quando e perché il film-tv crea dipendenza. Nel ... - Cinematografo

WWW.CINEMATOGRAFO.IT 

R IVISTA D EL C INEMATOGRAFO 

MENSILE 

MARZO 2007 

N. 3 € 3,50 

SERIAL 

THRILLER 

24, Lost e gli altri: quando e 

perché il film-tv crea dipendenza. 

Nel segno del brivido 

+ + 

+ 

Ferzan Ozpetek a 180° Scamarcio e Chiatti: coppie da manuale Il caso Borat 

Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 

353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, 

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**840 500 203: il costo per l’utente è di uno scatto alla risposta. © 2006 Universal Studios. ALL RIGHTS RESERVED.

Crd 

Rivista del Cinematografo 

CINEMA TELEVISIONE RADIO 

TEATRO INFORMAZIONE 

Nuova Serie - Anno 77 

Numero 3 

Marzo 2007 

In copertina 

Kiefer Sutherland in 

24 

Film con 

spirito: 

ancora più 

forte la 

collaborazione 

tra EdS e 

Infinity 

Festival 

PUNTI DI VISTA 

L’ALBA DEL 

CINEMA 

Ente dello Spettacolo e Alba Film Festival sempre più uniti. 

Per il terzo anno consecutivo EdS sarà nella cittadina 

piemontese per Infinity, che dal 29 marzo al 4 aprile continuerà 

a indagare la sottile linea che lega ricerca spirituale e 

cinematografica. La nostra collaborazione con la 

manifestazione diretta da Luciano Barisone si è fatta 

progressivamente più sinergica: quest’anno seguiremo il festival 

con una diretta web sul nostro sito www.cinematografo.it e 

modereremo gli incontri con il pubblico e i protagonisti della 

sesta edizione. Nume tutelare di Infinity 2007 è il regista 

americano Sidney Pollack, che sarà ad Alba per una 

retrospettiva organizzata in collaborazione con il Museo del 

Cinema di Torino. Il nome di Pollack è legato soprattutto a 

quello di Robert Redford, attore-feticcio con cui ha stabilito 

uno dei sodalizi artistici più celebri della storia del cinema stelle 

& strisce, da Corvo rosso non avrai il mio scalpo (1972) a La mia 

Africa (1985). Due saranno gli autori omaggiati ad Alba: il 

produttore e regista indonesiano Garin Nugroho e la cineasta 

viennese Barbara Albert, sensibile cantrice del femminile con 

titoli quali Nordrand e il recente Fallen. 

Inoltre, Ente dello Spettacolo e Alba Film Festival 

organizzano un convegno sulla paura, e sulle sue ricadute 

sociali, filosofiche, politiche ed esistenziali, a cui parteciperanno 

protagonisti della cultura cinematografica e non, da Guillermo 

Arriaga a Giacomo Marramao. Per cinefili, studenti e 

appassionati, dunque, un appuntamento da non mancare con 

una manifestazione senza uguali nel panorama festivaliero 

italiano e internazionale. Panorama internazionale che ha 

registrato la vittoria alla Berlinale di Tuya’s Marriage del regista 

cinese Wang Quan An, un dramma al femminile sulla difficile 

sopravvivenza delle tradizioni nel Paese asiatico. 

Vibrante spaccato sulle arcaiche comunità delle alture 

mongole, Tuya’s Marriage ha conquistato l’Orso d’Oro 

proseguendo sull’onda lunga dei riconoscimenti a produzioni 

cinesi attribuiti dagli ultimi festival europei. Se il Leone d’Oro 

della Mostra di Venezia era andato a Still Life di Jia Zhang Ke 

(in uscita nelle sale italiane a metà marzo), il nostro Robert 

Bresson sempre in laguna aveva premiato Zhang Yuan, regista 

di Diciassette anni e La guerra dei fiori rossi. Unico il Leitmotiv: 

ricercare sullo schermo i segni del dialogo, accostando le 

differenze socio-culturali nel nome dell’Arte. 

DIRETTORE RESPONSABILE 

Dario Edoardo Viganò 

CAPOREDATTORE 

Marina Sanna 

REDAZIONE 

Diego Giuliani, Federico Pontiggia 

CONTATTI 

redazione@cinematografo.it 

ufficiostampa@cinematografo.it 

comunicazione@cinematografo.it 

ART DIRECTOR 

Alessandro Palmieri 

HANNO COLLABORATO 

Andrea Agostini, Paolo Augenti, 

Alessandro Boschi, Gian Piero Brunetta, 

Pietro Coccia, Ermanno Comuzio, Silvio 

Danese, Francesca De Maria, Pierluigi 

Frassineti, Cesare Frioni, Enrico Magrelli, 

Luca Malavasi, Massimo Monteleone, 

Franco Montini, Morando Morandini, 

Anna Musampa, Federico Pontiggia, 

Giorgia Priolo, Angela Prudenzi, Sabrina 

Ramacci, Valerio Sammarco, Cristina 

Scognamillo, Alessandro Scotti, Boris 

Sollazzo, Marco Spagnoli, Davide Turrini, 

Chiara Ugolini, Piero Zanotto 

REGISTRAZIONE AL TRIBUNALE DI ROMA 

N. 380 del 25 luglio 1986 

STAMPA 

Società Tipografica Romana S.r.l. 

Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM) 

Finita di stampare il 26 Febbraio 2007 

MARKETING E ADVERTISING 

Eureka! S.r.l. 

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Fax: 02-45497366 - Cell. 335-5428.710 

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PROPRIETA’ ED EDITORE 

E d S 

ENTE dello SPETTACOLO 

PRESIDENTE 

Dario Edoardo Viganò 

DIRETTORE 

Antonio Urrata 

COMUNICAZIONE E SVILUPPO 

Franco Conta 

COORDINAMENTO SEGRETERIA 

Livia Fiorentino 

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE 

Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma 

Tel. 06-663.74.55 - Fax 06-663.73.21 

eds@cinematografo.it 

Associato all'USPI 

Unione Stampa 

Periodica Italiana 

Iniziativa realizzata con il 

contributo della Direzione 

Generale Cinema – Ministero 

per i Beni e le Attività Culturali

sommario 

Servizi 

18 Ozpetek svelato 

Retroscena e segreti di 

Saturno contro. E di 

un’infanzia felice 

(Marina Sanna) 

Numero 3 > Marzo 2007 

24 Riccardo Scamarcio vs. 

Laura Chiatti 

Quanto pesa essere idoli da 

teenager? La coppia di Ho 

voglia di te a confronto 

(Diego Giuliani) 

26 Borat e Death of a President 

Se la fiction fa più paura del 

documentario (e di Michael 

Moore) 

(Diego Giuliani, Federico 

Pontiggia) 

30 Arthur Penn 

Inquieto, eccentrico e il più 

europeo dei registi Usa. 

Premiato alla carriera a 

Berlino 

(Luca Malavasi) 

68 Lo strano caso di Lino 

Toffolo 

L’attore dietro la macchina 

da presa con un fantasy. 

Ambientato a Venezia 

(Piero Zanotto) 

Speciale 

33 Non aprite quella porta 

(prima parte) 

Da Lost a 24, CSI e RIS: 

aneddoti, anticipazioni e 

interviste sui serial thriller 

che danno dipendenza. Un 

fenomeno che in America 

ha cambiato la televisione e 

in Italia i gusti del pubblico 

(Hanno collaborato: 

Andrea Agostini, 

Alessandro Boschi, Pierluigi 

Frassineti, Diego Giuliani, 

Enrico Magrelli, Federico 

Pontiggia, Angela 

Prudenzi, Sabrina Ramacci, 

Cristina Scognamillo, 

Marco Spagnoli. A cura di 

Marina Sanna) 

24 

Laura Chiatti 

faccia a faccia 

con Scamarcio 

Settembre 2006 RdC 7

sommario 

I film 

54 Uno su due 

56 Il velo dipinto 

56 Asterix e i Vichinghi 

57 Diario di uno scandalo 

58 Intrigo a Berlino 

59 Perché lo dice mamma 

59 Lezioni di volo 

60 In memoria di me 

60 Correndo con le forbici in mano 

61 Still Life 

62 Guida per riconoscere 

i tuoi santi 

63 Proprietà privata 

63 L’albero della vita 

64 L’amore giovane 

64 Paprika 

65 Alpha Dog 

66 Hollywoodland 

(A. Boschi, F. De Maria, 

S. Danese, D. Giuliani, 

E. Magrelli, M. Monteleone, 

A. Musampa, F. Pontiggia, 

A. Prudenzi, B. Sollazzo, 

M. Spagnoli, D. Turrini) 

Le rubriche 

10 Tutto di tutto 

News, festival, protagonisti 

e fornelli 

(A. Agostini, M. Giannotti, 

D. Giuliani, M. Monteleone, 

M. Morandini, C. Ugolini) 

Numero 3 > Marzo 2007 

72 Dvd & Extra-Ordinari 

Truffaut da collezione e la 

Lady Snowblood amata da 

Tarantino 

(A. Scotti, M. Spagnoli) 

78 Inside Cinema 

Identikit dello 

spettatore e trucchi 

del proiezionista 

(F. Montini, 

M. Spagnoli) 

80 Libri 

Cinema, Chiesa, 

cultura e Walt Disney 

(F. Bolzoni, L. Malavasi, 

G. Priolo) 

82 Colonne sonore 

Dreamgirls e le novità del mese 

(E. Comuzio, F. Pontiggia) 

8 RdC Settembre 2006 

54 

Anita Caprioli 

in Uno su due 

di Cappuccio 

Settembre 2006 RdC 8

TuttoDiTutto 

Ultimissime in pillole dal pianeta cinema: tendenze, news, divi e fornelli 

■ A cura di Diego Giuliani 

chi fa cosa di Andrea Agostini 

10 RdC Marzo 2007 

Attento Mr. Blair 

■ Felicity Huffman tra cinema e tv. Casalinga disperata ma consolata da una pioggia di 

nomination e premi per le sue interpretazioni (Transamerica, Desperate Housewives), ha appena 

terminato le riprese di Georgia Rule, accanto a Jane Fonda e Lindsay Lohan per la regia di Garry 

Marshall (Pretty Woman). Ma non è tutto. La Huffman sarà pure la protagonista di The Politician’s 

Wife, miniserie di Channel 4 in cui sarà la moglie del primo ministro che reagisce in maniera 

bizzarra all’infedeltà del marito. Attenta Cherie Blair… 

Una Salma da sposare 

■ Matrimoni in calo vertiginoso? La 

soluzione ha un nome e un cognome: 

Salma Hayek. A rilanciare l’istituzione in 

crisi saranno a sorpresa proprio i 

gorgheggi della star messicana di Frida. 

La bizzarra trovata è alla base de La 

banda, commedia di cui l’attrice inciderà 

anche la colonna sonora. Il copione le 

riserva invece il ruolo di una casalinga 

ricca e annoiata che, abbandonata dal 

marito, per sopravvivere si improvvisa 

cantante in un gruppo che suona ai 

matrimoni. Il successo è assicurato, e il 

numero di richieste di subirà 

un’impennata imprevista. 

Murphy non ride più 

■ La doppia vita di Eddie Murphy. Confinato 

nel ruolo di comico dal Dottor Dolittle al 

prossimo Norbit, l’ex Beverly Hills Cop si è 

preso la giusta rivincita. Forte del Golden 

Globe per la sua interpretazione drammatica 

di Dreamgirls, è ora deciso a proseguire su 

questa strada. Prossima tappa il film 

Nowhereland, che gli riserverà il ruolo di un 

dirigente in crisi esistenziale e 

professionale. La soluzione? Singolare e a 

portata di mano. A salvarlo è infatti il rifugio 

che trova nel mondo immaginario creato 

dalla figlia. Le riprese inizieranno in estate. 

Mamma Jennifer fa il bis 

■ Jennifer Garner raddoppia. Nella realtà 

mamma felice e contenta, l’attrice si 

appresta ad adottare un bambino anche al 

cinema. Non sarà facile e dovrà 

combattere, ma secondo quanto lei stessa 

anticipa il film già promette scintille. A 

dirigere Juno, questo il titolo del progetto, 

sarà infatti il regista di Thank You For 

Smoking, Jason Reitman. E se con lei sul 

set ci sarà Ellen Page di X-Men, il risultato è 

“una commedia fuori dagli schemi, perché 

scritta da una sceneggiatrice fuori dagli 

schemi: un’ex spogliarellista che si fa 

chiamare Diablo Cody”. 

La Huffman 

avrà il ruolo 

della moglie del 

Primo Ministro 

inglese. Lui la 

tradisce, ma lei 

non perdona. 

Anzi…

TuttoDiTutto 


Morandini in pillole 

Quello che gli altri non dicono: riflessioni e note a posteriori di un critico DOC 

di Morando Morandini 

> 1 Febbraio Nel mio continuo lavoro per migliorare l’indice degli autori letterari sul 

Dizionario dei film Zanichelli, ho fatto una piccola scoperta. C’è un narratore statunitense 

settantenne, autore di una dozzina di romanzi sino al 1999 (alcuni dei quali molto venduti) che 

ha una particolare fortuna col cinema. Horseman, Pass By (1961), il suo primo pubblicato, 

divenne un arioso western (1963) di Martin Ritt con Paul Newman: Hud il selvaggio. Il terzo 

(1966), da lui cosceneggiato, fornì a Peter Bogdanovich il materiale di quel che rimane forse il 

suo miglior film: L’ultimo spettacolo (1971). Da Terms of Endearments (1975) è uscito Voglia di 

tenerezza (1983), prodotto, scritto e diretto da James L. Brooks, successo mondiale e cinque 

Oscar fra cui Shirley MacLaine e Jack Nicholson. Infine con I segreti di Brokeback Mountain 

(2005), Leone d’Oro a Venezia, tre Oscar e quattro Globi d’Oro, ha vinto la statuetta per la 

sceneggiatura non originale. Si chiama Larry Jeff McMurtry. 

> 3 Febbraio Nei film bellici di Hollywood si segue, con rare eccezioni, la formula FTM 

(Fasso tutto mi): la guerra è un’avventura sportiva dove vince il migliore (a stelle e strisce). I 

sovietici applicavano la formula delle tre P (Partito, Popolo, Patria). Gli italiani preferiscono il 

tipo MBF (Mamma, Bandiera, Fidanzata) e una parola d’ordine: non nominare il fascismo invano. 

In Inghilterra funziona il DCH (Decoro, Cavalleria, Humour): la guerra è una partita di cricket 

con le sue regole, i nemici sono avversari cui si deve dare del Lei, ma con una certa freddezza. 

I francesi? Li fanno raramente. I tedeschi? Danno la colpa a Hitler che era uno psicopatico. 

> 4 Febbraio Samuel Fuller, che s’intendeva e di guerra e di cinema, diceva: “Generally 

speaking, war movies are bad”. 

> 5 Febbraio Nel 2006 ho visto tre film di esordienti italiani ammirevoli: Anche libero va 

bene di Kim Rossi Stuart, L’aria salata di Alessandro Angelini e Il vento fa il suo giro di Giorgio 

Diritti. Al primo Le Monde (8-11-2006) ha dedicato quasi una pagina e in patria ha messo 

d’accordo critica e pubblico. Il secondo fatica a trovare il pubblico che merita, ma non va male: 

ha funzionato il passaparola. Già pronto nel 2005, il terzo ha fatto nel 2006 il giro di una 

ventina di festival nazionali e stranieri, raccogliendo premi e menzioni, ma non ha ancora 

trovato un distributore in Italia. Tre esordi più che promettenti in un anno: chi dice che il 

giovane cinema italiano non esiste? 

> 7 Febbraio Dal Giornale dello Spettacolo apprendo che Anplagghed di Aldo, Giovanni e 

Giacomo è al 1° posto degli spettacoli di prosa nel periodo dal 1-7-2006 al 14-01-2007, soltanto 

con 27 recite in 5 città e 62.248 spettatori, seguito da Lo zoo di vetro. 72 recite e 42.015 

biglietti e da Bello di papà (con Vincenzo Salemme, 46 recite e 37.320 biglietti). Ignoro in 

quante altre città sia passato nel primo semestre, ma è facile presumere che sia stato il 

campione teatrale d‘incassi dell’anno, con largo distacco. So, però, che soltanto nel dicembre 

2006 Anplagghed al cinema fu visto da 585.159 spettatori, piazzandosi al 6° posto della 

classifica guidata da Natale a New York con quasi 3 milioni di biglietti. E che nei primi 21 giorni 

di gennaio ebbe altri 7747 spettatori paganti. Domanda: è il teatro che è servito al cinema o 

viceversa? Risposta: è il caso non frequente di teatro e cinema come vasi comunicanti. 

> 10 Febbraio Non sono pochi, tra gli italiani che vanno abitualmente 

al cinema, coloro che fanno confusione tra sceneggiature e scenografia. 

Meno perdonabili gli addetti ai lavori. A pagina 22 del pressbook – 

peraltro esauriente sul piano informativo - di Lettere da Iwo Jima, 

distribuito dalla Warner Bros. Italia, lo scenografo Henry Bumstead, morto 

recentemente, è chiamato sceneggiatore e venti righe dopo “leggendario 

scenografo”, ma anche “direttore artistico” che è la stessa cosa. 

Traduttore distratto o un po’ ignorante? 

> 11 Febbraio Dopo aver visto un altro film di guerra, trovo in 

Tenebre su tenebre di Fernando Camon: “E’ più facile bombardare e 

distruggere un’intera città che torturare un solo prigioniero. La strage è 

più semplice dell’omicidio”. 

Alba da paura 

EdS e Infinity a convegno sugli 

orrori contemporanei. Gli 

antidoti? Arriaga, Ferrario & Co. 

Paura, senza delirio, ad Alba. Ente dello 

Spettacolo e Alba International Film 

Festival organizzano un convegno sul 

tema della paura, in programma dal 2 

al 4 aprile. Schietto il punto di 

partenza: come dice Susan Sontag, 

quando abbiamo paura noi uomini 

spariamo! Come trovare uno scudo, 

dunque? Innanzitutto, analizzando le 

ricadute sociali, filosofiche, politiche 

ed esistenziali della paura, nella 

speranza di rintuzzarle. Tra gli antidoti 

offerti da Infinity Festival, ci sarà lo 

sceneggiatore Guillermo Arriaga, che 

nella trilogia del dolore diretta da 

Alejandro Gonzalez Iñarritu (Amores 

perros, 21 grammi, Babel) ha esplorato 

i multiformi volti del terrore 

contemporaneo, tra ansia, 

inquietudine esistenziale e violenza 

nonsense. Un altro giorno di 

straordinaria follia vedrà protagonisti i 

filosofi Giacomo Marramao e Giuseppe 

Goisis, che si inerpicheranno sul 

crinale teoretico della paura in 

compagnia del regista Davide Ferrario, 

autore del recente documentario La 

strada di Levi, ovvero la (non) Tregua 

cinquant’anni dopo. E ancora, come è 

cambiato il nostro mondo, anche 

interiore, dopo l’11 settembre 2001? 

Proveranno a dissipare la polvere 

sollevata dalle Torri Gemelle Marco 

Belpoliti, giornalista sulle tracce della 

verità, quella che fa paura, e Franco 

Fracassi, co-autore con Giulietto 

Chiesa del documentario-shock Zero - 

Investigation on 9/11… Non mancherà 

una declinazione femminile, di stretta, 

drammatica attualità, affidata a Souad 

Sbai, portavoce della donne islamiche 

in Italia. Paurosi di tutto il mondo, Alba 

vi aspetta... 

appuntamenti

credits not contractual 

SND PRESENTA "ASTERIX E I VICHINGHI" UNA PRODUZIONE M6 STUDIO, MANDARIN SAS E 2D3D ANIMATIONS DALLE OPERE DI RENE GOSCINNY E ALBERT UDERZO 

DIRITTI DI ADATTAMENTO: LES EDITIONS ALBERT RENE SCENEGGIATURA E DIALOGHI JEAN-LUC GOOSSENS CON LA COLLABORAZIONE DI STEFAN FJELDMARK 

DIALOGHI AGGIUNTIVI PHILIP LAZEBNIK MUSICHE ORIGINALI DI ALEXANDRE AZARIA DIRETTO DA STEFAN FJELDMARK E JESPER MOLLER 

PRODOTTO DA NATALIE ALTMANN E THOMAS VALENTIN CON LA PARTECIPAZIONE DI TPS STAR ED M6 IN ASSOCIAZIONE CON A FILM A/S 

© 2006 M6 Studio - Mandarin SAS - 2d3D Animations. Tous droits réservés. Visa n°109 668 Création © 2005 SND. Conception A Film/Neomis. France Affiche RCS 330 543 042 

DA MARZO AL CINEMA 

AMBRAQUARI

TuttoDiTutto 

divi al fornello di Chiara Ugolini 


f 

> IL PERSONAGGIO 

Nome Vanessa Incontrada 

Provenienza Barcellona, Spagna 

Il film d’esordio Il cuore altrove 

Il miglior film A/R Andata + Ritorno 

L’ultimo film La cena per farli 

conoscere 

 

 

 

 

> LE SPECIALITA’ 

Coscette di pollo al vino bianco 

 

 

Il bollito 

Il tiramisù 

> LA SCELTA 

■ “Sono molto casalinga, 

non mi piace troppo la 

mondanità. Amo uscire con 

gli amici oppure starmene 

tranquilla con il fidanzato e 

quando sono a casa cucino”. 

A Vanessa Incontrada, 

mamma spagnola e papà 

italiano, il nostro paese ha 

portato bene. Grazie al 

cinema, ma soprattutto alla 

televisione. Sarà per questo 

che quando si mette ai 

fornelli cucina italiano: 

niente paella o tortilla de 

patatas. E’ una passione agli 

esordi quella di Vanessa, che 

sta cominciando a prendere 

confidenza con padelle e 

strumenti da cucina per lo 

più per divertimento. O forse 

per entrare meglio nel ruolo. 

In uno dei prossimi film in cui 

la vedremo, Tutte le donne 

della mia vita di Simona Izzo, 

interpreta proprio una cuoca 

accanto allo chef Luca 

Zingaretti. “Sto solo 

iniziando, però mi piace. Ho 

tre cose che mi vengono 

benissimo: le coscette di 

pollo al vino bianco, il bollito 

e il tiramisù”. 

N.I.C.E. 2007 

Sito web www.nicefestival.org 

Dove Amsterdam, Olanda - San 

Pietroburgo/Mosca/Perm, Russia 

Quando 1-14 marzo / 22 marzo - 3 

aprile 

Resp. Viviana del Bianco 

tel. (055) 290393 (riferim. a Firenze) 

fax. (055) 214576 

E-mail info@nicefestival.org 

X edizione, in entrambi i paesi, per la 

manifestazione organizzata dal New 

Italian Cinema Events di Firenze. In 

programma 7 lungometraggi, 

selezionati fra le migliori opere 

italiane di autori emergenti, eventi 

speciali e incontri con i registi. 

FESTIVAL DEL CINEMA AFRICANO, 

D’ASIA E AMERICA LATINA 

Sito web 

www.festivalcinemaafricano.org 

Dove Milano, Italia 

Quando 19-25 marzo 

Resp. A. Speciale, A. Gallone, G. 

Rigamonti 

tel. (02) 6696258 

fax. (02) 66714338 

E-mail festival@coeweb.org 

XVII edizione dell’importante 

finestra esplorativa, che presenta 

film africani ma anche provenienti 

da Asia e America Latina (per il 

concorso “Finestre sul mondo”). 

Previste sezioni di concorso anche 

per “corti” e documentari, e una 

retrospettiva. A cura del C.O.E. 

DIAGONALE – FESTIVAL DES 

OSTERREICHISCHEN FILMS 

Sito web www.diagonale.at 

Dove Graz, Austria 


Resp. Birgit Flos 

tel. (0043-1) 5954556 (riferimento a 

Vienna) 

fax. (0043-1) 595455610 

E-mail wien@diagonale.at 

IX forum sulla produzione austriaca 

di cinema e video, a carattere 

competitivo. 

BERGAMO FILM MEETING 

Sito web 

www.bergamofilmmeeting.it 

Dove Bergamo, Italia 


Resp. E. Martini, A. Signorelli 

tel. (035) 363087 

fax. (035) 341255 

E-mail info@bergamofilmmeeting.it 

XXV edizione dell’autorevole vetrina 

del cinema indipendente 

internazionale, con anteprime. I film 

della mostra-concorso partecipano 

per l’assegnazione delle Rose 

Camune. In programma quest’anno la 

retrospettiva “Ricorda con rabbia: 

cinema inglese dagli anni ‘50 ad 

oggi” e una personale su Jan Sveràk. 

