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luglio agosto - Club Alpino Italiano

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Luglio Agosto 2010 Supplemento bimestrale a la “Rivista del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> - Lo Scarpone” N. 8/2010 - Sped. in abb. Post. – 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano.<br />

LA RIVISTA 4 | 2010 1<br />

LugLIo AgoSTo 2010<br />

EDIToRIALE<br />

DEL PRESIDENTE GENERALE<br />

umberto MARTINI<br />

GIORDANIA<br />

giordania<br />

arrampicare nel deserto<br />

DONNE DONNE E ALPINISMO<br />

ALPINISMO<br />

INTERVISTA A IRENE AFFENTRaNGER


Photo © Patitucciphoto<br />

LA SPORTIVA® is a trademark of the shoe manufacturing company “La Sportiva S.p.A” located in Italy (TN)<br />

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» Il Presidente Generale<br />

Umberto Martini<br />

» EDIToRIALE<br />

CoNTINuITà NEL<br />

CAMBIAMENTo<br />

Il passaggio del testimone, improrogabile avvicendamento sancito<br />

dalle nostre carte istituzionali, mi vede impegnato a raccogliere la<br />

ricca ma ponderosa eredità del mio predecessore. Mi sia consentito<br />

un riferimento alle Georgiche virgiliane, ove le messi sono destinate<br />

in parte per essere consumate e in parte per la semina di futuri raccolti,<br />

secondo l’alternanza delle coltivazioni. Fuor di metafora ora abbiamo<br />

il difficile compito di valorizzare ulteriormente il patrimonio culturale,<br />

lievitato sotto la presidenza di Annibale e diffuso presso l’opinione<br />

pubblica mediante l’attività di comunicazione, per imporlo all’attenzione<br />

di ambiti ritenuti lontani, se non addirittura estranei o impermeabili al<br />

nostro messaggio. E a questo punto mi è caro ricordare ciò che il<br />

presidente Spagnolli ebbe a dire 31 anni or sono proprio all’Assemblea che<br />

si tenne sulle rive dello stesso lago di Garda a Gardone: “L’importante si<br />

è che anche adesso, dopo aver meditato, e confrontato le proprie idee<br />

con quelle degli altri in serena discussione, procedere oltre, seminare e<br />

curare il seme perché cresca bene, non importa se chi ha seminato non<br />

riesca a vedere se il seme ha dato frutto”. Per fare ciò non possiamo<br />

ignorare i cambiamenti epocali che hanno caratterizzato l’avvento<br />

del nuovo millennio. I mutamenti degli assetti geopolitici, per quanto<br />

ci riguarda nel vecchio Continente, con la nuova configurazione<br />

sovrannazionale dei confini virtuali dell’area alpina, nonché la recente<br />

e tuttora in atto crisi mondiale, hanno influito in modo sia diretto<br />

che indiretto anche sui nostri usi, costumi e consumi. Basti pensare come<br />

incide sulla qualità di vita l’imporsi degli assi trasversali del traffico<br />

commerciale attraverso le Alpi e la Pianura Padana o, conseguentemente<br />

alla minore disponibilità economica per molti, i cambiamenti nelle<br />

abitudini della mobilità familiare. Sono segnali forti che non possiamo<br />

ignorare, e che vanno considerati più che come limiti, come opportunità.<br />

In tale situazione quale può essere per il CAI il modello di riferimento?<br />

Il Congresso di Predazzo ha segnato un momento di riflessione e di<br />

confronto significativo nell’indicare la via.<br />

CONTINUA A PAG. 95


4 | 2010 2<br />

parco di portfino - a pagina 54


LA RIVISTA<br />

» Punta Chiappa. Foto Ente Parco di Portofino<br />

» Salendo al passo Katmai. Foto di P. Pagni<br />

errata corrige<br />

Sullo scorso numero il contributo di<br />

Alessandro Pastore a pag. 30 non era<br />

firmato: ce ne scusiamo con l'autore.<br />

Inoltre, a pag. 36, compariva un<br />

errore: il Monte Rosa appartiene infatti<br />

alle Alpi Pennine e non alle Alpi<br />

Graie. Grazie al Sig. Elio Protto.<br />

01» EDITORIAL; 06» TREKKING ALASKA: ADVENTURES IN ALASKA; 10»<br />

High altitude: muhavura volcano; 14» CLIMBING: wadi rum, deeply<br />

red; 20» INTERVIEW: marco albino ferrari; 22» trekking dolomiti:<br />

alpine grazing in val zoldana; 26» Mountaineering New<br />

Zealand: mountaineering upside down; 30» focus: cinema and<br />

more; 34» canyoning: welcome back canyoning; 36» history:<br />

100 women on Monte Rosa; 38» TREKKING: the via francigena;<br />

42» climbing: aroletta superiore; 45» portfolio: biodiversity<br />

stocks; 54» parks: when cai goes to monte di portofino; 59»<br />

Italians: the beached highlander; 60» points of view: a lesson<br />

about history and philosophy of mountaineering; 63»messner<br />

leaves out the history; 64» Art and mountain: renato chabod;<br />

66» INSTITUTIONAL COMMUNICATION: Switzerland and its paths;<br />

70» ALPINE CHRONICLE; 72» NEW ASCENSIONS; 74» ROCK CLIMBING; 76»<br />

SPELEOLOGY: in grigna; 80» MOUNTAIN RESCUE: missing seek and<br />

rescue; 82» CAAI: emergency and behaviour; 84» MOUNTAIN MEDI-<br />

CINE: don't play with your health; 86» SCIENCE AND MOUNTAIN:<br />

talking about volcanoes; 88» Environment: strategies and<br />

standards for the climate; 90» WEB and BLOG; 91» memoirs; 92»<br />

MOUNTAIN BOOKS.<br />

in questo numero<br />

4 | 2010 3<br />

“Estate, tempo di escursioni”. Seguendo questo “precetto” non<br />

scritto abbiamo preparato il numero de La Rivista che vi apprestate<br />

a sfogliare. E' vero: i Soci del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> non si limitano a partire<br />

in estate; ce ne sono molti che viaggiano anche in inverno<br />

e puntuali, al ritorno, ci consegnano la loro relazione<br />

dettagliata. Tuttavia è innegabile che tra <strong>luglio</strong> e <strong>agosto</strong> si<br />

concentra la gran parte del turismo, di montagna e non solo.<br />

Ecco quindi alcuni reportage dall'Italia e dal mondo completi<br />

di itinerari: potete ritagliarli e collezionarli. Questo numero è<br />

anche il primo sotto la presidenza di Umberto Martini: è con<br />

enorme piacere che salutiamo il nuovo Presidente Generale e i<br />

nuovi membri del CDC e del CC, augurando loro buon lavoro<br />

nel e per il Sodalizio. Del Presidente Martini potete leggere<br />

l'editoriale che contiene, tra l'altro, le linee programmatiche<br />

del suo mandato. Tornando agli articoli de La Rivista: Superti<br />

ci racconta le sue scalate in Giordania, deserto “Wadi Rum”,<br />

in uno scenario di straordinaria suggestione che evoca la<br />

superficie di Marte. Spazio poi alla Nuova Zelanda, all'Uganda<br />

e – a latitudini più nostrane – alla via Francigena e al Parco<br />

di Portofino. Badate: sono solo spunti quelli che vi abbiamo<br />

elencato; c'è molto altro da scoprire leggendo La Rivista.<br />

01» ÉDITORIAL; 06» trekking Alaska: Aventure en Alaska; 10» haute<br />

altitude: le volcan Muhavura; 14» ESCALADE: Wadi Rum, rouge<br />

profond; 20» l’interview: marco albino ferrari; 22» trekking<br />

dolomites: cabane de bergers dans la vallée zoldana; 26» alpinisme<br />

nouvelle-zélande: alpinisme la tete en bas; 30» FOCUS:<br />

non seulement du cinéma; 34» Canyonisme: bienvenue canyonisme;<br />

36» histoire: cent femmes sur le Monte Rose; 38» TREKKINg:<br />

la via francigena; 42» escalade: L’Arolette superieure; 45» portfolio:<br />

un reservoir de biodiversité; 54» parcs: le Cai monte à<br />

PORTOFINO; 59» typEs italiens: LE MONTAGNARD à LA PLAGE ; 60»<br />

POints de vue: Une leçon d’histoire et philosophie de l’alpinisme;<br />

63» Messner laisse l’histoire de côté; 64» Art et montagne:<br />

Renato Chabod; 66» InSTITUtIONnel: LA SUISSE ET SES SENTIERS; 70»<br />

actualités montagne; 72» Nouvelles voies; 74» escalade; 76»<br />

SPéLéOLOGIe: LE COMPLEXE DE LA GRIGNA; 80» Secours en montagne:<br />

LA RECHERCHE DES DISPARUS; 82» CAAI: URGENCE ET CONDUITE;<br />

84» médecine et montagne: LA SANTé N’EST PAS UN JEU; 86» SCIENce<br />

Et MONTAGNe: à PROPOS DEs VOLCANS; 88» environnement: STRA-<br />

TéGIES ET MESURES POUR LE CLIMAT; 90» WEB Et BLOG; 91» MéMOIRES;<br />

92» LIvres De MONTAGNe.<br />

la redazione della rivista<br />

01» EDITORIAL; 06» TREKKING Alaska: Abenteuer in Alaska; 10»<br />

Höhenwanderungen: Der muhavura-vulkan; 14» Klettern: wadi<br />

rum, tiefes rot; 20» Interview: marco albino ferrari; 22» TREK-<br />

KING Dolomiten: Alpen im zoldanatal; 26» Alpinismus Neuseeland:<br />

alpinismus auf dem kopf; 30» Fokus: Kino und mehr; 34»<br />

Wildwasser-Erlebnis: herzlich wilkommen canyoning!; 36»Geschichte:<br />

hundert frauen auf dem monte rosa; 38» TREKKING:<br />

via francigena; 42» Klettern: aroletta superiore; 45» Portfolio:<br />

reiche biodiversitäT; 54» Naturparke: das cai besteigt den monte<br />

di portofino; 59» Der italienische Typ: der gebirgler am strand;<br />

60» Gesichtspunkte: eine unterrichtsstunde in geschichte und<br />

filosofie des alpinismus; 63» in messner fehlt die geschichte; 64»<br />

Kunst und Berge: renato chabod; 66» INSTITUTIONELLE KOMMU-<br />

NIKATION: Die Schweiz und ihre Wege; 70» ALPENCHRONIK; 72» NEUE<br />

BESTEIGUNGEN; 74» KLETTERN; 76» HÖLENKUNDE: deR grignaKOM-<br />

PLEX; 80» BERGWACHT: SUCHE DER VERMISSTEN; 82» CAAI: notfall<br />

und verhalten; 84» HOHE GESUNDHEIT: die gesundheit ist kein<br />

spiel! salute; 86» WISSENSCHAFT UND BERG: von wegen vulkanen;<br />

88» Umwelt: klimastrategien und - abmessungen; 90» WEB und<br />

BLOG; 91» amarcord; 92» Bergbücher


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sono marchi di proprietà della W.L. GORE & Associates.<br />

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4 | 2010 4<br />

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studiato appositamente per mantenere i piedi asciutti e comodi.<br />

Lavorando assieme, abbiamo progettato ogni singolo scarpone nei minimi dettagli per<br />

poter perseguire questo fi ne. Abbiamo ricercato, testato e selezionato i migliori materiali<br />

e componenti, ed abbiamo utilizzato avanzate tecnologie di costruzione per poter<br />

garantire questo comfort. Il risultato è una calzatura che garantirà la fuoriuscita del<br />

calore e dell’umidità in eccesso, portando e riuscendo a mantenere il piede nella zona<br />

ottimale di comfort, compresa tra 28°C e 32°C.<br />

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Luglio Agosto 2010 Supplemento bimestrale a la “Rivista del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> - Lo Scarpone” N. 8/2010 - Sped. in abb. Post. – 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - Filiale di Milano.<br />

LA RIVISTA<br />

LA RIVISTA 4 | 2010 1<br />

LUGLIO AGOSTO 2010<br />

EDITORIALE<br />

DEL PRESIDENTE GENERALE<br />

umberto MARTINI<br />

GIORDANIA<br />

giordania<br />

arrampicare nel deserto<br />

DONNE E ALPINISMO<br />

INTERVISTA A IRENE AFFENTRaNGER<br />

LR_4_2010_F5.indd 1 13/07/10 11:48<br />

» Camoscio in Val delle Messi, Brescia<br />

// Foto di Andrea Zampatti<br />

direttore Editoriale: Alessandro Giorgetta<br />

direttore Responsabile: Luca Calzolari<br />

Redazione e Impaginazione: Gianni Zecca,<br />

Stefano Mandelli, Annasara Geva (C.I.A. srl)<br />

collaboratore di Redazione: Alessandro<br />

Giorgetta<br />

Segreteria di Redazione: Gianni Zecca (C.I.A.<br />

Srl) Tel. 02/2057231 e-mail: larivista@cai.it<br />

cAI- Sede Sociale: 10131 torino,<br />

Monte dei cappuccini. Sede legale- 20124<br />

Milano, via E. Petrella, 19 -<br />

cas. post. 10001- 20110 Milano - tel.<br />

02/205723.1. (ric. Aut.) - fax 02/205723.201<br />

www.cai.it<br />

telegr. centralcai Milano c/c post. 15200207<br />

intestato a cAI club <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>, Servizio<br />

tesoreria<br />

via E. Petrella, 19- 20124 Milano.<br />

Abbonamenti a la Rivista del club <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong><br />

- lo Scarpone: 12 fascicoli del notiziario<br />

mensile e 6 del bimestrale illustrato: abb. soci<br />

familiari: € 10,90; abb. soci giovani: € 5,45;<br />

abb. sezioni, sottosezioni e rifugi: € 10,90;<br />

abb. non soci: € 35,40; supplemento spese per<br />

recapito all’estero: Europa- bacino del Mediterraneo<br />

€ 22,92 / Africa- Asia- Americhe € 26,70<br />

/ oceania € 28,20. fascicoli sciolti, comprese<br />

spese postali: bimestrale+ mensile (mesi pari):<br />

soci € 5,45, non soci € 8,20; mensile (mesi dispari):<br />

soci € 1,90, non soci € 3,30. Per fascicoli<br />

arretrati dal 1882 al 1978: Studio bibliografico<br />

San Mamolo di Pierpaolo bergonzoni & c. snc,<br />

via XX Settembre, 42- 40050 dozza (bo)- tel. e<br />

fax 0542/679083<br />

Segnalazioni di mancato ricevimento vanno<br />

indirizzate alla propria Sezione.<br />

Indirizzare tutta la corrispondenza e il materiale<br />

a: club <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> ufficio Redazione- via<br />

E. Petrella, 19- 20124 Milano. originali e<br />

illustrazioni pervenuti di regola non si restituiscono.<br />

le diapositive verranno restituite,<br />

se richieste.<br />

È vietata la riproduzione anche parziale di<br />

testi, fotografie, schizzi, figure, disegni senza<br />

esplicita autorizzazione dell’Editore. Servizio<br />

Pubblicità G.N.P. s.r.l. di Nenzi G. & C. Sede:<br />

via udine, 21/a 31015 conegliano, tv<br />

Responsabile pubblicità: Susanna Gazzola<br />

tel. 011/9961533- fax 011/9916208<br />

Servizi turistici: tel. 0438/31310- fax<br />

0438/428707 e-mail: gnp@telenia.it - gns@<br />

serviziovacanze.it<br />

fotolito: AoG SpA- filago (bG)<br />

Stampa: Elcograf- beverate di brivio (lc)<br />

carta: bimestrale: 90 gr/mq patinata senza<br />

legno; mensile: 60 gr/mq riciclata.<br />

Service editoriale: cervelli In Azione srl-<br />

bologna<br />

Sped. in abbon. post- 45% art. 2 comma 20/b<br />

legge 662/96- filiale di Milano<br />

Registrazione del tribunale di Milano n. 184<br />

del 2.7.1948- Iscrizione al Registro nazionale<br />

della Stampa con il n. 01188, vol. 12, foglio 697<br />

in data 10.5.1984.<br />

tiratura: 192.842 copie<br />

numero chiuso in redazione il 28.06.2010<br />

» sommario<br />

anno 131 // volume cxxxviiI // 2010 <strong>luglio</strong> <strong>agosto</strong><br />

01 » EDIToRIALE<br />

// uMbERto MARtInI<br />

06 » TREKKINg alaska<br />

avventura in alaska<br />

// PAolo PAGnI<br />

10 » ALta quota<br />

IL VULCANO MUHAVURA<br />

// SARA PIEtRAnGElI<br />

14 » arrampicata<br />

WADI RUM, PROFONDO ROSSO<br />

// AlESSAndRo SuPERtI<br />

20 » l'intervista<br />

MARCO ALBINO FERRARI<br />

// StEfAno AuRIGhI<br />

22 » trekking dolomiti<br />

MALGHE IN VAL ZOLDANA<br />

// AndREA RIzzAto<br />

26 » alpinismo n. zelanda<br />

ALPINISMO A TESTA IN GIù<br />

// PAolo PIERonI<br />

30 » focus<br />

NON SOLO CINEMA<br />

// GIovAnnI PAdovAnI<br />

34 » torrentismo<br />

BENTORNATO CANYONING<br />

// AndREA fontAnA E fRAnco AIchIno<br />

36 » storia<br />

CENTO DONNE SUL ROSA<br />

// lAuRA bElloMI<br />

70 » cronaca alpinistica<br />

// A. cIcoGnA E M. MAnIcA<br />

72 » NuoVE ASCENSIoNI<br />

// R. MAzzIlIS<br />

74 » ARRAMPICATA<br />

// l. IovAnE E h. MARIAchER<br />

76 » SPELEoLogIA<br />

IL COMPLESSO DELLA GRIGNA<br />

// AA. vv.<br />

80 » SoCCoRSo ALPINo<br />

LA RICERCA DISPERSI<br />

// v. zAnI<br />

82 » CAAI<br />

EMERGENZA E COMPORTAMENTO<br />

// c. bARbolInI<br />

38 » TREKKINg<br />

LA VIA FRANCIGENA<br />

// ISAbEllA tonIolI<br />

42 » arrampicata<br />

L'AROLETTA SUPERIORE<br />

// dAnIElE PIEIllER<br />

45 » portfolio<br />

UN SERBATOIO DI BIODIVERSITà<br />

// AndREA zAMPAttI Ed EMIlIo PAdoA<br />

SchIoPPA<br />

54 » parchi<br />

IL CAI SALE SUL MONTE DI<br />

PORTOFINO<br />

// fERRuccIo REPEttI<br />

59 » tipi italiani<br />

IL MONTANARO "SPIAGGIATO"<br />

// AlESSIo lIquoRI<br />

60 » punti di vista<br />

UNA LEZIONE DI STORIA E<br />

FILOSOFIA DELL'ALPINISMO<br />

// luIGI zAnzI<br />

63 IN MESSNER MANCA LA STORIA<br />

// RobERto MAntovAnI<br />

64 » arte e montagna<br />

RENATO CHABOD<br />

// AlESSAndRo GIoRGEttA<br />

66 » CoMuNICAZIoNE<br />

ISTITuZIoNALE<br />

LA SVIZZERA E I SUOI SENTIERI<br />

// PRoGEtto vEttA<br />

84 » ALTA SALuTE<br />

LA SALUTE NON è UN GIOCO<br />

// S. cARPInEtA<br />

86 » SCIENZA E MoNTAgNA<br />

A PROPOSITO DI VULCANI<br />

// j. PASottI<br />

88 » ambiente<br />

STRATEGIE E MISURE PER IL CLIMA<br />

// M. AGnolI<br />

90 » WEB E BLog<br />

// G. zEccA<br />

91 » amarcord<br />

// f. bo<br />

» Rubriche<br />

92 » LIBRI DI MoNTAgNA<br />

// A. GIoRGEttA


» TREKKINg alaska<br />

Avventura in Alaska<br />

Alla scoperta di un’insolita zona della regione nord americana<br />

Testo e foto di Paolo Pagni<br />

Quasi cento anni fa, il 6 giugno del 1912, un’enorme<br />

eruzione vulcanica, accompagnata da fortissime<br />

scosse di terremoto, sconvolse una vasta area nella<br />

regione del Katmai, nel sud-ovest dell’Alaska, mutandone completamente<br />

la morfologia. Nel raggio di diverse decine di chilometri<br />

la fitta boscaglia e le dense foreste furono ridotte in cenere.<br />

Ampie porzioni dei nevai e dei ghiacciai circostanti si fusero<br />

modificando il corso dei fiumi. La cupola sommitale del monte<br />

Katmai, un vulcano alto più di 2.000 metri, collassò formando<br />

un cratere di oltre 4 Km di diametro. Un nuovo vulcano, che fu<br />

poi chiamato Novarupta, si formò ai piedi del monte Katmai,<br />

riversando lava, pomice e ceneri vulcaniche nella grande valle<br />

sottostante e seppellendola per decine di metri.<br />

LA VALLEy of TEN ThouSAND SMoKES<br />

Nonostante l’Alaska fosse già stata oggetto della mitica corsa<br />

all’oro, la regione del Katmai – non interessata da giacimenti<br />

auriferi - era ancora in gran parte inesplorata. Quando per la<br />

prima volta un paio di anni dopo, nel 1914, alcuni geologi su<br />

4 | 2010 6<br />

1<br />

2


LA RIVISTA 4 | 2010 7<br />

1» Panorama su un’angolo della “Valley of Ten Thousand Smokes" //<br />

2» Risalendo l'alveo di un fiume ancora ostruito dalla neve invernale //<br />

3» Il vulcano Novarupta oggi// 4» Orsa con i suoi “cuccioli”<br />

incarico della National Geographic Society raggiunsero la zona,<br />

si trovarono di fronte ad uno spettacolo inatteso ed eccezionale:<br />

la grande valle, priva ormai di ogni forma di vita, brulicava<br />

di migliaia di getti di vapore e fumarole. Una bolgia dantesca<br />

la cui origine, come presto si scoprì, erano le acque di fiumi e<br />

ghiacciai che, penetrando negli strati permeabili del terreno, venivano<br />

a contatto con la sottostante lava ancora incandescente,<br />

formando vapore che usciva in getti violentissimi dalle fessure<br />

del sottosuolo. La valle fu così chiamata Valley of Ten Thousand<br />

Smokes: la valle dei diecimila fumi.<br />

uN AMBIENTE INoSPITALE MA AffASCINANTE<br />

Addentrarsi oggi nella Valley of Ten Thousand Smokes significa<br />

entrare in un vero e proprio deserto. Il fenomeno delle migliaia<br />

di fumarole e getti di vapore si è ormai esaurito, ma ancora<br />

adesso, a circa un secolo di distanza, manca quasi del tutto la<br />

vegetazione. Qua e là i corsi d’acqua scompaiono sotto lo strato<br />

di lava e pomice per ricomparire più a valle. In più parti il terreno<br />

è soffice come il borotalco ed il vento alza spesso nuvole di<br />

finissima polvere che rende difficoltoso il cammino.<br />

La Valley of Ten Thousand Smokes non ha niente in comune<br />

con il tipico paesaggio dell’Alaska, salvo per i ghiacciai e per<br />

gli ampi nevai che con il tempo sono tornati a ricoprire le montagne<br />

circostanti. Siamo quindi in un contesto del tutto particolare,<br />

in un’insolita isola geologica e naturalistica all’interno<br />

dell’ambiente, già di per sé eccezionale, dell’Alaska.<br />

IL TREKKINg DEL NoVARuPTA<br />

Assieme ad alcuni amici americani programmiamo tra giugno<br />

e <strong>luglio</strong> un trekking dell’intera valle. L’obiettivo è arrivare al<br />

vulcano Novarupta, accampandoci di volta in volta ove le condizioni<br />

del terreno lo consentano, risalendo inoltre fino al passo<br />

Katmai, punto culminante della valle, posto sullo spartiacque<br />

tra il Mar di Bering e l’Oceano Pacifico. Il trekking, uno dei più<br />

particolari dell’intera Alaska, si svolge nella più completa wilderness,<br />

del tutto fuori da ogni zona abitata e senza alcun punto<br />

di appoggio. Luogo di partenza del trek, e unico accampamento<br />

attrezzato della zona, è il Brooks Camp, all’interno di quello che<br />

è oggi il grande Katmai National Park.<br />

Il Brooks Camp è posto sul limitare della Valley of Ten Thousand<br />

Smokes, in un ambiente che è ancora caratterizzato da foresta<br />

e boscaglia. Per arrivarci non ci sono strade: l’unica possibilità<br />

è noleggiare un piccolo idrovolante che si posa su un laghetto<br />

in prossimità della stazione dei rangers preposti alla gestione ed<br />

alla sorveglianza del parco. Qui otteniamo l’autorizzazione per il<br />

trekking, ma non prima di aver assistito ad un conciso sermone<br />

circa il comportamento da tenere nel caso di incontri indesiderati<br />

con gli… orsi.<br />

gLI oRSI DEL KATMAI<br />

Tutto il Katmai è infatti “Bear Country”, terra di orsi, particolarmente<br />

numerosi nei mesi estivi presso il Brooks Camp, allorché<br />

il fiume ed i laghi circostanti sono pieni di salmoni che risalgono<br />

la corrente per deporre le uova. Qui gli orsi -per lo più del genere<br />

grizzly - circolano liberamente. Il recinto elettrificato posto<br />

dai rangers a delimitare l’area in cui siamo accampati offre una<br />

prima protezione, anche se difficilmente potrebbe scoraggiare<br />

eventuali orsi veramente “malintenzionati”.<br />

Sono quindi importanti altre misure precauzionali: massima pulizia<br />

all’interno del campo, evitare odori che possano attrarre<br />

gli animali, conservare il cibo in robusti contenitori. Uscendo<br />

dal campo la regola fondamentale è camminare in gruppetti di<br />

tre o quattro, segnalare la propria presenza con grida o battiti<br />

di mani, evitare incontri ravvicinati. E prestare la massima<br />

attenzione a potenziali situazioni di vero pericolo, come in un<br />

eventuale incontro con l’iperprotettiva “mamma orsa” ed i suoi<br />

cuccioli.<br />

3<br />

4<br />

IN CAMMINo TRA BoSCAgLIA E DESERTo<br />

Partiamo dal Brooks Camp carichi di tende, attrezzature e provviste<br />

per 10-12 giorni, diretti verso l’imbocco della Valley of Ten<br />

Thousand Smokes. Seguiamo inizialmente una labile traccia di<br />

sentiero attraverso foltissimi cespugli: è il tipico bush dell’Alaska,<br />

una fittissima barriera verde ove d’improvviso puoi trovarti<br />

faccia a faccia non solo con orsi, ma anche con altri animali<br />

quali alci o lupi. Così procediamo uniti, in fila indiana, facendo<br />

più rumore possibile. Ogni tanto ci alterniamo alla guida della<br />

fila tenendo a portata di mano una bomboletta di spray al peperoncino:<br />

una difesa, consigliata dai rangers contro eventuali


» trekking alaska<br />

attacchi di orsi, che ci auguriamo di non dover usare…<br />

Terminata la boscaglia si entra nella valle desertica. I colori<br />

dell’ambiente mutano dall’ocra, al giallo, all’arancione… il cielo<br />

è luminosissimo, la visuale adesso spazia fino alle montagne<br />

circostanti ammantate di neve. Non ci sono più tracce di sentiero<br />

né percorsi obbligati, ed il pericolo di improvvisi incontri<br />

indesiderati è ormai ridotto.<br />

Costeggiamo il bordo di un grande canyon scavato nelle ceneri<br />

vulcaniche dal fiume Lethe, il principale della valle, cercando<br />

un punto ove poter guadare. Ma il fiume è troppo profondo e<br />

la corrente impetuosa. Ci accampiamo allora in una valletta al<br />

riparo dal vento, decidendo di tentare il guado il mattino seguente,<br />

quando presumibilmente, a causa del gelo notturno, il<br />

fiume avrà una portata minore.<br />

5<br />

6<br />

7<br />

4 | 2010 8<br />

5» Il Mount Mageik (m. 2.165), un vulcano“dormiente”//<br />

6» Impronte di orso nella cenere vulcanica // 7» Il profondo canyon del<br />

fiume Lethe<br />

Il giorno dopo, trovato un punto adatto al guado, ci dirigiamo<br />

verso la base di una montagna ammantata di neve e ghiacci,<br />

il monte Mageik alto circa 2.150 metri, ai cui piedi si trova un<br />

laghetto di acque cristalline.<br />

Il posto è ottimale per la salita al passo Katmai, cui ci ripromettiamo<br />

di arrivare l’indomani. Il riflesso turchese delle acque è<br />

rilassante, il posto è ideale per accamparci. Piantiamo le tende<br />

sulle rive di vaporosa pomice, sfidando le miriadi di zanzare che<br />

in estate, vero supplizio, infestano in Alaska tutti i luoghi in<br />

prossimità di pozze o laghetti.<br />

Il tempo, che ci aspettavamo piovigginoso e freddo, è invece<br />

da giorni eccezionalmente sereno. L’ambiente desertico contribuisce<br />

a mantenere gradevole la temperatura anche durante la<br />

notte.<br />

VERSo IL PASSo KATMAI ED IL NoVARuPTA<br />

L’indomani risaliamo al passo Katmai superando balze di rocce<br />

laviche, valloncelli ancora colmi di neve, distese uniformi di ceneri<br />

e pomice. Dalla sommità del passo si intravede in lontananza,<br />

immerso in una caligine scintillante, l’Oceano Pacifico. È da<br />

lì che, oltre la selvaggia isola di Kodiak, inizia l’arcipelago delle<br />

Aleutine, che con un lungo arco arriva a lambire le coste settentrionali<br />

della Siberia. Siamo poco al di sotto del circolo polare<br />

artico, e le giornate sono lunghissime. Il sole tramonta a sera ormai<br />

avanzata: possiamo così camminare a lungo e fare frequenti<br />

soste che ci permettono di recuperare la fatica del pesante zaino.<br />

Dopo cinque giorni giungiamo nei pressi del Novarupta. La forma<br />

di questo vulcano, attualmente “dormiente”, è del tutto particolare:<br />

una cupola di grigia e solida lava, alta circa 100 metri<br />

e con un diametro di oltre 400 metri, emerge come una caotica<br />

isola rocciosa dal più soffice terreno circostante. È un gigantesco<br />

“panettone” circondato per tutta la circonferenza da un più ampio<br />

cratere, in parte ancora colmo di neve invernale. L’eruzione<br />

che ha dato origine al Novarupta è stata la più potente del secolo<br />

XX ed ancor oggi, malgrado l’apparente riposo, non si può non<br />

rimanere impressionati dall’apocalittica visione.


LA RIVISTA 4 | 2010 9<br />

LA VITA NELLA VALLE DESERTICA<br />

Ma nonostante la natura vulcanica e desertica, nella valle non<br />

mancano forme di vita. Il terreno è spesso ricoperto da uno strato<br />

di licheni che formano un tappeto consistente e soffice al passaggio.<br />

Ciuffi di erba crescono sparsi tra i sassi di lava, mentre<br />

negli anfratti più umidi e riparati spuntano piccole genzianelle,<br />

epilobi dai fiori lilla, bianche campanule. Alla sera, passerotti<br />

dalle piume bianche e rossicce escono dai loro ripari saltellandoci<br />

d’intorno, mentre di tanto in tanto un’aquila o qualche altro<br />

rapace vola alto nel cielo, a caccia di scoiattoli od altri roditori<br />

che durante il giorno si rifugiano in piccole buche nel terreno.<br />

Qua e là incontriamo impronte ed escrementi degli stessi orsi,<br />

segno che anch’essi ogni tanto abbandonano la foresta e la boscaglia,<br />

loro habitat ideali, inoltrandosi nella valle per andare<br />

dietro ai loro istinti o bisogni.<br />

NEL SILENZIo DELLA NoTTE<br />

La brevissima notte è soffusa da una luce lattiginosa. Nella quiete<br />

notturna mi sporgo dalla mia tenda ad individuare l’impercettibile<br />

scorrere delle stelle e ad ascoltare il leggero alitare del<br />

vento. Ogni piccolo rumore pare pieno di echi. Alcuni massi<br />

cadono dal pendio instabile della montagna che ci sovrasta, trascinando<br />

con sé terra e pietre. Guardandomi d’intorno mi sembra<br />

di essere solo con l’universo, anche se tutti i miei amici<br />

dormono accampati qui d’intorno: Marybeth, Ann, Pat, Wayne,<br />

Andy, Doug, Liz…<br />

Rifletto su questa mia avventura in terra d’Alaska che sta volgendo<br />

al termine. Tornerò a casa con il ricordo di una compagnia<br />

con cui c’è massimo affiatamento e simpatia. Ed avrò a<br />

lungo negli occhi la visione di luoghi così particolari, spettatore<br />

di spazi che sfumano nell’infinito e testimone di eventi passati<br />

che si sono rivelati più grandi della mia immaginazione. «<br />

8» Le imponenti stratificazioni di ceneri, parzialmente erose dal fiume<br />

Lethe<br />

8


» alta quota<br />

il vulcano Muhavura<br />

Un quattromila senza neve, in cima all'uganda<br />

testo e foto Sara Pietrangeli<br />

La statale in uscita dalla capitale è una larga sterrata<br />

rosso vivo, contornata da verdi piantagioni di banane<br />

e lunghe file di persone a piedi. Di tanto in tanto ci si<br />

ritrova ad osservare il mondo obliquamente, per via della<br />

caratteristica forma a schiena d’asino delle strade. Distese di<br />

verdi colline fanno pensare che da qui Hemingway abbia tratto<br />

spunto per i suoi racconti, dall’Uganda, nel cuore dell’Africa.<br />

E poi, a sud dell’Equatore, il paesaggio cambia. La strada si<br />

inerpica tra fango ed eucalipti e raggiunge un passo che si<br />

affaccia a sorpresa su una vista magnifica: tre maestosi coni<br />

si stagliano sullo sfondo del panorama, innalzandosi da una<br />

vallata collinare ed omogenea. Sono i vulcani Muhavura (4127<br />

m), Mgahinga (3474 m) e Sabinyo (3634 m), la propaggine più<br />

a sud dei Monti Virunga, al confine tra Uganda, Rwanda e<br />

4 | 2010 10<br />

Congo. Sono famosi per essere l’habitat dei gorilla di montagna,<br />

ma il maggiore di essi, il Muhavura, offre anche la possibilità<br />

di compiere un’ascensione a 4mila metri di quota totalmente<br />

immersi nel verde.<br />

L’alba fa appena capolino, la temperatura è fresca. Ci<br />

muoviamo dalla nostra tenda che è ancora buio, ma qui il<br />

sole sorge (e tramonta) molto rapidamente, a breve farà la sua<br />

apparizione. Un vociare allegro ci arriva dalla strada vicina, già<br />

pullulante di persone che si mimetizzano nella notte e rischiano<br />

continuamente di essere investite.<br />

Alle 6.30 lasciamo il centro di Kisoro (1910 m s.l.m.) per<br />

raggiungere a sud ovest la stazione dei ranger del Mgahinga<br />

Gorilla National Park, a quota 2381 m.<br />

L’Uganda è un vasto altopiano situato a circa 1000 m sul<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 11<br />

2<br />

1» Il Vulcano Muhavura dal valico //<br />

2» La foresta vergine e i suoi muschi<br />

livello del mare e in questa parte del Paese, in particolare, in<br />

pochi minuti ci si trova già a quote ragguardevoli per l’Italia.<br />

L’ingresso al Parco è libero, ma per la salita al Muhavura è<br />

obbligatorio avvalersi dei ranger. Sbrighiamo, dunque, gli<br />

adempimenti formali (50 dollari a testa) e alle 7.30 partiamo<br />

scortati: un ranger-guida ci precede, un altro ci segue armato<br />

di kalaschnikov, entrambi galosce ai piedi. Il fucile desta in noi<br />

una certa inquietudine e i ranger pensano di tranquillizzarci<br />

spiegandoci che è una precauzione in caso di incontro con<br />

animali di grande taglia; ma siamo così vicini al Congo da<br />

capire al volo che in realtà il timore è di incontrare i guerriglieri<br />

d’oltre confine.<br />

Siamo gli unici climber, con pedule estive e niente bastoncini,<br />

al cospetto di una montagna che non può che essere ripida:<br />

dobbiamo salire e scendere in giornata 1800 m di dislivello,<br />

il che significa che il pendio tira su parecchio. I ranger ci<br />

forniscono, perciò, una lunga canna di bambù, che sarà la<br />

nostra migliore amica su un terreno nient’affatto semplice da<br />

calpestare.<br />

In poche sgambate le case di paglia e fango dei ranger al Base<br />

Camp diventano lontane; restano al limitare del terreno farmed,<br />

coltivato dalla popolazione locale fino alle pendici del vulcano.<br />

E mezz’ora più su del campo inizia la foresta vergine.<br />

Il cambio di paesaggio è spettacolare: ci troviamo immersi in<br />

un intrigo di vegetazione, che costituisce la prima delle fasce<br />

arboree del Muhavura; seguiranno la fascia dell’erica sopra i<br />

tremila metri, la fascia delle lobelie giganti e dei seneci sopra<br />

i 3800 m e infine la fascia sub-alpina, sulla vetta. Il sentiero<br />

sale agevole e ben tenuto, inerpicandosi tra alberi interamente<br />

ricoperti di muschio, tronchi e scalette scivolosi, rami barbuti e<br />

fiori dai colori fluorescenti. Il nostro pensiero corre ai pionieri<br />

dei secoli che furono, al loro coraggio e spirito di scoperta che<br />

li ha spinti ad avventurarsi in queste terre senza sapere cosa li<br />

aspettasse.<br />

Mentre su ghiacciaio la concentrazione è legata ai crepacci,<br />

qui è richiesta dal fango e dall’umidità, che rendono tutto<br />

sdrucciolevole e affascinante nello stesso tempo. La terra è<br />

nera, vulcanica, ma morbida come l’argilla, bagnata com’è<br />

dalle piogge. Le nuvole sembrano seguirci nella salita,<br />

avvicinandosi man mano che camminiamo, ma prima di<br />

avvolgerci nell’umidità ci lasciano godere del panorama: a Nord<br />

il Lago Mutanda, fra i campi coltivati, a Est, d’infilata, i due<br />

“fratelli” del Muhavura, con l’inconfondibile profilo a tre punte<br />

del Monte Sabinyo. E qualche momento dopo è meraviglia:<br />

ogni cosa è catturata dalle nuvole e paradossalmente da queste<br />

esaltata.<br />

Procediamo in un’atmosfera da foto ottocentesca, gli alberi<br />

sono avvolti da una bruma spettrale ma la visibilità non viene<br />

mai meno. Il panorama si chiude, eppure nonostante questo è


» alta quota<br />

tutto incredibilmente bello. A 3116 m la foresta lascia il posto<br />

all’erica, arbusti all’apparenza simili a quelli delle nostre isole,<br />

ma in realtà più grandi, come tutti gli alberi che incontriamo.<br />

Da quello che vediamo l’Africa è una terra dalle grandi<br />

dimensioni: gli spazi, la natura, il sorriso della gente sono<br />

grandi, più grandi che in Europa, e vivi, nient’affatto sopiti<br />

dalla “modernità”, che pure qui, a modo suo, è arrivata. Giganti<br />

sono davvero le lobelie e i seneci, che sono alberi veri e propri,<br />

mentre da noi sono piante da vaso.<br />

I passaggi da una zona di vegetazione all’altra sono segnati da<br />

discreti cartelli verdi ed offrono piazzole a mo’ di belvedere; le<br />

piccole capanne che troviamo a 3116 e 3855 ci sono utili per<br />

brevi soste e per ripararci dalla pioggia che nel frattempo ha<br />

cominciato a cadere. Man mano che ci avviciniamo ai 4mila<br />

avvertiamo anche una leggera stanchezza: per coprire i 735<br />

metri dalla partenza alla prima capanna impieghiamo 1 ora e<br />

20 minuti, ma per fare la stessa distanza (739 m di dislivello) ed<br />

arrivare alla seconda capanna ci vogliono 35 minuti in più (1<br />

ora e 55 minuti). Probabilmente la quota, unita alla lunghezza<br />

del percorso, si avverte anche qui, come sulle Alpi.<br />

Da questo momento in poi il sentiero si fa più ripido; aggiriamo<br />

sulla sinistra un costone frastagliato ricoperto di seneci e di qui<br />

raggiungiamo l’ultima scala della salita, una lunga verticale<br />

fila di gradoni appoggiata al pendio. Salirla sotto la pioggia e<br />

con le scarpe infangate è un bell’esercizio di equilibrio, tanto<br />

che per percorrere l’ultimo breve tratto prima della vetta (272<br />

m di dislivello) impieghiamo 55 minuti, un tempo spropositato!<br />

Ma ormai ci siamo. La parte sommitale del Muhavura è un<br />

verde alpeggio alpino disseminato di giovani lobelie e seneci;<br />

la pioggia diventa pesante fino a farsi grandine, ma non ci<br />

importa, pochi ultimi passi e siamo finalmente al cratere del<br />

vulcano.<br />

3<br />

4 | 2010 12<br />

Il piccolo specchio d’acqua al centro del cratere è picchiettato<br />

dalla pioggia. A 4127 m di quota all’Equatore non c’è ghiaccio,<br />

né fa freddo. Compiamo un giro intorno al lago e da un passo<br />

all’altro sconfiniamo in terra rwandese: da una parte è Uganda,<br />

dall’altra Rwanda; anche se non c’è visibilità, ci immaginiamo<br />

l’altra faccia del monte molto simile a quella ugandese. Una<br />

volta i due Stati erano parte di un’unica grande nazione, che<br />

riuniva decine di regni e popoli e inglobava l’intero Lago<br />

Vittoria. Curioso essere soli, gioire in due e non vedere anima<br />

viva in tutta la salita, ma è così; gli ugandesi non vanno in giro<br />

per monti a scopi turistici e i turisti veri oggi evidentemente<br />

sono tutti a cercare i gorilla. I nostri due accompagnatori<br />

riempono le borracce con acqua di lago, come facciamo noi<br />

con le cascate o i rivoli d’acqua in quota. Siamo in Africa, ma<br />

i gesti sono identici; la natura è diversa, ma in fondo la stessa,<br />

vivida e generosa come sulle nostre montagne.<br />

Vorremmo restare un po’ a goderci l’aria e il silenzio in quota,<br />

ma i ranger fanno cenno di ripartire, visto che il tempo non è<br />

un granchè e che la discesa sarà lunga e bagnata.<br />

Il percorso di rientro è un laborioso gioco di equilibrio su scale<br />

di legno a ritroso e pozze di fango in cui affondiamo fino<br />

al ginocchio. La canna di bambù è il nostro unico supporto<br />

e assolve pienamente alla sua funzione. Man mano che


LA RIVISTA 4 | 2010 13<br />

3» Fiori fluorescenti //<br />

4» La natura risplende //<br />

5» Il laghetto nel cratere //<br />

6» Lobelie //<br />

4<br />

5<br />

scendiamo di quota le nuvole si diradano un po’, consentendoci<br />

di ammirare ancora una volta il panorama davanti a noi. La luce<br />

del pomeriggio è diversa, qualche scorcio quasi irriconoscibile<br />

visto “da dietro”, double-face come le foglie d’ulivo. Sembra di<br />

camminare su un enorme fitto tappeto verde, a tratti infido per<br />

il fango, ma non pericoloso. Non incontriamo mai, né in salita<br />

né in discesa, difficoltà alpinistiche, ma questo non diminuisce<br />

la soddisfazione dell’aver salito questa vetta africana. La<br />

discesa sembra interminabile, per effetto certo della stanchezza,<br />

ma anche della sua difficoltà, maggiore rispetto alla salita. E<br />

pensare che la nostra guida arriva a salire e scendere da questa<br />

montagna anche 5 volte a settimana!<br />

I quadricipiti si fanno sentire e la mano destra è segnata da<br />

una piccola vescica all’impugnatura del bambù. In prossimità<br />

dell’arrivo ogni passo è a rischio scivolone per il fango e per<br />

la stanchezza delle gambe. Dopo 9 ore e mezza di escursione,<br />

alle 17 in punto, siamo finalmente di nuovo al campo base<br />

dei ranger, felici e pieni nello spirito. Ci sentiamo arricchiti da<br />

un’esperienza diversa, sia di montagna che umana: abbiamo<br />

risposto anche stavolta al richiamo della montagna e questo ci<br />

ha regalato, oltre alla bellezza della natura e alla soddisfazione<br />

della salita, anche l’occasione di approfondire natura e usanze<br />

del popolo ugandese con la nostra guida Alex. Il commiato<br />

dai ranger è quasi affettuoso, alla stregua di amici che si<br />

ripromettono di vedersi presto. Ed è così! Torneremo Uganda,<br />

anche se la nostra destinazione sarà più a Nord, verso il più<br />

grande gruppo montuoso d’Africa: i ghiacciai del Rwenzori,<br />

conosciuti anche come Monti della Luna. «<br />

6


» arrampicata<br />

WADI RuM, profondo rosso<br />

sulle rocce in Giordania, dove il buio arriva all'improvviso<br />

testo di Alessandro Superti - foto di Superti/Bonfanti/Bolognini<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 15<br />

2<br />

un vecchio dorme al Queen Alia Airport,<br />

l’auto sobbalza sulla strada dissestata.<br />

La chiesa ortodossa di Madaba è<br />

soverchiata dalla moschea, il muezzin presto<br />

farà sentire la sua voce. Due ore e mezza di<br />

sonno, tra zanzare resistenti all’inverno e canti<br />

lunari che squarciano la notte. Sveglia veloce,<br />

viaggio sonnolento lungo la Desert Higway,<br />

nome altisonante per una striscia di asfalto in<br />

un luogo senza storia. Finestrino abbassato,<br />

il tassista offre a Beppo una sorta di kebab,<br />

da cui riesco a mettermi al riparo. Arriviamo<br />

infreddoliti; ma non dovrebbe far caldo qui?<br />

Wadi Rum è accecato da una luce spettacolare.<br />

Black magic, la sabbia portata dal vento sulle<br />

cenge e l’ombra, presto. Due corsi e un niçoise<br />

routard già scendono dall’ultima doppia, sono<br />

arrivati sin qui guidando attraverso l’Italia,<br />

la Grecia, la Turchia e la Siria. Un viaggio<br />

interminabile per vedere quanto è davvero<br />

distante il deserto.<br />

“Ma quante vacanze avete, nel Midi?”, chiedo<br />

sorpreso. “Si lavora d’estate, così ora restano<br />

due mesi buoni”, rispondono in un italiano per<br />

nulla stentato.<br />

Fessure e ancora fessure, mentre le donne e i<br />

ragazzini del villaggio pascolano le capre. Un<br />

suono ritmato, di richiamo, mille e mille volte.<br />

Finché siamo laggiù anche noi; un camion<br />

cisterna sta facendo il pieno d’acqua, goccia<br />

dopo goccia. Ci vorrà un secolo. Invece poco<br />

dopo arriva ansimante fino al villaggio, lo<br />

guida un beduino senza età dall’aspetto fiero e<br />

imponente. Ci saluta ancora.<br />

“Sono arrivato fin qui, visto?”, sembrano dire<br />

i suoi occhi.<br />

Trasferimento al camp-site di Attayak, lontano<br />

dalla rest-house, dai latrati dei cani, dalle urla<br />

notturne e dalla polvere profanata dall’olio<br />

di motore e dalla plastica. Silenzio. Sempre<br />

silenzio. Luna e nuvole si rincorrono, il buio<br />

piomba improvviso, ma nella notte non servirà<br />

la frontale. Lungo girovagare nel luogo del<br />

nulla, ombelico e fine del mondo. Pace.<br />

Alba magica. Dune rosse e orme sulla<br />

sabbia, pareti infuocate dai primi raggi, un<br />

accampamento beduino semi abbandonato<br />

sotto il Jebel Raqa e un cane che cerca amicizia<br />

o, più semplicemente, cibo. Attayak ci porta<br />

all’imbocco del Rakabat; insistendo sono<br />

riuscito a fargli dire che da questa parte si fa<br />

prima. Resistenza psicologica a che due novelli<br />

1» Traverso finale su The Hadj //<br />

2» L'ambiente del Wadi Rum


» arrampicata giordania<br />

entrino così in fretta nel regno dei cieli?<br />

Riusciamo a convincerlo. Mondo primordiale<br />

di rocce e sabbia; la vegetazione strappa<br />

la vita alla siccità. Marmitte e wadi secchi,<br />

rocce tafonate ovunque. The beauty, la via<br />

dei sogni. Ma Beppo ha dimenticato le scarpe.<br />

Sale di forza bruta, tutto sulle braccia, tiro per<br />

tiro, fino in fondo.<br />

“Lo puoi fare solo per un altro, per te stesso<br />

non potresti mai”.<br />

È un susseguirsi di dune pietrificate dal<br />

sole e dal vento, nel mare rosso di tutti i<br />

wadi che si incontrano come i letti secchi di<br />

fiumi immaginari. Poi arrivano altre cordate<br />

a spazzare via l’incanto; un gran vociare,<br />

spintonarsi in sosta e ignorarsi. Non è questa<br />

la bellezza ricercata e nemmeno la troviamo<br />

giù, nel disgregato Kharazek, di nuovo in<br />

solitudine.<br />

La pioggia nel deserto, la vita rinasce. Gli<br />

animali frugano ovunque, anche nel campo.<br />

La volpe ci visita, lascia le tracce nella sabbia<br />

bagnata ma non tocca il cibo avanzato e<br />

buttato su una pietra da Tahat. Quello è<br />

per i corvi. Riconoscere le mille orme è un<br />

gioco da indiani. La zona dietro il campo è<br />

un piccolo universo diafano: i ruderi della<br />

casa di Lawrence, le dune rosse zigrinate dal<br />

vento. Il tempo si fa incerto, improvvisa, nella<br />

discesa da runner up la tempesta di sabbia<br />

avvolge tutto. È un rumore assordante che<br />

acceca, annienta. Non c’è più nulla, solo il<br />

vento sprezzante. Poi pioggia, ancora pioggia,<br />

il riparo sotto le rocce, le gocce sulle foglie<br />

verdi dell’inverno. Domani la vita sarà più<br />

forte. Si cammina inseguiti dagli acquazzoni,<br />

ogni sasso è un buon riparo, se il vento<br />

3<br />

4<br />

soffia dall’altra parte. Due bambini beduini<br />

mi raggiungono sopra il piccolo arco, piedi<br />

nudi, molta dignità, un saluto. Non ho nulla<br />

per loro, una carezza e ripartono, la jeep li<br />

aspetta. Ma nulla hanno chiesto.<br />

Il canyon del Khazali è pieno di turisti, siamo<br />

piombati in un altro mondo, ma dura poco.<br />

Dopo venti metri è pieno d’acqua e altra ne<br />

scende dal cielo. La gente fugge la roccia e<br />

la pioggia. Felci e alberi al fondo: il giardino<br />

delle ninfee. Smette.<br />

“Andiamo a vedere l’altro lato?” – suggerisco<br />

a Beppo.<br />

Così si va avanti, un tratto e poi un altro, finché<br />

non conviene più tornare dalla stessa parte.<br />

Almeno lo vogliamo credere. A ogni svolta<br />

è un paesaggio diverso; il verde della nuova<br />

pioggia, un triangolo sembra quasi l’Irlanda.<br />

Un po’ di inquietudine nel cercare la direzione,<br />

è un labirinto di rocce e sabbie silenti. Poi un<br />

gruppo di beduini sui dromedari.<br />

“Jebel Raqa?” - chiedo per conferma, indicando<br />

la direzione.<br />

“Yes”. Secco e asciutto. Straniero, impara da te<br />

l’arte di muoverti nel deserto.<br />

Lunghi tratti nel nulla di un mondo che basta<br />

a se stesso, montoni di rocce bianche. Poco<br />

prima che ricominci a piovere finalmente il<br />

campo.<br />

5


LA RIVISTA 4 | 2010 17<br />

3» Arriva la pioggia //<br />

4» Ultimo tiro di<br />

Wisdom Pillar //<br />

5» L'offwidth di The<br />

Beauty<br />

Ancora pioggia, la notte. E vento forte,<br />

che rovescia i teli delle tende. Nessuno se<br />

ne preoccupa, qui la pioggia è un evento<br />

straordinario, il sole riparerà.<br />

Freddo. Con poca convinzione ci facciamo<br />

portare nel Barrah Canyon. Stretta striscia<br />

di sabbia nel bianco da un lato e nel rosso<br />

dall’altro. Qualche pozza, evitata con cura. Il<br />

fuoristrada potrebbe impantanarsi. Il cielo si<br />

fa azzurrognolo, le rocce colano un po’, ma<br />

sotto Merlins’ ci si deve fermare per forza,<br />

incantati dalla linea. Improvvisamente la<br />

giornata prende corpo. Non passa nessuno,<br />

la pioggia ha mandato via i turisti. Taglio<br />

retta, magico, ma faticoso. Il materiale finisce<br />

sempre troppo presto, la fessura è infinita.<br />

Infine arrivano i nostri beduini, mentre<br />

stiamo scendendo, con una tempestività che<br />

ha dell’empatico. Tchai, il thè nel deserto;<br />

insieme, coricati nella polvere dorata che non<br />

offende. Quattro passi a piedi al termine del<br />

canyon, naso all’insù e poi l’incontro con un<br />

gruppo di dromedari e il loro custode.<br />

Ancora nuvole, si va verso sud. Paesaggio<br />

incantato, labirinti di rocce biancastre<br />

ovunque, accecanti. Nessuno, se non l’aquila<br />

in alto, a scrutare gli scarsi movimenti.<br />

Improvvisa la lavagna rosso fuoco del<br />

Jebel Suweibit, solcata dalla fessura. La via.<br />

Saliamo entusiasti, a metà si alza il vento.<br />

Dal pianoro sabbioso al confine con l’Arabia<br />

Saudita si alzano nuvolette inquietanti.<br />

Il vento rinforza, bisogna uscire in fretta.<br />

Perché la discesa è un altro labirinto delicato,<br />

tra cristalli corrosi dal tempo e giganteschi<br />

blocchi mobili. Dal peso specifico irrilevante.<br />

Una svolta e arriva Youssouf, ha fretta,<br />

arriva la tempesta e al campo sono arrivati<br />

many guests. È la prima volta, dopo tanti<br />

giorni di piacevole solitudine. Il vento ha<br />

cancellato tutto, la pista non esiste. Cielo<br />

plumbeo, sembra potersi scatenare l’inferno,<br />

ma non succede nulla, è solo un avviso di chi<br />

comanda.<br />

“Inshallah bukra no rain” - ripete Tahat<br />

divertito - insistendo su quell’Inshallah!<br />

Con la sirena verso il villaggio, Youssouf<br />

schiaccia sul pedale e sul pulsante, poi si gira<br />

e il suo sguardo è quello di mio figlio quando<br />

sa d’averla combinata e si gode la scena. È<br />

un bambino col giocattolo in mano. Wadi<br />

accesso<br />

Wadi Rum si raggiunge normalmente<br />

dall’aeroporto di Amman lungo la<br />

desert highway (300 Km) oppure da<br />

Aqaba. l’ingresso all’area protetta<br />

avviene previo pagamento di ticket<br />

di ingresso (4jd nel 2010), senza<br />

limite di permanenza.<br />

logistica<br />

Molte cordate fanno base alla Rest<br />

house, all’ingresso del villaggio. la<br />

soluzione migliore tuttavia, sia sotto<br />

un profilo ambientale che logistico,<br />

è di scegliere uno dei campi<br />

disseminati nel deserto e gestiti dai<br />

beduini. la nostra scelta è caduta<br />

su quello di Attayak Ali, collocato<br />

presso il jebel Raqa, non lontano<br />

dai resti della lawrence's house.<br />

Mail: info@bedouinroads.com - tel.<br />

0795,899723<br />

bibliografia<br />

t. howard, treks and climb in Wadi<br />

Rum – Ed. cicerone 1997 (4^ ristampa<br />

2010)


