decanter 2, giugno 2006
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2 laboratorio<br />
Poste Italiane S.p.A. - Sped. in a.p. - 70% Potenza<br />
ANNO III - GIUGNO <strong>2006</strong> ISSN 1827-8760<br />
Economia<br />
“allarme rosso”<br />
ANTONIO CALIFANO<br />
La radiografia dell’economia<br />
lucana che esce fuori<br />
dal “rapporto 2005” a cura<br />
di Unioncamere e Regione<br />
Basilicata ci consegna un<br />
quadro preoccupante. Alcuni<br />
indicatori, che cercheremo<br />
di analizzare, mostrano<br />
chiaramente che ci troviamo<br />
di fronte ad una crisi che da<br />
congiunturale sta diventando<br />
strutturale e che in ogni<br />
caso ci consegna un quadro<br />
generale di stagnazione con<br />
un P.I.L. che cresce (si fa per<br />
dire) dello 0,1 e con un crollo<br />
dei consumi che si riflette<br />
su un triste primato: la provincia<br />
di Potenza e di Matera<br />
sono le prime in Italia<br />
per cancellazioni (6%) dal<br />
registro delle Imprese delle<br />
rispettive Camere di Commercio.<br />
Il dato più negativo<br />
riguarda quegli indici relativi<br />
al tenore di vita delle<br />
famiglie lucane che vedono<br />
un calo delle vendite al dettaglio,<br />
come conseguenza di<br />
redditi che non crescono, e<br />
l’alto indice di indebitamento<br />
delle famiglie lucane per<br />
segue in penultima<br />
“La Basilicata<br />
che vorrei...”<br />
Intervista<br />
a Vito De Filippo<br />
Considerazioni sul voto<br />
politico e amministrativo<br />
Gli operai di Melfi<br />
e i metalmeccanici italiani<br />
Intervista a Gianni Rinaldini<br />
della sinistra lucana<br />
Piero Di Siena p. 3 Giuseppe Rolli p. 29 Rino Cardone p. 37<br />
euro 5.00<br />
A. M. Riviello<br />
pp. 7/10<br />
Un viaggio nella pittura<br />
di Gerardo Cosenza<br />
Cerimonia inaugurale del Trend Expo <strong>2006</strong> - foto N. Santagata
Editoriale<br />
Economia “allarme rosso”<br />
‹Antonio Califano›<br />
Rubrica<br />
Donne e istituzioni: qualche buona notizia<br />
‹Anna Maria Riviello›<br />
2<br />
laboratorio della sinistra lucana<br />
Politica e società<br />
Dopo le elezioni quello che il centrosinistra non vede<br />
‹Piero Di Siena›<br />
“Voglio una Basilicata che somigli a se stessa”<br />
Intervista al Presidente Vito De Filippo<br />
‹Anna Maria Riviello›<br />
Innovazione e sviluppo locale<br />
‹Francesco Cellini›<br />
Il tempo e le politiche di conciliazione<br />
‹Antonio Sanfrancesco›<br />
Protocollo di Kyoto tra opportunità e illusioni<br />
‹Lidia Consiglio, Sonia Mastropierro,<br />
Graziano Antonio Pizzichillo›<br />
Eolico? Si Grazie, ma …<br />
‹Gervasio Ungolo›<br />
Paesaggi del vento<br />
E se le pale fossero monumenti?<br />
‹Vincenzo Di Siena›<br />
Non solo pena<br />
‹Maria Pia Giuffrida›<br />
LʼIntervista<br />
“Grazie Melfi...”<br />
Intervista a Gianni Rinaldini<br />
‹Giuseppe Rolli›<br />
Il futuro del settore auto in Basilicata<br />
‹Giuseppe Cillis›<br />
Cultura<br />
La pittura di Gerardo Cosenza.<br />
Ricordo di un viaggio a “stelle e strisce”<br />
‹Rino Cardone›<br />
“Al pomposo, preferisco il giocoso”<br />
La poesia di Francesco Sorrentino<br />
‹Giancarlo Tramutoli›<br />
Il fantastico ad Agromonte<br />
Le ceramiche di Pina Ferrara<br />
‹Domenico Petrocelli›<br />
Sinisgalli l’inattuale<br />
‹Faber Fabbris›<br />
Musica, cinema, libri<br />
Il racconto<br />
La parabola dell’ottimismo<br />
‹Giuseppe Lombardi›<br />
SudPosizioni<br />
Mezzogiorno e Mediterraneo di fronte alle sfide<br />
dell’economia reale<br />
‹Sergio Vellante›<br />
1<br />
2<br />
3<br />
7<br />
11<br />
13<br />
17<br />
19<br />
22<br />
24<br />
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32<br />
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44<br />
47<br />
49<br />
50<br />
59<br />
r<br />
Donne e istituzioni:<br />
qualche buona notizia<br />
In questa legislatura, con ogni probabilità,<br />
avremo finalmente le norme<br />
di garanzia per la rappresentanza, meglio<br />
note con il nome di “quote rosa”.<br />
Si è impegnato per questo Romano<br />
Prodi nel suo discorso programmatico<br />
al Senato, ne sostengono la necessità<br />
molti esponenti autorevoli del centrosinistra.<br />
La presenza a tutti i livelli di competenze,<br />
saperi, lavoro femminile è<br />
molto evidente nella società. Meno<br />
evidente nei luoghi dove si esercitano<br />
poteri: economici, finanziari, istituzionali.<br />
Le Istituzioni democratiche però<br />
sono il luogo delegato dai cittadini alla<br />
gestione dei poteri previsti dalla Costituzione,<br />
per questo la scarsità della<br />
presenza femminile è un problema più<br />
grave. Una forte presenza femminile<br />
nelle assemblee elettive e negli esecutivi,<br />
è il necessario approdo di un lungo<br />
processo che ha realizzato l’uguaglianza<br />
tra uomini e donne. Da questo<br />
nasce la possibilità di far agire la differenza.<br />
La conquista di un’autonoma<br />
soggettività femminile non è stata una<br />
faccenda che ha riguardato una parte<br />
seppur cospicua dell’umanità ma un<br />
conflitto fecondo di civilizzazione,<br />
per questo è importante per tutti che le<br />
donne superino rispetto al campo della<br />
politica il doppio inganno dell’estraneità<br />
e dell’omologazione. La fase non<br />
è favorevole, trionfa l’omologazione,<br />
si afferma lo schema dell’affidamento<br />
al capo, la fedeltà più del merito. Non<br />
stiamo vivendo un periodo di espansione<br />
e di crescita della nostra democrazia,<br />
basti ricordare che abbiamo<br />
recentemente votato senza poter scegliere<br />
i candidati. Il NO alla riforma<br />
costituzionale voluta dalle destre, po-<br />
La Rubrica<br />
ANNA MARIA RIVIELLO<br />
trebbe essere l’inizio di un’inversione<br />
di tendenza.<br />
Intanto in Basilicata, dalle ultime<br />
elezioni politiche è venuto un segnale<br />
importante. Rifondazione comunista ha<br />
eletto due donne Angela Lombardi ed<br />
Anna Maria Palermo, rispettivamente<br />
alla Camera ed al Senato, facendo della<br />
scelta di genere una proposta di rinnovamento.<br />
Si deve certamente all’intelligenza<br />
politica del segretario Giacomo<br />
Schettini e insieme alla qualità di queste<br />
due donne giovani, diverse ma entrambe<br />
portatrici di un impegno autentico<br />
e generosamente vissuto. Non è il solo<br />
segnale a sinistra. Ci sono presenze importanti<br />
in Consiglio regionale, Emila<br />
Simonetti con una lunga militanza nel<br />
movimento delle donne e Maria Antezza<br />
eletta Presidente del Consiglio<br />
Regionale e nei consigli comunali, a<br />
cominciare da Matera e donne Sindaco.<br />
Si pensi alla significativa esperienza<br />
appena conclusa di Antonietta Botta<br />
a Lavello. Molte sono le questioni che<br />
questa nuova classe dirigente femminile<br />
dovrà affrontare. Ci torneremo. Mi<br />
limito per ora a segnalarne una: forse<br />
il più silenzioso ma devastante processo<br />
sociale in atto nel Mezzogiorno, la<br />
rinuncia delle giovani donne a cercare<br />
lavoro nella disperazione di trovarlo, la<br />
dissipazione di intelligenze, ripiegate,<br />
confinate nelle nuove prigioni allestite<br />
dai reality show: invece del discorso, il<br />
pettegolezzo virtuale. Si tratta insomma<br />
di ricominciare dalla più classica<br />
battaglia di emancipazione, il diritto al<br />
lavoro, anche per non disperdere quell’uguaglianza<br />
che ha reso possibile<br />
iscrivere la libertà femminile nell’orizzonte<br />
simbolico del nostro tempo.
Politica<br />
e società<br />
Dopo le elezioni<br />
quello che il centrosinistra non vede<br />
PIERO DI SIENA<br />
Il risultato delle elezioni politiche e amministrative conferma la forza dell’Unione<br />
ma mette in evidenza molti punti di criticità. Il crollo dell’Udeur e il logoramento dei<br />
consensi della Margherita ci dicono di un elettorato di centro che si sposta a destra.<br />
Più grande la flessione nel Materano tra il 2005 e il <strong>2006</strong><br />
Non c’è alcun dubbio che se si guardano i dati delle elezioni<br />
politiche del <strong>2006</strong> non è difficile affermare che il centrosinistra<br />
in Basilicata continua a stare in buona salute. Certamente<br />
il 60,1 alla Camera e il 60,4 al Senato sono sette punti<br />
in meno rispetto al 67,1 per cento delle elezioni regionali. Ma<br />
a parte il fatto che, in linea con le tendenze nazionali anche<br />
in Basilicata, vi è stato un tasso di partecipazione al voto di<br />
gran lunga superiore a quello del 2005, frutto quasi per intero<br />
della mobilitazione prodotta dalla campagna mediatica della<br />
destra, bisogna anche aggiungere che le percentuali raggiunte<br />
dai partiti dell’Unione sono - sia alla Camera che al Senato -<br />
superiori al 54,8 per cento raggiunto dallo stesso arco di forze<br />
nel voto proporzionale per la Camera nel 2001.<br />
Le elezioni amministrative di <strong>giugno</strong> hanno confermato<br />
questo buono stato di salute. Se si fa eccezione dal risultato di<br />
Melfi, la conquista di Policoro e Scanzano nel Metapontino,<br />
quella di Francavilla sul Sinni, dimostrano come sul piano locale<br />
anche alcune delle poche roccaforti della destra passano<br />
al centrosinistra. Anche nel Melfese il grande successo del<br />
centrosinistra guidato da Antonio Placido a Rionero, il fatto<br />
che a Lavello l’Unione sia riuscita a respingere l’attacco della<br />
destra, nonostante la defezione di una parte importante della<br />
Margherita, la riconferma di Maschito e Ginestra mutano a<br />
vantaggio del centrosinistra la mappa del potere locale.<br />
Un giudizio più articolato naturalmente va dato se si guarda<br />
ai risultati dei singoli partiti. I Ds possono con soddisfazione<br />
rivendicare di aver strappato la palma di primo partito a Forza<br />
Italia al Senato (19,9 contro 19,4). La Margherita denuncia un<br />
tendenziale logoramento dei consensi, confermato dallo stato<br />
di vera e propria balcanizzazione con cui le sue organizzazioni<br />
locali si sono presentate all’appuntamento delle amministrative.<br />
Rifondazione comunista ha un grande successo e<br />
può, legittimamente, rivendicare il merito di garantire da sola<br />
la presenza delle donne nelle istituzioni, dalla Regione al Parlamento.<br />
Risulta poi assolutamente non scalfita nei consensi<br />
dal voto disgiunto (Ds al Senato e Rifondazione alla Camera)<br />
annunciato da alcune organizzazioni di massa a cominciare<br />
dalla Fiom: segno evidente che tali scelte hanno riguardato<br />
gruppi dirigenti ristretti ma senza alcuna penetrazione in strati<br />
più ampi dell’elettorato. L’Udeur crolla dall’11,1 per cento<br />
delle elezioni regionali al 4,8 delle elezioni sia per la Camera<br />
che per il Senato.<br />
Particolarmente anomalo poi appare il risultato dell’Ulivo<br />
alla Camera rispetto all’andamento del voto nelle altre regioni.<br />
Sembra non esserci nessun valore aggiunto rispetto alla<br />
somma dell’influenza elettorale dei Ds e della Margherita.<br />
Anzi se si sommano le percentuali dei Socialdemocratici e<br />
dei Cristiani Uniti, che avevano liste al Senato ma non alla<br />
Camera, si potrebbe addirittura dire che l’Ulivo ha subito<br />
una sia pur leggerissima flessione rispetto alle singole forze<br />
di riferimento. Certo è che in Basilicata si è manifestata una<br />
curiosità aritmetica molto particolare, e cioè che la percentuale<br />
dell’Ulivo alla Camera corrisponde fin nei decimali alla<br />
somma della percentuale di Ds e Margherita al Senato (19,9<br />
e 15,4 contro 35,3 sul piano regionale; 22,4 e 11,4 contro il<br />
33,8 in provincia di Matera; 18,6 e 17,5 contro il 36,1 in provincia<br />
di Potenza).<br />
Se si confrontano poi i dati delle politiche con le regionali<br />
3
politica e società<br />
del 2005, e li si guarda in maniera differenziata<br />
tra le due province, è possibile<br />
riscontrare alcune indicazioni relative<br />
alle dinamiche politiche e elettorali particolarmente<br />
significative. In provincia<br />
di Matera le forze dell’Unione passano<br />
dal 69,0 per cento del 2005 al 56,9 al<br />
Senato e al 57,9 alla Camera; in provincia<br />
di Potenza la flessione è più contenuta<br />
(soprattutto per merito del recupero<br />
delle forze dell’Ulivo nel Melfese sia<br />
alla Camera che al Senato rispetto alla<br />
catastrofica performance della lista dell’Ulivo<br />
nel 2005) e si passa dal 66,1 delle<br />
regionali al 62,2 del Senato e al 61,2<br />
della Camera. Ora, mentre in provincia<br />
di Potenza la differenza è di fatto pressoché<br />
tutta ascrivibile al crollo dei consensi<br />
all’Udeur tra regionali e politiche<br />
(-5,5 per cento), in provincia di Matera<br />
si può far risalire alla flessione congiunta<br />
dell’Udeur e delle forze dell’Ulivo<br />
(rispettivamente -7,9 e -9,2, riducibile<br />
a circa un -5,0 se si tiene presente che<br />
i socialisti, candidati nell’Ulivo l’anno<br />
prima, nel <strong>2006</strong> lo erano nella Rosa nel<br />
Pugno). E il fatto ancora più singolare è<br />
che alcuni dei candidati di punta alle regionali<br />
(da Bubbico alla Mastrosimone)<br />
4<br />
lo erano anche alle politiche. Rifondazione<br />
comunista poi conferma anche in<br />
Basilicata l’incapacità a radicare sul piano<br />
delle competizioni elettorali amministrative<br />
il grande consenso raccolto nelle<br />
elezioni politiche, confermandosi anche<br />
in Basilicata come nel resto dell’Italia la<br />
forza a più alta raccolta del consenso per<br />
via mediatica dopo Forza Italia.<br />
Insomma, se guardiamo in maniera<br />
analitica all’andamento delle elezioni<br />
in Basilicata troviamo che, pur in un<br />
quadro generale di riconferma del peso<br />
politico e elettorale del centrosinistra,<br />
vi sono fattori di mobilità del voto che<br />
indicano punti di criticità nella formazione<br />
del consenso, nella sua stabilità,<br />
di come il voto debba essere interpretato<br />
ai fini dell’evoluzione dei rapporti tra le<br />
forze politiche sul piano regionale.<br />
È facile prevedere che il “fondamentalismo”<br />
ulivista, che vede nel partito<br />
democratico la panacea di tutti i mali, e<br />
la tendenza di Rifondazione ad adagiarsi<br />
nel successo alle elezioni politiche possano<br />
far velo sugli elementi di criticità<br />
che il voto segnala in relazione al carattere<br />
del radicamento dell’Unione nella<br />
realtà sociale e culturale della regione.<br />
P<br />
Ad esempio, non c’è dubbio che<br />
l’esclusione di Rifondazione dall’esecutivo<br />
regionale può apparire una clamorosa<br />
contraddizione con il risultato<br />
delle elezioni politiche ma avere una<br />
sua legittimazione nei risultati della amministrative.<br />
Sul piano più complessivo degli<br />
orientamenti politici risulta del tutto<br />
evidente che la scelta del partito democratico<br />
e dell’Ulivo che ha caratterizzato<br />
la campagna elettorale dei maggiori<br />
partiti dell’Unione (meno che nelle altre<br />
regioni in verità, per la centralità che i<br />
Ds hanno voluto dare alla candidatura di<br />
Bubbico al Senato) hanno poi scoperto<br />
il centrosinistra lucano soprattutto sul<br />
versante dei voti moderati e di centro,<br />
provocando un loro spostamento a destra.<br />
La scelta dell’Ulivo risulta troppo<br />
poco di sinistra, il che spiega il successo<br />
di Rifondazione, ma anche troppo poco<br />
di centro. E l’elettorato di centro trova<br />
evidentemente poco credibile che a rappresentarlo<br />
possa essere compiutamente<br />
il partito di Mastella e in parte vota a destra.<br />
In questa chiave va anche spiegato<br />
il logoramento della Margherita.<br />
Ora tutto questo assume un suo parti-
P<br />
colare valore in Basilicata. Il successo e<br />
la durata del centrosinistra in Basilicata<br />
è stato particolarmente legato al delicato<br />
equilibrio che negli anni si è costruito e<br />
riprodotto tra la tradizione centrista degli<br />
eredi della Dc lucana e quella della<br />
sinistra moderata erede diretta della destra<br />
comunista.<br />
C’è qualcuno che legge i risultati<br />
elettorali anche alla luce della trasformazione<br />
che questo equilibrio sarà inevitabilmente<br />
costretto a subire con l’avvio<br />
anche in Basilicata di quel processo politico<br />
che guarda al partito democratico?<br />
L’adesione quasi fanatica della maggioranza<br />
dei Ds a questo obiettivo – oserei<br />
dire priva di qualsiasi intelligenza delle<br />
cose che può essere solo frutto di un<br />
approccio critico alla politica – non si<br />
pone affatto l’interrogativo di che cosa<br />
diventerà il centrosinistra lucano. Che<br />
cosa accadrà del suo equilibrio interno e<br />
dell’ampiezza dell’arco dei suoi consensi<br />
in un processo che sarà caratterizzato<br />
da una fusione resa calda dalla competizione<br />
tra i ceti politici della maggioranza<br />
dei Ds e della Margherita?<br />
Chi è che farà attenzione acché la necessaria<br />
esigenza di dare un ruolo pro-<br />
Nella composizione fotografica, da sinistra: Emilia Simonetti, Maria Antezza, Angela Lombardi, Anna Maria Palermo<br />
prio a una sinistra autonoma dopo che<br />
i Ds sono rifluiti nel processo che porta<br />
al partito democratico non sia da Rifondazione<br />
piegato ad accentuare i conflitti<br />
interni dell’Unione in termini di rottura<br />
della coalizione?<br />
Da questo punto di vista conterà<br />
molto la capacità delle sinistre dei Ds<br />
a trasformare la loro azione politica<br />
da variante della dialettica interna al<br />
proprio partito a fattore sistematico di<br />
convergenza a sinistra. Meno chiaro<br />
è chi starà a presidiare l’area di centro<br />
dell’elettorato lucano che, come molti<br />
segnali di queste elezioni politiche ci dicono,<br />
potrebbe essere tentata a rifluire a<br />
destra, soprattutto in quelle zone in cui<br />
il consenso al centrosinistra, quando è<br />
occasionalmente ampio come nelle regionali<br />
dello scorso anno, esprime un<br />
rapporto di totale dipendenza dalla politica<br />
che non sempre è segno di maturità<br />
democratica.<br />
Insomma, il modo in cui si tornerà<br />
a esaminare il voto ci dirà anche se<br />
nell’agenda politica del centrosinistra<br />
lucano prevarrà la riflessione sulla qualità<br />
del radicamento dell’Unione nella<br />
società lucana o il riposizionamento<br />
politica e società<br />
del suo ceto politico nella mappa degli<br />
equilibri tra partiti e nei partiti. E il fatto<br />
che l’intera politica regionale sembri<br />
immobilizzata nell’attesa di che cosa<br />
avverrà a settembre nella composizione<br />
della giunta non è esattamente un buon<br />
segnale.<br />
5
politica e società<br />
6<br />
Melfi “buco nero” dell’Unione<br />
Le elezioni amministrative a Melfi sono<br />
il vero “buco nero” del centrosinistra<br />
in Basilicata. Tanto più evidente in una<br />
tornata elettorale che risulta particolarmente<br />
positiva per le forze dell’Unione<br />
anche laddove – a differenza di Melfi<br />
dove si erano superate, soprattutto per<br />
opera del gruppo dirigente locale dei<br />
Ds, antiche e fino ad ora insanabili divisioni<br />
– ci si era presentati divisi. La<br />
sconfitta brucia soprattutto a sinistra,<br />
dove non si è riusciti ad eleggere nemmeno<br />
un consigliere comunale. Non<br />
c’è nessuno infatti di Rifondazione,<br />
dei Ds, dei comunisti italiani. I Ds soprattutto<br />
pagano congiunturalmente la<br />
scelta della lista dell’Ulivo dove sono<br />
stati penalizzati nella gara per le preferenze.<br />
La sconfitta di Melfi, frutto anche del<br />
voto disgiunto a favore del sindaco Navazio,<br />
è anche il risultato di un eccesso<br />
di personalizzazione delle leadership<br />
politiche. Lo dimostrano il grande successo<br />
delle liste civiche che fanno riferimento<br />
al sindaco. Si potrebbe dire<br />
che il modo con cui Veltroni ha vinto<br />
a Roma, è lo stesso con il quale Navazio<br />
ha vinto a Melfi. Cosa da fenomeni<br />
simili ne verrà all’evoluzione del sistema<br />
politico nel nostro paese è questione<br />
che lascia perplessi.<br />
Comunque sarebbe sbagliato ricondurre<br />
la sconfitta del centrosinistra a Melfi<br />
a ragioni meramente locali o alla fenomenologia<br />
generale che vede sindaci,<br />
a torto o ragione considerati buoni amministratori,<br />
diventare l’epicentro di<br />
una variante dell’evoluzione personalistica<br />
del sistema politico italiano.<br />
Bisogna cominciare invece a vedere<br />
come Melfi costituisca il punto maggiormente<br />
scoperto di una reazione di<br />
rigetto da parte dell’opinione pubblica<br />
del Melfese nel suo complesso del<br />
modello prevalente di formazione del<br />
consenso da parte del centrosinistra<br />
lucano. A Melfi questa reazione può<br />
assumere anche i tratti del campanilismo<br />
e del populismo. Ma se vogliamo<br />
evitare che tutto questo diventi senso<br />
comune, dobbiamo guardare in faccia<br />
alla realtà. Già nelle passate elezioni<br />
regionali la vera e propria debacle dell’Ulivo<br />
nel Melfese, solo in parte recuperata<br />
alle elezioni politiche soprattutto<br />
per merito dei Ds, doveva costituire<br />
un campanello d’allarme.<br />
Così non è stato. Né possono essere<br />
state decisive le iniziative che anche a<br />
sinistra sono state assunte per la costituzione<br />
della provincia di Melfi. Avulse<br />
da una scelta di politica regionale che<br />
non si limitasse al rituale riconoscimento<br />
della legittimità di tale rivendicazione,<br />
sono per forza di cose apparse<br />
scarsamente incisive e strumentali.<br />
Bisogna prendere atto che nel Melfese,<br />
per il peso dell’insediamento Fiat<br />
e per il dinamismo di tanti settori imprenditoriali,<br />
per una certa tradizione<br />
di autonomia delle forze intellettuali,<br />
un sistema di relazioni tutto asservito<br />
al potere politico non produce consenso<br />
come altrove. Ne sapranno prendere<br />
coscienza i gruppi dirigenti del centrosinistra<br />
locale e sapranno, a partire da<br />
essa, sviluppare nel dibattito interno<br />
al centrosinistra lucano una sana e costruttiva<br />
dialettica?<br />
Questa in fondo è la sfida del futuro su<br />
cui è possibile realizzare quella svolta<br />
di cui Melfi ha bisogno.<br />
p. di s.<br />
P<br />
VULTURE ALTO BRADANO<br />
Ecco la chiave<br />
per lo sviluppo<br />
Con l’istituzione dei P.I.T. (Patti Integrati<br />
Territoriali), si è introdotto nel territorio un<br />
soggetto intermedio fra la Base e la Provincia,<br />
che opera attraverso la partecipazione<br />
diretta dei Comuni, per lo sviluppo del<br />
territorio. Con ciò si è ridisegnata quindi<br />
la mappa dei poteri e, ciò che più conta, si<br />
sono introdotte nuove modalità per la programmazione<br />
e l’attuazione dello sviluppo<br />
territoriale.<br />
A tre anni dalla propria costituzione, il P.I.T.<br />
Vulture Alto Bradano si è mostrato interprete<br />
del ruolo che gli è conferito dalla missione<br />
istituzionale e si è confermato come<br />
realtà di assoluto rilievo, per lo sviluppo dei<br />
ventidue Comuni, costituenti appunto l’area<br />
P.I.T. Vulture alto Bradano. Uno sviluppo<br />
che l’Ente ha progettato e posto in essere<br />
osservando tutti i criteri dell’ integrazione,<br />
realizzando cioè molti interventi fra loro<br />
posti in stretta relazione, per ottenere un effetto<br />
di sinergia, cioè per raggiungere effetti<br />
moltiplicati, ed eliminare quella segmentazione<br />
che, frequentemente, riduce l’incisività<br />
degli interventi stessi, e può sconfinare<br />
nel cattivo rapporto fra costi e benefici.<br />
Al riguardo, il Dott. Oreste Dinella, Project<br />
Manager del P.I.T. Vulture Alto Bradano,<br />
ci ha detto: “Fra i nostri progetti è previsto<br />
un intervento importante, che fornirà al<br />
territorio e alle tipicità locali, una visibilità<br />
nazionale o almeno pluri - regionale. Un<br />
potenziato flusso di ospiti, interessati alla<br />
peculiarità dell’area, darà sicuramente impulso<br />
alla vendita delle nostre tipicità, e la<br />
promozione delle specialità valorizzerà la<br />
proposta calata nel segmento turistico. Nel<br />
primo triennio, infatti, con la costruzione<br />
di nuclei di “Borgo Albergo”, realizzati<br />
nei comuni di Acerenza, Barile, Venosa,<br />
Rionero e Melfi, abbiamo costruito un valore<br />
“autonomo”, ma contemporaneamente<br />
abbiamo strutturato una premessa coordinata<br />
all’intervento che svolgeremo nel<br />
segmento turistico. Alla stessa maniera, la<br />
riqualificazione di beni ambientali, la valorizzazione<br />
di aree urbane e rurali di particolare<br />
interesse storico e turistico, il progetto<br />
pilota di segnaletica stradale e turistica<br />
concluso nel 2005, rendono chiaro un<br />
disegno coordinato, destinato ad ottenere<br />
gli obiettivi previsti dal piano complessivo,<br />
che individua nel turismo un segmento<br />
determinante per lo sviluppo dell’area. E a<br />
ciò, non è estraneo il miglioramento delle<br />
strutture di supporto alle imprese”.
