31.05.2013 Views

decanter 2, giugno 2006

decanter 2, giugno 2006

decanter 2, giugno 2006

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

2 laboratorio<br />

Poste Italiane S.p.A. - Sped. in a.p. - 70% Potenza<br />

ANNO III - GIUGNO <strong>2006</strong> ISSN 1827-8760<br />

Economia<br />

“allarme rosso”<br />

ANTONIO CALIFANO<br />

La radiografia dell’economia<br />

lucana che esce fuori<br />

dal “rapporto 2005” a cura<br />

di Unioncamere e Regione<br />

Basilicata ci consegna un<br />

quadro preoccupante. Alcuni<br />

indicatori, che cercheremo<br />

di analizzare, mostrano<br />

chiaramente che ci troviamo<br />

di fronte ad una crisi che da<br />

congiunturale sta diventando<br />

strutturale e che in ogni<br />

caso ci consegna un quadro<br />

generale di stagnazione con<br />

un P.I.L. che cresce (si fa per<br />

dire) dello 0,1 e con un crollo<br />

dei consumi che si riflette<br />

su un triste primato: la provincia<br />

di Potenza e di Matera<br />

sono le prime in Italia<br />

per cancellazioni (6%) dal<br />

registro delle Imprese delle<br />

rispettive Camere di Commercio.<br />

Il dato più negativo<br />

riguarda quegli indici relativi<br />

al tenore di vita delle<br />

famiglie lucane che vedono<br />

un calo delle vendite al dettaglio,<br />

come conseguenza di<br />

redditi che non crescono, e<br />

l’alto indice di indebitamento<br />

delle famiglie lucane per<br />

segue in penultima<br />

“La Basilicata<br />

che vorrei...”<br />

Intervista<br />

a Vito De Filippo<br />

Considerazioni sul voto<br />

politico e amministrativo<br />

Gli operai di Melfi<br />

e i metalmeccanici italiani<br />

Intervista a Gianni Rinaldini<br />

della sinistra lucana<br />

Piero Di Siena p. 3 Giuseppe Rolli p. 29 Rino Cardone p. 37<br />

euro 5.00<br />

A. M. Riviello<br />

pp. 7/10<br />

Un viaggio nella pittura<br />

di Gerardo Cosenza<br />

Cerimonia inaugurale del Trend Expo <strong>2006</strong> - foto N. Santagata


Editoriale<br />

Economia “allarme rosso”<br />

‹Antonio Califano›<br />

Rubrica<br />

Donne e istituzioni: qualche buona notizia<br />

‹Anna Maria Riviello›<br />

2<br />

laboratorio della sinistra lucana<br />

Politica e società<br />

Dopo le elezioni quello che il centrosinistra non vede<br />

‹Piero Di Siena›<br />

“Voglio una Basilicata che somigli a se stessa”<br />

Intervista al Presidente Vito De Filippo<br />

‹Anna Maria Riviello›<br />

Innovazione e sviluppo locale<br />

‹Francesco Cellini›<br />

Il tempo e le politiche di conciliazione<br />

‹Antonio Sanfrancesco›<br />

Protocollo di Kyoto tra opportunità e illusioni<br />

‹Lidia Consiglio, Sonia Mastropierro,<br />

Graziano Antonio Pizzichillo›<br />

Eolico? Si Grazie, ma …<br />

‹Gervasio Ungolo›<br />

Paesaggi del vento<br />

E se le pale fossero monumenti?<br />

‹Vincenzo Di Siena›<br />

Non solo pena<br />

‹Maria Pia Giuffrida›<br />

LʼIntervista<br />

“Grazie Melfi...”<br />

Intervista a Gianni Rinaldini<br />

‹Giuseppe Rolli›<br />

Il futuro del settore auto in Basilicata<br />

‹Giuseppe Cillis›<br />

Cultura<br />

La pittura di Gerardo Cosenza.<br />

Ricordo di un viaggio a “stelle e strisce”<br />

‹Rino Cardone›<br />

“Al pomposo, preferisco il giocoso”<br />

La poesia di Francesco Sorrentino<br />

‹Giancarlo Tramutoli›<br />

Il fantastico ad Agromonte<br />

Le ceramiche di Pina Ferrara<br />

‹Domenico Petrocelli›<br />

Sinisgalli l’inattuale<br />

‹Faber Fabbris›<br />

Musica, cinema, libri<br />

Il racconto<br />

La parabola dell’ottimismo<br />

‹Giuseppe Lombardi›<br />

SudPosizioni<br />

Mezzogiorno e Mediterraneo di fronte alle sfide<br />

dell’economia reale<br />

‹Sergio Vellante›<br />

1<br />

2<br />

3<br />

7<br />

11<br />

13<br />

17<br />

19<br />

22<br />

24<br />

29<br />

32<br />

37<br />

43<br />

44<br />

47<br />

49<br />

50<br />

59<br />

r<br />

Donne e istituzioni:<br />

qualche buona notizia<br />

In questa legislatura, con ogni probabilità,<br />

avremo finalmente le norme<br />

di garanzia per la rappresentanza, meglio<br />

note con il nome di “quote rosa”.<br />

Si è impegnato per questo Romano<br />

Prodi nel suo discorso programmatico<br />

al Senato, ne sostengono la necessità<br />

molti esponenti autorevoli del centrosinistra.<br />

La presenza a tutti i livelli di competenze,<br />

saperi, lavoro femminile è<br />

molto evidente nella società. Meno<br />

evidente nei luoghi dove si esercitano<br />

poteri: economici, finanziari, istituzionali.<br />

Le Istituzioni democratiche però<br />

sono il luogo delegato dai cittadini alla<br />

gestione dei poteri previsti dalla Costituzione,<br />

per questo la scarsità della<br />

presenza femminile è un problema più<br />

grave. Una forte presenza femminile<br />

nelle assemblee elettive e negli esecutivi,<br />

è il necessario approdo di un lungo<br />

processo che ha realizzato l’uguaglianza<br />

tra uomini e donne. Da questo<br />

nasce la possibilità di far agire la differenza.<br />

La conquista di un’autonoma<br />

soggettività femminile non è stata una<br />

faccenda che ha riguardato una parte<br />

seppur cospicua dell’umanità ma un<br />

conflitto fecondo di civilizzazione,<br />

per questo è importante per tutti che le<br />

donne superino rispetto al campo della<br />

politica il doppio inganno dell’estraneità<br />

e dell’omologazione. La fase non<br />

è favorevole, trionfa l’omologazione,<br />

si afferma lo schema dell’affidamento<br />

al capo, la fedeltà più del merito. Non<br />

stiamo vivendo un periodo di espansione<br />

e di crescita della nostra democrazia,<br />

basti ricordare che abbiamo<br />

recentemente votato senza poter scegliere<br />

i candidati. Il NO alla riforma<br />

costituzionale voluta dalle destre, po-<br />

La Rubrica<br />

ANNA MARIA RIVIELLO<br />

trebbe essere l’inizio di un’inversione<br />

di tendenza.<br />

Intanto in Basilicata, dalle ultime<br />

elezioni politiche è venuto un segnale<br />

importante. Rifondazione comunista ha<br />

eletto due donne Angela Lombardi ed<br />

Anna Maria Palermo, rispettivamente<br />

alla Camera ed al Senato, facendo della<br />

scelta di genere una proposta di rinnovamento.<br />

Si deve certamente all’intelligenza<br />

politica del segretario Giacomo<br />

Schettini e insieme alla qualità di queste<br />

due donne giovani, diverse ma entrambe<br />

portatrici di un impegno autentico<br />

e generosamente vissuto. Non è il solo<br />

segnale a sinistra. Ci sono presenze importanti<br />

in Consiglio regionale, Emila<br />

Simonetti con una lunga militanza nel<br />

movimento delle donne e Maria Antezza<br />

eletta Presidente del Consiglio<br />

Regionale e nei consigli comunali, a<br />

cominciare da Matera e donne Sindaco.<br />

Si pensi alla significativa esperienza<br />

appena conclusa di Antonietta Botta<br />

a Lavello. Molte sono le questioni che<br />

questa nuova classe dirigente femminile<br />

dovrà affrontare. Ci torneremo. Mi<br />

limito per ora a segnalarne una: forse<br />

il più silenzioso ma devastante processo<br />

sociale in atto nel Mezzogiorno, la<br />

rinuncia delle giovani donne a cercare<br />

lavoro nella disperazione di trovarlo, la<br />

dissipazione di intelligenze, ripiegate,<br />

confinate nelle nuove prigioni allestite<br />

dai reality show: invece del discorso, il<br />

pettegolezzo virtuale. Si tratta insomma<br />

di ricominciare dalla più classica<br />

battaglia di emancipazione, il diritto al<br />

lavoro, anche per non disperdere quell’uguaglianza<br />

che ha reso possibile<br />

iscrivere la libertà femminile nell’orizzonte<br />

simbolico del nostro tempo.


Politica<br />

e società<br />

Dopo le elezioni<br />

quello che il centrosinistra non vede<br />

PIERO DI SIENA<br />

Il risultato delle elezioni politiche e amministrative conferma la forza dell’Unione<br />

ma mette in evidenza molti punti di criticità. Il crollo dell’Udeur e il logoramento dei<br />

consensi della Margherita ci dicono di un elettorato di centro che si sposta a destra.<br />

Più grande la flessione nel Materano tra il 2005 e il <strong>2006</strong><br />

Non c’è alcun dubbio che se si guardano i dati delle elezioni<br />

politiche del <strong>2006</strong> non è difficile affermare che il centrosinistra<br />

in Basilicata continua a stare in buona salute. Certamente<br />

il 60,1 alla Camera e il 60,4 al Senato sono sette punti<br />

in meno rispetto al 67,1 per cento delle elezioni regionali. Ma<br />

a parte il fatto che, in linea con le tendenze nazionali anche<br />

in Basilicata, vi è stato un tasso di partecipazione al voto di<br />

gran lunga superiore a quello del 2005, frutto quasi per intero<br />

della mobilitazione prodotta dalla campagna mediatica della<br />

destra, bisogna anche aggiungere che le percentuali raggiunte<br />

dai partiti dell’Unione sono - sia alla Camera che al Senato -<br />

superiori al 54,8 per cento raggiunto dallo stesso arco di forze<br />

nel voto proporzionale per la Camera nel 2001.<br />

Le elezioni amministrative di <strong>giugno</strong> hanno confermato<br />

questo buono stato di salute. Se si fa eccezione dal risultato di<br />

Melfi, la conquista di Policoro e Scanzano nel Metapontino,<br />

quella di Francavilla sul Sinni, dimostrano come sul piano locale<br />

anche alcune delle poche roccaforti della destra passano<br />

al centrosinistra. Anche nel Melfese il grande successo del<br />

centrosinistra guidato da Antonio Placido a Rionero, il fatto<br />

che a Lavello l’Unione sia riuscita a respingere l’attacco della<br />

destra, nonostante la defezione di una parte importante della<br />

Margherita, la riconferma di Maschito e Ginestra mutano a<br />

vantaggio del centrosinistra la mappa del potere locale.<br />

Un giudizio più articolato naturalmente va dato se si guarda<br />

ai risultati dei singoli partiti. I Ds possono con soddisfazione<br />

rivendicare di aver strappato la palma di primo partito a Forza<br />

Italia al Senato (19,9 contro 19,4). La Margherita denuncia un<br />

tendenziale logoramento dei consensi, confermato dallo stato<br />

di vera e propria balcanizzazione con cui le sue organizzazioni<br />

locali si sono presentate all’appuntamento delle amministrative.<br />

Rifondazione comunista ha un grande successo e<br />

può, legittimamente, rivendicare il merito di garantire da sola<br />

la presenza delle donne nelle istituzioni, dalla Regione al Parlamento.<br />

Risulta poi assolutamente non scalfita nei consensi<br />

dal voto disgiunto (Ds al Senato e Rifondazione alla Camera)<br />

annunciato da alcune organizzazioni di massa a cominciare<br />

dalla Fiom: segno evidente che tali scelte hanno riguardato<br />

gruppi dirigenti ristretti ma senza alcuna penetrazione in strati<br />

più ampi dell’elettorato. L’Udeur crolla dall’11,1 per cento<br />

delle elezioni regionali al 4,8 delle elezioni sia per la Camera<br />

che per il Senato.<br />

Particolarmente anomalo poi appare il risultato dell’Ulivo<br />

alla Camera rispetto all’andamento del voto nelle altre regioni.<br />

Sembra non esserci nessun valore aggiunto rispetto alla<br />

somma dell’influenza elettorale dei Ds e della Margherita.<br />

Anzi se si sommano le percentuali dei Socialdemocratici e<br />

dei Cristiani Uniti, che avevano liste al Senato ma non alla<br />

Camera, si potrebbe addirittura dire che l’Ulivo ha subito<br />

una sia pur leggerissima flessione rispetto alle singole forze<br />

di riferimento. Certo è che in Basilicata si è manifestata una<br />

curiosità aritmetica molto particolare, e cioè che la percentuale<br />

dell’Ulivo alla Camera corrisponde fin nei decimali alla<br />

somma della percentuale di Ds e Margherita al Senato (19,9<br />

e 15,4 contro 35,3 sul piano regionale; 22,4 e 11,4 contro il<br />

33,8 in provincia di Matera; 18,6 e 17,5 contro il 36,1 in provincia<br />

di Potenza).<br />

Se si confrontano poi i dati delle politiche con le regionali<br />

3


politica e società<br />

del 2005, e li si guarda in maniera differenziata<br />

tra le due province, è possibile<br />

riscontrare alcune indicazioni relative<br />

alle dinamiche politiche e elettorali particolarmente<br />

significative. In provincia<br />

di Matera le forze dell’Unione passano<br />

dal 69,0 per cento del 2005 al 56,9 al<br />

Senato e al 57,9 alla Camera; in provincia<br />

di Potenza la flessione è più contenuta<br />

(soprattutto per merito del recupero<br />

delle forze dell’Ulivo nel Melfese sia<br />

alla Camera che al Senato rispetto alla<br />

catastrofica performance della lista dell’Ulivo<br />

nel 2005) e si passa dal 66,1 delle<br />

regionali al 62,2 del Senato e al 61,2<br />

della Camera. Ora, mentre in provincia<br />

di Potenza la differenza è di fatto pressoché<br />

tutta ascrivibile al crollo dei consensi<br />

all’Udeur tra regionali e politiche<br />

(-5,5 per cento), in provincia di Matera<br />

si può far risalire alla flessione congiunta<br />

dell’Udeur e delle forze dell’Ulivo<br />

(rispettivamente -7,9 e -9,2, riducibile<br />

a circa un -5,0 se si tiene presente che<br />

i socialisti, candidati nell’Ulivo l’anno<br />

prima, nel <strong>2006</strong> lo erano nella Rosa nel<br />

Pugno). E il fatto ancora più singolare è<br />

che alcuni dei candidati di punta alle regionali<br />

(da Bubbico alla Mastrosimone)<br />

4<br />

lo erano anche alle politiche. Rifondazione<br />

comunista poi conferma anche in<br />

Basilicata l’incapacità a radicare sul piano<br />

delle competizioni elettorali amministrative<br />

il grande consenso raccolto nelle<br />

elezioni politiche, confermandosi anche<br />

in Basilicata come nel resto dell’Italia la<br />

forza a più alta raccolta del consenso per<br />

via mediatica dopo Forza Italia.<br />

Insomma, se guardiamo in maniera<br />

analitica all’andamento delle elezioni<br />

in Basilicata troviamo che, pur in un<br />

quadro generale di riconferma del peso<br />

politico e elettorale del centrosinistra,<br />

vi sono fattori di mobilità del voto che<br />

indicano punti di criticità nella formazione<br />

del consenso, nella sua stabilità,<br />

di come il voto debba essere interpretato<br />

ai fini dell’evoluzione dei rapporti tra le<br />

forze politiche sul piano regionale.<br />

È facile prevedere che il “fondamentalismo”<br />

ulivista, che vede nel partito<br />

democratico la panacea di tutti i mali, e<br />

la tendenza di Rifondazione ad adagiarsi<br />

nel successo alle elezioni politiche possano<br />

far velo sugli elementi di criticità<br />

che il voto segnala in relazione al carattere<br />

del radicamento dell’Unione nella<br />

realtà sociale e culturale della regione.<br />

P<br />

Ad esempio, non c’è dubbio che<br />

l’esclusione di Rifondazione dall’esecutivo<br />

regionale può apparire una clamorosa<br />

contraddizione con il risultato<br />

delle elezioni politiche ma avere una<br />

sua legittimazione nei risultati della amministrative.<br />

Sul piano più complessivo degli<br />

orientamenti politici risulta del tutto<br />

evidente che la scelta del partito democratico<br />

e dell’Ulivo che ha caratterizzato<br />

la campagna elettorale dei maggiori<br />

partiti dell’Unione (meno che nelle altre<br />

regioni in verità, per la centralità che i<br />

Ds hanno voluto dare alla candidatura di<br />

Bubbico al Senato) hanno poi scoperto<br />

il centrosinistra lucano soprattutto sul<br />

versante dei voti moderati e di centro,<br />

provocando un loro spostamento a destra.<br />

La scelta dell’Ulivo risulta troppo<br />

poco di sinistra, il che spiega il successo<br />

di Rifondazione, ma anche troppo poco<br />

di centro. E l’elettorato di centro trova<br />

evidentemente poco credibile che a rappresentarlo<br />

possa essere compiutamente<br />

il partito di Mastella e in parte vota a destra.<br />

In questa chiave va anche spiegato<br />

il logoramento della Margherita.<br />

Ora tutto questo assume un suo parti-


P<br />

colare valore in Basilicata. Il successo e<br />

la durata del centrosinistra in Basilicata<br />

è stato particolarmente legato al delicato<br />

equilibrio che negli anni si è costruito e<br />

riprodotto tra la tradizione centrista degli<br />

eredi della Dc lucana e quella della<br />

sinistra moderata erede diretta della destra<br />

comunista.<br />

C’è qualcuno che legge i risultati<br />

elettorali anche alla luce della trasformazione<br />

che questo equilibrio sarà inevitabilmente<br />

costretto a subire con l’avvio<br />

anche in Basilicata di quel processo politico<br />

che guarda al partito democratico?<br />

L’adesione quasi fanatica della maggioranza<br />

dei Ds a questo obiettivo – oserei<br />

dire priva di qualsiasi intelligenza delle<br />

cose che può essere solo frutto di un<br />

approccio critico alla politica – non si<br />

pone affatto l’interrogativo di che cosa<br />

diventerà il centrosinistra lucano. Che<br />

cosa accadrà del suo equilibrio interno e<br />

dell’ampiezza dell’arco dei suoi consensi<br />

in un processo che sarà caratterizzato<br />

da una fusione resa calda dalla competizione<br />

tra i ceti politici della maggioranza<br />

dei Ds e della Margherita?<br />

Chi è che farà attenzione acché la necessaria<br />

esigenza di dare un ruolo pro-<br />

Nella composizione fotografica, da sinistra: Emilia Simonetti, Maria Antezza, Angela Lombardi, Anna Maria Palermo<br />

prio a una sinistra autonoma dopo che<br />

i Ds sono rifluiti nel processo che porta<br />

al partito democratico non sia da Rifondazione<br />

piegato ad accentuare i conflitti<br />

interni dell’Unione in termini di rottura<br />

della coalizione?<br />

Da questo punto di vista conterà<br />

molto la capacità delle sinistre dei Ds<br />

a trasformare la loro azione politica<br />

da variante della dialettica interna al<br />

proprio partito a fattore sistematico di<br />

convergenza a sinistra. Meno chiaro<br />

è chi starà a presidiare l’area di centro<br />

dell’elettorato lucano che, come molti<br />

segnali di queste elezioni politiche ci dicono,<br />

potrebbe essere tentata a rifluire a<br />

destra, soprattutto in quelle zone in cui<br />

il consenso al centrosinistra, quando è<br />

occasionalmente ampio come nelle regionali<br />

dello scorso anno, esprime un<br />

rapporto di totale dipendenza dalla politica<br />

che non sempre è segno di maturità<br />

democratica.<br />

Insomma, il modo in cui si tornerà<br />

a esaminare il voto ci dirà anche se<br />

nell’agenda politica del centrosinistra<br />

lucano prevarrà la riflessione sulla qualità<br />

del radicamento dell’Unione nella<br />

società lucana o il riposizionamento<br />

politica e società<br />

del suo ceto politico nella mappa degli<br />

equilibri tra partiti e nei partiti. E il fatto<br />

che l’intera politica regionale sembri<br />

immobilizzata nell’attesa di che cosa<br />

avverrà a settembre nella composizione<br />

della giunta non è esattamente un buon<br />

segnale.<br />

5


politica e società<br />

6<br />

Melfi “buco nero” dell’Unione<br />

Le elezioni amministrative a Melfi sono<br />

il vero “buco nero” del centrosinistra<br />

in Basilicata. Tanto più evidente in una<br />

tornata elettorale che risulta particolarmente<br />

positiva per le forze dell’Unione<br />

anche laddove – a differenza di Melfi<br />

dove si erano superate, soprattutto per<br />

opera del gruppo dirigente locale dei<br />

Ds, antiche e fino ad ora insanabili divisioni<br />

– ci si era presentati divisi. La<br />

sconfitta brucia soprattutto a sinistra,<br />

dove non si è riusciti ad eleggere nemmeno<br />

un consigliere comunale. Non<br />

c’è nessuno infatti di Rifondazione,<br />

dei Ds, dei comunisti italiani. I Ds soprattutto<br />

pagano congiunturalmente la<br />

scelta della lista dell’Ulivo dove sono<br />

stati penalizzati nella gara per le preferenze.<br />

La sconfitta di Melfi, frutto anche del<br />

voto disgiunto a favore del sindaco Navazio,<br />

è anche il risultato di un eccesso<br />

di personalizzazione delle leadership<br />

politiche. Lo dimostrano il grande successo<br />

delle liste civiche che fanno riferimento<br />

al sindaco. Si potrebbe dire<br />

che il modo con cui Veltroni ha vinto<br />

a Roma, è lo stesso con il quale Navazio<br />

ha vinto a Melfi. Cosa da fenomeni<br />

simili ne verrà all’evoluzione del sistema<br />

politico nel nostro paese è questione<br />

che lascia perplessi.<br />

Comunque sarebbe sbagliato ricondurre<br />

la sconfitta del centrosinistra a Melfi<br />

a ragioni meramente locali o alla fenomenologia<br />

generale che vede sindaci,<br />

a torto o ragione considerati buoni amministratori,<br />

diventare l’epicentro di<br />

una variante dell’evoluzione personalistica<br />

del sistema politico italiano.<br />

Bisogna cominciare invece a vedere<br />

come Melfi costituisca il punto maggiormente<br />

scoperto di una reazione di<br />

rigetto da parte dell’opinione pubblica<br />

del Melfese nel suo complesso del<br />

modello prevalente di formazione del<br />

consenso da parte del centrosinistra<br />

lucano. A Melfi questa reazione può<br />

assumere anche i tratti del campanilismo<br />

e del populismo. Ma se vogliamo<br />

evitare che tutto questo diventi senso<br />

comune, dobbiamo guardare in faccia<br />

alla realtà. Già nelle passate elezioni<br />

regionali la vera e propria debacle dell’Ulivo<br />

nel Melfese, solo in parte recuperata<br />

alle elezioni politiche soprattutto<br />

per merito dei Ds, doveva costituire<br />

un campanello d’allarme.<br />

Così non è stato. Né possono essere<br />

state decisive le iniziative che anche a<br />

sinistra sono state assunte per la costituzione<br />

della provincia di Melfi. Avulse<br />

da una scelta di politica regionale che<br />

non si limitasse al rituale riconoscimento<br />

della legittimità di tale rivendicazione,<br />

sono per forza di cose apparse<br />

scarsamente incisive e strumentali.<br />

Bisogna prendere atto che nel Melfese,<br />

per il peso dell’insediamento Fiat<br />

e per il dinamismo di tanti settori imprenditoriali,<br />

per una certa tradizione<br />

di autonomia delle forze intellettuali,<br />

un sistema di relazioni tutto asservito<br />

al potere politico non produce consenso<br />

come altrove. Ne sapranno prendere<br />

coscienza i gruppi dirigenti del centrosinistra<br />

locale e sapranno, a partire da<br />

essa, sviluppare nel dibattito interno<br />

al centrosinistra lucano una sana e costruttiva<br />

dialettica?<br />

Questa in fondo è la sfida del futuro su<br />

cui è possibile realizzare quella svolta<br />

di cui Melfi ha bisogno.<br />

p. di s.<br />

P<br />

VULTURE ALTO BRADANO<br />

Ecco la chiave<br />

per lo sviluppo<br />

Con l’istituzione dei P.I.T. (Patti Integrati<br />

Territoriali), si è introdotto nel territorio un<br />

soggetto intermedio fra la Base e la Provincia,<br />

che opera attraverso la partecipazione<br />

diretta dei Comuni, per lo sviluppo del<br />

territorio. Con ciò si è ridisegnata quindi<br />

la mappa dei poteri e, ciò che più conta, si<br />

sono introdotte nuove modalità per la programmazione<br />

e l’attuazione dello sviluppo<br />

territoriale.<br />

A tre anni dalla propria costituzione, il P.I.T.<br />

Vulture Alto Bradano si è mostrato interprete<br />

del ruolo che gli è conferito dalla missione<br />

istituzionale e si è confermato come<br />

realtà di assoluto rilievo, per lo sviluppo dei<br />

ventidue Comuni, costituenti appunto l’area<br />

P.I.T. Vulture alto Bradano. Uno sviluppo<br />

che l’Ente ha progettato e posto in essere<br />

osservando tutti i criteri dell’ integrazione,<br />

realizzando cioè molti interventi fra loro<br />

posti in stretta relazione, per ottenere un effetto<br />

di sinergia, cioè per raggiungere effetti<br />

moltiplicati, ed eliminare quella segmentazione<br />

che, frequentemente, riduce l’incisività<br />

degli interventi stessi, e può sconfinare<br />

nel cattivo rapporto fra costi e benefici.<br />

Al riguardo, il Dott. Oreste Dinella, Project<br />

Manager del P.I.T. Vulture Alto Bradano,<br />

ci ha detto: “Fra i nostri progetti è previsto<br />

un intervento importante, che fornirà al<br />

territorio e alle tipicità locali, una visibilità<br />

nazionale o almeno pluri - regionale. Un<br />

potenziato flusso di ospiti, interessati alla<br />

peculiarità dell’area, darà sicuramente impulso<br />

alla vendita delle nostre tipicità, e la<br />

promozione delle specialità valorizzerà la<br />

proposta calata nel segmento turistico. Nel<br />

primo triennio, infatti, con la costruzione<br />

di nuclei di “Borgo Albergo”, realizzati<br />

nei comuni di Acerenza, Barile, Venosa,<br />

Rionero e Melfi, abbiamo costruito un valore<br />

“autonomo”, ma contemporaneamente<br />

abbiamo strutturato una premessa coordinata<br />

all’intervento che svolgeremo nel<br />

segmento turistico. Alla stessa maniera, la<br />

riqualificazione di beni ambientali, la valorizzazione<br />

di aree urbane e rurali di particolare<br />

interesse storico e turistico, il progetto<br />

pilota di segnaletica stradale e turistica<br />

concluso nel 2005, rendono chiaro un<br />

disegno coordinato, destinato ad ottenere<br />

gli obiettivi previsti dal piano complessivo,<br />

che individua nel turismo un segmento<br />

determinante per lo sviluppo dell’area. E a<br />

ciò, non è estraneo il miglioramento delle<br />

strutture di supporto alle imprese”.