» arrampicata giordania<br />

Shelaali, nessun suono può essere più dolce<br />

e suadente delle sirene dell’acqua. La cascata<br />

non c’è, capita di rado, ma la vegetazione<br />

sì. Orti e giardini, donne che lavorano e<br />

pascolano capre ostinatamente disubbidienti.<br />

Rocce pesanti, basalti e graniti frantumati<br />

dal loro peso. Canyon stretti e tetri, un<br />

lungo e tortuoso avvicinamento al Doodle<br />

Pillar, scelto per una giornata interlocutoria.<br />

Ma la roccia è sabbia solidificata, qui più<br />

che altrove, fragile e inconsistente come la<br />

nostra sicurezza. Stress, dall’inizio alla fine.<br />

Le crisps descritte da Howard sembrano<br />

thin and dangerous piuttosto che curious!<br />

Lungo girovagare per muri friabili, finché il<br />

buonsenso non ha la meglio e si rientra. La<br />

scoperta ci costa una corda, una litigata e una<br />

manciata di materiale abbandonato. Ma saper<br />

tornare indietro non è l’arte dei saggi?<br />

“Il Doodle è stato più forte di voi?”- ironizza<br />

Youssouf.<br />

No, penso leggero tra me e me, è stata più<br />

forte la vita.<br />

“Too early in the morning!” Anche se per<br />

Attayak è usuale alzarsi presto quando va in<br />

giro hunting ibex; questa è un levataccia. È<br />

più stordito di noi, che pure facciamo tutti i<br />

movimenti come automi, dal campo all’attacco<br />

e poi su, fino al termine del pilastro della<br />

saggezza, senza scambiare una parola, per ore,<br />

in un silenzio irreale. Tensione per la salita, o<br />

forse c’è dell’altro. L’inizio sembra la fotocopia<br />

del Doodle. Errori a raffica, si girovaga<br />

per canali marci, che improvvisamente<br />

diventano dei cul de sac, da cui bisogna<br />

retrocedere. Alla fine se ne esce, da questo<br />

avancorpo maldestro. Saliamo e traversiamo<br />

6<br />

di continuo. Qualche piccolo segno a dirci che<br />

il cammino è corretto, poi nulla, incertezza<br />

e senso di smarrimento. La fatica cresce. A<br />

testa bassa si supera un momentaccio fino al<br />

balcone sospeso, preambolo dell’uscita. Sento<br />

Youssouf che suona le sirena della Toyota, mi<br />

immagino che ci stia guardando col binocolo.<br />

Esplode un delirio di colori ed emozioni. Ma<br />

ci attende il lungo labirinto di domes, di<br />

giardini incastonati tra le zampe del gigante,<br />

l’altopiano evanescente che si tuffa nel Siq,<br />

il mondo degli inferi, tetro e minaccioso. Yin<br />

e yang.<br />

La corde finiscono nell’acqua delle pozze e<br />

poi ci finiamo anche noi.<br />

“You did it?": sorpreso e contento Attayak<br />

ci vede spuntare sull’uscio di casa quasi<br />

all’imbrunire. Te, acqua e poi il campo, l’attesa<br />

per la cena. Tahat aspetta l’arrivo di altri<br />

ospiti prima di sfornare l’ennesima succulenta<br />

variante del tris riso-pollo-verdure.<br />

“Youssouf, qual è la zona più bella del Rum?”,<br />

chiedo la sera attorno al fuoco; “Quella delle<br />

sabbie rosse, ci andavo da piccolo con mio<br />

padre, mi è rimasta nel cuore”.<br />

Sulle carte Burdah sembra lontano, invece<br />

è a poco più di un’ora dal campo, a piedi.<br />

Rischiamo di tornarci così, la sera, nel silenzio<br />

cosmico del crepuscolo, per esserci attardati<br />

prima sulla cima, poi sull’arco e infine lungo<br />

4 | 2010 18


LA RIVISTA 4 | 2010 19<br />

7<br />

8<br />

la discesa tormentata. Ma arriva la Toyota e<br />

una lavata di capo.<br />

“Non ci si muove mai dal punto di ritrovo!”<br />

Giochiamo coi beduini. Stando su una gamba<br />

sola bisogna cercare di afferrare con la<br />

bocca un accendino ficcato nella sabbia. Poi<br />

un complesso gioco coi sassi, una versione<br />

locale della dama o qualcosa del genere.<br />

Ci insegnano una frase nella loro lingua<br />

incomprensibile: ce la fanno ripetere, ridono<br />

e la registrano. Sono sicuro che non è una<br />

sconcezza, piuttosto qualche facezia riferita<br />

all’ambito pastorale. Come per i touareg,<br />

non appartengono a questa cultura la battuta<br />

scurrile o il doppio senso.<br />

Poi arriva l’alba più bella. Luce radente.<br />

Arrivo simbolicamente in cima alla grande<br />

duna rossa insieme al primo raggio di sole.<br />

Mi siedo e la tocco, la sabbia raffreddata dalla<br />

notte. A lungo. Poi cammino attorno al Raqa,<br />

in uno scenario surreale che mi fa piangere.<br />

Uccellini bianchi e neri cinguettano, la volpe<br />

lascia le tracce fino alla tana. Una duna ha<br />

le striature dritte verso il cielo, la macchina<br />

fotografica s’inceppa, perché non si può<br />

fotografare la perfezione.<br />

Ora di commiati. Da Tahat, il fido cuoco di<br />

origini sudanesi.<br />

“My friends” - diceva sottovoce la sera<br />

riservandoci il pezzo di pollo più succulento.<br />

“My friends!” - ripete regalandoci un<br />

miscuglio di timo e sesamo -. Ci ha ribattezzati<br />

Abu Ahmed e Abu Khalil. “Domani, quando<br />

ve ne sarete andati, mi verrà il mal di pancia<br />

- mima con le sue manone possenti - e non<br />

verrò più qui a cucinare per altri. Voglio stare<br />

al villaggio a dormire e nient’altro”. Ridiamo.<br />

Ultimi calci al pallone sotto un sole cocente.<br />

L’inverno sta finendo.<br />

Ha l’onore di accompagnarci per l’ultima<br />

volta al villaggio sulla sua esangue Toyota.<br />

Restiamo quasi subito a piedi, la pompa<br />

della benzina fa i capricci, anche perché di<br />

benzina non ce n’è più. Arrivano subito i<br />

soccorsi, nel deserto si accorre appena si vede<br />

un’auto ferma. Tahat è stizzito, proprio oggi<br />

gli doveva capitare! Ma in dieci minuti siamo<br />

di nuovo in moto, fa rombare il motore e<br />

solleva nuvole di polvere. Abbracci ripetuti,<br />

commossi.<br />

“Tahat, non andare a Roma a fare il cuoco,<br />

resta qui nel paradiso!”<br />

Abbracci col francese girovago, che ritroviamo<br />

nel villaggio e tra un mese sarà in un altro<br />

deserto, quello di ghiaccio della Groenlandia.<br />

E, più sobri, con Attayak: dopotutto lui è pur<br />

sempre il capo. «<br />

9<br />

6» Su Runner Up //<br />

7» Rosso ovunque attorno a The Hadj //<br />

8» Tiri alti di Black Magic //<br />

9» Uscita dal Wisdom Pillar<br />

le vie ripetute<br />

DARK TOWER (1200m) via black magic - 9l, v+<br />

(W.colonna, A.howard, d.taylor, A.baker, M.Shaw<br />

1985)<br />

JEBEL UM EJIL (1431 m) via the beauty -<br />

6l+200m, vII (W.colonna, A.baker – 1985)<br />

JEBEL AL M’ZAIGEH (1200 m) via Runner up –<br />

4l, vI- (W.colonna, A.howard – 1987)<br />

BARRAH CANYON (1200 m) via Merlin’s wand -<br />

5l, vII (W.colonna, A. howard – 1986)<br />

JEBEL SUWEIBIT GHARBIA (1250 m) the hadj -<br />

9l, vI- (A.howard, M.Shaw, d.taylor – 1995)<br />

DOODLE PILLAR (1400 m) via Rum doodle - 12l,<br />

v (W.colonna, A.howard – 1986)<br />

HAMMAD’S DOME (1600 m) – via Wisdom pillar<br />

- 14l, vI+/Ao (W.colonna, A.howard, d.taylor<br />

– 1986)<br />

JEBEL BURDAH (1574 m) orange sunshine 11l,<br />

Iv (Shaw,howard,taylor, colonna, baker 1985)<br />

JEBEL RUM – pilastri basali (1000 m) via Goldfinger<br />

- 5l, vI (W.colonna, G.claye – 1986)


» l'intervista<br />

Testo di stefano aurighi - illustrazione di marco camandona<br />

marco albino ferrari<br />

a tu per tu con l'autore de "la sposa dell'aria"<br />

voi li leggete i risvolti di copertina quando comperate<br />

un romanzo? Nel caso de “La sposa dell’aria”, l’ultima<br />

fatica editoriale di Marco Albino Ferrari, lo dovete fare.<br />

L’ultima frase, illuminante, condensa il senso più profondo della<br />

scrittura di Ferrari: “Il romanzo di chi la montagna l’ha vissuta,<br />

scalata e raccontata.”<br />

Ed è proprio così: Marco Albino Ferrari, classe 1965, scrittore,<br />

giornalista, alpinista, fondatore e direttore di Meridiani Montagne,<br />

la montagna l’ha vissuta – e continua a viverla – in tutti gli<br />

aspetti, mettendo in gioco ogni volta tutto sé stesso: la passione<br />

per l’alpinismo, lo scrupolo del giornalista, l’esplorazione intellettuale<br />

della scrittura.<br />

E la montagna che esce dalle sue pagine non è mai parziale,<br />

ma si offre in tutti gli aspetti, da quello antropologico a quello<br />

naturalistico, passando per quello storico, sociologico e – naturalmente<br />

– alpinistico. Che si tratti di un romanzo o di un<br />

saggio, di una ricerca o di una biografia, di un articolo o di un<br />

reportage, l’ambiente montano viene restituito al lettore come<br />

4 | 2010 20<br />

parte integrante delle vicende che vengono narrate. Perché la<br />

montagna, negli scritti di Ferrari, non corre mai il rischio delle<br />

descrizioni di maniera, ma ha una propria dignità, inattaccabile<br />

e fiera.<br />

Non è esagerato, quindi, sostenere che Ferrari è uno tra i pochissimi<br />

autori che hanno “sdoganato” la montagna, facendola<br />

uscire dal ristretto – per quanto nobile – circuito editoriale di<br />

settore e degli “addetti ai lavori”, per approdare ai lidi più vasti<br />

ed universali dell’editoria generalista, come nel caso di Einaudi<br />

e Feltrinelli. Il suo ultimo romanzo, “La sposa dell’aria”, ne è la<br />

conferma. Ma è tutto il percorso letterario di Ferrari a confermare<br />

questa vocazione.<br />

Ferrari, lei con questo libro irrompe definitivamente nel grande<br />

circuito della narrativa “per tutti”. La storia, senza svelare<br />

il mistero che è racchiuso nel finale, è di quelle che possono<br />

emozionare gli amanti della montagna, ma anche i fan delle<br />

storie in cui la passione dirige le danze…<br />

«Anche se ha dell’incredibile, quella di Annetta Demichelis e<br />

del pallone “Stella” è una storia realmente accaduta, alla fine<br />

dell’Ottocento sulle montagne di Torino. Tutto vero fino al fatale<br />

epilogo. Sono partito da un vecchio ex voto, un olio su tela 50<br />

x 70 esposto al Santuario della Consolata di Torino. Il quadro<br />

raffigura la scena dello schianto del pallone sulla cima della Bessanese,<br />

lasciando intendere gli assurdi sviluppi che ne sarebbero<br />

seguiti. Consultando poi i giornali dell’epoca sono riemerse alcune<br />

figurine sbiadite dal tempo, i protagonisti della vicenda, che<br />

all’epoca erano diventati veri e propri eroi, come la sensualissima<br />

Annetta. Con mio stupore ne è uscita una storia travolgente.»<br />

In più occasioni ha sottolineato come lo sguardo dell’uomo<br />

verso le montagne si modifichi nel tempo. L’aura negativa,<br />

quasi maledetta, che permeava l’idea stessa di montagna fino<br />

a fine ‘700, ha lasciato il passo ad una visione “illuminata”,<br />

che ha messo l’ambiente montano tra gli elementi positivi nella<br />

vita dell’uomo.<br />

«Mi chiedo: perché le montagne sono apparse per secoli come il<br />

rifugio di spiriti demoniaci? Perché non avevano nomi se non<br />

alcune declinazioni della radice latina maledictus (Mont Maudit,<br />

Montagne Maudite, Maledìa, Marguareis, Maladecia)? E ancora:<br />

perché oggi le stesse montagne sono così amate e siamo invece<br />

disposti a rischiare la vita per toccarne la sommità? Le montagne,<br />

è evidente, sono sempre le stesse, ciò che cambia è il nostro<br />

punto di vista. Tutto ciò mi fa dire che la bellezza, oppure lo sgomento<br />

e la rimozione, stanno dentro uno sguardo condizionato


LA RIVISTA 4 | 2010 21<br />

» "La sposa dell'aria",<br />

edito da Feltrinelli,<br />

l'ultimo libro di Marco<br />

Albino Ferrari.<br />

dalla cultura del momento.<br />

Le montagne<br />

sono immagini vuote<br />

(o meglio simboli),<br />

sulle quali proiettiamo<br />

le nostre aspettative.<br />

Sono appunto “simboli”<br />

cioè luoghi dove il<br />

materiale e l’immateriale<br />

convivono.»<br />

Facciamo un salto indietro<br />

nel tempo. Nel<br />

1999, per Corbaccio,<br />

esce il suo libro “Il<br />

vuoto alle spalle. Storia<br />

di Ettore Castiglioni”.<br />

Un grande alpinista,<br />

partigiano, morto sul ghiacciaio del Forno ai confini con<br />

la Svizzera. E la montagna non è solo lo sfondo naturale delle<br />

vicende narrate, ma ha un ruolo tragicamente determinante.<br />

«La storia di Ettore Castiglioni è la parabola di un misantropo<br />

riscattato. Castiglioni era un dandy, milanese, altolocato, colto<br />

e solitario, che aveva tagliato i ponti con il mondo. Andava in<br />

montagna per fuggire dalla mediocrità che lo circondava (siamo<br />

negli anni Trenta), criticando aspramente la retorica vitalistica<br />

che esaltava gli alpinisti indottrinati dal regime. Poi la svolta.<br />

Quando vide che grazie alle sue doti di alpinista avrebbe potuto<br />

dare la vita a chi fuggiva dall’Italia sconvolta della guerra, iniziò<br />

ad amare gli altri. Le stesse montagne che fino a quel momento<br />

rappresentavano la fuga dagli uomini, erano diventate la soglia<br />

oltre la quale si poteva dare la vita agli uomini. Non si è risparmiato.<br />

Ed è morto.»<br />

Nel 2002, sempre per Corbaccio, pubblica “Terraferma”. Anche<br />

in questo caso, è la natura a determinare le coordinate di una<br />

vicenda storica ambientata nella Terra del Fuoco.<br />

«A metà Ottocento la Terra del Fuoco era ancora un luogo da<br />

“evangelizzare”. Ci avevano messo gli occhi anche i missionari<br />

anglicani. Partiti da Plymouth e attraversato l’oceano, approcciavano<br />

le popolazioni Yagan brandendo la Bibbia e alzando<br />

canti sacri nella speranza di essere accolti. Venivano sterminati.<br />

A ondate. Ma a quei missionari il rischio non faceva paura, anzi<br />

pensavano che la “bella morte”, lontano da casa, «cantando inni<br />

al Signore» avrebbe dato senso ultimo alla loro esistenza. Erano<br />

estremisti romantici. Riuscì nell’intento un missionario sui generis,<br />

Thomas Bridges, che prima di tentare il passo decise di imparare<br />

lingua e costumi locali. Ebbe perciò un approccio morbido.<br />

Alla fine venne accettato, ma il contatto fu fatale per gli stessi<br />

Yagan. Thomas Bridges portava con se i germi dell’influenza che<br />

avrebbero decimato la popolazione vulnerabile alla nuova malattia.<br />

“Terraferma” è la storia di un dialogo impossibile.»<br />

Naturalmente l’alpinismo ha un ruolo centrale nella sua<br />

avventura letteraria. Nel caso di “Frêney 1961 – Tragedia sul<br />

Monte Bianco” (Corbaccio), la montagna mette sul piatto tutta<br />

la potenza degli elementi naturali, di fronte ai quali l’uomo<br />

è poca cosa.<br />

«“Frêney 1961” uscì per la prima volta nel 1996 presso l’editore<br />

Vivalda. E continua ad essere ristampato (l’anno scorso da Corbaccio).<br />

Si può dire che sia ormai diventato un classico della letteratura<br />

di montagna. La forza del libro sta nella storia, una storia<br />

esemplare che ci restituisce il senso dell’alpinismo classico nei suoi<br />

ultimi bagliori. Una storia di cinquant’anni fa, ma che ci sembra<br />

ancora più lontana, persa in un’Italia ingenua, l’Italia del Boom<br />

economico, che rimase incollata alla radio per conoscere gli esiti di<br />

ciò che accadeva sul Monte Bianco.»<br />

In “Dolomiti, rocce e fantasmi” (Excelsior 1881 editore), indaga<br />

sulla perdita di un mondo che non potrà mai più tornare e propone<br />

il tema del “tempo circolare”.<br />

«Nelle società tradizionali delle Alpi ciò che scandiva il tempo era il<br />

calendario liturgico: un vero Codice dell’Ordine. E i giorni vivevano<br />

come ricorrenze, in un immutabile ciclo dell’esistenza. Al centro<br />

c’era l’idea del tempo circolare: ogni giorno gemello al giorno corrispondente<br />

dell’anno precedente, scandito dal nome di un santo.<br />

In questa idea del tempo, non come flusso di un costante progresso<br />

ma di una circolarità che tende a ripetersi sempre uguale, è posta<br />

in primo piano la ricerca di stabilità che sfocia, per esempio, nella<br />

conservazione di un equilibrio duraturo con la montagna. Quello<br />

non è un tempo che corre come il nostro, ma è un tempo che ricorre.<br />

Penso però che capire questo concetto aiuti a vedere la montagna<br />

come è stata per secoli: chi ha raccontato bene tutto questo è<br />

l’etnografo autodidatta Giuseppe Šebesta, fondatore del Museo di<br />

San Michele all’Adige.»<br />

Perché la narrativa che ha per protagonista la montagna fatica<br />

a trovare lettori che non siano per forza appassionati di<br />

alpinismo?<br />

«Parliamo di un genere spesso autoreferenziale. C’è una produzione<br />

molto vasta di libri scritti da alpinisti che sentono l’urgenza di raccontarsi,<br />

scrivere diventa per loro quasi una necessità: così, però, sì<br />

rischia di scrivere più per sé stessi che per il lettore.»<br />

Come ogni alpinista, anche lei ha una personalissima hit parade<br />

delle montagne preferite. Nel suo libro “In viaggio sulle Alpi.<br />

Luoghi e storie d’alta quota” (Einaudi) traccia il ritratto delle<br />

dieci vette più importanti dell’arco alpino.<br />

«Come ho detto mi interessa la simbologia legata alla montagna.<br />

Ogni montagna è portatrice di qualcos’altro, qualcosa che sta fuori<br />

da essa, che noi le attribuiamo.»<br />

Nei suoi libri la visione che i personaggi hanno della montagna<br />

è duplice: di attrazione o di repulsione. È una metafora per<br />

la vita?<br />

«Questa duplicità tra attrazione e repulsione è alla base del sentimento<br />

moderno che ci lega alla montagna e in generale a tutti<br />

i luoghi selvaggi, oceani, vulcani, deserti. È l’estetica del sublime.<br />

L’alta montagna è inospitale, ostile, evoca il pericolo, eppure<br />

la guardiamo sedotti. Ci fa paura ma la cerchiamo. In questo senso<br />

la montagna diventa il mezzo che ci fa scoprire l’ebbrezza di perdersi<br />

nel tutto.» «


» TREKKINg Dolomiti<br />

MALghE IN VAL ZoLDANA<br />

alla riscoperta di antichi sentieri e luoghi di grande fascino<br />

Testo e foto di andrea rizzato<br />

Nelle Dolomiti Venete, dal dopoguerra, si è assistito<br />

a un progressivo abbandono delle secolari attività<br />

di alpeggio; le principali motivazioni, oltre alla<br />

conversione industriale iniziata in quegli anni, erano legate<br />

al territorio, mediamente impervio e roccioso e ai disagevoli<br />

e lunghi accessi dai fondovalle, che rendevano l’allevamento<br />

in alta montagna un’attività particolarmente faticosa e poco<br />

redditizia. La Val Zoldana e le sue diramazioni laterali sono<br />

zone in cui i dislivelli e l’estensione delle foreste hanno<br />

richiesto grandissimi sforzi e sacrifici per strappare il pascolo<br />

alla montagna e oggi l’eredità del passato è un grande<br />

4 | 2010 22<br />

patrimonio, sotto forma di ardite mulattiere, sentieri, viaz di<br />

caccia, manufatti e casere. Questi sono ora in gran parte fruibili<br />

dagli escursionisti, grazie anche a un rinnovato interesse per le<br />

montagne più neglette e selvagge, la cui attrattiva è data dalla<br />

naturale lontananza dai centri abitati, dai circuiti escursionistici<br />

più trafficati e dal turismo di massa, che ha invece interessato<br />

molte altre vallate dolomitiche.<br />

In questa selezione sono presentati gli accessi ad alcune delle<br />

vecchie malghe e qualche escursione nei pressi; le gite hanno<br />

grande valore ambientale e panoramico e sono mete appaganti<br />

e remunerative per la bellezza delle zone in cui si svolgono. «<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 23<br />

2<br />

CASÈRA DE MEgNA<br />

1407 m<br />

Sorge su uno sperone erboso, superbamente<br />

panoramico verso la val del<br />

Maè e su quella del Piave fino a longaróne.<br />

Il notevole dislivello dal fondovalle<br />

e i ripidi sentieri di accesso<br />

la rendono una meta senz’altro attraente<br />

per i buoni escursionisti, alla<br />

ricerca di percorsi alternativi e poco<br />

frequentati.<br />

Accesso<br />

da Soffranco 568 m. Sentiero<br />

inizialmente senza segnavia, quindi<br />

rari segni cAI 573; ore 1.30. E Ripido<br />

accesso su mulattiera, tutto su<br />

boschi rigogliosi e con pendenze a<br />

volte molto sostenute.<br />

dal piccolo nucleo di case di<br />

Soffranco, situato nella bassa val<br />

zoldana pochi chilometri a nord<br />

di longaróne, si segue la stradina<br />

asfaltata che si inoltra in val del<br />

Grìsol. circa 500 metri oltre il paese,<br />

si nota sulla destra lo stacco di un<br />

evidente sentiero (segni rossi su un<br />

muretto in cemento, ma nessuna<br />

segnalazione), dove è possibile<br />

anche parcheggiare lungo la strada.<br />

qui prende avvio la ripida salita,<br />

inizialmente su stretta mulattiera<br />

che si inerpica su coste boscose e<br />

tratti rocciosi. Superato il piccolo<br />

capitello dedicato a Sant’Antonio,<br />

si guadagna una zona meno erta,<br />

dove si attraversa il solco creato<br />

con la costruzione della teleferica di<br />

servizio alla malga. oltre questa, si<br />

procede su bosco maestoso e si esce<br />

alla casèra de Megna.<br />

Escursione<br />

Al nono de Megna 2034 m. traccia<br />

nell’erba senza alcun segnavia,<br />

non sempre evidente; ore 1.30. EE<br />

Escursione stupenda e del massimo<br />

interesse ambientale e panoramico,<br />

in zone solitarie e selvagge, sebbene<br />

su tracce facili e sicure, con vedute<br />

impressionanti sul versante settentrionale<br />

della Schiara e del Pèlf. Il<br />

percorso è consigliabile agli escursionisti<br />

allenati e abituati a luoghi<br />

impervi. vista l’assenza di segnavia<br />

e il notevole isolamento, la salita<br />

è sicura solo con buone condizioni<br />

meteorologiche e di visibilità.<br />

dalla casèra si sale al cocuzzolo<br />

sovrastante, dove si trova la casèra<br />

alta e una croce, in bella posizione<br />

dominante. da qui si resta in quota<br />

e si segue una traccia non segnalata<br />

che presto si inoltra nel bosco,<br />

attraversando alcuni valloncelli e<br />

raggiungendo un promontorio erboso,<br />

proteso verso le insondabili<br />

profondità della val del Grìsol, di<br />

fronte alle pareti di Pèlf, Schiara e<br />

cime del Piovón. da questo inatteso<br />

e straordinario belvedere, si scavalca<br />

un promontorio e si passa alti sopra<br />

la val costa dei nass, salendo in breve<br />

ai ruderi della casèra delle Pecore,<br />

sottostante la Palazza de Megna. Si<br />

rimonta quindi tutto il pascolo per<br />

traccia decisamente inerbata (attenzione<br />

con scarsa visibilità) e si tende<br />

a sinistra, scavalcando un costone,<br />

da dove si accede ad una valletta<br />

con radi larici, cosparsa di resti<br />

di ricoveri per le pecore. da qui si<br />

vede chiaramente il nono de Megna,<br />

cui si tende con un lungo traverso<br />

» ITINERARI<br />

ALCuNE PRoPoSTE<br />

di seguito l'autore propone alcuni<br />

itinerari che hanno per oggetto le<br />

malghe venete. tra viaz e paesaggi<br />

alpestri è possibile scorgere i segni del<br />

rapporto tra uomo e territorio che in<br />

questa parte d'italia ha assunto queste<br />

forme distintive.<br />

ascendente sottocresta per verdi e<br />

roccette, fino ad attaccarne la sommità<br />

nell’unico punto accessibile. Si<br />

perviene quindi sulla vetta con qualche<br />

tratto delicato. chi volesse abbreviare<br />

l’escursione, potrà accontentarsi<br />

di salire direttamente sulla<br />

cresta, percorrendo integralmente la<br />

valletta con i resti di ricoveri, dove<br />

la vista non è di molto inferiore rispetto<br />

a quella dal più elevato nono<br />

de Megna.<br />

CASÈRA DI CARPENÌA<br />

1628 m<br />

CASÈRA DI CoRNÌA<br />

1733 m<br />

Sono le principali casère nel versante<br />

meridionale del Prampèr e degli<br />

Spìz de Mezzodì, assieme alla più<br />

piccola casèra de la cazéta 1585 m,<br />

oramai pressoché in rovina.<br />

la casèra di carpenìa si adagia su un<br />

colle caratterizzato da larici secola-<br />

ri, con aperte vedute sul bosconero<br />

e sulle cime del col nudo aldilà del<br />

Piave. Il nome è legato ad uno splendido<br />

esemplare di carpino che si eleva<br />

a pochi passi e all’adiacente colle,<br />

per gran parte ricoperto appunto da<br />

fitte distese di carpini.<br />

la casèra di cornìa si trova nel vasto<br />

alpeggio cornìa è il più vasto e<br />

importante della zona, tuttora utilizzato<br />

per il pascolo estivo. Si circonda<br />

di belle crode dolomitiche, tra<br />

le quali spiccano le torri dello Spìgol<br />

del Palón, la cima del coro e la<br />

cima di Prampèr, la quota maggiore<br />

dell’omonimo gruppo.<br />

1» La Casera di Cornia con lo<br />

Spigol del Palon, nel Gruppo del<br />

Pramper //<br />

2» La Casera di Cornia e lo Spigol<br />

de Palon //<br />

3» La cima del Nono de Megna<br />

con il Monte Pelmo sullo sfondo<br />

3


» ITINERARI VAL zoLdana<br />

Accesso<br />

dalla val zoldana 627 m, per la val<br />

dei Gess. Segnavia cAI 521; ore<br />

3.00.<br />

bellissimo sentiero, in un ambiente<br />

pregevole ed incontaminato,<br />

pochissimo frequentato ma senza<br />

difficoltà, nonostante il dislivello<br />

e l’isolamento dal fondovalle. Può<br />

rappresentare anche una valida alternativa<br />

per raggiungere il noto e<br />

storico Rifugio Sommariva al Pramperét<br />

per vie desuete e molto gratificanti.<br />

Il sentiero ha inizio sulla Statale<br />

della val zoldana, tra la località I<br />

casóni e ospitale di zoldo. Salendo<br />

da longaróne si parcheggia sulla sinistra<br />

e si scende al torrente Maè<br />

(non ci sono indicazioni, attenzione).<br />

Superato un ponticello in cemento<br />

si trova il primo segnavia cAI<br />

su un albero, che indica finalmente<br />

la via da seguire. Si segue quindi la<br />

mulattiera, ben tracciata ed evidente,<br />

che risale la costa del col veniér<br />

e si inoltra alta sulla val dei Gess. Il<br />

percorso, sebbene lungo e piuttosto<br />

pendente, è molto piacevole e concede<br />

spesso vedute sulle cime circostanti.<br />

Superato un passaggio che<br />

richiede attenzione, sebbene facile,<br />

si guadagna il fondovalle, dove si<br />

attraversa il torrente e si risale il<br />

col di carpenìa, fino all’omonima<br />

casèra, su un panoramico promontorio.<br />

da qui si continua per bosco<br />

rado di larici e si guadagna la sella a<br />

sud del col dei Gai di cornìa, da cui<br />

si apre la vista sulla conca di cornìa,<br />

contornata dalle cime del Prampèr.<br />

Si scende quindi per buon sentiero<br />

a scavalcare la val Sagrona e si traversa<br />

pressoché in piano, fino alla<br />

casèra di cornìa.<br />

MALgA PRAMPÈR<br />

1540 m<br />

È la più frequentata ed accessibile<br />

tra i monti di zoldo, meta ideale<br />

anche per escursioni con i bambini,<br />

posta in un incantato scenario di<br />

crode dolomitiche, tra le quali spiccano<br />

le torri degli Spìz di Mezzodì,<br />

il Prampèr e il castello del Moschesìn.<br />

oggi la malga fa anche servizio<br />

di agriturismo, con la possibilità di<br />

pernottamento. tel. 329 7862899.<br />

Accessi<br />

da Pian de la fópa 1210 m in val<br />

Prampèr. Sentiero cAI 523; ore 1.00.<br />

t È l’accesso principale, più breve e<br />

comodo, per la strada carrozzabile<br />

della val Prampèr, percorribile in sicurezza<br />

e facilmente in ogni periodo<br />

dell’anno.<br />

da forno di zoldo si sale in auto<br />

per la stradina carrozzabile della<br />

val Prampèr, fino al Pian de la fópa,<br />

dove si parcheggia. da qui si segue<br />

integralmente la strada stessa, che<br />

si inerpica con moderata pendenza<br />

e con qualche tornante, raggiungendo<br />

l’idilliaco Pian dei Palùi, da<br />

dove si ammirano gli Spìz di Mezzodì<br />

nella loro interezza. Attraversato<br />

tutto il grande ripiano di prati e radi<br />

larici, si sale ancora un poco, fino al<br />

bivio per la forcella del Moschesìn.<br />

qui si tiene la sinistra e si attraversa<br />

il torrente Prampera su ponticello,<br />

fino alla già visibile malga.<br />

Escursioni<br />

Alla forcella del Moschesìn 1940 m.<br />

Segnavia cAI 540; ore 1.15. E classica<br />

passeggiata, molto panoramica<br />

sulle cime alla testata della val<br />

Prampèr e sulla conca agordina.<br />

dalla malga si scende brevemen-<br />

4 | 2010 24<br />

te verso il Pian della fópa, fino al<br />

bivio segnalato per la forcella Moschesìn.<br />

Si prende quindi la vecchia<br />

mulattiera militare, che va ad attraversare<br />

i pendii di ghiaie e mughi,<br />

in leggera salita sotto le pareti del<br />

castello di Moschesìn. Si avvicina la<br />

parte terminale della valle, ormai in<br />

vista della forcella, che si raggiunge<br />

su sentiero a zig-zag tra pascoli<br />

e mughi. nei pressi del valico sono<br />

ancora presenti i resti di un ricovero<br />

militare diroccato.<br />

4


LA RIVISTA 4 | 2010 25<br />

CASÈRA PEZZÉI,<br />

BIVACCo ToVANÈLLA<br />

1688 m<br />

È situata sul fianco occidentale della<br />

conca di Pezzéi, pascolo tra la cima<br />

della Serra e la cima dell’Albero, nel<br />

settore meridionale del bosconero.<br />

tutta la zona soprastante i boschi alle<br />

pendici della cima dell’Albero è stata<br />

sfruttata intensamente a pascolo,<br />

grazie anche alla buona accessibilità<br />

dalle frazioni prossime a longaróne<br />

e all’appoggio di diverse casère, che<br />

non sono più attive da decenni. Era<br />

proprietà della famiglia tovanèlla di<br />

longaróne e nel 1975 è stata ceduta<br />

al cAI di longaróne, che ne ha curato<br />

la sistemazione a bivacco escursionistico,<br />

dedicandola al capo famiglia<br />

osvaldo, perito nel disastro del vajónt<br />

il 9 ottobre 1963. la costruzione ha<br />

vissuto alterne vicende legate soprattutto<br />

ad atti vandalici, che hanno<br />

costretto la Sezione di longaróne a<br />

limitarne le comodità; attualmente è<br />

in buono stato ed accoglie decorosamente<br />

anche chi volesse pernottare.<br />

Accesso<br />

da Podenzói 800 m. Inizialmente<br />

senza segnavia e quindi cAI 482;<br />

ore 3.30. E lunga escursione in luoghi<br />

di rara e grandiosa bellezza, in<br />

un’alternanza di prati e boschi, con<br />

estesi panorami sulle dolomiti e sulla<br />

val del Piave. nonostante il notevole<br />

dislivello dal fondovalle, l’escursione<br />

non riserva pendenze eccessive e la<br />

mulattiera è evidente ed agevole,<br />

consigliabile a tutti gli escursionisti<br />

mediamente allenati.<br />

5<br />

dalle case sulla strada più alta di<br />

Podenzói si stacca una mulattiera<br />

con indicazioni per casèra colón,<br />

che sale tra muretti a secco e vecchie<br />

costruzioni pastorali (questa<br />

via è preferibile al sentiero cAI 482<br />

che prende avvio dall’ultima curva a<br />

sud, prima del paese). la mulattiera<br />

s’inerpica nel bosco in traversata<br />

verso sud, fino a portarsi sul bel<br />

promontorio panoramico a 1144<br />

metri, dove si trovano un capitello<br />

e alcune panchine e dove si rinviene<br />

il segnavia cAI 482 (Alta via n°<br />

7<br />

3). Si inizia quindi a traversare con<br />

moderata salita su prati alternati a<br />

rado bosco, alle pendici della croda<br />

bianca. Raggiunto il col da luni, in<br />

vista dei versanti settentrionali del<br />

Pèlf, si entra nel bosco passando<br />

alcuni valloni e aggirando dei costoni,<br />

per uscire definitivamente sui<br />

pascoli nei pressi della casèra colón<br />

(che rimane più alta rispetto al<br />

sentiero e che si raggiunge con una<br />

breve deviazione). ora il percorso è<br />

spettacolare, alto sui precipiti spalti<br />

che digradano in val zoldana e sotto<br />

i vasti prati della cima dell’Albero,<br />

e conduce con un’ultima salita sul<br />

panoramico spallone della costa<br />

del dóu. qui compare la solenne<br />

mole del Pelmo e si vede il bivacco<br />

tovanèlla sui pascoli di Pezzéi,<br />

sottostanti la contrapposta cima de<br />

la Serra, e ormai velocemente raggiungibili<br />

in discesa per radi boschi<br />

di larici.<br />

Escursioni<br />

Alla cima dell’Albero 2018 m per<br />

forcella Pezzéi 1840 m. tracce di<br />

passaggio senza segnavia; ore 1.00.<br />

E la cima dell’Albero è l’elevazione<br />

più meridionale del bosconero, da<br />

cui è diviso dalla forcella Pezzéi,<br />

prossima alla casèra tovanèlla. Per<br />

l’isolata posizione rappresenta un<br />

eccezionale belvedere sul bosconero<br />

stesso e su gran parte delle dolomiti.<br />

Il toponimo sembra provenire da<br />

un larice anticamente trapiantato<br />

sulla cima dai pastori.<br />

dal bivacco tovanèlla si sale a forcella<br />

Pezzéi per tracce di sentiero su<br />

segnavia piuttosto labile (prestare<br />

attenzione ai segni nell’erba alta).<br />

da qui si segue una traccia che costeggia<br />

la caratteristica conca del<br />

campedèl, risalendo tutto il crinale<br />

che digrada dalla cima dell’Albero,<br />

fino alla sommità. dalla cima è<br />

possibile scendere direttamente alla<br />

casèra colón sull’erboso versante<br />

So e da qui raccordarsi col sentiero<br />

d’accesso alla casèra Pezzéi su tracce<br />

di sentiero, evidenti con buona<br />

visibilità. «<br />

6<br />

4» Sulla cima del Nono de Megna<br />

verso la lunga cresta tra il Monte<br />

Dolada e il Col Nudo //<br />

5» La conca di pascoli di Cornia,<br />

con l'omonima casera e le cime<br />

del Pramper //<br />

6» La Casera de Megna //<br />

7» Sui pendii erbosi del Nono de<br />

Megna con Schiara e Pelf, visti<br />

salendo dalla Casera de Megna


» alpinismo nuova zelanda<br />

Alpinismo a testa in giù<br />

In Nuova Zelanda, perla dell'emisfero australe<br />

testo e foto di Paolo Pieroni, Guida Alpina<br />

avoler descrivere sinteticamente la Nuova Zelanda direi<br />

“agreste”. Così come agresti definirei i Kiwi, gli abitanti<br />

della Nuova Zelanda. Tutto in queste isole, sperse nel<br />

mare di Tasmania e battute da irrequieti venti è molto agreste.<br />

La vita è ancora legata ai ritmi della terra, dell'agricoltura della<br />

pastorizia. Per quanto non pochi allevatori o agricoltori<br />

lavorino con l'elicottero per via della notevole dimensione<br />

delle proprietà, in realtà rimangono dei contadini e dei cowboy.<br />

Anche i piloti della compagnia neozelandese, mi hanno lasciato<br />

questa impressione. Agli antipodi dell'Europa le cose<br />

funzionano diversamente. È un mondo diverso: cortesia e<br />

gentilezza, semplificazione della burocrazia, senso pratico e<br />

rispetto delle regole. Se i tuoi scarponi sono ancora sporchi di<br />

qualche terreno fangoso di altri paesi, provvederanno a pulirteli<br />

4 | 2010 26<br />

già in aeroporto; ma se nascondi qualche altro prodotto<br />

biologico e ti beccano...beh fine delle vacanze! L'arresto è<br />

garantito. Non è certo un posto affollato: ha la superficie<br />

dell'Italia con un terzo della nostra popolazione, ognuno trova<br />

in qualche modo qualcosa da fare e dove vivere anche a costi<br />

molto contenuti. Forse le edizioni della Coppa America hanno<br />

dato la sensazione che Auckland sia un paese opulento: in<br />

realtà qui il tenore di vita è buono, ma la gente sa anche<br />

accontentarsi. Gli spazi selvaggi e frequentati solo da pecore<br />

sono innumerevoli; le città sono cresciute lasciando i giusti<br />

spazi alla natura. Quando poi scendi nell'Isola del Sud, la<br />

natura è ancora più la dominatrice, le cittadine e paesi che si<br />

susseguono tra i numerosi colli, laghi e valli, molto spesso<br />

punteggiati di pecore e bovini, ricamati dalle gigantesche<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 27<br />

1» Il monte Tasman in salita verso Mount Cook//<br />

2» Sui pendii del Linda Shelf//<br />

3» In lontananza la Plateau Hut quasi inghiottita dalle nebbie<br />

geometrie agricole di immense coltivazioni, ricordano i paesi di<br />

frontiera del nord America. È difficile scorgere resti dei Maori,<br />

che per primi hanno abitato queste terre, per lo più arroccati<br />

alle più miti condizioni dell'Isola del Nord e fortemente legati<br />

alle risorse del mare. Le “nuove popolazioni” arrivate dal mare<br />

erano colonizzatrici e quindi con una propensione alla scoperta,<br />

tramandandosi di generazione in generazione, che permane<br />

nella cultura dei moderni neozelandesi. Gli alpinisti locali<br />

quando pianificano una gita mettono in preventivo 7-9 ore di<br />

marcia al giorno con zaini di 25kg in totale autonomia per più<br />

giorni. I rifugi sono solo bivacchi, i più frequentati sono muniti<br />

di fornelli a gas, ma normalmente si trova solo una grossa<br />

tanica di circa 1500 lt per la raccolta dell'acqua piovana, una<br />

radio, dalla quale si riceve ogni sera una chiamata dai<br />

responsabili del D.O.C. (Departemente Of Consaervation), i<br />

quali forniscono la previsione meteo nell'arco di 48 ore ed ai<br />

quali si deve comunicare il numero delle persone presenti. Si<br />

dorme su dei materassi e al risveglio si gode di un fantastico<br />

panorama. Oggi si riesce ad accedere ad alcuni ghiacciai con<br />

l'elicottero o dei piccoli aerei ad un costo accessibile a molti,<br />

ma non sempre il tempo è clemente, per cui è meglio essere<br />

sempre pronti a rientrare con le proprie gambe. Posso garantirvi<br />

che è bene tenerle calde e pronte: mi sono occorse ben 7 ore di<br />

buon cammino con zaino bello pesante per rientrare da Plateau<br />

Hut, il rifugio principe per la salita al monte Aoraky Cook, fino<br />

3<br />

2<br />

alla strada poderale dove avevamo una jeep a disposizione.<br />

L'isolamento è ancora il fattore determinante sulle salite della<br />

Nuova Zelanda: sono rari gli itinerari glaciali con “tracce”<br />

umane ben marcate. L'attraversamento tardivo del Ghiacciaio<br />

di Fox o Franz Joseph per tornare a Centennial Hut, ad esempio,<br />

può essere impegnativo anche per questo. In compenso gli<br />

amanti dell'avventura non resteranno delusi: ogni giorno si<br />

prova l'entusiasmo di scoprire una via nuova, sia attraverso i<br />

ghiacciai che sui pendii di misto. D'altra parte le descrizioni in<br />

circolazione sono molto generiche e poche sono le pubblicazioni.<br />

Pianificazione, preparazione, e tempistica sono i tre elementi<br />

imprescindibili per frequentare questi imponenti rilievi, ben<br />

difesi da foreste pluviali o da brulli, sterminati, depositi<br />

morenici e ghiacciai. La ricompensa è massima. A 2000 m di<br />

quota l'ambiente è quello dei 3000 delle Alpi Europee: ripidi<br />

pendii e affilate creste nevose, sormontate da ridondanti<br />

ghiacciai pensili, impongono però attenzione massima negli<br />

approcci perché i crolli dei seracchi sono quotidiani. La salita<br />

alla cima più alta, l'Aoraky Mount Cook, 3754 m, ha come<br />

tratto critico proprio l'attraversamento di un pendio a 45° di<br />

circa 300m chiamato il Linda Shelf, al di sotto della verticale<br />

dei grandi seracchi pensili che contornano lo spigolo Nord. E


» alpinismo nuova zelanda<br />

infatti nella parte finale del ghiacciaio di Linda, sotto un<br />

intenso sole australe, ci è capitato di sentire un rumore cupo e<br />

terrificante proveniente sopra di noi, indice di un grosso crollo.<br />

Non vediamo nulla, ma siamo in un luogo relativamente sicuro:<br />

proseguiamo pensando che questi eventi fanno parte di questo<br />

ambiente. Il giorno dopo, facendo un'altra salita sui contrafforti<br />

del monte Dixon scorgiamo la parte superiore del Linda Shelf<br />

4<br />

5<br />

4 | 2010 28<br />

con molti blocchi di ghiaccio cosparsi un po' ovunque. La Sorte<br />

ha scelto di lasciarci passare. Mi piacerebbe poter credere di<br />

essere stato veloce e quindi di aver evitato i momenti più<br />

pericolosi, ma i seracchi cadono anche con il freddo, quindi...<br />

grazie Fortuna! In altri casi l'esperienza e - come detto -<br />

un'attenta pianificazione permettono di ottenere risultati con<br />

margini di sicurezza più ampi. È il caso della nostra paziente<br />

attesa di due giorni a Centennial Hut, sul Ghiaccio di Fox, per<br />

osservare il passaggio di una classica perturbazione del mare di<br />

Tasman, chiamato vezzosamente dai Kiwi The dich, “La pozza”.<br />

Un eufemismo se si considerano 1500 km di oceano aperti<br />

verso il Polo Sud! In quei due giorni il vento ha soffiato a 100<br />

km/h e la pioggia orizzontale ha riempito uno dei doppi vetri<br />

del rifugio che era venato all'esterno. Il terzo giorno, finalmente,<br />

cielo blu e una solida coltre di ghiaccio che ricopre tutto: ci<br />

muoviamo rapidamente aiutandoci con le picozze, le viti da<br />

ghiaccio e i picchetti, che rappresentano una sicurezza.<br />

Raggiungiamo così la vetta del Monte Minaret a 3040 m in<br />

circa 6 ore, con relativa fatica. La vista dell'Oceano da una<br />

parte e dell'omonimo ghiacciaio, immenso anch'esso, ad ovest,<br />

strabiliano e sorprendono anche me, che dopo quasi 40 anni di<br />

montagna temo di essere un po' viziato in fatto di panorami.<br />

Dinamica, pazienza, determinazione, buona preparazione fisica<br />

e tecnica, sono i requisiti degli alpinisti del Sud e non mi<br />

sorprende che Sir Edmund Hillary sia stato uno dei prescelti per<br />

la spedizione vincente all'Everest. La sua abitudine a scorrazzare<br />

per queste montagne in totale autonomia costituiva una<br />

credenziale più che sufficiente per l'ambizioso obiettivo che<br />

John Hunt si era posto. La storia gli ha infatti dato ragione.


