Dica dove prende i soldi! - Funize.com
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pagina 8 Martedì 6 ottobre 2009<br />
Perché l’Italia<br />
potrebbe non<br />
agganciare la ripresa<br />
Il Fondo monetario, tra le grandi<br />
istituzioni internazionali, continua a<br />
essere quella più prudente<br />
sull’andamento della crisi. Nell’ultimo report<br />
periodico sullo stato della recessione, ha<br />
spiegato che ci sono Paesi impreparati a ripartire,<br />
anche quando la congiuntura italiana sarà più<br />
favorevole. “I problemi dell'Italia vanno ben oltre<br />
rebbero 6 mila i posti<br />
a rischio. Molti dei<br />
quali anche nel settore<br />
tessile: Mantova e<br />
Brescia, città nelle<br />
quali l’i n c re m e n t o<br />
<strong>com</strong>plessivo del ricorso<br />
alla cassa è stato<br />
rispettivamente di<br />
+711% e +724%. Spostandoci<br />
in Triveneto<br />
(<strong>dove</strong> ci sono 1500<br />
posti a rischio) le<br />
emergenze si evidenziano<br />
per lo più nei settori della chimica,<br />
degli occhiali e dei sanitari:<br />
Safilo 500 posti in bilico,<br />
Trichiana (Belluno) 250<br />
esuberi e la “c o n s o re l l a ” Ideal<br />
Standard di Brescia (azienda<br />
occupata da 130 operai che<br />
intendono impedire lo spegnimento<br />
del forno di cottura<br />
delle porcellane). Aggiungiamo<br />
poi il lanificio-cotonificio<br />
nazionale di Marzotto a Portogruaro<br />
(250 contratti di solidarietà<br />
da due anni). Scendendo<br />
verso l’ Emilia Romagna<br />
la crisi del metalmeccanico<br />
rappresenta una spada<br />
di Damocle sulla testa di ben<br />
questa recessione e dipendono dal basso<br />
potenziale di crescita dell'economia”, ha spiegato<br />
Ajai Chopra, vice direttore del dipartimento<br />
europeo del Fmi. Il problema è soprattutto la<br />
bassa produttività (a parità di tempo lavorato gli<br />
italiani producono meno beni e servizi di altri).<br />
Secondo il Fondo il Pil italiano si ridurrà del 5,1<br />
per cento nel 2009 prima di tornare a crescere<br />
IL LAVORO CHE NON C’E’ PIU’<br />
da Milano a Porto Torres<br />
Partendo dalle ore di cassa integrazione si<br />
<strong>com</strong>incia ad avere la mappa della crisi<br />
di Elisabetta Reguitti Milano<br />
Alla fine quelli della Innse<br />
di Milano, forse, ci sono<br />
riusciti. La sottoscrizione<br />
dell’ultimo passaggio<br />
(dei tre previsti nell’accordo<br />
raggiunto ad agosto)<br />
sembra aver definitivamente<br />
scritto la parola “fi n e ”, in senso<br />
positivo, sulla storia della<br />
fabbrica in via Rubattino destinata<br />
a chiudere i battenti.<br />
Un epilogo peggiore sembrava<br />
ormai scritto ma è rimesso<br />
in discussione grazie alla ferma<br />
volontà dei 49 operai. Nonostante<br />
le carte, più o meno<br />
ufficiali sottoscritte nella notte<br />
del 30 settembre in prefettura<br />
a Milano, questi lavoratori<br />
però non hanno ancora<br />
smantellato il presidio. Aspettano<br />
di ricevere tutte le lettere<br />
di assunzione. Il d-day dovrebbe<br />
essere il 12 ottobre.<br />
Fino ad allora rimarranno lì.<br />
La mappa. Ma per una Innse<br />
destinata alla riapertura quante<br />
altre aziende oggi rischiano<br />
di chiudere i battenti in questo<br />
autunno che da mesi è<br />
considerato a rischio disoccupazione?<br />
La mappa della crisi<br />
si sovrappone e quasi coincide<br />
con quella dell’industr ia<br />
italiana. Gli operai delle piccole<br />
e medie imprese stanno<br />
