “In lui vi fu il semplice, costante,<br />

fedele, compimento del proprio dovere vi fu, cioè, il continuo adeguamento della<br />

propria vita alla volontà divina quale si manifestava in ogni preciso istante. Questo<br />

è il segreto della santità e questo è il segno dell’eroismo cristiano che accetta<br />

il messaggio di Gesù in ogni giorno, in ogni minuto, per modellare la propria<br />

vita sull’esempio di Lui”.<br />

19


Pedagogia e Didattica Letizia Fallani<br />

20


Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />

Thomas Merton:<br />

una testimonianza sui generis<br />

MASSIMO CAVALLO, EDUARDO CIAMPI, RICCARDO FORTE<br />

In un’epoca segnata dalla crisi delle grandi ideologie, tentata da nuovi fideismi<br />

e in cui si è diventati piuttosto “allergici” alle affermazioni veritative, la testimonianza<br />

si configura come quella forma di conoscenza e di comunicazione<br />

interpersonale in cui verità e libertà si implicano e si esigono a vicenda. Che cosa<br />

vuol dire essere testimoni? Di che cosa si può dare testimonianza? E nei confronti<br />

di chi? L’unità didattica intende dare una risposta a questi interrogativi, chiarendo<br />

dapprima il significato della parola testimonianza, soprattutto dal punto<br />

di vista della sua rilevanza antropologica e comunicativa, poi mostrando come<br />

l’evento di Gesù Cristo nella sua singolarità, compia in modo assolutamente gratuito<br />

la testimonianza incondizionata della Verità di Dio in un soggetto umano;<br />

infine presenta la descrizione della testimonianza cristiana, la sua dinamica, i<br />

suoi elementi costitutivi, con particolare riferimento al valore del destinatario e<br />

le sue peculiari forme.<br />

Testimoniare la fede è uno dei “migliori” servizi che l’essere umano può fare<br />

a favore della propria religione e del prossimo, e la storia del Cristianesimo è<br />

costellata da tante preziose testimonianze. Nell’affrontare questo tema, abbiamo<br />

preferito in quest’unità didattica di proporre un testo che tuttavia appare - già<br />

21


Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />

dal titolo - decisamente provocatorio: Diario d’un testimone colpevole.<br />

Il saggio è stato scritto da un monaco cistercense che già tante testimonianze<br />

di fede aveva saputo offrire, ma che non poté fare a meno di scuotere la coscienza<br />

dei propri fratelli con un approccio diverso e comunque propedeutico per poter<br />

avvicinarsi alla fede: la testimonianza della consapevolezza dei propri peccati,<br />

delle proprie colpe, soprattutto delle proprie omissioni. Il Diario di un testimone<br />

colpevole allude, infatti, alla dichiarazione di essere stato presente dinanzi a qualche<br />

evento colposo e di non aver fatto nulla per evitarlo, anzi di aver a modo<br />

proprio - più o meno inconsciamente - contribuito a provocarlo. È a questa analisi<br />

della propria coscienza che Merton vuole stimolare nel lettore, testimoniando<br />

di aver scandagliato lui in prima persona la sua anima e di averla trovata colpevole.<br />

L’avvicinarsi a Thomas Merton, un gigante della teologia cristiana - anche attraverso<br />

note biografiche e bibliografiche - risulterà assai utile a stimolare quella<br />

curiosità necessaria per affrontare altri scritti del monaco statunitense e a comprendere<br />

il senso del sacro anche all’interno della letteratura in lingua straniera.<br />

L’idea di scegliere alcuni passi dal saggio Conjectures of a guilty bystander 1 per<br />

un’unità didattica rivolta ai ragazzi dell’ultimo anno della scuola media è coraggiosa,<br />

vuole quindi sottendere loro - soprattutto in vista dell’esame di licenza<br />

- una letteratura cristiana di grande spessore.<br />

L’unità didattica è concepita in modalità interdisciplinare, e parte da un invito<br />

alla traduzione attraverso una selezione di alcuni passi del saggio di Merton,<br />

per poi favorire un approfondimento di riflessione religiosa.<br />

1 Tradotto e pubblicato negli anni ’60 per i tipi della Mondatori, col titolo Diario di un testimone<br />

colpevole.<br />

22


Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />

<strong>De</strong>stinatari<br />

Classe III Media<br />

Periodo<br />

Fine secondo quadrimestre<br />

Durata<br />

8 ore, di cui 3 per la lingua inglese, 2 per religione, e 3 per visione film e dibattito.<br />

Prerequisiti<br />

Competenze grammaticali di base per poter comprendere e tradurre un testo<br />

in L2. Abitudine alla riflessione su temi religiosi.<br />

Percorso<br />

Partendo dal tema della testimonianza, si prendono in considerazione alcuni<br />

passi del saggio di Thomas Merton, Conjectures of a guilty bystander, per sviluppare<br />

un’unità didattica interdisciplinare per Lingua inglese e Religione.<br />

Strategia didattica<br />

Lezione frontale, lettura dei passi dei testi scelti; riflessioni guidate in L1; suggerimenti<br />

per un uso corretto del vocabolario; traduzione di un passo pilota da<br />

L2 in L1; lavoro di gruppo; visione del film e dibattito.<br />

Strumenti<br />

Schede didattiche fornite dal docente<br />

Dizionario inglese-italiano (e/o dizionario monolingua L2)<br />

Utilizzo sala video<br />

OBIETTIVI<br />

Conoscenze Tematiche:<br />

Imparare a riflettere sulle testimonianza di chi ha intrapreso un cammino spirituale.<br />

Acquisire tecniche di traduzione da L2 in L1.<br />

Competenze:<br />

Saper cogliere, attraverso la lettura dei testi, i valori essenziali che ci permettono<br />

di conoscerci meglio.<br />

Testi di riferimento:<br />

T. Merton, Conjectures of a guilty bystander (tradotto col titolo Diario di un<br />

testimone colpevole, Garzanti, 1992).<br />

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Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />

Testi di supporto bibliografico:<br />

T. Merton: Nessun uomo è un’isola, Garzanti, 1956.<br />

T. Merton: La montagna delle sette balze, Garzanti, 1950.<br />

Verifica:<br />

Traduzione dei passi proposti in L1, introduzione biografica di Thomas Merton<br />

in L2, questionario in L1 sui contenuti.<br />

Unità didattica<br />

Lingua inglese (1 ora)<br />

An introduction to Thomas Merton (biography and main works)<br />

Notes for a correct use of dictionaries (especially in work-groups)<br />

Translation of a pilot passage (0)<br />

Lingua inglese (1 ora)<br />

Production of the written translations (in groups) of the chosen passages.<br />

Religione (1 ora)<br />

Introduzione al tema della testimonianza religiosa.<br />

Lettura e commento delle traduzioni realizzate dai ragazzi.<br />

Lingua inglese (1 ora)<br />

Oral test in L2 (Merton’s biography) and checking of the translations.<br />

Homework: Transcription of the translations on the PC, in ‘word’ (and print).<br />

Religione (1 ora)<br />

Lettura e commento delle traduzioni realizzate dai ragazzi.<br />

Verifica scritta: breve questionario a risposta aperta sui contenuti trattati.<br />

Religione/Inglese (3 ore)<br />

Proiezione del film Uomini di Dio.<br />

Dibattito<br />

Thomas Merton (1915-1968) was a 20th century Anglo-American Catholic<br />

writer and a Trappist monk of the Abbey of Gethsemani, Kentucky. He was a<br />

poet, social activist and student of comparative religion. In 1949, he was ordained<br />

to the priesthood and given the name Father Louis. Merton wrote more<br />

than 70 books, mostly on spirituality, social justice and a quiet pacifism, based<br />

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Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />

on a firm refusal to participate in the worldly values and assumptions. His bestselling<br />

autobiography, The Seven Storey Mountain (1948) sent scores of disillusioned<br />

World War II veterans, students, and even teen-agers flocking to<br />

monasteries across the US, and was also featured as one of the 100 best non-fiction<br />

books of the century. No man’s an island is one of his most famous essays.<br />

Merton was a keen proponent of interfaith understanding: he pioneered dialogue<br />

with prominent Asian spiritual figures, including the Dalai Lama, D. T.<br />

Suzuki, the Japanese writer on the Zen tradition, and the Vietnamese monk<br />

Thich Nhat Hanh. Divided into five parts, his Conjectures of a Guilty Bystander is<br />

full of personal reflections, metaphors, observations, insights, and critiques.<br />

Texts (from Conjectures of a Guilty Bystander)<br />

1) The greatest need of our time is to clean out the enormous mass of mental<br />

and emotional rubbish that clutters our minds and makes of all political and social<br />

life a mass illness. Without this housecleaning we cannot begin to see. Unless<br />

we see, we cannot think 2 .<br />

2) There is a pervasive form of contemporary violence to which the idealist fighting<br />

for peace by non-violent methods most easily succumbs: activism and<br />

overwork. The rush and pressure of modern life are a form, perhaps the most<br />

common form, of its innate violence. To allow oneself to be carried away by a<br />

multitude of conflicting concerns, to surrender to too many projects, to want to<br />

help everyone in everything is to succumb to violence. More than that, it is cooperation<br />

in violence. The frenzy of the activist neutralizes his work for peace. It<br />

destroys his own inner capacity for peace. It destroys the fruitfulness of his own<br />

work, because it kills the root of inner wisdom which makes work fruitful.<br />

3) The tactic of non-violence is a tactic of love that seeks the salvation and redemption<br />

of the opponent, not his castigation, humiliation, and defeat. A pretended<br />

non-violence that seeks to defeat and humiliate the adversary by spiritual<br />

instead of physical attack is little more than a confession of weakness.<br />

It is both dangerous and easy to hate man as he is because he is not “what he<br />

ought to be.” If we do not first respect what he IS we will never suffer him to<br />

become what he ought to be: in our impatience we do away with him altogether.<br />

2 La maggiore necessità del nostro tempo è nello svuotamento di quell’enorme massa di sudiciume<br />

mentale ed emozionale che ostruisce le menti e che trasforma la vita politica e sociale in<br />

una malattia collettiva. Senza queste pulizie generali non potremmo iniziare a vedere. E se non<br />

vediamo, come potremmo capire?<br />

25


Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />

4) We live in crisis, and perhaps we find it interesting to do so. Yet we also feel<br />

guilty about it, as if we ought not to be in crisis. As if we were so wise, so able,<br />

so kind, so reasonable, that crisis ought at all times to be unthinkable. It is doubtless<br />

this ‘ought’, this ‘should’ that makes our era so interesting that it cannot<br />

possibly be a time of wisdom, or even of reason. We think we know what we<br />

ought to be doing, and we see ourselves move, with the inexorable deliberation<br />

of a machine that has gone wrong, to do the opposite.<br />

5) Why can we not be content with an ordinary, secret, personal happiness that<br />

does not need to be explained or justified? We feel guilty if we are not happy in<br />

some publicly approved way, if we do not imagine that we are meeting some<br />

standard of happiness that is recognized by all. God gives us the gift and the capacity<br />

to make our own happiness out of our own situation. And it is not hard<br />

to be happy, simply by accepting what is within reach, and making of it what<br />

we can.<br />

6) In Louisville, at the corner of Fourth and Walnut, in the center of the shopping<br />

district, I was suddenly overwhelmed with the realization that I loved all those<br />

people... even though we were total strangers. It was like waking from a dream<br />

of separateness... The whole illusion of a separate holy existence is a dream. . .<br />

Not that I question the reality of my vocation, or of my monastic life: but the<br />

conception of “separation from the world” that we have in the monastery too<br />

easily presents itself as a complete illusion.<br />

Scheda Proiezione di “Uomini di Dio” 3<br />

Genere: drammatico<br />

Regia: Xavier Beauvois<br />

Interpreti: Lambert Wilson (Christian), Michael Lonsdale (Luc), Olivier Rabourdin<br />

(Christophe), Philippe Laudenbach (Célestin), Jacques Herlin (Amédée), Loic<br />

Pichon (Jean Pierre), Xavier Maly (Michel), Jean Marie Frin (Paul), Abdelhafid<br />

Metalsi (Nouredine), Sabrina Ouazani (Rabbia), Abdallah Moundy (Omar).<br />

Nazionalità: Francia<br />

Distribuzione: Lucky Red Distribuzione<br />

Anno di uscita: 2010<br />

Origine: Francia (2010)<br />

Soggetto: Agathe Grau<br />

3 Cfr. Commissione Nazionale Valutazione Film (CNVF) della Conferenza Episcopale Italiana,<br />

2011.<br />

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Thomas Merton: una testimonianza sui generis QdPD 1 (2011)<br />

Sceneggiatura: Etienne Comar, Xavier Beauvois<br />

Fotografia: Caroline Champetier<br />

Musiche: brani di autori vari<br />

Montaggio: Marie Julie Maille<br />

Durata: 120’<br />

Produzione: Etienne Comar, Pascal Caucheteux.<br />

Giudizio: Raccomandabile/poetico/dibattiti.<br />

Tematiche: Evangelizzazione-missione; Gesù; Pace; Rapporto tra culture; Solidarietà-Amore;<br />

Tematiche religiose;<br />

Trama: uscito in Italia con il titolo Uomini di Dio (non letterale, e questo ha suscitato<br />

qualche polemica: la traduzione letterale sarebbe “Uomini e dei”, a sottolineare<br />

il rapporto tra diverse religioni e non la focalizzazione solo su “questi”<br />

uomini di Dio), il film racconta la vita e la morte di un gruppo di monaci cistercensi<br />

(lo stesso ordine di Thomas Merton) francesi nell’Algeria degli anni ’90,<br />

insanguinata dalla guerra tra i terroristi del Fronte Islamico di Salvezza e il regime<br />

militare corrotto dell’epoca.<br />

I sette vivono nel convento di Thibirine (Algeria), nell’amore, ricambiato, per<br />

la popolazione musulmana dei dintorni, che vede nei monaci cattolici un punto<br />

di riferimento e di sicurezza. E anche di aiuto concreto soprattutto per le cure<br />

mediche che uno dei religiosi (frère Luc) riesce ad assicurare a tutti, senza distinzioni,<br />

ma con particolare riguardo a donne e bambini. Le cose, si avverte,<br />

non sono però così idilliache – e, infatti, i fondamentalisti della GIA erano in<br />

azione già da anni – ma è la strage di un gruppo di operai croati cristiani, in un<br />

cantiere nei dintorni, da parte dei rivoluzionari islamici a far capire ai monaci<br />

che sono in pericolo.<br />

Di lì a poco un’irruzione nel convento farà temere il peggio, ma non avrà conseguenze;<br />

anzi, instilla nel capo dei terroristi una forma di rispetto per frère Christian<br />

de Chergé, priore del convento, fermo nella sua fede (i terroristi, fra l’altro,<br />

irrompono, la notte di Natale) e mite al tempo stesso. Ma nel gruppo di religiosi<br />

serpeggia la paura, non tutti sono disposti ad aspettare una morte, possibile se<br />

non probabile. La decisione finale é quella di rimanere laddove la loro missione<br />

li ha chiamati. Fino al giorno in cui i terroristi non li prendono e li portano via<br />

sotto la neve. Due riescono a rimanere al monastero. Gli altri non sono più tornati.<br />

Il fatto é realmente accaduto. Anche la lettera che viene letta nel finale é l’autentico<br />

testamento spirituale dettato da padre Christian, il priore della piccola<br />

comunità cistercense. Su una base quindi di preciso realismo, prende corpo una<br />

storia che poi si allontana dalla cronaca o, meglio, ne fa occasione per una riflessione<br />

profonda e alta sull’essenza della vita cristiana, sul rapporto tra dimensione<br />

umana e spirituale, sulla vocazione come apertura ad ogni essere del<br />

27


Pedagogia e Didattica Massimo Cavallo, Eduardo Ciampi, Riccardo Forte<br />

creato. Rinunciando a “mostrare” il momento dell’uccisione, il regista scavalca<br />

volutamente l’istintiva reazione della rabbia e dello sdegno per lanciare una precisa<br />

indicazione: non c’è martirio, la fede dei monaci è in grado di sconfiggere<br />

la morte, e il loro sacrificio é tanto più forte quanto più ha passato tutte le fasi<br />

del dubbio e della paura. Sentimenti comuni a chiunque non si rassegni a vivere<br />

in un’ottica di conflitto con l’altro. Nella sua scansione lenta, asciutta, in certi<br />

passaggi solenne, la regia disegna il diario appassionato di una missione senza<br />

fine: testimonianza di vita, cammino verso il Golgota moderno, un fatto vero<br />

come un vissuto di fede, da parte di persone che arrivano da situazioni differenti.<br />

Un cinema che parla al cuore, anche attraverso immagini abitate non da effetti<br />

speciali ma da un antico, attualissimo silenzio.<br />

Per quanto detto, il film, dal punto di vista pedagogico, é da valutare come<br />

raccomandabile, nell’insieme poetico e adatto per dibattiti.<br />

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Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag QdPD 1 (2011)<br />

Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag<br />

<strong>De</strong>stinatari: quinto anno Liceo<br />

Disciplina: Storia<br />

Ore di lezione: 3<br />

MICHELE CATALUDDI<br />

Introduzione:<br />

Il percorso didattico intende soffermarsi sul fenomeno dei Gulag, nel periodo<br />

della Russia sotto la dittatura di Stalin, in particolare negli anni 1929-1933. Dopo<br />

aver studiato la Rivoluzione d’ottobre, che ha eliminato lo zarismo e costituito<br />

l’URSS, sotto la guida di Lenin, che già aveva adottato delle misure autoritarie,<br />

per stabilizzare il controllo politico bolscevico, introdurre la nazionalizzazione<br />

e progressiva collettivizzazione delle attività produttive, nel 1924, con la sua<br />

morte, Stalin aveva conquistato il potere traducendo la fase dittatoriale del proletariato,<br />

prefigurata dall’ideologia marxista, in una dittatura personale. Egli era<br />

deciso a portare avanti il suo programma di modernizzazione della Russia, eliminando<br />

qualunque oppositore, reale o potenziale. A volte, la persona era fucilata<br />

senza processo; in altri casi, dopo un lungo interrogatorio, l’individuo<br />

29


Pedagogia e Didattica Michele Cataluddi<br />

veniva condannato, sulla base dell’art.58 del Codice penale sovietico, che puniva<br />

i reati contro lo Stato, alla deportazione in un lager. In questi anni, un uomo<br />

adulto su cinque passò per i campi del Gulag.<br />

Il sistema concentrazionario sovietico: La prassi d’internare nemici e oppositori<br />

in campi di concentramento (o lager, secondo l’espressione tedesca, che veniva<br />

usata correntemente anche in Russia) fu adottata dai bolscevichi durante la<br />

guerra civile tra anticomunisti e rivoluzionari (1917-19). Nata come misura eccezionale,<br />

tale pratica si trasformò presto in sistema. Un passo importante in tale<br />

direzione si ebbe il 17 febbraio 1919, allorché un apposito decreto del Comitato<br />

esecutivo centrale dei soviet della Russia conferì alla CEKA il diritto di isolare<br />

in lager tutti i soggetti sospettati di essere controrivoluzionari. Il sistema assunse<br />

la sua forma definitiva nel 1923, quando nacque il lager a regime sperimentale<br />

delle Solovki, un arcipelago situato al 65o parallelo di latitudine, a circa 160 chilometri<br />

dal circolo polare artico. In inverno, il Mar Bianco gela, tagliando fuori<br />

le isole dal resto della Russia. Anche dal punto di vista delle leggi, si era fuori<br />

dall’Unione Sovietica: nei campi contava solo l’arbitrio del comandante, dei suoi<br />

collaboratori e delle guardie. Per far capire subito questo messaggio, poteva accadere<br />

che qualche detenuto fosse immediatamente ucciso, poco dopo l’arrivo,<br />

davanti a tutti gli altri, con un colpo di fucile.<br />

Secondo lo scrittore russo Aleksandr Solzenicyn, «l’aria delle Solovki» appariva<br />

come «uno strano miscuglio di estrema ferocia e di inconsapevolezza quasi<br />

indulgente». A fianco di episodi di eccezionale brutalità, si registrano anche casi<br />

e situazioni particolari, destinati a scomparire nell’evoluzione successiva del sistema<br />

concentrazionario sovietico. Ad alcuni detenuti, ad esempio, fu concesso<br />

ricevere pacchi e lettere dall’esterno, persino visite di parenti; ai numerosi religiosi<br />

reclusi di celebrare la Pasqua, con una solenne e grandiosa cerimonia liturgica;<br />

venivano curate ricerche di storia dell’arte e dell’architettura russa, di<br />

etnologia e archeologia; era pubblicata una rivista e funzionò anche un teatro.<br />

All’interno dell’ex monastero dove alloggiavano i detenuti la densità abitativa<br />

era insostenibile. I letti non avevano lenzuola e gli ambienti erano freddissimi,<br />

privi di qualsiasi riscaldamento, cosicché i reclusi erano costretti a costituire dei<br />

“gruppi di calore” di 4 o 6 persone, che si stringevano gli uni agli altri. Le condizioni<br />

di vita di coloro che erano inviati nel bosco, in campi senza nome, a tagliare<br />

legname, erano molto peggiori. I loro alloggi erano buchi o trincee, scavate<br />

spesso con le mani nude in terreni paludosi e acquitrinosi. Altri lavori molto<br />

duri furono quello di costruzione e manutenzione di una piccola ferrovia e<br />

quello nelle torbiere. Qui si lavorava con l’acqua fino alle ginocchia o fino alla<br />

cintola per estrarre la torba.<br />

La corruzione all’interno del campo imperava sovrana. Elargendo denaro agli<br />

ufficiali o al personale sanitario, era possibile essere dichiarati inidonei ai lavori<br />