P<br />
Il documento strategico regionale<br />
nella sua parte analitica, descrive la situazione<br />
socioeconomica della Basilicata<br />
in modo abbastanza preoccupante.<br />
Accanto ai problemi tradizionali<br />
come la persistente tendenza allo spopolamento,<br />
la fragilità dell’assetto idrogeologico<br />
e del sistema delle imprese o<br />
microimprese che non si avvalgono di<br />
processi innovativi, le disuguaglianze di<br />
accesso al mondo del lavoro per giovani<br />
e donne, le disparità territoriali, sono<br />
messe in evidenza questioni che hanno<br />
un origine più recente, come il rallentamento<br />
della crescita del PIL e dell’occupazione<br />
a partire dal 2000, anche in<br />
relazione al rallentamento della crescita<br />
del Paese.<br />
In Basilicata, tuttavia, questo accade<br />
in presenza di una già pesante situazione<br />
occupazionale e una struttura dell’export<br />
tutta ritagliata su auto e mobili che espone<br />
totalmente l’economia lucana alle<br />
difficoltà che i due settori incontrano sul<br />
mercato mondiale. Bisogna aggiungere<br />
inoltre che alcuni dei punti di forza elencati,<br />
come la vivibilità urbana, la qualità<br />
ambientale, la presenza di un ricco<br />
e poco sfruttato patrimonio forestale e<br />
politica e società<br />
Intervista al Presidente Vito De Filippo<br />
“Voglio una Basilicata<br />
che somigli a se stessa”<br />
storico culturale, appaiono più come una<br />
opportunità che ci viene da elementi di<br />
una mancata crescita che il frutto di una<br />
scelta orientata a un diverso modello di<br />
sviluppo. Persino il fatto sicuramente<br />
positivo di possedere quello che viene<br />
definito un capitale umano qualificato<br />
può divenire un problema se persiste la<br />
tendenza allo spopolamento ed alla emigrazione<br />
soprattutto di giovani iper-professionalizzati.<br />
Un quadro difficile, da<br />
leggere però dentro un contesto che non<br />
è più quello dell’arretratezza. Vi sono<br />
risorse un tempo non sfruttate, grandi<br />
centri produttivi, università e centri di<br />
ricerca, la presenza di nuove generazioni<br />
scolarizzate. E questi sono veri punti di<br />
forza. In sintesi, abbiamo di fronte un<br />
quadro complesso che si deve e si può<br />
governare.<br />
Presidente De Filippo, che fare?<br />
Ho la sensazione che non sempre abbiamo<br />
piena consapevolezza che questo<br />
quadro che appare così negativo è veramente<br />
leggibile solo se viene contestualizzato.<br />
La Basilicata è una regione che<br />
sta dentro il Mezzogiorno e dentro l’Italia.<br />
Osservo che c’è un’attitudine della<br />
politica, a volte anche strumentalmente<br />
ANNA MARIA RIVIELLO<br />
utilizzata, a circoscrivere troppo i fenomeni<br />
nell’ambito della nostra regione, in<br />
modo che tutte le responsabilità si possano<br />
addebitare al governo regionale.<br />
Dobbiamo essere più seri. L’Italia è<br />
un paese a crescita zero. Fino al 2001 il<br />
Mezzogiorno cresceva più del Nord e<br />
anche la Basilicata. Se dobbiamo attivare<br />
politiche regionali si deve comprendere<br />
il contesto. Il fenomeno dei giovani che<br />
se ne vanno è un fenomeno solo lucano?<br />
L’Istat e lo Svimez hanno esaminato<br />
il problema della mobilità di giovani<br />
iper-professionalizzati, dotati di laurea<br />
o master in tutto il Mezzogiorno. Èun<br />
fenomeno drammaticamente omogeneo<br />
in Campania, in Puglia, in Calabria, in<br />
Sicilia. In Basilicata è anzi relativamente<br />
meno accentuato. Quindi è un fenomeno<br />
più generale. Insomma, in tutto il Mezzogiorno<br />
si sono ristretti gli spazi per<br />
quella generazione che ha soprattutto<br />
costruito un percorso di studi.<br />
In sintesi, si capisce bene che le misure<br />
che la Regione deve mettere in atto,<br />
e la valutazione della loro efficacia, non<br />
possono essere sganciati da una strategia<br />
che il nostro Paese dovrebbe mettere in<br />
atto a favore del Mezzogiorno. Le poli-<br />
7
politica e società<br />
tiche regionali hanno potuto incidere su<br />
turismo, servizi, informatizzazione. Con<br />
la crisi dei sistemi produttivi possiamo<br />
misurarci, ma è del tutto evidente che<br />
la nostra sola azione non potrà che rivelarsi<br />
insufficiente. Fino a qualche anno<br />
fa, c’erano misure nazionali a favore<br />
del Mezzogiorno, dal prestito d’onore<br />
ai patti territoriali, a altri provvedimenti<br />
utili che in questi anni di governo di<br />
centro destra sono scomparsi. Ora c’è la<br />
novità di un nuovo governo nazionale<br />
con il quale sarà possibile coordinarsi<br />
per iniziative su infrastrutture, sulle politiche<br />
sociali, sulla ricerca. Ora da parte<br />
nostra si sta tentando di presentarsi ai<br />
grandi appuntamenti programmatici e finanziari<br />
con il governo nazionale per far<br />
capire che i problemi delle regioni vanno<br />
visti nel quadro di una organica politica<br />
nazionale.<br />
Non si può non concordare con queste<br />
considerazioni ma al Presidente della<br />
Regione non si chiedono analisi generali<br />
dei fenomeni ma che metta in atto<br />
politiche, per questo vorrei continuare a<br />
concentrarmi solo sulla Basilicata. Quale<br />
modello ha in mente il Presidente per<br />
il futuro della regione? Quale strategia<br />
8<br />
pensa che bisogna mettere in atto per<br />
affrontare le notevoli difficoltà di questa<br />
fase della vita del nostro territorio?<br />
La Basilicata non deve vincolare<br />
il suo futuro a un’unica visione dello<br />
sviluppo, che sia quella industrialista o<br />
quella della soft economy (turismo, ambiente,<br />
creatività). Noi dobbiamo utilizzare<br />
tutte le strade. È difficile poter pensare<br />
che un’unica strada sia totalmente<br />
appagante.<br />
Abbiamo delle realtà importanti da<br />
tempo consolidate: l’area industriale di<br />
Melfi con la FIAT, l’area del salotto, la<br />
Val d’Agri con il suo petrolio e non solo).<br />
Stiamo lavorando su tutto. Negli anni passati,<br />
ad esempio, i rapporti tra istituzioni<br />
locali e Fiat erano corretti ma non c’era<br />
una vera relazione tra territorio e azienda.<br />
Quando la FIAT ha costruito il nuovo<br />
piano industriale, la Regione Basilicata<br />
ha chiesto di partecipare alla sua definizione.<br />
C’è stato un tavolo tra le Regioni<br />
nelle quali vi sono insediamenti FIAT, il<br />
Governo, i sindacati e l’azienda.<br />
Da quella discussione è partita una<br />
nuova stagione per la FIAT. La Regione<br />
ha promosso, con risorse provenienti dal<br />
Fondo sociale europeo, un master che si<br />
Venosa, Piazza Castello<br />
P<br />
farà in sede FIAT, alla cui gestione partecipa<br />
l’Università di Basilicata: riguarderà<br />
50-60 giovani ingegneri che avranno<br />
un ruolo certo nell’azienda. Abbiamo<br />
deciso di utilizzare i fondi FAS(Fondi<br />
per le aree svantaggiate) in modo del tutto<br />
nuovo. Stiamo lavorando per istituire<br />
a Melfi un campus della ricerca. I primi<br />
temi su cui dovrà misurarsi saranno la<br />
gestione dei residui industriali, i nuovi<br />
carburanti, il management organizzativo<br />
di un’azienda automatizzata come quella<br />
di Melfi. Si svilupperanno iniziative che<br />
potranno rafforzare il settore dell’auto<br />
che sebbene in ripresa è (come quello del<br />
tessile) dentro una sfida planetaria.Vogliamo<br />
anche impegnarci per il Polo del<br />
salotto. Con Fitto non c’era accordo, con<br />
l’attuale Governo regionale della Puglia<br />
abbiamo firmato un protocollo d’intesa<br />
anche qui per sviluppare la ricerca, diminuire<br />
il costo del lavoro, sostenere la<br />
commercializzazione.<br />
La Val d’Agri si sta dotando di nuovi<br />
spazi per attrarre nuove imprese. Il Presidente<br />
Bubbico firmò con Montezemolo<br />
un protocollo per investimenti produttivi<br />
derivanti dal programma operativo<br />
finanziato dalle royalty. Stiamo dando
P<br />
seguito a quella impostazione. Recentemente<br />
il presidente della Confindustria<br />
della provincia di Potenza Martorano<br />
ed io abbiamo presentato ala Confindustria<br />
nazionale un protocollo comune<br />
con l’obiettivo di attrarre nuove imprese<br />
in quel territorio. Nel frattempo la Val<br />
d’Agri si sta dotando di un piano regolatore<br />
industriale e di ampliamento dell’area<br />
artigianale. Nel Senisese saranno<br />
utilizzate le royalty derivanti dall’acqua<br />
erogata alla Puglia per l’area industriale<br />
di Senise e Francavilla, i fondi FAS finanziano<br />
anche l’ampliamento dell’area<br />
artigianale di Francavilla. Insomma,<br />
stiamo reagendo alla crisi derivante dalla<br />
congiuntura economica sfavorevole.<br />
Si tratterà comunque di capire come<br />
governare la maggior parte della nostra<br />
realtà imprenditoriale assai fragile, fatta<br />
di microimprese con difficoltà ad avviare<br />
processi di innovazione e grosse difficoltà<br />
con le banche. Ma passiamo all’altro<br />
grande comparto dello sviluppo. L’ambiente,<br />
il territorio, le risorse naturali,<br />
le risorse energetiche, non possono più<br />
essere considerate una rendita perenne,<br />
ci vuole un progetto consapevole perché<br />
rimangano una risorsa<br />
Dobbiamo irrobustire e rafforzare la<br />
consapevolezza di quanto preziose siano<br />
le risorse del nostro territorio. È prevalsa<br />
per lungo tempo una concezione<br />
dello sviluppo fondata sull’emulazione<br />
di modelli estranei al nostro territorio.<br />
Dobbiamo sviluppare, mi si permetta un<br />
paradosso, una Basilicata che somigli<br />
sempre più alla Basilicata. Noi abbiamo<br />
un patrimonio straordinario che non abbiamo<br />
mai valorizzato, ambientale, storico,<br />
monumentale. Oggi quello che una<br />
volta chiamavamo l’”osso”, la parte più<br />
interna del Mezzogiorno, la parte più povera,<br />
può essere un’opportunità.<br />
Con quali politiche?<br />
Stiamo lavorando in modo adeguato<br />
su questo. Il mega spettacolo della Grancia<br />
è ormai un evento. Ora si tratta di fare<br />
in modo che il gran numero di presenze<br />
alla Grancia si diffondano sul territorio.<br />
Dobbiamo collegare la Grancia con altri<br />
punti importanti, dobbiamo collegarlo ad<br />
una rete di altri eventi. Con i fondi FAS<br />
stiamo costruendo i distretti culturali. Un<br />
esempio: nell’area del Potentino, Grancia,<br />
Potenza (palazzo Loffredo, Palazzo<br />
D’Errico), Lagopesole. Se si costruisce<br />
una rete siffatta ne avranno vantaggi il<br />
politica e società<br />
Tito, Area Industriale<br />
settore del turismo, quello agricolo, quello<br />
dei prodotti tipici e dell’artigianato.<br />
Nel 2005 in Basilicata è aumentata la<br />
presenza turistica in controdentenza con il<br />
resto del Paese ed anche del Mezzogiorno.<br />
Abbiamo inoltre un patrimonio di<br />
prodotti simbolo: l’Aglianico, i formaggi<br />
sulla cui valorizzazione la Regione è<br />
intervenuta molto efficacemente.<br />
Le elezioni politiche hanno visto in<br />
Basilicata, un certo incremento del centrodestra<br />
anche se l’Unione è lo schieramento<br />
di gran lunga prevalente. C’è<br />
in giro una certa insofferenza per la politica<br />
anche se non si manifesta (ancora)<br />
in termini di voti e la percezione diffusa<br />
che si premi la fedeltà piuttosto che<br />
il merito. C’è l’urgenza di un rapporto<br />
più maturo tra cittadini e ceto politico, e<br />
invece si nota un affidamento sospettoso<br />
quanto passivo dei cittadini alla politica,<br />
tipico di una società statica. È insomma<br />
l’altra faccia dei problemi strutturali di<br />
cui parlavamo prima.<br />
Per quanto riguarda i risultati dobbiamo<br />
dire che l’Ulivo ha raggiunto il<br />
secondo miglior risultato dopo la Toscana<br />
ed a sua volta il centro destra il secondo<br />
peggior risultato. Inoltre c’è stato<br />
9
Vendemmia nei vigneti del Vulture<br />
politica e società<br />
un incremento rispetto alle politiche del<br />
2001, né è possibile fare paragoni con<br />
le regionali anche perché è diverso il sistema<br />
elettorale. C’è quindi di nuovo un<br />
affidamento al centrosinistra da parte dei<br />
lucani. Non è un affidamento al buio. Vi è<br />
una grandissima attesa verso questa nuova<br />
generazione di Amministratori. Nelle<br />
riunioni di maggioranza del centrosinistra<br />
esprimo questa consapevolezza non<br />
priva di ansietà. Dobbiamo compiere<br />
uno sforzo in direzione di una riforma<br />
della politica. La politica, il ceto politico,<br />
si devono privare di tante sinecure, devono<br />
dare segni chiari di essere al servizio<br />
della comunità, e non di cercare alloggiamenti<br />
per i gruppi dirigenti. Dobbiamo<br />
procedere nella riforma della Pubblica<br />
Amministrazione e degli Enti, intervenire<br />
sui costi della politica.<br />
Ma su questo, come Presidente della<br />
Regione, non posso agire in modo monocratico.<br />
Bisogna costruire intorno alle decisioni<br />
il consenso democratico. Tuttavia,<br />
prima dell’estate il processo di sfoltimento<br />
degli enti deve essere concluso. Così<br />
come dovrà essere approvato il primo<br />
capitolo del patto tra la Regione e i giovani.<br />
La Regione Basilicata punta molto<br />
sull’Università così come è interessata ad<br />
10<br />
un dialogo collaborativo con il mondo<br />
della scuola. Bisogna considerare che<br />
nei prossimi anni la Regione Basilicata<br />
darà all’Università di Basilicata un finanziamento<br />
aggiuntivo pari al 10% di<br />
quello proveniente dallo Stato.<br />
Nella costruzione del consenso intorno<br />
alle decisioni c’è il rapporto con le<br />
forze politiche e le forze sociali. Quali<br />
sono le forze che creano difficoltà o che<br />
agevolano questo processo di riforma<br />
che si dice necessario?<br />
Trovo che ci sia una nuova apertura<br />
da parte di imprenditori e sindacati. Un<br />
esempio: sul distretto tecnologico ed anche<br />
sul progetto di campus in FIAT, ci<br />
sarà il contributo di Università, CNR e<br />
imprenditori senza che vi sia un interesse<br />
immediato per le loro aziende. Il sindacato<br />
non mi appare concentrato sulla<br />
difesa assistenziale di posti di lavoro ma<br />
aperto alle nuove sfide con cui dobbiamo<br />
misurarci per creare lavoro.<br />
Se è vero che i cittadini lucani hanno<br />
votato in gran parte il centro sinistra è<br />
pur vero che molti hanno votato al suo<br />
interno forze della sinistra che non sono<br />
nel Governo regionale. Questo comporta<br />
qualche problema? Vi è la necessità di<br />
un adeguamento?<br />
P<br />
Collegare direttamente assetti e scelte<br />
di governo ad appuntamenti elettorali<br />
è un errore. Siamo però una coalizione<br />
gestita democraticamente che non è rigidamente<br />
definita una volta per sempre.<br />
Sono convinto che il dibattito che si è<br />
sviluppato nella maggioranza sul punto<br />
da lei sollevato sia un dibattito molto<br />
serio. Io penso che, nell’ambito della<br />
scelta per il centrosinistra che i lucani<br />
hanno ancora una volta espresso, l’affermazione<br />
di forze di sinistra radicale<br />
abbia raccolto l’angoscia che c’è per le<br />
nuove povertà, per il precariato, per l’assenza<br />
di protagonismo dei giovani.<br />
La serena fiducia che il Presidente<br />
esprime nel nostro immediato futuro ora<br />
sembra velata dalle ombre che si allungano<br />
numerose sul nostro presente. Per<br />
la prima volta, nel corso di questa intervista<br />
l’ottimismo si incrina.<br />
No, ma come ho detto c’è attesa. Non<br />
si tratta di tradurre tutto questo automaticamente<br />
in forme di Governo. C’è anche<br />
altro da fare. Le nuove generazioni dei<br />
partiti dell’Ulivo sentono l’urgenza che<br />
nasca il nuovo partito democratico, non<br />
capiscono vecchie divisioni E la coalizione<br />
che ora è al Governo del Paese dovrà<br />
darsi assetti più stabili e duraturi.
P<br />
Innovazione<br />
e sviluppo locale<br />
Il ruolo dei distretti tecnologico produttivi. La risorsa costituita dalla ricerca<br />
per superare la crisi dell’agroindustria e dell’agroalimentare. Il Piano Strategico<br />
regionale individua nel Metapontino il polo delle biotecnologie<br />
Esiste un concetto della fisica nucleare, apparentemente in<br />
contrasto con la ferrea logica matematica secondo la quale il<br />
totale in un’addizione è sempre ed inequivocabilmente uguale<br />
alla somma dei suoi addendi.<br />
Se si uniscono nuclei atomici all’interno di un determinato<br />
volume oltre un valore soglia, la materia diventa instabile liberando<br />
un’impressionante quantità di energia secondo la famosa<br />
formula di Einstein E=mc 2 , difficilmente immaginabile per<br />
le quantità di materia messe in gioco. È il concetto di massa<br />
critica.<br />
Una volta oltrepassata la soglia di massa critica, gli atomi<br />
della materia interagiscono tra loro dando origine a nuove<br />
forme della materia e sprigionando energia. È il principio secondo<br />
il quale la fornace del sole brucia gli elementi e riesce a<br />
riscaldare ed ad illuminare il nostro pianeta.<br />
Perché una stella si formi e splenda è necessario che si<br />
accumuli una certa quantità di materia in un certo volume, al<br />
di sotto della quale abbiamo soltanto una nube di gas più o<br />
meno denso che resta però freddo; soltanto con una quantità di<br />
materia superiore a quella critica abbiamo pressione, e quindi<br />
anche temperatura, sufficienti affinché inizi il processo di<br />
fusione nucleare. L’elemento determinante affinché la stella<br />
“si accenda” e che continui a splendere per miliardi di anni, è<br />
l’accumularsi di una certa quantità di materia, per l’appunto<br />
massa critica o quantità critica di materia.<br />
Questo principio ha un suo fondamento anche nel campo<br />
della sociologia della ricerca e dell’innovazione. Se si uniscono<br />
le energie intellettuali e le risorse umane formando “massa<br />
critica” intorno a precisi obiettivi, si possono innescare reazio-<br />
politica e società<br />
FRANCESCO CELLINI<br />
ni a catena che producono “energia innovativa”, inimmaginabile<br />
a priori ed ad alto impatto sui sistemi produttivi.<br />
Si parla spesso oggi di creare sinergia, di coordinarsi, fare<br />
rete, fare sistema, tutti concetti che descrivono modalità operative<br />
per concentrare risorse finanziarie e tecnico-scientifiche<br />
intorno a progetti di ricerca e sviluppo. Concentrare le risorse<br />
è oltretutto un dovere, oltre che essere una necessità, in un<br />
momento in cui le risorse finanziarie sono poche. Ma questo<br />
non è di per sé sufficiente: bisogna andare oltre. Per ottenere<br />
risultati, per consentire la collisione e la “fusione” delle idee, è<br />
necessario concentrare le risorse anche nello spazio, in determinati<br />
territori, in specifiche aree geografiche, attivare poli e<br />
distretti tecnologici su specifici obiettivi.<br />
Sempre di più oggi l’innovazione decisiva, e di conseguenza<br />
la competitività dei sistemi economici, è frutto di politiche<br />
di concentrazione nel tempo e nello spazio di cospicui investimenti.<br />
Non esiste, se non marginalmente, spazio per l’inventore<br />
e per il genio solitario: la mela in testa di Newton è oramai<br />
un lontano ricordo.<br />
Alcuni Paesi e Regioni del mondo, soprattutto quelli con<br />
sistemi produttivi più competitivi, hanno puntato su questo<br />
concetto realizzando politiche di sviluppo locale orientate<br />
al sostegno di veri e propri distretti tecnologico-produttivi,<br />
concentrando risorse in particolari aree, in grado di sostenere<br />
uno sviluppo economico che si annuncia solido e duraturo.<br />
Biotecnologie, Informatica e Telecomunicazioni (ICT), e nanotecnologie<br />
rappresentano settori di punta ad alto contenuto<br />
tecnologico su cui si gioca il futuro e la competitività in ambito<br />
europeo e globale.<br />
11
politica e società<br />
Sviluppo locale per la competitività<br />
globale è una ricetta per una sfida possibile,<br />
una opportunità per interi territori e<br />
regioni del mondo di essere protagoniste<br />
nel nuovo millennio.<br />
Ed è su questo campo che anche un<br />
piccolo territorio come quello della regione<br />
Basilicata può e deve giocarsi la<br />
partita del futuro. La presenza in Basilicata<br />
di strutture scientifiche d’eccellenza,<br />
che hanno investito in settori ad<br />
alta prospettiva di sviluppo come quello<br />
delle biotecnologie (Metapontum Agrobios,<br />
ENEA, Università di Basilicata), e<br />
di capitale umano di alto livello tecnico<br />
scientifico, rappresenta una premessa da<br />
cui poter partire per avviare un processo<br />
di coordinamento e concentrazione<br />
di risorse per la costituzione di distretti<br />
tecnologico-produttivi, che fungano da<br />
attrattori di investimenti.<br />
Tra i settori che possono beneficiare<br />
rapidamente di questo impulso vi sono<br />
l’agroalimentare e l’agroindustria, attualmente<br />
attraversati da una profonda<br />
crisi, comparti di punta del sistema produttivo<br />
della Basilicata e su cui si sono<br />
concentrate le attenzioni di molti progetti<br />
dei soggetti che conducono attività di<br />
ricerca sul territorio. In questa direzione<br />
vanno concentrate anche le risorse della<br />
divulgazione e dei servizi di sviluppo<br />
12<br />
agricolo, con azioni sul fronte dell’innovazione<br />
più incisive del passato, fondamentali<br />
per il successo del trasferimento<br />
tecnologico e per dare prospettiva di sviluppo<br />
alle aziende.<br />
Il recente Piano Strategico varato<br />
dalla Regione Basilicata, che individua<br />
con lucidità la possibilità di generare un<br />
polo sulle biotecnologie nel settore agroalimentare-industriale<br />
ed ambientale nel<br />
Metapontino rappresenta un passo significativo<br />
in questa direzione. Questa<br />
indicazione strategica va adeguatamente<br />
sostenuta e tradotta rapidamente in atti<br />
concreti, riconducendo ed armonizzando<br />
con essa anche altre iniziative, come<br />
quella del Distretto Agroalimentare del<br />
Metapontino, mediante la costruzione di<br />
un vero e proprio progetto di sviluppo<br />
territoriale.<br />
In Basilicata sono presenti tutte le<br />
condizioni perché, dalla concentrazione<br />
di massa critica di risorse intellettuali,<br />
strutturali, produttive e tecnologiche, si<br />
possa generare nuova energia che illumini<br />
il cammino del recupero della competitività<br />
delle imprese, nel solco delle<br />
priorità strategiche per l’Europa e per le<br />
Regioni Obiettivo 2 enunciate a Lisbona<br />
e a Goteborg. Proviamoci.<br />
P<br />
Metaponto, Tavole Palatine
P<br />
Il tempo è una variabile che ha condizionato<br />
e condiziona i sistemi sociali<br />
in generale. Il tempo condiziona la quotidianità<br />
del sistema sociale per le singole<br />
modalità di rappresentazione. Ciò è<br />
avvenuto in tutte le fasi dello sviluppo<br />
storico e sociale dell’umanità. È, in ogni<br />
modo, solo con la rivoluzione industriale<br />
che s’inizia a parlare d’organizzazione<br />
dei tempi sociali. In questo periodo s’inizia<br />
a considerare il tempo come concetto<br />
di durata (lavorativa e personale), come<br />
processo standardizzato della produzione<br />
e della gestione personale e familiare,<br />
come oggettivazione, come mercificazione<br />
o valore di scambio in base ad una<br />
prestazione lavorativa, o come rapporto<br />
diacronico fra tempo lavorativo e tempo<br />
del non lavoro.<br />
Successivamente, dalla società fordista<br />
a quella post-industriale o post<br />
fordista, il concetto del tempo lavorativo<br />
e del tempo personale subisce un<br />
cambiamento notevole. Il cambiamento<br />
della gestione del tempo nell’era post<br />
fordista si caratterizza per modalità differenti<br />
d’utilizzo della risorsa tempo per<br />
sé (maggior tempo libero dovuto ad uno<br />
sviluppo dell’economia della conoscenza),<br />
maggiore diversificazione delle organizzazioni<br />
in cui l’individuo copre più<br />
ruoli e in ambiti differenti, aumento dei<br />
politica e società<br />
Il tempo<br />
e le politiche di conciliazione<br />
servizi in favore dell’individuo e della<br />
famiglia.<br />
Nell’ambito delle scienze sociali,<br />
il concetto di tempo è stato analizzato<br />
come l’insieme dei comportamenti e dei<br />
vissuti che l’individuo riesce a gestire<br />
quotidianamente nei singoli ambiti. Poiché<br />
la variabile tempo assume aspetti e<br />
dimensioni complesse e multidimensionali,<br />
le scienze sociali hanno parcellizzato<br />
le modalità d’analisi, individuando<br />
aree di interesse specifico.<br />
Così, lo studio della gestione del<br />
tempo nelle organizzazioni economiche<br />
e produttive ha come unità di analisi il<br />
lavoro (sociologia del lavoro e dell’organizzazione)<br />
mentre nell’area della sociologia<br />
della famiglia, il tempo viene<br />
analizzato in base ai ruoli di genere, alle<br />
modalità di esprimere la propria personalità<br />
in relazione con gli altri. In altre<br />
aree d’indagine si considera il tempo<br />
come una risorsa che condiziona la vivibilità<br />
urbana e la stessa qualità della vita<br />
in generale.<br />
A livello macro sociale, la gestione<br />
del tempo equivale ad una adeguata organizzazione<br />
della società nel suo complesso.<br />
Come abbiamo visto, l’utilizzo<br />
del tempo è trasversale alla quotidianità<br />
dell’individuo e delle sue implicite<br />
e esplicite manifestazioni. Adeguare i<br />
ANTONIO SANFRANCESCO<br />
tempi ai singoli vissuti significa migliorare<br />
la qualità della vita e dei sistemi di<br />
relazione sociale. Comunque, il tempo è<br />
una risorsa scarsa che va adeguatamente<br />
gestita nelle varie dimensioni quotidiane.<br />
Pertanto per poter meglio razionalizzare<br />
l’uso del tempo si avverte la necessità di<br />
realizzare politiche dei tempi in cui si ottimizzano<br />
le varie dimensioni sociali in<br />
relazione con le dimensioni dello sviluppo<br />
del sé in relazione ai bisogni soggettivi<br />
ed oggettivi.<br />
È importante che vi sia uno spazio<br />
organizzato per la gestione del tempo<br />
produttivo che vi sia un tempo per sé, un<br />
tempo sociale per la famiglia e un tempo<br />
per la cura di sé e degli altri.<br />
La ricerca sociale sulla gestione del<br />
tempo (time budget analisys) si è orientata<br />
soprattutto nella descrizione degli<br />
stili di vita, delle differenze di genere e<br />
di classe. Con il movimento femminista<br />
e con lo sviluppo tecnologico (fase post<br />
fordista) gli orientamenti dell’analisi del<br />
tempo si sono evoluti verso le modalità<br />
di conciliazione dello stesso in relazione<br />
a fenomeni quali la doppia presenza e/o<br />
la diminuzione del tempo del lavoro rispetto<br />
al non lavoro.<br />
L’uso del tempo è cambiato. I bisogni<br />
sociali si sono diversificati e con essi<br />
anche le politiche dei tempi assumono<br />
13
politica e società<br />
una dimensione più legata al territorio<br />
ed ai contesti in cui si esprimono esigenze<br />
e desideri di miglioramento continuo.<br />
Sono aumentate le modalità specifiche di<br />
gestione dei tempi e nello stesso tempo<br />
sono aumentati i sistemi di relazioni che<br />
l’individuo quotidianamente intrattiene<br />
nel proprio vissuto.<br />
Gestire adeguatamente i tempi, nell’attuale<br />
sistema sociale, significa soprattutto,<br />
gestire i singoli processi relazionali<br />
che l’individuo intrattiene e nello<br />
stesso tempo vuol dire anche riuscire a<br />
conciliare i propri bisogni sociali ed individuali<br />
per uno sviluppo della propria<br />
personalità.<br />
La conciliazione dei tempi non è solo<br />
una questione del genere femminile ma<br />
dell’individuo nella sua complessità. Interessa<br />
direttamente uomini e donne che<br />
sono quotidianamente in relazione e che<br />
con loro producono sistemi sociali funzionali<br />
ad una qualità della vita basata sui<br />
principi culturali delle pari opportunità.<br />
È importante che le politiche di conciliazione<br />
dei tempi interessino tutta la<br />
collettività e che siano programmati dalle<br />
istituzioni pubbliche.<br />
Le amministrazioni pubbliche devono<br />
essere in grado di poter gestire ed<br />
14<br />
organizzare il tempo in base alle caratteristiche<br />
del territorio e delle popolazioni<br />
locali. Devono riuscire a razionalizzare<br />
i principi della conciliazione di vita e di<br />
lavoro in sistema equilibrato di relazioni<br />
efficaci fra gli individui.<br />
Conciliare è un termine molto usato<br />
ed utilizzato in più ambiti disciplinari. Il<br />
termine conciliazione assume significati<br />
differenti in relazione all’ambito specifico<br />
di concettualizzazione. Il termine<br />
conciliare assume un significato particolare<br />
nella letteratura giuridica ed un altro<br />
in quella sociologica o psicologica.<br />
È certamente un termine che non è facile<br />
a generalizzazioni epistemologiche.<br />
La conciliazione assume un significato<br />
particolare nella letteratura di genere.<br />
La conciliazione di genere assume un<br />
significato d’equilibrio permanente fra<br />
le dimensioni oggettive e soggettive del<br />
vivere quotidiano di ciascun individuo<br />
rispetto alle organizzazioni formali o informali<br />
d’appartenenza.<br />
Il concetto di conciliazione di genere<br />
si associa da un po’ di tempo alle variabili<br />
vita e lavoro. La conciliazione di vita e<br />
lavoro significa soprattutto per il genere<br />
femminile e maschile individuare tempi<br />
che sono conciliabili con le dimensioni<br />
P<br />
dualistiche del proprio vivere quotidiano.<br />
Il rapporto vita-lavoro cambia sui<br />
tempi in base al genere d’appartenenza<br />
ed ai ruoli codificati di ciascuno. Conciliare<br />
i tempi per il genere femminile è<br />
molto più difficile per il genere maschile.<br />
Sia per la doppia presenza delle donne<br />
negli ambiti di responsabilità familiare<br />
(cura per i figli, cura della casa, cura per<br />
i genitori) che nell’ambito lavorativo. È<br />
stato necessario riuscire ad attivare sistemi<br />
d’equilibrio dei tempi e delle responsabilità<br />
fra i generi.<br />
Attivare una politica delle pari opportunità<br />
significa non solo realizzare<br />
più spazi per le questioni femminili, ma<br />
anche determinare nuove modalità d’intervento<br />
sociale che riesca ad equilibrare<br />
situazioni di svantaggio sociale.<br />
Le politiche per le pari opportunità<br />
devono essere considerate come l’attuazione<br />
di misure per una giustizia sociale<br />
più ampia e diffusa fra le popolazioni<br />
che partono con uno svantaggio sociale,<br />
di genere o di razza.<br />
Le politiche per le pari opportunità<br />
sono applicate al genere femminile con<br />
riferimento ai ruoli di ciascuno. Le differenze<br />
di genere non derivano da condizioni<br />
di svantaggio sociale ed econo-
P<br />
mico ma dalla soggettività maschile e<br />
femminile, cioè dal modo in cui i ruoli<br />
definiti socialmente li avvantaggiano e o<br />
li danneggiano. Ciò si riflette in tutti gli<br />
ambiti di vita pubblica e privata (dal lavoro<br />
alla cura di sé e della famiglia).<br />
La conciliazione non riguarda solo<br />
il genere femminile, ma interessa sia gli<br />
uomini che le donne che in diversi ambiti<br />
di vita e di lavoro svolgono azioni specifiche.<br />
Attivare processi di conciliazione<br />
di genere, in termini teorici, significa,<br />
all’interno di una situazione familiare<br />
o d’altre situazioni, attivare procedure<br />
e modalità attive di organizzazione dei<br />
tempi in base alle esigenze di ciascun<br />
individuo, in relazione con il proprio<br />
ambiente sociale e produttivo. Significa,<br />
in sintesi attivare una politica di family<br />
friendly condivisa da tutti i generi e le<br />
organizzazioni d’appartenenza. Una conciliazione<br />
vera è possibile soltanto quando<br />
tutte le sottodimensioni politiche e<br />
sociali sono realizzabili soggettivamente<br />
da individui che promuovono azioni di<br />
equilibrio sociale. Realizzare politiche<br />
di conciliazione significa anche rimuovere<br />
tutte le condizioni che ostacolano le<br />
manifestazioni di libertà e di espressione<br />
dell’individuo. La conciliazione di gene-<br />
re deve riuscire a liberare la donna da<br />
molti ostacoli che impediscono di attuare<br />
le singole espressioni del sé. Espressione<br />
del sé che significa manifestare e<br />
gestire liberamente i vari tempi sociali,<br />
produttivi e personali. Conciliare i tempi<br />
di vita e di lavoro per le donne deve<br />
significare soprattutto riuscire a liberarsi<br />
da vincoli atavici che l’hanno relegata<br />
per anni in un ruolo subalterno al genere<br />
maschile. Da anni, la donna è riuscita ad<br />
emanciparsi ed a svolgere attività e ruoli<br />
sempre più diversificati. Nel lavoro, la<br />
donna riesce ad esprimere creatività ed<br />
innovazione nelle soluzioni produttive.<br />
È sempre più presente nelle dinamiche<br />
del mercato del lavoro. La presenza<br />
femminile nel mercato del lavoro negli<br />
ultimi anni è notevolmente aumentato<br />
con uno sviluppo anche discreto della<br />
presenza femminile in ruoli di responsabilità.<br />
Le strutture pubbliche devono facilitare<br />
la realizzazione delle politiche di<br />
conciliazione vita-lavoro, attraverso una<br />
programmazione del territorio che sia in<br />
grado di soddisfare le singole esigenze e<br />
bisogni provenienti dalle famiglie e dagli<br />
individui.<br />
Le amministrazioni pubbliche devono<br />
essere in grado di poter programmare le<br />
politica e società<br />
modalità di gestione e di organizzazione<br />
dei tempi attraverso:<br />
1. L’organizzazione di servizi per<br />
l’infanzia (scuole materne) adeguati;<br />
2. La gestione del tempo libero<br />
come attività indispensabile per equilibrare<br />
i tempi di vita familiare e di<br />
vita lavorativa – utilizzando strumenti<br />
innovativi di organizzazione del tempo<br />
come la banca del tempo;<br />
3. La realizzazione di servizi per<br />
gli anziani o per le persone in difficoltà,<br />
in modo da aiutare le famiglie a<br />
risolvere problemi di cura che impediscono<br />
strutturalmente, soprattutto in<br />
alcune realtà del meridione, lo sviluppo<br />
di carriere o l’accesso al mercato<br />
del lavoro;<br />
4. La gestione di servizi urbani<br />
efficienti che riescono a facilitare i<br />
tempi di percorrenza fra il luogo di<br />
residenza e il posto di lavoro;<br />
5. La realizzazione di asili nido,<br />
per aiutare gli individui, soprattutto le<br />
donne, a svolgere con maggiore serenità<br />
la propria vita lavorativa.<br />
15
politica e società<br />
16<br />
UNITÀ<br />
CONTADINA<br />
P
P<br />
Protocollo di Kyoto<br />
politica e società<br />
tra opportunità e illusioni<br />
È, ormai, unanimemente condiviso che le attività umane, attraverso<br />
l’uso dei combustibili fossili e la deforestazione, hanno<br />
determinato cambiamenti nella composizione dell’atmosfera<br />
con un incremento della concentrazione dei gas serra. Tale<br />
incremento riduce l’efficienza di raffreddamento della terra,<br />
causando un aumento della temperatura negli strati più bassi<br />
dell’atmosfera e sulla superficie terrestre; questo fenomeno<br />
non è altro che l’intensificazione di un effetto naturale che si<br />
verifica in atmosfera da miliardi di anni e che produce cambiamenti<br />
nel clima le cui manifestazioni, negli ultimi anni, si verificano<br />
con sempre maggiore frequenza ed intensità attraverso<br />
eventi meteorici estremi (alluvioni, frane, uragani..), fenomeni<br />
di desertificazione, perdite di biodiversità, aumento del livello<br />
dei mari. I modelli di previsione sui cambiamenti climatici indicano<br />
che l’incremento di temperatura, nei prossimi decenni,<br />
sarà compreso tra 1.5 e 5.8 °C.<br />
La risposta della politica internazionale per ridurre gli effetti<br />
