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I distillati

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Furono i potenti sacerdoti delle civiltà egiziane e mesopotamiche, uomini<br />

sapienti, da sempre attenti a ricavare dalla natura prodigi per stupire i popoli e<br />

mantenere il loro potere, i primi ad imparare ad estrarre dai vegetali, le essenze<br />

aromatiche capaci di produrre piacere per la psiche e singolari benefici per il<br />

corpo. Ma il primo nome a giungere fino a noi è quello di un medico greco,<br />

Galeno, nato a Pergamo nel 129 d.C., così abile nello sfruttare le sostanze<br />

naturali per la cura delle malattie, che ancor oggi il suo nome si usa per indicare<br />

le preparazioni di farmacia.<br />

Agli Arabi dobbiamo la messa punto dell’alambicco, utilizzato per ottenere<br />

essenze<br />

e profumi, anche se in raffigurazioni risalenti a ben 18 secoli prima di Cristo, in<br />

Mesopotamia, è testimoniato l’uso di un alambicco semplice. In greco ambix<br />

significa “vaso tronco di forma conica munito di un becco”, ed è la parola da cui<br />

deriva quella araba al-ambiq e la nostra “alambicco”; anche il termine “alcol”<br />

deriva dall’arabo al-kohol.<br />

In Europa durante il periodo medievale la ricerca proseguì grazie alla fervida e<br />

continua ricerca dei monaci delle abbazie e dei monasteri. Ancora oggi infatti ci<br />

sono prodotti come birre, amari, liquori, ecc. che vantano origini e tradizioni<br />

legate a luoghi di culto. Il motivo di tale riferimento è semplice: in quei periodi di<br />

carestie e veloci cambiamenti sociali, gli unici che potevano dedicarsi allo studio<br />

e alla ricerca erano gli uomini di fede, che nei terreni protetti dei monasteri<br />

potevano coltivare orti e vigneti, perfezionare le tecniche di vinificazione,<br />

studiare le<br />

proprietà medicinali delle erbe e sperimentare le tecniche della distillazione.<br />

Il liquido ottenuto con questo processo fu chiamato con termine latino, aqua<br />

vitae, oppure eau de vie in francese; fu definito per la prima volta “acqua di vita”,<br />

dal medico personale del papa Bonifacio VIII. L’espressione denotava<br />

chiaramente la fiducia riposta nei poteri taumaturgici di questo preparato e la<br />

convinzione che esso possedesse delle proprietà terapeutiche. Spetta alla<br />

Scuola salernitana, in epoca medievale, l’atto di nascita ufficiale delle acquaviti: è<br />

allora che furono codificate le regole per ottenere prodotti ad una discreta<br />

concentrazione alcolica, usati anche nella farmacologia del tempo.<br />

La Scuola salernitana scoprì infatti che le acquaviti erano anche ottimi solventi<br />

superiori, e imparò così a produrre delle medicine stabili nel tempo che oggi<br />

possiamo definire vere e proprie progenitrici dei liquori.Intorno alla metà del<br />

XIII secolo il fiorentino Taddeo Alderotti rivelò, in una sua preziosa opera, le<br />

possibilità di migliorare la produzione delle acquaviti attraverso l’applicazione<br />

al pellicano, l’alambicco degli alchimisti medioevali, di una serpentina<br />

refrigerante immersa in botte d’acqua.<br />

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Fu il Rinascimento italiano a portare il liquore all’odierna perfezione sotto il<br />

profilo organolettico. Il livello di quest’arte in Italia era così avanzato che<br />

quando Caterina de’ Medici andò sposa al re di Francia (1533), i rosoli<br />

preparati dal suo profumiere raggiunsero la fama in un baleno, ponendo le basi<br />

per la nuova professione liquoristica d’Oltralpe. Verso il Seicento, da pratica<br />

ristretta all’ambito degli alchimisti, la distillazione passa nelle mani degli<br />

artigiani, che impiantano le prime distillerie, e in quelle dei mercanti, che<br />

pensano alla distribuzione capillare dei prodotti <strong>distillati</strong>.<br />

La prima di queste attività organizzate si afferma e si sviluppa a Schiedam,<br />

sull’estuario del Lek, alla periferia di Rotterdam, dove intorno al 1700 operano<br />

più di quattrocento distillerie. Gli olandesi distillano frutta, vini, cereali vari e<br />

diventano praticamente i primi produttori mondiali di alcol; essendo poi dotati<br />

di una potente flotta commerciale, lo esportano e lo fanno conoscere in Europa e<br />

nel Nuovo Mondo. Intanto il francese<br />

J.B. Cellier Blumenthal brevetta nel 1808 un alambicco di nuova concezione<br />

detto “a colonna di distillazione”; nel 1831, lo scozzese Aeneas Coffey realizza un<br />

tipo di alambicco continuo, chiamato poi “Coffey still”, che è ancora oggi in uso.<br />

In questo stesso secolo le bevande alcoliche diventano di uso comune; nelle città<br />

europee vengono aperti locali per spettacoli e intrattenimenti in cui sono serviti<br />

alimenti e soprattutto bevande, e nelle case delle classi più agiate i “cordiali” e i<br />

cognac diventano consumi alla moda. Quando poi, verso la fine del secolo (1875)<br />

i vitigni europei furono intaccati da un parassita (la fillossera) che arrivava<br />

dall’America, per un decennio venne a mancare il distillato di vino (molto<br />

apprezzato in quel periodo) e si conobbero invece altri <strong>distillati</strong> come il whisky,<br />

il calvados e il rum. Il consumo di alcolici ha avuto risvolti sociali negativi dovuti<br />

all’uso smodato: è stato infatti fonte di problemi e tensioni sociali, e l’alcolismo è<br />

stato (e in taluni casi è tuttora) una piaga per diverse nazioni: nel tentativo di<br />

arginarne il consumo, si aumentarono le imposte, ma in molti casi i<br />

provvedimenti ebbero per effetto l’incremento della produzione clandestina,<br />

come negli Stati Uniti: alla fine della Prima guerra mondiale entrò in vigore la<br />

legislazione che vietava la produzione e la vendita di alcolici (il cosiddetto<br />

“proibizionismo”) e la produzione divenne clandestina con prodotti scadenti<br />

quando non addirittura pericolosi. Il proibizionismo venne abrogato nel 1933.<br />

La distillazione<br />

La distillazione è un’operazione diretta a separare un liquido volatile dalle<br />

sostanze non volatili in esso disciolte, o a separare liquidi di volatilità diversa.<br />

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Per compiere la distillazione, il liquido viene fatto bollire, facendo poi<br />

condensare per raffreddamento i vapori che si sviluppano durante l’ebollizione.<br />