P<br />

Il documento strategico regionale<br />

nella sua parte analitica, descrive la situazione<br />

socioeconomica della Basilicata<br />

in modo abbastanza preoccupante.<br />

Accanto ai problemi tradizionali<br />

come la persistente tendenza allo spopolamento,<br />

la fragilità dell’assetto idrogeologico<br />

e del sistema delle imprese o<br />

microimprese che non si avvalgono di<br />

processi innovativi, le disuguaglianze di<br />

accesso al mondo del lavoro per giovani<br />

e donne, le disparità territoriali, sono<br />

messe in evidenza questioni che hanno<br />

un origine più recente, come il rallentamento<br />

della crescita del PIL e dell’occupazione<br />

a partire dal 2000, anche in<br />

relazione al rallentamento della crescita<br />

del Paese.<br />

In Basilicata, tuttavia, questo accade<br />

in presenza di una già pesante situazione<br />

occupazionale e una struttura dell’export<br />

tutta ritagliata su auto e mobili che espone<br />

totalmente l’economia lucana alle<br />

difficoltà che i due settori incontrano sul<br />

mercato mondiale. Bisogna aggiungere<br />

inoltre che alcuni dei punti di forza elencati,<br />

come la vivibilità urbana, la qualità<br />

ambientale, la presenza di un ricco<br />

e poco sfruttato patrimonio forestale e<br />

politica e società<br />

Intervista al Presidente Vito De Filippo<br />

“Voglio una Basilicata<br />

che somigli a se stessa”<br />

storico culturale, appaiono più come una<br />

opportunità che ci viene da elementi di<br />

una mancata crescita che il frutto di una<br />

scelta orientata a un diverso modello di<br />

sviluppo. Persino il fatto sicuramente<br />

positivo di possedere quello che viene<br />

definito un capitale umano qualificato<br />

può divenire un problema se persiste la<br />

tendenza allo spopolamento ed alla emigrazione<br />

soprattutto di giovani iper-professionalizzati.<br />

Un quadro difficile, da<br />

leggere però dentro un contesto che non<br />

è più quello dell’arretratezza. Vi sono<br />

risorse un tempo non sfruttate, grandi<br />

centri produttivi, università e centri di<br />

ricerca, la presenza di nuove generazioni<br />

scolarizzate. E questi sono veri punti di<br />

forza. In sintesi, abbiamo di fronte un<br />

quadro complesso che si deve e si può<br />

governare.<br />

Presidente De Filippo, che fare?<br />

Ho la sensazione che non sempre abbiamo<br />

piena consapevolezza che questo<br />

quadro che appare così negativo è veramente<br />

leggibile solo se viene contestualizzato.<br />

La Basilicata è una regione che<br />

sta dentro il Mezzogiorno e dentro l’Italia.<br />

Osservo che c’è un’attitudine della<br />

politica, a volte anche strumentalmente<br />

ANNA MARIA RIVIELLO<br />

utilizzata, a circoscrivere troppo i fenomeni<br />

nell’ambito della nostra regione, in<br />

modo che tutte le responsabilità si possano<br />

addebitare al governo regionale.<br />

Dobbiamo essere più seri. L’Italia è<br />

un paese a crescita zero. Fino al 2001 il<br />

Mezzogiorno cresceva più del Nord e<br />

anche la Basilicata. Se dobbiamo attivare<br />

politiche regionali si deve comprendere<br />

il contesto. Il fenomeno dei giovani che<br />

se ne vanno è un fenomeno solo lucano?<br />

L’Istat e lo Svimez hanno esaminato<br />

il problema della mobilità di giovani<br />

iper-professionalizzati, dotati di laurea<br />

o master in tutto il Mezzogiorno. Èun<br />

fenomeno drammaticamente omogeneo<br />

in Campania, in Puglia, in Calabria, in<br />

Sicilia. In Basilicata è anzi relativamente<br />

meno accentuato. Quindi è un fenomeno<br />

più generale. Insomma, in tutto il Mezzogiorno<br />

si sono ristretti gli spazi per<br />

quella generazione che ha soprattutto<br />

costruito un percorso di studi.<br />

In sintesi, si capisce bene che le misure<br />

che la Regione deve mettere in atto,<br />

e la valutazione della loro efficacia, non<br />

possono essere sganciati da una strategia<br />

che il nostro Paese dovrebbe mettere in<br />

atto a favore del Mezzogiorno. Le poli-<br />

7


politica e società<br />

tiche regionali hanno potuto incidere su<br />

turismo, servizi, informatizzazione. Con<br />

la crisi dei sistemi produttivi possiamo<br />

misurarci, ma è del tutto evidente che<br />

la nostra sola azione non potrà che rivelarsi<br />

insufficiente. Fino a qualche anno<br />

fa, c’erano misure nazionali a favore<br />

del Mezzogiorno, dal prestito d’onore<br />

ai patti territoriali, a altri provvedimenti<br />

utili che in questi anni di governo di<br />

centro destra sono scomparsi. Ora c’è la<br />

novità di un nuovo governo nazionale<br />

con il quale sarà possibile coordinarsi<br />

per iniziative su infrastrutture, sulle politiche<br />

sociali, sulla ricerca. Ora da parte<br />

nostra si sta tentando di presentarsi ai<br />

grandi appuntamenti programmatici e finanziari<br />

con il governo nazionale per far<br />

capire che i problemi delle regioni vanno<br />

visti nel quadro di una organica politica<br />

nazionale.<br />

Non si può non concordare con queste<br />

considerazioni ma al Presidente della<br />

Regione non si chiedono analisi generali<br />

dei fenomeni ma che metta in atto<br />

politiche, per questo vorrei continuare a<br />

concentrarmi solo sulla Basilicata. Quale<br />

modello ha in mente il Presidente per<br />

il futuro della regione? Quale strategia<br />

8<br />

pensa che bisogna mettere in atto per<br />

affrontare le notevoli difficoltà di questa<br />

fase della vita del nostro territorio?<br />

La Basilicata non deve vincolare<br />

il suo futuro a un’unica visione dello<br />

sviluppo, che sia quella industrialista o<br />

quella della soft economy (turismo, ambiente,<br />

creatività). Noi dobbiamo utilizzare<br />

tutte le strade. È difficile poter pensare<br />

che un’unica strada sia totalmente<br />

appagante.<br />

Abbiamo delle realtà importanti da<br />

tempo consolidate: l’area industriale di<br />

Melfi con la FIAT, l’area del salotto, la<br />

Val d’Agri con il suo petrolio e non solo).<br />

Stiamo lavorando su tutto. Negli anni passati,<br />

ad esempio, i rapporti tra istituzioni<br />

locali e Fiat erano corretti ma non c’era<br />

una vera relazione tra territorio e azienda.<br />

Quando la FIAT ha costruito il nuovo<br />

piano industriale, la Regione Basilicata<br />

ha chiesto di partecipare alla sua definizione.<br />

C’è stato un tavolo tra le Regioni<br />

nelle quali vi sono insediamenti FIAT, il<br />

Governo, i sindacati e l’azienda.<br />

Da quella discussione è partita una<br />

nuova stagione per la FIAT. La Regione<br />

ha promosso, con risorse provenienti dal<br />

Fondo sociale europeo, un master che si<br />

Venosa, Piazza Castello<br />

P<br />

farà in sede FIAT, alla cui gestione partecipa<br />

l’Università di Basilicata: riguarderà<br />

50-60 giovani ingegneri che avranno<br />

un ruolo certo nell’azienda. Abbiamo<br />

deciso di utilizzare i fondi FAS(Fondi<br />

per le aree svantaggiate) in modo del tutto<br />

nuovo. Stiamo lavorando per istituire<br />

a Melfi un campus della ricerca. I primi<br />

temi su cui dovrà misurarsi saranno la<br />

gestione dei residui industriali, i nuovi<br />

carburanti, il management organizzativo<br />

di un’azienda automatizzata come quella<br />

di Melfi. Si svilupperanno iniziative che<br />

potranno rafforzare il settore dell’auto<br />

che sebbene in ripresa è (come quello del<br />

tessile) dentro una sfida planetaria.Vogliamo<br />

anche impegnarci per il Polo del<br />

salotto. Con Fitto non c’era accordo, con<br />

l’attuale Governo regionale della Puglia<br />

abbiamo firmato un protocollo d’intesa<br />

anche qui per sviluppare la ricerca, diminuire<br />

il costo del lavoro, sostenere la<br />

commercializzazione.<br />

La Val d’Agri si sta dotando di nuovi<br />

spazi per attrarre nuove imprese. Il Presidente<br />

Bubbico firmò con Montezemolo<br />

un protocollo per investimenti produttivi<br />

derivanti dal programma operativo<br />

finanziato dalle royalty. Stiamo dando


P<br />

seguito a quella impostazione. Recentemente<br />

il presidente della Confindustria<br />

della provincia di Potenza Martorano<br />

ed io abbiamo presentato ala Confindustria<br />

nazionale un protocollo comune<br />

con l’obiettivo di attrarre nuove imprese<br />

in quel territorio. Nel frattempo la Val<br />

d’Agri si sta dotando di un piano regolatore<br />

industriale e di ampliamento dell’area<br />

artigianale. Nel Senisese saranno<br />

utilizzate le royalty derivanti dall’acqua<br />

erogata alla Puglia per l’area industriale<br />

di Senise e Francavilla, i fondi FAS finanziano<br />

anche l’ampliamento dell’area<br />

artigianale di Francavilla. Insomma,<br />

stiamo reagendo alla crisi derivante dalla<br />

congiuntura economica sfavorevole.<br />

Si tratterà comunque di capire come<br />

governare la maggior parte della nostra<br />

realtà imprenditoriale assai fragile, fatta<br />

di microimprese con difficoltà ad avviare<br />

processi di innovazione e grosse difficoltà<br />

con le banche. Ma passiamo all’altro<br />

grande comparto dello sviluppo. L’ambiente,<br />

il territorio, le risorse naturali,<br />

le risorse energetiche, non possono più<br />

essere considerate una rendita perenne,<br />

ci vuole un progetto consapevole perché<br />

rimangano una risorsa<br />

Dobbiamo irrobustire e rafforzare la<br />

consapevolezza di quanto preziose siano<br />

le risorse del nostro territorio. È prevalsa<br />

per lungo tempo una concezione<br />

dello sviluppo fondata sull’emulazione<br />

di modelli estranei al nostro territorio.<br />

Dobbiamo sviluppare, mi si permetta un<br />

paradosso, una Basilicata che somigli<br />

sempre più alla Basilicata. Noi abbiamo<br />

un patrimonio straordinario che non abbiamo<br />

mai valorizzato, ambientale, storico,<br />

monumentale. Oggi quello che una<br />

volta chiamavamo l’”osso”, la parte più<br />

interna del Mezzogiorno, la parte più povera,<br />

può essere un’opportunità.<br />

Con quali politiche?<br />

Stiamo lavorando in modo adeguato<br />

su questo. Il mega spettacolo della Grancia<br />

è ormai un evento. Ora si tratta di fare<br />

in modo che il gran numero di presenze<br />

alla Grancia si diffondano sul territorio.<br />

Dobbiamo collegare la Grancia con altri<br />

punti importanti, dobbiamo collegarlo ad<br />

una rete di altri eventi. Con i fondi FAS<br />

stiamo costruendo i distretti culturali. Un<br />

esempio: nell’area del Potentino, Grancia,<br />

Potenza (palazzo Loffredo, Palazzo<br />

D’Errico), Lagopesole. Se si costruisce<br />

una rete siffatta ne avranno vantaggi il<br />

politica e società<br />

Tito, Area Industriale<br />

settore del turismo, quello agricolo, quello<br />

dei prodotti tipici e dell’artigianato.<br />

Nel 2005 in Basilicata è aumentata la<br />

presenza turistica in controdentenza con il<br />

resto del Paese ed anche del Mezzogiorno.<br />

Abbiamo inoltre un patrimonio di<br />

prodotti simbolo: l’Aglianico, i formaggi<br />

sulla cui valorizzazione la Regione è<br />

intervenuta molto efficacemente.<br />

Le elezioni politiche hanno visto in<br />

Basilicata, un certo incremento del centrodestra<br />

anche se l’Unione è lo schieramento<br />

di gran lunga prevalente. C’è<br />

in giro una certa insofferenza per la politica<br />

anche se non si manifesta (ancora)<br />

in termini di voti e la percezione diffusa<br />

che si premi la fedeltà piuttosto che<br />

il merito. C’è l’urgenza di un rapporto<br />

più maturo tra cittadini e ceto politico, e<br />

invece si nota un affidamento sospettoso<br />

quanto passivo dei cittadini alla politica,<br />

tipico di una società statica. È insomma<br />

l’altra faccia dei problemi strutturali di<br />

cui parlavamo prima.<br />

Per quanto riguarda i risultati dobbiamo<br />

dire che l’Ulivo ha raggiunto il<br />

secondo miglior risultato dopo la Toscana<br />

ed a sua volta il centro destra il secondo<br />

peggior risultato. Inoltre c’è stato<br />

9


Vendemmia nei vigneti del Vulture<br />

politica e società<br />

un incremento rispetto alle politiche del<br />

2001, né è possibile fare paragoni con<br />

le regionali anche perché è diverso il sistema<br />

elettorale. C’è quindi di nuovo un<br />

affidamento al centrosinistra da parte dei<br />

lucani. Non è un affidamento al buio. Vi è<br />

una grandissima attesa verso questa nuova<br />

generazione di Amministratori. Nelle<br />

riunioni di maggioranza del centrosinistra<br />

esprimo questa consapevolezza non<br />

priva di ansietà. Dobbiamo compiere<br />

uno sforzo in direzione di una riforma<br />

della politica. La politica, il ceto politico,<br />

si devono privare di tante sinecure, devono<br />

dare segni chiari di essere al servizio<br />

della comunità, e non di cercare alloggiamenti<br />

per i gruppi dirigenti. Dobbiamo<br />

procedere nella riforma della Pubblica<br />

Amministrazione e degli Enti, intervenire<br />

sui costi della politica.<br />

Ma su questo, come Presidente della<br />

Regione, non posso agire in modo monocratico.<br />

Bisogna costruire intorno alle decisioni<br />

il consenso democratico. Tuttavia,<br />

prima dell’estate il processo di sfoltimento<br />

degli enti deve essere concluso. Così<br />

come dovrà essere approvato il primo<br />

capitolo del patto tra la Regione e i giovani.<br />

La Regione Basilicata punta molto<br />

sull’Università così come è interessata ad<br />

10<br />

un dialogo collaborativo con il mondo<br />

della scuola. Bisogna considerare che<br />

nei prossimi anni la Regione Basilicata<br />

darà all’Università di Basilicata un finanziamento<br />

aggiuntivo pari al 10% di<br />

quello proveniente dallo Stato.<br />

Nella costruzione del consenso intorno<br />

alle decisioni c’è il rapporto con le<br />

forze politiche e le forze sociali. Quali<br />

sono le forze che creano difficoltà o che<br />

agevolano questo processo di riforma<br />

che si dice necessario?<br />

Trovo che ci sia una nuova apertura<br />

da parte di imprenditori e sindacati. Un<br />

esempio: sul distretto tecnologico ed anche<br />

sul progetto di campus in FIAT, ci<br />

sarà il contributo di Università, CNR e<br />

imprenditori senza che vi sia un interesse<br />

immediato per le loro aziende. Il sindacato<br />

non mi appare concentrato sulla<br />

difesa assistenziale di posti di lavoro ma<br />

aperto alle nuove sfide con cui dobbiamo<br />

misurarci per creare lavoro.<br />

Se è vero che i cittadini lucani hanno<br />

votato in gran parte il centro sinistra è<br />

pur vero che molti hanno votato al suo<br />

interno forze della sinistra che non sono<br />

nel Governo regionale. Questo comporta<br />

qualche problema? Vi è la necessità di<br />

un adeguamento?<br />

P<br />

Collegare direttamente assetti e scelte<br />

di governo ad appuntamenti elettorali<br />

è un errore. Siamo però una coalizione<br />

gestita democraticamente che non è rigidamente<br />

definita una volta per sempre.<br />

Sono convinto che il dibattito che si è<br />

sviluppato nella maggioranza sul punto<br />

da lei sollevato sia un dibattito molto<br />

serio. Io penso che, nell’ambito della<br />

scelta per il centrosinistra che i lucani<br />

hanno ancora una volta espresso, l’affermazione<br />

di forze di sinistra radicale<br />

abbia raccolto l’angoscia che c’è per le<br />

nuove povertà, per il precariato, per l’assenza<br />

di protagonismo dei giovani.<br />

La serena fiducia che il Presidente<br />

esprime nel nostro immediato futuro ora<br />

sembra velata dalle ombre che si allungano<br />

numerose sul nostro presente. Per<br />

la prima volta, nel corso di questa intervista<br />

l’ottimismo si incrina.<br />

No, ma come ho detto c’è attesa. Non<br />

si tratta di tradurre tutto questo automaticamente<br />

in forme di Governo. C’è anche<br />

altro da fare. Le nuove generazioni dei<br />

partiti dell’Ulivo sentono l’urgenza che<br />

nasca il nuovo partito democratico, non<br />

capiscono vecchie divisioni E la coalizione<br />

che ora è al Governo del Paese dovrà<br />

darsi assetti più stabili e duraturi.


P<br />

Innovazione<br />

e sviluppo locale<br />

Il ruolo dei distretti tecnologico produttivi. La risorsa costituita dalla ricerca<br />

per superare la crisi dell’agroindustria e dell’agroalimentare. Il Piano Strategico<br />

regionale individua nel Metapontino il polo delle biotecnologie<br />

Esiste un concetto della fisica nucleare, apparentemente in<br />

contrasto con la ferrea logica matematica secondo la quale il<br />

totale in un’addizione è sempre ed inequivocabilmente uguale<br />

alla somma dei suoi addendi.<br />

Se si uniscono nuclei atomici all’interno di un determinato<br />

volume oltre un valore soglia, la materia diventa instabile liberando<br />

un’impressionante quantità di energia secondo la famosa<br />

formula di Einstein E=mc 2 , difficilmente immaginabile per<br />

le quantità di materia messe in gioco. È il concetto di massa<br />

critica.<br />

Una volta oltrepassata la soglia di massa critica, gli atomi<br />

della materia interagiscono tra loro dando origine a nuove<br />

forme della materia e sprigionando energia. È il principio secondo<br />

il quale la fornace del sole brucia gli elementi e riesce a<br />

riscaldare ed ad illuminare il nostro pianeta.<br />

Perché una stella si formi e splenda è necessario che si<br />

accumuli una certa quantità di materia in un certo volume, al<br />

di sotto della quale abbiamo soltanto una nube di gas più o<br />

meno denso che resta però freddo; soltanto con una quantità di<br />

materia superiore a quella critica abbiamo pressione, e quindi<br />

anche temperatura, sufficienti affinché inizi il processo di<br />

fusione nucleare. L’elemento determinante affinché la stella<br />

“si accenda” e che continui a splendere per miliardi di anni, è<br />

l’accumularsi di una certa quantità di materia, per l’appunto<br />

massa critica o quantità critica di materia.<br />

Questo principio ha un suo fondamento anche nel campo<br />

della sociologia della ricerca e dell’innovazione. Se si uniscono<br />

le energie intellettuali e le risorse umane formando “massa<br />

critica” intorno a precisi obiettivi, si possono innescare reazio-<br />

politica e società<br />

FRANCESCO CELLINI<br />

ni a catena che producono “energia innovativa”, inimmaginabile<br />

a priori ed ad alto impatto sui sistemi produttivi.<br />

Si parla spesso oggi di creare sinergia, di coordinarsi, fare<br />

rete, fare sistema, tutti concetti che descrivono modalità operative<br />

per concentrare risorse finanziarie e tecnico-scientifiche<br />

intorno a progetti di ricerca e sviluppo. Concentrare le risorse<br />

è oltretutto un dovere, oltre che essere una necessità, in un<br />

momento in cui le risorse finanziarie sono poche. Ma questo<br />

non è di per sé sufficiente: bisogna andare oltre. Per ottenere<br />

risultati, per consentire la collisione e la “fusione” delle idee, è<br />

necessario concentrare le risorse anche nello spazio, in determinati<br />

territori, in specifiche aree geografiche, attivare poli e<br />

distretti tecnologici su specifici obiettivi.<br />

Sempre di più oggi l’innovazione decisiva, e di conseguenza<br />

la competitività dei sistemi economici, è frutto di politiche<br />

di concentrazione nel tempo e nello spazio di cospicui investimenti.<br />

Non esiste, se non marginalmente, spazio per l’inventore<br />

e per il genio solitario: la mela in testa di Newton è oramai<br />

un lontano ricordo.<br />

Alcuni Paesi e Regioni del mondo, soprattutto quelli con<br />

sistemi produttivi più competitivi, hanno puntato su questo<br />

concetto realizzando politiche di sviluppo locale orientate<br />

al sostegno di veri e propri distretti tecnologico-produttivi,<br />

concentrando risorse in particolari aree, in grado di sostenere<br />

uno sviluppo economico che si annuncia solido e duraturo.<br />

Biotecnologie, Informatica e Telecomunicazioni (ICT), e nanotecnologie<br />

rappresentano settori di punta ad alto contenuto<br />

tecnologico su cui si gioca il futuro e la competitività in ambito<br />

europeo e globale.<br />

11


politica e società<br />

Sviluppo locale per la competitività<br />

globale è una ricetta per una sfida possibile,<br />

una opportunità per interi territori e<br />

regioni del mondo di essere protagoniste<br />

nel nuovo millennio.<br />

Ed è su questo campo che anche un<br />

piccolo territorio come quello della regione<br />

Basilicata può e deve giocarsi la<br />

partita del futuro. La presenza in Basilicata<br />

di strutture scientifiche d’eccellenza,<br />

che hanno investito in settori ad<br />

alta prospettiva di sviluppo come quello<br />

delle biotecnologie (Metapontum Agrobios,<br />

ENEA, Università di Basilicata), e<br />

di capitale umano di alto livello tecnico<br />

scientifico, rappresenta una premessa da<br />

cui poter partire per avviare un processo<br />

di coordinamento e concentrazione<br />

di risorse per la costituzione di distretti<br />

tecnologico-produttivi, che fungano da<br />

attrattori di investimenti.<br />

Tra i settori che possono beneficiare<br />

rapidamente di questo impulso vi sono<br />

l’agroalimentare e l’agroindustria, attualmente<br />

attraversati da una profonda<br />

crisi, comparti di punta del sistema produttivo<br />

della Basilicata e su cui si sono<br />

concentrate le attenzioni di molti progetti<br />

dei soggetti che conducono attività di<br />

ricerca sul territorio. In questa direzione<br />

vanno concentrate anche le risorse della<br />

divulgazione e dei servizi di sviluppo<br />

12<br />

agricolo, con azioni sul fronte dell’innovazione<br />

più incisive del passato, fondamentali<br />

per il successo del trasferimento<br />

tecnologico e per dare prospettiva di sviluppo<br />

alle aziende.<br />

Il recente Piano Strategico varato<br />

dalla Regione Basilicata, che individua<br />

con lucidità la possibilità di generare un<br />

polo sulle biotecnologie nel settore agroalimentare-industriale<br />

ed ambientale nel<br />

Metapontino rappresenta un passo significativo<br />

in questa direzione. Questa<br />

indicazione strategica va adeguatamente<br />

sostenuta e tradotta rapidamente in atti<br />

concreti, riconducendo ed armonizzando<br />

con essa anche altre iniziative, come<br />

quella del Distretto Agroalimentare del<br />

Metapontino, mediante la costruzione di<br />

un vero e proprio progetto di sviluppo<br />

territoriale.<br />

In Basilicata sono presenti tutte le<br />

condizioni perché, dalla concentrazione<br />

di massa critica di risorse intellettuali,<br />

strutturali, produttive e tecnologiche, si<br />

possa generare nuova energia che illumini<br />

il cammino del recupero della competitività<br />

delle imprese, nel solco delle<br />

priorità strategiche per l’Europa e per le<br />

Regioni Obiettivo 2 enunciate a Lisbona<br />

e a Goteborg. Proviamoci.<br />

P<br />

Metaponto, Tavole Palatine


P<br />

Il tempo è una variabile che ha condizionato<br />

e condiziona i sistemi sociali<br />

in generale. Il tempo condiziona la quotidianità<br />

del sistema sociale per le singole<br />

modalità di rappresentazione. Ciò è<br />

avvenuto in tutte le fasi dello sviluppo<br />

storico e sociale dell’umanità. È, in ogni<br />

modo, solo con la rivoluzione industriale<br />

che s’inizia a parlare d’organizzazione<br />

dei tempi sociali. In questo periodo s’inizia<br />

a considerare il tempo come concetto<br />

di durata (lavorativa e personale), come<br />

processo standardizzato della produzione<br />

e della gestione personale e familiare,<br />

come oggettivazione, come mercificazione<br />

o valore di scambio in base ad una<br />

prestazione lavorativa, o come rapporto<br />

diacronico fra tempo lavorativo e tempo<br />

del non lavoro.<br />

Successivamente, dalla società fordista<br />

a quella post-industriale o post<br />

fordista, il concetto del tempo lavorativo<br />

e del tempo personale subisce un<br />

cambiamento notevole. Il cambiamento<br />

della gestione del tempo nell’era post<br />

fordista si caratterizza per modalità differenti<br />

d’utilizzo della risorsa tempo per<br />

sé (maggior tempo libero dovuto ad uno<br />

sviluppo dell’economia della conoscenza),<br />

maggiore diversificazione delle organizzazioni<br />

in cui l’individuo copre più<br />

ruoli e in ambiti differenti, aumento dei<br />

politica e società<br />

Il tempo<br />

e le politiche di conciliazione<br />

servizi in favore dell’individuo e della<br />

famiglia.<br />

Nell’ambito delle scienze sociali,<br />

il concetto di tempo è stato analizzato<br />

come l’insieme dei comportamenti e dei<br />

vissuti che l’individuo riesce a gestire<br />

quotidianamente nei singoli ambiti. Poiché<br />

la variabile tempo assume aspetti e<br />

dimensioni complesse e multidimensionali,<br />

le scienze sociali hanno parcellizzato<br />

le modalità d’analisi, individuando<br />

aree di interesse specifico.<br />

Così, lo studio della gestione del<br />

tempo nelle organizzazioni economiche<br />

e produttive ha come unità di analisi il<br />

lavoro (sociologia del lavoro e dell’organizzazione)<br />

mentre nell’area della sociologia<br />

della famiglia, il tempo viene<br />

analizzato in base ai ruoli di genere, alle<br />

modalità di esprimere la propria personalità<br />

in relazione con gli altri. In altre<br />

aree d’indagine si considera il tempo<br />

come una risorsa che condiziona la vivibilità<br />

urbana e la stessa qualità della vita<br />

in generale.<br />

A livello macro sociale, la gestione<br />

del tempo equivale ad una adeguata organizzazione<br />

della società nel suo complesso.<br />

Come abbiamo visto, l’utilizzo<br />

del tempo è trasversale alla quotidianità<br />

dell’individuo e delle sue implicite<br />

e esplicite manifestazioni. Adeguare i<br />

ANTONIO SANFRANCESCO<br />

tempi ai singoli vissuti significa migliorare<br />

la qualità della vita e dei sistemi di<br />

relazione sociale. Comunque, il tempo è<br />

una risorsa scarsa che va adeguatamente<br />

gestita nelle varie dimensioni quotidiane.<br />

Pertanto per poter meglio razionalizzare<br />

l’uso del tempo si avverte la necessità di<br />

realizzare politiche dei tempi in cui si ottimizzano<br />

le varie dimensioni sociali in<br />

relazione con le dimensioni dello sviluppo<br />

del sé in relazione ai bisogni soggettivi<br />

ed oggettivi.<br />

È importante che vi sia uno spazio<br />

organizzato per la gestione del tempo<br />

produttivo che vi sia un tempo per sé, un<br />

tempo sociale per la famiglia e un tempo<br />

per la cura di sé e degli altri.<br />

La ricerca sociale sulla gestione del<br />

tempo (time budget analisys) si è orientata<br />

soprattutto nella descrizione degli<br />

stili di vita, delle differenze di genere e<br />

di classe. Con il movimento femminista<br />

e con lo sviluppo tecnologico (fase post<br />

fordista) gli orientamenti dell’analisi del<br />

tempo si sono evoluti verso le modalità<br />

di conciliazione dello stesso in relazione<br />

a fenomeni quali la doppia presenza e/o<br />

la diminuzione del tempo del lavoro rispetto<br />

al non lavoro.<br />

L’uso del tempo è cambiato. I bisogni<br />

sociali si sono diversificati e con essi<br />

anche le politiche dei tempi assumono<br />

13


politica e società<br />

una dimensione più legata al territorio<br />

ed ai contesti in cui si esprimono esigenze<br />

e desideri di miglioramento continuo.<br />

Sono aumentate le modalità specifiche di<br />

gestione dei tempi e nello stesso tempo<br />

sono aumentati i sistemi di relazioni che<br />

l’individuo quotidianamente intrattiene<br />

nel proprio vissuto.<br />

Gestire adeguatamente i tempi, nell’attuale<br />

sistema sociale, significa soprattutto,<br />

gestire i singoli processi relazionali<br />

che l’individuo intrattiene e nello<br />

stesso tempo vuol dire anche riuscire a<br />

conciliare i propri bisogni sociali ed individuali<br />

per uno sviluppo della propria<br />

personalità.<br />

La conciliazione dei tempi non è solo<br />

una questione del genere femminile ma<br />

dell’individuo nella sua complessità. Interessa<br />

direttamente uomini e donne che<br />

sono quotidianamente in relazione e che<br />

con loro producono sistemi sociali funzionali<br />

ad una qualità della vita basata sui<br />

principi culturali delle pari opportunità.<br />

È importante che le politiche di conciliazione<br />

dei tempi interessino tutta la<br />

collettività e che siano programmati dalle<br />

istituzioni pubbliche.<br />

Le amministrazioni pubbliche devono<br />

essere in grado di poter gestire ed<br />

14<br />

organizzare il tempo in base alle caratteristiche<br />

del territorio e delle popolazioni<br />

locali. Devono riuscire a razionalizzare<br />

i principi della conciliazione di vita e di<br />

lavoro in sistema equilibrato di relazioni<br />

efficaci fra gli individui.<br />

Conciliare è un termine molto usato<br />

ed utilizzato in più ambiti disciplinari. Il<br />

termine conciliazione assume significati<br />

differenti in relazione all’ambito specifico<br />

di concettualizzazione. Il termine<br />

conciliare assume un significato particolare<br />

nella letteratura giuridica ed un altro<br />

in quella sociologica o psicologica.<br />

È certamente un termine che non è facile<br />

a generalizzazioni epistemologiche.<br />

La conciliazione assume un significato<br />

particolare nella letteratura di genere.<br />

La conciliazione di genere assume un<br />

significato d’equilibrio permanente fra<br />

le dimensioni oggettive e soggettive del<br />

vivere quotidiano di ciascun individuo<br />

rispetto alle organizzazioni formali o informali<br />

d’appartenenza.<br />

Il concetto di conciliazione di genere<br />

si associa da un po’ di tempo alle variabili<br />

vita e lavoro. La conciliazione di vita e<br />

lavoro significa soprattutto per il genere<br />

femminile e maschile individuare tempi<br />

che sono conciliabili con le dimensioni<br />

P<br />

dualistiche del proprio vivere quotidiano.<br />

Il rapporto vita-lavoro cambia sui<br />

tempi in base al genere d’appartenenza<br />

ed ai ruoli codificati di ciascuno. Conciliare<br />

i tempi per il genere femminile è<br />

molto più difficile per il genere maschile.<br />

Sia per la doppia presenza delle donne<br />

negli ambiti di responsabilità familiare<br />

(cura per i figli, cura della casa, cura per<br />

i genitori) che nell’ambito lavorativo. È<br />

stato necessario riuscire ad attivare sistemi<br />

d’equilibrio dei tempi e delle responsabilità<br />

fra i generi.<br />

Attivare una politica delle pari opportunità<br />

significa non solo realizzare<br />

più spazi per le questioni femminili, ma<br />

anche determinare nuove modalità d’intervento<br />

sociale che riesca ad equilibrare<br />

situazioni di svantaggio sociale.<br />

Le politiche per le pari opportunità<br />

devono essere considerate come l’attuazione<br />

di misure per una giustizia sociale<br />

più ampia e diffusa fra le popolazioni<br />

che partono con uno svantaggio sociale,<br />

di genere o di razza.<br />

Le politiche per le pari opportunità<br />

sono applicate al genere femminile con<br />

riferimento ai ruoli di ciascuno. Le differenze<br />

di genere non derivano da condizioni<br />

di svantaggio sociale ed econo-


P<br />

mico ma dalla soggettività maschile e<br />

femminile, cioè dal modo in cui i ruoli<br />

definiti socialmente li avvantaggiano e o<br />

li danneggiano. Ciò si riflette in tutti gli<br />

ambiti di vita pubblica e privata (dal lavoro<br />

alla cura di sé e della famiglia).<br />

La conciliazione non riguarda solo<br />

il genere femminile, ma interessa sia gli<br />

uomini che le donne che in diversi ambiti<br />

di vita e di lavoro svolgono azioni specifiche.<br />

Attivare processi di conciliazione<br />

di genere, in termini teorici, significa,<br />

all’interno di una situazione familiare<br />

o d’altre situazioni, attivare procedure<br />

e modalità attive di organizzazione dei<br />

tempi in base alle esigenze di ciascun<br />

individuo, in relazione con il proprio<br />

ambiente sociale e produttivo. Significa,<br />

in sintesi attivare una politica di family<br />

friendly condivisa da tutti i generi e le<br />

organizzazioni d’appartenenza. Una conciliazione<br />

vera è possibile soltanto quando<br />

tutte le sottodimensioni politiche e<br />

sociali sono realizzabili soggettivamente<br />

da individui che promuovono azioni di<br />

equilibrio sociale. Realizzare politiche<br />

di conciliazione significa anche rimuovere<br />

tutte le condizioni che ostacolano le<br />

manifestazioni di libertà e di espressione<br />

dell’individuo. La conciliazione di gene-<br />

re deve riuscire a liberare la donna da<br />

molti ostacoli che impediscono di attuare<br />

le singole espressioni del sé. Espressione<br />

del sé che significa manifestare e<br />

gestire liberamente i vari tempi sociali,<br />

produttivi e personali. Conciliare i tempi<br />

di vita e di lavoro per le donne deve<br />

significare soprattutto riuscire a liberarsi<br />

da vincoli atavici che l’hanno relegata<br />

per anni in un ruolo subalterno al genere<br />

maschile. Da anni, la donna è riuscita ad<br />

emanciparsi ed a svolgere attività e ruoli<br />

sempre più diversificati. Nel lavoro, la<br />

donna riesce ad esprimere creatività ed<br />

innovazione nelle soluzioni produttive.<br />

È sempre più presente nelle dinamiche<br />

del mercato del lavoro. La presenza<br />

femminile nel mercato del lavoro negli<br />

ultimi anni è notevolmente aumentato<br />

con uno sviluppo anche discreto della<br />

presenza femminile in ruoli di responsabilità.<br />

Le strutture pubbliche devono facilitare<br />

la realizzazione delle politiche di<br />

conciliazione vita-lavoro, attraverso una<br />

programmazione del territorio che sia in<br />

grado di soddisfare le singole esigenze e<br />

bisogni provenienti dalle famiglie e dagli<br />

individui.<br />

Le amministrazioni pubbliche devono<br />

essere in grado di poter programmare le<br />

politica e società<br />

modalità di gestione e di organizzazione<br />

dei tempi attraverso:<br />

1. L’organizzazione di servizi per<br />

l’infanzia (scuole materne) adeguati;<br />

2. La gestione del tempo libero<br />

come attività indispensabile per equilibrare<br />

i tempi di vita familiare e di<br />

vita lavorativa – utilizzando strumenti<br />

innovativi di organizzazione del tempo<br />

come la banca del tempo;<br />

3. La realizzazione di servizi per<br />

gli anziani o per le persone in difficoltà,<br />

in modo da aiutare le famiglie a<br />

risolvere problemi di cura che impediscono<br />

strutturalmente, soprattutto in<br />

alcune realtà del meridione, lo sviluppo<br />

di carriere o l’accesso al mercato<br />

del lavoro;<br />

4. La gestione di servizi urbani<br />

efficienti che riescono a facilitare i<br />

tempi di percorrenza fra il luogo di<br />

residenza e il posto di lavoro;<br />

5. La realizzazione di asili nido,<br />

per aiutare gli individui, soprattutto le<br />

donne, a svolgere con maggiore serenità<br />

la propria vita lavorativa.<br />

15


politica e società<br />

16<br />

UNITÀ<br />

CONTADINA<br />

P


P<br />

Protocollo di Kyoto<br />

politica e società<br />

tra opportunità e illusioni<br />

È, ormai, unanimemente condiviso che le attività umane, attraverso<br />

l’uso dei combustibili fossili e la deforestazione, hanno<br />

determinato cambiamenti nella composizione dell’atmosfera<br />

con un incremento della concentrazione dei gas serra. Tale<br />

incremento riduce l’efficienza di raffreddamento della terra,<br />

causando un aumento della temperatura negli strati più bassi<br />

dell’atmosfera e sulla superficie terrestre; questo fenomeno<br />

non è altro che l’intensificazione di un effetto naturale che si<br />

verifica in atmosfera da miliardi di anni e che produce cambiamenti<br />

nel clima le cui manifestazioni, negli ultimi anni, si verificano<br />

con sempre maggiore frequenza ed intensità attraverso<br />

eventi meteorici estremi (alluvioni, frane, uragani..), fenomeni<br />

di desertificazione, perdite di biodiversità, aumento del livello<br />

dei mari. I modelli di previsione sui cambiamenti climatici indicano<br />

che l’incremento di temperatura, nei prossimi decenni,<br />

sarà compreso tra 1.5 e 5.8 °C.<br />

La risposta della politica internazionale per ridurre gli effetti<br />

negativi del riscaldamento è rappresentata dalla Convezione<br />

Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici del’92<br />

il cui obiettivo è la stabilizzazione della concentrazione dei<br />

gas ad effetto serra. Lo strumento attuativo della convenzione<br />

è rappresentato dal protocollo di Kyoto, entrato in vigore nel<br />

febbraio del 2005; il protocollo impegna i paesi firmatari a<br />

ridurre le emissioni, rispetto ai valori registrati nel 1990, attraverso<br />

il miglioramento dell’efficienza energetica, l’incremento<br />

della produzione energetica da fonti rinnovabili (solare,<br />

eolico, biomassa, ecc.) e la diffusione di modelli agro-forestali<br />

sostenibili. L’Italia si è impegnata a ridurre le proprie emissioni<br />

del 6.5% nel periodo 2008-2012.<br />

LIDIA CONSIGLIO<br />

SONIA MASTROPIERRO<br />

GRAZIANO ANTONIO PIZZICHILLO<br />

Il protocollo di Kyoto ha evidenziato l’importante ruolo svolto<br />

dall’ecosistema agrario e forestale nella mitigazione dell’effetto<br />

serra, grazie alla sua capacità di assorbimento e di riciclaggio<br />

dell’anidride carbonica e, in quanto produttore di materie<br />

prime utilizzabili a scopo energetico, nella produzione di<br />

energia pulita da fonti rinnovabili. Questi aspetti sono particolarmente<br />

validi per il nostro Paese, caratterizzato da bassi tassi<br />

energetici e dipendente in larga misura dall’estero per i suoi<br />

fabbisogni. L’attuazione del protocollo offre, pertanto, nuove<br />

opportunità al settore agro-forestale ai fini di una sua rivalutazione<br />

anche economica, attraverso la formazione dei crediti di<br />

carbonio e la produzione di biomassa a fini energetici.<br />

Stanti queste premesse, in campo politico si dovrebbero perseguire<br />

obbiettivi innovativi, che, tenendo conto delle emergenze<br />

ambientali, promuovano la diversificazione degli assetti<br />

produttivi agro-forestali convenzionali e ne definiscano nuovi<br />

modelli di sviluppo.<br />

A questo proposito, le colture energetiche, oltre a rendere disponibile<br />

una fonte energetica integrativa, pulita e rinnovabile,<br />

possono rappresentare un’alternativa alle produzioni agricole<br />

alimentari e contribuire al reddito, all’occupazione e al contenimento<br />

dell’abbandono delle aree rurali, particolarmente di<br />

quelle montane, poco competitive.<br />

Per quanto da tempo si parli di energia da biomassa e per<br />

quanto da tempo si decantino le virtù delle colture dedicate, i<br />

dati sperimentali in merito sono ancora insufficienti a fornire<br />

un quadro chiaro sulle reali risposte ottenibili, in relazione alle<br />

specie utilizzabili e alla convenienza economica. Lo stesso<br />

discorso vale per gli scarti di lavorazione delle utilizzazioni<br />

17


politica e società<br />

forestali e per gli scarti di potatura di provenienza agricola e<br />

urbana e vale per la Basilicata, dove poco o nulla si è fatto in<br />

tal senso.<br />

Per cogliere appieno tale opportunità sarebbe necessario investire<br />

nella ricerca ovvero occorrerebbe sostenere sperimentazioni<br />

volte a valutare le aree regionali maggiormente vocate,<br />

le specie più idonee tra quelle già utilizzate, eventuali specie<br />

autoctone, le rese ottenibili, i costi di conversione legati alla<br />

possibilità o meno del re-impiego delle macchine e attrezzature<br />

dell’agricoltura tradizionale, in definitiva valutare le<br />

specie che permettono di conseguire un maggiore vantaggio<br />

economico. Anche per i residui forestali e gli scarti di potatura<br />

occorre approfondire le conoscenze circa le modalità, la<br />

produttività e i costi di raccolta. Le istituzioni possono offrire<br />

una risposta efficace in tal senso intensificando i rapporti di<br />

collaborazione con l’Università degli Studi della Basilicata,<br />

sicché questa possa divenire finalmente volano di sviluppo per<br />

il territorio, ruolo auspicato e mai realizzato, per il quale è<br />

stata istituita.<br />

Il protocollo di Kyoto assegna un ruolo strategico anche alla<br />

gestione forestale sostenibile, al recupero di boschi degradati<br />

e alla protezione del territorio.<br />

Un modello di gestione forestale sostenibile deve mirare a migliorare<br />

l’efficienza degli ecosistemi, conseguendo risultati positivi<br />

in termini di assorbimento di anidride carbonica, di protezione<br />

del suolo, di regolazione del ciclo idrologico, di difesa<br />

dagli incendi, di mantenimento della biodiversità, e non ultimo<br />

di produttività. Un tale modello di gestione presuppone la presenza<br />

continua dell’uomo sul territorio e l’acquisizione della<br />

consapevolezza che la protezione senza intervento spesso equi-<br />

18<br />

P<br />

vale ad abbandono, quindi a perdita di efficienza funzionale.<br />

In definitiva, una gestione sostenibile può generare ricchezza<br />

e occupazione anche in virtù del fatto che il bosco rappresenta<br />

una risorsa ampiamente disponibile sul nostro territorio.<br />

Per alcuni decenni, in coincidenza del boom economico, si è<br />

verificata una stasi nelle utilizzazioni e nella cura del bosco che<br />

ha portato alla formazione di popolamenti invecchiati, instabili<br />

e molto suscettibili a danni sia di tipo biotico che abiotico.<br />

È sufficiente una passeggiata, non ai margini, ma all’interno<br />

di qualsiasi foresta prossima alle aree urbanizzate, per ricevere<br />

un’impressione di abbandono e di degrado. Al contrario di<br />

quanto pensano ambientalisti poco o male informati, in molti<br />

casi il solo rimedio per ripristinare la funzionalità perduta è<br />

la motosega. Questo non lo impone la compiacenza o l’interesse<br />

delle autorità variamente coinvolte nell’iter burocratico<br />

che precede il taglio di un bosco ma una secolare e autorevole<br />

conoscenza scientifica in materia selvicolturale, ampiamente<br />

avvalorata dall’esperienza, e quindi non paragonabile ad<br />

un’opinione qualunquistica sulla conservazione degli ecosistemi<br />

forestali.<br />

Sotto la spinta delle nuove politiche ambientali, la Regione Basilicata<br />

e molti comuni proprietari di boschi si sono dotati di piani<br />

di gestione (piani di assestamento forestale), strumenti conoscitivi<br />

e programmatici idonei ad affrontare le problematiche sinora<br />

evidenziate e la cui applicazione creerà un indotto economico<br />

significativo per le comunità locali.<br />

In questo contesto un ruolo decisivo può essere assegnato agli<br />

operai forestali, affinché questi si trasformino da peso sociale,<br />

come generalmente vengono considerati, in soggetti economicamente<br />

attivi. Perché ciò avvenga occorre, a monte, una valida


Pattività di formazione professionale, di valorizzazione delle abilità<br />

e delle conoscenze tradizionali da associare ad una politica<br />

di incentivazione e di responsabilizzazione. L’acquisizione della<br />

consapevolezza di svolgere un lavoro di rilevanza sociale, oltre<br />

che ambientale, può costituire una spinta al fare e al fare bene,<br />

maggiore di quella strettamente economica.<br />

Gli operai forestali possono essere destinati a svolgere quelle attività<br />

e realizzare quegli interventi che, nell’ambito della gestione<br />

forestale, risultano economicamente onerosi e che per tale ragione<br />

spesso non vengono eseguiti, quali la manutenzione della<br />

viabilità forestale, la manutenzione delle aree attrezzate, le sistemazioni<br />