TAMPERE INTERNATIONAL SHORT 

FILM FESTIVAL 

Sito web www.tamperefilmfestival.fi 

Dove Tampere, Finlandia 


Resp. Jukka-Pekka Laakso 

tel. (00358-3) 2235681 

fax. (00358-3) 2230121 

E-mail office@tamperefilmfestival.fi 

XXXVII edizione della maggiore e 

longeva rassegna nordeuropea 

dedicata ai cortometraggi. Il 

concorso riguarda opere di fiction, 

d’animazione e documentaristiche, 

anche realizzate da studenti. 

FIFA – FESTIVAL INTERNATIONAL 

DU FILM SUR L’ART 

Sito web www.artfifa.com 

Dove Montréal (Quebec), Canada 


Resp. René Rozon 

tel. (001-514) 8741637 

fax. (001-514) 8749929 

E-mail info@artfifa.com 

XXV appuntamento con la 

manifestazione interdisciplinare 

dedicata a film e video riguardanti 

qualsiasi forma d’arte. Prevede un 

concorso. 

BUFF - INTERNATIONAL 

CHILDREN AND YOUNG PEOPLE’S 

FILM FESTIVAL IN MALMO 

Sito web www.buff.se 

Dove Malmo, Svezia 


Resp. Lennart Strom 

tel. (0046-40) 239211 

fax. (0046-40) 305322 

E-mail info@buff.se 

XXIV edizione del festival competitivo 

che presenta lungometraggi a 

soggetto, corti e documentari 

destinati a bambini e adolescenti. 

FESTIVAL INTERNATIONAL DE 

FILMS DE FRIBOURG 

Sito web www.fiff.ch 

Dove Friburgo, Svizzera 


Resp. Martial Knaebel 

tel. (0041-26) 3474200 

fax. (0041-26) 3474201 

E-mail info@fiff.ch 

XXI edizione del festival 

internazionale, con sezioni 

competitive, specializzato nelle 

cinematografie d’Asia, America 

Latina e Africa. In programma 

lungometraggi di fiction, 

documentari e opere indipendenti. 

SAN FRANCISCO INTERNATIONAL 

ASIAN-AMERICAN FILM FESTIVAL 

Sito web 

www.asianamericanfilmfestival.org 

Dove San Francisco, Berkeley, San 

Jose (California), USA 


Resp. Chi-hui Yang 

tel. (001-415) 8630814 

fax. (001-415) 8637428 

E-mail 

festival@asianamericanmedia.org 

XXV edizione della principale 

rassegna nordamericana 

specializzata nel cinema asiatico e 

americano-asiatico (lunghi e 

cortometraggi, documentari, 

animazione, sperimentali). Non 

prevede concorso. 

SAMSUNG KOREA FILM FEST 

Sito web www.koreafilmfest.com 

Dove Firenze, Italia 


Resp. Riccardo Gelli 

tel. (055) 5535858 

fax. (055) 582029 

E-mail info@koreafilmfest.com 

V edizione del festival internazionale 

di cinema e cultura della Corea del 

Sud, unico nel suo genere in Italia, 

che offre circa 40 film fra anteprime 

e classici. Previsti anche 

cortometraggi, due retrospettive e 

dibattiti sul folclore coreano. 

festival del mese di Massimo Monteleone

CATTLEYA e RAI CINEMA presentano 

ANDREA 

MIGLIO RISI 

GIOVANNA MEZZOGIORNO 

TOM 

KARUMATHY 

UN FILM DI 

FRANCESCA ARCHIBUGI 

ANNA 

GALIENA 

CATTLEYA e RAI CINEMA presentano 

una coproduzione Italia – Regno Unito – India – Francia una produzione CATTLEYA in collaborazione con RAI CINEMA in coproduzione con FLYING LESSONS FILMS (UK) LIMITED – KHUSSRO FILMS – BABE FILMS in collaborazione con CINEMELLO 

un film di FRANCESCA ARCHIBUGI "LEZIONI DI VOLO" GIOVANNA MEZZOGIORNO ANDREA MIGLIO RISI TOM KARUMATHY ANNA GALIENA FLAVIO BUCCI ROBERTO CITRAN ARCHIE PANJABI MARIANO RIGILLO 

con DOUGLAS HENSHALL con la partecipazione di ANGELA FINOCCHIARO soggetto FRANCESCA ARCHIBUGI sceneggiatura DORIANA LEONDEFF e FRANCESCA ARCHIBUGI casting e aiuto regia ELISABETTA BONI suono GIANCARLO DELLAPINA 

costumi SONOO DEENANATH MISHRA ALESSANDRO LAI scenografie DAVIDE BASSAN musiche BATTISTA LENA montaggio ESMERALDA CALABRIA JACOPO QUADRI direttore della fotografia PASQUALE MARI 

produttore esecutivo Cattleya MATTEO DE LAURENTIIS coprodotto da FEROZE ALAMEER FABIO CONVERSI TERENCE S. POTTER JACQUELINE QUELLA prodotto da RICCARDO TOZZI GUIDO DE LAURENTIIS GIOVANNI STABILINI MARCO CHIMENZ 

diretto da FRANCESCA ARCHIBUGI 

Khussro Films www.01distribution.it 

DAL 16 MARZO AL CINEMA 

CON LA PARTECIPAZIONE DI 

ANGELA 

FINOCCHIARO

TuttoDiTutto 

Il grande schermo a tu per tu. 

Ovvero finta intervista a personaggi 

realmente esistiti. Al cinema 

[ ] 

Il personaggio 

Maggie 

Il film 

La gatta sul tetto 

che scotta 

Il regista 

Richard Brooks 

L’attrice 

Liz Taylor 

“Un’azienda 

non si può far 

crescere 

rispettando chi ci 

lavora. Al giorno 

d’oggi devi solo 

fregarli. Dargli 

di meno e 

chiedergli 

sempre di più” 


■ Brick (Paul Newman), un ex 

giocatore di football, è diventato 

alcolista in seguito al trauma del 

suicidio di un amico. Al suo fianco 

c’è Maggie (Liz Taylor), sua moglie, 

che prova invano a scuoterlo e a 

fargli ritrovare la voglia di amarlo. 

Brick deve affrontare la malattia 

che sta per condannare il padre 

(Burl Ives), proprietario di una ricca 

azienda, e gli attacchi del fratello 

(Jack Carson) e della cognata 

(Madelaine Sherwood), interessati 

all’eredità. Basato su una 

commedia di Tennessee Williams e 

diretto da Richard Brooks, il film 

ebbe 6 nomination all’Oscar, 

comprese quelle per i due 

protagonisti. Per trovare Maggie la 

gatta ho dovuto faticare. E’ in una 

fattoria dell’Ohio. Ci arrivo in aereo 

prima e poi con un’auto noleggiata. 

Maggie la gatta indossa il vestito 

bianco con cui aveva detto a Brick, 

alla fine del film, che aspettava un 

figlio. Ora di figli ne ha 25: sono 

quelli di un asilo dell’Ohio, figli di 

operai, di povera gente, dove i 

riflettori non si accendono mai; lei 

I PROTAGONISTI 

DI MARCELLO GIANNOTTI 

fa la maestra in quella scuola. 

Signora Maggie, è uno 

splendore. Complimenti, la trovo 

straordinariamente bella, come 

se il tempo non fosse passato. 

La ringrazio, caro. Sono serena, 

questo è tutto. Vivo la vita che 

voglio, accanto al mio Brick e ai 

nostri figli. E sto qui, in questo 

asilo, dove do un senso alla mia 

vita. 

Immagino che abbiate lasciato 

l’azienda di vostro suocero, alla 

sua morte… 

Sì, con Brick abbiamo deciso di 

andare a vivere da un’altra parte. 

Difficilmente riesci a far crescere 

un’azienda rispettando le persone 

che ci lavorano, ai tempi d’oggi: 

devi cercare di fregarli il più 

possibile, dargli meno e chiedergli 

di più. Alla fine sarei diventata 

un’imprenditrice ricca ma brutta. 

Uno di quei mostri senza collo. Se 

n’è mai accorto? Non hanno collo 

quelle persone lì e non li puoi 

neanche strozzare. 

Suo cognato, invece, è rimasto 

assieme a sua moglie in azienda. 

Una di quelle che fatturano di 

più in America. 

Certo, faticano, lavorano e sono 

sempre più brutti e bacchettoni. I 

rapporti tra noi non sono buoni. Ci 

vediamo una volta l’anno ma 

finisce sempre che litighiamo. Mi 

diverto, l’ultima volta le ho sputato 

un chewingum in faccia. Mi ha 

confessato che si sentiva tanto 

sola, sembrava avesse bisogno 

d’aiuto. Le ho detto di sentire il suo 

cuore, finalmente. Mi ha riso in 

faccia e dato della pazza, 

accusando Brick di essere un 

ubriacone. 

Già, Brick… come sta suo 

marito? 

Benissimo, insegna educazione 

fisica ai ragazzi e lavora poco. Mi 

rispetta, mi ama, sa che non può 

permettersi il lusso di distrarsi. Io 

mi accorgerei di tutto, lui sa bene 

che sono come una gatta sul tetto 

di una lamiera rovente. 

Si è disintossicato dall’alcol in 

qualche clinica specializzata? 

Non ce n’è stato bisogno, mio caro. 

Abbiamo passato e visto di tutto, 

lui ha alzato la voce e anche le 

mani su di me, io gli ho risposto e 

così ha imparato a rispettarmi. Sa 

che ricevo un sacco di lettere da 

donne che si sono ispirate a me per 

ritrovare la dignità perduta? Ma 

oggi, a quanto vedo, tante ragazze 

sono confuse, sentono poco il loro 

cuore. E’ quella la vera tragedia. 

Non sa cosa significhi sopportare 

gente piena di quattrini ma che 

non si ama. 

Beh, signora Maggie, ora mi pare 

davvero un quadretto troppo 

idilliaco, il massimo della virtù 

zuccherosa. Suo marito, l’ha 

detto lei stessa, non è uno 

stinco di santo. Non lo sarà 

diventato adesso? 

Non parli così di lui! Lei è venuto 

qui solo nella speranza di trovare 

una crisi matrimoniale da 

raccontare ai giornali. Invece non è 

così, non c’è notizia. La prego, se 

ne torni a casa. 

Vuol farmi credere che una bella 

donna come lei, nel 2007, sia 

ancora attaccata a certi valori? 

Qui nell’Ohio a volte si sarà 

sentita sola, magari avrà 

trovato compagnia... Dico così 

per dire, per carità, ma siamo 

persone di mondo… 

Mi dica un’altra spiritosata così e 

non solo le sputo in un occhio ma 

glieli faccio neri tutti e due. Parola 

di Maggie la gatta. Ed ora, togliti 

dai piedi.

SUNDANCE FILM FESTIVAL 

PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA 

PREMIO PER LA REGIA 

DAL 9 MARZO AL CINEMA 

63ª MOSTRA INTERNAZIONALE 

DEL CINEMA DI VENEZIA 

PREMIO SETTIMANA INTERNAZIONALE 

DELLA CRITICA

INTERVISTA 

NNel corridoio, su una mensola quasi 

invisibile, sono allineati i premi. Porte si 

aprono su stanze colorate, la casa racconta 

di culture diverse che si sono incrociate e 

contaminate. E’ il mondo di Ferzan 

Ozpetek, regista turco che vive da anni in 

Italia, a Roma, dove ha studiato e realizzato 

sei film. L’ultimo, Saturno contro, è una 

meditazione dolorosa sulla morte, gli affetti 

e la più grande piaga di questi anni: 

l’incapacità di separarsi. Mentre alterna 

aneddoti a pezzi di vita, con ironia e 

leggerezza, scopriamo una passione 

comune: i serial televisivi (vedi inserto a 

pag. 33). Accanto al divano c’è una libreria 

in cui si intravedono numerosi cofanetti, 

da Heimat a 24, ordinati e appoggiati con 

gusto alla parete azzurrina. “Impazzisco per 

le serie - dice -. Soprattutto Six Feet Under 

e Casalinghe disperate. Ho divorato anche 

24: ho passato nove ore consecutive con gli 

amici e la pizza davanti alla tv. Siamo 

rimasti attaccati!”. 

Una volta incominciato, il processo 

diventa irreversibile. 

E’ proprio così. Quando ho visto 24 ho 

pensato: un capolavoro. Però col passare del 

tempo ho scoperto che manca di 

profondità. Six Feet Under (n.d.r. la famiglia 

di becchini) è nettamente superiore. 

E Lost allora? 

L’ho visto in maniera discontinua, perlopiù 

da solo. Per apprezzare il cibo come l’arte, 

devo condividere, ho bisogno del gruppo. 

Ti piace cucinare? 

zpetek 

Moltissimo. Adesso sono a dieta (n.d.r. 

dopo aver letto un articolo in cui veniva 

l’alchimista 

Gli affetti, l’infanzia, il lavoro con gli attori: il regista di Saturno contro racconta come è riuscito a mettere tutto 


FOTO: ROMOLO EUCALITTO 

DI MARINA SANNA

dentro un (bellissimo) film 

Ferzan Ozpetek 

e il cast corale 

di Saturno contro. 

Accanto Stefano 

Accorsi e Isabella 

Ferrari 

Marzo 2007 RdC 19

INTERVISTA 

definito una palla di burro) e ho dovuto 

trovare un compromesso, altrimenti crollava 

la casa, non veniva più nessuno. Cucino 

verdure, almeno 20 tipi differenti e condite 

con le spezie. 

Hai mai pensato di dirigere una serie 

televisiva? 

Avevo proposto un progetto sulle Fate 

ignoranti, la storia del palazzo e di chi ci 

viveva. Non se ne è fatto nulla. In passato ho 

avuto anche offerte interessanti ma non ho 

mai accettato. Però se oggi potessi fare una 

serie con questo gruppo di attori firmerei 

subito. 

E’ per questo che funzionano così bene? 

Con tutti gli attori ho avuto un rapporto 

bello e ricambiato. Pierfrancesco Favino mi 

piace moltissimo ma anche Stefano Accorsi, 

se si lascia andare, è molto bravo. 

Quando abbraccia la Buy e le confessa di 

essere innamorato di un’altra… 

Fa la parte di un uomo piccolo, un vigliacco 

che non riesce a prendere una decisione. Lei 

alla fine lo capisce e prova compassione. Gli 

amici e la salute sono le uniche cose che 

contano nella vita. E’ importante avere le 

“Ambra Angiolini e Luca 

Argentero si sono 

commossi spesso. Erano 

entrati in sintonia, Ambra 

piangeva sul serio” 


persone vicino, soprattutto quelle con cui hai 

condiviso un affetto. 

Questo film è più drammatico ed 

equilibrato degli altri. Lo consideri un 

punto di arrivo? 

Fa parte di un percorso intimo, legato alla 

mia infanzia. Ho visto mia madre piangere il 

primo marito ed essere molto felice con mio 

padre. Mi ripete sempre: “Il tempo è come la 

notte. Mette un velo sulle cose e le fa 

diventare soffici”. Quando sono arrabbiato 

mi consiglia di andare a dormire e ripensarci 

l’indomani. 

Lo faceva anche Rossella O’Hara… 

Forse vedo le cose in modo diverso perché 

sono cresciuto tra le moschee e le campane 

delle chiese, in un bel quartiere di Istanbul 

in cui c’era di tutto. In estate arrivavano i 

greci e mia madre mi pregava di portargli 

subito la pietanza tipica di quel periodo. 

Secondo l’usanza il piatto non può essere 

rimandato vuoto, così correvo da una parte 

all’altra e alla fine della giornata ero stanco 

morto. E’ un ricordo meraviglioso. 

In Saturno contro Margherita Buy, pur 

interpretando sempre lo stesso ruolo, dà 

una prova attoriale decisamente diversa. 

Ero terrorizzato dal cliché che lei, scherzando, 

ha riassunto così: “Sono la donna più 

abbandonata della storia del cinema italiano”. 

Qui però non sfoga la sua rabbia, è 

trattenuta, silenziosa. 

Mentre giravate la Finestra di fronte 

Giovanna Mezzogiorno raccontava che 

con lei stavi facendo un grande lavoro 

sulla recitazione. 

Agli attori dico di recitare la battuta, poi al 

secondo ciak gli chiedo di ripetere la scena 

senza parlare. Di esprimersi con lo sguardo. 

Ambra Angiolini e Luca Argentero, che sono 

alle prime armi, si sono commossi spesso. 

Erano entrati in sintonia, Ambra piangeva 

sul serio. 

Il segreto? 

Le letture collettive. Io e Gianni Romoli 

abbiamo rimaneggiato lo script non so 

quante volte. In questa fase metà della 

sceneggiatura viene buttata, pensiamo sia 

giusto modificare o rivedere dialoghi e 

situazioni. Quindi il lavoro con gli attori è 

molto importante, il film e la casa diventano 

di tutti e tra loro si sviluppa un legame.

Quanto durano le letture? 

Circa due settimane. 

Poi incominci a girare? 

No, interrompiamo per due settimane. 

Quindi hanno inizio le riprese e il film 

continua a cambiare. 

In Saturno contro che cosa è successo? 

La fine era diversa. Argentero tornava, 

senza dare spiegazioni, e si sedeva a tavola 

con Favino, Accorsi e gli altri. Noi e lo 

spettatore ci allontanavamo ed entrava la 

voce fuori campo. Poi ho pensato: sempre 

le tavolate, il cibo… Le condizioni 

atmosferiche mi hanno aiutato a prendere 

tempo… 

La scelta di ambientare la parte finale al 

Circeo è dovuta a un motivo particolare? 

Ci hanno vissuto Ingrid Bergman e 

Roberto Rossellini! Si sente che in quel 

luogo c’è stata una passione meravigliosa. 

Ma la cosa più bizzarra è che trecento metri 

sotto la villa c’è la tomba di Anna Magnani. 

Mi sono lasciato influenzare anche dagli 

ambienti e dalle situazioni. 

E da Saturno… 

(Ride) In realtà non ne capisco granché, il 

titolo originale era Mentre Lorenzo dorme, 

poi una mia amica turca espertissima di 

astrologia mi ha detto l’estate scorsa che 

avevo Saturno contro e il film doveva uscire 

a fine febbraio o marzo, meglio aprile. In 

questi mesi accade qualcosa nel mio segno, 

l’Acquario, una congiuntura fortunata e 

irripetibile per la carriera e gli affari. Mi 

sono informato e ho scoperto che Saturno 

non è negativo, invita all’introspezione. E i 

miei personaggi sono così, succede una cosa 

grave che li porta a riflettere, a guardarsi 

dentro. 

Qual è il film a cui sei più legato? 

Questo. Anche se si dice sempre dell’ultimo, 

qui ci sono attori e affetti che si mescolano 

con la mia vita. C’è uno sguardo diverso, più 

cosciente. 

E’ curioso che tu ed Eugenio Cappuccio, 

che uscite nelle sale quasi 

contemporaneamente, abbiate ambientato 

parte delle vostre storie in un ospedale… 

So però che Uno su due è diverso da Saturno 

contro. Per quanto mi riguarda penso di essere 

stato condizionato da fatti che sono accaduti 

ultimamente. Ho paura di morire, prima non 

lo dicevo mai. Io che tento di avere sempre la 

situazione sotto controllo come posso 

eliminare questa paura? Da una parte mi 

rassicura avere delle persone intorno. 

Dall’altra raccontarlo mi ha fatto sentire 

molto meglio. ✪ 

FERZAN IN PILLOLE 

■ Nato ad Istanbul nel ’59 si trasferisce a diciannove anni in Italia per 

studiare Storia del cinema. 

■ Nel 1982 è assistente alla regia di Massimo Troisi in Scusate il ritardo, 

poi di Maurizio Ponzi in Son Contento. 

■ Il primo film Il bagno turco - Hamam ha grande successo di critica e 

di pubblico sia in Italia che all’estero, seguono Harem suare, Le fate 

ignoranti, La finestra di fronte e Cuore sacro. 

■ In Saturno contro dirige un bel cast corale (Favino, Ennio 

Fantastichini, l’amica Serra Yilmaz, Isabella Ferrari, Argentero, Ambra...) 

e riunisce la coppia Accorsi-Buy di Le fate ignoranti. Bravissimi. 

Ozpetek. Accanto 

Margherita Buy e 

Accorsi; sotto Luca 

Argentero e Ambra 

Angiolini 

FOTO: PIETRO COCCIA

COPPIE DA MANUALE 


Mondo Scamarcio 

Striscioni, fan impazzite, tifo da stadio. C’è un 27enne, in Italia, che da solo fa star-system. 

Tre metri sopra il cielo? Macché: “Io recito e basta” 

COPERTINE DI ROTOCALCHI, 

ATTENZIONE morbosa per le sue 

faccende private, immagine di bello e 

maledetto che gli hanno cucito addosso 

film come Romanzo criminale e Texas: se 

in Italia è vero che non c’è lo star-system, 

il “caso Scamarcio” fa però davvero 

pensare a un divo. In primavera in Mio 

fratello è figlio unico di Luchetti e da 

poco reduce dalla due giorni di Go Go 

Tales con Abel Ferrara, dal 9 marzo 

Riccardo Scamarcio è al cinema con 

Laura Chiatti in Ho voglia di te: sequel 

del Tre metri sopra il cielo che lo aveva 

lanciato nel 2004, diretto da 

Luis Prieto e sempre ispirato a 

un cult adolescenziale di 

Federico Moccia. 

Il ruolo di Step ti sta ormai 

un po’ stretto? 

L’operazione è chiaramente un 

film “di genere”. Non ha 

alcuna pretesa 

DI DIEGO GIULIANI 

Riccardo 

Scamarcio e 

Laura Chiatti in 

una scena di 

Ho voglia di te 

autoriale, soprattutto dal punto di vista 

drammaturgico. Quando accetto un 

ruolo, abbandono però qualsiasi 

preconcetto. Perché se per primo non lo 

amo io, un personaggio, non potrà 

amarlo neanche il pubblico. 

Cronache recenti parlano di folle 

oceaniche, addetti stampa travolti 

dalle ragazzine. Qual è l’approccio più 

fantasioso o molesto che hai ricevuto 

dalle fan? 

Per Manuale d’amore - Capitoli successivi 

hanno fatto degli striscioni pazzeschi. 

Uno dei più divertenti, alludendo alla 

famosa scena di sesso con la mia 

fisioterapista, diceva: “Non possiamo 

diventare Monica Bellucci, ma ci 

accontentiamo di fare la sedia a rotelle”. 

Quando tutto ciò nasce dalla stima, può 

anche essere impetuoso e travolgerti, ma COCCIA 

lo percepisci sempre come una 

manifestazione d’affetto. Se invece sotto PIETRO 

c’è un’isteria che rivela frustrazioni FOTO:

individuali, la questione cambia 

completamente. 

Come vivi il rapporto con i fan? 

Io non ho si-to, non chat-to, non e-sisto 

(ndr: scandendo le sillabe). Sono 

contento dell’affetto che mi manifesta il 

pubblico, ma rifiuto qualsiasi dialogo. 

Credo sia sbagliato parlargli 

personalmente. Attraverso poi cosa? 

Internet? Le chat? In rete accadono cose 

assurde e so che in tanti usano la mia 

faccia come gli pare. Non voglio 

neanche denunciarli, perché non me ne 

frega niente. Io faccio l’attore e il mio 

solo modo per parlare coi fan sono i 

film. 

Il meglio e il peggio del tuo lavoro? 

Quello che mi appassiona di più è il set: 

tutto ciò che riguarda la creazione del 

film. A piacermi di meno è invece senza 

dubbio “l’altro lavoro”: la promozione, 

le comparsate, le interviste. Alla stampa 

parlo con troppa spontaneità. Dovrei 

essere più furbo: dare ai giornalisti 

quello che vogliono, fare il simpatico, 

tirare fuori la battuta giusta… 

Da Ho voglia di te a Go Go Tales di 

Abel Ferrara. Questo sì che è alzare il 

tiro… 

Sì, è stata un’esperienza incredibile. 

Ferrara fa tutto quello che teoricamente 

non si dovrebbe fare. Sul suo set non c’è 

religione: mette due macchine da presa 

che girano come pazze, entra in scena, 

parla agli attori durante i ciak. Molti lo 

considerano un pazzo, un fuori di testa. 

In realtà è tutto il contrario. Non hanno 

capito che è puro genio e sregolatezza. 

Si è trattato di un ruolo piccolissimo, 

ma aver lavorato con lui, anche soltanto 

un giorno, è stato per me un privilegio e 

una lezione. 

Una tua recente affermazione ha 

sollevato un polverone: “Il maschio è 

il capobranco e la femmina deve stare 

accanto a lui per occuparsi dei figli”. 

Nella prima parte mi riconosco. La 

seconda era invece una battuta, 

riportata in maniera fuorviante. Sono il 

primo a sostenere che la donna debba 

avere la sua indipendenza e il suo ruolo 

nella società. Ci sono però delle 

differenze a cui non riesco a passare 

sopra. Se vado al ristorante con due 

amiche, devo essere io ad aprire la porta 

e io a pagare il conto. E’ più forte di me, 

un istinto fisiologico. 

