30.05.2013 Views

Il Laboratorio Lug 2009 - Grande Oriente D'Italia - Lombardia

Il Laboratorio Lug 2009 - Grande Oriente D'Italia - Lombardia

Il Laboratorio Lug 2009 - Grande Oriente D'Italia - Lombardia

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

N 85<br />

<strong>Lug</strong>lio<br />

Agosto<br />

Settembre<br />

<strong>2009</strong><br />

ISSN 1128-3599<br />

®


Periodico fondato nel 1992<br />

N 85<br />

<strong>Lug</strong>lio, Agosto, Settembre <strong>2009</strong><br />

Spedizione in abbonamento postale 50% periodico bimestrale<br />

SOMMARIO<br />

1<br />

ISSN 1128-3599


Nuove esigenze, nuove tolleranze Diritti e doveri<br />

nella Toscana del terzo millennio È pura illusione credere<br />

che l’alba del terzo millennio abbia lasciato<br />

definitivamente alle nostre spalle tutte le difficoltà e le<br />

brutture del Novecento L’eredità del “secolo breve” si<br />

fa sentire – eccome si fa sentire – con tutto il suo<br />

carico di meschinità, pericoli e zavorre proprie dell’uomo<br />

e che ne caratterizzano l’incerto incedere La storia<br />

si ripete e chi saprà rileggerne le fasi saprà anche comprendere<br />

i sintomi di ciò che sta accadendo e, forse,<br />

trovare la cura ai mali Non dobbiamo però farci travolgere<br />

dal pessimismo La società contemporanea non è<br />

peggiore di quelle dei decenni o dei secoli addietro <strong>Il</strong><br />

cammino dell’uomo è senza dubbio segnato dal progresso<br />

e tanti piccoli passi sono stati compiuti, nelle<br />

scienze, nel diritto, nella società civile Ma la meta non<br />

è ancora raggiunta: da una parte l’Occidente, evoluto<br />

ma non sano, oppresso da opulenza ed eccessi; dall’altra<br />

il Sud del Mondo gravato da ingiustizie e carenze<br />

Ci sono nuovi problemi che prendono il posto delle<br />

questioni risolte Nuovi impegni dei quali farsi carico<br />

L’Ottocento è stato il secolo delle guerre di indipendenza<br />

che hanno portato alla formazione degli Stati<br />

nazionali <strong>Il</strong> Novecento quello dei grandi conflitti mondiali<br />

che hanno sconvolto soprattutto l’Europa L’era<br />

contemporanea vede molti focolai di tensione in tutto il<br />

mondo, con il fronte geopolitico che si sta propagando<br />

nell’emisfero meridionale, con le nuove strategie del<br />

terrore che non lasciano nessuno al sicuro (New York,<br />

Madrid, Mumbay, Londra, insegnano …) Le tragedie<br />

causate dall’uomo hanno indurito il cuore dell’umanità,<br />

innalzando muri e steccati Uomo contro uomo Le catastrofi<br />

naturale, la povertà endemica di alcuni paesi e<br />

la cattiva distribuzione delle risorse stanno creando<br />

movimenti di masse umane che non possiamo ignorare<br />

Pena l’ingovernabilità Nuove esigenze di dialogo, in-<br />

Editoriale<br />

Stefano Bisi<br />

2<br />

contro e accoglienza dovranno “formare” le scelte etiche<br />

e politiche del nord del mondo e anche della Toscana,<br />

porzione felice e fortunata di questo emisfero<br />

rispetto a tante altri posti La storia della nostra regione<br />

andrebbe studiata meglio Offre tanti spunti di come<br />

l’uomo possa essere artefice di grandi opere quando<br />

mosso da volontà ferrea e nobili intenti: dagli etruschi<br />

ai comuni medievali, dalle signorie rinascimentali ai fautori<br />

delle libertà postunitarie fino ai costruttori del benessere<br />

del secondo Novecento <strong>Il</strong> filo conduttore che<br />

lega questi esempi di “buona società” sono le regole<br />

che gli uomini si sono dati per convivere pacificamente<br />

e crescere in armonia nel segno della solidarietà e del<br />

progresso Ma soprattutto con buon senso, quel buon<br />

senso che, celebrando la Toscana risorgimentale, impedì<br />

lo scorrere di sangue fraterno preferendo l’uso<br />

della regione a quello della forza<br />

Far parte di una società significa, infatti, rispettarne<br />

le regole, contribuire alla sua crescita nel rispetto<br />

degli altri, abbattere il divario, fare ad altri<br />

ciò che vorremmo che fosse fatto a noi Per questo<br />

vorremmo concludere con un appello alla solidarietà,<br />

affinché tutta la Comunione toscana faccia sentire<br />

più dell’affetto alla martoriata città di Viareggio,<br />

con un gesto d’amore concreto Le Logge di<br />

Viareggio, “Felice Orsini” (134) e “Dante Alighieri”<br />

(932), con il Collegio Circoscrizionale MMVV della<br />

Toscana, invitano tutti gli uomini liberi e di buona<br />

volontà a contribuire con una donazione alla Pubblica<br />

Assistenza Croce Verde di Viareggio, istituzione storica<br />

versiliese, con oltre 120 anni di attività al servizio di<br />

chi soffre La tragedia del 30 giugno scorso ha devastato<br />

anche la sede della Croce Verde, distruggendo<br />

alcuni mezzi Aiutiamo i viareggini a far correre ancora<br />

gli angeli del soccorso della Croce Verde! <strong>Il</strong> risorgimento<br />

di Viareggio sarà un nuovo Risorgimento<br />

<strong>Il</strong> Burlamacco di Viareggio<br />

Fu dipinto sul manifesto del Carnevale 1931, da Uberto Sonetti ideatore del nome, già utilizzato per il canale del porto, il Burlamacca<br />

Come contribuire: Versare i contributi sul C/C presso la Cassa di Risparmio di Lucca, Agenzia di Via Garibaldi, Viareggio Codice<br />

IBAN: IT 62 L 06200 24873 000000000588, intestato a “Comitato Giustizia Libertà e Fratellanza” causale “Croce Verde”


Premessa<br />

Dopo l’annientamento della gran vampata rivoluzionaria<br />

quarantottesca, l’Europa tornò in uno stato di<br />

calma apparente e l’assolutismo sembrò uscire dalla<br />

prova rassicurato e rafforzato, poiché la reazione aveva<br />

trionfato ovunque e aveva, in molti casi, spezzato<br />

la lenta evoluzione verso regimi più liberali che si delineava<br />

prima del 1848 In realtà l’Europa metternichiana<br />

era finita per sempre e da questo momento si può affermare<br />

che tutta l’Europa occidentale riconobbe, più<br />

o meno lentamente, più o meno radicalmente, la necessità<br />

di regimi costituzionali che associassero nel governo<br />

le nuove classi dirigenti Si faceva irresistibile il<br />

movimento verso l’unificazione nazionale dei due popoli<br />

sacrificati dai trattati di Vienna: il tedesco e l’italiano<br />

Perciò gli avvenimenti del 1848-1849 costituiscono<br />

una vera e propria svolta nella storia europea<br />

1849-1859: dieci anni di palpiti e di ansie<br />

1859: nasce l’Italia degli italiani<br />

La reazione in Italia La situazione in Italia dal<br />

1849 in poi è caratterizzata dal trionfo delle tendenze<br />

reazionarie in tutti gli Stati tranne che nel regno di<br />

Sardegna A Napoli, a Roma e a Firenze le costituzioni<br />

promulgate nel 1848 furono sospese o soppresse I<br />

processi politici seguiti da varie condanne colpirono i<br />

principali esponenti dei movimenti liberali e rivoluzionari<br />

Guarnigioni austriache rimanevano in Toscana e<br />

nello Stato pontificio, mentre truppe francesi presidiavano<br />

Roma A Napoli Ferdinando II sospendeva la<br />

costituzione e impostava grandi processi politici che<br />

portarono a pesanti condanne esponenti liberali di grande<br />

valore tra i quali Luigi Settembrini e Silvio Spaventa<br />

Persino il granduca di Toscana abbandonò la sua<br />

tradizionale politica di moderazione tornando a Firenze<br />

in uniforme di generale austriaco Inoltre nel 1851 concludeva<br />

con la Santa Sede un concordato che rinnegava<br />

tutta la politica ecclesiastica di Pietro Leopoldo La<br />

dinastia dei Lorena andava perdendo la sua popolarità,<br />

mentre gli spiriti moderati toscani si rivolgevano verso il<br />

Piemonte costituzionale A loro volta i duchi di Parma e<br />

di Modena, restaurati sui loro troni, seguivano fedelmente<br />

le direttive del governo di Vienna nel quale – per determinazione<br />

del nuovo imperatore Francesco Giuseppe –<br />

erano tornate predominanti le tendenze antiliberali e assolutiste<br />

<strong>Il</strong> ferreo regime della reazione austriaca si fece<br />

sentire soprattutto nel Lombardo-Veneto, dove rimase<br />

esponente della politica più rigida il vecchio maresciallo<br />

Radetzky I tentativi di congiure e di movimenti liberali<br />

furono stroncati con criteri di spietata severità Nel 1852<br />

si ebbero i processi di Mantova seguiti non solo da condanne<br />

all’ergastolo, ma anche da nove impiccagioni com-<br />

Blasco Mucci<br />

3<br />

piute sugli spalti mantovani di Belfiore La schiera di questi<br />

martiri comprese tutti gli strati sociali della comunità:<br />

nobili, professionisti, medici, operai e persino un sacerdote<br />

Nel 1853 un’altra occasione di repressione e condanne<br />

fu creata dal governo austriaco da un tentativo di<br />

sommossa – 6 febbraio 1853 – a Milano In seguito a<br />

questi avvenimenti apparve chiaro che il risveglio della<br />

coscienza nazionale era ormai pieno e completo, mentre<br />

lo spietato rigore dell’oppressione austriaca rendeva sempre<br />

più profondo l’abisso tra le popolazioni italiche e il<br />

governo di Vienna<br />

<strong>Il</strong> Piemonte costituzionale <strong>Il</strong> solo Stato italiano<br />

che riuscì ad evitare la reazione fu il regno di Sardegna,<br />

l’unico in cui sopravvissero una Costituzione e<br />

un libero Parlamento Tuttavia, dopo la duplice sconfitta<br />

del 1848 e del 1849 le classi conservatrici che predominavano<br />

a corte cercarono di ridare vita all’antica<br />

politica reazionaria facendo leva, in tal senso, sul nuovo<br />

re Vittorio Emanuele II Egli però affrontò con fermezza<br />

la situazione, affidando la carica di presidente<br />

del Consiglio a Massimo D’Azeglio, noto esponente<br />

liberale e convinto sostenitore del regime costituzionale<br />

Questi con la sua attività di Capo del governo –<br />

1849-1852 – contribuì in prima linea al consolidamento<br />

del regime costituzionale, superando tutte le difficoltà,<br />

compresa quella di una violenta agitazione clerico-reazionaria<br />

fomentata dal papa e rivolta contro le “leggi<br />

Siccardi” che abolivano il diritto d’asilo e il foro ecclesiastico,<br />

mirando a eliminare antichi privilegi ecclesiastici<br />

ormai incompatibili in un Paese costituzionale <strong>Il</strong><br />

piccolo regno sabaudo divenne, pertanto, il centro<br />

verso il quale si appuntarono gli sguardi e le speranze<br />

dei liberali delle altri parti d’Italia Per l’effetto dell’afflusso<br />

di profughi da altri Stati italici avvenne la rottura<br />

delle barriere del particolarismo e del regionalismo<br />

L’ascesa del Piemonte dal punto di vista economico,<br />

politico e civile ricevette decisivo impulso quando<br />

emerse e predominò Camillo Benso conte di Cavour<br />

Prima come ministro dell’Agricoltura e poi come ministro<br />

delle Finanze, Cavour assunse ben presto una<br />

posizione di primo piano ottenendo successi tali da<br />

oscurare addirittura la personalità politica di Massimo<br />

D’Azeglio che il 4 novembre 1852 propose al re di affidargli<br />

l’incarico di formare un nuovo ministero In virtù<br />

di tutto ciò il Piemonte assunse ben presto un volto<br />

nuovo, anche perché una giovane e attiva borghesia<br />

industriale e commerciale si andava sostituendo alle<br />

vecchie classi conservatrici nella guida del Paese <strong>Il</strong><br />

progressivo consolidamento politico, economico e militare<br />

verificatosi nel regno spinse Cavour verso un’audace<br />

politica estera capace di fare uscire il piccolo Piemonte<br />

dall’isolamento internazionale


La guerra di Crimea 1854-1855 <strong>Il</strong> primo passo<br />

da fare era quello di imporre il problema italiano all’attenzione<br />

europea e fra le circostanze che favorirono la<br />

politica cavouriana furono il ritorno di un Bonaparte –<br />

Luigi Napoleone (Napoleone III nipote di Napoleone il<br />

<strong>Grande</strong>) – alla guida della Francia e una nuova complicazione<br />

nella questione d’<strong>Oriente</strong> Queste due situazioni,<br />

abilmente sfruttate da Cavour, permisero al regno<br />

di Sardegna di stringere utili e fecondi legami con<br />

le due grandi potenze occidentali: l’Inghilterra e la Francia<br />

Verso la metà del XIX secolo Francia e Inghilterra<br />

avevano quasi completamente soppiantato la Russia<br />

sui mercati del Vicino <strong>Oriente</strong> Lo zar Nicola I cercava<br />

ripetutamente di proporre alle due potenze europee dei<br />

piani di spartizione dell’impero ottomano, gravemente<br />

in crisi, ma non incontrava mai dei consensi espliciti,<br />

poiché si temeva un ingresso dei russi nel Mediterraneo<br />

e nei Balcani<br />

<strong>Il</strong> pretesto che fece scoppiare la guerra fu trovato<br />

in una disputa che divideva il clero cattolico da quello<br />

ortodosso nell’amministrazione dei cosiddetti “Luoghi<br />

santi” di Gerusalemme, a quel tempo sotto il controllo<br />

politico turco Luigi Napoleone, divenuto nel 1851 imperatore<br />

di Francia col nome di Napoleone III, ardeva<br />

dal desiderio di rafforzare il proprio trono con una piccola<br />

guerra vittoriosa in oriente, e per questa ragione<br />

concluse un patto militare con gli inglesi Ad iniziare<br />

le ostilità fu lo zar di Russia Nicola I che occupò i<br />

principati danubiani di Moldavia e Valacchia (l’odierna<br />

Romania) appartenenti all’Impero ottomano Scoppiata<br />

così la guerra, Francia e Inghilterra scesero subito<br />

in campo contro la Russia assolutista e semifeudale,<br />

pronte ad impedire un suo allargamento territoriale<br />

nell’area balcanica Direttamente interessata alle sorti<br />

dei Balcani, ma timorosa di mettersi a fianco delle tradizionali<br />

nemiche (Francia e Inghilterra), l’Austria ostentò<br />

una neutralità che tuttavia le consentì di occupare,<br />

col consenso del sultano turco, i due principati danubiani<br />

abbandonati dalle truppe d’occupazione russe<br />

Fu a questo punto che si inserì la diplomazia piemontese:<br />

Cavour, che non aveva previsto la neutralità<br />

austriaca, si era adoperato per stringere accordi con<br />

Francia e Inghilterra in vista di una comune azione<br />

contro Austria e Russia; e si trovò costretto a prendere<br />

parte al conflitto sollecitato dagli alleati che avevano<br />

anche l’interesse di garantire all’Austria che, se<br />

fosse intervenuta al loro fianco, nulla sarebbe accaduto<br />

alle sue spalle, cioè in Italia Tuttavia Cavour ritenne<br />

che l’intervento piemontese, pur nella mutata situazione,<br />

fosse opportuno, ed i fatti successivi gli diedero<br />

ragione Così un corpo di spedizione di 15000 uomini<br />

al comando del generale Alfonso La Marmora partì,<br />

verso la metà del 1855, per la Crimea (dove appunto si<br />

svolgeva il conflitto e prese parte alla battaglia della<br />

Cernaia ed all’assedio di Sebastopoli, la potente piazzaforte<br />

russa che resistette circa un anno all’assedio<br />

delle truppe anglo-franco-piemontesi) L’obiettivo che<br />

4<br />

Cavour si prefiggeva era la partecipazione del Piemonte<br />

alle trattative di pace e la conseguente possibilità di<br />

porre le condizioni dell’Italia sul tappeto degli interessi<br />

generali delle potenze europee Ciò avvenne al Congresso<br />

di Parigi dove, caduta Sebastopoli, i rappresentanti<br />

delle potenze europee si riunirono per le trattative<br />

di pace (1856) <strong>Il</strong> gioco di Cavour era perfettamente<br />

riuscito: come rappresentante del piccolo Stato<br />

piemontese egli sedeva, a parità di rango, accanto a<br />

quelli di Francia, Inghilterra, Austria, Russia, e poteva<br />

illustrare, in una seduta supplettiva chiesta ed ottenuta,<br />

nonostante le proteste austriache, le penose condizioni<br />

di soggezione e vassallaggio in cui le popolazioni<br />

del Lombardo Veneto e dell’Italia meridionale erano<br />

tenute dagli Asburgo e dai Borboni La questione italiana<br />

era posta come qualcosa di cui l’Europa progressista<br />

doveva in qualche modo occuparsi Oltre a ciò,<br />

con la partecipazione al Congresso di Parigi, il Piemonte<br />

si guadagnò definitivamente, agli occhi del movimento<br />

liberale italiano, il ruolo di protagonista della<br />

lotta contro l’Austria La guerra di Crimea aveva peraltro<br />

reso Napoleone III arbitro della politica europea<br />

L’isolamento dell’Austria, la sconfitta dell’iniziativa<br />

russa, l’alleanza con l’Inghilterra, davano all’imperatore<br />

dei francesi la possibilità di portare a compimento<br />

l’influenza francese sull’Europa appoggiandosi ai movimenti<br />

nazionali<br />

L’epopea<br />

La Società nazionale L’associazione fu fondata<br />

nell’agosto 1857 ed ebbe come presidente Daniele Manin,<br />

che tuttavia morì poco dopo (22 settembre 1857),<br />

mentre Giuseppe La Farina ne era il segretario La struttura<br />

viene fatta risalire a due lettere di Manin: del 22<br />

gennaio 1856 e del 29 maggio 1856 Dopo la sua morte,<br />

nel dicembre 1857, ne divenne presidente Giorgio Pallavicino<br />

Trivulzio, in passato portavoce di Daniele<br />

Manin in Piemonte, e vicepresidente onorario Giuseppe<br />

Garibaldi Nella dichiarazione costitutiva della Società<br />

veniva affermata la necessità dell’unificazione e<br />

dell’azione popolare, ribadito il principio dell’indipendenza<br />

italiana, e si identificava il mezzo per raggiungere<br />

questi obiettivi nell’appoggio a Casa Savoia <strong>Il</strong> vero<br />

ispiratore dell’associazione era ritenuto quindi il conte<br />

di Cavour Anche a causa della crisi del movimento<br />

mazziniano, la Società nazionale si diffuse in tutta Italia,<br />

clandestinamente nella maggior parte degli Stati preunitari<br />

italiani e alla luce del sole nel regno di Sardegna<br />

Raggiunta l’Unità d’Italia 1861) l’associazione<br />

declinò lentamente, in quanto il suo programma era<br />

stato fatto proprio dal governo italiano e, nel 1862,<br />

venne sciolta<br />

Plombières In questo quadro Francia e Piemonte<br />

firmarono a Plombières, nel luglio 1858, un trattato segreto<br />

di alleanza antiaustriaca L’alleanza fu resa possibile<br />

dal fatto che la politica di Cavour aveva dato<br />

ampie garanzie alla Francia di muoversi su un piano


antidemocratico (vedi le dure polemiche di Cavour contro<br />

Mazzini e i suoi metodi insurrezionali) Gli accordi<br />

segreti di Plombières riguardavano l’assetto da dare al<br />

territorio italiano dopo una eventuale vittoria sull’Austria,<br />

contro la quale l’imperatore si impegnava a scendere<br />

in campo accanto al Piemonte soltanto se quella<br />

avesse dichiarato per prima la guerra Si prevedeva<br />

una confederazione di Stati italiani comprendente il<br />

regno dell’Italia settentrionale (Piemonte, Lombardo-<br />

Veneto, Romagna, Emilia) su cui avrebbe regnato la<br />

dinastia sabauda, un regno dell’Italia centrale, da assegnare<br />

ad un principe francese ma che al proprio interno<br />

avrebbe consentito il mantenimento dell’autorità<br />

pontificia sulla città di Roma, ed il regno dell’Italia<br />

meridionale dove, ai Borboni spodestati, sarebbe succeduto<br />

un discendente di Gioacchino Murat Nizza e la<br />

Savoia, due province del regno di Sardegna confinanti<br />

con la Francia, costituirono il compenso chiesto al Piemonte<br />

dall’imperatore in cambio del suo intervento<br />

Queste condizioni, dettate da Napoleone III, furono<br />

accettate da Cavour, convinto che il processo di unificazione<br />

nazionale avrebbe avuto tempi più lunghi di<br />

quanto pensassero i democratici e tutto il movimento<br />

unitario, e che al Piemonte fosse possibile assumere<br />

un ruolo dominante nella Confederazione italiana Da<br />

parte francese vi era tutta l’intenzione di porre sotto la<br />

propria egemonia gli Stati italiani confederati<br />

La guerra Dopo l’incontro di Plombières l’impegno<br />

di Cavour fu uno solo: indurre l’Austria a dichiarare<br />

guerra al Piemonte A tal fine cominciò a mobilitare<br />

l’esercito, a ordinare spostamenti di truppe e ad armare<br />

i numerosi volontari che da qualche tempo giungevano<br />

da ogni parte della penisola Dall’inizio del 1859<br />

il governo piemontese adottò un comportamento molto<br />

provocatorio nei confronti dell’impero austriaco<br />

Condizione necessaria dell’accordo, infatti, era che<br />

fosse l’Austria a dichiarare guerra Erano tornati in Italia<br />

Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi e a quest’ultimo<br />

fu affidato il compito di organizzare un corpo di<br />

volontari, i Cacciatori delle Alpi, senza porre limiti all’arruolamento<br />

di fuoriusciti dal Lombardo-Veneto Non<br />

al corrente degli accordi di Plombières, con l’intento di<br />

replicare l’operazione così ben riuscita al maresciallo<br />

Josef Radetzky contro Carlo Alberto a Novara nel 1849,<br />

il 26 aprile 1859, l’Austria dichiarò guerra al regno di<br />

Sardegna La Francia – impegnata dall’alleanza difensiva<br />

– scese in campo non senza resistenze interne<br />

Già il 29 aprile l’esercito austriaco comandato dal generale<br />

d’artiglieria Franz von Giulay attraversò il Ticino<br />

nei pressi di Pavia ed invase il territorio piemontese,<br />

il 30 occupò Novara, Mortara e, più a nord, Gozzano,<br />

il 2 maggio Vercelli, il 7 Biella<br />

L’azione non fu ostacolata dall’esercito piemontese,<br />

accampato a sud fra Alessandria, Valenza e Casale<br />

Gli austriaci arrivarono sino a 50 km da Torino A questo<br />

punto, tuttavia, von Giulay invertì ordine di marcia<br />

e si ritirò oltre il Sesia e poi verso la <strong>Lombardia</strong>: un<br />

5<br />

ordine espresso da Vienna, infatti, gli aveva suggerito<br />

che “il miglior teatro di operazioni è il Mincio” dove<br />

gli austriaci avevano, appena 11 anni prima, arrestato<br />

l’avanzata piemontese e salvato i propri domini in Italia<br />

Così facendo, tuttavia, gli austriaci rinunciavano a<br />

battere separatamente piemontesi e francesi, e consentivano<br />

il ricongiungimento dei due eserciti <strong>Il</strong> comando<br />

austriaco, inoltre, operava una totale inversione strategica,<br />

che difficilmente può essere spiegata senza ipotizzare<br />

una certa confusione Certamente non ne fu responsabile<br />

von Giulay al quale, semmai, può essere<br />

rimproverata una certa debolezza nell’azione La II divisione<br />

del generale Joseph Vinoy, appartenente al IV<br />

Corpo dell’armata francese il 5 maggio 1859 entra in<br />

Piemonte attraverso il valico del Moncenisio <strong>Il</strong> 14<br />

maggio 1859 Napoleone III, partito il 10 maggio da Parigi<br />

e sbarcato il 12 a Genova, raggiunse il campo di Alessandria<br />

per assumere il comando dell’esercito francopiemontese<br />

Con il grosso dell’esercito rientrato al di<br />

qua del Ticino e del Po, il 20 maggio 1859 von Giulay<br />

comandò una grande ricognizione a sud di Pavia Essa<br />

venne fermata a Montebello (20-21 maggio) dai francesi<br />

del generale Élie Frédéric Forey, futuro maresciallo<br />

di Francia, con l’intervento determinante della cavalleria<br />

sarda del colonnello Morelli di Popolo<br />

<strong>Il</strong> 30 ed il 31 maggio i piemontesi di Enrico Cialdini<br />

e di Giacomo Durando riportarono una brillante<br />

vittoria alla battaglia di Palestro Un contrattacco fu<br />

affidato al terzo reggimento degli zuavi del colonnello<br />

Marie-Etienne-Emmanuel-Bertrand de Chabron,<br />

al quale prese parte lo stesso re Vittorio Emanuele II di<br />

Savoia, che fu gratificato del titolo di caporale d’onore<br />

degli zuavi Parallelamente avanzavano anche i francesi,<br />

che il 2 giugno varcarono il Ticino: essi assicurarono<br />

il passaggio battendo gli austriaci alla battaglia di<br />

Turbigo Gyulai aveva concentrato le proprie forze nei<br />

pressi della cittadina di Magenta dove venne assalito<br />

il 4 giugno dai francesi i quali riportarono una brillante<br />

vittoria La vittoria è principalmente da attribuire a Patrice<br />

de Mac-Mahon e ad Auguste de Saint-Jean d’Angely,<br />

che in tal modo si guadagnarono sul campo la<br />

promozione a maresciallo di Francia, ma vi ebbero un<br />

ruolo primario anche il generale Emmanuel Félix de<br />

Wimpffen e il generale Manfredo Fanti, a capo dell’unico<br />

reparto sardo impegnato<br />

<strong>Il</strong> 5 giugno l’esercito austriaco sconfitto sgombrava<br />

Milano, dove entrava il 7 giugno Mac-Mahon (preceduto<br />

dalle truppe algerine dei turcos), per preparare<br />

l’8 giugno l’ingresso trionfale di Napoleone III e di<br />

Vittorio Emanuele, fra le acclamazioni della popolazione,<br />

attraverso l’Arco della Pace e la Piazza d’armi (oggi<br />

Parco Sempione), dove era schierata la Guardia imperiale<br />

<strong>Il</strong> 9 giugno il Consiglio comunale di Milano votò<br />

per acclamazione un indirizzo che, ribadendo la validità<br />

del plebiscito del 1848, sanciva l’annessione della<br />

<strong>Lombardia</strong> al regno di Vittorio Emanuele II <strong>Il</strong> 22 maggio<br />

