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LEONFORTE SCONOSCIUTA E DIMENTICATA ... - VideoLeonforte

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Frontale dello stabilimento<br />

Forni per la cottura delle pietre<br />

82<br />

<strong>LEONFORTE</strong> <strong>SCONOSCIUTA</strong> E <strong>DIMENTICATA</strong>


Anche Leonforte ha le sue “fabbriche dismesse”, modeste di numero, ma di<br />

grande importanza. Una di queste è ubicata all’entrata nord del paese in contrada<br />

Sant’Elena ed è la fabbrica che produceva gesso e calce chiamata dai leonfortesi<br />

“stabilimento”.<br />

La fabbrica di materiali agglomeranti rappresenta una traccia significativa del<br />

nostro passato industriale. Lo “stabilimento” oggi appare diroccato in alcune sue parti:<br />

i tetti sono quasi del tutto crollati, relitti di macchinari reduci di battaglie perdute<br />

La fabbrica del gesso e della calce<br />

LO STABILIMENTO<br />

contro i vandali sono ormai invasi dalla ruggine, i forni in buono stato di conservazione<br />

aspettano invano di riprendere la loro funzionalità, le erbacce si sono stabilmente<br />

intrufolate tra le pietre sconnesse che di tanto in tanto vengono sfiorate dai passi felpati<br />

dei gatti randagi che vivono nella zona.<br />

La fabbrica entrò in funzione dopo la prima guerra mondiale e contribuì alla<br />

edificazione della Leonforte del XX secolo e, in particolare, alla costruzione degli<br />

edifici del ventennio fascista come le Scuole Elementari di corso Umberto, la “casa<br />

Mustica”, il ponte della Noce e alcune ville fuori porta.<br />

Cessò la sua attività agli inizi anni ’60 quando l’evoluzione delle tecniche<br />

costruttive soppiantò l’utilizzo del gesso e della calce a favore del cemento.<br />

Nello “stabilimento” lavoravano decine di operai con varie qualifiche: capomastro,<br />

fuochisti, minatori e manovali. Conducevano un’esistenza piuttosto grama, faticavano<br />

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dall’alba al tramonto e per certe operazioni (cottura delle pietre) lavorano senza tregua<br />

e quindi anche di notte.<br />

Ogni operazione per la produzione del gesso e della calce era gravosa,<br />

dall’estrazione delle pietre dalle cave site in contrada San Giovanni, alla cottura nelle<br />

fornaci ovoidali, per finire alla macinazione delle pietre farinose. Gli operai<br />

rischiavano giornalmente l’incolumità fisica e qualcuno particolarmente sfortunato<br />

nell’estrarre le pietre di “jssu” o di “quacina” con la dinamite ci ha rimesso gli occhi.<br />

I sistemi di protezione erano del tutto ignorati e la polvere che si generava durante<br />

la macinazione delle pietre a<br />

lungo andare causava l’asma<br />

a chi era costretto a<br />

conviverci e a nulla serviva la<br />

precauzione di coprirsi la<br />

bocca e il naso con pezze di<br />

panno.<br />

La fabbrica era di<br />

proprietà del rag. Carlo Zarbà<br />

e produceva gesso e calce per<br />

il mercato locale e quelli dei<br />

paesi viciniori, per un certo<br />

tempo è stata l’unica della<br />

zona con notevole beneficio<br />

per i proprietari.<br />

Operai della fabbrica del gesso e della calce<br />

Molto meno percepivano<br />

gli operai (nel 1931 il loro<br />

salario ammontava a 200-300 lire al mese) ed era un compenso da fame, basti pensare<br />

che un chilo di pane occorrevano 1,20 lire, per un chilo di zucchero 1,80 lire, un paio<br />

di scarpe costava mediamente 50 lire e un chilo di carne da 13 a 18 lire.<br />

Solo il capomastro percepiva un salario decente - 450 lire al mese - ma aveva<br />

maggiori responsabilità e lavorava più a lungo e in tutti i settori della fabbrica.<br />

Questa pagina della Leonforte laboriosa forse non entrerà nella storia, ma è la<br />

testimonianza che c’è stato un tempo in cui nel nostro paese l’iniziativa<br />

imprenditoriale era viva e valida.<br />

Leonforte sin dalle sue origini è stato un paese a vocazione industriale, la sua<br />

economia si è maggiormente basata su questa attività come testimoniano i ruderi dello<br />

“stabilimento”, dello “stazzone”, della “filanda”, delle miniere, dei mulini: pezzi di<br />

archeologia industriale che il tempo e l’incuria dell’uomo hanno relegato nell’oblio.<br />

Conservare tale patrimonio architettonico e culturale deve essere impegno di tutti<br />

al fine di consentire un serio recupero dello nostra identità storica.<br />

Lo “stabilimento”, pur non avendo caratteristiche architettoniche pregevoli, con le<br />

sue fornaci e i suoi ambienti di lavoro rappresenta un bene culturale da recuperare e<br />

tutelare.<br />

I locali opportunamente adattati potrebbero essere adibiti come sede di un museo<br />

dell’industria leonfortese che, assommato ad altre iniziative, come il ripristino della<br />

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<strong>LEONFORTE</strong> <strong>SCONOSCIUTA</strong> E <strong>DIMENTICATA</strong>


LO STABILIMENTO DI SANT’ELENA<br />

colonna di Sant’Elena e la creazione di un parco sub-urbano, restituirebbe una precisa<br />

identità alle contrade della zona per la vivibilità degli abitanti della parte nord di<br />

Leonforte che, di giorno in giorno, per scelte di espansione urbanistica non sempre<br />

felici, divengono sempre più numerosi.<br />

Fornace della fabbrica del gesso e della calce<br />

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