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Pelle e cuoio nell'antica roma 4 b:Layout 1 - Unic

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Pelli e <strong>cuoio</strong><br />

nell’antica Roma


Pelli e <strong>cuoio</strong> nell’antica Roma<br />

Pelli e <strong>cuoio</strong><br />

nell’antica Roma<br />

La Concia<br />

I <strong>roma</strong>ni estraevano l'alunite a Tolfa e Allumiere, nel Lazio, producendo con essa<br />

l'allume, un solfato d'alluminio che si trova in natura. L'allume era fondamentale<br />

nell'industria tessile come fissatore per colori, per le stampe su pergamena, per la<br />

concia delle pelli, la produzione del vetro e come emostatico.<br />

I <strong>roma</strong>ni conciavano le pelli esponendole al fumo dei fuochi, specialmente di<br />

quelli alimentati con foglie o legno fresco, era la "concia alle aldeidi", una classe di<br />

composti chimici di cui il fumo è ricco e alcuni dei quali ancora oggi vengono<br />

utilizzati. C'era poi la "concia al vegetale" con tannini, in quanto a contatto<br />

con acqua e con rami o foglie, la pelle si colorava di marrone e durava molto di<br />

più. Le foglie ed il legno, infatti, contengono tannini vegetali che venivano estratti<br />

dai vegetali ed assorbiti dalla pelle producendo la concia. Infine conciavano con<br />

l'allume, con materie grasse e con prodotti vegetali contenenti tannino, dapprima<br />

con l'orina, poi con il sommacco (Rhus coriaria), le noci di galla, la corteccia di<br />

quercia, quella di pino e le scorze di melograno importate dall'Africa. Le pelli<br />

potevano anche essere conservate per lunghi periodi con il metodo della salatura<br />

appreso dai Galli e dai Germani. C'era poi l'uso della calce per ottenerne<br />

la depilazione.<br />

I Romani non indossavano indumenti ai piedi, tranne che al nord dove faceva<br />

più freddo, ma non erano veri calzini bensì fasce di lana.


Nell'Urbe invece si girava a piedi nudi dentro le calzature. Quest'ultime<br />

erano chiuse come stivaletti o aperte come sandali, fatte con tante strisce di<br />

<strong>cuoio</strong> e talvolta chiodate, come si usava un tempo, per i soldati o i contadini<br />

europei, per non consumare la suola.<br />

Plutarco narra che già nel periodo regio gli addetti alle lavorazioni di <strong>cuoio</strong> e<br />

pelli erano organizzati in una corporazione che, come altre, fu regolamentata<br />

dai re Numa Pompilio e Servio Tullio; queste corporazioni, precorritrici delle<br />

"arti" medioevali, agirono durante tutto il periodo repubblicano e ricevettero<br />

nuove regole da Giulio Cesare (100 - 44 a.c.), tanto che, nel foro di Ostia c'è<br />

un mosaico che illustra le attività dei "Coriarii" ossia degli artigiani che si<br />

occupavano dell'artigianato di <strong>cuoio</strong> e pelli. I <strong>roma</strong>ni facevano ricorso al<br />

calzolaio civile (Sutor), a quello militare (Caligarius) o al fabbricante di<br />

sandali (Solearius o Baxearius), artigiani specializzati e mercanti sempre<br />

presenti nel Foro. I loro laboratori sono installati in un quartiere il cui<br />

ingresso era vegliato da una statua di Apollo, calzato di sandali, da cui il nome<br />

di Apollo Sandalarius.