lottando per non perdere il<br />
lavoro. Si sta esaurendo il<br />
monte ore della cassa integrazione:<br />
nella sola Lombardia,<br />
per esempio secondo i dati<br />
forniti dalla Cgil regionale, il<br />
ricorso è aumentato del 465<br />
per cento rispetto allo scorso<br />
anno. Si tratta soprattutto di<br />
ricorso alla cassa integrazione<br />
“ordinar ia” (+ 825%) mentre<br />
la “straordinar ia” è cresciuta<br />
del 200 per cento. Il<br />
settore maggiormente colpito<br />
è quello industriale ma non<br />
se la passano certo meglio il<br />
<strong>com</strong>mercio (+425%), il legno(+800%)<br />
la meccanica (+<br />
951%), lavorazione dei metalli<br />
(+ 523%) e il <strong>com</strong>parto chimico<br />
(532%). Secondo molti<br />
economisti l’occupazione<br />
continuerà a scendere almeno<br />
fino a quando il Prodotto<br />
interno lordo non crescerà almeno<br />
di un punto percentuale<br />
all’anno, forse nel 2010.<br />
Non è certo incoraggiante <strong>dove</strong>r<br />
ricordare anche <strong>com</strong>e il<br />
reddito italiano nel 2009 sia<br />
rimasto ai livelli di 10 anni fa.<br />
Secondo una rielaborazione<br />
fornita dall’ultimo World Economic<br />
Outlook del Fondo<br />
monetario, infatti, il reddito<br />
pro capite nel 1999 era pari a<br />
28.691 euro mentre nel 2009<br />
era ancora quasi uguale,<br />
28.806 euro. Con un picco<br />
nel solo 2007 a 31.142 euro.<br />
Insomma, nonostante quello<br />
che dicono alcuni politici ci<br />
sono poche ragioni di cedere<br />
La vittoria<br />
operaia alla<br />
Innse resta<br />
un caso unico<br />
all’ottimismo.<br />
Le zone. Spulciando poi il<br />
rapporto Excelsior (Unioncamere<br />
– ministero del Lavoro)<br />
scopriamo <strong>com</strong>e, regione per<br />
regione, non ci sia <strong>com</strong>parto<br />
che non sia coinvolto da ridimensionamenti,<br />
tagli e<br />
chiusure. Nei giorni scorsi si<br />
è parlato soprattutto di Milano<br />
ma le zone di crisi della<br />
Lombardia sono anche, per<br />
esempio Dalmine (Bergamo),<br />
<strong>dove</strong> il gruppo Tenaris ha appena<br />
annunciato il taglio di<br />
717 posti di lavoro (oltre a un<br />
altro centinaio nel sito di Costa<br />
Volpino). Complessivamente<br />
a livello regionale sa-<br />
PIANO CASA<br />
“N<br />
Gli operai della Innse un mese dopo (FOTO DI EL I S A B E T TA REGUITTI)<br />
BASSOLINO E GLI SPECULATORI<br />
on vedo questo esercito di<br />
speculatori diretto verso<br />
Napoli est”. Parole di Antonio<br />
Bassolino durante il dibattito in aula<br />
sul “Piano Casa” nella versione della<br />
regione Campania. Il Governatore<br />
difende gli indirizzi del discusso disegno<br />
di legge, pur dicendosi favorevole a<br />
modifiche. “Se l’articolo 5 significa la<br />
dismissione di tutte le attività<br />
industriali per trasformarle in edilizia<br />
residenziale, sono io stesso a ritirarlo.<br />
Però ci sono zone <strong>com</strong>e quella di<br />
Napoli est <strong>dove</strong> c’è ben poco da<br />
salvaguardare e tanto degrado da<br />
RECESSIONE<br />
20 mila lavoratori. Nelle Marche<br />
l’aumento della cassa integrazione<br />
si aggira intorno al<br />
90 per cento. Sono quasi 2<br />
mila i posti a rischio nei settori<br />
gomma ed elettrodomestici<br />
e non stanno certo meglio<br />
gli occupati delle subforniture<br />
di abbigliamento e del<br />
calzaturiero di Fermo e dintorni:<br />
<strong>com</strong>plessivamente 140<br />