“Sono contento dell’affetto 

che mi manifesta il pubblico, 

ma rifiuto ogni dialogo. 

Credo sia sbagliato parlargli 

di persona” 

Chiatti alla deriva 

Laura dietro le quinte: “In amore sono una catastrofe e di politica non capisco niente. 

Meno male che ci sono le amiche” DI DIEGO GIULIANI 

AMORE 

Strategie? Assolutamente no. Quando sono 

innamorata metto l’orgoglio sotto i piedi. 

Nessuno ci crede, ma sono una sfortunata 

cronica. Appena gli uomini scoprono che 

faccio l’attrice si mettono paura, pensano 

che sia inaffidabile e se la danno a gambe. 

“BANFITE” 

Una malattia da cui siamo affetti io e 

Riccardo Scamarcio. Io amo cioè Banfi, lui 

da pugliese lo imita benissimo. Durante le 

riprese passavamo tutto il giorno a recitarci 

battute dei suoi film. Soprattutto quando 

ci sentivamo più insicuri, come per la scena 

d’amore, è stato questo a salvarci. 

S.O.S. CINEMA 

Mi piacerebbe lavorare con Amelio e 

Verdone. In particolare vorrei interpretare 

un ruolo comico, perché in fondo è comica 

che mi sento. Poi Sorrentino mi ha detto: 

“Dovresti fare soltanto ruoli drammatici, 

perché hai il dramma negli occhi”. E’ stato 

un grandissimo complimento, ma mi ha 

spiazzato completamente. 

CORTEGGIAMENTI 

Una sera sono partita da Perugia per un 

uomo che neanche mi rispondeva al 

telefono. Ho impostato il navigatore 

satellitare, che avevo comprato apposta e 

sono andata a casa sua. Con una 

bomboletta spray ho imbrattato tutto il 

pavimento antico dell’atrio del suo palazzo. 

Risultato: il giorno dopo mi ha chiamato, 

arrabbiatissimo, perché l’amministratore gli 

aveva messo in conto 350 euro di danni. 

UOMINI & DONNE 

La differenza è che la donna insiste e 

l’uomo desiste. Manda un paio di sms, ti 

corteggia per una settimana e poi se non 

funziona lascia subito perdere. Una volta, 

entrando nella stanza dell’albergo, ho però 

scoperto che un ammiratore mi aveva 

riempito il bagno di palloncini rossi. 

AMICIZIA 

Un valore fondamentale. Alcune ex 

compagne di classe tentennano nel 

salutarmi perché pensano che ormai non 

me le fili più. Le mie amiche 

dell’UniEuro invece sono fantastiche. Le 

vado a trovare mentre lavorano, porto 

loro bibite e gelati, mi fanno sentire 

sempre la stessa. 

PASSAGGIO IN CASSA 

In tutta onestà lavoro soprattutto per i 

soldi. Papà metalmeccanico, mamma 

negoziante: provengo da una famiglia 

FOTO: ALESSANDRO LANARI 

modesta. Sotto le stesso tetto vivono anche 

mia nonna e mia sorella col marito e la 

figlia. A sedici anni mi sono trovata a 

guadagnare quanto mio padre portava a 

casa in un mese. Coi primi soldi mi sono 

quindi subito comprata la macchina e un 

appartamentino a Perugia. 

POLITICA 

Non ne capisco niente, ma simpatizzo per 

Berlusconi. Credo sia un grande 

comunicatore e una persona molto 

divertente. Purtroppo, appartenendo a 

questo ambiente mi tocca dire il contrario, 

ma vorrei la pena di morte. Alle ultime 

elezioni in compenso ho votato Verdi. E ho 

fatto un cuore sulla bandierina 

di Forza Italia. 

Marzo 2007 RdC 25

PRIMO PIANO 

ADDIOMICHAEL 

La denuncia diretta è preistoria. La nuova frontiera si chiama docmock: realtà in salsa fiction, per 

Un esempio? Anzi due: Borat e Death of a President DI DIEGO GIULIANI E FEDERICO PONTIGGIA 

26 RdC Marzo 2007

MOORE 

spingersi dove non osano i documentari. 

In mezzo a catapecchie e caprette, un 

reporter intervista dei contadini sdentati. 

Stati Uniti, 19 ottobre 2007: George W. 

Bush si prepara a un intervento col gotha 

dell’economia. Mentre il reporter presenta 

alle telecamere la sorella come la quarta 

prostituta più famosa del Kazakistan, a Chicago 

un folle colpisce a morte il 43° Presidente degli 

Stati Uniti. Schizofrenia e associazioni indebite? 

Tutt’altro. Nelle sale coi titoli di Borat e Death 

of a President, risponde in codice al nome di 

docmock: realtà mascherata da fiction, per 

superare i limiti del documentario. Che sia uno 

Studio culturale sull’America a beneficio della 

gloriosa nazione del Kazakistan o il fantapolitico 

assassinio dell’uomo più potente del pianeta, 

l’operazione è sempre la stessa. Quella ben colta 

dalla giuria del Festival di Toronto, che ha 

assegnato il Premio della Critica a Death of a 

President “per l’audacia con cui deforma la 

realtà, al fine di raccontare una verità più 

grande”. 

BANG BANG BUSH 

Eloquente premessa di Death of a President è la 

locandina con cui viene lanciato in Italia: una 

lapide col nome di George W. Bush. La data di 

morte è il 19 ottobre 2007: giorno in cui nella 

ricostruzione di Range un cecchino elimina il 

presidente. Attraverso filmati di repertorio e 

interviste allo staff di Bush, la storia si snoda 

come una caccia al killer. Il paese cerca vendetta 

e la polizia gliela dà in tempi record. I sospetti 

cadono su un immigrato siriano, dipendente di 

un’impresa di pulizie. Su di lui l’ombra di Al 

Qaeda: quanto basta perché scatti la 

rappresaglia: il governo vara il Patrioct Act III, 

Marzo 2007 RdC 27

PRIMO PIANO 

la guerra alla Siria è a un passo, l’uomo 

diventa l’incarnazione del male. Per lui viene 

decretata la condanna a morte. Poco importa 

che di lì a pochi mesi spunti fuori il vero 

colpevole. Che non è arabo, non è 

musulmano e rovescia completamente senso e 

prospettiva del film. 

DOC: VIVO, MORTO O X? 

Il documentario non è morto. A decretarne il 

parziale superamento è però stato proprio il 

suo ultimo alfiere: Michael Moore. Fahrenheit 

9/11 ha incarnato l’esasperazione dell’attacco 

alla realtà e prodotto l’effetto boomerang che 

tanti auspicavano. Fallimento della crociata 

anti-Bush e rappresentazione della scomoda 

Boicottaggio, querele e accuse: i due mockumentary hanno centrato il 

bersaglio. Ora il pericolo sta proprio nel successo: la normalizzazione 

Sacha Baron Cohen on the road per Borat. In alto e a destra, Death of a President 


verità hanno ucciso le speranze dei sostenitori 

e fatto gridare gli altri alla saturazione. 

Copertura mediatica 24 ore su 24, 

bombardamento di news, reportage dal fronte 

della disperazione globale: l’unica via rimasta 

per non abbandonare la denuncia è 

camuffarla da fiction. Il risultato è garantito. 

Parola di Orson Welles, a cui nel 1938 era 

bastato leggere alla radio un brano della 

Guerra dei mondi per scatenare il panico dello 

sbarco alieno in tutto il paese. 

A QUALCUNO PIACE MOCK 

“Shocking and disgusting” tuona il Partito 

Repubblicano del Texas, “che si tragga profitto 

da questo scenario mi fa orrore” echeggia la 

senatrice democratica Hillary Clinton, mentre 

i circuiti cinematografici Regal e Cinemark 

rifiutano Death of a President e CNN e NPR 

bloccano la messa in onda del trailer: il 

presidente degli Usa vende cara la pelle. E 

sorte avversa attende anche Borat, ebreo 

praticante nel mirino dell’Anti Defamation 

League, querelato dall’amata Pamela 

Anderson e colpito dagli strali del natale 

Kazakistan. Povero Borat, manco fosse uno 

zingaro da mettere sotto con l’hummer o un 

ebreo da cui farsi inseguire stile San Firmin. 

Ma la critica ha avuto parole di pregio: “La 

stupidità non è mai parsa intelligente, 

elegante e utile come in Borat”. 

LASCIA (IL SEGNO) O RADDOPPIA? 

Che sia una liberatoria sbattuta in faccia al 

malcapitato un secondo prima di accendere la 

camera oppure una miscela impazzita ad arte 

di materiale di repertorio e simulacro digitale, 

il risultato non cambia: squassare la finzione, 

infettarla di realtà e occultare l’antidoto. Le 

querele si mettono in coda (Borat), nelle 

recensioni l’imperativo morale diviene 

categorico (Death of a President), ma l’azzardo 

è compiuto. Rimane un unico pericolo: il 

successo. E la conseguente normalizzazione. 

Rupert Murdoch incassa il raddoppio di 

Sacha Baron Cohen. Sarà sequel o de 

profundis? ✪

PRIMO PIANO 

la guerra alla Siria è a un passo, l’uomo 

diventa l’incarnazione del male. Per lui viene 

decretata la condanna a morte. Poco importa 

che di lì a pochi mesi spunti fuori il vero 

colpevole. Che non è arabo, non è 

musulmano e rovescia completamente senso e 

prospettiva del film. 

DOC: VIVO, MORTO O X? 

Il documentario non è morto. A decretarne il 

parziale superamento è però stato proprio il 

suo ultimo alfiere: Michael Moore. Fahrenheit 

9/11 ha incarnato l’esasperazione dell’attacco 

alla realtà e prodotto l’effetto boomerang che 

tanti auspicavano. Fallimento della crociata 

anti-Bush e rappresentazione della scomoda 

Boicottaggio, querele e accuse: i due mockumentary hanno centrato il 

bersaglio. Ora il pericolo sta proprio nel successo: la normalizzazione 

Sacha Baron Cohen on the road per Borat. In alto e a destra, Death of a President 


verità hanno ucciso le speranze dei sostenitori 

e fatto gridare gli altri alla saturazione. 

Copertura mediatica 24 ore su 24, 

bombardamento di news, reportage dal fronte 

della disperazione globale: l’unica via rimasta 

per non abbandonare la denuncia è 

camuffarla da fiction. Il risultato è garantito. 

Parola di Orson Welles, a cui nel 1938 era 

bastato leggere alla radio un brano della 

Guerra dei mondi per scatenare il panico dello 

sbarco alieno in tutto il paese. 

A QUALCUNO PIACE MOCK 

“Shocking and disgusting” tuona il Partito 

Repubblicano del Texas, “che si tragga profitto 

da questo scenario mi fa orrore” echeggia la 

senatrice democratica Hillary Clinton, mentre 

i circuiti cinematografici Regal e Cinemark 

rifiutano Death of a President e CNN e NPR 

bloccano la messa in onda del trailer: il 

presidente degli Usa vende cara la pelle. E 

sorte avversa attende anche Borat, ebreo 

praticante nel mirino dell’Anti Defamation 

League, querelato dall’amata Pamela 

Anderson e colpito dagli strali del natale 

Kazakistan. Povero Borat, manco fosse uno 

zingaro da mettere sotto con l’hummer o un 

ebreo da cui farsi inseguire stile San Firmin. 

Ma la critica ha avuto parole di pregio: “La 

stupidità non è mai parsa intelligente, 

elegante e utile come in Borat”. 

LASCIA (IL SEGNO) O RADDOPPIA? 

Che sia una liberatoria sbattuta in faccia al 

malcapitato un secondo prima di accendere la 

camera oppure una miscela impazzita ad arte 

di materiale di repertorio e simulacro digitale, 

il risultato non cambia: squassare la finzione, 

infettarla di realtà e occultare l’antidoto. Le 

querele si mettono in coda (Borat), nelle 

recensioni l’imperativo morale diviene 

categorico (Death of a President), ma l’azzardo 

è compiuto. Rimane un unico pericolo: il 

successo. E la conseguente normalizzazione. 

Rupert Murdoch incassa il raddoppio di 

Sacha Baron Cohen. Sarà sequel o de 

profundis? ✪

Paul Newman in 

Furia selvaggia di 

Arthur Penn 

30 RdC Marzo 2007

Arthur 

e il popolo 

dei pistoleri er 

Inquieto, eccentrico e “armato”: a 85 anni 

Penn continua a sparare sul cinema Usa. 

E Berlino plaude... DI LUCA MALAVASI 

La data non è casuale: all’interno del festival di Berlino una 

retrospettiva in dieci film e un orso alla carriera hanno 

celebrato Arthur Penn a cinquant’anni esatti dal suo debutto 

nel lungometraggio con Furia selvaggia (The Left-Handed Gun). 

Che l’abbia fatto un festival europeo, poi, non sorprende, e 

anzi conferma una volta di più come sia soprattutto il 

vecchio continente, ancora oggi, a capire e ad amare il 

regista, scoperto dai francesi dei Cahiers proprio in occasione 

del primo film, che invece passò sotto silenzio in patria. 

Per questo, ma anche per il fatto di essere nativo della 

sofisticata Philadelphia e per un lungo soggiorno tra Firenze 

e Perugia, nel ’50, per seguire alcuni corsi universitari, e per 

il fascino esercitato su di lui dal cinema dei Godard, dei 

Bergman, dei Fellini, Penn è stato subito definito come “il 

più europeo dei registi americani”. E l’etichetta, una volta 

tanto, sembra funzionare, a patto però di non ridurre 

l’europeismo penniano a una questione di stile, 

intendendolo piuttosto come la fonte privilegiata dello 

sguardo straniero, eccentrico e inquieto che il regista, di film 

in film, ha saputo gettare sulla società e la storia americana, 

rappresentandole, commentandole e spesso 

contraddicendole proprio attraverso il cinema, i suoi generi 

e i suoi miti: un sistema di segni e di valori esemplare, con 

cui egli si è confrontato con misura neo-classica, senza 

violenze moderniste o sconforti postmoderni. È questo 

confronto, fondato sul ricorso ai generi e su un’autorialità di 

“basso profilo”, e realizzato nella pratica di un cinema 

materico di storie e d’attori, il tratto unificante della sua 

produzione. Penn ha rigirato tutto o quasi il cinema da 

Studio che, al momento del suo debutto, quasi non esisteva 

più, dal western (Billy Kid, ma anche Piccolo grande uomo e 

Missouri) alla detection story di Bersaglio mobile e Target, 

fino al thriller di Omicidio allo specchio e al più recente 

Inside, “sociale” e pinteriano, in cui riesce finalmente, dopo 

PERSONAGGI 

averci provato per tutta la vita (e soprattutto con La caccia, 

prima che la produzione decidesse un montaggio diverso), 

ad affrontare il tema della disuguaglianza razziale. E nel 

rigirarlo, grazie anche alla fisicità di una nuova generazione 

di attori, da Paul Newman a Marlon Brando, Penn ha finito 

per aggiornarlo e cambiarlo definitivamente: il processo ha 

sempre seguito un orientamento opposto a quello dei 

Godard e dei Truffaut a cui talvolta viene accostato, perché è 

dall’interno del cinema, delle sue strutture e dei suoi miti 

lanciati su una nuova scena sociale, politica e culturale, che 

il regista ha saputo intercettare e assimilare, anche 

esteticamente, il nuovo. Da neo-classico senza spargimenti 

di sangue o attentati ideologicamente premeditati, ma 

attraverso sconfinamenti controllati oltre i bordi della 

tradizione. Riguardata oggi, la filmografia dell’autore 

ottantacinquenne, così piena di aritmie dovute in parte al 

suo impegno nel teatro (nel 2002 è tornato a Broadway con 

Fortune’s Foll da Turgenev) e nella televisione, somiglia alla 

sezione trasversale della storia del cinema statunitense degli 

ultimi cinquant’anni. Ci parla – in “solo” quindici 

lungometraggi – della sua industria (contro cui ha 

sempre lottato, tanto che la lista dei progetti rimasti nel 

cassetto è infinita) e della sue piccole e grandi 

rivoluzioni estetiche e produttive, della New 

Hollywood, di cui Gangster Story (Bonnie and Clyde) è 

il capolavoro, e dei conflitti e dialoghi con la televisione 

e le sue retoriche. E racconta soprattutto, attraverso un 

itinerario irriducibile alla nozione di “autore”, la 

difficoltà di diventarlo e poi di continuare a esserlo 

sullo sfondo dell’industria hollywoodiana, rispetto 

alla quale Penn è sempre stato, e continua a essere 

un po’ straniero, eccentrico, “europeo”: per metà 

“organico”, per metà “mancino” (e armato) come il 

suo primo eroe. ✪ 

Marzo 2007 RdC 31 

FOTO PIETRO COCCIA

OPUS 2006 

Uno spot è pubblicità. 

Uno spot al cinema è spettacolo. 

La pubblicità al cinema fa spettacolo. 

OPUS PROCLAMA S.p.A. - Via G.B. Pirelli, 30 - 20124 Milano - Tel. +39 02.67.143.1 - Fax +39 02.67.07.64.33/31 - E-mail: opus@opus.it - www.opus.it 

Sede di Roma - Via Flavio Domiziano, 10 - 00144 Roma - Tel. +39 06.54.11.957/8 - Fax +39 06.54.12.332 - E-mail: info@opusroma.it

Non aprite quella 

PORTAPrima parte 

Quando sentirsi Lost e non staccarsi dallo schermo 

per 24 ore è la normalità. Misteri, curiosità e interviste 

in uno speciale per maniaci seriali 

DI ANDREA AGOSTINI, ALESSANDRO BOSCHI, PIERLUIGI FRASSINETI, DIEGO GIULIANI, ENRICO MAGRELLI, 

FEDERICO PONTIGGIA, ANGELA PRUDENZI, SABRINA RAMACCI, CRISTINA SCOGNAMILLO E MARCO SPAGNOLI 

A CURA DI MARINA SANNA 

SPECIALE 

Marzo 2007 RdC 33

SPECIALE 

UUna volta spalancata la porta non se ne esce indenni. Qual è il segreto? Ognuno ha il 

suo, come direbbe David Lynch, il giusto intruglio di pathos, suspense e ironia. Il 

minimo comune denominatore è la sceneggiatura di ferro, non è un caso che attori 

noti come Matt Dillon, Kathy Bates o Chazz Palminteri abbiano fatto il salto alla regia 

sperimentandosi proprio su questi terreni. Che si tratti di struttura orizzontale o 

verticale, la storia è studiata fino all’ultimo dettaglio. A volte la mano è più importante, 

vedi episodi di E.R. o CSI diretti da Quentin Tarantino o la bellissima miniserie Angels 

in America di Mike Nichols, e il legame col mezzo cinematografico più stretto. Di 

solito sono prodotti pensati per la televisione (serie-seriali) con connotazioni 

fortemente cinematografiche: panoramiche mozzafiato, interpreti-personaggi eroici, 

dialoghi perfetti e moltissima azione. Alcuni sono ottimi prodotti di genere (The 

Shield), altri hanno una marcia in più e spunti geniali: la deriva lynchiana di Lost, il 

ritmo di 24 pensato in tempo reale (24 ore), l’idea che il protagonista di Prison Break 

segua il tracciato che ha sul corpo, tatuato a vista, per 22 episodi. 

Il legame con il cinema è fortissimo, non solo perché chi scrive lo conosce e lo cita 

(Cast Away, Il fuggitivo, I tre giorni del Condor, Papillon, Il braccio violento della legge, 

Il cattivo tenente…, i titoli sono moltissimi) e perché spesso il successo è retrospettivo, 

è il caso di 24: impossibile da apprezzare a puntate, imperdibile in dvd. Ma più 

frequentemente la serie continua il suo corso di vita naturale nella versione 

homevideo, sottraendo pubblico al grande schermo. 

Addentrandoci ulteriormente in questo mondo nuovo e sterminato, abbiamo 

scoperto che il fenomeno ha sul web (e in edicola) seguaci accaniti: i serial dipendenti. 

Popolo notturno, di ogni sesso ed età, si ingozza di puntate senza soluzione di 

continuità e fino allo sfinimento (vedi intervista a Ferzan Ozpetek pag. 18). Abbiamo 

rintracciato una “Lostpedia” e l’esistenza di un linguaggio a parte (“lo script del pilot 

proiettato allo screening è di un ghost writer molto bravo nei subplot”). Scovato che 

la IV collana di 24, appena uscita, non solo sta facendo palpitare i fan (le prenotazioni 

online sono alle stelle), ma persino a Kabul, all’interno del quartiere militare, si 

attendono con ansia i nuovi episodi dell’unico serial in cui non si sorride mai. 

Abbiamo deciso, quindi, del tutto arbitrariamente di dividere l’inserto in due, 

dedicando la prima parte ai “thriller”, mettendoci dentro polizieschi, drammi 

carcerari, thriller dell’anima (Lost), lasciando fuori per necessità ciò che a nostro 

giudizio era meno “cinematografico”. Raggruppando nella seconda parte quelli che 

abbiamo denominato i “Casi clinici”, da Dr. House a Grey’s Anatomy alle meravigliose 

Casalinghe disperate, cercando chiavi di lettura insolite, interrogando esperti, 

interpretando alla Damon Lindelof, sceneggiatore di Lost, i segni. Che dimostrano 

una visione globale più lungimirante del mezzo e che copiare è un’arte… 

MENTI CR 

Le serie sono moltissime e danno dipendenza, non solo da Tv. Abbiamo 

cercato di carpirne il segreto e scoperto che chi le ha inventate è un 

genio (del male). E il cinema ci ha messo lo zampino… 

DI MARINA SANNA 


Il cast al completo 

di Lost. In primo 

piano Matthew Fox, 

Terry O'Quinn ed 

Evangeline Lilly

IMINALI 

Marzo 2007 RdC 35

SPECIALE 

24 Jack 


SU 24 

Bauer non dà tregua e salvare il mondo (gli Usa) tocca agli spettatori. 

Con lieto fine (immorale), in attesa del film “più lungo della nostra vita” 

DI ALESSANDRO BOSCHI

IL MISTERO VERO, QUELLO PER 

il quale non esiste ancora una risposta, 

risiede nel perché molti addetti ai 

lavori ammirino con eguale 

entusiasmo le vecchie serie del 

Commissario Maigret interpretate dal 

grande Gino Cervi negli anni sessanta 

e settanta, e al tempo stesso rimangano 

intrappolati senza rimedio nei diabolici 

meccanismi di quel moloch però 

razionalissimo al quale tutto si sacrifica 

che è 24. Prodotta dalla Fox a partire 

dal 2001, la serie, creata da Joel 

Surnow e Robert Cochran e 

interpretata da Kiefer Sutherland, è 

costruita, stagione dopo stagione, sul 

meccanismo non nuovo ma 

efficacissimo del tempo reale, una 

giornata scandita da 24 episodi di 

un’ora ciascuno (pubblicità 

compresa…) durante la quale, sempre, 

si decide il destino del mondo o quasi. 

Sorvolando sui dettagli tecnici e 

statistici verificabili con estrema facilità 

nei siti demandati (il quasi infallibile e 

maniacale Wikipedia su tutti), resta 

invece da stabilire quali siano i 

meccanismi emotivi che spingono 

milioni di spettatori a rimanere da sei 

anni incollati di fronte alle spericolate 

esibizioni del protagonista Jack Bauer, 

agente del CTU dall’eroismo on 

demand. Sgombriamo subito il terreno 

da un equivoco: ciò che tutti si 

aspettano è che, succeda quello che 

deve succedere, alla fine tutto andrà 

per il meglio. Questo forse è uno dei 

meccanismi più curiosi che 

appartengono agli spettatori. È quello 

che potremmo chiamare “aspettativa 

da palinsesto”. Ad esempio, se guardo 

una puntata de La signora in giallo, o 

In alto Kiefer 

Sutherland. Qui Jude 

Ciccolella e 

Carlos Bernard 

Tempo reale e split screen: 

ecco la formula vincente 

della serie più “cadenzata” 

di tutta la televisione 

di un qualsiasi telefilm dove c’è un 

delinquente che deve essere 

smascherato, io so con certezza che se 

questo viene individuato dopo una 

ventina di minuti, non è mai quello 

giusto, perché la puntata dura un’ora 

(sempre pubblicità compresa), e i 

quaranta minuti che mancano 

risulterebbero del tutto inutili. A meno 

che la puntata non duri appunto i già 

citati venti minuti, ma il palinsesto ci 

rassicura che così non è. Quando 

invece l’ora sta per scadere allora sì che 

la rete, in tutti i sensi, si stringe, 

catturando colpevoli e pesciolini, vale a 

dire gli spettatori. Ergo, siccome chi 

guarda 24 sa che alla fine della giornata 

ci si deve comunque arrivare, sarà 

sempre in cuore suo rassicurato dal 

fatto che Jack Bauer la spunterà, 

perché è per questo che esiste ed è stato 

creato, per salvare il mondo e fare una 

nuova serie. Proprio grazie agli 

spettatori e alle loro aspettative. 