LA RIVISTA 4 | 2010 29<br />

ta del Cai 210x137 18-06-2010 9:56 Pagina 1<br />

6<br />

4» Sulla cresta dei Remarqueble sopra Queenstown//<br />

5» Le incrostazioni di ghiaccio talvolta bloccano le porte dei rifugi//<br />

6» Aoraky Mount Cook 3745 m da ovest, la traversata della cresta nord<br />

sud<br />

Dopo sei settimane in queste isole del sud, di cui quattro<br />

trascorse tra montagne, ghiacci e creste rocciose, tranquille<br />

falesie ben chiodate a pochi passi da strade solitarie, alcune<br />

irrinunciabili grigliate che rappresentano uno dei leitmotiv di<br />

questo Paese, le emozioni che mi porto via sono tante. Avrei già<br />

voglia di tornare a camminare tra migliaia di pecore e a<br />

sorseggiare birra a bordo lago, in attesa di quei quattro giorni<br />

di bel tempo per percorrere una di queste creste. Siamo agli<br />

antipodi dell'Europa è vero, ma è vero che chi parla di<br />

affollamento delle montagne è chiaramente pigro mentalmente<br />

e fisicamente. Vi sono ancora luoghi sulla Terra che possono,<br />

anche per uomini comuni, rappresentare la conquista della<br />

“propria Luna”. Il paese circumnavigato dal capitano Cook è<br />

ancora oggi a pieno titolo luogo di avventura e conquista<br />

personale; questo luogo ha rinnovato in me i ricordi delle prime<br />

scalate sulle Alpi Marittime. Ho rivissuto l'alpinismo della mia<br />

gioventù con la gioia e la tranquillità della mia esperienza<br />

professionale. Ora ho un altro pretesto per restare ben allenato:<br />

farò in modo di avere un'altra occasione per praticare ancora<br />

questo C alpinismo M Y CM “differente”, MY CY CMY K un alpinismo “a testa in giù”. «


» focus<br />

non solo cinema<br />

trento filmfestival - cronaca della 58esima edizione<br />

testo di giovanni padovani - foto TRENTO FILMFESTIVAL<br />

La giuria della 58sima edizione del FilmFestival poco o<br />

nulla ha concesso alle emozioni non filologicamente professionali.<br />

Forse è stata anche troppo rigorosa a giudizio<br />

di chi dava per scontato che la rassegna avrebbe riservato un<br />

riconoscimento a Nanga Parbat, di Joseph Vilsmaier, pellicola<br />

attesa a Trento già lo scorso anno e che per la sua ben nota<br />

tematica e la stessa consulenza di Reinhold Messner, ha registrato<br />

larga risposta di pubblico: l’apertura in prima serata<br />

all’auditorium Santa Chiara, con la presenza dello stesso regista,<br />

e tre riprese a sale esaurite nel corso della settimana.<br />

Ma se così fosse stato la Giuria (Maurizio Zaccaro, Alan Formanek,<br />

Michele Radici e René Verandet) non sarebbe stata quella<br />

squadra di rigorosi esperti che ha voluto essere. E l’ha fatto<br />

lavorando su linee d’analisi severe e di scelte conseguenti. Non<br />

si ricorda una conferenza stampa, come quella seguita alla<br />

proclamazione dei vincitori, così concorde nell’apprezzamento<br />

sostanziale. Forse stupiti gli stessi giurati, tanto da aprirli<br />

ad un rapporto divenuto addirittura confidenziale nei contatti<br />

personali.<br />

4 | 2010 30<br />

Certo altre preferenze e avvisi diversi potevano esserci, ma<br />

quando il Gran Premio lo si vede assegnato a "Himalaya, le<br />

chemin du ciel" della giovane etnologa Marianne Chaud, si<br />

percepisce che la giuria risultava di qualità e aveva lavorato<br />

affiatata. Sempre a voto unanime, come ha tenuto a precisare.<br />

A conferma del valore della regista francese c’è la Genziana<br />

d’oro del CAI ricevuta lo scorso anno con il documentario: “Himalaya,<br />

terre des femmes".<br />

Un vero talento della comunicazione filmica la Chaud. Affascina<br />

la spontaneità con cui manovra la cinepresa. In quanto<br />

etnologa ha maturato la capacità di immedesimarsi nella realtà<br />

indagata, d’esserne lei stessa parte, per averla condivisa. Ambedue<br />

i documentari sono il risultato di un prolungato soggiorno<br />

nello Zanskar, una remota valle dell’India a 4000 metri. La conoscenza<br />

della lingua assimilata con una prolungata permanenza<br />

sul posto le ha facilitato il contatto e la confidenza con<br />

la gente.<br />

Al centro di “Le chemin du ciel" sta Karup, ragazzo di appena<br />

otto anni, che da tre vive con la spensieratezza dell’età in<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 31<br />

un convento buddista, tutto compreso d’essere stato individuato<br />

come la reincarnazione dello zio monaco, perito sotto una<br />

valanga. «Sono un monaco anziano, di 68 anni», dice Kerup.<br />

E la cinepresa lo segue nella sua quotidianità fanciulla, dentro<br />

e fuori la comunità, nei momenti di studio, di lavoro, di svago<br />

comunitario. La voce suasiva, fuori campo, della regista, lo<br />

stimola a rivelarsi. Sta, per così dire, al gioco e apre un non<br />

convenzionale approccio con il mondo e con la spiritualità che<br />

egli, ancorché giovanissimo, incarna.<br />

Marianne Chaud non c’era a Trento a ritirare il riconoscimento<br />

trovandosi lontana, nella sua terra d’adozione, per altro documentario.<br />

Si parla di un lavoro ben più corposo, supportato<br />

addirittura da riprese in elicottero. Staremo a vedere, nella speranza<br />

però che la poesia dei primi due lavori artigianali, che<br />

le hanno aperto il successo non venga ad essere rimpianta. Al<br />

festival sono apparse pellicole d’alpinismo di punta e la giuria<br />

se ne è positivamente occupata.<br />

Chi è impastato d’alpinismo troverà una risposta alla naturale<br />

curiosità (cosa c’è stato di interessante al festival?) in due<br />

pellicole indubbiamente significative. “Mount St. Elias” dell’austriaco<br />

Gerald Salmina (Genziana d’argento per il contributo<br />

tecnico artistico ) e “Alone on the Wall” degli statunitensi Peter<br />

Mortimer e Nick Rosen (Genziana d’oro del CAI).<br />

La prima è quanto di meglio e di più mozzafiato sia stato ad<br />

oggi realizzato nel campo del free-ride. Spettacolarità e tragedia<br />

assieme, bravura sciatoria e rischio giocato sul filo del limite.<br />

Così basta un niente per assistere alla morte in diretta. I corpi<br />

1» Un fotogramma di<br />

Lake Eyre Campsite//<br />

2» Un fotogramma di<br />

Nanga Parbat<br />

che rimbalzano giù dalla parete innevata di questa montagna<br />

dell’Alaska non sono manichini, non sono spezzoni di filmati<br />

di Luis Trenker. È pellicola che merita d’essere vista ma anche<br />

da analizzare per benino, per domandarsi se la rincorsa al sensazionale<br />

abbia sempre senso. Due alpinisti sciatori austriaci,<br />

Axel Naglich e Peter Ressmann, progettano di scendere il Mount<br />

St.Elias (5489 m) con gli sci, ponendo nel conto che la cima se la<br />

dovranno guadagnare alpinisticamente. Non ci sarà l’elicottero<br />

che concederà sconti. Soltanto il campo base sarà attrezzato con<br />

il supporto di un maneggevole aereo da ghiacciai.<br />

L’ambiente è da meteorologia mutevole, da eccezionali nevicate<br />

con attese logoranti per avere condizioni di sicurezza. Alla fine<br />

la squadra guadagna la cima, con un bivacco per via, e parte la<br />

discesa. Grande spettacolo ed eccezionale bravura, coronati dal<br />

successo per un risultato da altri mai prima raggiunto. Il prodotto<br />

è ben confezionato e lo spettatore se lo gode, immedesimandosi<br />

in esso. La pellicola fa proprie immagini della tragedia<br />

accaduta cinque anni prima su quelle nevi, quando due sciatori<br />

statunitensi, non meno validi, furono spazzati via da una slavina<br />

e ripresi in diretta. Un terzo la scampò e chiese soccorso<br />

scrivendo a caratteri cubitali sulla neve: “2 Dead”.<br />

L’altra pellicola altrettanto significativa parla di arrampicata<br />

pura, documentando la salita integrale in libera della mitica<br />

Regular Route dell’Half Dome nello Yosemite (gli addetti ai<br />

lavori sanno valutarne la portata) di Alex Honwold, indicato<br />

come uno dei migliori climber americani della nuova generazione.<br />

Incrociandolo per via, così giovane e sbarazzino, potrebbe<br />

2


» focus<br />

apparirci come un appassionato di tennis da tavolo.<br />

La giuria ha apprezzato in lui: «L’eleganza della gestualità, supportata<br />

dalla sicurezza delle proprie capacità». Nel riconoscimento<br />

è facile ipotizzare abbia pesato il giurato René Vernadet<br />

“cameraman del vuoto”, che nella sua lunga carriera ha filmato<br />

tante pellicole d’alta quota, a partire da “Les étoiles de Midi" di<br />

Marchel Ichac.<br />

Si può così spiegare come sia stato trascurato “The Wildest Dream:<br />

Conquest of Everest" dell’inglese Anthony Geffen, notevole<br />

ricostruzione del ritrovamento del corpo di George Mallory<br />

scomparso nel 1924 nella terza spedizione inglese, assieme ad<br />

Andrew Irvine. I due furono visti per l’ultima volta oltre gli<br />

4<br />

4 | 2010 32<br />

3» Una scena di Alone on the wall//<br />

4» Premio del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> il presidente Annibale Salsa e la<br />

rappresentante del Festival di Banff che ritira il premio per Alone on the<br />

wall di Peter Mortimer e Nick Rosen<br />

8000 metri divenendo parte della storia dell’Everest. Il ritrovamento<br />

avvenne nel 1999 e l’alpinista Conrad Anker, che a<br />

questa ricerca aveva preso parte, ritorna su quei luoghi per ricostruire<br />

le vicende di una impresa destinata a restare senza<br />

risposta, ma divenuta pagina mitica dell’alpinismo esplorativo.<br />

L’avventura è stata premiata con la Genziana d’Argento assegnata<br />

a “Birdman of the Karakorum" dell’inglese Alan Hughes,<br />

che “documenta una delle più innovative ed estreme avventure<br />

ancora possibili in Himalaya”. Il regista vive in diretta questa<br />

avventura, nel parapendio biposto di John Silvester, filmando<br />

una lunga traversata oltre i seimila metri sulla catena del<br />

Karakorum.<br />

Nessuna osservazione particolare sulle due genziane d’argento<br />

assegnate a Oyan e a Poyarnik. Il regolamento del festival prevede<br />

riconoscimenti a lavori di corto e mediometraggio e le due<br />

oneste pellicole, una iraniana e l’altra russa, se li portano a casa.<br />

Di più non c’è da dire.<br />

Alla giuria spettava la possibilità di un premio suo proprio. Non<br />

poteva capitarle di meglio di “Salt", raffinato servizio del fotografo<br />

australiano Morray Fredericks negli spazi desertici del<br />

lago Eyre.<br />

Con il richiamo ai premi è detto tutto del Festival? Evidentemente<br />

no, perché contigue all’area della “qualità ufficializzata"<br />

stanno altre pellicole. Ne citiamo una che ci appare esemplare<br />

3


LA RIVISTA 4 | 2010 33<br />

per qualità narrativa: “The one man village" del libanese Simon<br />

El Habre. Del Libano non si parla praticamente più; le vicende<br />

dolorose di questa terra “in pagina” per un quindicennio, tra il<br />

1975 e il 1990, non fanno più notizia. È tutto tornato alla normalità?<br />

Sarebbe sperabile, ma la pellicola mostra invece ferite<br />

ancora aperte. La storia è raccontata accompagnando Seman,<br />

unico abitante di un villaggio distrutto e svuotato dalla guerra<br />

civile. Egli vi vive da contadino e con questa sua presenza incoraggia<br />

altri a ritornarvi, seppur da pendolari della provvisorietà<br />

per non tagliare i fili della propria storia.<br />

Ne citiamo poi una seconda, di diverso segno. È “The Urals" del<br />

tedesco Oliver Goetzl. Una pellicola naturalistica che conferma<br />

come il tema sia sempre affascinante, quando la curiosità di chi<br />

manovra la cinepresa sia ben nutrita d’occhio poetico.<br />

Una omissione è però da registrare nell’operato pur serio della<br />

giuria. Essa è rappresentata dal silenzio nei confronti di “Petropolis"<br />

di Peter Mettler, documentario - oltretutto - di estrema<br />

attualità, essendosi svolto il festival nei giorni in cui era esplosa<br />

l’epocale tragedia ambientale della marea petrolifera che dal<br />

Golfo del Messico s’è indirizzata verso la Luisiana. Allucinante<br />

il documentario di Mettler che fa conoscere una desolata area,<br />

nello Stato dell’Alberta in Canada, ampia quanto la Lombardia,<br />

devastata da una miniera a cielo aperto, dove viene scavata<br />

sabbia bituminosa.<br />

Per farsi un’idea di questa realtà si pensi ad una tela materica<br />

di Burri, a toni di rosso, di grigio e di nero, ampia fin dove può<br />

spaziare la nostra vista; per contrasto attorno a questa regione<br />

sta il Canada del comune immaginario con gli spazi innevati, le<br />

praterie, i boschi…<br />

La pellicola non è soltanto di attualità, bensì anche di qualità.<br />

Ad essa ha posto attenzione il Premio Bruno Cogol assegnato<br />

dalla stampa accreditata, attenuando una indifferenza che il documentario<br />

non meritava.<br />

Si diceva all’inizio di “Nanga Parbat". Il film non è uscito dalla<br />

rassegna totalmente privo di riconoscimenti. Il direttivo del<br />

sindacato dei giornalisti cinematografici gli ha attribuito il Premio<br />

Luciano Emmer, istituito proprio con questa edizione. Un<br />

verdetto che ha compensato ciò che i giurati ufficiali hanno<br />

ignorato: («Di Nanga Parbat non ci siamo occupati più di un<br />

5<br />

minuto»). Poi s’è affiancato il premio del pubblico, facile da<br />

aspettarselo, anche per i ripetuti passaggi del film nelle sale del<br />

festival.<br />

È auspicabile che il “Nanga Parbat" entri nei circuiti ordinari,<br />

perché inviterà ad attenuare i toni delle polemiche alpinistiche.<br />

Messner ha dato il suo contributo alla sceneggiatura esprimendo<br />

in tal modo la sua porzione di verità. L’ha rimarcata pure nel<br />

suo recentissimo volume “Razzo rosso" sul Nanga Parbat e c’è<br />

da prestargli fede. La stessa fede è auspicabile sia pure riservata<br />

ad altre più o meno analoghe vicende. Non fu così lo scorso<br />

anno quando egli presentò “Grido di pietra", il suo volume sul<br />

Cerro Torre.<br />

Festival non soltanto come cinema. E lo sarà, è da prevedere,<br />

sempre più con l’aggiornamento tematico che si è dato all’insegna<br />

di “montagna, società, cinema e letteratura”. Società, da<br />

intendere come capacità di guardare alla “città degli uomini”, ci<br />

pare proprio sia stata la tematica di “Petropolis". Il fine estetismo<br />

è sigla di cultura, ma non deve chiudersi in se stesso.<br />

Poi libri, incontri con gli autori, serate tematiche molto partecipate,<br />

mostre. Una kermesse di ampio ventaglio. Merita d’essere<br />

menzionata la mostra ospitata nella Casa della SAT: “Ettore e<br />

Bruno Castiglioni, due fratelli e la montagna", curata dalla Fondazione<br />

Angelini. La preziosità di questa iniziativa sta nell’indagare<br />

sulle radici familiari della passione alpinistica di Nino<br />

Castiglioni e parimenti nel far conoscere la personalità del fratello<br />

maggiore, Ettore, figura eminente, sacrificatosi per un atto<br />

di civile responsabilità a conflitto praticamente finito. Trattasi<br />

di un’operazione culturale che ha onorato il Festival e che si<br />

può far propria, pure a mostra chiusa, attraverso il catalogo.<br />

L’apprezzerà chi coltiva la storia del nostro alpinismo. Lo si può<br />

richiedere a: segreteria@angelini-fondazione.it «<br />

5» Gran Premio Città di Trento a Himalaya, le chemin du ciel di<br />

Marianne Chaud, il sindaco di Trento Alessandro Andreatta consegna il<br />

premio alla montagista del film Francoise Berger Garnavault//<br />

6» Un'immagine tratta da Himalaya, le Chemin du Ciel<br />

6


» torrentismo<br />

Testo e Foto di Andrea Fontana e Franco (Ike) Aichino<br />

Sez. CAI Maresca - Montagna Pistoiese Gruppo Speleologico Montagna Pistoiese<br />

contributo di christian roccati<br />

bentornato canyoning<br />

la riorganizzazione della disciplina in seno al cai<br />

èstato un percorso lungo e non privo di difficoltà quello<br />

che alla fine del 2009 ha permesso il rientro nella grande<br />

famiglia del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> del “figliol prodigo”<br />

chiamato torrentismo.<br />

È stato quasi inevitabile il coinvolgimento della SNS (la Scuola<br />

Nazionale di Speleologia del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>, d’altronde<br />

questo nuovo modo di vivere la montagna è nato proprio in<br />

mezzo agli speleologi). Grazie all'allora direttore INS Bruno<br />

Galvan, che ha sponsorizzato l'idea, si è arrivati a creare i primi<br />

istruttori nel mese di novembre 2009.<br />

“A breve - a parlare è l’INS Anna Assereto, la prima donna a<br />

ricevere la certificazione per questa specialità - grazie anche<br />

al contributo degli amici della SNAFOR, aggiungeremo altri<br />

dieci Istruttori di Speleologia al gruppo degli Specializzati in<br />

torrentismo”.<br />

Il percorso didattico e formativo non sempre è stato così lineare.<br />

L'istruttore di speleologia Franco Aichino parla delle prime<br />

esperienze formative svolte in Francia nella Valle dell’Esteron<br />

e in Trentino negli anni '90. Esperienze formative che hanno<br />

segnato il percorso del torrentismo in Italia, basti pensare<br />

che alcuni dei fondatori dell’Associazione Italiana Canyoning<br />

parteciparono ai corsi realizzati dalla Scuola Nazionale di Speleologia.<br />

Il percorso di formazione della SNS ha seguito parallelamente<br />

lo svilupparsi del torrentismo da disciplina mutuata dalla<br />

speleologia e dall’alpinismo ad una disciplina autonoma con<br />

tecniche e materiali specifici che rendono la progressione in<br />

forra sicura, efficace ed efficiente.<br />

Qui si aggiunge l’autorevole voce dell’INS Andrea Fontana che<br />

ha seguito, sin dai primi passi, lo svilupparsi del torrentismo e<br />

dei corsi all’interno della SNS: “Dopo le prime esperienze fatte<br />

organizzando corsi di torrentismo con tecniche speleologiche<br />

siamo passati a dare un’effettiva identità ai corsi di torrentismo<br />

e all’impiego delle tecniche specifiche”.<br />

Mancava comunque un riconoscimento effettivo delle capacità<br />

raccolte in tutte questi anni e così ci siamo aperti al confronto<br />

con le varie realtà esistenti sul territorio nazionale e non, entrando<br />

in contatto con esperti del settore in Francia, Spagna e<br />

Slovenia.<br />

Nel 2006 in Spagna, nella splendida cornice della Sierra de<br />

Guara, abbiamo potuto confrontare le tecniche e le filosofie<br />

impostate in sede alla SNS con quelle di altre associazioni Italiane<br />

e Spagnole. Lì abbiamo compreso che eravamo pronti<br />

a certificare il percorso e le esperienze fatte in forra in tutti<br />

questi anni.<br />

4 | 2010 34<br />

Nel 2007 abbiamo organizzato un corso nazionale in Slovenia,<br />

cui hanno partecipato non solo in massa appassionati italiani,<br />

allievi e allieve dalla Sicilia al Trentino alto Adige, ma addirittura<br />

dalla Spagna. E proprio in Slovenia si è dato l’avvio<br />

all’iter di certificazione. La massima apertura e il confronto<br />

con tutti: questo è stato l’input della SNS per il torrentismo,<br />

grazie al lungimirante contributo del suo direttore Salvatore<br />

Sammataro, che ha portato finalmente ad un riconoscimento<br />

ufficiale di questa specializzazione in seno alla Scuola stessa e<br />

al <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>.<br />

1


1» Portiacha la partenza sul 45. //<br />

2» La partenza del 30 nel Barranco del Mascun // Foto di IS Loris Feller<br />

E adesso? C’è da rimboccarsi le maniche, c’è il regolamento da<br />

sistemare, i processi interni alla scuola da tracciare e a breve,<br />

in Liguria, si terrà il primo Corso Nazionale di Avanzamento<br />

Tecnico, destinato a chi vuole aggiornare le tecniche e iniziare<br />

un percorso formativo all’interno della SNS.<br />

In ultimo, seguendo le linee guida del nostro Direttore Salvatore<br />

Sammataro, stiamo per approvare un regolamento per<br />

facilitare il rientro di tutti quegli appassionati che nel corso di<br />

questi anni hanno preferito camminare sui facili sentieri tracciati<br />

da altre associazioni esterne al <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong>, sottraendo<br />

energie al processo formativo che forse, con il loro contributo<br />

poteva essere più breve.<br />

Nel mese di maggio 2010, si è svolto in Val di Ledro l’esame di<br />

certificazione, in collaborazione con la SNAFOR, per la specializzazione<br />

in torrentismo dei quadri della SNS, al quale hanno<br />

partecipato una decina di candidati.<br />

Questo passo ha consolidato il primo nucleo di Istruttori Specializzati<br />

e ha permesso l’avvio dell’iter formativo completo. La<br />

Scuola Nazionale di Speleologia potrà così fornire i corsi e gli<br />

Istruttori abilitati per diffondere e sviluppare il torrentismo in<br />

seno al <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>.<br />

Dal 2011 i corsi potranno essere autorizzati esclusivamente se<br />

diretti da un Istruttore Specializzato: sarà cura della Commissione<br />

Centrale per la Speleologia e della Scuola Nazionale di<br />

Speleologia fornire i nominativi a quanti ne abbiano necessità;<br />

saranno inoltre a disposizione delle Sezioni per ogni chiarimento<br />

in merito, nel momento in cui un gruppo o una Sezione<br />

voglia organizzare una attività inerente al torrentismo sotto<br />

l’egida del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>. «<br />

L’ottavo raduno<br />

internazionale<br />

canyoning è in Italia<br />

di Christian Roccati<br />

Il canyoning consiste nella discesa a<br />

piedi di corsi d'acqua caratterizzati da<br />

portata ridotta, in genere inferiore ai<br />

200 litri al secondo, e forte pendenza,<br />

che scorrono all'interno di strette gole<br />

chiamate forre, profondamente scavate<br />

nella roccia. Il torrentismo può<br />

accogliere il principiante o l’esperto,<br />

l’amante dei tranquilli torrenti o l’appassionato<br />

delle forre estreme. c’è<br />

davvero uno spazio per tutti in un<br />

ambiente magnifico caratterizzato da<br />

un’attività che rispetta la natura. Sono<br />

di conseguenza sempre di più gli appassionati<br />

che s’innamorano di questa<br />

2<br />

disciplina montana.<br />

Per rispondere alla grande crescita,<br />

l’Associazione Italiana canyoning ha ideato un raduno internazionale<br />

per torrentisti. nel 2010, dal 14 al 22 <strong>agosto</strong>, si svolgerà<br />

l’ottava edizione nel comune di bognanco, in val d'ossola. l’organizzazione<br />

del meeting è stata affidata al gruppo ligure del<br />

GoA canyoning, affiliato all’AIc, in collaborazione con la Sezione<br />

ligure del cAI, ed il Piemonte canyoning. la manifestazione è<br />

patrocinata da comune, dalla Proloco e dal comitato Alta valle<br />

bognanco.<br />

date le premesse si prevede un’affluenza minima di circa 350<br />

partecipanti da tutta Italia, a cui si aggiunge la considerevole<br />

presenza di torrentisti di varie nazionalità europee ed extracontinentali.<br />

A tutti gli effetti, il raduno internazionale riveste<br />

l’importante ruolo di più grande evento torrentistico in Europa.<br />

Il meeting avrà quindi la probabile conseguenza di lanciare definitivamente<br />

questa disciplina ecocompatibile nella val d'ossola,<br />

un grande bacino che ha tutte le potenzialità per diventare un<br />

territorio guida dell'attività torrentistica in Italia.<br />

Il fulcro del raduno è riassunto dalle tematiche della sicurezza<br />

e del rispetto ambientale. Sicurezza, nel senso che ossola 2010<br />

vuole essere finalmente l'occasione per riflettere sull’importanza<br />

della preparazione nell'affrontare la discesa di una forra. Purtroppo,<br />

specialmente durante un evento come un raduno che<br />

coinvolge centinaia di persone, essa rimane di frequente in secondo<br />

piano. Rispetto dell'ambiente, per ricordarsi sempre che il<br />

torrentismo si può praticare solo perché esistono posti meravigliosi<br />

come le forre, che vanno preservati e rispettati, in primo<br />

luogo da chi ne è un frequentatore privilegiato.<br />

Il costi del raduno sono piuttosto contenuti e comprendono<br />

posto campeggio gratuito, servizi igienici, docce e lavatoio per<br />

mute e materiale, un ricco programma di eventi ed uscite organizzate,<br />

la maglietta del raduno, il libretto/guida delle forre della<br />

val d'ossola, convenzioni per i pasti e la partecipazione gratuita<br />

alla cena di fine raduno con lotteria. tutto ciò mira a creare aggregazione<br />

fra centinaia di canyoner che possano condividere la<br />

propria esperienza in quest’evento davvero speciale.<br />

chi desiderasse informazioni aggiornate sul raduno internazionale<br />

trova un importante interlocutore grazie al sito ufficiale<br />

www.aic-ossola2010.com «


» storia<br />

Testo di laura bellomi - foto archivio i. affentranger<br />

cento donne sul rosa<br />

50 anni dopo la spedizione intervista a irene affentranger<br />

Irene affentranger<br />

Alpinista, ma non solo. Irene Affentranger è anche scrittrice,<br />

traduttrice e poetessa. la montagna, passione di una<br />

vita, è protagonista assoluta dei testi in cui la capacità<br />

letteraria è esaltata dall’esperienza diretta e da una grande<br />

sensibilità umana. con Adolfo balliano ha pubblicato<br />

“Alpinista che vai, dizionario che trovi” (1956), “la strada è<br />

questa” (1957) e “Picchi colli e ghiacciai” (1961), un’antologia<br />

delle maggiori pagine scritte da alpinisti italiani. nel<br />

1960 ha tradotto “È buio sul ghiacciaio” di hermann buhl<br />

e nel 1965 ha curato la traduzione in francese e tedesco<br />

di “cervino 1865 / 1965” di Mario fantin. È poi del 2002<br />

la raccolta di liriche “Il tempo delle Pleiadi”. l’ultimo fra i<br />

suoi titoli, “I racconti del vento”, è uscito lo scorso marzo<br />

per nuovi Sentieri Editori e raccoglie parole e sentimenti<br />

delle scalate di una vita. Irene Affentranger ha collaborato<br />

anche con riviste come l’Escursionista, Alpinismus e Aosta<br />

e le sue valli. È vice presidente del Gism, Gruppo italiano<br />

scrittori di montagna.<br />

4 | 2010 36<br />

cento donne sulla vetta del Rosa per ricordare due alpiniste<br />

francesi morte sull’Himalaya. Succede 50 anni fa, nel<br />

<strong>luglio</strong> 1960. Pochi vezzi, tanta determinazione, delle 118<br />

partecipanti quasi tutte giungono in cima. A ricordare l’impresa<br />

“Cento donne sul Rosa”, è l’alpinista e scrittrice Irene Affentranger,<br />

dal 2008 Socia onoraria del CAI.<br />

Irene Affentranger, perché cento donne su per il ghiacciaio<br />

dell’Indren?<br />

«Salimmo in vetta per ricordare Claude Kogan e la compagna<br />

Claudine van der Stratten, morte nel 1953 mentre tentavano la<br />

salita al Cho Oyu, la sesta vetta del mondo».<br />

Di chi fu l'idea delle “Cento donne sul Rosa”?<br />

«Di Fulvio Campiotti, un cronista del Corriere della Sera, che era<br />

anche un grande appassionato di montagna. Rimase talmente<br />

colpito dalla tragedia che pensò ad una spedizione femminile in<br />

commemorazione delle due alpiniste».<br />

Partenza da Gressoney, arrivo ai 4559 metri della Punta Gnifetti.<br />

Una salita per cui, oltre alla determinazione, sono necessarie<br />

capacità tecniche e preparazione fisica. Chi partecipò alle<br />

Cento donne sul Rosa?<br />

«Alpiniste italiane ma anche straniere. All’epoca io abitavo a Torino,<br />

coinvolsi Marisa e Germana, le mie compagne di scorribande<br />

sui monti, e partimmo anche noi, cordata numero otto».<br />

Ci fu una selezione?<br />

«Per far parte del gruppo bisognava essere competenti. Noi eravamo<br />

socie del CAI e di scalate ne avevamo già fatte, ci presero<br />

subito. Poi ci venne recapitata una lettera in cui si raccomandava<br />

di evitare “atteggiamenti troppo confidenziali con elementi di<br />

sesso diverso”. In poche parole, ci intimavano di stare alla larga<br />

dai così detti “mosconi”. Noi ragazze rimanemmo tutte perplesse:<br />

salire sul Rosa, per altro in una spedizione femminile, non sarebbe<br />

stato già di per sé abbastanza impegnativo?».<br />

Qualche “moscone”, anche solo a valle, ci sarà però pur stato…<br />

«Effettivamente sì! Capimmo a cosa si riferivano le indicazioni<br />

al momento della partenza, quando ci ritrovammo attorniate da<br />

giornalisti e fotografi delle maggiori testate, tutti inviati a documentare<br />

un’impresa tanto insolita».<br />

» Irene Affentranger in Nepal nel 1970


LA RIVISTA 4 | 2010 37<br />

Sui giornali del tempo, le cronache raccontano del ritrovo a Milano,<br />

con benedizione delle corde in piazza del Duomo...<br />

«Milano fu punto di partenza e arrivo delle Cento donne. Dopo la<br />

neve e il ghiaccio ci ritrovammo ancora in città per il cocktail finale.<br />

Dell’andata invece non ho ricordi diretti, io lavoravo in Fiat<br />

e con le mie compagne ci unimmo alla spedizione dopo il lavoro,<br />

direttamente a Gressoney».<br />

Cento donne assieme in albergo che attendono un evento tanto<br />

importante, come avete vissuto la vigilia della salita?<br />

«C’era un’atmosfera frizzante, chiacchiere e saluti non ce li siamo<br />

fatti mancare! Il mattino dopo invece cominciammo con una cerimonia<br />

a cui partecipò anche la madre di Ettore Zapparoli, l'alpinista<br />

scomparso nel 1951 lungo la parete Est del Rosa: ci consegnò<br />

una corona di fiori da lanciare nel vuoto».<br />

Poi pronte via. Come erano le condizioni meteo, le Cento donne<br />

partirono con il bel tempo?<br />

«Sì, il 26 <strong>luglio</strong> il cielo era sereno. Non ci fu nessuna difficoltà,<br />

nemmeno in quanto ad allenamento o mal di quota. Di pomeriggio<br />

ci ritrovammo alla Capanna Gnifetti, dove la sera ci stipammo<br />

anche in 16 in camere da 6, per una notte insonne. Alle tre<br />

del mattino cominciammo ad alzarci, tanta era la voglia di respirare<br />

aria fresca».<br />

Durante la salita avete dovuto fare i conti con la rivalità<br />

femminile?<br />

«No, assolutamente! Eravamo unite da un sentimento di solidarietà<br />

femminile, che ci fece raggiungere la vetta senza tensioni. Fu<br />

tutto davvero bello, il Rosa era carico di neve ma il percorso era<br />

ben tracciato da bandierine rosse a gialle che segnalavano i crepacci<br />

e indicavano anche le due diverse piste, una per la salita e<br />

una per la discesa. Fu un’impresa scandita solo dall’impegno e<br />

dalla passione. Le cronache del tempo parlarono dell’impresa con<br />

toni compiaciuti, ma a mio parere nel nostro avanzare non ci fu<br />

nulla di civettuoso: salivamo concentrate e una sola una cordata<br />

dovette desistere, a riprova che non si trattava di una scampagnata<br />

del gentil sesso».<br />

Quale fu l’emozione di arrivare in vetta?<br />

«Fu una sensazione bellissima. Il panorama era meraviglioso, il<br />

profilo delle montagne si vedeva nitido, la vetta del Gran Paradiso<br />

e del Grand Conbin sembravano così vicine».<br />

Quanto ha contato l’essere tutte donne?<br />

«Penso molto. Siamo state la cassa armonica che amplifica il messaggio<br />

musicale delle vette. Silenzi, grandi spazi. Le donne hanno<br />

una sensibilità maggiore, anche nell’andare in montagna: arrivare<br />

in cima, per noi Cento donne, ha significato ben più che il semplice<br />

portare a termine una prestazione».<br />

C’è un momento della salita che ricorda, in particolare?<br />

«Sì, ed è legato proprio a Zapparoli. Quando abbiamo lanciato la<br />

corona di fiori è stato davvero molto commuovente».<br />

Arrivate ai 4.554 metri d’altezza della Capanna Margherita, un<br />

tè caldo e poi di nuovo giù per il ghiacciaio…<br />

«In vetta lo spazio era talmente poco che non potevamo trattenerci<br />

un minuto in più dello stretto necessario. Sulla via del rientro<br />

poi il tempo si mise a peggiorare, così scendemmo veloci fino al<br />

Rifugio Vigevano».<br />

Fra alpiniste, giornalisti e guide alpine sarete stati un gruppo<br />

numeroso. Chi si occupò dell’organizzazione?<br />

«Sostanzialmente fece tutto Campiotti, con l’aiuto del CAI di Menaggio.<br />

Nei primi mesi del 1960 erano più gli scettici che i possibilisti,<br />

in pochi scommettevano sull’impresa, in tanti non mancavano<br />

di sottolineare i rischi di una salita resa difficoltosa dalle<br />

tante cordate, per di più femminili. Il CAI di Menaggio credette invece<br />

all’iniziativa e il presidente si adoperò per diffondere comunicati<br />

stampa, attivare le donne e preparare il tè caldo alla Capanna<br />

Margherita».<br />

E il <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong>, che ruolo ebbe?<br />

«Inizialmente non sostenne l'iniziativa, così come i <strong>Club</strong> alpini<br />

esteri, anche perché c’era la questione degli sponsor e ad alcuni la<br />

salita appariva al più un’impresa pubblicitaria».<br />

Gli sponsor vi fornirono l'equipaggiamento?<br />

«No, sarebbe stata una gran fortuna! Ci diedero solo le corde, quelle<br />

sì. Le fornì la Snia Viscosa e furono consegnate alle capo cordata<br />

da Riccardo Cassin in persona. Per il resto la Colmar donò i numeri<br />

di riconoscimento, niente di più. A distanza di anni, le corde<br />

in kevlar le ricordo ancora, così leggere rispetto ai vecchi canaponi<br />

a cui eravamo abituate».<br />

Dalle scalate sul Monviso ai ghiacci del Ruitor e del Bianco, dalle<br />

mete del Caucaso alle Ande, dall’Himalaya all’Ararat. Lei ha<br />

all’attivo quasi otto decenni di montagna eppure, fra le tante<br />

imprese, sembra che l’epopea delle “Cento donne sul Rosa” le<br />

sia particolarmente cara. A cinquant’anni di distanza, cosa rimane<br />

di quella spedizione?<br />

«Oltre ai ricordi e alle emozioni, le amicizie, e lo dico senza avere<br />

dubbi. Oltretutto fu proprio in quella occasione che conobbi la<br />

mia compagna di alpinismo Carla Maverna: saliva in un gruppetto<br />

davanti al nostro, nella cordata numero 6. Mi piace ricordare<br />

che il legame con Carla, è nato sul Rosa. Fra tutte noi partecipanti<br />

sono certa sia poi rimasto un sentimento comune. Due anni fa<br />

ad esempio, ero a Macugnaga per la cerimonia di sepoltura delle<br />

spoglie di Zapparoli e lì ho incontrato un'alpinista di una cordata<br />

vicina, Enrica Walter: l’abbracciarsi è stato immediato e naturale».<br />

Serena e ancora in vena di imprese tanto che all’intervista si<br />

presenta dopo aver guidato 600 chilometri in macchina da Monaco<br />

di Baviera, dove vive, a Torino, Irene Affentranger finisce<br />

il racconto con un aneddoto che ha tutto il sapore dell’avventura<br />

che non finisce.<br />

«Rientrate a Torino, accompagnai le mie compagne a casa. Ero<br />

stanca, convinta di aver portato a termine la scalata e le sue fatiche.<br />

Invece fu proprio allora che la macchina mi lasciò a piedi, era<br />

finita la benzina! Mi toccò riprendere la marcia, con un’ulteriore<br />

camminata per le strade della città. La mattina dopo tornai sui<br />

miei passi, questa volta con una tanica di benzina per l’auto. Poi<br />

potei andare al lavoro, finalmente». «


» trekking<br />

LA VIA fRANCIgENA<br />

UNA GUIDA WEB PER CHI CAMMINA<br />

Lo storico itinerario di Sigerico, in Toscana, consultabilE<br />

e scaricabilE dal web<br />

Testo e Foto di isabella Tonioli - Architetto, responsabile esecutivo del Progetto GIS per la Via<br />

Francigena in Toscana della Comunità Toscana Il Pellegrino<br />

prefazione di annibale salsa - past president <strong>Club</strong> alpino italiano<br />

contributo di corrado bernardini<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 39<br />

L'<br />

impegno statutario di far conoscere le<br />

montagne attraverso una frequentazione<br />

consapevole è l’obbligazione morale<br />

che attraversa il <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> fin dalla<br />

sua fondazione nel lontano 1863. La realtà geografica<br />

italiana è orograficamente complessa<br />

poiché spazia dalle grandi Alpi alla dorsale appenninica,<br />

includendo fasce collinari che rendono<br />

il paesaggio mutevole e ricco di riferimenti<br />

naturalistici e storici. Il paesaggio, inteso quale<br />

prodotto dell’interazione fra natura e cultura, va<br />

continuamente sottoposto ad una lettura critica<br />

e filologicamente adeguata, come si addice<br />

a pratiche escursionistiche culturalmente orientate.<br />

Tali, infatti, sono gli obiettivi associativi<br />

del nostro Sodalizio, mirati ad attribuire valore<br />

aggiunto “culturale” al semplice spostamento<br />

fisico-motorio sul terreno. L’esplorazione del<br />

territorio che l’escursionismo culturale mette in<br />

atto, sia sul piano oggettivo della descrizione<br />

paesistica che su quello soggettivo delle sensazioni<br />

personali, favorisce quella virtuosa unità<br />

del conoscere e del fare che il musicologo Massimo<br />

Mila individuava quale essenza profonda<br />

dell’alpinismo.<br />

La “Via Francigena” possiede, in tal senso, tutte<br />

le potenzialità e le vocazioni per diventare un<br />

terreno privilegiato del “pensare camminando”,<br />

oltre ogni logica performativa di natura tecnico-atletica.<br />

In tempi nei quali i territori extraurbani<br />

montani sono rappresentati alla stregua<br />

di aree marginali, tale progetto manifesta la<br />

volontà di ripensare e riposizionare luoghi forti<br />

da contrapporre ai “non-luoghi” della modernità<br />

consumistica.<br />

Da questi presupposti è nata la ferma volontà del<br />

CAI di supportare tecnicamente e culturalmente<br />

le iniziative di valorizzazione della Francigena<br />

mettendo a disposizione il proprio volontariato<br />

professionale, tecnicamente e culturalmente titolato<br />

a promuovere tali “buone pratiche”.<br />

Un percorso di queste proporzioni che, nella<br />

tratta italiana, parte dal Gran San Bernardo e<br />

arriva a Roma, può diventare un laboratorio di<br />

antropogeografia sperimentale contribuendo a<br />

far vivere meglio ed in profondità un’ Italia che,<br />

per molti Italiani, costituisce ancora un pianeta<br />

sconosciuto.<br />

Annibale Salsa<br />

Il 12 dicembre 2009 a Monteriggioni,<br />

nell’ambito dell’incontro sulla Via Francigena, è<br />

stato presentato il progetto per un Web Gis del<br />

percorso toscano, realizzato dalla “Comunità<br />

Toscana Il Pellegrino” e dai suoi collaboratori<br />

sotto incarico della Regione e dei sei Comuni<br />

della Valdelsa senese e fiorentina.<br />

La Comunità Toscana “Il Pellegrino” è<br />

un’associazione che ha messo a disposizione<br />

le proprie competenze professionali e la sua<br />

esperienza di cammino con l’obiettivo di poter<br />

disporre di uno strumento in grado di far<br />

dialogare le esigenze di coloro che percorrono<br />

gli itinerari storici con quelle di coloro che si<br />

occupano della gestione, della promozione e<br />

della manutenzione dei percorsi stessi.<br />

Con queste finalità, è stata progettata e realizzata<br />

un’applicazione Web Gis con la quale è possibile<br />

consultare sul Web il percorso, raccogliere le<br />

informazioni necessarie per il viaggio e stampare<br />

gratuitamente una guida personalizzata<br />

dell’itinerario.<br />

Il progetto, dopo più di un anno di impostazione<br />

tecnica, ha preso concretamente avvio con<br />

l’inizio dell’estate, quando, ripercorrendo<br />

l’intero tracciato della Via Francigena ufficiale<br />

in Toscana, sono state raccolte tutte le<br />

informazioni necessarie a chi gestisce e a chi<br />

percorre la via. Queste informazioni, organizzate<br />

in un sistema informativo geografico (Gis), sono<br />

state elaborate dalla società informatica GeoIn<br />

s.r.l. di Firenze per ricavarne un’applicazione<br />

Web che proponesse una visione personalizzata<br />

del percorso francigeno, da costruire in base<br />

alle diverse esigenze di chi viaggia: a ciascuno<br />

dunque la propria francigena.<br />

Il risultato del lavoro è oggi visitabile su www.<br />

geoin.it/fcg. A questo indirizzo, coloro che<br />

vogliono mettersi in cammino lungo la Via<br />

Francigena possono inserire il punto di partenza<br />

o di arrivo del proprio itinerario, la distanza<br />

media che sono in grado di percorrere in un<br />

2<br />

1» Lungo gli argini nella<br />

piana dell'Arno //<br />

2» Grancia di Cuna


» TREKKINg<br />

giorno, il numero di giorni a disposizione e<br />

alcune preferenze rispetto ai costi del viaggio<br />

e alla tipologia di percorso (ad esempio più<br />

breve o meno asfaltato); il sistema calcolerà<br />

l’itinerario individuando i punti tappa in base<br />

alle ospitalità presenti sul territorio ed alle<br />

esigenze segnalate dal pellegrino. Di questo<br />

percorso personalizzato, chi cammina potrà<br />

verificare tutte le caratteristiche tecniche e<br />

le informazioni logistiche sui servizi presenti<br />

nelle diverse località che incontra.<br />

La ricchezza di un itinerario storico-culturale<br />

come la Via Francigena risiede però non solo<br />

nel suo essere infrastruttura di connessione<br />

tra culture e realtà diverse, ma anche nel<br />

suo forte legame con il territorio, di cui fa<br />

emergere la realtà storica, richiamando con<br />

i suoi toponimi le strutture fisiche e culturali<br />

del passato e disegnando il paesaggio in cui si<br />

snoda. Per queste ragioni, un pellegrino potrà<br />

trovare sul Web Gis e nella sua cartografia la<br />

descrizione del contesto paesaggistico, con<br />

particolare attenzione al paesaggio storico<br />

della Via Francigena nel periodo medioevale,<br />

e le principali emergenze culturali, quali il<br />

sistema delle fortificazioni a presidio della Via,<br />

gli edifici ecclesiastici, le costruzioni civili,<br />

come stazioni di posta e antichi spedali, e i siti<br />

archeologici di maggiore importanza.<br />

Alla fine di questo viaggio virtuale sarà<br />

possibile stampare la cartografia, il riassunto<br />

3<br />

una convenzione fondamentale<br />

di corrado bernardini<br />

4 | 2010 40<br />

la firma della convenzione fra il cAI toscano e sei comuni della provincia di Siena<br />

costituisce un momento fondamentale per la francigena e per il club <strong>Alpino</strong>.<br />

la via francigena, l’antica via dei pellegrini “romei” è un itinerario storico di origine<br />

medievale che attraversa l’Europa. Parte da canterbury, in Inghilterra, attraversa la<br />

francia e la Svizzera. In Italia si snoda lungo la valle d’Aosta, il Piemonte, la lombardia,<br />

la liguria, l’Emilia, la toscana ed il lazio fino ad arrivare a Roma. convenzionalmente<br />

si è individuato il percorso storico dell’arcivescovo di canterbury Sigerico<br />

(effettuato nel 990 d.c. e riportato nel suo diario) come quello in cui la via francigena<br />

ritrova oggi una sua precisa identità, per una sua riscoperta e riproposizione.<br />

Il cAI, partendo dalla sua vocazione escursionistica ed attingendo allo spirito della<br />

ricerca proprio della terre Alte, ha ripristinato circa dodici anni fa un tratto della<br />

francigena collegando il parmense e la lunigiana attraverso il passo appenninico<br />

della cisa, l’antica via di Monte bardone. uno dei più bei percorsi francigeni che<br />

da Parma supera l’Appennino, scende a Pontremoli, attraversa la lunigiana sino a<br />

Sarzana. le Sezioni presenti su quel territorio ne curano la manutenzione e danno<br />

assistenza a chi vuol fare il pellegrinaggio inteso non solo in senso religioso ma anche<br />

come esperienza “a tutto tondo”, in cui trovino ragioni d’essere anche approcci<br />

di tipo più laico, aperti a tutte le sensibilità.<br />

la via francigena, come d’altronde ci insegna il cammino di Santiago di compostela<br />

in Spagna, per poter essere percorsa ha essenzialmente bisogno di due cose:<br />

un sentiero segnato e manutenuto nel tempo e degli “ospitali” che lungo il percorso<br />

offrano ospitalità a coloro che transitano. non sempre la “nostra strada” ha continuità<br />

su tutto il territorio nazionale. A Monteriggioni si è data la risposta, alla prima<br />

di queste esigenze necessarie per poter avere il percorso francigeno: un sentiero di<br />

80 km affidabile da castelfiorentino a Monteriggioni. Il tema dell’ospitabilità non<br />

può che essere oggetto di attenzione da parte delle amministrazioni locali o di<br />

presenze ecclesiali.<br />

nella convenzione di Monteriggioni sei comuni toscani riconoscono al cAI la competenza<br />

per la gestione del tratto della francigena che attraversa il loro territorio e<br />

affidano al Sodalizio la manutenzione per tre anni, con possibilità di rinnovo. Sarà<br />

compito delle nostre Sezioni di firenze e Siena provvedere al monitoraggio ed alla<br />

manutenzione del sentiero e della segnaletica.<br />

Avere questo riconoscimento in toscana che, sul tema specifico della francigena è<br />

indicata dalle altre regioni italiane come la “capo fila”, è sicuramente per noi del<br />

cAI motivo di orgoglio e di impegno per tutti a trasmettere questa esperienza nelle<br />

altre realtà territoriali attraversate dalla francigena.<br />

quali potrebbero essere gli obbiettivi per la nostra associazione negli anni a venire ?<br />

Anzitutto cercare di aumentare nei nostri soci la consapevolezza che la strada francigena<br />

è l’occasione per maturare la nostra vocazione escursionistica all’interno di<br />

un quadro di lettura del territorio volto a valorizzarne i segni lasciati dall’uomo e<br />

scoprire la cultura delle comunità che vi vivono. Poi consolidare, attraverso convenzioni<br />

con gli enti pubblici, il nostro radicamento nel territorio ed aumentare<br />

la nostra responsabilità per la salvaguardia del cammino dei pellegrini. Estensione<br />

delle tratte sulle quali la presenza del cAI come gestore della francigena è nei fatti<br />

e nella forma chiaramente riconoscibile. Infine volgere una particolare attenzione<br />

al grosso impegno che le presenze cAI a sud di Roma stanno mettendo per la realizzazione<br />

del grande itinerario di pellegrinaggio chiamato via Micaelica o francigena<br />

del sud; consolidare la presenza cAI negli organismi nazionali quali l’Associazione<br />

Europea della via francigena e la consulta Ministeriale agli Itinerari Storici culturali<br />

e Religiosi che costituiscono un riconoscimento dell’autorevolezza del lavoro<br />

svolto negli anni dalla nostra associazione. «<br />

Corrado Bernardini rappresenta il CAI nell’Associazione Europea della Via Francigena<br />

e nella Consulta Ministeriale degli Itinerari Storici Culturali e Religiosi.


LA RIVISTA 4 | 2010 41<br />

3» Valdelsa//<br />

4» I ponti a schiena d'asino<br />

delle tappe con le relative informazioni logistiche<br />

e gli eventuali approfondimenti di carattere<br />

culturale e paesaggistico del percorso scelto;<br />

saranno inoltre disponibili i file del tracciato per<br />

i navigatori GPS. La cartografia, parte integrante<br />

del progetto, è stata realizzata per le esigenze<br />

specifiche di coloro che camminano, inserendo<br />

la toponomastica principale e mettendo in<br />

evidenza guadi, fiumi, ponti e torrenti per<br />

facilitare l’orientamento. Per poter stampare<br />

un contenuto numero di fogli per tappa, si è<br />

scelto di utilizzare la scala 1:30000, mantenendo<br />

le informazioni sulla tipologia della strada<br />

che si percorre - strade provinciali, comunali,<br />

regionali, statali o strade sterrate e sentieri - ed<br />

un indicatore di quota per guidare il pellegrino<br />

sui dislivelli del percorso.<br />

In attesa dunque che la Via Francigena sia<br />

perfettamente segnalata e percorribile senza<br />

guide e cartine, l’associazione ed i giovani<br />

professionisti che hanno con lei collaborato<br />

hanno messo a disposizione di tutti un primo<br />

strumento, innovativo e di facile utilizzo, che<br />

permette di far vivere la Via Francigena attraverso<br />

coloro che maggiormente partecipano alla sua<br />

costruzione: i pellegrini e gli appassionati che la<br />

percorrono. «<br />

4


» arrampicata val d'aosta<br />

Testo di daniele pieiller<br />

l'Aroletta Superiore<br />

nella valle di Crête Sèche tra vecchi e nuovi itinerari<br />

La catena dell’Aroletta è la catena rocciosa che divide la valle<br />

di Crête Sèche da quella ancora più selvaggia di Faudery.<br />

L’Aroletta è famosa soprattutto per le vie moderne attrezzate<br />

sulla Vierge, ma non ne parleremo in queste righe. Questo<br />

breve cenno storico riguarda esclusivamente il tratto terminale<br />

della catena dell’Aroletta denominato “Aroletta Superiore” che<br />

topograficamente parte dal Col de l’Aroletta (2860 m ) e arriva al<br />

Col de Faudery (3000 m)<br />

PENSIERI DI MoNTAgNA<br />

Qui di seguito scriverò due brevi considerazioni sui protagonisti<br />

(persone e luoghi) che ci aiuteranno a conoscere Crête Sèche. È<br />

in questa zona, soprattutto sulla parete est, che si sono divertiti<br />

alcuni alpinisti belgi con il gestore del Rifugio Crête Sèche (io!)<br />

negli ultimi anni. È stato Bernard Marnette a coinvolgere alcuni<br />

suoi amici e me in questa bella avventura di esplorazione e<br />

arrampicata. Bernard è un fisioterapista di Liegi, amante di un<br />

alpinismo d’altri tempi, che ama praticare la sua passione soprattutto<br />

sulle Alpi, ma fuori dalle vie più frequentate, alla ricerca<br />

dell’avventura e della contemplazione dei luoghi più tranquilli.<br />

Frequenta la Valle d’Aosta da quando era piccolo e non si<br />

è limitato a scorrazzare sulle sue montagne ma si è spinto fin<br />

qui, senza perdere mai l’occasione, tra un’ascensione e l’altra, di<br />

fare una visita nelle biblioteche comunali alla ricerca di scritti e<br />

documenti dimenticati. Mi ha coinvolto in una dimensione che<br />

non si limita alla sola arrampicata intesa come attività fisica,<br />

facendomi riflettere, per esempio, sulle motivazioni che spingevano<br />

gli alpinisti di una volta ad esplorare le pareti che noi oggi<br />

ripercorriamo. Ogni volta che trovo un vecchio chiodo o un cuneo<br />

di legno provo ad immaginare lo stato d’ animo dei pionieri<br />

1<br />

4 | 2010 42<br />

nell’istante in cui piantarono quel chiodo. Penso anche alla fatica<br />

e alla tribolazione che caratterizzavano l’alpinismo di quegli<br />

anni e la vita di tutti i giorni. Ho capito quanto l’alpinismo sia<br />

distante da una impresa esclusivamente fisica. L’ esplorazione di<br />

piccole pareti come questa può donare delle emozioni intense e<br />

delle soddisfazioni personali per dei piccoli alpinisti come me:<br />

impagabili, completamente diverse dalle emozioni, anch’esse<br />

belle ma molto differenti, che può dare una salita al Cervino sulla<br />

via normale. Se non vogliamo perdere la montagna dobbiamo<br />

riconoscere anche l’ importanza di tanti piccoli gesti compiuti<br />

da chi vive e lavora in la montagna: contribuire a mantenere un<br />

sentiero, ripulire un prato o un bosco, gestire un rifugio, deve<br />

essere accompagnato da un moto di umiltà, innato nella gente di<br />

montagna. Questa umiltà credo sia conseguenza dell'impotenza<br />

che si prova di fronte all grandezza della montagna: prima o poi<br />

tutti provano una sensazione simile. Mi rendo conto che questo<br />

modo di vivere e “trasmettere” la montagna sia difficile da praticare<br />

e da promuovere; ma forse è proprio per questo che mi sento<br />

in dovere di provarci. Spesso mi rendo conto che la montagna<br />

raccontata dai media è una montagna fatta di record e di competizioni,<br />

modellata ad immagine della civiltà contemporanea.<br />

Rischiamo così di veicolare l'idea di una montagna frenetica e<br />

vissuta di corsa, a scapito delle emozioni, dei sentimenti e dei<br />

valori che essa tramanda attraverso l’alpinismo. Credo sia mio<br />

dovere quello di fare ogni sforzo per invertire questa tendenza.<br />

CENNI SToRICI<br />

I primi alpinisti che hanno esplorato e raggiunto la vetta dell’Aroletta<br />

Superiore furono: il portatore Giacomo Noro, Ettore Canzio,<br />

Felice Mondini e Nicola Vigna il 22 <strong>agosto</strong> 1897, che passarono<br />

dal Colle di Faudery e in cresta raggiunsero la cima nord; poi<br />

ridiscesero e passando dalla Valle di Faudery raggiunsero anche<br />

la cima sud.<br />

Dopo di loro molti nomi illustri si interessarono alla costiera<br />

dell’Aroletta, per citarne alcuni: l'Abbé Joseph Henry, che insieme<br />

all’Abbé Bovet Pantaléon e a Valérien Jaccod, furono i<br />

primi ad utilizzare il passaggio “Pas des Chamois”, che collega<br />

la valle di Crête Sèche con quella di Faudery; Renato Chabod<br />

volle scoprire la roccia dell’Aroletta quando con Franco e Guido<br />

Foscale la attraversò integralmente il 14 <strong>luglio</strong> 1938; Silvia e<br />

Gino Buscaini sono invece autori di una bella via sul Bec Noir<br />

il 3 <strong>agosto</strong> 1970.<br />

La prima via, molto interessante dal punto di vista alpinistico,<br />

sulla parete est la tracciarono Ennio Cristiano, Piero Danusso e<br />

Natale Fornelli il 28 settembre 1969. L’ anno dopo arrivarono anche<br />

gli aostani Renato Quendoz e Pino Trevisan, che scoprirono<br />

una via affascinante su roccia buona, a 180 m circa di dislivello.