idraulico-forestali e tanto altro ancora. Uno dei maggiori<br />

handicap per una gestione forestale razionale è la stagionalità<br />

degli operai: occorre garantire continuità nel lavoro. La gestione<br />

si realizza durante tutto l’anno e molte operazioni colturali sono<br />

legate a periodi ben definiti e non possono dipendere dalla disponibilità<br />

della manodopera. Si potrebbe assumere in modo scalare<br />

la manodopera, sì da poter coprire tutto l’anno e non impiegarla<br />

contemporaneamente, talvolta in modo inutile e superfluo.<br />

Infine, elemento di innovazione da più parti suggerito e auspicato<br />

per dare vivacità al settore forestale, e passare da una<br />

condizione di assistenzialismo ad una di autopropulsione, è<br />

quella di incentivare la creazione d’impresa anche attraverso<br />

forme di cooperazione. È vero che si è tendenzialmente pessimisti<br />

circa la possibilità di fare impresa nel settore forestale al<br />

Sud, ma ciò non impedisce di provare a smentire un opinione<br />

diffusa, mettendo in campo un’esperienza pilota, e a fare impresa<br />

coinvolgendo i soggetti più attivi e sensibili tra gli operai<br />

o giovani che hanno voglia di mettersi in gioco.<br />

Altro punto essenziale da considerare, ai fini di una gestione<br />

forestale razionale e di una buona organizzazione del lavoro,<br />

riguarda i gestori delle foreste che devono essere rappresentati<br />

da soggetti con requisiti professionali idonei e sufficientemente<br />

qualificati. Il che comporterebbe ulteriori spazi occupazionali<br />

ai laureati dell’Università di Basilicata, non solo ad agronomi<br />

e forestali ma anche a ingegneri e geologi, contribuendo<br />

a ridurre il fenomeno diffuso di emigrazione delle risorse intellettuali<br />

verso destinazioni più promettenti, con ripercussioni<br />

sulle possibilità di crescita socioeconomica della Regione.<br />

Anche gli Ordini di Categoria potrebbero contribuire ad accrescere<br />

il livello qualitativo delle figure professionali del<br />

settore, facendosi promotori di una formazione continua: la<br />

conoscenza necessita di essere continuamente alimentata, per<br />

poter offrire risposte adeguate a problemi in continua e rapida<br />

evoluzione.<br />

Occorre, infine, che ci sia dialogo tra i diversi attori coinvolti<br />

nella gestione e trasferimento delle conoscenze, tali da consentire<br />

il superamento di posizioni talvolta pregiudiziali, che<br />

impediscono di lavorare in modo proficuo, causando sprechi<br />

economici e mancato raggiungimento degli obbiettivi.<br />

politica e società<br />

Eolico?<br />

Si grazie, ma...<br />

GERVASIO UNGOLO<br />

Le vicende che si stanno sviluppando intorno alla diffusione<br />

della energia Eolica sul territorio regionale sono significative<br />

di come, all’interno di una logica di profitto, anche una<br />

scelta corretta e condivisibile possa trasformarsi in qualcosa<br />

di dannoso. Partiamo da una serie di interrogativi.<br />

Cosa succede alle energie alternative e rinnovabili con<br />

l’entrata in vigore del trattato di Kyoto? Quali nuove regole<br />

sono necessarie affinché da energia pulita non si trasformi in<br />

affare sporco? Quali nuove metodologie devono accompagnare<br />

queste forme di energia? Quale funzione deve assumere la<br />

Società Energetica Lucana (SEL)? Questa regione si candida<br />

a produrre energie per i propri fabbisogni o per proporsi sul<br />

mercato?<br />

Chi scrive è un forte sostenitore dell’ ambiente, uno che ha<br />

aderito al movimento ambientalista degli anni ‘80 con il quale<br />

si sconfisse il nucleare e che di quelle idee ha fatto il proprio<br />

bagaglio culturale e politico. Credo in una agricoltura dei cicli<br />

naturali, in contrapposizione ad una concezione dello sviluppo<br />

che non guarda l’ambiente come suo limite. Ho sempre<br />

sostenuto la necessità dello sviluppo delle fonti alternative<br />

e soprattutto rinnovabili per la produzione di energia nella<br />

consapevolezza della necessità di costruire macchine che trasformino<br />

“semplicemente” altre forme di energia in energia<br />

addomesticabile. Da quelle più vecchie: solare, eolico, geotermica,<br />

del moto delle maree, fino a quella più sofisticata ad<br />

alta innovazione, quale è l’ idrogeno o la fusione nucleare.<br />

Non ci sono, quindi dubbi, sulla condivisione di una scelta<br />

che punta alle energie alternative a condizione che anche queste<br />

sottostiano ad alcune regole. La prima è che si investa in<br />

energia eolica all’interno delle quote previste dal protocollo<br />

19


politica e società<br />

di Kyoto ed in ogni caso con eccedenze<br />

non trabordandi rispetto ai bisogni delle<br />

comunità dove si collocano gli impianti,<br />

la seconda che si tutelino anche le altre<br />

emergenze ambientali a partire da quella<br />

paesaggistica che rappresenta per noi<br />

una risorsa importante. Il caso di Palazzo<br />

San Gervasio da questo punto di<br />

vista è emblematico in quanto vi è una<br />

proposta di impiantare 26 pale, con la<br />

costituzione di un vero e proprio parco<br />

eolico, alcune delle quali in zona a forte<br />

impatto visivo, a fronte di una necessità<br />

locale di gran lunga inferiore. Basterebbero,<br />

infatti, 10 pale per saturare ampiamente<br />

i bisogni del territorio, producendo<br />

più energia del necessario e senza un<br />

impatto negativo.<br />

Anche scelte energetiche non direttamente<br />

inquinanti quando superano i<br />

limiti posti dalla natura stessa possono<br />

produrre pericolose alterazioni ambientali,<br />

questo vale per l’eolico ma anche<br />

per scelte di altro tipo. Facciamo un<br />

esempio, se consideriamo il ciclo del<br />

carbonio e nella fattispecie della C02<br />

(anidridecarbonica), in natura esiste un<br />

equilibrio tra quello presente nell’aria<br />

allo stato gassoso, tra l’acido carbonico<br />

disciolto negli oceani e quello fissato<br />

20<br />

come carbonati nei suoli. In questi anni<br />

non abbiamo fatto altro che aumentare<br />

la sua concentrazione nella fase gassosa,<br />

spostando l’equilibrio in misura<br />

maggiore di quanto la natura non fosse<br />

in grado di tamponare.<br />

Naturalmente questo ragionamento<br />

di buon senso si scontra con le difficoltà<br />

finanziarie dei comuni, con la spregiudicatezza<br />

di società che comprano il<br />

consenso delle comunità locali con lauti<br />

finanziamenti ai comuni per le concessioni<br />

necessarie proponendosi anche<br />

come filantropi ed ecologisti che hanno<br />

a cuore gli interessi dei cittadini. La<br />

vicenda di Palazzo San Gervasio, purtroppo<br />

non è la sola, analoghe vicende<br />

si stanno presentando un po’ su tutto il<br />

territorio regionale ed è quindi necessario<br />

mettere mano ad una legge che regoli<br />

il settore vincolando le concessioni<br />

dei V.I.A. a precisi parametri scientifici.<br />

Vanno analizzati diversi elementi tenendo<br />

conto sia della esauribilità che della<br />

sostenibilità e quindi sulla possibilità<br />

che ha il nostro pianeta di assorbire le<br />

nostre attività in funzione allo smaltimento<br />

dei rifiuti che si producono, il<br />

loro periodo di vita, o meglio, il tempo<br />

che ci vuole affinché le molecole si tra-<br />

P<br />

sformino o che la radioattività cessi. Il<br />

concetto di Sviluppo Sostenibile rappresenta<br />

la sfida del nostro secolo in quanto<br />

evidenzia la necessità di creare sviluppo<br />

ma con tempi e modi ragionevoli, compatibili<br />

con i sistemi naturali che sono<br />

poi alla base delle metodologie di VIA,<br />

di agricolture più ecocompatibili, certificazione<br />

ambientali, etc.<br />

Con il Trattato di Kyoto si sono fissati<br />

i limiti all’inquinamento e si sono<br />

date metodologie che permettono di<br />

continuare il gioco dell’offerta e della<br />

domanda delle società capitaliste evolute<br />

creando anche la moneta di scambio:<br />

i certificati verdi, ossia crediti accumulabili,<br />

scambiabili e vendibili a fronte di<br />

debiti rappresentati dalle produzioni di<br />

Anidride Carbonica che ognuno di noi<br />

produce, in un bilancio in cui fortunatamente<br />

rientrano le coperture vegetali<br />

(boschi, foreste, etc, ). Come vedremo i<br />

Paesi Ricchi sono già in lizza per accaparrarsi<br />

pezzi di “pianeta verde”.<br />

Si arriva oggi al dopo Kyoto, dopo<br />

essere passati attraverso il Decreto Ronchi,<br />

ai vari condoni, alla privatizzazione<br />

della produzione di energia, per<br />

mantenere le concessioni è necessaria<br />

una percentuale di produzione di ener-


P<br />

gia pulita. Ed ecco allora il sorgere del<br />

nuovo business. Chiaramente la parte di<br />

energia pulita da produrre dovrà essere<br />

la meno costosa, ed ecco allora la scelta<br />

dell’eolico fra le fonti rinnovabili.<br />

L’ambientalismo sembra essere allora<br />

la nuova moda (in termini di spostamento<br />

e valorizzazione di capitali)<br />

perciò anche il movimento ambientalista<br />

è disorientato e rimane interdetto<br />

nel vedersi piantato nel proprio giardino<br />

un nuovo Aereogeneratore (Torretta<br />

energetica, altezza 100 mt. lungh. Pala<br />

50 mt. lungh. Tot 150 mt., potenza 3<br />

megawatt) e poi un altro in quello del<br />

vicino, e poi ancora un altro fino a 26<br />

in un comune per un totale di circa 100<br />

megawatt e poi 80 nel comune vicino e<br />

poi a perdita di orizzonte una fila ininterrotta<br />

di Aereogeneratori.<br />

Il movimento ambientalista sconta<br />

qualche momento di evidente imbarazzo,<br />

non si oppone, ma sente un disagio<br />

che cresce. Qualcosa che nasce dalla<br />

consapevolezza che il troppo stroppia,<br />

manca un equilibrio tra il fabbisogno<br />

del mio Comune, circa 40 megawatt, e<br />

quello che dovrebbe produrre il Parco<br />

Eolico (120 megawatt), forse manca una<br />

distribuzione dei carichi e dei privilegi.<br />

È urgente una riflessione: possibile<br />

che dopo aver consumato chilometri di<br />

parole sulle energie rinnovabili lo stesso<br />

movimento debba dire basta all’eolico?<br />

Diventa, quindi, anche difficile spiegare<br />

perchè la Regione Sardegna debba<br />

negare gli aereogeneratori vedendoli<br />

come una minaccia per il territorio e<br />

la regione Basilicata debba, e ne diamo<br />

merito, affrontare la questione con una<br />

legge che limita la loro istallazione in<br />

alcune aree e deregolamentare le altre.<br />

Per questo non è accettabile che tutta<br />

la questione, che muove centinaia di<br />

migliaia di euro, sia fatta per mezzo di<br />

trattativa privata tra il Sindaco e le società<br />

interessate e che il tutto passi solo<br />

attraverso la Valutazione di Impatto<br />

Ambientale (V.I.A.) e dai vincoli di carattere<br />

generale.<br />

Bisogna sganciare le amministrazioni<br />

locali dai ricatti economici e coinvolgere<br />

le comunità interessate, il varo di<br />

un Piano Energetico Regionale che assegni<br />

il carico sopportabile dai territori<br />

risulta, in questo contesto, una esigenza<br />

inderogabile.<br />

Se l’estensione dell’eolico in Basilicata<br />

genera questi interrogativi ne discende<br />

la necessità di una attenta rifles-<br />

politica e società<br />

sione tra le comunità e le forze politiche<br />

che guardi a tutto il settore energetico,<br />

dal petrolio all’eolico, come fattore strategico<br />

ma senza produrre scempi, assegnando<br />

quote a tutte le fonti rinnovabili,<br />

anche le meno appetibili, e soprattutto<br />

facendo del risparmio energetico la prima<br />

fonte di produzione di energia. Occorre<br />

adeguare l’estrazione, la produzione<br />

e il risparmio energetico ai parametri<br />

imposti da Kyoto adeguandosi ai limiti<br />

dello sviluppo sostenibile e controllare,<br />

se necessario limitare, l’eventuale surplus<br />

energetico anche se si tratta di energia<br />

prodotta da fonte rinnovabile.<br />

21


politica e società<br />

22<br />

“Il mio disegno non era il disegno di un cappello.<br />

Era il disegno di un boa che digeriva un elefante.<br />

[...] Bisogna sempre spiegargliele le cose, ai grandi.”<br />

Antoine de Saint-Exupéry, “Il Piccolo Principe”<br />

Il concorso di idee di Pescopagano<br />

Nel 2001, ERGA, la società dell’Enel<br />

per le energie rinnovabili e Legambiente,<br />

hanno bandito un concorso<br />

di idee, rivolto ad architetti, paesaggisti<br />

ed ingegneri, per la realizzazione di due<br />

impianti eolici a basso impatto paesaggistico,<br />

uno a Cinisi (PA) e l’altro a Pescopagano<br />

(PZ).<br />

Il concorso aveva l’obiettivo di coinvolgere<br />

il mondo dell’architettura per<br />

migliorare l’inserimento dei due impianti<br />

eolici nel paesaggio italiano. Le proposte<br />

dovevano sviluppare e approfondire<br />

le forme più avanzate di intervento nella<br />

direzione della qualità architettonica e<br />

della valorizzazione ambientale e paesaggistica.<br />

Ho partecipato a quel concorso con<br />

un gruppo di progettazione, coordinato<br />

da Stefan Pollak, con un progetto che si<br />

poneva l’obbiettivo di risolvere l’impatto<br />

visivo dell’impianto eolico a livello<br />

territoriale 1 . Dal punto di vista percettivo<br />

è molto più importante l’immagine dell’intervento<br />

rilevata dai principali punti<br />

di osservazione presenti sul territorio<br />

(centri abitati, strade, punti panoramici<br />

ecc.) che l’effettiva soluzione dei temi<br />

P<br />

Paesaggi del vento<br />

E se le pale fossero<br />

monumenti?<br />

VINCENZO DI SIENA<br />

funzionali di utilizzo dello spazio alla<br />

base degli aerogeneratori. Per questo<br />

motivo il progetto affronta il tema dell’impianto<br />

eolico privilegiando la scala<br />

paesaggistica con lo scopo di realizzare<br />

delle strutture che siano al tempo stesso<br />

produttrici di energia “pulita” e rispettose<br />

dell’ambiente e del territorio in cui si<br />

inseriscono.<br />

Naturalmente la soluzione da noi<br />

prospettata è compatibile con un numero<br />

di pale molto limitate, Nel caso di Pescopagano<br />

ne erano, infatti, soltanto sei.<br />

La relazione di progetto<br />

Il crinale che unisce la Pietra del Carruozzo<br />

con l’omonimo Monte avrebbe<br />

dovuto ospitare un’impianto eolico di<br />

4,5 MW. Sei rotori sarebbero stati posti<br />

all’estremità di aste sospese.<br />

Era previsto che un sistema di cavi tesi<br />

e di elementi aerei liberasse il movimento<br />

dei rotori lungo lo skyline naturale.<br />

Grandi alberi che mossi dal vento<br />

completassero il paesaggio, appropriandosi<br />

dei colori del cielo, del terreno, mimando<br />

una seconda schiena di crinale e<br />

dandone un’immagine più smaterializzata,<br />

quasi eterea. Così facendo si sarebbe


P<br />

esaltato un carattere più giocoso dell’aerogeneratore,<br />

oggetto meccanico proprio<br />

del processo di produzione energetica,<br />

ma percettivamente estraneo al paesaggio.<br />

Ne risulta un’immagine di uno<br />

“shanghai” nel vento, non dissimili dai<br />

“tossing sticks”, installazioni artistiche<br />

eseguite dall’inglese Andy Goldsworthy<br />

all’inizio degli anni ’80.<br />

La stabilità è data da un sistema strutturale<br />

detto Tensegrity, acronimo coniato<br />

da Richard Buckminster Fuller dalla<br />

contrazione di “tension + integrity”. Il<br />

primo a sperimentare tali strutture è stato<br />

lo scultore statunitense Kenneth Snelson<br />

che ne ha eseguiti diversi esemplari di<br />

dimensioni anche molto grandi. La particolarità<br />

di questo sistema sta nel fatto<br />

che non vi è contatto diretto tra le aste<br />

compresse. Le sollecitazioni sono sempre<br />

trasmesse attraverso i cavi.<br />

Questa struttura ha un’elasticità intrinseca<br />

che, oltre ad assorbire bene le<br />

sollecitazioni impresse da turbolenze<br />

di corrente o dalla rotazione della navicella,<br />

permette all’intero organismo di<br />

muoversi leggermente assecondando le<br />

sollecitazioni del vento.<br />

Il punto di ancoraggio a terra e il punto<br />

di attacco del rotore possono distare anche<br />

diversi metri tra loro. In questo modo si<br />

ottimizza la posizione degli uni in funzione<br />

dei dati geologici e dell’accessibilità e<br />

quella degli altri in funzione dei dati anemometrici<br />

e della visibilità da lontano.<br />

La flessibilità di questa struttura risponde<br />

a morfologie anche dissimili tra<br />

loro così il suo inserimento si risolve facilmente<br />

anche in luoghi molto diversi<br />

da quello in esame.<br />

Note<br />

1 Progetto partecipante al concorso “Paesaggi<br />

del vento” sull’area di Pescopagano<br />

(novembre-dicembre 2001) e pubblicato su<br />

E. Zanchini (a cura di), Paesaggi del vento,<br />

Roma 2002.<br />

Gruppo di progettazione: Vincenzo Di Siena,<br />

Stefan Pollak (capogruppo), Paolo Russo,<br />

Francesca Rossi, Sandro Sancineto, Giulia<br />

Fiocca.<br />

Consulenti: Luigi Rebecchini, Jacopo Parenti.<br />

“Tossing sticks”, di Andy Goldsworthy<br />

a cui si ispira il progetto illustrato nelle<br />

immagini precedenti.<br />

politica e società<br />

23


politica e società<br />

Non solo pena<br />

Carcere e territorio,<br />

una relazione possibile<br />

La presentazione del libro Patrie galere.<br />

Viaggio nell’Italia dietro le sbarre<br />

curato da Stefano Anastasia e Patrizio<br />

Gonnella, è stata un’occasione per parlare<br />

qui a Potenza della realtà del carcere<br />

al di fuori di toni celebrativi ovvero di<br />

stereotipi e pregiudizi.<br />

Si è parlato infatti del mondo penitenziario<br />

in maniera lucida e “disincantata”<br />

partendo dalla lettura di questo piccolo<br />

libro che introduce il lettore, passo<br />

dopo passo, attraverso il racconto di una<br />

quotidianità che assume spesso sapore<br />

di irragionevolezza nella sua affermata<br />

immutabilità.<br />

Eppure nel 1975 l’emanazione del<br />

nuovo ordinamento penitenziario aveva<br />

introdotto modifiche epocali nell’esecuzione<br />

della pena in Italia affermando<br />

il principio dell’individualizzazione del<br />

trattamento e la finalità rieducativa della<br />

pena, in linea con il dettato costituzionale<br />

che all’art. 27 recita che “Le pene non<br />

possono consistere in trattamenti contrari<br />

al senso di umanità e devono tendere<br />

alla rieducazione del condannato.”<br />

Il detenuto che fino a quel momento<br />

veniva considerato soltanto oggetto passivo<br />

di una condanna imposta dallo stato,<br />

diviene in questa nuova prospettiva<br />

soggetto di diritti, e tra questi del “diritto<br />

al trattamento”, diritto quindi ad avere<br />

24<br />

offerta una occasione di recupero e di<br />

reinserimento sociale. Un soggetto che<br />

sostenuto in un processo di riassunzione<br />

di una posizione responsabile nei confronti<br />

della propria esistenza può essere<br />

re-incluso nella società.<br />

Altro elemento portante dell’impianto<br />

della nuova legge è quello della “partecipazione<br />

della Comunità all’opera del trattamento”.<br />

Il carcere si apre infatti dal 1975<br />

e poi, ancor di più a seguito della Legge<br />

Gozzini – al territorio, volontariato, enti<br />

locali, associazioni, imprese, soggetti che<br />

possono da quel momento entrare in carcere<br />

per concorrere concretamente alla risocializzazione<br />

del condannato. Le mura<br />

del carcere diventano pertanto permeabili<br />

ed il territorio, e la cosiddetta Comunità<br />

esterna è chiamata a far proprio il problema<br />

del condannato.<br />

Perché oggi rispetto alle affermazioni<br />

di principi di grande valenza etica si<br />

vive allora una dimensione di disincanto?<br />

Cosa si è fatto in questi trent’anni<br />

dalla riforma?<br />

Al di là dell’impegno pionieristico<br />

dei primi operatori, pian piano la forza<br />

del dettato normativo ha perso la spinta<br />

iniziale, gli operatori hanno via via<br />

ridotto il loro operare a dimensioni essenzialmente<br />

burocratiche, curando<br />

adempimenti formali, ed il trattamento<br />

MARIA PIA GIUFFRIDA<br />

P<br />

individualizzato si è trasformato in un<br />

“intrattenimento” dei detenuti,che seppur<br />

lodevole lascia il detenuto in posizione<br />

“passivizzante” e non concorre a<br />

costruire quel processo di cambiamento<br />

di cui si diceva e che passa attraverso la<br />

costruzione di percorsi di responsabilizzazione.<br />

I ritualismi della vita penitenziaria, la<br />

dilagante cultura del mero adempimento,<br />

la perdita di significato di concetti<br />

quali individualizzazione del trattamento,<br />

reinserimento, responsabilità, sono<br />

spesso le costanti attraverso cui si snodano<br />

le giornate degli operatori “dietro<br />

le sbarre”.<br />

Si assiste alla perdita dei “significati”,<br />

alla perdita complessiva di credibilità<br />

di un sistema complesso che non è<br />

riuscito a vincere appieno la scommessa<br />

del cambiamento ingenerato dalla riforma<br />

del 1975.<br />

E c’è da chiedersi cosa si può migliorare<br />

realisticamente in questo periodo<br />

storico che vede le carceri superaffollate<br />

e il numero delle misure alternative<br />

sempre in aumento?<br />

I numeri della popolazione detenuta<br />

sono infatti lievitati negli ultimi anni<br />

- com’è ben noto - arrivando oggi a ben<br />

61.000 detenuti (di cui circa 2.800 donne)<br />

a fronte di una capienza regolamentare di


P<br />

43.000 posti. La capienza tollerabile infatti<br />

di 62.795 non è rapportabile a nessun<br />

criterio obiettivo e riconoscibile che<br />

possa dare fondamento al rispetto della<br />

dignità umana e dei diritti dei detenuti<br />

sanciti dall’ordinamento penitenziario e<br />

dal DPR 230/00.<br />

Il dato di per sé assolutamente rilevante<br />

e grave, se approfondito presenta<br />

una percentuale di circa il 36% di detenuti<br />

in attesa di giudizio (giudicabili,<br />

appellanti e ricorrenti), del 2% circa di<br />

internati, del 62% circa di condannati<br />

definitivi.<br />

Tra i detenuti definitivi il 30% ha una<br />

condanna fino a tre anni e il 31% ha una<br />

condanna da tre a sei anni. Ben il 60%<br />

del numero complessivo di condannati<br />

ha in ogni caso una pena residua inferiore<br />

ai tre anni e pertanto larga parte di<br />

essi potrebbe, compatibilmente con le<br />

posizioni giuridiche e le relative previsioni<br />

normative, avere ipoteticamente<br />

accesso ad una delle misure alternative<br />

alla detenzione. Tale ipotesi è largamente<br />

sconfessata se si guarda alle tipologie<br />

di detenuti attualmente presenti negli<br />

Istituti di pena italiani:<br />

Circa 20.275 tra i detenuti sono stranieri<br />

(circa 33%), con una prevalenza<br />

di extra comunitari, e tra questi circa il<br />

50% sono condannati e l’altra metà in<br />

attesa di condanna definitiva. Trattasi<br />

in ogni caso di soggetti che non avendo<br />

alcun riferimento (logistico, lavorativo,<br />

familiare..) sul territorio non hanno di<br />

fatto alcuna possibilità di ottenere una<br />

misura alternativa. Nel 2005 gli ingressi<br />

dalla libertà di soggetti con reati di cui<br />

al TU sugli stranieri ha toccato il numero<br />

di 13.654. Tra i detenuti stranieri nel<br />

2005 1.242 hanno subito l’espulsione.<br />

Circa il 30% dei detenuti è inoltre<br />

portatore di problematiche legate alla<br />

tossicodipendenza.<br />

Ma la popolazione in esecuzione di<br />

pena in Italia, va definita oltre che con<br />

riferimento al numero dei detenuti anche<br />

in relazione al numero esponenziale<br />

di soggetti in esecuzione di pena fuori<br />

dal carcere e precisamente (nel 2005)<br />

49.953 condannati di cui:<br />

31.958 affidati al servizio sociale di<br />

cui circa 21.000 ammessi alla misura alternativa<br />

direttamente dalla libertà. Nel<br />

numero complessivo sono compresi circa<br />

7.000 soggetti in affidamento particolare<br />

ai sensi del TU 309/90.<br />

3.458 semiliberi (di cui 684 dalla libertà)<br />

14.527 soggetti in detenzione domiciliare<br />

(di cui ben 8.000 dalla libertà).<br />

Tali dati danno la misura del problema<br />

soprattutto se messi a fronte della<br />

povertà degli organici dell’Ammini-<br />

politica e società<br />

strazione penitenziaria con particolare<br />

riferimento ai cosiddetti operatori del<br />

trattamento (474 educatori in tutti i 207<br />

istituti penitenziari e 1247 assistenti sociali<br />

nei 77 Uffici dell’esecuzione penale<br />

esterna).<br />

Anche se il numero di soggetti del<br />

territorio che entrano oggi in carcere è<br />

elevato (sono infatti circa 320 le associazioni<br />

e cooperative sociali e circa 1500 i<br />

volontari) va segnalato che molti di essi<br />

lavorano dentro gli istituti senza entrare<br />

in relazione con gli operatori istituzionali,<br />

disperdendosi così una importante risorsa<br />

che potrebbe concorrere ad attenuare la<br />

povertà delle risorse penitenziarie.<br />

Se questo è l’allarmante panorama<br />

nazionale, nella regione Basilicata i dati<br />

seppur contenuti rispetto ad altre realtà<br />

italiane vedono in atto un significativo<br />

numero di soggetti in esecuzione di pena<br />

e precisamente:<br />

1. n. 123 detenuti nella Casa circondariale<br />

di Matera, con una ulteriore sezione in<br />

via di apertura,<br />

2. n. 218 detenuti nella Casa Circondariale<br />

di Melfi<br />

3. n. 234 detenuti nella Casa Circondariale<br />

di Potenza, tra cui 19 donne<br />

A tale numero totale di detenuti pari a<br />

675 unità va aggiunto quello di ben 554<br />

soggetti in esecuzione di pena sul terri-<br />

25


politica e società<br />

torio (affidati, semiliberi detenuti domiciliari).<br />

Anche qui gli operatori del trattamento<br />

sono assolutamente insufficienti<br />

a garantire il perseguimento dei fini<br />

istituzionali descritti in premessa, con<br />

particolare riferimento agli educatori (4<br />

educatori per i citati 675 detenuti).<br />

Ma se il quadro fin qui descritto è<br />

altamente drammatico non si può e non<br />

si deve “rinunciare” a cercare ipotesi di<br />

miglioramento che possono certamente<br />

passare attraverso l’implementazione<br />

di un rapporto forte e significante con il<br />

territorio e di una modalità operativa che<br />

sottraendo gli operatori alla quotidiana<br />

burocrazia rilanci un’ottica progettuale<br />

e valutativa.<br />

Se a livello nazionale ciò può sembrare<br />

irrealistico e fantasioso, su base<br />

regionale il rilancio dei valori fondanti<br />

dell’ordinamento penitenziario è forse<br />

praticabile attraverso lo sviluppo di politiche<br />

condivise tra amministrazione penitenziaria,<br />

Regione ed Enti locali.<br />

26<br />

In questa prospettiva è fondamentale<br />

il ruolo dei Provveditorati regionali<br />

dell’amministrazione penitenziaria,<br />

che istituiti nel 1990 in una prospettiva<br />

di decentramento tecnico funzionale ed<br />

amministrativo, costituiscono un importante<br />

snodo a livello intermedio dell’Amministrazione<br />

centrale e la loro rilevanza<br />

è stata definitivamente sancita dal<br />

Decreto legislativo 21 maggio 2000, n.<br />

146 che all’art. 1 ne ridetermina il numero<br />

ed “in ragione alla estensione del<br />

loro territorio di competenza, al numero<br />

di istituti e servizi ivi ricompresi ed alla<br />

complessiva entità delle risorse gestite”<br />

riconosce loro importanza quali uffici di<br />

dirigenza generale.<br />

Essi sono pertanto “organi decentrati<br />

del Dipartimento dell’Amministrazione<br />

penitenziaria” ed operano “nel settore<br />

degli istituti e servizi per adulti (oggi Uffici<br />

locali EPE), sulla base di programmi,<br />

indirizzi e direttive disposti dal Dipartimento<br />

stesso, in materia di personale,<br />

organizzazione dei servizi e degli istituti,<br />

P<br />

detenuti ed internati, area penale esterna<br />

e nei rapporti con gli Enti locali, le Regioni<br />

ed il Servizio Sanitario nazionale,<br />

nell’ambito delle rispettive circoscrizioni<br />

di competenza”.<br />

In particolare rispetto all’attuazione<br />

del mandato trattamentale il Provveditorato<br />

della Basilicata è fortemente impegnato<br />

in un’azione di rilancio delle<br />

materie oggetto del Protocollo di Intesa<br />

siglato con questa regione nell’ottobre<br />

2004, con l’intento di diffondere<br />

una corretta informazione sul contesto<br />

penitenziario della regione, definire<br />

obiettivi condivisi di sviluppo del lavoro<br />

penitenziario, attuare politiche di<br />

sostegno ai percorsi trattamentali individualizzati<br />

tesi all’inclusione sociale<br />

dei soggetti condannati, e in linea più<br />

generale al rafforzamento del senso di<br />

benessere collettivo, ed al rinsaldamento<br />

del “patto di cittadinanza”.