30


Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag QdPD 1 (2011)<br />

più pesanti ed essere assegnati ad altre attività meno faticose, salvo poi vedersi<br />

improvvisamente ritirare tali privilegi. Le infrazioni ritenute più gravi comportavano<br />

sanzioni pesantissime. All’interno della chiesa situata sul Monte Sekira<br />

funzionava un vero tribunale politico, che poteva decidere, ad esempio, un prolungamento<br />

della pena detentiva oppure la fucilazione del detenuto.<br />

Lettura di una testimonianza di D.S.Lichacev: «La vita alle Solovki era tanto<br />

assurda da non parere vera. Qui tutto si confonde come in un incubo terribile,<br />

si cantava in una delle canzoni del lager».<br />

Lo sviluppo del sistema concentrazionario: Il durissimo scontro sociale nelle<br />

campagne russe, all’inizio degli anni Trenta, fece aumentare in modo esponenziale<br />

il numero dei detenuti e quindi dei campi. Nel 1930, per gestire una struttura<br />

che si faceva sempre più ramificata e complessa, fu istituito un nuovo ente,<br />

la Direzione centrale dei lager (Glavnoe Upravlenie Lagerej, abbreviato in<br />

GULag). In concomitanza con la svolta impressa da Stalin all’economia sovietica,<br />

si decise di impiegare la manodopera dei campi per fini produttivi. Spesso il<br />

gulag assunse il ruolo di un imprenditore che si impegna a esaudire le commesse<br />

affidategli dai diversi enti, come i Commissariati del popolo per le Comunicazioni,<br />

gli Affari militari, le Foreste, l’Industria. In base ad appositi contratti, eseguiva<br />

tutte le opere previste dal piano nazionale e diversi lavori pubblici:<br />

costruzione di strade ferrate e fortificazioni, sfruttamento delle miniere e taglio<br />

delle foreste. Il gulag ebbe una funzione notevole anche nella russificazione e<br />

nella sovietizzazione del paese, poiché fu messo in atto un massiccio programma<br />

di mescolanza di etnie. In ogni campo, fin dall’ingresso del prigioniero, una commissione<br />

stabiliva in quale classe di attitudine al lavoro dovesse essere inserito.<br />

I detenuti venivano suddivisi in brigate di 20-40. A capo di ognuna c’era un brigadiere<br />

coadiuvato da un desjatnik (caporale), che calcolava la percentuale di<br />

lavoro obbligatorio effettuato. Ogni brigata lavorava sotto la sorveglianza di un<br />

soldato armato, che aveva diritto di vita o morte sui prigionieri. La durata della<br />

giornata lavorativa, variabile secondo i campi, si aggirava intorno alle 10-12 ore.<br />

Per costringere al lavoro, venne anche introdotto il sistema delle razioni differenziate,<br />

ovvero una correlazione tra mole di lavoro effettivamente svolta nell’arco<br />

di una giornata e quantità di pane ricevuta. In proposito, i vecchi detenuti<br />

avevano imparato a loro spese una massima di saggezza concentrazionaria:<br />

«Non ti ammazza la razione piccola, ma quella grande!».<br />

Lettura di una testimonianza di O. Adamova-Sliozberg.<br />

Lettura di una testimonianza di V. Šalamov: ritenuto il narratore più lucido del<br />

dramma che si consumò nei campi della regione della Kolyma. Nei suoi racconti,<br />

31


Pedagogia e Didattica Michele Cataluddi<br />

il freddo micidiale della Siberia nord-orientale diventa metafora di un altro ben<br />

più terribile gelo: quello della totale indifferenza per le sofferenze umane.<br />

Il Gulag durante la seconda guerra mondiale: All’inizio del 1941 la popolazione<br />

del gulag era di circa 1 930 000 detenuti. Negli anni di guerra la popolazione<br />

presente nel sistema concentrazionario subì un doppio mutamento: aumentò la<br />

percentuale di prigionieri per motivi politici e la quota delle donne in stato di<br />

detenzione. Un numero elevatissimo di prigionieri fu impiegato in fabbriche di<br />

bombe e munizioni. Questi anni furono durissimi per la situazione alimentare<br />

dei detenuti, molti dei quali soffrirono la fame. Ciò provocò un costante aumento<br />

del tasso di mortalità (dal 3,2% al 25,2%).<br />

Lettura di una testimonianza di G. Herling.<br />

Dal 1945 alla morte di Stalin (1953): la popolazione dei lager crebbe in continuazione:<br />

da 1 460 000 detenuti a 2 468 000. Uno dei fenomeni più gravi sottolineati<br />

dai sopravvissuti è il peso crescente che assunsero i criminali comuni,<br />

spesso spietati e violenti, che riuscivano ad imporsi sui più deboli e soprattutto<br />

nei confronti dei detenuti politici. Nell’immediato dopoguerra furono deportati<br />

anche moltissimi ucraini, polacchi o cittadini delle repubbliche baltiche, che si<br />

erano opposti all’occupazione russa, oppure avevano apertamente collaborato<br />

con i tedeschi. Proprio i campi con una maggiore presenza di stranieri videro la<br />

nascita, nei primi anni Cinquanta, di numerose e varie forme di resistenza. La<br />

produttività del lavoro nei campi andò costantemente calando e anche ai massimi<br />

livelli dell’autorità ci si rese conto che il sistema del lavoro forzato non era<br />

più redditizio. Dopo la morte di Stalin, un’amnistia promulgata il 27 marzo 1953<br />

aveva già rimesso in libertà circa 1 200 000 detenuti.<br />

Lettura di testi di P. Florenskij: dalla raccolta di lettere Non dimenticatemi, che<br />

l’autore scrisse durante la prigionia, dopo che il regime gli aveva inflitto una<br />

condanna a 10 anni per propaganda controrivoluzionaria. Le lettere vanno dal<br />

maggio 1933, poco dopo l’arresto, quando egli si trovava nel carcere della Lubjanka,<br />

fino al giugno 1937, pochi mesi prima di morire fucilato. La maggior parte<br />

è stata scritta nel periodo trascorso alle isole Solovki.<br />

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Naufragi di umanità nell’arcipelago Gulag QdPD 1 (2011)<br />

Bibliografia<br />

ADAMOVA-SLIOZBERG O., Il mio cammino, Le Lettere, Firenze 2003.<br />

CORNI G.-HIRSCHFELD G., L’umanità offesa. Stermini e memoria nell’Europa del<br />

Novecento, Il Mulino, Bologna 2003.<br />

FLORENSKJI P., Non dimenticatemi, Mondatori, Milano 2000.<br />

HERLING G., Un mondo a parte, Feltrinelli, Milano 1994.<br />

KOTEK J.-RIGOULOT P., Il secolo dei campi. <strong>De</strong>tenzione, concentramento e sterminio<br />

1900-2000, Mondadori, Milano 2001.<br />

Lichacev D.S., La mia Russia, Einaudi, Torino 1999.<br />

SOLZENICYN A., Arcipelago Gulag.<br />

WERTH N., Le logiche della violenza nell’URSS staliniana, in Rousso H. (a cura di),<br />

Stalinismo e nazismo. Storia e memoria comparate, Bollati Boringhieri, Torino 2001.<br />

33


Pedagogia e Didattica Michele Cataluddi<br />

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Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />

Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa<br />

MARCO CILIONE<br />

Premessa<br />

Il programma di letteratura italiana nell’ultimo anno di liceo ha poche occasioni<br />

di aprirsi al contesto europeo o internazionale in genere, e quando lo fa<br />

deve necessariamente limitarsi ad accenni veloci sia per esigenze di tempo sia<br />

perché la materia esula dalle competenze del docente. Tuttavia il decadentismo<br />

e il simbolismo europei restano una tappa obbligata nelle spiegazioni dell’insegnante<br />

quale necessaria premessa al decadentismo italiano e fonte di grande<br />

coinvolgimento emotivo ed estetico per i ragazzi.<br />

In genere si ha solo il tempo di parlare del decadentismo francese e dell’estetismo<br />

inglese, eppure l’incontro con la figura di Florenskij permette di approfondire<br />

o meglio, nel mio caso, di conoscere gli interessanti sviluppi poetici e<br />

filosofico-linguistici che il simbolismo ha conseguito in Russia.<br />

Mi è sembrato opportuno, quindi, proporre questo approfondimento in un<br />

modulo pluridisciplinare che chiama in causa tanto la letteratura quanto la filosofia.<br />

35


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

Per la panoramica generale sul simbolismo russo faccio riferimento all’esauriente<br />

contributo di Georges Nivat di cui il mio articolo è ampiamente debitore.<br />

<strong>De</strong>stinatari:<br />

- III liceo classico/V liceo scientifico.<br />

Prerequisiti:<br />

- conoscere il quadro storico-culturale del decadentismo europeo;<br />

- conoscere gli autori del decadentismo francese e dell’estetismo inglese.<br />

Contenuti e testi:<br />

- antologia di poeti simbolisti russi.<br />

Strategia didattica:<br />

- lezione frontale.<br />

Strumenti:<br />

- testi forniti in fotocopia.<br />

Obiettivi:<br />

- definire e contestualizzare storicamente il simbolismo russo;<br />

- analizzare un’opportuna antologia di testi;<br />

- definire il rapporto tra poesia e filosofia del linguaggio.<br />

Durata:<br />

- 2 ore, 1 per la lezione e 1 per la verifica.<br />

Verifica:<br />

- analisi guidata di una poesia del simbolismo russo che non sia stata oggetto<br />

di lezione.<br />

1. Dalla fase decadente alla svolta simbolista.<br />

I termini cronologici che delimitano il simbolismo letterario sono in genere<br />

molto difficili da definire. L’orientamento della critica più recente, in questo<br />

senso, propende per un’interpretazione estensiva del fenomeno, che nel caso<br />

della Francia individua le sue radici in Baudelaire, vale a dire una generazione<br />

prima della poesia decadente e simbolista vera e propria, in quello dell’Italia arriva<br />

a lambire persino la poesia del secondo dopoguerra.<br />

Questo è vero anche per il simbolismo russo per il quale, tuttavia, è possibile<br />

individuare un terminus post quem nella pubblicazione d tre piccole raccolte di<br />

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Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />

V. Brjusov e A. Mirapol’skij a Mosca nel marzo del 1894. Più difficile risulta, invece,<br />

riconoscerne l’epilogo: come nel caso del rinascimento italiano, infatti, la<br />

sua massima fioritura (1910) coincide con la percezione forte della crisi, ma la<br />

sua influenza si estende al futurismo e alla “scuola ornamentalista”. Dovremmo<br />

quindi parlare di un ri-orientamento delle sue istanze più che di un loro esaurimento.<br />

Come il decadentismo in Francia, così il simbolismo russo fu dileggiato ai<br />

suoi esordi, ma col tempo affinò la sua sostanza passando da un culto esasperato<br />

dell’individualismo alla “poesia pura” nel segno di reiterati proclami sulla morte<br />

della dell’arte. A questo passaggio, che si consolida intorno al 1910, il simbolismo<br />

russo approda grazie alla rinascita del pensiero religioso avvenuta intorno al<br />

1900: essa gli conferisce il suo utopistico sapore di sintesi totale, dell’essere, della<br />

parola, delle arti, di autore e fruitore. Ne nasce una poesia del lirismo puro con<br />

una vocazione alla polisemia delle immagini e alla fusione tra vita e arte talmente<br />

forti da non spaventare neppure gli ideologi della rivoluzione del 1917, in cui il<br />

simbolismo riconobbe l’espressione più genuina dell’identità russa: la mente sofisticata<br />

e colta dei poeti cercava lo forza rigenerante della barbarie in un rinnovato<br />

slancio di slavofilismo. Sembra quasi di sentir riecheggiare le parole di<br />

Verlaine:<br />

Je suis l’Empire à la fin de la décadence,<br />

Qui regarde passer le grends Barbares blancs<br />

En composant des acrostiches indolents<br />

D’un style d’or où la langueur du soleil dance 1 .<br />

E Verlaine non è l’unico riferimento al decadentismo-simbolismo francese a<br />

cui il simbolismo russo attinge: da Rimbaud esso mutua la volontà di “cambiare<br />

la vita”, da Mallarmé il “libro totale” e li traduce nel recupero dello spirito russo<br />

e nell’ansia della finis temporum, di quella decadenza che Verlaine aveva assimilato<br />

all’esangue civiltà romana del tardo impero. La malinconia di Maeterlinck<br />

e l’estetismo parossistico di Huysmans 2 fanno il resto. Non è un caso che l’arte<br />

divenga l’unica risorsa contro l’individualismo e che in questo senso Schopenhauer<br />

sia proposto come un vero e proprio maestro da Andrei Belyj 3 . Pessimismo<br />

filosofico e ascesi si fondono nella poesia che copre il decennio 1892-1902. In Paludes<br />

Bal’mont raffigura albe morbose su paludi malefiche popolate di spiriti che<br />

diffondono la peste, ma già nel 1898 nella poesia Belladonna propone una più<br />

ariosa e languida vegetalizzazione dell’io:<br />

1 P. Verlaine, Langueur, vv. 1-4, in Jadis, A la maniére de plusieurs, in P. Verlaine, Oeuvres poétiques<br />

complètes, Paris 1962, p. 370.<br />

2 A’ rebours è noto dall’anno della sua pubblicazione, il 1884, ma è tradotto nel 1906.<br />

3 A. Belyi, Il simbolismo come concezione del mondo.<br />

37


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

Essere come un fiore addormentato,<br />

[...]<br />

tutto dimenticare e obliarsi,<br />

avido e muto inebriarsi<br />

del sogno che svanisce.<br />

Inquietante resta invece la poesia di Sologub che Volynskij ha definito uno<br />

Schopenhauer russo uscito da un soffocante caveau. In lui si riconoscono i temi<br />

baudelaireiani dell’inquietudine di vivere e dello slancio verso il bello, la vita, il<br />

miracolo, il gusto per il morboso elevato a categoria estetica, la contrapposizione<br />

tra l’ingenuità del fanciullo e la turpitudine dell’adulto. Forte il gusto per il cromatismo<br />

e la percezione sensoriale quasi sinestetica:<br />

Mescevi, mescevi, facevi oscillare<br />

due coppe carnalmente scarlatte.<br />

Più bianca del lillà, più del rubino scarlatta<br />

tu bianca splendevi e scarlatta.<br />

Tuttavia in Sologub all’immaginario di ascendenza baudelaireiana si mescola<br />

l’ansia filosofica sull’essere:<br />

Menzogna policroma dell’essere,<br />

con te non voglio battermi,<br />

ed estenuato striscio<br />

come un serpente perfido e malato,<br />

e taccio, in abbandono taccio.<br />

Nel 1904 si passa dal “decadentismo” al simbolismo vero e proprio. Brjusov<br />

e Baltrusajtis fondano la rivista “Vesy” (“La bilancia”) intorno a cui ruota tutta<br />

l’élite culturale del simbolismo russo. Apertura all’Europa e vastità di erudizione<br />

sono le linee guida della rivista per la cui casa editrice, la Skorpion, Belyj, Brjusov,<br />

Bal’mont, Sologub e altri realizzano una sorprendente quantità di traduzioni<br />

che coprono gli autori e gli ambiti più disparati. Era inevitabile che questa improvvisa<br />

accelerazione della conoscenza rendesse fertile il terreno del dibattito<br />

culturale e sollecitasse nei poeti simbolisti una consapevole riflessione sul loro<br />

universo concettuale.<br />

2. La magia della parola.<br />

L’ingente quantità di traduzioni dalle lingue e dalle realtà culturali più diverse<br />

che i simbolisti realizzarono per la casa editrice Skorpion deve aver profonda-<br />

38


Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />

mente sensibilizzato gli autori al valore polisemico ed evocativo della parola. Nel<br />

dibattito del 1909, che individua nella teurgia e nel rapporto vita-arte l’essenza<br />

del simbolismo, Ivanov definisce la poesia simbolista un ritorno alla lingua degli<br />

dei, la lingua di un’epoca in cui la comunicazione era spontanea e magica. La<br />

crisi dell’individualismo si supera, a detta di Ivanov, grazie all’arte teurgica che<br />

segna il passaggio dal simbolismo designatore a uno trasfiguratore di ispirazione<br />

dionisiaca, di influenza wagneriana e nietzschiana, che aspira al recupero dell’integrità<br />

umana. In questo senso le corrispondenze baudelaireiane sono una<br />

tappa, una forma di simbolismo idealista che tende al simbolismo realista.<br />

La parola ha un potere magico: essa non comunica per via logico-razionale,<br />

non è il segno di qualcosa, ma ergon ed enérgheia ad un tempo, sintesi di realtà<br />

fenomenica e noumenica. Questa istanza antipositivista era stata già enunciata<br />

da Mallarmé nel 1886:<br />

La poesia, tramite il linguaggio umano ricondotto al suo ritmo essenziale, è l’espressione<br />

del senso misterioso degli aspetti dell’esistenza: essa dota dunque d’autenticità il<br />

nostro soggiorno e costituisce l’unica incombenza spirituale.<br />

Ivanov individua nella poesia la via per recuperare il linguaggio naturale primitivo<br />

in cui le parole sono come le pietre giustapposte nelle mura ciclopiche.<br />

La grammatica ha sancito il depauperamento espressivo della parola che da sinolo<br />

di materia e forma è stata ridotta a contenitore vuoto. Questa perdita di<br />

senso è stata compensata dalla grammatica che ha introdotto la copula per ricostituire<br />

artificialmente il legame morfo-sintattico tra le parole. Si perde quindi<br />

la valenza magico-musicale del sandhi prosodico che, ignorando la divisione tra<br />

le parole, considera i versi come un’unica coesa sequenza ritmico-sintattica. Sembra<br />

quasi di risentire le parole di Gorgia nell’Encomio di Elena sul potere magico<br />

della parola, la cui efficacia persuasiva è legata proprio alla sua valenza fonica,<br />

tant’è che Gorgia si preoccupa di riprodurla attraverso le figure retoriche (figure<br />

gorgiane) anche nella prosa che chiama non a caso discorso senza metro.<br />

Anche il legame tra la sequenza dei fonemi nella parola e il loro rapporto con<br />

il significato trova un illustre precedente classico nelle paretimologie del Cratilo<br />

di Platone e non è un caso che Leroi abbia persino parlato di cinestesia articolatoria,<br />

cioè di coincidenza tra articolazione del suono e significato della parola.<br />

La via magica diventa, dunque, anche per i simbolisti il modo per recuperare<br />

l’essenza vera della realtà, il modo per passare a realibus ad realiora.<br />

La riflessione filosofica sul linguaggio si fa poesia e la poesia filosofia del linguaggio<br />

infrangendo i confini tra creazione artistica e consapevolezza estetica.<br />

39


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

Così anche il fruitore è chiamato in causa come co-autore del testo in una sintesi<br />

creativa che sembra quasi un percorso iniziatico. Per cogliere, dunque, il vero<br />

senso del reale, per approdare cioè al realiorismo ivanoviano, l’arte deve diventare<br />

un gioco che interpreti il mondo per via non-razionale. Il simbolo si presta<br />

a questa operazione: esso permette di risalire alla sorgente del processo creativo<br />

e di giungere all’Ens realissimum (Ellis). E la musica, più di ogni altra arte è vicina<br />

alla genesi noumenica del fenomeno. Con lei i colori. Musica e colori insieme<br />

alla poesia e nella poesia sono un tentativo “di strappare un frammento dal<br />

grande ritmo universale” 4 : la parola nella poesia simbolista perde la consistenza<br />

del suo involucro logico-razionale e recupera la sua energia mitica, la sua aurorale<br />

valenza orfica. Secondo il filologo russo Potebnja tra la forma esteriore della<br />

parola, vale a dire i suoni, e il significato, che cristallizza il dialogo dell’io con il<br />

thymos, cioè il logos 5 , si colloca la forma interiore, l’etimologia profonda della<br />

parola, la sua energia magica.<br />

Pavel Florenskij condanna, invece, la trivialità delle corrispondenze baudelairiane<br />

e i simbolisti russi in genere: egli stigmatizza l’assenza di metodo storico-comparativo<br />

nell’interpretazione dei simboli. La critica di Florenskij,<br />

tuttavia, riduce in modo superficiale la filosofia simbolista a mera interpretazione<br />

di immagini ignorando i temi della fusione delle arti e l’intento dell’ars<br />

poetica ica simbolista, tutta protesa a cogliere l’atto magico sotteso alla parola.<br />

La riflessione di Florenskij muove dall’ontologismo palamita, per cui tutta la<br />

realtà è permeata di Dio, e al contempo dall’inconoscibilità dell’essenza di Dio.<br />

Da questa prospettiva antinomica 6 del cristianesimo nasce l’opposizione al razionalismo<br />

occidentale e quindi la fedeltà alla tradizione russa del realismo ontologico:<br />

si può parlare, quindi, di slavofilismo, atteggiamento che Florenskij<br />

condivide con i simbolisti. Lo slavofilismo ispira anche i saggi che egli dedica<br />

alla filosofia del linguaggio: essi, concepiti tra il 1910 e il 1922, sono stati pubblicati<br />

solo dopo il 1990.<br />

Due sono gli stimoli agli studi di Florenskij: la condanna dei monaci del<br />

monte Athos, colpevoli di credere che l’essenza di Dio potesse essere colta nella<br />

venerazione del suo nome, e la convinzione dell’amico Belyi e degli altri simbolisti<br />

che la parola fosse la chiave interpretativa del rapporto tra finito e infinito.<br />

Al di là della polemica teologica con i monaci del monte Athos, la venerazione<br />

della parola riconosce ad essa una profonda valenza ontologica; negare questa<br />

4 Nivat 1989, p. 94.<br />

5 Cfr. Onians 2006, p. 35. La coincidenza tra logos come pensiero e logos come parola trova riscontro<br />

nei numerosi esempi di dialogo, nella letteratura greca arcaica, tra l’uomo e il suo animo<br />

o senno (Onians 2006, p. 35, note 2 e 3). <strong>De</strong>l resto i dialoghi socratici di Platone sono dialoghi proprio<br />

perché questa forma meglio esprime il carattere dinamico del pensiero-parola del logos. Non<br />

è un caso che il logos sia Dio nel simbolismo cristiano antico.<br />

6 Per il rapporto tra antinomia e filosofia del linguaggio cfr. Florenskij 1989, pp. 10-11.<br />

40


Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa QdPD 1 (2011)<br />

venerazione vuol dire cadere nel nominalismo medievale che riduce il logos a<br />

mero flatus vocis. In realtà la parola nella sua valenza simbolica è un ponte tra<br />

individuale e universale, tra terreno e divino. Per questo,come credevano i simbolisti,<br />

la parola ha una valenza magica: incantesimo ed esorcismo costituiscono<br />

l’esempio antropologico trasversale a ogni civiltà e cultura di questo magico potere.<br />

La parola può, o almeno si crede possa, intervenire sulla realtà e modificarla.<br />