LA RIVISTA 4 | 2010 43<br />

2<br />

Le nuove vie dell’<br />

aroletta Superiore<br />

della parete est<br />

dicevamo che la parete in questione<br />

è alta circa 180 m, la roccia è buona<br />

e si gode di un bel panorama. Sulle<br />

vie sono state attrezzate le soste per<br />

la discesa ed è stato messo qualche<br />

raro spit nei passaggi di placca più<br />

difficili. Sono stati lasciati dei chiodi<br />

a fessura e per il resto ci si protegge<br />

con friends e nuts. questa zona si<br />

differenzia da tutte le altre vie presenti<br />

nella valle di crête Sèche proprio<br />

per il fatto che non ci sono vie<br />

spittate. di essa il mio amico bernard<br />

Marnett dice: “È sicuramente una<br />

piccola parete su una piccola cima..<br />

ma che carattere!”; come diceva Alexandre<br />

vialatte: “quello che conta<br />

per una montagna è la sua altezza<br />

morale!”<br />

Accesso: dal Rifugio crête Sèche si<br />

segue il sentiero n. 2 (direzione col di<br />

crête Sèche) fino al Plan de la Sabla,<br />

dietro il bivacco Spataro si attraversa<br />

a sinistra (destra orografica) il<br />

torrente e si sale, in genere a sinistra,<br />

lungo una conoide detritica di grossi<br />

massi fino alla base della parete<br />

(1.30 ore).<br />

Materiale: 2 corde da 50 m; serie<br />

di friends e nuts (friends medi in<br />

abbondanza!), fettucce o spezzoni<br />

di corde per equipaggiare eventuali<br />

soste.<br />

Periodo: da giugno a settembre<br />

Via “Chap’s”<br />

Prima ascensione: j.Ph. bourley, b.<br />

Marnette il 05-07-06<br />

Uscite dirette e varianti: b. Marnet-<br />

te e d. Pieiller<br />

Lunghezza via: 250 m.<br />

Dislivello: 150 m (più 20 m. di rampa<br />

di accesso)<br />

Difficoltà: tdsup (6a obb.)<br />

Via “Du Saillant”<br />

Prima Ascensione: j.Ph. bourley, b.<br />

Marnette il 27-07-‘06<br />

Lunghezza via: 250 m.<br />

Dislivello: 180 m.<br />

Difficoltà: td (6a- 5c obb.)<br />

Via “Quendoz-<br />

Trevisan”<br />

Prima ascensione: R. quendoz, R. trevisan<br />

il 27-08-‘70<br />

Lunghezza via: 285 m.<br />

Dislivello: 180 m.<br />

Difficoltà: td (6a – 5c obb.)<br />

Variante: d. Pieiller. b. Marnette<br />

Via “Cristiano”<br />

Prima ascensione: E. cristiano, P. danusso,<br />

n. fornelli il 29-09-‘69<br />

Lunghezza via: 300 m.<br />

Dislivello: 180 m.<br />

Difficoltà: d sup (5a – 4c obb.)<br />

Variante: d. Pieiller, b. Marnette<br />

Via “Dièdre des<br />

Indomptés”<br />

Prima Ascensione: b. Marnette, A.<br />

Rousseau il 22-06-‘07<br />

Lunghezza via: 255 m.<br />

Dislivello: 180 m.<br />

Difficoltà: td sup (6b – 6a obb.)<br />

Via “Transaroletta”<br />

Prima ascensione: ch. fontaine, b.<br />

Marnette il 05-07-‘09<br />

Lunghezza via: 260 m.<br />

Dislivello: 180 m.<br />

Difficoltà: td sup (6b – 6 a obb.) la<br />

3<br />

» ITINERARI<br />

nuova via dell’ Aroletta Inferiore<br />

parete ovest (parete inesplorata)<br />

Via “Mon ami<br />

Pierrot”<br />

Prima ascensione: d. Pieiller e b.<br />

Marnette il 07-09-‘09<br />

Lunghezza via: 340 m.<br />

Dislivello: 200 m.<br />

Difficoltà: td sup (6a obb.)<br />

Materiale: 2 corde da 50 m. ,<br />

friends e nuts<br />

questa via merita un commento<br />

poiché è stata percorsa una parete<br />

ancora vergine nonostante la sua<br />

bellezza. è stato il mio amico bernard<br />

a convicermi a partire con lui<br />

per questa arrampicata. bernard<br />

era stato all’ inizio dell’ estate<br />

ad osservare questa parete che si<br />

affaccia sulla comba di faudery,<br />

una valle particolarmente selvaggia<br />

che in estate non vede quasi<br />

mai la presenza umana. dopo che<br />

ci siamo documentati e abbiamo<br />

scoperto che le uniche vie tracciate<br />

non interessavano quella parete,<br />

alla fine dell’ estate, in un giorno<br />

libero dai miei impegni al rifugio,<br />

decidemmo di partire, anche se un<br />

po in ritardo (ma prima di partire<br />

il gestore deve dare almeno la colazione<br />

ai suoi clienti!). tutti e due<br />

amiamo un alpinismo di esplorazione,<br />

umano e curioso; non siamo<br />

né all’ altezza né alla ricerca di un<br />

"exploit alpinistico". con questo<br />

spirito lasciammo il rifugio. Invece<br />

di risalire la comba di faudery,<br />

decidemmo di salire al colle dell’<br />

Aroletta per calarci con due doppie<br />

da 50 m nella selvaggia faudery,<br />

da qui in 20 minuti raggiungemmo<br />

i piedi della parete. la via si è rivelata<br />

più dura di quanto pensavamo,<br />

con dei momenti di splendida arrampicata<br />

in piena sicurezza alternati a<br />

passaggi su roccia delicata e sporca,<br />

difficili da proteggere. Giungemmo<br />

verso sera su un diedro liscio e<br />

strapiombante, senza fessure per assicurarci,<br />

così iniziò la ricerca di un<br />

passaggio più facile per raggiungere<br />

la cima, sulla quale ci aspettava una<br />

sosta attrezzata nei giorni precedenti<br />

che con una doppia di 60 m.<br />

ci avrebbe lasciato appoggiare i piedi<br />

sulla traccia di salita dell’ Aroletta<br />

superiore, che si trova sul versante<br />

crête Sèche. ormai era buio da 2 ore<br />

e più che un passaggio per raggiungere<br />

la cima cercavamo una zona per<br />

passare la notte. Il tempo era bello e<br />

non faceva freddo, ma non riuscivo<br />

a mettermi in comunicazione con<br />

mia moglie Ilenia che ci aspettava al<br />

rifugio e così l’ unica nostra preoccupazione<br />

era che sicuramente Ilenia<br />

avrebbe avvertito il soccorso alpino..e<br />

tutto ciò ci irritava leggermente. Per<br />

fortuna verso le 22.30 trovammo un<br />

passaggio facile che ci portò dritti<br />

alla cima, dalla quale riuscimmo ad<br />

avvertire appena in tempo Ilenia che<br />

stavamo bene! I bei ricordi di quelle<br />

ore passate sulla roccia insieme<br />

al momento dell’ arrivo al rifugio di<br />

notte con Ilenia che ci aspettava suscitano<br />

in me delle emozioni forti e<br />

rare, difficili da commentare. «<br />

1» Daniele Pieiller in meditazione<br />

sull'Aroletta. foto B. Marnette //<br />

2» Vie Aroletta superiore //<br />

3» Rifornimenti. Daniele e l'asina<br />

Pedr'. Foto I. Perron


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4 | 2010 44<br />

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LA RIVISTA 4 | 2010 45<br />

un serbatoio di biodiversità<br />

LA FAUNA DEGli ambienti umidi, agricoli e di margine<br />

foto DI ANDREA ZAMPATTI - testo di EMILIO PADOA-SCHIOPPA - ricercatore confermato in ecologia<br />

presso l'università degli studi di milano-bicocca<br />

Le meravigliose immagini di queste pagine mostrano alcuni uccelli<br />

che è possibile incontrare in Italia. Sono testimonianza di come il<br />

territorio italiano sia ricco di biodiversità. Per poter osservare questi<br />

uccelli non è infatti necessario andare in zone particolarmente<br />

remote o impervie. Sono uccelli anche relativamente frequenti (in<br />

seguito specie per specie indicherò quante coppie nidificanti sono<br />

stimate in Italia1) e che talvolta è possibile osservare con facilità.<br />

L’airone rosso (Ardea purpurea) è una specie diffusa in Europa<br />

meridionale, sverna generalmente in Africa; ne sono registrate<br />

circa 42.000 coppie, e mentre le popolazioni dell’Europa occidentale<br />

sono stabili o in moderato aumento (in Italia si stimano<br />

circa 2.000 coppie) in Europa orientale si continua a registrare<br />

un declino. La popolazione di airone cenerino (Ardea cinerea) è<br />

stabile, in Italia è una specie sedentaria, con circa 10.000 coppie.<br />

È facile da incontrare nei campi della pianura padana, mentre<br />

nidifica in colonie dette garzaie, situate in boschi di ontani o<br />

pioppi. La garzetta (Egretta egretta) è un’altra specie presente in<br />

gran parte dell’Europa, ben conservata (in Italia ne sono stimate<br />

15.000-16.000 coppie, mentre in Europa più di 94.000); nidifica<br />

nelle zone di vegetazione fluviale boschiva naturale e sfrutta risaie<br />

e altre zone umide per alimentarsi. La nitticora (Nycticorax<br />

nycticorax) ha subito in passato un drastico calo, e le sue popolazioni<br />

sono in ripresa negli ultimi 15 anni (meno di 87.000 coppie<br />

in Europa e in Italia 12.000-14.000). La sgarza ciuffetto (Ardeola<br />

ralloides) è una specie migratrice, in declino in buona parte d’Europa:<br />

18.000-27.000 coppie, di cui solo 550-650 in Italia, dove è<br />

uno degli ardeidi più rari in assoluto. Il cigno (Cygnus olor) è una<br />

specie che normalmente nidifica al di sopra del 45° parallelo. In<br />

Italia se ne stimano circa 300-500 coppie (in tutta Europa tra le<br />

86.000 e le 120.000) ed è una specie antropofila. Non è raro trovarlo<br />

in luoghi umidi anche all’interno di aree urbane. Perché nidifichi<br />

è necessario mantenere zone naturali a canneto. Il fistione<br />

turco (Netta ruffina) è una specie presente soprattutto nell’Europa<br />

dell’est. In Italia se ne stimano circa 40-60 coppie nidificanti, per<br />

cui è una specie protetta; molti altri individui svernano nei laghi<br />

e zone umide della nostra penisola. La folaga (Fulica atra) invece<br />

è molto abbondante in Europa (1.300.000-2.300.000 coppie, di<br />

cui 8.000-10.000 in Italia), è possibile trovarla in vari specchi e<br />

corsi d’acqua, nidifica tra la vegetazione palustre. Il gufo di palude<br />

(Asius flammeus in Europa ha subito un grande declino: se ne<br />

stimano ora circa 58.000 coppie, ma in Italia non ve ne sono, è<br />

una specie presente solo durante la stagione invernale o durante<br />

la fase migratoria, quando frequenta ambienti agricoli. Il cavaliere<br />

d’Italia (Himantopus himantopus) è presente in numerosi paesi<br />

europei. Dove l’inverno è rigido la specie è migratrice, altrimenti<br />

può essere sedentaria. In Italia se ne stimano tra le 1.700 e le 4.000<br />

coppie, e in tutta Europa tra le 37.000 e le 64.000.<br />

Il gruccione (Merops apiaster) è un’altra specie diminuita drasticamente<br />

in passato. La sua distribuzione è legata ad ambienti mediterranei.<br />

Nidifica in pareti sabbiose-argillose poste in zone aperte,<br />

dove forma delle colonie. Ne sono stimate circa 480.000 coppie in<br />

Europa, di cui tra le 5.000 e le 10.000 in Italia.<br />

1


Il falco di palude (Circus aeruginosus) è un rapace diffuso in<br />

Europa (tra le 93.000 e le 140.000 coppie, di cui solo 170-220 in<br />

Italia). Si trova soprattutto in ambienti aperti, con presenza di<br />

zone d'acqua.Lo scricciolo (Troglodytes troglodytes) preferisce<br />

ambienti ricchi di arbusti dove possa nidificare nelle cavità. Nidifica<br />

dalla pianura fino a 2.000 metri di quota. È ampiamente<br />

diffuso in Europa e in Italia (23-40 milioni di coppie di cui tra<br />

1 milione e 2,5 milioni nel nostro paese). Il pettirosso (Erithacus<br />

rubecola) è una specie boschiva. Pur prediligendo boschi con<br />

alberi di grandi dimensioni è possibile trovarlo anche in parchi<br />

urbani o zone di margine. In tutta europa si stimano dai 43 agli<br />

83 milioni di coppie. In Italia ne sono stati stimati tra gli 1 e i 3<br />

milioni. La cinciarella (Parus ceruleus) è diffusa in tutta Europa<br />

(20-44 milioni di coppie) e anche in Italia (500.000 – 1.000.000<br />

di coppie). Si trova soprattutto nei boschi di latifoglie, e utilizza<br />

cavità naturali per nidificare, ma è pronta a sfruttare anche<br />

nidi artificiali. La cincia dal ciuffo (Parus cristatus) è invece<br />

tipica dei boschi di conifere. In Europa ve ne sono tra i 6 e i 12<br />

milioni di coppie, e in Italia tra le 20.000 e le 40.000 coppie. È<br />

valutata una specie in declino a livello europeo. Nel complesso<br />

quasi tutte queste specie sono diffuse nelle aree di pianura (e<br />

talvolta anche in montagna) non massacrate da uno sviluppo<br />

edilizio incontrollato, nelle zone umide, negli ambienti marginali<br />

come siepi e filari. Considerato che le dinamiche di trasformazione<br />

del suolo (da agricolo a urbanizzato) in Italia sono<br />

ancora drammaticamente elevate (ai massimi livelli in tutto il<br />

continente) è evidente che molte di queste specie in futuro vedranno<br />

seriamente minacciati i loro habitat naturali.<br />

2


LA RIVISTA 4 | 2010 47<br />

4 5<br />

3<br />

1» Pettirosso (Erithacus<br />

rubecola) //<br />

2» Airone rosso (Ardea<br />

purpurea)//<br />

3» Garzetta (Egretta<br />

garzetta) //<br />

4» Grillaio (Falco naumanni)//<br />

5» Airone cenerino<br />

(Ardea cinerea)


8<br />

9<br />

6<br />

7<br />

4 | 2010 48


LA RIVISTA<br />

6» Garzetta (Egretta garzetta) //<br />

7» Cavalieri d’Italia (Himantopus himantopus)//<br />

8» Nitticora (Nycticorax nycticorax) //<br />

9» Sgarza ciuffetto (Ardeola ralloides)//<br />

10» Scricciolo (Troglodytes troglodytes)<br />

10<br />

4 | 2010 49


11» Gufo di palude<br />

(Asius flammeus) //<br />

12» Cincia dal ciuffo<br />

(Parus cristatus)//<br />

13» Gruccione (Merops<br />

apiaster) //<br />

14» Fistione turco (Netta<br />

ruffina)//<br />

15» Cigno (Cygnus olor)<br />

13<br />

4 | 2010 50


LA RIVISTA 4 | 2010 51<br />

11 12<br />

14 15


LA RIVISTA<br />

17<br />

16» Cinciarella (Parus caeruleus) //<br />

17» Andrea Zampatti<br />

» andrea zampatti<br />

Andrea zampatti è nato a brescia nel 1985. fin da piccolo<br />

è appassionato di animali e di natura, durante gli studi accademici<br />

decide di voler fotografare le meraviglie naturali<br />

che ogni giorno si presentano agli occhi di chi le ama e le<br />

sa cogliere. Prerogativa delle sue immagini è il tentativo<br />

di porre sullo stesso livello il lato artistico e quello naturalistico,<br />

campo in cui il coinvolgimento emotivo ed etico<br />

diventa ingrediente fondamentale. così il fotografare un<br />

animale selvatico diventa, dopo essere stata una paziente<br />

e amichevole sfida col soggetto, desiderio di conoscenza<br />

e conservazione della fragile ed affascinante biodiversità<br />

che permette al genere umano di (r)esistere ancora.<br />

4 | 2010 52<br />

16


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Dati aggiornati al 7 giugno 2010


» parchi<br />

il cai sale sul<br />

monte di portofino<br />

la convenzione tra gruppo regionale Liguria e l’Ente<br />

Parco di portofino prevede specifiche iniziative a favore<br />

dei soci<br />

testo a cura di ferruccio repetti - foto ente autonomo del monte di portofino<br />

1


LA RIVISTA 4 | 2010 55<br />

2<br />

“Una profonda incisura obbliga ad affrontare il tratto tecnicamente<br />

più difficile dell’itinerario costituito da una parete da<br />

costeggiare in saliscendi per circa una ventina di metri con<br />

l’aiuto di gradini in rilievo o scavati nella roccia, di catena<br />

metallica e di una scala attaccate al conglomerato. Sulle rupi<br />

che si incontrano si può osservare con una certa facilità il falco<br />

pellegrino”. E ancora, avanzando di buona lena: “Si attraversano<br />

tratti panoramici e, localmente, esposti, quindi ben forniti<br />

di catene per reggersi alla roccia, per giungere alla lunga galleria<br />

Torretta (o Galleria del Diavolo) che conduce oltre la Rocca<br />

dei Corvi o Buca dei Corvi (in realtà cornacchie nere)".<br />

Non è ancora il culmine dell’ascesa, il climax dell’impegno. C’è<br />

ben altro, lungo l’itinerario che appaga gli occhi, la mente e il<br />

cuore. “Il restante tratto di sentiero è caratterizzato da alcuni<br />

passaggi mediamente impegnativi, soprattutto se avete uno<br />

zaino ingombrante, ma ben assistiti da catene. L’ambiente che<br />

si affronta e che ci si lascia alle spalle è meraviglioso”.<br />

Ecco, “l’ambiente che si affronta” – che si è appena affrontato<br />

– e che “ci si lascia alle spalle” – ma che rimane, saldamente,<br />

fisicamente stampato “dentro” – è quello, davvero meraviglioso,<br />

del Parco di Portofino. Lo descrive così, con passione<br />

e rispetto, Alberto Girani, che del Parco è direttore e, prima<br />

ancora, frequentatore assiduo e conoscitore profondo, fin nei<br />

minimi anfratti. È lui innanzi tutto, autore della “Guida al Parco<br />

di Portofino” (Sagep Editore), prodiga di gite, passeggiate,<br />

consigli; è lui, Girani, che fa da apripista per introdurre il visitatore<br />

nello spirito autentico del luogo e, poi, nell’intrico – un<br />

arcobaleno di colori primari e sfumature – dei sentieri, degli<br />

infiniti scorci panoramici, della flora e della fauna tipica, così<br />

sorprendentemente ricca ed eterogenea.<br />

Racconta, dunque, Girani. Ma non è una favola, la sua, per<br />

1»Portofino mare penisola//<br />

2»San Fruttuoso torretta<br />

quanto favolosa sia la Natura che sta davanti. Siamo in Liguria,<br />

Riviera di Levante, in provincia di Genova, tra il Golfo Paradiso<br />

e il Golfo del Tigullio, anche se l’esordio potrebbe far pensare<br />

a chissà quale paesaggio alpino. E invece siamo a due passi dal<br />

mare, nel punto d’incontro fra gli opposti – ma sono davvero<br />

opposti? – che, qui, si risolvono in armonia. Mare e monte,<br />

appunto. Che da queste parti significa: Monte di Portofino, da<br />

0 a 610 metri di altitudine, e, più in generale, 1055 ettari di<br />

area parco, 732 di area contigua e 796 di Sic-Siti d interesse<br />

comunitario (Portofino, Tuia-Montallegro e Pineta delle Grazie)<br />

che insistono sui comuni di Camogli, Santa Margherita Ligure,<br />

Portofino, Rapallo, Zoagli e Chiavari.<br />

Mica da ieri: “Celebriamo nel 2010 il 75° anniversario” ricorda<br />

Francesco Olivari, che dell’Ente Parco è presidente. E aggiunge<br />

subito: “ C’è ancora qualche scritta, qua e là, fra gli<br />

alberi, provate a scovarla, che risale all’epoca, 20 giugno del<br />

1935, quando, con legge 1251, venne istituito dallo Stato l’Ente<br />

Autonomo del Monte di Portofino”. Successivamente, correva<br />

l’anno 1986, fu decretato l’Ente Regionale con la definizione<br />

dei confini dell’Area Parco e dell’Area Cornice, mentre è del<br />

1995 la legge di riordino delle aree protette liguri che porta<br />

all’istituzione dell’attuale assetto, con l’Ente Parco di Portofino<br />

dotato di propria autonomia amministrativa e funzionale. Più<br />

recente, del 2001, è la norma che ridisegna definitivamente i<br />

confini di Area Parco e Area Contigua.<br />

“Be’, il passato è glorioso, ma a noi interessa soprattutto l’avvenire”<br />

incalzano all’unisono Olivari e Girani, cui nel frattempo<br />

si è aggiunto – sbucato da uno qualsiasi dei sentieri che


» parchi<br />

attraversano il Parco per 70 chilometri complessivi -, zaino in<br />

spalla e pedule come una seconda pelle, il presidente del <strong>Club</strong><br />

<strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>-Regione Liguria, Gianpiero Zunino. Il futuro,<br />

ecco, è quello che unisce “questi tre”: il futuro del Parco connesso<br />

a quello del CAI ligure. Che - per la prima volta a livello<br />

regionale - ha intuito, studiato, proposto, messo a punto<br />

e realizzato una convenzione con un Ente Parco. “L’accordo,<br />

un’intesa perfetta in nome della tutela dell’ambiente e di chi<br />

lo frequenta – sottolinea Zunino - prevede la collaborazione<br />

intensa, convinta, fra i due soggetti attuatori, e in particolare<br />

l’istituzione di specifiche iniziative a favore dei fruitori del Parco.<br />

I quali, poi – insiste il presidente del CAI Regione Liguria<br />

– sono in gran parte nostri soci, affiliati entusiasti della scoperta<br />

di nuovi itinerari o della riscoperta di ambienti naturali,<br />

storico-culturali e umani che, parafrasando il grande mattatore,<br />

hanno un grande futuro dietro le spalle!”.<br />

3»Portofino mare //<br />

4»Monte da Punta Chiappa<br />

Zunino ha le idee molto chiare: la convenzione CAI-Parco di<br />

Portofino può avere un effetto-domino, e rappresentare l’avvio<br />

di una serie di altri accordi fra il <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong> e i parchi<br />

regionali, in Liguria e non solo. Tutto questo, nella prospettiva<br />

di incrementare la frequentazione di siti ambientali e naturalistici<br />

di grande fascino e spettacolarità, ma anche di svilupparne<br />

la tutela, tramite proprio la presenza continuativa di flussi di<br />

escursionisti in grado di diventare naturali, vere e proprie” sentinelle<br />

del territorio”. Nessuna confusione, beninteso, con chi,<br />

dal punto di vista istituzionale e normativo, si dedica all’operatività<br />

del Parco, alla conservazione della flora e della fauna e<br />

alla realizzazione delle attività collegate. “Su questo – precisa<br />

Oliveri – non c’è nessuna ambiguità o possibilità di malinteso<br />

nella convenzione con il CAI. Ognuno dei soggetti continua a<br />

mantenere il proprio ruolo, le proprie funzioni peculiari senza<br />

interferire con l’altro. L’accordo mira piuttosto a esaltare le<br />

sinergie fra due soggetti che, per statuto e convinzione, sono<br />

impegnati a difendere la Natura senza però chiuderla dentro<br />

steccati inviolabili ai non addetti ai lavori”.<br />

3<br />

4 | 2010 56<br />

È anche l’opinione di Zunino, che interviene richiamando un<br />

concetto fondamentale, espresso più volte nel corso del mandato,<br />

dal presidente nazionale del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>, il professor<br />

Annibale Salsa: “Guai a erigere barriere, guai a moltiplicare<br />

i divieti”, come si era adombrato, anche da parte di esponenti di<br />

governo, “con eventuali, pesanti sanzioni a carico di chi va in<br />

montagna e provoca sinistri”. Un conto è la giusta regolamentazione,<br />

insomma, un altro conto è proibire indiscriminatamente,<br />

finendo per penalizzare anche chi ama e frequenta l’ambiente e<br />

la natura e li rispetta. Un rischio che la convenzione CAI-Ente<br />

Parco non vuole correre assolutamente: “La protezione passiva<br />

non serve a niente e a nessuno – è il parere del presidente e del<br />

direttore del Parco – Una realtà come la nostra deve essere di<br />

per se stessa dinamica, con una visione realistica delle cose. Il<br />

Parco deve dare economia, risorse, non solo scenari naturali,<br />

seppure bellissimi ed edificanti, e magari di ardua fruizione.<br />

I vincoli ci vogliono, s’intende, lo riconosciamo, ma un Parco<br />

non può vivere di soli vincoli!”.<br />

Ecco allora l’esigenza di realizzare un disegno convincente per<br />

tutti, che prevede la più ampia tutela di ambiente, natura, paesaggio,<br />

accanto all’altrettanto ampia, convinta apertura al riconoscimento<br />

delle caratteristiche storico-culturali del territorio,<br />

alla promozione di attività di ricerca scientifica e di educazione<br />

ambientale, alla valorizzazione delle attività agricole e artigianali,<br />

“garantendo – scandisce Olivari – nello stesso tempo la<br />

fruizione ai fini didattici, culturali, scientifici, ricreativi e turistici”,<br />

come nel caso del concerto del 20 giugno di quest’anno<br />

sul pianoro di vetta. Significa, dunque, “impegnarsi a migliorare<br />

le condizioni economiche e sociali delle popolazioni residenti,<br />

promuovendo attività economiche sostenibili anche in<br />

attuazione dei piani e dei progetti europei, nazionali e regionali<br />

sullo sviluppo sostenibile”. Significa anche – e chi meglio dei<br />

soci del CAI è in grado di apprezzarlo? – andare alla scoperta<br />

delle particolari caratteristiche geomorfologiche (i calcari del<br />

Monte Antola e il conglomerato di Portofino) e microclimatiche<br />

del territorio “che hanno permesso, su un’area estremamente<br />

limitata – spiega ancora Girani -, la coesistenza di tipi molto<br />

diversi di vegetazione: dai boschi mesofili del versante settentrionale<br />

alla macchia mediterranea del versante sud che ospitano<br />

una vasta concentrazione floristica, oltre a una notevole<br />

varietà di uccelli e invertebrati”.<br />

Senza contare, vivaddio!, l’opportunità di chiudere una giornata<br />

d’escursione in bellezza, alla tavola giudiziosamente imbandita<br />

del “Mulino del Gassetta”, il più in quota fra i 35 storici<br />

mulini in pietra, un tempo presenti nella Valle dell’Acqua Viva.<br />

Il Parco lo ha acquisito di recente per riqualificarlo ai fini didattici<br />

e, appunto, di ristorazione. All’interno, nei locali ristrutturati,<br />

ci sono ancora le testimonianze che consentono di “leggere”<br />

il passato, e le funzioni della struttura. E poi ci sono loro<br />

due, Jane e Gunilla, che curano, eccome curano!, la cucina, e<br />

confezionano manicaretti serviti in sala o in terrazza. Mentre il<br />

rumore di fondo è solo quello dello scorrere dell’acqua.<br />

Sì, il Parco di Portofino è anche questo: grande Storia e piccole<br />

storie, ambiente e cultura, minestrone e coniglio alla ligure, il<br />

”preboggion” di sette erbe selvatiche e un buon bicchiere di<br />

vino bianco che sa di prati e salmastro. Traguardando l’orizzonte<br />

e sognando nuove avventure su questi e tanti altri ”monti<br />

del mare”. «


LA RIVISTA 4 | 2010 57<br />

4<br />

IL PARCo DI PoRTofINo<br />

Presidente - dott. francesco olivari<br />

Direttore - dott. Alberto Girani<br />

Comuni - camogli; Portofino; Santa Margherita ligure<br />

LA storiA: i rifErimEnti normAtivi<br />

nel 1935 con la legge n.1251 viene istituito l'Ente Autonomo<br />

del Monte di Portofino.<br />

nel 1986 con la legge regionale n.32, che abroga la precedente,<br />

viene istituito l'Ente Regionale Monte di Portofino e<br />

vengono definiti i confini dell'Area Parco e dell'Area cornice.<br />

nel 1991 con la legge quadro di riordino delle aree protette<br />

si stabiliscono le funzioni dei Parchi nazionali e regionali.<br />

nel 1995 con la legge regionale n.12 di riordino delle aree<br />

protette liguri, viene abrogata la legge del 1986 ed è istituito<br />

l'attuale Ente Parco di Portofino con propria autonomia<br />

amministrativa e funzionale.<br />

nel 2001, con la legge regionale n.29 vengono ridisegnati i<br />

confini dell'Area Parco e dell'Area contigua e attribuite competenze<br />

al Parco sui Siti di Importanza comunitaria limitrofi.<br />

PrinciPALi PubbLicAzioni inErEnti iL tErritorio dEL<br />

PArco<br />

Guida al Monte di Portofino<br />

Girani Alberto, olivari Silvia, Sagep 1986<br />

Guida al Parco di Portofino<br />

Girani Alberto, Sagep, 2008<br />

Guida naturalistica tascabile del Monte di Portofino<br />

desio A., Stringa ed. Genova, 1978<br />

Il gatto, l'albero, il delfino. C'era una volta a Portofino<br />

Picetti franco, Sagep, 2000<br />

Il Monte di Portofino. La flora<br />

dioli E., olivari S., cavadini d., f.A.I., Microarts, Recco, 1992<br />

I mulini dell'Acquaviva sul Monte di Portofino<br />

olivari S., Rotta A., Sagep, Genova, 1988<br />

Itinerari naturalistici nel Parco di Portofino<br />

Rosso Andrea, 3 opuscoli Ente Parco di Portofino 1997<br />

Nozarego, la Cervara e Paraggi<br />

bertollo A., devoto G., tigullio ed.<br />

Quando sul Monte si cuoceva il carbone. La produzione di legna<br />

sul Monte di Portofino<br />

olivari Silvia, le Mani, Microart's Edizioni, Genova, 2007<br />

San Fruttuoso di Capodimonte: percorso tra storia e arte<br />

dioli franco, 2003<br />

I Parchi della Liguria: Sistema Regionale delle Aree Protette<br />

M. Robello, Regione liguria, ufficio Parchi e Aree Protette, vidigraph,<br />

Genova<br />

Alta Via dei Monti Liguri<br />

M. Robello, Regione liguria, ufficio Parchi e Aree Protette, vidigraph,<br />

Genova<br />

Portofino parco naturale regionale<br />

M. Robello, Regione liguria, ufficio Parchi e Aree Protette, vidigraph,<br />

Genova<br />

Le Vie del Conglomerato Due itinerari geologici nel Parco di Portofino<br />

Guida alle escursioni<br />

b. corsi, Il Parco di Portofino Edizioni, Santa Margherita ligure, 2008<br />

Parchi con vista<br />

M. Malatesta, Sagep, Genova, 2009.<br />

vidEo<br />

I Parchi della Liguria: Sistema Regionale delle Aree Protette<br />

M. Robello, Regione liguria, ufficio Parchi e Aree Protette, vidigraph,<br />

Genova<br />

Alta Via dei Monti Liguri<br />

M. Robello, Regione liguria, ufficio Parchi e Aree Protette, vidigraph,<br />

Genova<br />

Portofino parco naturale regionale<br />

M. Robello, Regione liguria, ufficio Parchi e Aree Protette, vidigraph,<br />

Genova<br />

cArtogrAfiA<br />

Il Parco Naturale Regionale di Portofino<br />

Toponimi locali. Strade e Sentieri. Carta Escursionistica<br />

Scala 1:10.000 fronte - 1:25.000 retro<br />

Studio cartografico <strong>Italiano</strong>, Genova, 2006 «


» ITINERARI portofino<br />

1<br />

Camogli/San Rocco/<br />

(Punta Chiappa)/San<br />

fruttuoso<br />

Segnavia: rossi ••<br />

Periodo: tutto l’anno (non nelle giornate<br />

più calde)<br />

Attrezzatura: scarpe da trekking, kway<br />

Durata del percorso: 1.15 ore fino a<br />

Punta chiappa, 3.30 ore fino a San<br />

fruttuoso<br />

Difficoltà: t/E per Punta chiappa, EE<br />

la traversata a San fruttuoso<br />

descrizione del percorso<br />

Il centro storico e la stazione di camogli<br />

sono il punto di partenza di<br />

alcuni degli itinerari più classici del<br />

Parco. Mentre i viottoli che salgono<br />

a San Rocco e proseguono verso le<br />

batterie, San nicolò e Punta chiappa<br />

sono elementari, la traversata oltre le<br />

batterie verso San fruttuoso si svolge<br />

in ambiente spettacolare e selvaggio,<br />

e richiede sicurezza di piede<br />

in alcuni passaggi esposti. chi non si<br />

sente di affrontarli può raggiungere<br />

le batterie, tornare indietro, scendere<br />

a Punta chiappa a proseguire verso<br />

San fruttuoso in battello.<br />

1» San Fruttuoso //<br />

2»Carta di Portofino<br />

Da Portofino a San<br />

fruttuoso<br />

Segnavia: rossi ••<br />

Periodo: tutto l’anno (non nelle giornate<br />

più calde)<br />

Attrezzatura: scarpe da trekking, kway<br />

Durata del percorso: 2 ore<br />

Difficoltà: E<br />

descrizione del percorso<br />

l’abbazia di San fruttuoso, nata<br />

prima del Mille nell’insenatura più<br />

romantica della liguria, è la mèta<br />

più desiderata dagli escursionisti che<br />

visitano il Parco. Mentre l’itinerario<br />

che la raggiunge da camogli e San<br />

Rocco è impegnativo, quello che<br />

inizia da Portofino è accessibile<br />

anche agli escursionisti meno<br />

esperti, e si svolge in un ambiente di<br />

grande fascino. È possibile tornare<br />

in battello (quando questo servizio è<br />

in funzione) o a piedi. la lunghezza<br />

non eccessiva del percorso fa sì che<br />

l’andata e ritorno non sia troppo<br />

faticosa.<br />

Da San Rocco al<br />

Semaforo Nuovo e<br />

a Portofino Vetta<br />

Segnavia: rossi ••∆∆ ••• ○<br />

Periodo: tutto l’anno (non nelle giornate<br />

più calde)<br />

Attrezzatura: scarpe da trekking, kway<br />

Durata del percorso: 4,15 ore da San<br />

Rocco, 5 ore da camogli<br />

Difficoltà: E<br />

descrizione del percorso<br />

la frescura dei boschi di Portofino<br />

vetta può essere raggiunta anche<br />

da camogli e San Rocco, grazie<br />

agli ombrosi sentieri che salgono<br />

nel fitto del bosco. Anche se il<br />

dislivello è notevole, il bosco e<br />

l’esposizione a settentrione rendono<br />

questo itinerario percorribile con<br />

piacere anche in piena estate. I<br />

numerosi sentieri intorno alla vetta<br />

consentono di variare il percorso.<br />

I panorami dal Semaforo nuovo<br />

ripagano ampiamente della fatica<br />

necessaria a salire fin quassù.<br />

CARTA_PORTOFINO2:CARTA_5TERRE29/6 3-12-2008 10:37 Pagina 1<br />

CAMOGLI<br />

M<br />

Camogli<br />

Punta Cannette<br />

I sentieri di<br />

Portofino Vetta<br />

Segnavia: rossi •∆∆<br />

Periodo: tutto l’anno<br />

Attrezzatura: scarpe da trekking o<br />

da jogging<br />

Durata del percorso: da 2.15 a 3.15<br />

ore<br />

Difficoltà: E<br />

descrizione del percorso<br />

Rivestita da boschi di caducifoglie<br />

e da rimboschimenti di pini, la<br />

vetta del Monte di Portofino<br />

offre un ambiente di montagna,<br />

che contrasta con le atmosfere<br />

mediterranee della costa e permette<br />

di camminare piacevolmente anche<br />

in estate. Il nome “Portofino vetta”<br />

indica la zona, deturpata da grandi<br />

antenne, al termine della strada che<br />

sale da Ruta. Sulla vera vetta della<br />

montagna sono i resti del Semaforo<br />

vecchio, mentre il Semaforo<br />

nuovo è il migliore belvedere del<br />

promontorio. dal valico delle Pietre<br />

Strette iniziano le discese verso<br />

Portofino e San fruttuoso.<br />

Dal Santuario<br />

della Madonna<br />

di Nozarego a<br />

Portofino<br />

Segnavia: rossi †••<br />

Periodo: tutto l’anno (non nelle giornate<br />

più calde)<br />

Attrezzatura: scarpe da trekking o<br />

da jogging, k-way<br />

Durata del percorso: 2 ore<br />

Difficoltà: t/E<br />

descrizione del percorso<br />

Gli ombrosi valloni del versante<br />

13<br />

4 | 2010 58<br />

412 Monte di Ruta<br />

1<br />

SAN ROCCO DI CAMOGLI<br />

Santuario N.S. della Salute<br />

GOLFO<br />

Torrente<br />

7<br />

PARADISO<br />

3<br />

13<br />

2 5<br />

PORTOFINO VETTA<br />

SANTA MARGHERITA LIGURE<br />

Galletti<br />

M<br />

Rapallo<br />

Poggio<br />

26<br />

Mortola<br />

Pego<br />

7<br />

Edicola del<br />

Sacro Cuore<br />

13<br />

Porto di Santa Margherita<br />

3<br />

GAIXELLA<br />

2<br />

Sorgente Vegia<br />

26<br />

Lo Scalo<br />

7<br />

Chiesa di<br />

Sorgente Cornuggio<br />

San Nicolò<br />

8<br />

Rocca del Falco<br />

Fornelli<br />

2<br />

Case del Mulino<br />

Sorgente del Mulino<br />

SEMAFORO VECCHIO<br />

26<br />

23<br />

11<br />

12<br />

2<br />

14<br />

Sorgente Gallina<br />

3<br />

610 Monte di Portofino<br />

Fosso<br />

8<br />

10<br />

11<br />

Punta Bagno delle Donne<br />

Sella Porcile<br />

Scogli Grossi<br />

543 MONTE TOCCO<br />

Porto Pidocchio<br />

10<br />

10<br />

Sequoia<br />

10<br />

PIETRE STRETTE<br />

3<br />

9<br />

Sorgente Busseo<br />

2<br />

Belvedere<br />

9<br />

9<br />

16<br />

Stella Maris<br />

5<br />

TOCA<br />

26<br />

9<br />

Batterie<br />

15<br />

431<br />

18<br />

19<br />

NOZAREGO<br />

6<br />

4<br />

6<br />

508 Monte delle Bocche<br />

Punta dell’Ago<br />

Punta Chiappa<br />

Santuario Madonna<br />

16<br />

BOCCHE<br />

19<br />

di Nozarego<br />

390 Monte Croce di Nozarego<br />

Galleria<br />

19<br />

25<br />

SEMAFORO NUOVO<br />

6<br />

23<br />

Torretta<br />

6<br />

Punta Pedale<br />

20<br />

15<br />

Galleria<br />

5 Bricco 6<br />

465 Monte Pollone<br />

19<br />

20<br />

311 Monte Brano<br />

19<br />

FELCIARA 16<br />

5<br />

Sorgente Cala dell’Oro 5<br />

20<br />

GOLFO DEL<br />

18<br />

23<br />

5<br />

25<br />

TIGULLIO<br />

Passo del Bacio<br />

Sorgente delle Zecche<br />

23 GAVE<br />

15<br />

20<br />

ABBAZIA DI SAN FRUTTUOSO<br />

20<br />

Cala dell’Oro<br />

DI CAPODIMONTE5<br />

SAN FRUTTUOSO<br />

Cappelletta delle Gave<br />

Punta del Buco<br />

GHIDELLI Coppelli CROCETTA<br />

27<br />

16<br />

23<br />

-120 m<br />

Seno di<br />

CRISTO DEGLI<br />

ABISSI<br />

San Fruttuoso<br />

MOLINI<br />

Mulino del 24<br />

25<br />

ABBAZIA<br />

18<br />

Gassetto<br />

Torretta<br />

DELLA CERVARA Punta della Cervara<br />

17<br />

16 23<br />

21<br />

22<br />

21<br />

24<br />

gite, passeggiate, consigli - excursions, walks and suggestions<br />

OLMI<br />

BASE «0»<br />

21<br />

27<br />

CASTELLO DI PARAGGI<br />

Wanderungen, Spaziergänge, Tips<br />

Prato<br />

16<br />

PARAGGI<br />

Sant’Antonio<br />

22<br />

di Niasca<br />

Seno di Paraggi<br />

Guida al Parco di - Guide to the Park of<br />

22<br />

25<br />

21<br />

Führer zum Park die<br />

Punta Carega<br />

Cala degli Inglesi<br />

16<br />

San Sebastiano<br />

25<br />

Cappelletta<br />

16<br />

Portofino carta 1:10.000<br />

Punta<br />

Informazioni - Information - Informationen<br />

21<br />

Caieca<br />

Posteggio - Parking - Parkplatz<br />

OSLO<br />

Autobus - Buses - Autobus<br />

25<br />

Stazione FS-Railway Station - Bahnhof<br />

Ristorante o Trattoria - Restaurant or Trattoria - Restaurant oder Trattoria<br />

Viabilità veicolare - road network - Befahrbarkeit<br />

FARO VERDE<br />

Punta del Coppo<br />

FARO ROSSO<br />

Vitrale<br />

Telefono - Telephone - Telefon<br />

Traghetto - Ferryboat - Färboot<br />

LONDRA AMSTERDAM<br />

PORTOFINO<br />

BERLINO<br />

Rada di Portofino<br />

M<br />

M<br />

Reticolo idrografico - Hydrographic network - Wassernetz<br />

Museo - Museum - Museum<br />

CASTELLO DI BROWN<br />

PARIGI<br />

Sorgente - Spring - Quelle<br />

Nucleo architettonico - Architectural centre - Architektonisher Ker n<br />

VIENNA<br />

Confine Parco - Parrk boundry - Park-Grenze<br />

Chiesa - Church - Kirche<br />

1 Itinerari descritti - Tracked routes - Beschriebene Wanderwege<br />

GENOVA<br />

Abbazia, Santuario - Abbey, Santuary - Abtel Kirche, Walfahrtskirche<br />

GENOVA<br />

PORTOFINO<br />

Itinerari non descritti - Untracked routes - Nicht beschriebene W anderwege<br />

LA SPEZIA<br />

Cappella isolata - Isolated chapel - Isolier te Kapelle<br />

LISBONA MADRID<br />

ROMA<br />

Itinerari carozzabili - Carriage routes - Befahrbare Strecken<br />

Torre - Tower - Turm<br />

Itinerari descritti per esperti solo accompagnati dalle guide<br />

Castello - Castle - Burg<br />

Punta Portofino<br />

Tracked routes for skilled people and only guided tours<br />

ATENE<br />

Madonna del Capo<br />

Beschriebene Wege für erfahrene Wander geführte, von der Parkverwaltung gene hmigthe Führungen<br />

Riparo - Shelter - Schutzunterkunft<br />

Itinerari citati facili - Easy tracked routes - Leicht zu gehende W ege<br />

N<br />

Punto di sosta attrezzato - Equiped break point - Ausgerüsteter Rastplatz<br />

GENOVA<br />

Itinerari citati facili carozzabili - Easy carriage routes - Leichte, befahrbare W ege<br />

Punto di sosta - Break point - Rastplatz<br />

SAVONA<br />

Itinerari citati per esperti solo accompagnati dalle guide<br />

LA SPEZIA<br />

Porto - Harbour - Hafen<br />

Routes for skilled people and only guided tours<br />

Wege für erfahrene Wanderer geführte, von der Parkverwaltung gene hmigthe Führungen<br />

Faro - Lighthouse - Leuchtturm<br />

IMPERIA<br />

0 5 10 km<br />

Punto panoramico - View point - Aussichtspunkt<br />

Gallerie - Tunnel - Tunnels<br />

Portofino<br />

T<br />

Valletta Bricco<br />

T<br />

5<br />

T<br />

Costa di Castellaro<br />

Fosso dei Bruchi<br />

1<br />

T<br />

Torrente Gentile<br />

Paradiso<br />

Cava<br />

Vallone<br />

dell’Oro<br />

T<br />

Vallone dell’Acqua Fredda<br />

Costa Termine<br />

T<br />

T<br />

T<br />

Vallone<br />

RUTA<br />

Fosso Pastinello<br />

Fontanini<br />

Vallone dell’Alluvione<br />

T<br />

T<br />

Fosso<br />

Torrente Bana<br />

di San Fruttuoso<br />

T<br />

Fosso Casale<br />

Fosso<br />

Fosso Salto del Lupo<br />

Volara<br />

Canale della Cantina<br />

Canale del Pero di Sotto<br />

Fosso Cappellone<br />

Fosso delle Bocche<br />

Fosso dei Casetti<br />

T<br />

Fosso dell’Acqua Bella<br />

Torrente<br />

Ruffinale<br />

Fosso di Calcinea<br />

San Siro<br />

Fosso<br />

San Massimo<br />

Fosso Baiucca<br />

T<br />

rivolto verso Santa Margherita<br />

ligure e il tigullio offrono<br />

all’escursionista uno degli itinerari<br />

più piacevoli e più comodi del Parco.<br />

dal Santuario della Madonna di<br />

nozarego, sorto nelle forme attuali<br />

tra il 1725 e il 1731 al posto di un<br />

edificio sacro nominato per la prima<br />

volta nel 1311, un antico sentiero<br />

a mezza costa si snoda tra boschi<br />

e campi in direzione del fosso<br />

dell’Acqua viva, celebre per i suoi<br />

numerosi mulini, e di olmi, frazione<br />

di Portofino e importante crocevia<br />

di sentieri.<br />

La Via dei Tubi e le<br />

altre escursioni<br />

guidate<br />

Fosso<br />

Fosso delle Zecche<br />

Fosso dell’Acqua Viva<br />

T<br />

T<br />

T<br />

Cala del Prato<br />

dell’Acqua Morta<br />

o<br />

Castagnole<br />

T<br />

T<br />

Fosso di<br />

Fosso della Sorgente Gallina<br />

Fosso Busseo<br />

Segnavia: nessuno<br />

Periodo: dall'autunno alla primavera<br />

Attrezzatura: scarpe da trekking, kway,<br />

pila, eventualmente imbragatura,<br />

cordino e moschettone<br />

Durata del percorso: 3 ore<br />

Difficoltà: EE/EEA<br />

descrizione del percorso<br />

uno degli itinerari escursionistici<br />

più celebri della liguria segue il<br />

più sorprendente manufatto di<br />

archeologia industriale del Parco<br />

di Portofino. costruito alla fine<br />

dell’ottocento per condurre a<br />

camogli l’acqua della sorgente<br />

caselle, nel vallone che scende a San<br />

fruttuoso, l’acquedotto che taglia<br />

per cinque chilometri il versante più<br />

ripido del promontorio è oggi per<br />

buona parte in abbandono. Il solo<br />

tratto ancora utilizzato è quello<br />

che conduce l’acqua della sorgente<br />

caselle a San fruttuoso. «<br />

Cassanello<br />

Torrente<br />

T<br />

Vessinaro<br />

Fosso di Costa Mezzana<br />

Costasecca<br />

Fosso dei Tuvi<br />

Fosso Magistrato<br />

Torrente dell’Acqua Viva<br />

T<br />

Fosso Moregi<br />

T<br />

Santa<br />

Torrente dell’Acqua Morta<br />

T<br />

Barbara<br />

T<br />

© 2008, Sagep Editori Srl, Genova; car tografia Davide Canazza. Dalla Carta Tecnica Regionale in scala 1:10.000. Nulla-osta IGM alla diffusione N. 6 del 15/01/1985