Pelli e <strong>cuoio</strong> nell’antica Roma<br />

Le calzature<br />

Le scarpe <strong>roma</strong>ne potevano essere lucidate con cera d’api e colorate con<br />

zafferano per il giallo, sali ferrosi o tannini per il nero, guado per l’azzurro e<br />

porpora o oricello per il rosso (tipico delle calzature più lussuose).<br />

Le tomaie erano cucite con lino e unite alle suole con strisce di <strong>cuoio</strong>,<br />

tendini o budello ritorto. La suola era oggetto di una attenzione e un lavoro<br />

particolare.<br />

I chiodi venivano disposti in modo che potessero lasciare impronte<br />

perfettamente leggibili e riconoscibili. Ogni reggimento possedeva pertanto<br />

una sua particolare disposizione di chiodi. Di certo un disertore aveva poco<br />

scampo, ma un commilitone amico non era difficile da ritrovare. Ma pure le<br />

cortigiane <strong>roma</strong>ne lasciavano impronte particolari che indicavano<br />

chiaramente: “Seguimi !” Inoltre delle spesse suole di sughero permettevano<br />

a queste signore ed anche alle altre di apparire più alte. I sandali in epoca<br />

imperiale divennero raffinati e sfarzosi, ornandosi di fili e fibbie di bronzo, di<br />

rame, d'oro e d'argento, di piume colorate, di ciondoli, di catenine, di<br />

conchiglie e madreperle, di incrostazioni di pietre fini o semi preziose. Giulio<br />

Cesare portava in pubblico dei sandali con la tomaia in oro, si pensa guarnita<br />

o rivestita, altrimenti sarebbe stata piuttosto scomoda. Ma pure la suola<br />

poteva rivestirsi in oro. Fu con i sandali con la suola d’oro, secondo la moda<br />

imperiale, che Nerone colpì, si dice, il ventre di Poppea incinta, uccidendola.<br />

Già nel 215 a.c. la Lex Oppia cercava di limitare la ricchezza degli abiti<br />

femminili. In seguito lo stesso Giulio Cesare e poi altri imperatori,<br />

intervennero contro l'eccessivo sfarzo delle vesti di uomini e donne<br />

stabilendone anche il prezzo massimo consentito, ma non ottennero<br />

granchè. Solo gli uomini potevano usare il colore rosso per le calzature,<br />

ma Marco Aurelio, l’imperatore saggio, nelle leggi suntuarie vietò agli uomini<br />

l’uso di scarpe colorate.<br />

Le scarpe bianche erano riservate all’imperatore.<br />

Le prime calzature dei <strong>roma</strong>ni furono le solae, usate da uomini e donne.<br />

Sorta di scarpa aperta, da cui l’italiano “suola”. Erano tipi di sandali fissati al<br />

collo del piede con una cinghia, primitivi calzari costituiti da suole di <strong>cuoio</strong>


allacciate alla gamba da corregge e che in seguito divennero calzature da<br />

casa. Le soleae, o sandalia, si usavano solo dentro le case, sarebbe stato<br />

sconveniente uscirci. Ma era anche sconveniente andare in visita o nei<br />

banchetti con le scarpe con cui si era usciti, per cui gli schiavi portavano<br />

appresso per i padroni i sandali di scorta.<br />

All’interno delle case uomini e donne portano normalmente<br />

il soccus, calzatura leggera e bassa simile alla pantofola di origine greca. I<br />

socci erano le calzature da casa senza lacci, come pantofole, con suola di<br />

<strong>cuoio</strong> o di sughero. Naturalmente gli ospiti se li portavano da casa loro. Il<br />

soccus è la calzatura usata anche dagli attori comici.<br />

Il coturno invece era usato normalmente dagli attori tragici: calzatura con<br />

allacciatura alla caviglia o al polpaccio e suola molto spessa così da rendere<br />

più elevata la statura e più imponente la persona.<br />

Successivamente indossarono altrimenti le “calcidae”, o calcei, usati da<br />

uomini e donne, con suole senza tacco di uno spessore di circa 5 mm,<br />

con tomaie in pelle morbida che ricoprivano tutto il piede; dai lati di ogni<br />

suola partivano due larghe strisce che si incrociavano e venivano annodate<br />

sul dorso del piede mentre altre strisce più sottili potevano partire dal<br />

tallone, si avvolgevano sulla caviglia per circa 15 cm. e vi venivano annodate<br />

lasciandone pendere le estremità a volte decorate da fibbie d'avorio a<br />

mezzaluna. I calcei portati dai senatori (calcei senatorii) erano di colore<br />

nero, quelli delle più alte cariche civili erano rossi ed esistevano anche i<br />