i Cacciatori delle Alpi, passarono in <strong>Lombardia</strong> dal


Lago Maggiore a Sesto Calende, con l’obiettivo di<br />

operare nella fascia prealpina in appoggio all’offensiva<br />

principale <strong>Il</strong> 26 difesero Varese da un attacco di<br />

superiori forze austriache guidate dal generale Karl von<br />

Urban <strong>Il</strong> 27 maggio batterono il nemico alla battaglia<br />

di San Fermo ed occuparono Como, la città maggiore<br />

dell’area, l’8 giugno Garibaldi era a Bergamo, il 13 a<br />

Brescia, entrambe già evacuate dagli austriaci Nel frattempo,<br />

da Magenta, iniziò la ritirata austriaca: gli austriaci<br />

si raccolsero oltre l’Adda, tappa per le fortezze<br />

del Quadrilatero Franz von Giulay, infatti, aveva intenzione<br />

di portare le due armate austriache entro i<br />

limiti di queste fortezze, ricalcando la vittoriosa strategia<br />

di Radetzky durante la Prima guerra d’indipendenza<br />

La sera del 6 giugno, una brigata di retroguardia<br />

forte di circa 8000 uomini, oltre a due squadroni di<br />

dragoni ed ussari si insediò nella cittadella fortificata di<br />

Melegnano che accoglieva un ponte in pietra ad arcata<br />

unica sul fiume Lambro, adatto al passaggio di carriaggi<br />

e truppe, allo scopo di rallentare l’avanzata dell’esercito<br />

franco-sardo La sera dell’8 giugno la città venne<br />

presa dai francesi dopo sanguinosissimi combattimenti<br />

che causarono 1000 caduti fra gli attaccanti e 1200 tra<br />

i difensori Frattanto il grosso dell’esercito austriaco<br />

aveva proseguito, indisturbato, la sua marcia ed era<br />

stato raggiunto a Verona dall’imperatore Francesco Giuseppe<br />

che, indispettito dall’apparente arrendevolezza<br />

del Giulay, aveva deciso di assumere il comando delle<br />

operazioni in prima persona I franco-piemontesi ripresero<br />

la marcia il 12 giugno: il 13 passarono l’Adda,<br />

il 14 raggiunsero Bergamo e Brescia, il 16 passarono<br />

l’Oglio, il 21 erano oltre il Chiese Essi erano<br />

giunti, rapidamente, dove von Giulay li aveva attirati,<br />

in quella striscia di <strong>Lombardia</strong> delimitata ad ovest<br />

dal Chiese, ad est dal Mincio Incalzato dal malcontento<br />

della pubblica opinione viennese, derivante<br />

dalla lunga serie di sconfitte subite dall’esercito austriaco,<br />

l’imperatore decise improvvisamente di mutare<br />

la strategia difensiva di von Giulay e di prendere<br />

l’iniziativa Confortato dal parere di uno Stato<br />

maggiore più portato all’adulazione che all’analisi,<br />

Francesco Giuseppe diede ordine alle truppe di ripassare<br />

il Mincio, tornando ad occupare le posizioni<br />

evacuate pochi giorni prima<br />

Gli austriaci non immaginavano che l’esercito franco-sardo<br />

avesse già passato il Chiese, ed i francesi<br />

non credevano di trovarsi di fronte entrambe le armate<br />

austriache, convinti che la battaglia decisiva si sarebbe<br />

svolta oltre il Mincio, come appariva logico e tatticamente<br />

favorevole agli austriaci I reciproci avvistamenti<br />

avvenuti alle ultime luci del 23 giugno, convinsero<br />

i francesi di aver preso contatto con l’attardata<br />

retroguardia austriaca e gli austriaci di aver preso contatto<br />

con le prime avanguardie francesi in ricognizione<br />

Così non era: i due eserciti si trovavano frontalmente<br />

schierati, divisi da pochissimi chilometri ed accomunati<br />

dall’essere ignari l’uno dell’altro <strong>Il</strong> 24 giu-<br />

6<br />

gno i franco-piemontesi vinsero una grande battaglia<br />

(normalmente divisa in battaglia di Solferino e battaglia<br />

di San Martino), iniziata con un massiccio attacco<br />

francese (battaglia di Medole) Al termine dello scontro<br />

gli austriaci furono rigettati oltre il Mincio, ma lì<br />

ebbero la possibilità di appoggiarsi alle loro grandi<br />

fortezze e ricevere rinforzi dalle varie parti del loro vasto<br />

impero Napoleone III decise, quindi, di avviare<br />

colloqui di pace e prese contatto con Francesco Giuseppe<br />

Le operazioni militari non vennero sostanzialmente<br />

più riprese L’8 luglio fu sottoscritto un accordo<br />

di sospensione delle ostilità L’11 luglio i due imperatori<br />

si incontrarono in località Villafranca di Verona<br />

<strong>Il</strong> 12 luglio fu sottoscritto l’armistizio e la pace fu negoziata<br />

e siglata fra il 10 e l’11 novembre 1859 a Zurigo<br />

Gli Asburgo cedevano la <strong>Lombardia</strong> alla Francia,<br />

che l’avrebbe assegnata ai Savoia, mentre l’Austria<br />

conservava il Veneto e le fortezze di Mantova e Peschiera<br />

I sovrani di Modena, Parma e Toscana, che<br />

nel frattempo erano stati costretti alla fuga da rivolte<br />

popolari, avrebbero dovuto essere reintegrati nei loro<br />

Stati, così come il papa Pio IX a Bologna Tutti gli<br />

Stati italiani, incluso il Veneto, ancora austriaco, avrebbero<br />

dovuto unirsi in una Confederazione italiana presieduta<br />

dal papa <strong>Il</strong> trattato era tanto lontano dalla realtà<br />

politica, da presentare almeno tre vantaggi per il<br />

regno sabaudo:<br />

La Confederazione italiana garantiva, di fatto, la<br />

continuazione di un ruolo austriaco nella penisola, risultando<br />

sgradita anche alla Francia<br />

Le popolazioni dell’Emilia e dell’Italia centrale, opportunamente<br />

fomentate, mostrarono insofferenza all’ipotesi<br />

di ritorno dei loro governanti e Cavour seppe<br />

convincere le Cancellerie europee dei rischi di derive<br />

repubblicane, dovute a cospirazioni mazziniane<br />

<strong>Il</strong> vantaggio territoriale era decisamente inferiore a<br />

quanto pattuito a Plombières e quindi il Piemonte non<br />

era più tenuto a cedere Nizza e la Savoia Per contro<br />

Napoleone III necessitava di tali compensazioni territoriali,<br />

per giustificare alla propria opinione pubblica<br />

l’enorme prezzo in vite umane sostenute dalla Francia<br />

Non mancavano, quindi, i margini di manovra e Cavour<br />

seppe metterli a frutto, compiendo quello che è il<br />

suo vero capolavoro da ex-primo ministro, fra l’11 luglio<br />

1859 e il 19 gennaio 1860, e poi ancora al governo<br />

dal 20 gennaio Nei mesi successivi, infatti, il Piemonte<br />

annesse, oltre alla <strong>Lombardia</strong>, anche Parma, Modena,<br />

l’Emilia, la Romagna e la Toscana Sorse così nel marzo<br />

1860 un grande Stato, dal nord al centro della penisola,<br />

che si chiamò Regno dell’Italia Settentrionale e<br />

Centrale Solo a seguito di detti avvenimenti il 24<br />

marzo 1860 il Piemonte accettò di firmare il Trattato di<br />

Torino, in base al quale venivano cedute la Savoia e<br />

Nizza Mancavano le Marche e l’Umbria, che venivano<br />

nel frattempo riprese dai papalini (uno dei più sanguinosi<br />

episodi della “riconquista” papale fu il massacro<br />

di Perugia del 20 giugno 1859)


Piazza Indipendenza a Firenze:<br />

le origini, gli aneddoti e le storie di vita<br />

Le origini di Piazza Indipendenza Fino alla prima<br />

metà dell’Ottocento l’area occupata dall’attuale Piazza<br />

della Indipendenza era una zona agricola situata all’interno<br />

dell’ultima cerchia di mura, in prossimità della Fortezza<br />

da Basso, detta Orto o Podere di Barbano, dal<br />

nome di un contadino del luogo Padre Enrico Lombardi,<br />

Vice Parroco della chiesa di Santa Caterina, nella sua<br />

ricerca dedicata a “Santa Caterina di Cafaggio … di<br />

Barbano”, riferisce che quel contadino era il marchese<br />

Barbolani di Montauto, per cui “Barbano” deriverebbe<br />

da “Barbolani” La denominazione “Podere di Barbano”<br />

appare nei libri del Capitolo di Santa Reparata dal 1700<br />

in poi Si trattava di una zona triangolare, compresa fra<br />

Via Evangelista (ora Via Guelfa), Via San Zanobi e le<br />

antiche mura<br />

Carta della Catena del 1400 Fra la Porta a Faenza e la Porta<br />

San Gallo è evidente il Monastero di Santa Caterina e la zona<br />

agricola che sarà destinata, alcuni secoli dopo, al nuovo<br />

insediamento di Piazza della Indipendenza<br />

L’architetto Francesco Leoni presentò fra il 1838 ed<br />

il 1842 i progetti per la costruzione di 53 casamenti, per<br />

ospitare 318 famiglie di poveri, su una nuova strada da<br />

aprirsi sulla linea Piazza San Marco, Via degli Arazzieri<br />

Manfredo Fanfani<br />

7<br />

ed il bastione San Paolo della Fortezza da Basso <strong>Il</strong><br />

progetto prevedeva un intero quartiere con al centro<br />

una Piazza rettangolare, l’attuale Piazza della Indipendenza<br />

<strong>Il</strong> Governo granducale approvò nel 1844 il progetto<br />

della Piazza affidandone la realizzazione all’ingegnere<br />

Flaminio Chiesi Regnavano Leopoldo II di<br />

Lorena, detto Canapone per la sua folta e bionda capigliatura<br />

e la bella consorte Maria Antonia di Borbone,<br />

figlia di Francesco I, Re di Napoli La Piazza fu aperta<br />

nel 1845 e presentava alle origini la strada traversa che<br />

la tagliava in due <strong>Il</strong> profilo concavo causava un costante<br />

impaludamento al quale nel 1852 si tenta di porre<br />

rimedio con una fognatura e con la pavimentazione<br />

in acciottolato della strada; solo nel 1855 la Piazza assume<br />

il suo aspetto definitivo con la realizzazione di un<br />

ampio marciapiedi, colonnini, numerose panchine in<br />

pietra disposte lungo il perimetro e candelabri a gas<br />

Solo più tardi, il 4 settembre 1858, si aggiunsero le<br />

catene fra i paracarri Con questi lavori scomparve la<br />

strada traversa che sarà riaperta solo nel 1929 Si trattò<br />

della prima Piazza ottocentesca di Firenze che superava<br />

in ampiezza ogni altra piazza della Toscana: regolare,<br />

spaziosa e vuota, ricoperta di ghiaia e circondata da un<br />

anello di sedili di pietra con elegante disegno, intervallati<br />

da lampioni a gas, comparsi nelle vie fiorentine nel<br />

1846 Gli abitanti della zona lamentavano tuttavia che<br />

questi primi lampioni si riconoscevano più dal puzzo<br />

che emanavano che dal guizzo di luce che offrivano Le<br />

foto dell’epoca la presentano con l’aspetto metafisico<br />

dei luoghi in attesa della vita, a metà strada fra un quadro<br />

di Rosai ed uno di De Chirico Le case del nuovo<br />

quartiere, che dovevano essere destinate ai poveri, furono<br />

poi ammesse al libero mercato ed acquistate da<br />

commercianti, professionisti e artisti; fra questi lo scultore<br />

americano Horatio Greenough, che acquistò l’immobile<br />

d’angolo fra Via di Santa Caterina d’Alessandria<br />

e Via San Francesco Poverino (attuale Via<br />

Ferdinando Bartolommei) <strong>Il</strong> piano regolatore prevedeva<br />

la costruzione di case e villini che dovevano uniformarsi<br />

al generale decoro e sottostare a particolari<br />

limitazioni; dovevano essere rigidamente allineati, senza<br />

spazi laterali o giardini antistanti Lo scultore ottenne,<br />

viceversa, di realizzare un angolo smussato sulla<br />

parte prospiciente la Piazza per dare maggior luce al<br />

suo lavoro (l’immobile divenne poi Palazzo Marchi ed è<br />

ora sede della Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia)<br />

Altra eccezione al rigore del piano è rappresentata<br />

dall’edificio dei Barbolani (poi Gondi e poi Ruspoli),<br />

situato sul lato sud della Piazza, che è circondato da un<br />

ampio giardino; così pure l’edificio d’angolo fra le at-


tuali Via Montanelli e Via della Fortezza, opera di<br />

Giuseppe Martelli, anch’esso smussato Fra gli illustri<br />

stranieri che hanno abitato nella Piazza il tenore<br />

Baucardé ed una famiglia di inglesi, i Trollope, che presero<br />

parte attiva alla rivolta contro il governo granducale;<br />

abitavano il villino d’angolo fra le attuali Via Vincenzo<br />

Salvagnoli e Via Giuseppe Dolfi dove è stata posta<br />

una targa: <strong>Il</strong> giorno 13 aprile 1865 morì in questa<br />

casa Theodosia Garrow Trollope che scrisse in inglese<br />

con animo italiano delle lotte e del trionfo della<br />

libertà Salvagnoli era un assiduo frequentatore del<br />

“salotto” dei Trollope, dove gli intimi si radunavano<br />

per parlare del futuro dell’Italia<br />

Altri due stranieri che dimorarono nella zona i francesi<br />

Luigi e Antonio Boulard, ai quali si deve l’impianto<br />

della prima sega a vapore nella vicina Via delle Officine;<br />

la via fu ideata per insediamenti artigianali, fra cui<br />

quelle arti incomode e insalubri come la fabbricazione<br />

delle corde di canapa e la cerchiatura delle ruote che si<br />

volevano togliere dai luoghi centrali Alla prova della<br />

sega a vapore, nel maggio 1847, assistette il personale<br />

del Commissariato poiché il comando della Fortezza da<br />

Basso aveva avanzato riserve sulla distanza di sicurezza<br />

dal deposito di munizioni Giovan Battista Giuliani,<br />

lodato illustratore dell’opera di Dante, aveva abitato al<br />

numero 16 della Piazza dal 1859 al 1884 ed è ricordato<br />

da una targa posta dal Comune di Firenze, che lo aveva<br />

fatto concittadino dell’Alighieri, riconoscente per il<br />

dono della biblioteca dantesca<br />

Le demolizioni per collegare Piazza San Marco con<br />

Piazza Maria Antonia Una provvidenziale sopraelevazione<br />

salvò la piazza dall’alluvione nel 1966 L’undici<br />

marzo del 1846 veniva completata Via Santa Apollonia<br />

(ora Via Ventisette Aprile) che congiungeva Piazza San<br />

Marco e Via degli Arazzieri con il nuovo quartiere di<br />

Piazza della Indipendenza I materiali di demolizione<br />

furono trasferiti nella piazza per aumentarne il livello di<br />

circa due metri e mezzo; ciò fu provvidenziale per salvarla<br />

dalle acque durante l’alluvione del 1966 Un architetto<br />

che dirigeva i lavori, memore di precedenti disastrose<br />

inondazioni che avevano colpito Firenze, fra<br />

cui quella recente del 1844, aveva previsto che questa<br />

sopraelevazione avrebbe protetto la Piazza dalle alluvioni<br />

e favorito la vendita degli immobili! Nei secoli<br />

passati la memoria storica, quella che si tramandava<br />

insieme alle emozioni vissute nelle veglie intorno al focolare,<br />

aveva evidentemente molta più presa delle tante<br />

informazioni “usa e getta” dei moderni mass-media<br />

Dopo tale realizzazione il Gonfaloniere sostenne l’urgenza<br />

di assegnare un nome alla Piazza ed alle vie adiacenti<br />

onde evitare che i fiorentini, secondo una loro<br />

inveterata abitudine, attribuissero a dette località nomi<br />

capricciosi che sarebbero poi fatalmente rimasti in uso<br />

nonostante le targhe poste sulle cantonate delle strade;<br />

il Gonfaloniere aveva molte valide ragioni per sostenere<br />

questa tesi! Basti pensare al rifiuto dei fiorentini<br />

a chiamare la Piazza col nome attribuitole della sere-<br />

8<br />

nissima granduchessa regnante “Maria Antonia” ed alla<br />

loro perseveranza nel chiamarla “Piazza di Barbano”,<br />

dal nome degli orti sui quali era stata edificata Per attestare<br />

la riconoscenza della città verso la famiglia granducale,<br />

animatrice di riforme e di progresso, sotto i cui<br />

auspici si era operato questo ampliamento della città,<br />

alla Piazza fu attribuito il nome della moglie dei Granduca,<br />

Maria Antonia<br />

I fiorentini non accettarono di chiamare la Piazza<br />

con il nome di una granduchessa borbonica, preferirono<br />

chiamarla Piazza di Barbano, dal nome del podere<br />

sul quale era stata insediata Alle strade limitrofe furono<br />

attribuiti nomi in base a precise considerazioni topografiche:<br />

Via Remota (ora Via Giuseppe Dolfi) in<br />

quanto ultima strada che comunicava lungo le mura;<br />

Via della Piazza (ora Via Giuseppe Montanelli) perché<br />

collegava Via Evangelista (ora Via Guelfa) con il lato<br />

sud della Piazza; Via del Podere (ora Via Vincenzo Salvagnoli)<br />

perché portava alla casa colonica dei soppressi<br />

poderi; Via della Fortezza (nome rimasto invariato)<br />

perché conduceva alla Fortezza da Basso; Via San<br />

Paolo (ora Via Cosimo Ridolfi) perché portava al bastione<br />

San Paolo della Fortezza; Via del Pratello (nome<br />

invariato) perché giungeva ad un suolo alberato detto<br />

“pratello” Ad altre vie furono assegnati i nomi di famosi<br />

proprietari delle abitazioni demolite, come ad esempio<br />

Via Dei Robbia; oppure il nome di Chiese, Oratori,<br />

Conventi e terreni espropriati come Via Santa Caterina<br />

d’Alessandria, Via San Francesco Poverino, Via<br />

Santa Apollonia, Via di Barbano; si trattò di una sorta<br />

di risarcimento morale per le imposte espropriazioni<br />

A Via delle Officine (oggi Via Enrico Poggi) fu attribuito<br />

detto nome in quanto doveva essere sede di insediamenti<br />

artigianali Sull’area del Monastero di Santa<br />

Caterina sorge l’attuale Palazzo delle tasse Nel giugno<br />

1848 iniziò la costruzione della chiesa del nuovo quartiere<br />

a cura dell’Opera Pia delle Scuole delle Zittelle<br />

Povere che, per difficoltà economiche, tardò ad essere<br />

portata a termine; nel 1858 il progetto riprese con il<br />

Commissario avvocato Bernardo Reghini e con l’ingegnere<br />

Giuseppe Martelli <strong>Il</strong> 31 dicembre 1863 la chiesa<br />

fu aperta al pubblico e fu dedicata alla Santissima Concezione<br />

e a Santa Caterina In seguito prese il nome<br />

di Nostra Signora del Sacro Cuore<br />

Una pacifica e civile rivoluzione, sventola in Piazza<br />

la prima bandiera tricolore dell’unità d’Italia La Piazza<br />

della Indipendenza e gli avvenimenti di cui è stata<br />

testimone, hanno avuto in Guido Nobili, avvocato e<br />

scrittore, un attento cronista; le finestre della sua casa<br />

erano un ottimo osservatorio, specie prima della piantagione<br />

degli alberi! Nobili criticò questo evento che<br />

evidentemente toglieva la bella visuale della Piazza a<br />

tutto campo; scrive, infatti, Nobili: La piazza di bella,<br />

ampia, che era l’hanno borghesemente ristretta coll’averla<br />

ombreggiata di tigli Lo scrittore nasceva il 7<br />

dicembre 1850 nel palazzo al n 22 della Piazza; scrive in<br />

“Memorie lontane”: Quando vi capita di passare in


mezzo a Piazza della Indipendenza, voltate lo sguardo<br />

verso tramontana, vedrete quel palazzo, che rimane<br />

in linea proprio dietro le spalle di Bettino Ricasoli:<br />

quella era casa mia Sono nato al primo piano, in<br />

quella stanza ultima a destra di chi guarda Nobili<br />

affermava che un giorno su quel palazzo sarebbe stata<br />

posta questa epigrafe: Qui nacque un illustre ignoto,<br />

che seppe apprezzare per quello che valeva l’uman<br />

genere; così non è stato ed i posteri hanno posto questa<br />

lapide: Qui visse Guido Nobili (1850-1916) che<br />

con arte delicata rievocò la vita fiorentina dell’Ottocento<br />

Nobili, ragazzo di 8 anni, ricorda che, in un’atmosfera<br />

di cospirazione, la sua casa era frequentata da<br />

Bettino Ricasoli, Ferdinando Bartolommei e Giuseppe<br />

Dolfi; quest’ultimo gestiva un forno in Borgo San Lorenzo<br />

al numero 4 dove un busto e due epigrafi ancora<br />

oggi lo ricordano Aveva molte ragioni il Nobili a pensare<br />

alla cospirazione, poiché quei personaggi furono i<br />

più attivi protagonisti delle vicende rivoluzionarie del<br />

1859 Nobili aveva notato la madre che stava cucendo<br />

in gran segreto una bandiera tricolore; bandiera che<br />

avrebbe sventolato, per prima, in quel fatidico 27 aprile<br />

1859, proprio dal balcone della sua casa al numero 22<br />

di Piazza della Indipendenza Nobili ci tramanda il ricordo<br />

del raduno del popolo di Firenze, iniziato alle ore 9<br />

del 27 aprile 1859, per dare inizio ai patriottici moti che,<br />

al grido di Viva l’indipendenza italiana e Viva l’Italia<br />

unita, abbatterono pacificamente il trono dei Lorena<br />

Nobili si affacciò alla finestra per dare un’occhiata alla<br />

Piazza e così descrisse la scena: La Piazza era un mare<br />

di popolo, che ogni tanto urlava a squarciagola con<br />

urli che arrivavano in cielo Lo zio Niccolò prese la<br />

bandiera, la portò al terrazzo e la sventolò Urli ed<br />

evviva giù dalla piazza accolsero il vessillo tricolore<br />

che si spiegava al sole in una bella giornata di primavera<br />

Era il vessillo dell’unità d’Italia, che il 27<br />

Aprile in tutta Firenze, e dalla casa mia per il primo,<br />

compariva alle acclamazioni del popolo Poco dopo<br />

altre due bandiere sulla Piazza sventolavano dai balconi<br />

ma, asserisce convinto Nobili, la storia non ha<br />

registrato il fatto che il primo vessillo fu proprio quello<br />

che aveva sventolato dalla sua casa, chi desse differenti<br />

notizie da quelle che asserisco perché veduto<br />

coi miei propri occhi, o non c’era, o niente dice di<br />

proposito Devo dire, continua Nobili, che la grande<br />

dimostrazione si è formata sulla Piazza, sotto le finestre<br />

del Signor Landucci (il discusso Ministro degli<br />

Interni i cui uffici erano al numero 13 della Piazza) senza<br />

che si udisse un solo grido di odio; il popolo fiorentino<br />

seppe dimostrare di essere capace di fare rivoluzioni<br />

non violente ma, anche prive di eccessi verbali,<br />

tanto che la rivoluzione fiorentina è rimasta nella storia<br />

come la più civile, pacifica ed educata delle rivoluzioni;<br />

una rivoluzione “in carrozza” se si pensa che una carrozza<br />

imbandierata precedeva il corteo dei manifestanti<br />

diretto verso il centro cittadino <strong>Il</strong> commento più pittoresco<br />