I guai che l’agente incontra sono 

talmente grandi che non è ipotizzabile 

che non riesca a risolverli, anche a 

costo di azioni immorali, come 

uccidere a sangue freddo un collega 

perché quello è l’unico modo per 

salvare Los Angeles (e magari gli Stati 

Uniti tutti) dalla minaccia di un 

attacco chimico. È stato osservato che 

gli spettatori americani sono quelli che 

più di altri hanno bisogno di sapere 

che uomini come Jack Bauer esistono, 

e soprattutto hanno la necessità di 

convincersi che tutto si risolverà perché 

può risolversi. Anche da questo punto 

di vista è importante il fatto che 

durante le varie edizioni della serie si 

sia sviluppata parallelamente la 

dimensione intimistica del 

protagonista. Per quanto le 

problematiche private del nostro eroe 

siano esasperate dalla sua professione, 

resta il fatto che anche lui ha una 

famiglia i cui meccanismi elementari 

sono gli stessi della gente comune. 

Altro punto forte di 24 è la tecnica 

delle riprese, sempre di altissimo 

livello. Se dicendo questo non 

scopriamo nulla di nuovo in quanto 

trovare una serie USA girata male è 

davvero difficile, va però osservato che 

gli autori hanno saputo utilizzare in 

maniera intelligente la tecnica dello 

split screen, dello schermo suddiviso in 

più parti, già desueta nel cinema degli 

anni settanta, per riassumere le varie 

storie periferiche destinate a confluire 

nella vicenda base. L’orologio che 

scandisce i secondi (e la pubblicità) è 

invece un ulteriore omaggio al 

“tempo reale”, e magari, ma non ci 

crediamo troppo, al Robert Wise di 

The Set-Up, film interpretato da 

Robert Ryan durante il quale venivano 

Marzo 2007 RdC 37

SPECIALE 

ossessivamente inquadrate le 

lancette che avanzavano implacabili 

verso l’epilogo. Come non 

crediamo troppo all’operazione 

cinematografica cui anche 24, al 

pari di ogni serie di successo che si 

rispetti, verrà sottoposta. Di solito 

si finisce con il creare un episodio 

più lungo, ma in questo caso, dal 

momento che la storia dura di fatto 

24 ore (pubblicità compresa), sarà 

interessante vedere come gli 

sceneggiatori risolveranno la palese 

contraddizione. Jack Bauer, che 

non sorride mai perché non ha né i 


Puntate a Kiefer 

Sutherland nel centro del mirino: la sua carriera rischia il “bacio della morte”, 

ma il portafoglio gode 

■ Jack Bauer è solo un alter ego televisivo per Kiefer Sutherland? 

Di più, molto di più. Grazie al personaggio protagonista di 24 e al suo 

faticoso lavoro per la CTU il pur bravo interprete americano ha fatto 

“l’affare della sua vita” diventando insostituibile per una serie 

televisiva centrale nell’offerta produttiva di Fox Television. E dire 

che, forse, per la carriera dell’attore il personaggio di Bauer 

rappresenta in un certo senso un “bacio della morte”: Bauer è, 

infatti, una figura così carismatica da diventare “difficile da scollarsi 

di dosso” in futuro e, purtroppo, in grado, perfino di cancellare le pur 

interessanti interpretazioni precedenti del figlio di Donald 

Sutherland. Una cosa che succede spesso ad attori raggiunti dal 

tempi né il tempo per farlo e 

sacrifica invece tutto in nome di un 

ideale, avrebbe forse preferito 

rimanersene nella adrenalinica 

tranquillità della serie. Anche 

perché, se il film dovesse risultare 

bruttino, magari tipo Miami Vice, i 

critici avrebbero il titolo già pronto. 

Parodiando la frase che Jack dice 

all’inizio delle prime due edizioni: 

“Sono Jack Bauer, e questo è il 

giorno più lungo della mia vita”, 

potrebbero scrivere: “Questo è il 

film con Jack Bauer, le due ore più 

lunghe della nostra vita”. ✪ 

grande successo non più giovanissimi, come nel caso di Hugh Laurie 

che nonostante più di vent’anni di onorata carriera tra cinema, 

teatro e televisione è riconosciuto da tutti quasi esclusivamente per 

il Dr. House. E dire che verso la fine della terza stagione di 24 

Sutherland aveva iniziato a dare segni di insofferenza. I fan, però, 

possono stare tranquilli: un contratto da produttore e un guadagno 

netto di circa un milione di dollari a episodio per una somma 

complessiva – si mormora – di quaranta milioni di dollari ed ecco 

assicurato a Jack Bauer un lunghissimo futuro non solo in onda o in 

Dvd, ma anche nei videogiochi tratti da 24, diventati un must con cui 

cimentarsi per tutti gli appassionati. MARCO SPAGNOLI 

The Movie 

In estate il primo ciak. In sala dal 2008 

■ Per ora si chiama 24: The Movie 

e prenderà il via non prima della 

prossima estate. Anche sul grande 

schermo il protagonista è Kiefer 

Sutherland (insieme a Fahim Fazli, 

per ora unici nomi certi). “La 

differenza principale tra il film e la 

serie è che la pellicola racconterà 

una vicenda che si svolge nell’arco 

di 24 ore, ma in due ore. Quindi 

sarà la prima volta che gli eventi 

narrati non si susseguono in 

‘tempo reale’”, ha dichiarato di 

recente l’attore. E in attesa del 

film (si parla del 2008), in Italia va 

in onda la V stagione (Fox) e negli 

States la VI. E già le prime 4 ore 

sono in vendita insieme a 12’ del 

V episodio, disponibile una 

settimana prima della messa in 

onda. In arrivo anche due action 

figure di Jack Bauer e le figurine 

da collezione. Dvd a parte, 

ovviamente!

PICCOLO 

GRANDE 

SCHERMO 

Quando le dimensioni (non) contano: chiedetelo a Forest 

Whitaker e Kathy Bates... DI FEDERICO PONTIGGIA 

PICCOLO O GRANDE LO SCHERMO, 

l’importante è apparire. Apparizioni 

conclamate e acclamate sono quelle che si 

riservano tanti divi Usa, che alle dimensioni 

guardano poco e fanno bene. Come Forest 

Whitaker, indifferentemente protagonista di 

outstanding performances. In tv impugna lo 

scudo della legge poliziottesca per The Shield, 

nei panni scomodi del tenente della 

Divisione Affari Interni Jon 

Kavanaugh, al fianco di un’altra icona 

dell’écran large, Glenn Close, 

altrettanto dura, ugualmente 

egemone. E che dire di Kathy Bates, 

che un espediente per far morire la 

miseria l’ha trovato in OZ, dove è 

passata dietro la camera con esiti 

superbi e in ottima compagnia: 

Chazz Palminteri, Matt Dillon, 

Steve Buscemi e Terry Kinney, 

talenti spesso insofferenti alle logiche 

dell’establishment hollywoodiano 

che nei serial trovano libertà e mezzi 

espressivi. E anche le belle non 

stanno a guardare, su tutte la pretty baby 

Brooke Shields, guest star da urlo della 

quarta stagione di Nip & Tuck, dove 

Kathleen Turner e Larry Hagman 

sono di casa. Non resta lo spazio che 

per una panoramica a schiaffo su 

questi sconfinamenti in 2D: James 

Wood, George Clooney, Jennifer 

Aniston, Felicity Huffman, Jennifer 

Garner, e ancora il James Spader di 

Boston Legal, il Kiefer Sutherland di 

24, con la casalinga disperata Eva 

Longoria nel recente The Sentinel, Alec 

Baldwin (30 Rock), James Gandolfini 

(The Sopranos). E lo spettatore è 

condannato allo strabismo. ✪ 

Forest Whitaker, 

agli Affari Interni di 

The Shield. E, in 

senso antiorario, 

Bates, Palminteri, 

Shields e Dillon 

Gli antenati 

Da Fuga da Alcatraz a Il fuggitivo, la 

serialità ha un padre cinematografico 

■ Non richiede sforzi rintracciare eredità e 

simmetrie dei serial: una volta tanto il 

padre è certo, e si chiama cinema. Albero 

genealogico frondoso, il grande schermo 

pare Gulliver tra i lillipuziani serial, che 

senza complessi d’inferiorità un occhio 

dietro lo buttano sempre. Dove nascono Oz 

e Prison Break se non da Fuga da Alcatraz, 

Un uomo innocente, e ancora Papillon, 

Quella sporca dozzina, Tango & Cash? 

Continuando a giocare a guardie e ladri, i 

Vic Mackey e i tanti CSI devono aver 

cantato in coro con Robert Aldrich, essersi 

immischiati negli affari sporchi di Richard 

Gere e Andy Garcia, esplorato il braccio 

violento della legge, plaudito l’ispettore 

Callaghan, compreso le nefandezze del 

cattivo tenente. E dove scovare le 

ascendenze politico-economiche al di fuori 

dei Tre giorni del Condor, Il fuggitivo e 

Perché un assassinio? Nume tutelare il 

dannato James Ellroy, i serial confermano 

di essere cattivi simulacri: forse sono copie, 

ma l’originale esiste, nel ronzio soffuso del 

proiettore. 

Marzo 2007 RdC 39

SPECIALE 

SERIAL ANATO 


Composizione, posologia, effetti collaterali. Radiografia di un genere vecchio 

cent’anni, con schede, analisi e consigli per sopravvivere (e copiare meglio) 

DI PIERLUIGI FRASSINETI

Strategie Usa: 

analisi di mercato, 

dell’audience e 

produttori in 

cerca di facce 

“da schermo” 

MY 

NEI SECOLI FEDELE 

Negli anni Dieci nelle sale 

cinematografiche americane nacque un 

fenomeno che diventò, in breve, di 

massa: “I serial cinematografici erano 

brevi film d’avventura proiettati prima 

dello spettacolo principale. La storia, 

in un serial, continuava lungo diversi 

capitoli o episodi con l’intento di 

attirare nuovamente il pubblico in sala 

la settimana successiva. I serial 

(15’-20’) erano dominati dall’effetto 

“cliffhanger” (i finali intrisi di suspense 

mozzafiato) perché l’eroe o l’eroina 

affronteranno gli inevitabili pericoli 

alla fine dell’episodio per essere 

miracolosamente salvati all’inizio di 

quello successivo” (Tim Dirks - 

Filmsite). Cento anni dopo tutto è 

cambiato. Anzi, non è cambiato nulla. 

> STORIE DARK CON STRUTTURA VERTICALE 

Wentworth Miller e, 

sopra, Sarah Wayne 

Callies protagonisti 

di Prison Break 

Quel mago di OZ 

■ OZ è ineludibile, perché è la serie più 

nera di tutti i tempi. OZ non dà scampo 

allo spettatore, non offre redenzione ma 

terrore puro: la paura di finire anche tu nel 

Paradiso (in inglese Emerald City, come la 

città del Mago di Oz), il braccio speciale 

nato per diventare un carcere modello e 

trasformato in breve – complice 

l’efferatezza dei crimini che vi vengono 

perpetrati, il traffico di droga, la 

corruzione delle guardie, il cinismo dei 

capi etc. – in un “inferno” introdotto da 

“parabole di puntata”, ogni volta più 

dissacranti, raccontate da un detenuto su 

sedia a rotelle. OZ è stato inoltre palestra 

per attori con velleità di regia: è stato tra 

gli altri diretto (magnificamente) da Kathy 

Bates, Chazz Palminteri, Matt Dillon, Steve 

Buscemi, Terry Kinney. 

GIUDIZIO FINALE MALVAGIA 

Marzo 2007 RdC 41

SPECIALE 

> STORIE DARK CON STRUTTURA VERTICALE 

GLI INGREDIENTI 

La formula del successo seriale è 

sempre quella: suspense, azione, 

mistero, seduzione, famigliarità con i 

personaggi e le situazioni. Un po’ più 

complessi e meno scontati, gli 

ingredienti sono ormai perfezionati da 

un secolo di esperienza e, per questo 

molto, ben combinati fra di loro. Da 

cento anni sono elementi centrali di 

quell’industria culturale che proprio 

dai serial cinematografici e da quelli 

letterari è cresciuta e si è espansa come 

un blob inarrestabile, a tratti esaltante. 

OLD & NEW MEDIA 

Siamo in tv, bellezza. Da più di mezzo 

secolo le avventure di avvenenti eroine, 

di eroi d’azione, di manigoldi incalliti 

popolano il palinsesto televisivo. I 

produttori, i network, hanno studiato 

per noi inesorabili sinergie industriali 

fatte di spin-off (serie nata dalla costole 

di un’altra), riviste dedicate, romanzi, 

concorsi a premi, videogames, 

merchandising di vario tipo, siti web e 

blog. 

CARATTERI 

Ai personaggi di un tempo, tutti d’un 

pezzo, se ne sono aggiunti via via altri 

meno manichei, nuovi volti della 

ritualità cult che si scambiano corpi 

con il grande schermo e con il mondo 

della moda. Sono comparsi stuoli di 

writer, di story-editor, di script-editor a 

perfezionare un prodotto sempre più 

ambizioso, sempre più egemone. 

Vengono alla luce personaggi scaturiti 

da analisi di mercato e dallo studio 

dell’audience: strani detective, medici 

pilotati dalle passioni o ispirati al 


Il lato oscuro di The Shield 

■ The Shield è la nuova frontiera delle 

serie poliziottesche. The Shield non mette 

in campo eleganza, buone maniere o 

principi di giustizia, ma un nuovo tipo di 

detective-eroe, mutuato dal cinema ma 

piuttosto rivoluzionario per la tv: il 

corrotto, delinquenziale ma efficientissimo 

Vic Mackey (Michael Chiklis, appena uscito 

dalle vesti della Cosa dei Fantastici 

Quattro), vero e proprio rullo compressore 

capace di schiacciare tutto. Malavitosi e 

colleghi, ma soprattutto superiori 

ambiziosi e arrivisti che vedono in lui un 

nemico da sconfiggere per garantirsi una 

poltrona più prestigiosa. I momenti 

indimenticabili della serie, infatti, sono i 

crudi confronti-scontri prima col Capitano 

Acevedo (che punta al Consiglio Comunale 

di L.A.), poi col tenente della Divisione 

Affari Interni Jon Kavanaugh (il geniale 

> STORIE CON TRAMA ORIZZONTALE 

Prison Break senza fine 

■ Prison Break vive di tensione e di 

razionalità suprema, come quella che 

appartiene a Michael Scofield (Wentworth 

Miller, attore multirazziale e trendy), il 

protagonista che si fa tatuare completamente 

per scrivere su di sé la storia della serie: una 

fuga rocambolesca da un carcere di massima 

sicurezza assieme al fratello Lincoln (Dominic 

Purcell, rabbioso ed introverso), condannato 

alla sedia elettrica per un crimine mai 

commesso. In prigione ovviamente incontrerà 

orrori e difficoltà di ogni genere, ma anche 

l’amore della crocerossina di turno (la 

dottoressa Sara Tancredi, figlia del 

governatore dello stato: siamo a Chicago, 

Illinois!) e una squadra di detenuti 

eccezionalmente ricca di sfaccettature. I suoi 

Forest Whitaker), senza contare la discesa 

in campo della dura, egemone Monica 

Rawling (Glenn Close), che prende il posto 

di Acevedo a capo del distretto. The Shield 

è, in sostanza, la parte oscura delle serie 

che abbiamo ammirato finora (da Hill Street 

Blues, l’antesignana, passando per Miami 

Vice, Homicide e NYPD, che già ne 

prospettava qualche elemento). In The 

Shield il confine tra bene e male è così 

sottile che basta il fragore di una porta che 

si chiude dietro a Vic Mackey a frantumarlo. 

Il suo personaggio, come quello di Tony dei 

Soprano, è quanto di più affascinante e 

complesso si sia potuto vedere sugli 

schermi tv: un figlio autistico, la moglie che 

ama e che tradisce senza sensi di colpa, 

l’appartenenza totale alla squadra che lui 

stesso ha formato, l’affetto e il rispetto per 

le prostitute e per i deboli… 

GIUDIZIO FINALE REALISTICA (E NON E’ POCO) 

antagonisti sono prima il capitano Bellick, 

istintivo e feroce (e quindi destinato a 

perdere), poi il glaciale e, come Scofield, 

altrettanto maniacale agente Mahone 

(William Fichtner) dell’FBI. Prison Break vanta 

un ritmo mozzafiato, gioca sulla suspense e 

sullo stupore per la genialità di Scofield, ma 

anche per una brama di libertà e per il 

desiderio di giustizia che solo tra le sbarre 

puoi provare (sempre che tu sia innocente, e 

non capita spesso…). È una variante 

straordinariamente efficace del filone 

carcerario, ma il suo ritmo frenetico è anche 

scandito da un altro timer, quello che segna il 

tempo della sua fine: nessuno, infatti, può 

immaginare una quarta o una quinta stagione, 

ma non si sa mai… 

GIUDIZIO FINALE ADRENALINA PURA

cinismo più geniale, avvocati 

affascinanti come gigolò e persino - 

nell’ultima frontiera delle famiglie 

seriali, Six Feet Under - becchini 

visionari. 

STRATEGIE 

Oramai è una guerra intestina, come 

succede a chi ha stravinto: produttori 

scatenati a contrattualizzare le facce 

che meglio bucano lo schermo, 

scrittori chiamati a lavorare su 

strutture complesse, che mirano a fare 

della serie l’appuntamento ineludibile 

delle serate televisive e campagne 

pubblicitarie sempre più trasversali. Si 

sfornano tali e tanti prodotti da far 

girare la testa e il telecomando. I canali 

dedicati non sono altro che armi di 

seduzione di massa, di parabolico 

spaccio seriale. L’ipertrofia produttiva, 

ovviamente, finisce per tradire le regole 

Psicanalisi “Lostiana” 

■ Lost è apparentemente una matrioska 

infernale, un black-hole dello spazio-tempo 

dove sono finiti i poveri sopravvissuti del volo 

815. La sua chiave più importante è “ai confini 

della realtà”, il che piazza questa serie sulla 

scia di Twin Peaks (che negli anni ’80 ha 

rivelato qualcosa che i telespettatori non 

sapevano grazie alla visionarietà di Lynch) e 

direttamente contro i survival reality, con cui 

divide la location ostile e selvaggia e 

nient’altro: alla banalità e alla 

bidimensionalità delle varie isole, Lost 

oppone le tre dimensioni del cinema. Più una 

del buon senso: assistiamo allora a 

serie, concepite per vivere una 

stagione, diventare inquietanti Ogm e 

sopravvivere per 4/5 anni e più (il caso 

di X-Files, uno dei più innovativi 

progetti seriali dell’ultimo scorcio 

dell’altro secolo, ma non solo...). 

Vediamo personaggi scomparsi 

prematuramente rinascere sotto i 

nostri occhi, ci troviamo di fronte a 

misteri che nessun mortale saprebbe 

ragionevolmente risolvere. 

POSOLOGIA DEL SERIALE 

Lo spettatore, in fondo, è il 

personaggio più eroico di questa 

faccenda. Deve resistere alla tentazione 

di scoprire tutto in anticipo, deve 

aspettare almeno una settimana 

pensando che fine farà il suo amato 

personaggio, deve spesso sottostare alle 

ciniche strategie di programmazione 

quarta, quella del mistero. Non c’è 

telespettatore che non si chieda: ma dove 

andrà a parare? Non è che stanno inanellando 

troppe domande e poche risposte? Potrò 

continuare a vivere, dopo Lost? Lo sviluppo 

del plot è un campo minato di scoperte, di 

pericoli, di personaggi cangianti e inquietanti. 

Un domino raffinato come John Locke (uno 

dei caratteri più interessanti della serie, 

impersonato da Terry O’Quinn), cattivello 

come Sawyer, seduttivo come Kate, volitivo 

come Jack, ma soprattutto nero come Mr. Eko 

(Adewale Akinnuoye-Agbaje, il perverso 

Adebisi di OZ). Il suo potere maggiore è 

dei network, capace di fargli saltare 

una stagione intera. Se è italiano, poi, è 

doppiamente sfortunato: le serie “in 

chiaro” finiscono spesso sballottate dal 

palinsesto, rischiando di finire nelle 

fasce più notturne o interrotte del 

tutto se non ottengono lo share 

desiderato. Al contrario, se sfondano 

come Dr. House, diventano carne da 

macello per prime serate all’arma 

bianca. Il consiglio è sempre lo stesso: 

assumere il seriale a dosi omeopatiche, 

pena la schiavitù e l’assuefazione. ✪ 

quello di renderci sospettosi di ogni scoperta, 

di ogni parola, di ogni atto. Dopo aver 

scoperto gli Altri - gli inquietanti abitanti 

dell’isola, - potremo ancora credere in noi 

stessi? Ecco la domanda da porre allo 

psicanalista di turno. Quesito politicamente 

scorretto, ma televisivamente perfetto. 

GIUDIZIO FINALE ESPERIENZA MULTISENSORIALE 

Marzo 2007 RdC 43

SPECIALE 

IL SEGRETO 

DI LOST 

Dalla sfiducia dell’Abc al trionfo planetario. Lo 

sceneggiatore Damon Lindelof svela miracoli 

e trucchi del tv-cult 

DI DIEGO GIULIANI 

Terry O’Quinn 

e a destra Lilly 

Evangeline 

SONO BASTATE APPENA 48 ORE. 

Tanto ci ha messo il 34 enne Damon 

Lindelof a trovare la ricetta per la serie tv 

che sta facendo impazzire il mondo: 

“All’inizio non ci credeva nessuno. Il 

presidente della Abc Lloyd Braun ci ha 

messo più di un anno a convincere la 

rete che avrebbe funzionato. L’idea gli 

era venuta vedendo Cast Away con Tom 

Hanks, ma addirittura J.J. Abrams 

storceva il naso”. 

E poi? 

Dopo due notti insonni anche lui era 

arrivato alle stesse conclusioni: per 

salvare la storia bisognava dotare l’isola 

di una sua personalità. Renderla 

misteriosa come i personaggi e mettere 

ciascuno di loro al centro di una 

puntata. Tutto è avvenuto in tempi 

rapidissimi: 11 settimane dopo avevamo 

già girato e presentato la puntata pilota. 

Il lavoro da sceneggiatore: un caso o il 

sogno di sempre? 

Mio padre scriveva film di fantascienza e

ha lavorato a lungo anche con Orson 

Welles. E’ stato lui a farmi nascere la 

passione per il cinema e la tv. Vedevo di 

tutto, L’incredibile Hulk, Hazzard, ma 

anche tanto cinema. Era la fine degli 

anni ‘70. L’epoca dei grandi blockbuster, 

inaugurata dallo Squalo. E’ così, con 

Guerre stellari e I predatori dell’arca 

perduta, che è iniziata la mia passione 

per i film d’avventura. Tra cinema e tv, 

ho cominciato a capire che la forza delle 

storie era nei personaggi. 

Da qui la struttura di Lost? 

Sì. La regola d’oro è dedicare ogni 

puntata a un personaggio. Mostrare 

quello che provano e perché, 

spiegandolo attraverso flashback e 

retroscena sulla loro vita passata. 

“Non è un caso che ciascun 

personaggio sia afflitto da un 

proprio senso di colpa” 

Condizionamenti da parte della 

produzione? 

Soltanto all’inizio. Jack doveva morire a 

metà della prima puntata, ma ci hanno 

fatto notare che avremmo perso metà 

dell’audience femminile. Con Cate 

protagonista, come avevamo pensato, 

chissà come sarebbe andata. 

La ricetta però si è rivelata vincente. 

Qual è il segreto? 

La struttura complessa e poco lineare. 

La strategia è lasciare il pubblico 

frustrato: alimentare la sua dipendenza 

e poi soddisfarla. A differenza di CSI, 

che è possibile seguire anche saltando 

degli episodi, noi abbiamo cercato di 

incastrarli fra loro, 

rendendoli 

interdipendenti. Per 

lo sceneggiatore si 

tratta di una 

straordinaria 

sensazione di 

potere, ma si deve 

fare attenzione a 

non abusarne. 

Proprio questo è 

stato il limite di 

Twin Peaks. 

All’inizio dovevano 

essere 6 puntate, poi 

12, infine 18. E di 

questo ha risentito 

l’intera efficacia della struttura. 

Quanto pesa il pubblico nella 

sceneggiatura? 