calcei ripandi (o calcei uncinati) dalla punta rialzata probabilmente di<br />

derivazione etrusca. Nella stele funeraria del calzolaio Caio Giulio Elio,<br />

risalente al 1° sec. a.c. esposta a Roma nel museo Montemartini,<br />

sono scolpiti un esemplare di calceo ed uno di caliga.<br />

In pratica i calcei erano morbidi mocassini, anche a stivaletto alto fino a<br />

mezza gamba e stretto con dei lacci. I calcei erano molto amati dai ricchi<br />

<strong>roma</strong>ni, sicuramente le calzature più care e confortevoli, ma dentro casa ogni<br />

calzatura usata all'esterno veniva tolta, si tratti di padroni o di ospiti, per una<br />

questione di igiene. Oppure i <strong>roma</strong>ni maschi, specie i militari, indossarono le<br />

“caligae” o “caligulae”, calzatura militare con suola ferrata, che dette poi il


Pelli e <strong>cuoio</strong> nell’antica Roma<br />

soprannome all’Imperatore Caligola ed erano scarpe completamente<br />

chiuse. I militari, fino al grado di centurione, i contadini e chiunque dovesse<br />

percorrere lunghi tratti su terreni accidentati portavano le caligae, scarpe<br />

dalla pesante suola senza tacco chiodata con bullette (clavi caligares) tanto<br />

che nelle sue satire Giovenale commiserava chi avesse posto il piede sotto la<br />

suola di un soldato. La tomaia era simile a quella dei Perones, ma senza<br />

apertura affibbiabile, come quella di uno stivaletto moderno. Sul bordo<br />

superiore, per aiutarsi a calzarle, erano praticate, davanti e dietro, due fessure<br />

a mezzaluna e, poiché era fatta di <strong>cuoio</strong> molto spesso e quindi rigido, la<br />

punta era aperta onde evitare di ferire le dita con lo sfregamento. Per<br />

assicurare meglio queste scarpe al piede e per irrobustirle ulteriormente,<br />

la tomaia era attraversata da una serie di corregge ed era dotata di rinforzi,<br />

alleggeriti da fessure, nel tallone. I lati della suola erano collegati da una<br />

striscia di pelle che passava sopra il dorso del piede; altre due strisce più<br />

strette univano la tomaia con la suola verso la punta ed erano tenute<br />

distanziate da una striscia trasversale posta all'altezza dell' apertura sulla<br />

punta stessa.<br />

Il campagus, che poco si differenziava dalla “Caliga”, era la calzatura<br />

ordinaria dell’Imperatore.<br />

Le donne spesso portavano una specie di ciabatta infradito, simile alla<br />

krepis greca, di <strong>cuoio</strong>, oppure di palma e pure colorate.<br />

All’epoca del tardo impero le matrone adottarono dei sandali dorati o degli<br />

stivaletti al polpaccio, in <strong>cuoio</strong> allacciato.<br />

Oppure portavano, sia donne che uomini, le crepidulae, antica calzatura


greca o <strong>roma</strong>na, con suola molto alta, allacciata al collo del piede mediante<br />

strisce di <strong>cuoio</strong> (corregge), che erano adottate dalle classi agiate con strisce<br />

che coprivano interamente il piede fino alla caviglia e che a seconda della<br />

ricchezza e dell’elevazione del rango, potevano essere più o meno decorate,<br />

fino addirittura ad avere le suole in oro o argento. Portavano anche calzari<br />

simili a scarpe basse, ma senza tacco.<br />

In occasione di cerimonie i patrizi indossavano i mullei, ovvero calcei di<br />

colore rosso dalla suola molto spessa in modo da innalzare la statura di chi li<br />

calzava come testimoniano Plinio e Svetonio. Una statua di Settimio Severo<br />

(146 - 211 d.c.) proveniente da Alessandria ed esposta al British Museum di<br />