sulla rivoluzione fiorentina, così piena di buon<br />

senso, fu espresso dal console francese a Firenze:<br />

9<br />

Perbacco! E neanche un vetro rotto o una carrozza<br />

rovesciata! Una rivoluzione così non si era mai vista<br />

nel mondo, prima di quel giorno! Nel pomeriggio la rivoluzione<br />

era già finita e, come ebbe a dire il Salvagnoli:<br />

Alle sei la rivoluzione andò a pranzo Sulla scia degli<br />

eventi il 14 luglio 1859 fu stampato il giornale indipendente<br />

“La Nazione”, come ancora oggi si legge sulla<br />

testata del prestigioso giornale<br />

La Piazza cambia nome: da Piazza Maria Antonia<br />

a Piazza Indipendenza La rivoluzione trionfò ed il Granduca<br />

Leopoldo partì per l’esilio, si concludeva, in una<br />

bella giornata di sole, una pacifica e festosa manifestazione<br />

per un’Italia unita alla cui realizzazione avevano<br />

avuto un ruolo decisivo coloro che frequentavano la<br />

casa di Guido Nobili al numero 22 della Piazza C’erano<br />

pertanto tutti i più validi motivi perché alla Piazza fosse<br />

attribuito il nome di Piazza della Indipendenza ed alle<br />

vie limitrofe i nomi dei personaggi che erano stati protagonisti<br />

di quegli eventi: Via Remota fu chiamata Via<br />

Giuseppe Dolfi; Via San Francesco Poverino Via<br />

Ferdinando Bartolommei; Via San Paolo Via Cosimo<br />

Ridolfi; Via della Piazza Via Giuseppe Montanelli; Via<br />

del Podere Via Vincenzo Salvagnoli; Via delle Officine<br />

Via Enrico Poggi; Via Santa Apollonia Via Ventisette<br />

Aprile, per ricordare la data dell’insurrezione Sotto le<br />

attuali targhe è sempre presente un’altra piccola targa<br />

con l’indicazione del precedente nome della strada; le<br />

cinque targhe che si trovano agli angoli di Piazza della<br />

Indipendenza sono, viceversa, le uniche che non<br />

portano alcuna indicazione del precedente nome, a confermare<br />

il deciso rifiuto dei fiorentini per quel nome<br />

borbonico di Maria Antonia; i fiorentini non avevano<br />

mai perdonato al granduca di aver favorito sette anni<br />

di occupazione austriaca, con tanto di accampamenti<br />

proprio in mezzo alla Piazza Maria Antonia! Ovvero <br />

Piazza di Barbano Lo stesso dicasi per le targhe di Via<br />

Nazionale, che non riportano mai il precedente nome<br />

di “Via Tedesca”, tranne il tratto sul lato sud della Piazza,<br />

fino a Via Faenza, che fu dedicato ai Della Robbia<br />

Già il giovane scultore Enrico Pazzi, autore della statua<br />

eretta in Piazza Santa Croce a Dante Alighieri, era solito<br />

ricoprire con un cartello con scritto “Via Nazionale”<br />

le targhe che indicavano l’allora “Via Tedesca”, la polizia<br />

faceva togliere i cartelli ed il Pazzi li rimetteva puntualmente<br />

al loro posto Venne poi la rivoluzione del<br />

1859 e l’antico battesimo di Via Nazionale, voluto dal<br />

Pazzi, diventò il nome ufficiale della via<br />

Piantagione degli alberi ed insediamento delle statue<br />

La fisionomia di Piazza della Indipendenza è rimasta<br />

pressoché inalterata salvo, nel 1869, la piantagione<br />

di un doppio filare di tigli che ne modificò in parte<br />

l’immagine con le già citate rimostranze degli abitanti<br />

Tra il 1896 ed il 1897 furono sistemati sull’asse principale<br />

i monumenti dedicati a Ubaldino Peruzzi ed a Bettino<br />

Ricasoli, due importanti artefici delle sollevazioni<br />

per l’unità d’Italia, che nella Piazza ebbero origine; i


monumenti furono solennemente inaugurati alla presenza<br />

di Re Umberto I e della Regina Margherita Nel 1929,<br />

per ragioni di traffico, la Piazza veniva tagliata in due<br />

dalla strada che congiungeva Via Ventisette Aprile con<br />

Via Ridolfi aprendo una direttrice tra Piazza San Marco<br />

ed i viali con l’abbattimento delle mura Nel 1929 venne<br />

realizzata la pavimentazione circostante la Piazza che<br />

nel 1953 assunse l’aspetto attuale con aiuole centrali<br />

ed alberi realizzando, solo in parte, un progetto dell’architetto<br />

Tiezzi Nel 1969, fu deciso di aumentare l’illuminazione<br />

della Piazza ricorrendo a lampioni di tipo ottocentesco<br />

Raduni patriottici, aneddoti ed episodi di vita nella<br />

Piazza <strong>Il</strong> 12 marzo 1848 si erano radunati nella Piazza<br />

Maria Antonia i 720 volontari che partirono al canto di<br />

“Addio mia bella addio, l’armata se ne va”, per farsi<br />

onore a Curtatone e Montanara il 29 maggio di quell’anno<br />

Sempre nel 1848 la Piazza fu utilizzata dal Comune<br />

per costruire le baracche per le truppe austriache<br />

durante l’occupazione durata fino al 1855, occupazione<br />

tanto mal sopportata dai fiorentini! Guido Nobili ci ha<br />

lasciato, in Memorie lontane, molte notizie sulla vita<br />

della Piazza della Indipendenza nella seconda metà dell’Ottocento;<br />

racconta che dal giorno della rivoluzione<br />

del 1859 la Piazza era luogo consacrato ai raduni patriottici,<br />

per festeggiare con grida, inni e bandiere il<br />

successo delle armi italiane Nobili racconta inoltre alcuni<br />

aneddoti della vita di tutti i giorni: Sulla Piazza<br />

dell’lndipendenza ogni sera si era cominciato, come<br />

cosa nata da sé, un convegno di fanciulli delle migliori<br />

famiglie di Firenze, la sede prescelta era il lato<br />

della piazza verso la cantonata di Via di Barbano,<br />

mentre dall’altra parte di Via San Francesco (Via<br />

Ferdinando Bartolommei) si riunivano un numero grande<br />

di ragazzi degli umili abitanti di Via delle Ruote e<br />

di Via San Zanobi, che simulavano fra di loro battaglie<br />

e fatti d’arme La Piazza fu testimone del tenero<br />

amore di Guido Nobili bambino con Filli, una splendida<br />

fanciulla greca che abitava nel palazzo Philipson al numero<br />

21, confinante con casa Nobili Un giorno, da poco<br />

era stata messa la ghiaia nella Piazza, Nobili perse un<br />

gemello della camicia e si chinò ricercandolo affannosamente;<br />

in quel momento la dolce Filli uscì con la madre<br />

da Palazzo Philipson ed il bambino rimase turbato a<br />

causa del suo atteggiamento Un signore, pensavo, è<br />

degradato mostrarsi giù piegato a fare quest’umile<br />

figuro, perché un signore perde la roba, ma non la<br />

ricerca; tutt’al più mette gli avvisi alle cantonate,<br />

perché gliela riportino, mentre io grufolo fra la terra<br />

Guido Nobili fu molto critico anche per l’insediamento<br />

delle due statue commentando che con ciò si vuole<br />

dimostrare ai posteri che anche i grandi uomini non<br />

possono sottrarsi al ridicolo, neppure dopo morti<br />

Molti si saranno chiesti, continua Nobili, che cosa sia<br />

mai quell’oggetto rotondo e piatto che tiene nella mano<br />

sinistra Bettino Ricasoli Quel Bettino poi, pover’uomo,<br />

in giubba e cravatta bianca, arrampicato sopra<br />

10<br />

quell’alto piuolo, in atto di porgere un cappello a<br />

scatto, è tutta la sintesi degli scherzi crudeli, che si<br />

possono fare al ricordo di un galantuomo Nobili aveva<br />

preconizzato alcune perplessità dei posteri: Quando<br />

si sarà persa la memoria del gibus (nome dell’inventore<br />

del cappello a cilindro con molle a scatto che permettevano<br />

di appiattirlo e portarlo sotto il braccio),<br />

chissà quanto almanaccheranno gli storici e gli archeologi<br />

dell’avvenire, per sapere che cosa possa essere<br />

quell’affare tondo, che il soggetto della statua<br />

tiene n mano Un cappello no, diranno, perché piatto<br />

a quel modo non gli può entrare in testa; chi potrà<br />

supporre le molle e lo scatto? Le critiche di Nobili<br />

arrivarono a segno: con una sapiente opera di restauro<br />

il cappello a scatto fu sostituito con un foglio Ai fiorentini<br />

anche la statua di Ubaldino Peruzzi ricorda l’insurrezione<br />

del 27 aprile del 1859 ma, in un tempo non<br />

troppo lontano, ci fu un passante al quale la statua<br />

ricordava piuttosto un primo d’aprile; quel passante si<br />

chiamava Renato Fucini Lo scrittore era assiduo frequentatore<br />

del famoso “salotto rosso” di Ubaldino ed<br />

Emilia Peruzzi che si vantavano di essere invulnerabili<br />

al tradizionale “pesce d’aprile” perché molto accorti<br />

nella ricorrenza della data Fu allora che Fucini, imitando<br />

la calligrafia della padrona di casa, indirizzò a se<br />

stesso un invito a pranzo in casa Peruzzi per il primo<br />

d’aprile Presentatosi in casa creò un notevole imbarazzo;<br />

lo scrittore si scusò, si dimostrò mortificato e fece<br />

più volte l’atto di andarsene, sennonché il pranzo fu<br />

allestito ed il Fucini fu oggetto di scherno da parte di<br />

tutti i commensali per avere abboccato così ingenuamente<br />

al pesce d’aprile Solo alla fine del pranzo, fra<br />

l’altro si trattò di un ottimo pranzo, il Fucini confessò<br />

che lo scherzo in realtà lo aveva fatto lui e che le vittime<br />

del pesce d’aprile erano stati proprio i Peruzzi! Ora,<br />

ebbe a scrivere anni dopo il Fucini, Quando passo da<br />

Piazza della Indipendenza e volgo gli occhi alla statua<br />

del Sor Ubaldino, mi pare di scorgere sulle labbra<br />

sottili ed argute un dolce rimprovero Quel dolce<br />

rimprovero del Signor Ubaldino è sicuramente diretto<br />

anche ai suoi concittadini che lo avevano soprannominato<br />

“meline”, secondo i cronisti per le sue guance<br />

sempre arrossate; <strong>Il</strong> toscano è in realtà molto più tagliente<br />

nell’attribuire i soprannomi Se Dante ricordava<br />

i Peruzzi come “quei della pera”, per le sei pere che<br />

campeggiavano sul loro stemma, un toscano non poteva<br />

lasciarsi scappare la ghiotta occasione di attribuire<br />

al nobiluomo il soprannome di “meline”! Molte furono<br />

le proposte di fare della zona di Barbano un centro di<br />

arte varia; questo progetto si realizzò nel 1851 con l’insediamento<br />

del Politeama Fiorentino nella vicina Via<br />

delle Officine (oggi Via Enrico Poggi) ben visibile dalla<br />

Piazza in fondo a Via del Podere (oggi Via Salvagnoli);<br />

nel 1853 fu rappresentata per la prima volta la Traviata,<br />

appena uscita nella trilogia popolare di Verdi insieme al<br />

Trovatore e al Rigoletto <strong>Il</strong> teatro andò a fuoco e si<br />

trasferì in Corso Vittorio Emanuele (oggi Corso Italia)<br />

dove si trova l’attuale Teatro Comunale Al trasferi-


mento contribuirono anche le lamentele del vicino Istituto<br />

delle “Scuole delle Zittelle Povere”per la inevitabile<br />

turbativa alla pace ed al raccoglimento Non sono<br />

mancati altri attentati alla Piazza come, nel 1856, la creazione<br />

di un grande anfiteatro per caroselli storici; I’impresario,<br />

un certo Leonardo Nanni, aveva fatto assegnamento<br />

sull’amore dei fiorentini per le manifestazioni<br />

patriottiche che avevano come fulcro la Piazza, tuttavia<br />

non seppe calcolare il rapporto fra quell’amore e la<br />

voglia di spendere dei fiorentini! il recinto si riempì due<br />

o tre volte, poi il pubblico non partecipò più e l’impresario<br />

andò a finire i suoi giorni in Arno<br />

Gli intrecci con la vita e l’opera di due grandi artisti:<br />

Edgar Degas e Francisco Goya La storia di Piazza<br />

della Indipendenza ha interessanti intrecci con la vita e<br />

le opere di Edgar Degas e Francisco Goya; due fra le<br />

maggiori opere degli artisti hanno condiviso, oltre al<br />

soggetto del grande ritratto di famiglia, anche il destino<br />

di rimanere a lungo sconosciute e di intrecciarsi con<br />

la storia e la vita della Piazza Edgar Degas, ventiquattrenne,<br />

giungeva a Firenze nell’aprile del 1858 per frequentarne<br />

i musei Durante il soggiorno fiorentino, presso<br />

la zia paterna Louise che abitava all’epoca in Piazza<br />

Maria Antonia (Piazza di Barbano per i fiorentini), Degas<br />

concepisce uno dei suoi massimi capolavori, un<br />

grande ritratto di famiglia: La Famiglia Bellelli L’esecuzione<br />

del quadro si protrasse per quasi 10 anni, se<br />

ne venne a conoscenza solo dopo la morte dell’autore;<br />

oggi l’opera è considerata una delle glorie del Louvre<br />

Degas lasciava Firenze alla fine di marzo del 1859, poco<br />

prima della fatidica rivoluzione del 27 aprile, richiamato<br />

a Parigi dal padre Un’altra suggestiva storia, di cui la<br />

Piazza fu testimone, riguarda una delle opere maggiori<br />

di Francisco Goya, La famiglia dell’lnfante don Luis<br />

<strong>Il</strong> principe Camillo Ruspoli aveva sposato nel 1820 Carlotta<br />

Luisa di Godoy di Borbone, che ereditò il dipinto<br />

della madre Contessa di Chinchón, che è rappresentata,<br />

ancora bambina, nel quadro di Goya <strong>Il</strong> Principe Ruspoli,<br />

il 16 gennaio 1865, si trasferì a Firenze nella villa<br />

Ruspoli situata nella parte sud di Piazza della Indipendenza<br />

<strong>Il</strong> capolavoro di Goya fu trasferito nella villa<br />

dagli eredi nel 1904 e vi è rimasto gelosamente nascosto<br />

fino al 1974, allorché fu acquistato dalla Fondazione<br />

Magnani-Rocca L’opera rimase a lungo sconosciuta<br />

al pubblico, fu esposta per la prima volta a Parigi<br />

solo nel 1989 <strong>Il</strong> primo accenno all’opera è del Gudiol<br />

(1970) che la vide superando non poche difficoltà in<br />

quello che definisce un “impenetrabile palazzo di Firenze’’;<br />

si trattava evidentemente di villa Ruspoli che<br />

Piero Bargellini ed Ennio Guarnieri, nel volume “Le<br />

strade di Firenze”, definiscono la più famosa villa<br />

della Piazza “anche perché vi si trovava uno dei più<br />

bei quadri di Goya, cioè la grandiosa tela con la<br />

famiglia dell’Infante don Luis” Anche il Maestro<br />

Luciano Guarnieri racconta di avere avuto l’opportunità<br />

di intravedere il quadro, seminascosto, in una<br />

sua visita a villa Ruspoli<br />

11<br />

Ristrutturazioni e nuovi immobili I vecchi immobili<br />

della Piazza hanno subito in genere solo parziali<br />

ristrutturazioni lasciando integro lo stile delle facciate,<br />

così come raccomandava il progetto originale, con due<br />

sole eccezioni: agli inizi del 1950 fu autorizzata una incisiva<br />

ristrutturazione di due immobili nella parte sud della<br />

piazza, per realizzare la Casa di Cura Santa Chiara; nella<br />

parte nord fu completamente demolito, all’inizio degli<br />

anni ’60, I’immobile al numero 18 dove fu costruito l’edificio<br />

attualmente sede dell’lstituto Fanfani È suggestivo<br />

che i due soli immobili oggetto di profonde trasformazioni<br />

siano stati destinati ad attività sanitarie Sembrerebbe<br />

quasi una rivincita postuma dell’architetto<br />

Giuseppe Martelli che, allorché nel 1844 furono presentati<br />

i progetti della Piazza, aveva fortemente caldeggiato<br />

la costruzione nella zona di un grande ospedale, aspirazione<br />

che venne disattesa con profondo rammarico<br />

del Martelli In molti balconi e finestre della Piazza sono<br />

ancora in mostra i portabandiera dai quali sventolarono<br />

i primi vessilli tricolori in quella fatidica giornata del<br />

27 aprile 1859 e nelle tante manifestazioni patriottiche;<br />

un portabandiera è bene evidente sotto la finestra al<br />

primo piano in quella stanza ultima a destra di chi<br />

guarda in cui nacque Guido Nobili; da quel portabandiera,<br />

come racconta lo stesso Nobili, il vessillo dell’unità<br />

d’Italia, per primo compariva alle acclamazioni del<br />

popolo Nell’immobile numero 17 sono evidenti tuttora<br />

numerosi portabandiera applicati alle singole finestre;<br />

doveva trattarsi di un’immobile particolare, destinato ad<br />

iniziative culturali; si riferisce infatti che nello stabile sia<br />

stato organizzato il primo congresso degli scienziati italiani<br />

poco dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia<br />

I fiorentini con malcelato ottimismo, si lasciarono<br />

“scapitalizzare” L’esperienza di Firenze capitale, iniziata<br />

nel 1865, si concludeva dopo soli cinque anni il 20<br />

settembre 1870; sempre nella Piazza della Indipendenza<br />

un altorilievo sulla base del monumento eretto in memoria<br />

di Ubaldino Peruzzi ci ricorda questo evento; “Sor<br />

Ubaldino”, all’epoca Sindaco di Firenze, è raffigurato<br />

mentre esce dal Municipio, che aveva allora sede in<br />

palazzo Spini, per mostrare al popolo fiorentino il telegramma<br />

con la notizia della presa di Roma e, pertanto, il<br />

prossimo trasferimento della capitale da Firenze a Roma<br />

<strong>Il</strong> popolo appare esultante, soddisfatto sembra anche il<br />

Peruzzi che aveva rinunciato agli incarichi ministeriali<br />

nel periodo di Firenze capitale preferendo fare il Sindaco<br />

della propria città, all’epoca in serie difficoltà economiche<br />

Riferisce Ugo Pesci in “Firenze capitale” che<br />

i fiorentini si lasciavano scapitalizzare battendo le<br />

mani, con una disinvoltura ed un buon garbo che fu<br />

il miglior elogio del loro senno d’allora<br />

Memorie lontane La Piazza della Indipendenza e gli<br />

avvenimenti di cui è stata testimone, hanno avuto in<br />

Guido Nobili, avvocato e scrittore, un attento cronista;<br />

le finestre della sua casa, al numero 22 della Piazza,<br />

erano un ottimo osservatorio della manifestazione po-


polare del 27 aprile 1859 Scrive in “Memorie Lontane”:<br />

Quando vi capita di passare in mezzo a Piazza della<br />

Indipendenza, voltate lo sguardo verso tramontana,<br />

vedrete quel palazzo, che rimane in linea proprio dietro<br />

le spalle di Bettino Ricasoli: quella era casa mia<br />

Sono nato al primo piano, in quella stanza ultima a<br />

destra di chi guarda Su quel palazzo è stata posta<br />

questa epigrafe: Qui visse Guido Nobili (1850-1916)<br />

che con arte delicata rievocò la vita fiorentina dell’Ottocento<br />

Nobili, ragazzo di otto anni, ricorda che, in<br />

un’atmosfera di cospirazione, la sua casa era frequentata<br />

da Bettino Ricasoli, Ferdinando Bartolommei e Giuseppe<br />

Dolfi<br />

Aveva molte ragioni il Nobili a pensare alla cospirazione,<br />

poiché quei personaggi furono i più attivi protagonisti<br />

delle vicende rivoluzionarie del 1859 Nobili aveva<br />

notato la madre che stava cucendo in gran segreto<br />

una bandiera tricolore che avrebbe sventolato, per pri-<br />

12<br />

ma, in quel fatidico 27 aprile 1859, proprio dal balcone<br />

della sua casa al numero 22 di Piazza della Indipendenza<br />

Nobili ci tramanda il ricordo del raduno del popolo<br />

di Firenze, iniziato alle ore 9 del 27 aprile 1859, per dare<br />

inizio ai patriottici moti che, al grido di Viva l’Indipendenza<br />

italiana e Viva l’Italia Unita, abbatterono pacificamente<br />

il trono dei Lorena Nobili si affacciò alla finestra<br />

per dare un’occhiata alla Piazza e così descrisse<br />

la scena: la Piazza era un mare di Popolo, che ogni<br />

tanto urlava a squarciagola con urli che arrivavano<br />

in cielo Lo zio Niccolò prese la bandiera, la portò al<br />

terrazzo e la sventolò Urli ed evviva giù dalla Piazza<br />

accolsero il vessillo tricolore che si piegava al sole<br />

in una bella giornata di primavera Era il vessillo<br />

dell’Unità d’Italia che il 27 Aprile in tutta Firenze, e<br />

dalla casa mia per il primo, compariva alle acclamazioni<br />

del popolo Poco dopo altre due bandiere sventolavano<br />

sui balconi ma, asserisce convinto Nobili, la<br />

storia non ha registrato il fatto che il primo vessillo<br />

fu proprio quello che aveva sventolato dalla sua casa<br />

Chi desse differenti notizie da quelle che asserisco perché<br />

veduto coi miei propri occhi, o non c’era, o niente<br />

dice di proposito Continua Nobili che la grande dimostrazione<br />

si è formata sulla Piazza senza che si udisse<br />

un solo grido di odio <strong>Il</strong> popolo fiorentino seppe dimostrare<br />

di essere capace di fare rivoluzioni non violente<br />

ma, anche prive di eccessi verbali, tanto che la rivoluzione<br />

fiorentina è rimasta nella storia come la più civile, pacifica<br />

ed educata delle rivoluzioni; una rivoluzione in “carrozza”<br />

se si pensa che una carrozza imbandierata precedeva<br />

il corteo dei manifestanti diretto verso il centro cittadino<br />

<strong>Il</strong> commento più pittoresco sulla rivoluzione fiorentina,<br />

così piena di buon senso, fu espresso dal console<br />

francese a Firenze: Perbacco! E neanche un vetro rotto<br />

o una carrozza rovesciata! Una rivoluzione così non<br />

si era mai vista nel mondo, prima di quel giorno! Nel<br />

pomeriggio la rivoluzione era già finita e, come ebbe a<br />

dire il Salvagnoli: Alle sei la rivoluzione andò a pranzo<br />

Sulla scia degli eventi il 14 luglio 1859 fu stampato il<br />

giornale indipendente “La Nazione”<br />

Una vecchia stampa ci mostra Piazza della Indipendenza ancora senza alberi e con gli immobili originari immodificati; a<br />

sinistra, nella parte centrale, compare l’immobile n 18 che sarà completamente demolito nel 1962 per la costruzione di una<br />

nuova struttura In alto a destra l’immobile dove nacque e abitò il poeta scrittore Guido Nobili


La Rivoluzione pacifica della Toscana<br />

A differenza di altri Stati dell’allora penisola italiana,<br />

nei quali la strada per l’Unità nazionale fu segnata dal<br />

sangue versato sui campi di battaglia, la Toscana scelse<br />

la via dell’annessione al Regno di Sardegna per volontà<br />

popolare Di fatto il Granducato di Toscana terminò con<br />

la rivoluzione pacifica delle masse che costrinsero il granduca<br />

Leopoldo II di Lorena ad abbandonare Firenze il 27<br />

aprile del 1859 Nell’immediato la Toscana mantenne la<br />

sua autonomia e confluì nel Regno di Sardegna soltanto<br />

dopo il plebiscito che si tenne l’11 e il 12 marzo dell’anno<br />

successivo, il 1860, con atto formale firmato dal luogotenente<br />

del re, Eugenio di Savoia-Carignano e dal governatore<br />

Bettino Ricasoli Palese era stata la nuova manifestazione<br />

di volontà popolare: su 386445 votanti (circa 534mila<br />

erano gli aventi diritto) furono soltanto 14925 i voti contrari<br />

all’annessione al Regno di Sardegna contro 366571<br />

favorevoli L’Italia era realtà Infatti, né l’indole sostanzialmente<br />

liberale né le innumerevoli opere di pubblica<br />

utilità, promosse sotto la sua guida, valsero il mantenimento<br />

del potere al granduca Leopoldo II al quale non<br />

restò che l’esilio<br />

Bettino Ricasoli: il Barone di ferro<br />

La sua figura merita comunque attenzione e rispetto<br />

Figlio del granduca Ferdinando III, al quale succedette<br />

nel 1824, fu promotore, quattro anni dopo, di una<br />

serie di interventi di utilità pubblica Per suo impulso<br />

furono costruite strade, ferrovie, opere di bonifica in<br />

Maremma e Val di Chiana, stabilimenti siderurgici Sotto<br />

di lui la Toscana fu dotata anche di propria Costituzione<br />

che però abolì l’indomani dei moti del 1848, dopo<br />

i quali rivide le sue posizioni liberali Morì nel 1869 a<br />

Roma, dopo un decennio di esilio in Austria Gli ultimi<br />

giorni del suo regno lo videro osservatore impotente<br />

degli eventi che stavano trasformando l’accozzaglia di<br />

Stati e staterelli disseminati per la penisola in un’unica<br />

identità Da più di cent’anni in Toscana governava la<br />

dinastia dei Lorena, parenti stretti degli Asburgo, ovvero<br />

i regnanti d’Austria che dominavano anche il<br />

Roberto Rossi<br />

13<br />

Lombardo-Veneto, contrapposti quindi ai Savoia ed al<br />

loro progetto unitario E furono proprio gli Asburgo,<br />

dopo i moti che rivoluzionarono la penisola nel ’48, a<br />

ricondurre Leopoldo II sulla via della restaurazione, tanto<br />

da reintrodurre addirittura la pena di morte, che aveva<br />

anzitempo abolita, per reati contro l’autorità e la religione<br />

Proprio tali volsero l’attenzione dei toscani al patriottismo<br />

unitario mentre nella stessa corte lorenese non pochi<br />

attivisti alla causa piemontese lavoravano in quella<br />

direzione <strong>Il</strong> 23 aprile 1859 i soldati toscani sposarono la<br />