Facendo bollire, per esempio, una soluzione salina, come l’acqua di mare,<br />

soltanto l’acqua passa durante l’ebollizione allo stato di vapore, per cui<br />

raccogliendo e raffreddando questo vapore si ottiene acqua distillata. Due liquidi<br />

come acqua e alcol, solubili tra loro, formano una miscela omogenea unica.<br />

L’alcol etilico bolle a 78°C mentre l’acqua bolle a 100°C, quindi hanno differenti<br />

punti di ebollizione. Diventa estremamente pericoloso distillare senza un<br />

adeguato controllodella temperatura: ad ogni sostanza corrisponde infatti una<br />

temperatura di<br />

estrazione, e se non si distilla alla temperatura adeguata si rischia di estrarre<br />

sostenze diverse da quelle desiderate, che possono anche essere nocive per<br />

l’uomo.<br />

Lo strumento con cui si effettua la distillazione è l’alambicco. L’alambicco è<br />

composto da una caldaia, detta anche cucurbita, che contiene il prodotto da<br />

distillare; un coperchio, detto anche capitello, elmo o duomo, a seconda della sua<br />

forma, che chiude la caldaia; dal collettore o “collo a cigno” che unisce il<br />

coperchio della caldaia al refrigerante o serpentina, così chiamato per la sua<br />

forma, che, installato in un contenitore contenente acqua fresca corrente,<br />

condensa i vapori della caldaia.<br />

All’interno della caldaia di un alambicco, quando la temperatura raggiunge i<br />

78°C evapora tutto l’alcol e con esso una minima parte di acqua;<br />

successivamente si porta la temperatura a 100°C per completare l’evaporazione<br />

dell’acqua.<br />

I vapori che progressivamente si liberano dalla caldaia, sono convogliati nel<br />

refrigerante, costituito da due tubi coassiali: in quello interno giungono i vapori<br />

ed in quello esterno passa acqua fredda che funge da liquido di raffreddamento.<br />

In questo modo il vapore, toccando le pareti del tubo interno, perde calore e si<br />

condensa formando goccioline che, scivolando in basso, si raccoglieranno nel<br />

collettore.<br />

Da una prima e sola operazione si ottiene però un prodotto povero di alcol e<br />

soprattutto impuro. Il problema ebbe la sua prima risoluzione alla fine del XIX<br />

secolo con la cosiddetta deflemmazione: la deflemmazione è l’operazione di<br />

arricchimento che, con speciali apparecchi, separa per condensazione i vapori<br />

meno alcolici e lascia passare quelli più alcolici, destinati alla serpentina finale di<br />

raffreddamento.<br />

Fu però con la rettificazione che si arrivò ad ottenere liquidi più ricchi di alcol e,<br />

soprattutto, con il meno contenuto possibile di impurità.<br />

Durante la distillazione in un qualsiasi prodotto fermentato evaporano assieme<br />

all’alcol altre sostanze che, con termine tecnico, vengono dette “impurezze”.<br />

La prima frazione, definita testa o testa del distillato, è formata da composti<br />

volatili (una parte di etanolo, metanolo, acqua, acetali, acetato di etile, anidride<br />

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solforosa, ecc.), generalmente di cattivo odore e sapore, che condensano quando<br />

la temperatura segnata dal termometro ancora non ha raggiunto i 78°C. Queste<br />

impurezze vengono naturalmente allontanate (rettificazione del distillato).<br />

La seconda frazione, definita cuore del ddistillato, è la parte in cui è prevalente<br />

l’alcol etilico (95%) assieme all’acqua e a minime quantità di impurezze; essa è<br />

essenziale per conferire aroma e sapore al prodotto; ed è la parte che si<br />

conserva.<br />

La terza ed ultima frazione è definita coda del distillato, ed è composta dalle<br />

sostanze meno volatili (acido acetico, acido lattico e alcuni alcoli superiori:<br />

isobutilico, amilico, ecc.), ottenute quando la temperatura supera i 78°C. Viene<br />

anch’essa eliminata (rettificazione del distillato).<br />

Oltre al procedimento descritto, esiste un’altra tecnica, definita in corrente di<br />

vapore. È usata quando insieme all’alcol si devono distillare anche sostanze<br />

aromatiche presenti in un, le quali altrimenti sarebbero distrutte dalla<br />

temperatura presente in caldaia.<br />

Il sistema prevede due caldaie: nella prima si produce un intenso getto di<br />

vapore, mentre nella seconda si pone il liquido da distillare. Nella fase iniziale<br />

entrambe le caldaie vengono riscaldate sino ad ebollizione del contenuto.<br />

Successivamente si ferma il riscaldamento nella seconda caldaia. Il vapore della<br />

prima caldaia giunge nella seconda, e gorgogliando porta con sé tutte le sostanze<br />

volatili, compreso l’alcol.<br />

Le acquaviti o <strong>distillati</strong><br />

“Acquavite” è il termine generico per indicare qualunque prodotto ricavato dalla<br />

distillazione di liquidi contenenti zuccheri o alcol proveniente dalla<br />

fermentazione degli zuccheri. Le acquaviti, o <strong>distillati</strong>, sono il prodotto della<br />

distillazione: si ottengono sottoponendo i mosti fermentati (sostanze zuccherine<br />

o saccarificate) a distillazione. Le acquaviti debbono avere una gradazione<br />

alcolica superiore a 30° e inferiore a 86°. L’eventuale aggiunta di prodotti o<br />

aromi non modifica sostanzialmente l’alcol di partenza.<br />

I <strong>distillati</strong> sono spesso fatti invecchiare, anche a lungo, in fusti fabbricati con<br />

legni di diversa origine, e variamente trattati, capaci così di conferire<br />

all’acquavite un aroma, un gusto particolare e un bouquet pregiato e<br />

caratteristico.<br />

Con l’invecchiamento avvengono anche cambiamenti di colore, a volte imitati,<br />

del resto legalmente, con l’aggiunta di caramello.<br />

I <strong>distillati</strong>, secondo il fermentato da cui sono prodotti si suddividono come<br />

segue:<br />

• <strong>distillati</strong> di vino: brandy, cognac, armagnac, metaxa, pisco, ecc.<br />

• <strong>distillati</strong> di vinacce: grappa, marc, ecc.<br />

• <strong>distillati</strong> di cereali: whisky, gin, vodka, saké, ecc.<br />

• <strong>distillati</strong> di piante, vegetali: rum, tequila, cachaça, pulque, ecc.<br />

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• <strong>distillati</strong> di frutta: calvados, kirsch, williams, slivovitz, barack, peach brandy,<br />

ecc., oppure bacche: cassis, fraises, framboise, ecc.<br />

I <strong>distillati</strong> di vino<br />

BRANDY<br />

La legislazione della Comunità Europea decreta (n. 1576/89) che la<br />

denominazione di “acquavite di vino” è riservata ad una “bevanda spiritosa<br />

ottenuta dalla distillazione del vino a meno di 86 gradi alcolici”.<br />

Il termine “weinbrand” o “brandy” è riservato a “bevanda spiritosa ottenuta da<br />

acquaviti di vino, in assemblaggio o meno, con un distillato di vino ricavato a una<br />

gradazione alcolica inferiore a 94,8 gradi, a condizione che tale distillato non<br />

superi il limite massimo del 50% del grado alcolico per prodotto finito. La<br />

bevanda così ottenuta deve essere invecchiata almeno un anno in recipienti di<br />

quercia o almeno sei mesi, se la capacità dei fusti è inferiore a mille litri”.<br />