negativi del riscaldamento è rappresentata dalla Convezione<br />
Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del’92<br />
il cui obiettivo è la stabilizzazione della concentrazione dei<br />
gas ad effetto serra. Lo strumento attuativo della convenzione<br />
è rappresentato dal protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel<br />
febbraio del 2005; il protocollo impegna i paesi firmatari a<br />
ridurre le emissioni, rispetto ai valori registrati nel 1990, attraverso<br />
il miglioramento dell’efficienza energetica, l’incremento<br />
della produzione energetica da fonti rinnovabili (solare,<br />
eolico, biomassa, ecc.) e la diffusione di modelli agro-forestali<br />
sostenibili. L’Italia si è impegnata a ridurre le proprie emissioni<br />
del 6.5% nel periodo 2008-2012.<br />
LIDIA CONSIGLIO<br />
SONIA MASTROPIERRO<br />
GRAZIANO ANTONIO PIZZICHILLO<br />
Il protocollo di Kyoto ha evidenziato l’importante ruolo svolto<br />
dall’ecosistema agrario e forestale nella mitigazione dell’effetto<br />
serra, grazie alla sua capacità di assorbimento e di riciclaggio<br />
dell’anidride carbonica e, in quanto produttore di materie<br />
prime utilizzabili a scopo energetico, nella produzione di<br />
energia pulita da fonti rinnovabili. Questi aspetti sono particolarmente<br />
validi per il nostro Paese, caratterizzato da bassi tassi<br />
energetici e dipendente in larga misura dall’estero per i suoi<br />
fabbisogni. L’attuazione del protocollo offre, pertanto, nuove<br />
opportunità al settore agro-forestale ai fini di una sua rivalutazione<br />
anche economica, attraverso la formazione dei crediti di<br />
carbonio e la produzione di biomassa a fini energetici.<br />
Stanti queste premesse, in campo politico si dovrebbero perseguire<br />
obbiettivi innovativi, che, tenendo conto delle emergenze<br />
ambientali, promuovano la diversificazione degli assetti<br />
produttivi agro-forestali convenzionali e ne definiscano nuovi<br />
modelli di sviluppo.<br />
A questo proposito, le colture energetiche, oltre a rendere disponibile<br />
una fonte energetica integrativa, pulita e rinnovabile,<br />
possono rappresentare un’alternativa alle produzioni agricole<br />
alimentari e contribuire al reddito, all’occupazione e al contenimento<br />
dell’abbandono delle aree rurali, particolarmente di<br />
quelle montane, poco competitive.<br />
Per quanto da tempo si parli di energia da biomassa e per<br />
quanto da tempo si decantino le virtù delle colture dedicate, i<br />
dati sperimentali in merito sono ancora insufficienti a fornire<br />
un quadro chiaro sulle reali risposte ottenibili, in relazione alle<br />
specie utilizzabili e alla convenienza economica. Lo stesso<br />
discorso vale per gli scarti di lavorazione delle utilizzazioni<br />
17
politica e società<br />
forestali e per gli scarti di potatura di provenienza agricola e<br />
urbana e vale per la Basilicata, dove poco o nulla si è fatto in<br />
tal senso.<br />
Per cogliere appieno tale opportunità sarebbe necessario investire<br />
nella ricerca ovvero occorrerebbe sostenere sperimentazioni<br />
volte a valutare le aree regionali maggiormente vocate,<br />
le specie più idonee tra quelle già utilizzate, eventuali specie<br />
autoctone, le rese ottenibili, i costi di conversione legati alla<br />
possibilità o meno del re-impiego delle macchine e attrezzature<br />
dell’agricoltura tradizionale, in definitiva valutare le<br />
specie che permettono di conseguire un maggiore vantaggio<br />
economico. Anche per i residui forestali e gli scarti di potatura<br />
occorre approfondire le conoscenze circa le modalità, la<br />
produttività e i costi di raccolta. Le istituzioni possono offrire<br />
una risposta efficace in tal senso intensificando i rapporti di<br />
collaborazione con l’Università degli Studi della Basilicata,<br />
sicché questa possa divenire finalmente volano di sviluppo per<br />
il territorio, ruolo auspicato e mai realizzato, per il quale è<br />
stata istituita.<br />
Il protocollo di Kyoto assegna un ruolo strategico anche alla<br />
gestione forestale sostenibile, al recupero di boschi degradati<br />
e alla protezione del territorio.<br />
Un modello di gestione forestale sostenibile deve mirare a migliorare<br />
l’efficienza degli ecosistemi, conseguendo risultati positivi<br />
in termini di assorbimento di anidride carbonica, di protezione<br />
del suolo, di regolazione del ciclo idrologico, di difesa<br />
dagli incendi, di mantenimento della biodiversità, e non ultimo<br />
di produttività. Un tale modello di gestione presuppone la presenza<br />
continua dell’uomo sul territorio e l’acquisizione della<br />
consapevolezza che la protezione senza intervento spesso equi-<br />
18<br />
P<br />
vale ad abbandono, quindi a perdita di efficienza funzionale.<br />
In definitiva, una gestione sostenibile può generare ricchezza<br />
e occupazione anche in virtù del fatto che il bosco rappresenta<br />
una risorsa ampiamente disponibile sul nostro territorio.<br />
Per alcuni decenni, in coincidenza del boom economico, si è<br />
verificata una stasi nelle utilizzazioni e nella cura del bosco che<br />
ha portato alla formazione di popolamenti invecchiati, instabili<br />
e molto suscettibili a danni sia di tipo biotico che abiotico.<br />
È sufficiente una passeggiata, non ai margini, ma all’interno<br />
di qualsiasi foresta prossima alle aree urbanizzate, per ricevere<br />
un’impressione di abbandono e di degrado. Al contrario di<br />
quanto pensano ambientalisti poco o male informati, in molti<br />
casi il solo rimedio per ripristinare la funzionalità perduta è<br />
la motosega. Questo non lo impone la compiacenza o l’interesse<br />
delle autorità variamente coinvolte nell’iter burocratico<br />
che precede il taglio di un bosco ma una secolare e autorevole<br />
conoscenza scientifica in materia selvicolturale, ampiamente<br />
avvalorata dall’esperienza, e quindi non paragonabile ad<br />
un’opinione qualunquistica sulla conservazione degli ecosistemi<br />
forestali.<br />
Sotto la spinta delle nuove politiche ambientali, la Regione Basilicata<br />
e molti comuni proprietari di boschi si sono dotati di piani<br />
di gestione (piani di assestamento forestale), strumenti conoscitivi<br />
e programmatici idonei ad affrontare le problematiche sinora<br />
evidenziate e la cui applicazione creerà un indotto economico<br />
significativo per le comunità locali.<br />
In questo contesto un ruolo decisivo può essere assegnato agli<br />
operai forestali, affinché questi si trasformino da peso sociale,<br />
come generalmente vengono considerati, in soggetti economicamente<br />
attivi. Perché ciò avvenga occorre, a monte, una valida
Pattività di formazione professionale, di valorizzazione delle abilità<br />
e delle conoscenze tradizionali da associare ad una politica<br />
di incentivazione e di responsabilizzazione. L’acquisizione della<br />
consapevolezza di svolgere un lavoro di rilevanza sociale, oltre<br />
che ambientale, può costituire una spinta al fare e al fare bene,<br />
maggiore di quella strettamente economica.<br />
Gli operai forestali possono essere destinati a svolgere quelle attività<br />
e realizzare quegli interventi che, nell’ambito della gestione<br />
forestale, risultano economicamente onerosi e che per tale ragione<br />
spesso non vengono eseguiti, quali la manutenzione della<br />
viabilità forestale, la manutenzione delle aree attrezzate, le sistemazioni<br />
idraulico-forestali e tanto altro ancora. Uno dei maggiori<br />
handicap per una gestione forestale razionale è la stagionalità<br />
degli operai: occorre garantire continuità nel lavoro. La gestione<br />
si realizza durante tutto l’anno e molte operazioni colturali sono<br />
legate a periodi ben definiti e non possono dipendere dalla disponibilità<br />
della manodopera. Si potrebbe assumere in modo scalare<br />
la manodopera, sì da poter coprire tutto l’anno e non impiegarla<br />
contemporaneamente, talvolta in modo inutile e superfluo.<br />
Infine, elemento di innovazione da più parti suggerito e auspicato<br />
per dare vivacità al settore forestale, e passare da una<br />
condizione di assistenzialismo ad una di autopropulsione, è<br />
quella di incentivare la creazione d’impresa anche attraverso<br />
forme di cooperazione. È vero che si è tendenzialmente pessimisti<br />
circa la possibilità di fare impresa nel settore forestale al<br />
Sud, ma ciò non impedisce di provare a smentire un opinione<br />
diffusa, mettendo in campo un’esperienza pilota, e a fare impresa<br />
coinvolgendo i soggetti più attivi e sensibili tra gli operai<br />
o giovani che hanno voglia di mettersi in gioco.<br />
Altro punto essenziale da considerare, ai fini di una gestione<br />
forestale razionale e di una buona organizzazione del lavoro,<br />
riguarda i gestori delle foreste che devono essere rappresentati<br />
da soggetti con requisiti professionali idonei e sufficientemente<br />
qualificati. Il che comporterebbe ulteriori spazi occupazionali<br />
ai laureati dell’Università di Basilicata, non solo ad agronomi<br />
e forestali ma anche a ingegneri e geologi, contribuendo<br />
a ridurre il fenomeno diffuso di emigrazione delle risorse intellettuali<br />
verso destinazioni più promettenti, con ripercussioni<br />
sulle possibilità di crescita socioeconomica della Regione.<br />
Anche gli Ordini di Categoria potrebbero contribuire ad accrescere<br />
il livello qualitativo delle figure professionali del<br />
settore, facendosi promotori di una formazione continua: la<br />
conoscenza necessita di essere continuamente alimentata, per<br />
poter offrire risposte adeguate a problemi in continua e rapida<br />
evoluzione.<br />
Occorre, infine, che ci sia dialogo tra i diversi attori coinvolti<br />
nella gestione e trasferimento delle conoscenze, tali da consentire<br />
il superamento di posizioni talvolta pregiudiziali, che<br />
impediscono di lavorare in modo proficuo, causando sprechi<br />
economici e mancato raggiungimento degli obbiettivi.<br />
politica e società<br />
Eolico?<br />
Si grazie, ma...<br />
GERVASIO UNGOLO<br />
Le vicende che si stanno sviluppando intorno alla diffusione<br />
della energia Eolica sul territorio regionale sono significative<br />
di come, all’interno di una logica di profitto, anche una<br />
scelta corretta e condivisibile possa trasformarsi in qualcosa<br />
di dannoso. Partiamo da una serie di interrogativi.<br />
Cosa succede alle energie alternative e rinnovabili con<br />
l’entrata in vigore del trattato di Kyoto? Quali nuove regole<br />
sono necessarie affinché da energia pulita non si trasformi in<br />
affare sporco? Quali nuove metodologie devono accompagnare<br />
queste forme di energia? Quale funzione deve assumere la<br />
Società Energetica Lucana (SEL)? Questa regione si candida<br />
a produrre energie per i propri fabbisogni o per proporsi sul<br />
mercato?<br />
Chi scrive è un forte sostenitore dell’ ambiente, uno che ha<br />
aderito al movimento ambientalista degli anni ‘80 con il quale<br />
si sconfisse il nucleare e che di quelle idee ha fatto il proprio<br />
bagaglio culturale e politico. Credo in una agricoltura dei cicli<br />
naturali, in contrapposizione ad una concezione dello sviluppo<br />
che non guarda l’ambiente come suo limite. Ho sempre<br />
sostenuto la necessità dello sviluppo delle fonti alternative<br />
e soprattutto rinnovabili per la produzione di energia nella<br />
consapevolezza della necessità di costruire macchine che trasformino<br />
“semplicemente” altre forme di energia in energia<br />
addomesticabile. Da quelle più vecchie: solare, eolico, geotermica,<br />
del moto delle maree, fino a quella più sofisticata ad<br />
alta innovazione, quale è l’ idrogeno o la fusione nucleare.<br />
Non ci sono, quindi dubbi, sulla condivisione di una scelta<br />
che punta alle energie alternative a condizione che anche queste<br />
sottostiano ad alcune regole. La prima è che si investa in<br />
energia eolica all’interno delle quote previste dal protocollo<br />
19
politica e società<br />
di Kyoto ed in ogni caso con eccedenze<br />
non trabordandi rispetto ai bisogni delle<br />
comunità dove si collocano gli impianti,<br />
la seconda che si tutelino anche le altre<br />
emergenze ambientali a partire da quella<br />
paesaggistica che rappresenta per noi<br />
una risorsa importante. Il caso di Palazzo<br />
San Gervasio da questo punto di<br />
vista è emblematico in quanto vi è una<br />
proposta di impiantare 26 pale, con la<br />
costituzione di un vero e proprio parco<br />
eolico, alcune delle quali in zona a forte<br />
impatto visivo, a fronte di una necessità<br />
locale di gran lunga inferiore. Basterebbero,<br />
infatti, 10 pale per saturare ampiamente<br />
i bisogni del territorio, producendo<br />
più energia del necessario e senza un<br />
impatto negativo.<br />
Anche scelte energetiche non direttamente<br />
inquinanti quando superano i<br />
limiti posti dalla natura stessa possono<br />
produrre pericolose alterazioni ambientali,<br />
questo vale per l’eolico ma anche<br />
per scelte di altro tipo. Facciamo un<br />
esempio, se consideriamo il ciclo del<br />
carbonio e nella fattispecie della C02<br />
(anidridecarbonica), in natura esiste un<br />
equilibrio tra quello presente nell’aria<br />
allo stato gassoso, tra l’acido carbonico<br />
disciolto negli oceani e quello fissato<br />
20<br />
come carbonati nei suoli. In questi anni<br />
non abbiamo fatto altro che aumentare<br />
la sua concentrazione nella fase gassosa,<br />
spostando l’equilibrio in misura<br />
maggiore di quanto la natura non fosse<br />
in grado di tamponare.<br />
Naturalmente questo ragionamento<br />
di buon senso si scontra con le difficoltà<br />
finanziarie dei comuni, con la spregiudicatezza<br />
di società che comprano il<br />
consenso delle comunità locali con lauti<br />
finanziamenti ai comuni per le concessioni<br />
necessarie proponendosi anche<br />
come filantropi ed ecologisti che hanno<br />
a cuore gli interessi dei cittadini. La<br />
vicenda di Palazzo San Gervasio, purtroppo<br />
non è la sola, analoghe vicende<br />
si stanno presentando un po’ su tutto il<br />
territorio regionale ed è quindi necessario<br />
mettere mano ad una legge che regoli<br />
il settore vincolando le concessioni<br />
dei V.I.A. a precisi parametri scientifici.<br />
Vanno analizzati diversi elementi tenendo<br />
conto sia della esauribilità che della<br />
sostenibilità e quindi sulla possibilità<br />
che ha il nostro pianeta di assorbire le<br />
nostre attività in funzione allo smaltimento<br />
dei rifiuti che si producono, il<br />
loro periodo di vita, o meglio, il tempo<br />
che ci vuole affinché le molecole si tra-<br />
P<br />
sformino o che la radioattività cessi. Il<br />
concetto di Sviluppo Sostenibile rappresenta<br />
la sfida del nostro secolo in quanto<br />
evidenzia la necessità di creare sviluppo<br />
ma con tempi e modi ragionevoli, compatibili<br />
con i sistemi naturali che sono<br />
poi alla base delle metodologie di VIA,<br />
di agricolture più ecocompatibili, certificazione<br />
ambientali, etc.<br />
Con il Trattato di Kyoto si sono fissati<br />
i limiti all’inquinamento e si sono<br />
date metodologie che permettono di<br />
continuare il gioco dell’offerta e della<br />
domanda delle società capitaliste evolute<br />
creando anche la moneta di scambio:<br />
i certificati verdi, ossia crediti accumulabili,<br />
scambiabili e vendibili a fronte di<br />
debiti rappresentati dalle produzioni di<br />
Anidride Carbonica che ognuno di noi<br />
produce, in un bilancio in cui fortunatamente<br />
rientrano le coperture vegetali<br />
(boschi, foreste, etc, ). Come vedremo i<br />
Paesi Ricchi sono già in lizza per accaparrarsi<br />
pezzi di “pianeta verde”.<br />
Si arriva oggi al dopo Kyoto, dopo<br />
essere passati attraverso il Decreto Ronchi,<br />
ai vari condoni, alla privatizzazione<br />
della produzione di energia, per<br />
mantenere le concessioni è necessaria<br />
una percentuale di produzione di ener-
P<br />
gia pulita. Ed ecco allora il sorgere del<br />
nuovo business. Chiaramente la parte di<br />
energia pulita da produrre dovrà essere<br />
la meno costosa, ed ecco allora la scelta<br />
dell’eolico fra le fonti rinnovabili.<br />
L’ambientalismo sembra essere allora<br />
la nuova moda (in termini di spostamento<br />
e valorizzazione di capitali)<br />
perciò anche il movimento ambientalista<br />
è disorientato e rimane interdetto<br />
nel vedersi piantato nel proprio giardino<br />
un nuovo Aereogeneratore (Torretta<br />
energetica, altezza 100 mt. lungh. Pala<br />
50 mt. lungh. Tot 150 mt., potenza 3<br />
megawatt) e poi un altro in quello del<br />
vicino, e poi ancora un altro fino a 26<br />
in un comune per un totale di circa 100<br />
megawatt e poi 80 nel comune vicino e<br />
poi a perdita di orizzonte una fila ininterrotta<br />
di Aereogeneratori.<br />
Il movimento ambientalista sconta<br />
qualche momento di evidente imbarazzo,<br />
non si oppone, ma sente un disagio<br />
che cresce. Qualcosa che nasce dalla<br />
consapevolezza che il troppo stroppia,<br />
manca un equilibrio tra il fabbisogno<br />
del mio Comune, circa 40 megawatt, e<br />
quello che dovrebbe produrre il Parco<br />
Eolico (120 megawatt), forse manca una<br />
distribuzione dei carichi e dei privilegi.<br />
È urgente una riflessione: possibile<br />
che dopo aver consumato chilometri di<br />
parole sulle energie rinnovabili lo stesso<br />
movimento debba dire basta all’eolico?<br />
Diventa, quindi, anche difficile spiegare<br />
perchè la Regione Sardegna debba<br />
negare gli aereogeneratori vedendoli<br />
come una minaccia per il territorio e<br />
la regione Basilicata debba, e ne diamo<br />
merito, affrontare la questione con una<br />
legge che limita la loro istallazione in<br />
alcune aree e deregolamentare le altre.<br />
Per questo non è accettabile che tutta<br />
la questione, che muove centinaia di<br />
migliaia di euro, sia fatta per mezzo di<br />
trattativa privata tra il Sindaco e le società<br />
interessate e che il tutto passi solo<br />
attraverso la Valutazione di Impatto<br />
Ambientale (V.I.A.) e dai vincoli di carattere<br />
generale.<br />
Bisogna sganciare le amministrazioni<br />
locali dai ricatti economici e coinvolgere<br />
le comunità interessate, il varo di<br />
un Piano Energetico Regionale che assegni<br />
il carico sopportabile dai territori<br />
risulta, in questo contesto, una esigenza<br />
inderogabile.<br />
Se l’estensione dell’eolico in Basilicata<br />
genera questi interrogativi ne discende<br />
la necessità di una attenta rifles-<br />
politica e società<br />
sione tra le comunità e le forze politiche<br />
che guardi a tutto il settore energetico,<br />
dal petrolio all’eolico, come fattore strategico<br />
ma senza produrre scempi, assegnando<br />
quote a tutte le fonti rinnovabili,<br />
anche le meno appetibili, e soprattutto<br />
facendo del risparmio energetico la prima<br />
fonte di produzione di energia. Occorre<br />
adeguare l’estrazione, la produzione<br />
e il risparmio energetico ai parametri<br />
imposti da Kyoto adeguandosi ai limiti<br />
dello sviluppo sostenibile e controllare,<br />
se necessario limitare, l’eventuale surplus<br />
energetico anche se si tratta di energia<br />
prodotta da fonte rinnovabile.<br />
21
politica e società<br />
22<br />
“Il mio disegno non era il disegno di un cappello.<br />
Era il disegno di un boa che digeriva un elefante.<br />
[...] Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.”<br />
Antoine de Saint-Exupéry, “Il Piccolo Principe”<br />
Il concorso di idee di Pescopagano<br />
Nel 2001, ERGA, la società dell’Enel<br />
per le energie rinnovabili e Legambiente,<br />
hanno bandito un concorso<br />
di idee, rivolto ad architetti, paesaggisti<br />
ed ingegneri, per la realizzazione di due<br />
impianti eolici a basso impatto paesaggistico,<br />
uno a Cinisi (PA) e l’altro a Pescopagano<br />
(PZ).<br />
Il concorso aveva l’obiettivo di coinvolgere<br />
il mondo dell’architettura per<br />
migliorare l’inserimento dei due impianti<br />
eolici nel paesaggio italiano. Le proposte<br />
dovevano sviluppare e approfondire<br />
le forme più avanzate di intervento nella<br />
direzione della qualità architettonica e<br />
della valorizzazione ambientale e paesaggistica.<br />
Ho partecipato a quel concorso con<br />
un gruppo di progettazione, coordinato<br />
da Stefan Pollak, con un progetto che si<br />
poneva l’obbiettivo di risolvere l’impatto<br />
visivo dell’impianto eolico a livello<br />
territoriale 1 . Dal punto di vista percettivo<br />
è molto più importante l’immagine dell’intervento<br />
rilevata dai principali punti<br />
di osservazione presenti sul territorio<br />
(centri abitati, strade, punti panoramici<br />
ecc.) che l’effettiva soluzione dei temi<br />
P<br />
Paesaggi del vento<br />
E se le pale fossero<br />
monumenti?<br />
VINCENZO DI SIENA<br />
funzionali di utilizzo dello spazio alla<br />
base degli aerogeneratori. Per questo<br />
motivo il progetto affronta il tema dell’impianto<br />
eolico privilegiando la scala<br />
paesaggistica con lo scopo di realizzare<br />
delle strutture che siano al tempo stesso<br />
produttrici di energia “pulita” e rispettose<br />
dell’ambiente e del territorio in cui si<br />
inseriscono.<br />
Naturalmente la soluzione da noi<br />
prospettata è compatibile con un numero<br />
di pale molto limitate, Nel caso di Pescopagano<br />
ne erano, infatti, soltanto sei.<br />
La relazione di progetto<br />
Il crinale che unisce la Pietra del Carruozzo<br />
con l’omonimo Monte avrebbe<br />
dovuto ospitare un’impianto eolico di<br />
4,5 MW. Sei rotori sarebbero stati posti<br />
all’estremità di aste sospese.<br />
Era previsto che un sistema di cavi tesi<br />
e di elementi aerei liberasse il movimento<br />
dei rotori lungo lo skyline naturale.<br />
Grandi alberi che mossi dal vento<br />
completassero il paesaggio, appropriandosi<br />
dei colori del cielo, del terreno, mimando<br />
una seconda schiena di crinale e<br />
dandone un’immagine più smaterializzata,<br />
quasi eterea. Così facendo si sarebbe
P<br />
esaltato un carattere più giocoso dell’aerogeneratore,<br />
oggetto meccanico proprio<br />
del processo di produzione energetica,<br />
ma percettivamente estraneo al paesaggio.<br />
Ne risulta un’immagine di uno<br />
“shanghai” nel vento, non dissimili dai<br />
“tossing sticks”, installazioni artistiche<br />
eseguite dall’inglese Andy Goldsworthy<br />
all’inizio degli anni ’80.<br />
La stabilità è data da un sistema strutturale<br />
detto Tensegrity, acronimo coniato<br />
da Richard Buckminster Fuller dalla<br />
contrazione di “tension + integrity”. Il<br />
primo a sperimentare tali strutture è stato<br />
lo scultore statunitense Kenneth Snelson<br />
che ne ha eseguiti diversi esemplari di<br />
dimensioni anche molto grandi. La particolarità<br />
di questo sistema sta nel fatto<br />
che non vi è contatto diretto tra le aste<br />
compresse. Le sollecitazioni sono sempre<br />
trasmesse attraverso i cavi.<br />
Questa struttura ha un’elasticità intrinseca<br />
che, oltre ad assorbire bene le<br />
sollecitazioni impresse da turbolenze<br />
di corrente o dalla rotazione della navicella,<br />
permette all’intero organismo di<br />
muoversi leggermente assecondando le<br />
sollecitazioni del vento.<br />
Il punto di ancoraggio a terra e il punto<br />
di attacco del rotore possono distare anche<br />
diversi metri tra loro. In questo modo si<br />
ottimizza la posizione degli uni in funzione<br />
dei dati geologici e dell’accessibilità e<br />
quella degli altri in funzione dei dati anemometrici<br />
e della visibilità da lontano.<br />
La flessibilità di questa struttura risponde<br />
a morfologie anche dissimili tra<br />
loro così il suo inserimento si risolve facilmente<br />
anche in luoghi molto diversi<br />
da quello in esame.<br />
Note<br />
1 Progetto partecipante al concorso “Paesaggi<br />
del vento” sull’area di Pescopagano<br />
(novembre-dicembre 2001) e pubblicato su<br />
E. Zanchini (a cura di), Paesaggi del vento,<br />
Roma 2002.<br />
Gruppo di progettazione: Vincenzo Di Siena,<br />
Stefan Pollak (capogruppo), Paolo Russo,<br />
Francesca Rossi, Sandro Sancineto, Giulia<br />
Fiocca.<br />
Consulenti: Luigi Rebecchini, Jacopo Parenti.<br />
“Tossing sticks”, di Andy Goldsworthy<br />
a cui si ispira il progetto illustrato nelle<br />
immagini precedenti.<br />
politica e società<br />
23
politica e società<br />
Non solo pena<br />
Carcere e territorio,<br />
una relazione possibile<br />
La presentazione del libro Patrie galere.<br />
Viaggio nell’Italia dietro le sbarre<br />
curato da Stefano Anastasia e Patrizio<br />
Gonnella, è stata un’occasione per parlare<br />
qui a Potenza della realtà del carcere<br />
al di fuori di toni celebrativi ovvero di<br />
stereotipi e pregiudizi.<br />
Si è parlato infatti del mondo penitenziario<br />
in maniera lucida e “disincantata”<br />
partendo dalla lettura di questo piccolo<br />
libro che introduce il lettore, passo<br />
dopo passo, attraverso il racconto di una<br />
quotidianità che assume spesso sapore<br />
di irragionevolezza nella sua affermata<br />
immutabilità.<br />
Eppure nel 1975 l’emanazione del<br />
nuovo ordinamento penitenziario aveva<br />
introdotto modifiche epocali nell’esecuzione<br />
della pena in Italia affermando<br />
il principio dell’individualizzazione del<br />
trattamento e la finalità rieducativa della<br />
pena, in linea con il dettato costituzionale<br />
che all’art. 27 recita che “Le pene non<br />
possono consistere in trattamenti contrari<br />
al senso di umanità e devono tendere<br />
alla rieducazione del condannato.”<br />
Il detenuto che fino a quel momento<br />
veniva considerato soltanto oggetto passivo<br />
di una condanna imposta dallo stato,<br />
diviene in questa nuova prospettiva<br />
soggetto di diritti, e tra questi del “diritto<br />
al trattamento”, diritto quindi ad avere<br />
24<br />
offerta una occasione di recupero e di<br />
reinserimento sociale. Un soggetto che<br />
sostenuto in un processo di riassunzione<br />
di una posizione responsabile nei confronti<br />
della propria esistenza può essere<br />
re-incluso nella società.<br />
Altro elemento portante dell’impianto<br />
della nuova legge è quello della “partecipazione<br />
della Comunità all’opera del trattamento”.<br />
Il carcere si apre infatti dal 1975<br />
e poi, ancor di più a seguito della Legge<br />
Gozzini – al territorio, volontariato, enti<br />
locali, associazioni, imprese, soggetti che<br />
possono da quel momento entrare in carcere<br />
per concorrere concretamente alla risocializzazione<br />
del condannato. Le mura<br />
del carcere diventano pertanto permeabili<br />
ed il territorio, e la cosiddetta Comunità<br />
esterna è chiamata a far proprio il problema<br />
del condannato.<br />
Perché oggi rispetto alle affermazioni<br />
di principi di grande valenza etica si<br />
vive allora una dimensione di disincanto?<br />
Cosa si è fatto in questi trent’anni<br />
dalla riforma?<br />
Al di là dell’impegno pionieristico<br />
dei primi operatori, pian piano la forza<br />
del dettato normativo ha perso la spinta<br />
iniziale, gli operatori hanno via via<br />
ridotto il loro operare a dimensioni essenzialmente<br />
burocratiche, curando<br />
adempimenti formali, ed il trattamento<br />
MARIA PIA GIUFFRIDA<br />
P<br />
individualizzato si è trasformato in un<br />
“intrattenimento” dei detenuti,che seppur<br />
lodevole lascia il detenuto in posizione<br />
“passivizzante” e non concorre a<br />
costruire quel processo di cambiamento<br />
di cui si diceva e che passa attraverso la<br />
costruzione di percorsi di responsabilizzazione.<br />
I ritualismi della vita penitenziaria, la<br />
dilagante cultura del mero adempimento,<br />
la perdita di significato di concetti<br />
quali individualizzazione del trattamento,<br />
reinserimento, responsabilità, sono<br />
spesso le costanti attraverso cui si snodano<br />
le giornate degli operatori “dietro<br />
le sbarre”.<br />
Si assiste alla perdita dei “significati”,<br />
alla perdita complessiva di credibilità<br />
di un sistema complesso che non è<br />
riuscito a vincere appieno la scommessa<br />
del cambiamento ingenerato dalla riforma<br />
del 1975.<br />
E c’è da chiedersi cosa si può migliorare<br />
realisticamente in questo periodo<br />
storico che vede le carceri superaffollate<br />
e il numero delle misure alternative<br />
sempre in aumento?<br />
I numeri della popolazione detenuta<br />
sono infatti lievitati negli ultimi anni<br />
- com’è ben noto - arrivando oggi a ben<br />
61.000 detenuti (di cui circa 2.800 donne)<br />
a fronte di una capienza regolamentare di
P<br />
43.000 posti. La capienza tollerabile infatti<br />
di 62.795 non è rapportabile a nessun<br />
criterio obiettivo e riconoscibile che<br />
possa dare fondamento al rispetto della<br />
dignità umana e dei diritti dei detenuti<br />
sanciti dall’ordinamento penitenziario e<br />
dal DPR 230/00.<br />
Il dato di per sé assolutamente rilevante<br />
e grave, se approfondito presenta<br />
una percentuale di circa il 36% di detenuti<br />
in attesa di giudizio (giudicabili,<br />
appellanti e ricorrenti), del 2% circa di<br />
internati, del 62% circa di condannati<br />
definitivi.<br />
Tra i detenuti definitivi il 30% ha una<br />
condanna fino a tre anni e il 31% ha una<br />
condanna da tre a sei anni. Ben il 60%<br />
del numero complessivo di condannati<br />
ha in ogni caso una pena residua inferiore<br />
ai tre anni e pertanto larga parte di<br />
essi potrebbe, compatibilmente con le<br />
posizioni giuridiche e le relative previsioni<br />
normative, avere ipoteticamente<br />
accesso ad una delle misure alternative<br />
alla detenzione. Tale ipotesi è largamente<br />
sconfessata se si guarda alle tipologie<br />
di detenuti attualmente presenti negli<br />
Istituti di pena italiani:<br />
Circa 20.275 tra i detenuti sono stranieri<br />
(circa 33%), con una prevalenza<br />
di extra comunitari, e tra questi circa il<br />
50% sono condannati e l’altra metà in<br />
attesa di condanna definitiva. Trattasi<br />
in ogni caso di soggetti che non avendo<br />
alcun riferimento (logistico, lavorativo,<br />
familiare..) sul territorio non hanno di<br />
fatto alcuna possibilità di ottenere una<br />
misura alternativa. Nel 2005 gli ingressi<br />
dalla libertà di soggetti con reati di cui<br />
al TU sugli stranieri ha toccato il numero<br />
di 13.654. Tra i detenuti stranieri nel<br />
2005 1.242 hanno subito l’espulsione.<br />
Circa il 30% dei detenuti è inoltre<br />
portatore di problematiche legate alla<br />
tossicodipendenza.<br />
Ma la popolazione in esecuzione di<br />
pena in Italia, va definita oltre che con<br />
riferimento al numero dei detenuti anche<br />
in relazione al numero esponenziale<br />
di soggetti in esecuzione di pena fuori<br />
dal carcere e precisamente (nel 2005)<br />
49.953 condannati di cui:<br />
31.958 affidati al servizio sociale di<br />
cui circa 21.000 ammessi alla misura alternativa<br />
direttamente dalla libertà. Nel<br />
numero complessivo sono compresi circa<br />
7.000 soggetti in affidamento particolare<br />
ai sensi del TU 309/90.<br />
3.458 semiliberi (di cui 684 dalla libertà)<br />
14.527 soggetti in detenzione domiciliare<br />
(di cui ben 8.000 dalla libertà).<br />
Tali dati danno la misura del problema<br />
soprattutto se messi a fronte della<br />
povertà degli organici dell’Ammini-<br />
politica e società<br />
strazione penitenziaria con particolare<br />
riferimento ai cosiddetti operatori del<br />
trattamento (474 educatori in tutti i 207<br />
istituti penitenziari e 1247 assistenti sociali<br />
nei 77 Uffici dell’esecuzione penale<br />
esterna).<br />
Anche se il numero di soggetti del<br />
territorio che entrano oggi in carcere è<br />
elevato (sono infatti circa 320 le associazioni<br />
e cooperative sociali e circa 1500 i<br />
volontari) va segnalato che molti di essi<br />
lavorano dentro gli istituti senza entrare<br />
in relazione con gli operatori istituzionali,<br />
disperdendosi così una importante risorsa<br />
che potrebbe concorrere ad attenuare la<br />
povertà delle risorse penitenziarie.<br />
Se questo è l’allarmante panorama<br />
nazionale, nella regione Basilicata i dati<br />
seppur contenuti rispetto ad altre realtà<br />
italiane vedono in atto un significativo<br />
numero di soggetti in esecuzione di pena<br />
e precisamente:<br />
1. n. 123 detenuti nella Casa circondariale<br />
di Matera, con una ulteriore sezione in<br />
via di apertura,<br />
2. n. 218 detenuti nella Casa Circondariale<br />
di Melfi<br />
3. n. 234 detenuti nella Casa Circondariale<br />
di Potenza, tra cui 19 donne<br />
A tale numero totale di detenuti pari a<br />
675 unità va aggiunto quello di ben 554<br />
soggetti in esecuzione di pena sul terri-<br />
25
politica e società<br />
torio (affidati, semiliberi detenuti domiciliari).<br />
Anche qui gli operatori del trattamento<br />
sono assolutamente insufficienti<br />
a garantire il perseguimento dei fini<br />
istituzionali descritti in premessa, con<br />
particolare riferimento agli educatori (4<br />
educatori per i citati 675 detenuti).<br />
Ma se il quadro fin qui descritto è<br />
altamente drammatico non si può e non<br />
si deve “rinunciare” a cercare ipotesi di<br />
miglioramento che possono certamente<br />
passare attraverso l’implementazione<br />
di un rapporto forte e significante con il<br />
territorio e di una modalità operativa che<br />
sottraendo gli operatori alla quotidiana<br />
burocrazia rilanci un’ottica progettuale<br />
e valutativa.<br />
Se a livello nazionale ciò può sembrare<br />
irrealistico e fantasioso, su base<br />
regionale il rilancio dei valori fondanti<br />
dell’ordinamento penitenziario è forse<br />
praticabile attraverso lo sviluppo di politiche<br />
condivise tra amministrazione penitenziaria,<br />
Regione ed Enti locali.<br />
26<br />
In questa prospettiva è fondamentale<br />
il ruolo dei Provveditorati regionali<br />
dell’amministrazione penitenziaria,<br />
che istituiti nel 1990 in una prospettiva<br />
di decentramento tecnico funzionale ed<br />
amministrativo, costituiscono un importante<br />
snodo a livello intermedio dell’Amministrazione<br />
centrale e la loro rilevanza<br />
è stata definitivamente sancita dal<br />
Decreto legislativo 21 maggio 2000, n.<br />
146 che all’art. 1 ne ridetermina il numero<br />
ed “in ragione alla estensione del<br />
loro territorio di competenza, al numero<br />
di istituti e servizi ivi ricompresi ed alla<br />
complessiva entità delle risorse gestite”<br />
riconosce loro importanza quali uffici di<br />
dirigenza generale.<br />
Essi sono pertanto “organi decentrati<br />
del Dipartimento dell’Amministrazione<br />
penitenziaria” ed operano “nel settore<br />
degli istituti e servizi per adulti (oggi Uffici<br />
locali EPE), sulla base di programmi,<br />
indirizzi e direttive disposti dal Dipartimento<br />
stesso, in materia di personale,<br />
organizzazione dei servizi e degli istituti,<br />
P<br />
detenuti ed internati, area penale esterna<br />
e nei rapporti con gli Enti locali, le Regioni<br />
ed il Servizio Sanitario nazionale,<br />
nell’ambito delle rispettive circoscrizioni<br />
di competenza”.<br />
In particolare rispetto all’attuazione<br />
del mandato trattamentale il Provveditorato<br />
della Basilicata è fortemente impegnato<br />
in un’azione di rilancio delle<br />
materie oggetto del Protocollo di Intesa<br />
siglato con questa regione nell’ottobre<br />
2004, con l’intento di diffondere<br />
una corretta informazione sul contesto<br />
penitenziario della regione, definire<br />
obiettivi condivisi di sviluppo del lavoro<br />
penitenziario, attuare politiche di<br />
sostegno ai percorsi trattamentali individualizzati<br />
tesi all’inclusione sociale<br />
dei soggetti condannati, e in linea più<br />
generale al rafforzamento del senso di<br />
benessere collettivo, ed al rinsaldamento<br />
del “patto di cittadinanza”.