Recuperando le riflessioni di Humboldt sul linguaggio Florenskij parla di<br />

un equilibrio mobile tra enérgheia ed ergon, tra creatività e monumentalità, tra<br />

valenza polisemica e cristallizzazione del significato. I futuristi hanno peccato<br />

in questo, vale a dire nel ridurre la parola a suono e a segni vuoti di significato.<br />

La parola, dunque, per Florenskij è un dono di cui spetta all’uomo arricchire e<br />

conservare la stratificazione dei significati 7 .<br />

Bibliografia<br />

FLORENSKIJ 1989 = A. P. Florenskij, Attualità della parola, Milano 1989.<br />

FLORENSKIJ 2003 = A. P. Florenskij, Il valore magico della parola, Milano 2003.<br />

NIVAT 1989 = G. Nivat, Il simbolismo russo, in Storia della letteratura russa.<br />

III. Il Novecento. I. Dal decadentismo all’avanguardia, Torino 1989, pp. 75-158.<br />

ONIANS 2006 = R. B. Onians, Le origini del pensiero europeo, Milano 2006.<br />

P. VERLAINE, Oeuvres poétiques complètes, Paris 1962.<br />

7 Cfr. Florenskij 2003, pp. 7-15.<br />

41


Pedagogia e Didattica Marco Cilione<br />

42


I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />

I salesiani cooperatori:<br />

storia ed attualità di una testimonianza<br />

ALESSANDRA FELLI , FRANCO TIANO<br />

Il cooperatore di Don Bosco apparteneva a una «specie di terz’ordine» salesiano.<br />

Mirava alla propria santificazione attraverso la scelta di uno stato di vita<br />

particolare, condivideva la missione del salesiano religioso, ne era fratello, aveva<br />

lo stesso superiore, ne faceva propria la spiritualità e beneficiava degli stessi<br />

vantaggi spirituali. Il seguito dell’esposizione mostrerà, lo spero, la fondatezza<br />

di queste asserzioni.<br />

Come un po’ tutti gli altri religiosi, anche quello di Don Bosco aveva come<br />

fine generale la santificazione personale con la scelta di uno stato di vita che<br />

gliela rendeva meno aleatoria. Nelle costituzioni salesiane, il primo articolo del<br />

capitolo sullo scopo lo ha affermato in modo costante. Secondo la traduzione ufficiale<br />

del 1875, «lo scopo della Società Salesiana si è la cristiana perfezione de’<br />

suoi membri...». Ora, fin dalle prime battute del primitivo Regolamento dei Cooperatori,<br />

lo stesso Don Bosco assegnava questo stesso scopo ai suoi collaboratori<br />

non religiosi e lo indicava senza possibilità d’equivoci.<br />

43


Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />

Per Don Bosco i Cooperatori erano alla loro maniera dei religiosi nel mondo.<br />

I Cooperatori rimanevano nel mondo, si sforzavano di vivere lo spirito della<br />

Congregazione salesiana, dipendevano da essa, e tendevano alla perfezione secondo<br />

uno stile di vita secolare. Don Bosco avrebbe voluto poter anche dire che<br />

le loro «regole» erano state approvate da Roma; in mancanza di questo, sottolineava<br />

che le costituzioni salesiane, la cui osservanza era loro raccomandata nei<br />

limiti del possibile, avevano ricevuto questa approvazione. (reg. 1876)<br />

Per interessante che possa essere, questa constatazione secondo cui Don<br />

Bosco voleva principalmente offrire a dei cristiani una forma di vita adatta alla<br />

loro santificazione, chiede di essere precisata con altre indicazioni dello stesso<br />

fondatore. Nello stesso momento in cui paragonava i suoi Cooperatori agli antichi<br />

terziari, si sforzava anche di mostrare come se ne distinguevano. Vediamo<br />

nascere l’idea in forma sensibile in un manoscritto autografo destinato a preparare<br />

il testo Unione Cristiana del 1874. Don Bosco aveva innanzitutto scritto:<br />

«Avvi però questa grande diversità: il terzo ordine degli antichi si estendeva in<br />

generale alla pratica della religione; l’associazione salesiana è limitata alla vita<br />

attiva specialmente a favore della gioventù pericolante». Corresse questa formulazione<br />

a matita, tra le righe e al margine dello stesso documento, così: «Il<br />

terzo ordine degli antichi si proponeva in generale la perfezione cristiana nell’esercizio<br />

della pietà; l’associazione salesiana si estende anche alla vita attiva<br />

specialmente in favore della gioventù pericolante».<br />

In quello stesso anno 1859, nel più antico testo delle costituzioni salesiane -<br />

un testo corretto, che sarebbe stato modificato solo nel 1864 e per ragioni diplomatiche<br />

- affermava: «Lo scopo di questa congregazione si è da riunire insieme<br />

i suoi membri ecclesiastici, chierici ed anche laici a fine di perfezionare se medesimi<br />

imitando le virtù del nostro Divin Salvatore, specialmente nella carità<br />

verso i giovani poveri». Tra le virtù di Gesù Cristo, il salesiano non ricercava<br />

quelle apparentate all’ascesi o alla religione, come la povertà e la pietà, ma una<br />

delle virtù dette attive, la carità fraterna, specificata qui dal suo oggetto, cioè<br />

dalla categoria sociale dei giovani poveri che doveva servire.<br />

La spiritualità dell’associazione<br />

Lo sviluppo dei testi ci informa anche sull’ascetica o, se si vuole, sulla spiritualità<br />

degli associati salesiani. È vero che Don Bosco non si dilungò a esporre<br />

lo spirito salesiano nel suo regolamento. Ma i principi generali trovavano anche<br />

qui la loro applicazione: come la loro missione era quella dei loro fratelli religiosi,<br />

così anche la spiritualità era quella dei medesimi. L’intero movimento dei testi<br />

successivi ce lo assicura. E poi la formula del testo definitivo è sufficientemente<br />

44


I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />

chiara: «... affinché la loro vita si possa in qualche modo assimilare a quella di<br />

chi vive in comunità religiosa, loro si raccomanda la modestia negli abiti, la frugalità<br />

della mensa...». L’enumerazione delle virtù raccomandate non subì variazioni<br />

dopo il testo del 1873: «Non vi sono penitenze esteriori (depennato: speciali),<br />

ma ogni associato deve distinguersi dagli altri cristiani colla modestia nel vestirsi,<br />

nella frugalità (prima redazione: temperanza) della mensa, nel suppellettile<br />

domestico, nella castigatezza dei discorsi e nell’esatto adempimento dei propri<br />

doveri». Ci lascia, però, solamente un po’ perplessi sulle sue origini. Sembra che<br />

Don Bosco, con lo spirito rivolto ai suoi religiosi, abbia pensato ai loro voti e<br />

virtù di povertà e di castità e insieme ai loro doveri di stato. Alla castità corrispondeva<br />

«la modestia negli abiti» e la «castigatezza nei discorsi»; alla povertà,<br />

che Don Bosco accostava al distacco dal superfluo, «la frugalità nella mensa, la<br />

semplicità nel suppellettile domestico». L’accenno finale: «.., adoperandosi che<br />

le persone dipendenti osservino e santifichino il giorno festivo» è del 1875, anno<br />

in cui, come si ricorderà, i benefattori vennero integrati nel gruppo dei Cooperatori.<br />

Questa spiritualità poggiava su alcune pratiche, vicine anch’esse alle pratiche<br />

salesiane: un Pater e un’Ave ogni giorno, confessione e comunione frequente,<br />

esercizio mensile della buona morte e annuale ritiro spirituale.<br />

È bene confrontare gli «obblighi particolari» e i «vantaggi» corrispondenti ai<br />

rispettivi capitoli delle versioni del 1874, 1875 e 1876. La fraternità salesiana,<br />

implicata nei legami di unione con i religiosi, si manifestava in diverse occasioni,<br />

e in modo particolare quando si facevano delle collette per sostenere le<br />

«opere promosse dall’Associazione». I testi successivi e il contesto dell’ultimo<br />

documento ci assicurano, senza possibilità di equivoci, che detta «associazione»<br />

era quella dei Cooperatori; ma le opere da essa sostenute, potevano essere quelle<br />

della stessa Congregazione salesiana. I vantaggi consistevano essenzialmente<br />

nella partecipazione spirituale a tutte le preghiere, a tutti gli esercizi e a tutte le<br />

indulgenze dei Salesiani religiosi, ad eccezione di quelli connessi con la vita comune.<br />

Un’analoga partecipazione era garantita ai membri dei terz’ordini antichi<br />

rispetto al loro Ordine principale. Don Bosco, aiutato da Don Gioachino Berto,<br />

specialista sulla questione dei favori spirituali, si interessò parecchio alle indulgenze<br />

dei Cooperatori salesiani. La loro lista, compilata prima a parte, venne invece<br />

riprodotta nel fascicolo del Regolamento a partire dall’edizione d’Albenga<br />

del 1876.<br />

Questa spiritualità era semplice. I cristiani un po’ fervorosi d’Italia, di Francia,<br />

di Spagna, della Germania e del Belgio della fine del secolo decimonono non<br />

avevano certo l’impressione di aggiungere qualcosa alle loro abitudini quando<br />

accettavano di divenire Cooperatori. Tuttavia essa allontanava dalla nuova associazione<br />

i non credenti, gli indifferenti e gli stessi praticanti occasionali. Assicurava,<br />

invece, a cristiani attivi e senza complessi, come Dona Chopitea a<br />

Barcellona, un nutrimento spirituale di buona qualità.<br />

45


Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />

La seguente formula felice - comparsa solo nel 1876 - in diversi elementi era<br />

stata preparata da precedenti edizioni: «I membri della Congregazione Salesiana<br />

considerano tutti i Cooperatori come altrettanti fratelli in G. C. e a loro s’indirizzeranno<br />

ogni qualvolta l’opera di essi può giovare alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle<br />

anime. Colla medesima libertà, essendone il caso, i Cooperatori si rivolgeranno ai membri<br />

della Congregazione Salesiana. Quindi tutti i soci, come tutti i figli del nostro Padre Celeste,<br />

tutti fratelli in G. C., coi mezzi materiali loro propri, o con beneficenze raccolte<br />

presso a persone caritatevoli, faranno quanto possono per promuovere e sostenere le opere<br />

dell’Associazione».<br />

I Cooperatori lavorarono più con i Salesiani che sotto i Salesiani. Ma è vero<br />

che Don Bosco ha voluto che la Congregazione salesiana fosse il “vincolo di<br />

unione” dei Cooperatori. Ha voluto costantemente e con forza che il superiore<br />

di questi ultimi fosse il superiore della Congregazione salesiana (Rettor Maggiore)<br />

propriamente detta; e il primo Capitolo generale dei Salesiani ritornò su<br />

questo punto per riaffermare la sostanza.<br />

In una lettera testamento, indirizzata ai cooperatori salesiani ed attribuita a<br />

Don Bosco, si legge questo appello: «Se avete aiutato me con tanta bontà e perseveranza,<br />

ora vi prego che continuiate ad aiutare il mio Successore dopo la mia<br />

morte. Le opere che col vostro appoggio io ho cominciate non hanno più bisogno<br />

di me, ma continuano ad avere bisogno di voi e di tutti quelli che come voi<br />

amano di promuovere il bene su questa terra».<br />

«Il Cooperatore è un cattolico che vive la sua fede ispirandosi, entro la propria<br />

realtà secolare, al progetto apostolico di Don Bosco: si impegna nella stessa missione<br />

giovanile e popolare, in forma fraterna e associata; sente viva la comunione<br />

con gli altri membri della Famiglia salesiana; opera per il bene della Chiesa e<br />

della società; in modo adatto alla propria condizione e alle sue concrete possibilità.<br />

Gli estensori di questo articolo hanno voluto ricollegarsi alle primitive intenzioni<br />

di don Bosco, secondo cui il cooperatore è un vero salesiano nel mondo,<br />

ossia un cristiano, laico, che senza legami di voti religiosi, realizza la propria vocazione<br />

alla santità al servizio della missione giovanile e popolare secondo lo<br />

spirito di don Bosco. L’identità del cooperatore così delineata, presenta tre tratti<br />

caratterizzanti: egli è un cristiano cattolico, è secolare ed è salesiano. Ci si sbaglia<br />

riservando ai soli fedeli laici la cooperazione salesiana. «Don Bosco ha concepito<br />

l’Associazione dei Cooperatori aperta sia ai laici che al clero secolare. Il Cooperatore<br />

laico attua il suo impegno e vive lo spirito salesiano nelle ordinarie situazioni<br />

di vita e di lavoro, con sensibilità e caratteristiche laicali, e ne diffonde i<br />

valori nel proprio ambiente. Il Cooperatore sacerdote o diacono secolare attua il<br />

proprio ministero ispirandosi a Don Bosco, modello eminente di vita sacerdotale.<br />

Nelle scelte pastorali privilegia i giovani e gli ambienti popolari, arricchendo in<br />

questo modo la Chiesa nella quale opera».<br />

46


I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />

La Congregazione Salesiana sostiene e unisce l’organizzazione dell’associazione<br />

dei cooperatori. Per esplicita volontà di don Bosco, il rettor maggiore dei<br />

salesiani è il suo superiore e svolge in essa le funzioni di «moderatore supremo».<br />

Ne garantisce la fedeltà al progetto del fondatore e ne promuove la crescita. Con<br />

la collaborazione del consigliere per la famiglia salesiana(SDB) cura l’unità interna<br />

dell’Associazione la sua comunione e la collaborazione con gli altri gruppi<br />

della Famiglia Salesiana.<br />

L’Unione dei cooperatori salesiani nacque ufficialmente nel 1876, poco dopo<br />

l’approvazione definitiva della Società salesiana (SDB) e quando l’<strong>Istituto</strong> delle<br />

Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA) era già sulla buona strada. Ma era il punto<br />

d’arrivo di una lunga storia incominciata agl’inizi dell’Oratorio.<br />

Prima che la congregazione prendesse forma, tra il 1841 ed il 1859, Don Bosco<br />

non era solo a vegliare sulle sue centinaia di ragazzi. Come avrebbe potuto? Ad<br />

assecondarlo, trovò aiutanti benevoli, desiderosi di consacrare una parte del loro<br />

tempo al servizio della gioventù povera.<br />

I primi furono naturalmente sacerdoti. Il loro compito consisteva soprattutto<br />

nel predicare, confessare, fare il catechismo. Alcuni si appassionarono a questo<br />

apostolato, come <strong>Giuseppe</strong> Cafasso, Pietro Merla, Francesco Marengo, Luigi<br />

Nasi, Lorenzo Gastaldi (futuro arcivescovo di Torino), Ignazio e <strong>Giuseppe</strong> Vola,<br />

Giacinto Carpano, Michelangelo Chiatellino, Giovanni Battista Borel..., Giovanni<br />

Cagliero, Luigi Versiglia, Callisto Caravario.<br />

Accanto ai sacerdoti, vi furono ben presto dei laici. Essi provenivano dagli<br />

ambienti sociali più diversi. Molti appartenevano a famiglie agiate, anzi aristocratiche,<br />

come il conte Cays di Giletta (che diventerà salesiano e sacerdote ad<br />

un’età già avanzata), il marchese Fassati, il conte Callori di Vignale, il conte Scarampi<br />

di Pruney...<br />

Il regolamento del 1876<br />

Si divide in otto brevi capitoli che hanno come titolo: 1° Unione cristiana nel<br />

bene operare; 2° La congregazione salesiana vincolo di unione; 3° Scopo dei cooperatori<br />

salesiani; 4 ° Maniera di cooperazione; 5 ° Costituzione e governo dell’associazione;<br />

6° Obblighi particolari; 7° Vantaggi; 8° Pratiche religiose.<br />

Il gruppo dei cooperatori si fonda sulla società salesiana che gli conferisce<br />

l’unità indispensabile. Suo scopo è di lottare contro il male, soprattutto aiutando<br />

i salesiani nelle loro imprese. Don Bosco si esprime in termini di combattimento.<br />

Cita l’esempio dei primi cristiani i quali, grazie alla loro unione fraterna,<br />

47


Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />

riuscivano a vincere «gl’incessanti assalti da cui erano minacciati». Bisogna «rimuovere»<br />

i mali che minacciano la gioventù e compromettono per ciò stesso<br />

l’avvenire della società. Un particolare accenno è riservato alle missioni, dove<br />

le necessità di ogni genere sono così urgenti. Quest’orientamento apostolico e<br />

sociale non toglie che lo scopo più fondamentale dei cooperatori sia «di fare del<br />

bene a se stessi mercé un tenore di vita, per quanto si può, simile a quello che si<br />

tiene nella vita comune». Al termine del terzo capitolo, si sente l’eco del primo<br />

articolo delle costituzioni salesiane: «perfezione cristiana» e «esercizio della carità<br />

verso il prossimo e specialmente verso la gioventù pericolante».<br />

I cooperatori chiedono dunque ai salesiani una spiritualità. Ne vivono nell’ambiente<br />

a cui la Provvidenza li ha destinati. Pur dedicandosi «alle loro ordinarie<br />

occupazioni, in seno alle proprie famiglie», possono vivere «come se di<br />

fatto fossero in congregazione». Il capitolo generale del 1877 dirà che i cooperatori<br />

«conservano nel mondo lo spirito della congregazione di S. Francesco di<br />

Sales».<br />

Le attività del cooperatore sono analoghe a quelle del religioso salesiano: catechismi,<br />

esercizi spirituali, ricerca e sostegno delle vocazioni sacerdotali, diffusione<br />

della «buona stampa», attività a favore dei giovani, poi preghiera ed<br />

elemosina, termine che Don Bosco usava in senso largo. La sua attività è quindi<br />

salesiana. Essa è giustamente chiamata cooperazione, perché religiosi e non religiosi<br />

lavorano per la «stessa missione», in comunione, adottando il sistema preventivo<br />

come modello educativo.<br />

«I membri della congregazione salesiana considerano tutti i cooperatori come<br />

altrettanti fratelli in G.C. e a loro si indirizzano ogni volta che l’opera di essi può<br />

giovare in cose che siano della maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime.<br />

Colla medesima libertà, essendone il caso, i cooperatori si rivolgeranno ai membri<br />

della congregazione salesiana». Non potendosi chiamare confratelli, i religiosi<br />

di professione e i cooperatori fuori delle comunità, saranno dei fratelli gli<br />

uni per gli altri.<br />

È un fatto storico che Don Bosco, nell’intensità del suo zelo e davanti all’immensità<br />

del lavoro, ha avuto quasi l’ansia di riunire in un vasto insieme e di<br />

animare tutti coloro che accettavano di lavorare con lui, ognuno secondo la<br />

sua situazione concreta, secondo le sue possibilità. Nella sua bocca o sotto la<br />

sua penna torna sempre l’appello: «Dobbiamo unirci! Uniamoci in questi tempi<br />

difficili!» E qui, viene il progetto audace di riunire nella stessa società dei membri<br />

interni, religiosi, e dei membri esterni, non religiosi (progetto attraverso cui si<br />

vede che per Don Bosco la prima cosa era veramente il lavoro apostolico, che<br />

può essere compiuto sia in condizione di consacrazione religiosa, sia nello stato<br />

laicale). Sappiamo che durante 10 anni, tra il 1864 e il 1874, ha lottato e resistito<br />

48


I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />

per tentare di far accettare dalla «Congregazione dei religiosi» questo progetto<br />

che non entrava in nessuno dei quadri abituali della legislazione canonica sui<br />

religiosi... Finalmente, vinto dall’incomprensione di Roma, fondò nel 1876 la<br />

«Pia unione dei Cooperatori salesiani.»<br />

«Nel pensiero primigenio di Don Bosco, il cooperatore è un vero salesiano<br />

nel mondo, cioè un cristiano, laico sacerdote che - anche senza vincoli di voti<br />

religiosi - realizza la propria vocazione alla santità impegnandosi in una missione<br />

giovanile e popolare secondo lo spirito di Don Bosco, al servizio della<br />

Chiesa locale ed in comunione con la Congregazione salesiana».<br />

“Una associazione per noi importantissima, che è l’anima della nostra Congregazione<br />

e che ci serve di legame ad operare il bene d’accordo e con l’aiuto<br />

dei buoni fedeli che vivono nel secolo, è l’opera dei Cooperatori salesiani. Abbiamo<br />

la pia Società salesiana per coloro che vogliono vivere ritirati e consacrati<br />

a Dio con la professione religiosa. Abbiamo l’<strong>Istituto</strong> delle Figlie di Maria Ausiliatrice<br />

per le giovani che vogliono imitare i Salesiani, per le persone di altro<br />

sesso. Ora è necessario che noi abbiamo nel secolo degli amici, dei benefattori,<br />

della gente che praticando tutto lo spirito dei Salesiani, vivano in seno alle proprie<br />

famiglie, come appunto fanno i Cooperatori salesiani; sono essi il nostro<br />

aiuto nel bisogno, il nostro appoggio nelle difficoltà; i nostri collaboratori in<br />

quello che si presenta da farsi per la maggior gloria di Dio, ma che a noi manca<br />

nei mezzi personali o materiali. Questi cooperatori devono moltiplicarsi quanto<br />

è possibile”. (testo preparato da Don Bosco per il primo Capitolo generale della<br />

Società, nel 1877).<br />

In ogni tempo lo Spirito <strong>San</strong>to soffia e parla, con gemiti inesprimibili, perché<br />

sempre maggiormente il regno di Dio sia più vicino e più comprensibile agli uomini.<br />

I santi sono quelli che più si sono sforzati di portare il messaggio, in mezzo<br />

alle enormi difficoltà dovute ai tempi, alle strutture e ad altri uomini, pure se<br />

compagni di viaggio e di ideali. Don Bosco accettò sin dal 1844 il messaggio vitale<br />

che lo Spirito <strong>San</strong>to aveva inviato a molti nel suo tempo. Voleva e vedeva<br />

una cooperazione ed una collaborazione continua con tutti coloro che avevano<br />

il desiderio di seguire il suo carisma.<br />

Egli li vedeva tutti insieme in una Famiglia sola, pur con le distinzioni della<br />

scelta di vocazione, consacrati e non, uniti attorno al Rettor Maggiore, capo e responsabile<br />

della Congregazione: persone che, pur con differenti ruoli e compiti,<br />

comunicassero fra di loro e con l’ambiente che li circondava. Occorreva fare in<br />

modo che ci fosse un filo diretto e continuo e ininterrotto fra la società, le società<br />