P<br />

Villaggio Positano<br />

VENDITA E ASSISTENZA PRODOTTI INFORMATICI<br />

via Extramurale Mazzini s.n.c. 85028 Rionero in Vulture (PZ).<br />

on-line www.essedi.it e-mail rionero.shop@essedi.it tel/fax 0972/724135<br />

RIVENDITORI AUTORIZZATI APPLE<br />

IMPRESA GENERALE COSTRUZIONI<br />

VIA S.S. 93 85028 RIONERO IN VULTURE<br />

Tel. 0972 720372 - Fax 0972 723428<br />

politica e società<br />

Soc. Coop. ar.l.<br />

27


politica e società<br />

Piazza Sedile, Potenza - foto archivio L. Luccioni - rielaborazione grafica P. Fuccella<br />

28<br />

La borghesia<br />

tra Ottocento e Novecento<br />

in Basilicata<br />

Storie di famiglie<br />

Saggi di:<br />

Calice, Capano, Conte,<br />

d’Errico Hoffmann, Labella,<br />

Libutti, Lisanti,<br />

Luccioni, Tufano<br />

Fortunato Lioy Santangelo Mennuni d’Errico Montano Severini Lacava Ricciuti Ciccotti Marangelli<br />

Centro Annali per una Storia Sociale della Basilicata<br />

in collaborazione con<br />

l’Istituzione “Joseph and Mary Agostine Memorial Library” di Palazzo San Gervasio<br />

e la Provincia di Potenza<br />

P


I ntervista<br />

“Grazie Melfi...<br />

dai metalmeccanici italiani”<br />

Intervista a Gianni Rinaldini<br />

segretario generale della FIOM-CGIL<br />

GIUSEPPE ROLLI<br />

Era il 19 aprile del 2004 quando<br />

iniziò la lotta dei lavoratori alla Fiat di<br />

Melfi. Era un lunedì di pioggia quando<br />

i delegati delle organizzazioni sindacali<br />

dichiararono lo sciopero ad oltranza.<br />

Una battaglia durata 21 giorni. Una battaglia<br />

che vinsero.<br />

La primavera di Melfi ha rappresentato<br />

una svolta nella vicenda degli<br />

ultimi dieci anni dei metalmeccanici.<br />

Eppure, anche questa lotta, sembra che<br />

qualcuno voglia archiviarla troppo in<br />

fretta. Ne parliamo con Gianni Rinaldini,<br />

segretario generale della Fiom.<br />

Rinaldini, per la prima volta, forse<br />

dopo il 1980 a Mirafiori, si è avuta una<br />

lotta che è stata frutto di una potente<br />

spinta di base. Ma a differenza di quella<br />

si è conclusa non con una sconfitta ma<br />

con un buon accordo.<br />

29


i n t e r v i s t a<br />

Il rapporto con i 35 giorni di Mirafiori nel 1980 è del tutto<br />

simbolico poiché il contesto è totalmente diverso. Lo scontro<br />

dell’80 aveva al centro una ristrutturazione con il licenziamento<br />

di decine di migliaia di lavoratori. La vertenza di<br />

Melfi aveva per oggetto le condizioni di lavoro, di orario e<br />

retributive. Scontata quindi questa differenza, è evidente che<br />

questa vertenza ha assunto nel contesto di questi ultimi anni<br />

una valenza e un significato di carattere generale, e non soltanto<br />

perché ha costituito un elemento di rottura rispetto ai rapporti<br />

che la Fiat per anni ha cercato di imporre a sindacati e a<br />

lavoratori. La vertenza di Melfi, non a caso, si è sviluppata nel<br />

periodo delle lotte per i “pre-contratti” promosse dalla Fiom<br />

in seguito alla rottura con Fim e Uilm sul precedente contratto<br />

nazionale di lavoro. Tanto è vero che quella lotta inizia con<br />

gli scioperi nelle fabbriche dell’indotto sui pre-contratti, a cui<br />

la Fiat risponde con la messa in libertà ripetuta dei lavoratori<br />

di Fiat- Sata, con l’argomento che il mancato approvvigiona-<br />

30<br />

mento di componenti impedisce la produzione delle auto. È<br />

a questi continui atti di arbitrio che i lavoratori si ribellano.<br />

Quel passaggio così importante avvenuto a Melfi, assieme ad<br />

un’altra vertenza avvenuta nello stesso periodo e di analoga<br />

importanza, cioè quella della Fincantieri, è stato decisivo per<br />

la sconfitta dell’ipotesi e della pratica degli accordi separati<br />

che si era imposta fino ad allora. Ma è stata anche decisiva per<br />

arrivare successivamente alla costruzione della piattaforma<br />

unitaria del contratto nazionale.<br />

Quindi la lotta di Melfi ha avuto un duplice significato: da<br />

una parte nei rapporti con la Fiat – non bisogna dimenticare<br />

che nei mesi successivi una parte del gruppo dirigente che noi<br />

avevamo di fronte al tavolo delle trattative, per varie vicende,<br />

è “saltata” all’interno del Gruppo – e dall’altra un impatto di<br />

carattere generale anche rispetto alle dinamiche sindacali che<br />

hanno aperto una pagina diversa con il superamento degli accordi<br />

separati.<br />

I


I Eppure i metalmeccanici venivano da anni di accordi separati,<br />

di sostanziale isolamento della Fiom. Tutti gli osservatori<br />

esterni pensavano che la lotta di Melfi sarebbe stata la tomba<br />

dell’organizzazione dei metalmeccanici della Cgil, le altre organizzazioni<br />

confederali hanno tentato di dare il colpo finale<br />

alla Fiom. E invece tutto poi si è volto in meglio.<br />

Non c’è dubbio che una conclusione diversa a Melfi e una<br />

sconfitta di quei lavoratori e quelle lavoratrici e della stessa<br />

Fiom avrebbe significato un altro successo della pratica degli<br />

accordi separati e l’isolamento della nostra organizzazione…<br />

Questo rischio infatti c’è stato, se non ricordiamo male…<br />

Certo che sì. La vertenza ha avuto dei passaggi delicatissimi<br />

ed è stata decisiva, oltre che il sostegno diffuso tra i lavoratori<br />

e le lavoratrici, la compattezza dei delegati nel gestire<br />

passaggi anche estremamente complicati. Basti pensare all’assemblea<br />

in cui abbiamo deciso di continuare con gli scioperi<br />

che venivano proclamati ad ogni cambio di turno e al tempo<br />

stesso di allentare la pressione davanti ai cancelli, togliendo i<br />

blocchi. Quando, quella sera, arrivavano i pullman e la gente<br />

scendeva e decideva di non entrare in fabbrica, abbiamo avuto<br />

la sensazione che potevamo farcela e ottenere un risultato<br />

positivo. Era una scommessa. Dopo 20 giorni di blocco dello<br />

stabilimento avevamo deciso di verificare non più della tenuta<br />

del presidio davanti alla fabbrica, ma il consenso della maggioranza<br />

di tutti i diecimila lavoratori del sito, liberato da ogni<br />

condizionamento.<br />

Chi aveva pensato che con quella mossa ci saremmo trovati<br />

di fronte a migliaia di lavoratori che sarebbero tornati a<br />

lavorare, e quindi avremmo sancito la nostra sconfitta, poteva<br />

verificare che accadeva esattamente l’opposto. Questo è diventato<br />

un elemento di forza assoluto per arrivare al risultato<br />

dell’accordo. Questo è uno dei tanti passaggi delicati, ma ve<br />

ne sono stati diversi altri. Non c’è dubbio che c’era tanta gente<br />

in giro che pensava che da quella situazione i lavoratori e la<br />

stessa Fiom sarebbero venuti fuori sconfitti e quindi si sarebbe<br />

definitivamente conculcata - in un conflitto così complicato<br />

come quello che era esploso a Melfi - qualsiasi espressione<br />

autonoma della soggettività dei lavoratori e delle lavoratrici.<br />

Va tenuto conto che sul risultato positivo ha pesato favorevolmente<br />

un clima di solidarietà che si era creato nel Paese. È<br />

stato evidente, ad esempio, quando siamo venuti a fare la manifestazione<br />

a Roma, ma anche in tante altre occasioni, che la lotta<br />

di Melfi era diventata molto popolare. Ricordare all’opinione<br />

pubblica nazionale il fatto che vi sono lavoratori che fanno i turni,<br />

che lavorano di notte, che lavorano il sabato, e percepiscono<br />

una retribuzione di mille euro, è stato come rompere il muro del<br />

silenzio attorno a una realtà che in qualche modo viene continuamente<br />

oscurata dai mezzi di comunicazione…<br />

Anche questo, dunque, secondo te, ha favorito la “popolarità”<br />

di questa lotta?<br />

i n t e r v i s t a<br />

Sì non c’è dubbio. Poi l’intervento della polizia è stato un<br />

ulteriore passaggio che ha prodotto, tra le altre cose, un’indignazione<br />

generale. L’intervento della polizia e lo stesso atteggiamento<br />

tenuto dai lavoratori e dalle lavoratrici con una<br />

resistenza assolutamente passiva, senza che ci fosse nessuna<br />

reazione violenta, ha contribuito a determinare una situazione<br />

di isolamento della Fiat...<br />

E, secondo te, questa lotta operaia è stata anche una battaglia<br />

“meridionalista”?<br />

Sì. Sono stati spazzati via, nello spazio di pochi giorni, montagne<br />

di pregiudizi rispetto alla realtà meridionale. Secondo alcuni,<br />

essendoci al Sud poco lavoro, pur di averlo i meridionali<br />

si devono accontentare di quello che passa il convento… Tutte<br />

queste chiacchiere, con la vicenda di Melfi, sono state cancellate<br />

nella pubblica opinione nel giro di pochi giorni. Sotto questo<br />

aspetto ha agito una dinamica diversa rispetto ad altre vicende<br />

sindacali in cui sono stati coinvolti altri stabilimenti Fiat nel<br />

meridione. Basti pensare, agli inizi degli anni Novanta, alla vicenda<br />

della Fiat di Termoli nella vertenza sui turni di lavoro<br />

dove si era scatenata tutta una campagna contro l’atteggiamento<br />

dei lavoratori che non erano disponibili a trattare con l’azienda<br />

all’insegna dello slogan: «ma come? Non basta che al Sud fanno<br />

delle assunzioni e si mettono pure a discutere come e quanto si<br />

lavora?». Ecco, in questo caso si è messa in moto una dinamica<br />

opposta che sta, a mio avviso, anche ad indicare – dopo le follie<br />

degli anni Ottanta – un atteggiamento diverso e più avanzato<br />

rispetto ai lavoratori. Ritorna con forza la “questione” del lavoro.<br />

E non a caso ritorna in tutti i paesi europei dopo un lungo<br />

periodo nel quale era praticamente scomparsa dalla coscienza<br />

collettiva. A ben vedere la lotta di Melfi sta proprio a indicare un<br />

dato: ritorna attuale il problema dei diritti del lavoro. Nella vicenda<br />

di Melfi fu anche questa la scommessa: in quella famosa<br />

assemblea in cui decidemmo di togliere i blocchi e confermare<br />

lo sciopero, che durò cinque ore ed era aperta al pubblico e alla<br />

stampa, già dopo un’ora si era diffusa la notizia che la proposta<br />

dei delegati e della Fiom era in minoranza. Insomma che delegati<br />

e Fiom avevano persa l’assemblea. E credo che in quelle<br />

ore ci fosse in giro molta gente contenta…<br />

Anche nella stessa Cgil?<br />

«Spero di no, ma non ne sono sicuro. Comunque spero proprio<br />

di no.<br />

L’impressione che se ne ricava, tuttavia, è che la crescita<br />

di una coscienza sindacale stenta a prendere la strada del sindacalismo<br />

confederale. Nelle elezioni delle Rsu sono cresciute<br />

le organizzazioni del sindacalismo di base, segnate da un forte<br />

radicalismo, e quelle corporative.<br />

È vero che a differenza di Fim, Uilm, e Fismic questi sindacati<br />

sono stati in prima fila nelle lotte dei 21 giorni del 2004,<br />

ma è anche vero che in Sata, a differenza dell’indotto, la Fiom<br />

è cresciuta meno di quanto si pensasse.<br />

31


i n t e r v i s t a<br />

32<br />

Il futuro del settore auto in Basilicata<br />

Queste le idee della FIOM<br />

GIUSEPPE CILLIS<br />

La presenza della FIAT, in un contesto determinato<br />

dalla dislocazione produttiva del Gruppo che ormai da decenni<br />

presenta una forte concentrazione di stabilimenti al<br />

Sud, ci induce a fare un ragionamento più approfondito<br />

sulla possibilità di sviluppo dell’industria dell’auto nella<br />

nostra regione. Ciò significa appuntare la nostra attenzione<br />

soprattutto sulla componentistica, al fine di delineare<br />

possibili strategie di politica industriale tese alla crescita<br />

dell’impresa locale soprattutto nel circuito delle forniture<br />

di secondo e terzo livello. È quello che finora è mancato. E<br />

ciò ha impedito, al contrario di quanto inizialmente avevano<br />

immaginato le istituzioni regionali, di fare dell’insediamento<br />

della FIAT a Melfi un’occasione di crescita per una<br />

parte consistente del sistema manifatturiero locale.<br />

Come appare evidente da numerosi studi e ricerche, la<br />

FIOM-CGIL da tempo ritiene che, al fine di rafforzare il<br />

tessuto produttivo, bisogna realizzare una maggiore integrazione<br />

delle attività produttive della FIAT con il resto<br />

dell’industria regionale e meridionale. Nel caso della Basilicata<br />

ciò significa che le aziende che oggi compongono<br />

l’indotto di primo livello della SATA devono ricercare,<br />

anche con l’opportuno sostegno dei soggetti pubblici locali,<br />

maggiori occasioni di relazione con l’industria presente<br />

sul territorio. Il rafforzamento di una parte significativa<br />

di queste industrie, quella meccanica in particolare, deve<br />

consolidare la rete di relazioni con l’insieme delle produzioni<br />

FIAT allocate in modo sempre più forte tra Campania,<br />

Lazio, Molise e Basilicata.<br />

Si tratta di operare per aprire nuovi spazi all’imprenditoria<br />

locale e favorire la possibilità che le fabbriche di<br />

componenti presenti nell’area di Melfi, e in generale attorno<br />

agli stabilimenti FIAT del Mezzogiorno, lavorino non<br />

solo per la casa torinese ma anche per marchi esteri.<br />

I dati di questi ultimi anni dimostrano che senza l’occupazione<br />

prodotta dell’investimento di Melfi, il mercato<br />

del lavoro regionale avrebbe registrato un deficit ancor<br />

maggiore e la stessa crescita del Pil regionale, fortemente<br />

influenzato dalle esportazioni di auto, non avrebbe conosciuto<br />

quei tassi che pure si sono registrati. Oggi siamo<br />

però già in una fase diversa, come dimostrano alcuni indicatori<br />

che ci dicono che la crescita regionale è decisamente<br />

bloccata nell’ultimo anno.<br />

I<br />

Negli ultimi due anni le dinamiche sindacali e contrattuali<br />

hanno determinato un notevole ed esplicito miglioramento<br />

delle condizioni di lavoro e di salario dei lavoratori<br />

FIAT intervenendo direttamente sull’organizzazione del<br />

lavoro e sul sistema di turnazioni.<br />

Sono stati realizzati 10 accordi sindacali, tutti approvati<br />

dai lavoratori attraverso lo strumento del referendum<br />

a scrutinio segreto, che hanno modificato alla radice l’organizzazione<br />

dei turni (con il superamento della cosiddetta<br />

“doppia battuta”), e eliminato strutturalmente il lavoro<br />

notturno domenicale. Si è finalmente realizzata l’equiparazione<br />

salariale tra i lavoratori di Melfi e quelli delle altre<br />

aziende del gruppo FIAT. È stato infatti modificato<br />

l’accordo del ‘93 stipulato tra la FIAT e le organizzazioni<br />

sindacali che fu posto come condizione per l’insediamento<br />

a Melfi dello Stabilimento SATA e che di fatto generò la<br />

differenza con gli altri stabilimenti.<br />

Inoltre con l’accordo raggiunto il 27 di aprile <strong>2006</strong> si è<br />

definita “la strategicità del ruolo e la missione produttiva<br />

dello stabilimento SATA” e si è convenuto che “la competitività<br />

dello Stabilimento di Melfi determina l’effetto<br />

di stimolare in modo positivo il complesso, e fortemente<br />

integrato, sistema dei fornitori presenti nel comprensorio,<br />

creando i necessari presupposti per il loro consolidamento<br />

nell’area”.<br />

Ad oggi i dipendenti occupati alla SATA di Melfi sono<br />

circa 5.200 di cui 1070 donne, ai quali vanno aggiunti oltre<br />

600 lavoratori precari a vario titolo (interinali, somministrati,<br />

a termine) e circa 500 terziarizzati (quelli della<br />

logistica). Nell’indotto siamo in presenza di una forza di<br />

lavoro di circa 3200 dipendenti ai quali vanno aggiunti circa<br />

600 precari (somministrati, interinali, a termine).<br />

Le cose da fare sono sicuramente tante. Ma il punto<br />

da cui partire non può che essere la conquista di nuovi<br />

spazi di mercato attraverso una politica industriale, a cui<br />

anche al nuovo governo deve contribuire, orientata a valorizzare<br />

i processi produttivi, ad accresce la formazione<br />

e la professionalità dei lavoratori, incentivare l’attività di<br />

ricerca, finora assente, l’innovazione di prodotto, favorire<br />

l’estensione dei rapporti di subfornitura tra le aziende dell’indotto<br />

di primo livello e l’industria regionale. Si tratta<br />

poi di sostenere, da parte della Regione Basilicata e di altri<br />

organismi regionali (Osservatorio Regionale), un’azione<br />

che punti alla valorizzazione dei processi produttivi legati<br />

al comparto auto, che coniughi qualità dei prodotti e qualità<br />

del lavoro.


I<br />

Stiamo parlando della Fiat. E, tradizionalmente, nella storia<br />

della Fiat, non c’è mai stato un rapporto automatico tra<br />

lotte e crescita del sindacalismo confederale. Il radicamento in<br />

termini organizzativi interni alla Fiat è sempre più complicato<br />

che altrove. Del resto, e non a caso, il Fismic nasce dalla Fiat.<br />

Quindi il risultato nelle elezioni delle Rsu è stato a Fiat-Sata<br />

positivo per la Fiom anche se le aspettative erano maggiori.<br />

Il problema che esiste sempre negli stabilimenti Fiat è come,<br />

dopo le fasi di mobilitazione, di lotta e di scontro sociale, impedire<br />

il ripristino dei tradizionali meccanismi di gestione da<br />

parte della Fiat dell’organizzazione interna. Questo credo che<br />

sia l’elemento, non dico di debolezza, ma che merita certamente<br />

un’attenzione particolare alla Sata di Melfi. Bisogna evitare<br />

che le conquiste anche in termini di coscienza di classe dei<br />

ventuno giorni, che comunque ha rappresentato e rappresenta<br />

un elemento di rottura rispetto alle relazioni sindacali tradizionali<br />

in Fiat, non siano recuperati dentro i vecchi rapporti.<br />

Esiste certamente un problema di sviluppo dell’influenza della<br />

Fiom cha va ulteriormente consolidata. Le relazioni sindacali<br />

in Fiat, anche negli anni passati, diciamo in quelli più “caldi”,<br />

hanno sempre avuto una dinamica più complicata rispetto alle<br />

altre realtà industriali. Del resto in Fiat c’è un pullulare di tante<br />

organizzazioni sindacali. E non è un caso.<br />

Cosa ha significato per te quel voto dei lavoratori di Melfi<br />

che ha respinto il contratto nazionale di lavoro?<br />

Intanto vorrei dire che il voto sul contratto nazionale dei<br />

i n t e r v i s t a<br />

meccanici il voto non è mai stato così ampio. Per dare un’idea,<br />

basti pensare che il penultimo contratto nazionale, fatto nel<br />

1999 e prima dei due accordi separati, fu approvato al 68 per<br />

cento, mentre quest’ultimo con l’85 per cento. I metalmeccanici<br />

non hanno mai avuto l’abitudine di votare in termini<br />

plebiscitari. Dentro però quel risultato emergono, nel Gruppo<br />

Fiat, una serie di problemi. E non a caso i problemi ci sono alla<br />

Fiat. L’ultimo contratto aziendale è stato fatto nel 1996 e quindi<br />

è stata saltata, rispetto a altre realtà, tutta una fase di contrattazione<br />

aziendale. Anche per questo l’incremento retributivo<br />

del contratto nazionale in Fiat è apparso insufficiente. Bisogna<br />

tener conto che la Fiat è piena di terzi livelli e ancor più lo è<br />

una realtà come quella di Melfi. Tutto questo spiega il voto<br />

contrario. Del resto, proprio in queste settimane, noi abbiamo<br />

presentato alla Fiat una piattaforma per l’integrativo aziendale<br />

basata essenzialmente su una richiesta di aumento retributivo.<br />

Questa piattaforma sottoposta al voto ha avuto un consenso<br />

molto ampio. A Melfi hanno votato oltre 6.000 lavoratori che<br />

al 90 per cento hanno espresso il loro consenso.<br />

La lotta per il contratto si è intrecciata in Sata con quelle<br />

sui turni di lavoro in relazione alla produzione della Grande<br />

Punto. Come ne valuti l’esito?<br />

Valuto l’esito come la coerente prosecuzione della vittoria<br />

dei ventuno giorni. È successo che a fronte dell’azienda<br />

che comunica unilateralmente che si torna ai 18 turni, com’era<br />

abituata a fare, la risposta è stata quella di dire: noi non ubbi-<br />

33


i n t e r v i s t a<br />

34<br />

I<br />

diamo a quello che ci dite,<br />

ma vogliamo discutere e<br />

contrattare. Questo è stato<br />

l’elemento più importante<br />

della vertenza con la quale<br />

abbiamo poi ottenuto i 17<br />

turni . Questa vicenda si è<br />

incrociata con il negoziato<br />

sul contratto nazionale durato<br />

tredici mesi dove, non<br />

a caso, la questione centrale<br />

(sulla quale poi Federmeccanica<br />

è stata battuta) è stata<br />

quella appunto della gestione<br />

unilaterale degli orari di<br />

lavoro da parte delle aziende.<br />

È evidente il rapporto<br />

che c’era con la lotta sui turni<br />

di Melfi dove si è affermato<br />

il diritto a contrattare<br />

l’orario di lavoro. È questo<br />

il significato che assegno<br />

alle vicende negoziali e agli<br />

ultimi risultati acquisiti a<br />

Melfi.<br />

Il rapporto fra le avanguardie<br />

operaie di Melfi e la<br />

politica. Si tratta di un “cattivo”<br />

rapporto, troppo condizionato<br />

dai conflitti e dalle<br />

logiche del sistema politico<br />

qual è oggi.La stessa Fiom<br />

soffre della contrapposizione<br />

spesso immotivata tra<br />

quadri che guardano a Rifondazione<br />

e quadri legati<br />

per lo più alla Sinistra Ds<br />

nella versione offerta dalla<br />

mozione Mussi.<br />

Il pericolo di una cattiva<br />

politicizzazione è sempre<br />

presente, ed è uno degli<br />

aspetti che più volte abbiamo<br />

discusso con i delegati<br />

di Melfi. È stato possibile a<br />

giovani delegati di affrontare<br />

questioni così delicate<br />

proprio per il tipo di dinamica<br />

positiva che si era costruito<br />

nei rapporti interni.


I<br />

Noi abbiamo fatto discussioni infinite sui diversi passaggi,<br />

ma alla fine si assumevano decisioni, si votava e si andava<br />

alla gestione delle lotte e delle vertenze. Io credo che questo<br />

sia un elemento di democrazia e di rapporto con i lavoratori<br />

assolutamente da salvaguardare. Perciò le tentazioni, tanto<br />

più a fronte di giovani delegati, di avere rapporti politici con<br />

questo o quel partito e l’inserimento di dinamiche di partito<br />

all’interno di una struttura sindacale mettono in discussione<br />

alla radice la rappresentanza democratica dei delegati che, ricordiamolo,<br />

sono votati dai lavoratori iscritti e non iscritti alle<br />

organizzazioni sindacali. E la loro funzione non deriva da un<br />

partito ma da una rappresentanza sociale ben precisa. Se poi<br />

questo si tramuta in una divisione tra gruppi di diversa appartenenza<br />

partitica, si mette in discussione l’esperienza stessa<br />

che si è prodotta a Melfi. Questo tuttavia, non è un pericolo<br />

che si risolve a tavolino. La scelta della democrazia e del voto,<br />

quindi della verifica continua del nostro mandato con i lavoratori,<br />

è uno degli aspetti decisivi per garantire l’autonomia dei<br />

delegati e delle organizzazioni sindacali. Adesso c’è un nuovo<br />

governo che vede rappresentate al suo interno aree importanti<br />

e decisive della sinistra, ma bisogna stare sempre attenti a<br />

mantenere la nostra autonomia, che è decisiva in primo luogo<br />

per la credibilità nel rapporto con i lavoratori. È da tempo che<br />

chiediamo una legge sulla rappresentanza sindacale e speriamo<br />

(ma non ne sono così sicuro) che questo nuovo governo si<br />

impegni a farla stabilendo che piattaforma e contratti devono<br />

essere convalidati dai diretti interessati.<br />

Qual è il posto che Melfi occupa nel sistema produttivo della<br />

produzione auto in Italia? E che rapporto esiste tra il supe-<br />

i n t e r v i s t a<br />

ramento di fatto della fabbrica integrata e della qualità totale<br />

e l’alto tasso di precarizzazione del lavoro in fabbrica?<br />

Melfi, nella situazione attuale della Fiat, produce la Grande<br />

Punto e la produrrà da qui al 2008. Successivamente non sappiamo,<br />

anche perché vanno affrontati problemi di altra natura<br />

che riguardano il destino del settore dell’auto in generale e<br />

gli stessi assetti proprietari dell’azienda. Quindi, nell’attuale<br />

assetto dell’azienda, Melfi è uno dei punti d’eccellenza. Dopodiché,<br />

se si ragiona sui piani futuri, non c’è dubbio che nella<br />

Fiat esiste un problema di assetti proprietari, e quindi di risorse<br />

da investire. È un capitolo da affrontare nei prossimi mesi.<br />

Per quanto riguarda la “fabbrica integrata” e la questione<br />

della “qualità totale”, a me pare di poter dire che la struttura<br />

organizzativa, gerarchica, di funzionamento della Fiat alla fin<br />

fine non ha subito grandi modifiche. Quella della Fiat è stata<br />

un’operazione molto pubblicizzata ma che in realtà era sorretta<br />

da un’idea dove la cosiddetta “partecipazione” sostituisce la<br />

contrattazione, in cui l’elemento partecipativo non è elemento<br />

aggiuntivo e di rafforzamento della contrattazione e quindi del<br />

riconoscimento di due soggetti contrattuali, ma semplicemente<br />

l’assorbimento del sindacato dentro un modello unico...<br />

Un malsano do ut des…<br />

C’è un rapporto tra l’idea della “fabbrica integrata” dei<br />

processi di precarizzazione, ma io non credo che sia questa la<br />

questione che sta alla base di questo devastante fenomeno, in<br />

Italia come in altri paesi. Ad esempio si è parlato molto delle<br />

misure di Zapatero, ma come si è scoperto la Spagna ha un<br />

livello di precarizzazione pari al 34 per cento, il più elevato tra<br />

tutti i paesi europei. Quello che sta avvenendo è l’assunzione<br />

35


i n t e r v i s t a<br />

di un’idea della precarizzazione come condizione permanente<br />

del lavoro: c’è una precarizzazione in “entrata” (vedi la Legge<br />

30), una in “uscita” (con i tentativi ripetuti di creare un legame<br />

tra la riduzione delle tutele e la facilitazione dei licenziamenti,<br />

e c’è una precarizzazione nella prestazione lavorativa, cioè la<br />

questione posta da Confidustria per quanto riguarda, ad esempio,<br />

l’uso degli orari di lavoro. Io ho l’impressione che siamo<br />

dentro un circuito dove la flessibilità, e quindi l’insicurezza<br />

sociale, sta diventando un dato permanente della condizione<br />

lavorativa e della condizione di vita de singoli.<br />

Qual è il rapporto tra Melfi e il futuro produttivo della<br />

Fiat? Esiste una relazione tra i rapporti dell’Italia con il Mediterraneo<br />

e il futuro dello stabilimento di Melfi? E una con il<br />

processo di integrazione europea?<br />

Credo che il <strong>2006</strong> sia per la Fiat un passaggio molto importante.<br />