aziende che potrebbero non<br />
riaprire. Rimanendo in area<br />
tessile è impossibile non ricordare<br />
le profonde difficoltà<br />
in cui versano i piccoli imprenditori<br />
“contoterzisti” -<br />
che lavorano cioè per conto<br />
di terzi - toscani e in particolare<br />
di Prato. Simbolo tra tutti<br />
la Roccatura di Russotto. Da<br />
segnalare, sempre nelle Marche,<br />
la Manuli Rubber di<br />
Ascoli Piceno che ha annunciato<br />
la chiusura e messa in<br />
mobilità di 375 lavoratori. Nel<br />
Lazio le stime parlano di ben<br />
70 mila posti “va c i l l a n t i ” in<br />
particolare nell’indotto aeronautico.<br />
Ottomila in Puglia<br />
con il siderurgico di Taranto<br />
in stallo per la crisi dell’acciaio<br />
(6 mila e 500 in cassaintegrazione)<br />
e il distretto del<br />
salotto (1500 persone in Cig).<br />
In Campania si sale a 12 mila<br />
posti a rischio sparsi tra i settori<br />
del conciario, tessile,<br />
elettrodomestici, cantieri navali<br />
ma anche le aziende<br />
dell’indotto Fiat. Come Termini<br />
Imerese e Pomigliano<br />
d’Arco prime su tutte. A chiudere<br />
il nostro pesante giro<br />
d’Italia della disoccupazione<br />
ricordiamo il rischio licenziamento<br />
per quasi tre mila lavoratori<br />
in Sicilia (<strong>com</strong>parti<br />
dell’ elettronica ma anche<br />
della nautica) senza dimenticare<br />
la profonda crisi in cui<br />
versano pure i pescatori siciliani.<br />
Sono invece 10 mila i<br />
posti in bilico in Sardegna: 7<br />
mila nel solo Petrolchimico di<br />
Porto Torres.<br />
di Vincenzo Iurillo<br />
re c u p e ra re ”.<br />
Il testo uscito dalla <strong>com</strong>missione<br />
Urbanistica, sul quale c’è un accordo<br />
tra Pd e Pdl, prevede che i terreni su cui<br />
sorgono fabbriche chiuse possono<br />
essere riconvertite in abitazioni solo se<br />
l’attività produttiva è cessata da<br />
almeno un anno.<br />
Il partito di Sinistra e Libertà non<br />
ritiene questa soluzione sufficiente a<br />
scongiurare il rischio di una<br />
desertificazione industriale e ha<br />
depositato circa 1200 emendamenti.<br />
Domani il disegno di legge dovrebbe<br />
tornare in aula.<br />
di Bruno Veneziani *<br />
(+0,2) nel 2010. Il problema è che se in questi<br />
anni difficili chiudono troppe imprese, quando la<br />
domanda mondiale di consumi tornerà a<br />
crescere, il nostro sistema produttivo potrebbe<br />
aver perso troppi pezzi importanti per<br />
approfittarne. E quindi continuare con la crescita<br />
zero che già abbiamo sperimentato, con rare<br />
eccezioni, nell’ultimo decennio.<br />
Gino Giugni ha insegnato all’ Università di Bari per 15<br />
anni, durante i quali ha vissuto una delle più significative<br />
esperienze della sua vita di professore prestato<br />
alla politica. Quel periodo rappresenta al contempo<br />
l’anagrafe di un paese in trasformazione e una vicenda personale<br />
in cui vita istituzionale e politica, lavoro scientifico,<br />
magistero accademico-culturale sono destinati ad accelerare<br />
il cambiamento nella metodologia di ricerca e nelle relazioni<br />
industriali. Il quindicennio è stato il momento significativo<br />
della trasformazione del diritto del lavoro e dell’analisi<br />
dei rapporti sociali in un paese in cambiamento.<br />
Se Gino Giugni ha trovato terreno fertile per l’operazione di<br />
svecchiamento culturale all’interno dell’accademia, ancor<br />
più naturale è stato indirizzare il proprio impegno riformatore<br />