Il brandy può essere considerato la più antica delle nostre acquaviti: le prime<br />

notizie sulla sua distillazione risalgono al XIII secolo, periodo in cui tale arte fu<br />

perfezionata a Bologna dal medico Taddeo Alderotti. Il termine deriva da<br />

“brand”, che significa “tizzone”, che in francese<br />

è “brandon” (fiaccola); in olandese, il termine è “brand wjne” ossia “vino<br />

bruciato”.<br />

All’inizio del XVII secolo i Modenesi producevano acquavite ed i Veneziani la<br />

esportavano anche in Germania, sotto il nome di “acqua di Modena.<br />

Si dovette attendere il 1860 per vedere uscire dagli stabilimenti della Buton di<br />

Bologna il<br />

primo brandy italiano (chiamato allora cognac). Sei anni dopo Antonio Carpené,<br />

uno<br />

scienziato di chiara fama, dava origine alla Carpené Malvolti ed iniziava la<br />

produzione del suo<br />

distillato. L’ingresso della Stock nel mondo della acquavite di vino risale al 1884,<br />

e al 1885 quello della Florio. La prima etichetta della Branca risale al 1892,<br />

denominata “Vieux Cognac Supérieur”; fu la Ramazzotti ad usare una<br />

denominazione italiana, “Arzente Gran Riserva”, mentre va alla Landy Frères il<br />

merito d’aver usato per prima il nome “brandy”.<br />

In Italia il termine inglese “brandy” fu preferito al nostro “arzente” e la scelta fu<br />

dovuta a preoccupazioni determinate da opportunità legate alle esportazioni.<br />

Vitigno<br />

Le uve migliori sono quelle di Trebbiano in generale (con preferenza per quelle<br />

dei colli toscani e romagnoli), un vitigno dalle abbondanti produzioni e<br />

sufficientemente immune dalle malattie tipiche dell’uva. Un vitigno adatto alla<br />

produzione del brandy, anche se impiegato in misura minore, è l’Asprigno,<br />

d’origine casertana.<br />

Vinificazione<br />

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Si predilige un vino neutro, di moderata alcolicità, ricco di acidità fissa, che<br />

conservi una parte dei lieviti che hanno condotto la fermentazione. La<br />

spremitura soffice delle uve per contenere la produzione di torbidi, una<br />

temperatura di fermentazione intorno ai 18-­‐22°C per ottenere fermentati bassi<br />

in alcol superiori e in esteri acetici che danno sensazioni floreali e fruttate, la<br />

precauzione di evitare l’anidride solforosa che potrebbe modificare le<br />

caratteristiche dell’acquavite e che alla lunga provoca la corrosione del rame<br />

degli alambicchi, sono alcune delle attenzioni che si devono avere durante la<br />

lavorazione delle uve.<br />

Distillazione<br />

La distillazione avviene in buona parte con apparecchi continui e per il resto con<br />

alambicchi discontinui, i classici charentais, costituiti da un forno in mattoni nel<br />

quale viene inserita la caldaia in rame dalla capacità di circa 12 hl, dotata di un<br />

tubo di scarico e di una presa per l’immissione del vino; sulla sommità, un<br />

capitello con un lungo becco a forma di collo di cigno convoglia in un recipiente<br />

di raccolta il condensato, una flemma di gradazione variabile fra i 25° e i 30°<br />

alcolici nella prima distillazione e un’acquavite a quasi 50° nella seconda.<br />

Il prodotto finale può essere l’elaborato di uno dei due metodio la combinazione<br />

dei due.<br />

Maturazione<br />

Avviene in legno poiché il distillato ne ricava due sostanziali vantaggi: la<br />

respirazione dell’acquavite e il suo arricchimento grazie alle sostanze che estrae<br />

dal legno. Il brandy si ingentilisce e smorza in questo modo la sua iniziale<br />

aggressività: il distillato perde un po’ della sua gradazione alcolica, per via<br />

dell’evaporazione e della riduzione dovuta all’assorbimento dell’umidità, ma<br />

guadagna in particolarità e finezza.<br />

Per l’invecchiamento si usano sia i tini, recipienti in rovere di Slavonia che<br />

raggiungono anche 100mila litri, sia le botti. Queste ultime, costruite con lo<br />

stesso legno, possono avere una capacità che varia fra i 300 e i 10mila litri. Per i<br />

contenitori di dimensioni inferiori, il legno usato è sempre di quercia, ma di<br />

varietà diverse, che vanno dal rovere bianco americano, largamente impiegato in<br />

Spagna, a quello del Limousin, a quelli più pregiati dell’Allier e Tronçais, al<br />

rovere nero di Guascogna.<br />

Purtroppo alcune volte è il caramello e non l’invecchiamento in rovere a<br />

conferire una colorazione standard al brandy.<br />

La produzione è controllata dagli Uffici Tecnici Imposte di Fabbricazione dal<br />

momento della scelta dei vini da distillare alle varie fasi di produzione, fino<br />

all’invecchiamento.<br />

Alla fine la garanzia è data dal contrassegno di Stato, apposto sul collo delle<br />

bottiglie, che attesta tanto la capacità del contenitore quanto il periodo<br />

d’invecchiamento: da uno a due anni, da due a tre, oltre i tre anni. Per<br />

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invecchiamenti superiori, l’amministrazione finanziaria rilascia particolari<br />

certificati che sono apposti in controetichetta.<br />

Servizio<br />

Il brandy va servito a temperatura ambiente e liscio, nel classico ballon (anche<br />

se oggi alcuni lo propongono in calice). È sconsigliabile qualsiasi artificio per<br />

riscaldare il distillato o il bicchiere. Il brandy va sorseggiato, e l’estimatore<br />

attento<br />

lo riscalda, lo “umanizza” valorizzandolo solo con il palmo della mano.<br />

I <strong>distillati</strong> di vinaccia<br />

LA GRAPPA<br />

Le prime notizie certe che riguardano questo distillato risalgono al XV secolo,<br />

che testimoniano come si distillasse già la vinaccia in Toscana e in Friuli. Nel<br />

testamento<br />

lasciato dal notaio Ser Enrico Everardo, morto a Cividale nel 1451, si legge che<br />

lasciò agli eredi, tra l’altro, “unum ferrum ad faciendam acquavitem” e in<br />

margine al documento è scritto:<br />

grape. I documenti che attestano la produzione di grappa nel Veneto e nel<br />

Trentino sono molti e fanno riferimento in particolare ai traffici e alle gabelle. I<br />

contadini devono aver distillato, con ogni probabilità, i residui della<br />

vinificazione, lavati e rilavati anche tre volte, dopo averne ricavato una sorta di<br />

vina operaia; il distillato di vino era un prodotto prezioso, riservato ai ricchi, ai<br />