Traduciamolo così: un anno fa la General Motors pur di<br />

evitare di prendersi la Fiat ha pagato! Poi aggiungiamo, per<br />

fortuna! visto che la multinazionale americana abbiamo saputo<br />

che era sull’orlo della bancarotta. L’operazione General<br />

Motors, assieme ad altre, oggi ha reso il settore più appetibile.<br />

Oggi la Fiat è nelle condizioni di dover decidere per il futuro<br />

che cosa vuol fare, a partire ovviamente dalla proprietà, dunque<br />

dalla famiglia Agnelli. Perché nel settore automobilistico<br />

è evidente che si è aperta una concorrenza fortissima: penso<br />

alla Ford o alla Volkswagen che ha annunciato nelle scorse<br />

settimane più di trentamila licenziamenti. È un settore, quello<br />

dell’auto, dove occorrono tante risorse. La Fiat non è un grande<br />

gruppo internazionale, ma lo è in Italia. Si trova ora nella<br />

situazione di dover fare il salto. Questo comporta delle scelte<br />

36<br />

da parte della famiglia Agnelli o di nuove alleanze internazionali<br />

o di nuovi assetti proprietari. Ora questo era già difficile<br />

pensarlo in una situazione come quella di un anno fa, figurasi<br />

oggi. Ma sul destino della Fiat una cosa va detta: se fossero<br />

ancora in campo ipotesi di scorporo del settore auto questo<br />

sarebbe assolutamente inaccettabile. Qualsiasi soluzione sugli<br />

assetti proprietari non può che partire dal fatto che per questo<br />

paese la Fiat è il settore auto.<br />

Quindi io mi auguro e auspico che, oltre alle cose che noi<br />

come organizzazione sindacale faremo, il problema del futuro<br />

del settore automobilistico, ma più in generale dei problemi<br />

della mobilità in questo paese, diventi oggetto non solo di confronto<br />

sindacale, ma anche delle dovute attenzioni da parte del<br />

governo. Nessuno può permettersi di stare a guardare come va<br />

a finire la vicenda della Fiat: sarà un banco di prova per qualsiasi<br />

governo che voglia ragionare di politica industriale.<br />

I


Cultura<br />

La pittura di<br />

Gerardo Cosenza<br />

Ricordo di un viaggio a “stelle e strisce”<br />

A pochi mesi dalla scomparsa una importante mostra a Potenza ricorda<br />

il percorso artistico del pittore lucano. L’importanza del soggiorno negli<br />

Stati Uniti per la sua formazione<br />

Tra i tanti periodi assai floridi ed intensi (sul piano della diffusione<br />

di mercato e della compartecipazione critica ricevuta dal<br />

suo lavoro) l’artista Gerardo Cosenza va, senza dubbio, ricordato<br />

per quel momento storico che segna non solo il suo esordio artistico,<br />

in campo nazionale ed internazionale, ma anche il periodo<br />

più “illuminato” ed “illuminante” della sua attività artistica e<br />

creativa. Esso si situa – in maniera precisa - tra il 1984 ed il 1986<br />

e se la batte alla pari, per risultati “speculativi” (ossia utili e vantaggiosi)<br />

ottenuti, con il periodo che va da 2.000 al 2.005.<br />

Il mio tentativo (storico-critico, ma anche elegiaco per certi<br />

aspetti) sarà adesso quello di ripercorrere le fasi salienti di questo<br />

primo interessante, variegato e molto creativo ciclo pittorico,<br />

attraverso una serie di racconti personali, d’intense memorie private,<br />

d’indefiniti appunti di viaggio: quasi a voler sfogliare, con<br />

questo mio discreto modo di raccontare, una sorta di diario dei<br />

ricordi, in cui le reminiscenze del passato sono rimaste, dentro<br />

di me, assai vive. Esse si sviluppano, nella mia mente, in tanti<br />

piccoli flashback, in tanti piccoli segni, velati – non nascondo<br />

- di nostalgia.<br />

Ma andiamo avanti con ordine. Era la calda estate del 1984.<br />

Lui si trovava in vacanza, al mare, a Scanzano Jonico, con il suo<br />

camper. Era lì con la sua famiglia. Mi raccontò - a questo proposito<br />

- che molte mattine si svegliava presto all’alba, per recarsi al<br />

largo con i pescatori del luogo. Al ritorno a riva, la barca era piena<br />

- nella maggior parte dei casi - di un abbondante pescato. Si trattava,<br />

per la verità, di piccoli pesci: perlopiù seppie, calamari ed<br />

acciughe, quelli che il Mar Jonio, da sempre, offre in quel largo<br />

tratto di costa che abbraccia la piana di Metaponto ed i territori<br />

lucani dei Comuni di Pisticci, Policoro, Rotondella e Nova Siri.<br />

RINO CARDONE<br />

Mi chiamò per telefono, a Montalbano Jonico: dove mi<br />

trovavo anch’io in vacanza e dove, qualche anno prima, lui<br />

aveva partecipato, su mio invito, ad una delle sue prime collettive<br />

d’arte, in occasione di una rassegna culturale che per<br />

tre anni di seguito portò in questa cittadina jonica il meglio<br />

delle espressioni artistiche, teatrali, giornalistiche e letterarie<br />

del sud Italia. Mi disse se volevo condividere con lui<br />

un breve viaggio. Si trattava di andare a Montesano sulla<br />

Marcellana, in provincia di Salerno: appena a ridosso della<br />

Valle dell’Agri passando per le montagne che dominano,<br />

da una parte, il Vallo di Diano e dall’altra parte la Valle del<br />

Sinni. Doveva partecipare, in questo paese dell’Appennino<br />

meridionale - situato lungo la catena della Maddalena - ad<br />

una collettiva d’arte organizzata dal critico d’arte salernitano,<br />

Massimo Bignardi. Il titolo della mostra era “Opera<br />

Omnia”. Il luogo di esposizione era, invece, il solarium delle<br />

terme: le quali rappresentano la grande attrattiva turistica,<br />

di questo paese campano, insieme con una copia fedele –<br />

che si trova nel centro storico - della chiesa di Notre-Dame<br />

di Parigi. Si tratta di una chiesa, molto bella all’aspetto, che<br />

è stata realizzata in piccolo, in paese, grazie ai fondi che<br />

sono stati offerti da un emigrato locale, che ha fatto fortuna<br />

all’estero.<br />

Durante il viaggio avemmo modo di scambiarci molti<br />

pareri e numerose opinioni personali, al riguardo dell’arte.<br />

Da poco era nato a Potenza il “Collettivo d’Arte Quinta Generazione”:<br />

cui facevamo ambedue parte; nella prima fase<br />

insieme con Giovanni Cafarelli, Marco Santoro e Felice Lovisco,<br />

cui si aggiunse presto, un altro, vivace, drappello di<br />

37


c u l t u r a<br />

38<br />

C<br />

- giovani e meno giovani - artisti lucani, da noi stessi scelti per<br />

quell’avventura. In quel viaggio verso Montesano sulla Marcellana,<br />

c’interrogammo, in particolare, sul futuro della rivista<br />

“Perimetro”: edita dal Collettivo e di cui io ero diventato - per<br />

scelta degli amici - direttore responsabile. Con Gerardo Cosenza,<br />

parlammo delle collaborazioni che avremmo dovuto intrattenere<br />

con gli storici ed i critici dell’arte, in campo nazionale.<br />

Da Filiberto Menna che collaborò alla rivista sin dal suo primo<br />

numero (firmato da Giovanni Cafarelli quale art director) fino<br />

ad arrivare a molti altri intellettuali dalla professionalità elevata<br />

e indubbia, come: Enrico Crispolti, Achille Bonito Oliva,<br />

Italo Mussa, Franco Sossi, Franco Solmi, Enzo Battarra, Santa<br />

Fizzarotti, Anna D’Elia, Maurizio Vitiello, Franco Miglietta,<br />

Barbara Tosi e molti, molti, altri ancora.<br />

C’è da dire che in quell’anno, ripetiamo il 1984, Gerardo<br />

Cosenza visse un periodo per molti versi irripetibile della sua<br />

intensa – e sfortunatamente molto breve - stagione artistica:<br />

sia in termini di consensi che egli ricevette da parte dell’opinione<br />

pubblica, sia in termini di beneplaciti che lui ottenne dal<br />

mondo della critica d’arte nazionale. In quell’anno egli partecipò,<br />

infatti, a mostre del rilievo e dell’importanza di: “13<br />

modi di paesaggio” - curata da Enrico Crispolti; “Obiettivo<br />

Mediterraneo” - curata da Franco Miglietta; “De Rerum A”<br />

– curata da Santa Fizzarotti; “La tradizione in rivolta” – curata<br />

da Massimo Bignardi e “L’eredità sconvolta” – curata da me<br />

medesimo.<br />

La sua pittura, dopo una iniziale fase (denominata del<br />

“Giardino dell’erba voglio”) di richiamo esplicito al paesaggio<br />

inteso (nel suo ordinato sviluppo orizzontale) come luogo<br />

imitativo della natura (dal punto di vista dell’elaborazione<br />

pittorica) e ricostruttivo ed immaginifico – nello stesso tempo<br />

- del proprio “genius loci” (dal punto di vista della rappresentazione<br />

intellettuale) si era, nel frattempo - a poco a poco<br />

- trasformata in qualcosa di diverso: di più consono, vale a<br />

dire, a quell’ideale di arte assoluta, perseguito dall’artista e<br />

che consisteva nel voler realizzare (attraverso la sua pittura, in<br />

quel periodo vivacemente policroma e ricca di segni) una sorta<br />

di prolungamento fisico, dunque assai concreto ed in qualche<br />

modo “percettivo” di quell’Io immateriale che potremmo<br />

chiamare altrimenti spirito. Nella rassegna “Opera Omnia” –<br />

tenuta a Montesano sulla Marcellana - egli espose una di queste<br />

sue nuove opere, nelle quali si coglieva – all’interno della<br />

congerie di segni e nel capitombolo sfavillante di colori da lui<br />

realizzato all’interno della tela – una sorta di prolungamento<br />

ideale, fantastico, di quell’Io supervalutativo che è dentro ciascun<br />

essere umano e che abbraccia il Creato intero.<br />

Ricordo ancora oggi con molto piacere quando Gerardo<br />

Cosenza tolse - nell’ampio salone delle terme a Montesano<br />

sulla Marcellana – l’involucro di carta che - per motivi di protezione<br />

- rivestiva la grande tela che lui avrebbe esposto - di lì


C<br />

Gerardo Cosenza, La trottola, tecnica mista su tela<br />

Pagina accanto: Gerardo Cosenza nel suo studio<br />

a qualche istante - in quella sala assai luminosa che – rammento<br />

ancora oggi in maniera molto vivida - prendeva il sole da<br />

ogni parte della stanza. Ricordo, inoltre, il suo sorriso, la sua<br />

emozione: tenera come quella di un bambino che mostra - in<br />

maniera ingenua, ma non troppo - qualcosa di davvero grande,<br />

di eccezionale, d’importante. Ricordo, peraltro, il mio stupore:<br />

intenso come quello che si prova davanti a qualcosa di cui<br />

- fino ad un istante prima - non si è mai avuta una percezione<br />

precisa. L’opera era davvero bella: energica, vigorosa, a tratti<br />

persino violenta, ma sempre – ed in ogni caso – lirica, poetica,<br />

emotivamente accattivante, svolta lungo un fraseggio astratto,<br />

leggi pure fantastico (fatto di brandelli emotivi e dunque, di lacerti<br />

di memoria) dove i richiami andavano dalla natura morta<br />

(interpretata in maniera statica, come fosse dentro un cesto di<br />

vimini, ma poi ribaltata, in maniera dinamica, sul piano prospettico<br />

del quadro) fino ad arrivare ad alcuni dettagli fantastici,<br />

che pure si trovavano al suo interno e che erano stati presi<br />

in basso al quadro di “Les Demoiselles d’Avignon” di Pablo<br />

Picasso (in breve: un grappolo d’uva ed una fetta d’anguria).<br />

c u l t u r a<br />

Come ben si comprende da questo mio breve racconto,<br />

ricordo – dunque - con enorme piacere quest’esperienza, del<br />

1984, fatta insieme con Gerardo Cosenza: lì, a Montesano sulla<br />

Marcellana. Provo la stessa emozione, quando penso alla<br />

visita che facemmo – appena due anni dopo, nel 1986 - alla<br />

Biennale di Venezia, passando per Bologna e per i Colli Euganei.<br />

In quest’altra occasione era anche con noi l’artista Arcangelo<br />

Moles e uno zio di Gerardo. Insieme vedemmo -. nella<br />

città lagunare - le grandi tele di Emilio Vedova: davanti alle<br />

quali provammo una sensazione di profondo appagamento,<br />

generato da una modernità e da una grandezza stilistica senza<br />

uguali. In quell’occasione l’amico affettuoso, l’artista stravagante,<br />

ma ricco di valori interiori, confidò a me e ad Arcangelo<br />

Moles due suoi segreti.<br />

Il primo: la dannazione che egli provava a voler realizzare<br />

la perfezione assoluta, in ogni suo lavoro. Per quello che<br />

ricordo ci disse all’incirca questo: “Per me la pittura è una<br />

maledizione, dalla quale non riuscirò mai a venir fuori, che mi<br />

prende, che mi cattura, che mi costringe a lavorare, per ore ed<br />

ore, senza mai fermarmi; davanti ad una tela, tentando di realizzare<br />

qualcosa di assai perfetto, di assoluto, che non si possa<br />

contraddire in alcun modo”.<br />

Il secondo segreto che Gerardo Cosenza ci volle svelare in<br />

questa occasione, ci lasciò assai sorpresi: di gran lunga di più<br />

del primo. Ci raccontò, infatti, che per un suo problema visivo<br />

– che si portava dietro sin dalla nascita - aveva qualche difficoltà<br />

a distinguere in maniera netta e precisa i colori. Perlopiù<br />

questa sua difficoltà si realizzava (e questo ci sbalordì moltissimo!)<br />

sul rosso e sul verde: che sono due colori che non sono<br />

mai mancati – per la verità - nella tavolozza cromatica di questo<br />

artista; perlomeno fino alla grande svolta da lui effettuata<br />

- a cavallo del terzo Millennio - di andare verso i colori caldi<br />

- le cosiddette terre -. Una scelta, quest’ultima, che è stata fatta<br />

da parte dell’artista dopo il Duemila: ovverosia in quella che<br />

rappresenta la sua più recente - ed anche ultima - produzione<br />

pittorica: quella che precede la sua prematura dipartita e che<br />

ha avuto i suoi due grandi momenti di gloria nell’antologica<br />

da lui fatta - nel 2003 - al caledarium delle terme di Latronico<br />

(in provincia di Potenza) e nello stesso anno a Bruxelles, nei<br />

locali del Parlamento dell’Unione Europea.<br />

Tornando al periodo che va da 1984 al 1986, dobbiamo<br />

aggiungere che esso è stato - ampiamente e sufficientemente<br />

- antologizzato e storicizzato dal critico d’arte Barbara Tosi<br />

nel volume “Carte da Parato - Wall papers” (che è stato edito,<br />

nel 1985, dalla EDI.SAL di Salerno, nella collana “Strumenti”<br />

diretta da Massimo Bignardi). Esso coincide – per l’appunto<br />

questo intenso ciclo pittorico - con il primo viaggio dell’artista<br />

negli Stati Uniti d’America, a New York. Ricordo quando una<br />

sera d’inverno, del 1986, comunicò (a me e a pochi altri amici,<br />

nei locali del Seminario Pontificio di Potenza che fungeva da<br />

39


c u l t u r a<br />

Gerardo Cosenza, Il basilisco piumato, 1986, tecnica mista su tela<br />

sede del “Collettivo Quinta Generazione”) la volontà di effettuare<br />

questo suo viaggio, oltre oceano. La sua intenzione era<br />

di risiedere per qualche tempo – come poi fece - a Manhattan:<br />

nella zona – in particolare - dell’East Village, che era divenuta<br />

assai celebre e famosa nel mondo - in quei primi anni ’80 del<br />

Novecento - per essere divenuta una fucina d’intellettuali ed<br />

un quartiere (snob e popolare allo stesso tempo) di artisti e di<br />

“folli” (è proprio il caso di dire!) d’ogni genere e d’ogni specificità<br />

creativa. East Village rappresentava insomma, in quel<br />

momento, un centro di cultura alternativa a livello internazionale.<br />

I nomi che “impazzavano” in quel momento, in quel luogo,<br />

erano quelli di Keith Haring, ma anche di Ramm-ell-zee,<br />

Crash, A-One, Toxic, Ronny Cutrone, Fashion Moda, CoLab<br />

e Samo (Jean-Michel Basquiat).<br />

Gerardo Cosenza visse lì, in quella dimensione cosmopolita,<br />

metropolitana e underground, per qualche mese. Intrattenne<br />

rapporti con la Rosenberg Stephen Gallery (al numero 115 di<br />

Wooster Street) e con i mercanti internazionali d’arte Michael<br />

e Claire Villano (3rd Ace Golden). In quel periodo di intenso<br />

lavoro newyorchese, tenne anche una mostra alla Dalja Tawil<br />

Gallery: confermando - con quest’iniziativa - l’interesse che<br />

40<br />

C<br />

gli americani nutrivano per la sua pittura, a tratti - come amano<br />

gli statunitensi - assai espressionista (in breve: unica, decisa,<br />

originale, parecchio risoluta e molto appariscente) ed a tratti,<br />

invece, improntata ad una sorta di poetica dell’informale, di<br />

derivazione in qualche modo surrealista, di cui è stato caposcuola<br />

nel mondo, l’olandese Willem de Kooning: all’epoca<br />

del viaggio in America di Gerardo Cosenza ancora vivente<br />

(Rotterdam 1904 - New York 1997).<br />

Dall’artista internazionale Willem de Kooning, Gerardo<br />

Cosenza attinse - per la verità - molto poco – diciamo quasi<br />

nulla – in termini stilistici, semantici e di modello pittorico<br />

vero e proprio. Al contrario egli attinse, invece, molto in termini<br />

di “lezione di vita” e di “modo di pensare”. A tal punto<br />

– aggiungiamo sul piano del dettaglio storico - da decidere (insieme<br />

con la moglie Tina Gioiso) di chiamare William il suo<br />

terzo figlio, alla stessa maniera sì dell’artista-maestro olandese-americano,<br />

ma anche di un cugino statunitense, cui egli<br />

era molto affezionato. In particolare, Gerardo Cosenza fece<br />

suo il “metodo di lavoro” di Willem de Kooning e soprattutto<br />

egli fece tutto proprio lo “spirito immateriale” ed “immanente”<br />

che il maestro internazionale dell’Espressionismo astratto<br />

infondeva nelle sue opere. Memorabile è a questo proposito la<br />

frase, proprio di Willem de Kooning - assimilata pienamente<br />

nel lavoro di Gerardo Cosenza - in cui l’olandese afferma che:<br />

“That’s what fascinates me to make something I can never be<br />

sure of, and no one else can either” - “Questo è ciò che mi<br />

affascina costruire qualcosa di cui non posso essere sicuro e di<br />

cui nessun altro pur esserlo”. Un’altra frase celebre di sicuro<br />

molto cara a Gerardo Cosenza - per quello che mi è dato sapere<br />

- era quella in cui sempre Willem De Kooning sosteneva<br />

che “Tutta la pittura è illusione. Il disegno di un volto non è il<br />

volto. È il disegno di un volto”.<br />

Volendo essere maggiormente esaustivi sull’argomento,<br />

aggiungiamo, inoltre, che questo periodo newyorchese della<br />

pittura di Gerardo Cosenza fu segnato dall’utilizzo di frammenti<br />

lirici (veri e propri cut-up visivi) e da alcune forme stilistiche<br />

d’autentico ready made semantico che appartengono<br />

alla buona pittura moderna, contemporanea e post moderna.<br />

Essendo, in ogni caso, questo un soggetto che travalica l’argomento<br />

che è trattato in questa sede e che necessità di molto<br />

tempo a disposizione per essere illustrato in maniera esaustiva,<br />

preferiamo rimandarlo ad un successivo sviluppo: limitandoci,<br />

in questa sede, a richiamare – a tutti gli interessati - quanto da<br />

me stesso scritto, a questo proposito, in occasione della prima<br />

retrospettiva dedicata a quest’artista, che è stata tenuta - da<br />

febbraio ad aprile del <strong>2006</strong> - nei locali della Pinacoteca Provinciale<br />

di Potenza.<br />

Ricordiamo, inoltre, che negli Stati Uniti d’America, Gerardo<br />

Cosenza sarebbe successivamente tornato - dopo l’esperienza<br />

avuta nel 1984 - tredici anni dopo: ovverosia nel 1999.


C<br />

Questa a volta egli si recò in un’altra zona degli U.S.A: a Denver,<br />

nel Colorado, dove egli fece delle altre significative esperienze,<br />

che lo portarono, di nuovo, ad esporre oltre Atlantico,<br />

in questa fiorente città, per due volte di seguito, la prima volta<br />

in quello stesso anno e poi, a seguire, nel 2000.<br />

Al ritorno, in ogni caso, da New York, nel 1984, egli si<br />

dimostrò cambiato: più consapevole, in altre parole, delle sue<br />

capacità creative, convinto innanzi tutto che ci potesse essere<br />

mercato - anche in Italia e particolarmente in questo Paese -<br />

per i suoi lavori. Ha fatto storia a questo proposito l’aneddoto<br />

che si racconta su di lui e che si riferisce all’amico artista Marco<br />

Santoro che gli chiese – con un pizzico d’allegria, mista a<br />

tanta volontà di sapere - quali fossero le opere che andavano<br />

più in voga, in quel momento, a New York. Lui, che in quel<br />

particolare istante – si racconta - era tutto vestito di bianco e<br />

che mostrava un piglio decisamente e convintamene americano<br />

(con il sigaro in bocca come - da sempre - era suo costume)<br />

rispose: “Vanno i lavori come i miei. Lavori pieni di fantasia,<br />

di colori e di segni”.<br />

Sta di fatto che tornando dagli Stati Uniti d’America il<br />

suo lavoro s’intensificò moltissimo. Il mercato italiano aveva<br />

“fame” – molta “fame” - delle sue opere. E lui produceva,<br />

produceva moltissimo, senza mai smettere, senza mai avere ripensamenti.<br />

Andavano, in particolare, alla grande, sul mercato<br />

meridionale, le sue carte colorate, le sue nature morte dove<br />

egli esplicava una forza fuori dal comune, una passione intensa<br />

verso l’arte che intanto lo premiò con la partecipazione, nel<br />

c u l t u r a<br />

Gerardo Cosenza, Mangiatore di banane, 1990, tecnica mista su tela<br />

1986, alla XI Quadriennale d’Arte Contemporanea di Roma e<br />

con il “Premio Michetti” di Francavilla a Mare (le segnalazioni<br />

furono fatte, in questi due casi, da Massimo Bignardi e da<br />

Enrico Crispolti).<br />

In questo periodo di forti relazioni con il mercato dell’arte,<br />

egli dovette far fronte – come lui stesso ha dichiarato - ad un<br />

problema molto serio: quello vale a dire dei falsi che alcuni,<br />

in maniera molto improvvida, tentarono di far “passare”<br />

in Campania, nel napoletano e nel casertano, con la colpevole<br />

connivenza di una televisione privata, che vendeva all’asta<br />

questi lavori. L’autore seppe, in ogni caso, contrastare questo<br />

fenomeno, autenticando – laddove possibile - le sue opere e<br />

procedendo ad una catalogazione precisa delle tele, delle carte<br />

e dei multipli (serigrafie ed acqueforti) da lui prodotti. Un<br />

lavoro questo che risulta, oggi, assai prezioso per la famiglia<br />

di Gerardo Cosenza, la quale intende autenticare, di suo, tutte<br />

le opere che sono in possesso dei collezionisti, dei mercanti e<br />

delle gallerie d’arte, attraverso l’expertise aggiuntivo di professionisti<br />

che hanno affiancato l’artista in vita e che potranno<br />

certificare l’originalità stessa, piena, delle sue opere. Tutto<br />

questo, solo ed esclusivamente, per fronteggiare – affermano<br />

la moglie e le due figlie più grandi, Anna Bruna e Giuliana - un<br />

eventuale mercato impazzito dell’arte, che potrebbe - dopo la<br />

prematura morte dell’artista - dar luogo o a copie d’autore o<br />

ad un ritorno dei falsi: i quali – gli uni e gli altri - non rendono<br />

certo omaggio dignitoso – se questo fenomeno dovesse verificarsi<br />

- alla memoria dell’artista.<br />

41


c u l t u r a<br />

Aglianica<br />

42<br />

In Basilicata ... a Settembre<br />

CONSORZIO DI VALORIZZAZIONE<br />

DEI VINI DEL VULTURE<br />

VII edizione www.aglianica.it<br />

CONSORZIO VITICOLTORI<br />

ASSOCIATI DEL VULTURE<br />

Direttore Sergio Paternoster<br />

S.S. 93 BARILE (Pz) | telefono e fax 0972/770386 | e-mail: coviv@tiscalinet.it | www.coviv.com<br />

C


C<br />

“Al pomposo,<br />

preferisco il giocoso”<br />

La poesia di<br />

Francesco Cosentino<br />

GIANCARLO TRAMUTOLI<br />

Francesco Cosentino (1959-2004) ha pubblicato:<br />

E sia, le disobbedienti energie, Altrimedia Edizioni,<br />

Matera-Roma, 1998.<br />

A disposizione, I Nadir 003, Arteria Edizioni, Matera, 2000.<br />

Fare poesia, Altre Muse Editrice, Matera, 2003.<br />

Inoltre, AltreMuseEditrice, 2005.<br />

c u l t u r a<br />

Francesco Cosentino, appartiene a quella rara schiera di poeti che<br />

preferiscono l’invenzione alla ripetizione. Tra la folla di ripetenti<br />

che hanno la presunzione di tentare ancora di rifare Pascoli, Leopardi,<br />

o pure Montale, ci sono pochi pazzi che hanno la saggezza<br />

di fare (come etimologicamente dice la parola “poesia”) cose diverse,<br />

con umile megalomania, con feroce autoironia, cercando<br />

percorsi poco battuti. Proseguendo per quella strada già percorsa<br />

da poeti eccentrici come Toti Scialoja, Giorgio Weiss, Attilio Lolini,<br />

Giulia Niccolai o dal nostro Vito Riviello. Sono questi gli<br />

ultimi capiscuola di una linea buffa e trasgressiva che comincia<br />

già nel Duecento con Cecco Angiolieri e prosegue nel Quattrocento<br />

con Burchiello e poi con Pulci, Berni, Folengo, Baffo, fino<br />

al novecentesco “lasciatemi divertire” di Palazzeschi, dove non<br />

ci si nega il piacere della musicalità, dello spiazzamento, del non<br />

sense. Dove la poesia può prendersi il lusso di dire, scherzando<br />

scherzando, cose amarissime.<br />

Ecco, Cosentino appartiene a questa famiglia di buontemponi.<br />

Poeti non dediti alla pomposità e all’eterno lamento, ma disponibili<br />

al gioco, all’umorismo, al paradossale. Poeti che colgono<br />

meglio, proprio attraverso questo approccio libero, l’essenza tragicomica<br />

della vita.<br />

Quella di Cosentino è una poesia veloce, verticale, tutta giocata<br />

sul paradosso, l’ironia, il calembour. Ha un’energia nervosa che<br />

era quella che aveva Franco, così come l’ho conosciuto. Il suo<br />

verso gioca su una compresenza di humour e malinconia. Ma ha<br />

pure il gusto beffardo di spiazzare il lettore. Ad esempio:<br />

Ormai<br />

Non mordi / Soltanto abbai / E pure assai // È il gioco che fai /<br />

Sempre in cerca di guai / Ti offri e mai ti dai.<br />

Senza rinunciare a toni ironicamente dolenti:<br />

Contriti<br />

Come quando / Non captano / La tua attenzione // Le parole /<br />

Cominciano a stemperarsi / Perdere calore // I contorni disfarsi /<br />

Battere in ritirata / In fretta verso la foce // Farsi appunti / I mutevoli<br />

/ Toni della voce<br />

O amaramente comici:<br />

Distratto impaziente<br />

Sollevi / Il coperchio / Ispezioni / La padella // Aspetti / La tua<br />

bella / da diversi / Quarti d’ora // Friggono / Le budella / Gli intestini<br />

/ E pure l’interiora.<br />

Usando l’effetto taumaturgico del paradosso come in:<br />

Sinceramente<br />

Diciamoci / La verità // Mentiamo / Spudoratamente.<br />

Credo, infine, che lo stile brioso dei versi di Francesco Cosentino<br />

dimostri come sia ancora possibile evitare l’effetto nostalgico,<br />

appassito e mortifero di tanta poesia contemporanea. Poesia che<br />

oscilla minacciosa, tra la noia e l’enfasi. Tra la soporifera arpa<br />

lirica e l’inutile rumore retorico del trombone.<br />

43


c u l t u r a<br />

44<br />

Il fantastico<br />

ad Agromonte<br />

Le ceramiche di Pina Ferrara<br />

Ho conosciuto Pina Ferrara nell’agosto<br />

del 2004, trovandomi per qualche<br />

giorno a Sarconi, mio paese natale, ignaro<br />

di esservi capitato in coincidenza con<br />

la “Sagra del Fagiolo”. Un evento importante,<br />

occorre dirlo, per quel minuscolo<br />

comune della Val d’Agri, ormai assurto<br />

grazie al fagiolo nell’araldica della gastronomia<br />

italiana, ma al quale anni prima<br />

veniva riservata soltanto una giornata,<br />

bastevole ad includere, con la varie<br />

manifestazioni religiose e folcloristiche,<br />

anche il tradizionale Convegno tecnicoscientifico<br />

sulla produzione, il disciplinare,<br />

la tipologia del prezioso legume.<br />

Al quale, dal 2004, si è invece ritenuto<br />

opportuno dedicare una “Sagra” più ricca,<br />

articolata in tre intense giornate, anzi<br />

quattro, dacché sin dalla vigilia il paese<br />

diventa tutto una chiassosa animatissima<br />

“area pedonale”, per consentirvi l’allestimento<br />

di innumerevoli chioschi, di<br />

grande richiamo per i forestieri, dove il<br />

fagiolo viene proposto nelle più varie e<br />

inopinate declinazioni culinarie, mentre<br />

agli angoli delle strade e nei cortili delle<br />

case si dà vita a una piccola fiera d’arte<br />

e d’artigianato, piuttosto avara, com’è<br />

accaduto per molti anni, di interessanti<br />

sorprese. Non però in occasione della<br />

“Sagra” celebratasi il 2004, quando in<br />

un piccolissimo cortile dell’antico paese<br />

erano esposti i dipinti e le ceramiche di<br />

Pina Ferrara. Pochi quadri e pochissimi<br />

oggetti, per la verità, a causa della sede<br />

davvero lillipuziana della “mostra”, e<br />

della brevità della sua durata. Ciondoli,<br />

per lo più, per quanto attiene alle ceramiche,<br />

vasi policromi di esigue dimensioni,<br />

e altrettanto minuscole statuette, il tutto<br />

modellato però con sicuro talento e una<br />

rara maestria tecnica. Del che mi diede<br />

conferma, conclusisi i giorni della “Sagra”,<br />

una visita allo studio di Pina Ferrara,<br />

nell’arioso paesino di Agromonte,<br />

che essendo una frazione di Latronico è<br />

anch’esso vigilato dallo stupendo Monte<br />

Alpi, una montagna di granito alta circa<br />

2000 metri, tra le più belle e incantatrici<br />

dell’Appennino lucano. Qui, ad Agromonte,<br />

vive e lavora questa giovane<br />

donna, sposata e madre di due figli, che<br />

divide eroicamente il suo tempo, non<br />

sembri retorico affermarlo, tra le cure<br />

della famiglia, l’impegno quotidiano di<br />

insegnante in una scuola di Potenza -<br />

C<br />

DOMENICO PETROCELLI<br />

125 chilometri di strada, spesso innevata<br />

d’inverno, per raggiungerla, e altrettanti<br />

per far ritorno a casa - e l’attività artistica,<br />

a cui si è votata con tenacissima, ancorché<br />

schiva determinazione. Tanto da<br />

dedicarle l’unico “ponte” del 2004, per<br />

una rapidissima gita, con i figli e il marito,<br />

a Gubbio, Perugia, Faenza e Deruta,<br />

centri famosi in tutto il mondo dell’arte<br />

ceramica, non soltanto italiana. Per la<br />

verità, Pina Ferrara non si dedica esclusivamente<br />

alla ceramica, amando anche,<br />

allo stesso grado, la pittura. Ma forse,<br />

anche per via delle tecniche innovative<br />

in cui costantemente si esercita “da ceramista”,<br />

e la stessa peculiare suggestione<br />

fornita dalle materie adoperate, credo<br />

che i più alti raggiungimenti, le prove<br />

più originali del suo lavoro li abbia finora<br />

conseguiti nell’attività, appunto, di<br />

ceramista, anzi di autentica scultrice in<br />

ceramica. Vi è pervenuta per gradi che<br />

si direbbero canonici - dapprima il Liceo<br />

Artistico di Salerno, quindi il diploma<br />

di Pittura all’Accademia di Belle Arti di<br />

Napoli (avendo tra i suoi maestri Gianni<br />

Pisani), e poi intensi soggiorni di lavoro<br />

a Vietri sul Mare e ad Albissola, dove


C venne folgorata dal famoso “Blù Savona”<br />

delle maioliche locali, tipico come<br />

quello degli “azulejos”, le piastrelle di<br />

terracotta colorata che rispecchiano il<br />

segreto della luminosità prodigiosa di<br />

Lisbona - fino ad approdare all’attuale<br />

sua convinta adesione all’arte del Raku,<br />

in cui ora si esprime gran parte della<br />

sua produzione artistica. Il quale Raku è<br />

un’antica tecnica giapponese, in qualche<br />

modo legata alla filosofia Zen e all’influenza<br />

del buddismo nella cultura e nel<br />

costume del Sol Levante, e che viene<br />

praticata con argille ricche di sabbia silicea,<br />

e perciò refrattarie, che consentono<br />

cotture rapide e multiple, a basse temperature,<br />

con particolari smalti a base di<br />

piombo, che danno vita a colori ed effetti<br />

singolarissimi pressoché inediti da noi.<br />

Ma al dì là delle procedure o modalità<br />

tecniche, che possono concorrere a moltiplicare<br />

il fascino dei singoli manufatti,<br />

è il mondo che vi è sotteso a rendere palpitante<br />

di vita le sculture di Pina Ferrara.<br />

Il “mezzo”, si è già detto, vi concorre la<br />

sua parte. Quegli elementi primari, terra,<br />

creta, argille ferrose, da impastare<br />

con l’acqua, come il pane, e poi da arroventare<br />

nella fornace, donde si estraggono<br />

stillanti ancora smalti multicolori,<br />

o invetriati, ossidati, spesso percorsi da<br />

tenuissime venature giallo-viola, o ancora<br />

come rappresi in un bianco calcinata,<br />

sono di per sé sufficienti a spiegare<br />

la peculiare seduzione della ceramica,<br />

anche quando è opaca, perfino quando<br />

rimane allo stato di terracotta, lo stadio<br />

del vasellame contadino, risalente addirittura<br />

al Paleolitico, e che oggi costituisce<br />

la fortuna degli archeologi, ovunque<br />

lo si ritrovi, a Matera coma a Palmira,<br />

a Cuzco o nei villaggi degli aborigeni<br />

australiani. Ma quel “mezzo” resterebbe<br />

inerte, un prodotto inutilmente elegante<br />

nelle sue fattezze formali, se non<br />

lo motivasse un mondo interiore, e una<br />

ricerca assidua e ostinata che affonda<br />

la superficie nel turbamento dell’inconscio.<br />

Perché Pina Ferrara, questa donna<br />

lucana che ha sposato la ceramica con la<br />

fatalità che presiedeva all’opera di due<br />

fra i più grandi plasticatori e scultori del<br />

Novecento, Arturo Martini e Zeoncillo,<br />

sottomette il suo “mezzo” a una visione<br />

in cui si intrecciano reale e surreale,<br />

oggettività e mistero, una veggenza che<br />

tende a scandagliare la profondità, esprimendosi<br />

per simboli, spesso inquietanti,<br />

sempre intesi a un’ardua, spericolata in-<br />

c u l t u r a<br />

tegrazione tra “verosimile” e “inverosimile”.<br />

Consapevole, come ammonisce<br />

Leonardo, che “la natura è piena di infinite<br />

ragioni che non furono mai in isperienzia”,<br />

essa si propone di penetrare il<br />

senso del mistero che presiede al creato,<br />

nelle sue multiple apparenze (o sospetti<br />

d’apparenza), come è indicativo dagli<br />

tessi nomi dei suoi referenti ideali: il De<br />

45


c u l t u r a<br />

Chirico delle Muse Inquietanti. e tutta la sua alta stagione<br />

metafisica, il Dalì che è stato anche troppo spesso un commediante<br />

ma che ha saputo attraversare come pochi il territorio<br />

dell’avventuroso, del fantastico e dell’irrazionale; e infine il<br />

grandissimo Redon che come nessun altro - ha scritto Walter<br />

Benjamin - “afferrò lo sguardo delle cose nello specchio del<br />

nulla, e come nessun altro seppe entrare nel patto tra le cose e<br />

il non-essere”. In altre parole, da artista autentica e vera Pina<br />

Ferrara non fa concessioni alle mode, né al mercato che le<br />

accompagna (e in molti casi le determina), ignorando sia le<br />

stucchevoli avanguardie di maniera sia il facile richiamo alle<br />

seduzioni del “territorio”, già narrato da pittori di diverso, e<br />

spesso notevole spessore: da Levi a Guerricchio, da Corrado a<br />

Maria Padula, da Masi e Falciano. La sua ricerca opera sul mistero,<br />

indaga il campo del fantastico e del meraviglioso. Come<br />

ha scritto Roger Callois, invece di considerare subito l’indecifrabile<br />

in-decifrabile, anch’essa lo considera “qualcosa da<br />

decifrare, con il fermo proposito di giungere in qualche modo,<br />

se possibile, a capo dell’enigma”.<br />

46<br />

C<br />

Non insegue, tuttavia, il fantastico per partito preso, cioè<br />

l’invenzione di un universo immaginario o fiabesco, né il meraviglioso<br />

delle leggende, le danze macabre medievali, i sabba<br />

delle streghe a cavalcioni della scopa, e tutto l’armamentario<br />

che spazia dalla fede alla credulità più ingenua. Nel fermo<br />

convincimento che l’occhio sia il più efficace e irrinunciabile<br />

osservatorio sul mondo (e perciò l’occhio compare spesso nei<br />

suoi dipinti, e in qualche caso ne è il “motivo” dominante),<br />

rivolge il suo sguardo a quanto la circonda, ma senza limitarsi<br />

all’apparenza sensibile. Se Rembrandt, come ha scritto Radon,<br />

“ha dato una vita morale all’ombra”, lei cerca, con tenace<br />

ostinazione, e perseguendo un surrealismo carico di effetti<br />

naturalistici, di esprimere e “raggiungere” una realtà altra, una<br />

metafora allucinata della vita.


