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LA FABBRICA DEL GHIACCIO - VideoLeonforte

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<strong>LA</strong> <strong>FABBRICA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>GHIACCIO</strong><br />

Leggendo la perizia del 1651 sulle spese sostenute da Nicolò Placido<br />

Branciforti per la edificazione della terra di Leonforte si apprende che costui spese<br />

59 onze per la “fossa di neve” da cui ricavare il ghiaccio naturale per l’estate. Di<br />

essa se ne è persa traccia.<br />

Ma sui pendii del monte Cernigliere a pochi metri dalla vetta esistono resti di<br />

fosse a forma di tronco di cono rovesciato con il muro perimetrale in pietra grezza,<br />

profonde da 3-5 metri che quasi sicuramente avevano la funzione di neviere.<br />

Il locale di via Noto dov’era ubicata la fabbrica del ghiaccio<br />

Queste fosse, nei tempi passati, difficilmente restavano vuote in quanto nelle<br />

nostre zone in inverno faceva veramente freddo e nevicava abbondantemente due<br />

tre volte l’anno.<br />

Dopo ogni nevicata, la bianca idrometeora veniva stipata nella fossa strato su<br />

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strato con appositi mazzuoli e quindi ricoperta con fogliame secco e paglia che<br />

facevano da tettoia.<br />

All’arrivo della stagione calda, quando ormai la neve per la lunga giacenza<br />

nella fossa si era solidificata, il ghiaccio veniva tagliato in “balle” parallelepipedi<br />

che, avvolte in sacchi di tela, venivano trasportate a dorso di mulo al paese per<br />

essere smerciate.<br />

Il ghiaccio era usato per la preparazione dei sorbetti e delle granite, per la<br />

conservazione dei cibi e nella terapia contro determinate patologie quali la febbre<br />

tifoidea e malarica. La nobiltà e l’alta borghesia ne facevano largo uso, i comuni<br />

cittadini difficilmente se lo potevano permettere, lo compravano solo in caso di<br />

necessità, per rinfrescare l’acqua usavano le “quartare di Sanfilippo” e i “bummuli<br />

di Lentini”.<br />

Le neviere cominciarono a<br />

perdere importanza quando a New<br />

York inventarono le macchine per<br />

la produzione del ghiaccio,che in<br />

Italia arrivarono verso il 1900 e a<br />

Leonforte fecero capolino intorno<br />

al 1925.<br />

Fino al 1932 le “ghiacciaie” a<br />

Leonforte erano due: una sita negli<br />

ampi locali di via Noto 44, gestita<br />

dai fratelli Luigi e Giuseppe Zarbà e<br />

l’altra, appartenente al maestro<br />

Giuseppe Mazza, ubicata lungo il<br />

Corso Umberto di fronte alla villa<br />

Bonsignore. Queste due fabbriche si<br />

fecero agguerrita concorrenza, e di<br />

ciò si avvantaggiarono soprattutto i<br />

quattro bar allora esistenti a<br />

Leonforte (“Cottonaro”o “Fasciano”,<br />

“Rodilosso”, “Roma”, “ Impe-<br />

L’immobile di Corso Umberto, 430 dove si trovava la<br />

fabbrica del ghiaccio del maestro Mazza oggi sede della<br />

cartoleria “Pagina”<br />

ro”) che ne erano i maggiori consumatori.<br />

Ma quando, nell’estate del<br />

1933, i fratelli Zarbà acquisirono<br />

la licenza della concorrenza e operarono in regime di monopolio, raddoppiarono il<br />

prezzo di vendita del ghiaccio, con grande rammarico dei consumatori che da un<br />

anno all’altro ne videro aumentare il prezzo da 10-15 lire a 30 lire al quintale.<br />

Il ghiaccio artificiale veniva venduto ai bar, alle bettole, alle trattorie e alle<br />

famiglie: i bar lo utilizzavano per preparare i gelati e le granite, le bettole e le trattorie<br />

per rinfrescare le bibite, le famiglie lo richiedevano in caso di malattia o solo<br />

in determinati periodi dell’anno.<br />

I privati raramente compravano la “balla” di ghiaccio intera, così si effettuava<br />

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LEONFORTE SCONOSCIUTA E DIMENTICATA


<strong>LA</strong> <strong>FABBRICA</strong> <strong>DEL</strong> <strong>GHIACCIO</strong><br />

l’operazione di ripartizione della balla e si usava uno strumento a forma di uncino che<br />

provocava il formarsi di schegge di ghiaccio che costituivano la gioia dei bambini che<br />

si accalcavano attorno al mezzo del fornitore per sgraffignarne qualche pezzetto.<br />

In quel periodo era in voga ’u surbettu: ghiaccio tritato mediante con una macchinetta<br />

che raschiava la superficie della balla, e poi colorato con sciroppi di<br />

diverso colore, che veniva gustato dai bambini come una leccornia.<br />

La fabbrica di ghiaccio dei fratelli Zarbà chiuse i battenti agli inizi degli anni<br />

’50 quando tutti i bar si fornirono del bancone frigorifero e il più solerte a<br />

procurarselo fu il bar “Impero”, ma dopo anche gli altri si dovettero adeguare.<br />

Ai primi anni ’50, nonostante l’autosufficienza dei bar, il ghiaccio aveva ancora<br />

un suo mercato e d’estate non era raro vedere per le strade di Leonforte i venditori<br />

di ghiaccio provenienti da Mistretta che lo distribuivano ancora in qualche bettola<br />

e lo vendevano ai privati che rinfrescavano così le colorate tavolate di<br />

“mezzaustu”.<br />

Estate 1955, “liberi e felici” al bar Vasta di Piazza Margherita: Antonio Renato Basile, Franco Giarrizzo,<br />

Sarino Cotogno<br />

La comparsa nelle case dei primi frigoriferi, quelli con la porta panciuta, e il<br />

boom economico degli inizi anni ’60, cambiarono il panorama della richiesta di<br />

“freddo”: le neviere, le fabbriche di ghiaccio, “i bummuli” e le “quartare” sono stati<br />

accantonati in soffitta e solo il ricordo riesce di tanto in tanto a farli rivivere.<br />

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