Londra mostra un paio di mullei caratterizzati dalla mancanza delle strisce di<br />

pelle che, dai lati della suola, si incrociavano sul dorso del piede per poi<br />

avvolgersi intorno alla caviglia ed esservi annodate.<br />

Sia i calcei che i mullei erano scarpe costose, complicate, difficili da<br />

indossare e scomode, per cui, nella vita di tutti i giorni, si portavano sandali<br />

con le suole fissate ai piedi con svariati sistemi basati su cinghie di pelle.<br />

Dopo la conquista della Gallia nell’Impero Romano andarono molto di moda<br />

le scarpe “gallicae”, i sandali dei Galli, per gli uomini,con la suola di legno,<br />

allacciati sul davanti. Un altro tipo di sandali erano le urinae, in pelle bovina<br />

schiarita, per sole donne. I popolani ed i contadini, uomini e donne,<br />

indossavano altri tipi di calzature; i più usati erano i perones, scarpe dalla<br />

suola senza tacco con una tomaia in pelle alta alla caviglia allacciata sul<br />

dorso del piede con fibbie o stringhe e che potevano essere indossate sul<br />

piede nudo o interponendo una specie di calza in feltro. Praticamente<br />

semplicissime calzature fatte con un taglio di <strong>cuoio</strong> grasso fermato attorno al<br />

piede che potevano essere portate a piede nudo o con una specie di calzino<br />

di feltro. Schiavi e proletari, uomini e donne, portavano zoccoli di legno, le<br />

sculponea, di pelle e pelo di pecora non colorata.<br />

I campagnoli potevano avere anche gli adonei, ancora più semplici e poveri,<br />

suole rettangolari con lunghe cinghie di <strong>cuoio</strong> che le assicuravano ai<br />

polpacci protetti da pezze di lana o di feltro.


Pelli e <strong>cuoio</strong> nell’antica Roma<br />

L’abbigliamento<br />

L’abbigliamento in pelle era piuttosto comune nella Roma primitiva. Nella<br />

Roma repubblicana e poi imperiale i vestiti erano principalmente di lana e di<br />

lino. Vestirsi di pelle, salvo nei casi di pellicce esotiche, era considerato un<br />

segno di barbarie. Infatti i Romani descrivevano i popoli contro cui<br />

combattevano in base alle pelli e/o pellicce che indossavano<br />

Parlare di una persona come appartenente ad una famiglia i cui antenati<br />

indossavano pelli di animali dava un connotato negativo.<br />

Durante l’Impero, l’abbigliamento in pelle rimase una prerogativa delle<br />

popolazioni del Nord. Talvolta, qualche capo entrava nel guardaroba di un<br />

<strong>roma</strong>no, o per proteggersi dal freddo oppure perché si trattava di servi che<br />

lavoravano all’esterno o certi artigiani. Era invece in pelle il cingulum che<br />

serviva a modellare la stola, liscio o decorato con borchie od ornamenti in<br />

metallo, o pietre dure, in genere si usava doppio, cioè con due giri incrociava<br />

sui seni mettendoli in evidenza e poi intorno alla vita. L’uso della cintura era<br />

basilare, tanto che solo malfattori e prostitute non ne usavano (cioè discinti),<br />

mentre ne era dispensata la donna gravida (incinta appunto), che però<br />

ricorreva ad una striscia di tessuto sotto il seno. Questa della vita alta fu<br />

anche’essa una moda, tanto che la vita alta denotò in certe epoche moderne<br />

il cosiddetto stile impero, di ispirazione <strong>roma</strong>na.<br />

I guanti<br />

I guanti fanno la loro prima comparsa sulla scena biblica. Isacco è vecchio e<br />

cieco, sentendo avvicinarsi la morte, chiama Esaù, il figlio primogenito e<br />

preferito, per dargli la sua benedizione e con essa l’investitura di<br />

capofamiglia. Lo prega di andare a caccia e di preparare con la selvaggina<br />

catturata un pasto come piace a lui.<br />

A Rebecca, sua moglie, non sfugge questa importante conversazione.<br />

Decide in un lampo che sarà Giacobbe, il suo prediletto, a ricevere la<br />

benedizione paterna. Cucina a dovere due capretti, veste Giacobbe con gli<br />

abiti di Esaù e lo convince a presentarsi al padre invece del fratello. Ma<br />

Giacobbe protesta che saranno le sue mani glabre a tradirlo. Esaù infatti è


molto peloso e al tatto il padre scoprirà l’inganno. Ma Rebecca non si perde<br />