Dall’idea originale alla stesura definitiva 

passano una miriade di 

rimaneggiamenti. Il talento dello 

sceneggiatore risiede proprio 

nell’abbandonare la sua prospettiva e 

abbracciare quella del pubblico. Bisogna 

cercare di immedesimarsi negli spettatori 

e anticipare le loro aspettative, cercando 

il migliore equilibrio possibile senza 

eccedere in una direzione o in un’altra. 

E la pubblicità? 

Anche quella pesa moltissimo. Negli 

LOST INFORMATION 

■ È la serie televisiva venduta 

più velocemente nella storia 

della Buena Vista International. 

■ In Italia il sesto episodio di 

Lost ha segnato l’ascolto più alto 

nella storia dei programmi 

americani trasmessi in prima 

serata (il vecchio record risale al 

‘98). 

■ L’intero cast è stato nominato 

intrattenitore dell’anno da 

Entertainment Weekly. 

■ Nel 2006 la prima serie 

completa in cofanetto dvd. 

Stati Uniti ogni puntata prevede sei 

stacchi e prima di ciascuno dobbiamo 

fare in modo di introdurre un elemento 

di suspense che tenga il pubblico 

incollato alla tv e non gli faccia cambiare 

canale. 

Un disastro aereo, una minaccia 

misteriosa: i riferimenti all’attualità 

sono forse stati complici del successo? 

Siamo rimasti tutti molto colpiti 

dall’11 settembre. Abbiamo iniziato a 

lavorare al pilot ai tempi dell’invasione 

di Bagdad. Dicevano che in sei mesi 

avremmo battuto Saddam e saremmo 

tornati a casa. Anche per questo 

abbiamo introdotto un personaggio 

iracheno come Sayid. Il fatto che dopo 

tre anni sia ancora lì, assume oggi un 

significato allarmante. 

Tempi della tv e del cinema: quali le 

differenze e le ricadute? 

La lavorazione avviene a ritmi 

serratissimi. In meno di due anni 

abbiamo girato oltre 49 puntate di Lost. 

Per la terza serie abbiamo iniziato 

quando la seconda era ancora in corso e 

la consegna dei copioni definitivi avviene 

appena un paio di giorni prima che si 

inizi a girare l’episodio. A differenza del 

cinema, dove tutto deve essere 

compresso in due ore, si tratta nel 

complesso di un tempo sterminato, che 

concede sconfinate possibilità di 

sviluppo e approfondimento dei 

personaggi. 

In Lost sembrano affiorare numerosi 

riferimenti alla religione. Un caso? 

No. Mio padre è morto proprio quando 

ho cominciato a lavorare alla prima serie. 

Sono cresciuto da ebreo non osservante, 

ma superare un trauma di quella portata 

da ateo mi ha fatto avvicinare al 

cattolicesimo. Ci ho trovato una serie di 

elementi che mi hanno affascinato e 

condizionato molto. Non è infatti un 

caso, che ciascun personaggio della storia 

sia afflitto da un proprio senso di colpa e 

dalla ricerca dell’assoluzione. ✪ 

LINDELOF CONSIGLIA 

L’IDEATORE AI GIOVANI SCENEGGIATORI: “IL MIO SUCCESSO IN TRE MOSSE” 

Evitare i fronzoli, Il segreto è alimentare 

1 rifuggire gli orpelli e 2la dipendenza del 3 

attenersi 

rigorosamente alla 

verosimiglianza della 

scrittura. Capita 

spesso che scriva dei 

monologhi lunghissimi 

per Terry O’Quinn, 

l’attore che interpreta 

Locke, e lui mi chiami 

dal set dicendo: 

“Posso riassumerli 

con uno sguardo?”. 

pubblico. Indurgli cioè 

un bisogno e poi fare in 

modo di soddisfarlo. 

Mai, quindi, affidarsi a 

una struttura lineare o 

rendere gli episodi 

indipendenti. La 

strategia è invece 

quella di incastrarli fra 

loro, costringendo gli 

spettatori a non 

perderne uno. 

Puntare tutto sui 

personaggi. Una 

importantissima 

lezione, maturata sul 

campo grazie al 

cinema e alla tv 

degli anni 70. 

Sono loro a 

tenere in 

piedi la 

storia. E sono 

loro che il 

pubblico deve 

sentire vicini.

SPECIALE 

COLPA 

SENZA 

INGANNO 

Rianimare le serie investigative anni ‘70: una scommessa 

vinta in tre città. Vedere (e leggere) per credere 

DI ANGELA PRUDENZI 

46 RdC Marzo 2007

A sinistra Liev 

Schreiber che 

prenderà il posto 

di William 

Petersen, alias 

Grissom. 

Ma non per 

sempre 

E GRISSOM SE NE VA… 

■ La settima stagione di CSI – 

Scena del Crimine è in onda da 

questo mese su FoxCrime. 

■ Dall’11° episodio uscirà di scena 

il grande capo, Gil Grissom. Ma 

ritornerà, niente paura. 

■ A sostituirlo Liev Schreiber 

(The Omen e Il giovane Hitler). 

■ Tutti i fan sanno che le sigle 

dei tre CSI sono interpretate 

dagli Who. Ora il cantante del 

gruppo, Roger Daltrey sarà guest 

star nella serie madre. 

■ Per i maniaci: dvd, giochi per 

pc, libri e il cd del soundtrack 

ufficiale. 

NATA DALLA PENNA DI UN GIOVANE 

e brillante sceneggiatore, Anthony 

Zuicker, e prodotta dal re Mida del 

cinema e della televisione Jerry 

Bruckeimer, CSI poggia su una 

scommessa che avrebbe potuto rivelarsi 

fallimentare, far rivivere le serie 

investigative degli anni Settanta. 

I referenti più immediati sono infatti i 

modelli alla Miami Vice, con i casi che 

si risolvono all’interno dei singoli 

episodi. Se la struttura è la stessa, i 

protagonisti oltre agli abiti hanno 

rinnovato i comportamenti. Da allora, 

del resto, molto sangue ha bagnato le 

strade del crimine e il cinema alla 

Mann e Friedkin ha contribuito a 

incrinare definitivamente l’immagine 

degli eroi puri e duri per lasciar spazio a 

personalità contorte, decisamente 

meglio addestrate a riconoscere il male 

anche dietro parvenze di inattaccabile 

onestà. La televisione si è insomma 

adeguata e gli investigatori chiamati 

sulla scena del crimine nel privato sono 

rosi dal dubbio, si interrogano sui 

massimi sistemi, rivelano fragilità 

insospettate, ma restano spietati nel 

dare la caccia agli assassini, seriali o 

meno che siano. E se i loro precursori 

passavano gran parte del tempo a cercar 

prove scorrazzando da una parte 

all’altra di città tentacolari quali San 

Francisco e Los Angeles, agli odierni 

agenti della polizia scientifica basta un 

piccolo indizio e ore sui microscopi per 

arrivare alla verità, magari attraverso un 

granello di sabbia o l’impronta di una 

scarpa. Dal particolare al generale, un 

lavoro di montaggio che unendo i vari 

tasselli dà vita al film completo del 

delitto. 

CSI (LAS VEGAS) 

Gil Grissom, più mentore che capo, 

riunisce intorno a sé un gruppo storico 

di quattro collaboratori - come lui tutti 

civili - affiancati nelle indagini da un 

capitano di polizia. Grissom - il volto 

vissuto di William Petersen, già 

interprete di Vivere e morire a Los 

Angeles e Manhunter - spara citazioni 

che vanno dalla Bibbia a Shakespeare, 

ha una predilezione per gli insetti dai 

quali trae elementi per determinare lo 

stato di decomposizione dei cadaveri, è 

affetto da una spiccata misoginia. Il suo 

cuore è congelato, ma si scioglie 

sorprendentemente di fronte a una 

“dominatrice”, pelle bianca e abiti neri, 

che gli legge nell’anima. L’amore dura 

lo spazio di un paio di episodi ma basta 

a svelare il segreto del nostro eroe che è 

poi quello dell’intera primigenia: a Las 

Vegas, città del vizio, dell’azzardo e del 

denaro, con la vita si scommette alto 

pur sapendo che si è destinati a perdere. 

I tormenti interiori della squadra 

sembrano tuttavia acuire anziché 

mitigare le capacità di interpretare i 

comportamenti delle persone e ancor 

più le loro tracce biologiche: sangue, 

saliva, vomito. I nostri eroi sono 

Marzo 2007 RdC 47

SPECIALE 

dunque distaccati, freddi, scientifici, 

obiettivi, ma non inattaccabili. Who are 

you?, urla la sigla degli Who. Domanda 

quanto mai appropriata: chi sei? Chi 

sono? Chi siamo? 

CSI MIAMI 

Via dalle pazze luci di Las Vegas, dai 

giorni che non hanno mai fine, dagli 

hotel brulicanti di aspiranti milionari, 

CSI cambia pelle. Il sole di Miami 

invade le scene di crimini perpetrati 

prevalentemente all’aperto, nei parchi, 

sulla spiaggia, ai bordi di splendide 

piscine private, nelle affascinanti 

Everglades che stringono la città in una 

morsa di acquitrini e sabbie mobili. 

■ Le squadre protagoniste di CSI, 

decentrate per ora nelle varie città degli 

Stati Uniti, analizzano granelli di polvere, 

tracce di reperti organici e inorganici, 

ombre di impronte, tubicini, lacci di 

scarpe, fili di stoffa, frammenti di 

epidermide. Spaccano, letteralmente, un 

capello in quattro per risolvere un caso e 

arrestare il colpevole. Usano un 

approccio induttivo. I profiler dell’FBI 

della serie Criminal Minds utilizzano uno 

schema di riflessione analogo, ma 

procedono con uno schema di riflessione 

deduttivo. Sono specialisti del 

comportamento patologico, sondano le 

azioni dei serial killer, stabiliscono una 

relazione ramificata tra un effetto 

criminale e la sua causa. Il “luogo” del 

delitto è prima di tutto la mente del 

delinquente. Un set disturbato su cui 

vanno in scena gli impulsi aggressivi e 

distruttivi, i grovigli perversi, le 

ossessioni omicide. Sono dei logici, molto 

intelligenti e intuitivi, del pensiero 

malvagio. “Visualizzano” (i vari episodi 

usano con particolare efficacia questo 

espediente narrativo, sviluppando una 

delle procedure ricorrenti di CSI) modi, 


La tecnica di indagine è la stessa, ma i 

delitti generati da un’irrefrenabile voglia 

di vivere, da un’insaziabile bulimia 

esistenziale anziché dal cupio dissolvi 

che nel Nevada mina poliziotti e 

corrotti, vittime e assassini. Il capo della 

scientifica Horatio Caine, interpretato 

da David Caruso uscito non a caso da 

Jade di Friedkin, è ironico, sensibile, 

incline alla comprensione, segnato nel 

cuore da amori mai vissuti o destinati a 

spezzarsi: per la cognata Yelina prima e 

in seguito per la sorella 

dell’investigatore Eric Delko, Marisol, 

segnata dal cancro. Non meno inclini 

ai sentimenti gli altri componenti del 

gruppo, che allacciano senza troppi 

problemi relazioni con colleghi e 

poliziotti. Nelle ultime due stagioni 

trasmesse in Italia, la terza e la quarta, 

gli episodi sono legati da sotterranei fili 

rossi: le guerre tra bande rivali, il 

traffico di droga, le immigrazioni 

clandestine, il lavoro nero. Il motivo 

conduttore è appropriato, Won’t Get 

Fooled Again, ancora un hit degli Who. 

CSI NEW YORK 

La città dove tutto è successo. Non c’è 

una specifica scena del crimine, New 

York è la scena del crimine. Ferita 

aperta nel cuore dell’America, luogo 

del delitto più atroce mai perpetrato ai 

danni di una società che ha 

definitivamente perduto l’innocenza. 

Gary Sinise e i suoi 

di N.Y., a sinistra 

David Caruso e la 

squadra di Miami 

Nell’episodio che apre la serie Mac 

Taylor, il capo della scientifica cui 

Gary Sinise regala una composta 

freddezza, rivela a una donna in coma 

irreversibile il proprio dramma di 

uomo: ha perduto l’amata moglie 

nell’attentato alle torri. Dopo la 

confessione sale su un taxi e nella 

notte si fa portare a Ground Zero, 

spazio di tragedie personali e 

collettive. Inevitabile che delle tre sia 

la serie più cupa, amara, gelida. Le 

INDAGATORI DELL’INCUBO 

Criminal Minds e CSI: se la suspense è una partita a scacchi. Nel segno di Thomas Harris, per sintonizzarsi sulle frequenze dell’assassino DI ENRICO MAGRELLI

immagini sono oscure, i colori lividi. 

Non c’è tempo per innamoramenti ed 

emozioni, gli omicidi sono casi da 

risolvere con distaccata 

imperturbabilità. Nel corso della 

seconda serie tuttavia le atmosfere si 

sono fatte via via più luminose, segno 

che le cicatrici stanno guarendo e la 

città ha ripreso a vivere. Gli Who 

cantano Baba O’Riley e cullano 

persone e cose nel ritrovato ritmo della 

normalità. ✪ 

facce, gesti del caso su cui si indaga. 

Intraprendono una lunga partita a scacchi 

con un avversario invisibile e sconosciuto, 

ma al quale si può dare un nome 

valutandone le mosse (attacco, difesa, 

sacrifici) sulla scacchiera. Ogni membro 

del team di “mind hunter” ha una sua 

specializzazione e una sua individuazione 

narrativa. L’unità del Behavioral Science 

Unit (BSU) è formata, tra gli altri, da 

Jason Gideon (l’ottimo Mandy Patinkin), 

ritenuto il più abile degli analisti dell’FBI, 

il “genio” con un quoziente di intelligenza 

altissimo, Spencer Reid (Matthew Gray 

Gluber), Aaron (Thomas Gibson), Elle (Lola 

Glaudini), Derek (Shemar Moore) e 

Jennifer (Aj Cook). Girato, come molti 

altri dei tv-movie, con uno standard 

narrativo-produttivo molto alto e 

un’ammirevole cura dei dettagli, Criminal 

Minds sente e metabolizza le atmosfere e 

le psicologie codificate dalle pagine 

migliori di Thomas Harris, il padre di 

Hannibal Lecter. Gideon-Patinkin cita 

Nietzsche, Churchill e Conrad e la sua 

mente anticrimine non è mai in pausa. 

Come potrebbe? Il male non va in 

vacanza. 

BUON SANGUE 

NON MENTE 

Scherzare col terrorismo si può. L’irriverente lezione di NCIS: spin-off adrenalico e 

surreale, nato dal papà di Magnum P.I. come costola degli Avvocati in divisa 

DI SABRINA RAMACCI 

NCIS E’ UNA SERIE CHE VANTA UNA 

garanzia su tutte: a produrla è lo stesso 

Donald P. Bellisario che ha cambiato la 

storia della TV con JAG, Magnum P.I., 

Quantum Leap e il cult Battlestar 

Galactica. Talmente apprezzato come 

producer televisivo che sulla “Walk of 

Fame” brilla una stella col suo nome. 

Dal 2003, insieme allo scrittore Don 

McGill, Bellisario produce NCIS (Naval 

Criminal Investigative Service), una 

serie nata come spin off di JAG (gli 

avvocati della marina militare). NCIS 

appartiene a pieno titolo al filone crimeinvestigation, 

ma si stacca da quelle storie 

grazie ai dialoghi ironici e surreali, 

caratteristica di ogni puntata nonostante 

la drammaticità delle situazioni. Nel 

corso delle indagini capita di sentire 

l’agente Anthony Di Nozzo citare mezza 

storia del cinema, raccontare intere 

sequenze di film e prendere in giro i 

colleghi televisivi di CSI. Gli episodi 

hanno uno sviluppo narrativo che si 

conclude alla fine di ogni puntata, ma 

l’aspetto positivo è l’analisi che nel 

tempo ci offre della personalità dei 

singoli personaggi. Ognuno di loro vive 

infatti una molteplicità di cambiamenti 

causati dallo stress del lavoro e 

dall’influenza dei singoli casi sulle 

proprie vite. L’elemento comune a tutte 

le puntate è l’indagine costante sul 

terrorismo e proprio a questo tema sono 

legati alcuni degli avvenimenti cruciali 

della serie. Un argomento così delicato 

da far scattare una forte sintonia tra 

personaggio-spettatore, soprattutto nella 

platea americana. L’eterogeneo team agli 

ordini dell’agente speciale Leroy Jethro 

Gibbs (Mark Harmon) è composto da 

Anthony Di Nozzo (Michael 

Weatherly) un ex-agente della omicidi 

ossessionato dal cinema e dalle donne; 

Abby Sciuto (Pauley Perrete) 

criminologa e tecnica di laboratorio 

rigorosamente dark e con una passione 

per i rave party; e ancora Timothy 

McGee (Sean Murray), Ziva David 

(Cote de Pablo), il Dr. Donald “Ducky” 

Mallard (David McCallum) e Jennifer 

Shepard (Holly Lauren). Negli Stati 

Uniti, a settembre 2006, è partita la 

messa in onda della quarta serie, mentre 

in Italia è stata appena trasmessa la 

terza. ✪ 

Marzo 2007 RdC 49

SPECIALE 

IL CASO 

ITALIANO 

Una sottile linea gialla lega le puntate di RIS. Un’invenzione 

tutta nostrana, che stravolge le regole e strizza 

l’occhio a Hill Street giorno e notte e CSI. Con lode? 

DI ANDREA AGOSTINI 

“LA VERA SVOLTA È AVVENUTA NEL 

2000 con Distretto di Polizia. Pochi lo 

sanno, ma quella serie ha innovato la 

televisione italiana, riadattando lo 

schema narrativo sulla falsariga di quello 

americano.” Parola di Daniele Cesarano, 

professione story editor e sceneggiatore. 

Nel curriculum tre serie di RIS e quattro 

di Distretto di Polizia. “Ma non ho 

ucciso io l’agente Mauro Belli” 

(amatissimo dal pubblico e interpretato 

da Ricky Memphis, è morto all’inizio 

della sesta serie). 

Cos’è cambiato rispetto al passato? 

Per Distretto di Polizia è stato 


saccheggiato il modello americano: 

come in Hill Street giorno e notte, si tratta 

di un serial poliziesco corale, con storie 

umane sviluppate all’interno dei casi, un 

ritmo veloce – un must nella produzione 

della Taodue di Pietro Valsecchi – e 

soprattutto un cambiamento nella 

durata” 

Ovvero? 

Siamo passati dai cento ai cinquanta 

minuti a puntata. Ci sono i casi A e B da 

risolvere ma soprattutto - e questa è 

un’invenzione dello stesso Valsecchi - la 

creazione di una linea gialla. Una sorta 

di filo conduttore che lega fra loro le 

puntate di una serie tv. Nella prima serie 

ruota attorno al personaggio di 

Giovanna Scalise (Isabella Ferrari), 

minacciata dalla mafia. E con l’arrivo di 

nuovi personaggi (il commissario Giulia 

Corsi, interpretato da Claudia Pandolfi) 

sono state introdotte altre linee gialle. 

Un’intuizione tutta italiana insomma. 

E gli altri sono rimasti a guardare? 

No. La linea gialla è stata ripresa pure 

dagli americani, che l’hanno fatta 

diventare il punto di forza di molte serie 

“Nessuno spin-off. Per ora gli investigatori 

rimangono a Parma, sulle tracce 

del criminale ispirato a Unabomber”

tv. Basti pensare a Desperate Housewives, 

dove il suicidio di una casalinga è il tema 

che lega tutte le puntate della prima 

serie. Senza dimenticare il nostro RIS, 

dove il filo conduttore è un criminale 

ispirato a Unabomber. 

Parlando di RIS non si può fare a 

meno di pensare a CSI… 

E’ vero. Si tratta di una serie nata dalla 

nostra esigenza di confrontarci con le 

serie tv americane, che sono la cosa 

migliore che si possa vedere sul piccolo e 

grande schermo. Non c’è film d’azione, 

neppure al cinema, che superi la qualità 

di 24 con Kiefer Sutherland. Nel caso di 

RIS, siamo riusciti ad imporci facendo 

leva sul successo di CSI, una delle serie 

tv più viste al mondo. 

Una semplice copia? 

No, anche se le basi sono le stesse: 

poco spazio alle vicende personali. 

L’attenzione è concentrata sul lavoro 

dei personaggi e sull’azione: storie 

complesse, un personaggio principale 

quasi anaffettivo e lontano anni luce 

dalla figura dell’eroe per eccellenza. E 

coprotagonisti conflittuali, che spesso 

litigano fra loro. 

Appunto. Molto CSI… 

Non solo. Le somiglianze ci sono, ma 

in CSI è tutto fermo, non c’è azione. 

Brilla l’intelligenza riflessiva e 

analitica dei personaggi. Per RIS il 

regista Alexis Sweet si è ispirato a 24. 

Ha mescolato azione e contenuto 

scientifico usando la macchina a 

Vincenzo De Biase 

e Gea Lionello. 

A sinistra Giulia 

Michelini e Stefano 

Pesce, sotto 

Daniele Cesarano 

mano, lo split screen e un ritmo 

adrenalinico. 

Una scelta controcorrente nel 

panorama televisivo italiano. Non 

avete avuto nessun problema? 

Nessuno credeva in RIS. Tutti si 

aspettavano la brutta copia di CSI. 

Ma la prima serie ha ottenuto oltre 

otto milioni di spettatori. E, caso più 

unico che raro, è stato venduto in 

mezza Europa. La versione francese ha 

ottenuto il 40% di share. Un successo 

che ha superato ogni aspettativa. 

CSI e gli spin-off CSI Miami e CSI 

Las Vegas. Dopo i RIS di Parma 

dovremo aspettarci lo stesso con i 

RIS di Roma, Messina e Cagliari? 

No, almeno per ora. ✪ 

Marzo 2007 RdC 51

IN SALA 


Punto critico: manuale per 

sopravvivere alle uscite in sala 

UNO SU DUE 

Commozione, ilarità, sentimento. Cappuccio a segno con coraggio e ottimi attori 

“Uno su mille ce la fa…”, canta 

Morandi in una nota canzone. 

Nella vita reale, per fortuna, si hanno 

maggiori possibilità di farcela. Il 

cinquanta per cento delle persone che 

si scoprono ammalate, ad esempio, se 

la cavano senza conseguenze. Ciò non 

toglie che tra la scoperta della malattia 

e la diagnosi definitiva, ci sia uno spazio 

temporale in cui il mondo sembra 

fermarsi e l’esistenza fissarsi in 

un’attesa infinita. Un limbo nel quale si 

è malati e sani al tempo stesso; carichi 

di speranza e depressi; arrabbiati neri 

eppure alla ricerca di una pacificazione 

interiore. Lo sa bene Lorenzo, 

ambizioso avvocato genovese in 

procinto di mettere le mani su un affare 

che lo renderà milionario, il quale un bel 

giorno cade a terra svenuto. Da quel 

momento è dirottato verso il girone 

infernale delle stanze e dei corridoi di 

un ospedale: unica guida, un ex 

camionista in fase terminale che come 

un novello Virgilio lo conduce con ironia 

ed elementare saggezza alla scoperta 

dei veri valori. Altro che soldi, lavoro, 

divertimenti, appartamento borghese 

con vista sul mare: il confine tra 

successo e insuccesso è racchiuso nel 

verdetto definitivo che il medico 

smaliziato, abituato a gestire con 

scaltrezza i pazienti impazienti, sembra 

procrastinare oltre il sopportabile. Il 

nucleo centrale di Uno su due, secondo 

film in solitario di Eugenio Cappuccio, in 

fondo è facilmente circoscrivibile al 

lungo tempo dell’attesa. E delle sue 

conseguenze su un individuo che 

sembrava inattaccabile. Lorenzo, il 

giovane rampante che va in frantumi, è 

costretto a prendere coscienza, a 

misurarsi con il dolore degli altri, 

riscoprire il valore dell’amicizia, 

confrontarsi con l’affetto sincero della 

donna che lo ama incondizionatamente 

seppur non ripagata con lo stesso 

trasporto. Presentato nella sezione 

“Premiere” alla Festa del Cinema di 

Roma, Uno su due insieme a L’aria 

salata dell’esordiente Angelini è stato il 

caso italiano del festival. Prima della 

visione infatti, sembrava che a renderlo 

interessante fosse soprattutto la 

A INCARNARE LA PARABOLA DI MALATTIA, ATTESA E RISCOPERTA 

DEI VALORI E’ UN FABIO VOLO MAI COSI’ CONVINCENTE E MATURO 

presenza nel cast di Fabio Volo, figura 

anomala di attore-non attore, 

presentatore televisivo, autore di libri in 

grado di vendere trecentomila copie. 