verso l’attività legislativa. L’idea maturata durante il soggiorno<br />
nella scuola di Wisconsin, negli Stati Uniti, era che la<br />
legge <strong>dove</strong>sse svolgere un ruolo di riequilibrio nei rapporti<br />
socialmente asimmetrici connaturati al contratto di lavoro<br />
tra imprenditori e lavoratori. L’occasione è propizia. Brodolini,<br />
divenuto ministro del lavoro nel 1968, nomina Giugni<br />
capo dell’ufficio legislativo del suo ministero e presidente<br />
di una <strong>com</strong>missione di esperti che dovrà redigere il<br />
progetto di riforma delle relazioni industriali, divenuto legge<br />
con il nome di Statuto dei lavoratori (legge 20 maggio<br />
1970, n.300).<br />
L<br />
a legge ha una forza d’urto impressionante nel tessuto<br />
sociale e nella cultura sindacale e industriale dell’epoca.<br />
Suscita reazioni violente, persino s<strong>com</strong>poste, negli ambienti<br />
imprenditoriali. Ma per l’opinione pubblica, meno condizionata<br />
da pregiudizi, finalmente la Costituzione italiana<br />
era entrata nelle fabbriche. Era vero, in quel testo erano contenute<br />
alcune idee-forza che nascevano dalla collaborazione<br />
degli esperti ma soprattutto dalla cultura genuinamente laburista<br />
di colui che guidava i lavori. Vi si proclamava il principio<br />
del rispetto della dignità e della libertà dell’uomo che<br />
lavora e se ne configurava la sua condizione di “cittadino”<br />
dell’impresa. La tutela contro le discriminazioni, la libertà di<br />
manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni, il diritto<br />
a non essere controllati da un ‘grande fratello’ occulto,<br />
il diritto di esprimere con pienezza la propria personalità<br />
sono le varianti individuali di diritti collettivi, <strong>com</strong>e la libertà<br />
ed attività sindacale, sino ad allora godibili solo all’ester no<br />
della cittadella dell’impresa. Invece lo Statuto li lascia penetrare<br />
nel perimetro aziendale ove si può esercitare il diritto<br />
di sciopero, riunire in assemblea, indire referendum,<br />
fare proselitismo. L’innovazione è forte e obbliga al cambiamento<br />
di rotta tutti i protagonisti, chiede al sindacato una<br />
cultura del conflitto ma anche del dialogo e della contrattazione,<br />
all’azienda una strategia diversa di gestione delle<br />
risorse umane, allo Stato di promuovere il dialogo sociale,<br />
più che lo scontro frontale, tra interessi contrapposti.<br />
Q<br />
ADDIO A GIUGNI<br />
con lui la Costituzione<br />
entrò nelle fabbriche<br />
ueste idee non hanno perso valore, costituiscono il DNA<br />
più originale della legge, ancora oggi, quando la crisi economica<br />
e finanziaria muta il panorama sociale, accentua la<br />
segmentazione del mercato del lavoro, accelera la crescita<br />
della disoccupazione e rende precari i rapporti di lavoro. La<br />
flessibilità è oggi ritenuta la panacea di tutti mali, ma costituisce<br />
anche il sintomo più evidente della differente qualità<br />
dell’occupazione sempre più precaria e sfuggente alle<br />
tutele. L’idea cui Giugni si è richiamato sempre è che vadano<br />
rafforzati i diritti di quanti lavorano a qualsiasi titolo, attraverso<br />
una piattaforma di diritti civili che la contrattazione<br />
collettiva da sola non può costruire. Ogni tentativo di riforma,<br />
oggi, non può non passare attraverso questa eredità<br />
p re z i o s a .<br />
*ordinario di Diritto del Lavoro all’Università di Bari