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UNA VECCHIA FOTOGRAFIA SBIADITA<br />
Ricordo che un giorno, ancora bambino, ero seduto al grande tavolo di noce che al tempo mi arrivava al naso, e spiavo<br />
la catasta dei giornali Un periodico patinato presentava in copertina la soubrette del momento, sapientemente sdraiata<br />
tra velluti rossi, i capelli sciolti, le mani che coprivano il petto, completamente nuda. Mio nonno deve aver giudicato<br />
l’immagine sconveniente per un bambino della mia età, perché si era affrettato a far sparire la rivista scambiando<br />
con la nonna un’occhiata maliziosa. «Nonna – avevo chiesto – chi è quella signora?». «Diciamo – aveva risposto lei – diciamo<br />
che quella signora è una ballerina». Il tono di voce che aveva usato era carico di significato. Non sapevo che nel<br />
gergo della vecchia Milano ballerina era il sinonimo convenzionale di un’altra parola, troppo cruda per le mie piccole<br />
orecchie. Per quel giorno mi accontentai della riposta, finendo col convincermi che la donna ritratta fosse una ballerina<br />
a tutti gli effetti. Credo di non essere riuscito a guardare quella fotografia per più di qualche istante, ma l’immagine<br />
dei velluti rossi mi ossessionò a lungo. Nonostante l’ingenuità del ritratto – la posa artificiosa, la bocca col suo<br />
delizioso broncetto, la gamba piegata ad arte per coprire quello che non si poteva vedere – qualcosa mi colpì al cuore.<br />
Era come se gli occhi della donna comunicassero uno spaventato imbarazzo, un sussulto di pudore. Tutta l’espressione<br />
del volto era velata da un’ombra di rimpianto. L’insieme era così stridente che l’effetto finale ne risultava esaltato:<br />
quella che mi era balenata davanti agli occhi era l’immagine stessa della bellezza. Non importava quanti altri<br />
sguardi si fossero posati sulla sua pelle: io avevo intravisto tra le pieghe della carta qualcosa che poteva essere l’anima.<br />
Un giorno senz’altro sarei riuscito a incontrarla, da grande l’avrei sicuramente sposata. Quel pomeriggio, per la prima<br />
volta, mi sono scoperto innamorato. Oggi mi trovo a concepire un nuovo allestimento per La traviata, e devo ringraziare<br />
quel ricordo sfocato se Violetta ha iniziato a vivere davanti ai miei occhi. Improvvisamente intorno a lei hanno<br />
preso forma i velluti rossi, e i velluti sono diventati piume, veli, gioielli, profumi, e grandi specchi, lampadine sfavillanti,<br />
tavoli da trucco. Ho sbirciato nel camerino dove si cambia tra un numero e l’altro. Nella mia testa sono esplose le luci<br />
di un intero quartiere parigino, la frenesia dei brillanti, le insegne dei café chantant, le mille ragazze che mostrano le<br />
gambe, che ridono tra i boa di struzzo e annegano i sogni nelle bollicine dorate dello champagne; e socchiudendo gli<br />
occhi, appare un bicchiere di cristallo sorretto dalle piccole dita della donna più desiderata della capitale. Eccola la<br />
mia Violetta, con i suoi occhi tristi. Ecco dove si era nascosta la ballerina della mia infanzia: occhieggiando sinuosa, mi<br />
chiedeva di raccontare sulla scena le emozioni di quel pomeriggio lontano. Abbiamo così deciso di concepire una scena<br />
unica per dare vita ai tre atti dell’opera. Ci troviamo nel camerino degli artisti dove le ballerine si cambiano tra un numero<br />
e l’altro. Quattro tavolini da trucco, un tavolo da gioco, una dormeuse per inquadrare l’idea di uno spazio frenetico,<br />
un moto perpetuo di ciprie e di bustini ricamati; una scaletta porta all’immaginario palco del nostro teatro parigino,<br />
di cui vediamo filtrare le luci di scena da una grata sul fondo. Mi piace pensare che anche Alfredo si sia innamorato in<br />
un modo molto simile al mio. Forse ha visto quella stessa immagine all’ingresso del teatro, un ritratto in posa e<strong>qui</strong>voca<br />
sulla locandina di uno spettacolo notturno. Avrà riconosciuto in quegli occhi la stessa tristezza che avevo notato<br />
anch’io. E avrà deciso di salvare quella donna dal mondo, di proteggerla con il palmo come si fa con la fiamma di una<br />
candela. Sarà tornato a vedere tutti gli spettacoli nella speranza di incontrarla, aspettandola all’uscita, corrompendo<br />
i portieri, avvicinando i suoi compagni di lavoro, riuscendo a sgattaiolare nel suo camerino per poterle finalmente parlare,<br />
forse proprio nel preciso istante in cui comincia l’opera. Fino al momento in cui, come per me, qualcuno di più vissuto<br />
piomberà tra lui e quelle ridicole fantasticherie. Spero di non rivedere mai la fotografia di quella rivista. Oggi<br />
conosco la parola che la nonna non poteva dire, e arrossirei del mio candore; sorriderei di quella pettinatura fuori<br />
moda, riconoscerei quella donna e saprei che è invecchiata, in quel suo sguardo non leggerei che una goffa prova di<br />
sensualità. Preferisco ricordarla secondo le sensazioni di allora. Violetta è una donna che un bambino è meglio non<br />
guardi troppo a lungo. Per quanto bella, agli occhi degli adulti rimane pur sempre una ballerina.<br />
Fabio Ceresa<br />
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