d’animo e“con le pelli dei capretti gli ravvolge le mani”. Guanti, dunque, di<br />

pelle di capretto, materiale intamontabile, anche se un po’ rudimentale.<br />

Isacco ci casca: prende le mani del figlio tra le sue per sincerarsi della sua<br />

identità e “non lo riconosce, perché le mani di lui sono pelose come quelle<br />

del fratello maggiore”. Quindi lo benedice e a Esaù non resta che piangere.<br />

Ma questa dei guanti non è solo un’idea di Rebecca. In Egitto essi hanno<br />

enorme prestigio. Vengono offerti ai Faraoni dalle popolazioni vassalle come<br />

tributo quando salgono al trono e rivestono le mani regali al momento della<br />

morte. Sono lunghi e preziosamente ricamati. Guerrieri e lottatori in tutto<br />

l’Oriente portano grossi guanti di <strong>cuoio</strong> a sostegno delle loro battaglie. Sono<br />

indumenti dignitosamente virili e assai funzionali, comunque sporadici. I<br />

persiani invece, al tempo di Ciro, vuoi per i rigori del clima, vuoi per una<br />

particolare propensione all’eleganza, ne fanno un uso più comune,<br />

impreziosendoli on decorazioni di diversa pelle. E’ questo che indigna lo<br />

strorico greco Senofonte, che non fa mistero del suo disprezzo:<br />

“Portano alle estremità delle mani certi covrimenti pelosi e fatti alla misura<br />

delle dita”. Inamissibili mollezze! Ricerca di piacere estetico “degni della<br />

femminile debolezza!”. E i greci in generale sono d’accordo, preferiscono la<br />

mano nuda e mostrano per i guanti un interesse molto marginale.<br />

Anche i re, quando si dedicano a lavori di giardinaggio li portano: così Laerte<br />

e perfino Ulisse, che era ricoperto di una<br />

Tunica sozza, ricucita e turpe.<br />

Dalle punture degli acuti rovi<br />

le gambe difendeva gli schinieri<br />

di rattoppato <strong>cuoio</strong> e le man guanti.<br />

Li chiamano cheifìdes e sembra si tratti di mezzi guanti, quelli che poi si<br />

chiameranno alla francese mitaines. I guanti propriamente detti sono invece<br />

i chirìdes dactulôtai ma non hanno, come abbiamo detto, fortuna.<br />

Neppure i <strong>roma</strong>ni si fanno sedurre da questa usanzm che rimane sempre un<br />

costume barbaro, come le brache, del resto. Chi li porta, e sono casi isolati,<br />

veste “alla maniera dei Galli” I guanti, dai <strong>roma</strong>ni, sono addirittura fatti a pezzi:


Pelli e <strong>cuoio</strong> nell’antica Roma<br />

chi raccoglie le olive mette una specie di ditale di <strong>cuoio</strong> sul pollice; su tutte<br />

le dita li portano invece i commensali dei banchetti patrizi.<br />

Il vero ingresso del guanto come indumento segue la scie delle invasioni<br />

barbariche. Nelle fredde contrade del Nord è in uso da sempre, da quando<br />

l’uomo ha pensato di proteggersi con pelli di animali. All’inizio si tratta<br />

probabilmente di sacchetti di pelle dura in cui riparare mani, poi le pelli si<br />

affinano e si stacca il pollice, fino a raggiungere la forma a cinque dita.<br />

Quando si scontrano i <strong>roma</strong>ni, i galli ne fanno già uso di rappresentanza in<br />

occasione di feste solenni.<br />

Equipaggiamento<br />

In pelle e <strong>cuoio</strong> venivano realizzati tutti i finimenti per gli animali da lavoro e<br />

da guerra, così come l’equipaggiamento militare . Anche certi tipi di<br />

imbarcazione venivano realizzate con il <strong>cuoio</strong>, ed erano particolarmente<br />

efficaci. Innanzitutto erano realizzabili con un’economia di costi e di tempo.<br />