P<br />
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27
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P
I ntervista<br />
“Grazie Melfi...<br />
dai metalmeccanici italiani”<br />
Intervista a Gianni Rinaldini<br />
segretario generale della FIOM-CGIL<br />
GIUSEPPE ROLLI<br />
Era il 19 aprile del 2004 quando<br />
iniziò la lotta dei lavoratori alla Fiat di<br />
Melfi. Era un lunedì di pioggia quando<br />
i delegati delle organizzazioni sindacali<br />
dichiararono lo sciopero ad oltranza.<br />
Una battaglia durata 21 giorni. Una battaglia<br />
che vinsero.<br />
La primavera di Melfi ha rappresentato<br />
una svolta nella vicenda degli<br />
ultimi dieci anni dei metalmeccanici.<br />
Eppure, anche questa lotta, sembra che<br />
qualcuno voglia archiviarla troppo in<br />
fretta. Ne parliamo con Gianni Rinaldini,<br />
segretario generale della Fiom.<br />
Rinaldini, per la prima volta, forse<br />
dopo il 1980 a Mirafiori, si è avuta una<br />
lotta che è stata frutto di una potente<br />
spinta di base. Ma a differenza di quella<br />
si è conclusa non con una sconfitta ma<br />
con un buon accordo.<br />
29
i n t e r v i s t a<br />
Il rapporto con i 35 giorni di Mirafiori nel 1980 è del tutto<br />
simbolico poiché il contesto è totalmente diverso. Lo scontro<br />
dell’80 aveva al centro una ristrutturazione con il licenziamento<br />
di decine di migliaia di lavoratori. La vertenza di<br />
Melfi aveva per oggetto le condizioni di lavoro, di orario e<br />
retributive. Scontata quindi questa differenza, è evidente che<br />
questa vertenza ha assunto nel contesto di questi ultimi anni<br />
una valenza e un significato di carattere generale, e non soltanto<br />
perché ha costituito un elemento di rottura rispetto ai rapporti<br />
che la Fiat per anni ha cercato di imporre a sindacati e a<br />
lavoratori. La vertenza di Melfi, non a caso, si è sviluppata nel<br />
periodo delle lotte per i “pre-contratti” promosse dalla Fiom<br />
in seguito alla rottura con Fim e Uilm sul precedente contratto<br />
nazionale di lavoro. Tanto è vero che quella lotta inizia con<br />
gli scioperi nelle fabbriche dell’indotto sui pre-contratti, a cui<br />
la Fiat risponde con la messa in libertà ripetuta dei lavoratori<br />
di Fiat- Sata, con l’argomento che il mancato approvvigiona-<br />
30<br />
mento di componenti impedisce la produzione delle auto. È<br />
a questi continui atti di arbitrio che i lavoratori si ribellano.<br />
Quel passaggio così importante avvenuto a Melfi, assieme ad<br />
un’altra vertenza avvenuta nello stesso periodo e di analoga<br />
importanza, cioè quella della Fincantieri, è stato decisivo per<br />
la sconfitta dell’ipotesi e della pratica degli accordi separati<br />
che si era imposta fino ad allora. Ma è stata anche decisiva per<br />
arrivare successivamente alla costruzione della piattaforma<br />
unitaria del contratto nazionale.<br />
Quindi la lotta di Melfi ha avuto un duplice significato: da<br />
una parte nei rapporti con la Fiat – non bisogna dimenticare<br />
che nei mesi successivi una parte del gruppo dirigente che noi<br />
avevamo di fronte al tavolo delle trattative, per varie vicende,<br />
è “saltata” all’interno del Gruppo – e dall’altra un impatto di<br />
carattere generale anche rispetto alle dinamiche sindacali che<br />
hanno aperto una pagina diversa con il superamento degli accordi<br />
separati.<br />
I
I Eppure i metalmeccanici venivano da anni di accordi separati,<br />
di sostanziale isolamento della Fiom. Tutti gli osservatori<br />
esterni pensavano che la lotta di Melfi sarebbe stata la tomba<br />
dell’organizzazione dei metalmeccanici della Cgil, le altre organizzazioni<br />
confederali hanno tentato di dare il colpo finale<br />
alla Fiom. E invece tutto poi si è volto in meglio.<br />
Non c’è dubbio che una conclusione diversa a Melfi e una<br />
sconfitta di quei lavoratori e quelle lavoratrici e della stessa<br />
Fiom avrebbe significato un altro successo della pratica degli<br />
accordi separati e l’isolamento della nostra organizzazione…<br />
Questo rischio infatti c’è stato, se non ricordiamo male…<br />
Certo che sì. La vertenza ha avuto dei passaggi delicatissimi<br />
ed è stata decisiva, oltre che il sostegno diffuso tra i lavoratori<br />
e le lavoratrici, la compattezza dei delegati nel gestire<br />
passaggi anche estremamente complicati. Basti pensare all’assemblea<br />
in cui abbiamo deciso di continuare con gli scioperi<br />
che venivano proclamati ad ogni cambio di turno e al tempo<br />
stesso di allentare la pressione davanti ai cancelli, togliendo i<br />
blocchi. Quando, quella sera, arrivavano i pullman e la gente<br />
scendeva e decideva di non entrare in fabbrica, abbiamo avuto<br />
la sensazione che potevamo farcela e ottenere un risultato<br />
positivo. Era una scommessa. Dopo 20 giorni di blocco dello<br />
stabilimento avevamo deciso di verificare non più della tenuta<br />
del presidio davanti alla fabbrica, ma il consenso della maggioranza<br />
di tutti i diecimila lavoratori del sito, liberato da ogni<br />
condizionamento.<br />
Chi aveva pensato che con quella mossa ci saremmo trovati<br />
di fronte a migliaia di lavoratori che sarebbero tornati a<br />
lavorare, e quindi avremmo sancito la nostra sconfitta, poteva<br />
verificare che accadeva esattamente l’opposto. Questo è diventato<br />
un elemento di forza assoluto per arrivare al risultato<br />
dell’accordo. Questo è uno dei tanti passaggi delicati, ma ve<br />
ne sono stati diversi altri. Non c’è dubbio che c’era tanta gente<br />
in giro che pensava che da quella situazione i lavoratori e la<br />
stessa Fiom sarebbero venuti fuori sconfitti e quindi si sarebbe<br />
definitivamente conculcata - in un conflitto così complicato<br />
come quello che era esploso a Melfi - qualsiasi espressione<br />
autonoma della soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici.<br />
Va tenuto conto che sul risultato positivo ha pesato favorevolmente<br />
un clima di solidarietà che si era creato nel Paese. È<br />
stato evidente, ad esempio, quando siamo venuti a fare la manifestazione<br />
a Roma, ma anche in tante altre occasioni, che la lotta<br />
di Melfi era diventata molto popolare. Ricordare all’opinione<br />
pubblica nazionale il fatto che vi sono lavoratori che fanno i turni,<br />
che lavorano di notte, che lavorano il sabato, e percepiscono<br />
una retribuzione di mille euro, è stato come rompere il muro del<br />
silenzio attorno a una realtà che in qualche modo viene continuamente<br />
oscurata dai mezzi di comunicazione…<br />
Anche questo, dunque, secondo te, ha favorito la “popolarità”<br />
di questa lotta?<br />
i n t e r v i s t a<br />
Sì non c’è dubbio. Poi l’intervento della polizia è stato un<br />
ulteriore passaggio che ha prodotto, tra le altre cose, un’indignazione<br />
generale. L’intervento della polizia e lo stesso atteggiamento<br />
tenuto dai lavoratori e dalle lavoratrici con una<br />
resistenza assolutamente passiva, senza che ci fosse nessuna<br />
reazione violenta, ha contribuito a determinare una situazione<br />
di isolamento della Fiat...<br />
E, secondo te, questa lotta operaia è stata anche una battaglia<br />
“meridionalista”?<br />
Sì. Sono stati spazzati via, nello spazio di pochi giorni, montagne<br />
di pregiudizi rispetto alla realtà meridionale. Secondo alcuni,<br />
essendoci al Sud poco lavoro, pur di averlo i meridionali<br />
si devono accontentare di quello che passa il convento… Tutte<br />
queste chiacchiere, con la vicenda di Melfi, sono state cancellate<br />
nella pubblica opinione nel giro di pochi giorni. Sotto questo<br />
aspetto ha agito una dinamica diversa rispetto ad altre vicende<br />
sindacali in cui sono stati coinvolti altri stabilimenti Fiat nel<br />
meridione. Basti pensare, agli inizi degli anni Novanta, alla vicenda<br />
della Fiat di Termoli nella vertenza sui turni di lavoro<br />
dove si era scatenata tutta una campagna contro l’atteggiamento<br />
dei lavoratori che non erano disponibili a trattare con l’azienda<br />
all’insegna dello slogan: «ma come? Non basta che al Sud fanno<br />
delle assunzioni e si mettono pure a discutere come e quanto si<br />
lavora?». Ecco, in questo caso si è messa in moto una dinamica<br />
opposta che sta, a mio avviso, anche ad indicare – dopo le follie<br />
degli anni Ottanta – un atteggiamento diverso e più avanzato<br />
rispetto ai lavoratori. Ritorna con forza la “questione” del lavoro.<br />
E non a caso ritorna in tutti i paesi europei dopo un lungo<br />
periodo nel quale era praticamente scomparsa dalla coscienza<br />
collettiva. A ben vedere la lotta di Melfi sta proprio a indicare un<br />
dato: ritorna attuale il problema dei diritti del lavoro. Nella vicenda<br />
di Melfi fu anche questa la scommessa: in quella famosa<br />
assemblea in cui decidemmo di togliere i blocchi e confermare<br />
lo sciopero, che durò cinque ore ed era aperta al pubblico e alla<br />
stampa, già dopo un’ora si era diffusa la notizia che la proposta<br />
dei delegati e della Fiom era in minoranza. Insomma che delegati<br />
e Fiom avevano persa l’assemblea. E credo che in quelle<br />
ore ci fosse in giro molta gente contenta…<br />
Anche nella stessa Cgil?<br />
«Spero di no, ma non ne sono sicuro. Comunque spero proprio<br />
di no.<br />
L’impressione che se ne ricava, tuttavia, è che la crescita<br />
di una coscienza sindacale stenta a prendere la strada del sindacalismo<br />
confederale. Nelle elezioni delle Rsu sono cresciute<br />
le organizzazioni del sindacalismo di base, segnate da un forte<br />
radicalismo, e quelle corporative.<br />
È vero che a differenza di Fim, Uilm, e Fismic questi sindacati<br />
sono stati in prima fila nelle lotte dei 21 giorni del 2004,<br />
ma è anche vero che in Sata, a differenza dell’indotto, la Fiom<br />
è cresciuta meno di quanto si pensasse.<br />
31
i n t e r v i s t a<br />
32<br />
Il futuro del settore auto in Basilicata<br />
Queste le idee della FIOM<br />
GIUSEPPE CILLIS<br />
La presenza della FIAT, in un contesto determinato<br />
dalla dislocazione produttiva del Gruppo che ormai da decenni<br />
presenta una forte concentrazione di stabilimenti al<br />
Sud, ci induce a fare un ragionamento più approfondito<br />
sulla possibilità di sviluppo dell’industria dell’auto nella<br />
nostra regione. Ciò significa appuntare la nostra attenzione<br />
soprattutto sulla componentistica, al fine di delineare<br />
possibili strategie di politica industriale tese alla crescita<br />
dell’impresa locale soprattutto nel circuito delle forniture<br />
di secondo e terzo livello. È quello che finora è mancato. E<br />
ciò ha impedito, al contrario di quanto inizialmente avevano<br />
immaginato le istituzioni regionali, di fare dell’insediamento<br />
della FIAT a Melfi un’occasione di crescita per una<br />
parte consistente del sistema manifatturiero locale.<br />
Come appare evidente da numerosi studi e ricerche, la<br />
FIOM-CGIL da tempo ritiene che, al fine di rafforzare il<br />
tessuto produttivo, bisogna realizzare una maggiore integrazione<br />
delle attività produttive della FIAT con il resto<br />
dell’industria regionale e meridionale. Nel caso della Basilicata<br />
ciò significa che le aziende che oggi compongono<br />
l’indotto di primo livello della SATA devono ricercare,<br />
anche con l’opportuno sostegno dei soggetti pubblici locali,<br />
maggiori occasioni di relazione con l’industria presente<br />
sul territorio. Il rafforzamento di una parte significativa<br />
di queste industrie, quella meccanica in particolare, deve<br />
consolidare la rete di relazioni con l’insieme delle produzioni<br />
FIAT allocate in modo sempre più forte tra Campania,<br />
Lazio, Molise e Basilicata.<br />
Si tratta di operare per aprire nuovi spazi all’imprenditoria<br />
locale e favorire la possibilità che le fabbriche di<br />
componenti presenti nell’area di Melfi, e in generale attorno<br />
agli stabilimenti FIAT del Mezzogiorno, lavorino non<br />
solo per la casa torinese ma anche per marchi esteri.<br />
I dati di questi ultimi anni dimostrano che senza l’occupazione<br />
prodotta dell’investimento di Melfi, il mercato<br />
del lavoro regionale avrebbe registrato un deficit ancor<br />
maggiore e la stessa crescita del Pil regionale, fortemente<br />
influenzato dalle esportazioni di auto, non avrebbe conosciuto<br />
quei tassi che pure si sono registrati. Oggi siamo<br />
però già in una fase diversa, come dimostrano alcuni indicatori<br />
che ci dicono che la crescita regionale è decisamente<br />
bloccata nell’ultimo anno.<br />
I<br />
Negli ultimi due anni le dinamiche sindacali e contrattuali<br />
hanno determinato un notevole ed esplicito miglioramento<br />
delle condizioni di lavoro e di salario dei lavoratori<br />
FIAT intervenendo direttamente sull’organizzazione del<br />
lavoro e sul sistema di turnazioni.<br />
Sono stati realizzati 10 accordi sindacali, tutti approvati<br />
dai lavoratori attraverso lo strumento del referendum<br />
a scrutinio segreto, che hanno modificato alla radice l’organizzazione<br />
dei turni (con il superamento della cosiddetta<br />
“doppia battuta”), e eliminato strutturalmente il lavoro<br />
notturno domenicale. Si è finalmente realizzata l’equiparazione<br />
salariale tra i lavoratori di Melfi e quelli delle altre<br />
aziende del gruppo FIAT. È stato infatti modificato<br />
l’accordo del ‘93 stipulato tra la FIAT e le organizzazioni<br />
sindacali che fu posto come condizione per l’insediamento<br />
a Melfi dello Stabilimento SATA e che di fatto generò la<br />
differenza con gli altri stabilimenti.<br />
Inoltre con l’accordo raggiunto il 27 di aprile <strong>2006</strong> si è<br />
definita “la strategicità del ruolo e la missione produttiva<br />
dello stabilimento SATA” e si è convenuto che “la competitività<br />
dello Stabilimento di Melfi determina l’effetto<br />
di stimolare in modo positivo il complesso, e fortemente<br />
integrato, sistema dei fornitori presenti nel comprensorio,<br />
creando i necessari presupposti per il loro consolidamento<br />
nell’area”.<br />
Ad oggi i dipendenti occupati alla SATA di Melfi sono<br />
circa 5.200 di cui 1070 donne, ai quali vanno aggiunti oltre<br />
600 lavoratori precari a vario titolo (interinali, somministrati,<br />
a termine) e circa 500 terziarizzati (quelli della<br />
logistica). Nell’indotto siamo in presenza di una forza di<br />
lavoro di circa 3200 dipendenti ai quali vanno aggiunti circa<br />
600 precari (somministrati, interinali, a termine).<br />
Le cose da fare sono sicuramente tante. Ma il punto<br />
da cui partire non può che essere la conquista di nuovi<br />
spazi di mercato attraverso una politica industriale, a cui<br />
anche al nuovo governo deve contribuire, orientata a valorizzare<br />
i processi produttivi, ad accresce la formazione<br />
e la professionalità dei lavoratori, incentivare l’attività di<br />
ricerca, finora assente, l’innovazione di prodotto, favorire<br />
l’estensione dei rapporti di subfornitura tra le aziende dell’indotto<br />
di primo livello e l’industria regionale. Si tratta<br />
poi di sostenere, da parte della Regione Basilicata e di altri<br />
organismi regionali (Osservatorio Regionale), un’azione<br />
che punti alla valorizzazione dei processi produttivi legati<br />
al comparto auto, che coniughi qualità dei prodotti e qualità<br />
del lavoro.
I<br />
Stiamo parlando della Fiat. E, tradizionalmente, nella storia<br />
della Fiat, non c’è mai stato un rapporto automatico tra<br />
lotte e crescita del sindacalismo confederale. Il radicamento in<br />
termini organizzativi interni alla Fiat è sempre più complicato<br />
che altrove. Del resto, e non a caso, il Fismic nasce dalla Fiat.<br />
Quindi il risultato nelle elezioni delle Rsu è stato a Fiat-Sata<br />
positivo per la Fiom anche se le aspettative erano maggiori.<br />
Il problema che esiste sempre negli stabilimenti Fiat è come,<br />
dopo le fasi di mobilitazione, di lotta e di scontro sociale, impedire<br />
il ripristino dei tradizionali meccanismi di gestione da<br />
parte della Fiat dell’organizzazione interna. Questo credo che<br />
sia l’elemento, non dico di debolezza, ma che merita certamente<br />
un’attenzione particolare alla Sata di Melfi. Bisogna evitare<br />
che le conquiste anche in termini di coscienza di classe dei<br />
ventuno giorni, che comunque ha rappresentato e rappresenta<br />
un elemento di rottura rispetto alle relazioni sindacali tradizionali<br />
in Fiat, non siano recuperati dentro i vecchi rapporti.<br />
Esiste certamente un problema di sviluppo dell’influenza della<br />
Fiom cha va ulteriormente consolidata. Le relazioni sindacali<br />
in Fiat, anche negli anni passati, diciamo in quelli più “caldi”,<br />
hanno sempre avuto una dinamica più complicata rispetto alle<br />
altre realtà industriali. Del resto in Fiat c’è un pullulare di tante<br />
organizzazioni sindacali. E non è un caso.<br />
Cosa ha significato per te quel voto dei lavoratori di Melfi<br />
che ha respinto il contratto nazionale di lavoro?<br />
Intanto vorrei dire che il voto sul contratto nazionale dei<br />
i n t e r v i s t a<br />
meccanici il voto non è mai stato così ampio. Per dare un’idea,<br />
basti pensare che il penultimo contratto nazionale, fatto nel<br />
1999 e prima dei due accordi separati, fu approvato al 68 per<br />
cento, mentre quest’ultimo con l’85 per cento. I metalmeccanici<br />
non hanno mai avuto l’abitudine di votare in termini<br />
plebiscitari. Dentro però quel risultato emergono, nel Gruppo<br />
Fiat, una serie di problemi. E non a caso i problemi ci sono alla<br />
Fiat. L’ultimo contratto aziendale è stato fatto nel 1996 e quindi<br />
è stata saltata, rispetto a altre realtà, tutta una fase di contrattazione<br />
aziendale. Anche per questo l’incremento retributivo<br />
del contratto nazionale in Fiat è apparso insufficiente. Bisogna<br />
tener conto che la Fiat è piena di terzi livelli e ancor più lo è<br />
una realtà come quella di Melfi. Tutto questo spiega il voto<br />
contrario. Del resto, proprio in queste settimane, noi abbiamo<br />
presentato alla Fiat una piattaforma per l’integrativo aziendale<br />
basata essenzialmente su una richiesta di aumento retributivo.<br />
Questa piattaforma sottoposta al voto ha avuto un consenso<br />
molto ampio. A Melfi hanno votato oltre 6.000 lavoratori che<br />
al 90 per cento hanno espresso il loro consenso.<br />
La lotta per il contratto si è intrecciata in Sata con quelle<br />
sui turni di lavoro in relazione alla produzione della Grande<br />
Punto. Come ne valuti l’esito?<br />
Valuto l’esito come la coerente prosecuzione della vittoria<br />
dei ventuno giorni. È successo che a fronte dell’azienda<br />
che comunica unilateralmente che si torna ai 18 turni, com’era<br />
abituata a fare, la risposta è stata quella di dire: noi non ubbi-<br />
33
i n t e r v i s t a<br />
34<br />
I<br />
diamo a quello che ci dite,<br />
ma vogliamo discutere e<br />
contrattare. Questo è stato<br />
l’elemento più importante<br />
della vertenza con la quale<br />
abbiamo poi ottenuto i 17<br />
turni . Questa vicenda si è<br />
incrociata con il negoziato<br />
sul contratto nazionale durato<br />
tredici mesi dove, non<br />
a caso, la questione centrale<br />
(sulla quale poi Federmeccanica<br />
è stata battuta) è stata<br />
quella appunto della gestione<br />
unilaterale degli orari di<br />
lavoro da parte delle aziende.<br />
È evidente il rapporto<br />
che c’era con la lotta sui turni<br />
di Melfi dove si è affermato<br />
il diritto a contrattare<br />
l’orario di lavoro. È questo<br />
il significato che assegno<br />
alle vicende negoziali e agli<br />
ultimi risultati acquisiti a<br />
Melfi.<br />
Il rapporto fra le avanguardie<br />
operaie di Melfi e la<br />
politica. Si tratta di un “cattivo”<br />
rapporto, troppo condizionato<br />
dai conflitti e dalle<br />
logiche del sistema politico<br />
qual è oggi.La stessa Fiom<br />
soffre della contrapposizione<br />
spesso immotivata tra<br />
quadri che guardano a Rifondazione<br />
e quadri legati<br />
per lo più alla Sinistra Ds<br />
nella versione offerta dalla<br />
mozione Mussi.<br />
Il pericolo di una cattiva<br />
politicizzazione è sempre<br />
presente, ed è uno degli<br />
aspetti che più volte abbiamo<br />
discusso con i delegati<br />
di Melfi. È stato possibile a<br />
giovani delegati di affrontare<br />
questioni così delicate<br />
proprio per il tipo di dinamica<br />
positiva che si era costruito<br />
nei rapporti interni.
I<br />
Noi abbiamo fatto discussioni infinite sui diversi passaggi,<br />
ma alla fine si assumevano decisioni, si votava e si andava<br />
alla gestione delle lotte e delle vertenze. Io credo che questo<br />
sia un elemento di democrazia e di rapporto con i lavoratori<br />
assolutamente da salvaguardare. Perciò le tentazioni, tanto<br />
più a fronte di giovani delegati, di avere rapporti politici con<br />
questo o quel partito e l’inserimento di dinamiche di partito<br />
all’interno di una struttura sindacale mettono in discussione<br />
alla radice la rappresentanza democratica dei delegati che, ricordiamolo,<br />
sono votati dai lavoratori iscritti e non iscritti alle<br />
organizzazioni sindacali. E la loro funzione non deriva da un<br />
partito ma da una rappresentanza sociale ben precisa. Se poi<br />
questo si tramuta in una divisione tra gruppi di diversa appartenenza<br />
partitica, si mette in discussione l’esperienza stessa<br />
che si è prodotta a Melfi. Questo tuttavia, non è un pericolo<br />
che si risolve a tavolino. La scelta della democrazia e del voto,<br />
quindi della verifica continua del nostro mandato con i lavoratori,<br />
è uno degli aspetti decisivi per garantire l’autonomia dei<br />
delegati e delle organizzazioni sindacali. Adesso c’è un nuovo<br />
governo che vede rappresentate al suo interno aree importanti<br />
e decisive della sinistra, ma bisogna stare sempre attenti a<br />
mantenere la nostra autonomia, che è decisiva in primo luogo<br />
per la credibilità nel rapporto con i lavoratori. È da tempo che<br />
chiediamo una legge sulla rappresentanza sindacale e speriamo<br />
(ma non ne sono così sicuro) che questo nuovo governo si<br />
impegni a farla stabilendo che piattaforma e contratti devono<br />
essere convalidati dai diretti interessati.<br />
Qual è il posto che Melfi occupa nel sistema produttivo della<br />
produzione auto in Italia? E che rapporto esiste tra il supe-<br />
i n t e r v i s t a<br />
ramento di fatto della fabbrica integrata e della qualità totale<br />
e l’alto tasso di precarizzazione del lavoro in fabbrica?<br />
Melfi, nella situazione attuale della Fiat, produce la Grande<br />
Punto e la produrrà da qui al 2008. Successivamente non sappiamo,<br />
anche perché vanno affrontati problemi di altra natura<br />
che riguardano il destino del settore dell’auto in generale e<br />
gli stessi assetti proprietari dell’azienda. Quindi, nell’attuale<br />
assetto dell’azienda, Melfi è uno dei punti d’eccellenza. Dopodiché,<br />
se si ragiona sui piani futuri, non c’è dubbio che nella<br />
Fiat esiste un problema di assetti proprietari, e quindi di risorse<br />
da investire. È un capitolo da affrontare nei prossimi mesi.<br />
Per quanto riguarda la “fabbrica integrata” e la questione<br />
della “qualità totale”, a me pare di poter dire che la struttura<br />
organizzativa, gerarchica, di funzionamento della Fiat alla fin<br />
fine non ha subito grandi modifiche. Quella della Fiat è stata<br />
un’operazione molto pubblicizzata ma che in realtà era sorretta<br />
da un’idea dove la cosiddetta “partecipazione” sostituisce la<br />
contrattazione, in cui l’elemento partecipativo non è elemento<br />
aggiuntivo e di rafforzamento della contrattazione e quindi del<br />
riconoscimento di due soggetti contrattuali, ma semplicemente<br />
l’assorbimento del sindacato dentro un modello unico...<br />
Un malsano do ut des…<br />
C’è un rapporto tra l’idea della “fabbrica integrata” dei<br />
processi di precarizzazione, ma io non credo che sia questa la<br />
questione che sta alla base di questo devastante fenomeno, in<br />
Italia come in altri paesi. Ad esempio si è parlato molto delle<br />
misure di Zapatero, ma come si è scoperto la Spagna ha un<br />
livello di precarizzazione pari al 34 per cento, il più elevato tra<br />
tutti i paesi europei. Quello che sta avvenendo è l’assunzione<br />
35
i n t e r v i s t a<br />
di un’idea della precarizzazione come condizione permanente<br />
del lavoro: c’è una precarizzazione in “entrata” (vedi la Legge<br />
30), una in “uscita” (con i tentativi ripetuti di creare un legame<br />
tra la riduzione delle tutele e la facilitazione dei licenziamenti,<br />
e c’è una precarizzazione nella prestazione lavorativa, cioè la<br />
questione posta da Confidustria per quanto riguarda, ad esempio,<br />
l’uso degli orari di lavoro. Io ho l’impressione che siamo<br />
dentro un circuito dove la flessibilità, e quindi l’insicurezza<br />
sociale, sta diventando un dato permanente della condizione<br />
lavorativa e della condizione di vita de singoli.<br />
Qual è il rapporto tra Melfi e il futuro produttivo della<br />
Fiat? Esiste una relazione tra i rapporti dell’Italia con il Mediterraneo<br />
e il futuro dello stabilimento di Melfi? E una con il<br />
processo di integrazione europea?<br />
Credo che il <strong>2006</strong> sia per la Fiat un passaggio molto importante.<br />
Traduciamolo così: un anno fa la General Motors pur di<br />
evitare di prendersi la Fiat ha pagato! Poi aggiungiamo, per<br />
fortuna! visto che la multinazionale americana abbiamo saputo<br />
che era sull’orlo della bancarotta. L’operazione General<br />
Motors, assieme ad altre, oggi ha reso il settore più appetibile.<br />
Oggi la Fiat è nelle condizioni di dover decidere per il futuro<br />
che cosa vuol fare, a partire ovviamente dalla proprietà, dunque<br />
dalla famiglia Agnelli. Perché nel settore automobilistico<br />
è evidente che si è aperta una concorrenza fortissima: penso<br />
alla Ford o alla Volkswagen che ha annunciato nelle scorse<br />
settimane più di trentamila licenziamenti. È un settore, quello<br />
dell’auto, dove occorrono tante risorse. La Fiat non è un grande<br />
gruppo internazionale, ma lo è in Italia. Si trova ora nella<br />
situazione di dover fare il salto. Questo comporta delle scelte<br />
36<br />
da parte della famiglia Agnelli o di nuove alleanze internazionali<br />
o di nuovi assetti proprietari. Ora questo era già difficile<br />
pensarlo in una situazione come quella di un anno fa, figurasi<br />
oggi. Ma sul destino della Fiat una cosa va detta: se fossero<br />
ancora in campo ipotesi di scorporo del settore auto questo<br />
sarebbe assolutamente inaccettabile. Qualsiasi soluzione sugli<br />
assetti proprietari non può che partire dal fatto che per questo<br />
paese la Fiat è il settore auto.<br />
Quindi io mi auguro e auspico che, oltre alle cose che noi<br />
come organizzazione sindacale faremo, il problema del futuro<br />
del settore automobilistico, ma più in generale dei problemi<br />
della mobilità in questo paese, diventi oggetto non solo di confronto<br />
sindacale, ma anche delle dovute attenzioni da parte del<br />
governo. Nessuno può permettersi di stare a guardare come va<br />
a finire la vicenda della Fiat: sarà un banco di prova per qualsiasi<br />
governo che voglia ragionare di politica industriale.<br />
I
Cultura<br />
La pittura di<br />
Gerardo Cosenza<br />
Ricordo di un viaggio a “stelle e strisce”<br />
A pochi mesi dalla scomparsa una importante mostra a Potenza ricorda<br />
il percorso artistico del pittore lucano. L’importanza del soggiorno negli<br />
Stati Uniti per la sua formazione<br />
Tra i tanti periodi assai floridi ed intensi (sul piano della diffusione<br />
di mercato e della compartecipazione critica ricevuta dal<br />
suo lavoro) l’artista Gerardo Cosenza va, senza dubbio, ricordato<br />
per quel momento storico che segna non solo il suo esordio artistico,<br />
in campo nazionale ed internazionale, ma anche il periodo<br />
più “illuminato” ed “illuminante” della sua attività artistica e<br />
creativa. Esso si situa – in maniera precisa - tra il 1984 ed il 1986<br />
e se la batte alla pari, per risultati “speculativi” (ossia utili e vantaggiosi)<br />
ottenuti, con il periodo che va da 2.000 al 2.005.<br />
Il mio tentativo (storico-critico, ma anche elegiaco per certi<br />
aspetti) sarà adesso quello di ripercorrere le fasi salienti di questo<br />
primo interessante, variegato e molto creativo ciclo pittorico,<br />
attraverso una serie di racconti personali, d’intense memorie private,<br />
d’indefiniti appunti di viaggio: quasi a voler sfogliare, con<br />
questo mio discreto modo di raccontare, una sorta di diario dei<br />
ricordi, in cui le reminiscenze del passato sono rimaste, dentro<br />
di me, assai vive. Esse si sviluppano, nella mia mente, in tanti<br />
piccoli flashback, in tanti piccoli segni, velati – non nascondo<br />
- di nostalgia.<br />
Ma andiamo avanti con ordine. Era la calda estate del 1984.<br />
Lui si trovava in vacanza, al mare, a Scanzano Jonico, con il suo<br />
camper. Era lì con la sua famiglia. Mi raccontò - a questo proposito<br />
- che molte mattine si svegliava presto all’alba, per recarsi al<br />
largo con i pescatori del luogo. Al ritorno a riva, la barca era piena<br />
- nella maggior parte dei casi - di un abbondante pescato. Si trattava,<br />
per la verità, di piccoli pesci: perlopiù seppie, calamari ed<br />
acciughe, quelli che il Mar Jonio, da sempre, offre in quel largo<br />
tratto di costa che abbraccia la piana di Metaponto ed i territori<br />
lucani dei Comuni di Pisticci, Policoro, Rotondella e Nova Siri.<br />
RINO CARDONE<br />
Mi chiamò per telefono, a Montalbano Jonico: dove mi<br />
trovavo anch’io in vacanza e dove, qualche anno prima, lui<br />
aveva partecipato, su mio invito, ad una delle sue prime collettive<br />
d’arte, in occasione di una rassegna culturale che per<br />
tre anni di seguito portò in questa cittadina jonica il meglio<br />
delle espressioni artistiche, teatrali, giornalistiche e letterarie<br />
del sud Italia. Mi disse se volevo condividere con lui<br />
un breve viaggio. Si trattava di andare a Montesano sulla<br />
Marcellana, in provincia di Salerno: appena a ridosso della<br />
Valle dell’Agri passando per le montagne che dominano,<br />
