LEONFORTE SCONOSCIUTA E DIMENTICATA ... - VideoLeonforte
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Frontale dello stabilimento<br />
Forni per la cottura delle pietre<br />
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<strong>LEONFORTE</strong> <strong>SCONOSCIUTA</strong> E <strong>DIMENTICATA</strong>
Anche Leonforte ha le sue “fabbriche dismesse”, modeste di numero, ma di<br />
grande importanza. Una di queste è ubicata all’entrata nord del paese in contrada<br />
Sant’Elena ed è la fabbrica che produceva gesso e calce chiamata dai leonfortesi<br />
“stabilimento”.<br />
La fabbrica di materiali agglomeranti rappresenta una traccia significativa del<br />
nostro passato industriale. Lo “stabilimento” oggi appare diroccato in alcune sue parti:<br />
i tetti sono quasi del tutto crollati, relitti di macchinari reduci di battaglie perdute<br />
La fabbrica del gesso e della calce<br />
LO STABILIMENTO<br />
contro i vandali sono ormai invasi dalla ruggine, i forni in buono stato di conservazione<br />
aspettano invano di riprendere la loro funzionalità, le erbacce si sono stabilmente<br />
intrufolate tra le pietre sconnesse che di tanto in tanto vengono sfiorate dai passi felpati<br />
dei gatti randagi che vivono nella zona.<br />
La fabbrica entrò in funzione dopo la prima guerra mondiale e contribuì alla<br />
edificazione della Leonforte del XX secolo e, in particolare, alla costruzione degli<br />
edifici del ventennio fascista come le Scuole Elementari di corso Umberto, la “casa<br />
Mustica”, il ponte della Noce e alcune ville fuori porta.<br />
Cessò la sua attività agli inizi anni ’60 quando l’evoluzione delle tecniche<br />
costruttive soppiantò l’utilizzo del gesso e della calce a favore del cemento.<br />
Nello “stabilimento” lavoravano decine di operai con varie qualifiche: capomastro,<br />
fuochisti, minatori e manovali. Conducevano un’esistenza piuttosto grama, faticavano<br />
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dall’alba al tramonto e per certe operazioni (cottura delle pietre) lavorano senza tregua<br />
e quindi anche di notte.<br />
Ogni operazione per la produzione del gesso e della calce era gravosa,<br />
dall’estrazione delle pietre dalle cave site in contrada San Giovanni, alla cottura nelle<br />
fornaci ovoidali, per finire alla macinazione delle pietre farinose. Gli operai<br />
rischiavano giornalmente l’incolumità fisica e qualcuno particolarmente sfortunato<br />
nell’estrarre le pietre di “jssu” o di “quacina” con la dinamite ci ha rimesso gli occhi.<br />
I sistemi di protezione erano del tutto ignorati e la polvere che si generava durante<br />
la macinazione delle pietre a<br />
lungo andare causava l’asma<br />
a chi era costretto a<br />
conviverci e a nulla serviva la<br />
precauzione di coprirsi la<br />
bocca e il naso con pezze di<br />
panno.<br />
La fabbrica era di<br />
proprietà del rag. Carlo Zarbà<br />
e produceva gesso e calce per<br />
il mercato locale e quelli dei<br />
paesi viciniori, per un certo<br />
tempo è stata l’unica della<br />
zona con notevole beneficio<br />
per i proprietari.<br />
Operai della fabbrica del gesso e della calce<br />
Molto meno percepivano<br />
gli operai (nel 1931 il loro<br />
salario ammontava a 200-300 lire al mese) ed era un compenso da fame, basti pensare<br />
che un chilo di pane occorrevano 1,20 lire, per un chilo di zucchero 1,80 lire, un paio<br />
di scarpe costava mediamente 50 lire e un chilo di carne da 13 a 18 lire.<br />
Solo il capomastro percepiva un salario decente - 450 lire al mese - ma aveva<br />
maggiori responsabilità e lavorava più a lungo e in tutti i settori della fabbrica.<br />
Questa pagina della Leonforte laboriosa forse non entrerà nella storia, ma è la<br />
testimonianza che c’è stato un tempo in cui nel nostro paese l’iniziativa<br />
imprenditoriale era viva e valida.<br />
Leonforte sin dalle sue origini è stato un paese a vocazione industriale, la sua<br />
economia si è maggiormente basata su questa attività come testimoniano i ruderi dello<br />
“stabilimento”, dello “stazzone”, della “filanda”, delle miniere, dei mulini: pezzi di<br />
archeologia industriale che il tempo e l’incuria dell’uomo hanno relegato nell’oblio.<br />
Conservare tale patrimonio architettonico e culturale deve essere impegno di tutti<br />
al fine di consentire un serio recupero dello nostra identità storica.<br />
Lo “stabilimento”, pur non avendo caratteristiche architettoniche pregevoli, con le<br />
sue fornaci e i suoi ambienti di lavoro rappresenta un bene culturale da recuperare e<br />
tutelare.<br />
I locali opportunamente adattati potrebbero essere adibiti come sede di un museo<br />
dell’industria leonfortese che, assommato ad altre iniziative, come il ripristino della<br />
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<strong>LEONFORTE</strong> <strong>SCONOSCIUTA</strong> E <strong>DIMENTICATA</strong>
LO STABILIMENTO DI SANT’ELENA<br />
colonna di Sant’Elena e la creazione di un parco sub-urbano, restituirebbe una precisa<br />
identità alle contrade della zona per la vivibilità degli abitanti della parte nord di<br />
Leonforte che, di giorno in giorno, per scelte di espansione urbanistica non sempre<br />
felici, divengono sempre più numerosi.<br />
Fornace della fabbrica del gesso e della calce<br />
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