C<br />

Sinisgalli l’inattuale<br />

Discorrendo dell’idea di progresso<br />

Novantotto anni dalla nascita (1908), venticinque dalla morte<br />

(1981): Sinisgalli ha attraversato il “Secolo breve” quasi per<br />

intero, restando tutto interno ad esso. Le scadenze offrono le<br />

occasioni per ripensare, e rivedere a distanza, perché l’immagine<br />

sia più ampia e più chiara. L’attenzione che Decanter ha<br />

recentemente dedicato al poeta di Montemurro rimette sanamente<br />

in circolo la necessità di un dibattito e di una coscienza<br />

della sua esperienza poetica e culturale, così particolare e quasi<br />

unica. Vorrei approfittarne allora, per proporre una lettura forse<br />

inconsueta, in controtendenza, dell’opera di Sinisgalli, basandola<br />

sulla constatazione della sua inattualità. L’autore lucano, che<br />

sente ed ama il mondo classico, che ricerca la vertigine tra sensi<br />

e ragione, tra poesia e prosa, che guarda con lo stesso occhio i<br />

pomodori e le superfici algebriche, che scopre l’antico sullo scenario<br />

di una Basilicata agricola, più arcaica che mitica, urente e<br />

povera (Lucania), disegna un percorso che ha per centro l’unità<br />

di tutta l’esperienza umana di fronte al mondo. Unità della conoscenza<br />

matematica e di quella poetica, unità dell’astratto e<br />

del quotidiano, unità -in maniera più vasta e comprensiva- delle<br />

‘due culturÈ. Su questo aspetto dell’opera di Sinisgalli si è più<br />

volte ritornati. Eppure, accanto a questa unicità di visione, dal<br />

poeta ricercata e auspicata (la stessa della cultura classica e rinascimentale,<br />

ancora viva fino all’ illuminismo), mi pare altrettanto<br />

importante cogliere quanto Sinisgalli fosse cosciente di<br />

esserne in realtà uno degli ultimi portatori. A ripercorrere i suoi<br />

scritti si avverte un passaggio fra il sentimento degli anni ’30-<br />

’50, fiducioso e ispirato, anche se antiretorico ed “antieloquente”<br />

e il disincanto sempre più aspro degli anni ’70-’80. Da una<br />

parte l’età eroica di Furor Mathematicus («posso dire di aver<br />

c u l t u r a<br />

Il dibattito<br />

FABER FABBRIS<br />

conosciuto giorni di estasi tra gli anni 15 e gli anni 20 della mia<br />

vita per virtù delle matematiche»,1944) le esperienze milanesi,<br />

la collaborazione con Olivetti, la vittoria al Festival di Venezia<br />

con Lezione di Geometria, la rivista Civiltà delle Macchine;<br />

dall’altra l’Età della luna («Il mio spirito è contrario allo spirito<br />

meccanico. Potrei anche dire che il meglio della mia cultura mi<br />

fa quasi vergogna», 1962), il Passero e il lebbroso, Mosche in<br />

bottiglia. Una flessione che tuttavia non è brusca, un cambio di<br />

rotta appena riconoscibile, quasi che nel tragitto di Sinisgalli si<br />

faccia a poco a poco spazio la consapevolezza che l’unità sta per<br />

smarrirsi, la sensazione che egli si trovi sempre più solo ad invocarla.<br />

E se questo processo è vissuto dal poeta con ironia, con<br />

fredda e disincantata malinconia (Due Poeti ai giardini), sempre<br />

più forte è l’avvertimento di una perdita alla quale sa di non<br />

potersi opporre. Sinisgalli sa cha una stagione sta per chiudersi e<br />

che le parole non soccorrono a sufficienza: già nel 1959 in morte<br />

del matematico napoletano scrive:“Caccioppoli si è ucciso<br />

con un colpo alla nuca ; […] non ci si difende dalla noia con la<br />

matematica, come non ci si difende con la poesia” 1 . Forse si può<br />

leggere un parallelo tra questo processo e l’esaurimento della<br />

vena poetica che Sinisgalli verrà sempre più spesso lamentando<br />

- ai nostri occhi di lettori senza ragione - per avvicinarsi, quasi<br />

rifugiarsi, nel disegno (“…vecchia musa decrepita, il poeta è<br />

ogni anno più cieco” 2 ). Alla stessa perdita, alla constatazione<br />

che i tempi e il mondo non permettevano più quella prospettiva,<br />

assisterono anche - a titoli e con percorsi diversi - Italo Calvino<br />

e Primo Levi, due altri esploratori del terreno accidentato e<br />

quasi per niente battuto (soprattutto nella letteratura italiana) tra<br />

‘letterÈ e ‘scienzÈ.<br />

47


c u l t u r a<br />

E qui vorrei ritornare all’aspetto prima accennato, quello della<br />

capacità di parlare all’oggi di Sinisgalli: mi pare si possa dire<br />

che l’inattualità della sua visione della cultura dipende dal contesto<br />

storico più che da un difetto di lungimiranza del poeta. Lo sfondo<br />

economico e storico che permise la fulgida stagione di Civiltà delle<br />

Macchine è quasi integralmente dissolto; il modello industriale<br />

italiano che si sviluppava lungo i ‘trenta gloriosi’, animato dalle<br />

grandi aziende di Stato (Eni, Alitalia, che videro spessissimo Sinisgalli<br />

animatore culturale instancabile) ma anche con le esperienze<br />

d’avanguardia sociale e culturale della Olivetti, è ormai quasi<br />

scomparso; lo stesso può dirsi di un modello di processo produttivo<br />

che investiva fortemente in ricerca e che immetteva sapere nel<br />

valore del prodotto. Ma soprattutto la dinamica che portava a fianco<br />

dello sviluppo economico un pur ineguale e asimmetrico progresso<br />

civile, frutto delle pressioni sociali e operaie, appare oggi<br />

completamente disarticolata. Il contesto presente rimanda piuttosto<br />

ad un serio declino industriale dell’Italia (denunciato lucidamente<br />

qualche anno fa da Luciano Gallino), col quale fa il paio un<br />

netto arretramento dei diritti del lavoro ed una inversione più generale<br />

dell’evoluzione della società; l’assenza di strategia industriale<br />

degli ultimi anni ha lasciato il posto alla ricerca senza uscita della<br />

competitività con la riduzione dei costi; l’industria di base appare<br />

svuotata dei suoi più corposi elementi; il capitale industriale si trasforma<br />

sempre più in capitale finanziario creando fragilità e rischi<br />

sempre maggiori. Sinisgalli (benché certamente non ‘di sinistra’)<br />

era profondamente consapevole del nodo fra progresso industriale<br />

e progresso sociale, anche se probabilmente immaginava il primo<br />

portato automaticamente e necessariamente dal secondo. (“È logico<br />

che la quantità spaventosa di energia che si consuma sarebbe<br />

tutta sprecata se non servisse almeno a procurare un giocattolo<br />

all’ultimo bambino lucano o coreano, che dico un giocattolo!, se<br />

non servisse a comprare un sillabario e l’inchiostro e i quaderni<br />

48<br />

C<br />

agli ultimi bambini esquimesi o zulù” scrive nel 1953 su Civiltà<br />

delle Macchine). Egli era in questo, dunque, certamente legato ad<br />

una tradizione illuminista ma non banalmente positivista, ad una<br />

visione progressiva della condizione umana nella quale la tecnica<br />

fosse capace di sanare i contrasti e produrre abbondanza. Una<br />

visione che nuove, più recenti consapevolezze (penso all’ambietalismo)<br />

hanno corretto e rivisto, ma che ha espresso cambiamenti<br />

storici fra i più grandi, ed alla quale il genio dell’ora presente<br />

sembra avere totalmente rinunciato. Insomma non stupisce che la<br />

voce del poeta lucano non parli più all’oggi: non perché essa sia<br />

arretrata rispetto al presente, ma piuttosto in quanto – verrebbe da<br />

dire - è la posterità ad essere tornata più indietro di Sinisgalli, l’oggi<br />

ad essere retrocesso a prima di ieri. Ed è questa una ‘mancanza’<br />

che si sente, una assenza in decantazione, che le rievocazioni e gli<br />

anniversari –sempre meritori- stentano a disinnescare. Emblematico<br />

come le sue opere siano difficilissime da reperire nelle librerie<br />

italiane. Si potrà non essere troppo ingenuamente ‘ottimisti’ nel<br />

dire che Sinisgalli tornerà ancora a parlare quando nel futuro si<br />

disegnerà di nuovo uno spazio di speranza e di avanzamento sociale?<br />

Quando la ricerca dell’unità del sapere, ultimo appello di<br />

Ludovico Geymonat ormai quasi trent’anni fa, tornerà d’attualità?<br />

È vero, sono tempi che non sembrano prossimi. Ma in attesa dei<br />

quali ci può forse valere come un salvacondotto, come un amuleto,<br />

una delle ultime voci del poeta ingegnere:<br />

Siamo qui per dividerci<br />

un’eredità di stenti.<br />

Non spezziamo quello che è intero,<br />

diventa zero 3 .<br />

Note<br />

1 Caccioppoli si è ucciso, in “L’immobilità dello scriba”,1960.<br />

2 Commiato, in “L’età della luna”, 1962<br />

3 “Mosche in bottiglia”, 1975


C<br />

“Una storia di violenza” o “Una storia della<br />

violenza”? La prima espressione sembra<br />

riferirsi a una qualsiasi vicenda di ordinaria<br />

brutalità, magari consumatasi tra l’indifferenza<br />

generale. La seconda invece pare annunciare<br />

un tentativo non definitivo di ricapitolare per<br />

grandi linee la presenza e l’evoluzione della<br />

Violenza nella storia dell’uomo. Due concetti<br />

in qualche modo contrapposti. La lingua<br />

italiana li distingue per mezzo di una semplice<br />

preposizione, mentre in Inglese convivono<br />

entrambi nella frase che dà il titolo all’ultimo<br />

lavoro di David Cronenberg. E proprio in<br />

questa ambivalenza sta una delle chiavi di<br />

lettura del film.<br />

La trama si basa sul tipico tema Noir del<br />

passato che ritorna come una maledizione per<br />

sconvolgere la vita di uomini che avevano<br />

ANTONIO AMENDOLARA<br />

Il passato davanti a noi<br />

Bruno Arpaia,<br />

Ugo Guanda editore, Parma <strong>2006</strong><br />

Le epigrafi che aprono l’ultimo romanzo<br />

di Arpaia racchiudono il senso e la difficoltà<br />

della sua impresa narrativa. La prima<br />

è di Scott Turow: Forse è inutile spiegare<br />

le passioni di un’epoca ad un’altra, subito<br />

seguita da una citazione dall’ultimo Javier<br />

Cercas, Le uniche storie che vale la<br />

pena di raccontare sono quelle che non<br />

possono essere raccontate. La narrazione<br />

si occupa di anni “difficili”, i ’70, quelli<br />

di una generazione che inseguiva la “semplicità<br />

che è difficile a farsi”, anni raccontati<br />

troppo poco e comunque troppo male.<br />

Le vicende di un gruppo di ragazzi in un<br />

paese del napoletano sono la trama di un<br />

racconto straordinario, in parte romanzo<br />

di iniziazione, ma soprattutto descrizione<br />

di un percorso collettivo, politico sì,<br />

ma anche sociale, culturale, affettivo. La<br />

ricostruzione è accuratissima, con l’aiuto<br />

esplicitamente dichiarato di molti amici e<br />

di molti libri, perché la verità storica non<br />

provato a cancellarlo e voltare pagina. Se<br />

si pensa al cinema nero come al genere che<br />

scava nel torbido della società con realismo<br />

ed eleganza formale, e che di solito preferisce<br />

lasciar intendere piuttosto che mostrare, mai<br />

si sarebbe immaginato di vedere un film Noir<br />

girato da Cronenberg, un regista che ancora<br />

si porta appiccicata addosso l’etichetta di<br />

profeta della mutazione, di filosofo del cinema<br />

splatter, e che da sempre lavora sulle immagini<br />

per mostrare il non ancora mostrato e il non<br />

mostrabile (“La Mosca” o “Scanners” solo per<br />

citare due esempi).<br />

Non bastasse questo, “A History of Violence”<br />

è anche un film su commissione, con un<br />

soggetto tratto da un albo a fumetti, insomma<br />

un progetto che rischiava pregiudizi e mala<br />

fede. E invece il regista canadese realizza<br />

può che essere impresa collettiva, perché<br />

“non trova posto in una sola testa”. Ma va<br />

dato merito ad Arpaia di aver acquistato,<br />

romanzo dopo romanzo, uno spessore narrativo<br />

e una capacità di coinvolgere mente,<br />

cuore e viscere del lettore, che lo pone<br />

allo stesso livello di scrittori come Jonathan<br />

Coe, con la capacità cioè di coniugare<br />

“l’assuefazione da soap opera con un’assoluta<br />

integrità culturale”. Per questo, forse,<br />

il romanzo di Arpaia ha la possibilità<br />

non tanto di far ricordare, in una sorta di<br />

nostalgico “come eravamo”, ma soprattutto<br />

di raccontare il percorso irripetibile di<br />

una generazione a chi ne ha sentito parlare<br />

solo nella distorsione e nella vulgata degli<br />

“anni di piombo”. E di libri come questo<br />

ce n’è bisogno, perché il passato continua<br />

ad essere davanti a noi, come accade all’Angelo<br />

della Storia di Benjamin (figura<br />

costante nei libri di Arpaia, direttamente<br />

o indirettamente evocata), e non si com-<br />

c u l t u r a<br />

“A History of Violence”<br />

di David Cronenberg<br />

uno splendido e angosciante studio sulle<br />

cause e le conseguenze di un atto di violenza,<br />

una radiografia completa della ferocia che<br />

serpeggia tra le pieghe delle nostre abitudini e<br />

dei nostri stili di vita. Ragionando freddamente<br />

sull’intreccio tra violenze psicologiche, fisiche<br />

e mediatiche, il film ritrae la violenza senza<br />

alcun compiacimento, la descrive come vizio,<br />

perversione, istinto malato, come strumento di<br />

potere, come sistema. Di fronte alla magnifica<br />

scena finale di A History of Violence, il miglior<br />

film della stagione 2005-<strong>2006</strong> a parere di chi<br />

scrive, è difficile non avvertire un brivido<br />

e non riconoscere, per un attimo, le proprie<br />

responsabilità di fronte alla violenza del<br />

sistema a cui si appartiene.<br />

PAOLO FANTI<br />

prende il presente e le sue miserie, se non<br />

interrogando il rimosso di quegli anni, anche<br />

recuperando e rivendicando quel senso<br />

di collettività, quella “voglia e il bisogno<br />

di uscire, di esporsi nella strada e nella<br />

piazza”, di cui cantava Giorgio Gaber.<br />

49


50<br />

Il Racconto<br />

La parabola<br />

dell’ottimismo<br />

Fabrizio Berti entrò alla stazione centrale di Ostia che<br />

era il ritratto sputato della felicità. Più che camminare,<br />

saltellava sulla punta dei piedi, come un ballerino, un<br />

sorriso largo gli attraversava la faccia come un nastro luminescente,<br />

e sebbene guardasse dritto davanti a sé, dava tuttavia<br />

l’impressione di non fissare nulla in particolare, come se<br />

niente di quanto lo circondava lo riguardasse veramente: né<br />

la rivendita di biglietti, né la piccola folla che si accalcava lungo<br />

il binario, né il treno, che arrivava sferragliando e stridente e<br />

apriva le porte sbuffando, come se ansimasse anche lui per il<br />

gran caldo. Era assorto in una serie di sublimi considerazioni<br />

intorno a tutto quello che si sarebbe potuto permettere con<br />

una rotonda cifra a quattro zeri a disposizione, e l’avrebbe sicuramente<br />

perso, il treno, gli sarebbe certamente sfilato sotto<br />

il naso come un serpentone fasciato di bianco e di celeste, se<br />

un ragazzone abbronzato e riccioluto, correndo, non l’avesse<br />

urtato con una spalla lucida di sudore, facendolo caracollare<br />

come un pupo siciliano ora su un piede ora sull’altro.<br />

Quando riguadagnò l’equilibrio, Fabrizio improvvisamente<br />

realizzò che non c’era tempo da perdere, nemmeno per comprare<br />

il biglietto, e si precipitò anche lui verso il treno, con la<br />

giacca a quadri, di cotone, leggerissima, svolazzante come un<br />

mantello, e una cartella di cuoio vecchio, lisa lungo le cuciture,<br />

stretta saldamente in un pugno.<br />

Era un sabato all’ora di pranzo, e i vagoni non erano gremiti<br />

come solitamente accade alla stessa ora per i restanti giorni<br />

della settimana. Fabrizio si asciugò il sudore dalla fronte con<br />

un fazzoletto su un lembo del quale erano ricamate in blu<br />

cobalto una F. e una B. – eredità del nonno -, e prese posto in<br />

uno scomparto vuoto, accanto al finestrino e nel senso della<br />

direzione di marcia.<br />

Era in uno stato di euforia incondizionata, in preda ad un<br />

ottimismo sfrenato, sfacciato e inscalfibile.<br />

La berlina del padre si era affogata tra singulti e borbottii<br />

nei pressi del Pontile, sul lungomare, e in un circostanze diver-<br />

GIUSEPPE LOMBARDI<br />

se una contingenza simile gli avrebbe fatto rizzare i peli dalla<br />

rabbia come un felino in stato d’allerta, per dare di seguito il<br />

via ad una lista di lamentele e recriminazioni rigogliosa e lussureggiante<br />

quanto la vegetazione di una foresta pluviale. Ma<br />

quel giorno no, per carità. Quel sabato sembrava non esserci<br />

impaccio che con un pizzico d’intraprendenza e buona sorte<br />

non si potesse aggirare. I contrattempi, anzi, si erano tutti<br />

mostrati come altrettante occasioni per esibire al cospetto<br />

della signora Vicini, o Piccini, o come diavolo si chiamava lei,<br />

la strabiliante facilità con cui era capace di venire a capo di<br />

problemi di svariato tipo, da quelli di arredamento spicciolo<br />

– Fabrizio faceva l’architetto -, a quelli di ordine strutturale,<br />

e anche un’eventualità in apparenza unicamente triste e infeconda<br />

come quella della macchina, a ben pensarci, non si<br />

era rilevata come assolutamente negativa, perché il motore<br />

sarebbe potuto affogare in una stradina interna dell’Infernetto,<br />

per esempio, lontano da un mezzo di soccorso, oppure in<br />

un altro momento, come la mattina, quando arrivare anche<br />

soltanto con pochi minuti di ritardo all’appuntamento con la<br />

maliarda sarebbe magari risultato fatale. La Lancia familiare<br />

di rappresentanza, invece, si era arenata dopo che la trattativa<br />

con la Vicini –Piccini era stata conclusa, e aveva oltretutto<br />

avuto il buongusto di inchiodarsi a nemmeno un centinaio di<br />

metri dall’officina di un meccanico indifferente alla calura e ai<br />

turni di riposo, giusto accanto alla fermata di un autobus che<br />

l’avrebbe accompagnato come un sovrano in parata dritto alla<br />

stazione.<br />

Non valeva la pena, in un giorno così, in cui era possibile<br />

scovare del buono anche nel fondo di una catastrofe, crearsi<br />

troppi affanni: ne avrebbe ricavato soltanto un’emicrania.<br />

Con la cartella sulle ginocchia e il capo inclinato verso<br />

il finestrino, Fabrizio palpava delicatamente la giacca<br />

all’incirca dalle parti del cuore, e sorrideva beato.<br />

Percorreva ripetutamente, accarezzandolo con i polpastrel-


li, il profilo dell’assegno che custodiva come un tesoro nel taschino<br />

interno. Lo stringeva nel palmo, lo sentiva spiegazzarsi,<br />

e allora allentava la presa, perché una volta assicuratosi che<br />

non si fosse volatilizzato e conservasse il suo posto, sarebbe<br />

stata un’intollerabile stupidaggine rovinarlo. Dodicimila euro<br />

valeva quella striscia sottile di carta che non smetteva di tormentare.<br />

Dodicimila euro. D’accordo, non era in definitiva una<br />

cifra da perderci la testa, tale da poterci vivere di rendita per<br />

il resto dei giorni – che era poi il sogno che in fondo al cuore<br />

coltivava -, ma costituiva pur sempre un solido inizio.<br />

Maurizio non aveva ancora uno studio con una placca d’ottone<br />

accanto alla porta, non poteva permetterselo. Lavorava<br />

come consulente in un’agenzia immobiliare, ma al di là della<br />

magniloquenza e ambiguità del termine, le mansioni che praticamente<br />

era chiamato a svolgere si riducevano, né più né<br />

meno, a quelle ordinarie di un’agente qualunque. Considerava<br />

la sua posizione schiettamente umiliante, e se a questo affiancava<br />

la paga sanguinante dello stipendio che riceveva – era<br />

grasso che colava se arrivava a 600 euro al mese – diventava<br />

paonazzo e gli veniva da piangere dalla disperazione.<br />

Era un professionista, lui, con tanto di titoli e attestati, non<br />

un garzone di bottega. La signora Belli, l’attempata e tirata<br />

titolare dell’agenzia, lo trattava come un giovincello alle prime<br />

armi, lo frustava con occhiatacce furenti ogni volta che<br />

si intratteneva al telefono più dello stretto necessario, non<br />

gli chiedeva mai un parere professionale, e quando lo inviava<br />

a trattare con un cliente gli forniva previamente una lista<br />

dettagliatissima di istruzioni che lui era tenuto unicamente a<br />

mandare a memoria e ad eseguire punto per punto. Come se<br />

lui, Fabrizio Berti, fosse un imbecille incapace di partorire un<br />

pensiero proprio e di spiccare frasi di senso compiuto.<br />

Ma non era così, accidenti. Lui non era il sempliciotto che in<br />

molti consideravano. Sapeva che l’agenzia non gli offriva alcuna<br />

seria prospettiva, che continuare in aeternum in quel posto equivaleva<br />

ad un crudele e infruttuoso spreco di energie, e perciò,<br />

dovunque andasse, anche per conto della Belli, si teneva pronto a<br />

cogliere al volo, qualora si fosse presentata, l’occasione propizia a<br />

procacciarsi un cliente a titolo strettamente personale.<br />

In questo modo contava di arrotondare le proprie entrate,<br />

ma soprattutto di farsi conoscere nell’ambiente per quello<br />

che realmente valeva.<br />

Questo era quanto aveva sempre sperato, e finalmente i<br />

fatti cominciavano a dargli ragione. Aveva avuto il merito di<br />

non desistere, di non cedere alla collezione di fregature che<br />

aveva accumulato. Aveva aspettato con la pazienza di un certosino,<br />

e quando il caso e la perseveranza – oltre che il preziosissimo<br />

contributo di un parrucchiere, per la verità -, lo misero in<br />

contatto con la Vicini, o Piccini, non si era lasciato cogliere alla<br />

sprovvista, e il risultato era che ora poteva godersi, svaccato<br />

sul sedile come sul divano di casa sua, il piacere intenso e tutto<br />

privato di lisciare amorevolmente, come un orsacchiotto di<br />

peluche, quella palpabilissima promessa di felicità.<br />

Il treno rallentò in un tratto in aperta campagna, e di lì a<br />

poco, con il consueto accompagnamento di sbuffi e stridori, si<br />

fermò del tutto.<br />

r a c c o n t o<br />

Ostia Antica, lesse Fabrizio su un cartello filante e abbrustolito<br />

dal sole, tamponandosi il collo e la fronte col suo bel<br />

fazzoletto siglato. Era accaldato, e smaniava di tornare a casa.<br />

Guardò l’orologio, e suppose che di quel passo non sarebbe<br />

giunto a Piramide prima di una mezz’ora buona. Frugò nella<br />

cartella come un cagnolino che scava una buca in un parco,<br />

con una certa apprensione, e ne estrasse il supplemento settimanale<br />

di un quotidiano. Posizionò la cartella di piatto a formare<br />

un piano liscio come un tavolino, e vi depositò sopra la<br />

rivista. Ma prima che potesse anche soltanto leggere il titolo<br />

sulla copertina, notò con la coda dell’occhio una figura scura<br />

e rotonda che si faceva largo nel vagone dondolando con il<br />

busto come se ad ogni passo, per poter aver ragione della<br />

propria mole, dovesse buttarsi con le spalle in avanti, come un<br />

velocista in prossimità del traguardo.<br />

Sbirciando con maggior attenzione, Fabrizio constatò che si<br />

trattava di una suora, e che puntava al sedile libero di fronte<br />

al suo.<br />

Era bassa e tracagnotta, con un crocifisso grande quanto un<br />

cartellone pubblicitario affondato nel petto, un paio di occhialetti<br />

di metallo assicurati a una catenella, un rosario arrotolato<br />

a un polso come un braccialetto, e il sacchetto di plastica di<br />

un supermercato che penzolava floscio dall’altra mano. Aveva<br />

un’espressione corrucciata, con la fronte rugosa e le sopracciglia<br />

arcuate, guance cascanti come le orecchie di un cocker,<br />

e una bocca stirata come un elastico sul punto di spezzarsi. Si<br />

sedette con una mezza giravolta sofferta e aiutandosi con entrambe<br />

le braccia, festeggiando la conclusione del movimento<br />

con un prolungato «ehhh » di soddisfazione che tradiva al<br />

contempo, nel tono squillante e risentito con cui era stato<br />

pronunciato, una fastidiosa afflizione nei confronti del mondo.<br />

Accomodatasi, Suor Sofferenza, come la ribattezzò all’istante<br />

Fabrizio, ricacciò nella cuffia che le cingeva il capo come<br />

un’aureola un ciuffo di capelli ribelli sotto un orecchio, estrasse<br />

dalla busta una copia della Settimana Enigmistica con una<br />

biro sepolta tra i cruciverba, e inforcò gli occhiali. Quindi tirò<br />

fuori da una tasca mimetizzata da qualche parte della tonaca<br />

un biglietto dell’autobus, lo posizionò per traverso sul margine<br />

esterno di una pagina, ben a portata di mano, e vergò sulla<br />

carta un ghirigoro per provare la penna.<br />

Effettuò diversi tentativi, ma l’inchiostro fluiva fino a un<br />

certo punto. Poi s’inceppava, e sembrava non volesse più saperne<br />

di continuare a sgorgare. Armata di pia pazienza, Suor<br />

Sofferenza interveniva ogni volta con puntiglio, umettando la<br />

punta con la lingua, come se dovesse ripulirla da chissà quale<br />

incrostazione, e alitandovi sopra, ma quell’accidenti di aggeggio,<br />

come l’anima di un posseduto, non rispondeva alle sane<br />

sollecitazioni, e quando dalla sfera della punta non trapassò sul<br />

foglio neppure una miserrima goccia d’inchiostro, le si rimpicciolirono<br />

gli occhi dalla collera, e Fabrizio pensò che doveva<br />

costarle parecchio trattenersi dallo scaraventarla a terra e distruggerla<br />

sotto i tacchi.<br />

Per questo sorrise. Ricordò allora di avere con sé la Mont<br />

Blanc infilata di lungo nella stessa tasca dell’assegno, e dopo<br />

l’ennesima tastata colma d’incredulità al suo nuovo e potentis-<br />

51


a c c o n t o<br />

simo talismano, la porse fiero impugnandola per il cappuccio<br />

alla vicina bisognosa, che l’accettò senza troppe cerimonie, increspando<br />

appena le labbra.<br />

Il settimanale allegato al quotidiano, più che un supplemento<br />

d’informazione, era un variegato raccoglitore pubblicitario,<br />

e a Fabrizio venne ben presto a noia.<br />

Come era possibile, si domandava in un tono stizzito misto<br />

a un candido stupore da fanciullino, confezionare un prodotto<br />

così schiettamente mediocre quando si poteva contare su risorse<br />

non certo risicate? Non riusciva proprio a spiegarselo.<br />

Fosse capitato in sorte a lui di occupare la poltrona del direttore,<br />

con pochi e mirati ritocchi, quel giornale lo avrebbe trasformato<br />

da cima a fondo fino a renderlo irriconoscibile, ci avrebbe<br />

messo la mano sul fuoco, e smodatamente assorbito da un’ebbra<br />

fantasticheria di potere, immaginando già di istruire e pontificare<br />

un consiglio d’amministrazione che accoglieva i suoi ragionamenti<br />

con il silenzio e il rispetto che si tributa a un profeta, non<br />

badò troppo al fatto che la via crucis del trenino si era intanto<br />

arricchita di una nuova fermata, e che dal momento in cui le porte<br />

si erano richiuse nel vagone si era immediatamente diffusa,<br />

come una macchia che si espande, una scia satura di elettricità. Il<br />

chiacchiericcio si era abbassato di tono, come se all’improvviso<br />

la maggior parte dei passeggeri avesse unanimemente deciso di<br />

applicare una sordina alla bocca, gli sguardi di molti guizzavano<br />

mobili e fugaci come quelli degli innamorati, e chi aveva i piedi<br />

allungati sul sedile di fronte, riguadagnava in un baleno un contegno<br />

e una posizione irreprensibili, come un adolescente che<br />

non vuole essere pescato a masturbarsi nel bagno e si rassetta<br />

frettolosamente i pantaloni.<br />

«Mi fa vedere vedere che giorno è oggi?», proruppe d’un<br />

tratto Suor Sofferenza, e senza prendersi la briga di aspettare<br />

la risposta, arpionò la rivista e quasi l’appiccicò agli occhi, impugnandola<br />