causa dei loro colleghi sardo-piemontesi contro gli austriaci<br />

<strong>Il</strong> 25 aprile moti e ammutinamenti nelle caserme<br />

indussero i vertici militari e politici a cercare una via per<br />

evitare spargimento di sangue ma il giorno dopo l’Austria<br />

dette avvio alla seconda guerra d’Indipendenza dichiarando<br />

ostilità al Regno di Sardegna<br />

L’attività diplomatica, politica e militare di quella notte<br />

portò ai moti del 27 aprile, quando il popolo inneggiante<br />

al regno savoiardo e manifestamente ostile agli Asburgo<br />

indusse Leopoldo ad abbandonare Palazzo Pitti da Boboli<br />

e quindi Firenze ma senza abdicare, trasferendo i poteri a<br />

Ferdinando IV che, però, quei poteri non esercitò mai <strong>Il</strong><br />

ruolo delle forze armate toscane al fianco del popolo fu<br />

chiaro proprio la mattina del 27 aprile: i gendarmi<br />

granducali si unirono alla folla con la fanfara in testa che<br />

suonava l’Inno di Mameli, chiaro messaggio di desiderio<br />

di Unità nazionale Le bandiere tricolori sventolarono e<br />

molte furono a bande orizzontali poiché tanti toscani modificarono<br />

all’ultimo momento il vessillo bianco-rossobianco<br />

del Granducato, sostituendo una banda verde ad<br />

una rossa Ma ciò che contò davvero fu il cuore ed il<br />

gesto riassunti nel simbolo: raggiungere l’unità sotto il<br />

Tricolore nazionale senza far scorrere sangue fraterno<br />

La rivoluzione pacifica della Toscana, appunto Vincenzo<br />

Malenchini, Ubaldino Peruzzi e Alessandro Danzini<br />

formarono il Governo Provvisorio Toscano, il cui primo<br />

atto fu un tentativo di consegna dei poteri a Vittorio<br />

Emanuele II il quale, a sua volta, inviò a Firenze il suo<br />

plenipotenziario Carlo Buoncompagni prima della scelta<br />

di alcune autorità locali di governo, tra le quali Bettino<br />

Ricasoli e Cosimo Ridolfi Dopo vari passaggi di trasferimento<br />

dei poteri e dopo l’annessione plebiscitaria terminò<br />

la storia autonoma della Toscana, che mantenne propria<br />

autonomia amministrativa fino al febbraio 1861, momento<br />

dell’insediamento del primo Parlamento unitario<br />

italiano Nel frattempo era proseguita la politica di sviluppo<br />

di opere pubbliche avviata dai Lorena La Toscana<br />

del 1860 era una regione avanzatissima nell’Europa d’allora,<br />

dotata di strade, ferrovie, porti Firenze sarebbe divenuta<br />

capitale d’Italia dal 1865 al 1871


La Società Nazionale Italiana<br />

La Società Nazionale Italiana nasce nel 1857, a conclusione<br />

di una lunga fase di riflessione e di ripensamento<br />

sulle motivazioni della drammatica conclusione<br />

delle vicende del biennio 1848-49 Sono i democratici i<br />

protagonisti della lunga gestazione di qualcosa di completamente<br />

nuovo sulla scena politica italiana Daniele<br />

Manin, il repubblicano protagonista della difesa di<br />

Venezia, in esilio a Parigi, nel 1855 scrive:<br />

Convinto che anzitutto bisogna fare l’Italia,<br />

che questa è la quistione precedente<br />

e prevalente il Partito Repubblicano dice<br />

alla casa di Savoia: Fate l’Italia e son con<br />

voi, se no, no […] Io repubblicano pianto<br />

il vessillo unificatore Vi si rannodi, lo<br />

circondi e lo difenda chiunque vuole che<br />

l’Italia sia, e l’Italia sarà<br />

<strong>Il</strong> progetto di Manin è condiviso da Giorgio<br />

Pallavicino (esule lombardo rispettato e ascoltato, che<br />

vive a Torino ed è schierato col governo contro<br />

l’estremismo mazziniano) che lo rilancia con convinzione<br />

Bisogna lasciar cadere le pregiudiziali istituzionali<br />

che pochi anni prima hanno creato steccati<br />

invalicabili tra unitari e federalisti, tra monarchici e repubblicani,<br />

tra filo piemontesi e anti piemontesi<br />

Pallavicino e Manin sono due personalità di primo piano,<br />

dotate di grande prestigio personale e di significativa<br />

popolarità <strong>Il</strong> loro realismo comincia a dare corpo<br />

al programma democratico-moderato all’unità che interessa<br />

anche il capo del governo di Torino, il conte<br />

Cavour In controtendenza rispetto al dottrinarismo di<br />

Cattaneo e di Mazzini, sono poco interessati alle discussioni<br />

teoriche, ma molto attenti a diffondere il loro<br />

progetto per coinvolgere la gente e creare una vera<br />

opinione pubblica <strong>Il</strong> tema della propaganda, della diffusione<br />

delle idee e dei programmi è centrale nel percorso<br />

politico dell’ultimo Manin che insieme a<br />

Pallavicino non vuole far giungere ai lettori l’eco di<br />

questioni astratte, ma il pulsare dell’attualità<br />

Le nuove prospettive politiche si collegano ai mutamenti<br />

in campo economico e sociale, attingono la<br />

loro forza e una nuova capacità di penetrazione dai<br />

nuovi mezzi di comunicazione e di informazione La<br />

massa si avvia lentamente a diventare opinione pubblica<br />

e diventa importante saper comunicare con essa<br />

Tanto più importante in quanto questa opinione pubblica<br />

è percorsa da malessere e inquietudine, vive in<br />

un'atmosfera di attesa che la rende estremamente disponibile<br />

ad assimilare un progetto concreto, che abbia<br />

possibilità di realizzarsi e che abbia quindi i requi-<br />

Anna Maria Isastia<br />

14<br />

siti per attirare e incanalare le attese della gente Le<br />

speranze del passato si sono dimostrate illusorie, il<br />

mazzinianesimo come progetto politico si è arenato tra<br />

le polemiche dei suoi più stretti seguaci mentre le attese<br />

e le aspettative di un rinnovamento politico – alimentate<br />

dalla propaganda mazziniana – sono ormai patrimonio<br />

comune a molti e non più solo a nuclei ristretti<br />

di militanti È in questo contesto che va collocato il<br />

programma democratico-moderato filo-piemontese Un<br />

programma che per avere successo deve penetrare<br />

capillarmente nel Regno di Sardegna, essere condiviso<br />

dal mondo politico subalpino e da qui deve essere<br />

riesportato in tutta Italia In questo vasto disegno<br />

Manin si presenta come l’ideologo mentre a Pallavicino<br />

spetta il compito del divulgatore Bisogna convincere<br />

la gente a condividere un progetto di unificazione nazionale<br />

attraverso la monarchia sabauda<br />

<strong>Il</strong> primo a capire l’importanza di questo nuovo programma<br />

politico è il capo del governo piemontese,<br />

Cavour e con lui appare particolarmente interessato il<br />

re Vittorio Emanuele II; per entrambi è evidente il peso<br />

che può avere sull’opinione pubblica europea l’adesione<br />

al Piemonte degli esuli democratici italiani sparsi<br />

in tanti paesi Molto più freddi sono i cittadini del regno<br />

e la stampa che appare indifferente e sospettosa<br />

Nel corso del 1856 nasce il Partito Nazionale Italiano<br />

di cui entra a far parte l’esule siciliano Giuseppe La<br />

Farina, un giornalista che considera giustamente indispensabile<br />

dare vita ad un giornale per divulgare il<br />

programma del partito Nasce così il “Piccolo Corriere<br />

d’Italia” che si occupa di una cosa sola, la questione<br />

italiana e aderisce in toto alla politica cavouriana Nasce<br />

anche uno stretto sodalizio tra Cavour e La Farina<br />

che svolge per alcuni anni un prezioso ruolo di raccordo<br />

tra i democratici di tutta la penisola e il capo del<br />

governo di Torino La Farina assume progressivamente<br />

le funzioni di vero e proprio capo del partito<br />

cavouriano in Italia mentre Cavour attraverso questo<br />

rapporto, rimasto a lungo segreto, è in condizione di<br />

controllare e incanalare le forze della rivoluzione inserendole<br />

in un progetto da sviluppare ora attraverso la<br />

diplomazia ora contro di essa L’esule siciliano ha chiaro<br />

in mente il progetto da realizzare Scrive infatti:<br />

Non bisogna farsi illusioni: la rivoluzione<br />

non è in quella gente che legge, che scrive<br />

e che disputa di politica La vera rivoluzione<br />

è in una classe di persone che ancora<br />

non ha tanta istruzione da poter pensare<br />

da sé; che ha bisogno di un essere collettivo,<br />

il quale pensi per lei (1)


Serve un vero partito ben strutturato e il partito<br />

nasce realmente quando vi aderisce Garibaldi Come<br />

tante altre volte nella storia del Paese è la sua presenza,<br />

è la sua adesione ad assicurare il successo di una<br />

idea, di una proposta, di un progetto Viene nominato<br />

vice presidente onorario L’ennesimo fallimento dei<br />

tentativi mazziniani del 1857: il tragico epilogo del coraggioso<br />

tentativo che costa la vita a Carlo Pisacane,<br />

il moto di Genova, il moto di Livorno stroncati dai governi<br />

senza fatica, impongono a molti una definitiva<br />

presa di distanza da Mazzini e rilanciano il progetto<br />

del nuovo partito che si modella sempre più sulla organizzazione<br />

vagheggiata da La Farina <strong>Il</strong> Partito Nazionale<br />

Italiano diventa Società Nazionale italiana e si<br />

struttura in modo da risultare legale in Piemonte e clandestino<br />

nel resto d’Italia <strong>Il</strong> riconoscimento del nuovo<br />

partito da parte del governo di Torino provoca entusiasmo<br />

e adesioni in tutta Italia Nelle città italiane<br />

nascono numerosi i Comitati: se ne trovano in <strong>Lombardia</strong>,<br />

Veneto, Romagne, Umbria, Marche, Lazio e<br />

Toscana, Sicilia Sono le sezioni “segrete” del partito<br />

riconosciuto ufficialmente a Torino, un partito che si<br />

propone di fare la rivoluzione per liberare l’Italia dagli<br />

austriaci e dal papato<br />

I giornali vengono coinvolti uno alla volta e ben<br />

trenta testate italiane si avvicinano progressivamente<br />

alla nuova struttura, seguite da altrettanti organi di<br />

informazione in Francia, Inghilterra, Svizzera e Belgio<br />

La rete degli esuli italiani in quei paesi si rivela preziosa<br />

Si stampano e si distribuiscono fogli volanti con<br />

documenti da far circolare il più possibile I fogli vengono<br />

inseriti nei giornali, distribuiti a mano, lasciati<br />

sui tavoli dei caffè tipico luogo di incontro e di discussione<br />

delle città italiane Le botteghe di caffè e<br />

quelle dei barbieri sono state luogo privilegiato di divulgazione<br />

di idee e programmi, ma anche luogo di<br />

reclutamento senza distinzioni di ceto sociale Non è<br />

un caso se tanti giovani combattenti della seconda<br />

guerra di indipendenza erano appunto garzoni di barbiere<br />

o camerieri nei locali pubblici dove avevano ascoltato,<br />

assimilato e dove si erano entusiasmati alle discussioni<br />

che giorno dopo giorno avevano avuto modo<br />

di ascoltare dagli attivisti di partito<br />

A gennaio 1859 si costituisce un Comitato della<br />

Società Nazionale Italiana anche a Genova, nella roccaforte<br />

stessa del movimento democratico, in una città<br />

che solo un anno e mezzo prima aveva organizzato un<br />

moto contro Torino È la dimostrazione del consenso<br />

sempre più ampio ad una linea politica che è diplomatica<br />

e rivoluzionaria nello stesso tempo Tutta l’organizzazione<br />

fa capo a Torino, da qui partono le direttive<br />

per tutti i Comitati locali In Toscana abbiamo un Comitato<br />

centrale che ha sede a Firenze ed è guidato dal<br />

marchese Ferdinando Bartolommei A Livorno gli aderenti<br />

si riuniscono intorno a Vincenzo Malenchini e<br />

sotto la sua guida vanno poi a combattere sotto la<br />

15<br />

bandiera sarda vestendo la divisa dei Cacciatori di<br />

Garibaldi Fittissima la rete organizzativa che lega lombardi<br />

e piemontesi, mentre la Società Nazionale Italiana<br />

appare molto ben strutturata nello Stato Pontificio<br />

e nei Ducati Cavour, sviluppando la sua politica, sa di<br />

poter contare su uomini che rispondono alle sue indicazioni<br />

in larga parte d’Italia Attraverso la rete dei Comitati<br />

locali, Cavour e La Farina riescono ad organizzare,<br />

coordinare, rendere ordinato e sufficientemente omogeneo<br />

anche il variegato mondo del volontarismo, che in<br />

passato aveva creato tanti problemi, unificando scopi e<br />

motivazioni, utilizzandolo al meglio, sfruttando politicamente<br />

e militarmente le possibilità offerte da questa massa<br />

di uomini che diventano protagonisti degli eventi<br />

Si rende comprensibile, con un’accorta opera di<br />

propaganda, il legame tra l’aspirazione all’indipendenza<br />

e alla libertà e il desiderio di mutamento di condizioni<br />

economiche, dipendente e strettamente collegato alle<br />

motivazioni ideali e il fatto che solo la convergenza<br />

delle due spinte ha la forza di rendere concreta la battaglia<br />

per il principio ideale Questo tipo di messaggio,<br />

propagandato con insistenza, allarga le basi del partito<br />

unitario presso la nascente opinione pubblica italiana,<br />

senza suonare astratta utopia alle orecchie degli<br />

italiani perché prefigura l’allargamento alla nazione che<br />

sta per nascere di una situazione già in atto in uno<br />

degli Stati italiani: l’unico ad aver mantenuto lo Statuto<br />

dopo il biennio delle grandi speranze, l’unico ad<br />

avere una stampa libera e il più vivace economicamente<br />

La preparazione dell’opinione pubblica fa sì che fin<br />

dal gennaio 1859, quando la guerra all’Austria è solo<br />

un desiderio, cominciano ad affluire in Piemonte i primi<br />

volontari pronti a combattere Non va sottovalutato<br />

il fatto che si tratta di sudditi dell’imperatore austriaco<br />

(lombardi e veneti), del granduca di Toscana, del papa<br />

(romagnoli, marchigiani, umbri e romani), che si recano<br />

in un altro Stato, il Regno di Sardegna, chiedendo di<br />

entrare a far parte di quell’esercito per combattere una<br />

guerra di interesse comune Non è esagerato dire che se<br />

la guerra scoppia effettivamente nella primavera del 1859<br />

colpa o merito è anche dei volontari che permettono a<br />

Cavour di giocare la carta dell’adesione di massa alla<br />

politica sarda degli italiani di fronte ad una diplomazia<br />

europea contraria allo scoppio delle ostilità e, di conseguenza,<br />

ad un Napoleone III molto incerto I volontari<br />

sono determinanti nello spingere l’Austria ad inviare al<br />

Piemonte l’ultimatum che da l’avvio alla guerra Sono<br />

importanti nel coinvolgimento di una opinione pubblica<br />

europea tutt’altro che calda per la guerra Sono utili nelle<br />

operazioni belliche Permettono a Cavour di muoversi<br />

militarmente anche in uno scacchiere diverso da quello<br />

dove si svolgono le battaglie principali<br />

Tutte le rivoluzioni del centro Italia sono coordinate<br />

da Torino attraverso i Comitati locali Quello che è<br />

importante sottolineare è il fatto che Cavour riesce a<br />

non disperdere le forze mantenendo il controllo della


situazione e utilizzando gli uomini per scopi differenziati<br />

Un ruolo politico di eccezionale importanza è<br />

quello svolto dal siciliano Giuseppe La Farina tra il<br />

1857 e il 1859 come segretario della Società Nazionale<br />

Italiana (SNI) e stretto collaboratore di Cavour Figura<br />

centrale negli anni che vedono maturare il progetto di<br />

unificazione della penisola, appartiene a quel gruppo<br />

di uomini convinti della necessità di allargare la sfera<br />

del consenso, educando il popolo Crede nella possibilità<br />

di “fare” dell’Italia una nazione ed ha fede nei<br />

vantaggi di cui tutti avrebbero goduto in una nuova<br />

situazione politico-istituzionale Insieme a Cavour guida<br />

la Società Nazionale italiana – facendone l’organo<br />

di raccordo di tutte le frazioni liberali e democratiche<br />

che si riconoscono nella monarchia sabauda – che diventa<br />

l’incubatrice della futura classe dirigente, in grado<br />

di assumere il controllo dei vari territori mano a<br />

mano che nel 1859 riescono a liberarsi Nella Società<br />

Nazionale affluiscono tutti quei democratici delusi dalla<br />

rigidità dottrinaria di Mazzini e convinti della necessità<br />

di aggregare quanti, indipendentemente dalle loro<br />

opinioni politiche, sono disposti ad operare per unificare<br />

l’Italia intorno alla monarchia sabauda, a cominciare<br />

da Garibaldi<br />

Nella mente di Cavour la Società Nazionale Italiana<br />

si pone come il nucleo di un vero partito nazionale<br />

liberal-moderato già pronto ad operare in sede locale e<br />

in sede nazionale In realtà, dopo aver assolto<br />

egregiamente nel 1859 i compiti affidatigli nella preparazione<br />

della seconda guerra d’indipendenza, e aver<br />

cooperato al successo della spedizione dei Mille del<br />

1860, la SNI perde il suo ruolo, mentre non è difficile<br />

notare che negli anni seguenti ritroviamo in Loggia<br />

molti personaggi che ne avevano fatto parte Giuseppe<br />

La Farina, ad esempio, viene iniziato il 9 maggio<br />

1860 nella loggia “Ausonia” di Torino (2) Per molti la<br />

Società nazionale italiana è una emanazione massonica<br />

<strong>Il</strong> primo ad affermarlo è Piero Buscalioni secondo cui:<br />

Note<br />

I costituzionali della Società Nazionale,<br />

allora capitanati da Giuseppe La Farina e<br />

Carlo Michele Buscalioni, i quali,<br />

16<br />

assecondando in simile frangente i suggerimenti<br />

del conte di Cavour, dopo le<br />

prime annessioni, pensarono di prevenire<br />

il Partito d’Azione nel ridare vita all’Ordine<br />

massonico in Italia onde poterlo<br />

signoreggiare a loro talento ed impedire<br />

che in esso potesse prevalere la fazione<br />

che vedeva nella costituzione repubblicana<br />

l’assetto preferibile all’Italia<br />

redenta I capi della Società Nazionale<br />

non stimarono prudente di mettersi subito<br />

alla testa dell’Istituzione, specialmente<br />

per non destare i sospetti e le gelosie<br />

del Partito d’Azione; pensarono invece<br />

di affidare il delicatissimo compito che si<br />

erano prefissi ad un insigne personaggio<br />

[Livio Zambeccari] che era stato uno<br />

dei primi ad aderire con entusiasmo alla<br />

costituzione della Società Nazionale(3) <br />

<strong>Il</strong> conte Livio Zambeccari (5)<br />

In effetti il solo Zambeccari risulta essere sicuramente<br />

massone, sembra dagli anni trenta dell’800, prima<br />

della nascita della Loggia “Ausonia” Solo a Roma,<br />

rimasta la capitale dello Stato pontificio fino al 1870,<br />

negli anni sessanta, è attiva una Loggia, la “Fabio<br />

Massimo” i cui membri sono anche espressione del<br />

liberale e governativo Comitato nazionale romano,<br />

nato nel 1858 come sezione locale della Società Nazionale<br />

Italiana (4)<br />

(1) Anna Maria Isastia, <strong>Il</strong> volontariato militare nel Risorgimento La partecipazione alla guerra del 1859, Roma, Ufficio<br />

storico Stato Maggiore Esercito, 1990, p 47<br />

(2) <strong>Il</strong> 18 febbraio 1860 scriveva: So che qui vi è Loggia, ma ignoro chi la componga Se pensassero rivolgersi a me<br />

accetterei volentieri<br />

(3) Piero Buscalioni, La Loggia Ausonia e il primo <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia, Roma, se, sd, pp19-20<br />

(4) La nascita del Comitato nazionale romano in Anna Maria Isastia, Roma nel 1859, Roma, Istituto per la storia del<br />

Risorgimento italiano, 1978; la sua vicenda nel decennio 1860-70 in Fiorella Bartoccini, La “Roma dei romani”, Roma,<br />

Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1971<br />

(5) <strong>Il</strong> conte Livio Zambeccari nasce a Bologna nel 1802 Carbonaro e mazziniano, in seguito ai moti del 1821 parte esule;<br />

dopo una serie di peregrinazioni per l’Europa, giunge in America Latina Dopo aver combattuto in Uruguay e in Argentina,<br />

nel 1831 va in Brasile Nella regione del Rio <strong>Grande</strong> do Sul, a Porto Alegre, prende parte attivamente alla Rivoluzione<br />

Farroupilha contro l’esercito imperiale brasiliano Nel 1836, nel corso di una battaglia, viene arrestato e tenuto prigioniero<br />

per tre anni Liberato a condizione che lasci il continente, nel 1839 torna in Europa e nel 1841 in Italia, dove partecipa<br />

attivamente ai moti risorgimentali e alle guerre d’indipendenza che porteranno all’Unità Muore a Bologna nel 1862


“La Nazione”: l’intuizione di una notte<br />

Che cos’è un’intuizione? La capacità di percepire<br />

con naturalezza la soluzione di un problema, di comprendere<br />

immediatamente non per via di ragionamento,<br />

ma per singolare acutezza d’intelletto, lo spiegarsi<br />

degli eventi La notte del 14 luglio 1859 si concretizzò<br />

l’intuizione avuta dal barone Bettino Ricasoli, per meglio<br />

comprendere le motivazioni delle scelte allora fatte<br />

occorre tornare ad assaporare l’atmosfera che regnava<br />

in quei giorni L’11 luglio 1859 quando le vittorie<br />

delle truppe franco piemontesi avevano riscosso<br />

successi in battaglie di rilevanza strategica, basti pensare<br />

a quella di Solferino, giunge l’improvvisa decisione<br />

di un armistizio voluto dai francesi, preoccupati dalle<br />

truppe prussiane che si ammassavano minacciose lunghi<br />

i confini, al quale il Regno dei Savoia non ebbe la<br />

forza di potersi opporre Con l’accordo si concedeva<br />

quasi l’intera <strong>Lombardia</strong> a Piemontesi, il Nord-Est rimaneva<br />

sotto l’influenza asburgica, in Toscana si prevedeva<br />

il ritorno al governo dei Lorena e il centro sud<br />

era appannaggio dello Stato Pontificio <strong>Il</strong> primo effetto<br />

che la decisione subita dai Savoia produsse furono le<br />

furiose dimissione di Cavour, in quanto era chiaro che<br />

si sopportava un Italia libera ed indipendente ma non<br />

troppo forte da minare gli equilibri europei Era rimasto<br />

solo il barone Bettino Ricasoli, in qualità di Capo del<br />

governo toscano insediatosi dopo la partenza del granduca,<br />

come difensore della causa italiana Ma in quei<br />

giorni le notizie impegnavano del tempo per raggiungere<br />

le varie autorità, infatti giunsero a Firenze solo<br />

nel pomeriggio del 13 luglio 1859 gettando nello sconforto<br />

e nel caos i patrioti Nella confusione che regnava<br />

a Palazzo Vecchio l’unico che mantenne la calma<br />

per guidare gli eventi si dimostrò il Ricasoli, che intuì<br />

come poter rispondere a una situazione che nessun<br />

voleva accettare<br />

L’indomabile energia del “Barone di ferro” era totalmente<br />

indirizzata verso il sogno possibile dell’unità<br />

di Italia, raggiungibile solo attraverso un plebiscito che<br />

avesse sancito l’annessione della Toscana al Regno<br />

di Sardegna Benché egli si fosse attivato sulla strada<br />

diplomatica, con l‘invio di ambasciatori a Parigi e a<br />

Torino, aveva compreso che l’appoggio della popolazione,<br />

informata sugli avvenimenti, avrebbe condotto<br />

al successo Per questo motivo fece convocare tre<br />

patrioti fiorentini Piero Puccioni, Sebastiano Fenzi e<br />

Leopoldo Cempini, con i quali aveva condiviso l’idea<br />

di stampare un quotidiano politico in appoggio alle<br />

decisioni del governo toscano Li esortò con forti parole<br />

affermando che il tempo era arrivato e quindi la<br />

mattina del giorno seguente avrebbe voluto leggere il<br />

giornale L’ora tarda, erano le nove di sera e la difficoltà<br />

nel realizzare gli articoli furono le timide motivazioni<br />

con cui i tre cercavano di fermare l’irruente barone nei<br />

suoi convincimenti; ma tuonò il Ricasoli: “O domani<br />

mattina o mai più” Fu così che Piero Puccioni,<br />

Sebastiano Fenzi e Leopoldo Cempini si fecero accom-<br />

Enzo Heffler<br />

17<br />

pagnare alla tipografia di Gaspero Barbera, con in mano<br />

il programma dettato loro dal capo del governo in<br />

un’unica parola, ovvero il nome della testata: “La Nazione”<br />

Per poter realizzare, in così poco tempo, i giornalisti<br />

e i tipografi lavorarono freneticamente gomito a<br />

gomito, accadeva che mentre si componeva l’articolo,<br />

parola per parola, si facevano le bozze della prima parte<br />

per le correzioni<br />

Alle prime ore della mattino giunse il barone Ricasoli<br />

che, lette le bozze degli articoli, diede l’autorizzazione<br />

alla stampa; fu così che una sorta di numero<br />

zero fu distribuito in tremila copie per la città Fu necessario<br />

giungere al 19 luglio 1859 per l’uscita ufficiale<br />

del numero “1”, con le indicazioni di legge, i prezzi per<br />

l’eventuale abbonamento e per la pubblicità; era definitivamente<br />

nato il quotidiano che segnerà ininterrottamente<br />

150 anni della storia d’Italia; che abbiamo potuto<br />

ammirare alla mostra realizzata all’interno della<br />

Galleria Medici di Palazzo Riccardi a Firenze Un quotidiano<br />

che, malgrado le sirene giunte dopo la proclamazione<br />

di Roma Capitale d’Italia, non abbandonò la volontà,<br />

di colui che fortemente lo aveva voluto, ovvero<br />

di accompagnare la vita della città di Firenze, raccontando<br />

quella che oggi chiameremmo la cronaca di ogni<br />

giorno “La Nazione” divenne uno strumento di coe-


sione sociale e di sviluppo economico in quanto, il<br />

continuo dialogo coi lettori e la presenza capillare sul<br />

territorio, permetteva di coniugare tradizione e innovazione<br />

La crescita del giornale fu garantita da grandi<br />

personaggi; fu così che giunsero alla redazione uomini<br />

del calibro di Massimo D’Azeglio, Niccolò Tommaseo,<br />

Carlo Lorenzini, Edmondo De Amicis, Alessandro Dumas,<br />

Luigi Capuana, Giosue Carducci, Giovanni Pascoli<br />

ed infiniti altri La scelta di collaborare con queste firme<br />

permise alla Testata di superare i momenti difficili,<br />

riuscendo spesso a battere la concorrenza La scelta<br />

di una linea editoriale improntata ad un liberismo illuminato,<br />

che sapesse aprirsi ai temi di carattere sociale,<br />

ospitando anche firme che esprimevano posizioni lontane<br />

dalle proprie, attrasse l’interesse di molti uomini<br />

legati alla Massoneria italiana, come si può evincere<br />

da un rapido excursus dell’elenco di nomi dei redattori<br />

di allora, ad iniziare dal fondatore<br />

Quell’intuizione di una notte fu una tappa fondamentale<br />

per la realizzazione di un sogno possibile: l’unità<br />

di Italia; il ruolo fondamentale che la Toscana aveva<br />

da fare nel gran moto che doveva condurre l’Italia<br />

all’indipendenza e alla libertà, come scriverà<br />

Cavour, è strettamente connesso alla “La Nazione”,<br />

che non è solo fra i longevi della nostra storia ma è<br />

Nota di Redazione<br />

Le origini del giornalismo moderno possono esser fatte risalire intorno al 1500 e sono strettamente collegate con<br />

l’invenzione di Gutenberg della stampa a caratteri mobili attorno alla metà del Quattrocento È in questi anni, infatti, che<br />

cominciano a diffondersi i “notiziari” delle compagnie di navigazione, con informazioni di tipo economico, commerciale e<br />

politico <strong>Il</strong> giornalista cominciò a proliferare per le strade dei Paesi europei intorno al 1700 La diffusione di un nuovo<br />

mestiere ed il bisogno di diffondere maggiormente idee e fatti non è, come ogni fatto storico, casuale La stampa è indicata<br />

come il maggior elemento che contribuì all’allargamento dei lettori ed alla nascita di gazzette, riviste, giornali diffusi su larga<br />

scala Se però tutto quell’inchiostro fosse stato usato per niente, nessuno avrebbe deciso di stampare fogli su fogli La<br />

convenienza stava nell’avere un eccellente strumento per la definizione dell’opinione pubblica Si cominciò, così, a dirigere<br />

e pilotare i pensieri oltre che a diffondere notizie strategiche e mirate ad una certa reazione del popolo Si formarono,<br />

dunque, salotti e gruppi di intellettuali, i quali misero per iscritto le loro teorie e le diffusero grazie alla stampa, che diveuno<br />

dei più potenti mezzi di persuasione<br />

In Italia una parte considerevole di giornali tuttora in circolazione è nata, in forme artigianali, durante il Risorgimento e<br />

nei primi anni dell’Unità Già nel Seicento le prime gazzette, facendo seguito ai fogli e agli avvisi affissi generalmente alle<br />

porte delle chiese riportano notizie locali e informazioni sulle corti estere, ma è nel Settecento che i primi giornali vedono<br />

la luce Si tratta essenzialmente di traduzioni di giornali stranieri, di contenuto generalmente letterario destinati ad une<br />

ristretta élite <strong>Il</strong> giornale compie sensibili progressi nel periodo che va dalla Rivoluzione francese alla Restaurazione e con<br />

l’ampliamento dei temi trattati, si inizia a trattare di politica È in questo periodo che si attesta la definitiva affermazione<br />

della stampa e nonostante gli eventi susseguitesi nel corso di un paio di secoli e le grandi trasformazioni sociali e culturali,<br />

quasi tutti i vecchi giornali escono ancora con la testata di origine e con caratteri di stampa simili (1) Sorgono i primi grandi<br />

organi di stampa: La Nazione esce nel 1859 e il suo fondatore Bettino Ricasoli ne diventa presidente due anni dopo (2); <strong>Il</strong><br />