Invece le ragioni del successo sono 

tutte nelle qualità del film, in primo 

luogo l’aver scommesso su un tema 

ostico - la malattia - che i nostri autori 

in genere evitano accuratamente di 

trattare. Cappuccio non ha avuto paura, 

come non ne aveva avuta 

nell’affrontare il cinismo alla base del 

mondo del lavoro nel precedente 

Volevo solo dormirle addosso, e ha 

colpito nel segno. Ha costruito una 

storia complessa nell’apparente 

linearità, adottando per raccontarla uno 

sguardo ora scarno ed essenziale, ora 

quasi visionario, sostenuto da una 

sceneggiatura che alterna con misura 

momenti di vera ilarità ad altri di 

intensa commozione ed emozione. E, 

non ultimo, ha avuto l’intelligenza di 

puntare su un cast eccellente. 

Ribaltando la prima errata impressione, 

si è infatti sottratto a un altro dei vecchi 

vizi del nostro cinema, cioè quello di 

contare esclusivamente sul primo nome 

in locandina. Qua come accennato 

accade il contrario: Fabio Volo convince 

sfoderando una forza espressiva e una 

maturità che ai tempi di Casomai 

sembrava irraggiungibile, ma accanto a 

lui brillano ottimi comprimari. Ninetto 

Davoli, doloroso e intenso, nei panni del 

camionista strappa l’applauso. Giuseppe 

Battiston colora il ruolo dell’amico di 

simpatica cialtronaggine. Pino 

Calabrese indossa a meraviglia il 

camice del medico cinico dal cuore 

d’oro. L’esordiente Tresy Taddei è 

un’adolescente tenera e vulnerabile. 

Anita Caprioli una fidanzata 

comprensiva ed energica al tempo 

stesso. E non da meno è Agostina Belli, 

scelta non certo seguendo una moda 

che sempre più spesso si diverte a 

recuperare attori sul viale del tramonto, 

ma perché perfetta nella parte di una 

combattiva madre dalla bellezza 

sfiorita. 

FRANCESCA DE MARIA 

REGIA EUGENIO CAPPUCCIO 

Con Fabio Volo, Anita Caprioli 

Genere Drammatico, colore 

Distr. 01 Distribution 

Durata 100’

iFilmDelMese 

Marzo 2007 RdC 55


IL VELO DIPINTO 

Norton e Watts in coppia ai tempi del colera: buona la partitura di Curran 

IN SALA 

Inghilterra, 1925. La giovane e 

high society Kitty (Naomi Watts) 

viene spinta dalla madre a prendere 

marito. La scelta cade sul batteriologo 

Walter Fane (Edward Norton), serio e 

compito. Subito dopo le nozze, la coppia 

si trasferisce a Shanghai: Walter è tutto 

assorbito dalla sua professione, Kitty si 

getta tra le braccia del vice-console 

britannico Charlie Townsend (Liev 

Schreiber). Venuto a conoscenza del 

tradimento della moglie, Fane decide di 

trasferirsi a Wei-tan-fu, una remota 

località nell’entroterra cinese funestata 

da un’epidemia di colera. Walter ignora 

tenacemente la moglie, ma è una 

situazione destinata a mutare… Il velo 

dipinto diretto da John Curran è il terzo 

adattamento per il grande schermo del 

romanzo The Painted Veil di W. 

Somerset Maugham (1925), dopo 

l’infedele trasposizione con Greta Garbo 

realizzata dalla MGM del 1934 e Il 

settimo peccato del 1957 diretto da 

Ronald Neame e interpretato da 

Eleanor Parker. Ed è superiore a 

entrambi gli antecedenti. Già lucido 

osservatore dei Giochi dei grandi, 

Curran utilizza il datato romanzo di 

Maugham per tradurre in immagini e 

suoni l’amore ai tempi del colera, ovvero 

il mutevole hic et nunc delle relazioni di 

coppia. E ci riesce bene, prendendo a 

piene mani dal solito impeccabile 

Edward Norton, dalla misurata Naomi 

Watts – entrambi potrebbero sembrare 


a mezzo servizio, ma questo chiede il 

copione – e un convincente Toby Jones, 

che dopo il Truman Capote di Infamous 

qui si ritaglia la parte del colonialista 

dissoluto. Non solo, bravura di Curran è 

la capacità di soffermarsi sui frammenti 

del discorso amoroso in chiave 

paradigmatica, ovvero astorica, e 

insieme di non relegare nel fuoricampo 

il contesto socio-politico del film, 

percorso dai bacilli del colera e dai 

fermenti antibritannici. Una delicata 

sintesi, che non raggiunge l’emozione, 

ma si attesta su un traguardo minimal, 

più prosastico che poetico, introspettivo 

anziché centrifugo. British style che 

rifugge la galvanizzazione, ma scrive 

sullo schermo traiettorie che non 

saranno nuove allo spettatore - a 

qualcuno verrà in mente Raymond 

Carter, e non a torto. Diretto senza 

fronzoli ma ben fotografando i paesaggi 

campestri della provincia di Guangxi, 

Cina meridionale, Il velo dipinto trova 

nelle musiche di Alexandre Desplat un 

contrappunto sublime, che contribuisce 

al procedere del film: sottrazione 

materica e intensificazione poetica. 

FEDERICO PONTIGGIA 

REGIA JOHN CURRAN 

Con Edward Norton, Naomi Watts 


Distr. Eagle Pictures 

Durata 100’ 

Il terzo e 

miglior 

adattamento 

del romanzo 

di Somerset 

Maugham 

ANTEPRIMA 

ASTERIX E I 

VICHINGHI 

La saga degli irriducibili galli alla svolta. 

Nel segno della perfezione tecnica 

Mentre si sta già preparando 

Asterix alle Olimpiadi che 

arriverà nei cinema di tutto il mondo 

con i prossimi giochi olimpici, esce 

finalmente anche in Italia Asterix e i 

Vichinghi, in ritardo di quasi due anni 

rispetto alla fortunatissima release 

francese e tedesca. Una 

coproduzione europea ad alto 

budget che porta anche sotto il 

profilo tecnico la saga degli 

“irriducibili galli” ad un ottimo livello. 

Nonostante la storia non sia una 

delle migliori in assoluto tra quelle 

ideate dai suoi geniali autori Renée 

Goscinny e Albert Uderzo, Asterix e i 

Vichinghi è sicuramente il più 

completo tra i tanti film già 

realizzati, con la possibile eccezione 

del, forse, insuperabile Asterix e 

Cleopatra. Tutto inizia quando da 

Lutezia arriva lo sfaticato nipote del 

capo Abracourcix. Suo fratello lo ha 

pregato di trasformare il figlio in un 

“uomo” e così il debosciato 

giovanotto viene affidato alle 

amorevoli cure di Asterix, Obelix e 

Idefix. Nel frattempo i Vichinghi 

decidono di invadere la Gallia per 

scoprire cosa sia quella “paura” di 

cui sentono tanto parlare. Lo scontro 

(fisico) di civiltà è, quindi, inevitabile. 

In molti momenti esilarante, il film è 

una versione fedelissima del 

fumetto, comunque aggiornata con il 

piccione viaggiatore “Sms” che porta 

i messaggi dopo che glieli hai scritti 

toccandone il pancino. Notevole 

anche la colonna sonora con brani di 

Celine Dion e una cover della celebre 

Eye of the Tiger in chiave pop. 

MARCO SPAGNOLI 

REGIA STEFAN FJELDMARK, JESPER MØLLER 

Genere Animazione, colore 

Distr. DNC 

Durata 78’

DIARIO DI UNO SCANDALO 

Psicosi, vulnerabilità e amori proibiti: Dench impareggiabile, accanto a Cate Blanchett 

IN SALA 

E’ di pochi anni fa la vicenda 

dell’insegnante americana finita 

in carcere per la relazione con uno 

studente. Del rapporto i media hanno 

rivelato ogni particolare fino 

all’apparente lieto fine: i due sono oggi 

sposati. Restano aperte le domande di 

fondo: cosa spinge una donna matura 

a sedurre un ragazzino? Perché un 

teenager ricerca una figura così 

smaccatamente materna? E quale 

ruolo giocano i comprimari: mariti, 

padri, amici, persino figli? Diario di uno 

scandalo, l’intenso film di Richard Eyre 

tratto dal romanzo di Zoe Heller che a 

quella “tragedia americana” sembra 

RISULTATO TOCCANTE CHE RIFUGGE DA 

MORBOSITA’ E LUOGHI COMUNI 

ispirato, risponde implicitamente ai 

quesiti facendo piazza pulita dei luoghi 

comuni e rifuggendo i momenti a base 

erotica per concentrarsi sui sentimenti, 

sulle paure, sulle nevrosi dei 

protagonisti. Eyre costruisce un quadro 

dove Sheba, l’infelice quarantenne 

fatta vivere da Cate Blanchett, il 

giovane amante Steven, il comprensivo 

marito Richard, sono dolorosamente 

artefici del proprio destino pur 

restando tutto sommato sullo sfondo. 

A tenere i fili la frustrata insegnante 

ultrasessantenne Barbara, cui 

un’impareggiabile Judi Dench regala 

toccanti sfumature. Il diario dello 

scandalo è il quaderno su cui l’anziana 

signora ferma pensieri ed emozioni, 

ma soprattutto il dolore che ne ha 

congelato l’esistenza in un eterno 

REGIA RICHARD EYRE 

Con Cate Blanchett, Judi Dench, Bill Nighy 


Distr. 20th Century Fox 

Durata 92’ 

presente. L’incontro con Sheba è 

l’ultima spiaggia, la mano cui 

aggrapparsi sull’orlo del precipizio. 

Poco importa, allora, che la salvezza 

passi per la rovina degli altri, in primo 

luogo dell’amata Sheba cui con calcolo 

spietato distrugge la vita. 

Sembrerebbe il ritratto di un mostro, di 

una Hannibal Lecter dell’anima, invece 

è la radiografia di un essere a suo 

modo vulnerabile, malato di solitudine, 

vittima delle proprie stesse psicosi. 

Inutile dire che Judi Dench, insieme a 

un’altra lady di ferro, la Ellen Mirren di 

The Queen, meriterebbe più di un 

oscar. Il ruolo è di quelli che valgono 

una carriera e che l’attrice avrebbe 

dovuto strappare con la forza a Bette 

Davis, se la star fosse ancora viva. 

ANGELA PRUDENZI 

Marzo 2007 RdC 57


INTRIGO A BERLINO 

Un thriller da museo del cinema per Soderbergh. Nostalgico e bellissimo 

IN USCITA 


La topografia berlinese dilaniata 

e sventrata dalle bombe - è il 1945 

- e un genere classico del cinema, il noir, 

ripensato in chiave filologica, non 

possono fare a meno del trasparente. 

Una jeep, con a bordo il corrispondente 

di guerra Jake Geismer 

(un George Clooney ingolfato nella sua 

divisa militare) e il suo autista, il 

caporale Tully (Toby Maguire), che si 

muove tra le rovine di Berlino e 

Potsdam, dove la conferenza di pace 

dei leader dei paesi vincitori 

disegneranno il mondo della seconda 

metà del Novecento, usa il vecchio e 

tradizionale effetto speciale per 

GEORGE CLOONEY E CATE BLANCHETT 

SULLE ORME DI NOTORIUS 

suggerire l’illusione imperfetta, 

convenzionale, concordata del trovarsi 

“lì ed allora”. Gli intrighi, le colpe, la 

disperazione, gli inganni, la ragnatela di 

rapporti loschi, la violenza esplicita ed 

ambigua del noir chiedono al regista 

Steven Soderbergh e allo spettatore di 

dislocare, con un atto di fiducia e di 

complicità reciproca, i corpi degli attori 

di oggi e la sensibilità e il modo di 

guardare della modernità in una 

retroproiezione cinefila. Clooney e la 

donna amata Lena (una seducente Cate 

Blanchett in black) e perduta quando 

erano i cannoni e non i battiti del cuore 

il metronomo della colonna sonora, i 

traffici di Tully, le spie e le controspie, i 

pedinamenti e gli agguati, sono 

raccontati con la stessa tecnica e con 

alcune delle inquadrature, 

REGIA STEVEN SODERBERGH 

Con George Clooney, Cate Blanchett 

Genere Thriller, bianco & nero 

Distr. Warner Bros. 

Durata 105’ 

amorevolmente ricostruite, di 

Casablanca, Notorius, Testimone 

d’accusa, Il terzo uomo (solo per citare i 

titoli più riconoscibili). Oltre al 

bellissimo e nostalgico bianco e nero 

anche gli obiettivi di ripresa sono da 

museo del cinema per fotocopiare le 

atmosfere d’epoca. La musica e la 

recitazione di impostazione teatrale 

ricalcano uno stile prelevato dalle 

bobine di una moviola della memoria 

visiva. La storia procede, secondo la 

grammatica di alcuni film noir, 

spostando costantemente il punto di 

vista tra i personaggi principali e con il 

punto di vista slitta e si muove la 

presunta verità dell’intreccio. Si segue il 

film con la stessa curiosità con cui si 

sfoglia un libro sul vecchio cinema. 

ENRICO MAGRELLI

PERCHE’ LO DICE MAMMA 

Commedia degli equivoci con qualche luogo comune. Troppe smorfie per la Keaton 

Buonismo a palate in salsa di 

prevedibilità. Il risultato è per 

palati squisitamente americani e la 

ricetta a base di ingredienti di largo 

consumo: una mamma rampante e 

inarresa all’età, tre figlie cresciute col 

miraggio borghese del matrimonio e 

fra loro una Cenerentola che manca 

sistematicamente il traguardo. La 

tragedia scuote alle fondamenta 

certezze ed equilibri della samaritana 

Diane Keaton. Tanto turbata e dedita 

alla causa, che per il suo imminente 

compleanno decide di regalare un 

marito alla figlia zitella. I tempi sono 

quelli di internet e la ricerca parte 

quindi in chat. Fra gli improbabili 

soggetti che si presentano alle 

selezioni, anche il ricco architetto che 

fa al caso suo. Bello e stirato come da 

copione, deve però fare i conti con un 

musicista scavezzacollo. Sulla doppia 

corsia di opposti cliché, la commedia 

REGIA MICHAEL LEMANN 

Con Diane Keaton, Mandy Moore 

Genere Commedia, colore 

Distr. Eagle Pictures 

Durata 102’ 

LEZIONI DI VOLO 

Non è la solita India, quella 

inquadrata da Francesca 

Archibugi nel suo Lezioni di volo. Non 

è la solita India perché se rimane 

l’approdo esistenziale di due 

diciottenni alto-borghesi alla deriva, è 

fortunatamente scevra degli afflati 

spirituali che corredano 

necessariamente il luogo comune del 

“ritrovarsi” in Oriente. Pollo (il figlio 

d’arte – Marco Risi e Elena Miglio – 

Andrea Miglio Risi) e Curry (Tom 

Karumathy, indiano de Roma) sono 

due adolescenti apatici, bocciati 

all’esame di maturità, che non è solo 

quella scolastica. In India per scoprire 

le origini di Curry, si fanno gabbare 

soldi e documenti, ma trovano – 

iniziano a trovare – le coordinate di 

REGIA FRANCESCA ARCHIBUGI 

Con Giovanna Mezzogiorno, Andrea Miglio Risi 


Distr. 01 Distribution 

Durata 106’ 

ANTEPRIMA 

Francesca Archibugi in India, sentimentale e 

mai scontata. Brava la Mezzogiorno 

ANTEPRIMA 

degli equivoci imbocca in folle 

l’autostrada della prevedibilità. Inutile 

chiedersi chi vincerà, così come 

interrogarsi sugli effetti della 

filantropica iniziativa sui rapporti fra 

madre e figlia. Per non rovinare la 

sorpresa, anticipiamo soltanto che le 

smorfie non giovano alla Keaton, 

mentre Mandy Moore è delicatissima 

un’identità altra, piena se non 

matura, grazie all’incontro con una 

dottoressa volontaria di World Aid, 

Chiara (Giovanna Mezzogiorno, 

buona prova). Forse troppo lungo 

(106’), Lezioni di volo è un romanzo 

di formazione a tutti gli effetti, pur 

senza seguire la lettera di un genere 

saccheggiato con esiti spesso insulsi 

dal cinema italiano attuale. A levarlo 

dalla mischia una partitura che non 

nel lasciare il suo impercettibile segno. 

Fedele alla linea, il regista Michael 

Lemann non tradisce invece il suo 

passato televisivo. Peccato, però, che 

predichi bene e razzoli male, 

disattendendo la preziosa morale che 

si evince dal film: chi si fa gli affari suoi 

campa 100 anni. 

DIEGO GIULIANI 

teme l’assenza di azione, ovvero la 

stasi narrativa, senza per questo 

incaponirsi in un’introspezione 

posticcia. Inspiegabilmente rifiutato 

dai festival nostrani (Venezia e 

Roma), il film dimostra inoltre di 

possedere un sottotesto sentimentalrelazionale, 

legato all’etica senza 

essere vincolato alla banalità. Sono 

Lezioni da prendere al volo. 


Marzo 2007 RdC 59


IN MEMORIA DI ME 

Saverio Costanzo sul terreno delle scelte etico-politiche. Con ansia tragica 

IN USCITA 

Dopo Private, esordio vincitore 

del Pardo d’oro a Locarno nel 

2004, sul diritto di libertà e 

determinazione del territorio come 

“vita” inalienabile, in Palestina, Saverio 

Costanzo procede nell’indagine etica e, 

in senso pieno, politica dei 

condizionamenti e della scelte: esiste 

davvero un territorio privilegiato dove 

la parola di Cristo può liberare la 

massima concentrazione e dedizione? 

Al posto della casa, c’è il convento. Le 

regole monacali sostituiscono le regole 

militari. Non è una denuncia, ma la 

consapevolezza di un un contesto in cui 

si riflette il mondo con le sue regole. 

Ispirato al libro Il gesuita perfetto - 

edito nel 1960 e basato sul noviziato 

dello stesso autore - di Furio Monicelli, 

anche collaboratore alla sceneggiatura, 

In memoria di me tocca nel titolo il 

cuore del tema: sono qui per diventare 

un altro, ma è un viaggio che posso fare 

soltanto attraverso il sacerdozio e nella 

Chiesa? Nei corridoi lugubri di un 

monastero sulla laguna di Venezia (a 

San Giorgio), dove ciascuna stanza 

nasconde un tormento sul destino della 

vocazione, Andrea (l’ottimo Christo 

Jivkov, attore bulgaro, in un cast 

centrato, con il tedesco Andre Hennicke 

e gli italiani Filippo Timi e Marco Baliani) 

tenta di concentrarsi sugli esercizi 

spirituali, ma è distratto 

dall’incombenza della vita che credeva 

di aver lasciato fuori: un novizio che, 


abbandonando la comunità, accusa la 

chiesa di tenere l’eccezione della parola 

di Dio in nome del potere; la morte di un 

misterioso ricoverato in infermieria; la 

delazione di un allievo sulle incertezze 

esistenziali di Andrea. L’ambiguità della 

comunità chiusa richiama l’ambiguità 

della società aperta. Mentre Andrea 

cerca una rigenerazione, scoprendo 

che le sue ottime intuizioni sul 

rapporto tra amore, fede e ordine 

sacro sono “letterarie” e inautentiche, 

dalle finestre passa l’ombra rutilante 

del mondo nella silhouette dei traghetti 

del Canal Grande. La regia ieratica e 

tesa di Saverio Costanzo (con qualche 

problema di controllo delle musiche) 

fin qui lascia il piacere di un film 

italiano - in concorso alla 57esima 

Berlinale e distribuito da Medusa - 

coraggioso, diverso e importante. Ma 

l’ultima parte, con un finale confuso e 

un simbolismo inessenziale (il bacio di 

sfida al priore non è preparato 

adeguatamente) esibisce le qualità di 

un giovane autore che ha fretta di 

dimostrare il suo senso tragico a 

scapito della misura del suo film. 

SILVIO DANESE 

REGIA SAVERIO COSTANZO 

Con Christo Jivkov, Filippo Timi 


Distr. Medusa 

Durata 115’ 

Ispirato 

al Gesuita 

perfetto di 

Furio 

Monicelli, 

un film 

coraggioso e 

diverso 

IN SALA 

CORRENDO CON LE 

FORBICI IN MANO 

Da Augusten Burroughs, un 

cineromanzo di deformazione 

Cineromanzo di deformazione. 

Alzando il tiro potremmo 

chiosare così Correndo con le forbici 

in mano, adattamento 

cinematografico dell’instant cult (Alet 

Edizioni) di Augusten Burroughs, 

ritratto in interni (psichici e 

psicologici) dell’infanzia dell’autore. 

Nel passaggio dalla pagina allo 

schermo molto è andato perduto: non 

vi è traccia nella regia di Ryan Murphy 

(creatore del serial tv Nip & Tuck, e 

qui anche sceneggiatore e produttore) 

dello stile idiosincratico di Burroughs, 

borderline e debordante, apatico e 

rutilante, come pochi sono i residui 

della struttura narrativa originale, che 

accostava frammenti ed eventi in un 

puzzle rapsodico. Che rimane dunque 

dei dolori del giovane Augusten, ben 

interpretato da Joseph Cross? In 

primis, a reggere sono gli attori: Alec 

Baldwin è il padre alcolizzato, la 

straordinaria Annette Bening – che 

bel ritorno! – è la madre bipolare, 

poetessa inedita afflitta da deliri di 

onnipotenza, e ancora Gwyneth 

Paltrow, Joseph Fiennes, Evan Rachel 

Wood e Brian Cox, lo psichiatra che 

dopo il divorzio dei genitori accoglie 

Augusten nella propria casa porto di 

mare (tutta rosa…). Una casa da mille 

meraviglie e un orrore, dove la 

carcassa del tacchino del 

Ringraziamento rimane sul televisore 

per sei mesi, e l’albero di Natale non si 

muove dal salotto tutto l’anno: 

l’esistenza di Augusten diviene 

sopravvivenza, ma quanta speranza e 

joie de vivre, nonostante tutto… Per 

bipolari e amanti della (baby) comédie 

humaine. 

ANNA MUSAMPA 

REGIA RYAN MURPHY 

Con Joseph Cross, Annette Bening 


Distr. Sony Pictures 

Durata 122’

STILL LIFE 

Commovente fotografia di una Cina scomparsa. Leone d’Oro alla Mostra del Cinema 

ANTEPRIMA 

La leggenda narra che un 

vecchio critico sostenesse che 

per parlare di un film non fosse 

necessario vederlo perché la visione 

avrebbe influenzato il concetto che 

del film ci si era già fatto. È 

esattamente quello che è successo a 

Still Life. Leone d’Oro alla 63a 

Mostra di Venezia, la pellicola di Jia 

Zhang-Ke è stata presentata come 

film a sorpresa e, di sorpresa, ha 

colto chi non è riuscito a vederlo per 

motivi legati alla programmazione e, 

soprattutto, chi se lo è ritrovato 

trionfatore in barba a ben altre 

previsioni. Quindi, non potendo 

giudicare in base alla visione, si è 

LO SGUARDO ACCAREZZA UNA TERRA 

CHE STA CAMBIANDO 

giudicato in base ai più vieti 

pregiudizi: cinese, lento, noioso. Che 

tristezza. Still Life è invece il ritratto 

commovente di un paese in 

disfacimento che tenta 

disperatamente di sopravvivere a se 

stesso e la lentezza, a volte, è solo un 

problema di lettura. Lo sguardo del 

giovane regista accarezza una terra 

che sta faticosamente cambiando, a 

metà tra un passato ineludibile e un 

futuro che chissà ancora per quanto 

tempo sarà solo distruzione del 

presente. La grande Diga delle Tre 

Gole è la metafora non metafora di 

un inarrestabile processo di 

sommersione, che condanna un 

popolo a fare i conti con un 

cambiamento radicale. Le vicende 

del minatore Han Sanming e 

dell’infermiera Shen Hong che 

REGIA JIA ZHANG-KE 

Con Zhao Tao 


Distr. Lucky Red 

Durata 108’ 

vagano alla ricerca dei rispettivi 

consorti dai quali si sono separati 

per differenti motivi anni addietro 

rappresentano il tentativo disperato 

di recuperare ciò che non può essere 

recuperato. Perché anche i rapporti 

umani, al pari della conformazione 

ambientale, non possono essere 

ripristinati se non attraverso il filtro 

di un doloroso passaggio emotivo e 

culturale. In tutto ciò la mano di Jia 

Zhang-Ke è ferma e sobria. Non c’è 

indulgenza nella sua descrizione. 

Anzi, il tutto è arricchito da sporadici 

elementi surreali che autorizzano 

una lettura ironica e ottimistica, 

come se l’imprevedibilità del 

semplice divenire in quanto tale 

fosse comunque una garanzia di 

rinascita. 