da una parte, il Vallo di Diano e dall’altra parte la Valle del<br />
Sinni. Doveva partecipare, in questo paese dell’Appennino<br />
meridionale - situato lungo la catena della Maddalena - ad<br />
una collettiva d’arte organizzata dal critico d’arte salernitano,<br />
Massimo Bignardi. Il titolo della mostra era “Opera<br />
Omnia”. Il luogo di esposizione era, invece, il solarium delle<br />
terme: le quali rappresentano la grande attrattiva turistica,<br />
di questo paese campano, insieme con una copia fedele –<br />
che si trova nel centro storico - della chiesa di Notre-Dame<br />
di Parigi. Si tratta di una chiesa, molto bella all’aspetto, che<br />
è stata realizzata in piccolo, in paese, grazie ai fondi che<br />
sono stati offerti da un emigrato locale, che ha fatto fortuna<br />
all’estero.<br />
Durante il viaggio avemmo modo di scambiarci molti<br />
pareri e numerose opinioni personali, al riguardo dell’arte.<br />
Da poco era nato a Potenza il “Collettivo d’Arte Quinta Generazione”:<br />
cui facevamo ambedue parte; nella prima fase<br />
insieme con Giovanni Cafarelli, Marco Santoro e Felice Lovisco,<br />
cui si aggiunse presto, un altro, vivace, drappello di<br />
37
c u l t u r a<br />
38<br />
C<br />
- giovani e meno giovani - artisti lucani, da noi stessi scelti per<br />
quell’avventura. In quel viaggio verso Montesano sulla Marcellana,<br />
c’interrogammo, in particolare, sul futuro della rivista<br />
“Perimetro”: edita dal Collettivo e di cui io ero diventato - per<br />
scelta degli amici - direttore responsabile. Con Gerardo Cosenza,<br />
parlammo delle collaborazioni che avremmo dovuto intrattenere<br />
con gli storici ed i critici dell’arte, in campo nazionale.<br />
Da Filiberto Menna che collaborò alla rivista sin dal suo primo<br />
numero (firmato da Giovanni Cafarelli quale art director) fino<br />
ad arrivare a molti altri intellettuali dalla professionalità elevata<br />
e indubbia, come: Enrico Crispolti, Achille Bonito Oliva,<br />
Italo Mussa, Franco Sossi, Franco Solmi, Enzo Battarra, Santa<br />
Fizzarotti, Anna D’Elia, Maurizio Vitiello, Franco Miglietta,<br />
Barbara Tosi e molti, molti, altri ancora.<br />
C’è da dire che in quell’anno, ripetiamo il 1984, Gerardo<br />
Cosenza visse un periodo per molti versi irripetibile della sua<br />
intensa – e sfortunatamente molto breve - stagione artistica:<br />
sia in termini di consensi che egli ricevette da parte dell’opinione<br />
pubblica, sia in termini di beneplaciti che lui ottenne dal<br />
mondo della critica d’arte nazionale. In quell’anno egli partecipò,<br />
infatti, a mostre del rilievo e dell’importanza di: “13<br />
modi di paesaggio” - curata da Enrico Crispolti; “Obiettivo<br />
Mediterraneo” - curata da Franco Miglietta; “De Rerum A”<br />
– curata da Santa Fizzarotti; “La tradizione in rivolta” – curata<br />
da Massimo Bignardi e “L’eredità sconvolta” – curata da me<br />
medesimo.<br />
La sua pittura, dopo una iniziale fase (denominata del<br />
“Giardino dell’erba voglio”) di richiamo esplicito al paesaggio<br />
inteso (nel suo ordinato sviluppo orizzontale) come luogo<br />
imitativo della natura (dal punto di vista dell’elaborazione<br />
pittorica) e ricostruttivo ed immaginifico – nello stesso tempo<br />
- del proprio “genius loci” (dal punto di vista della rappresentazione<br />
intellettuale) si era, nel frattempo - a poco a poco<br />
- trasformata in qualcosa di diverso: di più consono, vale a<br />
dire, a quell’ideale di arte assoluta, perseguito dall’artista e<br />
che consisteva nel voler realizzare (attraverso la sua pittura, in<br />
quel periodo vivacemente policroma e ricca di segni) una sorta<br />
di prolungamento fisico, dunque assai concreto ed in qualche<br />
modo “percettivo” di quell’Io immateriale che potremmo<br />
chiamare altrimenti spirito. Nella rassegna “Opera Omnia” –<br />
tenuta a Montesano sulla Marcellana - egli espose una di queste<br />
sue nuove opere, nelle quali si coglieva – all’interno della<br />
congerie di segni e nel capitombolo sfavillante di colori da lui<br />
realizzato all’interno della tela – una sorta di prolungamento<br />
ideale, fantastico, di quell’Io supervalutativo che è dentro ciascun<br />
essere umano e che abbraccia il Creato intero.<br />
Ricordo ancora oggi con molto piacere quando Gerardo<br />
Cosenza tolse - nell’ampio salone delle terme a Montesano<br />
sulla Marcellana – l’involucro di carta che - per motivi di protezione<br />
- rivestiva la grande tela che lui avrebbe esposto - di lì
C<br />
Gerardo Cosenza, La trottola, tecnica mista su tela<br />
Pagina accanto: Gerardo Cosenza nel suo studio<br />
a qualche istante - in quella sala assai luminosa che – rammento<br />
ancora oggi in maniera molto vivida - prendeva il sole da<br />
ogni parte della stanza. Ricordo, inoltre, il suo sorriso, la sua<br />
emozione: tenera come quella di un bambino che mostra - in<br />
maniera ingenua, ma non troppo - qualcosa di davvero grande,<br />
di eccezionale, d’importante. Ricordo, peraltro, il mio stupore:<br />
intenso come quello che si prova davanti a qualcosa di cui<br />
- fino ad un istante prima - non si è mai avuta una percezione<br />
precisa. L’opera era davvero bella: energica, vigorosa, a tratti<br />
persino violenta, ma sempre – ed in ogni caso – lirica, poetica,<br />
emotivamente accattivante, svolta lungo un fraseggio astratto,<br />
leggi pure fantastico (fatto di brandelli emotivi e dunque, di lacerti<br />
di memoria) dove i richiami andavano dalla natura morta<br />
(interpretata in maniera statica, come fosse dentro un cesto di<br />
vimini, ma poi ribaltata, in maniera dinamica, sul piano prospettico<br />
del quadro) fino ad arrivare ad alcuni dettagli fantastici,<br />
che pure si trovavano al suo interno e che erano stati presi<br />
in basso al quadro di “Les Demoiselles d’Avignon” di Pablo<br />
Picasso (in breve: un grappolo d’uva ed una fetta d’anguria).<br />
c u l t u r a<br />
Come ben si comprende da questo mio breve racconto,<br />
ricordo – dunque - con enorme piacere quest’esperienza, del<br />
1984, fatta insieme con Gerardo Cosenza: lì, a Montesano sulla<br />
Marcellana. Provo la stessa emozione, quando penso alla<br />
visita che facemmo – appena due anni dopo, nel 1986 - alla<br />
Biennale di Venezia, passando per Bologna e per i Colli Euganei.<br />
In quest’altra occasione era anche con noi l’artista Arcangelo<br />
Moles e uno zio di Gerardo. Insieme vedemmo -. nella<br />
città lagunare - le grandi tele di Emilio Vedova: davanti alle<br />
quali provammo una sensazione di profondo appagamento,<br />
generato da una modernità e da una grandezza stilistica senza<br />
uguali. In quell’occasione l’amico affettuoso, l’artista stravagante,<br />
ma ricco di valori interiori, confidò a me e ad Arcangelo<br />
Moles due suoi segreti.<br />
Il primo: la dannazione che egli provava a voler realizzare<br />
la perfezione assoluta, in ogni suo lavoro. Per quello che<br />
ricordo ci disse all’incirca questo: “Per me la pittura è una<br />
maledizione, dalla quale non riuscirò mai a venir fuori, che mi<br />
prende, che mi cattura, che mi costringe a lavorare, per ore ed<br />
ore, senza mai fermarmi; davanti ad una tela, tentando di realizzare<br />
qualcosa di assai perfetto, di assoluto, che non si possa<br />
contraddire in alcun modo”.<br />
Il secondo segreto che Gerardo Cosenza ci volle svelare in<br />
questa occasione, ci lasciò assai sorpresi: di gran lunga di più<br />
del primo. Ci raccontò, infatti, che per un suo problema visivo<br />
– che si portava dietro sin dalla nascita - aveva qualche difficoltà<br />
a distinguere in maniera netta e precisa i colori. Perlopiù<br />
questa sua difficoltà si realizzava (e questo ci sbalordì moltissimo!)<br />
sul rosso e sul verde: che sono due colori che non sono<br />
mai mancati – per la verità - nella tavolozza cromatica di questo<br />
artista; perlomeno fino alla grande svolta da lui effettuata<br />
- a cavallo del terzo Millennio - di andare verso i colori caldi<br />
- le cosiddette terre -. Una scelta, quest’ultima, che è stata fatta<br />
da parte dell’artista dopo il Duemila: ovverosia in quella che<br />
rappresenta la sua più recente - ed anche ultima - produzione<br />
pittorica: quella che precede la sua prematura dipartita e che<br />
ha avuto i suoi due grandi momenti di gloria nell’antologica<br />
da lui fatta - nel 2003 - al caledarium delle terme di Latronico<br />
(in provincia di Potenza) e nello stesso anno a Bruxelles, nei<br />
locali del Parlamento dell’Unione Europea.<br />
Tornando al periodo che va da 1984 al 1986, dobbiamo<br />
aggiungere che esso è stato - ampiamente e sufficientemente<br />
- antologizzato e storicizzato dal critico d’arte Barbara Tosi<br />
nel volume “Carte da Parato - Wall papers” (che è stato edito,<br />
nel 1985, dalla EDI.SAL di Salerno, nella collana “Strumenti”<br />
diretta da Massimo Bignardi). Esso coincide – per l’appunto<br />
questo intenso ciclo pittorico - con il primo viaggio dell’artista<br />
negli Stati Uniti d’America, a New York. Ricordo quando una<br />
sera d’inverno, del 1986, comunicò (a me e a pochi altri amici,<br />
nei locali del Seminario Pontificio di Potenza che fungeva da<br />
39
c u l t u r a<br />
Gerardo Cosenza, Il basilisco piumato, 1986, tecnica mista su tela<br />
sede del “Collettivo Quinta Generazione”) la volontà di effettuare<br />
questo suo viaggio, oltre oceano. La sua intenzione era<br />
di risiedere per qualche tempo – come poi fece - a Manhattan:<br />
nella zona – in particolare - dell’East Village, che era divenuta<br />
assai celebre e famosa nel mondo - in quei primi anni ’80 del<br />
Novecento - per essere divenuta una fucina d’intellettuali ed<br />
un quartiere (snob e popolare allo stesso tempo) di artisti e di<br />
“folli” (è proprio il caso di dire!) d’ogni genere e d’ogni specificità<br />
creativa. East Village rappresentava insomma, in quel<br />
momento, un centro di cultura alternativa a livello internazionale.<br />
I nomi che “impazzavano” in quel momento, in quel luogo,<br />
erano quelli di Keith Haring, ma anche di Ramm-ell-zee,<br />
Crash, A-One, Toxic, Ronny Cutrone, Fashion Moda, CoLab<br />
e Samo (Jean-Michel Basquiat).<br />
Gerardo Cosenza visse lì, in quella dimensione cosmopolita,<br />
metropolitana e underground, per qualche mese. Intrattenne<br />
rapporti con la Rosenberg Stephen Gallery (al numero 115 di<br />
Wooster Street) e con i mercanti internazionali d’arte Michael<br />
e Claire Villano (3rd Ace Golden). In quel periodo di intenso<br />
lavoro newyorchese, tenne anche una mostra alla Dalja Tawil<br />
Gallery: confermando - con quest’iniziativa - l’interesse che<br />
40<br />
C<br />
gli americani nutrivano per la sua pittura, a tratti - come amano<br />
gli statunitensi - assai espressionista (in breve: unica, decisa,<br />
originale, parecchio risoluta e molto appariscente) ed a tratti,<br />
invece, improntata ad una sorta di poetica dell’informale, di<br />
derivazione in qualche modo surrealista, di cui è stato caposcuola<br />
nel mondo, l’olandese Willem de Kooning: all’epoca<br />
del viaggio in America di Gerardo Cosenza ancora vivente<br />
(Rotterdam 1904 - New York 1997).<br />
Dall’artista internazionale Willem de Kooning, Gerardo<br />
Cosenza attinse - per la verità - molto poco – diciamo quasi<br />
nulla – in termini stilistici, semantici e di modello pittorico<br />
vero e proprio. Al contrario egli attinse, invece, molto in termini<br />
di “lezione di vita” e di “modo di pensare”. A tal punto<br />
– aggiungiamo sul piano del dettaglio storico - da decidere (insieme<br />
con la moglie Tina Gioiso) di chiamare William il suo<br />
terzo figlio, alla stessa maniera sì dell’artista-maestro olandese-americano,<br />
ma anche di un cugino statunitense, cui egli<br />
era molto affezionato. In particolare, Gerardo Cosenza fece<br />
suo il “metodo di lavoro” di Willem de Kooning e soprattutto<br />
egli fece tutto proprio lo “spirito immateriale” ed “immanente”<br />
che il maestro internazionale dell’Espressionismo astratto<br />
infondeva nelle sue opere. Memorabile è a questo proposito la<br />
frase, proprio di Willem de Kooning - assimilata pienamente<br />
nel lavoro di Gerardo Cosenza - in cui l’olandese afferma che:<br />
“That’s what fascinates me to make something I can never be<br />
sure of, and no one else can either” - “Questo è ciò che mi<br />
affascina costruire qualcosa di cui non posso essere sicuro e di<br />
cui nessun altro pur esserlo”. Un’altra frase celebre di sicuro<br />
molto cara a Gerardo Cosenza - per quello che mi è dato sapere<br />
- era quella in cui sempre Willem De Kooning sosteneva<br />
che “Tutta la pittura è illusione. Il disegno di un volto non è il<br />
volto. È il disegno di un volto”.<br />
Volendo essere maggiormente esaustivi sull’argomento,<br />
aggiungiamo, inoltre, che questo periodo newyorchese della<br />
pittura di Gerardo Cosenza fu segnato dall’utilizzo di frammenti<br />
lirici (veri e propri cut-up visivi) e da alcune forme stilistiche<br />
d’autentico ready made semantico che appartengono<br />
alla buona pittura moderna, contemporanea e post moderna.<br />
Essendo, in ogni caso, questo un soggetto che travalica l’argomento<br />
che è trattato in questa sede e che necessità di molto<br />
tempo a disposizione per essere illustrato in maniera esaustiva,<br />
preferiamo rimandarlo ad un successivo sviluppo: limitandoci,<br />
in questa sede, a richiamare – a tutti gli interessati - quanto da<br />
me stesso scritto, a questo proposito, in occasione della prima<br />
retrospettiva dedicata a quest’artista, che è stata tenuta - da<br />
febbraio ad aprile del <strong>2006</strong> - nei locali della Pinacoteca Provinciale<br />
di Potenza.<br />
Ricordiamo, inoltre, che negli Stati Uniti d’America, Gerardo<br />
Cosenza sarebbe successivamente tornato - dopo l’esperienza<br />
avuta nel 1984 - tredici anni dopo: ovverosia nel 1999.
C<br />
Questa a volta egli si recò in un’altra zona degli U.S.A: a Denver,<br />
nel Colorado, dove egli fece delle altre significative esperienze,<br />
che lo portarono, di nuovo, ad esporre oltre Atlantico,<br />
in questa fiorente città, per due volte di seguito, la prima volta<br />
in quello stesso anno e poi, a seguire, nel 2000.<br />
Al ritorno, in ogni caso, da New York, nel 1984, egli si<br />
dimostrò cambiato: più consapevole, in altre parole, delle sue<br />
capacità creative, convinto innanzi tutto che ci potesse essere<br />
mercato - anche in Italia e particolarmente in questo Paese -<br />
per i suoi lavori. Ha fatto storia a questo proposito l’aneddoto<br />
che si racconta su di lui e che si riferisce all’amico artista Marco<br />
Santoro che gli chiese – con un pizzico d’allegria, mista a<br />
tanta volontà di sapere - quali fossero le opere che andavano<br />
più in voga, in quel momento, a New York. Lui, che in quel<br />
particolare istante – si racconta - era tutto vestito di bianco e<br />
che mostrava un piglio decisamente e convintamene americano<br />
(con il sigaro in bocca come - da sempre - era suo costume)<br />
rispose: “Vanno i lavori come i miei. Lavori pieni di fantasia,<br />
di colori e di segni”.<br />
Sta di fatto che tornando dagli Stati Uniti d’America il<br />
suo lavoro s’intensificò moltissimo. Il mercato italiano aveva<br />
“fame” – molta “fame” - delle sue opere. E lui produceva,<br />
produceva moltissimo, senza mai smettere, senza mai avere ripensamenti.<br />
Andavano, in particolare, alla grande, sul mercato<br />
meridionale, le sue carte colorate, le sue nature morte dove<br />
egli esplicava una forza fuori dal comune, una passione intensa<br />
verso l’arte che intanto lo premiò con la partecipazione, nel<br />
c u l t u r a<br />
Gerardo Cosenza, Mangiatore di banane, 1990, tecnica mista su tela<br />
1986, alla XI Quadriennale d’Arte Contemporanea di Roma e<br />
con il “Premio Michetti” di Francavilla a Mare (le segnalazioni<br />
furono fatte, in questi due casi, da Massimo Bignardi e da<br />
Enrico Crispolti).<br />
In questo periodo di forti relazioni con il mercato dell’arte,<br />
egli dovette far fronte – come lui stesso ha dichiarato - ad un<br />
problema molto serio: quello vale a dire dei falsi che alcuni,<br />
in maniera molto improvvida, tentarono di far “passare”<br />
in Campania, nel napoletano e nel casertano, con la colpevole<br />
connivenza di una televisione privata, che vendeva all’asta<br />
questi lavori. L’autore seppe, in ogni caso, contrastare questo<br />
fenomeno, autenticando – laddove possibile - le sue opere e<br />
procedendo ad una catalogazione precisa delle tele, delle carte<br />
e dei multipli (serigrafie ed acqueforti) da lui prodotti. Un<br />
lavoro questo che risulta, oggi, assai prezioso per la famiglia<br />
di Gerardo Cosenza, la quale intende autenticare, di suo, tutte<br />
le opere che sono in possesso dei collezionisti, dei mercanti e<br />
delle gallerie d’arte, attraverso l’expertise aggiuntivo di professionisti<br />
che hanno affiancato l’artista in vita e che potranno<br />
certificare l’originalità stessa, piena, delle sue opere. Tutto<br />
questo, solo ed esclusivamente, per fronteggiare – affermano<br />
la moglie e le due figlie più grandi, Anna Bruna e Giuliana - un<br />
eventuale mercato impazzito dell’arte, che potrebbe - dopo la<br />
prematura morte dell’artista - dar luogo o a copie d’autore o<br />
ad un ritorno dei falsi: i quali – gli uni e gli altri - non rendono<br />
certo omaggio dignitoso – se questo fenomeno dovesse verificarsi<br />
- alla memoria dell’artista.<br />
41
c u l t u r a<br />
Aglianica<br />
42<br />
In Basilicata ... a Settembre<br />
CONSORZIO DI VALORIZZAZIONE<br />
DEI VINI DEL VULTURE<br />
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C
C<br />
“Al pomposo,<br />
preferisco il giocoso”<br />
La poesia di<br />
Francesco Cosentino<br />
GIANCARLO TRAMUTOLI<br />
Francesco Cosentino (1959-2004) ha pubblicato:<br />
E sia, le disobbedienti energie, Altrimedia Edizioni,<br />
Matera-Roma, 1998.<br />
A disposizione, I Nadir 003, Arteria Edizioni, Matera, 2000.<br />
Fare poesia, Altre Muse Editrice, Matera, 2003.<br />
Inoltre, AltreMuseEditrice, 2005.<br />
c u l t u r a<br />
Francesco Cosentino, appartiene a quella rara schiera di poeti che<br />
preferiscono l’invenzione alla ripetizione. Tra la folla di ripetenti<br />
che hanno la presunzione di tentare ancora di rifare Pascoli, Leopardi,<br />
o pure Montale, ci sono pochi pazzi che hanno la saggezza<br />
di fare (come etimologicamente dice la parola “poesia”) cose diverse,<br />
con umile megalomania, con feroce autoironia, cercando<br />
percorsi poco battuti. Proseguendo per quella strada già percorsa<br />
da poeti eccentrici come Toti Scialoja, Giorgio Weiss, Attilio Lolini,<br />
Giulia Niccolai o dal nostro Vito Riviello. Sono questi gli<br />
ultimi capiscuola di una linea buffa e trasgressiva che comincia<br />
già nel Duecento con Cecco Angiolieri e prosegue nel Quattrocento<br />
con Burchiello e poi con Pulci, Berni, Folengo, Baffo, fino<br />
al novecentesco “lasciatemi divertire” di Palazzeschi, dove non<br />
ci si nega il piacere della musicalità, dello spiazzamento, del non<br />
sense. Dove la poesia può prendersi il lusso di dire, scherzando<br />
scherzando, cose amarissime.<br />
Ecco, Cosentino appartiene a questa famiglia di buontemponi.<br />
Poeti non dediti alla pomposità e all’eterno lamento, ma disponibili<br />
al gioco, all’umorismo, al paradossale. Poeti che colgono<br />
meglio, proprio attraverso questo approccio libero, l’essenza tragicomica<br />
della vita.<br />
Quella di Cosentino è una poesia veloce, verticale, tutta giocata<br />
sul paradosso, l’ironia, il calembour. Ha un’energia nervosa che<br />
era quella che aveva Franco, così come l’ho conosciuto. Il suo<br />
verso gioca su una compresenza di humour e malinconia. Ma ha<br />
pure il gusto beffardo di spiazzare il lettore. Ad esempio:<br />
Ormai<br />
Non mordi / Soltanto abbai / E pure assai // È il gioco che fai /<br />
Sempre in cerca di guai / Ti offri e mai ti dai.<br />
Senza rinunciare a toni ironicamente dolenti:<br />
Contriti<br />
Come quando / Non captano / La tua attenzione // Le parole /<br />
Cominciano a stemperarsi / Perdere calore // I contorni disfarsi /<br />
Battere in ritirata / In fretta verso la foce // Farsi appunti / I mutevoli<br />
/ Toni della voce<br />
O amaramente comici:<br />
Distratto impaziente<br />
Sollevi / Il coperchio / Ispezioni / La padella // Aspetti / La tua<br />
bella / da diversi / Quarti d’ora // Friggono / Le budella / Gli intestini<br />
/ E pure l’interiora.<br />
Usando l’effetto taumaturgico del paradosso come in:<br />
Sinceramente<br />
Diciamoci / La verità // Mentiamo / Spudoratamente.<br />
Credo, infine, che lo stile brioso dei versi di Francesco Cosentino<br />
dimostri come sia ancora possibile evitare l’effetto nostalgico,<br />
appassito e mortifero di tanta poesia contemporanea. Poesia che<br />
oscilla minacciosa, tra la noia e l’enfasi. Tra la soporifera arpa<br />
lirica e l’inutile rumore retorico del trombone.<br />
43
c u l t u r a<br />
44<br />
Il fantastico<br />
ad Agromonte<br />
Le ceramiche di Pina Ferrara<br />
Ho conosciuto Pina Ferrara nell’agosto<br />
del 2004, trovandomi per qualche<br />
giorno a Sarconi, mio paese natale, ignaro<br />
di esservi capitato in coincidenza con<br />
la “Sagra del Fagiolo”. Un evento importante,<br />
occorre dirlo, per quel minuscolo<br />
comune della Val d’Agri, ormai assurto<br />
grazie al fagiolo nell’araldica della gastronomia<br />
italiana, ma al quale anni prima<br />
veniva riservata soltanto una giornata,<br />
bastevole ad includere, con la varie<br />
manifestazioni religiose e folcloristiche,<br />
anche il tradizionale Convegno tecnicoscientifico<br />
sulla produzione, il disciplinare,<br />
la tipologia del prezioso legume.<br />
Al quale, dal 2004, si è invece ritenuto<br />
opportuno dedicare una “Sagra” più ricca,<br />
articolata in tre intense giornate, anzi<br />
quattro, dacché sin dalla vigilia il paese<br />
diventa tutto una chiassosa animatissima<br />
“area pedonale”, per consentirvi l’allestimento<br />
di innumerevoli chioschi, di<br />
grande richiamo per i forestieri, dove il<br />
fagiolo viene proposto nelle più varie e<br />
inopinate declinazioni culinarie, mentre<br />
agli angoli delle strade e nei cortili delle<br />
case si dà vita a una piccola fiera d’arte<br />
e d’artigianato, piuttosto avara, com’è<br />
accaduto per molti anni, di interessanti<br />
sorprese. Non però in occasione della<br />
“Sagra” celebratasi il 2004, quando in<br />
un piccolissimo cortile dell’antico paese<br />
erano esposti i dipinti e le ceramiche di<br />
Pina Ferrara. Pochi quadri e pochissimi<br />
oggetti, per la verità, a causa della sede<br />
davvero lillipuziana della “mostra”, e<br />
della brevità della sua durata. Ciondoli,<br />
per lo più, per quanto attiene alle ceramiche,<br />
vasi policromi di esigue dimensioni,<br />
e altrettanto minuscole statuette, il tutto<br />
modellato però con sicuro talento e una<br />
rara maestria tecnica. Del che mi diede<br />
conferma, conclusisi i giorni della “Sagra”,<br />
una visita allo studio di Pina Ferrara,<br />
nell’arioso paesino di Agromonte,<br />
che essendo una frazione di Latronico è<br />
anch’esso vigilato dallo stupendo Monte<br />
Alpi, una montagna di granito alta circa<br />
2000 metri, tra le più belle e incantatrici<br />
dell’Appennino lucano. Qui, ad Agromonte,<br />
vive e lavora questa giovane<br />
donna, sposata e madre di due figli, che<br />
divide eroicamente il suo tempo, non<br />
sembri retorico affermarlo, tra le cure<br />
della famiglia, l’impegno quotidiano di<br />
insegnante in una scuola di Potenza -<br />
C<br />
DOMENICO PETROCELLI<br />
125 chilometri di strada, spesso innevata<br />
d’inverno, per raggiungerla, e altrettanti<br />
per far ritorno a casa - e l’attività artistica,<br />
a cui si è votata con tenacissima, ancorché<br />
schiva determinazione. Tanto da<br />
dedicarle l’unico “ponte” del 2004, per<br />
una rapidissima gita, con i figli e il marito,<br />
a Gubbio, Perugia, Faenza e Deruta,<br />
centri famosi in tutto il mondo dell’arte<br />
ceramica, non soltanto italiana. Per la<br />
verità, Pina Ferrara non si dedica esclusivamente<br />
alla ceramica, amando anche,<br />
allo stesso grado, la pittura. Ma forse,<br />
anche per via delle tecniche innovative<br />
in cui costantemente si esercita “da ceramista”,<br />
e la stessa peculiare suggestione<br />
fornita dalle materie adoperate, credo<br />
che i più alti raggiungimenti, le prove<br />
più originali del suo lavoro li abbia finora<br />
conseguiti nell’attività, appunto, di<br />
ceramista, anzi di autentica scultrice in<br />
ceramica. Vi è pervenuta per gradi che<br />
si direbbero canonici - dapprima il Liceo<br />
Artistico di Salerno, quindi il diploma<br />
di Pittura all’Accademia di Belle Arti di<br />
Napoli (avendo tra i suoi maestri Gianni<br />
Pisani), e poi intensi soggiorni di lavoro<br />
a Vietri sul Mare e ad Albissola, dove
C venne folgorata dal famoso “Blù Savona”<br />
delle maioliche locali, tipico come<br />
quello degli “azulejos”, le piastrelle di<br />
terracotta colorata che rispecchiano il<br />
segreto della luminosità prodigiosa di<br />
Lisbona - fino ad approdare all’attuale<br />
sua convinta adesione all’arte del Raku,<br />
in cui ora si esprime gran parte della<br />
sua produzione artistica. Il quale Raku è<br />
un’antica tecnica giapponese, in qualche<br />
modo legata alla filosofia Zen e all’influenza<br />
del buddismo nella cultura e nel<br />
costume del Sol Levante, e che viene<br />
praticata con argille ricche di sabbia silicea,<br />
e perciò refrattarie, che consentono<br />
cotture rapide e multiple, a basse temperature,<br />
con particolari smalti a base di<br />
piombo, che danno vita a colori ed effetti<br />
singolarissimi pressoché inediti da noi.<br />
Ma al dì là delle procedure o modalità<br />
tecniche, che possono concorrere a moltiplicare<br />
il fascino dei singoli manufatti,<br />
è il mondo che vi è sotteso a rendere palpitante<br />
di vita le sculture di Pina Ferrara.<br />
Il “mezzo”, si è già detto, vi concorre la<br />
sua parte. Quegli elementi primari, terra,<br />
creta, argille ferrose, da impastare<br />
con l’acqua, come il pane, e poi da arroventare<br />
nella fornace, donde si estraggono<br />
stillanti ancora smalti multicolori,<br />
o invetriati, ossidati, spesso percorsi da<br />
tenuissime venature giallo-viola, o ancora<br />
come rappresi in un bianco calcinata,<br />
sono di per sé sufficienti a spiegare<br />
la peculiare seduzione della ceramica,<br />
anche quando è opaca, perfino quando<br />
rimane allo stato di terracotta, lo stadio<br />
del vasellame contadino, risalente addirittura<br />
al Paleolitico, e che oggi costituisce<br />
la fortuna degli archeologi, ovunque<br />
lo si ritrovi, a Matera coma a Palmira,<br />
a Cuzco o nei villaggi degli aborigeni<br />
australiani. Ma quel “mezzo” resterebbe<br />
inerte, un prodotto inutilmente elegante<br />
nelle sue fattezze formali, se non<br />
lo motivasse un mondo interiore, e una<br />
ricerca assidua e ostinata che affonda<br />
la superficie nel turbamento dell’inconscio.<br />
Perché Pina Ferrara, questa donna<br />
lucana che ha sposato la ceramica con la<br />
fatalità che presiedeva all’opera di due<br />
fra i più grandi plasticatori e scultori del<br />
Novecento, Arturo Martini e Zeoncillo,<br />
sottomette il suo “mezzo” a una visione<br />
in cui si intrecciano reale e surreale,<br />
oggettività e mistero, una veggenza che<br />
tende a scandagliare la profondità, esprimendosi<br />
per simboli, spesso inquietanti,<br />
sempre intesi a un’ardua, spericolata in-<br />
c u l t u r a<br />
tegrazione tra “verosimile” e “inverosimile”.<br />
Consapevole, come ammonisce<br />
Leonardo, che “la natura è piena di infinite<br />
ragioni che non furono mai in isperienzia”,<br />
essa si propone di penetrare il<br />
senso del mistero che presiede al creato,<br />
nelle sue multiple apparenze (o sospetti<br />
d’apparenza), come è indicativo dagli<br />
tessi nomi dei suoi referenti ideali: il De<br />
45
c u l t u r a<br />
Chirico delle Muse Inquietanti. e tutta la sua alta stagione<br />
metafisica, il Dalì che è stato anche troppo spesso un commediante<br />
ma che ha saputo attraversare come pochi il territorio<br />
dell’avventuroso, del fantastico e dell’irrazionale; e infine il<br />
grandissimo Redon che come nessun altro - ha scritto Walter<br />
Benjamin - “afferrò lo sguardo delle cose nello specchio del<br />
nulla, e come nessun altro seppe entrare nel patto tra le cose e<br />
il non-essere”. In altre parole, da artista autentica e vera Pina<br />
Ferrara non fa concessioni alle mode, né al mercato che le<br />
accompagna (e in molti casi le determina), ignorando sia le<br />
stucchevoli avanguardie di maniera sia il facile richiamo alle<br />
seduzioni del “territorio”, già narrato da pittori di diverso, e<br />
spesso notevole spessore: da Levi a Guerricchio, da Corrado a<br />
Maria Padula, da Masi e Falciano. La sua ricerca opera sul mistero,<br />
indaga il campo del fantastico e del meraviglioso. Come<br />
ha scritto Roger Callois, invece di considerare subito l’indecifrabile<br />
in-decifrabile, anch’essa lo considera “qualcosa da<br />
decifrare, con il fermo proposito di giungere in qualche modo,<br />
se possibile, a capo dell’enigma”.<br />
46<br />
C<br />
Non insegue, tuttavia, il fantastico per partito preso, cioè<br />
l’invenzione di un universo immaginario o fiabesco, né il meraviglioso<br />
delle leggende, le danze macabre medievali, i sabba<br />
delle streghe a cavalcioni della scopa, e tutto l’armamentario<br />
che spazia dalla fede alla credulità più ingenua. Nel fermo<br />
convincimento che l’occhio sia il più efficace e irrinunciabile<br />
osservatorio sul mondo (e perciò l’occhio compare spesso nei<br />
suoi dipinti, e in qualche caso ne è il “motivo” dominante),<br />
rivolge il suo sguardo a quanto la circonda, ma senza limitarsi<br />
all’apparenza sensibile. Se Rembrandt, come ha scritto Radon,<br />
“ha dato una vita morale all’ombra”, lei cerca, con tenace<br />
ostinazione, e perseguendo un surrealismo carico di effetti<br />
naturalistici, di esprimere e “raggiungere” una realtà altra, una<br />
metafora allucinata della vita.