con entrambe le mani e sollevandola come uno<br />

stendardo o un simbolo sacro, in una posizione per cui, incollando<br />

il mento al petto, le fosse possibile raggiungere direttamente,<br />

scavalcando il filtro degli occhiali, l’informazione che<br />

l’interessava.<br />

Suor Sofferenza fu lesta come un bambino a rubare la cioccolata.<br />

Sistemò la rivista sulle ginocchia, vi spianò sopra il biglietto,<br />

e con la Mont Blanc di Fabrizio segnò lungo un margine<br />

la data e l’ora.<br />

Fabrizio rimase immobile, esterrefatto, e per un istante<br />

considerò seriamente l’ipotesi che nella testa di Suor Sofferenza<br />

non funzionasse tutto a dovere. Ruotò quindi il capo a<br />

monitorare il vagone, per verificare se per caso gli fosse sfuggito<br />

qualcosa, e quando finalmente individuò la causa di tante<br />

stranezze fu come ricevere un gancio dritto sul mento.<br />

«Porca puttana», mormorò debolmente, ma Suor Sofferenza<br />

dovette udirlo lo stesso, perché quando scostò i palmi dagli<br />

occhi come imposte dalle finestre, lei lo fissava con un’aria<br />

decisamente sdegnata.<br />

Cinque controllori, intanto, con tanto di berretto e cartellino<br />

appuntato alla giacca, si erano disposti all’interno del<br />

vagone come militari dentro un fortino.<br />

52<br />

In un altro momento, in circostanze simili, Fabrizio avrebbe<br />

probabilmente improvvisato una manfrina infinita, sperando di<br />

prendere il controllore per la stanchezza, come aveva peraltro<br />

già avuto modo di sperimentare in passato, ma quel giorno<br />

non poteva essere considerato alla stregua degli altri. Quel<br />

sabato rappresentava la promessa concreta della fine imminente<br />

del suo periodo di apprendistato, per cui sarebbe stato<br />

ridicolo, per non dire patetico, da parte sua, star lì a sbracciare<br />

e a sgolarsi per provare a risparmiare qualche soldo quando<br />

in tasca praticamente trasportava un piccolo tesoro. Oltre al<br />

fatto che non ci pensava neppure lontanamente a concedere a<br />

Suor Sofferenza la soddisfazione di mostrarsi sul punto di perdere<br />

il controllo, perché glielo leggeva chiaramente negli occhi<br />

sornioni che le avrebbe fatto piacere. Si trattava di spiccioli, in<br />

definitiva, ed anzi, a voler esser pignoli, era comunque meno di<br />

quanto gli avrebbero chiesto per far rimorchiare la macchina<br />

da un carro attrezzi.<br />

Accavallò quindi le gambe, lasciò scivolare le mani sulla stoffa<br />

dei pantaloni, resuscitò da una tasca il fazzoletto, e quando<br />

un controllore con una criniera fulva come quella di un leone<br />

lo pregò con una voce da baritono di esibire il «titolo di viaggio,<br />

per cortesia», Fabrizio gli porse direttamente i documenti,<br />

senza aggiungere una sola parola.<br />

Si augurò che tanto bastasse, che tanta franchezza valesse a<br />

evitargli qualsiasi tipo di frecciatina o di commento avvelenato,<br />

ma da questo punto di vista occorre precisare che Fabrizio<br />

senz’altro esagerava, perché il controllore non aveva alcuna<br />

voglia né interesse a tirarla per le lunghe. Presunti o reali che<br />

fossero, i tormenti intimi dei clienti non rientravano nell’ambito<br />

delle sue competenze, non era tenuto né ad ascoltarli né a<br />

valutarli, e né tanto meno a fare da aguzzino, per cui si limitò<br />

ad abbrancare con un’uncinata neutra la patente che pendeva<br />

floscia come una bandiera ammainata dalle dita di Fabrizio,<br />

verificò sommariamente, giusto per rispettare la prassi, che<br />

la faccia dell’utente castigato corrispondesse più o meno alla<br />

foto applicata sul documento, e passò meccanicamente a trascrivere<br />

i dati su un blocchetto spesso come un quadratino<br />

compatto di cioccolato fondente.<br />

Suor Sofferenza, intanto, aveva dato il via ai preparativi per<br />

la discesa.<br />

Infilò la Mont Blanc insieme alla Settimana Enigmistica nella<br />

busta del supermercato, si sollevò dal sedile con un «Ehhh»<br />

ancora più strascicato e gutturale del sospiro angustiato con<br />

cui si era seduta, e con il biglietto costantemente in vista, chiuso<br />

nel pugno come il calcio di un’arma, si trascinò caracollando<br />

fino all’asta di sostegno nei pressi di una porta. In conclusione<br />

del tragitto, però, quando il treno aveva cominciato a frenare,<br />

Suor Sofferenza aveva accusato il rinculo, si era portata troppo<br />

indietro con le spalle, ed era parsa sul punto di cadere,<br />

tanto che sia Fabrizio che il controllore indirizzarono allarmati<br />

lo sguardo verso la monaca, convinti entrambi che stesse<br />

ineluttabilmente per rovinare a terra. Ma Suor Sofferenza, per<br />

quanto paurosamente, oscillò soltanto. Si inarcò su un fianco,<br />

come una barca che rolla tra le onde, tanto che la busta arrivò<br />

a strusciare il rivestimento di gomma con cui era pavimentato


il vagone, e quando sembrava ormai che fosse spacciata, con<br />

una manata disperata abbrancò l’asta e tornò in equilibrio.<br />

«Meno male», mormorò il controllore, piegando verso Fabrizio<br />

la cartellina rigida su cui aveva compilato il verbale, e aggiungendo<br />

di seguito, indicando col dito un punto evidenziato<br />

con una X: «firmi qui».<br />

Fabrizio portò meccanicamente la mano alla tasca, e non<br />

tastando nient’altro che l’assegno, ricordò di aver gentilmente<br />

prestato la sua splendida Mont Blanc modello Mozart, a Suor<br />

Sofferenza che, dal canto suo, invece, non gliel’aveva più ridata.<br />

Si alzò quindi di scatto, come se gli corresse una lucertola<br />

lungo la schiena, e con un solo balzo raggiunse la suora. Le<br />

poggiò una mano sulla spalla – ma delicatamente, beninteso,<br />

sebbene non disdegnasse affatto l’idea di infliggerle una solenne<br />

scrollata -, e con una voce calma come le acque di un lago<br />

che non mancò di sorprendere lui per primo, le chiese che gli<br />

restituisse il maltolto.<br />

Ruotando macchinosamente sul busto, Suor Sofferenza si<br />

voltò, e guardò Fabrizio come<br />

se l’osservasse da una distanza siderale, o lo vedesse per la<br />

prima volta.<br />

Fabrizio considerò che forse la sua voce era stata in parte<br />

coperta dal fracasso del treno, o che magari quella fosse un<br />

po’ sorda, oltre che svampita, e riformulò la richiesta a un<br />

tono decisamente più alto, quasi stridulo, premurandosi di accompagnare<br />

le parole con gesti a suo avviso inequivocabili.<br />

«La mia penna», scandì Fabrizio, mimando con la destra<br />

l’atto di scrivere. «I cruciverba», proseguì, e ripeté daccapo<br />

lo stesso gesto, con l’unica variante di un appena percettibile<br />

– ma per lui evidentissimo – spostamento della mano, ora in<br />

orizzontale, ora in verticale.<br />

Suor Sofferenza arricciò le labbra e strinse gli occhi. Farfugliò<br />

qualcosa tra i denti, e quando le porte del vagone si<br />

spalancarono, mosse di riflesso un passo verso l’uscita. Continuava<br />

a scrutare Fabrizio come dall’alto di una torre, con un<br />

fastidio crescente, come se si trattasse di un estraneo molesto<br />

e importuno, finchè non cacciò d’un tratto la mano nel sacchetto<br />

e non ne estrasse la penna. La soppesò per un’ultima<br />

volta sul palmo, come se rimpiangesse di doversene separare,<br />

e non smettendo di bofonchiare, allungò il braccio come una<br />

regina che concede l’obolo a un mendicante. Quindi tornò a<br />

voltarsi, e senza mutare di una ruga la sua espressione di perenne<br />

corruccio, atterrò sulla banchina con l’imperizia di un<br />

paracadutista al primo lancio.<br />

Fabrizio era rimasto dritto e fermo al centro del vagone<br />

a sbollire la sua moderatissima rabbia. «Ma tu guarda….», si<br />

lamentava, e intanto fissava la Mont Blanc riacciuffata in extremis.<br />

«Almeno l’ho recuperata», sbuffò infine, abbandonando le<br />

braccia sui fianchi, e fece per voltarsi e riprendere posto, ma<br />

il controllore – se n’era già dimenticato -, con la cartellina del<br />

verbale ben tesa, gli si parò davanti sbarrandogli il passo.<br />

«Cose che capitano», commentò laconico, mentre Fabrizio<br />

cercava sul foglio il punto contrassegnato dalla X, a fianco del<br />

quale impresse uno svolazzo incomprensibile.<br />

r a c c o n t o<br />

I<br />

vagoni sfilavano, più che sfrecciare, su una lingua di pianura<br />

srotolata ai piedi di due collinette in pieno furore edilizio.<br />

Il sole ora lo stava letteralmente cuocendo. Fabrizio<br />

sentì il sudore colargli vischioso lungo la nuca, sulle tempie e<br />

intorno al collo, e appiccicò la rivista al finestrino in modo da<br />

ripararsi per lo meno gli occhi.<br />

Su entrambi i lati dei binari, in un’area in fin dei conti modesta<br />

per estensione, contò approssimativamente sei sette gru,<br />

intorno alle quali sbocciavano a grappoli aiuole di cemento<br />

profilate a casoni, villette e palazzacci: uno scempio da un punto<br />

di vista paesaggistico, su questo non nutriva il minimo dubbio,<br />

ma un’autentica manna che cadeva dal cielo per chi esercitava<br />

la sua professione. Bisognava anzi che non trascurasse<br />

di farsi un giro da quelle parti un giorno o l’altro, che magari<br />

qualcos’altro di buono sarebbe ancora riuscito a cavarne.<br />

La Vicini – Piccini se l’era bevuta come una coppa di cognac.<br />

L’aveva lusingata lasciandole credere che per disegnare il progetto<br />

gli fosse bastato seguire i suoi suggerimenti, si era sdilinquito<br />

a forza di complimenti e smancerie, e quando erano<br />

passati ad affrontare l’argomento tradizionalmente più intricato<br />

e spinoso di tutti, vale a dire l’importo da corrispondere<br />

per una parcella che potesse essere definita equa da entrambe<br />

le parti, non aveva praticamente battuto ciglio. Aveva riempito<br />

l’assegno per la cifra esatta che Fabrizio aveva avuto la sfacciataggine<br />

di avanzare, e gliel’aveva infilato tra le dita. Senza<br />

sollevare nessuna obiezione.<br />

«To’!», esclamò Fabrizio tra sé, dedicando alla signora Belli<br />

un sincerissimo gesto dell’ombrello, e sbirciando la scritta Tor<br />

di Valle al di là del finestrino. Calcolò che mancavano ormai<br />

soltanto tre fermate, e si sfregò le mani.<br />

In verità, una volta a Piramide, Fabrizio non aveva intenzione<br />

di riparare direttamente a casa, o meglio, a casa di Chiara,<br />

perché sapeva che lei non sarebbe tornata prima di sera, e<br />

mangiare da solo, cucinare e apparecchiare soltanto per sé, lo<br />

deprimeva in maniera atroce.<br />

Era meglio puntare prima dai suoi.<br />

Avrebbero pranzato con il sottofondo del telegiornale. Suo<br />

padre avrebbe più o meno apertamente insinuato che il problema<br />

alla macchina era in un modo o nell’altro riconducibile<br />

a qualche sua negligenza, perché a lui, che aveva sempre scrupolosamente<br />

curato la manutenzione, non era mai capitato di<br />

rimanere a piedi. La madre avrebbe silenziosamente trascinato<br />

una mano sul tavolo fino a stringere con una pressione lieve<br />

il braccio del marito, affinché non calcasse troppo la mano,<br />

e a lui, a Fabrizio, sarebbero risaliti gli spaghetti in gola per il<br />

nervoso.<br />

Ma d’ora in avanti scene del genere non si sarebbero più<br />

ripetute. Aveva gli argomenti giusti, finalmente, per mettere il<br />

vecchio al posto suo, e per impedire alla madre di assumere<br />

il tono rassegnato da Madonna Addolorata con cui accoglieva<br />

da una vita, mirando a spegnerli, o quanto meno a attenuarli,<br />

gli ardori attempati e accidiosi del coniuge.<br />

Oppure si sarebbe divertito un po’.<br />

Avrebbe lasciato che il padre attaccasse la solita solfa, che<br />

lo definisse «povero scalmanato», e che si sperticasse in ogni<br />

53


a c c o n t o<br />

sorta di paragoni tra la giovinezza magra e desolante che era<br />

toccata vivere a lui, e quella dorata e abbondante al confronto<br />

che aveva saputo offrire al figlio. Avrebbe girato intorno ad<br />

argomenti di questo tipo a mo’ di preambolo, per temporeggiare,<br />

e quando avrebbe ritenuto il campo arato a dovere e<br />

pronto a ricevere il seme, sarebbe piombato dall’alto come<br />

un angelo vendicatore e avrebbe calato l’asso: la «solidità economica».<br />

A questo punto, prima che proseguisse nell’arringa<br />

e l’accusasse di essere in tutto e per tutto un mantenuto, un<br />

peso che erano costretti a sobbarcarsi a turno «quella cara<br />

ragazza di Chiara» e loro, vale a dire i suoi genitori, che non<br />

erano presumibilmente eterni, nel momento preciso in cui<br />

avrebbe udito il padre pronunciare con la tracotanza delle<br />

grandi occasioni la parola «mantenuto», Fabrizio si vedeva distintamente<br />

scostare con un gesto studiato la sedia dal tavolo,<br />

allontanarsi come un attore consumato che esce di scena per<br />

chiamare l’applauso, recuperare l’assegno dalla giacca appesa<br />

all’ingresso, e spiattellarglielo spavaldo sul ghigno come una<br />

torta ricoperta di panna.<br />

Fu lo schiamazzo proveniente da un gruppetto di nuovi arrivati,<br />

quattro pischelli in canotta slabbrata e pantaloncini a<br />

lambire il ginocchio, che lo sottrasse di forza, con una certa<br />

violenza, alla dolcezza delle sue trionfalistiche premonizioni.<br />

Il treno scattò in avanti, e Fabrizio, con un occhio rivolto ai<br />

movimenti della combriccola, augurandosi che si tenessero a<br />

distanza, riposizionò la rivista sul finestrino.<br />

Desiderava non essere disturbato, e quando il più alto dei<br />

quattro, con un pallone da basket che gli brillava tra le mani<br />

come uno scettro e gli conferiva un’aura d’indiscussa autorità<br />

sugli altri si fiondò verso un quadrato di sedili liberi dall’altra<br />

parte del vagone, gliene fu sinceramente grato. Sbuffò di<br />

sollievo, a labbra socchiuse, ma non appena aveva cominciato<br />

ad assaporarlo, l’incanto solo pregustato di beata solitudine<br />

si infranse come una sottile lastra di cristallo sotto l’incedere<br />

pesante e sgraziato di due teste, una nero carboncino e l’altra<br />

bionda platinata, avvolte in una nuvola di chiacchiericcio<br />

fitto come un temporale. Si sedettero l’una di fronte all’altra:<br />

la bionda – in jeans a vita bassa e mogliettina attillata bianca<br />

– accanto a Fabrizio, e la mora – in tuta da ginnastica grigia e<br />

la pettinatura scarmigliata come un nido di rondine – in quello<br />

che fino a qualche minuto prima era stato il posto di Suor<br />

Sofferenza.<br />

Era la sportiva la più loquace.<br />

Fabrizio le osservò entrambe, e ne ricavò netta la sensazione<br />

che quel cicaleccio non si sarebbe smorzato in tempi<br />

brevi. Si guardò allora intorno, per verificare la disponibilità<br />

di un’alternativa, ma lungo il tragitto il numero dei passeggeri<br />

era andato costantemente aumentando, e dovunque avesse<br />

deciso di spostarsi, si sarebbe ritrovato nella medesima, incresciosa<br />

condizione di fiati e gomiti incrociati e ravvicinati, per<br />

cui accantonò rapidamente l’idea, inclinò la testa a toccare il<br />

finestrino, e chiuse placidamente gli occhi.<br />

Un’immagine di Chiara in versione intima, domestica, con<br />

gli occhialetti verdi invece che le lentine, e seria come in una<br />

fototessera per documenti, gli attraversò la mente. Si raffigu-<br />

54<br />

rò l’espressione d’incredulità che avrebbe assunto – labbra<br />

protese a circolo e ciglia svolazzanti – nel momento in cui le<br />

avrebbe mostrato l’assegno, e dovette forzarsi non poco per<br />

imbrigliare un sorrisino compiaciuto che prometteva di esplodergli<br />

in viso da un momento all’altro, e che chissà come sarebbe<br />

stato interpretato dalla sportiva scarmigliata, a cui non<br />

sarebbe in alcun modo potuto sfuggire.<br />

Che donna monumentale che era Chiara, sfaccettata come<br />

un corallo: disinvolta, allegra, spregiudicata, ma anche estremamente<br />

paziente, nonché pratica ed affidabile.<br />

Poteva considerarsi fortunato ad averla incontrata.<br />

Certo, quando la sera si allungava sul divano come una<br />

matrona su un canapè, occupandolo del tutto, se lo poteva<br />

scordare Fabrizio di volteggiarle intorno come una farfalla sulla<br />

corolla di un fiore. In questo Chiara era inamovibile: non<br />

rincasava per ascoltare lagne o rimostranze, soprattutto se<br />

invischiate in maniera più o meno diretta con asfissianti e appiccicose<br />

questioni di lavoro. Per la gran parte del giorno era<br />

assediata da colleghi arrivisti e litigiosi e capi pretenziosi che<br />

faceva fatica a tenere a bada, per cui quando la sera si chiudeva<br />

alle spalle il portone di casa, non prendeva minimamente<br />

in considerazione l’ipotesi che qualcuno potesse seguitare ad<br />

affliggerla con seccature del genere. Perciò, se per una semplice<br />

disattenzione o per recar sollievo a un’urgenza divenuta<br />

frattanto insostenibile, Fabrizio osava accennare soltanto alla<br />

signora Belli o a qualche altro prurito connesso con l’Agenzia,<br />

lo sguardo di Chiara diventava fosco e limaccioso come il<br />

fondo di un abisso, le guance le si imporporavano nonostante<br />

lo strato spesso di fondotinta, e il viso le si rattrappiva in una<br />

smorfia di sdegno che gli impediva di insistere e proseguire.<br />

Per il resto, però, per tutto il resto, non avrebbe saputo<br />

indicare in lei alcun altro difetto. Si concedeva senza riserve<br />

– e già questo, a ben vedere, potrebbe bastare, in quanto<br />

la generosità è una prerogativa ancor più rara della gemma<br />

più preziosa -, ma aveva soprattutto il merito – straordinario<br />

senz’ombra di dubbio – di non vantarsene mai, neppure quando<br />

avrebbe largamente potuto.<br />

La casa in cui vivevano apparteneva a lei, il bigliettone da<br />

cinquanta che Fabrizio aveva in tasca, spianato come una bandiera<br />

nel portafoglio, gliel’aveva lasciato lei la mattina sul frigorifero<br />

prima di andare via: la relativa tranquillità di cui godevano<br />

derivava quasi per intero dall’applicazione e dagli sforzi di<br />

Chiara, eppure Fabrizio non poteva menzionare nessun episodio<br />

in cui lei gliel’avesse, anche solo velatamente, rinfacciato.<br />

L’esatto contrario del padre, che invece prima lo esortava<br />

a allungare la mano e chiedere, con il pretesto che il genitore<br />

rimaneva pur sempre lui, e che fin quando avrebbe potuto<br />

aiutarlo, l’avrebbe fatto volentieri, ma che poi, una volta elargito<br />

il contributo, non appena ne scorgeva il pretesto, intonava<br />

salmi struggenti e strazianti che avrebbero lacerato i timpani<br />

di qualsiasi orecchio.<br />

La bionda platinata che gli si era seduta accanto odorava di<br />

shampoo e acqua di colonia. Ascoltava l’amica con un sopracciglio<br />

alzato e le dita intente a tormentare un anello con una<br />

pietra bruna grossa come un uovo.


Fabrizio rovesciò la testa all’indietro, e si massaggiò le tempie.<br />

Era fiducioso. Credeva che, alla fine, al prezzo di un’ulteriore<br />

manciata di fatica e restrizioni, si sarebbe aggiustato tutto e<br />

che ogni tassello sarebbe andato al posto giusto.<br />

Un giorno avrebbe avuto un ufficio di ben altro stile rispetto<br />

a quello della Belli – per un architetto lo stile è un requisito<br />

fondamentale, non una minuzia qualsiasi -, la sua firma in calce<br />

a un rotolino di disegni riga e squadra gli avrebbe finalmente<br />

consentito una vita decente, quella che in realtà meritava,<br />

e a Chiara avrebbe restituito tutto, fino all’ultimo centesimo,<br />

decuplicato con gli interessi. L’avrebbe sommersa di fiori e di<br />

regali, come in una bella storia a lieto fine; mentre per quanto<br />

riguardava suo padre...beh, che si rodesse pure il fegato dall’invidia.<br />

Udì allora le note di una fisarmonica che montavano come<br />

un’onda anomala dal fondo del vagone, e raddrizzò di colpo la<br />

testa, come se una zanzara l’avesse punto sulla nuca.<br />

I suoni provenivano da una coppia di suonatori composta<br />

da un gigante con le spalle cascanti, il naso rosso e le scarpe<br />

consumate sulle punte, tra le cui grinfie una chitarra elettrica<br />

dondolava docile come un fuscello di giunchi accarezzato dal<br />

vento, e un ragazzotto dal viso stretto e il mento appuntito,<br />

scuro di carnagione, con la camicia arrotolata ai gomiti, e i<br />

pantaloni tagliati al polpaccio.<br />

Suonavano probabilmente da quando dovevano essere guizzati<br />

dentro alla stazione precedente, ma Fabrizio, preoccupato<br />

com’era delle decisioni del gruppetto in tenuta da basket<br />

prima, e totalmente assorto nei suoi pensieri di gloria poi,<br />

non se n’era minimamente avveduto. O almeno non in maniera<br />

cosciente. Perché la musica invece, ora se ne rendeva<br />

nitidamente conto, si era fatta strada comunque, raggiungendo<br />

la sua magnifica cavalcata immaginaria e colorandola di un<br />

languore soffuso come la luce di un lampione isolato in una<br />

stradina di periferia.<br />

Si dispose quindi seriamente all’ascolto, con i gomiti sui ginocchi<br />

e il mento poggiato alle nocche intrecciate. Considerò<br />

per l’ennesima volta che quel sabato era un giorno baciato<br />

dalla grazia, che lo era stato sin dal momento in cui aveva<br />

messo i piedi fuori dal letto, e che continuava ad esserlo a dispetto<br />

dei singhiozzi in cui si era senilmente sciolto il motore,<br />

di Suor Sofferenza, e della multa affibbiatagli dai controllori.<br />

Nonostante tutto, si trattava pur sempre di eventi trascurabili,<br />

di temporanee macchie scure in un arco di luce, di problemucci<br />

di poco conto che poteva finalmente concedersi il gusto<br />

di liquidare con l’indifferenza spumeggiante di una semplice<br />

alzata di spalle.<br />

Che genere di danni potevano ormai derivargli dalla sostituzione<br />

di un motore o da una contravvenzione?<br />

Non si considerava certo un uomo arrivato, questo no, non<br />

ancora, ma non era più lo squilibrato che vacillava al primo<br />

scossone. Non più. D’ora in avanti Fabrizio Berti non si sarebbe<br />

angustiato per una piccolezza qualsiasi. Aveva una solidità<br />

nuova ora, uno spessore diverso che lo librava come un<br />

sovrano al di sopra delle comuni preoccupazioni. Il Fabrizio<br />

r a c c o n t o<br />

tremolante e arrabattone di un tempo non esisteva più, si era<br />

dileguato come un’ombra in un vicolo stretto, mentre una<br />

sconosciuta e meravigliosa sensazione di onnipotenza, maestosa<br />

come una cattedrale, si propagava fino all’ultima delle<br />

sue fibre con la rapidità e la virulenza di un’infezione letale. Il<br />

futuro gli avrebbe sicuramente teso trappole e trabocchetti<br />

d’ogni tipo, ma lui li avrebbe superati di slancio e con disinvoltura,<br />

ci avrebbe messo la mano sul fuoco.<br />

Questo era, nel fondo, il suo più intimo convincimento.<br />

A una persona caparbia e dotata come lui, pensava, la vita<br />

doveva per forza di cose, ad un certo punto, cominciare a sorridere.<br />

E Fabrizio avvertiva come un impulso prepotente e con<br />

il cuore colmo d’ottimismo che quel momento era finalmente<br />

arrivato anche per lui, che la magra poteva definitivamente<br />

considerarsi conclusa, e che nonostante la minaccia sempre<br />

insidiosa di qualche turbolenza di passaggio, non sarebbe più<br />

tornato indietro.<br />

Perciò, quando il giovane con la fisarmonica gli si chinò davanti<br />

con un bicchierone sformato e appiattito tra le mani, fu<br />

per Fabrizio del tutto spontaneo cavarsi di tasca il portafoglio,<br />

frugarvi dentro alla ricerca di qualche spicciolo, e non trovandone<br />

alcuno, neppure un centesimo, non volendo rappresentare<br />

un motivo di delusione per chicchessia, pizzicare con due<br />

dita il lembo sporgente dei 50 €, sfilarli con un elegante colpo<br />

di polso, secco come una frustata, e depositarli con l’indifferenza<br />

del mecenate nel fondo del bicchiere.<br />

Il ragazzo ritirò il braccio contenendo il gesto a fatica, lanciò<br />

un’occhiata trepidante al socio in affari, e temendo forse<br />

che il munifico benefattore potesse essere folgorato da un<br />

repentino ripensamento, si defilò in tutta fretta.<br />

La mora strabuzzò gli occhi come di fronte a un fenomeno<br />

soprannaturale, e non appena fu certa di non esser vista, rivolgendosi<br />

all’amica, si picchiettò con l’indice sulla tempia. Quindi<br />

riattaccò discorso in un tono da scampata a un’apocalisse che<br />

fece rabbrividire di sdegno Fabrizio, e lo costrinse a voltarsi<br />

verso il finestrino.<br />

Varcati i cancelli della stazione, non avendo ancora stabilito<br />

come raggiungere l’appartamento dei suoi, Fabrizio<br />

si fermò titubante sul marciapiede. Indossò la giacca<br />

con la cartella stretta tra le ginocchia, si batté sul petto in corrispondenza<br />

della tasca con l’assegno, e si guardò intorno con<br />

la serietà di un marinaio che scruta pensoso l’orizzonte.<br />

A pochi metri da lui, sul lato opposto della strada, accanto<br />

a un’aiuola con un pino al centro alto quanto un campanile,<br />

scorse l’area riservata al posteggio dei taxi, e dopo una sommaria<br />

occhiata di confronto con gli autobus accalcati come<br />

pachidermi arroventati lungo i capolinea, assicuratosi che non<br />

passasse nessuno, allungò il passo e attraversò. Si avvicinò a<br />

due macchine bianche, quasi identiche, allineate come sulla<br />

griglia di partenza di una corsa, con i conducenti in piedi nel<br />

mezzo come salsicciotti in un panino, l’uno di fronte all’altro e<br />

con le schiene poggiate agli sportelli.<br />

Fabrizio si rivolse al più anziano dei due, un uomo dai capelli<br />

grigi e ispidi che gli spiovevano sulla fronte à la Diabolik,<br />

55


a c c o n t o<br />

appuntiti e simmetrici come le ali di una freccia, la camicia<br />

incollata al ventre con i bottoni sul punto di scoppiare, e le<br />

guance rosse e rugose. Fece per chiedere a chi dei due spettasse<br />

il turno, ma quello l’interruppe prima che riuscisse a<br />

pronunciare la frase per intero, gli indicò l’altro con un gesto<br />

di stizza che sfociò in un grugnito – imputabile probabilmente<br />

alla chiusura forzata della conversazione -, e gli voltò le spalle.<br />

Il tassista capitato a Fabrizio, invece, aveva spalle e bicipiti<br />

balestrati, gambe in rapporto al torace troppo corte e striminzite,<br />

e un testone tondo come un cerchio di Giotto. Avviò<br />

il motore, e prima di partire, dopo aver domandato a Fabrizio<br />

dove dovesse dirigersi, accese la radio, regolò il volume, inforcò<br />

gli occhiali da sole a goccia con le lenti verdi, e allungando<br />

il collo come un tacchino si rimirò compiaciuto nello specchietto<br />

retrovisore.<br />

In macchina Fabrizio non spiccicò parola. Si sistemò regalmente<br />

sul sedile come su un trono, allentò di un bottone la<br />

morsa della camicia sul collo, e vi passò tutt’intorno il fazzoletto.<br />

Il tassista lo spiava rapsodicamente dallo specchietto, e al<br />

riparo di un ghigno tra il sardonico e il beffardo e che, a dire la<br />

verità, mal si combinava con quella massa fulgente di muscoli,<br />

conferendogli un’aria piuttosto idiota, malediva impudicamente<br />

il nuovo cliente, ingiuriandolo tra sé a non finire per il sudore<br />

che doveva spalmare sul coprisedile nuovo di zecca.<br />

Il traffico era rado e scorrevole come può esserlo soltanto<br />

in un fine di settimana infuocato a cavallo dell’ora di pranzo, e<br />

in una ventina di minuti scarsi, prima cioè di quanto Fabrizio<br />

stesso avesse preventivato, raggiunsero il Quartiere Africano.<br />

Giunti che furono davanti al portone, Fabrizio fece segno al<br />

tassista di accostare. Domandò con un certo sussiego il prezzo<br />

della corsa, e quando ormai era già fuori dalla macchina<br />

con una gamba e con le dita a tenaglia sul portafoglio, in quel<br />

preciso istante realizzò di non avere più in tasca il becco di un<br />

centesimo, e impallidì.<br />

Il tassista ebbe un vago sentore che qualcosa di spiacevole<br />

stava per realizzarsi, e aggrottò la fronte in un’espressione<br />

che era insieme d’allerta e di massima concentrazione. Fabrizio<br />

pensò dapprima di cavarsela con la tessera del bancomat,<br />

ma prevedendo che la macchinetta l’avrebbe impietosamente<br />

sbugiardato, e che quindi non avrebbe risolto nulla in quel<br />

modo, accantonò il proposito con altrettanta rapidità con cui<br />

gli era venuto in mente. Pregò allora l’autista di pazientare<br />

ancora qualche minuto, scattò fuori dalla macchina come la<br />

molla di una trappola per topi, e incollò il dito al bottone del<br />

citofono.<br />

Per quanto si desse la pena di scampanellare, dall’altro capo<br />

del filo non rispondeva nessuno.<br />

Le due uniche persone, infatti, in grado di intervenire con<br />

una certa efficacia in un frangente sciagurato come quello in<br />

cui Fabrizio si era malauguratamente andato a invischiare, erano<br />

contemporaneamente occupate in altro, e non potevano<br />

prestare il soccorso sperato: il padre ronfava beatamente in<br />

poltrona davanti al televisore con un volume così alto che<br />

avrebbe attutito, se non coperto del tutto, il boato di una can-<br />

56<br />

nonata; mentre la madre sorbiva piacevolmente un caffè con<br />

la vicina del piano di sotto.<br />

Fabrizio si girò verso il tassista, che intanto aspettava a braccia<br />

conserte, massiccio e rigido come un totem, sul marciapiede,<br />

e piegò le labbra in una smorfia che se nelle sue intenzioni<br />

doveva trasudare pura rassicurazione, comunicava invece una<br />

smaccante e progressiva perdita di controllo.<br />

Si riattaccò allora nuovamente al citofono. Schiacciò sul tasto<br />

con insistenza, tese l’orecchio, e aspettò una risposta con<br />

il fiato sospeso.<br />

Il tassista sbuffava come un toro prima della carica. Gli ribolliva<br />

il sangue al solo pensiero di poter essere stato preso<br />

in giro, o di aver fatto la corsa a vuoto, per niente. Circolavano<br />

di tanto in tanto tra colleghi aneddoti e storielline su clienti<br />

stravaganti, ma a quei racconti aveva sempre obiettato che se<br />

qualcosa di strambo fosse successa a lui, al malcapitato l’eccentricità<br />

avrebbe saputo bene dove infilargliela.<br />

Si sfregò quindi le mani, e avanzò deciso in direzione del<br />

portone.<br />

Da parte sua, Fabrizio aveva portato un palmo alla fronte,<br />

e con il capo chino e gli occhi chiusi, come un santo, meditava<br />

intensamente sulle possibilità che gli rimanevano di sbrogliare<br />

diplomaticamente la matassa. Si intimava di non perdere la<br />

testa. Si ripeteva che in fondo non stava accadendo niente d’irreparabile,<br />

che mantenendo la calma e soffocando sul nascere,<br />

al primo vagito, ogni fosco presentimento, una soluzione la si<br />

sarebbe trovata senz’altro, e per darsi coraggio, o anche soltanto<br />

perché avvertiva un leggero pizzicore sul petto, strinse<br />

la giacca sulla tasca dell’assegno.<br />

Rinfrancato e sicuro di traghettare alla fine il tassista alla sua<br />

sponda, abbandonò allora la posa da eroe romantico davanti<br />

all’infuriare degli elementi, allargò le braccia come se si preparasse<br />

ad accogliere un amico, e si schiarì la voce. Avrebbe voluto<br />

esordire con una frase propositiva e ragionevole, del tipo:<br />

“è colpa mia, ma non si preoccupi che avrà quanto le devo”,<br />

ma non ne ebbe modo. Imprecando, il tassista sopraggiunse<br />

impetuoso come un treno in corsa, affondò il suo geometrico<br />

testone nel petto gracilino di Fabrizio, spedendolo gambe all’aria<br />

sul marciapiede, come un pacco di giornali lanciato da un<br />

furgone, e prima che avesse il tempo di rimettersi in piedi e<br />

abbozzare un sia pur timido tentativo di reazione, fu investito<br />

da una nuova scarica di colpi.<br />

Quando ne ebbe abbastanza, dopo un ultimo calcetto e uno<br />

sputo d’umiliazione, il tassista si rassettò la maglietta sui muscoli,<br />

e si allontanò. Sempre imprecando, ma soddisfatto.<br />

Fabrizio pensò che, tutto sommato, al punto in cui si erano<br />

spinte le cose, sarebbe potuto andargli anche peggio.