potenti, ai medici.<br />

Ma sono anche altre le regioni italiane a vantare una produzione antica della<br />

grappa, dalla Sardegna, con il suo filu ’e ferru, detta così per quel filo di ferro che<br />

i contadini lasciavano sporgere dal terreno dove avevano sepolto gli alambicchi<br />

per nasconderli al fisco, all’Istria, dove veniva chiamata semplicemente<br />

“acquavita”.<br />

Il distillato di vinaccia ha assunto in Italia, nei vari tempi, i nomi più disparati:<br />

grapa stellina, “distillata sotto le stelle”, o de troi, “distillata tra i sentieri dei<br />

boschi”, o de bar, “distillata tra i cespugli”, o de bosco, e sempre per sottrarsi agli<br />

sguardi della gendarmeria che dava la caccia ai distillatori. In Trentino si<br />

chiamava cadevita, in Dalmazia era denominata rampigamuri, a significare che<br />

rendeva superabile ogni difficoltà, o s’ceta, schietta, così come in Friuli dicevano<br />

anche un bussul, assaggio, sorso, bicchierino, dose; e nel Veneto un cichèto (da<br />

cucar, ossia sbirciare), cioè un poco appena, una piccola dose.<br />

Ed ecco a Roma il venditore d’acquavite chiamato cichettaro; a Napoli si diceva<br />

presa tanto il bicchierino quanto la dose d’acquavite, ma con lo stesso termine<br />

potevano intendere anche i liquori.<br />

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Secondo la legislazione della Comunità Europea, la gradazione minima della<br />

grappa è di 37,5° e la gradazione massima con cui può essere estratta è di 86°,<br />

mentre la gradazione massima consentita per la commercializzazione è di 60°.<br />

Resta il fatto che una buona grappa è sempre prodotta a una gradazione alcolica<br />

che oscilla tra i 71 e i 75°, poiché è l’alambicco discontinuo che origina sempre<br />

un’acquavite a tali gradazioni.<br />

Può fregiarsi della dizione “affinata” quella grappa che abbia riposato per<br />

almeno sei mesi in fusti di legno o dodici mesi in contenitori di altro materiale.<br />

La dizione “riserva” sarà invece esclusiva dell’acquavite che avrà maturato per<br />

diciotto mesi in legno. Nel caso in cui l’invecchiamento sia più lungo, il numero<br />

dei mesi o degli anni sarà indicato sulla confezione della bottiglia. Qualora ci sia<br />

una miscelazione, sarà il distillato più giovane a determinare il periodo di<br />

invecchiamento dichiarabile. Inoltre è possibile citare sulla confezione il vitigno<br />

d’origine, il maestro distillatore e il tipo di alambicco. Va infine aggiunta la<br />

provenienza, cioè una delle sette denominazioni geografiche<br />

stabilite dalla normativa comunitaria, che sono:<br />

• Barolo, Piemonte, Lombardia, Trentino, Veneto, Alto Adige, Friuli.<br />

Distillazione<br />

Oggi la grappa è prodotta con numerosissimi vitigni, a bacca bianca e nera. La<br />

vinaccia è la materia prima fondamentale e si distingue in vinaccia vergine,<br />

semifermentata e fermentata.<br />

• La vinaccia vergine è quella che viene separata dal mosto prima dell’inizio<br />

della fermentazione ed è posta a riposare per consentire la totale trasformazione<br />

degli zuccheri in alcol. Tali vinacce derivano dalla vinificazione in bianco e sono<br />

prodotte in grandi quantità;<br />

• la vinaccia semifermentata è una via di mezzo tra quella vergine e quella<br />

fermentata;<br />

• la vinaccia fermentata è un sedimento del vino che viene immediatamente<br />

distillato. È facile riscontrare una migliore qualità tra le grappe ricavate da<br />

vinacce a bacca nera appena separate dal vino.<br />

Durante il processo di distillazione è necessario aggiungere acqua alle vinacce da<br />

distillare in rapporto alla loro torchiatura. Teste e coda vanno scartate e la resa<br />

in alcol delle vinacce si aggira intorno al 3-­‐4%.<br />

La classificazione<br />

Nella classificazione delle grappe bisogna tenere presenti varie diversità di<br />

vedute e di valutazioni; esse vengono divise infatti in:<br />

• grappe giovani o di annata, fresche e più aspre;<br />

• grappe invecchiate o riserva, più pregiate, delicate e rotonde.<br />

Un’altra classificazione si riferisce alle caratteristiche delle vinacce di<br />

provenienza; abbiamo così:<br />

• grappe non aromatiche;<br />

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• grappe aromatiche, quando provengono da vinacce di uve aromatiche e ne<br />

conservano l’aroma;<br />

• grappe monovitigno, tipo Moscato, Verduzzo, Fragolino, Nebbiolo, Traminer,<br />

Canaiolo Nero, ecc.<br />

Esiste anche un’ulteriore suddivisione:<br />

• grappe non aromatizzate;<br />

• grappe aromatizzate: tra queste figurano quelle all’anice, alla menta, alla ruta,<br />

al lampone, al miele, al genepy e via dicendo. Si tratta di grappe nelle quali sono<br />

aggiunte infusioni acquose o alcoliche di sostanze vegetali o altre sostanze<br />

aromatiche.<br />

Servizio<br />

La temperatura di servizio per le grappe giovani è intorno ai 10°C, specialmente<br />

se prodotte con uve aromatiche, mentre 16°C è la base di partenza per quelle via<br />

via più invecchiate. Per tutte, si usa il bicchiere da grappa, che ha la forma di un<br />

caratteristico e piccolo tulipano.<br />

L’acquavite d’uva<br />

Grazie alla famiglia friulana Nonino, che fu la prima a chiedere e ottenere<br />

l’autorizzazione per distillare l’uva intera (fino allora vietato) con la creazione di<br />

“Ùe” (“uve”, in friulano), e alla famiglia Maschio, che mise a punto la produzione<br />

del “Prime Uve”, è nato, con decreto ministeriale emanato il 30 novembre 1984,<br />

l’ultimo prodotto della distillazione nazionale, l’acquavite d’uva.<br />

Terreno e vitigno<br />

È soprattutto nel nord-­‐est d’Italia che si è svolta la fase pionieristica della<br />

produzione di questa acquavite e quindi i vitigni più usati sono Prosecco,<br />

Riesling, Chardonnay, Müller Thurgau, Moscato, Moscato d’Amburgo, Traminer,<br />

Malvasia, Albana. A questi si aggiungono anche vitigni a frutto rosso come il<br />