C<br />
Sinisgalli l’inattuale<br />
Discorrendo dell’idea di progresso<br />
Novantotto anni dalla nascita (1908), venticinque dalla morte<br />
(1981): Sinisgalli ha attraversato il “Secolo breve” quasi per<br />
intero, restando tutto interno ad esso. Le scadenze offrono le<br />
occasioni per ripensare, e rivedere a distanza, perché l’immagine<br />
sia più ampia e più chiara. L’attenzione che Decanter ha<br />
recentemente dedicato al poeta di Montemurro rimette sanamente<br />
in circolo la necessità di un dibattito e di una coscienza<br />
della sua esperienza poetica e culturale, così particolare e quasi<br />
unica. Vorrei approfittarne allora, per proporre una lettura forse<br />
inconsueta, in controtendenza, dell’opera di Sinisgalli, basandola<br />
sulla constatazione della sua inattualità. L’autore lucano, che<br />
sente ed ama il mondo classico, che ricerca la vertigine tra sensi<br />
e ragione, tra poesia e prosa, che guarda con lo stesso occhio i<br />
pomodori e le superfici algebriche, che scopre l’antico sullo scenario<br />
di una Basilicata agricola, più arcaica che mitica, urente e<br />
povera (Lucania), disegna un percorso che ha per centro l’unità<br />
di tutta l’esperienza umana di fronte al mondo. Unità della conoscenza<br />
matematica e di quella poetica, unità dell’astratto e<br />
del quotidiano, unità -in maniera più vasta e comprensiva- delle<br />
‘due culturÈ. Su questo aspetto dell’opera di Sinisgalli si è più<br />
volte ritornati. Eppure, accanto a questa unicità di visione, dal<br />
poeta ricercata e auspicata (la stessa della cultura classica e rinascimentale,<br />
ancora viva fino all’ illuminismo), mi pare altrettanto<br />
importante cogliere quanto Sinisgalli fosse cosciente di<br />
esserne in realtà uno degli ultimi portatori. A ripercorrere i suoi<br />
scritti si avverte un passaggio fra il sentimento degli anni ’30-<br />
’50, fiducioso e ispirato, anche se antiretorico ed “antieloquente”<br />
e il disincanto sempre più aspro degli anni ’70-’80. Da una<br />
parte l’età eroica di Furor Mathematicus («posso dire di aver<br />
c u l t u r a<br />
Il dibattito<br />
FABER FABBRIS<br />
conosciuto giorni di estasi tra gli anni 15 e gli anni 20 della mia<br />
vita per virtù delle matematiche»,1944) le esperienze milanesi,<br />
la collaborazione con Olivetti, la vittoria al Festival di Venezia<br />
con Lezione di Geometria, la rivista Civiltà delle Macchine;<br />
dall’altra l’Età della luna («Il mio spirito è contrario allo spirito<br />
meccanico. Potrei anche dire che il meglio della mia cultura mi<br />
fa quasi vergogna», 1962), il Passero e il lebbroso, Mosche in<br />
bottiglia. Una flessione che tuttavia non è brusca, un cambio di<br />
rotta appena riconoscibile, quasi che nel tragitto di Sinisgalli si<br />
faccia a poco a poco spazio la consapevolezza che l’unità sta per<br />
smarrirsi, la sensazione che egli si trovi sempre più solo ad invocarla.<br />
E se questo processo è vissuto dal poeta con ironia, con<br />
fredda e disincantata malinconia (Due Poeti ai giardini), sempre<br />
più forte è l’avvertimento di una perdita alla quale sa di non<br />
potersi opporre. Sinisgalli sa cha una stagione sta per chiudersi e<br />
che le parole non soccorrono a sufficienza: già nel 1959 in morte<br />
del matematico napoletano scrive:“Caccioppoli si è ucciso<br />
con un colpo alla nuca ; […] non ci si difende dalla noia con la<br />
matematica, come non ci si difende con la poesia” 1 . Forse si può<br />
leggere un parallelo tra questo processo e l’esaurimento della<br />
vena poetica che Sinisgalli verrà sempre più spesso lamentando<br />
- ai nostri occhi di lettori senza ragione - per avvicinarsi, quasi<br />
rifugiarsi, nel disegno (“…vecchia musa decrepita, il poeta è<br />
ogni anno più cieco” 2 ). Alla stessa perdita, alla constatazione<br />
che i tempi e il mondo non permettevano più quella prospettiva,<br />
assisterono anche - a titoli e con percorsi diversi - Italo Calvino<br />
e Primo Levi, due altri esploratori del terreno accidentato e<br />
quasi per niente battuto (soprattutto nella letteratura italiana) tra<br />
‘letterÈ e ‘scienzÈ.<br />
47
c u l t u r a<br />
E qui vorrei ritornare all’aspetto prima accennato, quello della<br />
capacità di parlare all’oggi di Sinisgalli: mi pare si possa dire<br />
che l’inattualità della sua visione della cultura dipende dal contesto<br />
storico più che da un difetto di lungimiranza del poeta. Lo sfondo<br />
economico e storico che permise la fulgida stagione di Civiltà delle<br />
Macchine è quasi integralmente dissolto; il modello industriale<br />
italiano che si sviluppava lungo i ‘trenta gloriosi’, animato dalle<br />
grandi aziende di Stato (Eni, Alitalia, che videro spessissimo Sinisgalli<br />
animatore culturale instancabile) ma anche con le esperienze<br />
d’avanguardia sociale e culturale della Olivetti, è ormai quasi<br />
scomparso; lo stesso può dirsi di un modello di processo produttivo<br />
che investiva fortemente in ricerca e che immetteva sapere nel<br />
valore del prodotto. Ma soprattutto la dinamica che portava a fianco<br />
dello sviluppo economico un pur ineguale e asimmetrico progresso<br />
civile, frutto delle pressioni sociali e operaie, appare oggi<br />
completamente disarticolata. Il contesto presente rimanda piuttosto<br />
ad un serio declino industriale dell’Italia (denunciato lucidamente<br />
qualche anno fa da Luciano Gallino), col quale fa il paio un<br />
netto arretramento dei diritti del lavoro ed una inversione più generale<br />
dell’evoluzione della società; l’assenza di strategia industriale<br />
degli ultimi anni ha lasciato il posto alla ricerca senza uscita della<br />
competitività con la riduzione dei costi; l’industria di base appare<br />
svuotata dei suoi più corposi elementi; il capitale industriale si trasforma<br />
sempre più in capitale finanziario creando fragilità e rischi<br />
sempre maggiori. Sinisgalli (benché certamente non ‘di sinistra’)<br />
era profondamente consapevole del nodo fra progresso industriale<br />
e progresso sociale, anche se probabilmente immaginava il primo<br />
portato automaticamente e necessariamente dal secondo. (“È logico<br />
che la quantità spaventosa di energia che si consuma sarebbe<br />
tutta sprecata se non servisse almeno a procurare un giocattolo<br />
all’ultimo bambino lucano o coreano, che dico un giocattolo!, se<br />
non servisse a comprare un sillabario e l’inchiostro e i quaderni<br />
48<br />
C<br />
agli ultimi bambini esquimesi o zulù” scrive nel 1953 su Civiltà<br />
delle Macchine). Egli era in questo, dunque, certamente legato ad<br />
una tradizione illuminista ma non banalmente positivista, ad una<br />
visione progressiva della condizione umana nella quale la tecnica<br />
fosse capace di sanare i contrasti e produrre abbondanza. Una<br />
visione che nuove, più recenti consapevolezze (penso all’ambietalismo)<br />
hanno corretto e rivisto, ma che ha espresso cambiamenti<br />
storici fra i più grandi, ed alla quale il genio dell’ora presente<br />
sembra avere totalmente rinunciato. Insomma non stupisce che la<br />
voce del poeta lucano non parli più all’oggi: non perché essa sia<br />
arretrata rispetto al presente, ma piuttosto in quanto – verrebbe da<br />
dire - è la posterità ad essere tornata più indietro di Sinisgalli, l’oggi<br />
ad essere retrocesso a prima di ieri. Ed è questa una ‘mancanza’<br />
che si sente, una assenza in decantazione, che le rievocazioni e gli<br />
anniversari –sempre meritori- stentano a disinnescare. Emblematico<br />
come le sue opere siano difficilissime da reperire nelle librerie<br />
italiane. Si potrà non essere troppo ingenuamente ‘ottimisti’ nel<br />
dire che Sinisgalli tornerà ancora a parlare quando nel futuro si<br />
disegnerà di nuovo uno spazio di speranza e di avanzamento sociale?<br />
Quando la ricerca dell’unità del sapere, ultimo appello di<br />
Ludovico Geymonat ormai quasi trent’anni fa, tornerà d’attualità?<br />
È vero, sono tempi che non sembrano prossimi. Ma in attesa dei<br />
quali ci può forse valere come un salvacondotto, come un amuleto,<br />
una delle ultime voci del poeta ingegnere:<br />
Siamo qui per dividerci<br />
un’eredità di stenti.<br />
Non spezziamo quello che è intero,<br />
diventa zero 3 .<br />
Note<br />
1 Caccioppoli si è ucciso, in “L’immobilità dello scriba”,1960.<br />
2 Commiato, in “L’età della luna”, 1962<br />
3 “Mosche in bottiglia”, 1975
C<br />
“Una storia di violenza” o “Una storia della<br />
violenza”? La prima espressione sembra<br />
riferirsi a una qualsiasi vicenda di ordinaria<br />
brutalità, magari consumatasi tra l’indifferenza<br />
generale. La seconda invece pare annunciare<br />
un tentativo non definitivo di ricapitolare per<br />
grandi linee la presenza e l’evoluzione della<br />
Violenza nella storia dell’uomo. Due concetti<br />
in qualche modo contrapposti. La lingua<br />
italiana li distingue per mezzo di una semplice<br />
preposizione, mentre in Inglese convivono<br />
entrambi nella frase che dà il titolo all’ultimo<br />
lavoro di David Cronenberg. E proprio in<br />
questa ambivalenza sta una delle chiavi di<br />
lettura del film.<br />
La trama si basa sul tipico tema Noir del<br />
passato che ritorna come una maledizione per<br />
sconvolgere la vita di uomini che avevano<br />
ANTONIO AMENDOLARA<br />
Il passato davanti a noi<br />
Bruno Arpaia,<br />
Ugo Guanda editore, Parma <strong>2006</strong><br />
Le epigrafi che aprono l’ultimo romanzo<br />
di Arpaia racchiudono il senso e la difficoltà<br />
della sua impresa narrativa. La prima<br />
è di Scott Turow: Forse è inutile spiegare<br />
le passioni di un’epoca ad un’altra, subito<br />
seguita da una citazione dall’ultimo Javier<br />
Cercas, Le uniche storie che vale la<br />
pena di raccontare sono quelle che non<br />
possono essere raccontate. La narrazione<br />
si occupa di anni “difficili”, i ’70, quelli<br />
di una generazione che inseguiva la “semplicità<br />
che è difficile a farsi”, anni raccontati<br />
troppo poco e comunque troppo male.<br />
Le vicende di un gruppo di ragazzi in un<br />
paese del napoletano sono la trama di un<br />
racconto straordinario, in parte romanzo<br />
di iniziazione, ma soprattutto descrizione<br />
di un percorso collettivo, politico sì,<br />
ma anche sociale, culturale, affettivo. La<br />
ricostruzione è accuratissima, con l’aiuto<br />
esplicitamente dichiarato di molti amici e<br />
di molti libri, perché la verità storica non<br />
provato a cancellarlo e voltare pagina. Se<br />
si pensa al cinema nero come al genere che<br />
scava nel torbido della società con realismo<br />
ed eleganza formale, e che di solito preferisce<br />
lasciar intendere piuttosto che mostrare, mai<br />
si sarebbe immaginato di vedere un film Noir<br />
girato da Cronenberg, un regista che ancora<br />
si porta appiccicata addosso l’etichetta di<br />
profeta della mutazione, di filosofo del cinema<br />
splatter, e che da sempre lavora sulle immagini<br />
per mostrare il non ancora mostrato e il non<br />
mostrabile (“La Mosca” o “Scanners” solo per<br />
citare due esempi).<br />
Non bastasse questo, “A History of Violence”<br />
è anche un film su commissione, con un<br />
soggetto tratto da un albo a fumetti, insomma<br />
un progetto che rischiava pregiudizi e mala<br />
fede. E invece il regista canadese realizza<br />
può che essere impresa collettiva, perché<br />
“non trova posto in una sola testa”. Ma va<br />
dato merito ad Arpaia di aver acquistato,<br />
romanzo dopo romanzo, uno spessore narrativo<br />
e una capacità di coinvolgere mente,<br />
cuore e viscere del lettore, che lo pone<br />
allo stesso livello di scrittori come Jonathan<br />
Coe, con la capacità cioè di coniugare<br />
“l’assuefazione da soap opera con un’assoluta<br />
integrità culturale”. Per questo, forse,<br />
il romanzo di Arpaia ha la possibilità<br />
non tanto di far ricordare, in una sorta di<br />
nostalgico “come eravamo”, ma soprattutto<br />
di raccontare il percorso irripetibile di<br />
una generazione a chi ne ha sentito parlare<br />
solo nella distorsione e nella vulgata degli<br />
“anni di piombo”. E di libri come questo<br />
ce n’è bisogno, perché il passato continua<br />
ad essere davanti a noi, come accade all’Angelo<br />
della Storia di Benjamin (figura<br />
costante nei libri di Arpaia, direttamente<br />
o indirettamente evocata), e non si com-<br />
c u l t u r a<br />
“A History of Violence”<br />
di David Cronenberg<br />
uno splendido e angosciante studio sulle<br />
cause e le conseguenze di un atto di violenza,<br />
una radiografia completa della ferocia che<br />
serpeggia tra le pieghe delle nostre abitudini e<br />
dei nostri stili di vita. Ragionando freddamente<br />
sull’intreccio tra violenze psicologiche, fisiche<br />
e mediatiche, il film ritrae la violenza senza<br />
alcun compiacimento, la descrive come vizio,<br />
perversione, istinto malato, come strumento di<br />
potere, come sistema. Di fronte alla magnifica<br />
scena finale di A History of Violence, il miglior<br />
film della stagione 2005-<strong>2006</strong> a parere di chi<br />
scrive, è difficile non avvertire un brivido<br />
e non riconoscere, per un attimo, le proprie<br />
responsabilità di fronte alla violenza del<br />
sistema a cui si appartiene.<br />
PAOLO FANTI<br />
prende il presente e le sue miserie, se non<br />
interrogando il rimosso di quegli anni, anche<br />
recuperando e rivendicando quel senso<br />
di collettività, quella “voglia e il bisogno<br />
di uscire, di esporsi nella strada e nella<br />
piazza”, di cui cantava Giorgio Gaber.<br />
49
50<br />
Il Racconto<br />
La parabola<br />
dell’ottimismo<br />
Fabrizio Berti entrò alla stazione centrale di Ostia che<br />
era il ritratto sputato della felicità. Più che camminare,<br />
saltellava sulla punta dei piedi, come un ballerino, un<br />
sorriso largo gli attraversava la faccia come un nastro luminescente,<br />
e sebbene guardasse dritto davanti a sé, dava tuttavia<br />
l’impressione di non fissare nulla in particolare, come se<br />
niente di quanto lo circondava lo riguardasse veramente: né<br />
la rivendita di biglietti, né la piccola folla che si accalcava lungo<br />
il binario, né il treno, che arrivava sferragliando e stridente e<br />
apriva le porte sbuffando, come se ansimasse anche lui per il<br />
gran caldo. Era assorto in una serie di sublimi considerazioni<br />
intorno a tutto quello che si sarebbe potuto permettere con<br />
una rotonda cifra a quattro zeri a disposizione, e l’avrebbe sicuramente<br />
perso, il treno, gli sarebbe certamente sfilato sotto<br />
il naso come un serpentone fasciato di bianco e di celeste, se<br />
un ragazzone abbronzato e riccioluto, correndo, non l’avesse<br />
urtato con una spalla lucida di sudore, facendolo caracollare<br />
come un pupo siciliano ora su un piede ora sull’altro.<br />
Quando riguadagnò l’equilibrio, Fabrizio improvvisamente<br />
realizzò che non c’era tempo da perdere, nemmeno per comprare<br />
il biglietto, e si precipitò anche lui verso il treno, con la<br />
giacca a quadri, di cotone, leggerissima, svolazzante come un<br />
mantello, e una cartella di cuoio vecchio, lisa lungo le cuciture,<br />
stretta saldamente in un pugno.<br />
Era un sabato all’ora di pranzo, e i vagoni non erano gremiti<br />
come solitamente accade alla stessa ora per i restanti giorni<br />
della settimana. Fabrizio si asciugò il sudore dalla fronte con<br />
un fazzoletto su un lembo del quale erano ricamate in blu<br />
cobalto una F. e una B. – eredità del nonno -, e prese posto in<br />
uno scomparto vuoto, accanto al finestrino e nel senso della<br />
direzione di marcia.<br />
Era in uno stato di euforia incondizionata, in preda ad un<br />
ottimismo sfrenato, sfacciato e inscalfibile.<br />
La berlina del padre si era affogata tra singulti e borbottii<br />
nei pressi del Pontile, sul lungomare, e in un circostanze diver-<br />
GIUSEPPE LOMBARDI<br />
se una contingenza simile gli avrebbe fatto rizzare i peli dalla<br />
rabbia come un felino in stato d’allerta, per dare di seguito il<br />
via ad una lista di lamentele e recriminazioni rigogliosa e lussureggiante<br />
quanto la vegetazione di una foresta pluviale. Ma<br />
quel giorno no, per carità. Quel sabato sembrava non esserci<br />
impaccio che con un pizzico d’intraprendenza e buona sorte<br />
non si potesse aggirare. I contrattempi, anzi, si erano tutti<br />
mostrati come altrettante occasioni per esibire al cospetto<br />
della signora Vicini, o Piccini, o come diavolo si chiamava lei,<br />
la strabiliante facilità con cui era capace di venire a capo di<br />
problemi di svariato tipo, da quelli di arredamento spicciolo<br />
– Fabrizio faceva l’architetto -, a quelli di ordine strutturale,<br />
e anche un’eventualità in apparenza unicamente triste e infeconda<br />
come quella della macchina, a ben pensarci, non si<br />
era rilevata come assolutamente negativa, perché il motore<br />
sarebbe potuto affogare in una stradina interna dell’Infernetto,<br />
per esempio, lontano da un mezzo di soccorso, oppure in<br />
un altro momento, come la mattina, quando arrivare anche<br />
soltanto con pochi minuti di ritardo all’appuntamento con la<br />
maliarda sarebbe magari risultato fatale. La Lancia familiare<br />
di rappresentanza, invece, si era arenata dopo che la trattativa<br />
con la Vicini –Piccini era stata conclusa, e aveva oltretutto<br />
avuto il buongusto di inchiodarsi a nemmeno un centinaio di<br />
metri dall’officina di un meccanico indifferente alla calura e ai<br />
turni di riposo, giusto accanto alla fermata di un autobus che<br />
l’avrebbe accompagnato come un sovrano in parata dritto alla<br />
stazione.<br />
Non valeva la pena, in un giorno così, in cui era possibile<br />
scovare del buono anche nel fondo di una catastrofe, crearsi<br />
troppi affanni: ne avrebbe ricavato soltanto un’emicrania.<br />
Con la cartella sulle ginocchia e il capo inclinato verso<br />
il finestrino, Fabrizio palpava delicatamente la giacca<br />
all’incirca dalle parti del cuore, e sorrideva beato.<br />
Percorreva ripetutamente, accarezzandolo con i polpastrel-
li, il profilo dell’assegno che custodiva come un tesoro nel taschino<br />
interno. Lo stringeva nel palmo, lo sentiva spiegazzarsi,<br />
e allora allentava la presa, perché una volta assicuratosi che<br />
non si fosse volatilizzato e conservasse il suo posto, sarebbe<br />
stata un’intollerabile stupidaggine rovinarlo. Dodicimila euro<br />
valeva quella striscia sottile di carta che non smetteva di tormentare.<br />
Dodicimila euro. D’accordo, non era in definitiva una<br />
cifra da perderci la testa, tale da poterci vivere di rendita per<br />
il resto dei giorni – che era poi il sogno che in fondo al cuore<br />
coltivava -, ma costituiva pur sempre un solido inizio.<br />
Maurizio non aveva ancora uno studio con una placca d’ottone<br />
accanto alla porta, non poteva permetterselo. Lavorava<br />
come consulente in un’agenzia immobiliare, ma al di là della<br />
magniloquenza e ambiguità del termine, le mansioni che praticamente<br />
era chiamato a svolgere si riducevano, né più né<br />
meno, a quelle ordinarie di un’agente qualunque. Considerava<br />
la sua posizione schiettamente umiliante, e se a questo affiancava<br />
la paga sanguinante dello stipendio che riceveva – era<br />
grasso che colava se arrivava a 600 euro al mese – diventava<br />
paonazzo e gli veniva da piangere dalla disperazione.<br />
Era un professionista, lui, con tanto di titoli e attestati, non<br />
un garzone di bottega. La signora Belli, l’attempata e tirata<br />
titolare dell’agenzia, lo trattava come un giovincello alle prime<br />
armi, lo frustava con occhiatacce furenti ogni volta che<br />
si intratteneva al telefono più dello stretto necessario, non<br />
gli chiedeva mai un parere professionale, e quando lo inviava<br />
a trattare con un cliente gli forniva previamente una lista<br />
dettagliatissima di istruzioni che lui era tenuto unicamente a<br />
mandare a memoria e ad eseguire punto per punto. Come se<br />
lui, Fabrizio Berti, fosse un imbecille incapace di partorire un<br />
pensiero proprio e di spiccare frasi di senso compiuto.<br />
Ma non era così, accidenti. Lui non era il sempliciotto che in<br />
molti consideravano. Sapeva che l’agenzia non gli offriva alcuna<br />
seria prospettiva, che continuare in aeternum in quel posto equivaleva<br />
ad un crudele e infruttuoso spreco di energie, e perciò,<br />
dovunque andasse, anche per conto della Belli, si teneva pronto a<br />
cogliere al volo, qualora si fosse presentata, l’occasione propizia a<br />
procacciarsi un cliente a titolo strettamente personale.<br />
In questo modo contava di arrotondare le proprie entrate,<br />
ma soprattutto di farsi conoscere nell’ambiente per quello<br />
che realmente valeva.<br />
Questo era quanto aveva sempre sperato, e finalmente i<br />
fatti cominciavano a dargli ragione. Aveva avuto il merito di<br />
non desistere, di non cedere alla collezione di fregature che<br />
aveva accumulato. Aveva aspettato con la pazienza di un certosino,<br />
e quando il caso e la perseveranza – oltre che il preziosissimo<br />
contributo di un parrucchiere, per la verità -, lo misero in<br />
contatto con la Vicini, o Piccini, non si era lasciato cogliere alla<br />
sprovvista, e il risultato era che ora poteva godersi, svaccato<br />
sul sedile come sul divano di casa sua, il piacere intenso e tutto<br />
privato di lisciare amorevolmente, come un orsacchiotto di<br />
peluche, quella palpabilissima promessa di felicità.<br />
Il treno rallentò in un tratto in aperta campagna, e di lì a<br />
poco, con il consueto accompagnamento di sbuffi e stridori, si<br />
fermò del tutto.<br />
r a c c o n t o<br />
Ostia Antica, lesse Fabrizio su un cartello filante e abbrustolito<br />
dal sole, tamponandosi il collo e la fronte col suo bel<br />
fazzoletto siglato. Era accaldato, e smaniava di tornare a casa.<br />
Guardò l’orologio, e suppose che di quel passo non sarebbe<br />
giunto a Piramide prima di una mezz’ora buona. Frugò nella<br />
cartella come un cagnolino che scava una buca in un parco,<br />
con una certa apprensione, e ne estrasse il supplemento settimanale<br />
di un quotidiano. Posizionò la cartella di piatto a formare<br />
un piano liscio come un tavolino, e vi depositò sopra la<br />
rivista. Ma prima che potesse anche soltanto leggere il titolo<br />
sulla copertina, notò con la coda dell’occhio una figura scura<br />
e rotonda che si faceva largo nel vagone dondolando con il<br />
busto come se ad ogni passo, per poter aver ragione della<br />
propria mole, dovesse buttarsi con le spalle in avanti, come un<br />
velocista in prossimità del traguardo.<br />
Sbirciando con maggior attenzione, Fabrizio constatò che si<br />
trattava di una suora, e che puntava al sedile libero di fronte<br />
al suo.<br />
Era bassa e tracagnotta, con un crocifisso grande quanto un<br />
cartellone pubblicitario affondato nel petto, un paio di occhialetti<br />
di metallo assicurati a una catenella, un rosario arrotolato<br />
a un polso come un braccialetto, e il sacchetto di plastica di<br />
un supermercato che penzolava floscio dall’altra mano. Aveva<br />
un’espressione corrucciata, con la fronte rugosa e le sopracciglia<br />
arcuate, guance cascanti come le orecchie di un cocker,<br />
e una bocca stirata come un elastico sul punto di spezzarsi. Si<br />
sedette con una mezza giravolta sofferta e aiutandosi con entrambe<br />
le braccia, festeggiando la conclusione del movimento<br />
con un prolungato «ehhh » di soddisfazione che tradiva al<br />
contempo, nel tono squillante e risentito con cui era stato<br />
pronunciato, una fastidiosa afflizione nei confronti del mondo.<br />
Accomodatasi, Suor Sofferenza, come la ribattezzò all’istante<br />
Fabrizio, ricacciò nella cuffia che le cingeva il capo come<br />
un’aureola un ciuffo di capelli ribelli sotto un orecchio, estrasse<br />
dalla busta una copia della Settimana Enigmistica con una<br />
biro sepolta tra i cruciverba, e inforcò gli occhiali. Quindi tirò<br />
fuori da una tasca mimetizzata da qualche parte della tonaca<br />
un biglietto dell’autobus, lo posizionò per traverso sul margine<br />
esterno di una pagina, ben a portata di mano, e vergò sulla<br />
carta un ghirigoro per provare la penna.<br />
Effettuò diversi tentativi, ma l’inchiostro fluiva fino a un<br />
certo punto. Poi s’inceppava, e sembrava non volesse più saperne<br />
di continuare a sgorgare. Armata di pia pazienza, Suor<br />
Sofferenza interveniva ogni volta con puntiglio, umettando la<br />
punta con la lingua, come se dovesse ripulirla da chissà quale<br />
incrostazione, e alitandovi sopra, ma quell’accidenti di aggeggio,<br />
come l’anima di un posseduto, non rispondeva alle sane<br />
sollecitazioni, e quando dalla sfera della punta non trapassò sul<br />
foglio neppure una miserrima goccia d’inchiostro, le si rimpicciolirono<br />
gli occhi dalla collera, e Fabrizio pensò che doveva<br />
costarle parecchio trattenersi dallo scaraventarla a terra e distruggerla<br />
sotto i tacchi.<br />
Per questo sorrise. Ricordò allora di avere con sé la Mont<br />
Blanc infilata di lungo nella stessa tasca dell’assegno, e dopo<br />
l’ennesima tastata colma d’incredulità al suo nuovo e potentis-<br />
51
a c c o n t o<br />
simo talismano, la porse fiero impugnandola per il cappuccio<br />
alla vicina bisognosa, che l’accettò senza troppe cerimonie, increspando<br />
appena le labbra.<br />
Il settimanale allegato al quotidiano, più che un supplemento<br />
d’informazione, era un variegato raccoglitore pubblicitario,<br />
e a Fabrizio venne ben presto a noia.<br />
Come era possibile, si domandava in un tono stizzito misto<br />
a un candido stupore da fanciullino, confezionare un prodotto<br />
così schiettamente mediocre quando si poteva contare su risorse<br />
non certo risicate? Non riusciva proprio a spiegarselo.<br />
Fosse capitato in sorte a lui di occupare la poltrona del direttore,<br />
con pochi e mirati ritocchi, quel giornale lo avrebbe trasformato<br />
da cima a fondo fino a renderlo irriconoscibile, ci avrebbe<br />
messo la mano sul fuoco, e smodatamente assorbito da un’ebbra<br />
fantasticheria di potere, immaginando già di istruire e pontificare<br />
un consiglio d’amministrazione che accoglieva i suoi ragionamenti<br />
con il silenzio e il rispetto che si tributa a un profeta, non<br />
badò troppo al fatto che la via crucis del trenino si era intanto<br />
arricchita di una nuova fermata, e che dal momento in cui le porte<br />
si erano richiuse nel vagone si era immediatamente diffusa,<br />
come una macchia che si espande, una scia satura di elettricità. Il<br />
chiacchiericcio si era abbassato di tono, come se all’improvviso<br />
la maggior parte dei passeggeri avesse unanimemente deciso di<br />
applicare una sordina alla bocca, gli sguardi di molti guizzavano<br />
mobili e fugaci come quelli degli innamorati, e chi aveva i piedi<br />
allungati sul sedile di fronte, riguadagnava in un baleno un contegno<br />
e una posizione irreprensibili, come un adolescente che<br />
non vuole essere pescato a masturbarsi nel bagno e si rassetta<br />
frettolosamente i pantaloni.<br />
«Mi fa vedere vedere che giorno è oggi?», proruppe d’un<br />
tratto Suor Sofferenza, e senza prendersi la briga di aspettare<br />
la risposta, arpionò la rivista e quasi l’appiccicò agli occhi, impugnandola<br />
con entrambe le mani e sollevandola come uno<br />
stendardo o un simbolo sacro, in una posizione per cui, incollando<br />
il mento al petto, le fosse possibile raggiungere direttamente,<br />
scavalcando il filtro degli occhiali, l’informazione che<br />
l’interessava.<br />
Suor Sofferenza fu lesta come un bambino a rubare la cioccolata.<br />
Sistemò la rivista sulle ginocchia, vi spianò sopra il biglietto,<br />
e con la Mont Blanc di Fabrizio segnò lungo un margine<br />
la data e l’ora.<br />
Fabrizio rimase immobile, esterrefatto, e per un istante<br />
considerò seriamente l’ipotesi che nella testa di Suor Sofferenza<br />
non funzionasse tutto a dovere. Ruotò quindi il capo a<br />
monitorare il vagone, per verificare se per caso gli fosse sfuggito<br />
qualcosa, e quando finalmente individuò la causa di tante<br />
stranezze fu come ricevere un gancio dritto sul mento.<br />
«Porca puttana», mormorò debolmente, ma Suor Sofferenza<br />
dovette udirlo lo stesso, perché quando scostò i palmi dagli<br />
occhi come imposte dalle finestre, lei lo fissava con un’aria<br />
decisamente sdegnata.<br />
Cinque controllori, intanto, con tanto di berretto e cartellino<br />
appuntato alla giacca, si erano disposti all’interno del<br />
vagone come militari dentro un fortino.<br />
52<br />
In un altro momento, in circostanze simili, Fabrizio avrebbe<br />
probabilmente improvvisato una manfrina infinita, sperando di<br />
prendere il controllore per la stanchezza, come aveva peraltro<br />
già avuto modo di sperimentare in passato, ma quel giorno<br />
non poteva essere considerato alla stregua degli altri. Quel<br />
sabato rappresentava la promessa concreta della fine imminente<br />
del suo periodo di apprendistato, per cui sarebbe stato<br />
ridicolo, per non dire patetico, da parte sua, star lì a sbracciare<br />
e a sgolarsi per provare a risparmiare qualche soldo quando<br />
in tasca praticamente trasportava un piccolo tesoro. Oltre al<br />
fatto che non ci pensava neppure lontanamente a concedere a<br />
Suor Sofferenza la soddisfazione di mostrarsi sul punto di perdere<br />
il controllo, perché glielo leggeva chiaramente negli occhi<br />
sornioni che le avrebbe fatto piacere. Si trattava di spiccioli, in<br />
definitiva, ed anzi, a voler esser pignoli, era comunque meno di<br />