“civili” e la Congregazione. Don Bosco aveva intuito che, anche se fossero cambiati<br />

i tempi e i luoghi, lo scopo della Pia Società Salesiana non si sarebbe mai<br />

49


Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />

esaurito. La Chiesa di allora non accettò questa nuova e diversa visione di una<br />

realtà di consacrati e laici all’interno di una unica Congregazione, e don Bosco<br />

dopo aver molto insistito, ritenne opportuno a malincuore creare una sola Famiglia<br />

di consacrati: gli SDB. In un secondo momento dopo l’incontro con Maria<br />

Domenica Mazzarello fondò anche il ramo femminile delle consacrate: le FMA.<br />

Ma il suo sogno di vedere unite tutte le sue forze non lo abbandonò dando vita<br />

al terzo ramo della Famiglia Salesiana e cioè i Salesiani Cooperatori, nella Chiesa<br />

portatori da laici del carisma salesiano.<br />

I salesiani cooperatori da centocinquanta anni hanno dimostrato la preveggenza<br />

e la forza del messaggio salesiano nel mondo. Sono essi stessi il messaggio<br />

salesiano che funziona ed opera anche dove non ci sono, o non ci sono più, opere<br />

salesiane attive. Il loro compito è quello di essere sale della terra, lettura dei<br />

tempi evangelici con il carisma di Don Bosco. Operano cristianamente ed umanamente<br />

dove possono e come possono. Ci sono posti nel mondo che sono testimonianza<br />

di questo in America Latina, in Asia, in Africa in cui le distanze ed i<br />

tempi infiniti che sono necessari per giungere nei luoghi più lontani e desolati<br />

sono un ostacolo spesso insormontabile.<br />

I salesiani cooperatori, agiscono sotto la loro responsabilità, caricandosi personalmente<br />

di compiti gravosi, aiutando realtà locali ad uscire dalla miseria. Partendo<br />

sempre dai giovani perché nell’educazione dei giovani è il carisma<br />

salesiano. E non potrebbe essere altrimenti. Ma, a scanso equivoci, occorre chiarire<br />

che il salesiano cooperatore non è un anarchico, un battitore libero; egli è<br />

piuttosto una persona che partecipa alla vita prima del suo gruppo locale insieme<br />

agli altri cooperatori e, attraverso il gruppo locale, partecipa alla struttura<br />

gerarchica impegnandosi, se richiesto, nelle strutture nazionali e mondiali. Questo<br />

sviluppo è percepito come servizio di responsabilità e di apostolato, offrendo<br />

disponibilità e tempo all’animazione dell’Associazione ai vari livelli. Il salesiano<br />

cooperatore ha scelto consapevolmente la sua strada, in piena libertà, accettata<br />

quindi qualora se ne pone la necessità gli obblighi ad essa collegati.<br />

La struttura fondamentale è una linea orizzontale, che dà a tutti i salesiani<br />

cooperatori la stessa importanza e responsabilità. È l’aiuto reciproco che contraddistingue<br />

questa “prima linea”. Il salesiano cooperatore si appoggia per tutte<br />

le necessità della sua “missione” a tutta la “missione” salesiana del mondo e, di<br />

conseguenza a tutti i suoi membri, sia laici che consacrati, certo che troverà una<br />

risposta ed un aiuto. La struttura gerarchica, la necessaria, indispensabile struttura<br />

gerarchica, ha la funzione di coordinamento, di comunicazione, di contatto.<br />

Quindi più di servizio piuttosto che di comando. È la comunità locale il principale<br />

elemento di vita e di attività dell’Associazione dei Salesiani Cooperatori:<br />

da essa poi vengono dedotte le altre strutture gerarchiche.<br />

50


I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza QdPD 1 (2011)<br />

La “gerarchia” deve ed è sempre pronta ad adattarsi alle situazioni locali non<br />

impone decisioni “dall’alto”, ma propone linee di lavoro, modalità di intervento,<br />

linee di cammino associativo. Le comunità locali, per parte loro, tengono informati<br />

i “vertici” dell’associazione in spirito di comunicazione e di famiglia (propria<br />

delle case salesiane). È un dialogo, continuo, ininterrotto, stabile e duraturo.<br />

E la dimostrazione che tutto ciò funziona è nei fatti concreti e nella vitalità dell’associazione<br />

dei salesiani cooperatori all’interno della Famiglia Salesiana, e<br />

della Chiesa. Coloro che sono chiamati ed eletti a cariche di responsabilità nell’Associazione<br />

si impegnano ad essere fedeli e presenti alla vita associativa. Fedelmente<br />

rinnovano la loro promessa nell’Associazione almeno una volta ogni<br />

tre anni e se ricoprono ruoli di governo sono attenti e consapevoli della responsabilità<br />

partecipando assiduamente alle riunioni e agli incontri in modo da non<br />

creare disagio o addirittura dimissioni per assenze.<br />

La spiritualità del salesiano cooperatore è una spiritualità attiva. È la stessa<br />

spiritualità che don Bosco aveva quando, nel chiasso e nella confusione del cortile,<br />

con tante, ma proprio tante cose da fare da seguire, da organizzare, da vedere,<br />

riusciva a pregare e a sentirsi accanto Maria Ausiliatrice. È la spiritualità<br />

di chi si fida della Provvidenza Divina e dello Spirito <strong>San</strong>to che ha lasciato nelle<br />

mani degli uomini di buona volontà il compito di proseguire qui, oggi ed ora la<br />

costruzione del regno di Dio sulla terra. Almeno un Padre Nostro e tre Ave<br />

Maria al giorno. Per il resto del tempo pregate con il vostro impegno ed il vostro<br />

lavoro. È tutto qui. E la promessa di don Bosco viene mantenuta: “Vi prometto<br />

tanto lavoro, il cibo quotidiano e alla fine un pezzo di Paradiso”. Scusate se è<br />

poco.<br />

“I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri<br />

uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono<br />

un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di<br />

uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli<br />

altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi<br />

del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale<br />

mirabile e indubbiamente paradossale”. (Lettera a Diogneto) Ed oggi, come nel II<br />

secolo dopo Cristo, ci sono pochi cambiamenti. Nel lavoro, nella famiglia, nei<br />

figli da curare e da mantenere, nei rapporti con gli altri, occorre dare un senso<br />

ed un perché alle infinite, incontrollabili, caotiche variabili che confondono tutti<br />

gli esseri umani, e il Cristianesimo diventa un esempio necessario, indispensabile<br />

da portare e da mostrare a tutti, con i fatti.<br />

Don Bosco voleva una società fatta di e da “buoni cristiani e onesti cittadini”<br />

che fossero di esempio e di aiuto per tutti. Con giovani abbandonati, sperduti e<br />

dimenticati nella periferia di una città è cominciato un viaggio che ha portato i<br />

51


Pedagogia e Didattica Alessandra Felli, Franco Tiano<br />

salesiani con il loro metodo preventivo in tutti i continenti, ammaliando e incantando<br />

folle di giovani che lo hanno seguito.<br />

C’era una volta, tanto tempo fa, un piccolo seme, che guidato dallo Spirito<br />

<strong>San</strong>to e aiutato dalla Divina Provvidenza, si è fatto albero producendo semi e<br />

poi fiori, e poi alberi fino a diventare un bosco. Ora c’è una foresta di tanti, uomini<br />

e donne, che seguono il suo esempio… Il nome del primo, piccolo seme era<br />

Giovannino Bosco che, anche da santo, è per tutti don Bosco.<br />

52


Lasalliani e Salesiani: due volti per l’educazione dei giovani QdPD 1 (2011)<br />

Lasalliani e Salesiani:<br />

due volti per l’educazione dei giovani<br />

nota a cura di<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

La testimonianza offerta dai salesiani cooperatori circa il loro fervente impegno<br />

in quanto buoni cristiani e onesti cittadini dediti a realizzare il progetto apostolico<br />

di Don Bosco al servizio della missione giovanile e popolare ci suggerisce<br />

l’opportunità di ripensare alle occasioni di incontro e di reciproca influenza tra<br />

l’esperienza pedagogica dei Fratelli e la formazione culturale e spirituale del giovane<br />

prete Giovanni Bosco.<br />

Ventidue anni orsono, in occasione del Primo Centenario della morte di Don<br />

Bosco, Fratel Secondino Scaglione pubblicava in Rivista Lasalliana un articolo<br />

dal titolo “Don Bosco e i Fratelli delle Scuole Cristiane” 1 . Senza la pretesa di offrire<br />

delle novità sulle relazioni intercorse tra Don Bosco e i Fratelli l’autore ha<br />

inteso “raccogliere, raccordare e confrontare alcune testimonianza disperse in una vasta<br />

letteratura agiografica.”<br />

1 RL 55 ( 1988 ) 1, 3 - 29<br />

53


Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />

In particolare c’è una testimonianza tratta dalla letteratura salesiana in cui,<br />

con tono apologetico, si accenna all’influenza dei lasalliani su Don Bosco giovane<br />

prete:<br />

“Don Bosco giovane prete non poté sottrarsi all’attrattiva che su di lui esercitavano<br />

i più eccellenti educatori cristiani del popolo che allora si conoscessero, i Fratelli delle<br />

Scuole Cristiane. Furono essi i maestri della gioventù popolare torinese all’inizio<br />

dell’800, anzi in Piemonte i primi maestri dei Maestri… L’intimo e assiduo contatto con<br />

la comunità e le scuole dei Fratelli porse a Don Bosco il mezzo di studiarne i metodi pedagogici:<br />

La “Condotta delle Scuole” (un capolavoro pedagogico del loro <strong>San</strong>to Fondatore)<br />

e quelle che i Lasalliani chiamano “Le dodici virtù del buon Maestro”. In quello<br />

studio ebbe come guida quel profondo conoscitore della pedagogia lasalliana che fu il Fratello<br />

Hervé de la Croix, allora Visitatore Provinciale della Congregazione per l’Italia Superiore.<br />

Un nome al quale Torino deve la sua prima “Scuola Normale”, <strong>San</strong>ta Pelagia,<br />

per la preparazione tecnica dei Maestri; le prime scuole serali, specializzate per gli operai;<br />

la direzione e la collaborazione a diverse scuole municipali in città e fuori ed altro ancora”<br />

2 .<br />

Esiste dunque un collegamento tra la pedagogia di Don Bosco e quella del<br />

La salle per cui è possibile parlare di una ispirazione di <strong>San</strong> G. B. de La Salle sul<br />

metodo pedagogico preventivo salesiano. Ognuno dei due educatori ha fortemente<br />

personalizzato – in un metodo riferito a situazioni umane, sociali e storiche<br />

simili ma non uguali – l’esigenza della prevenzione; la fiducia cristiana nella<br />

bontà dell’animo umano e la possibilità di individuare nell’animo di ciascun ragazzo<br />

quello che Don Bosco definiva “il punto accessibile al bene” sono il comune<br />

denominatore che spiega le numerose analogie nel pensiero dei due <strong>San</strong>ti e nelle<br />

loro due opere pedagogiche, la “Conduite des écoles” e “Il sistema preventivo nell’educazione<br />

della gioventù”.<br />

L’interessante articolo di Fratel Secondino induce ad alcune considerazioni<br />

che egli stesso sintetizza nel modo seguente:<br />

1) Il contatto e la collaborazione tra due istituzioni religiose , nell’ambito ecclesiale, con<br />

una propria specificità educativa – i Salesiani e i Lasalliani – fu veramente arricchente<br />

e stimolante per entrambi. Non solo Don Bosco guardò alle realizzazioni dei Fratelli<br />

come modello a cui ispirarsi per l’opera educativa, ma i Fratelli, dal contatto con questa<br />

personalità non comune, trassero certezze e stimoli sulla validità del loro ministero<br />

educativo. Questo spiega la naturalezza della compenetrazione di idee e di intuizioni.<br />

2) Don Bosco, spirito vigile e aperto ad accogliere in modo critico anche le semplici volgarizzazioni<br />

pedagogiche, purché in coerenza con le proprie scelte di fondo, si inte-<br />

2 G. B. Lemoyne, Valorosi Fratelli p. 6 in Il tempio di Don Bosco sul suo colle natio, n°1, gennaio<br />

1978 p.7<br />

54


Lasalliani e Salesiani: due volti per l’educazione dei giovani QdPD 1 (2011)<br />

ressò di quanto avveniva nell’ambito lasalliano. Senza dubbio fu largo di consigli,<br />

nell’esercizio del ministero sacerdotale, ai giovani allievi, ma certamente fu anche<br />

prodigo di incoraggiamenti e di stimoli per i loro maestri. Questi momenti furono<br />

per lui occasione di un’analisi specifica dell’animo dei giovani che frequentavano la<br />

scuola lasalliana e che costituivano una variazione rispetto alla popolazione dell’Oratorio.<br />

Ciò lo aprì certamente a considerare opportune le due iniziative che caratterizzarono<br />

la sua opera, quella degli Oratori e quella delle Scuole, valutando la<br />

complementare portata degli interventi educativi.<br />

3) Certamente, la specificità dell’attività lasalliana che si limitava come ambito unico<br />

alla scuola, ha posto a Don Bosco degli interrogativi sulla presenza di una pastorale<br />

educativa. Limiti settoriali potevano lasciare fuori o emarginare gli interventi ad una<br />

esclusiva fascia societaria senza raggiungere, nell’attualità del momento storico, coloro<br />

a cui era negata una considerazione positiva della società e l’opportunità di avvicinarsi<br />

al messaggio salvifico del vangelo.<br />

4) Il recupero educativo, che è una costante della pedagogia lasalliana, viene letto da<br />

Don Bosco nella sua autenticità, cioè come apertura alle istanze sociali. Di qui l’intervento,<br />

come già per il La Salle, si integra con un agire che guarda alla società nelle<br />

sue prospettive future, senza richiamarsi alla geometria sociale del passato, come modello<br />

esclusivo di ordine e di valori.”<br />

Fratel Secondino si augurava che la sua silloge, lungi dal dovere essere considerata<br />

esaustiva sull’argomento in quanto si limitava a riferire e ad informare<br />

sui rapporti e le relazioni intercorse tra i Lasalliani e Don Bosco, potesse piuttosto<br />

dare l’avvio a studi più approfonditi sulle questioni di maggiore spessore storico<br />

e pedagogico.<br />

55


Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />

56


La educación cristiana en clave de misión compartida QdPD 1 (2011)<br />

“Los carismas están ordenados a la edificación de la Iglesia,<br />

al bien de los hombres y a las necesidades del mundo...<br />

Los pastores han de reconocer y promover los ministerios,<br />

oficios y funciones de los fieles laicos, que tienen su fundamento<br />

sacramental en el Bautismo y en la Confirmación,<br />

y para muchos de ellos, además, en el Matrimonio”.<br />

La educación cristiana<br />

en clave de misión compartida<br />

LORENZO TÉBAR BELMONTE<br />

(Christifideles Laici 20, 23)<br />

Función trascendente de la educación en nuestra sociedad<br />

La sociedad asigna a las instituciones educativas una función insustituible<br />

para la formación de los ciudadanos, para la transmisión de una identidad cultural<br />

y de unos valores esenciales que orienten sus vidas con sentido, autonomía<br />

y libertad. En una sociedad sumida en profundos cambios y abierta a una transformación<br />

imprevisible, debemos repensar los retos que la misma sociedad plantea<br />

a la Escuela. La competitividad social invade unos cometidos tradicionales<br />

de la educación e impide la realización de otros. Es evidente que los Centros<br />

Educativos no pueden desligarse de su contexto sociocultural, sino que precisan<br />

asumirlo y tratar de transformarlo positivamente.<br />

Por esta razón la Educación se hace insustituible como tarea social, pero de<br />

forma proactiva, preventiva y fundamentadora, que estructure su misión con<br />

visión de futuro. La sociedad globalizada, tecnificada y del conocimiento…,<br />

lanza su envite a la Educación con desafío arrogante. La Escuela se siente aco-<br />

57


Pedagogia e Didattica Lorenzo Tébar Belmonte<br />

sada, 1 no puede ser ni muro de choque, ni flanco abierto, sino crisol y comunidad<br />

responsable que discierne y responde con un Proyecto Educativo coherente a<br />

todos los desafíos.<br />

La Educación “encierra un tesoro” 2 , -podemos parafrasear: La Educación es<br />

en sí misma un inmenso tesoro vital-, y por eso sufre tantas amenazas y secuestros.<br />

Esta es la razón de la oferta plural de propuestas educativas, entre las que<br />

de forma imprescindible se halla la Educación Cristiana.<br />

Ser educador Cristiano hoy<br />

Las Instituciones Educativas, y especialmente los educadores, cruzan mares<br />

agitados, donde los vientos del relativismo hacen navegar sin norte y hacen girar<br />

la brújula enloquecida y confusa a través de “un archipiélago de certezas en un<br />

océano de incertidumbres” 3 . El educador se ve amenazado y suplantado por la<br />

técnica. La sociedad del conocimiento quiere desbancar a quien ha sido hasta<br />

ahora el depositario del saber. Pero se da la paradoja que la misma sociedad<br />

arroja sobre los hombros de los educadores otros cometidos que hacen su labor<br />

más necesaria e imprescindible. Esta invasión de competencias y recursos obligan<br />

a la misma Escuela y al Educador a reflexionar sobre su identidad y sus nuevas<br />

funciones.<br />

Hay que repensar, ante todo, el concepto de Educación, sus dimensiones humanizadoras<br />

y axiológicas, personalizadoras y socializantes, cognitivas y vivenciales.<br />

Quien, al descubrir el impacto transformador de las nuevas tecnologías<br />

dijo que el educador tenía los días contados, seguro que no había pensado en el<br />

mundo de relaciones, afectos, significados, sentido, etc. con los que la máquina<br />

nunca podrá suplir al educador. Las nuevas tecnologías ponen en evidencia unas<br />

tareas imprescindibles y trascendentes que revalorizan la función educativa.<br />

Este cambio estructural de nuestra cultura llega a la escuela. Por todo ello,<br />

necesitamos profundizar en sus consecuencias en nuestras vidas, en la sociedad<br />

de hoy y de mañana, en el nuevo perfil e identidad del educador y de la Escuela<br />

Cristiana. Podemos ahondar en el paradigma mediador que condensa y estruc-<br />

1 Rodríguez Neira, T. en su obra: La cultura contra la escuela, (1999, Barcelona: Ariel) analiza el<br />

panorama hostil de una sociedad neoliberal, positivista, consumista, alienante…, que contradice<br />

y se rebela contra los valores que aporta la Educación.<br />

2 La obra de <strong>De</strong>lors, J.: La Educación encierra un tesoro, (1996, Madrid, MECD-<strong>San</strong>tillana), es un<br />

referente obligado para que todos los educadores conozcan la importancia dada a la Educación<br />

en la construcción de la sociedad del siglo XXI.<br />

3 Las intuiciones de Edgar Morin en su propuesta: Los siete saberes necesarios para la educación<br />

del futuro (1999, Barcelona: Paidós) nos ayudan a descubrir los conocimientos imprescindibles que<br />

pueden guiarnos en las metas educativas de una escuela que otea el horizonte del mañana.<br />

58


La educación cristiana en clave de misión compartida QdPD 1 (2011)<br />

tura todos estos nuevos enfoques profesionales para crear autoestima en los educadores<br />

4 .<br />

Se le pide a la Escuela y a los Educadores redefinir y afirmar su identidad<br />

con signos y compromisos actuales. La calidad de cada Centro Educativo debe<br />

estar reflejada en un P.E. que ofrezca respuestas educativas a las auténticas necesidades<br />

de la juventud de hoy, inspiradas y enraizados en los Valores del<br />

Evangelio.<br />

Pero hay elementos implícitos en el nuevo quehacer educativo en manos no<br />

sólo de individualidades, sino en equipos bien cohesionados. Todo P.E. es una<br />

propuesta y un compromiso de una Comunidad Educativa, con un sistema de<br />

creencias y una propuesta pedagógica innovadora. Si a todo esto le añadimos<br />

un talante cristiano, elevamos el listón de exigencia en el seno de un equipo con<br />

inspiración evangélica.<br />

Al educador hoy se le pide que sea un profesional con todas las cualidades y<br />

valores que adolece nuestro entorno: un superman, un sabio, un santo…<br />

Núcleos de identidad<br />

La opción, o selección, personal tiene pleno sentido, ya que se trata de unir<br />

fuerzas y compromisos, integrar personas y competencias en torno a un Proyecto<br />

con identidad y coherencia, que se ofrece a toda la sociedad.<br />

En este trance chocamos con las diferentes formas de vivir y apreciar cada<br />

Educador su trabajo: Unos como un SIMPLE QUEHACER, un medio o trabajo<br />

para vivir; otros como una aportación de su SABER a la formación de los otros,<br />

y otros asignan a su labor educativa un mayor sentido de trascendencia: ayudar<br />

a descubrir el SENTIDO de la vida y a SER personas libres y autónomas, creyentes…<br />

Este análisis interpela nuestra IDENTIDAD, en sus tres núcleos esenciales:<br />

- Como PERSONAS con una opción personal creyente (o no).<br />

- Como EDUCADORES que asumen su misión educativa con una dimensión<br />

profesional, social y trascendente.<br />

- Como miembros de una COMUNIDAD CREYENTE, eclesial, que es signo,<br />

testigo y referente de fe para los demás.<br />

Muchos educadores no han reflexionado en su identidad sobre estas dimensiones,<br />

que tienen pleno sentido cuando nos implicamos en un proyecto común<br />

que nos liga a otras instituciones o grupos, como es el caso de Congregaciones<br />

Religiosas.<br />

4 L. Tébar (2003): El perfil del profesor mediador. Pedagogía de la mediación. Madrid: <strong>San</strong>tillana,<br />

Aula XXI, 28.<br />

59


Pedagogia e Didattica Lorenzo Tébar Belmonte<br />

Es el momento de descubrir la complementariedad entro lo profesional y lo<br />

vocacional y opcional. Si la coherencia debe presidir toda opción, este mismo<br />

argumento aboga por la selección y el compromiso en torno a un P.E. cristiano.<br />

