n° 1 giugno 2012 - Ifuw Italia – Fildis sez. di Pavia
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do locale.<br />
I danni dell’assistenzialismo: essere considerati<br />
un bancomat e generare aspettative<br />
Un’altra percezione avuta durante la nostra<br />
esperienza, purtroppo, è stata notare l’evidenza<br />
<strong>di</strong> come, in molti casi, le azioni della cooperazione<br />
internazionale abbiano generato in realtà<br />
più danni che benefici, sia in senso materiale ed<br />
economico sia in senso sociale.<br />
La cospicua casistica <strong>di</strong> opere completamente<br />
avulse o inutilizzate dalle comunità è il risultato<br />
della mancanza <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento o della<br />
impreparazione. Senza voler entrare nel merito<br />
delle problematiche legate alla cooperazione internazionale,<br />
si possono in<strong>di</strong>viduare due tipi <strong>di</strong><br />
problemi: la grande cooperazione (gran<strong>di</strong> organizzazioni<br />
e governi), a causa delle rigide procedure<br />
burocratiche, genera un macchinoso e <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>oso<br />
processo che causa gravi sprechi economici.<br />
La piccola cooperazione (organizzazioni conosciute<br />
principalmente sul proprio territorio, gestite da<br />
volontari e offerte), seppur animata da nobilissimi<br />
e con<strong>di</strong>visibili scopi, non sempre riesce a gestire la<br />
complessità del processo <strong>di</strong> cooperazione. Manca<br />
una rete <strong>di</strong> contatti con le altre organizzazioni, il<br />
che comporta il venir meno dei principi della cooperazione<br />
decentrata. Conseguenza dello spirito<br />
volontaristico è che questo tipo <strong>di</strong> associazioni<br />
non riesce spesso a garantire né un adeguato supporto<br />
finanziario continuo, né un certo grado <strong>di</strong><br />
professionalità; spesso tende a improvvisare processi<br />
privi <strong>di</strong> una chiara visione dell’obiettivo generale<br />
da perseguire.<br />
Il risultato l’abbiamo potuto riscontrare in<br />
questa parte dell’ Africa: lungo i circa 600 km che<br />
separano Nairobi da Loiyanagalani, abbiamo osservato<br />
un numero imprecisato <strong>di</strong> costruzioni<br />
“occidentali”, mezze <strong>di</strong>roccate o abbandonate,<br />
tutte con la targa dell'associazione <strong>di</strong> turno; scuole<br />
in mezzo alla savana, lontane km dal primo villaggio;<br />
chiese, magazzini, <strong>di</strong>spensari senza personale<br />
me<strong>di</strong>co...esito probabilmente <strong>di</strong> un progetto votato<br />
non a uno scopo preciso, ma a quel tipo <strong>di</strong> aiuti<br />
che mettono la coscienza a posto.<br />
Oltre alle conseguenze <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> processo<br />
più imme<strong>di</strong>ate, ve ne sono anche altre <strong>di</strong> tipo sociale:<br />
molte comunità si sono abituate a percepire<br />
la nostra presenza <strong>di</strong> occidentali come fossimo dei<br />
Bancomat: il nostro compito è quello <strong>di</strong> elargire<br />
beni materiali ed economici a tutti e senza alcun<br />
coor<strong>di</strong>namento. Che cosa genera questo tipo <strong>di</strong><br />
comportamento? Un sistema in cui i volontari arri-<br />
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vano, donano denaro o una costruzione poi ripartono,<br />
lasciando la comunità, molto spesso, senza<br />
la possibilità <strong>di</strong> svilupparsi perché non si è portato<br />
loro né conoscenze né lavoro, ma rendendoli, in<br />
un certo senso, <strong>di</strong>pendenti da aiuti esterni.<br />
Sarebbe questo il senso della cooperazione?<br />
Generare aspettative che non si possono sod<strong>di</strong>sfare,<br />
aiuta a migliorare la con<strong>di</strong>zione delle comunità?<br />
Elargire donazioni senza creare processi<br />
virtuosi, non genera una nuova forma <strong>di</strong> colonialismo?<br />
Queste sono alcune delle domande che hanno<br />
continuato a formarsi nella nostra mente nei<br />
giorni <strong>di</strong> permanenza a Loiyangalani: vedevamo<br />
l’estrema povertà e la sofferenza <strong>di</strong> una popolazione<br />
afflitta da malaria, siccità, carestie, che, paradossalmente,<br />
è oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse azioni umanitarie:<br />
si sta costruendo un grande orfanotrofio, ma<br />
non vi è un <strong>di</strong>spensario che funzioni e che permetta<br />
parti <strong>di</strong> emergenza o <strong>di</strong>agnosi <strong>di</strong> malaria; è<br />
stato costruito il Museo del Turkana, ma non ci<br />
sono sol<strong>di</strong> per il suo funzionamento e per permettere<br />
a giovani della comunità <strong>di</strong> svolgere un<br />
lavoro all’interno del settore naturalistico, nella<br />
cosiddetta “Culla dell’Umanità”. Ci sono continui<br />
arrivi <strong>di</strong> aiuti alimentari, ma non c’è attualmente<br />
un programma che insegni tecniche agricole sperimentali<br />
adatte a climi ari<strong>di</strong> desertici. La sensazione<br />
scoraggiante è che questo sia, ormai, un sistema<br />
accettato e consolidato d’interventi <strong>di</strong> cooperazione.<br />
“Di buone intenzioni è lastricata la via per l’Inferno”.<br />
Queste sono state le riflessioni, le emozioni<br />
e i dubbi che ci ha suscitato il viaggio in Kenya.<br />
Chi ha avuto esperienze <strong>di</strong> cooperazione in Africa<br />
spesso al ritorno racconta del leggendario Mal<br />
d’Africa, tanto questo continente è affascinante e<br />
magnetico; noi lo abbiamo “sentito” in due sensi:<br />
il primo dettato dalla meraviglia <strong>di</strong> una realtà immensa<br />
in tutti gli aspetti, capace <strong>di</strong> provocare una<br />
sensazione <strong>di</strong> estasi, in cui la nostra presenza umana<br />
sembra non avere significato. Il secondo scuote<br />
la parte etica morale della coscienza in quanto si è<br />
messi a contatto con la sofferenza vera e incon<strong>di</strong>zionata,<br />
<strong>di</strong>fficile da alleviare; uno stato che genera<br />
dapprima incredulità, per poi lasciar spazio alla<br />
precisa e lucida sensazione che i meccanismi del<br />
nostro tempo si siano inceppati generando un<br />
continuo nonsenso. Al ritorno, la <strong>di</strong>fficoltà è quella<br />
<strong>di</strong> cercare <strong>di</strong> ridare un senso alla propria esistenza<br />
(per sè stessi) e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> agire per intervenire, con<br />
le proprie capacità, in questa situazione. Per questo<br />
il processo che speriamo sia portato avanti per