quanto gli avrebbero chiesto per far rimorchiare la macchina<br />
da un carro attrezzi.<br />
Accavallò quindi le gambe, lasciò scivolare le mani sulla stoffa<br />
dei pantaloni, resuscitò da una tasca il fazzoletto, e quando<br />
un controllore con una criniera fulva come quella di un leone<br />
lo pregò con una voce da baritono di esibire il «titolo di viaggio,<br />
per cortesia», Fabrizio gli porse direttamente i documenti,<br />
senza aggiungere una sola parola.<br />
Si augurò che tanto bastasse, che tanta franchezza valesse a<br />
evitargli qualsiasi tipo di frecciatina o di commento avvelenato,<br />
ma da questo punto di vista occorre precisare che Fabrizio<br />
senz’altro esagerava, perché il controllore non aveva alcuna<br />
voglia né interesse a tirarla per le lunghe. Presunti o reali che<br />
fossero, i tormenti intimi dei clienti non rientravano nell’ambito<br />
delle sue competenze, non era tenuto né ad ascoltarli né a<br />
valutarli, e né tanto meno a fare da aguzzino, per cui si limitò<br />
ad abbrancare con un’uncinata neutra la patente che pendeva<br />
floscia come una bandiera ammainata dalle dita di Fabrizio,<br />
verificò sommariamente, giusto per rispettare la prassi, che<br />
la faccia dell’utente castigato corrispondesse più o meno alla<br />
foto applicata sul documento, e passò meccanicamente a trascrivere<br />
i dati su un blocchetto spesso come un quadratino<br />
compatto di cioccolato fondente.<br />
Suor Sofferenza, intanto, aveva dato il via ai preparativi per<br />
la discesa.<br />
Infilò la Mont Blanc insieme alla Settimana Enigmistica nella<br />
busta del supermercato, si sollevò dal sedile con un «Ehhh»<br />
ancora più strascicato e gutturale del sospiro angustiato con<br />
cui si era seduta, e con il biglietto costantemente in vista, chiuso<br />
nel pugno come il calcio di un’arma, si trascinò caracollando<br />
fino all’asta di sostegno nei pressi di una porta. In conclusione<br />
del tragitto, però, quando il treno aveva cominciato a frenare,<br />
Suor Sofferenza aveva accusato il rinculo, si era portata troppo<br />
indietro con le spalle, ed era parsa sul punto di cadere,<br />
tanto che sia Fabrizio che il controllore indirizzarono allarmati<br />
lo sguardo verso la monaca, convinti entrambi che stesse<br />
ineluttabilmente per rovinare a terra. Ma Suor Sofferenza, per<br />
quanto paurosamente, oscillò soltanto. Si inarcò su un fianco,<br />
come una barca che rolla tra le onde, tanto che la busta arrivò<br />
a strusciare il rivestimento di gomma con cui era pavimentato
il vagone, e quando sembrava ormai che fosse spacciata, con<br />
una manata disperata abbrancò l’asta e tornò in equilibrio.<br />
«Meno male», mormorò il controllore, piegando verso Fabrizio<br />
la cartellina rigida su cui aveva compilato il verbale, e aggiungendo<br />
di seguito, indicando col dito un punto evidenziato<br />
con una X: «firmi qui».<br />
Fabrizio portò meccanicamente la mano alla tasca, e non<br />
tastando nient’altro che l’assegno, ricordò di aver gentilmente<br />
prestato la sua splendida Mont Blanc modello Mozart, a Suor<br />
Sofferenza che, dal canto suo, invece, non gliel’aveva più ridata.<br />
Si alzò quindi di scatto, come se gli corresse una lucertola<br />
lungo la schiena, e con un solo balzo raggiunse la suora. Le<br />
poggiò una mano sulla spalla – ma delicatamente, beninteso,<br />
sebbene non disdegnasse affatto l’idea di infliggerle una solenne<br />
scrollata -, e con una voce calma come le acque di un lago<br />
che non mancò di sorprendere lui per primo, le chiese che gli<br />
restituisse il maltolto.<br />
Ruotando macchinosamente sul busto, Suor Sofferenza si<br />
voltò, e guardò Fabrizio come<br />
se l’osservasse da una distanza siderale, o lo vedesse per la<br />
prima volta.<br />
Fabrizio considerò che forse la sua voce era stata in parte<br />
coperta dal fracasso del treno, o che magari quella fosse un<br />
po’ sorda, oltre che svampita, e riformulò la richiesta a un<br />
tono decisamente più alto, quasi stridulo, premurandosi di accompagnare<br />
le parole con gesti a suo avviso inequivocabili.<br />
«La mia penna», scandì Fabrizio, mimando con la destra<br />
l’atto di scrivere. «I cruciverba», proseguì, e ripeté daccapo<br />
lo stesso gesto, con l’unica variante di un appena percettibile<br />
– ma per lui evidentissimo – spostamento della mano, ora in<br />
orizzontale, ora in verticale.<br />
Suor Sofferenza arricciò le labbra e strinse gli occhi. Farfugliò<br />
qualcosa tra i denti, e quando le porte del vagone si<br />
spalancarono, mosse di riflesso un passo verso l’uscita. Continuava<br />
a scrutare Fabrizio come dall’alto di una torre, con un<br />
fastidio crescente, come se si trattasse di un estraneo molesto<br />
e importuno, finchè non cacciò d’un tratto la mano nel sacchetto<br />
e non ne estrasse la penna. La soppesò per un’ultima<br />
volta sul palmo, come se rimpiangesse di doversene separare,<br />
e non smettendo di bofonchiare, allungò il braccio come una<br />
regina che concede l’obolo a un mendicante. Quindi tornò a<br />
voltarsi, e senza mutare di una ruga la sua espressione di perenne<br />
corruccio, atterrò sulla banchina con l’imperizia di un<br />
paracadutista al primo lancio.<br />
Fabrizio era rimasto dritto e fermo al centro del vagone<br />
a sbollire la sua moderatissima rabbia. «Ma tu guarda….», si<br />
lamentava, e intanto fissava la Mont Blanc riacciuffata in extremis.<br />
«Almeno l’ho recuperata», sbuffò infine, abbandonando le<br />
braccia sui fianchi, e fece per voltarsi e riprendere posto, ma<br />
il controllore – se n’era già dimenticato -, con la cartellina del<br />
verbale ben tesa, gli si parò davanti sbarrandogli il passo.<br />
«Cose che capitano», commentò laconico, mentre Fabrizio<br />
cercava sul foglio il punto contrassegnato dalla X, a fianco del<br />
quale impresse uno svolazzo incomprensibile.<br />
r a c c o n t o<br />
I<br />
vagoni sfilavano, più che sfrecciare, su una lingua di pianura<br />
srotolata ai piedi di due collinette in pieno furore edilizio.<br />
Il sole ora lo stava letteralmente cuocendo. Fabrizio<br />
sentì il sudore colargli vischioso lungo la nuca, sulle tempie e<br />
intorno al collo, e appiccicò la rivista al finestrino in modo da<br />
ripararsi per lo meno gli occhi.<br />
Su entrambi i lati dei binari, in un’area in fin dei conti modesta<br />
per estensione, contò approssimativamente sei sette gru,<br />
intorno alle quali sbocciavano a grappoli aiuole di cemento<br />
profilate a casoni, villette e palazzacci: uno scempio da un punto<br />
di vista paesaggistico, su questo non nutriva il minimo dubbio,<br />
ma un’autentica manna che cadeva dal cielo per chi esercitava<br />
la sua professione. Bisognava anzi che non trascurasse<br />
di farsi un giro da quelle parti un giorno o l’altro, che magari<br />
qualcos’altro di buono sarebbe ancora riuscito a cavarne.<br />
La Vicini – Piccini se l’era bevuta come una coppa di cognac.<br />
L’aveva lusingata lasciandole credere che per disegnare il progetto<br />
gli fosse bastato seguire i suoi suggerimenti, si era sdilinquito<br />
a forza di complimenti e smancerie, e quando erano<br />
passati ad affrontare l’argomento tradizionalmente più intricato<br />
e spinoso di tutti, vale a dire l’importo da corrispondere<br />
per una parcella che potesse essere definita equa da entrambe<br />
le parti, non aveva praticamente battuto ciglio. Aveva riempito<br />
l’assegno per la cifra esatta che Fabrizio aveva avuto la sfacciataggine<br />
di avanzare, e gliel’aveva infilato tra le dita. Senza<br />
sollevare nessuna obiezione.<br />
«To’!», esclamò Fabrizio tra sé, dedicando alla signora Belli<br />
un sincerissimo gesto dell’ombrello, e sbirciando la scritta Tor<br />
di Valle al di là del finestrino. Calcolò che mancavano ormai<br />
soltanto tre fermate, e si sfregò le mani.<br />
In verità, una volta a Piramide, Fabrizio non aveva intenzione<br />
di riparare direttamente a casa, o meglio, a casa di Chiara,<br />
perché sapeva che lei non sarebbe tornata prima di sera, e<br />
mangiare da solo, cucinare e apparecchiare soltanto per sé, lo<br />
deprimeva in maniera atroce.<br />
Era meglio puntare prima dai suoi.<br />
Avrebbero pranzato con il sottofondo del telegiornale. Suo<br />
padre avrebbe più o meno apertamente insinuato che il problema<br />
alla macchina era in un modo o nell’altro riconducibile<br />
a qualche sua negligenza, perché a lui, che aveva sempre scrupolosamente<br />
curato la manutenzione, non era mai capitato di<br />
rimanere a piedi. La madre avrebbe silenziosamente trascinato<br />
una mano sul tavolo fino a stringere con una pressione lieve<br />
il braccio del marito, affinché non calcasse troppo la mano,<br />
e a lui, a Fabrizio, sarebbero risaliti gli spaghetti in gola per il<br />
nervoso.<br />
Ma d’ora in avanti scene del genere non si sarebbero più<br />
ripetute. Aveva gli argomenti giusti, finalmente, per mettere il<br />
vecchio al posto suo, e per impedire alla madre di assumere<br />
il tono rassegnato da Madonna Addolorata con cui accoglieva<br />
da una vita, mirando a spegnerli, o quanto meno a attenuarli,<br />
gli ardori attempati e accidiosi del coniuge.<br />
Oppure si sarebbe divertito un po’.<br />
Avrebbe lasciato che il padre attaccasse la solita solfa, che<br />
lo definisse «povero scalmanato», e che si sperticasse in ogni<br />
53
a c c o n t o<br />
sorta di paragoni tra la giovinezza magra e desolante che era<br />
toccata vivere a lui, e quella dorata e abbondante al confronto<br />
che aveva saputo offrire al figlio. Avrebbe girato intorno ad<br />
argomenti di questo tipo a mo’ di preambolo, per temporeggiare,<br />
e quando avrebbe ritenuto il campo arato a dovere e<br />
pronto a ricevere il seme, sarebbe piombato dall’alto come<br />
un angelo vendicatore e avrebbe calato l’asso: la «solidità economica».<br />
A questo punto, prima che proseguisse nell’arringa<br />
e l’accusasse di essere in tutto e per tutto un mantenuto, un<br />
peso che erano costretti a sobbarcarsi a turno «quella cara<br />
ragazza di Chiara» e loro, vale a dire i suoi genitori, che non<br />
erano presumibilmente eterni, nel momento preciso in cui<br />
avrebbe udito il padre pronunciare con la tracotanza delle<br />
grandi occasioni la parola «mantenuto», Fabrizio si vedeva distintamente<br />
scostare con un gesto studiato la sedia dal tavolo,<br />
allontanarsi come un attore consumato che esce di scena per<br />
chiamare l’applauso, recuperare l’assegno dalla giacca appesa<br />
all’ingresso, e spiattellarglielo spavaldo sul ghigno come una<br />
torta ricoperta di panna.<br />
Fu lo schiamazzo proveniente da un gruppetto di nuovi arrivati,<br />
quattro pischelli in canotta slabbrata e pantaloncini a<br />
lambire il ginocchio, che lo sottrasse di forza, con una certa<br />
violenza, alla dolcezza delle sue trionfalistiche premonizioni.<br />
Il treno scattò in avanti, e Fabrizio, con un occhio rivolto ai<br />
movimenti della combriccola, augurandosi che si tenessero a<br />
distanza, riposizionò la rivista sul finestrino.<br />
Desiderava non essere disturbato, e quando il più alto dei<br />
quattro, con un pallone da basket che gli brillava tra le mani<br />
come uno scettro e gli conferiva un’aura d’indiscussa autorità<br />
sugli altri si fiondò verso un quadrato di sedili liberi dall’altra<br />
parte del vagone, gliene fu sinceramente grato. Sbuffò di<br />
sollievo, a labbra socchiuse, ma non appena aveva cominciato<br />
ad assaporarlo, l’incanto solo pregustato di beata solitudine<br />
si infranse come una sottile lastra di cristallo sotto l’incedere<br />
pesante e sgraziato di due teste, una nero carboncino e l’altra<br />
bionda platinata, avvolte in una nuvola di chiacchiericcio<br />
fitto come un temporale. Si sedettero l’una di fronte all’altra:<br />
la bionda – in jeans a vita bassa e mogliettina attillata bianca<br />
– accanto a Fabrizio, e la mora – in tuta da ginnastica grigia e<br />
la pettinatura scarmigliata come un nido di rondine – in quello<br />
che fino a qualche minuto prima era stato il posto di Suor<br />
Sofferenza.<br />
Era la sportiva la più loquace.<br />
Fabrizio le osservò entrambe, e ne ricavò netta la sensazione<br />
che quel cicaleccio non si sarebbe smorzato in tempi<br />
brevi. Si guardò allora intorno, per verificare la disponibilità<br />
di un’alternativa, ma lungo il tragitto il numero dei passeggeri<br />
era andato costantemente aumentando, e dovunque avesse<br />
deciso di spostarsi, si sarebbe ritrovato nella medesima, incresciosa<br />
condizione di fiati e gomiti incrociati e ravvicinati, per<br />
cui accantonò rapidamente l’idea, inclinò la testa a toccare il<br />
finestrino, e chiuse placidamente gli occhi.<br />
Un’immagine di Chiara in versione intima, domestica, con<br />
gli occhialetti verdi invece che le lentine, e seria come in una<br />
fototessera per documenti, gli attraversò la mente. Si raffigu-<br />
54<br />
rò l’espressione d’incredulità che avrebbe assunto – labbra<br />
protese a circolo e ciglia svolazzanti – nel momento in cui le<br />
avrebbe mostrato l’assegno, e dovette forzarsi non poco per<br />
imbrigliare un sorrisino compiaciuto che prometteva di esplodergli<br />
in viso da un momento all’altro, e che chissà come sarebbe<br />
stato interpretato dalla sportiva scarmigliata, a cui non<br />
sarebbe in alcun modo potuto sfuggire.<br />
Che donna monumentale che era Chiara, sfaccettata come<br />
un corallo: disinvolta, allegra, spregiudicata, ma anche estremamente<br />
paziente, nonché pratica ed affidabile.<br />
Poteva considerarsi fortunato ad averla incontrata.<br />
Certo, quando la sera si allungava sul divano come una<br />
matrona su un canapè, occupandolo del tutto, se lo poteva<br />
scordare Fabrizio di volteggiarle intorno come una farfalla sulla<br />
corolla di un fiore. In questo Chiara era inamovibile: non<br />
rincasava per ascoltare lagne o rimostranze, soprattutto se<br />
invischiate in maniera più o meno diretta con asfissianti e appiccicose<br />
questioni di lavoro. Per la gran parte del giorno era<br />
assediata da colleghi arrivisti e litigiosi e capi pretenziosi che<br />
faceva fatica a tenere a bada, per cui quando la sera si chiudeva<br />
alle spalle il portone di casa, non prendeva minimamente<br />
in considerazione l’ipotesi che qualcuno potesse seguitare ad<br />
affliggerla con seccature del genere. Perciò, se per una semplice<br />
disattenzione o per recar sollievo a un’urgenza divenuta<br />
frattanto insostenibile, Fabrizio osava accennare soltanto alla<br />
signora Belli o a qualche altro prurito connesso con l’Agenzia,<br />
lo sguardo di Chiara diventava fosco e limaccioso come il<br />
fondo di un abisso, le guance le si imporporavano nonostante<br />
lo strato spesso di fondotinta, e il viso le si rattrappiva in una<br />
smorfia di sdegno che gli impediva di insistere e proseguire.<br />
Per il resto, però, per tutto il resto, non avrebbe saputo<br />
indicare in lei alcun altro difetto. Si concedeva senza riserve<br />
– e già questo, a ben vedere, potrebbe bastare, in quanto<br />
la generosità è una prerogativa ancor più rara della gemma<br />
più preziosa -, ma aveva soprattutto il merito – straordinario<br />
senz’ombra di dubbio – di non vantarsene mai, neppure quando<br />
avrebbe largamente potuto.<br />
La casa in cui vivevano apparteneva a lei, il bigliettone da<br />
cinquanta che Fabrizio aveva in tasca, spianato come una bandiera<br />
nel portafoglio, gliel’aveva lasciato lei la mattina sul frigorifero<br />
prima di andare via: la relativa tranquillità di cui godevano<br />
derivava quasi per intero dall’applicazione e dagli sforzi di<br />
Chiara, eppure Fabrizio non poteva menzionare nessun episodio<br />
in cui lei gliel’avesse, anche solo velatamente, rinfacciato.<br />
L’esatto contrario del padre, che invece prima lo esortava<br />
a allungare la mano e chiedere, con il pretesto che il genitore<br />
rimaneva pur sempre lui, e che fin quando avrebbe potuto<br />
aiutarlo, l’avrebbe fatto volentieri, ma che poi, una volta elargito<br />
il contributo, non appena ne scorgeva il pretesto, intonava<br />
salmi struggenti e strazianti che avrebbero lacerato i timpani<br />
di qualsiasi orecchio.<br />
La bionda platinata che gli si era seduta accanto odorava di<br />
shampoo e acqua di colonia. Ascoltava l’amica con un sopracciglio<br />
alzato e le dita intente a tormentare un anello con una<br />
pietra bruna grossa come un uovo.
Fabrizio rovesciò la testa all’indietro, e si massaggiò le tempie.<br />
Era fiducioso. Credeva che, alla fine, al prezzo di un’ulteriore<br />
manciata di fatica e restrizioni, si sarebbe aggiustato tutto e<br />
che ogni tassello sarebbe andato al posto giusto.<br />
Un giorno avrebbe avuto un ufficio di ben altro stile rispetto<br />
a quello della Belli – per un architetto lo stile è un requisito<br />
fondamentale, non una minuzia qualsiasi -, la sua firma in calce<br />
a un rotolino di disegni riga e squadra gli avrebbe finalmente<br />
consentito una vita decente, quella che in realtà meritava,<br />
e a Chiara avrebbe restituito tutto, fino all’ultimo centesimo,<br />
decuplicato con gli interessi. L’avrebbe sommersa di fiori e di<br />
regali, come in una bella storia a lieto fine; mentre per quanto<br />
riguardava suo padre...beh, che si rodesse pure il fegato dall’invidia.<br />
Udì allora le note di una fisarmonica che montavano come<br />
un’onda anomala dal fondo del vagone, e raddrizzò di colpo la<br />
testa, come se una zanzara l’avesse punto sulla nuca.<br />
I suoni provenivano da una coppia di suonatori composta<br />
da un gigante con le spalle cascanti, il naso rosso e le scarpe<br />
consumate sulle punte, tra le cui grinfie una chitarra elettrica<br />
dondolava docile come un fuscello di giunchi accarezzato dal<br />
vento, e un ragazzotto dal viso stretto e il mento appuntito,<br />
scuro di carnagione, con la camicia arrotolata ai gomiti, e i<br />
pantaloni tagliati al polpaccio.<br />
Suonavano probabilmente da quando dovevano essere guizzati<br />
dentro alla stazione precedente, ma Fabrizio, preoccupato<br />
com’era delle decisioni del gruppetto in tenuta da basket<br />
prima, e totalmente assorto nei suoi pensieri di gloria poi,<br />
non se n’era minimamente avveduto. O almeno non in maniera<br />
cosciente. Perché la musica invece, ora se ne rendeva<br />
nitidamente conto, si era fatta strada comunque, raggiungendo<br />
la sua magnifica cavalcata immaginaria e colorandola di un<br />
languore soffuso come la luce di un lampione isolato in una<br />
stradina di periferia.<br />
Si dispose quindi seriamente all’ascolto, con i gomiti sui ginocchi<br />
e il mento poggiato alle nocche intrecciate. Considerò<br />
per l’ennesima volta che quel sabato era un giorno baciato<br />
dalla grazia, che lo era stato sin dal momento in cui aveva<br />
messo i piedi fuori dal letto, e che continuava ad esserlo a dispetto<br />
dei singhiozzi in cui si era senilmente sciolto il motore,<br />
di Suor Sofferenza, e della multa affibbiatagli dai controllori.<br />
Nonostante tutto, si trattava pur sempre di eventi trascurabili,<br />
di temporanee macchie scure in un arco di luce, di problemucci<br />
di poco conto che poteva finalmente concedersi il gusto<br />
di liquidare con l’indifferenza spumeggiante di una semplice<br />
alzata di spalle.<br />
Che genere di danni potevano ormai derivargli dalla sostituzione<br />
di un motore o da una contravvenzione?<br />
Non si considerava certo un uomo arrivato, questo no, non<br />
ancora, ma non era più lo squilibrato che vacillava al primo<br />
scossone. Non più. D’ora in avanti Fabrizio Berti non si sarebbe<br />
angustiato per una piccolezza qualsiasi. Aveva una solidità<br />
nuova ora, uno spessore diverso che lo librava come un<br />
sovrano al di sopra delle comuni preoccupazioni. Il Fabrizio<br />
r a c c o n t o<br />
tremolante e arrabattone di un tempo non esisteva più, si era<br />
dileguato come un’ombra in un vicolo stretto, mentre una<br />
sconosciuta e meravigliosa sensazione di onnipotenza, maestosa<br />
come una cattedrale, si propagava fino all’ultima delle<br />
sue fibre con la rapidità e la virulenza di un’infezione letale. Il<br />
futuro gli avrebbe sicuramente teso trappole e trabocchetti<br />
d’ogni tipo, ma lui li avrebbe superati di slancio e con disinvoltura,<br />
ci avrebbe messo la mano sul fuoco.<br />
Questo era, nel fondo, il suo più intimo convincimento.<br />
A una persona caparbia e dotata come lui, pensava, la vita<br />
doveva per forza di cose, ad un certo punto, cominciare a sorridere.<br />
E Fabrizio avvertiva come un impulso prepotente e con<br />
il cuore colmo d’ottimismo che quel momento era finalmente<br />
arrivato anche per lui, che la magra poteva definitivamente<br />
considerarsi conclusa, e che nonostante la minaccia sempre<br />
insidiosa di qualche turbolenza di passaggio, non sarebbe più<br />
tornato indietro.<br />
Perciò, quando il giovane con la fisarmonica gli si chinò davanti<br />
con un bicchierone sformato e appiattito tra le mani, fu<br />
per Fabrizio del tutto spontaneo cavarsi di tasca il portafoglio,<br />
frugarvi dentro alla ricerca di qualche spicciolo, e non trovandone<br />
alcuno, neppure un centesimo, non volendo rappresentare<br />
un motivo di delusione per chicchessia, pizzicare con due<br />
dita il lembo sporgente dei 50 €, sfilarli con un elegante colpo<br />
di polso, secco come una frustata, e depositarli con l’indifferenza<br />
del mecenate nel fondo del bicchiere.<br />
Il ragazzo ritirò il braccio contenendo il gesto a fatica, lanciò<br />
un’occhiata trepidante al socio in affari, e temendo forse<br />
che il munifico benefattore potesse essere folgorato da un<br />
repentino ripensamento, si defilò in tutta fretta.<br />
La mora strabuzzò gli occhi come di fronte a un fenomeno<br />
soprannaturale, e non appena fu certa di non esser vista, rivolgendosi<br />
all’amica, si picchiettò con l’indice sulla tempia. Quindi<br />
riattaccò discorso in un tono da scampata a un’apocalisse che<br />
fece rabbrividire di sdegno Fabrizio, e lo costrinse a voltarsi<br />
verso il finestrino.<br />
Varcati i cancelli della stazione, non avendo ancora stabilito<br />
come raggiungere l’appartamento dei suoi, Fabrizio<br />
si fermò titubante sul marciapiede. Indossò la giacca<br />
con la cartella stretta tra le ginocchia, si batté sul petto in corrispondenza<br />
della tasca con l’assegno, e si guardò intorno con<br />
la serietà di un marinaio che scruta pensoso l’orizzonte.<br />
A pochi metri da lui, sul lato opposto della strada, accanto<br />
a un’aiuola con un pino al centro alto quanto un campanile,<br />
scorse l’area riservata al posteggio dei taxi, e dopo una sommaria<br />
occhiata di confronto con gli autobus accalcati come<br />
pachidermi arroventati lungo i capolinea, assicuratosi che non<br />
passasse nessuno, allungò il passo e attraversò. Si avvicinò a<br />
due macchine bianche, quasi identiche, allineate come sulla<br />
griglia di partenza di una corsa, con i conducenti in piedi nel<br />
mezzo come salsicciotti in un panino, l’uno di fronte all’altro e<br />
con le schiene poggiate agli sportelli.<br />
Fabrizio si rivolse al più anziano dei due, un uomo dai capelli<br />
grigi e ispidi che gli spiovevano sulla fronte à la Diabolik,<br />
55
a c c o n t o<br />
appuntiti e simmetrici come le ali di una freccia, la camicia<br />
incollata al ventre con i bottoni sul punto di scoppiare, e le<br />
guance rosse e rugose. Fece per chiedere a chi dei due spettasse<br />
il turno, ma quello l’interruppe prima che riuscisse a<br />
pronunciare la frase per intero, gli indicò l’altro con un gesto<br />
di stizza che sfociò in un grugnito – imputabile probabilmente<br />
alla chiusura forzata della conversazione -, e gli voltò le spalle.<br />
Il tassista capitato a Fabrizio, invece, aveva spalle e bicipiti<br />
balestrati, gambe in rapporto al torace troppo corte e striminzite,<br />
e un testone tondo come un cerchio di Giotto. Avviò<br />
il motore, e prima di partire, dopo aver domandato a Fabrizio<br />
dove dovesse dirigersi, accese la radio, regolò il volume, inforcò<br />
gli occhiali da sole a goccia con le lenti verdi, e allungando<br />
il collo come un tacchino si rimirò compiaciuto nello specchietto<br />
retrovisore.<br />
In macchina Fabrizio non spiccicò parola. Si sistemò regalmente<br />
sul sedile come su un trono, allentò di un bottone la<br />
morsa della camicia sul collo, e vi passò tutt’intorno il fazzoletto.<br />
Il tassista lo spiava rapsodicamente dallo specchietto, e al<br />
riparo di un ghigno tra il sardonico e il beffardo e che, a dire la<br />
verità, mal si combinava con quella massa fulgente di muscoli,<br />
conferendogli un’aria piuttosto idiota, malediva impudicamente<br />
il nuovo cliente, ingiuriandolo tra sé a non finire per il sudore<br />
che doveva spalmare sul coprisedile nuovo di zecca.<br />
Il traffico era rado e scorrevole come può esserlo soltanto<br />
in un fine di settimana infuocato a cavallo dell’ora di pranzo, e<br />
in una ventina di minuti scarsi, prima cioè di quanto Fabrizio<br />
stesso avesse preventivato, raggiunsero il Quartiere Africano.<br />
Giunti che furono davanti al portone, Fabrizio fece segno al<br />
tassista di accostare. Domandò con un certo sussiego il prezzo<br />
della corsa, e quando ormai era già fuori dalla macchina<br />
con una gamba e con le dita a tenaglia sul portafoglio, in quel<br />
preciso istante realizzò di non avere più in tasca il becco di un<br />
centesimo, e impallidì.<br />
Il tassista ebbe un vago sentore che qualcosa di spiacevole<br />
stava per realizzarsi, e aggrottò la fronte in un’espressione<br />
che era insieme d’allerta e di massima concentrazione. Fabrizio<br />
pensò dapprima di cavarsela con la tessera del bancomat,<br />
ma prevedendo che la macchinetta l’avrebbe impietosamente<br />
sbugiardato, e che quindi non avrebbe risolto nulla in quel<br />
modo, accantonò il proposito con altrettanta rapidità con cui<br />
gli era venuto in mente. Pregò allora l’autista di pazientare<br />
ancora qualche minuto, scattò fuori dalla macchina come la<br />
molla di una trappola per topi, e incollò il dito al bottone del<br />
citofono.<br />
Per quanto si desse la pena di scampanellare, dall’altro capo<br />
del filo non rispondeva nessuno.<br />
Le due uniche persone, infatti, in grado di intervenire con<br />
una certa efficacia in un frangente sciagurato come quello in<br />
cui Fabrizio si era malauguratamente andato a invischiare, erano<br />
contemporaneamente occupate in altro, e non potevano<br />
prestare il soccorso sperato: il padre ronfava beatamente in<br />
poltrona davanti al televisore con un volume così alto che<br />
avrebbe attutito, se non coperto del tutto, il boato di una can-<br />
56<br />
nonata; mentre la madre sorbiva piacevolmente un caffè con<br />
la vicina del piano di sotto.<br />
Fabrizio si girò verso il tassista, che intanto aspettava a braccia<br />
conserte, massiccio e rigido come un totem, sul marciapiede,<br />
e piegò le labbra in una smorfia che se nelle sue intenzioni<br />
doveva trasudare pura rassicurazione, comunicava invece una<br />
smaccante e progressiva perdita di controllo.<br />
Si riattaccò allora nuovamente al citofono. Schiacciò sul tasto<br />
con insistenza, tese l’orecchio, e aspettò una risposta con<br />
il fiato sospeso.<br />
Il tassista sbuffava come un toro prima della carica. Gli ribolliva<br />
il sangue al solo pensiero di poter essere stato preso<br />
in giro, o di aver fatto la corsa a vuoto, per niente. Circolavano<br />
di tanto in tanto tra colleghi aneddoti e storielline su clienti<br />
stravaganti, ma a quei racconti aveva sempre obiettato che se<br />
qualcosa di strambo fosse successa a lui, al malcapitato l’eccentricità<br />
avrebbe saputo bene dove infilargliela.<br />
Si sfregò quindi le mani, e avanzò deciso in direzione del<br />
portone.<br />
Da parte sua, Fabrizio aveva portato un palmo alla fronte,<br />
e con il capo chino e gli occhi chiusi, come un santo, meditava<br />
intensamente sulle possibilità che gli rimanevano di sbrogliare<br />
diplomaticamente la matassa. Si intimava di non perdere la<br />
testa. Si ripeteva che in fondo non stava accadendo niente d’irreparabile,<br />
che mantenendo la calma e soffocando sul nascere,<br />
al primo vagito, ogni fosco presentimento, una soluzione la si<br />
sarebbe trovata senz’altro, e per darsi coraggio, o anche soltanto<br />
perché avvertiva un leggero pizzicore sul petto, strinse<br />
la giacca sulla tasca dell’assegno.<br />
Rinfrancato e sicuro di traghettare alla fine il tassista alla sua<br />
sponda, abbandonò allora la posa da eroe romantico davanti<br />
all’infuriare degli elementi, allargò le braccia come se si preparasse<br />
ad accogliere un amico, e si schiarì la voce. Avrebbe voluto<br />
esordire con una frase propositiva e ragionevole, del tipo:<br />
“è colpa mia, ma non si preoccupi che avrà quanto le devo”,<br />
ma non ne ebbe modo. Imprecando, il tassista sopraggiunse<br />
impetuoso come un treno in corsa, affondò il suo geometrico<br />
testone nel petto gracilino di Fabrizio, spedendolo gambe all’aria<br />
sul marciapiede, come un pacco di giornali lanciato da un<br />
furgone, e prima che avesse il tempo di rimettersi in piedi e<br />
abbozzare un sia pur timido tentativo di reazione, fu investito<br />
da una nuova scarica di colpi.<br />
Quando ne ebbe abbastanza, dopo un ultimo calcetto e uno<br />
sputo d’umiliazione, il tassista si rassettò la maglietta sui muscoli,<br />
e si allontanò. Sempre imprecando, ma soddisfatto.<br />
Fabrizio pensò che, tutto sommato, al punto in cui si erano<br />
spinte le cose, sarebbe potuto andargli anche peggio.