Se debe exigir una preparación y una dimensión creyente a los educadores para<br />

poder entender este salto en su visión educativa. Por esta razón, sin querer ser<br />

excluyente, sí será selectiva toda formación carismática y eclesial, por exigir unos<br />

principios de opción creyente, que le permitan entender conceptos como carisma,<br />

misión y ministerio, que tienen una honda raíz teológica y bíblica.<br />

¿Qué es y por qué misión compartida (MC)?<br />

La eclosión de la Misión Educativa como una MC ha despertado recelos y<br />

mecanismos de defensa: ¿Ha existido una privacidad misionera en la Iglesia?<br />

¿Por qué se ha excluido a los seglares de una misión docente? Ahora que faltan<br />

vocaciones en la iglesia se acuerdan de los seglares… La Iglesia, Pueblo y Comunidad<br />

de creyentes, ha tomado conciencia de su misión evangelizadora. La<br />

cultura hermética ha privatizado la misión en manos de la Iglesia Jerárquica…<br />

Pero hemos redescubierto que en esa misión tiene puesto todo bautizado, no se<br />

excluye a nadie: “Dios quiere que todos se salven”, “id y enseñad a todos”: Es<br />

exigencia de fe y mandato del Señor. Comunión y Misión se complementan.<br />

La exclusión de los cristianos seglares de la plena responsabilidad en la misión<br />

educativa ha sido un lamentable olvido. Se ha desaprovechado un enorme<br />

potencial estático que hoy debe convertirse en dinámico. El acceso privilegiado<br />

a la formación teológico-bíblica…, ha permitido mantener un distanciamiento<br />

empobrecedor. Tal vez faltaba vivir la angustia de la falta de vocaciones sacerdotales<br />

y religiosas para que el “poder” y el “saber” olviden su monopolio.<br />

Pero ¿a qué misión estamos llamados? La respuesta viene dada desde los carismas<br />

personales e institucionales. Estamos vinculados, como bautizados, a una<br />

misma fe, a una misma familia creyente, pero también con un sello especial, con<br />

unos carismas (predicación, enseñanza, sanidad, caridad, etc.), con los que nos<br />

sentimos vinculados y capacitados para servir.<br />

Características de la misión compartida<br />

La MC es un SIGNO de los tiempos, una etapa nueva e irreversible que nos<br />

une –asocia- en una misma misión educativa eclesial.<br />

<strong>De</strong>sde una perspectiva creyente es una llamada del Espíritu que exige un<br />

cambio de mentalidad y de actitudes respecto de nuestra identidad y misión.<br />

Es una nueva forma de implicación de Religiosos, Sacerdotes y Laicos en una<br />

misma misión que nos concierne por igual desde la perspectiva eclesial. La diversidad<br />

de carismas y la complementariedad de funciones y ministerios es una<br />

60


La educación cristiana en clave de misión compartida QdPD 1 (2011)<br />

enorme riqueza eclesial al servicio de la humanidad.<br />

La MC no debe suponer mezcla confusa de identidades y absorción del<br />

más débil por la prepotencia de los fuertes. Cada vocación en la Iglesia está<br />

orientada al bien común y a la unidad (1 Cor. 12, 11). Las nuevas estructuras deben<br />

garantizar plenamente derechos y deberes en respeto y comunión.<br />

La MC es una nueva realidad, una nueva forma de trabajar, planificar y<br />

comprometerse entre iguales, entre hermanos y hermanas, en familia. Esta nueva<br />

época no pide madurez y clarificación en las funciones y responsabilidades, que<br />

no se improvisan.<br />

La educación cristiana: misión y ministerio<br />

El Concilio Vaticano II subrayó la dimensión comunitaria y misionera de la<br />

Iglesia. Esta tensión se percibe en el Documento que sintetiza el Sínodo de los<br />

Laicos: Christifideles Laici: “La comunión y misión están profundamente unidas entre<br />

sí, se compenetran y se implican mutuamente, hasta tal punto que la comunión representa<br />

a la vez la fuente y el fruto de la misión: la comunión es misionera y la misión es<br />

para la comunión” (ChL, 32, 4).<br />

<strong>De</strong> modo que el papel de los laicos en la misión evangelizadora de la Iglesia<br />

tiene aquí su explicación y debe ser entendida desde esta dimensión: “Sólo desde<br />

la Iglesia como misterio de comunión se revela la “identidad” de los fieles laicos, su original<br />

dignidad. Y sólo dentro de esta dignidad se pueden definir su vocación y misión<br />

en la iglesia y en el mundo” (Ch.L. 8).<br />

A través de la integración de estos elementos (personal, creyente, eclesial)<br />

surge la dimensión MINISTERIAL de nuestra misión eclesial: Nuestro trabajo<br />

adquiere una proyección trascendente y evangelizadora, que nos compromete<br />

y nos asocia a cuantos compartimos la misma fe. ¿Dónde está la raíz de este nuevo<br />

enfoque?: En nuestro Bautismo, en nuestra opción de Creyentes.<br />

El enfoque eclesial cambia sólo si nos sentimos Comunidad, Pueblo integrado<br />

por la fe en Jesús, y tendrá sentido nuestra MISIÓN COMPARTIDA DENTRO<br />

DE UNA COMUNIDAD CREYENTE. Este es el salto mortal que sólo puede exigirse<br />

al que tiene esta dimensión de fe.<br />

El sentido eclesial de nuestra Misión radica en contemplarnos como Comunidad<br />

Eclesial y exige tener sentido vocacional; con participación en la Comunión<br />

Eclesial y con responsabilidad en la evangelización de la cultura como Misión.<br />

El EDUCADOR CRISTIANO está invitado a un ITINERARIO para descubrir<br />

esta dimensión de su vida a través de la FE, en tres etapas:<br />

• <strong>De</strong>scubrir al otro como llamada, aceptarlo y darnos a él por amor.<br />

• Reunirse a otros creyentes para responder en Comunidad.<br />

• Comprometerse con un PE de calidad, inspirado en el Evangelio.<br />

61


Pedagogia e Didattica Lorenzo Tébar Belmonte<br />

Retos del futuro<br />

Es necesario un proceso de Formación integral de los Educadores que contemple<br />

esta dimensión para la Misión. Hay que dar respuestas a las Necesidades<br />

de nuestros Educandos -y nuestras- en la perspectiva de MC.<br />

El Colegio es una Comunidad en constante formación.<br />

La MC es una oportunidad de unidad para comprometernos en un Proyecto<br />

Evangelizador.<br />

Las instituciones tienen un desafío urgente e inaplazable, pero cargado de<br />

enormes esperanzas. Es hora de empezar, sin recelos ni prejuicios. Es cuestión<br />

de mutua confianza, mutua conversión y compromiso. La MC es nuestra tarea<br />

prioritaria ya, pues la formación no se improvisa. Es hora de conocer y de compartir<br />

los carismas: abrir un tesoro que desborda las Instituciones.<br />

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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />

“La poesia è testimonianza d’Iddio”<br />

(G. Ungaretti)<br />

ANDREA TESTA<br />

Discipline coinvolte: Italiano, Religione<br />

<strong>De</strong>stinatari: III Liceo Classico – V Liceo Scientifico<br />

Prerequisiti: conoscenza delle linee essenziali della poesia del primo Novecento<br />

in Italia e della biografia di G. Ungaretti, con particolare riferimento alla sua formazione<br />

letteraria.<br />

Testi e contenuti<br />

• G. Ungaretti, Fratelli (da L’Allegria): la fraternità degli uomini nella sofferenza<br />

e nella precarietà della guerra;<br />

• G. Ungaretti, I fiumi (da L’Allegria): la propria identità attraverso le acque<br />

dei fiumi frequentati e amati in momenti diversi della vita;<br />

• G. Ungaretti, Preghiera (da L’Allegria): la chiarezza nell’orientamento della<br />

propria vita, il sollievo da ogni peso, la preghiera di immersione in una<br />

nuova nascita;<br />

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Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

• G. Ungaretti, Fine di Crono (da Sentimento del tempo): la fine del mondo, gli<br />

astri in vita fino all’abbraccio del Signore, al loro annullamento in Lui, alla<br />

realizzazione della quiete assoluta;<br />

• G. Ungaretti, La madre (da Sentimento del tempo): l’intercessione della madre<br />

defunta per l’assoluzione del figlio, il perdono di Dio, lo sguardo sospiroso<br />

verso il poeta;<br />

• G. Ungaretti, La preghiera (da Sentimento del tempo): le mistificazioni e la megalomania<br />

dell’uomo, il peso dell’esistenza, l’invocazione a Dio fatto uomo<br />

che torni ad essere fonte di amore purificante per anime unite in eterno;<br />

• G. Ungaretti, Mio fiume anche tu (da Il Dolore): il Tevere nuovo fiume del<br />

poeta; il dramma della guerra per intere famiglie, l’uomo uccisore del fratello<br />

nei lamenti e nelle grida dei sopravvissuti; l’eco dell’innocenza sommersa,<br />

eppur viva, nei cuori più duri; Cristo amore fecondo incarnato e<br />

immolato, fratello di chi soffre, artefice della riedificazione dell’umanità,<br />

liberatore dei morti, sostegno dei vivi.<br />

A supporto<br />

• G. Ungaretti, Ragioni d’una poesia (passim, in fotocopia): la poesia come protagonista<br />

di una missione religiosa, testimonianza di Dio anche nella bestemmia;<br />

il poeta indagatore dell’invisibile;<br />

• G. Ungaretti, Note in Vita d’un uomo (in fotocopia);<br />

• L. Piccioni, Prefazione a “Vita d’un uomo” (passim, in fotocopia): il tema della<br />

guerra, fonte di un canto corale che si trasforma in preghiera.<br />

Strategia didattica<br />

• lezione frontale: lettura integrale dei testi scelti; analisi e commento.<br />

• lezione interattiva.<br />

Strumenti<br />

• manuale di letteratura italiana in adozione.<br />

• fotocopie.<br />

• dizionario di italiano.<br />

• lavagna.<br />

Obiettivi didattici<br />

• saper collocare correttamente la poesia e la poetica di Ungaretti nello scenario<br />

della letteratura italiana di inizio Novecento.<br />

• saper individuare i temi presenti nelle liriche studiate, la loro successione<br />

nelle singole raccolte, gli elementi di continuità e di discontinuità.<br />

• saper cogliere le caratteristiche della religiosità ungarettiana.<br />

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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />

Obiettivi educativi<br />

• saper fare luce sulle radici della fraternità universale degli uomini.<br />

• saperla riconoscere nella propria vita.<br />

• saper apprezzare il valore della preghiera a Dio.<br />

Verifica<br />

• Saggio breve o articolo di giornale di ambito artistico-letterario sulla base<br />

dei testi esaminati e di approfondimenti intertestuali e critici.<br />

Durata<br />

• 7 ore (4 ore di lezione; 2 di verifica; una di consegna).<br />

Premessa<br />

L’unità didattica è progettata all’interno delle lezioni curricolari di Italiano<br />

del quinto anno dei corsi liceali classico e scientifico e ne costituisce un percorso<br />

tematico di approfondimento riguardo alla religiosità cristiana presente nella<br />

poesia ungarettiana. Le lezioni precedenti avranno disegnato il quadro variegato<br />

della letteratura italiana all’inizio del XX secolo, dagli ultimi echi del <strong>De</strong>cadentismo<br />

alla poesia futurista e crepuscolare, dall’originalità poetica di Saba allo<br />

sperimentalismo narrativo di Pirandello, fornendo anche i tratti essenziali della<br />

biografia di Ungaretti e dell’influenza esercitata su di lui dalle idee e dalle opere<br />

di Mallarmé, Marinetti, Bergson. I contenuti, per la loro specificità, si prestano<br />

peraltro a utili approfondimenti nelle lezioni di Religione, consentendo così la<br />

riflessione e il dibattito sui temi universali della dignità umana, del senso del<br />

dolore e della preghiera, del dubbio nella fede.<br />

Scansione e sviluppo delle lezioni<br />

I Lezione – L’uomo e la sua identità<br />

La lezione introduce alla poetica di Ungaretti tramite le sue stesse dichiarazioni.<br />

La parola, sottratta al segreto dell’anima, tende a colmarsi di mistero e si<br />

manifesta nella sua purezza originaria. Il poeta moderno cerca contatti di immagini<br />

lontane, “senza fili” (chiaro il riferimento all’invenzione della radio da<br />

parte di G. Marconi). Egli esemplifica l’uomo che “vuole salire dall’inferno a Dio” 1 ,<br />

perché più sono distanti le immagini, maggiore sarà la poesia. Dunque il Novecento<br />

è un secolo di missione religiosa per il poeta, tenuto conto dell’enorme sofferenza<br />

da cui si sente circondato; in realtà, secondo Ungaretti, da Petrarca in<br />

1 Cfr. G.Ungaretti, Ragioni d’una poesia, in Vita d’un uomo, Milano 1969, p. LXXX.<br />

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Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

poi la poesia è sempre stata religiosa, anche contro le sue intenzioni. “Oggi il<br />

poeta sa e risolutamente afferma che la poesia è testimonianza d’Iddio, anche quando è<br />

una bestemmia. Oggi il poeta è tornato a sapere, ad avere gli occhi per vedere e, deliberatamente,<br />

vede e vuole vedere l’invisibile nel visibile” 2 . La citazione è illuminante.<br />

Segue la presentazione della raccolta L’Allegria e la lettura di Fratelli, inserita<br />

nella sezione del Porto sepolto. Il verso è libero, il titolo parte integrante del componimento,<br />

figurano versi costituiti da una sola parola (l’ultimo, ad esempio,<br />

verso e strofa al contempo), le strofe sono brevissime, le frasi nominali, la punteggiatura<br />

pressoché assente, gli enjambements numerosi. Il luogo e la data (Mariano<br />

il 15 luglio 1916) rivelano che il contesto è quello del fronte durante il primo<br />

conflitto mondiale. È notte e si incontrano due contingenti di soldati. Fratelli (v.<br />

2) è la parola tremante (v. 3). I ragazzi apprenderanno il processo di scarnificazione<br />

del verso, la nudità della parola tramite il confronto con una precedente<br />

stesura. Fratelli è anche una parola fragile e tenera nella notte come una fogliolina<br />

appena germogliata (v. 5). Nell’atmosfera tesa della guerra, nell’aria sofferente<br />

(v. 6 spasimante, quasi partecipe anch’essa della condizione umana) l’uomo involontariamente<br />

si ribella alla logica della contrapposizione, riconoscendo nell’altro<br />

il proprio fratello, unito a lui dallo stesso stato di vita 3 . È palese la<br />

circolarità della lirica, in un abbraccio fraterno di chiara ispirazione evangelica.<br />

I fiumi è una lirica lunga e narrativa, a differenza delle altre coeve, ma presenta<br />

le stesse caratteristiche formali, in termini di frequenza di enjambements e<br />

assenza di punteggiatura, tipiche dell’Allegria. Il poeta e la sua poesia prendono<br />

chiara coscienza di sé passando in rassegna i fiumi che hanno segnato un’esistenza.<br />

Di notte, sul margine di una dolina, nell’altopiano carsico, il 16 agosto<br />

1916 Ungaretti ricorda di essersi immerso nelle acque dell’Isonzo e di essersi lasciato<br />

levigare come un sasso (vv. 14-15) da esse. Poi si è rialzato e ha camminato<br />

sul greto scivoloso, mantenendo l’equilibrio come un acrobata, ha preso un<br />

bagno di sole e si è sentito con leggerezza una particella del creato, in piena armonia<br />

con esso, provando una rara felicità, accarezzato e attraversato dalle mani<br />

nascoste e misteriose della natura, capaci di filtrare nel suo intimo. Quindi ha<br />

ripercorso le epoche (v. 43) della sua vita, di fiume in fiume, dal Serchio al Nilo,<br />

dalla Senna allo stesso Isonzo. Convinto che l’esperienza poetica consente di<br />

esplorare “un personale continente d’inferno” e che l’atto poetico provoca la percezione<br />

che “solo in poesia si può cercare e trovare libertà” 4 , nei Fiumi l’acqua, tradizionalmente<br />

simbolo della vita, si carica di ulteriori significati. L’immersione ha<br />

un valore rituale, che richiama il battesimo; il lavacro trasforma il fiume in<br />

2 Cfr. n. prec.<br />

3 Cfr. G.Ungaretti, Note – L’Allegria, in Vita d’un uomo, op. cit., pp. 520-521: “Nella mia poesia<br />

non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno: c’è la presa di coscienza della condizione umana, della<br />

fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione”.<br />

4 Cfr. G.Ungaretti, Note – L’Allegria, op. cit., pp. 505; 517.<br />

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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />

un’urna (v. 10) che accoglie la reliquia (v. 11) del corpo (si tratta di una discesa<br />

agli inferi, di una morte simbolica). È il procedimento tipico dell’analogia, che<br />

fa uso del linguaggio liturgico e religioso, conferendo sacralità alla situazione.<br />

L’acqua scorre e trasforma il corpo del poeta in un sasso, uniformandolo così alla<br />

realtà minerale della natura. Il corpo è scarnificato (le mie quattr’ossa, v. 17), ma<br />

può riemergere come rinato e liberato. S’innesta qui il motivo cristologico dell’acrobata<br />

sull’acqua (vv. 19-20), che richiama il miracolo di Cristo. Illuminato e<br />

riscaldato dal sole, il poeta conquista la propria identità, sentendosi intimamente<br />

partecipe della vita dell’universo e vibrando all’unisono con esso. In questa armonia,<br />

in questa sensazione di pienezza consiste la sua felicità. E la poesia, se<br />

vuole essere pienamente se stessa, ha il compito di cogliere questi rari istanti, rivelando<br />

la percezione di una segreta simbiosi con il mistero e l’inconoscibile.<br />

Una scheda riepilogativa dei procedimenti formali adottati da Ungaretti sarà<br />

l’assegno per casa.<br />

II Lezione – Direzione e termine della vita<br />

I motivi del viaggio, del naufragio e della ricerca religiosa si richiamano analogicamente<br />

tra loro in alcune liriche dell’Allegria. In Preghiera, lirica conclusiva<br />

della raccolta con trasparente riferimento alla canzone Alla Vergine di F. Petrarca<br />

che chiude il Canzoniere, il poeta chiede al Signore di poter naufragare nell’alba<br />

del giorno in cui avrà compreso chiaramente l’orientamento da dare alla propria<br />

vita, finalmente libero da contatti ingannevoli contingenti (barbaglio della promiscuità,<br />

v. 2) 5 e sollevato da ogni senso di oppressione (v. 4). Per lui si tratterà di<br />

una rinascita (giovane giorno, v.6) in un mondo di nitore e stupore (v. 3). Tre<br />

strofe, versi liberi, assenza di punteggiatura, enjambements.<br />

La seconda fase d’esperienza umana di Ungaretti coincide con la raccolta poetica<br />

Sentimento del tempo. Se ne darà informazione riguardo alla cronologia e alla<br />

struttura, insistendo sulla nuova concezione del tempo rispetto all’Allegria. All’attimo<br />

della ‘folgorazione’, all’istante in cui si manifesta il mistero della vita<br />

succede il tempo avvertito come durata, come causa del mutamento, di distruzione<br />

e rinascita. Nella sezione centrale figura Fine di Crono, lirica del 1925 che<br />

dà il nome alla sezione stessa e rappresenta una “fantasia della fine del mondo. Gli<br />

astri, ‘Penelopi innumeri’, filano la vita finché il loro Signore, il loro Ulisse ritorni ad<br />

abbracciarli, ad annullarli in sé. Tornerà poi l’Olimpo, la quiete assoluta, il non esistere<br />

più” 6 . Un ulissismo particolare, astrale, lega in analogia i vv. 7-8; 11. Il fiore eterno<br />

di sonno (v. 12) simboleggia il dono divino dell’eternità, che l’uomo può raggiungere<br />

solo dopo la morte. I ragazzi noteranno la presenza della punteggiatura e<br />

5 Cfr. G.Ungaretti, Note – L’Allegria, op. cit., p. 527.<br />

6 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, in Vita d’un uomo, p. 537.<br />

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Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

l’uso sistematico del verbo, segnali di un progressivo ritorno alla sintassi tradizionale.<br />

III Lezione – L’àncora della preghiera<br />

La madre (1930) è una poesia della sezione Leggende di Sentimento del tempo,<br />

nella quale Ungaretti rievoca persone, eventi o luoghi amati attraverso immagini<br />

in sequenza che ne costruiscono una rappresentazione mitica, con l’intento di<br />

prolungarne la memoria. Protagonista centrale è la madre ormai defunta. Il<br />

poeta immagina che ella lo conduca per mano davanti a Dio e s’inginocchi al<br />

suo cospetto per fargli ottenere l’assoluzione. Solo quando Dio gliela avrà concessa,<br />

tornerà a guardare in volto il figlio, con un breve sospiro, felice di averlo<br />

avvicinato alla gloria divina. Lei è l’amore che supera la morte, è la fede incrollabile.<br />

La versificazione tradizionale è quasi del tutto ripristinata, con una struttura<br />

compositiva di due quartine, una terzina e due distici e l’alternanza di<br />

endecasillabi e settenari; la sintassi proposizionale è sorretta sempre dal verbo<br />

e gli enjambements sono assenti. Una volta spentasi l’eco dell’ultimo battito del<br />

cuore, estremo diaframma tra il poeta e l’oltretomba (il muro d’ombra, v. 2), egli<br />

si ricongiunge alla Madre (va osservata l’iniziale maiuscola, che mitizza la figura<br />

materna), che intercede per lui, assorta e immobile (come una statua, v. 6) nella<br />

preghiera. L’arcaismo vedeva (prima persona singolare) è un’ulteriore traccia<br />

della volontà di recuperare una forma in sintonia con la tradizione. Lo sperimentalismo<br />

dell’Allegria ha avuto la funzione di far rinascere ex novo nel Sentimento<br />

del tempo il verso italico consacrato da secoli di pratica, restituendogli<br />

freschezza e purezza.<br />

Il problema religioso è posto al centro degli Inni7 , altra sezione di Sentimento<br />

del tempo, in particolare nella poesia La preghiera, datata 1928. Ungaretti è rammaricato<br />

al pensiero che il mondo fosse pieno di dolcezza solo prima della comparsa<br />

dell’uomo8 . Sono stati i suoi peccati di autodeificazione e di desiderio di<br />

immortalità in questa vita a inasprirlo, autoinganni diabolici che hanno gravato<br />

7 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., p. 541: “Gl’ ’Inni’ (…) esprimono una crisi<br />

religiosa, veramente patita, da milioni d’uomini e da me, in uno degli anni più oscuri del dopoguerra (…)”.<br />