Refosco, la Schiava, il Pinot Nero, il Fragolino, ecc.<br />

Vinificazione e distillazione<br />

Una fermentazione condotta con lieviti selezionati e a temperatura controllata è<br />

indispensabile per il buon proseguimento della lavorazione. La distillazione si<br />

avvia quando ancora la materia fermentata è dolce e possiede perciò gli aromi<br />

primari dell’uva.<br />

La distillazione può avvenire con due tipi di alambicchi: le classiche caldaiette<br />

grappa, opportunamente modificate, oppure gli impianti di distillazione<br />

continua. Questi ultimi, più usati, hanno un sistema d’evaporazione che porta il<br />

distillato a 50-­‐60°C, in pratica operano a temperature modeste, per evitare<br />

l’annullamento degli aromi.<br />

Servizio<br />

Prodotto d’indubbio valore grazie anche alla materia prima impiegata,<br />

l’acquavite d’uva ha una gradazione alcolica compresa tra i 40 e i 45°. Raramente<br />

è invecchiata, e si beve fresca, liscia, a una temperatura oscillante tra i 5 e i 10°C,<br />

anche accompagnata da uno zuccherino.<br />

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Altre acquaviti di vinaccia<br />

Secondo il regolamento comunitario, sinonimo di acquavite è il termine “marc”,<br />

mentre la denominazione “grappa” è riservata all’Italia. Marc in francese<br />

significa fondaccio, residuo liquido della pressatura di frutta: così si ha il marc de<br />

raisin, appunto la vinaccia. In francese si ha anche la denominazione di lie de vin,<br />

feccia di vino, avendo il termine lie il significato d’infima parte, e eau-de-vie de lie<br />

significa “acquavite di feccia di vino”. Un termine speciale,<br />

invece, indica l’acquavite di vinaccia prodotta distillando soltanto le bucce delle<br />

uve diraspate: égrappé; tipica l’acquavite Marc égrappé de Bourgogne.<br />

Si hanno diverse denominazioni di acquavite francesi: Eau-­‐de-­‐vie de Champagne<br />

(o Marc de Champagne), Marc originaire d’Aquitaine, Marc de Bourgogne, Marc<br />

originaire du Centre-­‐Est, de Franche Comté, de Bugey, de Savoie, des Coteaux de<br />

la Loire, de Côte du Rhône, de Provence, du Languedoc, Marc d’Alsace<br />

Gewürztraminer e de Lorraine.<br />

I <strong>distillati</strong> di cereali<br />

I WHISKY<br />

Molti paesi hanno la loro tradizione di distillazione e in più d’uno si riferiscono<br />

ai propri <strong>distillati</strong> con il nome di “acqua di vita”. È sempre questo infatti il<br />

significato della parola scandinava akvavit, della francese eau-de-vie e del<br />

termine whisky, derivato dal gaelico “uisge beatha”.<br />

L’origine del whisky conta molti padri. La tradizione popolare vuole che siano<br />

state le mogli dei coltivatori d’orzo delle Highlands, in Scozia, a inventare il<br />

whisky, ma in realtà sembra difficile che quelle donne sapessero distillare, cosa<br />

che invece riusciva molto bene ai monaci. Dunque le prime distillerie furono<br />

aggregate ai conventi e una leggenda vuole che siano stati proprio i monaci,<br />

seguaci di San Patrizio (patrono d’Irlanda) a inventare il whisky. Gli Scozzesi,<br />

da parte loro, non sminuiscono le benemerenze del Santo, ma precisano ch’egli<br />

conobbe l’alcol di cereali quand’era prigioniero in Scozia, una terra dove l’arte<br />

della distillazione era nota da tempo.<br />

Un indizio concreto che ci permette di datare con sicurezza l’inventore del<br />

whisky è un atto del 1494, conservato nello Scottish Exchequer Rolls (archivio di<br />

stato scozzese), in cui viene richiesto l’approvvigionamento di otto bolls (antica<br />

misura scozzese dei cereali) per un monaco di nome John Cor, che l’adoperava<br />

per fabbricare acquavite.<br />

Il fisco non doveva trascurare neppure questa bevanda e, nel 1644, il<br />

parlamento scozzese di Edimburgo intervenne imponendo un dazio sulla<br />

materia prima che veniva distillata. L’irlandese Aeneas Coffey inventa nel 1830<br />

l’alambicco a colonna e tra il 1831 ed il 1853 si giunge ad un altro grande<br />

avvenimento: lo sposalizio tra il malt con il grain: nasceva il blended.<br />

10


Il sapore del whisky è determinato innanzitutto dall’acqua che viene usata, che<br />

può essere morbida o dura, torbida oppure di cristallina limpidezza. A seconda<br />

delle materie prime utilizzate e del procedimento seguito può prevalere un<br />

gusto secco, derivante da una prolungata maltazione (in cui si fa uso della torba,<br />

un carbone di origine relativamente recente, che risulta dalla fossilizzazione di<br />

erbe, muschi, piante palustri, erica e che brucia assai lentamente, producendo un<br />

fumo dall’aroma molto intenso), o un gusto dolce dato dall’orzo<br />

o dal grano, o uno speziato dovuto alla segale, oppure ancora uno fruttato<br />

prodotto dal lievito. Possono inoltre aversi sentori salmastri d’aria di mare e una<br />

maggiore presenza di tannino, determinata dal fusto adottato.<br />

Componenti del whisky<br />

La maggioranza delle distillerie è sorta vicino ad una sorgente o ad un torrente<br />

per facilitare l’alimentazione della stazione di pompaggio. La presenza<br />

dell’acqua ha determinato in larga parte l’ubicazione delle distillerie. L’acqua,<br />

quindi, è il primo importante elemento usato per la distillazione; non subisce<br />

trattamenti, salvo la semplice filtrazione.<br />

Essa è indispensabile:<br />

• per bagnare il cereale in modo da farlo germinare;<br />

• nella preparazione del mosto;<br />

• nei refrigeranti per condensare i vapori;<br />

• per la riduzione del grado alcolico.<br />

Il secondo elemento è dato dall’insieme d’orzo, segale e grano. L’orzo, il cereale<br />

più nobile per la preparazione del whisky, è usato in misura maggiore nella<br />

produzione del distillato. Quando è maltato, ha struttura croccante e profumo di<br />

biscotto. Altro elemento importante è la torba, usata per l’essiccazione del<br />

malto. Tra gli altri ingredienti, molto importante è il lievito, un microrganismo<br />

naturale.<br />

La tecnica di produzione<br />

I principi che regolano la produzione del whisky sono molto semplici, ma la<br />

distillazione ha a che fare con numerose variabili che rendono il suo lavoro<br />

simile a quello di un artista. Le fasi essenziali sono:<br />

• maltazione;<br />

• infusione (mashing) o cottura;<br />

• fermentazione;<br />

• distillazione;<br />

• maturazione;<br />

• miscelazione o blending.<br />

Maltazione: è il trattamento dei cereali per rendere più solubili gli amidi<br />

contenuti nei semi. Dopo tale processo gli amidi possono essere convertiti in<br />

zucchero e poi in alcol. Il processo consiste nel far macerare i chicchi in acqua<br />

per risvegliare il germoglio. Il cereale così umidificato è lasciato germogliare<br />

parzialmente; si procede subito all’essiccazione e ad una leggera cottura ad aria<br />