» tipi italiani<br />

Testo di alessio liguori<br />

il montanaro "spiaggiato"<br />

Fenomenologia della “cialdina” di caffè<br />

Anche agli amanti della montagna capita di trovarsi sulla<br />

spiaggia di qualche località balneare. Si vede che soffrono<br />

un po’: sembrano spaesati, leggono libri e riviste<br />

di montagna, l’abbigliamento è più quello adatto a un’escursione<br />

che alla balneazione. Solitamente si trovano lì su richiesta di<br />

coniugi e/o figli meno fanatici della montagna e più inclini alle<br />

mollezze della spiaggia.<br />

Applicando la sensibilità ecologica maturata andando per monti,<br />

il nostro montanaro “spiaggiato” rifletterà tra sé e sé che al mare<br />

i segni dell’impronta antropica sono più evidenti che in montagna:<br />

case e manufatti ovunque, barche a perdita d’occhio, macchine<br />

in coda sul lungomare e rifiuti disseminati sulla spiaggia,<br />

tanto che a volte bisogna fare attenzione a dove si mettono<br />

i piedi. “Noi amanti della montagna abbiamo maggior rispetto<br />

dell’ambiente”. Un’affermazione, questa, discutibile. Sarebbe interessante<br />

discuterla, ma ci porterebbe troppo lontano. Meglio<br />

concentrarsi sul nostro arenile e osservare meglio la realtà.<br />

Il mare si trova alla fine della nostra catena produttiva di beni<br />

e, quindi, di rifiuti. Non fosse altro che per azione della gravità,<br />

i rifiuti e gli scarichi che non vengono trattati, smaltiti, recuperati<br />

o stoccati tendono a finire in basso, ossia in mare. Il mare<br />

tende poi a vomitarli sulle rive. Le spiagge presentano un campionario<br />

a cielo aperto dei rifiuti e degli inquinanti che noi tutti<br />

spargiamo nell’ambiente: buste di plastica, polistirolo, pannolini,<br />

imballaggi vari e…<br />

Toh, ma guarda: queste fino a qualche anno fa non si vedevano…<br />

le cialde per fare il caffè! Una grande innovazione che ci<br />

consente di gustare un buon espresso senza fare fatica. Una volta<br />

per fare un caffè bisognava attendere interminabili minuti e,<br />

finalmente, versare e sorbire il caffè. Una faticata che non valeva<br />

la dose di caffeina assunta.<br />

Oggi no. L’avvento della cialda ci ha dispensati da questo supplizio:<br />

basta inserire la cialda nell’apposito alloggiamento, premere<br />

un tasto e… il caffè è servito. Poi si prende la cialda esausta e la<br />

si getta. Dove? Beh, nell’apposito bidone della raccolta differenziata,<br />

no? I pochi primitivi che ancora usano la moka hanno il<br />

vantaggio di poter gettare il fondo di caffè nel secchio dell’umido,<br />

o addirittura in quello del compost domestico. La moderna<br />

cialda, invece, bisogna differenziarla.<br />

In Italia quasi un terzo delle cialde per il caffè viene smaltito<br />

in modo indifferenziato. Il resto sfugge del tutto al ciclo<br />

dei rifiuti, perché qualche “distratto” lo disperde direttamente<br />

nell’ambiente.<br />

La cialda per il caffè è un esempio paradigmatico delle<br />

4 | 2010 59<br />

innovazioni di prodotto generate dal nostro sistema consumistico.<br />

Si tratta di innovazioni che riescono a creare nuovi mercati,<br />

generando nuovi segmenti di domanda. Nuove opportunità che<br />

comportano nuovi costi e qualche esternalità negativa, soprattutto<br />

per l’ambiente.<br />

Ecco come procede oggi, in molti casi, l’innovazione. Si creano<br />

prodotti che funzionano premendo un pulsante: le conseguenze<br />

sono maggiore praticità ma allo stesso tempo costi ambientali<br />

elevati e modelli di consumo che ci vengono – ammettiamolo<br />

– imposti. Sia chiaro, nessuno cambierà il mondo rinunciando al<br />

caffè in cialde. Qui l’oggetto del discorso non è la cialda in quanto<br />

tale. È la cialda in quanto simbolo, in quanto paradigma di<br />

un modo di consumare e di produrre che segue logiche perverse<br />

e disumanizzanti.<br />

Disumanizzanti perché queste innovazioni non ci risparmiano<br />

veramente fatica, ma ci evitano semplicemente di compiere dei<br />

gesti umani: avvitare, svitare, aprire, chiudere, versare, ecc. E gli<br />

esempi possibili sono migliaia, come le sliding doors automatiche<br />

di luoghi pubblici e ambienti commerciali, le scale mobili e<br />

così via. Tecnologie utilissime per anziani, bambini, persone con<br />

ridotte facoltà motorie e percettive, inabilità temporanee e permanenti,<br />

ecc. Nel frattempo diventiamo sempre più obesi. È la<br />

nemesi del nostro “progresso”. Per la prima volta, da circa due<br />

secoli, la speranza di vita alla nascita negli Stati Uniti (il paeseguida<br />

di questo progresso) tende a diminuire. Per colpa dei rischi<br />

legati a patologie correlate ai nostri stili di vita.<br />

Al nostro montanaro sulla spiaggia, a questo punto, viene chiaramente<br />

in testa uno dei motivi – tra i tanti – del suo viscerale<br />

amore per la montagna. Per la montagna degli escursionisti,<br />

degli alpinisti, degli sci-alpinisti, degli arrampicatori su roccia e<br />

su ghiaccio, di coloro che esplorano grotte, forre e torrenti… la<br />

montagna dove si fatica, dove si recupera il senso della propria<br />

corporeità umana nei confronti – e al cospetto – dell’ambiente<br />

naturale. Dove si può sperimentare uno stile di vita in aperto<br />

conflitto con i modelli di consumo ai quali ci riduciamo in<br />

pianura.<br />

Andare responsabilmente in montagna, minimizzando il proprio<br />

impatto ambientale, cercare nella fatica “un riposo ancora più<br />

grande” (G. Rey), realizzare che un altro modo di vivere non solo<br />

è possibile, ma è soprattutto piacevole. Soprattutto più umano. Per<br />

poi vivere altrettanto responsabilmente nella vita di tutti i giorni,<br />

in città, in pianura, al mare, ovunque.<br />

Quest’anno in spiaggia fateci caso alle cialdine sulle dune. Poi raccoglietele<br />

e affidatele al giusto contenitore differenziato. Se c’è. «


» PuNTI DI VISTA<br />

Testo di luigi zanzi - docente di metodologia delle scienze storiche dell'università di pavia<br />

una lezione di storia e<br />

filosofia dell’alpinismo<br />

il cerro torres di messner<br />

Intendo, pur in breve scorcio, segnalare la straordinaria importanza<br />

culturale di un’opera recente di Reinhold Messner,<br />

il libro dal titolo Grido di pietra. Cerro Torre: la montagna<br />

impossibile, quale è ben noto ai lettori di testi alpinistici, non<br />

solo perché libro di grande successo, ma anche perché fatto<br />

oggetto di molteplici prese di posizione in un dibattito che dura<br />

da ormai più di cinquant’anni in punto al tentativo di salita<br />

della parete nord del Cerro Torre, in Patagonia, nel lontano<br />

1959, ad opera di Cesare Maestri e Toni Egger.<br />

Non intendo entrare in tale dibattito (che, a mio parere, dovrebbe,<br />

tuttavia, ritenersi definitivamente chiuso nei suoi aspetti<br />

“storici” dopo tale libro di Messner); mi propongo, invece, di<br />

evidenziare, al di fuori ed al di sopra di tale dibattito, perché<br />

tale libro torni di grande importanza anche e propriamente per<br />

il CAI, considerato, come deve essere e come sempre più si<br />

propone di riuscire ad essere, un’associazione imperniata principalmente<br />

su scopi di critica e di storia culturale con attinenza<br />

alle vicende dell’alpinismo e della salvaguardia della civiltà<br />

montana.<br />

Prima di entrare nel vivo dell’argomento, mi sia consentita una<br />

breve premessa: affinché l’elogio che si trova implicito nella<br />

considerazione che intendo fare di tale opera di Messner non<br />

sembri eccessivo, o viziato da devozione per amicizia, mi limiterò<br />

a richiamare qui, in apertura di quanto sto per scrivere, il<br />

giudizio sicuro di un’insigne letterato, critico musicale e bravo<br />

alpinista, Massimo Mila, che considerò Reinhold Messner non<br />

meno grande come scrittore che come alpinista.<br />

Per parte mia, ritengo di avere già mostrato altre volte, a più<br />

riprese, come Messner sia da considerare una personalità di<br />

riferimento cruciale nel nostro tempo, non soltanto quale straordinario<br />

alpinista (al punto che si è tentati di tralasciare ogni<br />

misura di relatività storica nel considerarlo il più grande alpinista<br />

di tutti i tempi), ma anche quale incarnazione di una singolare<br />

prospettiva di ricerca “filosofica”, nonché quale uomo di<br />

cultura capace di imprimere una sua grande impronta, anche<br />

con iniziative di grande impegno concreto (come quella dei<br />

Messner Mountain Museums) nella storia della civiltà montana<br />

e dell’alpinismo, inteso, quest’ultimo, come un’espressione di<br />

speciali esperienze umane.<br />

È lo stesso Messner che ci viene in aiuto per capire la complessità<br />

di tali suoi molteplici ruoli (dei quali vive, di fatto,<br />

anche il suo “mito”, quale è diffuso nel mondo della grande<br />

comunicazione a livello “globale”): infatti, se si compie, con la<br />

4 | 2010 60<br />

sua guida, il decisivo passaggio mentale di ricondurre qualsiasi<br />

forma di pensiero e di attività intellettuale (anche artistica)<br />

a una concreta radice ambientale (nel caso di che trattasi, la<br />

natura “montana”, nelle sue diverse qualità di “stile di vita” a<br />

differenti livelli d’altitudine), nonché ad un suo concreto nesso<br />

con il “fare” (da cui il “parlare” riceve la propria, più significativa,<br />

fonte d’ispirazione), si comprende, allora, come Messner<br />

abbia potuto conseguire tale complessità di esiti anche “intellettuali”,<br />

in quanto maturati in stretto intreccio con differenti<br />

pratiche di vita (da quella del montanaro a quella dell’alpinista,<br />

a quella dell’“intellettuale”, con varie valenze filosofiche, storiche,<br />

artistiche).<br />

Ecco, in breve, perché a mio parere Reinhold Messner è da considerarsi,<br />

tra l’altro, anche come una delle più significative personalità<br />

culturali del nostro tempo.<br />

Fatta questa premessa, passo a svolgere alcune considerazioni<br />

su tale sua opera, ripartite in punti che ritengo di rilievo<br />

distintivo.<br />

Punto primo: questo libro realizza un intento di “storia” dell’alpinismo,<br />

con una ricerca condotta con un’impostazione critica<br />

di forte originalità e per più aspetti paradigmatica.<br />

Eccone alcuni tratti chiave. Comincio con alcune questioni<br />

“storiche”.<br />

Primo, a Messner non preme per nulla affatto raccontare azioni<br />

“eroiche” d’alpinismo; cerca soltanto di ricostruire fatti (“…<br />

cerco i fatti. Voglio essere uno storico […] Il mio interesse è la<br />

realtà”).<br />

Gran parte della cultura di cui vive il CAI è fatta di “racconti”<br />

di montagna: ma ci si chiede, quanti di tali racconti, anche se<br />

investiti del nome tecnico e neutro di “relazione”, possono considerarsi<br />

“storici”?; quanti di essi “documentano” criticamente<br />

i fatti?<br />

Torna così a porsi una domanda cruciale, che solitamente viene<br />

evitata da chi crede di poter fare la storia a parole: quali sono i<br />

fatti documentabili su tracce?<br />

Poiché vado studiando da lungo tempo come si possono trovare<br />

anche “in natura” i segni degli avvenimenti che hanno<br />

formato un ambiente, ho maturato una profonda convinzione<br />

di quanto sia difficile e complessa l’elaborazione di una<br />

“documentazione”.<br />

La natura stessa, pur senza intenzioni maligne, confonde infatti<br />

le sue tracce di varia provenienza.<br />

Nelle vicende umane avviene spesso che i desideri, le speranze,


LA RIVISTA 4 | 2010 61<br />

i sogni con cui gli uomini animano le loro “rappresentazioni”<br />

dei fatti, si depositino nei loro racconti, confondendo le tracce<br />

degli avvenimenti, anche al di là di ogni intenzione. Vicende<br />

“tragiche” intervengono talvolta a turbare o sconvolgere i ricordi<br />

dei protagonisti.<br />

Quando poi intervengono conflitti di rivalità, spesso con mentalità<br />

da “guerrieri” contrapposti, le confusioni si moltiplicano,<br />

per ostinazioni da orgoglio ferito; nonché per ricerca, spesso<br />

“teatrale” di consenso e di plauso; nonché per “questioni di<br />

principio” con cui si vuole trasformare la pretesa di un “fatto”<br />

in una dimostrazione “a parole”.<br />

Qui si annida il rischio che la propria “passione” si trasformi<br />

nell’“idealizzazione” di un fatto come una creatura<br />

immaginaria.<br />

Ecco perché la ricerca critica di “documentazione” diventa ancor<br />

più difficoltosa con riguardo a vicende “umane” (per loro<br />

natura, per lo più anche senza maligna intenzione, gli uomini<br />

fanno confusione nel “comporre” le loro esperienze al fine di<br />

conseguire differenti “riconoscimenti” di cui necessitano per la<br />

loro vita).<br />

Soltanto la storia può sgombrare il campo da tali confusioni,<br />

selezionando ciò che quadra con la ricostruzione “documentale”<br />

dei fatti. Per tutte tali ragioni, la memoria è sempre da<br />

selezionare criticamente per tradurla in “storia”.<br />

Ecco perché occorre che lo “storico” si attenga strettamente ai<br />

rari e sicuri appigli dei fatti per scalare le pareti enigmatiche<br />

della storia, ed innalzarsi al di sopra delle dispute retoriche,<br />

nelle quali rileva più l’intento di gonfiare le parole e il far parlare<br />

di sé, che non già il dire il vero (che consiste sempre di un<br />

confronto “storico” tra ricerche diverse di “documentazioni” e<br />

di interpretazioni: ecco perché non conta ciò che si dice di sapere,<br />

ma ciò che si pone in gioco nel confronto “storico”; si può<br />

così arrivare, pertanto come accade nel caso di Messner, anche<br />

alla scelta di un “lo so ma non lo dico”, in quanto preme assai<br />

più provocare il confronto “storico”).<br />

Preme qui porre in rilievo che in tal modo lo storico, per parte<br />

sua, può elevarsi fino alla comprensione, anche se non alla<br />

giustificazione, di chi fa confusione fra fatti e loro rappresentazioni<br />

immaginarie, più o meno intrecciate di desideri, sogni,<br />

ricordi.<br />

Purtroppo è difficile che accada il contrario, cioè che chi fa<br />

“retorica” sui fatti riesca a maturare la capacità di comprendere<br />

chi fa “storia”, tantomeno quando sono in gioco questioni<br />

“personali”.<br />

Accade così che Messner esprima grande comprensione di Maestri-Egger,<br />

mentre, per contro, né Maestri né i suoi “fedeli”<br />

comprendano le ragioni di Messner.<br />

Per tali motivi quest’opera di Messner è anche un’importante<br />

lezione di metodo “storico” nella ricostruzione di vicende<br />

“alpinistiche”: è, questa, una delle ragioni, a mio parere, della<br />

sua importanza per il CAI (tanto più nella prospettiva storicoculturale<br />

che ha già trovato un decisivo riconoscimento nella<br />

promozione dell’accertamento “storico” delle vicende della salita<br />

del K2 nel 1954 con l’evidenziazione del ruolo cruciale di<br />

Walter Bonatti).<br />

Punto secondo: si trovano formulati in brevi e chiarissimi passi<br />

di questo libro alcuni criterî di “storicizzazione” delle vicende<br />

propriamente “alpinistiche”.<br />

Qualità d’Eccezione, Passione innata,<br />

Esperienza antica.<br />

1006 Vioz Plus<br />

Dal 1929.


» PuNTI DI VISTA<br />

In primo luogo: qualsiasi cima va relativizzata nel tempo, non<br />

solo per i differenti suoi assetti metamorfici (in dipendenza,<br />

ad es., di formazioni di ghiaccio, di crolli di roccia, ecc.), ma<br />

anche per le differenti culture e tecniche di differenti epoche<br />

dell’“alpinismo”.<br />

Il Cerro Torre del 2005 e del 2008, di Ermanno Salvaterra, di<br />

Rolando Garibotti, di Alessandro Beltrami, di Colin Haley, non<br />

è quello del 1959 di Cesare Maestri e Toni Egger, né quello del<br />

1970 di Cesare Maestri.<br />

In secondo luogo: le “possibilità” alpinistiche con riguardo<br />

ad una vetta variano nel tempo. Varia, pertanto, la “misura”<br />

di esse: quale si può mettere a punto solo per “tentativi” (è<br />

qui la radice dell’importanza del saper “tentare” ciò che pare<br />

“impossibile”).<br />

Il cerro Torre giudicato “impossibile” al tempo di Lionel Terray<br />

è oggi “possibile”, ancorché “estremo”.<br />

Così stando le cose, se ne cavano due importanti conclusioni:<br />

prima, le misure dell’“impossibile” sono storiche, e diventano<br />

un criterio per giudicare la concreta “fattibilità” di una cima in<br />

una data epoca (così ciò che è “storicamente” impossibile per<br />

il Cerro Torre del 1959 non è la montagna in sé, ma il modo<br />

con cui Maestri pretende di essere salito); seconda, lo storico è<br />

irresistibilmente attratto dalla ricerca critica della “documentazione”<br />

di tali “possibilità” di fronte alle sfide di fatti che si<br />

prospettano come possibilità immaginate, ma non documentate<br />

(come nel caso di Mallory all’Everest nel 1924 o di Cesen nel<br />

1990 al Lhotse).<br />

In terzo luogo: le vette più rilevanti come sfide nel gioco della<br />

ricerca del “possibile” nell’“impossibile” si trovano, da un punto<br />

di vista “alpinistico”, ad “avere un passato”, fatto anche di<br />

tentativi falliti, tanto più “grandi” nel loro significato, quanto<br />

più capaci di aprire nuovi orizzonti di ricerca di superamenti<br />

del limite (ogni volta “storicamente” diversi). In questo senso<br />

è importante il riconoscimento che Messner fa dell’importanza<br />

del “tentativo” di Maestri-Egger al Cerro Torre nel 1959.<br />

Ogni alpinista, che sia capace di confrontarsi con il mistero<br />

dell’“ignoto” o dell’“estremo”, sa valersi anche della ricostruzione<br />

“storica” di quel passato delle vette che è costituito dalle<br />

vie, tentate o riuscite, dei “precursori” e di cui si compone il<br />

significato “alpinistico” di una vetta. Di qui segue l’importanza<br />

della storia per fare alpinismo.<br />

Punto terzo: un aspetto cruciale della ricerca “storica”, quando<br />

di un fatto in questione non si hanno “documentazioni” che<br />

prescindano dal racconto di un singolo sopravvissuto, è quello<br />

che consiste nel riscontrare quel “racconto” con la realtà della<br />

montagna, per controllarne la coerenza con l’assetto dei luoghi,<br />

con quello delle attrezzature, ecc.<br />

In tale esame accade talvolta che la stessa versione dei presunti<br />

fatti, quale data da chi se ne propone come protagonista, diventi,<br />

essa stessa, la sua più decisiva smentita (così è accaduto<br />

anche nel “caso” più sopra ricordato del K2).<br />

È, questo, un aspetto “storico” non meno rilevante di altre questioni<br />

critiche, attinenti aspetti tecno-alpinistici che presentano<br />

più o meno evidenti “illogicità”.<br />

Con tali questioni “storiche” si intrecciano nel libro di Messner<br />

anche precise questioni “filosofiche”, propriamente di “filosofia”<br />

dell’alpinismo.<br />

Primo, cos’è una via di salita? Intenderla come un’“opera<br />

4 | 2010 62<br />

d’arte” è una delle modalità fondamentali per portare “rispetto”<br />

alla montagna, rifiutando qualsiasi pretesa di “conquista”<br />

e sostituendo, per contro, ad essa l’intento di realizzare un’“interpretazione”<br />

della parete rocciosa come una via da percorrere<br />

nel gioco di tentare di rendere possibile l’impossibile, in un<br />

confronto principalmente con sé stessi, con le proprie risorse<br />

vitali, spesso ignote o dimenticate, con la ricerca di un proprio<br />

“stile”, con la propria capacità di “reinventarsi” attraverso l’avventura<br />

nella natura.<br />

Non ci sono vincoli alla libertà di immaginare un’arrampicata,<br />

come accade in arte; ma c’è una radicale differenza: l’arte è<br />

auto-sufficiente con l’immagine, l’idea di un’arrampicata va,<br />

invece, confrontata con un concreto tentativo di realizzazione<br />

“a tu per tu” con la montagna.<br />

Secondo, quale è l’approccio adeguato a “interpretare” la sfida<br />

alla salita?<br />

La risposta è inequivocabile: è decisivo portare “rispetto” alla<br />

montagna; è decisivo escludere ogni pretesa di “conquista”,<br />

ogni “volontà di vittoria”, anche perché con esse svanisce il<br />

mistero.<br />

Di qui segue l’importanza del tentativo anche senza il raggiungimento<br />

(purché sia coltivato con una “speranza” capace di<br />

serietà di studio della sua concreta realizzabilità).<br />

Terzo, quale “etica” si richiede in coerenza con tale concezione<br />

dell’“alpinismo”?<br />

Non si può pretendere di imporre ad altri un’etica che sia staccata<br />

dalla diversa storia di ciascuno: tuttavia occorre, quanto<br />

meno, che chi per propria libertà sceglie una propria maniera di<br />

“scalare”, non cerchi poi di farla passare per un’azione ispirata<br />

all’“amore” alla montagna, se non ha le “carte in regola” del<br />

“rispetto” della montagna.<br />

Occorre non fare “idealismo” delle proprie ambizioni di successo.<br />

Occorre assumersi responsabilità nel proprio modo di agire.<br />

Di qui segue anche che, per coerenza con l’idea del “rispetto”,<br />

occorre far propria la scelta di “salire” “by fair means”.<br />

Tali aspetti “filosofici” ed anche “etici” si ritrovano palpitanti<br />

“al vivo” in tutte le pagine del libro di Messner: scritto con un<br />

ritmo che ricorda quello del suo passo, rapido, deciso, sicuro.<br />

Sono, questi, alcuni dei punti salienti di questo mirabile libro di<br />

Messner che credo di grande importanza per la cultura dell’“alpinismo”<br />

di cui il CAI deve farsi promotore e custode.<br />

Non tralascio, infine, di segnalare che alla figura d’alpinista di<br />

Toni Egger, una sorta di incarnazione della passione, vissuta<br />

nella sua concretezza attraverso la realizzazione di avventure<br />

“al limite”, senza “idealizzazioni” né “eroicizzazioni”, Messner<br />

dedica alcune agili, puntuali ed efficaci pagine di storia, ponendo<br />

in risalto alcune delle sue più importanti salite (come<br />

quella allo Jirishanca, in Perù, nel 1957, una montagna la cui<br />

immagine stessa è al limite della fantasticità).<br />

Mirabile anche la rievocazione della personalità di Toni Egger<br />

quale ricostruita anche attraverso la testimonianza di Lore<br />

Stötter, che condivise con lui anche alcune arrampicate: una<br />

fila di ricordi che risalgono fino a quando il giovane Toni faceva<br />

il boscaiolo in Tirolo, in Baviera, in Svizzera.<br />

Così Messner rende l’ossequio della storia a Toni Egger, che<br />

era stato ingiustamente per lo più dimenticato. Anche questo<br />

è un pregio prezioso del libro, che, appunto, a Toni Egger è<br />

dedicato. «


» PuNTI DI VISTA<br />

Testo di ROBERTO MANTOVANI<br />

IN MESSNER<br />

MANCA LA SToRIA<br />

dallo spunto di zanzi la riflessione di mantovani<br />

ho letto anch’io, qualche mese fa, il libro di Reinhold<br />

Messner sul Cerro Torre. In via informale, m’è poi capitato<br />

di raccogliere molti commenti da parte dei lettori.<br />

Sono passati più di cinquant’anni dalla vicenda di Maestri ed<br />

Egger, ma per certi versi è come se quella scalata fosse avvenuta<br />

ieri. Difficile, negli ultimi decenni, imbattersi in un fenomeno<br />

del genere. Forse perché il Cerro Torre ha colonizzato l’immaginario<br />

montano in tempi recenti, complice la nascita di una<br />

mitologia patagonica alimentata dagli scrittori sudamericani.<br />

Chissà: capita, a volte, che strane distorsioni prospettiche avvicinino<br />

o allontanino gli eventi a dispetto della reale scansione<br />

del tempo.<br />

Ma dicevo dell’accoglienza dei lettori. Ho l’impressione che il<br />

libro di Messner abbia scatenato le tifoserie, divise tra chi giura<br />

che il Torre sia stato scalato nel 1959, e chi invece data la prima<br />

salita della montagna al 13 gennaio 1974, giorno di vetta del<br />

gruppo lecchese capeggiato da Casimiro Ferrari.<br />

Zanzi ha ragione. Anziché schierarsi o ergersi a giudice, nel volume<br />

in questione Messner ha davvero cercato di fare storia.<br />

Sappiamo che non è mai stato sulla vetta del Torre, ma per uno<br />

storico dell’alpinismo ripetere metro per metro una via non è<br />

essenziale. Tanto più che Reinhold, in fatto di montagna, sa il<br />

fatto suo. E poi, in ogni caso, ha potuto fare conto sull’esperienza<br />

di Ermanno Salvaterra, che il Torre lo conosce davvero come<br />

le sue tasche.<br />

Ho anche apprezzato il fatto che l’autore del libro abbia parlato<br />

di Maestri con grande correttezza e si sia interrogato sulla scalata,<br />

più che sui protagonisti.<br />

C’è però un punto, su cui credo vada ancora fatta chiarezza,<br />

e su cui manca una risposta “storica”. Messner esclude che il<br />

Torre sia stato scalato nel 1959. Fa molta attenzione – e di questo<br />

gliene va dato atto – a non far ricadere su Maestri giudizi<br />

inopportuni. A un certo punto, anzi, ne ribadisce la buona fede.<br />

Eppure credo che occorra ancora riflettere, prima di considerare<br />

chiusa la vicenda. Se Messner è convinto che Egger e Maestri<br />

non abbiano salito il Torre, come giustifica la “falsità” dal punto<br />

di vista storico? Le grandi bugie – ammesso che quella del<br />

Torre possa essere considerata tale – si appoggiano sempre su<br />

motivi importanti; altrimenti si dissolvono come neve al sole. Se<br />

la narrazione storica si impiglia in una inesattezza, l’indagine<br />

scientifica deve identificare l’inciampo e, soprattutto, spiegarlo,<br />

svelarne il fondamento.<br />

Provo a fare un esempio che molti conoscono. Lo storico<br />

4 | 2010 63<br />

francese Philippe Joutard, autore del famoso saggio L’invention<br />

du Mont Blanc, apparso nel 1986, duecento anni dopo la prima<br />

ascensione del Monte Biancco è riuscito a spiegarci a chiare<br />

lettere perché la tradizione abbia attribuito a Balmat il merito<br />

dell’ascensione, mettendo in ombra la figura di Paccard. Ha reso<br />

trasparente una bugia, scovandone la spiegazione nei meccanismi<br />

della memoria collettiva e trovandone una precisa giustificazione<br />

storica.<br />

Nel caso della presunta bugia sulla scalata del 1959, invece,<br />

dove starebbe la spiegazione? Il Torre, a quell’epoca, giustificava<br />

davvero una frottola del genere? Per gli alpinisti del tempo,<br />

quell’obelisco di granito non era nient’altro che un nome.<br />

È vero che sette anni prima i francesi avevano sollevato il velo<br />

di mistero che avvolgeva i picchi patagonici. Ma a quel tempo<br />

la fama alpinistica si giocava su cime riconoscibili. Su pareti<br />

famose. Il K2 era stato un’eccezione e, oltre tutto, aveva potuto<br />

godere di un battage pubblicitario e mediatico senza precedenti.<br />

Altrimenti sarebbe passato inosservato.<br />

Insomma, per quanto mi sforzi, dal punto di vista storico non<br />

riesco a trovare un motivo plausibile che regga la “balla”. E non<br />

mi accontento di una spiegazione che si basi solo sulle eventuali<br />

fantasticherie di un alpinista. Le bugie, come abbiamo detto,<br />

trovano la loro ragion d’essere nel contesto che le avvolge. Le<br />

reticenze, le mezze verità e le menzogne riguardanti gli 8000<br />

per anni sono state blindate dall’enfasi dei nazionalismi. Ma nel<br />

caso del Torre, quel contorno non esisteva.<br />

Aggiungo che un conto è ragionare da alpinista, e un altro conto<br />

farlo da storico. Se vesto i panni dello storico, la spiegazione che<br />

formulo come alpinista non può bastarmi. Devo spingermi più<br />

in là, verificare i miei riferimenti, re-interrogare le fonti in maniera<br />

critica, intrecciare differenti riferimenti disciplinari, utilizzando<br />

sino in fondo gli strumenti che la metodologia storica mi<br />

offre. E io, sul Torre, certezze non ne ho; mi limito al dubbio, che<br />

è una componente importante della valutazione storica..<br />

Infine, un’ultima notazione. Ho molto apprezzato il distacco con<br />

cui Messner ha analizzato una materia così complessa. Se mi è<br />

consentito un appunto, mi sarebbe piaciuto che questo atteggiamento<br />

fosse stato esteso a tutti i testimoni e a tutte le fonti.<br />

Mi riferisco al caso di Cesarino Fava, uomo a cui va senz’altro<br />

riconosciuta una forte vis polemica e una notevole passionalità.<br />

Credo che i sassolini dalle scarpe sia lecito toglierseli nel corso<br />

di una polemica. I conti con la storia, invece, ritengo debbano<br />

essere fatti in maniera diversa. «


» arte e montagna<br />

Testo di alessandro giorgetta<br />

renato chabod<br />

in una mostra i dipinti e i disegni del grande pittore alpinista<br />

una mostra di dipinti e disegni allestita in occasione del<br />

trofeo sci alpinistico “Renato Chabod” domenica 28<br />

marzo 2010 a Dégioz-Valsavaranche nella sala consiliare<br />

del Comune ha riproposto all’attenzione del pubblico le<br />

opere di Renato Chabod, socio onorario del CAI, che legò il<br />

proprio nome alla storia dell’alpinismo e del Sodalizio, lasciandovi<br />

un’impronta duratura e un messaggio forte nell’epoca<br />

d’oro dell’alpinismo classico che nel secondo dopoguerra segnò<br />

la svolta verso l’alpinismo moderno. Nato ad Aosta nel 1909,<br />

iniziatosi giovanissimo all’alpinismo, a soli vent’anni divenne<br />

accademico, svolse attività di punta soprattutto nelle Alpi Occidentali<br />

tra il 1929 e il 1935, avendo come compagni di cordata<br />

Crétier, Boccalatte, Gervasutti, Ghiglione, Rivero, realizzando<br />

alcune delle più notevoli ascensioni degli anni Trenta: Sud del<br />

Mont Maudit, Nord del Gran Paradiso e dell’Aiguille Blanche,<br />

1<br />

4 | 2010 64<br />

seconda della Nord delle Jorasses, sperone Croz. Laureatosi in<br />

Giurisprudenza all’Università di Torino con una tesi sul diritto<br />

alpinistico, fu magistrato, sostituto Procuratore a Cuneo e poi<br />

a Torino, quindi avvocato penalista. Consigliere regionale valdostano<br />

nel 1954, senatore nelle legislature del 1958 e 1963,<br />

vicepresidente del Senato, fu presidente generale del CAI dal<br />

1965 al 1971.<br />

Ma tutto il tempo libero lo dedicò alla montagna, nella pratica<br />

e nella cultura. Autore di numerose guide che illustrò con i suoi<br />

disegni a penna e tavole a olio, delle montagne e delle pareti<br />

che conosce nell’intimo e delle quali quindi interpreta l’architettura<br />

e l’essenza alpinistica. Il passo a diventare pittore è breve,<br />

come narra lui stesso nel suo libro “ La Cima di Entrelor”:<br />

“Il Pic Adolphe è servito, ma per il momento sono purtroppo<br />

servite anche le mie estremità inferiori (...) per questo motivo<br />

devo dare un mesto addio alle grandi salite. (…). Per consolarmi<br />

mi compro colori e pennelli e mi do alla pittura di montagna<br />

(…). Con tanta gente che dipinge posso provarmici anch’io. Mi<br />

occorreva l’occasione: e questa venne col forzato riposo cui<br />

mi costrinsero nel <strong>luglio</strong> 1935 la Nord delle Jorasses e la Nord<br />

2


LA RIVISTA 4 | 2010 65<br />

del Pic Adolphe. Da allora mi è rimasto questo hobby che ho<br />

coltivato come ho potuto”.<br />

Veniamo ora alla sua opera pittorica. Essenzialmente autodidatta,<br />

può essere considerato un vedutista dell’alta montagna,<br />

per certi aspetti legato alla tradizione paesistica piemontese.<br />

Rispetto ai suoi contemporanei, o di poco predecessori, cresciuti<br />

artisticamente nell’ambito della Accademia Albertina di<br />

Torino, Carlo Musso, Alessandro Lupo, il valdostano Italo Mus,<br />

sviluppa nei suoi quadri la ricerca di una forma espressiva autonoma,<br />

intesa a trasformare in un’espressione artistica figurativa<br />

l’esperienza sensoriale e interiore dell’alpinismo. Viene<br />

così proiettando nelle forme e nei colori decisi, spesso primari,<br />

il vigore del confronto con la natura, le sensazioni forti del<br />

clima minerale dell’alta montagna, lo stupore generato dall’intensa<br />

luminosità del cielo e il riflesso sui canaloni e ghiacciai.<br />

Volendo creare un riferimento letterario e filosofico della sua<br />

pittura si potrebbe pensare a qualcosa di sospeso tra il lirismo<br />

di Guido Rey e il futurismo di Ettore Zapparoli.<br />

Entrando nello specifico delle sue opere, si può notare che i<br />

disegni a penna, dai tratti vigorosi e netti, sono spesso funzionali<br />

all’individuazione dell’itinerario alpinistico o della struttura<br />

rocciosa che può suggerire un’eventuale via di salita. Gli<br />

stilemi con i quali sono individuate le categorie della roccia,<br />

del ghiaccio, del cielo sono ricorrenti e determinano così una<br />

visione coerente, seppur sintetizzata, e immediatamente riconoscibile<br />

del tipo di terreno e di ambiente raffigurato. I quadri<br />

a olio aggiungono una notevole valenza di suggestione dovuta<br />

all’impiego del colore come ulteriore elemento di definizione<br />

delle campiture intese nella loro diversa plasticità, che sembra<br />

3<br />

trasmettere una sensazione palpabile della consistenza delle<br />

rocce e del ghiaccio e una percezione termica dell’atmosfera<br />

impregnata dalle luci intense, di solito radenti del mattino o<br />

del tardo pomeriggio. Tutto viene sottolineato dalla pennellata<br />

materica, densa e decisa, dai profili netti nella contrapposizione<br />

delle masse di chiaro e scuro. Emblematica e bellissima è,<br />

ad esempio, la sequenza delle sette tavole, raffiguranti vedute<br />

della parte sud orientale della catena del Monte Bianco, che<br />

illustrano il Vol. II Monte Bianco della sua Guida dei Monti<br />

d’Italia. Lo spazio pittorico è quasi interamente occupato dai<br />

poderosi ammassi granitici che si impiantano con forza nei<br />

basamenti glaciali incutendo il senso di grandiosità che si prova<br />

al cospetto di quelle cime che sovrastano di tremila metri il<br />

fondo valle e quindi il punto di osservazione. Ma mentre qualunque<br />

ripresa fotografica in quella prospettiva porterebbe ad<br />

appiattire la sky line, la monumentalità della struttura pittorica<br />

conferisce ulteriore slancio ai rilievi.<br />

Certo, la notorietà di Chabod sarebbe assai maggiore se invece<br />

di montagne d’alta quota avesse raffigurato marine o paesaggi<br />

urbani. Ma si sa, come la letteratura, anche la pittura di montagna<br />

è un genere di nicchia, conosciuta da pochi appassionati.<br />

La mostra verrà replicata in <strong>luglio</strong> nella stessa sede, dando così<br />

modo a un pubblico più vasto di accedere alle sue opere. «<br />

1» Il Dente del Gigante, da sud //<br />

2» Punta Des Hirondelles, da est //<br />

3» Grandes Yorasses, da nord//<br />

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» progetto vetta<br />

di Giorgio Campiche<br />

La Svizzera e i suoi sentieri<br />

1<br />

L’attività escursionistica e i sentieri occupano<br />

una posizione privilegiata tra le attività del<br />

tempo libero degli svizzeri, tanto da inserire<br />

nella Costituzione Federale un articolo di legge<br />

a protezione della rete escursionistica svizzera,<br />

che in totale misura oltre 65.000 km.<br />

Il cartello indicatore di colore giallo, divenuto<br />

il vero simbolo escursionistico svizzero, è<br />

pure codificato in un’ordinanza federale per la<br />

segnaletica stradale, così come la marcatura<br />

orizzontale (pittura) bianco-rosso-bianco.<br />

Dando seguito alla legge federale, i cantoni<br />

svizzeri si sono dotati di una propria legge di<br />

applicazione sui sentieri, la quale garantisce la<br />

manutenzione e la segnaletica delle reti cantonali<br />

dei sentieri escursionistici. In Canton<br />

Ticino esistono oltre 4.000 km di sentieri, pianificati<br />

dagli operatori tecnici dell’Associazione<br />

Ticinese Sentieri Escursionistici (ATSE). Ulteriori<br />

informazioni si possono trovare sul sito<br />

internet www.atse.ch.<br />

L’Autorità cantonale ha quindi proposto e poi<br />

stabilito che la manutenzione e la segnaletica<br />

della rete escursionistica ticinese fosse assunta<br />

dagli Enti Turistici Locali (ETL), contribuendo<br />

ai costi con un finanziamento annuo di CHF<br />

1.350.000.-.<br />

Al contributo cantonale vanno aggiunti i mezzi<br />

finanziari (oltre CHF 1.600.000.-) messi a disposizione<br />

dagli ETL, raggiungendo così circa<br />

CHF 3.000.000.- investiti annualmente in Canton<br />

Ticino per il mantenimento della propria<br />

rete escursionistica.<br />

Nel Canton Grigioni, invece, la progettazione<br />

della segnaletica verticale (cartelli indicatori)<br />

è assunta dalla BAW Bündner Wanderwege<br />

(www.buendnerwanderwege.ch) e finanziata<br />

dal Cantone. La manutenzione e la costruzione<br />

dei sentieri è di competenza dei singoli comuni,<br />

i quali coprono tutte le spese, tranne per<br />

una parte in cui ricevono un aiuto cantonale.<br />

È pertanto difficile esprimere una valutazione<br />

sull’impegno finanziario globale.<br />

L’obiettivo è chiaro: la maggior parte dei fondi<br />

va investita sul terreno per garantire un prodotto<br />

di qualità con garanzie di sicurezza e<br />

percorribilità elevate.<br />

4 | 2010 66


LA RIVISTA 4 | 2010 67<br />

2<br />

3<br />

1» Salita al Pizzo Giübin,<br />

il quale si trova tra il Lago<br />

Sella e la Val Canaria nella<br />

zona del San Gottardo<br />

(Canton Ticino, Svizzera)//<br />

2» Lago Retico in Valle<br />

di Blenio (Canton Ticino,<br />

Svizzera) // 3» Lago del<br />

Gries con il Blinnenhorn<br />

sullo sfondo, che si trova nel<br />

Canton Vallese, sul confine<br />

tra Svizzera e Italia<br />

Questo senza trascurare lo sviluppo di programmi<br />

informatici per la gestione amministrativa<br />

della rete (Go-w@lk), per l’amministrazione<br />

degli operatori sul terreno, la contabilità analitica<br />

(Coan-se) e per l’assistenza all’escursionista<br />

un programma per la consultazione e la<br />

composizione di passeggiate sulla rete ufficiale<br />

dei sentieri del Cantone Ticino (consultabile<br />

sul sito internet www.ti-sentieri.ch).<br />

L’ampio studio “Sport Svizzera 2008” è stato<br />

valutato nell’ottica dell’escursionismo. Basandosi<br />

sulle risposte di 10.262 intervistati nella<br />

fascia di età 15-74 anni, Sport Svizzera 2008<br />

è la più vasta indagine condotta finora sulla<br />

pratica sportiva della popolazione residente<br />

svizzera. Lo studio consente un’analisi approfondita<br />

delle caratteristiche degli escursionisti<br />

e delle loro preferenze in tema di sport.<br />

Vi proponiamo alcuni risultati dello studio<br />

“Sport Svizzera 2008”:<br />

» un terzo della popolazione residente svizzera<br />

fa escursioni pedestri. Assieme alla bicicletta,<br />

le camminate sono l’attività sportiva e di movimento<br />

preferita dagli svizzeri. Un’escursionista<br />

compie in media 20 escursioni all’anno<br />

della durata media di 3,5 ore;<br />

» gli 1,9 milioni di escursionisti svizzeri camminano<br />

ogni anno per circa 130 milioni di ore<br />

(sono esclusi dal calcolo i bambini, i turisti<br />

stranieri e le persone più anziane);<br />

» gli escursionisti sono più sportivi della media<br />

della popolazione: fanno anche più bicicletta,<br />

nuoto o sci. Per un escursionista su tre le camminate<br />

rappresentano l’attività fisica principale.<br />

Circa un escursionista su dieci non pratica<br />

nessuna attività sportiva addizionale. Senza<br />

l’escursionismo la Svizzera conterebbe circa<br />

170.000 persone inattive in più;<br />

» di regola le escursioni vengono organizzate<br />

autonomamente. Solo il 2 per cento degli<br />

escursionisti pratica quest’attività nell’ambito<br />

di un’associazione e il 7 per cento nell’ambito<br />

di un gruppo fisso. Le donne fanno un po’ più<br />

spesso capo a un’associazione o a un gruppo<br />

rispetto agli uomini, gli escursionisti più anziani<br />

un po’ più spesso rispetto a quelli più<br />

giovani;


comunicazione istituzionale<br />

» progetto vetta<br />

» chi va in vacanza per fare escursionismo lo fa<br />

in media per una settimana all’anno; un terzo<br />

trascorre le vacanze escursionistiche all’estero,<br />

due terzi le trascorrono in Svizzera;<br />

» a fruire dei sentieri escursionistici non sono<br />

solo gli escursionisti, ma anche chi fa jogging,<br />

walking, passeggiate e mountain bike. Tre<br />

svizzeri su quattro utilizzano almeno saltuariamente<br />

i sentieri escursionistici per le loro<br />

attività sportive;<br />

» la popolazione è pienamente soddisfatta dei<br />

sentieri escursionistici; di regola li ritiene migliori<br />

delle altre infrastrutture sportive;<br />

» fra il 2000 e il 2008 sono aumentate le escursioni<br />

in montagna, mentre le escursioni in pianura<br />

sono leggermente diminuite. Questo calo<br />

va soprattutto ascritto al grande successo del<br />

walking.<br />

Un’indagine scritta condotta nel 2008 tra 2.225<br />

persone in diverse regioni escursionistiche ha<br />

permesso di raccogliere informazioni sulle esigenze<br />

e le attività specifiche degli escursionisti.<br />

Vi proponiamo i risultati di questa indagine:<br />

» fra i motivi che spingono a fare un’escursione,<br />

guidano la classifica i fattori «natura incontaminata»<br />

e «attività fisica». Gli altri motivi<br />

frequentemente menzionati sono «paesaggi,<br />

montagne, mondo alpino», «tranquillità, ricreazione<br />

e relax», «socievolezza», «aria fresca» e<br />

«salute»;<br />

» l’ottanta per cento delle persone intervistate<br />

considera molto importanti i fattori «sentieri<br />

variati», «segnalati in modo unitario» e «ben<br />

curati». Di notevole importanza nella percezione<br />

degli escursionisti sono anche l’accessibilità<br />

con i mezzi pubblici, l’indicazione dei tempi<br />

di percorrenza a intervalli regolari e i pannelli<br />

informativi. La stragrande maggioranza degli<br />

intervistati è (molto) soddisfatta delle dimensioni<br />

dell’offerta esaminata;<br />

» tuttavia, ci sono anche fattori negativi. Al<br />

primo posto figurano il traffico motorizzato, i<br />

tratti su strada asfaltata e i rifiuti sparsi sul<br />

terreno. È raro che si riscontrino errori o difetti<br />

nella segnaletica, ma quando avviene sono<br />

particolarmente seccanti. I biker, le mucche e<br />

i cani sono invece un problema minore: se ne<br />

incontrano relativamente spesso, ma solo una<br />

minoranza degli intervistati li considera un<br />

fastidio;<br />

» i principali attrezzi escursionistici sono scarponcini<br />

o scarponi (li calza quasi il 90%) e zaini<br />

(oltre il 90%). Un po’ più del 40 per cento<br />

degli intervistati si porta appresso bastoncini<br />

per escursionismo o da walking, mentre praticamente<br />

nessuno utilizza sistemi GPS;<br />

» un’escursione costa in media 43 franchi a testa.<br />

Questo importo comprende le spese di trasporto<br />

e di vitto e le eventuali spese di pernottamento.<br />

Considerando 32 escursioni all’anno,<br />

la cifra media spesa a testa in un anno per le<br />

4 | 2010 68<br />

4<br />

4» Pizzo Forno in Val<br />

Leventina (Canton Ticino,<br />

Svizzera) // 5» Nuova<br />

Capanna del Corno Gries in<br />

Val Bedretto sul Passo della<br />

Novena (Canton Ticino,<br />

Svizzera)