A tal proposito ricorda L. Piccioni, Prefazione a “Vita d’un uomo”, op. cit., p. XXXVIII: “«Nel 1928»<br />

ricorda il poeta «dal Monastero di Subiaco…d’improvviso seppi che la parola dell’anno liturgico mi si era<br />

fatta vicina nell’anima: in quei tempi mi sarebbero nati gli ‘Inni’». Aveva anche detto che la sua poesia<br />

«stava per non accorgersi più di paesaggi, stava per accorgersi invece con estrema inquietudine, perplessità,<br />

angoscia, spavento, della sorte dell’uomo»”. A titolo di esempio valga la poesia Dannazione : “Anima<br />

da fionda e da terrori / Perché non ti raccatta / La mano ferma del Signore? (…) Tu non mi guardi più, Signore…”(vv.<br />

4-6; 15).<br />

8 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., pp. 535-536: “Nel ‘Sentimento del tempo’,<br />

come in qualsiasi altro momento della mia poesia sino ad oggi, quest’uomo ch’io sono, prigioniero nella sua<br />

propria libertà, poiché come ogni altro essere vivente è colpito dall’espiazione d’un’oscura colpa, non ha potuto<br />

non fare sorgere la presenza d’un sogno d’innocenza. Di innocenza preadamitica, quella dell’universo<br />

prima dell’uomo”.<br />

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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />

sulla sua esistenza, costringendolo a trascinarsi. Al Signore è rivolta una preghiera<br />

accorata: un nuovo patto d’alleanza tra l’Eterno e la temporalità umana,<br />

il dono della serenità per i suoi figli, l’aiuto per l’uomo a sentire la solidarietà<br />

profonda e l’amore purificante di un Dio incarnato e redentore nella sofferenza,<br />

il lieto annuncio della comunione delle anime finalmente immortali in Dio<br />

stesso. Afferma il poeta:”Certo, e in modo naturale, la mia poesia, interamente, sino<br />

da principio, è poesia di fondo religioso. Avevo sempre meditato sui problemi dell’uomo<br />

e del suo rapporto con l’eterno, sui problemi dell’effimero e sui problemi della storia.<br />

Sono tornato, in seguito alla crisi tanto grave nella quale ci dibattiamo, sono tornato, in<br />

seguito, a meditare con maggiore profondità sugli stessi problemi” 9 . Si susseguono liberamente<br />

distici, quartine, terzine, versi singoli, ma non troviamo più frasi nominali;<br />

i segni di interpunzione sono usati con regolarità, gli enjambements rari 10 .<br />

L’assegno per casa prevederà la costruzione di una scheda sui procedimenti formali<br />

delle poesie di Sentimento del tempo prese in esame da affiancare a quella<br />

sull’Allegria (cfr. I lezione).<br />

IV Lezione – L’innocenza, la colpa, la redenzione<br />

Viene presentata la raccolta Il Dolore (cronologia, spiegazione del titolo, struttura),<br />

che esprime il tormento personale (la morte del fratello e del figlio di nove<br />

anni) e collettivo (la guerra). Ungaretti prende coscienza della morte, ne è sconvolto<br />

e non fornisce note di chiarimento ai testi per custodire fino in fondo la<br />

propria intimità segnata dal dolore 11 . La sezione Roma occupata (1943-1944) ritrae<br />

invece la tragedia dell’Italia intera, con immagini strazianti di guerra dai tratti<br />

apocalittici, alle quali si contrappone la supplica della fede in Cristo o la richiesta<br />

di una indispensabile e urgente solidarietà tra gli uomini, pena la fine della loro<br />

civiltà. Si procede con la presentazione, la lettura, la parafrasi e il commento analitico<br />

di Mio fiume anche tu. Il componimento è esteso, suddiviso in tre strofe di<br />

diversa ampiezza. Il Tevere va ad aggiungersi ai fiumi costruttori dell’identità<br />

del poeta (cfr. I fiumi, I lezione), nel corso di una notte attraversata dai gemiti<br />

nelle strade pervase di terrore per un male atteso e insieme imprevedibile. I singhiozzi<br />

diventano rantoli, le case tane insicure, gli uomini si abbandonano all’ira<br />

fratricida. Ungaretti confessa la blasfemia del proprio sconforto, sopraffatto dal<br />

senso di abbandono in un attimo di riflessione («Cristo, pensoso palpito, / Perché<br />

la Tua bontà / S’è tanto allontanata?», vv. 26-28 – fine I strofa). Nella desolazione<br />

urbana la lacerazione degli sfollati lascia il posto alla stolta ingiustizia dei de-<br />

9 Cfr. G.Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., p. 533.<br />

10 Cfr. G. Ungaretti, Note – Sentimento del tempo, op. cit., p. 541, a proposito della raccolta nel<br />

suo insieme: “Dal lato strettamente tecnico, il mio primo sforzo è stato quello di ritrovare la naturalezza<br />

e la profondità e il ritmo nel senso d’ogni singola parola; ho ora cercato di trovare una coincidenza fra la nostra<br />

metrica tradizionale e le necessità espressive d’oggi”.<br />

11 Cfr. G.Ungaretti, Il Dolore, in Vita d’un uomo, op. cit., p. 543.<br />

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Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

portati, mentre l’uomo, insensibile al grido di pietà pietrificato sul volto del fratello,<br />

lo dilania, immemore della sua somiglianza con un Dio incarnato. Ma<br />

anche il cuore più indurito avverte un’eco di innocenza (pausa nella II strofa). Il<br />

poeta ora vede con chiarezza nella notte (vv. 46-47), ossia impara che l’inferno<br />

terreno è commisurato al grado di allontanamento folle dell’uomo dalla purezza<br />

offerta dalla passione di Cristo (fine II strofa). Il cuore di Gesù è piagato dal cumulo<br />

di dolore che l’uomo diffonde sulla terra, ma è anche l’unica origine di un<br />

amore fecondo (vv. 52-56). Cristo, sorgente di meditazione rivelatrice (pensoso<br />

palpito, vv. 26; 57), luce fatta carne per rischiarare la notte dell’uomo è il fratello<br />

quotidianamente crocifisso, che sacrifica se stesso per la rifondazione dell’umanità<br />

secondo la sua vera e piena dignità (vv. 57-63). Il <strong>San</strong>to che santifica la sofferenza,<br />

il Maestro e il Dio consapevole delle nostre umane debolezze, il<br />

liberatore dalla morte e il sostegno dei vivi infelici (vv. 64-67). Il poeta lo invoca<br />

con forza, il suo è un pianto universale innalzato a lui con un triplice appellativo<br />

liturgico (<strong>San</strong>to, / <strong>San</strong>to, <strong>San</strong>to, vv. 68-69; fine III strofa). Al ritmo della sequenza<br />

liturgica rimandano anche le numerose anafore (Ora…Ora…, vv. 2-3; 18; 20; 22;<br />

24; Vedo ora…Vedo ora, vv. 46-47) e l’occorrenza di versi identici (<strong>San</strong>to, <strong>San</strong>to che<br />

soffri, vv. 62; 64; 69). Siamo in presenza di un lirismo carico di significati spirituali<br />

e simbolici, ma anche intelligibili, nonostante alcune anastrofi e inarcature di<br />

verso (vv. 3-6; 13-17; 36-41). Una scheda sui procedimenti stilistici di questo componimento<br />

consentirà agli studenti di completare il quadro sinottico esemplificativo<br />

delle tre raccolte fin qui realizzato.<br />

Conclusioni<br />

Risulta di grande evidenza la religiosità cristiana complessa e problematica<br />

di Ungaretti. Egli riconosce nell’uomo il proprio fratello e ciò lo spinge ad una<br />

naturale solidarietà. Afferma la condizione di figli di Dio per tutti gli uomini e<br />

crede nell’opera salvifica di Cristo attraverso il sacrificio della croce. Tuttavia<br />

alla chiarezza delle convinzioni di fede si affianca e, talora, si oppone il tormento<br />

e l’angoscia per una condizione di dolore apparentemente senza via d’uscita,<br />

per un senso di colpa e di peccato che sembra gravare sull’uomo rendendolo irredimibile,<br />

per la percezione di una lontananza dell’Eterno dal triste, violento,<br />

fratricida, falso e ingannevole mondo umano che ha deturpato la purezza edenica<br />

primigenia. L’unica speranza resta Cristo, che da uomo ha condiviso la sofferenza<br />

dei suoi fratelli, riscattandola con la propria immolazione. A lui si<br />

aggrappa il poeta per sperare in un recupero dell’innocenza, in una rinascita<br />

dell’umanità finalmente all’altezza della propria dignità, in un approdo finale<br />

all’eternità dell’unione con Dio. Alla poesia spetta il compito di cogliere gli<br />

istanti rivelatori dell’intima armonia presente tra il contingente sensibile e il mistero<br />

divino, di essere orante e missionaria in un secolo in cui l’uomo, distruggendo<br />

la propria identità creaturale, ha smarrito se stesso.<br />

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“La poesia è testimonianza d’Iddio” QdPD 1 (2011)<br />

Bibliografia<br />

ANCESCHI L., Le poetiche del Novecento in Italia, Paravia, Torino 1972.<br />

DEBENEDETTI G., Ungaretti, in Poesia italiana del Novecento, Garzanti, Milano 1974.<br />

LUTI G., Invito alla lettura di <strong>Giuseppe</strong> Ungaretti, Mursia, Milano 1974.<br />

UNGARETTI G., Vita d’un uomo. Saggi e interventi, (a c. di M. Diacono e L. Rebay),<br />

Mondadori, Milano 1974.<br />

UNGARETTI G., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, (a c. di L. Piccioni), Mondadori, Milano<br />

1969.<br />

71


Pedagogia e Didattica Andrea Testa<br />

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Vestire la missione lasalliana: documenti e testimonianze QdPD 1 (2011)<br />

Le seguenti parole di un associato lasalliano impegnato sono<br />

la testimonianza di un sincero discernimento vocazionale per la missione:<br />

“Sono Lasalliano. Sono Lasalliano 24 ore al giorno – nel mio lavoro, nella mia famiglia,<br />

quando prego. I valori che possiedo, la persona che cerco di essere, il lavoro che svolgo<br />

e le relazioni che vivo, li vivo totalmente in questo contesto. Per il fatto che sono Lasalliano<br />

io trovo Dio ed è lì che sono chiamato a vivere il più fedelmente possibile i valori del vangelo”.<br />

(Regione PARC) (Circ. 461, p. 45)<br />

Vestire la missione lasalliana:<br />

documenti e testimonianze<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Le prospettive di una nuova fratenità ministeriale<br />

“Cristo interrompe oggi il nostro cammino lasalliano per darci un nuovo<br />

mandato: esplorare con fede e zelo strade non ancora percorse”. (I.2)<br />

Questo è l’incipit folgorante con cui il Superiore Generale Fratel Alvaro e il<br />

Consiglio Generale dell’<strong>Istituto</strong> si rivolgono “ai Fratelli e a chi vive la Missione<br />

Lasalliana” tramite la Circolare 461 Associati per la Missione Lasalliana… un atto<br />

di speranza; una circolare che non pretende di essere esaustiva, non vuole dire<br />

l’ultima parola sull’Associazione e che non è neanche un documento normativo;<br />

piuttosto vuole essere “uno stimolo ad operare con sempre maggiore fede e zelo<br />

nella missione”. L’intento è ampiamente dichiarato a pagina otto: “In questa circolare<br />

noi vogliamo evidenziare gli aspetti essenziali dell’associazione lasalliana<br />

esaminando come viene vissuta, definendone i termini propri e discernendo le<br />

sue linee direttrici”. (I.7) Il documento, scritto per tutti i Lasalliani e non soltanto<br />

per i membri dell’<strong>Istituto</strong> (cfr. 5.8), si articola in sette capitoli in cui si analizzano<br />

i modi di intendere oggi il concetto di associazione (cosa significa essere<br />

associato alla missione lasalliana, appartenere alla famiglia lasalliana) nelle diverse<br />

realtà locali, regionali e mondiali: argomenti per i quali vengono proposti<br />

suggerimenti concreti che incoraggiano riflessioni approfondite.<br />

73


Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />

Punto di partenza sono stati i dati raccolti dalla recente Indagine della Associazione<br />

Lasalliana (2008 – 2009) che testimoniano le diverse realtà associative dei<br />

Distretti che rappresentano le Regioni dell’<strong>Istituto</strong>. Il Consiglio Generale ribadisce<br />

la consapevolezza che l’ <strong>Istituto</strong> sta vivendo un momento nuovo della sua<br />

storia, momento che richiede una risposta nuova; pure restando saldamente legati<br />

alla storia della fondazione è necessario comprendere che ciò che era vero<br />

per il passato oggi deve essere sfumato dalla vitalità della missione lasalliana.<br />

(I.17) Allo stesso modo in cui per il Fondatore ed i primi Fratelli l’Associazione<br />

è la risposta stabile ad una crisi strutturale (l’emergenza educativa di tre secoli<br />

fa) con la quale essi hanno dovuto confrontarsi animati da fede e speranza per<br />

l’avvenire, così oggi nel contesto attuale, completamente diverso, si ritrovano<br />

gli stessi fattori presenti agli inizi della Società delle Scuole Cristiane: 1) crisi/crocevia<br />

e 2) fede/speranza nell’avvenire. (1.11)<br />

“Oggi più che mai la chiamata è rivolta a tutti i lasalliani per assicurare<br />

l’avvenire della Missione.” (2.7)<br />

Il Capitolo Generale del 2007 ha evidenziato che nella vocazione del Fratello<br />

l’associazione è il primo voto che dà un senso agli altri voti ed esso è per i Fratelli<br />

motivo di fierezza che rende più forte il legame tra di loro all’interno del corpo<br />

stabile dell’<strong>Istituto</strong>. Pure sono molti i laici che, ispirati dalla vita e dal messaggio<br />

del Fondatore, già partecipano alla missione educativa lasalliana; costoro impegnandosi<br />

quotidianamente e frequentando anche programmi di formazione vivono<br />

l’esperienza spirituale di condivisione del carisma educativo che caratterizza<br />

l’<strong>Istituto</strong>. La Circolare 461 pone in evidenza anche una evoluzione del vocabolario<br />

dell’<strong>Istituto</strong> che sottolinea con efficacia uno sviluppo nel tempo di questa<br />

tendenza: a cominciare dal capitolo generale del 1986 (Famiglia Lasalliana),<br />

per proseguire con il capitolo generale del 1993 (Missione condivisa) e concludere<br />

con il Capitolo generale del 2000 (Associazione). Essere Associato per la Missione<br />

significa partecipare ad una identità lasalliana comune e sentire la corresponsabilità<br />

della missione intrapresa tenendo sempre bene a mente che gli educatori<br />

lasalliani, nel loro associarsi, assumono un impegno particolare per il servizio<br />

educativo dei poveri, per l’educazione alla giustizia e per l’evangelizzazione.<br />

(2.2.3) L’Associazione è dunque una risposta vocazionale a Dio, è una conversione<br />

progressiva, è un dono concesso e non uno status acquisito. Nella tradizione<br />

lasalliana la parola “associazione” ha in aggiunta una connotazione mistica che<br />

oltrepassa il semplice significato del dizionario: essa è l’espressione del legame<br />

che unisce quanti sono impegnati nella Missione Lasalliana, cioè quanti se ne<br />

considerano responsabili e contribuiscono attivamente alla sua vitalità. (4.10)<br />

Lo Spirito <strong>San</strong>to tessitore dell’avvenire collettivo … un atto di speranza.<br />

L’impegno di fondo dichiarato dagli estensori della Circolare 461 che mette<br />

a fuoco lo status quaestionis dell’Associazione per la Missione è il seguente: “di-<br />

74


Vestire la missione lasalliana: documenti e testimonianze QdPD 1 (2011)<br />

scernere insieme in che maniera tutte le risposte vocazionali possano tessere una<br />

tunica senza cuciture di Associazione per la Missione Lasalliana”. (I.12) Il discernimento<br />

deve innanzitutto tenere conto di due possibili estremismi da evitare:<br />

uno è quello della esistenza di centri in cui i Fratelli sono numerosi e occupano<br />

tutte le mansioni direttive; l’altro è quello invece dove i Fratelli sono poco<br />

numerosi e lontani da ciò che riguarda la missione e si limitano a vivere in qualità<br />

di testimoni di un gentile e muto segno di consacrazione. L’avvenire collettivo<br />

della Missione dovrà collocarsi in qualche modo tra le due parti. (1.16) La<br />

storia dell’<strong>Istituto</strong> che incarna il carisma lasalliano è una narrazione che continua<br />

ancora oggi ed è intessuta, nella trama e nell’ordito, con le vite di chi partecipa<br />

alla costruzione di una identità spirituale collettiva: queste vite sono il filo che,<br />

intrecciato dallo Spirito <strong>San</strong>to, diventa tessuto della storia di salvezza. E’ certamente<br />

una metafora molto suggestiva questa della tessitura (textus) della narrazione<br />

della storia dell’identità lasalliana e suggerisce che, nelle prospettive attuali,<br />

alla trama possa corrispondere l’opera dei Fratelli e all’ordito quella degli<br />

Associati che se ne dimostrano degni. (cfr. A.Tornatora, Consapevoli della Missione,<br />

in QdPD N°4 p.112)<br />

Le sfide aperte dalla avventura di quella che viene definita missione condivisa<br />

richiedono ai Fratelli, oggi più che mai rispetto al passato, di essere “cuore, memoria<br />

e garanzia del carisma lasalliano” (Circ. 435 p.16); essi non possono limitarsi<br />

a restare semplicemente “immagini” edificanti, piuttosto è necessario che<br />

siano autentici segni di testimonianza rappresentando il significato profondo<br />

della gratuità come libero dono di sé senza attesa di ricompensa. I Fratelli infatti<br />

hanno risposto alla chiamata di Dio in maniera totale e definitiva, incondizionata<br />

ed appassionata nell’unica missione di servizio educativo per “l’educazione umana<br />

e cristiana dei giovani e specialmente dei poveri”. Essi, in quanto laici consacrati,<br />

hanno risposto alla chiamata di Dio vivendo il vangelo in modo radicale e impegnandosi<br />

a seguire sempre Cristo senza compromessi, testimoniando in questo<br />

modo la massima coerenza evangelica (Vita consecrata, 3).<br />

Gli Associati per parte loro, in quanto laici secolari, secondo la dottrina espressa<br />

dal Concilio Vaticano II, partecipano alla diffusione del Regno di Dio nella<br />

loro vocazione alla santità, con l’impegno e la testimonianza cristiana sulle frontiere<br />

della storia (Christifideles Laici, 30); essi desiderano partecipare della identità<br />

lasalliana che si fonda sulla comunione di intenti per la missione. È la loro risposta<br />

alla chiamata ministeriale di Dio per proseguire un cammino che consiste<br />

in una continua creazione di legami profondi, al di là delle simpatie e dei benefici<br />

immediati, tra persone, tra educatori Fratelli e Associati; legami che intendono<br />

incoraggiare solidarietà e corresponsabilità; che danno vita alla comunità educativa;<br />

che stimolano i membri della comunità a condividere lo stesso servizio<br />

nella dimensione di una nuova fraternità ministeriale.<br />

75


Pedagogia e Didattica Alberto Tornatora<br />

“La vocazione di Fratello è necessaria oggi forse più che nel passato”. (5.19)<br />

Oggi ai Fratelli viene richiesto di condividere con i laici il carisma del Fondatore<br />

ed è possibile parlare di missione realmente condivisa nel momento in cui<br />

i Fratelli riconoscono che altre persone, con identità diverse, sono pure chiamate<br />

dal Padrone della vigna con lo stesso incarico, “l’educazione umana e cristiana dei<br />

giovani, specialmente poveri”. È anche vero che vi sono Fratelli che, per modelli<br />

culturali e/o per le loro convinzioni personali, hanno difficoltà ad estendere a<br />

tutti i Lasalliani l’invito alla corresponsabilità nella Missione. Ma se è vero che<br />

nessun Lasalliano deve essere considerato come “un cittadino di seconda categoria”<br />

(5.21) allora ci vuole pazienza, rispetto e soprattutto la reciproca volontà<br />

di entrare in dialogo continuo tenendo sempre presente il richiamo del Capitolo<br />

Generale sull’Associazione per la Missione Educativa. (5.18) I Fratelli che accettano<br />

di condividere il carisma che li rende capaci per la missione, di condividere<br />

la spiritualità che dà senso alla missione, di condividere l’eredità storica che comincia<br />

dal Fondatore e dai suoi scritti, e tutta l’eredità culturale che si è andata<br />

formando nel tempo, dimostrano di essere efficaci mediatori dello Spirito <strong>San</strong>to<br />

impegnato a tessere i fili della trasmissione del carisma lasalliano : non dovrà<br />

essere possibile infatti distinguere la trama e l’ordito della tunica inconsutile<br />

che vestirà la Missione Educativa lasalliana.<br />

<strong>De</strong>l resto l’esortazione del Superiore generale ad affrontare con entusiasmo<br />

le sfide del tempo presente è che non si può non avere fiducia nell’opera di Dio<br />

per seguirLo in un cammino spirituale che ci conduce verso una meta per il momento<br />

ignota, forse anche colà dove non si sarebbe mai pensato di andare. (2.6.1)<br />

Lo stesso cammino di Grazia è evidente nelle parole del Fondatore: “Dio che<br />

guida ogni cosa con saggezza e dolcezza … volendo impegnarmi interamente nella cura<br />

delle scuole, lo fece in modo impercettibile … in modo che un impegno mi portasse ad<br />

un altro, senza che io lo avessi inizialmente previsto.” (C. L. N° 7, p.169)<br />

Durante una recente visita nella piccola isola di Buka – un settore autonomo di Papuasia<br />

Nuova Guinea – nella Regione PARC, un Fratello raccontò questa storia meravigliosa<br />

di impegno lasalliano in associazione:<br />

76<br />

Alcuni diplomati da poco della nostra scuola magistrale <strong>De</strong> La Salle di<br />

Mount Hagen, si erano riuniti a Buka per iniziare la loro professione di insegnanti.<br />