11


calda negli appositi forni. In questa fase si sviluppano il profumo e il colore del<br />

malto. In Scozia i forni erano tradizionalmente alimentati con la torba, che<br />

trasmette un profumo particolare di affumicato. Oggi non è più il combustibile<br />

principale, ma se ne fa sempre uso, al fine di conferire allo scotch il suo gusto<br />

tradizionale.<br />

Cottura: è una fase di lavorazione che riguarda i cereali non maltati, in<br />

particolare il mais, e interessa la produzione di tutti i whisky di tipo<br />

nordamericano. La cottura rompe le pareti di cellulosa che contengono l’amido e<br />

può quindi assorbire acqua. Una volta che il mais è cotto, si può aggiungere<br />

segale come aromatizzante ed infine malto d’orzo, necessario per l’azione<br />

enzimatica. Ad ogni aggiunta si adegua la temperatura, perché ciascun cereale<br />

necessita di un diverso grado di calore.<br />

Infusione: completa la trasformazione dell’amido in zuccheri fermentabili. Nella<br />

produzione di whisky di malto non c’è cottura ma infusione. Il malto macinato è<br />

mescolato con acqua calda e sistemato in vasche (mash tun) entro le quali riposa<br />

mentre ha luogo il naturale processo di conversione. Questo liquido denominato<br />

wort è in sostanza il mosto non ancora fermentato, ed è tolto e ripetutamente<br />

reimmesso nella vasca per la naturale estrazione.<br />

Fermentazione: converte gli zuccheri in alcol, grazie all’aggiunta di lieviti. Il<br />

mosto del malto è posto in grandi tini (wash back) nei quali la massa si muove e<br />

schiuma come se bollisse e si ottiene un liquido molto simile alla birra non<br />

aromatizzata al luppolo. A conclusione di questo processo (che dura per gli<br />

scotch 48 ore e per gli irish 72 ore), si ha un liquido che ha circa il 5-­‐8% di<br />

alcoletilico, chiamato wash in Scozia e beer in USA.<br />

Distillazione: nella produzione dei whisky di malto si hanno due-­‐tre<br />

distillazioni, mediante alambicco che lavora in modo discontinuo (pot still),<br />

mentre i whisky di mais e i whisky americani classici sono prodotti con un<br />

metodo continuo a colonne (patent still).<br />

In Scozia la produzione industriale ha fatto sì che nel corso del tempo<br />

aumentassero le dimensioni dell’alambicco, che era comunque insufficiente per<br />

distillare in un’unica operazione acquavite con almeno 60°. Le distillerie quindi<br />

che adottano ancora questo sistema, denominato pot still, sono provviste di due<br />

alambicchi che lavorano in coppia.<br />

Il primo, denominato wash still, è più grande del secondo, chiamato low wiInes<br />

still. La materia da distillare viene pompata nel wash still, ricavandone un<br />

prodotto di circa 25% di alcol, che viene successivamente immesso nel low wine<br />

still per la seconda fermentazione. A questo punto interviene lo stillman, ossia il<br />

mastro distillatore, che osservando la gradazione indicata sugli alcolimetri che<br />

galleggiano dentro lo spirit safe (letteralmente “cassaforte dello spirito”),<br />

divide la testa (foreshote) e la coda (feints) dal cuore. Una congrua riduzione di<br />

grado con acqua porta normalmente la concentrazione di alcol etilico tra il 61 e<br />

il 67%.<br />

12


Maturazione: la durata dell’invecchiamento in botti di rovere (in gran parte<br />

rovere americano) varia in relazione al whisky, alle condizioni locali e al palato<br />

del bevitore. Molti whisky sembrano toccare la perfezione intorno ai 10-­‐15 anni<br />

ed è l’età corrente delle marche migliori. Con età maggiori alcuni whisky<br />

diventano spiacevolmente legnosi, altri invece possono spingersi agevolmente<br />

sino al mezzo secolo.<br />

Blending: consiste nella miscelatura di molti whisky. Il blender, cioè colui che è<br />

incaricato della miscelatura, progetta l’adeguamento del gusto troppo<br />

particolare del whisky tradizionale, fatto con puro malto, alle esigenze di un<br />

pubblico sempre più vasto che gradisce un distillato di cerali (avena, segale,<br />

mais, frumento o orzo di cui solo una parte è maltata) dal gusto meno<br />

pronunciato e più neutro.<br />

Una curiosità: si sa per certo che almeno dal XVII secolo un’acquavite di grano<br />

veniva prodotta in Trentino; fino all’inizio del XX secolo, poi, la Landy Frères ha<br />

prodotto un suo whisky a Bologna.<br />

Servizio<br />

Un whisky di malto va servito a temperatura ambiente (16-­‐18°C) e sempre<br />

liscio, in un tulipano. Sovente si accompagna con un bicchiere di acqua fredda;<br />

l’ideale sarebbe servirlo insieme a una brocca di terracotta con l’acqua con cui è<br />

stato tagliato all’origine (in commercio se ne trovano diverse in bottiglietta), se il<br />

cliente desidera allungarlo. Nel caso di blended e di richiesta di ghiaccio, si può<br />

optare per l’old fashioned.<br />

Scotch whisky<br />

Secondo la normativa europea si può chiamare whisky un’acquavite di cereali<br />

con almeno tre<br />

anni d’invecchiamento. Si estrae dall’alambicco ad una gradazione oscillante tra i<br />

68-­‐ 73° (pot still ) e 94° (patent still ), che normalmente è ridotta fino a portare<br />

il grado alcolico intorno ai 65°. Dopo la maturazione il prodotto è diluito<br />

dall’imbottigliatore fino agli usuali 40° per il mercato interno, 43° per<br />

l’esportazione, e sale fino ai 60° circa per i whisky speciali.<br />

La caratteristica dei whisky scozzesi è data dall’intreccio del dolce con il secco: il<br />

dolce è dato dall’orzo maltato mentre il secco deriva dal gusto affumicato<br />

prodotto dalla torba. Altra caratteristica sono le botti d’invecchiamento, che<br />

erano un tempo quelle che avevano contenuto sherry, il vino di cui gli inglesi<br />

sono grandi consumatori. Fino all’avvento della bottiglia, economica e robusta,<br />

che permette tra l’altro l’imbottigliamento nella zona d’origine, gli inglesi<br />

importavano lo sherry in botte. Agli scozzesi, da sempre proverbialmente avari,<br />

sembrava uno spreco non riutilizzare tutte quelle botti di rovere americano e<br />

così pensarono di sfruttarle per l’invecchiamento dei loro whisky.<br />

Oggi sembra che alcuni produttori siano tuttora soliti avvinare i contenitori con<br />

lo sherry, mentre altri preferiscono invecchiare il loro distillato in botti nuove.<br />