Agrituristica del Vulture<br />
Soc. Coop. a r. l.<br />
Località Piano della Spina - 85020 Ripacandida (PZ)<br />
Telefono e fax 0971 808757<br />
r a c c o n t o<br />
57
a c c o n t o<br />
58
SudPosizioni<br />
Sono qui ad Ischia, nella mia amata<br />
isola, mentre attrezzo il ragionamento,<br />
organizzo la scaletta<br />
ed inizio a scrivere questo articolo per<br />
“Decanter” sul quesito posto da Piero<br />
Di Siena sulla persistenza o meno di una<br />
“questione meridionale” nella fase storica<br />
attuale. Si tratta di una fase, a mio<br />
modo di vedere, che è già oltre l’epoca<br />
post-fordista dell’economia immateriale<br />
della conoscenza, maturata alla fine degli<br />
anni ’80 in combinazione con la caduta<br />
del muro di Berlino, e che, nel corso degli<br />
anni ’90 e fino ai nostri giorni, vede<br />
emergere ed affermarsi la nuova economia<br />
materiale imperniata sugli sviluppi<br />
delle rivoluzionarie innovazioni biotecnologiche<br />
e nanotecnologiche. Due<br />
economie che richiedono una saldatura,<br />
che per realizzarsi ha bisogno di uomini,<br />
quindi di una nuova classe dirigente, e<br />
di mezzi, quindi una nuova “saldatrice”<br />
(gli strumenti della BioEconomia?) per<br />
la loro fusione.<br />
E qui ad Ischia mi trovo immerso nel<br />
mezzo di due diversi e dolorosi eventi<br />
che ragguagliano abbastanza bene alcune<br />
Esiste ancora una questione meridionale?<br />
Mezzogiorno e Mediterraneo<br />
di fronte alle sfide<br />
della nuova “economia materiale”<br />
dinamiche territoriali che hanno caratterizzato<br />
nell’ultimo quindicennio l’intero<br />
Mezzogiorno. Questi eventi e la fase<br />
storica che stiamo attraversando esigono<br />
ambedue un nuovo modo di pensare ed<br />
interpretare il Mezzogiorno, che risulta<br />
forse agevolato, nell’analizzare la realtà,<br />
quando si dispone di un osservatorio<br />
peculiare com’è quello fornito dal contesto<br />
lucano, cuore (o osso, parafrasando<br />
Manlio Rossi-Doria) del Mediterraneo<br />
interno dei Mezzogiorni d’Europa.<br />
Il primo dei funesti e luttuosi eventi a<br />
cui mi sono riferito è costituito dalla frana<br />
del mese scorso. Sebbene nel suo esito<br />
sia stato ben coadiuvata e supportata da<br />
una scellerato abusivismo edilizio, opportunamente<br />
condonato, esso trova nel<br />
dissesto idrogeologico il suo effetto ma<br />
non la sua causa. Quest’ultima va invece<br />
rintracciata in quella rottura dell’equilibrio<br />
territorio-produzione, sempre meridionalistico<br />
che ad essa si collega, e sempre<br />
meno sulle categorie tuttora egemoni<br />
dell’Economia Standard (parafrasando<br />
Georgescu-Roegen) e delle politiche<br />
economiche che da queste derivano.<br />
SERGIO VELLANTE<br />
Ripensare il meridione a partire dalla dimensione locale. Io ricomincio da Ischia, la mia amata<br />
isola, dalla terribile frana che l’ha colpita e dal sorgere di un centro di documentazione sulla<br />
sua cultura. I paradigmi di un nuovo meridionalismo dopo l’esaurimento della società<br />
fondata sull’”economia immateriale della conoscenza”<br />
La frana ha portato a compimento un<br />
ciclo di devastazione di quei bellissimi<br />
paesaggi collinari, descritti magistralmente<br />
da Emilio Sereni e noti con la denominazione<br />
di “giardini Mediterranei”.<br />
Parlo dei terrazzamenti, contenuti nella<br />
loro forma scalare dai ciglioni o dai muri<br />
a secco (le parracine ischitane) ed ospitanti<br />
quell’agricoltura promiscua fatta di<br />
vite, olivo, agrumi, ortaggi e zootecnia<br />
di bassa (conigli da fossa e ruspanti ad<br />
es.) e media corte.<br />
Si tratta ancora una volta di una frana<br />
causata da un incompatibile meccanismo<br />
di gestione produttiva ed ambientale<br />
del territorio le cui culture di efficienza<br />
tecnica non sono dissimili da quelle<br />
socio-economiche e storico-istituzionali<br />
della competitività, egemoni nell’attuale<br />
società dei saperi. Così, di nuovo, nel<br />
Mezzogiorno la distruzione paesaggistica<br />
è accompagnata da una grave perdita di<br />
vite umane, vittime di quella mano invisibile<br />
che permette alle popolazioni locali<br />
di restare sull’isola e di operare nel turismo,<br />
solo e soltanto se esse si omologano<br />
ad un preciso modello di consumo.<br />
59
s u d p o s i z i o n i<br />
Quello che richiede un’offerta tesa a<br />
sacrificare le potenzialità, le bellezze e<br />
le diversità biologiche, socio-antropologiche<br />
e storico-culturali delle risorse<br />
endogene.<br />
In questo quadro, teso a favorire la<br />
semplice crescita economica e non lo<br />
sviluppo, si creano – analogamente a<br />
molti processi d’industrializzazione del<br />
Mezzogiorno - dei sistemi turistici chiusi<br />
ed avulsi dal territorio d’insediamento.<br />
La naturalità del mare e del giardino<br />
mediterraneo e l’ospitalità connessa<br />
alle culture maturate nella storia isolana<br />
vengono surrogate da piscine, da giardini<br />
artificiali e da una preconfezionata e<br />
quasi ideologizzata organizzazione dello<br />
svago. Tende a proporre modelli di benessere<br />
senza felicità, sostenuti – come<br />
osserva Serge Latouche – dal consumo<br />
di antidepressivi, dalla consultazione perenne<br />
di psichiatri e dall’acquisto permanente<br />
di oggetti tanto inutili quanto cari.<br />
Ed all’opposto, in tali sistemi turistici,<br />
assumono un ruolo sempre più marginale<br />
ed in via di esaurimento il godimento<br />
delle bellezze marine e di quei sentieri<br />
di benessere ambientale ed alimentare<br />
tracciati dal continuum dei giardini mediterranei<br />
in via di disfacimento.<br />
Si è trattato di una frana che sostanzialmente<br />
si sarebbe potuta evitare, e la<br />
cosa fa rabbia, per la presenza di tecnologie<br />
innovative (mix di monorotaie e<br />
muli) che, predisposte essenzialmente<br />
dall’evolversi della cultura tecnologica<br />
locale e adottate con successo e compatibilità<br />
in altre località d’Ischia, non rientrano<br />
in quell’idea di crescita ancorata ai<br />
soli criteri di espansione delle economie<br />
di scala e della produttività per competere<br />
negli scenari della globalizzazione.<br />
Sono, del resto, tecnologie che non rientrano<br />
nei canoni di elaborazione teorica<br />
ed empirica del sistema cognitivo ufficialmente<br />
riconosciuto ed adeguato all’uso<br />
di competenze esogene. Il nostro<br />
sistema cognitivo (prevalentemente ricercatori<br />
e docenti universitari e non),<br />
quando è chiamato a dare risposte a tali<br />
60<br />
sciagure si muove – forse inconsapevolmente<br />
e in perfetta buona fede rispetto<br />
a non neutrali e non oggettivi canoni<br />
scientifici, ma purtroppo considerati tali<br />
- per ritornare allo stato di partenza e<br />
non per ripristinare l’equilibrio territorio–produzione.<br />
Fiumi di spesa vengono<br />
così dirottati verso la rigenerazione di<br />
quello stato di squilibrio foriero di nuove<br />
frane e di sempre nuovi e rinnovati appetiti<br />
della criminalità organizzata.<br />
Chi se l’aspettava che la risposta di<br />
Sraffa (Produzione di merci a mezzo di<br />
merci), data ad un quesito non ancora<br />
pienamente risolto di teoria<br />
economica, potesse invece<br />
risultare esaustivo nell’interpretare<br />
tali eventi. La<br />
produzione di frane a mezzo<br />
di frane, la produzione<br />
di rifiuti a mezzo rifiuti e<br />
la quasi implicita produzione<br />
di camorra a mezzo<br />
camorra sono oramai il<br />
dato incontrovertibile di una peculiare<br />
crescita economica (non sviluppo) che<br />
coinvolge più del 35% dei territori meridionali.<br />
Una tale crescita, tuttavia, viene<br />
promossa e per molti aspetti alimentata<br />
da politiche di spesa tese ad incentivare<br />
strutture produttive e nuove forme del<br />
lavoro che, sebbene permeate entrambe<br />
dalla modernità degli strumenti messi a<br />
disposizione dall’economia della conoscenza,<br />
non sono in grado di saldarsi con<br />
i nuovi dettami dell’economia materiale<br />
generando cosi quegli squilibri che sono<br />
sotto i nostri occhi.<br />
Questa frana è destinata ad accrescere<br />
le tessere di un mosaico tipicamente<br />
meridionale 1 che evidenziano una sostanziale<br />
uniformità delle lacerazioni<br />
geopedologiche inferte al territorio, sia<br />
pure in un quadro di difformità dei paesaggi<br />
e delle strutture socio-economiche<br />
ed antropologiche colpite dagli eventi.<br />
In altri termini, cambia la composizione<br />
organica (ancora utile il linguaggio<br />
tardo marxista?) del rapporto territorioproduzione<br />
con la rottura del proprio<br />
«Fiumi di spesa<br />
vengono dirottati<br />
verso la rigenerazione<br />
di uno stato<br />
di squilibrio<br />
foriero di nuove<br />
frane»<br />
S
S<br />
equilibrio interno. Ad ulteriore dimostrazione<br />
di ciò ci sono le precedenti<br />
frane di Sarno, di Atripalda in Irpinia,<br />
di Senise, tanto per fare alcuni esempi.<br />
A Sarno, come ad Ischia, è stato colpito<br />
un paesaggio collinare non più strutturalmente<br />
integrato con la pianura, che ha<br />
subito danni economici ed in vite umane<br />
in un’area erroneamente considerata un<br />
distretto agroalimentare. Si tratta di un<br />
contesto economicamente non povero e<br />
densamente popolato che per certi aspetti<br />
è naturalmente indotto a contrastare<br />
lo squilibrio di cui parliamo. Cosa che<br />
viceversa non è rinvenibile nelle aree interne,<br />
come in Irpinia ed a Senise, dove<br />
i processi di desertificazione e marginalizzazione<br />
socioeconomica, conseguenti<br />
alla rottura dell’equilibrio, vengono<br />
quasi sempre accompagnati dall’idea (o<br />
ideologia) della scarsa suscettività economica<br />
dei luoghi. Per questo motivo al<br />
di là d’interventi di riparazione, come<br />
nel caso dell’autostrada Napoli-Bari ad<br />
Atripalda e del sistema idraulico-forestale<br />
di Senise, non si attrezzano né una<br />
seria progettualità scientifica e né tantomeno<br />
delle politiche adeguate per il recupero<br />
allo sviluppo di tali contesti.<br />
Il secondo evento ischitano che è riferibile<br />
alle tematiche trattate in questo<br />
articolo è la nascita ad un anno dalla<br />
scomparsa di Corrado D’Ambra, dell’Archivio<br />
a lui intitolato, centro di documentazione<br />
della cultura ischitana. Si<br />
tratta di una raccolta di atti e documenti<br />
riguardanti un’azienda-famiglia la cui<br />
vicenda si snoda sull’isola tra la fine degli<br />
anni ’80 e l’intero ultimo decennio<br />
del secolo scorso. Siamo di fronte ad un<br />
caso di successo imprenditoriale dovuto<br />
al rientro nel tanto, attualmente, ostracizzato<br />
nanismo aziendale, utilizzando il<br />
genius loci di Ischia, a caratterizzazione<br />
mediterranea, come leva per il rilancio<br />
economico della vitivinicoltura dell’isola.<br />
Un rilancio difficile che, non ostacolato<br />
e tanto meno incentivato dalla mano<br />
pubblica, ha fatto corrispondere ad un<br />
drastico ridimensionamento della scala<br />
aziendale della produzione del vino, un<br />
recupero e un allargamento della base<br />
produttiva viticola dell’isola, esclusa<br />
dalla precedente fase di internazionalizzazione<br />
dell’azienda. Ritorno al nanismo<br />
ed allargamento della base produttiva<br />
hanno permesso alle diversità biologiche<br />
e culturali del contesto di svolgere<br />
un ruolo sempre più determinante sulla<br />
qualità finale del prodotto. La scelta<br />
della qualità sottrae alla concorrenza tali<br />
prodotti e permette attraverso il rapido<br />
esaurimento delle scorte di realizzare<br />
sul mercato glocale dei margini più che<br />
remunerativi rispetto alla media, salvaguardando<br />
l’equilibrio territorio produzione.<br />
Questi due eventi ischitani sono una<br />
sorta di ossimoro (tanto per usare una<br />
parola di moda nel dibattito politico di<br />
questi giorni) che rendono evidente che<br />
oggi il Mezzogiorno si presenta sulla<br />
scena mondiale con delle potenzialità di<br />
rilevante importanza e specificità e con<br />
altrettante debolezze. La prima potenzialità<br />
è la sua collocazione geografica tra<br />
il 35° e 42° parallelo al nord del mondo<br />
con una posizione di centralità nel Mediterraneo.<br />
La seconda un retroterra storico<br />
ed istituzionale che, partendo dalla<br />
compiuta unificazione democratica con<br />
il resto del Paese nell’epoca fordista, gli<br />
permette di avere tutte le carte in regola<br />
per accettare la sfida ed essere capofila<br />
della creazione di un nodo Euromediterraneo<br />
di pari dignità e peso con gli altri<br />
nodi della rete globale. La debolezza invece<br />
sta in una inadeguatezza della classe<br />
dirigente che permea la moderna interazione<br />
tra sistema scientifico e tecnologico,<br />
sistema delle imprese e sistema<br />
socio-istituzionale. Tale inadeguatezza<br />
risiede sostanzialmente in una parziale<br />
conoscenza delle trasformazioni odierne,<br />
in un atto di fede nelle competenze<br />
esplicite, formalizzate altrove e ritenute<br />
risolutive, e nell’assenza di uno sforzo<br />
teso a conciliare le potenzialità delle risorse<br />
endogene in sentieri evolutivi con<br />
esse compatibili.<br />
s u d p o s i z i o n i<br />
Mezzogiorno<br />
e Mediterraneo<br />
di fronte alle sfide<br />
della nuova<br />
“economia<br />
materiale”<br />
Esiste ancora<br />
una questione<br />
meridionale?<br />
61
s u d p o s i z i o n i<br />
Ciò accresce la convinzione che non è<br />
possibile pensare, studiare ed interpretare<br />
il Mezzogiorno con la strumentazione<br />
analitica afferibile alla sola “economia<br />
della conoscenza”. C’è, in realtà, sempre<br />
più bisogno di una sua reale integrazione<br />
con le strumentazioni analitiche della<br />
nuova economia materiale (in sintesi<br />
capitale umano e biocapitale) e le conseguenti<br />
interpretazioni maturate nella<br />
storia tecnologica, economica, sociale<br />
ed istituzionale dei territori. Una piena<br />
consapevolezza di ciò in realtà non si<br />
avverte neanche nell’ampio, e talvolta<br />
polemico, dibattito che si sta sviluppando<br />
oggi sul Mezzogiorno. Si ha la netta<br />
sensazione di ciò, quando si affrontano<br />
le idee di sviluppo e tecnologia. Lo<br />
sviluppo viene quasi da tutti correlato<br />
alla crescita produttiva, all’espansione<br />
occupazionale ed agli aumenti di reddito<br />
tralasciando i legami con l’ambiente,<br />
il territorio, la storia, la società e le<br />
istituzioni. E la tecnologia - intesa pure<br />
modernamente come fusione tra macchinari,<br />
capitale umano, regole organizzative<br />
ed informazione – viene legata al<br />
62<br />
solo paradigma meccanicistico negando<br />
l’esistenza di quello approccio olistico<br />
od organicistico insito all’equilibrio territorio-produzione.<br />
Questa forma di riduttivismo oramai<br />
pervade la cultura meridionalistica dei<br />
giorni nostri tanto sul versante analitico<br />
quanto su quello propositivo. Tale<br />
riduttivismo, semplificando al massimo,<br />
attanaglia sia il pensiero meridiano<br />
espresso da Franco Cassano (anche nella<br />
più recente versione proposta in Homo<br />
Civicus) e da Piero Bevilacqua che quello<br />
antimeridiano che trova le sue più<br />
alte espressioni in Giuseppe Galasso ed<br />
Aurelio Musi. Ma esso permea anche<br />
alcuni recenti contributi sulle politiche<br />
di sviluppo del Mezzogiorno elaborati<br />
da Gianfranco Viesti, Nicola Rossi e<br />
Fabrizio Barca. Le proposte di abolire o<br />
di capovolgere o di non frenare il Mezzogiorno<br />
rischiano di concretizzarsi abolendo<br />
l’equilibrio territorio-produzione,<br />
capovolgendo la programmazione dal<br />
basso e non frenando gli sciami di cavallette<br />
portatrici di devastanti culture esogene.<br />
Dettaglierò e argomenterò queste<br />
S<br />
critiche in una prossima occasione! Ritorno<br />
nella mia Isola per chiedere: come<br />
va arginata la frana? Come sosterremo<br />
il nanismo di quelle imprese adeguando<br />
il nostro modo di fare ricerca e formazione?<br />
Come ricuseremo quella idea di<br />
turismo devastante e penalizzante per la<br />
cultura locale? Come renderemo partecipe<br />
della ricostruzione le soggettualità<br />
locali interagenti con i saperi generali?<br />
La risposta: iniziamo a discutere da una<br />
piccola realtà del Mediterraneo di una<br />
questione euromeridionale, facendoci<br />
supportare, caro Piero Di Siena, da quel<br />
“gusto minuto per le piccole cose”, di<br />
togliattiana memoria, a cui la nostra generazione<br />
è stata educata.<br />
Note<br />
1 Il tipicamente meridionale si riferisce al fatto<br />
che i territori ricadono in una precisa area geografica<br />
e che l’evoluzione del rapporto uomo natura<br />
oltre a risentire di questa specificità ambientale e<br />
stato fortemente segnato dal processo migratorio<br />
avutosi nel corso degli anni ‘50/60. Perciò nel<br />
Mezzogiorno la rottura dell’equilibrio territorio<br />
produzione, che oramai è un fatto planetario ( si<br />
pensi a New Orleans ed alle Alpi), assume una<br />
propria tipicità.
editoriale segue dalla prima<br />
far fronte alle spese di consumo (28,5%<br />
pari ad un 2% in più rispetto alla media<br />
meridionale): se a questo aggiungiamo<br />
un calo dell’occupazione che ci consegna<br />
seimila unità lavorative in meno nell’industria<br />
nell’ultimo biennio, il quadro è<br />
più che allarmante. Si tratta, in definitiva,<br />
di una regione nella quale la gestione del<br />
quotidiano è diventata difficilissima.<br />
Fatta la tara delle difficoltà generali<br />
dell’economia nazionale, della pesante<br />
congiuntura che ha determinato saldi<br />
negativi sulle esportazione, rimane una<br />
specifica negatività della economia regionale<br />
che ci costringe ad una riflessione<br />
strategica e che implica anche una riflessione<br />
politica sul modello di sviluppo,<br />
e sullo stesso concetto di sviluppo, che,<br />
per la verità, già si rendeva necessaria<br />
a partire dalla lettura della prima parte<br />
del D.S.R. di qualche mese fa. La cosa<br />
preoccupante, su cui bisogna riflettere, è<br />
che con un quadro mondiale e nazionale<br />
che mostra i primi segni di ripresa è<br />
fondamentale cogliere gli elementi di positività,<br />
agganciarsi alla ripresa operando<br />
le necessarie scelte per evitare di essere<br />
tagliati fuori rischiando così di incrementare<br />
il già notevole gap con le regioni economicamente<br />
forti. In un quadro generale<br />
estremamente complesso, in una regione<br />
che sfugge a classificazioni tradizionali è<br />
necessario un colpo d’ala che riconduca<br />
la realtà Economica ai processi di globalizzazione<br />
( e da cui dipendono in buona<br />
parte i problemi di crisi economica che<br />
ci riguardano) recuperando un approccio<br />
teorico innovativo al problema dello<br />
sviluppo riproponendo, per esempio, alla<br />
maniera di Amartya Sen , la centralità del<br />
fattore umano, inteso come centro nevralgico<br />
di tutti i sistemi politico-economici.<br />
Il riconoscimento di questo elemento<br />
e la sua assunzione come indicatore<br />
economico importante obbliga a riconsiderare<br />
i processi economici nella loro<br />
interezza e, conseguentemente, induce a<br />
riconoscere i limiti degli approcci tradizionali<br />
(keynesiani, neoclassici), i quali<br />
mostrano tutta la loro insufficienza nell’<br />
interpretazione di fenomeni complessi<br />
come la globalizzazione. Sen propone un<br />
modello esplicativo incentrato sul fattore<br />
umano e, a partire da questa griglia analitica,<br />
riesce a sviluppare una riflessione<br />
molto ricca e capace di accogliere al suo<br />
interno aspetti tradizionalmente trascurati<br />
dalla scienza economica operando la trasformazione<br />
dell’ economia, da «scienza<br />
descrittiva» in «scienza normativa», che<br />
cerca di spiegare anche come dovrebbero<br />
essere regolati i fenomeni economici, che<br />
poi mi pare il limite principale della programmazione<br />
regionale.<br />
Questa griglia può essere utile anche<br />
per leggere la Basilicata perché ci permette<br />
di orientare le future politiche di sviluppo<br />
che necessitano di un valore aggiunto<br />
sul piano del capitale umano (lavoratori<br />
ed imprenditori in prima battuta), e devono<br />
guardare con ottica nuova a settori<br />
di economia locale da potenziare come<br />
l’agricoltura, il turismo, i beni culturali<br />
che sono meno soggetti alle crisi congiunturali<br />
e che possono rappresentare lo<br />
specifico della economia regionale su cui<br />
poi innescare tutti gli altri elementi, dagli<br />
insediamenti industriali modello SATA<br />
alla politica energetica (per in inciso, su<br />
cui bisogna fare delle scelte prima o poi o<br />
le faranno altri per noi).<br />
Infine trovandosi la Basilicata ai limiti<br />
della classificazione, per la redistribuzione<br />
dei fondi strutturali, tra le regioni<br />
“della convergenza” e regioni “competitive”<br />
con l’indice al 74,9 % sulla media<br />
europea (dati eurostat riferiti al 2003) ci<br />
troveremo tagliati fuori da una serie di<br />
finanziamenti europei con una situazione<br />
di stagnazione economica.<br />
Come dire dopo il danno la beffa.<br />
Direzione<br />
Antonio Califano<br />
Anna Maria Riviello<br />
laboratorio della sinistra lucana<br />
Redazione<br />
Simone Calice, Fabrizio Caputo, Paolo Fanti,<br />
Eustachio Nicoletti, Gianni Palumbo, Camilla Schiavo<br />
Progetto grafico e Art direction<br />
Palmarosa Fuccella<br />
Hanno collaborato a questo numero<br />
Antonio Amendolara, Esperto di cinema<br />
Rino Cardone, Giornalista Rai<br />
Giuseppe Cillis, Segretario Regionale Fiom<br />
Francesco Cellini, Direttore Scientifico Agrobios<br />
Lidia Consiglio, Dottore Forestale<br />
Vincenzo Di Siena, Architetto<br />
Faber Fabbris, Ingegnere<br />
Giuseppe Lombardi, Scrittore<br />
Maria Pia Giuffrida, Provveditore dell’ Amministrazione<br />
Penitenziaria della Basilicata<br />
Sonia Mastropietro, Dottore Forestale<br />
Domenico Petrocelli, Pittore<br />
Graziano Antonio Pizzichillo, Dottore Forestale<br />
Antonio Sanfrancesco, Sociologo<br />
Giancarlo Tramutoli, Poeta<br />
Gervasio Ungolo, Assessore Ambiente Comune Palazzo<br />
San Gervasio<br />
Sergio Vellante, Docente Università degli Studi della<br />
Basilicata<br />
Per abbonarsi a Decanter:<br />
rivolgersi a CALICE EDITORI<br />
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Tel/fax 0972 721126 > e-mail: caliceeditore@virgilio.it<br />
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L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti<br />
dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente<br />
la rettifica o la cancellazione scrivendo a Calice Editori.<br />
e-mail: caliceeditore@virgilio.it<br />
DECANTER<br />
anno III numero 2 - <strong>giugno</strong> <strong>2006</strong><br />
Edito da Calice Editori<br />
Aut. Trib. Melfi n. 2/2004<br />
Direttore Responsabile, Giuseppe Rolli<br />
Direttore Editoriale, Piero Di Siena<br />
Rivista trimestrale<br />
Abbonamento sostenitore<br />
e estero: € 50.00<br />
Abbonamento annuo: € 15.00<br />
c.c. postale n. 14667851<br />
Costo singola copia: € 5.00<br />
Numero doppio: € 7.00<br />
Stampa Grafiche Finiguerra<br />
Lavello (Pz)<br />
POSTE ITALIANE S.p.a.<br />
Spedizione in a.p. - 70% Potenza<br />
63
1<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
.<br />
<br />
<br />
Benvenuto<br />
<strong>decanter</strong><br />
llʼinizio degli anni no-<br />
vanta, al tempo dellʼ implosione<br />
del sistema politico<br />
che aveva governato lʼItalia,<br />
la Basilicata sembrava avviata<br />
ad un inarrestabile declino.<br />
Autorevoli ipotesi (Fondazione<br />
Agnelli) ridisegnando<br />
realtà regionali che avessero<br />
un profilo autonomo, ne ipotizzavano<br />
lo smembramento.<br />
Se commisuriamo a queste<br />
premesse, il sussulto democratico<br />
e diremmo anche<br />
identitario che ha percorso<br />
questo territorio in risposta<br />
alla designazione per decreto<br />
del Governo, di Scanzano<br />
come sito unico per il deposito<br />
delle scorie nucleari, possiamo<br />
capire che molte cose sono<br />
mutate in quella zona ed in<br />
tutta la regione.<br />
Risorse precedentemente<br />
non sfruttate, insediamenti<br />
produttivi di grandi dimensioni,<br />
mutamento del quadro<br />
politico hanno immesso nella<br />
regione elementi di sviluppo<br />
e di vitalità del tutto inediti.<br />
Alcuni dei problemi attuali<br />
come la tutela e la valorizzazione<br />
del territorio e di risorse<br />
naturali essenziali come lʻacqua<br />
sorgono da questo nuovo<br />
scenario, altri più antichi,<br />
vanno comunque ricollocati<br />
entro un quadro non statico.<br />
Le difficoltà più volte richiamate<br />
anche dai responsabili<br />
segue in ultima<br />
1 laboratorio<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
laboratorio della sinistra lucana<br />
Fiat Melfi<br />
operai<br />
alla riscossa<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Anna Maria Riviello p. 7 Camilla Schiavo p. 44 Califano Nicoletti p. 12<br />
Pisticci<br />
la centrale<br />
della<br />
discordia<br />
<br />
<br />
della sinistra lucana<br />
<br />
La Basilicata e<br />
lʼeconomia mondo<br />
ROCCO VIGLIOGLIA<br />
“Pensare globalmente, agire localmente”,<br />
mai questo slogan è stato<br />
più attuale nella situazione in cui<br />
versiamo e per cercare di definire le<br />
linee strategiche lungo cui far muovere<br />
la politica regionale prossima<br />
ventura.<br />
Lʼuscita dallʼobiettivo 1, con riduzione<br />
di flussi di fondi comunitari<br />
per una incidenza di almeno 2-3<br />
punti sul PIL regionale, si accompagna<br />
ad una fase dellʼeconomia mondiale<br />
segnata da forti crescite (Cina,<br />
India, Corea del Sud principalmente)<br />
e ad un affanno crescente per aree di<br />
economia matura come i paesi dellʼUnione<br />
Europea (gli USA, vivendo<br />
al di sopra delle loro possibilità, meriterebbe<br />
un discorso a parte), dove<br />
lʼItalia soffre più di tutti.<br />
In questa situazione nella nostra<br />
regione (riduzione di risorse pubbliche<br />
e nuovi scenari di competizione<br />
per lo sviluppo), pensare di mantenere<br />
in piedi, anche solo in parte, un<br />
modello come quello attuale è del<br />
tutto velleitario.<br />
Il modello del decennio trascorso,<br />
a sua volta frutto di una rottura<br />
ed una risposta alla crisi della politica<br />
come si era venuta delineando<br />
in quegli anni, pur caratterizzato dal<br />
segue in penultima<br />
<br />
<br />
Califano | Riviello p. 3 Nino Calice p. 24 Rocco Colangelo p. 51<br />
1 laboratorio<br />
<br />
<br />
Contratto tute blu<br />
Il voto di Melfi<br />
un campanello dʼallarme<br />
GIANNINO ROMANIELLO<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
In Basilicata il voto dei lavoratori<br />
sul contratto dei metalmeccanici<br />
ha palesato una certa sofferenza da<br />
parte della categoria a accogliere<br />
lʼaccordo sottoscritto da Federmec-<br />
<br />
2/3 laboratorio<br />
<br />
Regione<br />
AAA. Presidente<br />
cercasi<br />
ANTONIO PLACIDO<br />
La ripresa politica settembrina<br />
fa registrare lʼennesimo<br />
episodio di debolezza<br />
e di sfilacciamento offerto<br />
dal centro-sinistra nella seduta<br />
di Consiglio Regionale<br />
dedicata allʼapprovazione<br />
dei primi articoli del nuovo<br />
Statuto.<br />
Quanto è accaduto fa il<br />
paio con la soluzione imbarazzata<br />
e pilatesca partorita<br />
dal Consiglio Regionale in<br />
risposta alla sollecitazione<br />
unanime rivolta dai partiti<br />
del centro-sinistra perché si<br />
rivedesse il discusso e discutibilissimo<br />
provvedimento<br />
adottato a ferragosto circa i<br />
cosiddetti “portaborse”.<br />
È ancora aperta, inoltre,<br />
a dispetto di buoni propositi<br />
e dichiarazioni distensive,<br />
la crisi che ha impedito la<br />
formazione di unʼorganica<br />
giunta di centro-sinistra al<br />
Comune di Potenza allʼindomani<br />
del “plebiscito” che<br />
ha incoronato il Sindaco<br />
Santarsiero.<br />
La sinistra DS, da sola,<br />
sostiene da tempo che, continuando<br />
a rinviare le scelte<br />
sulla guida del governo<br />
regionale per il prossimo<br />
segue in penultima<br />
<br />
2 laboratorio<br />
<br />
foto di Sebastiano Lamattina<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
della sinistra lucana<br />
<br />
Gesualdo di Venosa<br />
Il suono e l’anima<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Anna Maria Riviello p. 39 Giuseppe Vacca p. 56 Lucio Corvino p. 14<br />
Università e ricerca<br />
in Basilicata<br />
della sinistra lucana<br />
Abbonati a Decanter<br />
Intrigo nucleare<br />
Abbonamento sostenitore e estero € 50.00 - Abbonamento annuo € 15.00<br />
c.c. postale n. 14667851<br />
CALICEDITORI<br />
www.caliceditori.com<br />
4 laboratorio<br />
Industria lucana<br />
Fine di un ciclo?<br />
<br />
<br />
via Taranto 20 - Rionero in Vulture (Pz) | Tel/fax 0972 721126 > e-mail: info@caliceditori.com<br />
GIANNI PALUMBO<br />
<br />
Si torna a parlare di nucleare.<br />
Le rivelazioni di un boss della ʻndrangheta<br />
su un numero de “LʼEspresso”<br />
di <strong>giugno</strong> e poi lʼarresto del<br />
Sindaco di Scanzano, “chiacchierato”<br />
sin dallʼepoca della mobilitazione<br />
dello scorso anno per presunti<br />
rapporti con la lobby nucleare,<br />
esplicitano uno scenario che, se<br />
fosse vero, chiuderebbe il cerchio<br />
su alcune delle vicende scottanti<br />
che hanno interessato lʼItalia dei<br />
misteri negli ultimi 20 anni.<br />
Una eredità scomoda quella del<br />
nucleare. Il nucleare civile, lo hanno<br />
affermato numerosi scienziati,<br />
non è mai conveniente se non come<br />
sottoprodotto di quello militare e<br />
questʼultimo è imprescindibilmente<br />
legato a quello civile per quanto<br />
concerne lo smaltimento delle scorie<br />
prodotte con tutti i conseguenti<br />
problemi che ciò implica.<br />
La presunta presenza di 100 fusti<br />
di scorie radioattive nel territorio<br />
tra i comuni di Pisticci e Ferrandina,<br />
in particolare in località Coste<br />
della Cretagna–Torrente Vella, è<br />
una notizia di non trascurabile effetto.<br />
Se fosse vero vorrebbe dire<br />
che la lotta del popolo lucano, con-<br />
tro il decreto che individuava il sito<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
segue in penultima<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
La redazione p. 25 Marisa Virgilio p. 42 Anna Maria Riviello p. 49<br />
della sinistra lucana<br />
<br />
canica e dai sindacati. Vi è stato il<br />
voto negativo della Sata ma anche<br />
di realtà dove le presenza sindacale<br />
è più antica e consolidata (Italtractor,<br />
Pittini, ecc.). Ora, nessuno<br />
segue in penultima<br />
Leonardo<br />
Ferrandina:<br />
Sinisgalli<br />
tra tecnica,<br />
industria<br />
e poesiae poesia<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Perrotta | Doria | Capezio | Caressa<br />
M. Padula | S. Padula, pp.27/38 Fulvio Tessitore p. 57 Califano | Viglioglia pp. 39/42<br />
disegno di Gelsomino DʼAmbrosio<br />
2 laboratorio<br />
<br />
della sinistra lucana<br />
<br />
PIERO DI SIENA<br />
Lʼindustria lucana è<br />
in difficoltà. Sono ormai<br />
troppi i segnali di un affanno<br />
che investe tutti i<br />
settori industriali presenti<br />
nella regione. Eʼ messo in<br />
discussione un processo<br />
che, in un rapporto oggettivamente<br />
virtuoso con<br />
gli atti di “buongoverno”<br />
del centrosinistra lucano,<br />
aveva fatto dellʼeconomia<br />
regionale negli anni novanta<br />
una felice eccezione<br />
rispetto al resto del Mezzogiorno.<br />
I problemi sono sotto gli<br />
occhi di tutti.<br />
Lo stabilimento Sata di<br />
Melfi e le fabbriche del suo<br />
indotto, soprattutto, sono<br />
coinvolti inevitabilmente<br />
nella crisi del settore dellʼauto<br />
causata dalle scelte<br />
dei gruppi dirigenti della<br />
Fiat dellʼultimo decennio.<br />
Disoccupazione<br />
intellettuale<br />
E se non vi sono imminenti<br />
pericoli sul versante del-<br />
<br />
lʼoccupazione per lo stabilimento<br />
Sata, diversa è la<br />
situazione per lʼindotto nel<br />
quale, invece, da almeno<br />
segue in penultima<br />
e mercato del lavoro<br />
in Basilicata<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Antonio Califano p. 3 Anna Maria Riviello p. 37 Raffaele Giura Longo p. 43<br />
3/4 laboratorio<br />
<br />
<br />
<br />
Economia<br />
“allarme rosso”<br />
ANTONIO CALIFANO<br />
La radiografia dellʼeconomia<br />
lucana che esce fuori<br />
dal “rapporto 2005” a cura<br />
di Unioncamere e Regione<br />
Basilicata ci consegna un<br />
quadro preoccupante. Alcuni<br />
indicatori, che cercheremo<br />
di analizzare, mostrano<br />
chiaramente che ci troviamo<br />
di fronte ad una crisi che da<br />
congiunturale sta diventando<br />
strutturale e che in ogni<br />
caso ci consegna un quadro<br />
generale di stagnazione con<br />
un P.I.L. che cresce (si fa per<br />
dire) dello 0,1 e con un crollo<br />
dei consumi che si riflette<br />
su un triste primato: la provincia<br />
di Potenza e di Matera<br />
sono le prime in Italia<br />
per cancellazioni (6%) dal<br />
registro delle Imprese delle<br />
rispettive Camere di Commercio.<br />
Il dato più negativo<br />
riguarda quegli indici relativi<br />
al tenore di vita delle<br />
famiglie lucane che vedono<br />
un calo delle vendite al dettaglio,<br />
come conseguenza di<br />
redditi che non crescono, e<br />
lʼalto indice di indebitamento<br />
delle famiglie lucane per<br />
segue in penultima<br />
“La Basilicata<br />
che vorrei...”<br />
Intervista<br />
a Vito De Filippo<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Ferrandina:<br />
energia<br />
nucleare<br />
dalle bufale<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
della sinistra lucana<br />
<br />
La FIAT di Melfi<br />
e il futuro della Basilicata<br />
PIERO DI SIENA<br />
Lʼintesa sui diciassette turni alla<br />
Sata di Melfi raggiunta tra la Fiat<br />
e i sindacati dei metalmeccanici<br />
costituisce un soddisfacente punto<br />
di equilibrio tra la lunga marcia<br />
intrapresa dai lavoratori di Melfi<br />
di lavorare in condizioni almeno<br />
pari a quelli delle altre fabbriche<br />
del settore auto in Italia e le<br />
esigenza dellʼazienda di tenere<br />
un elevato livello di produttività<br />
degli impianti a fronte della necessità<br />
derivanti dal lancio della<br />
“Grande Punto”.<br />
In verità per i volumi comunicati<br />
dalla Fiat a governo e sindacati<br />
nella riunione del 3 agosto a Palazzo<br />
Chigi, nella quale lʼazienda<br />
di Torino ha annunciato il suo<br />
programma a medio termine nel<br />
settore dellʼauto, secondo la Fiom<br />
a Melfi sarebbero bastati anche<br />
quindici turni. E ciò costituisce<br />
un motivo in più per apprezzare<br />
il senso di responsabilità dei lavoratori<br />
a fronte di augurabili impennate<br />
della domanda nella fase<br />
iniziale di lancio della “Grande<br />
Punto” che potrebbero richiedere<br />
unʼaccelerazione della produzione.<br />
segue in penultima<br />
<br />
<br />
<br />
Nicoletti | Porcari | Giuralongo pp. 8/19 Bruno Leone p. 29 Francesco Laudadio p. 59<br />
della sinistra lucana<br />
Piero Di Siena p. 3 Giuseppe Rolli p. 29 Rino Cardone p. 37<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
<br />
Cerimonia inaugurale del Trend Expo <strong>2006</strong> - foto N. Santagata