ALESSANDRO BOSCHI 

Marzo 2007 RdC 61


GUIDA PER RICONOSCERE 

I TUOI SANTI 

Travolgente opera prima prodotta da Sting. Chazz Palminteri in stato di grazia 

IN USCITA 


Dito è fuggito dagli isolati di 

Astoria, Queens, New York. Si è 

levato in volo, osserva da lontano le sue 

radici, gli amici della strada, l’ex 

fidanzatina, il quartiere scorsesiano; ma 

il suo sguardo dalla California è rivolto 

verso est e il suo viso porta le tracce di 

ciò che era ed è, un passato normale di 

vita da bassifondi metropolitani, 

inscindibile e inallontanabile. Dito ha 

scritto un libro nella finzione del film e 

non si sa su che cosa, mentre nella 

realtà il vero Montiel ha scritto un libro 

sulla sua vita nei Queens che Robert 

Downey Jr. ha scoperto, non si sa bene 

come, e poi ha voluto che questo 

A VENEZIA VINCE LA SIC, MA NON 

AVREBBE SFIGURATO IN CONCORSO 

diventasse un film (da lui interpretato 

egregiamente nel ruolo di Dito adulto). 

Opera prima più intensa, possente, e 

travolgente, che richiama alla lontana il 

libro di Douglas Adams, qui manuale di 

sopravvivenza e di bisogno di fuga 

somigliante ad una autobiografia 

iniziata con le pagine di un libro e finita 

tra le sequenze del film omonimo. La 

forza di un testo magmatico e denso 

che talvolta compare visivamente sullo 

schermo come pagina di sceneggiatura, 

per una pellicola matura e dettagliata 

nel descrivere la necessaria fuga in 

avanti, l’urgente passaggio all’età 

adulta, in un contesto di piccola 

comunità di quartiere e di famiglia 

tanto buona quanto castrante, del 

giovane Dito. Il ragazzo scappa dalla 

violenza di alcuni suoi compagni di 

REGIA DITO MONTIEL 

Con Chazz Palminteri, Robert Downey Jr. 


Distr. Mikado 

Durata 98’ 

scuola e di strada, corre verso la 

California dove si nasconde l’ipotetica 

felicità tutta da venire. E Montiel è 

bravissimo nel riprodurre un limitato e 

limitante spazio socio-culturale (per i 

genitori del protagonista Coney Island è 

terra straniera e inesplorata), 

chiedendo uno sforzo sovraumano ad 

un gruppo di attori di ogni età in 

sorprendente stato di grazia. Su tutti 

quel Chazz Palminteri, nel ruolo di 

Monty padre del protagonista, che 

rappresenta lo scoglio insormontabile 

sul quale si arena l’esuberanza 

adolescenziale di Dito. Vincitore della 

Settimana della Critica al Festival di 

Venezia, il film avrebbe potuto 

tranquillamente andare in Concorso 

con buona pace di altri scafati autori. 

DAVIDE TURRINI

PROPRIETA’ PRIVATA 

Isabelle Huppert in un dramma rigorosissimo a metà fra Haneke e i Dardenne 

ANTEPRIMA 

Una casa in una campagna 

francese appena accennata. 

Fuori scorci di cieli grigi e poco più. 

Dietro pesanti pareti in pietra, un 

dramma familiare a base di egoismi, 

incomunicabilità e macerie affettive, 

con finale dirompente. E poi niente 

musica, fotografia livida, dialoghi 

essenziali e tanta fisicità: rigore e 

parabola autodistruttiva di Proprietà 

privata ricordano molto La pianista di 

Haneke, pluripremiata a Cannes nel 

2001. Anche qui c’è Isabelle Huppert. 

Se lì, a muoverla era una vitale 

ribellione al soffocante giogo materno 

e sociale, il fuoco è questa volta sul 

figlio Thierry, il bravissimo Jeremie 

Renier, già visto ne L’enfant dei 

Dardenne: grande, grosso e ribelle, ma 

senza la minima intenzione di 

abbandonare il nido materno. Non è 

però una crociata quella del regista 

Joachim Lafosse: non enfatizza, né 

indulge nella condanna. Stringe il 

cerchio, invece. Intesse con profondità 

e ricchezza di particolari la complessa 

trama di un dramma a più ampio 

raggio. Cibo, tetto, sopravvivenza: il 

rapporto con la mamma Isabelle 

Huppert è puramente strumentale, ma 

neanche lei è senza macchia. Si inizia 

con futili schermaglie al tavolo della 

colazione, in cui si allea al più mite 

fratello François. La circostanza non è 

casuale: pretende cure e 

mantenimento Thierry, ma ribadisce 

anche il suo essere già uomo. Sguardi 

bassi da una parte e aggressivo 

incalzare dall’altra parlano dei rapporti 

di forza: mamma Pascale è all’angolo, 

sempre più ostaggio di due figli senza i 

quali, arriva a dire, finalmente potrebbe 

vivere. Il crescendo è perfetto, il 

fastidio dello spettatore fisico come in 

Rosetta. Tra le righe, accenni appena 

schizzati che allargano il campo. 

L’affresco è familiare e sociale allo 

stesso tempo: non c’è colpa, ma 

fallimento nella storia di Thierry e 

Pascale. Quello di un matrimonio in 

pezzi e delle macerie affettive che ne 

rimangono: una madre prigioniera e un 

padre-bancomat, ciascuno 

consapevole della propria disfatta, ma 

aggrappato alla speranza di una nuova 

vita. E’ però proprio questa 

atomizzante lotta alla sopravvivenza 

che soffoca e condanna i protagonisti. 

Ciascuno troppo concentrato a salvarsi 

per preoccuparsi del “mondo” che gli 

crolla attorno. Fino alla svolta finale, 

che Lafosse dipinge quasi come 

naturale approdo di un esasperato 

individualismo. Alla speranza concede 

uno spiraglio appena, ma agli 

spettatori regala un gran film. 

DIEGO GIULIANI 

REGIA JOACHIM LAFOSSE 

Con Isabelle Huppert, Jérémie Renier 


Distr. Bim 

Durata 92’ 

Non c’è colpa 

ma fallimento 

nell’affresco 

di Lafosse. 

E come in 

Rose ta il 

fastidio dello 

spettatore è 

quasi fisico 

ANTEPRIMA 

L’ALBERO DELLA 

VITA 

Requiem per il sogno di Aronofsky. 

Che punta in alto, ma perde la storia 

Una storia, tre epoche (1500, 

oggi e 2500) due protagonisti, 

Hugh Jackman e Rachel Weisz, un 

amore. Progetto a lunga gestazione, 

con budget dissanguato dalla 

defezione di Pitt e Blanchett (da 75 a 

35 milioni di dollari), L’albero della 

vita (The Fountain) segna il ritorno 

dietro la macchina da presa 

dell’enfant terrible Darren Aronofsky, 

autore quasi-cult di Pi greco - Il 

teorema del delirio e Requiem for a 

Dream. Atteso con trepidazione alla 

Mostra di Venezia, The Fountain ha 

deluso, zampillando acque stagnanti, 

nonostante le ellissi, analessi e 

prolessi di cui è saturo. Vorrebbe 

Aronofsky parlare di immortalità, ma 

compie scelte suicide, con una poetica 

che accumula bivi e perde la rotta e 

uno stile che vanifica il pregevole 

utilizzo di microfotografie e trucchi 

“in camera” anziché la solita CGI. La 

storia: lei (la Weisz è moglie del 

regista) è afflitta da male incurabile, 

lui non se ne fa una ragione, cerca la 

fontana della giovinezza, prima da 

conquistador spagnolo, poi da 

ricercatore medico-scientifico, poi - 

anzi prima, anzi ora - da spazionauta 

in posizione del loto, tra nebulose da 

guardare e cortecce da mangiare. 

Tanto rumore per nulla, Aronofsky 

affastella inquisizione, francescani, 

tai-chi, escatologia e arboricoltura, fa 

professione di fede New Age, rincorre 

il sincretismo e spreca interpreti non 

disprezzabili. Soprattutto, non sa 

raccontare. Il sogno di Darren ha 

avuto il suo requiem. 


REGIA DARREN ARONOFSKY 

Con Hugh Jackman, Rachel Weisz 


Distr. 20th Century Fox 

Durata 96’ 

Marzo 2007 RdC 63


L’AMORE GIOVANE 

Ethan Hawke in regia meglio che sul set. Dirige la Sandino Moreno con sicurezza e maturità 

Ethan Hawke si rivela una 

piacevole sorpresa. Verrebbe 

quasi da dire “meglio come regista che 

come attore”. Il titolo originale, The 

Hottest State, è il suo Texas. Ma è 

soprattutto “il punto di maggiore 

intensità dell’amore nelle sue fasi 

iniziali”. Il bravissimo Mark Webber è 

William, attore abbandonato dal padre 

all’età di otto anni, che si innamora 

perdutamente della cantante Sarah, 

l’altrettanto brava Catalina Sandino 

Moreno. Il meglio viene quando lei ci 

ripensa e, nonostante una appassionata 

parentesi messicana, interrompe il 

rapporto e si dedica al canto. Lui non sa 

dove sbattere la testa e inizia così la sua 

passione di telefonate e sconclusionate 

serenate shakespeariane. Né più né 

meno di quanto succede alla stragrande 

maggioranza delle coppie in crisi. Ma il 

regista descrive disperazione e distacco 

calibrando alla perfezione l’evoluzione 

REGIA ETHAN HAWKE 

Con Mark Webber, Catalina Sandino Moreno 


Distr. Mikado 

Durata 117’ 

PAPRIKA 

Dal Giappone un’animazione onirica che 

ammicca a Matrix e Strange Days 

Basata sul racconto di Yasutaka 

Tsutsui, Paprika è un film 

ambizioso che affronta temi una volta 

ritenuti del tutto inadatti ai disegni 

animati. Parliamo di secoli fa, perché 

negli ultimi anni le storie con complicati 

risvolti esistenziali la fanno 

decisamente da padrone. A ben vedere, 

nel caso di Paprika la scelta può essere 

vincente, perché nel film di Satoshi Kon 

si parla di sogni, di doppi, di mondi 

virtuali (c’era bisogno di dirlo?). Film 

complicato, innanzitutto per la storia, 

che racconta del furto di due DC mini, 

apparecchietti creati dal genio obeso 

Tokita che sono in grado controllare i 

sogni e sincronizzarli con il loro 

inconscio, aiutandoli così a risolvere 

ansietà e nevrosi. Operazione che 

REGIA SATOSHI KON 

Genere Animazione, colore 

Distr. Sony Home Entertainment 

Durata 91’ 


ANTEPRIMA 

IN USCITA 

del protagonista. Che dal dolore arriva 

ad elaborare il lutto dell’abbandono 

proprio grazie all’incontro con il padre 

che non vedeva dall’età di otto anni. 

Come se, con il distacco vero del 

momento in cui riesce a parlargli, 

acquisisse finalmente la 

consapevolezza di essere orfano e 

riuscisse così a ripartire. A sorprendere 

compie benissimo anche Paprika, 

brillante eroina virtuale e alter ego di 

Atsuko Chiba, ventinovenne, dimessa 

dottoressa della clinica e collega del già 

citato Tokita. La storia esplode quando 

due delle DC Mini vengono rubate. 

Cadendo in mani sbagliate potrebbero 

causare danni irreparabili non solo alle 

persone, ma anche e soprattutto alle 

cose, perché il confine tra sogno e 

realtà si annulla del tutto provocando 

disastrose invasioni di campo. E qui 

è la maturità di Hawke. Autore anche 

della sceneggiatura e del romanzo che 

l’ha ispirata, con la regia sta sempre 

“addosso” ai protagonisti, salvo lasciarli 

respirare nel momento in cui si 

separano. La sensazione è che abbia 

diretto senza esitazioni, con ogni 

inquadratura ben impressa in mente. 

ALESSANDRO BOSCHI 

inizia la parte più interessante del 

racconto, che con una pirotecnica 

escalation ci porta all’epilogo del film. 

Un po’ Matrix e un po’ Strange Days, 

Paprika forse mette troppa carne al 

fuoco e talvolta seguirne il percorso 

diventa faticoso, ma di certo è 

un’operazione intelligente che, come 

spesso accade con i film di animazione 

giapponesi, è di certo più adatto ad un 

pubblico adulto. 

ALESSANDRO BOSCHI

ALPHA DOG 

Ritratto disperato della gioventù americana. A tratti anche disturbante 

IN SALA 

Un debito non pagato a un 

giovane spacciatore di droga 

conduce ineluttabilmente – per 

circostanze che si complicano e 

sfuggono al controllo – all’omicidio di un 

15enne, fratello del debitore. 

Un’esecuzione ordinata dal giovane 

boss dopo aver sequestrato il 

minorenne. Una vicenda assurda, nella 

California dei giovani bianchi coi soldi, 

aspiranti gangster che hanno cancellato 

ogni rispetto etico, lasciandosi dominare 

da tre padroni – droga, sesso, violenza. 

Una generazione senza modelli positivi 

di riferimento, genitori compresi. Al 

confronto, la “gioventù bruciata” di 

CASSAVETES RICORDA AMERICAN 

HISTORY X E IL PRIMO SPIKE LEE 

James Dean era roba da educande. Qui 

si resta al grado zero della coscienza di 

valori primari. Non ci si accorge che 

rapire un minorenne scatenerà un 

“domino” fatale senza ritorno. 

Ispirandosi alla cronaca nera dell’agosto 

2000, al caso giudiziario di Jesse 

James Hollywood, Nick Cassavetes ha 

girato Alpha Dog. Con un prologo e un 

epilogo da film-inchiesta, che 

racchiudono il lungo resoconto degli 

eventi scanditi da date, orari e 

indicazioni dei testimoni processuali, 

Alpha Dog è un ritratto duro e 

“fenomenologico”. Cassavetes non sa e 

non intende spiegare le ragioni logiche 

dell’accaduto, non approfondisce le 

psicologie dei ragazzi della banda e 

delle ragazze che frequentano. Osserva 

i fatti come l’entomologo osserva gli 

REGIA NICK CASSAVETES 

Con Justin Timberlake, Emile Hirsch 


Distr. Moviemax 

Durata 113’ 

insetti. Non assolve né condanna. Il film 

si dilunga nella prima mezz’ora senza 

andare al sodo. Solo dal rapimento in 

poi, lo spettatore s’interessa allo 

sviluppo di quel perverso meccanismo. 

La tensione che sale drammatica 

ricorda certi film di Spike Lee o 

l’analogo American History X. La 

sequenza dell’omicidio è davvero 

disturbante, un pugno nello stomaco, 

ma anche il razzismo dei dialoghi (con 

turpiloquio da antologia) alla lunga è 

nauseante. Ci si chiede se ha senso un 

film con tanta esibita negatività, anche 

se nella realtà la giustizia sta facendo 

pagare i colpevoli. Forse il senso sta nel 

fatto che provocare il disgusto costringe 

chi guarda ad invocare una convivenza 

più degna del termine “umano”… 

MASSIMO MONTELEONE 

Marzo 2007 RdC 65


HOLLYWOODLAND 

Un cast riuscito esalta il noir sulla morte del primo Superman televisivo 

ANTEPRIMA 


Può un supereroe televisivo 

sfondare nel cinema? 

Hollywoodland dice di no. Può Allen 

Coulter, regista televisivo famoso per 

Sex & the City e I Soprano fare bene 

all’esordio al cinema? Hollywoodland 

dice di sì. Bel noir, ambientato nel 

quartiere della speculazione edilizia e 

cinematografica per eccellenza come 

La Dalia Nera, rispetto all’ultimo De 

Palma è un film meno preoccupato e 

più libero da compromessi, grazie 

anche a un cast riuscito. Un Adrien 

Brody sempre impeccabile è Louis 

Simo, investigatore scapigliato e 

(in)dolente, Humphrey Bogart riscritto 

BRODY, AFFLECK E DIANE LANE: UNA 

LEZIONE ALLA DALIA NERA 

dai più veraci Hammett e Chandler. La 

bella e sofferente Diane Lane (altro 

che Johansson e Swank) è Toni, 

moglie adultera del produttore MGM 

Eddie Mannix (Bob Hoskins, perfetto). 

Ben Affleck è il primo Superman 

televisivo, George Reeves, amante di 

quest’ultima e gallina dalle uova d’oro, 

da vivo e da morto, un po’ per tutti. La 

trama: George-Superman muore 

suicida il 16 giugno del 1959. Mammà 

non ci crede e ingaggia un detective 

privato, che scopre tutto per non 

arrivare a niente. Un viaggio negli 

inferi di Hollywood, tentazione di 

molti, da Atom Egoyan a Paul Thomas 

Anderson - solo per citare gli 

insospettabili -, raccontato con la 

giusta cattiveria e un’abile mano nello 

scrivere la storia della “città della 

REGIA ALLEN COULTER 

Con Adrien Brody, Ben Affleck, Diane Lane 


Distr. Buena Vista 

Durata 126’ 

finzione, in cui ognuno ha la sua 

verità”. Si è rumoreggiato 

fastidiosamente sulla Coppa Volpi ad 

Affleck: la sua interpretazione di un 

attore incapace che vuole il successo, 

frustrato e depresso perché senza 

tutina adamitica perde la forza, ha una 

grande dignità. I maligni dicono che 

interpreti se stesso. Se fosse, bravo 

Coulter a sceglierlo, bravo Ben a 

mettersi in gioco. Qui si fa del superbo 

noir nella Los Angeles in cui “viverci 

rende famosi e morirci rende 

leggende”, lo si fa con la perversione di 

uccidere l’invincibile (lei sì) Mecca del 

Cinema sapendo che resusciterà. Una 

storia che conosciamo bene ma che 

rileggiamo con piacere perchè scritta, 

interpretata e girata con passione. 

BORIS SOLLAZZO

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IL CASO 

CAPITANO 

CORAGGIOSO 

Lino Toffolo esordisce in regia. Con Nuvole di vetro, fantasy digitale ambientato a Venezia 

DI PIERO ZANOTTO 

Nuvole di vetro segna il ritorno 

dell’attore veneziano Lino 

Toffolo al cinema. Questa 

volta anche come regista. Un debutto 

“leggero”, per un fantasy tutto lagunare, 

girato tra Murano dove Toffolo è nato, 

e il centro storico colto però nella 

Venezia minore, tra i piccoli canali, le 

stradine nascoste. In dialetto (ma, dice, 

basterà aggiungere qualche didascalia 

per renderlo comprensibile pure ai… 

siciliani). Vi recita la figura di un 

vetrario delle fornaci muranesi, un poco 

svagato, che i compagni di lavoro 

hanno soprannominato Nuvola. Il 

quale vive una storia d’amore forse solo 

sognata con la fanciulla cinese il cui viso 

sorridente un giorno gli apparve in 

trasparenza dentro il vaso in vetro che 

stava creando. In fondo il suo 

personaggio di sempre, recitato in tanti 

film degli anni settanta con Monicelli, 

Samperi, Festa Campanile, Dino Risi, 

Mogherini, De Bosio e altri, al fianco – 

come partners spesso di indispensabile 

contrappunto – di Vittorio Gassman, 

L'inconfondibile Lino 

Toffolo tra i colorati 

vetri di Murano 


Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Enrico 

Montesano, Lando Buzzanca, Adriano 

Celentano. “In sceneggiatura – dice – 

erano ruoli come dire normali. Che io 

dovevo ogni volta rielaborare (fatica in 

più) in chiave veneta. Tenendo conto 

delle mie esperienze nel cabaret. 

Un’avventura quella del cinema che 

non avevo cercata. Mi ci sono trovato 

dentro all’improvviso”. 

Quali i film che ricordi più 

volentieri? 

Sono più di uno. Il debutto vero 

avvenne nel 1970 con Brancaleone alle 

crociate di Monicelli. Per il quale venni 

doppiato, ma non perché la mia voce 

non risultasse appropriata: solo per la 

mia indisponibilità trovandomi 

impegnato con Samperi in Un’anguilla 

da trecento milioni. 

Altri? 

Culastrisce nobile veneziano di 

Mogherini. A parte il fatto che si svolge 

per buona parte a Venezia, anche per il 

sodalizio amichevole che durante la 

lavorazione mi legò a Marcello 

Mastroianni. Per esigenze di copione ci 

trovammo tutt’e due a mollo in un 

canale. 

La ragione che ti ha portato nel 1978 

ad abbandonare d’improvviso il 

cinema? 

Confesso che mi sentivo un attore in… 

cattività. Non ho mai legato molto con 

l’ambiente. Appena finito il mio 

impegno ritornavo in famiglia, nella 

mia Murano. Ma lo si deve anche ad 

altro. A offerte che qualche volta mi 

irritavano. Io ho lavorato più volte con 

Pasquale Festa Campanile, che a mio 

avviso faceva anche film ch’erano al di 

sotto della sua preparazione e 

intelligenza. Dopo avere partecipato a 

pellicole di facile previsione 

commerciale come Quando le donne 

avevano la coda e Quando le donne 

persero la coda, mi rifiutai di farne un 

altro sulla stessa falsariga, peggiorata in 

contenuto pecoreccio. Rimandai la 

sceneggiatura dopo la lettura delle 

prime già eloquenti cinque pagine. 

Qualcosa comunque ti piaceva di 

questo mestiere che ti impegnò per 

un decennio tondo… 

Mi incuriosiva capire come un film 

veniva fatto e restavo sul set anche 

quando, come gli altri attori, potevo 

andarmene. Se devo fissare un bullone 

ad una macchina voglio sapere il perché 

dell’intero funzionamento. Gassman 

per questo un giorno mi predisse un 

futuro di regista. 

Alla lunga ci sei arrivato. Come è 

maturata l’idea di Nuvole di vetro, 

film senza pellicola, tutto in digitale? 

Viene da lontano. Me la portavo dentro 

dai giorni dei miei recital teatrali, tra 

prosa e musica, dei miei programmi 

televisivi, scrivendo libri ed elzeviri di 

paradossale e riflessivo commento alle 

cose quotidiane per Il Gazzettino. ✪

“Ho detto basta dopo 

Quando le donne persero la 

coda. Quel filone stava 

scadendo nel pecoreccio” 

Marzo 2007 RdC 69

“Ho detto basta dopo 

Quando le donne persero la 

coda. Quel filone stava 

scadendo nel pecoreccio” 

Marzo 2007 RdC 69

OK 

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Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema 

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DAL GIAPPONE 

CON STILE[TTO] 

Direttamente in dvd Lady 

Snowblood, il cult al femminile 

che ha ispirato Kill Bill 

Marzo 2007 RdC 71

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L’amore secondo 

François Truffaut 

Una monumentale riedizione omaggia il regista dei 400 colpi. In ben 

11 titoli, per declinare le mille sfumature di un sentimento 

■ I 400 COLPI 

■ TIRATE SUL 

PIANISTA 

■ JULES E JIM 

■ LA CALDA AMANTE 

■ BACI RUBATI 

■ LE DUE INGLESI 

■ MICA SCEMA LA 

RAGAZZA! 

■ L’AMORE FUGGE 

■ L’ULTIMO METRO 

■ LA SIGNORA DELLA 

PORTA ACCANTO 

■ FINALMENTE 

DOMENICA 

■ DISTR. BIM 


di Alessandro Scotti 

11 dei 21 film girati da 

Truffaut: dall’esordio (con 

I 400 colpi) all’ultimo Finalmente 

domenica!, girato nell’83, un anno 

prima della morte del regista, 

riproposti ora in una collana 

speciale che celebra il grande 

protagonista della Nouvelle Vague. 

L’infanzia e ciò che di essa rimane 

in eredità nella vita di un uomo: la 

paura della solitudine, la 

malinconia e soprattutto l’amore. 

E’ l’amore nelle sue infinite 

declinazioni che ritroviamo in 

questi undici film. Un amore che, 

invariabilmente, fa male. Ma a cui 

non possiamo sottrarci, a cui si 

tende in maniera compulsiva. Così 

come fece il regista francese, con 

il suo amore smisurato per il 

cinema e la letteratura. Truffaut fu 

tra i teorizzatori della Nouvelle 

Vague attraverso il dibattito 

consumato sui Cahiers du cinéma 

(di cui fu giovanissimo redattore 

assieme a tutti i mostri sacri del 

cinema francese) negli anni ’50 e 

’60. Il cinema come strumento di 

scrittura personale, come 

metafora della vita e riflesso del 

pensiero. La sua mano di regista 

non si è mai nascosta, eppure la 

sua leggerezza nel raccontare ha 

fatto la storia del cinema. Quello 

di Truffaut fu un linguaggio 

assolutamente innovativo, 

destinato ad avere molti adepti 

senza che nessuno riuscisse a 

replicarne l’esperienza. 