LA RIVISTA 4 | 2010 69<br />

5<br />

escursioni pedestri è di poco inferiore ai 1400<br />

franchi (senza le spese per l’equipaggiamento);<br />

» i vacanzieri che trascorrono le loro vacanze<br />

escursionistiche nelle regioni in cui è stata<br />

condotta l’indagine praticano raramente altre<br />

attività sportive quali nuoto, bicicletta o nordic<br />

walking. Sembra che le escursioni siano il<br />

motivo primario del loro soggiorno: per il 90<br />

per cento l’offerta escursionistica rappresenta<br />

infatti un importante criterio decisionale per la<br />

scelta della destinazione di vacanza;<br />

» i principali mezzi di trasporto per il viaggio<br />

di andata e di ritorno sono l’automobile e gli<br />

impianti di risalita nelle zone escursionistiche.<br />

Le persone che ricorrono ai mezzi pubblici<br />

per giungere a destinazione rimangono una<br />

minoranza.<br />

Il progetto strategico interreg “VETTA” (Valorizzazione<br />

delle Esperienze e dei prodotti<br />

Turistici Transfrontalieri delle medie ed Alte<br />

Quote), realizzato in collaborazione con partner<br />

italiani qualificati, oltre ad essere la logica<br />

5<br />

continuazione di quanto fatto con precedenti<br />

progetti interreg (Charta-itinerum e Itineracharta)<br />

attorno al tema sentieri ed escursionismo,<br />

è un’opportunità più unica che rara per<br />

eseguire delle analisi della domanda e dell’offerta<br />

a livello transfrontaliero, sviluppare degli<br />

strumenti di gestione e controllo del settore<br />

escursionistico, promuovendo così uno sviluppo<br />

turistico integrato.<br />

Il progetto VETTA, oltre a creare dei nuovi sistemi<br />

di lavoro tra le amministrazioni responsabili<br />

di queste tematiche, è in perfetta sintonia<br />

con gli obiettivi di politica regionale (politica<br />

federale e cantonale volta a promuovere lo sviluppo<br />

economico, attraverso il coordinamento<br />

delle politiche settoriali e lo stimolo all’innovazione,<br />

alla creazione di valore aggiunto e al<br />

miglioramento della competitività territoriale).<br />

È quindi un perfetto esempio di come la collaborazione<br />

transfrontaliera e gli obiettivi di<br />

sviluppo possano convivere armoniosamente,<br />

rafforzandosi vicendevolmente nell’interesse<br />

comune di numerose regioni di frontiera. «<br />

4<br />

approfondimenti<br />

Potrete trovare ulteriori informazioni<br />

sui sentieri svizzeri, visitando<br />

i siti internet dei partner attivi<br />

nella gestione e nella promozione<br />

delle attività legate alla sentieristica.<br />

federazione Sentieri Svizzeri<br />

www.wandern.ch<br />

Svizzera turismo che ha eletto il<br />

2010 anno delle escursioni<br />

www.myswitzerland.com<br />

ticino turismo<br />

www.ticino.ch<br />

bAW bündner Wanderwege<br />

www.buendnerwanderwege.ch<br />

Associazione ticinese per i Sentieri<br />

Escursionistici<br />

www.atse.ch<br />

Programma per la consultazione e<br />

composizione di passeggiate<br />

www.ti-sentieri.ch


» CRoNACA ALPINISTICA<br />

A cura di Antonella Cicogna e Mario Manica (C.A.A.I.) antcico@yahoo.com<br />

PIoLET D’oR 2010<br />

dall’8 al 10 aprile scorsi si è svolto,<br />

tra chamonix e courmayeur, il più<br />

importante riconoscimento dedicato<br />

all’alpinismo internazionale: il Piolet<br />

d’or. Al vaglio di un’attenta giuria<br />

internazionale, presieduta dallo sloveno<br />

Andrej Stremfelj, sono passate<br />

le più grandi prime ascensioni e i<br />

più importanti concatenamenti del<br />

2009 (in tutto 52 spedizioni) a livello<br />

internazionale. cinque le finaliste,<br />

con ascensioni caratterizzate da un<br />

alpinismo etico e di ricerca su cho<br />

oyu 8201 m e chang himal 6750<br />

m in nepal, Xuelian ovest 6422 m e<br />

Gongga Peak 6134 m in cina, Pik Pobeda<br />

7439m in Kirghizstan.<br />

Più che il riconoscimento di un’impresa,<br />

il Piolet d'or è infatti la celebrazione<br />

di un alpinismo di valori,<br />

in cui lo stile deve prevalere sul raggiungimento<br />

della meta. E dove non<br />

si tratta più di raggiungere la vetta<br />

a ogni costo utilizzando espedienti<br />

finanziari, tecnici (ossigeno, corde<br />

fisse, portatori d’alta quota, prodotti<br />

dopanti, ecc.) o mezzi umani importanti<br />

(portatori d’alta quota, sherpa),<br />

ma di un alpinismo in cui l’inventiva<br />

nella ricerca di nuovi itinerari -con la<br />

massima economia di mezzi, il massimo<br />

profitto dell’esperienza, il rispetto<br />

dell’uomo e della natura- rappresenta<br />

il punto cardine.<br />

suL Podio<br />

Sono state infine due le vincitrici<br />

della diciottesima edizione dell’oscar<br />

della verticalità. Si tratta della cordata<br />

kazaka Denis Urubko-Boris Dedechko,<br />

che lungo la sudest del Cho<br />

Oyu 8201 m ha aperto, tra l’11 e il<br />

15 maggio 2009, la via Kazakh Dedechko-Urubko<br />

diretta di 2600 metri<br />

con difficoltà M6, 6b, A2/A3. E della<br />

cordata composta da Bruce Normand<br />

(Scozia), Kyle Dempster e Jed Brown<br />

(uSA) che, con via nuova The Great<br />

White Jade Heist di 2650 m di sviluppo<br />

e difficoltà 5 di ghiaccio, 5 di<br />

roccia, M6 di misto, ha raggiunto in<br />

cinque giorni di impegnativa e tecnica<br />

salita (26-30 <strong>agosto</strong> 2009) la cima<br />

dell’intentato Xuelian Ovest 6422 m<br />

lungo la parete nord.<br />

Premiate dunque salite leggere, in totale<br />

autonomia, in stile alpino.<br />

con l’ascensione alla sudest del cho<br />

oyu, urubko ha inoltre concluso tutti<br />

e 14 gli ottomila: un risultato che lo<br />

ha posto quindicesimo nella lista dei<br />

salitori dei giganti della terra (nono a<br />

farlo senza ossigeno), ma con ben tre<br />

vie nuove in stile alpino (broad Peak,<br />

Manaslu, cho oyu) e una prima invernale<br />

(con Simone Moro al Makalu)<br />

in nove anni di impegno e di scelte<br />

spesso scomode.<br />

l’impresa firmata dalla cordata<br />

americano-scozzese è invece un’ennesima<br />

riprova dello spirito d’esplorazione<br />

che muove spedizioni affiatate,<br />

motivate, e tecnicamente ben preparate:<br />

lo Xuelian ovest, nel nord della<br />

cina, era un obiettivo “sconosciuto”,<br />

certamente commercialmente poco<br />

vendibile, ma che non ha fermato i<br />

tre dal mettersi in gioco in bello stile.<br />

gLi ALtri cAndidAti<br />

tanto di cappello alle restanti tre salite<br />

candidatesi a questa edizione del<br />

Piolet, seppure non abbiano potuto<br />

stringere l’ambita piccozza d’oro sul<br />

palco.<br />

Nick Bullock non si smentisce per la<br />

filosofia alpinistica con la quale scala<br />

abitualmente le vette himalayane;<br />

e per la scelta del suo compagno di<br />

cordata, il connazionale Andy Houseman.<br />

diretto alla volta del pilastro<br />

centrale della nord del Chang Himal<br />

6750 m, vicino al Kanchenjunga, il<br />

duo britannico (tra il 29 ottobre e il 2<br />

novembre 2009) ha realizzato la prima<br />

salita di questa grande e tecnica<br />

parete con la via Bullock-Houseman<br />

di 1800 metri di sviluppo e difficoltà<br />

di M6. obiettivo già tentato da una<br />

cordata slovena nel 2007.<br />

È invece sulla montagna più alta del<br />

tien Shan, il Pik Pobeda 7439 m in<br />

Kirghizistan, che i russi Vitaly Gorelik<br />

e Gleb Sokolov hanno realizzato in<br />

stile alpino (20-29 <strong>agosto</strong> 2009) la<br />

difficile linea Sokolov-Gorelik lungo<br />

un pilastro di 2400 metri alla parete<br />

nord. la salita ha richiesto sette<br />

giorni e mezzo di impegno, si è svolta<br />

in pessime condizioni atmosferiche e<br />

raggiunge l’anticima del Pobeda con<br />

tratti su ghiaccio nero e terreno mi-<br />

sto molto delicato, per una difficoltà<br />

di Ed.<br />

last but not least la via carte blanche<br />

aperta dai forti russi Alexander Ruchkin<br />

e Mikhail Mikhailov sulla parete<br />

nordovest del Gongga Peak 6134<br />

m, nel Sichuan cinese, e per la quale<br />

non è stato fatto uso di alcuno spit.<br />

cinque giorni di arrampicata consecutiva<br />

lungo un pilastro di 1100 metri,<br />

con difficoltà miste e passaggio su<br />

ghiaccio di 75 ° nella prima parte e 6c<br />

in libera nella parte superiore.<br />

iL PioLEt d’or ALLA cArriErA<br />

Per rendere omaggio a un particolare<br />

interprete della storia dell’alpinismo<br />

mondiale, per celebrarne le imprese<br />

di una vita, anche quest’anno è stato<br />

assegnato il Piolet d’or alla carriera. E<br />

se la prima piccozza d’oro alla carriera<br />

l’anno scorso era stata assegnata<br />

al leggendario Walter bonatti, è a un<br />

visionario dell’alpinismo come Reinhold<br />

Messner che il premio è andato<br />

quest’anno. Entrato nella leggenda<br />

verticale per essere stato il primo<br />

uomo al mondo a salire i 14 “8000”<br />

(conclusi nell’ottobre del 1986 con il<br />

lhotse), a farlo senza ossigeno, Messner<br />

ha sempre cercato in ogni sua<br />

impresa di limitare al minimo l’uso<br />

dei mezzi artificiali, facendo del by<br />

fair means la sua filosofia alpinistica.<br />

riconoscimEnto PAoLo<br />

consigLio<br />

Il 22 maggio scorso la cordata Simone<br />

Moro-denis urubko è stata<br />

insignita dell’ambito Riconoscimento<br />

Paolo consiglio per la prima invernale<br />

del Makalu 8463 m, realizzata<br />

dai due alpinisti in stile alpino, senza<br />

ossigeno né portatori, con vetta<br />

4 | 2010 70<br />

1<br />

il 9 febbraio 2009. la salita è stata<br />

realizzata in condizioni ambientali<br />

estreme, nel pieno rispetto dei luoghi<br />

attaversati e della montagna salita.<br />

Il Premio è stato istituito dal cAI nel<br />

1995 in memoria dell’Accademico Paolo<br />

consiglio (scomparso nel 1971 in<br />

himalaya) per dare annualmente un<br />

riconoscimento, di visibilità ed economico,<br />

alla spedizione extraeuropea<br />

italiana che più si è distinta sulle<br />

montagne del mondo. È il club <strong>Alpino</strong><br />

Accademico <strong>Italiano</strong> che ha il compito<br />

di segnalare le spedizioni meritevoli<br />

al cAI, il quale poi provvede ad<br />

assegnare il premio. non è necessario<br />

che i partecipanti si propongano. la<br />

scelta viene fatta dall’Accademico<br />

attraverso una ricerca sulla stampa<br />

sociale o altri organi di informazione<br />

alpinistica (rete inclusa) e con consulenti<br />

esterni che permettono di individuare<br />

le spedizioni meritevoli della<br />

segnalazione per il Premio consiglio.<br />

nella valutazione si deve tener conto<br />

del carattere esplorativo dell’impresa,<br />

della informazione al cisdae, e di<br />

eventuali ricerche scientifiche. È essenziale<br />

che si tratti di spedizioni leggere<br />

(organizzate nell’ambito e con il<br />

patrocinio delle sezioni del cAI), e<br />

che abbiano svolto attività extraeuropea<br />

in stile alpino e in sostanziale<br />

autonomia da iniziative commerciali.<br />

fondamentale è l’aver condotto la<br />

spedizione nel pieno rispetto dei luoghi<br />

attraversati e della montagna salita,<br />

nonché senza eccessivo impiego<br />

di mezzi, cioè il più possibile by fair<br />

means.<br />

1» Simone Moro sulla cima del Makalu<br />

8463 m. Foto©ArchivioS.Moro //


RICoNoSCIMENTo PAoLo CoNSIgLIo I VINCIToRI DAL 1995 AD oggI<br />

LA RIVISTA 4 | 2010 71<br />

1996<br />

Gauntlet Peak (Isola di Baffin)<br />

nuova via Momenti Magici, 6b/A2<br />

cAI-Sat Rovereto - Mario Manica,<br />

danny zampiccoli, Giorgio nicolodi<br />

1997<br />

Hindu Kush – Karambar (Pachistan)<br />

Esaustiva attività esplorativa ed alpinistica<br />

nella zona di Karambar con<br />

vasta attività di ricerca nei ghiacciai<br />

circostanti e numerose cime inviolate<br />

salite tra i 4000 e 5000 metri.<br />

“Karambar ‘97” - Sez. cAI Montecchio<br />

Maggiore –vicenza. Referente f. brunello<br />

1998<br />

Pilastri del K7 – Charakusa Glacier<br />

(Pachistan)<br />

2° Pilastro 4950 m: Prima ascensione<br />

Pilastro dei Bimbi, 850 m, vII+, A3,<br />

Ed+<br />

4° Pilastro 4900 m: Prima ascensione<br />

Pilastro Pulcinella, 675 m, vII, A2; Ed<br />

sez. cAI –lecco: c. valsecchi, d. valsecchi,<br />

d. Spreafico, G. Masdea, M.<br />

Garota<br />

1999<br />

Pamir Alay – Kirghizistan<br />

durante la permanenza sono state<br />

portate a termine salite di notevole<br />

interesse alpinistico ed esplorativo,<br />

la più importante delle quali la via<br />

Fiamma d’Oriente 1300 m, vII, A3,<br />

al Pik Slesova 4250 m - Parete oSo,<br />

nuova via.<br />

“Alair climbing big Wall 99” - Sez.<br />

SoSAt – trento: A. zanetti, c. Groaz,<br />

G. Pancheri<br />

2000<br />

Hindu Raj (Pakistan)<br />

Attività alpinistica ed esplorativa:<br />

prima ascensione assoluta di alcune<br />

montagne tra 4500 e 6200 m (diff. da<br />

Ad a Ed). Salite prevalentemente su<br />

neve e ghiaccio.<br />

“chiantar 2000” Sez. cAI Montecchio<br />

Maggiore – vicenza: f.brunello,<br />

M.Romio, A.Peruffo, E.Peruffo,<br />

P.Stecca, t.bellò, M.Scarso.<br />

Karakorum (Pakistan)<br />

tentativo cresta nE del GII 8034 m<br />

interrotto a 6500 m. Ascensioni di<br />

alcuni 6000 innominati (diff. medie<br />

ghiaccio e misto); esplorazioni lungo<br />

la valle Shaksgam.<br />

“Karakorum 2000” - Sez. cAI “Monte<br />

lussari” – treviso: f.Agostinis,<br />

R.benet, P.de Martin, A.di lenardo,<br />

n.Meroi, l.vuerich, S.cossettini<br />

2001<br />

Tirich Mir 7708 m – Hindu Kush<br />

(Pakistan)<br />

Ripetizione via dei Cecoslovacchi<br />

cAAI - Gruppo occidentale: capospedizione<br />

M.Penasa<br />

2002<br />

Kokshall Too (Kyrgyzstan)<br />

12 vette salite di cui 6 in prima assoluta:<br />

Pik Angela 5075 m, Pik Ghirlandina<br />

5055 m, Pik free bird 4980 m,<br />

Pik Pikovaia dama 4645 m, Pik Alpini<br />

4580 m, q. 4550 4550 m<br />

Sezione cAI Modena: c.Melchiorri,<br />

M.bertoni, M.ferrari, v.cappi,<br />

G.bottone, f.Rubbiani<br />

2003<br />

Cordillera Blanca - Nevado Copa<br />

6188 m (Perù)<br />

Prima assoluta cresta sud integrale,<br />

2000 m, Ed+<br />

f.Manoni, E.Rosso, M.Martines,<br />

c.Rosale<br />

2004<br />

Baruntse Nord 7066 m (Nepal)<br />

nuova via, 2500 m, v+/vI, ghiaccio<br />

verticale e misto fino a M6+<br />

S.Moro, d.urubko, b.tassi<br />

Cerro Torre 3102 m – Parete E (Argentina)<br />

nuova via Quinque anni ad Paradisum<br />

1200 m, vII/A2<br />

E.Salvaterra, A.beltrami, G.Rossetti<br />

2005<br />

Peak Giorgio 5135 m - Shafat Valley<br />

(Kashmir)<br />

Prima ascensione, 1100 m, v e vII, A1<br />

Gruppo Gamma – lecco: G.Pomi,<br />

G.Mazzoleni, d.valsecchi, v.carotta,<br />

A.Gnecchi, S.colombo, n.Panzeri, con<br />

A.corti, S.Ripamonti e G.bonfanti<br />

(uoei di lecco)<br />

Chogolisa Glacier – Karakorum (Pakistan)<br />

cinque prime ascensioni:<br />

Quota 5500 m Parete N (700 m, v/4/<br />

A1), Scudo del Chogolisa 5300 m:<br />

Parete S-SE (Primo pilastro 350m,<br />

6b/A1 – Pilastro centrale 800m, 6c/7a<br />

e A1 ), Sheep Peak 6000 m (parete<br />

So, 400 m, 6b/A2), Costiera del Farol<br />

Peak 6300 m (cima Innominata, parete<br />

nW, 800 m, 60° e misto)<br />

up Project 2005: l. Maspes, h. barmasse,<br />

G. bellin, c. brenna, f. chenal,<br />

E. Marlier, G. ongaro, G Pagnoncelli,<br />

f. Salini.<br />

Cordillera Blanca – Massiccio<br />

Huantsan (Perù)<br />

cerro Pumahuagangan – Parete no<br />

nuova via Pietrorrrago: vaffanculo,<br />

420 m, 6a<br />

Risco Ayudin – Parete no<br />

nuova via Libertad es partecipacìon,<br />

600 m + 1000 m di facili roccette,<br />

6c+/A2<br />

R.Iannilli, E.Arciuoli, G.canti<br />

2006<br />

Lower Guvercinlik 3000 m Parete O<br />

(Turchia)<br />

Massiccio Ala daglar<br />

nuova via Come to derwish, 600 m,.<br />

max 7b (7a obbl.)<br />

R.larcher, M.oviglia<br />

Cima San Lorenzo 3706 m - Parete<br />

N (Argentina)<br />

nuova via Café Cortado, pendenze<br />

fino a 85 ° e misto<br />

up Project 2006 – h.barmasse,<br />

G.ongaro, l.lanfranchi, M.bernasconi<br />

2007<br />

Gasherbrum II, Pilastro N<br />

Prima assoluta, 2800 m, vI, su neve e<br />

ghiaccio diff. max 75-80°<br />

d. bernasconi,K. unterkircher, M. compagnoni<br />

2<br />

3<br />

2008<br />

Ama Dablam 6812 m - Parete O<br />

(Nepal)<br />

nuova via Free Tibet 1500 m, v+,<br />

M5+, 80 °. Stile alpino<br />

f.fazzi, S.Padres<br />

Beka Brakai Chokk 6940 m – Gruppo<br />

Batura (Pakistan)<br />

Prima ascensione, stile alpino, 2300<br />

m, Ed<br />

S.Moro, h.barmasse<br />

Torre Centrale Paine 2460 m (Cile)<br />

nuova via El Gordo, el Flaco y l’Abuelito<br />

1260 m, 7a/A3+ 80% aperta in libera<br />

f.leoni, R.larcher, E.orlandi<br />

2009<br />

Makalu 8463 m (Nepal)<br />

Prima invernale, stile alpino<br />

S.Moro, d.urubko<br />

4<br />

2»Il Chang Himal 6750 m (Nepal).<br />

Foto©N.Bullock // 3» Reinhold<br />

Messner con il Piolet d’Or alla<br />

carriera. Accanto a lui Walter Bonatti.<br />

Foto©Pioletd’Or // 4» La giuria internazionale<br />

coi vincitori del Piolet d’Or:<br />

al centro Urubko- Dedechko, sulla<br />

destra Normand –Dempster-Brown.<br />

Foto©Pioletd’Or //


» NuoVE ASCENSIoNI<br />

A cura di ROBERTO MAZZILIS (Caai) - VIA PER TERZO, 19 - 33028 CANEVA DI TOLMEZZO (UD) - T. +39 339 3513816<br />

oCCIDENTALI<br />

bric cAmoscErA<br />

m 2934<br />

Alpi cozie // gruppo del<br />

monviso // sottogruppo della<br />

marchisa<br />

Il 29 <strong>luglio</strong> 2009, Gabriele canu (cAI<br />

Savona) e fulvio Scotto (cAAI) sulla<br />

parete nord – ovest dello Sperone<br />

centrale hanno aperto la via "Pensiero<br />

per Maté", realizzazione dedicata<br />

al grande accademico cuneese Matteo<br />

campia che ci ha lasciato il 26<br />

<strong>luglio</strong> del 2009.<br />

la direttiva della scalata è data dallo<br />

sperone pronunciato al centro della<br />

parete, sul margine di sinistra della<br />

grande pala rossa, tra le vie "lorenzo<br />

baglietto" a sinistra e "Rocky horror<br />

Show" a destra. lo sviluppo è di m<br />

520 per 12 tiri di corda, nella parte<br />

bassa prevalentemente su placche<br />

inclinate e intercalate da gradoni,<br />

nella metà superiore (molto più bella<br />

e difficile) lungo diedri e fessure.<br />

difficoltà valutate complessivamente<br />

d+ (III, Iv, v, passaggi di v+). Avvicinamento<br />

alla parete da Ponte Pelvo<br />

per sentiero u 24 in direzione bric<br />

Rutund. verso q. 2400 circa traversare<br />

a destra verso la base della parete<br />

(ore 2). Attacco nel punto più basso<br />

su placche grigiastre, a destra di<br />

un diedro erboso e obliquo lungo un<br />

centinaio di m. discesa sul versante<br />

meridionale (facile) verso il lago<br />

sottostante dove si cerca il sentiero<br />

che con ampio semicerchio a nord –<br />

ovest riconduce a Ponte Pelvo.<br />

CENTRALI<br />

sPEronE dEi cAmEr<br />

Alpi retiche –val masino –<br />

val Preda<br />

Il 6 settembre 2009 è stata ultimata<br />

l’attrezzatura (dal basso) a chiodi e<br />

1<br />

spit della "via 30° Scuola Alpinismo<br />

bruno e Gualtiero" del cAI di cinisello<br />

balsamo. Autori Rolando canuti,<br />

Stefano Micali, vincenzo nardella<br />

e Gregorio villa. lo sviluppo è di m<br />

240 per 5 tiri di corda su placche e<br />

diedri di granito esposti a meridione.<br />

difficoltà massima di 6 a con pass.<br />

A1. Per una ripetizione prevedere ore<br />

3. consigliati 10 rinvii, 2 corde da m<br />

60, friend piccoli e medi, nut e cordini.<br />

Avvicinamento dal piazzale nord<br />

del Sasso Remenno lungo la strada<br />

di San Martino per una ottantina di<br />

m fino ad imboccare sulla sinistra un<br />

sentiero che si innalza tortuoso in<br />

val Preda. Presso una baita diroccata<br />

si scorge lo sperone. Attraversando il<br />

torrente ci si porta sul fianco di sinistra<br />

orografica dove si riprende il<br />

sentiero che porta all’attacco della<br />

"via Scubidu". Proseguire per tracce<br />

(ometti) mantenendosi sulla sinistra<br />

orografica della valle, fino a delle<br />

piccole radure con muri a secco e camer.<br />

Portarsi alla base dello sperone<br />

mirando a placche verticali e fessurate<br />

poste sulla sinistra dello spigolo<br />

(primo chiodo a m 3 circa). ore 1.15.<br />

oRIENTALI<br />

summAmunt – m 2366<br />

dolomiti orientali – gruppo<br />

del Puez<br />

Inarrestabile e inossidabile, la coppia<br />

di Accademici Marino babudri<br />

e Ariella Sairi, veramente invidiabile,<br />

prosegue la sua fantastica<br />

esplorazione alpinistica interrotta<br />

unicamente nei periodi invernali<br />

(ovviamente dedicati all’assiduo allenamento<br />

nelle falesie della costa<br />

triestina). È della scorsa estate la loro<br />

realizzazione, in ore 10, della "via del<br />

Giardino Pensile" sullo Sperone centrale<br />

della parete ovest del Summamunt.<br />

questa verticale dolomitica è<br />

caratterizzata da una grande cengia<br />

ascendente che la solca nella parte<br />

mediana e dalla quale si innalza una<br />

spaccatura obliqua verso sinistra.<br />

la via si sviluppa su placche grigie<br />

fino alla grande cengia, quindi lungo<br />

una serie di camini situati a destra<br />

della spaccatura ed infine ancora su<br />

placche grigie e la torre sommitale.<br />

lo sviluppo è di m 350 suddivisi in<br />

10 tiri di corda fino al termine della<br />

parete. Roccia da buona a discreta.<br />

difficoltà omogenee di Iv+, v, v I,<br />

vI+, vII+. da questo punto esistono<br />

2 possibilità. proseguire su pendii<br />

erbosi fino alla base del torrione<br />

sommitale e con altri m 170 di via<br />

sul versante nord (in comune con<br />

quella aperta dagli stessi babudri nel<br />

2002) raggiungere la cima. difficoltà<br />

di Iv+ e v I+. oppure, interrompendo<br />

la scalata alla base della torre sommitale<br />

è possibile scendere circa m<br />

10 fino ad un masso grande e con il<br />

cordino della prima calata (in tutto 6<br />

corde doppie da m 60) per il rientro<br />

alla base della parete in corda doppia.<br />

Avvicinamento da longiarù per<br />

strada sterrata per l’Antersass, poi a<br />

piedi in 40 min lungo i sentieri 6 e 9<br />

fino sotto ai ghiaioni alla base della<br />

parete. l’attacco è situato subito a<br />

destra di un pilastro alto una ventina<br />

di m e addossato alla parete con una<br />

macchia di mughi.<br />

torrE buLLA – m 2260<br />

dolomiti orientali – gruppo<br />

rondoi – baranci – sott. di<br />

monte rudo<br />

Il 7 settembre del 2009 in ore 4<br />

Marino babudri e Ariella Sain hanno<br />

aperto la via "Grande luna" sulla<br />

parete nord della torre bulla (ambiente<br />

solitario e molto suggestivo)<br />

avvicinamento in ore 1.30 dalla val<br />

di landro per sentiero che dopo aver<br />

sorpassato dei bunker di guerra porta<br />

sulla sinistra presso un ghiaione. qui<br />

si imbocca un canalone che conduce<br />

al valloncello ai piedi della torre, in<br />

corrispondenza di un grande masso.<br />

Risalendo un pendio erboso con mughi<br />

ci si porta alla base della parete.<br />

l’attacco della via è posto pochi m a<br />

sinistra di un camino formato da un<br />

2<br />

4 | 2010 72<br />

1» La parete Ovest del Summamunt<br />

con il tracciato della "Via del Giardino<br />

Pensile" // 2» La parete Nord – Ovest<br />

del Bric Camosciera con il tracciato<br />

della via "Un Pensiero per Mate" // 3»<br />

La via della "Grande Luna" aperta da<br />

Marino Babudri e Ariella Sain sulla<br />

parete Nord della Torre Bulla<br />

avancorpo roccioso con un piccolo<br />

pino sulla sommità. con 7 lunghezze<br />

di corda prevalentemente su placche<br />

di roccia buona e grigio – nera si sale<br />

sulla direttiva di alcune colate nerastre<br />

poste sulla destra di strapiombi<br />

gialli. Sviluppo complessivo m 280<br />

con difficoltà di Iv, v, v+, v I. usati<br />

alcuni chiodi e cordini sulle numerose<br />

clessidre presenti nella parte alta<br />

della via. discesa dalla cima per una<br />

dorsale erbosa in direzione Sud – Est,<br />

poi per cengia (viazz di camosci) verso<br />

Est fino al canalone che riconduce<br />

alla base della parete.<br />

iL sigAro (m 2450) dEL crodon<br />

di giAf<br />

dolomiti d'oltre Piave –<br />

gruppo spalti di toro e monfalconi<br />

– ramo monfalcon di<br />

forni<br />

Il 7 settembre del 2007 Sergio liessi<br />

e Arturo Sbrizzai hanno aperto una<br />

nuova via sulla parete Sud del crodon<br />

di Giaf seguendo una serie di<br />

camini e colatoi di roccia buona che<br />

li hanno portati alla grande cengia<br />

detritica sommitale. qui si sono spostati<br />

sulla destra fino alla base della<br />

caratteristica sagoma de "Il Sigaro"<br />

che hanno scalato per un camino di<br />

m 40 collegandosi infine con la via<br />

K. domenigg, v. Wolf von Glanvell, f.<br />

3


LA RIVISTA 4 | 2010 73<br />

Konig, K.G. von Saar e titty Angerer<br />

(vedi dolomiti orientali, vol II, pag.<br />

234, anche per le note di avvicinamento<br />

e di discesa).<br />

l’attacco della via si trova all’inizio<br />

di un colatoio molto evidente<br />

a quota m 2200, sotto una serie di<br />

strapiombi. Sviluppo complessivo m<br />

375. difficoltà dal III al vI. tempo<br />

impiegato ore 3.30. lasciati 8 chiodi<br />

e 8 cordini, utilizzati per la discesa a<br />

corde doppie.<br />

cimA LAstrons dEL LAgo<br />

(sEEwArtE) – m 2595<br />

Alpi carniche – gruppo del<br />

coglians - cjanevate<br />

i. Il 7 settembre del 2010 Roberto<br />

Mazzilis e fabio lenarduzzi hanno<br />

aperto una nuova via (molto consigliabile<br />

e lineare) sulla parete nord.<br />

Ascensione realizzata in una giornata<br />

con temperature sotto lo zero con<br />

accumuli di grandine e vetrato. In<br />

tali condizioni è stata superata una<br />

fascia di strapiombi grigio – nerastri<br />

di roccia compattissima che aveva<br />

già respinto una cordata austriaca<br />

(recuperati chiodi e moschettoni degli<br />

anni ’30). difficoltà continue con<br />

un tratto particolarmente pericoloso<br />

per la presenza di alcune lame di roccia<br />

nelle immediate vicinanze da un<br />

distacco di frana, posto nella parte<br />

superiore della parete. Sviluppo m<br />

500 circa. difficoltà di Iv, v, v I, v I+,<br />

1 passaggio di vII-. usati una ventina<br />

di ancoraggi intermedi compresi<br />

quelli degli austriaci. Arrampicata<br />

prevalente in fessure e diedri lineari<br />

di calcari solidissimi grigio / nerastri.<br />

l’attacco si trova un centinaio di m<br />

più in basso e sulla sinistra rispetto<br />

all’it. 36 h della Guida dei Monti<br />

d’Italia, Alpi carniche 1. Raggiunto il<br />

bordo di sinistra del secondo terrazzo<br />

detritico la via incrocia l’it. 36 h, poi<br />

sale direttamente alla sua destra per<br />

fessure marcate e diedri superficiali<br />

incisi in una zona di placche verticali<br />

sovrastate da un'arcata di strapiombi<br />

a tetto. una fessura molto lineare e<br />

difficile conduce ad una zona di parete<br />

inclinata. Si prosegue per lunga<br />

serie di fessure (all’inizio sfiorando<br />

una frana) che in alcuni punti si allargano<br />

a camino. Risalito tutto lo<br />

spigolo del pilastro sovrastante, per<br />

crestina piana si raggiunge il cocuzzolo<br />

della cima. tempo impiegato<br />

ore 7.<br />

ii. Il 20 settembre del 2010 Roberto<br />

Mazzilis, in arrampicata solitaria<br />

(slegato, auto assicurato con una<br />

"longe" solo al chiodo con moschettone<br />

sotto il passaggio chiave) ha<br />

aperto una nuova via sulla parete<br />

nord. Il punto di attacco si trova circa<br />

m 20 sulla destra dell’it. 36 g della<br />

Guida dei Monti d’Italia. nei primi m<br />

150 la direttiva della salita è data da<br />

una serie continua di fessure e diedri<br />

verticali che solcano il lato di sinistra<br />

di uno spigolo marcato. Successivamente<br />

si incrocia l’it. 36f nel tratto<br />

in cui traversa a sinistra e si prosegue<br />

direttamente per una fessura larga e<br />

strapiombante (passaggio chiave,<br />

all’inizio chiodo e moschettone relativo<br />

a tentativo di ignoti) raggiungendo<br />

un bellissimo diedro fessura<br />

lungo una settantina di m che con<br />

arrampicata generalmente molto<br />

entusiasmante su roccia ottima porta<br />

nella parte centrale della parete.<br />

dopo una zona un po’ inclinata e con<br />

detrito sui ripiani la via volge sulla<br />

sinistra e supera direttamente il pilastro<br />

soprastante, verticale e in alcuni<br />

punti espostissimo, posto sulla sinistra<br />

dell’it. 36g. lo si scala sfruttando<br />

una successione di diedri e rampe<br />

obliqui verso destra e intercalati da<br />

brevi strapiombi di roccia solidissima<br />

e sufficientemente appigliata. dopo<br />

un traverso a sinistra sotto un marcato<br />

strapiombo nerastro a tetto si<br />

4» La parete Nord della Cima Lastrons<br />

del Lago (Seewarte) con i tracciati delle<br />

3 vie nuove. Da sinistra verso destra.<br />

Via Mazzilis – Lenarduzzi sul Pilastro<br />

Nord; Via Mazzilis – Lenarduzzi del<br />

7 settembre 2010; Via Mazzilis in<br />

solitaria// 5» La parete Sud della Cima<br />

Lastrons del Lago (Seewarte) con i<br />

tracciati delle vie aperte sui pilastri.<br />

Da sinistra verso destra. Pilastro Mirra<br />

(Mazzilis, solo); Pilastro Argento, R.<br />

Mazzilis, F. Lenarduzzi; Pilastro Oro, R.<br />

Mazzilis, solo.<br />

4<br />

raggiunge la parete superiore e quindi<br />

la crestina sommitale per la quale<br />

in vetta. Sviluppo m 550 circa. difficoltà<br />

di Iv e v continui, tratti di v+ e<br />

v I -, 1 passaggio di v I e 1 passaggio<br />

di v I+. tempo impiegato ore 1.30.<br />

Per una ripetizione in cordata utili<br />

una scelta di chiodi e una serie completa<br />

di friend, specie medio / grossi.<br />

iii. Il 22 settembre del 2010 Roberto<br />

Mazzilis e fabio lenarduzzi hanno<br />

salito il Pilastro nord che emerge<br />

dalle ghiaie con uno zoccolo di rocce<br />

(calcare compattissimo) chiare e solcate<br />

da innumerevoli rigole. Il pilastro<br />

(si tratta della struttura più imponente<br />

che si affaccia sul versante<br />

austriaco) all’inizio è coricato, poi si<br />

impenna fino a diventare molto ripido<br />

e articolato da placche lisce intercalate<br />

da fessure e brevi strapiombi<br />

nerastri. Anche l’ultimo terzo di<br />

questa via (a dispetto della opinione<br />

diffusa di pericolosità attribuita alle<br />

pareti nord di questo settore di catena<br />

alpina) offre alcuni tiri di corda<br />

tra i più belli e meritevoli di ripetizione<br />

dell’intero gruppo del Monte<br />

coglians. la via scaturita è impegnativa,<br />

su roccia a tratti magnifica, eccezionalmente<br />

appigliata anche nei<br />

punti più impensati e che visti dal<br />

basso (specialmente il pilastro sommitale)<br />

sembrerebbero inscalabili.<br />

Sviluppo m 700. difficoltà di Iv, v, v<br />

I, passaggi di v I+ e vII -. Si attacca a<br />

circa m 170 più in basso della via 36<br />

i della Guida dei Monti d’Italia – Alpi<br />

carniche vol I, alla base del pilastro e<br />

mantenendo la direttiva dello spigolo<br />

arrotondato che separa la parete<br />

n. E. dalla parete nord. Sfruttando<br />

una serie di fessure intercalate da<br />

placche ci si mantiene sulla sinistra<br />

dello spigolo fino ad una parete concava<br />

che si insinua tra i due pilastri<br />

sommitali. tenendosi sulla sinistra<br />

ci si porta sulla parete del pilastro<br />

di sinistra che si sale con stupenda<br />

arrampicata raggiungendone l’aereo<br />

spigolo ed infine la cresta sommitale.<br />

5<br />

quasi tutti i chiodi sono rimasti in<br />

parete. usati una quindicina di ancoraggi<br />

intermedi tra chiodi e friend,<br />

oltre al materiale per le soste. tempo<br />

impiegato ore 6.30.<br />

iv. Il versante Sud, affacciato sul<br />

territorio italiano è caratterizzato da<br />

uno zoccolo possente fasciato alla<br />

base da un gradone strapiombante<br />

e sopra da una vastissima zona<br />

di placche calcaree appoggiate che<br />

convergono sulla tricuspide sommitale,<br />

formata da tre possenti pilastri.<br />

tali strutture inspiegabilmente sono<br />

rimaste finora inaccesse ed innominate<br />

malgrado la bellezza dell’ambiente,<br />

facilmente raggiungibile e la<br />

bontà della roccia, a dir poco eccezionale.<br />

Il primo ad essere scalato è<br />

stato il Pilastro oro, quello di destra,<br />

da Roberto Mazzilis il 24 settembre<br />

del 2010, in solitaria. Sviluppo complessivo<br />

m 750 circa dei quali m 100<br />

iniziali di II, II, III, Iv, v-. quindi m<br />

350 di placche inclinate con diff. di<br />

II, III, I. Infine Iv, v, vI, vI+, vII– negli<br />

ultimi m 300 che costituiscono<br />

le placche e i diedri fessura (tratti<br />

aerei ed esposti) del Pilastro oro.<br />

Roccia ottima ovunque, paragonabile<br />

a quella della parete Sud della<br />

creta della cjanevate, ad eccezione<br />

degli ultimi m 100 di cresta friabile.<br />

Auto assicurato all’unico ancoraggio<br />

usato (1 chiodo) con un cordino<br />

lasciato sulla placca liscia all’uscita<br />

del diedro fessura strapiombante del<br />

passaggio chiave. Attacco ad una<br />

cinquantina di m sulla sinistra dell’it.<br />

36 a della Guida dei Monti d’Italia,<br />

Alpi carniche, vol.I. Risalite alcune<br />

placche articolate ed appoggiate si<br />

sale per un colatoio fessurato ed incassato<br />

che permette di salire sullo<br />

zoccolo a placche soprastante. Risalirle<br />

mantenendosi paralleli e ad<br />

una cinquantina di m sulla sinistra<br />

della via 36 a fino sotto una fascia<br />

di placche lisce molto caratteristiche<br />

che costituiscono la base del Pilastro<br />

oro (quello più orientale). Salire una


» NuoVE ASCENSIoNI<br />

placca liscia e ripida (v e vI-, lasciato<br />

per segnavia un cordino su clessidra)<br />

e proseguire per gradoni di roccia<br />

solida che permettono di raggiungere<br />

la serie di fessure e diedri che<br />

incide il pilastro. Al loro termine per<br />

una serie di gradoni ed una crestina<br />

un po’ friabile si raggiunge la vetta.<br />

tempo impiegato ore 3.30, impiegate<br />

per la ricerca della via sul Pilastro<br />

dove sembra esistano diverse possibilità<br />

di prosecuzione, in realtà quasi<br />

tutte sbarrate da muri strapiombanti<br />

e lisci.<br />

v. Il pilastro centrale, denominato<br />

Pilastro Argento, è stato salito il 27<br />

settembre del 2010 da Roberto Mazzilis<br />

e fabio lenarduzzi in ore 6.30.<br />

Superato il muro strapiombante di<br />

attacco lungo una serie di rampe,<br />

fessure e diedri la via seguita si mantiene<br />

sulla destra (sinistra orografica)<br />

del canalone più marcato che<br />

segna lo zoccolo dei pilastri. quindi<br />

dal fondo rinserrato tra 2 pilastri di<br />

sinistra, la via attacca verso destra<br />

un muro compatto e strapiombante<br />

(cordino) che porta direttamente<br />

sullo spigolo arrotondato e verticale<br />

del Pilastro Argento, dove si trovano<br />

alcuni tiri di corda di notevole bellezza<br />

ed esposizione che ricordano<br />

quelli dello spigolo Sud del Pilastro<br />

della Plote alla creta della cjanevate.<br />

Sviluppo complessivi circa m 800 de<br />

quali i primi m 150 di II, Iv, v, vI; I,<br />

II, III, Iv – nei m 400 intermedi dello<br />

zoccolo a placche; difficoltà di Iv, v,<br />

vI, vII+ nei m 200 del pilastro vero e<br />

proprio. usati 6 chiodi, 2 friend e 3<br />

cordini, più il materiale per le soste.<br />

tutti i chiodi di assicurazione intermedia,<br />

alcuni di sosta e tutti i cordini<br />

in clessidra sono rimasti in parete.<br />

Roccia ottima.<br />

vi. Il pilastro più occidentale,<br />

quello che si allaccia al profilo del<br />

monte che digrada sul gigantesco<br />

portale del Passo di volaia, è stato<br />

denominato "Pilastro Mirra" da Roberto<br />

Mazzilis che lo ha scalato in<br />

arrampicata solitaria, slegato, il 29<br />

settembre in ore 2.15. Sviluppo complessivo<br />

m 800 con difficoltà di II, III,<br />

Iv, v, v+. le maggiori difficoltà sono<br />

concentrate nei m 200 di pilastro<br />

sommitale. Roccia quasi ovunque<br />

da buona a ottima con numerose<br />

possibilità di varianti sullo zoccolo.<br />

Salita molto varia e interessante che<br />

all’inizio segue la direttiva del gigantesco<br />

canalone a lastroni che marca<br />

lo zoccolo della cima lastrons, quindi<br />

lo spigolo Sud del Pilastro Mirra<br />

ed infine la cresta sommitale.via<br />

obbligata sullo spigolo del pilastro,<br />

caratterizzato da una serie di risalti<br />

verticali ed affilati di roccia ottima<br />

e caratterizzata da alcuni passaggi<br />

assai singolari.<br />

AvvicinAmEnti ALLE PArEti<br />

le vie sul versante settentrionale<br />

della cima lastrons si raggiungono<br />

dal Rif. tolazzi passando per il Passo<br />

di volaia in un'ora e 40 min. quelle<br />

sul versante Sud alla stessa cima,<br />

sempre dal Rif. tolazzi in ore 1 di<br />

marcia fino al Sentiero Spinotti nel<br />

punto in cui dal Rif. lambertenghi si<br />

dirige in piano a destra verso l’inizio<br />

delle attrezzature.<br />

discEsA dALLA cimA LAstrons<br />

dEL LAgo<br />

Impegnativa e soggetta a scariche<br />

di acqua e pietre in caso di rovesci<br />

di una certa consistenza. In questo<br />

caso conviene valutare la possibilità<br />

di proseguire l’ascensione verso il<br />

vicino Monte coglians percorrendo il<br />

tratto di ferrata che per cresta conduce<br />

in vetta e tornare a valle per la<br />

via normale da Sud.<br />

Altrimenti è conveniente seguire<br />

a ritroso l’it. 36 a della Guida dei<br />

Monti d'Italia, vol. I, avendo però<br />

l’accortezza, scendendo, di mantenersi<br />

sempre sul fondo dei colatoi,<br />

anche dove si rinserrano a camino<br />

(I, II, III, roccia ottima e levigata con<br />

detriti sul fondo). Appena è possibile<br />

spostarsi verso destra sulle placche<br />

inclinate dello zoccolo della cima<br />

lastrons del lago, mantenendosi<br />

sempre alcune decine di m sulla<br />

destra (ovest) del marcato canalone<br />

che lo separa dalla parete ovest del<br />

Monte coglians. Giunti nel tratto più<br />

basso dello zoccolo, evitare assolutamente<br />

di calarsi a sinistra nel grande<br />

canalone con nevaio crepacciato, ma<br />

tenersi alla sua destra sul margine<br />

orientale dello zoccolo della cima<br />

lastrons dove conviene effettuare un<br />

paio di calate a corda doppia (oppure<br />

in arrampicata su lastroni compatti<br />

con diff. di II, III, Iv per un centinaio<br />

di m) fino ad imboccare un diedretto<br />

ripidissimo ma articolato leggermente<br />

inclinato verso destra e con alla<br />

base un forte strapiombo appigliato.<br />

disceso lo strapiombo (m 40, v o<br />

calata in doppia da attrezzare all’imbocco<br />

del diedretto) si discendono<br />

gli ultimi lastroni molto inclinati e<br />

alternati a sfasciumi e ghiaioni fino<br />

a raggiungere lo sbocco del grandioso<br />

canalone che separa la cima<br />

lastrons dal coglians. Molta arrampicata<br />

libera e alcune doppie male<br />

attrezzate. ore 3.30 dalla cima al Rif.<br />

tolazzi. calcolare circa un'ora in più<br />

se si opta per la cima del coglians. «<br />

» ARRAMPICATA<br />

A cura di LUISA IOVANE E HEINZ MARIACHER<br />

CAMPIoNATo ITA-<br />

LIANo fASI BouL-<br />

DER a Torino<br />

Il 10° campionato di specialità si<br />

svolgeva all’interno del Palatazzoli,<br />

organizzato dalla storica SASP Società<br />

Arrampicata Sportiva Palavela,<br />

motore trainante delle prime<br />

gare d’arrampicata in Italia alla<br />

fine degli anni ottanta. le antiche<br />

pareti non avevano più posto nel<br />

Palavela ristrutturato, e sono state<br />

ricostruite in palazzetti moderni e<br />

molto frequentati. una quindicina<br />

di ragazze e 28 ragazzi si davano<br />

battaglia davanti a un pubblico<br />

di tutto rispetto, con rappresentanze<br />

di autorità locali e sportive.<br />

Semifinale maschile un po’ troppo<br />

selettiva, guidata da christian core<br />

(fiamme oro) con due top, davanti<br />

a Gabriele Moroni (b-Side to),<br />

mentre 21 concorrenti alquanto<br />

delusi non riuscivano a completare<br />

nemmeno un boulder. Più generosi<br />

erano i tracciatori con le ragazze,<br />

Elena chiappa si portava in testa<br />

con quattro problemi risolti al<br />

primo tentativo davanti a jenny<br />

lavarda. In finale però Moroni non<br />

confermava i grandi successi, (tra<br />

cui il bronzo in coppa del Mondo)<br />

riportati nella stagione agonistica<br />

2009, e falliva su tutti i passaggi,<br />

scendendo in quinta posizione,<br />

meglio faceva Marcello bombardi<br />

(vertigine Sassuolo) che saliva sul<br />

terzo gradino del podio. Il confronto<br />

si restringeva così a core e<br />

Preti, che salivano rispettivamente<br />

3 e 4 blocchi. Secondo le regole in<br />

vigore l’anno scorso, in cui si sommavano<br />

i risultati di semifinale e<br />

finale, sarebbe stato core, (campione<br />

del Mondo 2003) a vincere il<br />

suo quinto titolo italiano. Il nuovo<br />

regolamente invece prende in considerazione<br />

solo il risultato della<br />

finale, così ad aggiudicarsi il trofeo<br />

era il bresciano lucas Preti, dello<br />

Sportler Spider team Silea treviso.<br />

Anche in campo femminile la piemontese<br />

Elena chiappa (Posto di<br />

blocco boves cn) doveva cedere<br />

il passo a jenny lavarda (Gruppo<br />

Sportivo forestale), unica a superare<br />

due blocchi, che così riconquistava<br />

il titolo già vinto nel 2004.<br />

terza si piazzava la diciassettenne<br />

4 | 2010 74<br />

Alexandra ladurner (AvS Merano), al<br />

top nazionale nella difficoltà, che dimostrava<br />

di poterlo essere anche nel<br />

boulder.<br />

XXV CAMPIoNATo<br />

ITALIANo fASI<br />

LEAd E vELocità, trofEo<br />

sAndri E mEnti, A vALdAgno<br />

la cittadina del vicentino ospitava<br />

per la quarta volta la competizione<br />

più rappresentativa della stagione,<br />

un grande spettacolo organizzato<br />

dalla Società X-fighter Molvena<br />

diretta da Moreno lavarda. Sulla<br />

struttura fissa all’interno del Palasport,<br />

Mario Prinoth e Marco Ronchi<br />

tracciavano degli splendidi itinerari<br />

per le otto ragazze e i 20 ragazzi<br />

partecipanti. In testa alla semifinale<br />

maschile si piazzava flavio crespi<br />

delle fiamme Gialle, che sembrava<br />

ritornato ai livelli precedenti il grave<br />

infortunio alla spalla ed era l’unico<br />

a completare la via. cinque catene<br />

invece sulla semifinale proforma<br />

delle ragazze visto che, per il numero<br />

ridotto, passavano tutte in finale.<br />

Anche qui non c’era storia, senza<br />

concorrenti di rilievo la star locale<br />

jenny lavarda entusiasmava il pubblico<br />

raggiungendo il top. Per jenny<br />

si trattava dell’undicesimo titolo nazionale,<br />

seconda la sedicenne Anna<br />

Gislimberti (X-fighter Molvena, vincitrice<br />

l’anno scorso della combinata)<br />

e terza Manuela valsecchi (team


LA RIVISTA 4 | 2010 75<br />

1<br />

Gamma lecco). Molto combattuta<br />

invece la finale maschile, in cui un<br />

grandissimo luca zardini “canon”<br />

superava all’ultima presa flavio crespi,<br />

terzo e Gabriele Moroni secondo.<br />

Il cortinese “canon”, del Gruppo<br />

caprioli San vito di cadore, conquistava<br />

così il sesto titolo italiano,<br />

ricordiamo che le sue prime vittorie<br />

risalgono all’inizio degli anni novanta<br />

e che nel 1992 si era piazzato<br />

secondo in coppa del Mondo generale.<br />

zardini, classe 1972, carabiniere,<br />

sposato e con due bambine, aveva<br />

la soddisfazione di lasciarsi dietro<br />

sia veterani titolati che giovanissimi<br />

emergenti. la serata continuava<br />

con il campionato di velocità, vinto<br />

da Sara Morandi (Arco climbing) e<br />

Michel Sirotti (Equilibrium Modena).<br />

Seconda e terza rispettivamente<br />

Anna Gislimberti e chiara limonta, e<br />

Alessandro boulos (venezia verticale)<br />

e leonardo Gontero. Ad aggiudicarsi<br />

il titolo della combinata erano<br />

jenny lavarda e il sedicenne Marcello<br />

bombardi.<br />

CoPPA ITALIA fASI<br />

VELoCITà ad Arco<br />

la finale del circuito si svolgeva<br />

ad Arco, dopo le tappe di Pieve di<br />

cadore e di Silea, vinte da Sara<br />

Morandi e rispettivamente da Sirotti<br />

e Ghisolfi. la velocità sta diventando<br />

una disciplina sempre più praticata<br />

dai giovanissimi, e il percorso di<br />

Arco, omologato per gli eventi<br />

internazionali, veniva completato<br />

dalla trentina di partecipanti in<br />

rispettabilissimi tempi, che solo<br />

l’anno scorso sarebbero bastati a<br />

qualificarsi in coppa del mondo. In<br />

campo maschile il podio, composto<br />

da Michel Sirotti, Stefano Ghisolfi<br />

(SASP to) e leonardo Gontero (Rivoli<br />

Arrampicata Sportiva), coincideva<br />

con quello del circuito generale<br />

2009. In campo femminile le sorelle<br />

arcensi Sara e jessica Morandi si<br />

confermavano imbattibili sia nella<br />

tappa di Arco (3a Michela facci)<br />

che in classifica generale di coppa<br />

Italia (3a Anna Gislimberti). vincitori<br />

della combinata delle tre specialità<br />

di coppa Italia risultavano Sara<br />

Morandi e Stefano Ghisolfi.<br />

CoPPA DEL MoNDo<br />

IfSC Lead<br />

la quinta e penultima prova del circuito<br />

difficoltà si svolgeva a brno,<br />

nella Repubblica ceca. Partecipazione<br />

limitata a 33 ragazze e 52 ragazzi,<br />

con jenny lavarda e flavio crespi<br />

unici rappresentanti italiani. Primo<br />

turno poco selettivo per le ragazze,<br />

quasi tutte al top di entrambe le vie<br />

di qualificazione, mentre i maschi<br />

dovevano già impegnarsi di più per<br />

raggiungere la catena. tracciatura<br />

mal riuscita poi per la semifinale<br />

femminile, in cui solo la coreana jain<br />

Kim completava la via, mentre un<br />

passaggio di blocco fermava molte<br />

altre alla stessa altezza, costringendo<br />

così la giuria ad autorizzare una<br />

finale a undici invece che otto concorrenti;<br />

23ª jenny lavarda. Grande<br />

delusione per il pubblico durante la<br />

prova maschile, quando per un attimo<br />

di disattenzione l’eroe locale<br />

Adam ondra restava escluso dalla<br />

finale; 17° flavio crespi, qui vincitore<br />

nel 2004. In finale continuavano le<br />

sorprese, con la favorita sedicenne<br />

johanna Ernst solo quinta, superata<br />

da un’ottima Muriel Sarkanj, (classe<br />

1972) che mancava il podio per un<br />

appiglio toccato invece che tenuto.<br />

vittoria di misura per jain Kim,<br />

davanti alle slovene Maja vidmar e<br />

Mina Markovic. tra i ragazzi il titolato<br />

veterano ceco tomas Mrazek<br />

confermava le aspettative nazionalistiche<br />

e si piazzava terzo, dietro allo<br />

spagnolo Patxi usobiaga e al ventenne<br />

austriaco jacob Schubert, alla<br />

sua prima vittoria dopo l’argento al<br />

Mondiale di qinghai.<br />

la prova sottotono di johanna Ernst e<br />

Adam ondra, al comando della classifica<br />

di coppa, rimetteva in gioco il<br />

titolo, con tutto da decidersi a Kranj,<br />

una settimana dopo. la cittadina<br />

slovena ospitava coma da tradizione<br />

la finale della serie, che ha sempre<br />

riscosso grande sucesso di atleti e di<br />

pubblico. l’organizzazione guidata<br />

da tomo cesen gestiva quindi senza<br />

problemi ben 110 partecipanti, 73<br />

maschi e 37 femmine, tra cui una<br />

2<br />

1» Christian Core su Temujin, boulder<br />

8b in India. Foto©Stella Marchisio // 2»<br />

Luca Zardini Canon, Campione <strong>Italiano</strong><br />

Difficoltà 2009. Foto©Luca Storoni<br />

numerosa rappresentanza italiana.<br />

In campo femminile erano necessari<br />

due top per passare la qualificazione,<br />

esclusa quindi Sara Avoscan, 27ª<br />

e Manuela valsecchi 35ª. Alexandra<br />

ladurner non era stata convocata<br />

alla coppa del Mondo perché era<br />

stata valutata più importante la sua<br />

presenza alla coppa Europa Giovanile,<br />

sempre a Kranj, la settimana<br />

seguente. Alexandra avrebbe confermato<br />

le aspettative arrivando seconda,<br />

e questo piazzamento, aggiunto<br />

allo stesso di Imst e alla vittoria di<br />

Kalingrado, le avrebbe assicurato<br />

l’argento della coppa Europa 2009.<br />

A Kranj erano stati convocati, per<br />

consolidare l’esperienza in campo<br />

internazionale, i giovani Moroder,<br />

bombardi, Ghisolfi e coretti, che si<br />

fermavano nella seconda metà della<br />

classifica, mentre de Mattia finiva<br />

27°, escluso per un posto dalla semifinale.<br />

Semifinale sfortunata per<br />

jenny lavarda, che chiudeva decima,<br />

sfiorando una finale lead che le<br />

è negata dal 2007, deludente anche<br />

la 24ª posizione di flavio crespi, qui<br />

vincitore nel 2005 (l’anno in cui vinse<br />

la coppa del Mondo) e secondo<br />

nel 2007. A Kranj Adam ondra non si<br />

permetteva distrazioni ed era l’unico<br />

a completare la semifinale. Anche in<br />

finale, davanti a 1700 spettatori e<br />

con la copertura live della televisione<br />

slovena, il giovane ceco metteva in<br />

riga gli avversari e si aggiudicava la<br />

tappa davanti al giapponese Amma<br />

Sachi e jacob Schubert. ondra conquistava<br />

così la coppa lead 2009 e<br />

anche la combinata 2009, grazie al<br />

podio di hall e altri piazzamenti nella<br />

serie boulder. Secondo in coppa<br />

finiva Patxi usobiaga e terzo Amma<br />

Sachi, 17° flavio crespi. johanna<br />

Ernst aveva guidato la semifinale con<br />

jain Kim, ma in finale erano state la<br />

locale Mina Markovic e la giapponese<br />

noguchi Akiyo a salire più in alto.<br />

nonostante ciò il bronzo di Kranj era<br />

sufficiente alla Ernst per conquistare<br />

la coppa lead 2009, dopo quella del<br />

2008. Seconda jain Kim, terza Maja<br />

vidmar, 19ª jenny lavarda. la combinata<br />

2009 andava ad Akiyo noguchi,<br />

già vincitrice della coppa di boulder<br />

2009. «


» SPELEoLogIA<br />

testo di Di Andrea Maconi*, Antonio Premazzi**, Luana Aimar**, Marco Corvi** (Progetto INGRIGNA!)<br />

*Gruppo Grotte Milano - C.A.I. Società Escursionisti Milanesi - S.S.I. - **Speleo <strong>Club</strong> C.A.I. Erba<br />