In genere erano di piccola taglia, ma molto più resistenti di quelle di legno:<br />

la loro flessibilità permetteva di navigare anche su mari ricoperti di ghiaccio<br />

e con la loro leggerezza erano facilmente trasportabili sia sulla terra ferma<br />

che sulla banchisa.<br />

Arredamento<br />

Durante il periodo dell’impero, le pellicce venivano comunemente usate per<br />

l’arredo. In tutti i luoghi, anche i più poveri, le pelli di capretto o di agnello si<br />

utilizzavano come tappeti o come copriletti.<br />

Nelle case patrizie si utilizzavano pelle di bestie selvaggie, di orsi e di lupo,<br />

ma anche di giraffe e tigri.<br />

Spesso il <strong>cuoio</strong> veniva utilizzato per bordare le stuoie, realizzate in fibra<br />

vegetale. Alcune stuoie di questo tipo sono state ritrovate in alcune zone<br />

aride in un ottimo stato di conservazione.<br />

Altri oggetti<br />

Il <strong>cuoio</strong> veniva anche utilizzato per contenitori destinati al trasporto, alla


conservazione o alla trasformazione dei liquidi. L’uso di questo tipo di<br />

contenitori in pelle risale certamente agli albori della storia dell’umanità.<br />

Sono presenti in Mesopotania ed in Egitto, frequentemente rappresentati<br />

nei bassorilievi assiri, più volte citati da Erodoto. In Grecia i produttori di otri<br />

facevano parte della nobiltà. Venivano prodotti anche per conservare il<br />

burro, come sorta di bombole per i sommozzatori e galleggianti per zattere.<br />

Gli otri autorizzati per il trasporto e la conservazione dei liquidi erano di<br />

tagli differenti, dalle borracce in pelle di montone di capra fino a quelli fatti<br />

con pelli intere di bovini e trasportati su carretti. Gli otri servivano a<br />

trasportare acqua, olio e vino. Successivamente vennero sostituite dalle<br />

anfore, più costose, ma che potevano essere accatastate.<br />

Medicina e magia.<br />

Alle pelli e alle pellicce gli antichi attribuivano, tra l’altro, virtù magiche o<br />

curative. La pelle di capra, ad esempio, decotta, bollita con il pelo, veniva<br />

utilizzata per fermare la diarrea.<br />

Si curavano le lesioni provocate dalle calzature applicando un miscuglio di<br />

cenere di pelle di capra e olio. La testa tagliata di una lucertola infilata in una<br />

piccola borsa sempre di pelle di capra era un antidoto contro la febbre.<br />

Le pelli di cervo servivano per certi rimedi magici o contro gli attacchi dei<br />

serpenti, quelle di capriolo per la realizzazione di amuleti contro l’epilessia.<br />

Alle pelli di certi animali selvaggi si attribuiva il potere di rendere più potenti<br />

i guerrieri. La pelle di lupo combatteva i malefici ed i dolori di denti.<br />

Con le pelli di castoro si realizzavano calzature che curavano la gotta e le<br />

malattie articolari. Anche le pelli di foca calmavano la gotta e proteggevano<br />

dai fulmini. E’ la ragione per cui le vele delle navi venivano bordate di pelle<br />

di foca. Qualche volta anche di jena.<br />

A queste ultime venivano attribuite altre virtù. In una pelle di jena si<br />

conservavano le sementi e ciò garantiva un raccolto più abbondante. In altre<br />

occasioni, una zampa di camaleonte e un pezzo di pelle di jena preveniva i<br />

furti e scacciava gli incubi notturni.<br />

Le pelli di jena, di coccodrillo o di foca proteggevano dalla grandine.


(GRUPPO UNIC)<br />

Via Brisa, 3 - 20123 Milano - Tel. 02/880771.1 - Fax 02/72000120 - lineapelle@unic.it - www.lineapelle-fair.it

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