Agrituristica del Vulture<br />

Soc. Coop. a r. l.<br />

Località Piano della Spina - 85020 Ripacandida (PZ)<br />

Telefono e fax 0971 808757<br />

r a c c o n t o<br />

57


a c c o n t o<br />

58


SudPosizioni<br />

Sono qui ad Ischia, nella mia amata<br />

isola, mentre attrezzo il ragionamento,<br />

organizzo la scaletta<br />

ed inizio a scrivere questo articolo per<br />

“Decanter” sul quesito posto da Piero<br />

Di Siena sulla persistenza o meno di una<br />

“questione meridionale” nella fase storica<br />

attuale. Si tratta di una fase, a mio<br />

modo di vedere, che è già oltre l’epoca<br />

post-fordista dell’economia immateriale<br />

della conoscenza, maturata alla fine degli<br />

anni ’80 in combinazione con la caduta<br />

del muro di Berlino, e che, nel corso degli<br />

anni ’90 e fino ai nostri giorni, vede<br />

emergere ed affermarsi la nuova economia<br />

materiale imperniata sugli sviluppi<br />

delle rivoluzionarie innovazioni biotecnologiche<br />

e nanotecnologiche. Due<br />

economie che richiedono una saldatura,<br />

che per realizzarsi ha bisogno di uomini,<br />

quindi di una nuova classe dirigente, e<br />

di mezzi, quindi una nuova “saldatrice”<br />

(gli strumenti della BioEconomia?) per<br />

la loro fusione.<br />

E qui ad Ischia mi trovo immerso nel<br />

mezzo di due diversi e dolorosi eventi<br />

che ragguagliano abbastanza bene alcune<br />

Esiste ancora una questione meridionale?<br />

Mezzogiorno e Mediterraneo<br />

di fronte alle sfide<br />

della nuova “economia materiale”<br />

dinamiche territoriali che hanno caratterizzato<br />

nell’ultimo quindicennio l’intero<br />

Mezzogiorno. Questi eventi e la fase<br />

storica che stiamo attraversando esigono<br />

ambedue un nuovo modo di pensare ed<br />

interpretare il Mezzogiorno, che risulta<br />

forse agevolato, nell’analizzare la realtà,<br />

quando si dispone di un osservatorio<br />

peculiare com’è quello fornito dal contesto<br />

lucano, cuore (o osso, parafrasando<br />

Manlio Rossi-Doria) del Mediterraneo<br />

interno dei Mezzogiorni d’Europa.<br />

Il primo dei funesti e luttuosi eventi a<br />

cui mi sono riferito è costituito dalla frana<br />

del mese scorso. Sebbene nel suo esito<br />

sia stato ben coadiuvata e supportata da<br />

una scellerato abusivismo edilizio, opportunamente<br />

condonato, esso trova nel<br />

dissesto idrogeologico il suo effetto ma<br />

non la sua causa. Quest’ultima va invece<br />

rintracciata in quella rottura dell’equilibrio<br />

territorio-produzione, sempre meridionalistico<br />

che ad essa si collega, e sempre<br />

meno sulle categorie tuttora egemoni<br />

dell’Economia Standard (parafrasando<br />

Georgescu-Roegen) e delle politiche<br />

economiche che da queste derivano.<br />

SERGIO VELLANTE<br />

Ripensare il meridione a partire dalla dimensione locale. Io ricomincio da Ischia, la mia amata<br />

isola, dalla terribile frana che l’ha colpita e dal sorgere di un centro di documentazione sulla<br />

sua cultura. I paradigmi di un nuovo meridionalismo dopo l’esaurimento della società<br />

fondata sull’”economia immateriale della conoscenza”<br />

La frana ha portato a compimento un<br />

ciclo di devastazione di quei bellissimi<br />

paesaggi collinari, descritti magistralmente<br />

da Emilio Sereni e noti con la denominazione<br />

di “giardini Mediterranei”.<br />

Parlo dei terrazzamenti, contenuti nella<br />

loro forma scalare dai ciglioni o dai muri<br />

a secco (le parracine ischitane) ed ospitanti<br />

quell’agricoltura promiscua fatta di<br />

vite, olivo, agrumi, ortaggi e zootecnia<br />

di bassa (conigli da fossa e ruspanti ad<br />

es.) e media corte.<br />

Si tratta ancora una volta di una frana<br />

causata da un incompatibile meccanismo<br />

di gestione produttiva ed ambientale<br />

del territorio le cui culture di efficienza<br />

tecnica non sono dissimili da quelle<br />

socio-economiche e storico-istituzionali<br />

della competitività, egemoni nell’attuale<br />

società dei saperi. Così, di nuovo, nel<br />

Mezzogiorno la distruzione paesaggistica<br />

è accompagnata da una grave perdita di<br />

vite umane, vittime di quella mano invisibile<br />

che permette alle popolazioni locali<br />

di restare sull’isola e di operare nel turismo,<br />

solo e soltanto se esse si omologano<br />

ad un preciso modello di consumo.<br />

59


s u d p o s i z i o n i<br />

Quello che richiede un’offerta tesa a<br />

sacrificare le potenzialità, le bellezze e<br />

le diversità biologiche, socio-antropologiche<br />

e storico-culturali delle risorse<br />

endogene.<br />

In questo quadro, teso a favorire la<br />

semplice crescita economica e non lo<br />

sviluppo, si creano – analogamente a<br />

molti processi d’industrializzazione del<br />

Mezzogiorno - dei sistemi turistici chiusi<br />

ed avulsi dal territorio d’insediamento.<br />

La naturalità del mare e del giardino<br />

mediterraneo e l’ospitalità connessa<br />

alle culture maturate nella storia isolana<br />

vengono surrogate da piscine, da giardini<br />

artificiali e da una preconfezionata e<br />

quasi ideologizzata organizzazione dello<br />

svago. Tende a proporre modelli di benessere<br />

senza felicità, sostenuti – come<br />

osserva Serge Latouche – dal consumo<br />

di antidepressivi, dalla consultazione perenne<br />

di psichiatri e dall’acquisto permanente<br />

di oggetti tanto inutili quanto cari.<br />

Ed all’opposto, in tali sistemi turistici,<br />

assumono un ruolo sempre più marginale<br />

ed in via di esaurimento il godimento<br />

delle bellezze marine e di quei sentieri<br />

di benessere ambientale ed alimentare<br />

tracciati dal continuum dei giardini mediterranei<br />

in via di disfacimento.<br />

Si è trattato di una frana che sostanzialmente<br />

si sarebbe potuta evitare, e la<br />

cosa fa rabbia, per la presenza di tecnologie<br />

innovative (mix di monorotaie e<br />

muli) che, predisposte essenzialmente<br />

dall’evolversi della cultura tecnologica<br />

locale e adottate con successo e compatibilità<br />

in altre località d’Ischia, non rientrano<br />

in quell’idea di crescita ancorata ai<br />

soli criteri di espansione delle economie<br />

di scala e della produttività per competere<br />

negli scenari della globalizzazione.<br />

Sono, del resto, tecnologie che non rientrano<br />

nei canoni di elaborazione teorica<br />

ed empirica del sistema cognitivo ufficialmente<br />

riconosciuto ed adeguato all’uso<br />

di competenze esogene. Il nostro<br />

sistema cognitivo (prevalentemente ricercatori<br />

e docenti universitari e non),<br />

quando è chiamato a dare risposte a tali<br />

60<br />

sciagure si muove – forse inconsapevolmente<br />

e in perfetta buona fede rispetto<br />

a non neutrali e non oggettivi canoni<br />

scientifici, ma purtroppo considerati tali<br />

- per ritornare allo stato di partenza e<br />

non per ripristinare l’equilibrio territorio–produzione.<br />

Fiumi di spesa vengono<br />

così dirottati verso la rigenerazione di<br />

quello stato di squilibrio foriero di nuove<br />

frane e di sempre nuovi e rinnovati appetiti<br />

della criminalità organizzata.<br />

Chi se l’aspettava che la risposta di<br />

Sraffa (Produzione di merci a mezzo di<br />

merci), data ad un quesito non ancora<br />

pienamente risolto di teoria<br />

economica, potesse invece<br />

risultare esaustivo nell’interpretare<br />

tali eventi. La<br />

produzione di frane a mezzo<br />

di frane, la produzione<br />

di rifiuti a mezzo rifiuti e<br />

la quasi implicita produzione<br />

di camorra a mezzo<br />

camorra sono oramai il<br />

dato incontrovertibile di una peculiare<br />

crescita economica (non sviluppo) che<br />

coinvolge più del 35% dei territori meridionali.<br />

Una tale crescita, tuttavia, viene<br />

promossa e per molti aspetti alimentata<br />

da politiche di spesa tese ad incentivare<br />

strutture produttive e nuove forme del<br />

lavoro che, sebbene permeate entrambe<br />

dalla modernità degli strumenti messi a<br />

disposizione dall’economia della conoscenza,<br />

non sono in grado di saldarsi con<br />

i nuovi dettami dell’economia materiale<br />

generando cosi quegli squilibri che sono<br />

sotto i nostri occhi.<br />

Questa frana è destinata ad accrescere<br />

le tessere di un mosaico tipicamente<br />

meridionale 1 che evidenziano una sostanziale<br />

uniformità delle lacerazioni<br />

geopedologiche inferte al territorio, sia<br />

pure in un quadro di difformità dei paesaggi<br />

e delle strutture socio-economiche<br />

ed antropologiche colpite dagli eventi.<br />

In altri termini, cambia la composizione<br />

organica (ancora utile il linguaggio<br />

tardo marxista?) del rapporto territorioproduzione<br />

con la rottura del proprio<br />

«Fiumi di spesa<br />

vengono dirottati<br />

verso la rigenerazione<br />

di uno stato<br />

di squilibrio<br />

foriero di nuove<br />

frane»<br />

S


S<br />

equilibrio interno. Ad ulteriore dimostrazione<br />

di ciò ci sono le precedenti<br />

frane di Sarno, di Atripalda in Irpinia,<br />

di Senise, tanto per fare alcuni esempi.<br />

A Sarno, come ad Ischia, è stato colpito<br />

un paesaggio collinare non più strutturalmente<br />

integrato con la pianura, che ha<br />

subito danni economici ed in vite umane<br />

in un’area erroneamente considerata un<br />

distretto agroalimentare. Si tratta di un<br />

contesto economicamente non povero e<br />

densamente popolato che per certi aspetti<br />

è naturalmente indotto a contrastare<br />

lo squilibrio di cui parliamo. Cosa che<br />

viceversa non è rinvenibile nelle aree interne,<br />

come in Irpinia ed a Senise, dove<br />

i processi di desertificazione e marginalizzazione<br />

socioeconomica, conseguenti<br />

alla rottura dell’equilibrio, vengono<br />

quasi sempre accompagnati dall’idea (o<br />

ideologia) della scarsa suscettività economica<br />

dei luoghi. Per questo motivo al<br />

di là d’interventi di riparazione, come<br />

nel caso dell’autostrada Napoli-Bari ad<br />

Atripalda e del sistema idraulico-forestale<br />

di Senise, non si attrezzano né una<br />

seria progettualità scientifica e né tantomeno<br />

delle politiche adeguate per il recupero<br />

allo sviluppo di tali contesti.<br />

Il secondo evento ischitano che è riferibile<br />

alle tematiche trattate in questo<br />

articolo è la nascita ad un anno dalla<br />

scomparsa di Corrado D’Ambra, dell’Archivio<br />

a lui intitolato, centro di documentazione<br />

della cultura ischitana. Si<br />

tratta di una raccolta di atti e documenti<br />

riguardanti un’azienda-famiglia la cui<br />

vicenda si snoda sull’isola tra la fine degli<br />

anni ’80 e l’intero ultimo decennio<br />

del secolo scorso. Siamo di fronte ad un<br />

caso di successo imprenditoriale dovuto<br />

al rientro nel tanto, attualmente, ostracizzato<br />

nanismo aziendale, utilizzando il<br />

genius loci di Ischia, a caratterizzazione<br />

mediterranea, come leva per il rilancio<br />

economico della vitivinicoltura dell’isola.<br />

Un rilancio difficile che, non ostacolato<br />

e tanto meno incentivato dalla mano<br />

pubblica, ha fatto corrispondere ad un<br />

drastico ridimensionamento della scala<br />

aziendale della produzione del vino, un<br />

recupero e un allargamento della base<br />

produttiva viticola dell’isola, esclusa<br />

dalla precedente fase di internazionalizzazione<br />

dell’azienda. Ritorno al nanismo<br />

ed allargamento della base produttiva<br />

hanno permesso alle diversità biologiche<br />

e culturali del contesto di svolgere<br />

un ruolo sempre più determinante sulla<br />

qualità finale del prodotto. La scelta<br />

della qualità sottrae alla concorrenza tali<br />

prodotti e permette attraverso il rapido<br />

esaurimento delle scorte di realizzare<br />

sul mercato glocale dei margini più che<br />

remunerativi rispetto alla media, salvaguardando<br />

l’equilibrio territorio produzione.<br />

Questi due eventi ischitani sono una<br />

sorta di ossimoro (tanto per usare una<br />

parola di moda nel dibattito politico di<br />

questi giorni) che rendono evidente che<br />

oggi il Mezzogiorno si presenta sulla<br />

scena mondiale con delle potenzialità di<br />

rilevante importanza e specificità e con<br />

altrettante debolezze. La prima potenzialità<br />

è la sua collocazione geografica tra<br />

il 35° e 42° parallelo al nord del mondo<br />

con una posizione di centralità nel Mediterraneo.<br />

La seconda un retroterra storico<br />

ed istituzionale che, partendo dalla<br />

compiuta unificazione democratica con<br />

il resto del Paese nell’epoca fordista, gli<br />

permette di avere tutte le carte in regola<br />

per accettare la sfida ed essere capofila<br />

della creazione di un nodo Euromediterraneo<br />

di pari dignità e peso con gli altri<br />

nodi della rete globale. La debolezza invece<br />

sta in una inadeguatezza della classe<br />

dirigente che permea la moderna interazione<br />

tra sistema scientifico e tecnologico,<br />

sistema delle imprese e sistema<br />

socio-istituzionale. Tale inadeguatezza<br />

risiede sostanzialmente in una parziale<br />

conoscenza delle trasformazioni odierne,<br />

in un atto di fede nelle competenze<br />

esplicite, formalizzate altrove e ritenute<br />

risolutive, e nell’assenza di uno sforzo<br />

teso a conciliare le potenzialità delle risorse<br />

endogene in sentieri evolutivi con<br />

esse compatibili.<br />

s u d p o s i z i o n i<br />

Mezzogiorno<br />

e Mediterraneo<br />

di fronte alle sfide<br />

della nuova<br />

“economia<br />

materiale”<br />

Esiste ancora<br />

una questione<br />

meridionale?<br />

61


s u d p o s i z i o n i<br />

Ciò accresce la convinzione che non è<br />

possibile pensare, studiare ed interpretare<br />

il Mezzogiorno con la strumentazione<br />

analitica afferibile alla sola “economia<br />

della conoscenza”. C’è, in realtà, sempre<br />

più bisogno di una sua reale integrazione<br />

con le strumentazioni analitiche della<br />

nuova economia materiale (in sintesi<br />

capitale umano e biocapitale) e le conseguenti<br />

interpretazioni maturate nella<br />

storia tecnologica, economica, sociale<br />

ed istituzionale dei territori. Una piena<br />

consapevolezza di ciò in realtà non si<br />

avverte neanche nell’ampio, e talvolta<br />

polemico, dibattito che si sta sviluppando<br />

oggi sul Mezzogiorno. Si ha la netta<br />

sensazione di ciò, quando si affrontano<br />

le idee di sviluppo e tecnologia. Lo<br />

sviluppo viene quasi da tutti correlato<br />

alla crescita produttiva, all’espansione<br />

occupazionale ed agli aumenti di reddito<br />

tralasciando i legami con l’ambiente,<br />

il territorio, la storia, la società e le<br />

istituzioni. E la tecnologia - intesa pure<br />

modernamente come fusione tra macchinari,<br />

capitale umano, regole organizzative<br />

ed informazione – viene legata al<br />

62<br />

solo paradigma meccanicistico negando<br />

l’esistenza di quello approccio olistico<br />

od organicistico insito all’equilibrio territorio-produzione.<br />

Questa forma di riduttivismo oramai<br />

pervade la cultura meridionalistica dei<br />

giorni nostri tanto sul versante analitico<br />

quanto su quello propositivo. Tale<br />

riduttivismo, semplificando al massimo,<br />

attanaglia sia il pensiero meridiano<br />

espresso da Franco Cassano (anche nella<br />

più recente versione proposta in Homo<br />

Civicus) e da Piero Bevilacqua che quello<br />

antimeridiano che trova le sue più<br />

alte espressioni in Giuseppe Galasso ed<br />

Aurelio Musi. Ma esso permea anche<br />

alcuni recenti contributi sulle politiche<br />

di sviluppo del Mezzogiorno elaborati<br />

da Gianfranco Viesti, Nicola Rossi e<br />

Fabrizio Barca. Le proposte di abolire o<br />

di capovolgere o di non frenare il Mezzogiorno<br />

rischiano di concretizzarsi abolendo<br />

l’equilibrio territorio-produzione,<br />

capovolgendo la programmazione dal<br />

basso e non frenando gli sciami di cavallette<br />

portatrici di devastanti culture esogene.<br />

Dettaglierò e argomenterò queste<br />

S<br />

critiche in una prossima occasione! Ritorno<br />

nella mia Isola per chiedere: come<br />

va arginata la frana? Come sosterremo<br />

il nanismo di quelle imprese adeguando<br />

il nostro modo di fare ricerca e formazione?<br />

Come ricuseremo quella idea di<br />

turismo devastante e penalizzante per la<br />

cultura locale? Come renderemo partecipe<br />

della ricostruzione le soggettualità<br />

locali interagenti con i saperi generali?<br />

La risposta: iniziamo a discutere da una<br />

piccola realtà del Mediterraneo di una<br />

questione euromeridionale, facendoci<br />

supportare, caro Piero Di Siena, da quel<br />

“gusto minuto per le piccole cose”, di<br />

togliattiana memoria, a cui la nostra generazione<br />

è stata educata.<br />

Note<br />

1 Il tipicamente meridionale si riferisce al fatto<br />

che i territori ricadono in una precisa area geografica<br />

e che l’evoluzione del rapporto uomo natura<br />

oltre a risentire di questa specificità ambientale e<br />

stato fortemente segnato dal processo migratorio<br />

avutosi nel corso degli anni ‘50/60. Perciò nel<br />

Mezzogiorno la rottura dell’equilibrio territorio<br />

produzione, che oramai è un fatto planetario ( si<br />

pensi a New Orleans ed alle Alpi), assume una<br />

propria tipicità.


editoriale segue dalla prima<br />

far fronte alle spese di consumo (28,5%<br />

pari ad un 2% in più rispetto alla media<br />

meridionale): se a questo aggiungiamo<br />

un calo dell’occupazione che ci consegna<br />

seimila unità lavorative in meno nell’industria<br />

nell’ultimo biennio, il quadro è<br />

più che allarmante. Si tratta, in definitiva,<br />

di una regione nella quale la gestione del<br />

quotidiano è diventata difficilissima.<br />

Fatta la tara delle difficoltà generali<br />

dell’economia nazionale, della pesante<br />

congiuntura che ha determinato saldi<br />

negativi sulle esportazione, rimane una<br />

specifica negatività della economia regionale<br />

che ci costringe ad una riflessione<br />

strategica e che implica anche una riflessione<br />

politica sul modello di sviluppo,<br />

e sullo stesso concetto di sviluppo, che,<br />

per la verità, già si rendeva necessaria<br />

a partire dalla lettura della prima parte<br />

del D.S.R. di qualche mese fa. La cosa<br />

preoccupante, su cui bisogna riflettere, è<br />

che con un quadro mondiale e nazionale<br />

che mostra i primi segni di ripresa è<br />

fondamentale cogliere gli elementi di positività,<br />

agganciarsi alla ripresa operando<br />

le necessarie scelte per evitare di essere<br />

tagliati fuori rischiando così di incrementare<br />

il già notevole gap con le regioni economicamente<br />

forti. In un quadro generale<br />

estremamente complesso, in una regione<br />

che sfugge a classificazioni tradizionali è<br />

necessario un colpo d’ala che riconduca<br />

la realtà Economica ai processi di globalizzazione<br />

( e da cui dipendono in buona<br />

parte i problemi di crisi economica che<br />

ci riguardano) recuperando un approccio<br />

teorico innovativo al problema dello<br />

sviluppo riproponendo, per esempio, alla<br />

maniera di Amartya Sen , la centralità del<br />

fattore umano, inteso come centro nevralgico<br />

di tutti i sistemi politico-economici.<br />

Il riconoscimento di questo elemento<br />

e la sua assunzione come indicatore<br />

economico importante obbliga a riconsiderare<br />

i processi economici nella loro<br />

interezza e, conseguentemente, induce a<br />

riconoscere i limiti degli approcci tradizionali<br />

(keynesiani, neoclassici), i quali<br />

mostrano tutta la loro insufficienza nell’<br />

interpretazione di fenomeni complessi<br />

come la globalizzazione. Sen propone un<br />

modello esplicativo incentrato sul fattore<br />

umano e, a partire da questa griglia analitica,<br />

riesce a sviluppare una riflessione<br />

molto ricca e capace di accogliere al suo<br />

interno aspetti tradizionalmente trascurati<br />

dalla scienza economica operando la trasformazione<br />

dell’ economia, da «scienza<br />

descrittiva» in «scienza normativa», che<br />

cerca di spiegare anche come dovrebbero<br />

essere regolati i fenomeni economici, che<br />

poi mi pare il limite principale della programmazione<br />

regionale.<br />

Questa griglia può essere utile anche<br />

per leggere la Basilicata perché ci permette<br />

di orientare le future politiche di sviluppo<br />

che necessitano di un valore aggiunto<br />

sul piano del capitale umano (lavoratori<br />

ed imprenditori in prima battuta), e devono<br />

guardare con ottica nuova a settori<br />

di economia locale da potenziare come<br />

l’agricoltura, il turismo, i beni culturali<br />

che sono meno soggetti alle crisi congiunturali<br />

e che possono rappresentare lo<br />

specifico della economia regionale su cui<br />

poi innescare tutti gli altri elementi, dagli<br />

insediamenti industriali modello SATA<br />

alla politica energetica (per in inciso, su<br />

cui bisogna fare delle scelte prima o poi o<br />

le faranno altri per noi).<br />

Infine trovandosi la Basilicata ai limiti<br />

della classificazione, per la redistribuzione<br />

dei fondi strutturali, tra le regioni<br />

“della convergenza” e regioni “competitive”<br />

con l’indice al 74,9 % sulla media<br />

europea (dati eurostat riferiti al 2003) ci<br />

troveremo tagliati fuori da una serie di<br />

finanziamenti europei con una situazione<br />

di stagnazione economica.<br />

Come dire dopo il danno la beffa.<br />

Direzione<br />

Antonio Califano<br />

Anna Maria Riviello<br />

laboratorio della sinistra lucana<br />

Redazione<br />

Simone Calice, Fabrizio Caputo, Paolo Fanti,<br />

Eustachio Nicoletti, Gianni Palumbo, Camilla Schiavo<br />

Progetto grafico e Art direction<br />

Palmarosa Fuccella<br />

Hanno collaborato a questo numero<br />

Antonio Amendolara, Esperto di cinema<br />

Rino Cardone, Giornalista Rai<br />

Giuseppe Cillis, Segretario Regionale Fiom<br />

Francesco Cellini, Direttore Scientifico Agrobios<br />

Lidia Consiglio, Dottore Forestale<br />

Vincenzo Di Siena, Architetto<br />

Faber Fabbris, Ingegnere<br />

Giuseppe Lombardi, Scrittore<br />

Maria Pia Giuffrida, Provveditore dell’ Amministrazione<br />

Penitenziaria della Basilicata<br />

Sonia Mastropietro, Dottore Forestale<br />

Domenico Petrocelli, Pittore<br />

Graziano Antonio Pizzichillo, Dottore Forestale<br />

Antonio Sanfrancesco, Sociologo<br />

Giancarlo Tramutoli, Poeta<br />

Gervasio Ungolo, Assessore Ambiente Comune Palazzo<br />

San Gervasio<br />

Sergio Vellante, Docente Università degli Studi della<br />

Basilicata<br />

Per abbonarsi a Decanter:<br />

rivolgersi a CALICE EDITORI<br />

via Taranto 20 - Rionero in Vulture (Pz)<br />

Tel/fax 0972 721126 > e-mail: caliceeditore@virgilio.it<br />

Garanzie di riservatezza per gli abbonati<br />

L’editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti<br />

dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente<br />

la rettifica o la cancellazione scrivendo a Calice Editori.<br />

e-mail: caliceeditore@virgilio.it<br />

DECANTER<br />

anno III numero 2 - <strong>giugno</strong> <strong>2006</strong><br />

Edito da Calice Editori<br />

Aut. Trib. Melfi n. 2/2004<br />

Direttore Responsabile, Giuseppe Rolli<br />

Direttore Editoriale, Piero Di Siena<br />

Rivista trimestrale<br />

Abbonamento sostenitore<br />

e estero: € 50.00<br />

Abbonamento annuo: € 15.00<br />

c.c. postale n. 14667851<br />

Costo singola copia: € 5.00<br />

Numero doppio: € 7.00<br />

Stampa Grafiche Finiguerra<br />

Lavello (Pz)<br />

POSTE ITALIANE S.p.a.<br />

Spedizione in a.p. - 70% Potenza<br />

63


1<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

.<br />

<br />

<br />

Benvenuto<br />

<strong>decanter</strong><br />

llʼinizio degli anni no-<br />

vanta, al tempo dellʼ implosione<br />

del sistema politico<br />

che aveva governato lʼItalia,<br />

la Basilicata sembrava avviata<br />

ad un inarrestabile declino.<br />

Autorevoli ipotesi (Fondazione<br />

Agnelli) ridisegnando<br />

realtà regionali che avessero<br />

un profilo autonomo, ne ipotizzavano<br />

lo smembramento.<br />

Se commisuriamo a queste<br />

premesse, il sussulto democratico<br />

e diremmo anche<br />

identitario che ha percorso<br />

questo territorio in risposta<br />

alla designazione per decreto<br />

del Governo, di Scanzano<br />

come sito unico per il deposito<br />

delle scorie nucleari, possiamo<br />

capire che molte cose sono<br />

mutate in quella zona ed in<br />

tutta la regione.<br />

Risorse precedentemente<br />

non sfruttate, insediamenti<br />

produttivi di grandi dimensioni,<br />

mutamento del quadro<br />

politico hanno immesso nella<br />

regione elementi di sviluppo<br />

e di vitalità del tutto inediti.<br />

Alcuni dei problemi attuali<br />

come la tutela e la valorizzazione<br />

del territorio e di risorse<br />

naturali essenziali come lʻacqua<br />

sorgono da questo nuovo<br />

scenario, altri più antichi,<br />

vanno comunque ricollocati<br />

entro un quadro non statico.<br />

Le difficoltà più volte richiamate<br />

anche dai responsabili<br />

segue in ultima<br />

1 laboratorio<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

laboratorio della sinistra lucana<br />

Fiat Melfi<br />

operai<br />

alla riscossa<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Anna Maria Riviello p. 7 Camilla Schiavo p. 44 Califano Nicoletti p. 12<br />

Pisticci<br />

la centrale<br />

della<br />

discordia<br />

<br />

<br />

della sinistra lucana<br />

<br />

La Basilicata e<br />

lʼeconomia mondo<br />

ROCCO VIGLIOGLIA<br />

“Pensare globalmente, agire localmente”,<br />

mai questo slogan è stato<br />

più attuale nella situazione in cui<br />

versiamo e per cercare di definire le<br />

linee strategiche lungo cui far muovere<br />

la politica regionale prossima<br />

ventura.<br />

Lʼuscita dallʼobiettivo 1, con riduzione<br />

di flussi di fondi comunitari<br />

per una incidenza di almeno 2-3<br />

punti sul PIL regionale, si accompagna<br />

ad una fase dellʼeconomia mondiale<br />

segnata da forti crescite (Cina,<br />

India, Corea del Sud principalmente)<br />

e ad un affanno crescente per aree di<br />

economia matura come i paesi dellʼUnione<br />

Europea (gli USA, vivendo<br />

al di sopra delle loro possibilità, meriterebbe<br />

un discorso a parte), dove<br />

lʼItalia soffre più di tutti.<br />

In questa situazione nella nostra<br />

regione (riduzione di risorse pubbliche<br />

e nuovi scenari di competizione<br />

per lo sviluppo), pensare di mantenere<br />

in piedi, anche solo in parte, un<br />

modello come quello attuale è del<br />

tutto velleitario.<br />

Il modello del decennio trascorso,<br />

a sua volta frutto di una rottura<br />

ed una risposta alla crisi della politica<br />

come si era venuta delineando<br />

in quegli anni, pur caratterizzato dal<br />

segue in penultima<br />

<br />

<br />

Califano | Riviello p. 3 Nino Calice p. 24 Rocco Colangelo p. 51<br />

1 laboratorio<br />

<br />

<br />

Contratto tute blu<br />

Il voto di Melfi<br />

un campanello dʼallarme<br />

GIANNINO ROMANIELLO<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

In Basilicata il voto dei lavoratori<br />

sul contratto dei metalmeccanici<br />

ha palesato una certa sofferenza da<br />

parte della categoria a accogliere<br />

lʼaccordo sottoscritto da Federmec-<br />

<br />

2/3 laboratorio<br />

<br />

Regione<br />

AAA. Presidente<br />

cercasi<br />

ANTONIO PLACIDO<br />

La ripresa politica settembrina<br />

fa registrare lʼennesimo<br />

episodio di debolezza<br />

e di sfilacciamento offerto<br />

dal centro-sinistra nella seduta<br />

di Consiglio Regionale<br />

dedicata allʼapprovazione<br />

dei primi articoli del nuovo<br />

Statuto.<br />

Quanto è accaduto fa il<br />

paio con la soluzione imbarazzata<br />

e pilatesca partorita<br />

dal Consiglio Regionale in<br />

risposta alla sollecitazione<br />

unanime rivolta dai partiti<br />

del centro-sinistra perché si<br />

rivedesse il discusso e discutibilissimo<br />

provvedimento<br />

adottato a ferragosto circa i<br />

cosiddetti “portaborse”.<br />

È ancora aperta, inoltre,<br />

a dispetto di buoni propositi<br />

e dichiarazioni distensive,<br />

la crisi che ha impedito la<br />

formazione di unʼorganica<br />

giunta di centro-sinistra al<br />

Comune di Potenza allʼindomani<br />

del “plebiscito” che<br />

ha incoronato il Sindaco<br />

Santarsiero.<br />

La sinistra DS, da sola,<br />

sostiene da tempo che, continuando<br />

a rinviare le scelte<br />

sulla guida del governo<br />

regionale per il prossimo<br />

segue in penultima<br />

<br />

2 laboratorio<br />

<br />

foto di Sebastiano Lamattina<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

della sinistra lucana<br />

<br />

Gesualdo di Venosa<br />

Il suono e l’anima<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Anna Maria Riviello p. 39 Giuseppe Vacca p. 56 Lucio Corvino p. 14<br />

Università e ricerca<br />

in Basilicata<br />

della sinistra lucana<br />

Abbonati a Decanter<br />

Intrigo nucleare<br />

Abbonamento sostenitore e estero € 50.00 - Abbonamento annuo € 15.00<br />

c.c. postale n. 14667851<br />

CALICEDITORI<br />

www.caliceditori.com<br />

4 laboratorio<br />

Industria lucana<br />

Fine di un ciclo?<br />

<br />

<br />

via Taranto 20 - Rionero in Vulture (Pz) | Tel/fax 0972 721126 > e-mail: info@caliceditori.com<br />

GIANNI PALUMBO<br />

<br />

Si torna a parlare di nucleare.<br />

Le rivelazioni di un boss della ʻndrangheta<br />

su un numero de “LʼEspresso”<br />

di <strong>giugno</strong> e poi lʼarresto del<br />

Sindaco di Scanzano, “chiacchierato”<br />

sin dallʼepoca della mobilitazione<br />

dello scorso anno per presunti<br />

rapporti con la lobby nucleare,<br />

esplicitano uno scenario che, se<br />

fosse vero, chiuderebbe il cerchio<br />

su alcune delle vicende scottanti<br />

che hanno interessato lʼItalia dei<br />

misteri negli ultimi 20 anni.<br />

Una eredità scomoda quella del<br />

nucleare. Il nucleare civile, lo hanno<br />

affermato numerosi scienziati,<br />

non è mai conveniente se non come<br />

sottoprodotto di quello militare e<br />

questʼultimo è imprescindibilmente<br />

legato a quello civile per quanto<br />

concerne lo smaltimento delle scorie<br />

prodotte con tutti i conseguenti<br />

problemi che ciò implica.<br />

La presunta presenza di 100 fusti<br />

di scorie radioattive nel territorio<br />

tra i comuni di Pisticci e Ferrandina,<br />

in particolare in località Coste<br />

della Cretagna–Torrente Vella, è<br />

una notizia di non trascurabile effetto.<br />

Se fosse vero vorrebbe dire<br />

che la lotta del popolo lucano, con-<br />

tro il decreto che individuava il sito<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

segue in penultima<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

La redazione p. 25 Marisa Virgilio p. 42 Anna Maria Riviello p. 49<br />

della sinistra lucana<br />

<br />

canica e dai sindacati. Vi è stato il<br />

voto negativo della Sata ma anche<br />

di realtà dove le presenza sindacale<br />

è più antica e consolidata (Italtractor,<br />

Pittini, ecc.). Ora, nessuno<br />

segue in penultima<br />

Leonardo<br />

Ferrandina:<br />

Sinisgalli<br />

tra tecnica,<br />

industria<br />

e poesiae poesia<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Perrotta | Doria | Capezio | Caressa<br />

M. Padula | S. Padula, pp.27/38 Fulvio Tessitore p. 57 Califano | Viglioglia pp. 39/42<br />

disegno di Gelsomino DʼAmbrosio<br />

2 laboratorio<br />

<br />

della sinistra lucana<br />

<br />

PIERO DI SIENA<br />

Lʼindustria lucana è<br />

in difficoltà. Sono ormai<br />

troppi i segnali di un affanno<br />

che investe tutti i<br />

settori industriali presenti<br />

nella regione. Eʼ messo in<br />

discussione un processo<br />

che, in un rapporto oggettivamente<br />

virtuoso con<br />

gli atti di “buongoverno”<br />

del centrosinistra lucano,<br />

aveva fatto dellʼeconomia<br />

regionale negli anni novanta<br />

una felice eccezione<br />

rispetto al resto del Mezzogiorno.<br />

I problemi sono sotto gli<br />

occhi di tutti.<br />

Lo stabilimento Sata di<br />

Melfi e le fabbriche del suo<br />

indotto, soprattutto, sono<br />

coinvolti inevitabilmente<br />

nella crisi del settore dellʼauto<br />

causata dalle scelte<br />

dei gruppi dirigenti della<br />

Fiat dellʼultimo decennio.<br />

Disoccupazione<br />

intellettuale<br />

E se non vi sono imminenti<br />

pericoli sul versante del-<br />

<br />

lʼoccupazione per lo stabilimento<br />

Sata, diversa è la<br />

situazione per lʼindotto nel<br />

quale, invece, da almeno<br />

segue in penultima<br />

e mercato del lavoro<br />

in Basilicata<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Antonio Califano p. 3 Anna Maria Riviello p. 37 Raffaele Giura Longo p. 43<br />

3/4 laboratorio<br />

<br />

<br />

<br />

Economia<br />

“allarme rosso”<br />

ANTONIO CALIFANO<br />

La radiografia dellʼeconomia<br />

lucana che esce fuori<br />

dal “rapporto 2005” a cura<br />

di Unioncamere e Regione<br />

Basilicata ci consegna un<br />

quadro preoccupante. Alcuni<br />

indicatori, che cercheremo<br />

di analizzare, mostrano<br />

chiaramente che ci troviamo<br />

di fronte ad una crisi che da<br />

congiunturale sta diventando<br />

strutturale e che in ogni<br />

caso ci consegna un quadro<br />

generale di stagnazione con<br />

un P.I.L. che cresce (si fa per<br />

dire) dello 0,1 e con un crollo<br />

dei consumi che si riflette<br />

su un triste primato: la provincia<br />

di Potenza e di Matera<br />

sono le prime in Italia<br />

per cancellazioni (6%) dal<br />

registro delle Imprese delle<br />

rispettive Camere di Commercio.<br />

Il dato più negativo<br />

riguarda quegli indici relativi<br />

al tenore di vita delle<br />

famiglie lucane che vedono<br />

un calo delle vendite al dettaglio,<br />

come conseguenza di<br />

redditi che non crescono, e<br />

lʼalto indice di indebitamento<br />

delle famiglie lucane per<br />

segue in penultima<br />

“La Basilicata<br />

che vorrei...”<br />

Intervista<br />

a Vito De Filippo<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Ferrandina:<br />

energia<br />

nucleare<br />

dalle bufale<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

della sinistra lucana<br />

<br />

La FIAT di Melfi<br />

e il futuro della Basilicata<br />

PIERO DI SIENA<br />

Lʼintesa sui diciassette turni alla<br />

Sata di Melfi raggiunta tra la Fiat<br />

e i sindacati dei metalmeccanici<br />

costituisce un soddisfacente punto<br />

di equilibrio tra la lunga marcia<br />

intrapresa dai lavoratori di Melfi<br />

di lavorare in condizioni almeno<br />

pari a quelli delle altre fabbriche<br />

del settore auto in Italia e le<br />

esigenza dellʼazienda di tenere<br />

un elevato livello di produttività<br />

degli impianti a fronte della necessità<br />

derivanti dal lancio della<br />

“Grande Punto”.<br />

In verità per i volumi comunicati<br />

dalla Fiat a governo e sindacati<br />

nella riunione del 3 agosto a Palazzo<br />

Chigi, nella quale lʼazienda<br />

di Torino ha annunciato il suo<br />

programma a medio termine nel<br />

settore dellʼauto, secondo la Fiom<br />

a Melfi sarebbero bastati anche<br />

quindici turni. E ciò costituisce<br />

un motivo in più per apprezzare<br />

il senso di responsabilità dei lavoratori<br />

a fronte di augurabili impennate<br />

della domanda nella fase<br />

iniziale di lancio della “Grande<br />

Punto” che potrebbero richiedere<br />

unʼaccelerazione della produzione.<br />

segue in penultima<br />

<br />

<br />

<br />

Nicoletti | Porcari | Giuralongo pp. 8/19 Bruno Leone p. 29 Francesco Laudadio p. 59<br />

della sinistra lucana<br />

Piero Di Siena p. 3 Giuseppe Rolli p. 29 Rino Cardone p. 37<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

<br />

Cerimonia inaugurale del Trend Expo <strong>2006</strong> - foto N. Santagata

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!