IL CoMPLESSo della grigna<br />

in lombardia un vasto e profondo sistema sotterraneo<br />

TANTI PoZZI,<br />

uN SoLo LABIRINTo<br />

All’escursionista che passeggia<br />

seguendo i sentieri del Grignone,<br />

da poco facente parte del Parco<br />

Regionale della Grigna Settentrionale,<br />

non possono passare<br />

inosservati i numerosi pozzi -<br />

spesso vere e proprie voragini -<br />

che si aprono lungo il suo itinerario<br />

e che in generale costellano il<br />

paesaggio circostante. In un’area<br />

di pochi chilometri quadrati,<br />

nella zona soprastante il Rifugio<br />

bogani, denominata Moncodeno,<br />

vi sono infatti oltre 600 grotte<br />

con una concentrazione davvero<br />

impressionante. Molti di questi<br />

ingressi sono autentici portoni<br />

d’accesso per il mondo sotterraneo<br />

che si sviluppa nel sottosuolo<br />

della Grigna, una fitta rete di<br />

vuoti strettamente interconnessi<br />

tra di loro ed in parte percorribili<br />

anche dagli speleologi.<br />

viste dalla superficie esterna<br />

dunque queste grotte possono<br />

apparire come entità separate,<br />

con un loro percorso sotterraneo<br />

indipendente; invece rappresentano<br />

un unicum e agli occhi degli<br />

speleologi che operano nell’area<br />

si stanno rivelando, anno dopo<br />

anno, nella loro meravigliosa<br />

continuità.<br />

Infatti topografie dettagliate ed<br />

esplorazioni minuziose stanno<br />

portando i gruppi speleologici<br />

che collaborano al Progetto<br />

InGRIGnA! a trovare i punti di<br />

giunzione tra un abisso e l’altro,<br />

ovvero i passaggi in cui è fisica-<br />

4 | 2010 76<br />

1<br />

mente possibile passare da una<br />

grotta all’altra. Potenzialmente<br />

questo significa anche poter<br />

compiere delle vere e proprie traversate<br />

sotterranee, entrare da<br />

un ingresso ed uscire da un altro<br />

dopo aver percorso centinaia di<br />

metri di dislivello e qualche chilometro<br />

di vuoti ipogei.<br />

uN INIZIo “CASuALE”<br />

la nostra avventura comincia<br />

in un’assolata giornata di inizio<br />

estate del 2002, nel corso di una


LA RIVISTA 4 | 2010 77<br />

battuta di ricerca ingressi in località<br />

Releccio, il ripido versante<br />

che si stende tra il rifugio bietti<br />

e la cresta di Piancaformia. davanti<br />

ai piedi di un ardito speleologo<br />

si spalanca d’improvviso un<br />

pozzo a cielo aperto di notevoli<br />

dimensioni, sconosciuto fino ad<br />

allora, che viene valutato dallo<br />

stesso scopritore profondo una<br />

quindicina di metri. qualche settimana<br />

dopo la verticale viene<br />

armata e discesa e si rivela niente<br />

meno che un pozzo di 140 m,<br />

che ben presto viene battezzato<br />

Il Mostro! A circa settanta metri<br />

di profondità raggiungiamo<br />

una comoda cengia e nel calcare<br />

individuiamo con certezza degli<br />

spit. chi li ha piantati tuttavia<br />

arrivava da tutt’altra direzione:<br />

infatti siamo appena atterrati<br />

nella già nota grotta I ching,<br />

realizzando la prima giunzione<br />

di cui si abbia notizia nell’area!<br />

tuttavia l’avvenimento sembra<br />

destinato a rimanere un episodio<br />

isolato.<br />

nel 2004 cominciamo l’esplorazione<br />

dell’abisso Pingu, il cui<br />

ingresso si apre a pochissima<br />

distanza in linea d’aria da quello<br />

del famoso abisso Kinder brioschi<br />

e i 5 Minerali; infatti già<br />

alla seconda punta troviamo il<br />

passaggio che ci consente di<br />

giuntare le due grotte. Ma la vicinanza<br />

degli ingressi ancora una<br />

volta ci porta a trascurare il risultato<br />

conseguito, ci appare più<br />

un colpo di fortuna che non un<br />

risultato conseguito grazie alla<br />

sistematicità delle nostre esplorazioni.<br />

Acquistiamo di colpo questa<br />

consapevolezza qualche mese<br />

dopo, durante il campo estivo,<br />

quando il raggiungimento di una<br />

finestra fino ad allora trascurata<br />

nell’abisso Antica Erboristeria ci<br />

conduce inaspettatamente ad<br />

esplorare duecento metri di gallerie<br />

freatiche e a giuntare con la<br />

grotta I ching. A questo punto<br />

cominciamo a ricercare attivamente<br />

i possibili punti di giunzione<br />

tra le varie grotte: i dati topografici<br />

vengono informatizzati<br />

ed i rilievi delle cavità analizzati<br />

anche in tre dimensioni grazie ad<br />

un apposito programma, compass.<br />

la sera, al ritorno vittoriosi<br />

2 3<br />

4<br />

1» La calata in parete per raggiungere<br />

l’ingresso del P30 con Tre Ingressi.<br />

Foto di A. Maconi// 2» Uno dei numerosi<br />

pozzi dell'Abisso W Le Donne.<br />

Foto di D. Corengia // 3» L'entrata<br />

dell'Abisso W Le Donne. Foto di D.<br />

Corengia // 4» Cristalli di aragonite a<br />

-530m nell'Abisso W Le Donne. Foto<br />

di A. Maconi<br />

da quella stessa punta, studiamo<br />

i nuovi dati del rilievo e delle<br />

correnti d’aria (ndr: in grotta, al<br />

contrario di quanto pensano in<br />

molti, sono spesso presenti forti<br />

circolazioni d’aria) ed individuiamo<br />

il punto giusto in cui scavare:<br />

a distanza di quattro giorni esatti,<br />

alla profondità di -70 m, forziamo<br />

una massiccia frana ventilata<br />

e realizziamo la giunzione<br />

tra I ching ed il vicino abisso W<br />

le donne, aprendo peraltro un<br />

settore destinato a rivelarsi ricchissimo<br />

di importanti verticali<br />

inesplorate.<br />

uN uNICo gRANDE<br />

SISTEMA<br />

dopo l’anno della rincorsa alle<br />

giunzioni segue un periodo di relativa<br />

stasi: le esplorazioni continuano<br />

a ritmo serrato ma non


» SPELEoLogIA<br />

ci regalano nuovi collegamenti<br />

sotterranei. bisogna attendere il<br />

2006 e la scoperta di una nuova<br />

grotta, transpatrizia, per veder<br />

crescere ulteriormente il gigante<br />

sotterraneo della Grigna. nel<br />

corso delle esplorazioni ci affacciamo<br />

su una enorme e profonda<br />

verticale, che non viene discesa<br />

per mancanza di corde: una volta<br />

giunti a casa però il rilievo appena<br />

steso ci mostra senza ombra<br />

di dubbio che il pozzo inesplorato<br />

non è altro che Il Mostro;<br />

passa appena una settimana ed<br />

un nuovo pozzo sempre nella<br />

stessa grotta ci permette di atterrare<br />

nelle già ben note gallerie<br />

di I ching.<br />

dunque si sono formati due importanti<br />

complessi sotterranei:<br />

da una parte il blocco Kinder-<br />

Pingu con una profondità di<br />

circa 900 m, dall’altro lato il<br />

sistema I ching-Il Mostro-W le<br />

donne-Antica Erboristeria-transpatrizia,<br />

battezzato complesso<br />

dell’Alto Releccio, che vanta una<br />

profondità di circa 1189 m ed è<br />

senza dubbio uno dei più pro-<br />

fondi d’Italia. ormai cerchiamo<br />

la giunzione magica, quella che<br />

ci consentirebbe di unire i due<br />

sistemi - che in parecchi punti<br />

arrivano addirittura a sfiorarsi<br />

- in un unico grande gigante<br />

sotterraneo. Il 7 ottobre 2006,<br />

dopo una serie di risalite in artificiale<br />

ad oltre -900 m nell’abisso<br />

Kinder brioschi e i 5 Minerali,<br />

l’ultimo pozzo ci conduce ad<br />

atterrare nella zona del campo<br />

base di W le donne. Si tratta<br />

della giunzione più profonda mai<br />

realizzata in Italia, ed il risultato<br />

è ancora più entusiasmante<br />

perché corona anni di sforzi e di<br />

fatiche sotterranee.<br />

torna la quiete dopo la tempesta<br />

(di giunzioni): nei tre anni<br />

successivi, pur proseguendo le<br />

esplorazioni con ritmo serrato e<br />

inseguendo nuovi possibili punti<br />

di collegamento per ampliare<br />

il complesso del Releccio, non<br />

riusciamo ad effettuare nuove<br />

giunzioni. fino al 2009 quando,<br />

già alla prima uscita della stagione,<br />

durante una poco esaltante<br />

punta di disarmo dell’Antica Er-<br />

5<br />

4 | 2010 78<br />

Calendario delle giunzioni del<br />

Complesso del Releccio<br />

1. Il Mostro con I ching (17 <strong>agosto</strong> 2002);<br />

2. Pingu con Kinder brioschi e i 5 Minerali (27 giugno 2004);<br />

3. Antica Erboristeria con I ching (17 <strong>agosto</strong> 2004);<br />

4. I ching con W le donne (21 <strong>agosto</strong> 2004);<br />

5. transpatrizia con Il Mostro (10 giugno 2006);<br />

6. transpatrizia con I ching (17 giugno 2006);<br />

7. Kinder brioschi e i 5 Minerali con W le donne (7 ottobre 2006);<br />

8. Antica Erboristeria con I coltellini (19 <strong>luglio</strong> 2009);<br />

9. Maxiconoide con I ching (13 <strong>agosto</strong> 2009);<br />

10. P30 con 3 Ingressi con Kinder brioschi e i 5 Minerali (22/23<br />

<strong>agosto</strong> 2009);<br />

11. orione con W le donne (12/13 settembre 2009)<br />

7


LA RIVISTA 4 | 2010 79<br />

boristeria, viene individuata una<br />

finestra mai notata prima. da lì<br />

abbiamo accesso ad un piano di<br />

modeste condottine molto ventilate<br />

e d’improvviso si spalanca<br />

sotto i nostri piedi un imponente<br />

pozzo: ci siamo affacciati direttamente<br />

sul salone della vicina<br />

grotta I coltellini! questo incoraggiante<br />

inizio ci promette una<br />

stagione coi fiocchi e tale infatti<br />

si rivela! durante il campo estivo<br />

si aggiungono al complesso in<br />

costante crescita il Maxiconoide<br />

e soprattutto, dopo un’affascinante<br />

successione di verticali<br />

profonde (P59, P123, P130, P40)<br />

ed esteticamente molto belle,<br />

l’abisso P30 con tre Ingressi<br />

alla profondità di circa -400 m.<br />

quest’ultima giunzione inoltre<br />

aumenta il dislivello complessivo<br />

del sistema di ulteriori nove metri,<br />

portando il complesso a raggiungere<br />

il terzo posto in Italia<br />

(-1198 m).<br />

ci sentiamo già soddisfatti dei<br />

risultati conseguiti, ma ancora<br />

non è finita! A metà settembre la<br />

stagione si chiude infatti, proprio<br />

come era cominciata, “col botto”:<br />

forzando una ventilatissima<br />

strettoia nella zona del nuovo<br />

campo base di W le donne, attorno<br />

alla profondità di -880 m,<br />

6<br />

abbiamo accesso ad un meandro<br />

lungo una cinquantina di metri<br />

che sbuca nella parte alta di una<br />

galleria dell’abisso orione. Il collegamento<br />

tra le due grotte era<br />

stato ricercato sin da vent’anni<br />

or sono, ma nessuno al momento<br />

era riuscito ad effettuarlo. Il<br />

rifacimento del rilievo delle due<br />

grotte ha tuttavia permesso di<br />

comprendere meglio l’andamento<br />

e dunque concretizzare ancora<br />

una volta il sogno di numerosi<br />

speleologi attivi in Grigna.<br />

NELLE PARTI PIù<br />

PRofoNDE<br />

nel corso di dicembre si sono<br />

tenuti due distinti campi interni<br />

in W le donne, posizionando un<br />

nuovo campo base. nelle visite<br />

alle zone profonde della grotta<br />

occorre infatti, analogamente<br />

alle spedizioni sulle montagne<br />

più alte, utilizzare un campo<br />

base come punto d’appoggio<br />

per le soste ed il deposito dei<br />

materiali. Mediante i due campi<br />

interni si sono potute rivedere le<br />

zone più profonde della Grigna,<br />

poste ad oltre 15 ore di distanza<br />

dall’ingresso della grotta. con<br />

gli zaini pesanti l’avvicinamento<br />

esterno alla grotta d’inverno diviene<br />

estremamente faticoso -<br />

richiedendo tra l’altro oltre 6 ore<br />

di cammino per battere la neve -<br />

ma questo non ha fermato le due<br />

spedizioni. un ulteriore campo<br />

interno è stato organizzato successivamente<br />

a febbraio da parte<br />

di una spedizione polacca.<br />

con il collegamento di orione al<br />

complesso del Releccio, il sistema<br />

raggiunge ora uno sviluppo<br />

di oltre 17800 m. di questo passo,<br />

oltre ad essere al primo posto<br />

in lombardia in quanto a profondità,<br />

comincia anche a conquistarsi<br />

un posto di tutto rispetto<br />

nella classifica di sviluppo. In<br />

fondo siamo sicuri che quella<br />

che vi abbiamo appena narrato è<br />

soltanto la prima parte della storia<br />

del gigante sotterraneo della<br />

Grigna... «<br />

Ringraziamenti:<br />

Si desiderano ringraziare in particolare,<br />

tra gli altri: Effetre Allestimenti, co.Me.<br />

co. srl, la catena di attrezzature sportive<br />

Sport Specialist ed i gestori dei Rifugi bogani<br />

e bietti.<br />

9<br />

8<br />

gRuPPI APPARTENENTI AD<br />

INgRIgNA! 2009<br />

Associazione Speleologica Comasca<br />

Gruppo Grotte C.A.I. Busto Arsizio<br />

Gruppo Grotte Saronno CAI - S.S.I.<br />

Gruppo Grotte Milano S.E.M. CAI - S.S.I.<br />

Gruppo Speleologico Bergamasco Le Nottole<br />

Speleo <strong>Club</strong> CAI Erba<br />

Speleo <strong>Club</strong> CAI Romano di Lombardia<br />

approfondimenti<br />

Per saperne di più potete consultare “Grotte<br />

della Grigna e del Lecchese. Lombardia<br />

'Dentro' vol. II Lecco”, a cura di A. Buzio,<br />

Collana di pubblicazioni del Parco Regionale<br />

della Grigna Settentrionale. Volume n°6 oppure<br />

visitare il nostro sito:<br />

http://ingrigna.altervista.org/<br />

5» L'entrata dell'Abisso W Le Donne in<br />

inverno. Foto di A. Maconi<br />

// 6» La cresta di Piancaformia, ove<br />

si apre l’Abisso W Le Donne. Foto di A.<br />

Maconi // 7» Il passaggio allagato Puciowskj<br />

a -1050m. Foto di A. Maconi //<br />

8» Il punto della giunzione tra il P30<br />

con Tre Ingressi e Kinder Brioschi. Foto<br />

di S. Saitta // 9» Sezione schematica<br />

dell'intero complesso


» soccorso alpino<br />

testo di valerio zani - Vicepresidente Nazionale CNSAS - Delegato V Zona Bresciana<br />

www.cnsas.it - www.sicurinmontagna.it<br />

LA RICERCA DISPERSI<br />

COSA SUCCEDE IN CASO DI SOS<br />

Tra i compiti istituzionali<br />

del corpo nazionale Soccorso<br />

<strong>Alpino</strong> e Speleologico<br />

(cnSAS) del cAI rientrano,<br />

in particolare, anche le operazioni<br />

di ricerca persone disperse,<br />

operazioni che richiedono, per<br />

la loro complessità, particolare<br />

attenzione in sede di organizzazione.<br />

basti pensare che il 20% degli<br />

oltre 6.000 interventi annui che<br />

a livello nazionale vedono impegnato<br />

il cnSAS sono inerenti<br />

ai mancati rientri e alla perdita<br />

d’orientamento di escursionisti,<br />

cercatori di funghi e semplici<br />

appassionati.<br />

È assodato che l’organizzazione<br />

di questi particolari interventi<br />

richieda capacità e risorse che<br />

devono essere, più ancora che<br />

in altre operazioni di soccorso,<br />

scrupolosamente pianificate al<br />

fine di ridurre tempi e difficoltà.<br />

A tal proposito il cnSAS sta<br />

svolgendo, da diverso tempo,<br />

specifiche azioni formative del<br />

proprio personale così da elevare<br />

il livello tecnico operativo<br />

delle squadre chiamate sovente<br />

a risolvere intricate situazioni.<br />

diverse, e tutte altrettanto importanti,<br />

sono le distinte fasi<br />

che si susseguono in una ricerca<br />

a cominciare da quella che, in<br />

gergo è definita “l’arrivo della<br />

chiamata e le verifiche preliminari”.<br />

la chiamata al cnSAS per un<br />

intervento di ricerca può pervenire<br />

da varie fonti. Il sistema<br />

d’allertamento varia tra i diversi<br />

servizi regionali e provinciali a<br />

seconda dei protocolli e della legislazione<br />

locale in essere, ma è<br />

in ogni modo sempre codificato.<br />

Solitamente la chiamata arriva<br />

da centrali operative (118, 112,<br />

113, 115) anche se può essere<br />

una chiamata diretta da parenti<br />

o amici del disperso. la chiamata<br />

deve assolutamente essere<br />

verificata, tramite chiamata telefonica<br />

di ritorno oppure personalmente.<br />

capita a volte, fortunatamente,<br />

che l’intervento si risolva in<br />

brevissimo tempo poiché il presunto<br />

disperso ha fatto ritorno<br />

autonomamente laddove era atteso.<br />

diversamente è necessario<br />

organizzare al meglio le immediate<br />

fasi di ricerca a cominciare<br />

da una prima parte di raccolta<br />

dati necessari per calibrare al<br />

meglio l’intervento. Importante<br />

quindi che alla raccolta e al<br />

trattamento delle informazioni<br />

sia dedicata un’attenzione particolare,<br />

agendo con meticolosità,<br />

tatto e cura dei dettagli.<br />

la fase “investigativa” è sempre<br />

quella più redditizia in termi-<br />

» Gruppo di ricerca<br />

4 | 2010 80<br />

ni di risparmio sia di tempo sia<br />

di risorse. tanto maggiori saranno<br />

gli elementi noti, tanto<br />

maggiore sarà la possibilità di<br />

valutare al meglio l’area primaria<br />

d’intervento, consentendo<br />

di massimizzare gli sforzi sulla<br />

maggior probabilità di ritrovamento.<br />

d’altra parte la fase di<br />

“investigazione” è notevolmente<br />

complessa e laboriosa, data la<br />

delicatezza delle informazioni<br />

che si andranno a trattare.<br />

la fase operativa della ricerca<br />

non ha un momento ben definito<br />

d’inizio, poiché già nel<br />

momento stesso in cui i parenti<br />

o gli amici del disperso danno<br />

l’allarme, nella maggioranza dei<br />

casi persone esterne al cnSAS<br />

hanno già svolto una qualche<br />

forma di ricerca. Si può, però,<br />

identificare, almeno per quanto<br />

concerne i compiti del cnSAS,<br />

l’inizio operativo della ricerca<br />

con l’arrivo dei primi volontari<br />

allertati nel luogo prescelto<br />

per il centro di coordinamento<br />

Soccorsi. da non sottovalutare<br />

in ogni caso il reperimento d’informazioni<br />

sul lavoro svolto da<br />

altri. questo lavoro dovrà essere<br />

valutato in base alla conoscenza<br />

delle persone che l’hanno eseguito,<br />

al loro coinvolgimento<br />

emotivo (parenti stretti, amici<br />

del disperso), alla loro capacità<br />

di muoversi nell’ambiente.<br />

un intervento di ricerca trova<br />

il suo naturale svolgimento in<br />

una serie di cicli operativi; ogni<br />

ciclo è composto di una fase di


LA RIVISTA 4 | 2010 81<br />

pianificazione e da una fase di<br />

perlustrazione del territorio. È<br />

molto difficile definire una durata<br />

standard di un ciclo operativo,<br />

perché ogni intervento ha<br />

una storia propria, ed inoltre la<br />

durata dipende da parecchi fattori.<br />

ogni ricerca, perché possa essere<br />

chiamata organizzata, deve<br />

essere innanzi tutto pianificata.<br />

questo significa che qualunque<br />

azione concreta di perlustrazione<br />

del territorio deve essere<br />

concordata a priori e soprattutto<br />

inserita in una strategia complessiva<br />

di ricerca.<br />

Sulla scorta delle informazioni<br />

raccolte, si devono definire delle<br />

ipotesi di lavoro. dalle ipotesi<br />

di lavoro (sintesi delle informazioni)<br />

e dai dati puntuali del territorio<br />

e del disperso scaturisce<br />

la strategia di ricerca, che è ridefinita<br />

per ogni ciclo operativo.<br />

la descrizione delle tecniche<br />

che portano alla determinazione<br />

delle ipotesi di lavoro e della<br />

strategia di ricerca, esula dagli<br />

scopi del presente scritto.<br />

Il primo risultato concreto della<br />

definizione della strategia è<br />

la divisione del territorio circostante<br />

il punto di scomparsa<br />

in zone. l’individuazione delle<br />

zone di ricerca è l’operazione<br />

fondamentale, che può determinare<br />

la riuscita o il fallimento<br />

del ritrovamento. In questa fase<br />

è indispensabile il contributo di<br />

persone con una profonda conoscenza<br />

dei luoghi. non sempre<br />

è possibile trovarle all’interno<br />

del cnSAS; in questo caso è<br />

basilare ricercare subito “esperti<br />

del luogo” esterni, che partecipano<br />

alla pianificazione.<br />

Per ognuna delle zone deve<br />

essere definita la modalità di<br />

ricerca, scegliendola in base<br />

alle risorse disponibili e alle<br />

caratteristiche del territorio. Il<br />

dimensionamento delle zone è<br />

variabile in funzione delle caratteristiche<br />

del territorio e del<br />

numero di persone impiegate.<br />

la fase di ricerca vera e propria,<br />

vale a dire la perlustrazione,<br />

deve essere eseguita, ovviamente,<br />

con la massima scrupolosità<br />

attenendosi il più possibile alle<br />

consegne date dal responsabile.<br />

una sospensione temporanea<br />

della ricerca può essere resa<br />

necessaria da vari motivi, sia di<br />

carattere oggettivo (pericolosità<br />

o inutilità di proseguire la ricerca<br />

durante la notte o con particolari<br />

condizioni di maltempo)<br />

che strategico (per esempio<br />

lasciare un intervallo di tempo<br />

ad un bambino scappato di casa<br />

perché possa ritornare con tranquillità).<br />

I Responsabili delle operazioni,<br />

nel caso in cui le ricerche, sulla<br />

base degli elementi acquisiti,<br />

non diano alcun frutto, possono,<br />

in accordo con le forze di<br />

Polizia, disporre la sospensione<br />

delle operazioni.<br />

la conclusione della ricerca,<br />

di norma, è rappresentata dal<br />

cosiddetto ritrovamento del<br />

disperso che ovviamente rappresenta<br />

il coronamento di tanti<br />

sforzi. Ritrovato il disperso<br />

si provvede immediatamente<br />

a segnalare il rinvenimento al<br />

centro di coordinamento. la<br />

segnalazione deve essere la più<br />

particolareggiata possibile, per<br />

ovvie ragioni, in particolare per<br />

la corretta organizzazione del<br />

recupero stesso del disperso<br />

compresa l’eventuale assistenza<br />

sanitaria. È fondamentale che<br />

tutte le comunicazioni avvengano<br />

nel pieno rispetto della<br />

privacy avvalendosi di specifici<br />

codici condivisi così da impedire<br />

ascolti inopportuni e fughe di<br />

notizie imbarazzanti.<br />

Altrettanto fondamentale, se<br />

non insostituibile, è la collaborazione<br />

con tutte le altre organizzazioni,<br />

istituzionali e non,<br />

che, a vario titolo e con diverse<br />

competenze, contribuiscono<br />

fattivamente alla soluzione dei<br />

numerosi interventi di ricerca<br />

che si registrano annualmente<br />

sul territorio sia locale sia nazionale.<br />

le risorse, umane e tecniche,<br />

impiegate e impiegabili<br />

in un intervento di ricerca sono,<br />

sovente, abbondanti e protratte<br />

nel tempo. fondamentale, pertanto,<br />

per questo ma non solo<br />

la cooperazione fra le differenti<br />

realtà.<br />

diversi anni fa il dottor Gottardi<br />

nella sua dispensa “Psicopatologia<br />

del disperso” scriveva:<br />

“La ricerca dispersi è sempre stata<br />

considerata, per molti anni,<br />

come la Cenerentola delle attività.<br />

Il motivo era ed è molto semplice.<br />

Nell’ambito della ricerca<br />

viene spesso a mancare tutto<br />

quel fascino per il quale sette<br />

mila volontari sacrificano il loro<br />

tempo libero ed anche, a volte, le<br />

loro risorse e non è difficile dargli<br />

torto. La ricerca dispersi è spesso,<br />

se non si risolve in breve tempo,<br />

noiosa, di scarsa soddisfazione<br />

e molte volte tetra e triste per<br />

i troppi risultati negativi con i<br />

quali sovente termina. Al contrario<br />

le grandi attività di salvataggio,<br />

di cui il CNSAS giustamente<br />

si fregia, sono, se pur difficili e<br />

pericolose, di gran soddisfazione<br />

per i soccorritori. Movimento<br />

d’elicotteri nel cielo con pericolose<br />

virate ai bordi di pareti quasi<br />

inaccessibili, calate paurose di<br />

feriti e uomini da pareti verticali;<br />

come possono queste imprese<br />

essere minimamente accostate<br />

ad un lento rovistare nel mezzo<br />

di un fogliame stramaledetto<br />

che sporca ed insudicia le nostre<br />

splendide divise magari in una<br />

notte dove una pioggia infame<br />

s’infila nei nostri cappucci?”.<br />

Parole che potevano rappresentare<br />

la situazione di qualche<br />

anno addietro non certamente<br />

la situazione attuale dove lo<br />

scenario sta virando sempre più<br />

a favore d’interventi, le ricerche<br />

appunto, che richiedono preparazione<br />

altrettanto specifica<br />

e dove l’aspetto organizzativo<br />

tende a prevalere su quello<br />

squisitamente specialistico.<br />

la tecnologia, sempre più<br />

all’avanguardia e sempre più<br />

performante, certamente agevola<br />

ma ancora non risolve<br />

completamente quello che rimane<br />

uno degli interventi di<br />

soccorso più complessi.<br />

l’impiego delle unità cinofile,<br />

implicitamente considerate fra<br />

le risorse in precedenza e genericamente<br />

menzionate, coopera<br />

altresì con la risorsa “uomo” per<br />

la buona riuscita di interventi<br />

che spesso sono ostili non per il<br />

tipo di terreno sul quale si dipanano<br />

ma, come detto, per la<br />

scarsità di elementi a disposizione<br />

di chi concretamente deve<br />

operare. «<br />

» In fase di pianificazione


» CAAI<br />

di carlo barbolini<br />

emergenza e comportamento<br />

tornare a casa sani e salvi<br />

cosa vuol dire trovarsi in<br />

difficoltà e cosa significa<br />

essere in situazione<br />

d'emergenza in montagna? la<br />

questione non è molto antica.<br />

fino alla fine degli anni '70 si<br />

andava in montagna possibilmente<br />

preparati a cavarsela da<br />

soli, per cui trovarsi in difficoltà<br />

rientrava non dico nella normalità,<br />

ma per lo meno era messo in<br />

conto. difficilmente c'era la possibilità<br />

di poter comunicare la<br />

necessità di aiuto, non a caso i<br />

segnali di richiesta di soccorso<br />

che tutti i frequentatori della<br />

montagna, alpinisti e non dovevano<br />

e.... dovrebbero, ripeto dovrebbero,<br />

conoscere, erano praticamente<br />

l'unico modo per<br />

cercare di comunicare. la situazione<br />

si è evoluta, prima con<br />

l'uso delle ricetrasmittenti più o<br />

meno legali ma comunque tollerate,<br />

poi in modo esponenziale<br />

con l'avvento del telefono cellulare.<br />

Sempre più spesso gli operatori<br />

del soccorso alpino si trovano<br />

di fronte a situazioni di<br />

difficoltà più che di vera emergenza.<br />

Sia chiaro: se mi sono<br />

rotto una gamba si tratta di<br />

emergenza sanitaria reale e non<br />

rimane altro da fare che attivare<br />

il soccorso organizzato, se possibile.<br />

Purtroppo l' esperienza mi<br />

ha insegnato, mio malgrado, che<br />

bisognerebbe sapere o quantomeno<br />

avere un'idea di come cavarsela<br />

da soli anche in questi<br />

casi. non è infrequente che in<br />

zone remote, ma anche non tanto<br />

sperdute, non sia possibile un<br />

soccorso organizzato o che sia<br />

veramente problematico e difficile<br />

attivarlo ed allora la musica<br />

cambia. dobbiamo obbligatoriamente<br />

cavarcela da soli tirando<br />

» Sulle Alpi Apuane<br />

4 | 2010 82<br />

fuori il meglio di noi per tentare<br />

di limitare i danni e “ritornare a<br />

casa” se non completamente<br />

sani ma almeno salvi. ormai sulle<br />

nostre montagne più frequentate<br />

entra in gioco un perverso<br />

modo di confondere la difficoltà<br />

con l'emergenza. A metà degli<br />

anni novanta, dopo aver salito la<br />

via charlet-Platonov al versante<br />

nant blanc dell' Aig. verte al M.<br />

bianco, durante la discesa nel<br />

colloir Whymper troviamo due<br />

alpinisti francesi (guida con<br />

cliente) che quasi senza salutare<br />

ci chiedono se abbiamo la radio<br />

per chiamare il soccorso. chiediamo<br />

cosa succede e la guida ci<br />

risponde che il suo cliente ha<br />

una crisi ipoglicemica, tradotto:<br />

è un po' stanco. conclusione:<br />

dopo qualche minuto è arrivato<br />

l'elicottero ed in pochi minuti<br />

sono stati portati a chamonix,<br />

mentre noi abbiamo continuato<br />

la nostra lunga discesa. ho pensato<br />

e ripensato più volte all'episodio<br />

e ho sempre concluso che<br />

al posto loro avrei solo chiesto<br />

una mano per scendere e non mi<br />

sarebbe nemmeno passata per<br />

l'anticamera del cervello l'idea di<br />

chiamare il soccorso. Sempre<br />

negli anni novanta durante una<br />

grigia giornata di novembre salivo<br />

insieme ad un compagno la<br />

parete nord del Pizzo d'uccello<br />

sulle Alpi Apuane. vista la pluriennale<br />

conoscenza della parete<br />

da parte di entrambi abbiamo<br />

deciso di non portare con noi né


LA RIVISTA 4 | 2010 83<br />

chiodi né martello e salivamo<br />

con una mezza corda da 50 metri,<br />

lo so, sarebbero cose da non<br />

fare, accidenti alla troppa confidenza!<br />

A circa metà parete (450<br />

m) è iniziato a nevicare copiosamente<br />

rendendo impossibile la<br />

salita. Siamo riusciti a scendere<br />

con difficoltà ma senza particolari<br />

rischi, infreddoliti, eravamo<br />

vestiti molto leggeri, facendo<br />

corde doppie da 25 m e togliendo<br />

alcuni chiodi dalla via durante<br />

la discesa con dei sassi per<br />

poterli mettere, sempre con i<br />

sassi, per fare gli ancoraggi delle<br />

doppie successive; certo viste le<br />

premesse l'avevamo un po' cercata,<br />

ma questo è un' altro discorso.<br />

questi due esempi mi<br />

hanno poi fatto riflettere sui<br />

tanti modi di andare in montagna.<br />

Penso che a tutti quelli che<br />

vanno per monti da tanti anni<br />

siano capitati episodi causati da<br />

difficoltà simili a questi, ma<br />

questo non è sempre da considerarsi<br />

un' aspetto negativo.<br />

una parte del nostro cervello<br />

funziona come una soffitta: ci<br />

mettiamo tutto quello che sembra<br />

non servirci o addirittura che<br />

vogliamo inconsciamente scordare<br />

e poi spesso dimentichiamo<br />

anche di avere le cose che vi abbiamo<br />

immagazzinato alla rinfusa.<br />

In realtà le cose non le abbiamo<br />

dimenticate fino in fondo,<br />

ma rimangono a “disposizione”<br />

fino a quando il nostro cervello<br />

le richiamerà in “servizio”. Portiamo<br />

tutto questo nell'ambito<br />

alpinistico. nelle situazioni di<br />

difficoltà il nostro cervello andrà<br />

a ripescare le situazioni simili<br />

nelle quali ci siamo trovati in<br />

passato e, se le abbiamo a suo<br />

tempo affrontate e risolte, potremo<br />

affrontarle e risolverle di<br />

nuovo senza tanti problemi e<br />

tanti rischi, certo forse con difficoltà.<br />

Se, al contrario all'insorgere<br />

dei primi problemi abbandoniamo<br />

il campo non<br />

cresceremo mai dal punto di vista<br />

dell'esperienza alpinistica. le<br />

situazioni di pericolo e di rischio<br />

in montagna sono innumerevoli<br />

ma non sono infinite e si possono<br />

ricondurre in poche categorie<br />

mentre le vere emergenze sono<br />

altre. tra le categorie più comuni<br />

ci sono la perdita dell'orientamento,<br />

la sottovalutazione<br />

dell'impegno della salita, la sopravvalutazione<br />

delle proprie<br />

capacità, e l'inesperienza ed altre,<br />

quasi tutte riconducibili a<br />

nostri comportamenti e quindi<br />

da considerarsi a tutti gli effetti<br />

difficoltà soggettive. ormai anche<br />

i cambiamenti del tempo<br />

sono prevedibili al minuto quasi<br />

in tutte le montagne del mondo<br />

per cui se il brutto tempo o un<br />

temporale ci becca durante una<br />

salita non possiamo che ringraziare<br />

noi stessi. In alcuni rari casi<br />

ci può stare un errore delle previsioni,<br />

non a caso si chiamano<br />

“previsioni”, ma questo è sempre<br />

più raro. nelle attività inerenti<br />

alla montagna pensare di azzerare<br />

il rischio è praticamente<br />

impossibile. da tutti gli addetti<br />

ai lavori viene giustamente sempre<br />

detto che in montagna il rischio<br />

zero non esiste. dovremmo<br />

anche renderci conto che se noi<br />

attiviamo il soccorso alpino senza<br />

particolari motivi di emergenza<br />

reale mettiamo in moto una<br />

macchina che, oltre ad avere dei<br />

costi in termini economici, mette<br />

a rischio le persone che vengono<br />

a prenderci. In alcune regioni<br />

come la valle d' Aosta per<br />

situazioni non di vera emergenza<br />

viene richiesto un ticket per<br />

non parlare della Svizzera dove<br />

in elicottero hanno il pos per il<br />

bancomat per riscuotere in tempo<br />

reale il costo dell'elisoccorso<br />

(buon sangue non mente...). un<br />

po' come al pronto soccorso degli<br />

ospedali italiani dove a seconda<br />

del codice che ti viene<br />

attribuito c'è o meno da pagare<br />

un ticket. In verità, a parer mio<br />

la questione può diventare anche<br />

di carattere sociale, cerco di<br />

spiegarmi meglio: se non ho<br />

problemi economici, chi me lo fa<br />

fare di preoccuparmi più di tan-<br />

to delle situazioni di difficoltà;<br />

chiamo il soccorso, mi vengono<br />

a prendere ed il gioco è fatto,<br />

pago quello che c'è da pagare e..<br />

amici come prima, al contrario,<br />

per chi i problemi economici se li<br />

pone, sapendo che ci sarà da pagare<br />

l'intervento, forse il richiedente<br />

può essere indotto a non<br />

chiamare il soccorso organizzato<br />

non solo in situazioni di difficoltà<br />

ma anche quando la situazione<br />

sta sconfinando nell'emergenza.<br />

forse sarebbe il caso di<br />

adottare misure diverse, del tipo:<br />

pulire i bagni dei rifugi per una<br />

settimana, portare a valle la nettezza<br />

di qualche bivacco in quota<br />

o cose similari. Mi rendo conto<br />

che può sembrare una<br />

provocazione e forse lo è veramente,<br />

ma qualcosa di diverso<br />

dalla pura “sanzione” pecuniaria<br />

andrebbe individuato. questi<br />

comportamenti ai limiti dell'etica<br />

“alpinistica” potrebbero indurre<br />

a inserire delle regole<br />

scritte, e lungi da me l'idea di<br />

regolamentare i comportamenti<br />

dei fruitori della montagna. ci<br />

pensano già abbastanza i nostri<br />

politici che sulla base di alcuni<br />

episodi esaltati dalla stampa nazionale<br />

e locale cercano, e a volte<br />

riescono, ad imporci delle regole<br />

che poi alla fine dei salmi<br />

danno unicamente due risultati<br />

evidenti a tutti: non diminuire<br />

gli incidenti e vessare gli amanti<br />

della montagna con regole improponibili,<br />

per lo più inapplicabili<br />

e sanzioni utili soltanto alle<br />

amministrazioni che le riscuotono.<br />

In particolare negli ultimi<br />

anni gli sci-alpinisti hanno veramente<br />

vita dura con le leggi introdotte<br />

recentemente. Sotto<br />

l'aspetto della prevenzione degli<br />

incidenti in montagna devo riconoscere<br />

che tutto il club <strong>Alpino</strong><br />

<strong>Italiano</strong> è impegnato fortemente<br />

da sempre. le Scuole di Alpinismo,<br />

il Soccorso <strong>Alpino</strong> e Speleologico,<br />

le Guide Alpine ecc.<br />

fondano tutti i loro insegnamenti<br />

e comportamenti nell'ambito<br />

della prevenzione. I compiti<br />

principali delle Scuole di alpinismo<br />

dovrebbero essere non solo<br />

quelli dell'insegnare le tecniche<br />

alpinistiche, i modi e i mezzi di<br />

assicurazione ecc. ma anche e, a<br />

mio parere, modi di comportamento<br />

in situazioni di arrampicata<br />

e alpinismo tradizionale,<br />

cose che oramai da molti anni<br />

vengono quantomeno trascurate,<br />

un po' per comodità e un po'<br />

perché le generazioni nuove di<br />

“insegnanti” sono anche loro<br />

poco avvezzi all'uso di chiodi<br />

normali e martello, alle protezioni<br />

veloci ecc. Ricordo qualche<br />

anno fa un allievo ad una selezione<br />

ad un corso per istruttori<br />

di arrampicata libera al quale<br />

chiesi di costruire una sosta su<br />

due chiodi con il materiale di arrampicata.<br />

Risultato non la sapeva<br />

fare perché fino ad allora<br />

aveva utilizzato solo ed esclusivamente<br />

soste già preparate con<br />

catene. vediamo molto spesso<br />

sulle vie protezioni resinate<br />

quando a pochi centimetri da<br />

queste ci sono fessure o spuntoni<br />

adattissimi a protezioni veloci<br />

forse non altrettanto sicure ma<br />

sicuramente molto più didattiche.<br />

non sempre possiamo pensare<br />

di trovare soste preparate<br />

ed ancoraggi a prova di bomba<br />

anche su vie frequentate, avere<br />

discese in corda doppia già<br />

pronte e super sicure. A questo<br />

riguardo dovremmo ritornare a<br />

rispettare chi è passato prima di<br />

noi cercando di non continuare<br />

a stravolgere nel nome della sicurezza<br />

la bellezza delle vie<br />

classiche e storiche con chiodature<br />

fisse esagerate. ben venga il<br />

ritorno della arrampicata “trad”<br />

(tradizionale), non necessariamente<br />

in fessura, dove, senza<br />

eccessi, potremo riassaporare il<br />

gusto dell'Avventura, quella con<br />

la A maiuscola e della ricerca<br />

dell'itinerario che oramai su<br />

gran gran parte delle vie anche<br />

in montagna si riduce non alla<br />

ricerca della zona di parete dove<br />

sia meglio passare, ma alla ricerca<br />

del prossimo “spit”. «


» alta salute<br />

A cura di sandro carpineta - Commissione Medica CAI<br />

La salute non è un gioco!<br />

la campagna della commissione medica centrale<br />

Nelle pagine di questa<br />

rubrica nel tempo<br />

sono stati ospitati<br />

numerosi articoli, tutti di<br />

grande interesse scientifico e<br />

divulgativo, articoli che hanno<br />

sempre incontrato il favore<br />

e dei soci e dei lettori. Ma<br />

questa volta non è un articolo<br />

strettamente di medicina che<br />

proponiamo, non parleremo di<br />

patologie o di disturbi legati al<br />

mondo della montagna ed alla<br />

pratica dell’alpinismo; racconteremo,<br />

o piuttosto presenteremo,<br />

un’iniziativa di educazione<br />

e promozione della salute pensata<br />

e realizzata dalla commissione<br />

centrale Medica del cAI.<br />

chi frequenta con assiduità la<br />

montagna, gli appassionati e<br />

tanto più chi della montagna<br />

ha fatto una ragione di professione<br />

e di vita, ha acquisito ed<br />

affinato nel tempo una serie di<br />

conoscenze sul miglior modo di<br />

gestire la propria salute assolutamente<br />

sufficienti ad affrontare<br />

un tale ambiente in tutta<br />

consapevolezza e tranquillità.<br />

Ma come commissione Medica<br />

ci siamo posti un’altra domanda:<br />

i frequentatori episodici<br />

della montagna, gli “escursionisti<br />

di una domenica ogni tanto”<br />

hanno conoscenze sufficienti<br />

per la gestione della propria salute?<br />

E queste conoscenze sono<br />

ben utilizzate? Il numero sempre<br />

maggiore di persone non<br />

esperte, o comunque con scarsa<br />

conoscenza della montagna,<br />

che frequentano sentieri, cime e<br />

rifugi suggerisce la presenza di<br />

un rischio crescente legato alla<br />

scarsa conoscenza delle poche,<br />

semplici regole necessarie per<br />

vivere in maniera consapevole<br />

e sana questa esperienza; persone<br />

che possono incorrere in<br />

una serie di “fattori di rischio”<br />

quali la non protezione dal sole,<br />

l’abbigliamento o l’attrezzatura<br />

non adeguata, la sottovalutazione<br />

degli aspetti climatici e<br />

dell’altitudine.<br />

Abbiamo quindi voluto centrare<br />

l’attenzione su questi aspetti,<br />

diciamo “di base”, tralasciando<br />

il tema dei grandi rischi legati<br />

alla montagna. Infatti se può<br />

risultare interessante da un<br />

punto di vista divulgativo e<br />

scientifico parlare alla massa<br />

degli escursionisti di come l’organismo<br />

reagisce a 8000 metri<br />

di quota (tema riservato di fatto<br />

ad una ristretta cerchia di<br />

persone), in un progetto di prevenzione<br />

e di educazione alla<br />

salute è più efficace evidenziare<br />

i rischi legati a fattori molto<br />

più comuni, ad esempio insolazione<br />

o scottature, vesciche<br />

causate da calzature inadatte,<br />

alimentazione ed idratazione<br />

inadeguate, uso di alcol e fumo.<br />

dall’informazione scientifica<br />

sui rischi e sulle patologie collegate<br />

all’attività alpinistica<br />

e all’escursionismo in genere<br />

passiamo dunque ad un’azione<br />

di “educazione alla salute in<br />

montagna” riferita a questioni<br />

più semplici, spesso ignorate<br />

dalla maggior parte delle persone.<br />

E per affrontare il tema abbiamo<br />

trovato un’idea: spesso<br />

in montagna giochiamo con la<br />

nostra salute, allora giochiamo,<br />

ma in maniera diversa. così è<br />

nata la campagna “lA SAlutE<br />

4 | 2010 84<br />

non È un GIoco!”, centrata su<br />

un vero e proprio gioco, su un<br />

ipotetico percorso in montagna<br />

dove elementi ambientali e soprattutto<br />

fattori legati al proprio<br />

corpo ed alla propria salute<br />

possono di volta in volta essere<br />

fonte di difficoltà (ci si ferma!)<br />

o affrontati con successo (si<br />

continua!)<br />

la realizzazione del progetto<br />

grafico è stata del disegnatore<br />

fabio vettori, ormai noto a tutti<br />

per le sue simpaticissime formichine,<br />

ben conosciute anche<br />

dai lettori de “la Rivista” e de<br />

“lo Scarpone” per i quali ha disegnato<br />

copertine e accompagnato<br />

in passato alcuni articoli.<br />

questa volta le sue formiche si<br />

sono prestate a rivestire i panni<br />

dell’escursionista, del gestore di<br />

rifugio, dell’alpinista e di tanti<br />

altri fantasiosi personaggi che<br />

animano il ristretto spazio non<br />

di un formicaio… ma di una<br />

piccola montagna. un gioco<br />

fatto di imprevisti, accelerazioni<br />

e tappe di arresto, e dove “…<br />

vincono tutti, soprattutto quelli<br />

per i quali la salute non è un<br />

gioco”<br />

Il disegno/gioco è diventato un<br />

manifesto, arricchito da brevi<br />

note informative in cinque<br />

lingue, che sarà esposto nei<br />

rifugi del cAI con l’obiettivo di<br />

attrarre l’attenzione di escursionisti<br />

e alpinisti. Per centrare<br />

questo obiettivo il manifesto è<br />

stato distribuito nel corso della<br />

recente Assemblea dei delegati<br />

di Riva del Garda per raggiun-


LA RIVISTA 4 | 2010 85<br />

gere più velocemente tutte le<br />

Sezioni e quindi i rifugi di tutto<br />

il territorio nazionale.<br />

Ma ci piace pensare al gioco<br />

anche come un gioco vero e<br />

proprio, magari per una serata<br />

in compagnia nei rifugi, o distribuito<br />

come inserto nelle riviste<br />

del cAI, o utilizzato come<br />

supporto nei corsi per bambini,<br />

o nelle tante iniziative d’informazione<br />

che si sviluppano in<br />

ogni Sezione.<br />

la commissione centrale Medica<br />

ha costruito questo strumento,<br />

ora sta a tutti noi usarlo<br />

e diffonderlo per educare chi<br />

si avvicina alla montagna al<br />

rispetto delle sue regole e di<br />

quelle del nostro corpo.<br />

Perché... LA SALUTE NON È UN<br />

GIOCO! «<br />

» le variazioni di quota producono nel nostro corpo adattamenti che possono diventare problemi<br />

di salute. Il nostro organismo non può essere esposto a tali variazioni in maniera rapida, ad esempio<br />

con ascensioni troppo veloci, ma deve adattarsi gradualmente attraverso quel processo che viene<br />

definito “acclimatazione”. quindi vanno effettuate salite graduali e lente. In alta quota i raggi uv sono<br />

meno filtrati dall’atmosfera. da ciò deriva la necessità di proteggere il nostro corpo con abbigliamento<br />

idoneo, cappello a tesa larga e, per le parti esposte, creme ad elevato fattore protettivo e stick per le<br />

labbra. Gli occhi vanno protetti con occhiali dotati di opportuni filtri per i raggi uv. l’abbigliamento<br />

anche essenziale per proteggere il corpo dal freddo, dal vento e dalla pioggia.<br />

un elemento essenziale dell’abbigliamento rappresentato dalle scarpe; devono essere comode e soprattutto<br />

di tipo adatto al percorso che si intende intraprendere. una bella pianta o un frutto dai<br />

colori accattivanti, così come un fungo che “pensiamo possa essere commestibile”, possono contenere<br />

sostanze tossiche dannose se non addirittura letali. Se le piante sono splendide non lo sono certo di<br />

meno i rappresentanti del regno animale. Ma attenzione ad alcuni di loro, siano essi di certe dimensioni<br />

come le vipere, più piccoli come vespe ed api o quasi invisibili come le zecche.<br />

dobbiamo mettere il nostro corpo nella situazione migliore iniziando dall’allenamento. Il nostro corpo<br />

ha bisogno di essere preparato ed opportunamente allenato in maniera adeguata allo sforzo che si sta<br />

per intraprendere, con un programma non approssimativo ma calibrato e ragionato. Allo stesso modo<br />

vanno curate l’alimentazione e l’idratazione. durante lo sforzo c'è un particolare bisogno di carboidrati<br />

che sono facilmente assimilabili e fonte di un buon apporto energetico. la stessa attenzione va<br />

posta per l’acqua, non a caso il principale componente del nostro organismo. Per cui bere molto, anche<br />

se non si ha sete, magari aggiungendo degli zuccheri all’acqua. E infine le abitudini: l’eccesso di alcol<br />

e il fumo fanno male, sempre… e tanto più in montagna quando ci si sottopone ad uno sforzo fisico!