Secolo, fondato dai fratelli Sonzogno nel 1866 (scomparso nel 1928) di matrice democratica e il Corriere della Sera,<br />

fondato a Milano nel 1876 da Eugenio Torelli con un indirizzo conservatore-moderato Nascono pubblicazioni create per<br />

attività economiche, quali <strong>Il</strong> Corriere mercantile a Genova (quotidiano dal 1844) e <strong>Il</strong> Sole a Milano 1965; per finire con i<br />

primi giornali sportivi La Gazzetta dello Sport, Milano 1896, divenuto quotidiano a partire dal 1919 e le prime testate di<br />

opposizione tra cui l’Avanti! 1896, organo ufficiale del Partito socialista<br />

(1) Paolo Murialdi (1919-2006) è stato redattore capo del “Giorno” dal 1956 al 1973, presidente della Federazione<br />

nazionale della stampa italiana dal 1974 al 1981, Consigliere d’amministrazione della Rai dal 1993 al 1994 Ha diretto il<br />

“<strong>Laboratorio</strong> per la comunicazione economica e finanziaria” dell’Università Bocconi di Milano Tra le sue opere: “Come si<br />

legge un giornale” (1986), “La stampa del regime fascista” (1986) e “La stampa italiana dalla Liberazione alla crisi di fine<br />

secolo” (1995), tutti pubblicati da Laterza; e inoltre “Maledetti professori”, “Diario di un anno alla Rai” (Rizzoli, 1994) e<br />

“<strong>Il</strong> giornale” (<strong>Il</strong> Mulino, 1998)<br />

(2) Quest’anno si sommano almeno tre eventi che lo riguardano: il bicentenario della sua nascita (9 marzo 1809); il<br />

centocinquantesimo anniversario della rivoluzione toscana del 27 aprile 1859 ed infine il centocinquantesimo anniversario<br />

della fondazione del giornale “La Nazione”, il più antico nella storia della stampa italiana (Nota di Blasco Mucci)<br />

18<br />

riuscito a mantenere una caratteristica unica nella storia<br />

del giornalismo italiano Un giornale che incarna<br />

contemporaneamente le qualità di un quotidiano di<br />

forte impronta nazionale e l’identità culturale,economica<br />

e sociale del proprio territorio Questo connubio ha<br />

permesso di essere pronto ha raccogliere le nuove sfide<br />

che la tecnologia oggi gli pone davanti; affianco<br />

all’edizione tradizionale è stato predisposto uno studio<br />

televisivo che permette di far sentire la propria voce<br />

per approfondimenti su temi di interesse regionale e/o<br />

nazionale<br />

Inoltre la possibilità di consultare l’edizione cartacea<br />

su Internet grazie al sito web wwwquotidianonet, ove<br />

si può usufruire di un breve telegiornale completamente<br />

realizzato dalla redazione per analizzare alcuni avvenimenti<br />

affrontati nel quotidiano Avendo avuto l’onore<br />

di vedere in azione l’attuale redazione di Firenze ho<br />

avuto la netta sensazione che lo spirito del “Barone di<br />

ferro”, ovvero la ferma volontà di operare perché un<br />

sogno diventasse realtà, aleggiasse fra le scrivanie dei<br />

giovani redattori di oggi; custodi di principi e valori<br />

cari ai fiorentini e non solo grazie ai quali “La Nazione”<br />

potrà festeggiare altri 150 anni di vita, durante i<br />

quali sarà protagonista della crescita e affermazione<br />

della Toscana e della nazione


1859: “Primavera della Patria” a Massa Marittima<br />

Le vicende seguite all’esplosione rivoluzionaria del<br />

1848-49 avevano lasciato profonde tracce nella popolazione<br />

di sentimenti democratici di Massa Marittima <strong>Il</strong><br />

decennio precedente alla rivoluzione incruenta avvenuta<br />

in Toscana il 27 aprile 1859 era stato anche in<br />

questa città, definita da Giuseppe Garibaldi la “Brescia<br />

Maremmana” per l’eroismo dei suoi volontari, un decennio<br />

colmo di speranze e di riscatto della sfortunata<br />

campagna del 1848 e del 1849, nella quale erano caduti<br />

sui campi di battaglia di Curtatone e Montanara tre<br />

giovani massetani poco più che ventenni: Pietro Sarcoli,<br />

Giuseppe Amidei e Giuseppe Fusi Erano quegli stessi<br />

campi dove il concittadino Giovanni Morandini, futuro<br />

senatore del Regno e già incarcerato per aver fatto visita<br />

alla madre dei fratelli Bandiera, salvava la vita a<br />

Giuseppe Montanelli (il triumviro toscano) ferito, sapendo<br />

per questo gesto di amicizia di incorrere nella<br />

inevitabile cattura da parte degli austriaci e di dover<br />

sostenere, come avvenne, una dura prigionia nel campo<br />

di Innsbruck Poi, nel 1849, l’episodio storico che<br />

legherà per sempre la cittadinanza massetana alla figura<br />

di Garibaldi e alla storia del Risorgimento nazionale,<br />

col salvataggio dell’Eroe dei due Mondi in fuga dalla<br />

Repubblica romana, condotto a rischio della vita dai<br />

patrioti massetani e maremmani nella rada amica di<br />

Calamartina, da dove può certo considerarsi iniziato il<br />

futuro d’Italia e un lungo periodo per la Maremma e<br />

Massa Marittima di preparazione, di cospirazione e di<br />

attesa di momenti migliori<br />

Gli eventi e le aspettative degli anni dal 1850 al 1859<br />

si riassumono nella vita di Massa Marittima anzitutto<br />

nell’espressione rivolta dal Municipio al governo granducale,<br />

primo fra tutti in Toscana, della riapertura del<br />

Parlamento nel 1850, richiesta respinta dal Granduca<br />

insieme alla successiva revoca formale dello Statuto<br />

nel maggio 1852, forte della protezione dell’esercito<br />

austriaco La deliberazione del Municipio massetano<br />

costò la destituzione (con decreto 10 maggio 1850) del<br />

Gonfaloniere (Sindaco) della città per atti ostili al Governo<br />

ma il magistrato cittadino, per dimostrargli la sua<br />

solidarietà e la sua contrarietà al granduca, lo nominò<br />

all’unanimità Priore (Consigliere) nella adunanza del 17<br />

maggio successivo A queste forme di aperta ribellione<br />

politica della municipalità poteva essere certo ricondotto<br />

anche l’atto di coraggio compiuto dal Comitato<br />

di Pubblica Sicurezza presieduto dal Gonfaloniere Pietro<br />

Fusi, che chiamato a fare atto di adesione al restaurato<br />

governo granducale rispondeva attraverso il segretario<br />

del Comitato, Canonico Enrico Rossetti, che<br />

Massa Marittima aderiva costretta dalle circostanze,<br />

e dalla necessità di evitare tra i due mali il maggiore<br />

Gianpiero Caglianone<br />

19<br />

(1) Perfino boicottare la festa in occasione della nascita<br />

di un erede del granduca (dicembre 1852) poteva<br />

essere un’occasione per dimostrare l’insofferenza dei<br />

cittadini di Massa Marittima verso il vecchio ordine<br />

costituito: essendo stato richiesto che i festeggiamenti<br />

dovessero avere una cornice musicale con l’intervento<br />

della banda cittadina, questa si adunò e a grande maggioranza<br />

deliberò di rifiutare l’invito L’aperta ostilità<br />

dimostrata costò il carcere per alcuni mesi ad alcuni dei<br />

componenti la banda, che venne sciolta d’autorità e<br />

ricostituita solo alcuni anni più tardi, con dure condizioni<br />

Gli atti di disobbedienza civile, come potremmo<br />

chiamarli oggi, furono dunque continui nel decennio e<br />

arrivarono a boicottare la visita del Granduca a Massa<br />

Marittima (1854), quando gran parte della cittadinanza<br />

rifiutò le illuminazioni delle case private e disertò in massa<br />

l’evento, con grande dispetto dei codini locali<br />

Non ci si limitava però a queste plateali ma innocue<br />

forme di protesta: alcuni liberali massetani, tra i quali<br />

ebbero parte cospicua i mazziniani Annibale e Riccardo<br />

Lapini e Stefano Manghessi, preparavano la gioventù<br />

al moto insurrezionale, poi fallito nel 1853, che Giuseppe<br />

Mazzini aveva stabilito dovesse partire da Milano<br />

Gli affiliati avevano una medaglia di piombo – come<br />

contrassegno per riconoscersi – pagavano un soldo<br />

la settimana, erano divisi in decurie e centurie (2)<br />

Nonostante i fallimenti, la forza dei liberali cittadini era<br />

tale che la polizia non osò mai dare apertamente la caccia<br />

ai sospettati e l’azione di questi continuò imperterrita<br />

e praticamente alla luce del sole anche attraverso<br />

forme di sociabilità locali come il Circolo Popolare, dove<br />

a dispetto degli ordini delle autorità di Pubblica Sicurezza<br />

si trattavano apertamente tra i convenuti questioni<br />

politiche e rivoluzionarie La diffusione dei principi<br />

repubblicani mazziniani fu l’opera maggiore di sensibilizzazione<br />

politica che la democrazia massetana compì<br />

in questi lunghi anni di preparazione al 1859, nei quali<br />

la memoria del caduti di Curtatone e Montanara non<br />

venne mai abbandonata e anzi continuamente riaffermata:<br />

ogni anno si stabilì doversi celebrare una messa<br />

in loro suffragio, alla quale sempre intervenne la rappresentanza<br />

comunale Nel rammentare questo fatto,<br />

non poi così inconsueto nel Risorgimento a livello locale,<br />

di vicinanza fra la Chiesa massetana e i liberali<br />

cittadini, dobbiamo ricordare come non fossero pochi i<br />

membri della chiesa cittadina di sentimenti liberali e insieme<br />

al Can Rossetti, sopra citato, altri esempi potrebbero<br />

farsi di questa vicinanza, tra i quali spicca certo<br />

la figura di Don Bartolomeo Nardelli e soprattutto di<br />

Monsignor Giuseppe Maria Traversi, Vescovo della<br />

città e zio di Giovanni Morandini, che nonostante la


sua alta carica pastorale aveva ben presente l’urgente<br />

necessità di riforme liberali nei tempi presenti e che<br />

non a caso risulterà assente nel documento di solidarietà<br />

espresso dal vescovi di Toscana al Cardinale di<br />

Pisa, Cosimo Corsi, nel 1860, in occasione del suo rifiuto<br />

di riconoscere la nuova realtà politica venutasi a<br />

creare con il nuovo Stato italiano<br />

<strong>Il</strong> fatidico 1859 si apriva con il discorso al Parlamento<br />

di Vittorio Emanuele II nel quale si dichiarava come<br />

il re piemontese non fosse insensibile al grido di dolore<br />

che da tante parti d’Italia levavasi verso di lui<br />

In Toscana, l’opuscolo di Bettino Ricasoli “La Toscana<br />

e l’Austria” suscitava entusiasmi tra i liberali, con il<br />

suo appello al Granduca affinché si affrancasse dalla<br />

soggezione austriaca e si unisse al Piemonte nella costruzione<br />

di un grande stato italiano Leopoldo II non<br />

poté, naturalmente, accogliere questo appello e subì<br />

fatalmente gli eventi travolgenti che si presentarono<br />

senza sapervisi opporre L’Austria ruppe la pace contro<br />

il Piemonte, alleato della Francia napoleonica e il 26<br />

aprile cominciavano le ostilità <strong>Il</strong> 27 aprile, mentre già<br />

numerosi volontari toscani erano partiti per il Piemonte,<br />

e sempre più frequenti le bandiere tricolori apparivano<br />

in pubblico, il Granduca lorenese era costretto da<br />

una rivoluzione incruenta, dopo una richiesta di abdicazione<br />

respinta, ad abbandonare per sempre Firenze<br />

Subito fu creato un Governo Provvisorio, composto da<br />

Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Malenchini e Alessandro<br />

Danzini, in attesa dell’arrivo del Commissario piemontese<br />

L’annunzio della fuga del granduca e la proclamazione<br />

del Governo Provvisorio, benché lungamente<br />

sperato, giunse inaspettato a Massa Marittima, dove il<br />

Gonfaloniere Domenico Malfatti e i Priori che lo assistevano<br />

(3), tutti di sentimenti unitari, non essendo<br />

ancora sicuri della piega che avrebbero preso gli eventi<br />

e memori degli entusiasmi delusi del ’48, emisero il 29<br />

aprile un avviso pubblico (4) che, benché subito aperto<br />

con la dichiarazione di adesione al Governo Provvisorio,<br />

rimaneva improntato a una giustificata prudenza<br />

invitando i cittadini a mantenere i nervi saldi:<br />

Venuti in cognizione loro adunati che<br />

SAS e Reale il Granduca ha abbandonato<br />

la Toscana senza avere emesso alcuna<br />

disposizione per la rappresentanza<br />

di lui, per cui il Municipio fiorentino ha<br />

eletto un Governo Provvisorio onde prevenire<br />

le calamità che potrebbero verificarsi<br />

nella mancanza anche momentanea<br />

dell’azione governativa (I Magistrati) loro<br />

adunati penetrati della necessità di prendere<br />

quei temperamenti che sono creduti<br />

i più opportuni a mantenere l’ordine e l’osservanza<br />

alle leggi, all’unanimità prestano<br />

adesione alla risoluzione del prelodato<br />

Municipio fiorentino Inoltre (autorizzano)<br />

il Signor Gonfaloniere di Massa Maritti-<br />

20<br />

ma di pubblicare il seguente avviso: Concittadini,<br />

il Gonfaloniere in riguardo alle<br />

presenti contingenze politiche, esorta a<br />

continuare nella calma e tranquillità fino<br />

ad oggi esemplarmente mantenuta da tutta<br />

la popolazione, al rispetto verso le autorità<br />

ed obbedienza alle leggi, del che<br />

nutre piena fiducia<br />

L’invito alla prudenza in quel momento decisivo della<br />

storia toscana e nazionale non poteva diminuire fra la<br />

maggior parte della popolazione l’entusiasmo suscitato<br />

dall’annuncio della caduta del governo granducale<br />

Subito dopo i festeggiamenti pubblici, cominciarono le<br />

sottoscrizioni per gli arruolamenti dei volontari e il<br />

Municipio stanziava i sussidi (£ 50 mensili) a sostegno<br />

delle famiglie indigenti dei combattenti in partenza<br />

per la seconda guerra d’indipendenza:<br />

Rotta è la guerra; – scrivevano alla popolazione<br />

nel maggio 1859 i componenti<br />

della Commissione cittadina istituita (5) –<br />

questa è per l’Italia guerra non di ambizione,<br />

o di conquista, ma la necessaria<br />

conseguenza di un mal connesso politico<br />

assetto, di un sistema di continua oppressione<br />

a cui un popolo che sentiva<br />

altamente di sé, e per le antiche sue glorie,<br />

e pei recenti esempi di magnanimità,<br />

di senno e di valore, non poteva soggiacere<br />

più oltre Rotta è la guerra: in cui<br />

dal lato nostro combatte la ragione, la<br />

civiltà, la giustizia, la Divina Provvidenza<br />

che dopo tanti secoli ci fornisce il<br />

mezzo di rivendicare i nostri conculcati<br />

diritti, la nostra nazionale indipendenza,<br />

colle armi nostre validamente soccorse<br />

da un Alleato magnanimo quanto<br />

potente (la Francia), anzi che gettarci<br />

inermi dalle mani dell’uno in quelle<br />

di un altro dominatore straniero<br />

A questo patriottico richiamo si levò tra i giovani<br />

massetani il grido di Maledetto lo straniero, ritornello<br />

di una nota canzonetta dell’epoca (6) e sulle parole del<br />

“Coro Italiano” composto dal concittadino maestro elementare<br />

Ippolito Bocci, che cominciava con: Si tocchi<br />

l’acciaro / Quest’ara di Guerra / L’Italica Terra /<br />

Giuriam di Salvar (7), centodiciassette di quei giovani<br />

massetani risposero alla chiamata della Patria, la maggior<br />

parte dei quali nei Cacciatori degli Appennini mentre<br />

il resto aggregato ai reggimenti che avrebbero combattuto<br />

a Palestro, San Martino e Solferino, Rocca<br />

d’Anfo Fra questi volontari, molte vecchie conoscenze<br />

reduci del ’48 e ’49, Apollonio Apolloni, ufficiale<br />

medico garibaldino, Annibale e Riccardo Lapini, e poi<br />

Luigi Baschieri che partecipò all’assedio di Gaeta, Pasquale<br />

Vanni a quello di Messina e Jacopo Rugi a quello


di Ancona <strong>Il</strong> 16 giugno 1859 il Municipio inviava a<br />

Vittorio Emanuele II il seguente indirizzo:<br />

Sire! Un grido d’orgoglio e di dolore dall’uno<br />

all’altro capo d’Italia si spande<br />

Niuno, cui palpiti in petto un cuore italiano,<br />

può essere a questo insensibile (…)<br />

Che sarebbe stato d’Italia, se voi non eravate<br />

? […] Sire! Combattete per l’Italia,<br />

ma serbate i vostri giorni (…) L’Italia è ai<br />

vostri cenni, Voi suo Liberatore, Voi suo<br />

Rigeneratore, Voi suo Re saluta Questi<br />

sono i veraci sensi che umilia alla Maestà<br />

per organo del suo Municipio la Città di<br />

Massa Marittima<br />

Nella seduta del 28 giugno, lo stesso Municipio<br />

esprimeva il voto di annessione al regno d’Italia Si<br />

apriva una nuova fase nella quale si poteva guardare<br />

avanti pensando anche alle proprie convinzioni politiche<br />

personali, passate in secondo piano davanti all’interesse<br />

generale della patria italiana <strong>Il</strong> sentimento dei<br />

democratici massetani al riguardo era espresso dal massone<br />

mazziniano e garibaldino Apolloni (8) quando,<br />

guardando indietro quei tempi avventurosi, ricordava<br />

che quella passata :<br />

Note<br />

Era l’epoca dei santi entusiasmi, fuori lo<br />

straniero, era il grido dei generosi Perché<br />

ristarsi pensando al poi? <strong>Il</strong> filosofo<br />

Mazzini ci pensava, ma supremo pensiero<br />

della gioventù italiana era combattere<br />

e morire per la patria I massetani, quantunque<br />

cresciuti alla scuola della Giovine<br />

Italia si rovesciarono sui campi ed ebbero<br />

seguaci non pochi L’alfiere poco premeva,<br />

la bandiera era tricolore e sventola-<br />

21<br />

va in faccia all’austriaco Nobile abnegazione,<br />

se utile ai posteri la sentenza Io pure<br />

credei dovere d’italiano schierarmi intorno<br />

al vessillo nazionale e combattere<br />

Questa sincera dichiarazione dello stato d’animo<br />

esistente tra i patrioti di Massa Marittima (fatta da colui<br />

che meglio di ogni altro ne aveva espresso il grido<br />

di libertà, combattendo sul campo e soffrendo poi per<br />

aver combattuto) ne chiariva anche il pragmatico atteggiamento<br />

politico: mazziniani nel cuore ma, inefficace<br />

Mazzini a raggiungere l’obiettivo, disposti a tutto pur<br />

di conseguire l’unità e l’indipendenza della patria italiana,<br />

chiunque fosse “l’alfiere” che in quel momento storico<br />

agitasse la “bandiera tricolore” della causa nazionale;<br />

è forse questo, localmente, il più concreto esempio<br />

del pensiero che correva all’epoca fra la popolazione<br />

di Massa Marittima, e in grandissima parte della<br />

democrazia italiana<br />

E “La Repubblichetta” come sarà chiamata questa<br />

città maremmana da amici ed avversari, spina continua<br />

nel fianco dell’ordine costituito negli anni a venire per<br />

la sua indomabile intransigenza repubblicana, risponderà<br />

agli auspici dell’Apolloni (seppellito alla sua morte<br />

nel 1904, per sua espressa volontà, con indosso<br />

quella camicia rossa che non aveva mai abbandonato<br />

in tutte le campagne garibaldine) diventando per oltre<br />

sessant’anni la roccaforte repubblicana della Maremma,<br />

e l’ultima città di questa provincia a cadere sotto la<br />

dittatura fascista Nel plebiscito dell’11 marzo 1860 il<br />

comune di Massa Marittima votava compatto per l’unione<br />

alla monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II,<br />

con il sostegno di 4147 voti a favore dell’unione, 14 per il<br />

regno separato e 5 voti nulli Maggiore dimostrazione di<br />

quanto la sovranità lorenese fosse ormai lontana dal cuore<br />

dei suoi ex sudditi massetani non poteva darsi<br />

(1) G Badii: “Massa Marittima (la Brescia Maremmana) nella storia del Risorgimento italiano e l’opera del Dott<br />

Apollonio Apolloni ufficiale garibaldino”, Milano, 1912, pag 44<br />

(2) Lettera di Apollonio Apolloni a Stefano Galli, Cecina, 1 agosto 1874<br />

(3) Giuseppe Pieri, Antonio Brandelli, Giuseppe Niccolini, Giovanni Baschieri (ASCMM, Archivio Preunitario, ad<br />

annum, 29 aprile 1859)<br />

(4) Id, Ibid<br />

(5) Volantino a stampa senza note tipografiche, datato Massa, maggio 1859, a firma dei componenti la Commissione<br />

(6) L’incipit era: Guerra guerra all’armi all’armi / si rinnovi la tenzone / intoniamo i feri carmi / si ritorni a Curtatone<br />

/ e sia grido del guerriero / maledetto lo straniero<br />

(7) La canzone del maestro massetano continuava: Andremo concordi / Sul campo d’onore / E l’empio oppressore<br />

sapremo scacciar // L’Impero vacilla / Dei Crudi Alemanni / O princi tiranni / <strong>Il</strong> ciel vi colpì // Varcate i confini / O<br />

sgherri venduti / Che d’esser temuti / <strong>Il</strong> tempo finì // L’Italia non vuole / Diversi vessilli / Saremo tranquilli / Se avrem<br />

libertà // E appena sgombrata / La ciurma straniera / La nostra bandiera / Di pace sarà La canzone era firmata I<br />

Bocci; l’anno è il 1859<br />

(8) L’Apolloni, insieme ad Achille Orlandi fu la via attraverso la quale l’istituzione massonica penetrò in Massa<br />

Marittima nel 1875, con la fondazione della Loggia “Vetulonia” (Cfr G Caglianone: Una Loggia massonica della Maremma<br />

Contributo alla storia della Loggia “Vetulonia” di Massa Marittima fra ‘800 e ‘900, Massa Marittima, 2005)<br />

L’Apolloni apparterrà poi, dopo essere stato costretto a lasciare Massa Marittima e il suo lavoro all’Ospedale cittadino per<br />

le persecuzioni regie, alla Loggia di Pisa “Umanità e Progresso” (Cfr S Piane – I Spadafora: La Massoneria a Pisa dalle<br />

origini ai primi del Novecento, Foggia, 2006, pag 127) divenendone Maestro Venerabile nel 1888