13


Storicamente la Scozia è divisa in quattro regioni produttrici di whisky,<br />

universalmente riconosciute: Highlands, Lowlands, Campbeltown e Islay.<br />

Volendo distinguere questi prodotti, differenziati solo da piccole sfumature,<br />

possiamo dire che:<br />

• i più noti sono quelli delle Highlands (“Alte Terre”, situate sopra la linea<br />

immaginaria che va da Glasgow a Dundee) e sono prodotti non nella parte più<br />

settentrionali, ma nelle valli (glen) dello Spey e dei suoi affluenti, in particolare il<br />

Livet. Grazie al loro numero elevato, sono i più variegati, seppur accomunati<br />

dall’affumicamento e dall’amabile, con talvolta uno spiccato sentore di sherry;<br />

• quelli delle Lowlands (“Basse Terre”, prodotti a sud della linea sopracitata)<br />

sono particolarmente morbidi;<br />

• quelli di Campbeltown hanno un sentore di salsedine;<br />

• quelli delle Isole, perlopiù, sono più ricchi di sentore di torba, in particolare<br />

quelli di Islay, noti anche per il profumo di alga.<br />

Secondo la tipologia di produzione possiamo suddividere tutti gli scotch in:<br />

• malt, ottenuti esclusivamente dalla distillazione dell’orzo maltato,<br />

normalmente con alambicchi discontinui. Essi possono essere a loro volta<br />

suddivisi in: single malt, ottenuti da puro malto di un’unica qualità, provenienti<br />

da una sola distilleria; vatted malt (vat è il tino), ottenuti da una miscela di single<br />

malt;<br />

• grain, ottenuti da cereali, in particolar modo dal mais, <strong>distillati</strong> in continuo;<br />

• blended, derivati dalla miscela di grain e malt;<br />

• full proof o full strength (che significa “tutta forza” o “gradazione piena”), che<br />

appena <strong>distillati</strong> a 68-­‐73° alcolici vengono posti in botte. Durante questo<br />

periodo, un processo di evaporazione alcolica porta il livello della gradazione<br />

intorno ai 48-­‐65° dopo di che si offrono alla degustazione.<br />

Irish whiskey<br />

La prima differenza con il rivale scozzese è quella “ey” finale: sembra che la<br />

correzione di “ whisky” in “whiskey” sia da attribuire ai soldati di Enrico II<br />

d’Inghilterra che conobbero quel distillato allorché invasero l’Irlanda, nel 1100.<br />

Col tempo e per rafforzare la sua identità quella “e” in più è rimasta.<br />

Anche in Irlanda le date certe della storia del whiskey sono per la maggior parte<br />

desumibili da normative governative; del 1608 è la prima licenza di distillazione<br />

che tocca Bushmills e fa di questo marchio il più antico (ancora presente sul<br />

nostro mercato); nel 1661 si registra la prima forte imposta sulla fabbricazione:<br />

4 penny al gallone, una cifra considerevole, che non solo alimenta la distillazione<br />

clandestina ma spinge al contrabbando anche le distillerie ufficiali,<br />

che nel Settecento raggiungono il considerevole numero di 200.<br />

L’Irish si differenzia sostanzialmente dallo Scotch per alcuni importanti fattori. Il<br />

primo riguarda la fase di maltaggio dell’orzo, la cui essiccazione avviene senza<br />

fare uso della torbatura e priva quindi il gusto finale di quel caratteristico<br />

sentore di fumo. Tra i cereali utilizzati per la produzione del mosto si trovano<br />

14


logicamente anche grani crudi, quali il mais. Nel passato si<br />

usava anche una piccola percentuale di avena e, talvolta, si faceva ricorso alla<br />

segale. La fermentazione è fatta in grandi contenitori, serbatoi da 1000-­‐1500<br />

ettolitri, e dura un po’ di più di quella dello Scotch, circa 60 ore. Il fermentato che<br />

si ottiene ha circa 8° di alcol e viene distillato in alambicchi discontinui e in<br />

apparecchi continui. Anche i pot still, pur di forma analoga a quelli utilizzati in<br />

Scozia, presentano differenze rilevanti: sono molto più grandi, possono<br />

raggiungere capacità di oltre 1000 ettolitri, e operano con un sistema<br />

sostanzialmente diverso per quanto riguarda la frazione di coda che non viene<br />

immessa nella cotta successiva ma distillata a parte.<br />

Questo fa sì che si parli a volte di tre distillazioni. In realtà la terza non riguarda<br />

più tutta la partita di acquavite ma solo la frazione più impura di essa.<br />

La distillazione separata dalle code -­‐ unitamente alla tendenza di estrarre dagli<br />

alambicchi acquavite a una maggiore gradazione alcolica e l’assenza<br />

dell’affumicatura del malto -­‐ dà whiskey generalmente più leggeri di quelli<br />

scozzesi.<br />

L’invecchiamento minimo di tre anni anche nel caso dell’Irish viene compiuto in<br />

fusti di rovere bianco precedentemente usati nell’invecchiamento di bourbon,<br />

sherry, porto o rum. Altra particolarità di quest’ultima essenza, che può<br />

produrre differenze organolettiche del prodotto finale. Viene generalmente<br />

commercializzato a 43°.<br />

American whiskey<br />

Anche negli USA la parola whiskey scrive con la “ey” finale. Il whiskey americano<br />

ha le sue origini in Pennsylvania e nel Maryland, da dove si è diffuso a sud,<br />

attraverso la Virginia, nel Kentucky e nel Tennessee. Queste terre infatti sono<br />

caratterizzate da elevati altipiani e da abbondanti sorgenti d’acqua, un’acqua<br />

leggera, dolce, non ferrosa. E l’esperienza insegnò<br />

ben presto che quell’acqua dalle speciali caratteristiche avrebbe determinato un<br />

incommensurabile miglioramento della qualità del whiskey.<br />

Nel 1640 a Staten Island, vicino a New York, venne impiantata una distilleria che<br />

ricavava acquavite da un fermentato di mais e di avena ed era in vendita a<br />

Manhattan.<br />

Nel 1650 si registra il primo imponente fenomeno del contrabbando dovuto,<br />

come sempre, ad una forte tassazione imposta dagli inglesi su melassa e<br />

acquavite non provenienti dai loro domini.<br />

Alcune fonti relativamente sicure fanno risalire al 1753 una distilleria contadina,<br />

la Michter’s<br />

Distillery di Schaefferstown, Pennsylavania, che fu proprietà di varie famiglie di<br />

origine tedesca tra loro imparentate.<br />

Nel 1861 vi sorse un impianto industriale.<br />

15


Un’altra fonte parla dei primi insediamenti nel Kentucky datandoli 1775. Ma<br />

poiché la vita dei pionieri è carente di documenti storici attendibili, non sarà mai<br />

possibile dire chi fu il primo distillatore.<br />

Il 1789 è un anno degno di nota: il reverendo Eliya Craig, nel Kentucky, mette a<br />

punto la ricetta del bourbon, ma è l’Ottocento il secolo della grande espansione<br />

del whiskey: dal Regno Unito arrivano mastri distillatori di grande preparazione;<br />

alla fine, è James Crow, medico e chirurgo scozzese di chiara fama, a organizzare<br />

su vasta scala la produzione del bourbon.<br />

Il 6 gennaio 1920 fu il primo giorno di quei lunghissimi tredici anni di<br />

proibizionismo che sommersero l’America in un mare di alcol clandestino, di<br />