Accompagnati dalla loro guida e da Donald, esperto docente lasalliano,<br />

e portando sulle spalle tutto il loro materiale pedagogico di base,<br />

iniziarono il loro viaggio.<br />

A metà percorso del sentiero scosceso della giungla, uno dei giovani insegnanti<br />

iniziò a lamentarsi e a dire: “È troppo difficile. Non riesco a continuare”.<br />

Donald rispose: “Finiscila di lamentarti! Sei un insegnante<br />

lasalliano. Non sai che per arrivare ai ragazzi devi scalare le montagne?”.<br />

(Circ. 461, p.7)


Arte QdPD1 (2011)<br />

La testimonianza<br />

STEFANIA VALENTINI<br />

Or dunque, venite, trascinatevi a me, toccate la mia carne, che la stessa sia<br />

violata, martoriata e si porga a voi come prova, come manufatto da toccare, da<br />

vedere, studiare, come testimonianza di un accaduto difficile da credere, da immaginare.<br />

Essa si piega, si muove, si contorce, sanguina dolorante, si presta come<br />

estremo sacrificio di un martirio già accaduto, già sofferto, ma ancora da ripetere,<br />

da rivedere, rivivere, da rivisitare, ogni volta come la prima volta, all’infinito.<br />

E non v’è pace e mai ve ne sarà per queste membra martoriate e sature di violenza<br />

e di contestazione: tu sei Tommaso, egli è Tommaso, tutti voi lo siete, con<br />

le vostre fronti corrucciate, con gli occhi che devono forzatamente vedere, in<br />

cerca di un riscontro, iniettati di fredda insensibilità, con le vostre rigide convinzioni,<br />

con le vostre polemiche e pretestuose richieste poste verso il cielo.<br />

Ogni giorno che sorge produce nuovi increduli figli dell’ignoranza, barcollanti<br />

nella loro misera esistenza, distanti dallo spirito, distanti dal dogma, vicini<br />

solo alla materia, alla prova, alla reliquia. Il mio spirito si fa materia e giunge a<br />

voi come l’estremo atto di un Amore infinito. Ma ogni giorno è un giorno nuovo,<br />

è tabula rasa, tutto si ripete, c’è sempre un nuovo Tommaso, per sempre … Tommaso<br />

avvicinati, Dio è davanti a te.<br />

77


Arte Stefania Valentini<br />

Michelagnolo Merisi da Caravaggio<br />

“L’INCREDULITÀ DI SAN TOMMASO”<br />

(1601- olio su tela, cm. 107x146 Bildergalerie Potsdam, <strong>San</strong>ssouci)<br />

Gesù appare ai discepoli, tra i quali è Tommaso<br />

Or Tommaso, detto Didimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne<br />

Gesù. Gli altri discepoli dunque gli dissero: «Abbiamo visto il Signore!» Ma egli<br />

disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, e se non metto il mio<br />

dito nel segno dei chiodi, e se non metto la mia mano nel suo costato, io non crederò».<br />

Otto giorni dopo, i suoi discepoli erano di nuovo in casa, e Tommaso era<br />

con loro. Gesù venne a porte chiuse, e si presentò in mezzo a loro, e disse: «Pace<br />

a voi!». Poi disse a Tommaso: «Porgi qua il dito e guarda le mie mani; porgi la<br />

mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente». Tommaso<br />

gli rispose: «Signor mio e Dio mio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai visto, tu hai<br />

creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».<br />

(Giovanni 20,24-29)<br />

78


incontri QdPD 1 (2011)<br />

Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

Con la sezione incontri i “Quaderni demerodiani” intendono rispondere<br />

con maggiore efficacia alla loro vocazione di forum<br />

aperto al dialogo educativo. Questo spazio ospita, infatti, i contributi<br />

di genitori, esperti ed ex-alunni che vogliano esprimere<br />

una riflessione qualificata sul tema pastorale proposto.<br />

Il coinvolgimento di tutte le agenzie educative nell’attività didattica<br />

offre, quindi, la possibilità di un’interazione virtuosa tra<br />

gli attori della formazione costruendo attorno allo studente una<br />

dinamica rete di stimoli intellettuali.<br />

Questa sezione si propone, pertanto, tre ambiziosi obiettivi:<br />

- fornire agli insegnanti la possibilità di usufruire di validi<br />

strumenti di approfondimento;<br />

- promuovere il confronto con i genitori spesso solo marginalmente<br />

consapevoli del percorso di apprendimento dei propri<br />

figli e generalmente inclini a contestare piuttosto che a proporre;<br />

- continuare il dialogo con gli ex-alunni che, offrendo alla<br />

scuola le loro nuove competenze, non smettono, e verosimilmente<br />

non smetteranno, di considerarla il centro nevralgico<br />

della formazione dell’individuo e dello sviluppo della società.<br />

(m. cil.)<br />

79


incontri Emanuela Birocchi<br />

<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto<br />

EMANUELA BIROCCHI (I Classico A)<br />

«Non vado alle mense della Caritas. Lì non mi sento a casa come qui». Questa<br />

frase rappresenta la Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio meglio di qualsiasi discorso o panegirico.<br />

Perchè a pronunciarla è un uomo che non solo ne fa parte, ma la vive<br />

nella sua essenza più profonda. Karol è un signore di origini polacche che sfugge<br />

a ogni classificazione ed etichetta. Alcuni lo chiamerebbero clochard, per altri sarebbe<br />

un senzatetto, per tutti un barbone. Ecco, per la Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio<br />

è solo Karol.<br />

La Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio, fondata da Andrea Riccardi a Roma nel 1968,<br />

oggi è presente nei cinque continenti e svolge attività che vanno dalle scuole pomeridiane<br />

per bambini ai centri per anziani. A livello internazionale la Comunità<br />

ha avuto grande rilevanza nell’ambito delle trattative per la pace in Mozambico,<br />

un Paese dilaniato dalle guerre civili. Inoltre si occupa di promuovere il dialogo<br />

tra i popoli di tutto il mondo.<br />

Un’iniziativa intrapresa dalla Comunità a cui ho preso parte è quella dei<br />

pranzi natalizi. Dopo la messa, i banchi fanno posto ai tavoli pronti ad accogliere<br />

i moltissimi che ogni anno partecipano a questa iniziativa. Le signore si dedicano<br />

alla cucina mentre i più giovani apparecchiano la tavola e si occupano degli addobbi<br />

della sala. Alla fine del pranzo a ogni senzatetto viene distribuito un pacco<br />

regalo su cui viene riportato il nome del destinatario. Sembra scontato che sul<br />

regalo che si apre sotto l’albero sia scritto il proprio nome, ma per quelle persone<br />

che vivono tutto l’anno per strada è importante; il nome dà unicità ma soprattutto<br />

fa riscoprire il valore della dignità.<br />

La Comunità è impegnata tutto l’anno: una volta a settimana i volontari preparano<br />

i panini che vengono caricati sui furgoni e distribuiti in diversi luoghi di<br />

ritrovo dei senzatetto come le stazioni Termini e Tiburtina. Un progetto fondamentale<br />

della Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio è il programma DREAM. Una volta al<br />

mese si organizza un mercatino di abiti usati e con il denaro raccolto da questa<br />

iniziativa si dà un aiuto prezioso alle donne africane malate di AIDS. Ad oggi,<br />

sono più di 100.000 i bambini nati sani da una madre sieropositiva grazie al programma<br />

DREAM.<br />

La Comunità di <strong>San</strong>t’Egidio cambia la vita a tantissimi emarginati perchè dà<br />

a tutti loro la speranza di una vita normale, un cambiamento in esistenze segnate<br />

da dolore e sofferenza. All’interno della Comunità nessuno è senza nome, come<br />

dimostra anche la riuscita del programma BRAVO (che sta per Birth Registration<br />

for All Versus Oblivion), il cui fine è far registrare tutti i bambini all’anagrafe.<br />

80


<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto QdPD 1 (2011)<br />

Senza registrazione non hanno nome, non hanno diritti, sono entità senza corpo<br />

e senza voce. È questa la missione di <strong>San</strong>t’Egidio: abbattere il muro dell’emarginazione,<br />

come avviene nel caso delle persone di etnia rom o sinti.<br />

La Comunità non fa del semplice volontariato. Il motivo per cui Karol e tanti<br />

altri come lui si affidano ad essa è perchè non vengono considerati come numeri<br />

a cui dare un pasto caldo, ma come persone. Umani, prima che barboni. Persone<br />

che hanno bisogno di qualcuno pronto ad ascoltare la loro storia, invece di essere<br />

compatiti.<br />

Andrea Riccardi ha scritto: «Avere speranza non vuol dire possedere una visione<br />

lucida di come sarà il domani. La speranza profonda viene dalla convinzione che la famiglia<br />

degli uomini e dei popoli non è stata abbandonata da un amore più grande.» Ed<br />

è questo tipo di amore che fa funzionare l’immenso meccanismo della Comunità<br />

da più di quarant’anni; una forza interiore che si nutre dell’energia e dell’entusiasmo<br />

di chi ne fa parte.<br />

81


incontri Emanuela Birocchi<br />

“Mattatoio 5”: testimonianza di un sopravvissuto<br />

EMANUELA BIROCCHI (I Classico A)<br />

Per mia fortuna non ho mai assistito a un bombardamento, quindi non so<br />

dire cosa farei in quelle circostanze. Ma so cosa ha fatto Kurt Vonnegut: ha scritto<br />

un capolavoro. Il suo “Mattatoio 5” è la storia semiseria e surreale di Billy Pilgrim,<br />

un americano medio, un non comune uomo comune. Ha infatti la straordinaria<br />

capacità di viaggiare da una dimensione spazio-temporale all’altra,<br />

indipendentemente dalla sua volontà. Può quindi trovarsi a Dresda durante la<br />

seconda guerra mondiale, ma anche nella fantascientifica Tralfamadore, dove<br />

viene esposto come esemplare della razza umana.<br />

“Mattatoio 5” non è un libro contro la guerra: è a favore della pace proprio<br />

per il fatto che parla di un episodio terribile, ovvero il bombardamento della cosiddetta<br />

“Firenze dell’Elba”, a cui lo scrittore ha realmente assistito. Vonnegut<br />

ha più volte ricordato che questo è un romanzo nato da un’esigenza interiore:<br />

un’esigenza che accomuna coloro che sono sopravvissuti. Un sopravvissuto non<br />

dimentica: tramanda ai posteri affinchè ciò di cui è stato testimone suo malgrado<br />

non debba più ripetersi. “Mattatoio 5 “ è uno dei più importanti libri antimilitaristi<br />

che siano mai stati scritti, vero e proprio caposaldo della letteratura pacifista.<br />

“Non c’è nulla di intelligente da dire su un massacro. Si suppone che tutti siano<br />

morti, e non abbiano più niente da dire o da pretendere. Dopo un massacro tutto<br />

dovrebbe tacere, e infatti tutto tace, sempre, tranne gli uccelli”. É vero, dopo il<br />

massacro di Dresda tutto tacque, ma presto- vent’anni dopo- Vonnegut ebbe il<br />

bisogno di raccontare. Non lo fece in maniera convenzionale; troppo facile piangersi<br />

addosso, fare della mera cronaca del dolore. Attraverso una prosa schietta<br />

e un’ironia dissacrante, l’autore dà forse la più disarmante testimonianza sulla<br />

seconda guerra mondiale. Dietro il sarcasmo, dietro lo stile surreale c’è una consapevolezza<br />

che quello che si è visto, quello che è accaduto a Dresda non potrà<br />

mai essere dimenticato. Dietro un libro le cui pagine scivolano via leggere come<br />

il vento, c’è tutto l’orrore verso la guerra, verso un destino – quello umano- che<br />

è stato e sarà sempre segnato da un’incessante contesa. Così va la vita.<br />

Da questa riflessione scaturisce, più che un manifesto pacifista, un ammonimento<br />

dell’autore affinchè ciò a cui è stato costretto ad assistere non debba più<br />

ripetersi. Ma allo stesso tempo Vonnegut finisce per arrendersi all’impotenza<br />

dell’uomo di fronte agli eventi della storia: tutto è stato già scritto e ai tanti Billy<br />

Pilgrim del mondo non resta che rassegnarsi. “Mattatoio 5” è un libro che si sobbarca<br />

il peso di ricordi spaventosi vissuti come un continuo presente, secondo<br />

la concezione tralfamadoriana del tempo, e cioè che “i tralfamadoriani possono<br />

guardare i diversi momenti proprio come noi guardiamo un tratto delle Montagne Roc-<br />

82


“Mattatoio 5”: testimonianza di un sopravvissuto QdPD 1 (2011)<br />

ciose. Possono vedere come tutti i momenti siano permanenti, e guardare ogni momento<br />

che li interessa [...] Quando un tralfamadoriano vede un cadavere, l’unica cosa che pensa<br />

è che il morto, in quel momento è in cattive condizioni, ma la stessa persona sta benissimo<br />

in un gran numero di altri momenti.”<br />

É questo che fanno i sopravvissuti ed è questo che Vonnegut ha fatto con<br />

“Mattatoio 5”. Ha testimoniato l’inferno di Dresda collocandolo in una dimensione<br />

temporale fatta di brandelli tra loro scollegati, di frammenti di realtà e fantascienza.<br />

Tenendo sempre presente la preghiera di Billy Pilgrim: “Dio mi conceda<br />

la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare quelle che<br />

posso e la saggezza di comprendere sempre la differenza”.<br />

83


incontri Emanuela Birocchi<br />

84


iscontri QdPD 1 (2011)<br />

Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

L’esperienza dei Quaderni si rivela suggestiva e stimolante<br />

sotto diversi profili. L’entusiasmo iniziale nel voler partecipare<br />

ad una rassegna pluridisciplinare di percorsi modulari sui temi<br />

proposti periodicamente dalla Comunità di Pastorale Lasalliana<br />

è sorretto dal fascino della ricerca nello spirito di gratuità che<br />

anima l’insegnante.<br />

I percorsi nascono proprio dal lavoro di ricerca individuale<br />

o d’équipe, che offre l’opportunità di arricchire innanzi<br />

tutto se stessi e ravviva la quotidiana preparazione delle lezioni<br />

attraverso spunti nuovi ed originali nella progettazione di specifiche<br />

unità didattiche. La presentazione dei moduli nei Quaderni<br />

costituisce però anche una proposta strutturata per i colleghi competenti<br />

nella stessa disciplina, nel segno della condivisione e<br />

dell’apertura al contributo formativo e professionale dell’altro.<br />

Il passo seguente è l’applicazione in classe, quando il ciclo<br />

di lezioni prende vita e si innesca la dinamica educativo-didattica<br />

dell’insegnamento-apprendimento: si controlla la correttezza<br />

della scansione degli argomenti e dei tempi, si tenta di suscitare<br />

l’interesse e la curiosità degli studenti secondo le strategie previste,<br />

si osserva l’efficacia di queste, si verifica il conseguimento<br />

degli obiettivi educativi e didattici prefissati, si valutano i pro e i<br />

contro dello svolgimento complessivo sulla base della risposta<br />

reale che se ne riceve.<br />

In questa sezione si raccolgono proprio i resoconti dei<br />

percorsi pianificati e attuati, con le osservazioni, le varianti, i suggerimenti<br />

dettati dall’esperienza compiuta a contatto con i discenti.<br />

(a. tes.)<br />

85


iscontri QdPD 1 (2011)<br />

Latino<br />

Modulo didattico - disciplinare<br />

La nascita<br />

MARCO CILIONE<br />

Ho adottato per l’anno scolastico 2010/11 in una V scientifico una “antologia<br />

latina monotematica con percorsi interdisciplinari sulle scienze e la tecnologia<br />

nel mondo antico” pubblicata per Armando Scuola nel 2009 da G. G. Contessa<br />

e S. Bordoni con il titolo Rerum cognoscere causas.<br />

Ho trovato questa antologia molto interessante per tre ragioni:<br />

- la possibilità di lavori pluridisciplinari;<br />

- la selezione di autori e/o testi poco studiati nella consuetudine scolastica;<br />

- la particolare congruenza dei temi con il curriculo di studi dello scientifico.<br />

L’antologia risulta, inoltre, particolarmente duttile prevedendo brevi testi,<br />

corredati quasi sempre da traduzione, e una breve sezione didascalica che illustra<br />

il tema del modulo e suggerisce spunti di approfondimento. Questo consente<br />

all’insegnante di integrare o modificare il parte il percorso modulare per<br />

adeguarlo a un progetto di lavoro più specifico.<br />

Nel mio caso ho svolto l’unità III, Fenomeni della natura, contenuto nel modulo<br />

I, pp. 28-38, così come strutturato dagli autori del libro. Ho integrato, invece,<br />

l’unità II del modulo II, La nascita, pp. 76-87, con l’articolo che ho pubblicato su<br />

“QdPD” (3) Giugno 2009, L’aborto nella prassi medica greca: scienza, diritto e approccio<br />

clinico, pp. 47-56.<br />

Il modulo ha previsto tre ore di lezione frontale e partecipata che si sono concluse<br />

con una verifica scritta di due ore articolata nella traduzione e nel commento<br />

di uno dei passi antologizzati (cinque domande, di cui una di traduzione<br />

e quattro di commento storico-culturale, morfo-sintattico e stilistico).<br />

I ragazzi hanno seguito con molto interesse le lezioni, probabilmente perché<br />

esse toccavano temi affascinanti come la condizione della donna nel mondo antico,<br />

la fecondazione, la fertilità e l’infertilità, la prassi magica e la prassi medica<br />

relative al parto e all’aborto.<br />

La trattazione del modulo ha permesso anche di distinguere la scienza medica<br />

dalla superstizione religiosa e dalla filosofia, ampliando un tema già affrontato<br />

nel modulo sui fenomeni naturali.<br />

I risultati conseguiti nella verifica, tutti tra il sei e il nove e mezzo, testimoniano<br />

l’efficacia di questo approccio tematico allo studio del latino.<br />

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La ‘Divina commedia’: un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere QdPD 1 (2011)<br />

È fresco d’inchiostri Il poema sacro al quale ha posto mano e cielo e terra<br />

(a cura di E. Mattioda, M. Colonna, L. Costa. DANTE ALIGHIERI,<br />

La Divina Commedia, edizione integrale, Torino, Loescher 2010, pp. 848<br />

€ 24), e la Redazione, che segue sempre con interesse queste iniziative,<br />

ha chiesto a Remo L. Guidi di presentare il testo ai suoi lettori.<br />

La ‘Divina commedia’:<br />

un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere<br />

REMO L. GUIDI<br />

1) Necessità e rischi di un commento alla ‘Commedia’<br />

Mettere in cantiere un commento alla Divina Commedia è proposito arduo,<br />

farlo per la scuola del giorno d’oggi rischia di esserlo da irresponsabili, perché<br />

Dante, da sempre, è stato uno scoglio tra i meno facili ad aggirarsi: lo fu per gli<br />

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scolastica Remo L. Guidi<br />

studiosi, e bisognò attendere Francesco <strong>De</strong> <strong>San</strong>ctis perché se ne incominciasse a<br />

capire qualcosa, anzi a parlarne con maggior rispetto, e le sue parole caddero<br />

come un maglio sull’ Italia del Risorgimento («il suo primo e maggior poeta è<br />

Dante»), alla quale il grande critico ricordò pure la perenne attualità del Fiorentino:<br />

«a quattro secoli di distanza il problema si ripresenta, ma i termini sono<br />

mutati. Il punto di partenza non è più l’ignoranza, la selva oscura, ma la sazietà<br />

e la vacuità della scienza, l’insufficienza della contemplazione, il bisogno della<br />

vita attiva». Ecco, qui sta il presupposto dell’assiduo ritorno dei posteri sulla<br />

Commedia nell’ultimo secolo: i problemi su cui Dante rifletteva sono anche i nostri,<br />

le sfide alle quali volle rispondere sono tali da precorrere i tempi e farsi del<br />

presente, oggi come domani. E per spiegare questo enigma si è mossa una centuria<br />

di Maestri che, con pazienza e perizia, hanno cercato di metabolizzare<br />

l’enorme cumulo di elementi teologici, polemici, lirici, storici, linguistici e scientifici<br />

racchiuso in unità invidiabile nei cento canti del poema, per renderlo tollerabile<br />

agli sdegnosi ed elitarî palati dei ragazzi.<br />

Scendere in un’arena, però, nella quale già hanno giostrato da pari loro (ne<br />

ricordo solo alcuni) Scartazzini-Vandelli, Casini, Momigliano, Pietrobono, Sapegno<br />

e Bosco comporta il rischio di figuracce, o l’altro, non meno commendevole,<br />

di operare continui plagi, occultati a fatica con i patetici accorgimenti dei<br />

liceali il giorno della versione in classe.<br />

Così, preso il toro per le corna, Mariacristina Colonna, Laura Costa ed Enrico<br />

Mattioda (il vero motore di spinta della triade) hanno riaperto il testo del padre<br />

Dante, con l’eroico intento di ammannirlo alle scuole: impresa disperata più di<br />

qualsiasi altra, ma non perché il poema sacro abbia perso le malie, ma perché i<br />

giovani vivono da protagonisti nella civiltà (?) dei suoni, delle immagini e degli<br />

internauti. Supporre (o illudersi) di poterli coinvolgere in un testo che necessita<br />

di una traduzione letterale quasi fosse sanscrito, per poi infliggere loro la condanna<br />

a scervellarsi dentro un commento sesquipedale, dove lo scoliaste di<br />

turno gli spiega chi erano quello che fece per viltade il gran rifiuto, l’altro che<br />

tenne ambo le chiavi del cor di Federico, la femmina balba e l’altro ancora di cui<br />

non surse il secondo, è impresa disperata, con meno fortuna di quanti andassero<br />

a cercare la canna da pesca sulla cima del K 2.<br />

E dato e non concesso che gli alunni superino questi scogli perigliosi, come<br />

introdurli nel significato recondito delle allegorie, nella complicatezza dell’impianto<br />

strutturale della Commedia, o nei riscontri astronomici, per poi associarli a<br />

una più facile ricezione delle impennate liriche di Dante, agli scatti irosi del polemista,<br />

alle estasi mistiche, all’ impeto dell’ uomo politico? Perché, insomma, la<br />

Commedia insegna a trasumanare, per accedere dal tempo all’eterno, dai regni<br />

della materia a quelli dello spirito, dalle gioie dei sensi alle ebbrezze celestiali.<br />

Tamen…<br />

Tamen c’è sempre un rimedio, per cui soloni d’oggigiorno, come quelli del<br />

Cinquecento eliminarono le vergogne del Giudizio michelangiolesco con i peri-<br />