Cavour, la Guerra di Crimea e il 1859 nei fumetti<br />

<strong>Il</strong> fumetto, dalla sua nascita in Italia, ha sempre<br />

dedicato poco spazio al Risorgimento, un po’ come il<br />

genere western nei Comics statunitensi, molto scarso<br />

e con pochi personaggi di rilievo, cosa che non accadde<br />

nell’America Latina e nella vecchia Europa dove il<br />

genere ha letteralmente spopolato Da noi, per tutti, il<br />

mitico Tex Willer In questa sede trattiamo di pochi<br />

esempi “risorgimentali”, quelli legati al ricordo dei 150<br />

anni dalla Seconda Guerra d’Indipendenza del 1859,<br />

magnifica vittoria dovuta all’abile attività politica di<br />

Camillo Benso, conte di Cavour, nato a Torino nel<br />

1810, ormai quasi 200 anni fa<br />

I Giornalini, un tempo molto diffusi ed apprezzati<br />

dalla gioventù (che oggi preferisce la tecnologia a qualsiasi<br />

tipo di lettura), nell’occasione del Centenario dell’Unità<br />

d’Italia ricordarono con pagine e pagine gli<br />

avvenimenti risorgimentali Qualche esempio: il settimanale<br />

Vera Vita il 18 maggio 1961 uscì con un numero<br />

monografico sul Risorgimento, dedicando la copertina<br />

a Cavour, mentre l’interno ad articoli e ad un bel<br />

fumetto storico con patrioti che combattono gli austriaci;<br />

il Vittorioso del 25 marzo 1961 nella paginona<br />

centrale presentava a colori I combattenti per l’Unità<br />

d’Italia disegnati da Franco Caprioli, una bella carrellata<br />

di divise militari tra le quali primeggiavano i bersaglieri<br />

ed i garibaldini; il Corriere dei Piccoli del 26 agosto<br />

1962 ospitava dei bellissimi soldatini garibaldini da ritagliare<br />

ed incollare su cartoncino per la gioia dei bambini<br />

dall’ora, io ero uno di quelli! La politica estera di<br />

Cavour mirò a fare della questione italiana una questione<br />

europea La Penisola era oppressa dall’Austria<br />

e da governi dove non vigeva la libertà L’occasione<br />

per ottenere un’alleanza con un grande Stato, che potesse<br />

aiutare il piccolo Piemonte ad affrontare l’impero<br />

asburgico, fu la Guerra di Crimea, dove l’Inghilterra, la<br />

Francia e la Turchia erano alleati contro la Russia<br />

Vedremo che l’intervento delle truppe piemontesi portò<br />

alla grande amicizia tra Napoleone III e l’abile ministro<br />

torinese e alla guerra del 1859<br />

Uno dei momenti più epici della Guerra di Crimea fu<br />

la Carica dei Seicento del 25 ottobre 1854 intorno a<br />

Balaklava La Brigata leggera di Lord Cardigan, per un<br />

ordine male interpretato del capitano Nolan, si lanciò<br />

contro i cannoni russi, che fecero strage degli inglesi<br />

<strong>Il</strong> settimanale mondadoriano Topolino pubblicò la riduzione<br />

a fumetti del film del 1936 La Carica dei 600<br />

con Errol Flynn, ristampata nel 1947 nell’Albo d’oro<br />

numero 63 <strong>Il</strong> magnifico disegno si deve a Rino<br />

Albertarelli, uno dei migliori disegnatori italiani di tutti<br />

i tempi Tra l’altro Albertarelli, che ho avuto l’onore di<br />

conoscere a Lucca quando avevo 15 anni, era un uomo<br />

di grande cultura che mise sempre a disposizione della<br />

sua arte grafica Un’altra stupenda versione di questa<br />

battaglia la illustrò Dino Battaglia per il Corriere dei<br />

piccoli degli anni ’60 Anche Battaglia amava la<br />

Manlio Bonati<br />

22<br />

Curiositas, tanto da documentarsi sempre con passione<br />

Lo conobbi nel 1981 e ne ebbi subito delle prove<br />

inconfutabili Qui Battaglia con una dettagliata cartina<br />

illustra il terreno nei pressi di Balaklava In un’altra<br />

tavola vediamo gli effetti disastrosi della carica e la<br />

morte del capitano Nolan <strong>Il</strong> tutto con coerenza e grandi<br />

capacità grafiche Lo stesso Battaglia in precedenza,<br />

precisamente tra il 1956 e il 1957, su testi di Renata<br />

Gelardini per <strong>Il</strong> Vittorioso aveva disegnato Bersaglieri<br />

di Crimea <strong>Il</strong> cineromanzo, così si chiamavano i fumetti<br />

a puntate di genere avventuroso, prendeva l’avvio<br />

a Parma con il protagonista, Ugo Landi, agente del<br />

regno di Sardegna, ospite del parmigiano patriota<br />

Marcello Ottavi La Gelardini trasferirà di puntata in<br />

puntata il personaggio a Milano, Torino e infine in<br />

Crimea La mia passione sia per i fumetti sia per la<br />

storia mi ha portato più volte ad unire questi due generi<br />

Infatti, con mia moglie Alessandra, ho creato (1)<br />

la saga di Leo Battaglia per il settimanale <strong>Il</strong> Giornalino,<br />

che la stampò nel 1993 con i disegni di Sergio<br />

Tarquinio<br />

“La Carica dei Seicento” di Dino Battaglia<br />

<strong>Il</strong> protagonista si chiama Battaglia proprio in onore<br />

del disegnatore che era morto alcuni anni prima La<br />

serie si sviluppa nell’arco temporale 1854-1859, alle<br />

soglie della guerra con l’Austria Nella prima tavola<br />

Leo Battaglia ed il polacco Mirko Zielonka bussano<br />

alla porta dell’abitazione del conte di Cavour, cugino


di Leo, ritenuto morto in Siberia dov’era stato prigioniero<br />

<strong>Il</strong> racconto del protagonista parte proprio da<br />

Balaklava quando, giovane tenente di cavalleria, accompagna<br />

il maggiore Giuseppe Govone Erano in missione<br />

come osservatori militari del Regno del Piemonte<br />

Nella realtà storica Govone era accompagnato dal<br />

luogotenente Giuseppe Landriani Cambiammo Landriani<br />

con Battaglia, poi il seguito dell’avventura era fedele<br />

all’originale Landriani, infatti, rimase ferito e fu fatto<br />

prigioniero dai russi Questi avvenimenti li riprendemmo<br />

dalle memorie postume del Govone dall’edizione<br />

del 1929 La Carica dei Seicento sta per iniziare I<br />

due italiani hanno chiesto ed ottenuto da Lord Cardigan<br />

di parteciparvi (storico!) Battaglia, mentre intorno<br />

a lui la Brigata leggera inglese subisce forti perdite,<br />

supera la batteria russa e combatte corpo a corpo<br />

Nell’ultima vignetta di una movimentata pagina … una<br />

pistola spara! Battaglia viene ferito ad una gamba A<br />

sparargli è stato il capitano austriaco Albert De Hess,<br />

anch’egli osservatore militare, ma presso i russi De<br />

Hess diventerà, negli episodi successivi ambientati in<br />

Italia, il suo principale antagonista Battaglia fuggirà<br />

dalla Siberia con l’amico Mirko, maestro nell’arte del<br />

travestimento<br />

Fornimmo a Sergio Tarquinio decine e decine di<br />

fotocopie con personaggi storici da rendere graficamente<br />

il più possibile simili agli originali Ricordo che<br />

gli allegammo pure una scena dal citato film con Errol<br />

Flynn che a cavallo supera una batteria di cannoni<br />

russi Gli abbiamo fatto avere anche fotografie di località,<br />

come quella del Duomo di Milano con il baldacchino<br />

eretto per la visita del 1857 di Francesco Giuseppe<br />

e di Sissi La prima vignetta dell’episodio Pran-<br />

Note<br />

23<br />

zo a corte inizia con la stessa immagine fotografica<br />

incollata e completata a china dal disegnatore<br />

Tarquinio In un altro troviamo Carlo Pisacane che con<br />

il nostro Battaglia si allontana da Sapri In altre storie<br />

abbiamo inserito il maresciallo Radetzky, Emilio Dandolo,<br />

Faustino Tanara, Giuseppe Garibaldi, Giuseppe<br />

Mazzini e il re Vittorio Emanuele II Una sua fotografia<br />

la utilizzammo per la prima pagina dell’episodio conclusivo<br />

intitolato Matrimonio contrastato Ci troviamo<br />

a Torino il 10 gennaio 1859 <strong>Il</strong> re legge in Parlamento<br />

il discorso sul Grido di dolore che da tante parti<br />

d’Italia si leva verso di noi Nell’ultima pagina, invece,<br />

il cattivo De Hess muore e finalmente Leo si sposa<br />

con l’amata Francesca I loro testimoni sono, ovviamente,<br />

Cavour e Mirko<br />

Si deve a Domenico Natoli per il Corriere dei piccoli<br />

la stupenda Storia d’Italia edita in 149 puntate<br />

settimanali tra il 1952 e il 1954 che prende l’avvio dall’anno<br />

750 prima di Cristo fino al 1954 con il presidente<br />

Giovanni Gronchi Natoli, persona coltissima, era un<br />

autore completo: la maggior parte delle volte scriveva<br />

i testi che poi illustrava Una sua lunga vignetta riflette<br />

una fase della battaglia sul fiume Cernaia in Crimea<br />

In altre descrive gli austriaci nel 1859 a Chivasso, lo<br />

sbarco dei francesi a Genova, la vittoria a Magenta,<br />

l’ingresso di Napoleone III e Vittorio Emanuele a Milano<br />

<strong>Il</strong> tutto con arte, documentazione ed amore per il<br />

proprio lavoro Anche il settimanale Lo scolaro mise i<br />

suoi autori a disposizione del Risorgimento Nella completa<br />

biografia di Garibaldi del 1960, su testi di Pollini e<br />

disegni dell’ottimo Armando Monasterolo, troviamo il<br />

generale nel 1859 al comando dei Cacciatori delle Alpi<br />

nei pressi di Como, quando conosce la bella marchesina<br />

Giuseppina Raimondi, che pochi mesi dopo diventerà,<br />

per soli tre giorni, sua seconda moglie<br />

Non tutte le ciambelle riescono col buco! C’è stato<br />

un mediocre fumetto disegnato con minor abilità dei<br />

precedenti: si tratta dell’albo La storia dell’Unità d’Italia<br />

edito negli anni ’50 e ’60 dalla Magnesia San Pellegrino<br />

e donato ai bambini nelle farmacie di tutta Italia<br />

I buoni testi di Corrado Radi non erano suffragati da<br />

belle illustrazioni <strong>Il</strong> disegno di Mariano Congiu era<br />

poco più che sufficiente De Le mie prigioni, del 1974,<br />

si poteva fare invece proprio a meno! Bellissimo il disegno<br />

di Stelio Fenzo, allievo di Hugo Pratt, ma stupidissima<br />

la storia, confezionata per un pubblico adulto<br />

dove il sesso fa la parte del protagonista Mettiamo,<br />

quindi, un pietoso velo a questa disdicevole e grottesca<br />

versione di Cavour e dei principali artefici del Risorgimento<br />

Molto seria e ben realizzata la Storia a<br />

fumetti ideata nel 1978 da Enzo Biagi <strong>Il</strong> bel disegno di<br />

Alarico Gattia ci introduce alla battaglia di Palestro dove<br />

gli zuavi francesi ammirano il valore di re Vittorio Emanuele<br />

Nelle vignette successive c’è l’invasione della<br />

<strong>Lombardia</strong> e l’ingresso dei vincitori a Milano <strong>Il</strong> primo<br />

passo verso l’Unità italiana è ormai compiuto!<br />

(1) <strong>Il</strong> soggettista/sceneggiatore è colui che crea il racconto che poi consegna al disegnatore <strong>Il</strong> testo è molto dettagliato:<br />

scene con i personaggi da illustrare e il dialogo da inserire nelle didascalie e nelle nuvolette


“1859, l’anno delle donne che si prodigarono ”<br />

La Battaglia di Solferino, combattuta fra l’esercito austriaco<br />

e quello franco-sardo, si concluse con la vittoria<br />

di questi ultimi, segnando la fine della seconda guerra<br />

d’indipendenza italiana Questo è ciò che i libri di storia<br />

riportano, che ogni bravo studente sa e che quindi non è<br />

necessario ricordare, se non per amore della storia o per<br />

dare merito ed onore a coloro che in quella battaglia caddero<br />

Fu un lungo combattimento, durò 14 ore, lasciando<br />

sul campo un numero di morti che superò quello che<br />

nell’immaginario storico è la battaglia delle battaglie ed il<br />

massacro dei massacri: la battaglia di Waterloo La mattina<br />

del 24 giugno gli eserciti della Francia, del Piemonte e<br />

dell’Impero austro-ungarico si trovarono all’improvviso<br />

faccia a faccia: 230000 soldati si trovarono a combattere,<br />

spesso all’arma bianca Al termine della battaglia rimasero<br />

sul campo migliaia di cadaveri, dei quali solo dopo<br />

molti anni fu possibile “fare la conta”: nel 1870 i cadaveri<br />

riesumati furono 9500 ma, aggiungendo a questi coloro<br />

che morirono a causa delle ferite riportate si giunge all’impressionante<br />

numero di circa 20000 Dunant, nel suo<br />

libro di memorie “Un ricordo di Solferino”, scrisse:<br />

<strong>Il</strong> sole del 25 giugno 1859 illuminò uno<br />

degli spettacoli più spaventevoli che si<br />

possano presentare all’immaginazione <strong>Il</strong><br />

campo di battaglia è in ogni parte coperto<br />

di cadaveri d’uomini e cavalli; le strade, i<br />

fossati, gli avvallamenti, le macchie, i prati<br />

sono cosparsi di corpi morti, e gli accessi<br />

di Solferino ne sono letteralmente coperti<br />

I campi sono devastati, i frumenti e il grano<br />

turco sono calpestati, le siepi rovesciate,<br />

i frutteti saccheggiati, di tratto in tratto<br />

s’incontrano pozze di sangue<br />

Di fronte ai corpi dilaniati, martoriati e feriti una reazione<br />

nacque dal profondo del cuore, dalla sconsolata e<br />

istintiva constatazione del “non sense”, e così, a fianco<br />

dei soldati e dei generali ricordati, nei libri di storia si<br />

dipinge un altro quadro: quello delle donne che hanno<br />

donato se stesse, il loro tempo, la loro forza, la loro fatica,<br />

il loro sacrificio per soccorrere, curare, alleviare Furono a<br />

tale scopo improvvisati luoghi di ricovero e di cura, ovunque<br />

fosse possibile: nelle strade, nelle piazze, nelle chiese<br />

e nelle abitazioni private le donne portarono il loro soccorso<br />

a chiunque ne avesse bisogno, senza chiedere la<br />

loro appartenenza, il loro credo o le loro idee politiche a<br />

coloro che curavano, sottolineando così che la vita è un<br />

valore che va comunque salvaguardato Dando corpo a<br />

parole che spesso vengono svuotate di senso, con il<br />

conseguente rischio di fraintenderle e di estrometterle dal<br />

vissuto etico, pronunciate, anzi proclamate, ma non al-<br />

Valeria Succi<br />

24<br />

trettanto spesso applicate: fratellanza e solidarietà, senza<br />

se e senza ma Concretizzando la fratellanza e la solidarietà<br />

con gesti semplici, ma essenziali, come quello delle<br />

vivandiere che portavano acqua e cibo, il sostegno vitale,<br />

ridando a queste parole il loro vero valore E proprio<br />

dallo stupore che suscitò in lui questo atteggiamento,<br />

genuino ed istintivo, che Henry Dunant – un uomo –<br />

prese spunto per fondare la Croce Rossa Internazionale,<br />

dopo aver scritto il citato “Un ricordo di Solferino” nel<br />

quale se ne profilavano i principi Uno fra tutti che … i<br />

militari feriti o malati saranno raccolti e curati, a qualunque<br />

nazione appartengano<br />

Henry Dunant<br />

Ed è stato proprio il gesto disinteressato delle donne<br />

che ha dato spunto anche alla creazione del “Roseto<br />

della pace”, come simbolo di riconciliazione tra i popoli,<br />

costruito e contornato da sole nove piante della<br />

“Rosa Gallica Officinalis”, usata simbolicamente perché<br />

anticamente utilizzata per le sue facoltà curative,<br />

della quale si narra che sia stata portata in Francia da<br />

Damasco al ritorno dalle Crociate Una rosa semplice,<br />

la rosa gallica, e delicata, che sembra temere le intemperie<br />

o anche il solo vento ma che si dimostra capace<br />

di curare e di lenire<br />

Solo nove piante? Certo, perché anche se il numero<br />

può far riflettere gli esperti in numerologia, bastano<br />

poche piante per creare un giardino, come pochi sono<br />

i nomi “conosciuti” di quelle donne di Solferino che<br />

dettero tutte se stesse per “l’Altro”, senza chiedere<br />

conto di nessuna idea se non del fatto di essere uomo<br />

e come tale “fratello” Come al solito la storia dimentica<br />

gli eroi silenziosi, che non portano stellette, che non<br />

ricoprono cariche, che non vergano accordi … Sono<br />

quindi pochi i nomi, e appena sussurrati, di quegli eroi<br />

che non hanno chiesto né aspettato ordini per seguire<br />

il loro pensiero, per fare ciò che ritenevano giusto fare


Serafina Donadevi, decorata con la medaglia d’argento<br />

al valore militare per aver prestato utilissimi<br />

servigi ai feriti, dissetandoli e medicandoli sul campo<br />

stesso di battaglia, Luigia e Carolina Pastorio … e poi?<br />

Sono solo questi i nomi? E tutte le altre? Le molte altre,<br />

che nel momento in cui vennero a contatto con lo strazio<br />

seppero rinunciare a se stesse, ai loro agi, ai loro<br />

titoli nobiliari – se li avevano – per giungere al concetto<br />

reale di “fratellanza”, entrarono nella storia in punta<br />

di piedi, proponendo una nuova ottica, una nuova prospettiva<br />

di guardare il mondo Per quelle donne non vi<br />

erano soldati feriti e doloranti, non vi erano nemici o amici,<br />

non vi erano soldati franco-sardi o austriaci<br />

Davanti ai loro occhi c’erano solo “fratelli” bisognosi<br />

di aiuto, malati, doloranti, mutilati, moribondi, piangenti<br />

Ed è allora che la parola “femmina”, a tutt’oggi spesso<br />

pronunciata con un leggero sorrisetto per sottintendere<br />

“tutt’altro” da ciò che vuol dire, riacquista il suo signifi-<br />

Nota<br />

25<br />

cato primevo, conferma la grande capacità che sottende<br />

“l’essere femmina” che il Georges attribuisce etimologicamente<br />

come derivato dal latino “foe”, che vuol dire<br />

essere e far essere, che al participio diventa “foemina”,<br />

ovvero quella che allatta, quella che nutre, quella che<br />

produce, quella che genera, quella che partorisce<br />

“Foemina” che in questo frangente storico ha partorito,<br />

nei fatti, una frase: Siamo tutti fratelli, tutti hanno diritto<br />

all’aiuto se si trovano in situazione di sofferenza Ci<br />

sono così delle donne che ci mancano, che non conosciamo,<br />

delle quali abbiamo ignorato l’esistenza: le donne<br />

di Solferino, che non hanno detto Siamo tutte sorelle<br />

ma hanno invece detto Siamo tutti fratelli, intendendo<br />

l’umanità come composta da tutti coloro che derivano<br />

dallo stesso germe, abbracciando così il tutto senza rinnegare<br />

nessuno, senza precludere nessuno<br />

Non ho voluto inserire fra le immagini nessuna di quelle<br />

– anche di pittori famosi – che ritraggono la cruenta<br />

battaglia, ho invece voluto che vi fossero inserite quella di<br />

Dunant, quella delle rose curative, quella del logo realizzato<br />

dal bellunese Alessandro Arrighi per ricordare Solferino<br />

allo scadere dei 200 anni, commemorati così dalla Croce<br />

Rossa Un logo che deve far riflettere tutti coloro che si<br />

dicono “Fratelli”: un logo semplice, quasi infantile, che<br />

sembra più che una commemorazione un invito, una speranza,<br />

che si realizzi quell’ideale che da quel 24 giugno –<br />

San Giovanni, la data del compleanno di mia madre e la<br />

festa del patrono di Firenze, la mia città – ancora stenta, e<br />

stentare è un verbo anche troppo ottimistico, ad essere<br />

trasformata in realtà, come purtroppo la cronaca quotidiana<br />

dei tanti teatri di guerra tristemente ci dimostra<br />

Dal Cantico dei Cantici – Capitolo 8 – La sposa Mettimi come sigillo sul tuo cuore, come sigillo sul tuo braccio;<br />

perché forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe son vampe di fuoco, una fiamma<br />

del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore né i fiumi travolgerlo Se uno desse tutte le ricchezze della sua<br />

casa in cambio dell’amore, non ne avrebbe che dispregio<br />

Queste parole antiche, di estrema dolcezza, ci ricordano che “forte come la morte è l’amore” ed in quei lontani giorni del<br />

1859 fu proprio lo slancio di amore a dare frutti e non solo per il soccorso immediato ma anche per gli echi che lasciò, dando vita<br />

ad istituzioni che seppero raccoglierne il messaggio La cronaca ci dimostra violenza, insensatezza, disprezzo per l’altro Una<br />

ricerca affannata e cieca del potere, costi quel che costi L’epilogo della nostra società post industriale, detta anche “occidentale”,<br />

è forse vicino: anche se ciò ci fa rabbrividire non è detto che sia un evento storicamente “non giusto” Una nuova strada? Nuovi<br />

scenari? Nuove alternative? Tutto è certamente possibile anche se c’è chi vede orizzonti dipinti di nero, in cui altre civiltà<br />

schiacceranno la nostra Si tratta di ipotesi che prendono comunque e ancora una volta in considerazione solo gli schemi<br />

attualmente esistenti: prevalere, schiacciare, sopraffare Per vincere e dominare Un percorso fin troppo conosciuto: ma ha<br />

portato risultati ? La risposta non può che essere affermativa ma al contempo c’è il rischio di distruggere tutto ciò che abbiamo<br />

Risultati o prospettive non ne vedo ma sono poco umilmente certa che la soluzione stia in un cambio totale del sistema, attuando<br />

con pazienza e sistematicità tutti i passi di analisi, decodifica, disamina, previsione per giungere ad un cambiamento con la<br />

volontà di una scelta consapevole per il futuro In questo cammino bisogna però partire scevri dalla zavorra del preconcetto,<br />

disposti e disponibili; siccome non è possibile, e forse anche inutile, voler cambiare il mondo ognuno a modo proprio, ognuno<br />

deve fare il suo piccolo passo, anche se faticoso, per il cambiamento, come fecero le donne di Solferino Loro ce la fecero a dare<br />

un senso alla vita ed un significato profondo al loro gesto: perché non dovremmo farcela noi? Ci sarà ancora bisogno di donne?<br />

Forse – ma più obiettivamente – si, anche perché esse sono tradizionalmente meno legate alla ragione ma assai profondamente<br />

dotate di un forte spessore di intuizione, l’arma che credo necessaria per giungere al terzo millennio


<strong>Il</strong> Tempio deve intrattenere piacevolmente l’animo<br />

Ci sono momenti che, più di altri, ti fanno “vibrare<br />

dentro”, momenti che, per la loro particolarità, rappresentano<br />

un’occasione unica per conciliare spiritualità<br />

e ritualità; quando ciò accade, vuol significare che i<br />

“sensi” sono pienamente coinvolti, vuol significare che<br />

ci sentiamo in perfetta unione, in armonia Questa unione<br />

interiore e questa armonia, raggiunge l’apice quando<br />

riesce non solo ad essere uno stato interiore ma si<br />

coniuga con il mondo attorno a noi, agli uomini, alle<br />

azioni, alla musica, ai colori È questo il senso che deve<br />

potersi sprigionare durante i “lavori rituali” È ovvio<br />

che sono stati personali, quello che prova una persona<br />

non si può estendere a tutti coloro che vivono quello<br />

stesso evento, ma ci sono occasioni più di altre<br />

dove questo stato d’animo ha avuto un senso collettivo<br />

Ho raccolto negli ultimi mesi, una serie di sensazioni<br />

che Fratelli di vari Orienti mi hanno confidato e<br />

queste confidenze riguardavano due eventi distanti nel<br />

tempo e distanti di luogo, che scandiscono l’anno<br />

massonico nella nostra Circoscrizione toscana e prendono<br />

spunto dai solstizi dei due San Giovanni <strong>Il</strong> solstizio<br />

d’inverno, che celebriamo generalmente nella<br />

prima metà di dicembre con il titolo di “Festa della<br />

luce” che si celebra generalmente a Firenze e il Solstizio<br />

d’estate, che viene celebrato nella seconda metà di<br />

giugno nell’ex abbazia di San Galgano che potremmo<br />

benissimo comparare alla “Festa delle Rose” Entrambe<br />

le celebrazioni sono di importazione, ovvero non<br />

appartengono alla tradizione italiana, ma si plasmano,<br />

sia ritualmente sia sotto un profilo esoterico, e non<br />

solo, ai due solstizi, in sostanza sono come nuovo che<br />

non ignora il passato Si è cercato di celebrarli gioiosamente<br />

in incontri rituali collettivi regionali, in templi<br />

allestiti per l’occasione, essendo un tempio massonico<br />

non un luogo di culto di qualche religione, dove il<br />

“sacro” del luogo è permanente, ma un sito che diventa<br />

sacro quando uomini iniziati realizzano internamente<br />

momenti rituali <strong>Il</strong> miracolo della luce che sempre<br />

tramonta per sorgere ancora, come l’uomo iniziato che<br />

sempre si ripropone al centro dell’universo, è una rappresentazione<br />

cosmica che ci riporta alle fasi del processo<br />

evolutivo e della propria esistenza<br />

Nella cerimonia rituale della festa della luce per il<br />

San Giovanni Evangelista il rituale si focalizza nella<br />

esaltazione della luce come fonte primaria; Giovanni<br />

l’Evangelista ci insegna che la Luce portata da ciascuno<br />

nel proprio cuore, può manifestarsi soltanto nel silenzio<br />

e nel raccoglimento del nostro Tempio interiore<br />

La commemorazione avviene quando intorno regna<br />

l’oscurità e solo ritirandoci in noi stessi si può ritrovare<br />

la luce ed è con l’accensione delle luci, su di un<br />

alberello, dal basso verso l’alto, mentre il rituale recita<br />

un'esortazione alla grande Opera, che la luce riprende<br />

vigore nei giorni e tempi a seguire In quella per il<br />

solstizio d’estate, il San Giovanni Battista, festa delle<br />

Moreno Milighetti<br />

26<br />

rose, si rappresenta il ciclo perenne della luce che torna<br />

<strong>Il</strong> Giovanni Battista che dice di non essere lui la<br />

Luce, ma di essere venuto per rendere testimonianza<br />

della Luce a chiunque venga al mondo Siamo in estate,<br />

quando siamo irrorati dalla luce del sole, pienamente<br />

coscienti del nostro posto nel Cosmo e della nostra<br />

Comunione con l’Universo Significativa in questo<br />

caso anche la rappresentazione del bruciare tutto quello<br />

che lasciamo dietro di noi per riprendere il cammino,<br />

fortificati da nuova energia Del passato si brucia simbolicamente<br />

una pergamena con i nomi di tutti coloro<br />

che partecipano alla cerimonia <strong>Il</strong> rituale ne spiega il<br />

senso: quando la natura trionfa, noi apprendiamo chiaramente<br />

che è nostro dovere sforzarci di trionfare sulle<br />

tenebre sempre in agguato dentro di noi, ovvero i nostri<br />

vizi, i nostri difetti, le nostre paure La tragedia<br />

della nostra vita terrena è che tutte le nostre migliori<br />

intenzioni, tutti i nostri sforzi per realizzarle sono destinate<br />

a continui alti e bassi: cadiamo spesso e dobbiamo<br />

sempre ricominciare spinti da quella luce interiore<br />

che sgorga dalla sorgente originale, in virtù della<br />

quale tutti viviamo Noi dobbiamo imparare ad ascoltare<br />

questa spinta interiore che ci aiuterà nel nostro sforzo<br />

e ci guiderà al rinnovamento ideale in cui l’Essere<br />

Supremo si rifletterà nel nostro essere uomini Puri nella<br />

vita, onesti nelle azioni, fedeli a noi stessi, giusti verso<br />

le altre creature, tesi alla ricerca del <strong>Grande</strong> Architetto<br />

dell’Universo, è in questo giorno che i nostri pensieri<br />

vanno anche al passato, perché da esso si impara<br />

Questa conoscenza può proteggerci dal ricadere negli<br />

stessi errori, può renderci riconoscenti per i benefici<br />

ricevuti e ci può rattristare al pensiero di ciò che abbiamo<br />

perduto A questo deve essere assimilata la<br />

simbologia della rosa rossa a cinque petali che durante<br />

il rituale viene distribuita a tutti i Fratelli<br />

In entrambe le cerimonie rituali il fuoco è un elemento<br />

comune, la radiazione di energia di cui è permeata<br />

l’Opera del <strong>Grande</strong> Architetto dell’Universo; spesso<br />

ci sfuggono azioni, gesti, parole e la temporalità di<br />

queste, ma è proprio da questa attenta lettura, anzitutto<br />

interiore, che si realizza una vera comprensione e<br />

un appagamento intimo intrasmissibile e solo chi lo ha<br />

provato può capire fino in fondo Quei Fratelli, in vena<br />

di confidenze, mi parlavano di ciò, volevano esprimere<br />

il loro stato d’animo vissuto nelle celebrazioni dei due<br />

solstizi Quanto sarebbe auspicabile e stupefacente che<br />

si potesse avvertire e dire ogni volta che si chiude il<br />

Libro Sacro nella propria Officina, sentire dentro di noi<br />

che si apre un altro libro, quello dell’iniziato fuori dal<br />

Tempio Parlava di architettura Leon Battista Alberti<br />

quando nel suo De re aedeficatoria auspica un Tempio<br />

che intrattenga in modo piacevole l’animo e nel<br />

contempo lo colmi di gioia e meraviglia Ed è ciò che<br />

cerchiamo ed è ciò che molti Fratelli hanno vissuto nei<br />

Solstizi in questa terra toscana


Notiziario<br />

Attività e Comunicazioni da parte del Collegio Circoscrizionale dei MMVV della Toscana<br />