» scienza e montagna<br />

A cura di jacopo pasotti<br />

A proposito di vulcani<br />

Trent’anni fa "esplodeva" il monte St. Helens in America; confronto<br />

con il vulcano che oggi fa tanto parlare in Europa<br />

era il 18 maggio del 1980<br />

quando una nube ardente<br />

di lava e gas spazzò via la<br />

vegetazione e la fauna e ridusse<br />

in sterile deserto 600 chilometri<br />

quadrati (il lago di Garda ed il<br />

lago Maggiore messi insieme)<br />

di boschi e praterie. un fiume di<br />

detriti roventi, circa 3 chilometri<br />

cubi di pomici e ceneri vulcaniche<br />

coprirono come un tappeto,<br />

case, scuole, aeroporti. tanto<br />

che l’anno dopo il territorio era<br />

ancora nient’altro che polvere<br />

e pietre. “l’intero mondo conosciuto<br />

a colori, ora appariva grigio”,<br />

rievoca tom hinkley biologo<br />

forestale della università di<br />

Washington. ora l’università (il<br />

vulcano giace nello stato di Washington)<br />

ha chiesto ai suoi spe-<br />

1<br />

cialisti di mostrare al pubblico il<br />

risultato di tanti anni di studio<br />

sulla eruzione del Monte St. helens<br />

per celebrare il trentennio.<br />

Gli scienziati incontreranno il<br />

pubblico statunitense per spiegare<br />

cosa succede alla vita dopo<br />

un disastro naturale di quelle<br />

proporzioni.<br />

l’esplosione del vulcano fu anticipata<br />

da movimenti e tremori<br />

del terreno. Malgrado ciò<br />

l’eruzione provocò 57 vittime, la<br />

distruzione di 250 abitazioni, e<br />

180 chilometri di strade. l’intera<br />

cima della montagna venne<br />

lanciata fino nella stratosfera<br />

sollevando una nube densa, tra<br />

fulmini e continue esplosioni. lo<br />

stratovulcano, un colosso quiescente<br />

di 2950 metri di altitudi-<br />

1» La vita ritorna. Oggi il territorio<br />

del Monte St. Helens è un parco<br />

naturale protetto. Foto©Università di<br />

Washington // 2» La densa nube di<br />

vapore e ceneri che accompagnava<br />

l'eruzione del 1980. Foto©USGS<br />

ne, fu in un istante decapitato,<br />

ed ora forma una caldera a ferro<br />

di cavallo di 2550 metri. così,<br />

mentre il vulcano Eyjafjallajokull<br />

continua a far parlare di sé<br />

ed entra di forza nella storia europea,<br />

oltre l’Atlantico il monte<br />

St. helens è un esempio di come<br />

un evento naturale importante<br />

rimanga tenacemente inciso<br />

nella memoria di un paese.<br />

ho chiesto ad alcuni ricercatori<br />

americani di ricordare cosa accadde<br />

e quali studi sono stati<br />

fatti per capire come si riprende<br />

un territorio che ha subito<br />

una eruzione vulcanica. john<br />

Edwards, professore emerito<br />

di biologia, è stato tra i primi<br />

a visitare il sito dopo l’eruzione.<br />

“ciò che ci colpì fu la zona<br />

prossima al vulcano, dove ogni<br />

pianta ed animale furono uccisi<br />

dall’onda d’urto della eruzione”,<br />

dice. “Gli insetti ed i ragni<br />

mostrarono le loro incredibili<br />

doti evolutive, i terreni detritici<br />

vulcanici vennero colonizzati da<br />

una armata di ragni paracadutisti<br />

che in quei terreni trovarono<br />

la mecca”. Molte specie di ragni,<br />

infatti, colonizzano nuovi territori<br />

trasportati dal vento, appesi<br />

a fili di seta prodotti da loro<br />

stessi. Alcuni individui giungevano<br />

da foreste e zone agricole<br />

distanti almeno 50 chilometri<br />

4 | 2010 86<br />

dal vulcano. “Piovono ragni!<br />

dicevamo scherzando tra noi”,<br />

ricorda Edwards, “ne atterravano<br />

al ritmo di uno al giorno per<br />

ogni metro quadro. Anche gli<br />

insetti che non sopravvivevano<br />

avevano un ruolo importante,<br />

trasformandosi in cibo o compost.<br />

In una estate produssero<br />

quasi un etto di biomassa, necessario<br />

per fare crescere i primi<br />

vegetali.”<br />

Più lontano, nelle aree coperte<br />

dalle ceneri le cose andarono<br />

diversamente. un duro colpo<br />

lo subirono gli abeti adulti,<br />

mentre i più giovani riuscirono<br />

a riprendersi. “nella zona<br />

raggiunta dall’onda d’urto, gli<br />

alberi vennero tutti abbattuti”,<br />

spiega hinkley. “Più oltre, invece,<br />

gli alberi furono coperti di<br />

polveri che rimasero appiccicate<br />

per anni alle foglie (gli “aghi”)<br />

schermando la luce del sole<br />

neccessaria per la fotosintesi.<br />

Gli abeti giovani però producono<br />

annualmente, in percentuale,<br />

un numero maggiore di<br />

foglie rispetto agli alberi adulti.<br />

Giunta l’estate riuscirono quindi<br />

a compensare le foglie ricoperte<br />

di cenere aumentando la produzione<br />

di nuovo fogliame. Gli<br />

abeti adulti non riuscirono in<br />

questo e perirono a migliaia.”<br />

All’inizio, secondo hinkley ed i


LA RIVISTA 4 | 2010 87<br />

suoi colleghi, che hanno pubblicato<br />

recentemente sulla rivista<br />

frontiers in Ecology and<br />

Environment i risultati dei loro<br />

lavori, l’ecosistema si evolveva<br />

in maniera disordinata, lontano<br />

dai modelli che gli ecologi usano<br />

per predire lo sviluppo ecologico<br />

di una regione. Per la vita<br />

era, insomma, un vero e proprio<br />

far-west di insetti, erbe ed arbusti.<br />

“Gli ecosistemi pionieri<br />

attraggono molte specie animali<br />

e contengono piante produttive<br />

che proliferano in assenza di un<br />

bosco”, spiega hinkley. la biodiversità<br />

delle nuove colonie era<br />

dunque elevata, e lo rimase fino<br />

all’insediarsi di specie più stanziali,<br />

che lentamente formarono<br />

una nuova foresta. la biodiversità<br />

a questo punto non poteva<br />

che diminuire, mentre diverse<br />

specie pioniere abbandonavano<br />

il terreno in favore di altre più<br />

stabili.<br />

“nel 1980 non avevamo i sofisticati<br />

sistemi satellitari di oggi<br />

che ci permettono di predire<br />

l’eruzione di un vulcano e di seguirne<br />

minuto per minuto la sua<br />

storia, comunque l’esplosione<br />

del Monte St.helens è stata la<br />

prima grande eruzione ad essere<br />

monitorata scientificamente.<br />

Abbiamo imparato molto<br />

sull’intero processo con cui le<br />

ceneri vulcaniche si disperdono<br />

e poi viaggiano nell’atmosfera”,<br />

una lezione, conclude il geologo<br />

olivier bachmann, che è servita<br />

anche per monitorare i 10000<br />

metri di vapori e cenere proiettati<br />

dall’Eyjafjallajokull nei cieli<br />

d’Europa. «<br />

approfondimenti<br />

Per una descrizione dettagliata del<br />

vulcano consiglio il sito web del<br />

servizio geologico statunitense:<br />

http://vulcan.wr.usgs.gov/volcanoes/MSh/description_msh.html<br />

diverse immagini del vulcano<br />

su: http://scienzamontagna.wordpress.com/.<br />

2


» ambiente<br />

A cura di Marco Agnoli<br />

Strategie e misure per il clima<br />

un documento internazionale dei club alpini aderenti<br />

al <strong>Club</strong> Arc Alpin<br />

nell’assemblea dei soci<br />

del club Arc Alpin<br />

(club che riunisce i<br />

club alpini delle Alpi) tenutasi<br />

ad Innsbruck nel settembre<br />

2009 si è intensamente parlato<br />

del cambiamento climatico e<br />

delle misure che ne derivano per<br />

il cAA. È emerso che l’associazione<br />

debba agire su due piani:<br />

quello esterno (vedi box “Rivendicazioni<br />

politiche del club Arc<br />

<strong>Alpino</strong> sul cambiamento climatico“),<br />

collaborando con la politica<br />

e con altre associazioni e quello<br />

interno elaborando progetti e<br />

misure proprie.<br />

Ed è in questo ambito che il nostro<br />

sodalizio, assieme agli altri,<br />

1<br />

è stato chiamato a confrontarsi<br />

con una lettera del presidente<br />

del club Arc Alpin josef Klenner<br />

in cui invita alla verifica ed integrazione<br />

del documento, sotto<br />

riportato, “strategie e misure per<br />

il clima dei club soci del cAA”. Si<br />

tratta di una proposta di buone<br />

pratiche che i soci farebbero<br />

proprie consapevoli che l’attività<br />

dell’andare in montagna comporta<br />

un’elevata mobilità con<br />

conseguente utilizzo dei mezzi<br />

di trasporto macchina, aereo<br />

treno ecc.<br />

una volta tanto siamo di fronte<br />

ad un documento che non viene<br />

calato dall’alto ma di cui è possibile<br />

discuterne in anticipo.<br />

1» Pizzo Cucchiaio //<br />

2» Un cratere Kilimangiaro. Foto Vittorio De Zordo<br />

la commissione centrale tAM<br />

desidera aprire un dibattito su<br />

questo tema e sollecita il cdc<br />

e cc nel raccogliere per tempo<br />

suggerimenti ed integrazioni al<br />

documento al fine di inviarle al<br />

consiglio direttivo del cAA.<br />

di seguito il documento proposto<br />

ai club alpini.<br />

gLi obiEttivi cLimAtici<br />

strAtEgici dEL cAA E dEi<br />

suoi cLub soci<br />

I club soci del cAA perseguono i<br />

seguenti obiettivi per contribuire<br />

alla sfida globale che prevede<br />

una sostanziale riduzione delle<br />

emissioni di gas serra.<br />

1. I soci del cAA sono consapevoli<br />

della corresponsabilità che<br />

hanno per quanto riguarda il<br />

riscaldamento climatico e sono<br />

disposti ad appoggiare e ad<br />

applicare misure concrete per<br />

ridurre la produzione di co 2 causata<br />

dallo sport alpino.<br />

2. Entro il 2015 la produzione<br />

di co 2 emessa dalla mobilità<br />

nell’ambito dello sport alpino per<br />

viaggi e gite delle associazioni<br />

deve essere compensata. In questo<br />

contesto devono considerarsi<br />

prioritari progetti di compensazione<br />

da attuarsi nell’arco alpino<br />

o in altri ambienti montani.<br />

3. Sono introdotte e verranno<br />

attuate misure concrete e quantificabili<br />

per ridurre la produzione<br />

di co 2 dovuta allo sport<br />

alpino.<br />

4. Il cAA e i sui club soci sosten-<br />

4 | 2010 88<br />

gono gli obiettivi climatici e le<br />

direttive per la riduzione della<br />

co2 dell’unione Europea<br />

5. Il cAA rafforza il suo influsso<br />

a livello europeo (uE e convenzione<br />

delle Alpi) per richiedere<br />

una politica climatica coerente.<br />

I club soci sostengono questa<br />

iniziativa a livello nazionale.<br />

6. Il cAA sta vagliando la possibilità<br />

di creare una fondazione<br />

a livello europeo per la compensazione<br />

di co 2 prodotta da attività<br />

alpinistiche, prefiggendosi<br />

come obiettivo la creazione di<br />

una fondazione simile a livello<br />

europeo (per esempio in collaborazione<br />

con l’uIAA). questa<br />

fondazione dovrebbe sostenere<br />

progetti di compensazione in<br />

regioni montane Alpi comprese.<br />

misurE di PoLiticA cLimAticA<br />

dEL cAA E dEi suoi cLub<br />

soci PEr ridurrE LA ProduzionE<br />

di co 2 dovutA ALLo<br />

sPort ALPino<br />

1. vengono promosse la sensibilizzazione,<br />

l’informazione e<br />

la formazione dei soci del cAA.<br />

quest’ultimo creerà inoltre una<br />

piattaforma informativa sul suo<br />

sito internet, riunendo le “best<br />

practice”, ossia esempi dei club<br />

soci nonché materiale formativo<br />

per determinati target group.<br />

Inoltre il cAA collabora con organizzazioni<br />

equivalenti.<br />

2. I club soci del cAA avviano<br />

misure concrete e possibilmente<br />

quantificabili per ridurre le<br />

emissioni di co 2 dovute allo


» Il CAA<br />

Il cAA è la federazione alpina di tutti maggiori club<br />

LA RIVISTA alpini delle Alpi. I suoi soci sono:<br />

club <strong>Alpino</strong> Sloveno PzS, club <strong>Alpino</strong> dell’Alto Adige<br />

AvS, club <strong>Alpino</strong> Austriaco oeAv, club <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong><br />

cAI, club <strong>Alpino</strong> del liechtenstein lAv, club <strong>Alpino</strong><br />

tedesco dAv, club <strong>Alpino</strong> Svizzero SAc, club <strong>Alpino</strong><br />

francese ffcAM.<br />

nel cAA sono riuniti circa 1.8 milioni di persone, che<br />

praticano gli sport alpini in tutte le sue diverse forme<br />

e si preoccupano per un ragionevole sviluppo dell’ambiente<br />

alpino, così intensamente sfruttato. direttiva<br />

di concetto del cAA è la convenzione delle Alpi.<br />

ulteriori informazioni sul cAA si trovano sul sito Internet<br />

www.club-arc-alpin.eu.<br />

sport alpino. In questo contesto<br />

sono prioritari il miglioramento<br />

della scelta del mezzo di trasporto,<br />

la riduzione delle distanze,<br />

un modo di guidare adatto<br />

nonché la scelta di veicoli a<br />

basso tenore di co 2 . I sistemi<br />

di incentivazione devono essere<br />

parte integrante di questa strategia,<br />

penalizzando viaggi molto<br />

inquinanti e sovvenzionando<br />

viaggi ecocompatibili. Il cAA sostiene<br />

e coordina queste misure.<br />

3. Il cAA e i sui club soci lanciano<br />

una campagna per incentivare<br />

gli alpinisti a guidare<br />

in montagna attenendosi al<br />

principio dell’ “Eco-drive” (a<br />

base emissioni). questa misura<br />

comprende anche una riduzione<br />

della velocità sulle autostrade.<br />

4. Il cAA e i sui club soci compensano<br />

entro il 2015 le loro<br />

emissioni di co 2 dovute alla<br />

mobilità. Il cAA sostiene i club<br />

per quanto concerne il coordinamento<br />

e l’attuazione di queste<br />

misure secondo metodi e<br />

standard validi in tutto l’arco<br />

alpino.<br />

5. Moltiplicatori quali accompagnatori,<br />

guide alpine e consigli<br />

direttivi dei club soci del cAA<br />

verranno formati sulle questioni<br />

climatiche. In questo ambito<br />

è di fondamentale importanza<br />

la consulenza per una maggiore<br />

considerazione del trasporto<br />

pubblico. Il cAA sostiene e coordina<br />

queste misure di formazione.<br />

6. Il cAA e i suoi club soci tengono<br />

conto dei criteri di politica<br />

climatica anche nel quadro della<br />

comunicazione, della pubblicità<br />

e della sponsorizzazione; non<br />

compiono azioni in contraddi-<br />

zione con gli obiettivi di politica<br />

climatica delle associazioni e<br />

del cAA.<br />

misurE PEr L’AdAttAmEnto<br />

ALLE consEguEnzE dEL<br />

riscALdAmEnto cLimAtico<br />

nELLE ALPi<br />

oltre alle misure per la riduzione<br />

dei gas serra gli alpinisti<br />

e i club soci del cAA si devono<br />

occupare degli adattamenti necessari<br />

ai cambiamenti climatici<br />

dovuti al riscaldamento climatico<br />

nelle Alpi. questi adattamenti<br />

spettano ai club soci del<br />

cAA. quest’ultimo può fungere<br />

da piattaforma di coordinazione<br />

e di informazione. le priorità<br />

sono:<br />

- verificare e migliorare il monitoraggio<br />

e la gestione dei<br />

rischi dei sentieri alpini e dei<br />

sentieri che portano ai rifugi.<br />

bisogna riconoscere nuovi settori<br />

di rischio prima che avvengano<br />

incidenti che coinvolgano<br />

anche persone. lo scambio di<br />

esperienze e il trasferimento di<br />

Know-how tra i club soci del<br />

cAA devono essere intensificati.<br />

- verificare e pianificare l’approvvigionamento<br />

idrico soprattutto<br />

dei rifugi ad alta quota, i<br />

quali si alimentano grazie alle<br />

acque del nevaio/ghiacciaio, che<br />

tra pochi anni potrebbero sparire.<br />

Anche rinunciare ad alcuni<br />

pernottamenti non è una possibilità<br />

da escludere.<br />

- integrare il riscaldamento<br />

climatico e le sue conseguenze<br />

sullo sport alpino, in particolare<br />

sulle escursioni ad alta quota e<br />

su ghiacciaio, nella formazione<br />

alpina, nelle guide e nelle pubblicazioni<br />

delle associazioni. «<br />

2<br />

» Rivendicazioni politiche del <strong>Club</strong><br />

Arc Alpin sul cambiamento climatico<br />

le montagne quali "hot Spot“ della biodiversità e le regioni<br />

geomorfologicamente instabili reagiscono sensibilmente al<br />

riscaldamento del clima: scioglimento dei ghiacciai, scomparsa<br />

di falde di ghiaccio, aumento del limite d’innevamento,<br />

cambiamento del bilancio idrico, instabilità del terreno, ecc.<br />

nelle Alpi, il riscaldamento del clima interessa sempre più le<br />

nostre principali infrastrutture per lo sport alpino i sentieri<br />

alpini e i rifugi. da una parte, si deve tener conto dei nuovi<br />

pericoli che la natura riserba, dall’altra, gli adeguamenti delle<br />

infrastrutture produrranno alti costi. In più, gli alpinisti devono<br />

adattarsi ai continui e ingenti cambiamenti delle zone<br />

d’alta montagna.<br />

I club soci del cAA, visto il proprio sostanziale impegno nella<br />

protezione dell’ambiente e essendone direttamente interessati,<br />

sentono fortemente la responsabilità per la presa di<br />

provvedimenti propri riguardanti il clima. questi sono in via<br />

di realizzazione grazie a delle precise misure, attualmente<br />

progettate dai club e in parte già messe in atto, per la riduzione<br />

della produzione di co nello sport alpino.<br />

2<br />

Allo stesso tempo, i club alpini riuniti sotto il cAA, lanciano<br />

un appello alla politica ed alla società perché si agisca con<br />

fermezza per limitare rapidamente l’emissione di gas serra.<br />

nel settembre del 2009, sono state definite le seguenti rivendicazioni<br />

dai club soci del cAA:<br />

1. le riduzioni di co dovrebbero 2 essere ottenute soprattutto<br />

2<br />

attraverso stimoli incentivi approvati politicamente, ma con<br />

un effetto economico, secondo il principio della causalità.<br />

chi provoca un’alta produzione di co deve essere gravato<br />

2<br />

maggiormente, mentre chi riduce il co veramente deve es-<br />

2<br />

sere rimborsato.<br />

2. la dipendenza da fonti energetiche di origine fossile (petrolio,<br />

gas metano, carbone) deve essere ridotta al più presto.<br />

ciò si può solo realizzare attraverso un forte incremento di<br />

forme d’energia povera d’emissioni e a basso impatto ambientale,<br />

finché queste non raggiungono l’estensione critica<br />

del mercato.<br />

3. le emissioni di co causate dal flusso di traffico devono<br />

2<br />

essere ridotte al più presto. Alcuni metodi potrebbero essere<br />

il lancio sul mercato di veicoli ad emissione di co ridotta,<br />

2<br />

dei valori limite inferiori e delle leggi più severe, la riduzione<br />

generale della velocità sulle autostrade, lo sviluppo ed incremento<br />

dei mezzi pubblici e la promozione di mobilità dolce.<br />

4. Il cAA esige delle norme generali comuni, a livello europeo,<br />

per una riduzione graduale di tutte le attività sportive motorizzate<br />

puramente turistiche, in particolare delle motoslitte e<br />

della guida su piste off-road, come anche delle escursioni in<br />

aereo e dell’heliskiing in montagna.<br />

deliberato alla riunione dei soci nel 2009 ad Innsbruck.


» web e blog<br />

A cura di gianni zecca<br />

www.alpinistidellambrusco.com<br />

da dove arrivano gli alpinisti del lambrusco? Indovinato: sono emiliani e hanno<br />

fondato il club nel 2008 mettendo insieme – immaginiamo – due passioni:<br />

la montagna e il buon vino. Ironia a parte, in queste pagine è possibile trovare<br />

facilmente il resoconto dell'attività del gruppo: le salite del 2010 e l'archivio<br />

testimoniano l'interesse per le Alpi e le dolomiti senza dimenticare l'Appennino,<br />

indice di un inossidabile legame con il territorio e con le tradizioni locali.<br />

www.sciando.it<br />

vale la pena fare una visita a questo piccolo portale che ha appena rinnovato<br />

la sua veste grafica e riordinato i suoi contenuti: spiccano le possibilità di<br />

inserire gite di alpinismo, mtb e trekking; di consultare il database e di inviare<br />

news relative al mondo della montagna (eventi culturali ecc.).<br />

bella la sezione sulle cartoline di rifugi storici; lodevole il proposito di costruire<br />

con questo materiale un archivio Web. non mancano le proposte di lettura e i<br />

racconti di viaggio con ampie gallerie fotografiche.<br />

4 | 2010 90<br />

www.piediliberi.it<br />

Ricorderete il film “A piedi nudi nel parco”: sul Web c'è un blog che invita a<br />

ripetere (simbolicamente) questa esperienza di libertà in giro per l'Italia e nel<br />

mondo. I curatori sono giornalisti professionisti: suggeriscono itinerari escursionistici<br />

ma hanno anche la buona abitudine di fornire informazioni generali<br />

sulle mete che consigliano. utile la sezione dedicata ai materiali; interessante<br />

e originale quella dedicata alla canoa.<br />

www.gabriellapiardi.com<br />

Gabriella Piardi è un’artista figurativa “dal linguaggio espressionista”; i suoi dipinti<br />

e i quadri ritraggono spesso soggetti del mondo dell’arrampicata su roccia e<br />

del free climbing: così esprime ciò che per lei rappresentano il movimento della<br />

figura umana e l’espressione corporea. Menzione doverosa dunque per questa<br />

ragazza di appena 24 anni con già alle spalle una buona esperienza e una precisa<br />

identità artistica.


» amarcord<br />

TESTO e foto DI Franco Bo (GISM)<br />

LA MINIERA DEL MIAgE<br />

Una ricerca a testimonianza di un mestiere di altri tempi<br />

la nascita delle montagne è accompagnata da una grande attività<br />

di fenomeni di mineralizzazione ai quali dobbiamo la presenza<br />

di numerose miniere metallifere. Molte di esse, un tempo attive,<br />

sono state abbandonate per problemi di costo e sfruttamento: eccessive<br />

le spese di trasporto, scarso profitto a fronte di filoni ubicati in zone<br />

pericolose e difficili da raggiungere. Allora presentavano un interesse<br />

maggiore dovuto alle possibilità di raccolta del materiale senza l'impiego<br />

di pozzi ma tramite gallerie orizzontali (filoni presenti su pendii).<br />

la tecnica moderna avrebbe potuto sopportare spese di impianto elevate,<br />

purché rendimento e possibilità di sfruttamento fossero tali da<br />

giustificare l'impegno economico: in assenza di questi presupposti la<br />

maggioranza delle miniere di montagna è stata chiusa, mentre un tempo<br />

rappresentava un complemento di risorse per i locali. tra le varie<br />

mineralizzazioni affioranti nella valle d'Aosta, quelle situate nella alta<br />

val veni risultano inserite nelle rocce gneissiche e scistose che formano<br />

la copertura del granito del Monte bianco. la val veni si estende<br />

lungo la fiancata sud-orientale del massiccio per circa una quindicina<br />

di chilometri. con un lungo percorso sul fianco della morena laterale<br />

destra del ghiacciaio del Miage si raggiunge la bella conca del lago del<br />

combal (1958 m). All'inizio della conca una piccola strada sale a destra<br />

verso il lago del Miage. A monte di un locale ristoro posto sul pianoro,<br />

si stacca il sentiero verso il Ghiacciaio del Miage e il Rifugio f.Gonella al<br />

dome. All'inizio del bivio per il lago del Miage, la strada continua a salire<br />

sino a raggiungere il Rifugio E.Soldini (2200 m) a la lex blanche. la<br />

parte superiore della valle è splendida per la pratica dello sci-alpinismo.<br />

ho appreso l'esistenza della Miniera del Miage nell'<strong>agosto</strong> 1989 durante<br />

una verifica in elicottero, mirata alla localizzazione di piazzole<br />

di atterraggio nelle adiacenze dei rifugi e bivacchi, determinanti per<br />

eventuali operazioni di soccorso. Il mio sguardo si era improvvisamente<br />

posato su una piccola baracca di legno e pietra posta sulla bastionata<br />

rocciosa del col Infranchissable, sul versante italiano del Miage. la<br />

baracca è ormai l'unica testimonianza dei lavori per lo sfruttamento di<br />

galena argentifera, che si ritiene possano risalire al 1700.<br />

Secondo Martino beretti, valente geologo ed uno dei primi esploratori<br />

del Gran Paradiso, la miniera sarebbe stata scoperta per caso da alcuni<br />

cacciatori. la prima richiesta di sfruttamento, in base alle informazioni<br />

raccolte, è del 1808. dopo un periodo di attività di coltivazione, una<br />

valanga di roccia e ghiaccio travolse le povere baracche causando la<br />

morte di numerosi operai. la miniera, dopo un saltuario sfruttamento,<br />

subì una chiusura sino ai nuovi permessi di ricerca concessi negli<br />

anni 1872, 1887, 1892, 1907, con discreti risultati. Risale al 1924 l'ultima<br />

domanda di concessione inoltrata da louis bareux di courmayeur<br />

(1896-1991): un uomo assai disponibile nel rammentare le dure condizioni<br />

di vita in un luogo disagevole e pericoloso quale era la miniera.<br />

nonostante fatiche e pericoli, louis bareux nei due anni concessione<br />

» Il terrazzo a quota 3000 m con la vecchia capanna<br />

4 | 2010 91<br />

era riuscito a portare a courmayeur 50 kg circa di galena per un totale<br />

di una tonnellata di materiale.<br />

Sul fronte di questi selvaggi precipizi (versante nord-est del col Infranchissable),<br />

potrà apparire strana la presenza di una miniera di materiale<br />

argentifero, lavorata per molti anni fino a quando la povertà di guadagni<br />

e la larga perdita di vite tra i minatori dovuta a frequenti valanghe e<br />

frane, ne determinarono l'abbandono. tutto quello che ora è rimasto ad<br />

evidenziare il luogo di questi lavori sono i resti rovinati di tre capanne in<br />

legno con pezzi di corda e chiodi in ferro, con l'aiuto dei quali gli uomini<br />

portavano avanti la loro pericolosa attività. la più elevata di queste<br />

capanne è appollaiata ad una incredibile altezza sopra il ghiacciaio e,<br />

dietro di essa – come crede – nessuno è mai sceso. dalle testimonianze<br />

raccolte e dalla consultazione di pubblicazioni specifiche emerge il<br />

durissimo lavoro degli operatori. vennero scavate due gallerie: una superiore<br />

di 30 metri e una più in basso di 40. luois bareux rammentava<br />

che per il pericolo continuo di scariche di ghiaccio e pietre, nonostante<br />

la presenza di una capanna posta agli imbocchi delle gallerie, a volte i<br />

minatori preferivano riposare all'interno di alcune cassapanche dentro<br />

le gallerie.<br />

In val d'Aosta erano attive 33 miniere poste in 24 ambiti comunali: nessuna<br />

di queste, oramai, è in funzione. Ai minatori, dotati di eccezionale<br />

tempra e coraggio, è dedicata questa ricerca, a testimonianza doverosa<br />

di un mestiere di altri tempi. Alle famiglie bareux, hurzeler e comune<br />

di courmayeur va un particolare ringraziamento per le preziose informazioni<br />

fornite. «


» libri di montagna<br />

A cura di alessandro giorgetta<br />

» irEnE AffEntrAngEr<br />

i racconti del<br />

vento<br />

nuovi sentieri Editore, feltre<br />

(bL), 2010 // 188 pagg.; 16 x 23<br />

cm; foto col. e b/n. €20,00<br />

Se, come è stato affermato,<br />

che l’alpinismo non esisterebbe<br />

se non fosse raccontato, ne<br />

consegue anche che lo stile<br />

dell’alpinismo di chi lo narra<br />

è definito dallo stile narrativo.<br />

Per chi conosce lo stile alpinistico<br />

di Irene Affentranger<br />

(che viene perfettamente messo<br />

a fuoco nella postfazione<br />

di Giovanni Padovani), il sillogismo<br />

è realistico, considerata<br />

anche la notevole componente<br />

culturale che sta alla<br />

base della sua passione per la<br />

montagna, sempre praticata<br />

in assoluta gratuità con il fine<br />

di un arricchimento interiore<br />

prima ancora che per il piacere<br />

dell’equilibrio e dell’armonia<br />

del corpo in movimento<br />

nell’ambiente naturale. questi<br />

sono i valori che l’autrice intende<br />

partecipare attraverso<br />

una testimonianza di vita che<br />

assume quindi un significato<br />

emblematico, peraltro riconosciuto,<br />

proprio in virtù di<br />

questi valori, con l’elezione a<br />

socio onorario del club <strong>Alpino</strong><br />

<strong>Italiano</strong>. Senza aver letto il libro<br />

si sarebbe portati a pensare<br />

che una simile impostazione<br />

implichi un andamento narrativo<br />

didascalico e schematico.<br />

niente di tutto ciò, anzi, esattamente<br />

il contrario. I diciassette<br />

racconti ai quali affida<br />

la dimensione montagna della<br />

sua esistenza si riferiscono<br />

più alla parte emozionale che<br />

alla parte della percezione fisica<br />

dell’esperienza diretta del<br />

suo rapporto con la montagna.<br />

nel contenuto autobiografico<br />

che riguarda una parte della<br />

sua attività alpinistica esti-<br />

va e invernale e scialpinistica<br />

sulle Alpi e sull’himalaya ciò<br />

che colpisce è lo stile della<br />

sua prosa che crea in chi legge<br />

le impressioni che l’interazione<br />

con l’ambiente, sia esso<br />

il paesaggio. o le condizioni<br />

atmosferiche, o la luminosità<br />

e le ombre della montagna<br />

suscita in chi nelle proprie<br />

esperienze mette in gioco<br />

la parte più profonda di sé.<br />

ciò che rende invece preciso<br />

nei suoi riferimenti culturali<br />

questo stile, che giustamente<br />

dante colli nella prefazione<br />

definisce “impressionistico” è<br />

l’emergere di una vastissima<br />

conoscenza letteraria non solo<br />

nell’ambito alpinistico ma in<br />

quello del sapere globale nelle<br />

citazioni puntuali ed appropriate<br />

che sottolineano con<br />

immediatezza i momenti più<br />

significativi di giornate dense<br />

di avvenimenti in luoghi geograficamente<br />

individuati con<br />

precisione e magistralmente<br />

descritti negli aspetti naturali.<br />

chi ha avuto la fortuna e il<br />

piacere di leggere le poesie di<br />

Irene Affentranger pubblicate<br />

in quel piccolo gioiello che è “Il<br />

tempo delle Pleiadi”, vi ritrova<br />

qui lo stesso incanto emotivo,<br />

lo stesso stupore di fronte alla<br />

potenza e alla profondità delle<br />

sensazioni che le forze della<br />

natura esprimono per chi la<br />

sperimenti nel giusto rapporto<br />

di equilibrio ed armonia, nello<br />

spirito più genuino dei contenuti<br />

filosofici e letterari del<br />

romanticismo, ben diverso dal<br />

sentimentalismo.<br />

non posso che concludere con<br />

le parole di colli che sempre<br />

nella prefazione definisce questo<br />

libro: “…importante e raffinato,<br />

(…) scritto benissimo,<br />

che allarga la nostra comprensione<br />

della montagna e i nostri<br />

limitati orizzonti.<br />

Alessandro giorgetta<br />

» Yvon chouinArd<br />

LET My PEoPLE go<br />

SuRfINg<br />

vivalda Editori, torino, 2009<br />

// 256 pagg.; 17 x 24 cm; foto<br />

b/n. € 19,50<br />

Il titolo del libro, che grosso<br />

modo significa “I miei dipendenti<br />

vadano pure a fare una<br />

surfata” esprime tutta la filosofia<br />

di questo imprenditore<br />

americano, che ha legato tutta<br />

la propria attività imprenditoriale<br />

e non solo alla montagna,<br />

partendo da presupposti di rigoroso<br />

rispetto ambientale. culturalmente<br />

cresciuto secondo gli<br />

orientamenti ambientalisti di<br />

john Muir e henry david thoreau,<br />

e, alpinisticamente parlando,<br />

secondo l’etica del “clean climbing”<br />

dell’ambiente californiano<br />

degli anni '60, quando vendeva<br />

attrezzature per la scalata direttamente<br />

dalla sua auto alla<br />

base delle vie di arrampicata,<br />

iniziò a sperimentare e produrre<br />

sistemi di assicurazione e ancoraggio<br />

meno invasivi dei chiodi<br />

tradizionali, mettendo a punto i<br />

cosiddetti eccentrici, che avrebbero<br />

aperto la strada a tutti<br />

gli attrezzi da inserire senza il<br />

martello, dai nut ai friend e così<br />

via. quando nel 1973 ampliò<br />

la propria attività fondando la<br />

“Patagonia”, un’azienda di abbigliamento<br />

dedicato alle attività<br />

all’aria aperta, mantenne questa<br />

linea di pensiero intesa a minimizzare<br />

l’impatto sull’ambiente<br />

dei materiali utilizzati e dei processi<br />

produttivi, e devolvendo<br />

l’1% del ricavato dalla vendita<br />

dei propri prodotti ad iniziative<br />

ambientaliste. non soddisfatto<br />

di questo applicò gli stessi concetti<br />

ai rapporti umani interni<br />

all’azienda in modo da ridurre<br />

lo stress dovuto alla routine del<br />

lavoro, con benefit per i dipendenti<br />

che vanno dall’asilo nido<br />

interno a una notevole elasticità<br />

4 | 2010 92<br />

negli orari di lavoro che appunto<br />

consentono ampi spazi per le<br />

attività all’aria aperta, praticate<br />

da tutti i lavoratori dell’azienda.<br />

ovviamente è un modello d’impresa<br />

decisamente controcorrente<br />

che comincia a diffondersi<br />

nei paesi con legislazioni del<br />

lavoro progredite.<br />

l’autore, di fatto un self made<br />

man, si descrive in questa autobiografia<br />

in modo assai disincantato<br />

e distaccato dal cliché<br />

di chi è arrivato al successo<br />

essendo partito dal nulla. ne<br />

esce il ritratto di un personaggio<br />

decisamente anticonvenzionale,<br />

dotato di grande vivacità<br />

intellettuale, e di qualità umane<br />

assai elevate e piuttosto rare nel<br />

mondo del business imprenditoriale.<br />

» fLAvio zAPPA<br />

Alessandro giorgetta<br />

i segni visibili<br />

e invisibili del<br />

paesaggio rurale<br />

stEin E bEtti, duE ALPi<br />

wALsEr<br />

tipografia valdostana, Aosta,<br />

2008 // 238 pagg.; 22 x 33 cm;<br />

foto b/n.<br />

vivevano tra le pietre, che sono<br />

rimaste mute testimoni di una<br />

civiltà trapassata. un’antropologia<br />

di frontiera, quella di<br />

tanti alpigiani d’alta quota,<br />

sparsi sull’intera catena alpina.<br />

un primo censimento delle costruzioni<br />

sotto roccia, effettuato<br />

all’inizio degli anni novanta<br />

dal museo etnografico di cevio<br />

(vallemaggia, cantone ticino),<br />

si è concluso con la pubblicazione<br />

di un corposo volume che<br />

ripercorre l’architettura povera<br />

e quasi commovente di quelle<br />

che sono dette comunemente<br />

"balme", dove talvolta uomi-


LA RIVISTA 4 | 2010 93<br />

ni e animali vivevano sotto lo<br />

stesso macigno. Il ricercatore<br />

flavio zappa ha poi allargato<br />

il campo di interesse in altre<br />

aree alpine, catalogando oltre<br />

duemila baite, sbiaditi gioielli<br />

incastonati tra le rocce. Grazie<br />

a un progetto Interreg della<br />

comunità europea che ha<br />

coinvolto la valle d’Aosta, la<br />

provincia di vercelli e il piccolo<br />

villaggio svizzero di bosco Gurin,<br />

flavio zappa ha focalizzato<br />

le sue ricerche su due minuscoli<br />

alpeggi del vallone di San Grato,<br />

nel comune di Issime (valle<br />

di Gressoney). E la benemerita<br />

Associazione culturale Augusta<br />

ha pubblicato il risultato del lavoro<br />

in un prezioso volume che<br />

indaga "I segni visibili e invisibili<br />

del paesaggio rurale: Stein<br />

e bétti, due alpi walser". Il coordinamento<br />

del progetto è di<br />

Michele Russo. "Stein" significa<br />

Sasso e "bétti" letto, forse per<br />

la conformazione pianeggiante<br />

del luogo.<br />

Il lavoro non si limita alle soluzioni<br />

architettoniche adottate<br />

nei due alpeggi dagli ingegnosi<br />

costruttori dei secoli passati,<br />

ma analizza le funzioni ergologiche<br />

delle stalle e delle cantine,<br />

l’organizzazione dello spazio,<br />

la rete pedonale di accesso<br />

e gli altri elementi connessi<br />

all’esemplare sfruttamento del<br />

territorio. Il tutto inserito nella<br />

colonizzazione walser delle<br />

valli meridionali del Rosa, sulla<br />

quale Enrico Rizzi ha fornito<br />

contributi essenziali con i suoi<br />

lavori per la fondazione Monti.<br />

Ricchissimo il corredo fotografico<br />

del volume di zappa che<br />

fornisce anche un glossario<br />

dell’alpeggio in lingua walser.<br />

Il libro può essere richiesto<br />

all’Associazione Augusta<br />

-11020 Issime (Ao), o a flavio<br />

zappa (flavioesandra@sunrise.<br />

ch).<br />

teresio valsesia<br />

titoli in libreria<br />

» cAsimiro fErrAri<br />

la torre del vento<br />

cErro torrE – PArEtE ovEst<br />

Alpine Studio Ed., lecco, 2010<br />

212 pagg.; 16,5 x 24 cm; foto col. b/n. €<br />

18,00<br />

» KrzYsztof wiELicKi<br />

la corona dell’himalaya<br />

Alpine Studio Ed:, lecco 2010<br />

246 pagg., 16,5 x 24 cm; foto col. e b/n con<br />

tracciati. € 20,00<br />

» rEinhoLd mEssnEr<br />

razzo rosso sul nanga parbat<br />

casa Editrice corbaccio, Milano, 2010<br />

collana “Exploits” 310 pagg.; 14,2 x 21 cm;<br />

foto col. e b/n. € 19,60<br />

» stEfAno michELAzzi<br />

emozioni dolomitiche<br />

52 viE di ArrAmPicAtA<br />

Idea Montagna Editore e Alpinismo, teolo<br />

(Pd), 2010<br />

collana “Roccia d’autore”; 208 pagg.; 15 x 21<br />

cm; foto col., schizzi it. € 22,00<br />

» EmiLiAno zorzi<br />

iv grado in dolomiti<br />

75 viE di ArrAmPicAtA nELLE doLomiti<br />

oriEntALi<br />

Idea Montagna Editore e Alpinismo, teolo<br />

(Pd), 2010<br />

collana “Roccia d’autore”; 340 pagg.; 15 x 21<br />

cm; foto col., schizzi it. € 24,50<br />

» dAniELE gEunA, dino ruotoLo<br />

canyoning nelle alpi occidentali<br />

69 itinErAri<br />

Edizioni versante Sud, Milano, 2010<br />

collana “luoghi verticali”; 192 pagg.; 15 x 21<br />

cm; foto col., profili it. € 25,50<br />

» ALbErto osti guErrAzzi<br />

i 2000 dell’appennino<br />

LE viE normALi di sALitA ALLE vEttE<br />

Più ALtE dELL’APPEnnino<br />

Edizioni Il lupo, Sulmona (Aq), 2010<br />

II Edizione ampliata; 318 pagg.; 15 x 21 cm;<br />

foto col., cartine it. € 20,00.<br />

» vito cosimo bAsiLE<br />

uebi scebeli<br />

diArio di tEndA E cAmmino dELLA<br />

sPEdizionE dEL ducA dEgLi Abruzzi in<br />

EtioPiA (1928-1929)<br />

270 pagg.; 12,5 x 19,5 cm; foto b/n, carta<br />

d’insieme. € 18,00<br />

» AA. vv.<br />

le montagne in poesIA e<br />

narrativa<br />

cAI, Sezione valtellinese, Sondrio, 2010<br />

318 pagg.; 12 x 20,5 cm<br />

» AA. vv.<br />

itinerari della bassa val<br />

magra e del parco di<br />

montemarcello – magra<br />

Schede descrittive e carta escursionistica cAI,<br />

Sezione di Sarzana, Sarzana (SP), 2010<br />

22 pagg.; 11 x 18 cm; foto col., carta 1:25.000<br />

con it. € 6,50. E-mail: caisarzana@libero.it<br />

» AndY cAvE<br />

la sottile linea Bianca<br />

Edizioni versante Sud, Milano, 2010<br />

collana “I Rampicanti”; 284 pagg.; 12,5 x 20<br />

cm; foto b/n. € 19,00<br />

» frAncEsco burAttini, iLonA mEsits<br />

alpinismo e arrampicata in<br />

provincia di ancona 1932-2007<br />

Edizioni Anniballi, Ancona, 2009<br />

352 pagg.; 16,5 x 23 cm; foto col e b/n. €<br />

24,00


» libri di montagna<br />

» mArcELLA morAndini<br />

sErgio rEoLon<br />

ALPI REgIoNE<br />

D'EuRoPA<br />

dA ArEA gEogrAficA A<br />

sistEmA PoLitico<br />

marsilio Editori, venezia, 2010<br />

// 112 pagg; 16x22 cm; € 14,00<br />

Il declino delle Alpi è arrestabile?<br />

Marcella Morandini e Sergio Reolon,<br />

autori di “Alpi regione d’Europa”,<br />

edito da Marsilio, dicono<br />

di sì. E propongono una ricetta,<br />

frutto di sedimentate riflessioni<br />

e di esperienze “sul campo”. con<br />

una novità di rilievo: in questo<br />

libro passano dall’analisi storia,<br />

culturale e socio-economica alla<br />

proposta, indicano cioè un percorso<br />

politico che consentirebbe,<br />

anche subito, di fare i primi passi<br />

concreti verso una “rinascita” della<br />

montagna. Marcella Morandini<br />

lavora al Segretariato permanente<br />

della convenzione delle Alpi,<br />

Reolon è stato presidente della<br />

Provincia di belluno ed ora è consigliere<br />

regionale del veneto. due<br />

punti di osservazione diversi ma<br />

entrambi privilegiati per guardare<br />

alla montagna e ai suoi problemi.<br />

Il libro è dunque il frutto di una<br />

riflessione di anni, e non a caso il<br />

sottotitolo riassume già una proposta<br />

nuova: “da area geografica<br />

a sistema politico”. la tesi, in sintesi.<br />

le Alpi sono state nel passato<br />

una regione centrale dell’Europa<br />

e possono tornare ad esserlo. le<br />

radici del declino (spopolamento,<br />

marginalità, crisi delle attività<br />

tradizionali, spaesamento) stanno<br />

nell’esiziale passaggio dalle “Alpi<br />

aperte”, luogo di incontro e di<br />

rapporto, agli Stati nazionali che<br />

hanno trasformato gli spartiacque<br />

in confini e i confini in frontiere,<br />

spesso sanguinose, frammentando<br />

lo spazio alpino e dividendolo<br />

secondo logiche etniche e nazionalistiche.<br />

la montagna ha finito<br />

così per dipendere dalle pianure e<br />

dalle città che hanno applicato, e<br />

continuano a farlo, logiche estranee<br />

alla montagna aggravandone<br />

la crisi: la montagna “esiste” in<br />

quanto “utile” alle aree urbane. ci<br />

sono però oggi le condizioni per<br />

uscire dalla trappola. Se un’Europa<br />

delle regioni e non più degli Stati<br />

è forse ancora lontana, è però vero<br />

che il problema delle montagne ha<br />

trovato spazio nella costituzione<br />

europea, che la convenzione delle<br />

Alpi ridefinisce lo spazio alpino<br />

come un insieme unitario, che si<br />

moltiplicano le esperienze di collaborazione<br />

transfrontaliera. Al centro<br />

della proposta di Morandini e<br />

Reolon sta la costituzione di “Province<br />

speciali alpine” che affermino<br />

l’autonomia di questi territori,<br />

il loro diritto all’autogoverno, e li<br />

sottraggano alla sudditanza dalla<br />

pianura. nessuna rinascita senza<br />

autonomia, sostengono gli autori:<br />

se belluno continuerà a dipendere<br />

dall’area metropolitana veneta,<br />

Sondrio da Milano, verbania da<br />

torino, la crisi di questi territori<br />

sarà destinata ad aggravarsi. Ma<br />

lo stesso ragionamento può essere<br />

fatto con la carnia, dentro<br />

una regione che ha sede a trieste.<br />

dove invece il territorio montano<br />

si autogoverna, come a trento e<br />

bolzano, i risultati sono ben diversi.<br />

Proprio queste esperienze<br />

di autonomia possono rafforzarsi<br />

e riqualificarsi (nel senso di passare<br />

dalle legittimazioni etniche e<br />

linguistiche a quelle del territorio)<br />

dentro un nuovo progetto capace<br />

di restituire centralità e autonomia<br />

alle Alpi. Anzi, possono diventare<br />

un “modello”, ripensato, per<br />

l’intero arco alpino. questa idea<br />

delle Alpi come “laboratorio” per<br />

l’Europa viene da lontano. basterà<br />

citare zanzi, batzing e Salsa (che<br />

non a caso firma la prefazione<br />

al libro). Ma Morandini e Reolon<br />

disegnano ora con precisione<br />

un percorso “che possa sfociare<br />

nell’istituzione di una macroregione<br />

alpina fondata sui principi<br />

e sulla delimitazione geografica<br />

della convenzione delle Alpi. un<br />

modello d’integrazione regionale<br />

– scrivono ancora – che diventi<br />

punto di riferimento per altre aree<br />

del continente”. con il territorio al<br />

centro e con istituzioni locali “che<br />

abbiano a disposizione competenze<br />

e strumenti di autogoverno”.<br />

una lontananza sostanziale dalla<br />

proposta di un semplice “federalismo<br />

fiscale” che finirebbe, dicono<br />

gli autori, per rafforzare piccoli<br />

stati regionali centralistici con la<br />

testa, ancora una volta, nelle città<br />

e nelle pianure.<br />

toni sirena<br />

» giovAnni di vEcchiA<br />

RAgAZZI, QuESTA È<br />

LA VIA!<br />

Luglio Editore, trieste, 2009<br />

// 115 pagg., 21 foto b/n e col. €<br />

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In questo agile volumetto, l’autore<br />

socio della Sezione di Roma e del<br />

G.I.S.M. ripercorre le orme di alcuni<br />

sacerdoti dell’otto-novecento<br />

attraverso la vita, il pensiero e<br />

l’opera di questi apostoli dei giovani,<br />

uniti tra loro dallo stesso<br />

impegno educativo pedagogico<br />

curato come elemento fondamentale<br />

del loro apostolato. Posto di<br />

rilievo, a questo proposito, sarà<br />

l’indicazione ai ragazzi della via<br />

della montagna, escursionismo,<br />

alpinismo e sci, addestrandoli in<br />

questa specifica attività, perché<br />

di essa «ne vanno apprezzati tutti<br />

i benefici, il valore ristoratore,<br />

igienico, terapeutico e soprattutto<br />

il potere formativo, come scuola<br />

di ardimento, di sacrificio, di generosità».<br />

così scrive don leonardo<br />

Murialdo (1828-1900) che ha<br />

come esempi don cafasso e don<br />

bosco, veri e propri innovatori sul<br />

4 | 2010 94<br />

piano pedagogico.uno dei pregi<br />

di questa trattazione è di averla<br />

collocata con precisione storica in<br />

un’epoca di profondi mutamenti<br />

non solo politici, ma anche sociali,<br />

culturali ed economici, tra Restaurazione<br />

e Risorgimento, Marxismo<br />

ed enciclica Rerum novarum.<br />

Altro elemento positivo è di non<br />

avere dimenticato quei parroci di<br />

montagna che, in buona parte si<br />

rivelarono «ottimi mediatori culturali»,<br />

soci e fondatori di Sezioni<br />

del cAI, che favorirono anche la<br />

costituzione di varie associazioni<br />

alpinistiche fino a un progetto di<br />

creazione di un club alpino cattolico<br />

(1904) sul quale già da tempo<br />

l’abbé henry aveva raccolto ampi<br />

consensi. quest’idea si concretizzò<br />

dieci anni dopo negli ambienti<br />

dell’«unione del coraggio cattolico»<br />

fondata da don Murialdo nel<br />

1878 con la nascita di Giovane<br />

Montagna, la prima associazione<br />

alpinistica cattolica, tutt’ora felicemente<br />

operante. questa parte<br />

dedicata all’associazionismo<br />

cattolico è tra le più interessanti<br />

perché passa in rassegna dati generalmente<br />

poco noti. Ma il cuore<br />

del libro sono le figure sacerdotali<br />

dei citati don bosco e don<br />

Murialdo a cui si associano don<br />

luigi orione (1872-1940) «prete<br />

minuto, semplice nei modi che<br />

mostrerà tutta la sua grandezza»<br />

e don carlo Gnocchi (1902-<br />

1956), il cappellano degli alpini<br />

che trasmetteva il suo amore per<br />

la montagna ai giovani nei campi<br />

estivi di Macugnaga e in quelli invernali<br />

di livigno, in piena libertà,<br />

fuori dagli schemi del regime e nel<br />

ricordo di Pier Giorgio frassati. un<br />

libro che mancava, in conclusione,<br />

che, con scorrevole stile, offre tutti<br />

gli elementi necessari a ulteriori<br />

approfondimenti per una «cultura<br />

della montagna» che non può non<br />

tenere conto di questo essenziale<br />

apporto ai fini della definizione<br />

integrale di una spiritualità che<br />

completi e perfezioni la concezione<br />

dell’alpinismo vissuto altrimenti<br />

come uno sport agonistico<br />

o competitivo.<br />

dante colli


» EDIToRIALE del presidente generale<br />

CONTINUA DA PAG. 1<br />

Ma non deve segnare un punto di arrivo, bensì di partenza,<br />

e a quella riflessione ne deve tuttavia seguire un’altra che ci<br />

viene imposta dalla realtà attuale, in uno scenario in continuo<br />

cambiamento. Il nostro cambiamento epocale è segnato<br />

dal passaggio dall’etica dell’alpinismo (inteso come andar per<br />

monti) all’etica della montagna. Ma la montagna può avere<br />

un’etica? Certo. L’etica della montagna è determinata dai processi<br />

mediante i quali opera chiunque scelga la montagna come<br />

territorio interiore e esteriore di realizzazione di sé, e che, secondo<br />

noi, dovrebbe essere rappresentata dalle buone pratiche<br />

nella gestione del rapporto tra l’uomo e l’ambiente naturale in<br />

cui intende operare. Non dobbiamo naturalmente pensare di<br />

essere gli unici depositari di questa etica, anzi, dobbiamo saperci<br />

ricollocare anche in funzione di un pluralismo di visioni,<br />

pur rimanendo saldi nei nostri principi. Tuttavia è proprio in<br />

questa fase dei processi di utilizzazione che deve inserirsi il nostro<br />

messaggio, e ricorrendo alla metafora delle messi da seme,<br />

sono proprio questi campi incolti che devono attirare la nostra<br />

attenzione. È quindi nella produzione di una cultura mirata<br />

che dobbiamo concentrare i nostri sforzi, e proporci in modo<br />

credibile come istituzione nazionale. Per raggiungere questo<br />

risultato è necessario partire da un presupposto irrinunciabile:<br />

quello della trasparenza, cioè di far chiarezza al nostro interno<br />

per poter essere autorevoli all’esterno. Chiarezza al nostro<br />

interno significa risolvere tutte le situazioni che creano attriti<br />

e dispersioni di energie e di risorse in un quadro organizzativo<br />

rinnovato. L’impegno posto in atto negli ultimi mesi per<br />

una più attuale strutturazione della nostra realtà deve proseguire<br />

con i dovuti confronti, improntando il nostro agire con<br />

onestà intellettuale, per tradursi in uno snellimento organizzativo.<br />

Tutto ciò nella ricerca costante di adeguare, secondo le<br />

più attuali esigenze, l’offerta e la qualità di questa. Il risultato<br />

sarà tanto migliore quanto più riusciremo a superare posizioni<br />

rigide. Ciò potrà consentire, oltre che la semplificazione interna,<br />

la riduzione dei costi organizzativi a tutto beneficio dei<br />

bilanci delle attività e delle nostre Sezioni. E ancora, riferendomi<br />

all’intervento, sempre al Congresso di Predazzo, di Luigi<br />

Gaido ritengo che in questa fase, in accordo con quanto da<br />

lui sostenuto, sia importante prima che il comunicare verso<br />

l’esterno, l’individuare quali siano oggi le nostre idee e i nostri<br />

valori, per evitare il pericolo che si scivoli verso un Sodalizio<br />

dai segnali deboli. In sostanza la nostra associazione risponde<br />

alle aspettative e alle sollecitazioni odierne della collettività?<br />

Perciò, è sempre più opportuno che il CAI si assuma le proprie<br />

responsabilità come istituzione culturale. Solo così si potrà riaffermare<br />

l’autorevolezza verso l’esterno, che significa originalità<br />

nella nostra proposta culturale. Quindi nuovi orizzonti,<br />

seppure nella nostra ultrasecolare tradizione, senza storcere il<br />

naso di fronte alle suggestioni che provengono dall’esterno, e<br />

che talora in alcuni ambiti di pensiero conservatore possono<br />

sembrare sacrileghe. Dobbiamo tuttavia fare i conti anche con<br />

una cultura mediatica che da una parte svilisce e banalizza la<br />

montagna e dall’altra la criminalizza: perciò si tratta di fare<br />

una controinformazione basata su quei valori apparentemente<br />

controcorrente, ma che stanno ottenendo consensi sempre<br />

crescenti anche tra i giovani. Ciò significa, ad esempio, una<br />

partecipazione alle istanze del mondo giovanile, formata da<br />

una pratica di “comunicazione primaria” realizzata all’inter-<br />

4 | 2010 95<br />

no dei nostri organismi preposti alla produzione della nostra<br />

cultura, quindi il CAI come “laboratorio di ricerca”. Dobbiamo<br />

proseguire sulla via iniziata. L’editoriale del Direttore del CAI,<br />

pubblicato sulla nostra Rivista di marzo/aprile mi dà lo spunto<br />

per una riflessione su quelle che potrebbero essere modifiche<br />

del nostro assetto giuridico in funzione di una riorganizzazione<br />

interna della struttura. Innanzitutto va reso merito ad<br />

Annibale per la “fatica di Sisifo” di cui si è fatto carico e che gli<br />

ha richiesto un grande dispendio di energie, ma che ha consentito<br />

di superare il delicato frangente determinato dalla Legge<br />

6 <strong>agosto</strong> 2008 n.133 Art. 26 (Taglia-enti). Ma “Sisifo” non ha<br />

concluso la sua “fatica”: resta improrogabile il chiarimento, da<br />

parte dell’organo di vigilanza, per un definitivo riconoscimento<br />

del CAI, del ruolo dallo stesso svolto a favore della società<br />

civile del paese negli oramai quasi centocinquant’anni di vita.<br />

Circa il possibile futuro assetto ritengo si debba superare l’antinomìa<br />

pubblico/privato, prendendo in considerazione, previo<br />

i doverosi accertamenti di compatibilità giuridica, di un CAI<br />

articolato in diversi ambiti come connettore tra Ente pubblico<br />

non economico, azienda non profit e azienda profit. È quindi<br />

un’associazione nazionale a più settori, che usufruisce di finanziamenti<br />

pubblici/privati, laddove all’azienda non profit spetta<br />

la fase progettuale culturale e di formazione e a quella profit<br />

la base di erogazione di servizi e comunicazione. Tale configurazione<br />

agevolerebbe anche il superamento dell’accentramento<br />

decisionale in un unico luogo, rendendolo più rapido e agile,<br />

distribuendole su un livello istituzionale centrale, uno sociale<br />

territoriale e infine uno individuale operativo. Per concludere,<br />

il modus operandi per trasferire la nostra cultura e la nostra<br />

etica all’esterno nella collettività ci deve essere suggerito da ciò<br />

che è il CAI stesso, cioè dal legame tra l’istituzione nazionale<br />

e i suoi associati, come prodotto o dimensione collettiva delle<br />

identità locali, famigliari, o di semplice fruizione di servizi.<br />

Tali infatti sono i legami di appartenenza, o identificazione, del<br />

socio inteso come individuo sociale, con l’associazione. Vi è<br />

quindi una appartenenza istituzionale, nella condivisione degli<br />

scopi e dei valori, una territoriale tramite la Sezione e la “montagna<br />

di casa”, una famigliare, tramite l’azione educativa e la<br />

tradizione di famiglia, una funzionale, in quanto i servizi sono<br />

utili al raggiungimento degli scopi. Questo è ciò che fa sentire<br />

i soci parte nell’identità istituzionale. E questo è il messaggio<br />

che dovremmo far passare nella società, per quanto ci compete,<br />

facendo sì che, nel cento-cinquantenario dell’Unità d’Italia, e<br />

a pochi anni da quello del CAI, che sin dagli inizi ha operato<br />

stabilendo un legame profondo fra la propria storia e quella<br />

nazionale unitaria, gli italiani si sentano affratellati anche nel<br />

nome della montagna. Il raggiungimento di tali obiettivi potrà<br />

avvenire solo con il coinvolgimento più ampio e convinto di<br />

tutte le nostre strutture a tutti i livelli.<br />

Il grazie più sincero va quindi a quanti hanno consentito e<br />

consentono, con la loro costante dedizione, il funzionamento<br />

di Sezioni, Organi tecnici ed intero Sodalizio.<br />

Un augurio: l’amicizia trovata all’interno del Sodalizio possa<br />

ripagare in soddisfazione le fatiche di tutti.<br />

Umberto Martini<br />

Presidente Generale del <strong>Club</strong> <strong>Alpino</strong> <strong>Italiano</strong>


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