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La ‘Divina commedia’: un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere QdPD 1 (2011)<br />

zomi e il martello, qui risolveranno il problema rimuovendo dalla Commedia i<br />

passi difficili per quanti, tra i banchi, hanno lo stomaco abituato allo snack o,<br />

tutt’al più, alla tavola calda. Così facendo, però, si altera tutto, e un alimento per<br />

lottatori di sumo diventa un budino per neonati, ritardandone la crescita; ma si<br />

nega anche l’evidenza a un principio logico indiscutibile: il prestigio di un libro<br />

è il riflesso della grandezza umana di chi lo compose. Dunque è la vicenda stessa<br />

di Dante a imporre un continuo ritorno alla Commedia, perché nell’esilio politico<br />

del suo autore c’è l’immagine di quanti oggi son perseguitati ed esuli; nel suo sogno<br />

di un’Europa forte e compatta, pacifica e salda c’è la profezia che ha precorso<br />

i secoli, e l’inadeguatezza attuale a non saperla tradurre in realtà; inoltre sulle rive<br />

dell’Acheronte, come sulla spiaggia del Purgatorio e nelle sfere del Paradiso,<br />

seguitano ad affluire, ininterrottamente e in massa, gli epigoni di quella campionatura<br />

umana che egli un giorno gettò nelle fauci dell’averno, o fece ascendere<br />

nei gorghi luminosi dei cieli. A dirla tutta, allora, il Fiorentino, è un contemporaneo<br />

di ottocento anni fa, è un inviato speciale alle cui interviste si son piegati antichi<br />

e moderni, vivi e morti, angeli e demoni; i suoi verdetti inappellabili hanno<br />

bollato a fuoco per sempre traditori e ipocriti, autorità religiose e civili; nelle bolge<br />

del suo Inferno, come nelle ebbrezze del suo Paradiso, si sono dati convegno<br />

uomini di tutte le età, per ascoltare le sentenze dell’unico tra i mortali che osò<br />

mettersi dalla parte di Dio e pronunciarne, in sua vece, il giudizio.<br />

2) Il merito di quanti commentano Dante<br />

Qualsiasi progetto, pertanto, dal più piccolo al più grande, volto a far comprendere<br />

ai giovani la ricchezza di Dante, merita un plauso incondizionato, perché<br />

di lui non se ne può fare a meno. Gli orizzonti di un testo scolastico, tuttavia,<br />

son limitati, e non consentono voli pindarici a quanti li compilano, e Mattioda<br />

che, come studioso, si muove su feudi amplissimi del sapere, qui si è messo umilmente<br />

al servizio dei ragazzi, insieme a una squadra con la quale ha saputo bene<br />

interfacciarsi (articolata, tra l’altro, in coordinamento editoriale, redazione, ricerca iconografica,<br />

progetto grafico e impaginazione), per togliere di dosso al poema sacro la<br />

polvere dei secoli, e quella subordinazione sussiegosa con la quale i libri in cartella<br />

intimidiscono i malcapitati studenti. Il proposito è rilevabile nel volume a<br />

prima vista, quando, ad esempio, se ne esamina lo specchio della pagina, che è<br />

ampio, per concedere respiro agli occhi (formato 195 x 263), e poter disporre la<br />

materia grafica senza ingolfarla, con un certo margine di autonomia per i passi<br />

più oscuri dei canti: i versi, così risultano allogati nei riquadri alti, il commento<br />

sta in calce e la parafrasi al fianco; la pagina è vivacizzata dal divario dei caratteri<br />

tipografici, dall’ampiezza degli spazi frapposta tra un comparto e l’altro, dalle<br />

sottolineature, dai corsivi, dalle inchiostrazioni diversificate, per produrre tanti<br />

piccoli stratagemmi atti a combattere l’assuefazione, e mantenere desto l’interesse<br />

91


scolastica Remo L. Guidi<br />

dei ragazzi. C’è, poi un esuberante accumulo iconografico, posto nei punti strategici<br />

delle facciate, dove si alterna il bianco e nero al colore, il classico al moderno,<br />

l’acquaforte alla miniatura, la tempera al guazzo. Il cosmopolitismo degli<br />

artisti che in modo autonomo hanno inteso, in tutti i tempi, l’urgenza di ricorrere<br />

al marmo, al legno, o ai colori per esprimere il proprio coinvolgimento alla Commedia,<br />

ne consacra l’universalità e ne fa la voce durevole per ogni categoria di<br />

persone, superando i condizionamenti religiosi, politici, culturali ed economici.<br />

I curatori sono intervenuti sui canti di pertinenza con una certa autonomia,<br />

perciò il testo riserva qua e là sorprese didattiche, valide a combattere l’uggia<br />

della prevedibilità; in genere il canto si apre con una introduzione nella quale la<br />

materia è parcellizzata in paragrafi sintetici con titoletto (prendo a caso il XXIV<br />

dell’Inferno: situazione, luogo, tipologia dei dannati, pena, contrappasso, personaggi);<br />

la trama espositiva così intercisa è disposta su tre colonne, inoltre ogni volta che<br />

Dante si muove, c’è lo schema grafico della cantica con l’indicazione esatta dove<br />

il poeta sta indugiando; il canto si chiude con l’analisi del testo, cui possono far<br />

seguito esercizi con gli spunti operativi (il canto IV dell’Inferno ne registra uno articolato<br />

in comprensione complessiva, analisi formale, per un approfondimento, con<br />

ben 16 inneschi di percorsi didattici: 1-8; 9-13; 14-16) e affinità testuali per confrontare<br />

la visita di Dante nel Limbo con l’analoga situazione di Enea nell’ Eneide;<br />

la stessa rubrica nel XXIII del<br />

Purgatorio, dove Dante incontra<br />

Foresi, non si limita a riportare i<br />

sonetti 5 e 6 della Tenzone, ma vi<br />

aggiunge (e ne spiega le ragioni)<br />

il dialogo tra Federico e <strong>De</strong>slauriers<br />

dalla Educazione sentimentale<br />

di Flaubert; la stessa arditezza di<br />

accostamento anima il VI del Purgatorio,<br />

la cui apostrofe contro la<br />

serva Italia, di dolore ostello, ha<br />

concesso il richiamo all’ultimo<br />

capitolo del Principe machiavelliano,<br />

e al ghibellin fuggiasco da<br />

Firenze, la cui struggente bellezza<br />

viene riproposta con la rievocazione<br />

del Foscolo nei Sepolcri<br />

(versi 165-198); noterò, da ultimo,<br />

che la limpida similitudine Quali<br />

per vetri trasparenti e tersi (Paradiso,<br />

III, versi 10-15) offre il destro<br />

per recuperare il mito di Narciso<br />

dalle Metamorfosi.<br />

92


La ‘Divina commedia’: un libro su cui tanto si è detto e tanto resta da scrivere QdPD 1 (2011)<br />

3) L’innovazione nello spiegare Dante non è un optional<br />

Si ha di fronte, dunque, un impegno teso, pur con qualche rischio, a svecchiare<br />

la didattica per attualizzarne i contenuti; i dati, cioè, son qui trasmessi<br />

nell’ essenzialità: le filigrane dalle iridescenze dell’opale care al Momigliano, per<br />

cui l’insigne maestro, smarrendosi negli obliosi percorsi del sogno, produceva<br />

variazioni sulle terzine dantesche iridescenti come il cristallo di rocca, non hanno<br />

esercitato nessun fascino sui curatori di questa Commedia, e non perché non ne<br />

apprezzassero il pregio, ma perché mancano di aggancio con un gli alunni, i<br />

quali si parlano con i messaggini e facebook. Lo stesso dicasi per le esaustive ricostruzioni<br />

storiche del Casini, così dettagliate e così appaganti, ma anche così démodées;<br />

una analoga sobrietà dorica domina le introduzioni ai canti, assai più<br />

essenziali dei moduli cari al Sapegno, o al Reggio affiancatosi al Bosco.<br />

Questi rilievi, comunque, non vogliono essere biasimi (ohibò), per opere sulle<br />

quali innumerevoli ragazzi hanno trovato il cicerone per le visite guidate nell’oltretomba<br />

dell’Alighieri; ribadisco, invece, che se i maestri non possono sconvolgere<br />

i programmi, hanno l’obbligo di inventarsi nuove strategie per renderli<br />

piacevoli, come si fa in altri settori. Forse i cuochi hanno spento i fornelli, perché<br />

in farmacia vendono le pillole con le sostanze degli spaghetti e delle faraone?<br />

Forse i couturiers hanno cessato di escogitare inediti modelli, perché il fisico è rimasto<br />

immutato da secoli? O forse i musici minacciano scioperi perché le note<br />

sono sempre e solo sette?<br />

E allora non si capisce perché debbano negarsi ai maestri capacità innovative<br />

e di metodo, da sempre alla radice di qualsiasi altra professione; se dovunque<br />

la fantasia, la creatività, la sollecitudine e la cura mordace per farsi accogliere, o<br />

segnalarsi, equivalgono a requisiti indispensabili, a fortiori essi debbono essere<br />

pregiudiziali per chiunque ha il privilegio di rivolgersi ai giovani.<br />

È ovvio che il commento richiesto dalla Loescher a Mattioda, e alle due collaboratrici,<br />

non poteva risultare perfetto, ed essi, d’altronde, erano (e sono tutt’ora)<br />

troppo ricchi di senso umoristico per contraddirmi: chiunque pianifica un<br />

libro del genere è chiamato a scegliere, cioè a fare delle rinunce, a volte imbarazzanti;<br />

di conseguenza essi hanno dovuto negarsi altre possibili alternative<br />

oltre quelle accolte. Le soluzioni, comunque, che qui si prospettano risultano rigorosamente<br />

sostenibili con il supporto di un significativo repertorio bibliografico,<br />

ben dissimulato per non mettere a disagio gli studenti, ma gli addetti ai<br />

lavori non esiteranno a individuarlo.<br />

Cionondimeno, ad esser pedanti, si potrebbe muovere da due o tre scelte qui<br />

operate per discuterne con i curatori, ed estendere lo scambio di idee ad altri<br />

aspetti del libro; ma si tratterebbe, in fondo, di un colloquio su questioni di gusto,<br />

non di sostanza. Il commento, infatti, obbedisce a filtri con alta selettività, per<br />

escludere l’ingresso a ipotesi non compatibili con gli orizzonti giovanili. Tuttavia<br />

siccome aliquando bonus dormitat Homerus, qui potrebbero essersi aperti varchi<br />

93


scolastica Remo L. Guidi<br />

per infiltrazioni di germi, non certo patogeni, ma comunque in grado di riacutizzare<br />

sopiti disturbi negli alunni più cagionevoli. Penserei al credito concesso<br />

a qualche interpretazione piuttosto insolita (vedi, ad esempio, il modo come<br />

Erich Auerbach intende Paradiso, XI, 60 e p. 670); anche le letture critiche a fine<br />

canto, sempre molto ben calibrate, a volte potrebbero risultare fruibili solo da<br />

elementi molto bravi: penserei a quelle di E. Bigi (per Purgatorio, I) e M. Marti<br />

(per Paradiso, XI). Si rileverebbe, inoltre, una certa asimmetria nei canti gemelli<br />

del Paradiso (XI-XII), dove la figura di s. Domenico risulterebbe piuttosto in<br />

ombra, rispetto all’altra di s. Francesco. Ma i cultori del francescanesimo potrebbero<br />

scuotere il capo notando l’accentuazione sulle esperienze disinibite del<br />

santo prima di convertirsi («condusse una vita agiata e dissoluta […], abbandonò<br />

la vita lussuosa e gaudente»), il che va oltre la Legenda maior di Bonaventura, e<br />

scavalca lo stesso Celano; probabilmente farebbero delle riserve pure sul modo<br />

come viene presentato il rapporto del santo con Madonna Povertà (pagina 670),<br />

un po’ troppo fuori quadro se lo si riporta al mirabile Sacrum Commercium beati<br />

Francisci cum domina Paupertate.<br />

Ma questi sono rilievi da spulciasillabe e di chi, armato di lente ad espansione,<br />

vuol pregiarsi (?) di trovare il pelo sull’uovo; la realtà è un’altra: il commento è<br />

impastato di entusiasmo per la scuola e amore per i giovani, in modo diverso<br />

resterebbe difficile capacitarsi delle energie erogate per produrlo, e del senso di<br />

umiltà che lo accompagna. Non si trova di frequente nei manuali scolastici una<br />

dichiarazione come quella qui esibita «nonostante la passione e la competenza<br />

delle persone coinvolte nella realizzazione di quest’opera, è possibile che in essa<br />

siano riscontrabili errori o imprecisioni. Ce ne scusiamo fin d’ora con i lettori e<br />

ringraziano coloro che, contribuendo al miglioramento dell’opera stessa, vorranno<br />

segnalarceli al seguente indirizzo […]» (p. 2).<br />

Ma l’alloro con il quale i posteri incoronarono Dante è immarcescibile, e non<br />

saranno le distrazioni dei pur volenterosi commentatori a strappargliene neanche<br />

una foglia; la triade, invece, la quale ha elaborato il libro in questione, ha<br />

fatto l’impossibile (e forse qualcosa in più) per convincere gli alunni che Dante<br />

resta uno dei grandi maestri dell’umanità, contro il quale nemmeno la forza del<br />

tempo, in grado di frantumare «l’estreme sembianze e le reliquie \ della terra e<br />

del ciel», stando al Foscolo, è riuscita a imporre le sue leggi. E questo perché il<br />

Fiorentino è un insostituibile difensore degli uomini liberi, di quanti si battono<br />

in difesa della propria dignità, e di chiunque, fiducioso nella giustizia dei posteri,<br />

non esita a contrastare i poteri forti dell’ingiustizia e della violenza mentre è in<br />

vita. In tal senso la lettura della introduzione Il poema di Dante e la cultura occidentale<br />

(pp. 6-18), firmata da Mattioda, resta una delle pagine più seducenti premesse<br />

al poema negli ultimi decenni.<br />

94


Autori QdPD1 (2011)<br />

Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

MICHELE CATALUDDI Docente di Storia - Filosofia e Religione al Liceo. Ha pubblicato<br />

la monografia “La questione metafisica tra e oltre filosofia tradizionale e<br />

nichilismo” ed è autore di articoli e saggi su riviste specializzate.<br />

MASSIMO CAVALLO Sacerdote, Docente di Religione, saggista e articolista, Direttore spirituale<br />

<strong>Collegio</strong> <strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong> - <strong>Istituto</strong> <strong>De</strong> <strong>Merode</strong>. Rettore del Convitto Beato Pio IX<br />

della Pontificia Università Lateranense.<br />

EDUARDO CIAMPI Docente di Lingua e Letteratura Inglese al Liceo. Traduttore, articolista<br />

e saggista impegnato da anni nell’editoria.<br />

MARCO CILIONE Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master per Educatori<br />

Cristiani. Studioso di dialettologia ed epigrafia greca. Ha curato la raccolta delle fonti<br />

greche e latine per il progetto Imago Urbis.<br />

LETIZIA FALLANI Docente della scuola primaria ha frequentato il CELAS e il Master per<br />

Educatori Cristiani. È curatrice di un laboratorio artistico.<br />

ALESSANDRA FELLI Docente al Doposcuola del Corso primario presso il <strong>Collegio</strong> <strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong><br />

– <strong>Istituto</strong> de <strong>Merode</strong> è salesiana cooperatrice dal 1978. Ha ricoperto vari ruoli<br />

nel “governo” dell’Associazione a livello provinciale, nazionale e mondiale. (www.salesianicooperatori.eu)<br />

RICCARDO FORTE Docente di Lingua e Letteratura inglese al Liceo. Specializzato in Teologia<br />

della Vita Consacrata presso l’<strong>Istituto</strong> Claretianum, studioso di Emily Dickinson e<br />

Charles de Foucauld è autore di articoli e saggi pubblicati in riviste universitarie.<br />

REMO L. GUIDI (fsc) Già docente di materie letterarie al Liceo. Cultore delle Opere di <strong>San</strong><br />

Giovanni Battista <strong>De</strong> La Salle è autore de Il dibattito sull’uomo del Quattrocento (1999) e<br />

L’inquietudine del ‘400 (2007)<br />

VIRGINIO MATTOCCIA (fsc) Direttore Responsabile dei Quaderni <strong>De</strong>merodiani.<br />

LORENZO TÉBAR BELMONTE (fsc) Psicologo e Dottore in Scienze dell’Educazione è attualmente<br />

Segretario della RELEM (Regione Lasalliana Europa - Mediterraneo).<br />

ANDREA TESTA Docente di materie letterarie al Liceo frequenta il Master per Educatori Cristiani.<br />

Ha conseguito il Perfezionamento nello studio della tradizione della lingua italiana<br />

del Trecento.<br />

FRANCO TIANO Impiegato presso la Segreteria-Economato del <strong>Collegio</strong> <strong>San</strong> <strong>Giuseppe</strong> –<br />

<strong>Istituto</strong> de <strong>Merode</strong> dove si occupa anche del Corso di Multimedialità nella scuola Primaria.<br />

Dal 2001 è salesiano cooperatore ed ha partecipato alle attività dei salesiani negli<br />

incontri e nei congressi nazionali e mondiali. (fratiano@gmail.com)<br />

ALBERTO TORNATORA Docente di materie letterarie al Liceo. Ha conseguito il Master per<br />

Educatori Cristiani e il diploma di Coordinatore Scolastico. Studioso di letteratura cristiana<br />

antica è autore di articoli e saggi pubblicati in riviste universitarie.<br />

STEFANIA VALENTINI Docente di Disegno e Storia dell’Arte. Artigiano della pittura ad olio<br />

su tela. Operatrice per i Beni Culturali ha perfezionato gli studi presso la Bottega del<br />

Restauro Alvisini – Moretti e ha partecipato a Mostre Nazionali.<br />

95


Pedagogia e Didattica QdPD 1 (2011)<br />

Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

la Rivista che accompagna il Progetto di Pastorale Lasalliana<br />

dalla Scuola Primaria alla Secondaria di Secondo grado<br />

96<br />

2008 – 2010 Un breve consuntivo in cifre:<br />

6 quaderni pubblicati<br />

6 argomenti svolti<br />

500 copie di tiratura per ogni numero<br />

752 pagine in totale<br />

14 materie trattate<br />

69 articoli scritti<br />

5 contributi di alunni ed ex alunni<br />

4 istituti scolastici coinvolti<br />

26 autori (laici e fratelli)<br />

5 contributi esterni al mondo scolastico<br />

“È importante fare le cose bene ma soprattutto ricordare<br />

che le cose fatte bene possono sempre essere fatte meglio.”


Indice QdPD 1 (2011)<br />

Q d PD<br />

Quaderni demerodiani di<br />

Pedagogia e Didattica<br />

Presentazione<br />

Perché questi quaderni di Fr. Pio Rocca .................................................................. 7<br />

Contenuti ......................................................................................................................................... 9<br />

e ditoriale<br />

VIRGINIO MATTOCCIA<br />

Non dire falsa testimonianza ....................................................................................... 13<br />

SCUOLA PRIMARIA<br />

LETIZIA FALLANI<br />

“Vivere e non vivacchiare” (Pier Giorgio Frassati) ........................................ 15<br />

SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO<br />

Letteratura e Religione<br />

MASSIMO CAVALLO, EDUARDO CIAMPI, RICCARDO FORTE<br />

Thomas Merton: una testimonianza sui generis ............................................... 21<br />

SCUOLA SECONDARIA DI II GRADO<br />

Storia<br />

MICHELE CATALUDDI<br />

Naufragi d’umanità nell’arcipelago Gulag ......................................................... 29<br />

Letteratura e Filosofia<br />

MARCO CILIONE<br />

Pavel Florenskij e la poesia simbolista russa .................................................... 35<br />

97


Indice QdPD 1 (2011)<br />

98<br />

ALESSANDRA FELLI, FRANCO TIANO<br />

I salesiani cooperatori: storia ed attualità di una testimonianza ........... 43<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Lasalliani e salesiani : due volti per l’educazione dei giovani ................ 53<br />

LORENZO TÉBAR BELMONTE<br />

La educación cristiana en clave de misión compartida ............................. 57<br />

Letteratura e Religione<br />

ANDREA TESTA<br />

La poesia è testimonianza d’Iddio (G. Ungaretti) ......................................... 63<br />

ALBERTO TORNATORA<br />

Vestire la missione : documenti e testimonianze ......................................... 73<br />

Arte<br />

STEFANIA VALENTINI<br />

La testimonianza di <strong>San</strong> Tommaso ........................................................................ 77<br />

incontri<br />

EMANUELA BIROCCHI<br />

<strong>San</strong>t’Egidio, dove l’umanità viene prima di tutto ........................................... 79<br />

“Mattatoio 5”: La testimonianza di un soppravissuto .................................. 82<br />

riscontri<br />

MARCO CILIONE<br />

La nascita .................................................................................................................................. 87<br />

scholastica<br />

REMO L. GUIDI<br />

La Divina Commedia: un libro su cui tanto si è detto e tanto<br />

resta da scrivere .................................................................................................................... 89<br />

AUTORI ........................................................................................................................................... 95


Il volto dell’altro... QdPD 1 (2010)<br />

99


Qui<br />

docent<br />

Paulatim<br />

Discunt


Volumi pubblicati<br />

Giugno 2008 N° 0 Le radici della moralità (1)<br />

Dicembre 2008 N° 1 Giustizia e libertà (2)<br />

Giugno 2009 N° 1 Bioetica e diritto alla vita (3)<br />

Dicembre 2009 N° 2 Ricchezza e povertà (4)<br />

Giugno 2010 N° 1 Lo straniero (5)<br />

Dicembre 2010 N° 2 La condivisione (6)<br />

Giugno 2011 N° 1 La testimonianza (7)<br />

In preparazione<br />

Dicembre 2011 N° 2 La condivisione (II) (8)<br />

Materiale didattico, bibliografie, fotografie ed altri documenti<br />

sono reperibili presso il sito:<br />

www.sangiuseppedemerode.it/riviste<br />

“Il Quadriportico”<br />

www.sangiuseppedemerode.it


NON NOVA<br />

SED NOVE<br />

ASSOCIATI LASALLIANI PER LA MISSIONE EDUCATIVA<br />

Q<br />

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P<br />

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