<strong>distillati</strong> di pessima qualità, di poliziotti e di magistrati corrotti, di contrabbando,<br />

delitti e gangsterismo. Nacque un gergo tutto particolare per definire luoghi e<br />

trafficanti clandestini di un prodotto distillato non si sapeva bene da che cosa. Il<br />

distillatore si diceva alkycooker (lett. “cuoco dell’alcol”); il contrabbandiere<br />

era il bootlegger (stivaletto) o racketer (camorrista); speakeasy (parola facile)<br />

lo spaccio del whisky.<br />

Alle antiche sedi di produzione del whiskey (Pennsylvania, Maryland e Virginia)<br />

oggi se ne sono aggiunte altre come il Kentucky e il Tennessee, sebbene il cuore<br />

produttivo si distribuisca dall’Illinois alla Georgia, dal Kansas alla Carolina.<br />

Secondo il tipo di produzione si può suddivide il whiskey americano in diverse<br />

tipologie:<br />

• Straight bourbon whiskey: il nome è preso dalla contea di Bourbon del<br />

Kentucky dove si ritiene sia nato; la parola straight, letteralmente “giusto,<br />

onesto, diritto” sta a significare che quel whiskey è prodotto con un miscuglio di<br />

cereali di cui almeno uno dev’essere presente in una percentuale del 51%. I<br />

bourbon più saporiti hanno circa il 70% di mais.<br />

Il bourbon viene distillato a 160 gradi proof (equivalenti a 80°) e immesso sul<br />

mercato ad un grado alcolico intorno ai 40-­‐50° circa. È invecchiato per almeno<br />

due anni, in barili nuovi carbonizzati all’interno, e questo processo di<br />

maturazione gli conferisce il caratteristico sentore di vaniglia che il distillato<br />

trae dal rovere nel corso dell’invecchiamento. La dizione “sour mash” (infusione<br />

acida) indica il metodo che si usa nella produzione di tutti gli straight.<br />

Se è prodotto nel Kentucky e invecchiato almeno un anno, il bourbon può<br />

fregiarsi della denominazione “Kentucky”.<br />

• Rye straight whiskey: è stato il primo genere di whiskey nato negli USA, ed è<br />

prodotto soprattutto in Pennsylvania e nel Maryland con una percentuale del<br />

51% di segale. Nel vapore, l’intensità della segale è ammorbidita da una<br />

considerevole percentuale di mais. Le regole d’invecchiamento sono simili a<br />

quelle del bourbon.<br />

• Wheat straight whiskey: è prodotto con una miscela di cereali di cui almeno il<br />

51% è frumento.<br />

• Malt straight whiskey: è prodotto con una miscela di cereali di cui almeno<br />

16


il 51% è orzo maltato.<br />

• Corn whiskey: è prodotto con una miscela di cereali di cui almeno l’80% è<br />

mais.<br />

• Blended whiskey: è un prodotto che può contenere fino a 75 whiskey e<br />

<strong>distillati</strong> neutri diversi. Basta che abbia almeno il 20% di straight whiskey, e il<br />

resto può essere alcol neutro.<br />

• Light whiskey (whiskey leggero): è un whiskey molto leggero, ottenuto<br />

ricorrendo ad una distillazione ad elevata gradazione, invecchiato in fusti usati,<br />

con aggiunta di aromatizzanti e dolcificanti.<br />

• Tennessee whiskey: è simile al bourbon, dal quale si differenzia per la<br />

regione di produzione, il Tennessee appunto, e perché dopo la riduzione alcolica<br />

viene filtrato con carbone attivo.<br />

La menzione bottled in bond (che significa “imbottigliato sotto il sigillo”) è<br />

prerogativa degli straight prodotti sotto il controllo governativo, sempre nella<br />

medesima distilleria e invecchiati almeno quattro anni.<br />

Canadian whiskey<br />

Siamo nel Seicento e i coloni canadesi, sotto il dominio francese, pongono in<br />

alambicco melasse provenienti dai paesi caldi e sciroppo d’acero locale. Nel<br />

secolo successivo arrivano gli inglesi e cambia anche il fermentato in alambicco:<br />

dalle linfe vegetali si passa ai cereali. In un paese freddo come il Canada la<br />

produzione di acquaviti non poteva che avere successo e nell’Ottocento, nella<br />

sola regione dell’Ontario, vengono censite oltre duecento distillerie attive.<br />

Per quanto gli esordi non siano ben documentati, si ritiene che possano essere<br />

collocati fra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, in una zona vicino a<br />

Kingston, che si trova tra le due più importanti città dell’Ontario, Toronto e<br />

Ottawa, e sulla strada per Montreal, nel Quebec.<br />

La fortuna del whiskey canadese fu legata in particolare modo al proibizionismo<br />

americano.<br />

La grande sete degli USA promosse una vertiginosa produzione in Canada dato<br />

che quel grande mercato, nonostante i divieti in patria, chiedeva sottobanco<br />

ettolitri ed ettolitri di qualsiasi bevanda alcolica.<br />

I cereali usati nella preparazione del “Canadian” sono principalmente il mais,<br />

seguito da grano, avena e orzo in parte maltato. Viene distillato in alambicchi<br />

continui a colonne e il grado di estrazione è comunque sempre molto elevato,<br />

fino ad ottenere prodotti di straordinaria neutralità.<br />

L’invecchiamento minimo è di due anni in fusti carbonizzati all’interno o già<br />

utilizzati in precedenza e il blend avviene subito dopo la distillazione. I Canadian<br />

sono in generale dei whisky leggeri, molto adatti alla miscelazione per cocktail.<br />

Il whisky giapponese<br />

È l’ultima nazione che merita di essere menzionata come produttrice di whisky.<br />

Da sempre il popolo giapponese riesce con l’impegno, l’audacia e la<br />

professionalità ad imporre ovunque i suoi prodotti. Non da difetto nemmeno<br />

17


nell’arte liquoristica, e in particolar modo nella distillazione del whisky. La<br />

prima distilleria nasce nel 1923, ma è solo negli anni Settanta che cominciarono<br />

ad affermarsi caratteristiche, qualità e varietà dei whisky giapponesi, con un<br />

numero crescente di blended.<br />

Come gli scozzesi, i giapponesi iniziano la produzione con un’infusione di puro<br />

malto d’orzo, in genere torbato, e una doppia distillazione in alambicco per<br />

produrre un single whisky che viene invecchiato in barili di sherry o di bourbon,<br />

oppure in barili nuovi, di rovere, carbonizzati.<br />

Ne imbottigliano un piccola parte per distribuirlo come single malt, e si servono<br />

della maggior parte come base per la miscelazione con i whisky di cereali<br />

<strong>distillati</strong> in colonna.<br />

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