Festa della Luce e Solstizio d’Inverno <strong>2009</strong> Sabato pomeriggio 12 dicembre <strong>2009</strong> all’hotel Sheraton di Firenze si svolgerà,<br />

in coincidenza con le celebrazione del Solstizio d’Inverno, l’annuale edizione della “Festa della Luce” Alla Tornata rituale farà<br />

seguito un’agape bianca alla quale potranno partecipare congiunti e amici di Fratelli oltre a tutti i graditi eventuali ospiti <strong>Il</strong> tema<br />

editoriale del prossimo numero de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>” sarà dedicato all’evento e conterrà una adeguato saggio sullo svolgimento della<br />

ricorrenza approfondendosi sulle modalità e sulle origine del rituale e della tradizione (Comunicazione del Fratello Moreno<br />

Milighetti)<br />

Ricorrenza del XX Settembre Anche quest’anno, in occasione del 139esimo anniversario della breccia di Porta Pia si<br />

terrà – su iniziativa del Collegio Circoscrizionale dei MMVV della Toscana – il consueto concerto all’aperto in Piazza della<br />

Signoria a Firenze La precedente manifestazione produsse nella cittadinanza fiorentina un lusinghiero apprezzamento e ci<br />

ripromettiamo, sul prossimo numero de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>”, pubblicare una esauriente recensione (Comunicazione del Fratello<br />

Moreno Milighetti)<br />

Novità librarie e recensioni<br />

Giornale di viaggio (1 gennaio 1883-31 dicembre 1885) di Giacomo Savorgnan di Brazzà A cura d’Elisabetta Mori<br />

e Fabiana Savorgnan di Brazzà Casa Editrice Leo S Olschki, Firenze 2008, cm 17×24, LXVIII-472 pp con 93 ill nel testo,<br />

prezzo € 48,00 [ISBN 978 88 222 5819 9]<br />

<strong>Il</strong> “Giornale di viaggio” in Africa di Giacomo di Brazzà costituisce una testimonianza che reca ulteriore luce alla storia<br />

dell’esplorazione e del colonialismo di fine Ottocento <strong>Il</strong> testo di Giacomo, fratello ed emulo del noto esploratore Pietro – più<br />

noto per aver fondato la città di Brazzaville e per essere uno spirito illuminato, capace di comportamenti umani nei confronti<br />

delle popolazioni locali – sottolinea la parte avuta dal Friuli in fenomeni storico-geografici imponenti L’importante<br />

documentazione è arricchita da un corredo d’interessanti disegni, raffiguranti oggetti di vita quotidiana, tipici degli usi e dei<br />

costumi del Congo e della zona esplorata<br />

Proseguendo nell’opera di conoscenza della famiglia Savorgnan di Brazzà, la Casa editrice<br />

Olschki – dopo avere reso omaggio a Pietro pubblicando nel 2006 gli Atti del Convegno<br />

Internazionale (Udine, 10 settembre – 1 ottobre2005), sul tema Pietro Savorgnan di Brazzà<br />

dal Friuli al Congo Brazzaville organizzato per celebrare il centenario della morte di Pietro<br />

Savorgnan di Brazzà – presenta oggi, a centoventi anni dalla nascita un altro personaggio<br />

della famiglia che in quelle esplorazioni ebbe un compito importante: Giacomo Savorgnan di<br />

Brazzà Giacomo – Roma 14 dicembre 1859-29 febbraio 1888 – è di sette anni più giovane<br />

di Pietro, che sogna di seguire Mio fratello Pietro nel 1875 non aveva ancora lasciato<br />

l’Europa che io già bruciavo dal desiderio di partire Riceve una formazione da naturalista,<br />

compie i suoi primi stadi geologici nelle Alpi friulane e si mette in luce come alpinista Nel<br />

1882, diventa dottore in scienze naturali L’anno successivo è addetto alla missione dell’Ovest<br />

africano, incaricato dal Ministero della Pubblica Istruzione di reperire campioni e oggetti È<br />

accompagnato da Attilio Pecile (1856-1931), suo compagno di sempre Gli africani provano<br />

per lui grande ammirazione quando apprendono che è il fratello del gran capitano La prima<br />

cosa che osservarono e dalla quale pretesero di conoscermi erano i piedi; dopo questo<br />

esame proferirono grandi esclamazioni (avevo tolto gli stivali per non provare imbarazzo);<br />

dopo osservarono la mia fisionomia, la mia andatura, la catena e il piccolo ciondolo al<br />

collo che assomiglia a quello di Pietro Giacomo si vedrà affidare da suo fratello una missione d’esplorazione che svolse in tre<br />

anni lasciando testimonianze scritte di quel periodo e di quelle imprese, soprattutto in un racconto diaristico rimasto sino ad oggi<br />

pressoché inedito Si del suo “Giornale di viaggio”, conservato presso l’Archivio Storico Capitolino di Roma e trascritto a cura<br />

di Elisabetta Mori e Fabiana Savorgan di Brazzà Al fine di segnalare correttamente l’importanza generale delle presenze letterarie<br />

– che iniziano con la presentazione dell’opera a cura del Sindaco e del Vicesindaco del Comune di Moruzzo (UD) concittadini di<br />

Giacomo – si menzionano gli autori, il tema e l’ordine con il quale sono stati svolti:<br />

Carletto Dreosso e Alice Zanardelli rispettivamente Sindaco e Vicesindaco di Moruzzo, Presentazione a pag VI;<br />

Umberto Cioppi Assessore alla Cultura del Comune di Roma, Presentazione a pag VII;<br />

Fabiana Savorgnan di Brazzà, Giacomo Savorgnan di Brazzà e il suo Diario d’Africa pagine IX-XLVI;<br />

Elisabetta Mori, I quaderni di viaggio di Giacomo Savorgnan di Brazzà nell’archivio storico capitolino pagine XLVII-<br />

LIII; Note al testo pagine LV-LXI; Prospetto generale del Giornale di Giacomo di Brazzà pagine LXIII-LXIV; Indice del<br />

Giornale pagine LXV-LXVIII;<br />

Giacomo Savorgnan di Brazzà, Giornale di viaggio pagine 1-446;<br />

Indici, Indice dei nomi pagine 447-454; Indice dei luoghi geografici pagine 455-460; Indice delle illustrazioni pagine 461-<br />

463; Riferimenti bibliografici pagine 465-467<br />

Occorre prendere atto di un dato tanto ovvio quanto scomodo: il Novecento che ci lasciamo alle spalle non è ancora stato<br />

digerito dagli italiani La lente con il quale si sono letti gli eventi assomiglia al vecchio binocolo dei nonni, ora troppo sfocato,<br />

ora troppo distante, ora piccolo e vicino L’oggetto da osservare non è mai quello che è nella realtà <strong>Il</strong> passato prossimo della<br />

storia si è caricato talmente di sovrastrutture ideologiche, di interpretazioni forzose, di pregiudizi invalicabili da risultare<br />

scontato e perfino un po’ tedioso Peccato, perché basta cambiare la prospettiva e avere il coraggio di riporre nel cassetto dei<br />

ricordi il binocolo del nonno per accorgersi che c’è ancora tanta curiosità da soddisfare nella storia ripiegata nei quotidiani e nei<br />

documentari della tv Basta non soffocare lo spirito solo sui testi scolastici, ma cogliere il senso di un accadimento da più fonti<br />

e lasciare andare l’intelligenza ad un continuo rimando, come una palla che cambia direzione per poi arrivare in porta La storia<br />

parte dal presente di chi la racconta e la interpreta, per questo, come scrisse Croce, la storia è sempre contemporanea In essa<br />

27


si riflettono inevitabilmente il pensiero, gli interessi, gli obiettivi che sono predominanti nel tempo di chi la scrive Ciò che<br />

rende quest’operazione culturalmente valida è la fondamentale dote di onestà che si attiene ai fatti, non li elimina né li mistifica<br />

ad arte Fabiana Savorgnan di Brazzà, con il suo saggio alle pagine IX-XLVI, ha il merito di riconciliarci con le imprese svolte<br />

da uomini che obbedivano a compiti istituzionali e nazionali ma che – contemporaneamente – si muovevano mossi dal gusto<br />

dell’avventura, che divenivano viaggiatori per scelta individuale e che abbracciavano un destino incerto in terre spesso ostili<br />

Uomini che si misero in viaggio spinti da un ideale umano, spesso privi di mezzi ma forti della loro essenza autentica Coloro che<br />

sono nati nei primi decenni del secolo scorso e sopravvissuti agli eventi bellici della Seconda guerra mondiale, leggendo questa mirabile<br />

opera, ritornano agli anni della loro giovinezza, quando sognavano un mondo rivolto alla tolleranza, alla fratellanza e all’emancipazione<br />

delle popolazioni derelitte e sfruttate Onore pertanto ai curatori e alla Casa Editrice che hanno contribuito a far conoscere – portando<br />

alla ribalta – una famiglia di grandi italiani, avulsa da smanie di compensi personali, grandi nel loro orgoglioso silenzio e, finalmente,<br />

risarcite dalla ricerca storica e letteraria che ha fatto e continua a fare luce (Recensione del Fratello Blasco Mucci)<br />

Futurismo 1909-<strong>2009</strong> – Velocità + Arte + Azione A cura di Giovanni Lista e Ada Masoero, con 533 immagini a colori<br />

e 71 in bianco e nero, brossura, illustrato a colori Casa Editrice Skira, Collana Arte/Arte moderna, pagine 452, formato 30x28<br />

Milano <strong>2009</strong>, Prezzo € 5000, [ISBN 9788857200392] Un excursus completo sul Futurismo, il movimento artistico che ha<br />

caratterizzato la prima metà del XX secolo, nell’anno del centenario <strong>Il</strong> catalogo ripercorre in ogni suo aspetto l’avventura del<br />

Futurismo, dal suo nascere nel 1909, fino alla fine degli anni trenta, quando la spinta d’innovazione e di provocazione che lo<br />

avevano caratterizzato sin dall’inizio si chiuderà con le ricerche polimateriche e le<br />

ultime prove dell’Aeropittura <strong>Il</strong> volume si apre con i primi esperimenti degli anni<br />

dieci da Pellizza da Volpedo a Previati ad Alberto Martini attraverso la precoce<br />

esperienza di Medardo Rosso L’attenzione si focalizza poi sul periodo più fecondo<br />

del Futurismo: il Dinamismo plastico con opere di Boccioni, Balla, Russolo, Carrà,<br />

Severini, Bonzagni, Romani, Sironi, Soffici, Funi, Dudreville e Dottori Chiudono il<br />

volume circa 40 opere dedicate al Futurismo negli anni venti, ispirato al culto e alle<br />

forme della “macchina” (Balla, Depero, Prampolini, Pannaggi, Paladini, Fillia,<br />

Diulgheroff, Benedetta), secondo una direttrice che sfocia, nel decennio successivo,<br />

nell’Aeropittura, celebrazione suprema dell’aereo, la “macchina” per eccellenza della<br />

modernità<br />

Questa opera veramente unica, sia nella veste grafica che nella sua struttura<br />

editoriale, è stata pubblicata in contemporanea con una mostra sullo stesso tema<br />

“Futurismo 1909-<strong>2009</strong> – Velocità + Arte + Azione” che Milano ha dedicato al<br />

Centenario di questa avanguardia rivoltosa e visionaria Mostra svoltasi nel Palazzo<br />

Reale dal 6 febbraio al 7 giugno <strong>2009</strong>, posta sotto l’Alto Patronato del Presidente<br />

della Repubblica Italiana, promossa dal Comune di Milano e da Skira Editore Curata da Giovanni Lista e Ada Masoero,<br />

prodotta da Palazzo Reale in collaborazione con Skira e Artemisia e sostenuta da “Fastweb” come main sponsor e dal<br />

Corriere della Sera La grande esposizione ha occupato, eccezionalmente, l’intero piano terreno della reggia milanese ed è<br />

stato l’evento centrale di un ricchissimo programma di iniziative promosse dal Comune di Milano, con manifestazioni di<br />

teatro, cinema, danza, moda, che faranno della città, per l’intero <strong>2009</strong>, la capitale del Futurismo ove il Movimento è nato e<br />

dove ha vissuto la sua prima, entusiasmante stagione<br />

Circa quattrocento sono state le opere esposte, oltre 240 delle quali dipinti, disegni, sculture, dal paroliberismo ai progetti<br />

e disegni d’architettura, alle scenografie e costumi teatrali, dalle fotografie ai libri-oggetto, fino agli oggetti dell’orizzonte<br />

quotidiano: arredi, oggetti di arte decorativa, pubblicità, moda, tutti segnati dall’impronta innovatrice del Futurismo Unica tra<br />

le numerose manifestazioni espositive del Centenario, questa mostra ha inteso documentare l’intero, vastissimo campo<br />

d’azione del Futurismo, ponendo l’accento sulla sua generosa e per certi versi utopistica volontà di ridisegnare l’intero ambito<br />

dell’esperienza umana in una chiave inedita Ridurre l’esame del Futurismo alla sola pittura e scultura rischia infatti di<br />

snaturarne il volto, cancellando quella che resta la sua più vistosa e ineguagliata specificità Non solo, ma poiché il Futurismo<br />

non operò nei soli, più celebrati, anni Dieci, ma fu vitale per almeno un trentennio, la mostra ne ha riletto l’intera estensione,<br />

fino allo scadere degli anni Trenta, ampliando poi ulteriormente il suo orizzonte temporale per evidenziare da un lato le eredità<br />

che raccolse, dall’altro i lasciti che seppe affidare alle generazioni future<br />

Sezioni della mostra Prima del Futurismo Gli anni Dieci e il Dinamismo plastico Gli anni Venti e l’Arte meccanica Gli anni<br />

Trenta e l’Aeropittura L’indagine sul Futurismo si è completata con l’esposizione di importanti opere appartenenti agli altri<br />

innumerevoli ambiti che questa avanguardia ha investito con i suoi principi Hanno figurato così delle sezioni dedicate all’esperienza<br />

dirompente del Paroliberismo; alle sperimentazioni messe in atto nella fotografia e nel cinema; alle ricerche innovative condotte<br />

nell’ambito della musica, della scena e del teatro (si è ammirato una straordinaria ricostruzione di scenografia di Balla); alle futuribili<br />

novità concepite nell’architettura come nelle arti decorative, nella pubblicità, nella moda Da ultimo, una sezione intitolata Dopo<br />

il futurismo ha presentato opere di Fontana, Burri, Schifano, Dorazio, e di esponenti della Poesia Visiva come Miccini e Pignotti,<br />

documentando, tanto l’azzeramento dell’arte operato dalla nuova generazione del dopoguerra, quanto l’omaggio, ideale ma palpabile<br />

e talora dichiarato, che questi artisti, ognuno a suo modo, hanno reso al Futurismo <strong>Il</strong> Futurismo ha vissuto tra due ingratitudini<br />

Affiancò il fascismo in modo del tutto autonomo, tanto da diventarne rivale: ergo il fascismo non gliene fu grato Caduto il<br />

fascismo doveva rispondere di averlo affiancato e sostenuto: ergo, l’antifascismo non gliene fu grato Come si sa, la cultura, anche<br />

se lo nega, è purtroppo succube della politica L’architettura non è riuscita a seguire Marinetti nella sua foga rivoluzionaria<br />

Gli edifici non si fanno e si disfano con la velocità con cui si fanno e si rifanno i quadri Disegnare una città o un’architettura<br />

futurista è più facile che realizzarla Di solito i committenti non hanno nessuna intenzione di mettere al rischio il proprio<br />

investimento La resistenza è ovvia <strong>Il</strong> senso della velocità e del cambiamento lo si acquista più rapidamente nelle cosiddette<br />

“opere d’arte” stradali e ferroviarie, i ponti È l’epoca del Golden Gate Bridge di San Francisco, del palazzo di vetro londinese,<br />

del Grand Palais parigino e della parigina Torre Eiffel In Italia gli architetti progettano architetture razionaliste, come Terragni,<br />

Libera, Figini, Pollini, Michelucci Fa eccezione Pier Luigi Nervi col dinamismo strutturale dei grandi hangar, delle scale e delle<br />

28


pensiline dello Stadio Berta di Firenze Dovremo attendere un bel po’ per vedere un’architettura “dinamica” e la vedremo<br />

soprattutto in tre Chiese: la lecorbusierana Notre Dame du Hot a Rochamps, quella dedicata a San Giovanni Battista di<br />

Michelucci e l’altra, sempre di Michelucci, a Longarone nella quale il dinamismo si accentua e prende l’aspetto di un percorso<br />

ascensionale da seguire per raggiungere il trionfo dell’azzurro terso del Cielo, oltre le montagne del Vaiont che, in cerchio,<br />

circondano la valle dove scorre il fiume delle nostre memorie: duemila corpi trascinati dalle sue acque in rivolta, precipitate giù dalla<br />

diga della morte Non sono molti oggi gli architetti “futuristi” quasi tutti nel gruppo dei decostruttivisti che, forse senza saperlo,<br />

seguono i dogmi futuristi della velocità e del dinamismo: Santiago Calatrava e le sue strutture, Frank Gehry nel Museo di Bilbao<br />

e soprattutto nella Disney Concert Hall di Los Angeles e qualche altro Piuttosto il design si addice al Futurismo con i suoi modelli<br />

dinamici delle moto delle auto, degli aerei: lì si è sfogato e i risultati ottenuti sono talvolta straordinari È l’arrivo delle nuove<br />

tecnologie che cambia tutto perché consente tutto In ciò cogliendo una sostanziale contraddizione: al limite della statica<br />

dell’aerodinamica, ovvero dove le forme sembrano sottratte alla fantasia e condotte sui binari obbligati della necessità, si ottengono<br />

i risultati più entusiasmanti (Elaborazione del Fratello Blasco Mucci)<br />

La Medicina nell’Arte Collezione redatta da Manfredo Fanfani, edizione fuori commercio I vari fascicoli sono a<br />

disposizione del pubblico presso Istituto Ricerche Cliniche Manfredo Fanfani, Piazza della Indipendenza 18/b a Firenze Ogni<br />

accostamento ad un’opera d’arte impone un atto d’umiltà e di coraggio Un riconoscersi piccola realtà oggettiva di fronte a<br />

capolavori che racchiudono segreti insospettabili e, nello stesso tempo, essere spietatamente rigorosi e frementi nel servire la<br />

verità in ogni suo aspetto, grande o piccolo che sia La vera filologia – ha scritto Vittore Branca con la sua autorità d’eminente<br />

filologo del Novecento – considera la vita di un’opera in un crearsi e ricrearsi, sempre in movimento, identificabile in continue<br />

e sconvolgenti ondate di nuove e rivelatrici intuizioni È questo il criterio che da molti anni – dal 1 gennaio 1990 – guida il<br />

lavoro di Manfredo Fanfani, ricercatore nella pittura di verità non trascurabili, uscite a scadenza annuale dal suo studio<br />

fiorentino di Piazza della Indipendenza Filologo sui generis fermamente convinto che la pittura è un testo validissimo per<br />

conoscere usi e costumi del tempo, mosso dalla volontà sottile di verifica e d’osservazione ha offerto letture chiare di simboli<br />

annidati nei dipinti e affreschi tra Duecento e Cinquecento, cogliendo nel messaggio della figura aspetti singolari di vita<br />

quotidiana Con questo titolo Manfredo Fanfani ha realizzato una raccolta di diciotto studi specifici, ciascuno dedicato ad un<br />

tema, ad un argomento preciso che si sviluppa nel testo e nel ricco corredo iconografico che l’accompagna Ad integrare la<br />

raccolta l’autore ha ricostruito – in una monografia dedicata al 150esimo anniversario della Rivoluzione incruenta della<br />

Toscana – con intelletto d’amore e patriottismo le vicende legate ai luoghi e ai protagonisti a lui familiari Si ritiene doveroso<br />

elencare i titoli delle monografie sino ad oggi pubblicate:<br />

• La forchetta di Caterina de’ Medici: Evoluzione degli usi conviviali dal Medioevo al Rinascimento<br />

• <strong>Il</strong> Gatto: nella medicina e nell’arte fra allegoria, superstizione e magia<br />

• Scherzi a parte: Spigolature e curiosità in Medicina e nell’Arte<br />

• L’uso dei sensi in Medicina ed il linguaggio degli strumenti: L’arte ha scandito i tempi dell’evoluzione tecnologica<br />

• Incidenti domestici della strada e sul lavoro: L’informazione attraverso l’arte<br />

• Un radiologo in Casa Medici: La malattia articolare della famiglia fu vera gotta?<br />

• Botticelli, un neurologo antelitteram: La “scientifica” accuratezza della pittura<br />

• Cosma e Damiano: Due Medici Santi nella storia della Medicina e della città di Firenze<br />

• Una storia d’aureole e di cappelli: Quando l’abito non faceva il monaco ma, per il suo valore simbolico, faceva il medico<br />

• <strong>Il</strong> fazzoletto: Un funzionale accessorio igienico ma, anche, simbolo d’elevato status sociale e raggiunto benessere<br />

• La riforma sanitaria del Granducato di Toscana: La transizione dall’assistenza caritativa alla solidarietà sociale<br />

• La Tavola dell’Ultima Cena: Dalla Tavola medievale di Giotto e Duccio di Buoninsegna, al Cenacolo di Leonardo<br />

• Impianti e reimpianti: Un sogno prediletto dell’uomo vissuto nell’immaginario degli artisti<br />

• L’Arte: Un potente mezzo d’informazione nell’evoluzione della Medicina<br />

• <strong>Il</strong> linguaggio delle mani di Casa Medici: Le mani di Lorenzo il Magnifico nell’unico ritratto contemporaneo autentico del<br />

Ghirlandaio attento osservatore dei particolari<br />

• <strong>Il</strong> linguaggio dell’Arte: Un potente mezzo mediatico che coniuga bellezza, cronaca ed emozioni<br />

• Le “Natività”: Una delle più espressive intuizioni della storia dell’arte e del costume, fra ritualità e norme igieniche nascenti<br />

• L’opera d’Arte, un mezzo mediatico che coniuga bellezza, cronaca ed emozioni: La civiltà delle immagini ha radici<br />

profonde e antiche Sono cambiati gli strumenti, non la filosofia e lo scopo<br />

Piazza della Indipendenza a Firenze Le origini, gli aneddoti e le storie di vita <strong>Il</strong> 27 aprile 1859 il popolo di Firenze<br />

si riuniva in Piazza della Indipendenza – allora Piazza Maria Antonia, ma per i fiorentini Piazza di Barbano – per quella<br />

manifestazione patriottica che avrebbe allontanato il granduca Leopoldo II di Toscana ed innestato in modo irreversibile il<br />

processo di unità nazionale In quel giorno, in quella Piazza, nacque l’unità d’Italia Notizie inedite ed originali curiosità sono<br />

finalmente – e per la prima volta – diffuse al fine di richiamare l’attenzione dei giovani sul significato profondo per le sorti del<br />

nostro Paese oltre a quelle pagine storiche richiamate dalla intestazione, spesso misteriosa, delle strade circostanti: Giuseppe<br />

Dolfi; Vincenzo Salvagnoli; Enrico Poggi; Ferdinando Bartolommei; Cosimo Ridolfi; Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi La<br />

redazione de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>” esprime “toscana” gratitudine a Manfredo Fanfani che ha consentito di pubblicare integralmente<br />

e in originale – sul numero 85 de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>” – questo suo laborioso impegno<br />

Manfredo Fanfani, laureato in Medicina e Chirurgia, specialista in Radiologia, è stato Consigliere dell’Ordine dei Medici<br />

di Firenze dal 1963 al 2001 Presidente dell’Unione Europea dei Medici Specialisti dal 1980 al 1990, ha realizzato e diretto,<br />

a partire dal 1960, l’Istituto Ricerche Cliniche Manfredo Fanfani, centro polivalente per indagini diagnostico-strumentali e di<br />

laboratorio Ha fatto parte del comitato organizzatore della trasmissione televisiva di RAI 1 “Check-Up”, dedicata alla<br />

medicina È autore di varie pubblicazioni di carattere scientifico e di numerose pubblicazioni di carattere storico riguardanti<br />

Firenze e la Storia della Medicina Dalla sua concezione dell’Arte come mezzo mediatico che coniuga bellezza, cronaca ed<br />

emozioni, è nata la raccolta di fascicoli sul tema in oggetto pubblicati tra il 1997 e il 2000 (Recensione di Blasco Mucci,<br />

direttore responsabile de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>”)<br />

29


Comunicazioni<br />

Collegio dei Maestri Venerabili della Toscana-<strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d'Italia Le comunicazioni da parte del Collegio<br />

Circoscrizionale dei MMVV della Toscana e delle Officine della Comunione sono inserite nel sito: collegiotoscano@ucomit<br />

alle varie rubriche I Fratelli possono accedere alla struttura richiedendo password e username al mail sovraspecificato<br />

Manifestazioni in Toscana<br />

Nella magia di San Galgano! Suggestiva cornice l’Abbazia di San Galgano dove venerdì 19 giugno <strong>2009</strong> si è tenuta la<br />

consueta Tornata rituale preceduta da un’Agape Bianca, organizzata dalle RRLL Logge “Arbia” (178), “Montaperti” (772) e<br />

“Salomone” (758) all’<strong>Oriente</strong> di Siena, in occasione del Solstizio d’estate <strong>2009</strong><br />

La manifestazione si è svolta alla presenza dei Fratelli: Massimo Bianchi Gran Maestro Aggiunto del GOI, Mauro<br />

Lastraioli Gran Maestro Onorario del GOI, Morris Ghezzi <strong>Grande</strong> Oratore del GOI, Stefano Bisi Presidente del Collegio dei<br />

MMVV della Toscana e Moreno Milighetti vice Presidente In rappresentanza di alcune Gran Logge estere, erano presenti<br />

delegazioni della Gran Loggia d’Austria, della Gran Loggia Nazionale di Francia, della Serenissima Gran Loggia della Repubblica<br />

di San Marino e della Gran Loggia Femminile d’Italia, oltre alla partecipazione di oltre trecento Fratelli provenienti da<br />

numerosi Orienti nazionali Dopo l’apertura rituale, successivamente, il MV ha sospeso i Lavori per permettere al nutrito<br />

gruppo di familiari ed amici di assistere alla cerimonia vera e propria della Festa del Solstizio estivo, svoltasi con due momenti<br />

particolarmente suggestivi ed emozionanti: l’atto di bruciare la pergamena – compilata dal MV Luigi Vispi della RL “Montaperti”<br />

(772), che conduceva la serata – simbolo della purificazione grazie al fuoco che elimina le scorie del passato Ha concluso il<br />

Fratello Oratore, Fratello Massimo Lasi, con una suggestiva testimonianza interpretata miscelando sapientemente parole e<br />

musica, della vicenda umana ed iniziatica del cavaliere Galgano e della sua leggendaria “Spada nella roccia” L’atmosfera<br />

creatasi con il crepuscolo ha arricchito l’incanto della serata, rimasto nel cuore e nelle menti di tutti i Fratelli e dei profani<br />

intervenuti Un Fratello Apprendista della RL “Montaperti” (722), all’<strong>Oriente</strong> di Siena ha scolpito una sua testimonianza che<br />

è quanto mai determinante nel valutare come anche un appartenente al primo grado dell’Istituzione ha compreso perfettamente<br />

il valore delle scelte libero-muratorie:<br />

Riflessioni su San Galgano Vi sono notti nella vita di un uomo in cui tutto “è giusto e perfetto” Occasioni, rare, in cui il cuore<br />

è in pace, la mente si rilassa, gli occhi si posano solo sul bello intorno Sembra che i problemi della tua vita non ci siano,<br />

improvvisamente scomparsi e cancellati Mentre ti senti circondato da amore e fraternità Personalmente, notti simili posso<br />

contarle sulle dita di una mano Non di più Quella di venerdì 19 giugno scorso a San Galgano è stata una di quelle L’altra fu<br />

la notte della mia iniziazione Sono alchimie straordinarie in cui ti trovi a ri-conoscere persone che mai prima d’ora avevi<br />

conosciuto A scambiarti sensazioni ed emozioni che nella vita profana non oseresti confessare al più fidato amico Ma nella<br />

magia di quelle notti, può accadere di abbracciare uno sconosciuto e chiamarlo Fratello, sentirlo Fratello, saperlo Fratello<br />

Accanto ad Antonio e Matteo, che non avevo mai visto né conosciuto prima, mi sentivo straordinariamente a casa In quei gesti,<br />

in quelle parole, in quei rituali, la scoperta di un mondo che da profano non sapevo, ma che ogni volta scopro essere sempre più<br />

il mio E mi piace leggere negli occhi dei miei vicini lo stesso sentimento Quando il Maestro Venerabile accende il fuoco in onore<br />

di San Giovanni, profeta di Luce, e vi brucia la pergamena con i nostri nomi, un vuoto allo stomaco mi prende Che il fuoco bruci<br />

il nostro passato, da oggi comincia un altro domani La voglia di piangere mi assale Poi gli interventi dei Fratelli, a nome di<br />

Logge vicine, sebbene lontane Dalla Francia e dall’Austria, e da tante parti d’Italia In ognuno è palpabile l’emozione e la magia<br />

del momento Da anni le Logge delle Valli Senesi organizzano questa straordinaria Tornata nell’antica Abbazia di San Galgano,<br />

immersa nei boschi della Val di Merse, ai confini tra le province di Siena, Grosseto, Pisa <strong>Il</strong> luogo, ritornato per una notte Tempio,<br />

emana una forza straordinaria Se ne accorse ai primi anni ’80 un grande regista russo, Andrey Tarkovskij, un poeta visionario,<br />

che tra le colonne di questa chiesa a cielo aperto ambientò una delle ultime scene, tra le più forti, del suo capolavoro “Nostalgia”<br />

All’epoca ero un bambino Ma mio padre mi portava a vedere quel luogo così fuori dal tempo e dallo spazio durante le riprese<br />

Vi sono tornato tante volte da allora, sempre per occasioni straordinarie, da solo o in compagnia di amici Mai avrei pensato di<br />

andarci per cominciare un altro domani Insieme a tanti Fratelli<br />

Memoria dell’Epoca<br />

Ricordiamo Flaminio Musa (20 giugno 1921-20 giugno <strong>2009</strong> Chi scrive è particolarmente provato nel suo intimo dal<br />

passaggio all’<strong>Oriente</strong> Eterno del Fratello Flaminio che ricopriva – oltre il ruolo di Fratello – quello di vero amico, termine che<br />

soltanto pochi possono vantare di possedere La vera e duratura amicizia con Flaminio – venti anni – ha costituito una base<br />

di rapporti culturali e sociali che hanno creato un patrimonio atto a divulgare fra i giovani gli ideali e i valori della Libera<br />

Muratoria La Massoneria del <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia deve alla lungimiranza e alla generosità di Flaminio la realizzazione – nel<br />

Castello di Compiano in provincia di Parma – di un gioiello che vale la pena visitare per verificare di persona che all’interno<br />

delle sale gli oggetti che vi si trovano sono unici e di pregevole valore a livello culturale Medico, già primario del Pronto<br />

Soccorso, scrittore e poeta, presidente dell’Università Popolare e fondatore della Lega Italiana Lotta ai Tumori<br />

Flaminio Musa ci ha lasciato a 88 anni dopo una breve malattia e al termine di una vita vissuta con eccezionale intensità<br />

e nobiltà d’animo unanimemente riconosciuta Difficile tracciare un ricordo del suo lungo cammino terreno Flaminio Musa era<br />

un personaggio poliedrico, di quelli che lasciano un segno indelebile nella comunità in cui hanno operato Nato a Compiano nel<br />

1921, s’impegnò nella Resistenza e divenne comandante partigiano con il nome di “Marco” Anche dopo la guerra mantenne<br />

sempre vivo il suo spirito antifascista, fu dirigente dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e s’impegnò attivamente per<br />

divulgare fra i giovani gli ideali e i valori della Resistenza Laureato in medicina all’Università di Parma, Flaminio Musa fu a lungo<br />

primario del pronto soccorso all’Ospedale Maggiore Da uomo di cultura qual era, seppe sempre coniugare la sua naturale<br />

inclinazione al “fare” con la sensibilità verso l’arte e la capacità di riflettere e descrivere le vicende umane: fu anche scrittore<br />

(numerose sono le sue pubblicazioni) e apprezzato poeta Ma Flaminio Musa verrà ricordato soprattutto per ciò che ha creato e<br />

per il “patrimonio” sociale e culturale che ha saputo regalare alla comunità di Parma A lui si devono la vigorosa crescita<br />

dell’Università Popolare (centenaria istituzione, ancora molto attiva nella città) che ha presieduto per quarant’anni, e la fondazione<br />

30


della Lega Italiana per la Lotta ai Tumori, alla quale ha dedicato tanta parte del suo tempo (ha speso lì le ultime energie), di cui era<br />

ancora presidente onorario Tramite questa istituzione ha istituito e patrocinato il premio letterario nazionale riservato ai medici<br />

scrittori Era anche presidente onorario del CNUPI (Confederazione Nazionale Università Popolari Italiane) A Compiano, il suo<br />

paese natale, ha realizzato il Museo della Massoneria Italiana, ubicato nel castello, che custodisce una preziosa e significativa<br />

raccolta di testimonianze storiche della Massoneria del diciottesimo e diciannovesimo secolo<br />

La storia di Compiano Nell’alta Valle del Taro, sita in provincia di Parma dove s’incontrano le tre regioni Emilia, Toscana<br />

e Liguria, c’è un borgo medievale ancora integro con le cinte di mura ed il Castello: Compiano Le origini di Compiano<br />

risalgono all’Altomedioevo, ma il periodo di massimo splendore fu dal 1257 al 1682 al tempo della Famiglia Landi, quando<br />

ebbe scuole pubbliche, un Monte di Pietà e batté propria moneta Passato ai Farnese, ai Borbone e a Maria Luigia – consorte<br />

di Napoleone I e duchessa di Parma – il Castello divenne una prigione dove vissero reclusi per molti anni i Carbonari che<br />

parteciparono ai moti patriottici del 1821 e 1830 Quasi tutti erano studenti parmensi e tra loro vi era Antonio Gallenga che,<br />

novello Silvio Pellico emiliano, nel suo diario descrisse i giorni della sua prigionia All’inizio del secolo il Castello divenne un<br />

collegio per fanciulle; nel 1962 fu acquistato dalla marchesa Lina Raimondi Gambarotta che, alla sua morte lo lasciò al Comune<br />

che ha varato un programma per il rilancio di Compiano nell’ottica del turismo di qualità, dell’arte, della cultura e del rispetto<br />

dell’ambiente, supportata in questo da associazioni di volontariato tra le quali si distingue, per il costante impegno ormai<br />

ventennale, il “Centro culturale Compiano Arte Storia”<br />

Orizzonti massonici Ma non è tutto, perché il Castello di Compiano ospita un museo massonico – unico in Italia<br />

– che proviene dalla collezione privata del nostro Fratello Flaminio Musa, personaggio di gran prestigio nel campo<br />

della medicina, già presidente dell’Università popolare di Parma e già presidente della Lega Italiana per la lotta ai<br />

tumori per la provincia di Parma Flaminio Musa nel corso della sua vita professionale ha viaggiato in tutto il mondo<br />

e, da grande estimatore, ha costituito una collezione massonica, di derivazione anglosassone, francese, indiana e<br />

italiana ricchissima di documenti, arazzi e broccati con ricami e pitture di ispirazione massonica, gioielli rituali,<br />

paramenti di varie epoche, oggetti decorativi e coppe in argento massiccio, grembiuli del Rito Scozzese in seta con<br />

ricami in broccato, cammei, gioielli in pietre dure, distintivi ornati con pietre preziose, collari e sciarpe, un quadro<br />

raffigurante la Regina Vittoria con le insegne di Gran Maestro, testimonianze olografe dei rapporti intercorsi tra i vari<br />

ministri inglesi con la Massoneria, antichi rituali, manuali e bollettini massonici di vari Paesi europei, spille in oro,<br />

argento e smaltate, bastoni da passeggio con decorazioni in argento, sigilli, ciondoli, anelli, gemelli, ferma cravatte e<br />

tanti altri oggetti di uso comune Alcuni anni fa Flaminio Musa decise di concedere in comodato al Comune di<br />

Compiano una parte consistente di tutta la sua raccolta che fu così ospitata nel Castello ed allestita in una mostra<br />

quasi sconosciuta<br />

Ma qual è stato il ruolo del <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia in questa storia? Nell’anno 1997, in modo del tutto casuale, i Fratelli<br />

Blasco Mucci e Mauro Lastraioli rispettivamente – allora – direttore responsabile della rivista periodica della Comunione<br />

toscana “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>”e Presidente del Collegio Circoscrizionale dei MMVV della Toscana vennero a conoscenza di questo<br />

Museo e, dopo averlo esaminato, decisero di interessare il <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia affinché la collezione potesse essere<br />

valorizzata e diventare un punto d’incontro e di studio della storia e della simbologia dell’Istituzione Incominciò così una<br />

discreta campagna di sensibilizzazione della Comunione che, presi accordi con il sindaco di Compiano, portò una piccola parte<br />

del Museo a Montecatini in occasione del VI Convegno massonico del 1999, e poi l’intera collezione a Rimini per la Gran<br />

Loggia del 2000, al fine di promuovere un patrimonio culturale d’attrattiva, non solo per il Fratelli, ma anche per curiosi ed<br />

estimatori di cimeli massonici <strong>Il</strong> riscontro fu senza dubbio positivo e, nel settembre del 2001, Flaminio Musa donò l’intera<br />

raccolta al Comune che, grazie alla sponsorizzazione del <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia, s’impegnò a costituire all’interno del<br />

Castello un Museo prestigioso denominato “Orizzonti Massonici”, con i finanziamenti della Regione Emilia Romagna, della<br />

provincia di Parma e, naturalmente del GOI che fu parte attiva dell’iniziativa con il progetto dell’allestimento delle due sale<br />

riservate alla mostra, alla predisposizione di un catalogo – compilato con tutte le indicazioni di provenienza dei reperti, la loro<br />

storia, il significato, gli artisti realizzatori, le tradizioni agli stessi legate e tutto quanto necessario per valorizzare una raccolta<br />

unica nel suo genere – ed alla promozione del Museo con attività di studio aperte al pubblico In virtù dell’accordo anche il<br />

<strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> dispone oggi, nel Castello, di un proprio spazio espositivo con l’assegnazione di una sala in cui saranno<br />

custodite e presentate collezioni di proprietà del GOI che, in questo modo, può diffondere più agevolmente il proprio<br />

patrimonio culturale con il patrocinio e la tutela delle Istituzioni pubbliche del nostro Paese Grazie a Flaminio Musa – la cui<br />

memoria resterà sempre scolpita nei cuori di tutti i Fratelli della Comunione giustinianea – sarà così possibile proiettare il<br />

<strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia in un programma per far conoscere la cultura massonica nel mondo profano, ma principalmente ai<br />

nostri Fratelli, anche attraverso iniziative di questo tipo che, se a prima vista possono apparire superflue, risultano in realtà<br />

catalizzanti dell’attenzione dei massoni e dell’opinione pubblica<br />

Onore e gratitudine al Fratello Flaminio che ha dotato il <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia di una struttura museale alla stregua delle<br />

più importanti Obbedienze internazionali e accrescere, così, la conoscenza ed il prestigio della nostra Obbedienza in Italia e nel<br />

mondo Addio Fratello amato, poche parole per te come nelle lapidi del passato A tutti ricorderemo la tua saggezza<br />

illuminata, la disponibilità senza fine e la composta serenità con la quale hai lasciato queste Valli terrene A noi resta l’orgoglio<br />

e il privilegio di esserti stato vicino nel lavoro e nella Comunione, oltre il ricordo della tua familiarità e della tua amicizia<br />

(Testimonianza di Blasco Mucci, nella sua qualità di direttore responsabile de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>”)<br />

Ricordiamo Massimo Pagnini, oggi e per sempre (2 ottobre 1945-11 luglio <strong>2009</strong>) Salmo 133 di Davide, della Concordia<br />

fraterna, detto anche delle Ascensioni: Ecco quanto è buono e quanto è soave / che i Fratelli vivano insieme! / È come olio<br />

profumato sul capo / Che scende sulla barba, / sulla barba di Aronne, / che scende sull’orlo della sua veste / È come rugiada<br />

dell’Ermon, / che scende sui monti di Sion / Ed il Signore dona la benedizione / E la vita per sempre Ben si addicono a<br />

commemorare Massimo le parole del Salmista Quello che il nostro Fratello ha compiuto in vita non resterà sepolto con la sua<br />

struttura umana, ma sopravviverà per molte, molte, generazioni Nella sua nuova veste d’iniziato che ha varcato il velo che separa<br />

noi mortali da chi è assiso ormai nelle Valli Celesti e dalla sua nuova trascendente dimensione egli valuta il progresso che i vecchi<br />

e i nuovi Fratelli compiranno, seguendo l’esempio di quanto egli ha indicato nella sua vita terrena Non c’è stato nulla che la<br />

31


Comunione massonica della Toscana abbia realizzato, in questi ultimi lustri di vita, che non abbia avuto a protagonista Massimo<br />

Fratello tra i suoi Fratelli, secondo il suo costume con umiltà, spirito di servizio, disponibilità e impegno, ovunque dando dignità<br />

ad ogni incarico fosse pure il più modesto Nessuno può ricordare un rifiuto o un gesto di disappunto, Massimo era sempre<br />

pronto a dispensare un consiglio, a intervenire per superare una difficoltà Uomo buono, riservato, mite e paziente è stato quel<br />

Libero Muratore che ognuno di noi avrebbe voluto essere Lo è stato con gioia, con attaccamento, con forza interiore, sovente con<br />

slancio generoso, mai con intolleranza ma, tante volte, con profonda quiete e dolcezza Sempre, con onestà e libertà, ogni suo atto,<br />

decisione o pensiero è stato trasmesso nella più perfetta sintonia della scelta muratoria anche se, a volte, mortificato soltanto che<br />

altri non vivessero, con uguale tensione, gli spazi dell’animo e dell’intelletto irradiati dall’iniziazione massonica Onore a te,<br />

Fratello e Amico! A te dal quale abbiamo appreso come è necessario fare propri gli insegnamenti morali e etici che devono guidarci<br />

verso il traguardo finale della Luce e dell’Amore Tu, carissimo, ci hai insegnato come stimarci, conoscersi e dialogare al fine di<br />

giungere, chissà, un giorno a incontrarsi con altri Fratelli, lontani forse ma pur sempre Fratelli, e guardarsi sinceramente e<br />

cordialmente negli occhi e nel cuore<br />

Massimo Pagnini, ricoprì tutte le cariche che la fiducia e la stima dei suoi Fratelli di Loggia gli assegnarono Assolveva il<br />

suo impegno con bontà e disponibilità, sempre pronto al dialogo e alla corale partecipazione ricca della sua lunga militanza<br />

massonica Assiduo ricercatore della verità e profondo conoscitore della tradizione esoterica la sua memoria sarà legata alla<br />

semplicità del suo animo, alla disponibilità e cortesia che dimostrava nei confronti di tutti in ogni occasione ma anche, e questa<br />

qualità è patrimonio di pochi, alla sua facezia e all’abilità con la quale trasformava ogni problema apparentemente insolubile<br />

in una “esilità” che, al massimo, faceva sorridere di sufficienza Era stato il promotore – insieme a quindici Fratelli – della<br />

costituenda Officina “Mahatma Gandhi” La sua volontà è stata rispettata e i suoi principi saranno le basi per accettare in<br />

profani fra le Colonne La sua irruenza verbale, acuta, sferzante e benevola assieme, nascondeva una vena aurea di bontà e<br />

comprensione verso tutti, ma mai fino al punto di accettare la slealtà, la viltà, l’ipocrisia, la prevaricazione Massimo aveva<br />

percorso o tutti i gradi e tutte le dignità della vita massonica senza mai essere un notabile Nemico fiero di ogni compromesso,<br />

di ogni atto indegno dell’etica profana e di quella iniziatica, aveva sempre combattuto le inevitabili violazioni di queste che<br />

ogni comunità umana produce Quando la calunnia ed il voltafaccia sembravano avessero avvilito l’Ordine, Massimo lo difese<br />

a viso aperto, e la sua azione fu generosa e risolutiva, quanto in parte poi misconosciuta Pronto alle battaglie ma anche deciso<br />

e sereno, nel ritirarsi dopo la vittoria nella pace del suo studio, racchiuso nel cerchio magico dei suoi libri, nella torre delle sue<br />

amate ricerche, in cui amava il simbolo e la testimonianza storica e sociologica La sua lunga attiva e travagliata militanza<br />

massonica testimonia della sua tenacia, dell’altezza e della purezza dei suoi ideali Addio Fratello amato, eri un uomo che credeva<br />

fermamente nella libertà, nel rispetto verso gli altri, specie se più deboli Credevi in un mondo migliore per il quale ti battesti tutta<br />

la vita e in diverse sedi, coniugando sempre quei principi di fratellanza, uguaglianza e libertà che furono i cardini della tua esistenza<br />

e del tuo humus culturale Poche parole per te come nelle lapidi del passato A tutti ricorderemo la tua saggezza illuminata, la<br />

disponibilità senza fine e la composta serenità con la quale hai lasciato queste valli terrene la venerazione per la famiglia e l’amore<br />

portato a Stefania ad Andrea e Edoardo (I Fratelli della costituenda RL “Mahatma Gandhi”)<br />

Esploratori italiani<br />

Demetrio Prada, nato a Barlassina (Milano) il 27 maggio 1852, morto a Milano il 20 ottobre 1930 Pur non esistendo<br />

documentazioni ufficiali Denetrio Prada era ritenuto affiliato alla Massoneria del <strong>Grande</strong> <strong>Oriente</strong> d’Italia Fu a capo di una<br />

spedizione commerciale in Sudan nel 1879-1880 per conto della ditta Francesco Lattuada di Milano Suo compagno di viaggio era<br />

il collega Francesco Medici A quell’epoca non era cosa facile inoltrarsi nel Sudan per acquistarvi la mercanzia desiderata Si fermò<br />

un mese a <strong>Il</strong> Cairo per acclimatarsi al clima africano, sia per imparare qualche parola della lingua araba, sia per assuefarmi alle<br />

abitudini dei negri Da <strong>Il</strong> Cairo si trasferì a Suez e da qui a Suakin Organizzata la carovana, si diresse a Berber, poi a Khartum e<br />

finalmente a El-Obeid, l’agognata città dal ricco commercio Espletati i compiti affidategli, ritornò sui suoi passi Quest’esperienza<br />

africana gli rimase favorevolmente impressa per tutta la vita, tanto da divulgare, ormai anziano, la relazione del’impresa in un<br />

piacevole libro odeporico Suoi scritti apparvero nei seguenti periodici: L’esploratore fascicolo II del febbraio 1880; <strong>Il</strong> Sole n 229<br />

e 230 del 1880 e il Giornale illustrato dei viaggi e delle avventure di terra e di mare edito da Edoardo Sonzogno, terza annata del<br />

1880-1881 dal n 105 al 149 ove la narrazione intitolata Da Milano ad El-Obeid non era presente in tutti i fascicoli e si interruppe<br />

improvvisamente per motivi personali dell’autore Nel 1916 uscì la prima edizione Da Milano al paese della gomma arabica<br />

(Ricordi di un viaggio nel Sudan), ristampato nel 1919 con più fotografie, con una cartina itineraria e con alcune pagine inedite<br />

Cfr Angelo Umiltà, Gli Italiani in Africa Con appendici monografiche su esploratori e personaggi che calcarono il suolo africano<br />

dal 1800 al 1943, a cura di Giorgio Barani e Manlio Bonati, Reggio Emilia, T&M Associati Editore, 2004; Silvio Zavatti, Uomini<br />

verso l’ignoto Gli esploratori nel mondo, Ancona, Gilberto Bagaloni Editore, 1979 (Testimonianza di Manlio Bonati)<br />

Benemerenze, riconoscimenti e premiazioni<br />

Isabella Bonati (Tersicore Polimnia) La nostra preziosa collaboratrice, che contribuisce con i suoi saggi al prestigio della rivista,<br />

poetessa e biografa dell’esploratore Guido Boggiani, figlia prediletta del nostro valente collaboratore Manlio Bonati, dopo il<br />

conseguimento della prima laurea cum laude il 28 marzo 2007 alla triennale di Lettere Classiche all’Università di Parma con una tesi<br />

dal titolo Lo specchio nel mito e nella Letteratura Greca – iscritta alla Laurea Specialistica nella stessa disciplina – il 15 luglio <strong>2009</strong><br />

ha ottenuto presso l’Università degli Studi di Parma, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea in Civiltà Antiche e Archeologia,<br />

la Laurea Magistralis con 110 e lode discutendo la tesi sul tema Glosse esotiche nei frammenti di Ipponatte con il relatore professor<br />

Gabriele Burzacchini e i correlatori professoressa Anika Nicolosi e professor Davide Astori Amante della cultura e preparata<br />

ricercatrice storica, scrive da anni per la Gazzetta di Parma (pagina della Cultura) La redazione de “<strong>Il</strong> <strong>Laboratorio</strong>” oltre a manifestare<br />

la propria considerazione per il secondo traguardo raggiunto da Isabella auspica che il suo futuro sia costellato da successi e da<br />

consensi di pubblico come giustamente merita chi si dedica con dedizione alla cultura e alla ricerca relativa delle glorie del passato<br />

Mezzanotte in punto<br />

Sappiate che tutti gli adulatori vivono a spese di quelli che li ascoltano (Jean de la Fontaine)<br />

32

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!