Irriverente, colto e conscio della 

storia del cinema tanto da 

riportarla nel propri film come un 

elemento sistematico, ma mai 

arrogante. Truffaut ha navigato 

fra i generi del cinema e della 

letteratura con la stessa intensità 

con cui ha vissuto 53 anni. La sua 

chiarezza narrativa non ha mai 

banalizzato la complessità 

dell’esistenza e del sentire, al 

contrario Truffaut è riuscito ad 

esorcizzare le pesantezze della 

vita raccontandole per parole e 

per immagini. Come se, 

mettendole sullo schermo, 

ordinandole dolcemente, non 

perdessero le loro connotazioni 

ma diventassero tollerabili. Il suo è 

un cinema storicamente radicato 

nell’esperienza di quegli anni, ma 

fortemente attuale per ognuno dei 

suoi spettatori. Un’esperienza 

quasi intima. 

Seppure intimo e 

ancorato alla Nouvelle 

Vague, è sempre 

fortemente attuale

I 400 colpi. 

Nella pagina 

accanto 

Truffaut con la 

Deneuve 

Marzo 2007 RdC 73


Regia Walter Hill 

Con Robert Duvall, 

Thomas Haden 

Church, Greta 

Scacchi 

Genere Western 

Distr. Sony Home 

Entertainment 

Arriva in due 

dischi, dopo il 

trionfo al festival 

di Torino 


Sparala ancora Hill! 

Ritorno alle radici western con Broken Trail. 

Per un tv-movie da urlo 

Grande ritorno di Walter Hill al suo cinema 

d’elezione. L’autore de I guerrieri della notte 

risale alle radici del western, ne riesuma i codici e 

attualizza le regole. L’impianto è quello classico: 

l’attraversamento di un immenso nulla, costellato di 

insidie, verso una meta lontana dove sentirsi a casa. Lo 

sceneggiatore Alan Geoffrion muove da due 

considerazioni storiche: alla fine dell’800 l’esercito 

britannico acquistava cavalli a caro prezzo nell’Ovest 

americano, mentre molte giovani cinesi venivano 

trafficate nelle stesse zone, per essere impiegate come 

prostitute. Così ritroviamo Prentice “Print” Ritter e suo 

nipote Tom Harte in una cavalcata dall’Oregon al 

Wyoming, con una mandria di 500 mustang. Presto 

però il loro destino si scontra con quello di 5 giovani 

cinesi destinate a un postribolo di una lurida cittadina 

di minatori. La carovana si allarga, accoglie loro, una 

prostituta di mezza età (Greta Scacchi) e un violinista 

da bar. A destinazione non arriveranno tutti, ma come 

in ogni western arriva il tramonto. Impeccabile. A 

pensare che è un tv-movie non ci si crede. In due 

episodi e due dischi. 

Freschi di sala 

(Tele) visioni 

LA FAMIGLIA 

ADDAMS - STAG. 1 

Il ritorno della 

Famiglia Addams coi 

22 episodi della 

prima stagione in 3 

dischi. Trasmessa 

dalle tv americane 

fra il ’64 e il ‘66, era 

nata da una striscia a 

fumetti del New 

Yorker. Dramma 

degli Addams è 

quello di sentirsi una 

famiglia americana 

media: stanno alla tv 

degli anni ’60 come i 

Simpson alla tv e alla 

società di oggi. Come 

già il fumetto, il 

telefilm è un 

compendio di 

umorismo nero, 

paradosso e satira di 

costume, che mette a 

nudo le idiosincrasie 

di una società 

perbenista e 

bacchettona. Un 

culto evergreen. 

DISTR. 20TH CENTURY 

FOX 

I FIGLI DEGLI UOMINI 

SPAZIO 1999 

COLLECTOR’S BOX 

Spazio 1999 nasce 

sulla scia del 

successo di UFO. 

L’idea originaria era 

dare un seguito a una 

serie di fantascienza 

di grande popolarità, 

ma gradualmente 

guadagna una totale 

autonomia. La 

coproduzione angloitaliana 

punta su 

attori americani per 

aprirsi al mercato 

statunitense. Martin 

Landau e Barbara 

Bain vengono 

accostati di volta in 

volta da diverse 

guest star. Le riprese 

per i primi 24 

episodi terminano 

nel ’75 e il successo 

è tale da indurre 

subito a una seconda 

serie. In una 

collector’s edition 

entrambe le stagioni. 

DISTR. MONDO HOME 

ENTERTAINMENT 

Il talento visionario di Cuarón al servizio di una 

sciencefiction low tech. Nel 2027 la specie 

umana rischia l’estinzione per sterilità. Una 

donna rimane miracolosamente incinta: tocca a 

un manipolo di pacifisti proteggerla dal Potere. 

DISTR. UNIVERSAL 

COMMEDIASEXI 

Onorevole centrista cerca il varo di una legge 

sulla famiglia mentre tresca con una valletta 

televisiva. Rimasto impelagato nella vicenda 

mollerà la patata bollente al suo autista. Film di 

Natale firmato dall’ex pubblicitario D’Alatri. 

DISTR. 01 DISTRIBUTION 

CUORI 

Vola, leggero come una piuma, 

l’ottantacinquenne Resnais, maneggiando la 

trama impalpabile di sette esistenze in cerca 

d’amore. Il titolo originale recita: paure private in 

pubblici spazi. Leone a Venezia per la regia. 

DISTR. BIM


Mi manda Tarantino 

In collector’s edition la “Lady Vendetta” amata da Quentin 

■ Lady Snowblood – 

Blizzard From the 

Netherworld 

■ Lady Snowblood – 

Love Song of 

Vengeance 

■ Distr. KeyFilms Medusa 

Extra-Ordinari a cura di Marco Spagnoli 


Direttamente in dvd il cult 

giapponese che ispirò a 

Tarantino il suo Kill Bill. Doppio 

disco e collectors edition in 

versione originale, per un recupero 

del genere samurai primi anni ’70: 

pellicole tratte da manga con 

personaggi accecati dal desiderio di 

vendetta (il più noto e introvabile è 

Lone Wolf & Cub trasmesso da Rai 

3 negli anni ’80, in cui il samurai 

Itto Ogami viaggia con suo figlio in 

una carrozzina di legno). Anche 

Yuki, come la O-Ren di Tarantino, è 

condannata a questo destino. 

PROFUMO 

Interviste e backstage 

sul rapporto col 

romanzo di Patrick 

Süskind sono “niente”: 

il Dvd – anche per 

combattere la 

pirateria - uscirà in 

versione ‘profumata’. 

DISTR. MEDUSA 

Concepita da sua madre in 

prigione, con l’unico scopo di avere 

un erede che vendichi l’omicidio del 

marito, otterrà vendetta alla fine 

del primo episodio. Nel secondo si 

arrenderà alle autorità, per poi 

essere arruolata dalla polizia 

segreta giapponese. 

L’ambientazione è nell’800 e Lady 

Snowblood, come l’originale 

cartaceo di Kazuo Koike, lascia il 

segno: Tarantino ne conserva 

integralmente la struttura (in 

capitoli intitolati ai nemici), 

riprende le musiche e le scene. 

LA NOTTE DELL’IGUANA 

Film “maledetto” con 

Richard Burton e l’ex 

Lolita Sue Lyon. 

Special rivelatore: il 

regista aveva 

distribuito pistole con 

proiettili su cui erano 

incisi i nomi del cast. 

DISTR. WARNER BROS. 

CUL DE SAC 

Uno dei capolavori del Polanski 

giovane, che declina le varianti del 

rapporto a tre. Il castello che ha dato 

dimora a Sir Walter Scott durante la 

stesura di Rob Roy è arroccato su un 

isolotto che scompare con l’alta 

marea. Ospita una coppia di 

borghesi frustrati: lui beneficia 

dell’isolamento, lei seduce chiunque 

le capiti a tiro. Alla coppia si 

aggiungono due delinquenti, in fuga 

da una rapina andata male. Uno 

morirà, l’altro li terrà in ostaggio, 

imponendo la convivenza a tre, in 

un surreale gioco al massacro. Orso 

d’Oro a Berlino nel ’66. 


HAPPINESS E 

PALINDROMES 

Un’ironia dura, implacabile e 

melanconica quella di Solondz, che 

oscilla fra il patetico e il sadico. 

Quello di Happiness, felicità, dove 

una quinta di normalità cela il 

sadismo dei rapporti interpersonali 

nella patinata classe media 

americana. Il mondo di Solondz è un 

universo riverso, tanto chiuso sulle 

proprie oscenità da non vederle più. 

Palindromes è poi la storia di un 

aborto e dell’inseguimento fanatico 

della maternità. I suoi sono 

sognatori adolescenti in un mondo 

spaventevolmente “normale”. 

Commedia nera estrema. 


THUNDERBIRDS - SERIE 

ANIMATA - VOLUME 1 

Dai creatori di U.F.O. i 

telefilm di fantascienza 

con le marionette 

animate. Ricchi extra 

con backstage, 

documentari e 400 

foto d’epoca. 

DISTR. UNIVERSAL


ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI 

Spettatori al bivio 

Pubblico indeciso sul consumo dei film. 

Con le alternative cresce anche lo smarrimento 

Sono 21 milioni gli italiani 

che frequentano il grande 

schermo; la maggioranza 

sembra aver rinunciato ad 

andare al cinema. Il dato 

emerge da un’indagine della 

Doxa per conto dell’Anica e del 

Ministero dei Beni e delle 

Attività Culturali, su un 

campione di oltre seimila 

famiglie, con lo scopo di 

tracciare un nuovo identikit 

dello spettatore. L’ultima 

ricerca risaliva a undici anni fa 

e nel raffronto, pur in un 

quadro non dissimile, emerge 

qualche piccolo segnale 

incoraggiante. Gli italiani vanno 

un po’ di più al cinema: la 

frequenza media, che nel 1995 

era di 0,5 volte al mese, è 

salita a 0,7; i non spettatori, 

che rappresentavano il 61% 


della popolazione, sono scesi al 

57%. Aumenta dal 4 al 6% 

anche la percentuale dei “forti 

spettatori” che si recano al 

cinema una o più volte la 

settimana, e dei “medi 

spettatori”, che ci vanno da 

una a tre volte al mese, 

cresciuti dal 13 al 20%. Un 

quarto degli italiani va quindi al 

cinema almeno una volta al 

mese ed è su questa fascia che 

bisognerebbe agire per far 

lievitare il mercato in maniera 

sostanziosa. La divisione per 

aree geografiche segnala 

inoltre che il maggior consumo 

si registra al centro, dove il 

52% della popolazione dichiara 

di essere entrato in una sala 

negli ultimi sei mesi, mentre la 

percentuale più bassa 

appartiene al nord-est con il 

39%. Sono soprattutto i 

residenti nei centri fra 10 e 

30mila abitanti a frequentare il 

Un’indagine rivela: l’affluenza in sala 

aumenta, ma poco. Vincono televisione 

e pay tv. Marginale il download dal web 

grande schermo con una media 

del 57%, mentre i picchi più 

bassi si registrano nei comuni 

sotto i 10mila abitanti, dove 

solo il 39% va al cinema, forse 

in questo caso anche per una 

certa carenza di sale. Le 

percentuali di frequenza, molto 

simili fra i due sessi con una 

leggera prevalenza di maschi, 

si differenziano invece 

sensibilmente in base all’età. 

Negli ultimi sei mesi sono 

andati al cinema il 59% dei 

giovani dai 15 ai 24 anni, il 

30% degli adulti fra i 25 e 34 

anni, il 22% fra 35 e 54 anni e 

solo l’8% dei più anziani. 

Appare evidente che la scarsa 

frequenza non dipenda quindi 

da disaffezione, ma dalla 

crescente concorrenza di altre 

forme di consumo. Spettatori e

non spettatori convengono 

sulla superiorità del grande 

schermo e della visione in sala; 

la fascia di coloro che 

ritengono il prezzo del biglietto 

sia troppo alto è assai 

contenuta, il 12%, così come di 

coloro che lamentano 

deficienze nell’esercizio, il 9%. 

Una quota, quest’ultima, assai 

ridotta rispetto alla precedente 

indagine, a dimostrazione che il 

parco sale italiano negli ultimi 

dieci anni è cresciuto e 

migliorato. L’80% della 

popolazione italiana consuma 

però almeno un film a 

settimana in televisione e il 

54% almeno due. Poi ci sono la 

pay tv, il dvd, il computer, il 

cellulare. Non deve quindi 

sorprendere che quasi il 60% 

vada al cinema meno che in 

passato, mentre coloro che 

dichiarano di andarci più 

spesso siano l’11%. Ma 

l’indagine Doxa ha esaminato 

anche un aspetto del tutto 

nuovo: il downloading da 

Internet. Solo il 5% dichiara di 

scaricare film e la maggior 

parte di questi sono anche forti 

spettatori in sala, quindi i 

consumi di cinema in qualche 

modo si integrano e si 

sovrappongono. Al 

downloading si ricorre 

essenzialmente per 

risparmiare. I consumatori di 

cinema in rete si dichiarano 

anche molto o abbastanza 

soddisfatti e un terzo confessa 

di realizzare copie dei film 

anche per parenti e amici; più 

della metà è tuttavia 

consapevole di commettere un 

reato e di danneggiare 

industria audiovisiva e 

occupazione del settore. 

Commentando questi dati, 

Riccardo Tozzi, presidente dei 

produttori dell’Anica, afferma: 

“La domanda di film è altissima 

ma non adeguatamente 

supportata dai media: la 

distribuzione nelle sale non è 

sufficiente; la tv generalista 

colloca i film nei palinsesti in 

maniera non corretta, così 

come la tv a pagamento 

consuma film in misura non 

proporzionale alle risorse che 

dedica loro. Il problema di 

Internet non è che la gente 

scarica film, ma che lo faccia 

gratuitamente, senza che 

nessuno remuneri il sistema 

cinema per tale sfruttamento”. 

CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI 

Schermo delle mie brame 

Imperativi e segreti del proiezionista, dagli esami al libro sul comodino 

Quando Roberto Modica, 

proiezionista storico di Warner 

Bros. Italia, parla di cinema gli si 

illuminano gli occhi. “Dentro me – ama 

ripetere - non scorre sangue, ma 

pellicola…”. 

Come ha incominciato? 

Era il 1964: sono andato in una saletta 

dei Salesiani che era appena stata 

rifatta e quando ho visitato la cabina di 

proiezione, sono rimasto 

completamente affascinato. Ho iniziato 

a frequentarla tutti i weekend, 

imparando il mestiere. Nel frattempo 

ho comprato la Bibbia del nostro 

mestiere, L’operatore 

cinematografico di Gaetano Patané, e 

l’anno dopo ho dato gli esami e preso il 

patentino. 

Alla Warner quando è arrivato? 

Dopo aver lavorato in piccole sale, 

nell’81 ho saputo che la PIC, oggi 

Warner Bros., cercava un operatore: ho 

fatto un colloquio e a novembre sono 

stato assunto. E’ stato il mio momento 

di più grande felicità. 

 

ISTRUZIONI PER L’USO 

Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine 

PASSIONE IN 70MM 

Le prime proiezioni di Modica 

alla Warner Bros. sono state 

Blade Runner e Stati di 

alterazione. Con più passione, 

ricorda però quelle dei film in 

70 millimetri e, soprattutto, 

Lawrence d’Arabia. 

Qual è la cosa più difficile del suo 

lavoro? 

L’unica difficoltà oggettiva può derivare 

dalla fretta e dal mancato controllo di 

una copia prima di proiettarla. La 

rapidità può tornare molto utile. In più 

bisogna stare al passo e aggiornarsi 

sempre sulle nuove tecnologie. 

Consigli per i giovani? 

Questo è un mestiere che si fa per 

passione e non per soldi. 

Un trucco da suggerire? 

Controllare e ricontrollare la 

manutenzione della cabina di 

proiezione. Per tutelare la qualità del 

film, la luminosità dello schermo della 

saletta Warner è 30% superiore a 

quella di un cinema normale. 

Cosa fa nel tempo libero? 

Vado al cinema a vedere i film degli 

altri. 

 

ABBASSO L’INTERVALLO! 

Roberto Modica ha le idee 

chiare: “Il film è un’emozione 

che non si deve mai 

interrompere! L’intervallo 

spezza interesse e suspense. E 

poi perché? Per vendere dei 

pop corn? Ma dai...”. 

Roberto Modica 

“Ai giovani dico: attenzione, questo 

mestiere non si fa certo per soldi” 

PELLEGRINAGGI 

“Tre anni fa sono andato in 

pellegrinaggio nelle sale 

migliori d’Italia: Energia di 

Melzo, 16 di Vimercate Torri 

Bianche. A Roma il top sono la 

sala 3 del Moderno e la 8 del 

Parco dei Principi”. 

Marzo 2007 RdC 79


Attraverso lo 

schermo. 

Cinema e 

cultura 

cattolica in 

Italia. 3 voll. 

a cura di 

Ruggero Eugeni 

e Dario E. Viganò 

ed. Ente dello 

Spettacolo 

€ 75,00 

Da non perdere a cura di Giorgia Priolo 


Terreni inesplorati 

Primi passi 

Cinema, Chiesa e cultura cattolica: un rapporto sconosciuto 

DI GIAN PIERO BRUNETTA 

Novecento pagine, una trentina 

di giovani e alcuni studiosi 

affermati come Bettetini, Bernardini, 

Casetti, Laura e Scoppola, per i tre 

volumi curati da Ruggero Eugeni e 

Dario Viganò, un vero evento per gli 

studi sul cinema italiano. Un’impresa 

in cui si accostano – non sempre 

riuscendo a integrarle bene tra loro – 

storia d’Italia, storia del cinema e 

microstorie e si ricostruisce, alla luce 

di uno spirito apprezzabilmente laico, 

la memoria dei rapporti tra cultura 

cattolica, Chiesa e cinema lungo il XX 

secolo. Un’opera destinata a divenire 

un punto di riferimento per futuri 

lavori, uno strumento di studio e non 

di battaglia culturale, un primo vero 

sforzo di ricomporre tasselli 

importanti e sconosciuti di una storia 

finora vista e studiata nei suoi aspetti 

conflittuali, repressivi, di rifiuto, o per 

le sue caratteristiche più 

oleografiche. Gli autori hanno 

lavorato sulla breve e media durata 

tentando di annodare, in base a 

qualche denominatore comune 

(domina quello della modernità). 

molti fili entro la trama e ordito di 

una storia ad alto grado di 

complessità. Nonostante l’ampiezza 

dello sguardo, le ricerche d’archivio e 

la cura nella ricostruzione (le mie 

preferenze vanno ai saggi di Elena 

Mosconi, per la loro capacità di 

valorizzare la ricerca analitica e 

WALT DISNEY’S SILLY SYMPHONIES 

A companion to the classic cartoon series 

R. Merrit, J.B. Kaufman, ed. Cineteca del Friuli, € 50,00 

Ricco volume che farà la gioia degli amanti di Walt Disney 

e di tutti i cartoon. Ma anche per chi fosse rimasto fermo a 

Fantasia e non conoscesse la serie delle Silly Symphonies, 

le insuperate e pirotecniche sintesi di musica e immagini 

che Walt Disney creò tra il ‘29 e il ‘39, segnaliamo questa nuova 

pubblicazione della Cineteca del Friuli. Opera di due tra i massimi esperti 

disneyani, e frutto di anni di ricerche, il volume contiene non solo 

dettagliate schede filmografiche di tutte le Symphonies realizzate (dai Tre 

porcellini al Pifferaio magico), ma anche appendici su quelle che non hanno 

mai visto la luce. Solo in inglese, ma riccamente illustrato. 

combinare ottiche descrittive e 

interpretative) confesso però, da 

laico, d’essere rimasto sulla mia fame. 

La sensazione forte è di essere 

ancora all’inizio di un viaggio che vale 

la pena proseguire andando ad 

affrontare aspetti rimasti, per varie 

ragioni, in ombra. Si vorrebbe sapere 

in che percentuale la cultura cattolica 

è entrata a far parte del cinema 

italiano e in che momenti ne alimenta 

non solo a livello di superficie la 

carne e il sangue. Dove e in che 

autori si coglie un’anima cattolica che 

unisce vari livelli del cinema italiano? 

E perché non dedicare in futuro 

nuove riflessioni sul ruolo politico e di 

organizzazione della cultura 

cinematografica di personaggi come 

Gedda e del suo uso del cinema 

all’interno dell’azione dei Comitati 

Civici, o di Padre Morlion, figura 

tratteggiata a bulino da Elena 

Dagrada, ma che non viene fuori a 

tutto tondo, o studiare l’azione di go 

and stop sul cinema italiano dei vari 

ministri cattolici del dopoguerra da 

Andreotti a Scalfaro? O analizzare 

alcune figure di critici cattolici che 

hanno lasciato un segno importante, 

o approfondire il ruolo di formazione 

della culturale popolare esercitato dai 

Cineforum con qualche bel lavoro di 

storia orale? Le strade da percorrere 

sono ancora molte. L’augurio è di non 

fermarsi qui. 

UNO SGUARDO AL BUIO 

Cinema, critica, psicoanalisi 

Enzo Natta, ed. Effatà, € 12,00 

L’opera filmica come terreno di esplorazione dell’inconscio 

anche dello spettatore che la ricrea immedesimandosi in 

essa. Questa è l’affascinante e controversa sfida della 

critica psicoanalitica, il modello interpretativo che Enzo 

Natta analizza spaziando dal cinema classico a quello recentissimo. Un agile 

saggio stimolante e pieno di spunti di riflessione. Uno per tutti: e se la 

carenza di “capolavori” nel cinema contemporaneo fosse originata dalla 

depressione che affligge la maggior parte degli autori? Potrebbe davvero 

essere il blocco della speranza, male del nostro tempo, a spingere anche i 

cineasti sulle soglie del silenzio?

DIZIONARI DEL CINEMA - FANTASCIENZA 

a cura di Angelo Moscariello, ed. Electa, € 20,00 

Ecco un altro bellissimo volume illustrato della serie 

Dizionari del Cinema Electa, questa volta dedicato alla 

“Fantascienza”. 

La struttura è ormai collaudata: analisi del genere 

attraverso le sue parole chiave (da scienza 

“buona/cattiva” a cyborg, passando per “mutazioni” e “scenari 

apocalittici”) e analisi tecnica degli effetti speciali utilizzati nel tempo. 

Seguono l’ampia sezione dedicata ai protagonisti (da Philip K. Dick a 

John Carpenter passando per Carlo Rambaldi), le schede di tutti i film 

di culto con l’analisi dettagliata e illustrata in 24 fotogrammi dei dieci 

capolavori di genere. A voi scoprire quali. 

IL COLORE E LA COMPOSIZIONE FILMICA 

Luca Venzi, ed. EDS, € 14,00 

Da Funny Face di Donen a Schindler’s List di 

Spielberg, da Film blu di Kieslowski a Pierrot le fou di 

Godard, un’indagine appassionata sul rapporto tra 

colore e composizione cinematografica. Dialogando 

con autori quali Ejzenstein, Aumont, Barthes, Balázs e 

Leutrat, il saggio offre alcuni punti cardinali che specificano e 

definiscono l’impiego in funzione formativa del colore nel cinema, 

questione fondamentale ma poco dibattuta. Quattro capitoli con 

analisi filmiche di diversa ampiezza, una preziosa tavola iconografica e 

una ricca bibliografia internazionale, per illuminare le capacità 

“espressive” del colore. E non restare all’oscuro in sala. 

Marzo 2007 RdC 81


di Ermanno Comuzio 

Di Bill Condon 

Musica Henry 

Krieger 


Visto da vicino 

DREAMGIRLS 

Chiave black per un musical-biopic da applausi 

Dreamgirls coniuga la tradizione 

dei bio-musicali con i dark 

musicals, quelli in cui penetra il dolore 

(come All That Jazz, Pennies from 

Heaven, Chorus Line, Evita, Moulin 

Rouge, Chicago), in cui l’America che 

danza e canta non è solo quella del 

“grande sogno”, ma anche quella degli 

amari risvegli. Il regista Bill Condon è 

non a caso lo sceneggiatore diChicago. 

Il film è ambientato a Detroit e 

presenta uno spaccato dell’America dal 

1959 al 1977, la rock era, comprese le 

violente rivendicazioni dei neri: il 

gruppo di ragazze di colore che 

conquista il successo contribuisce 

all’emancipazione degli afro-americani. 

Pur usando nomi di fantasia, la storia si 

ispira a quella di The Supremes e della 

Motown, l’etichetta che lanciò il trio 

alla conquista del mondo, fra il ’64 e il 

’69. L’importanza del film è nella 

Protagonista di esecuzioni 

vitali e aggressive, Jennifer Hudson è 

la cosa più interessante del film 

colonna sonora. Proprio lo stile di 

arrangiamenti ed esecuzioni (a parte 

quattro nuove canzoni, vengono dal 

musical teatrale di Henry Krieger per la 

musica e di Tom Eyen per le lyrics) è 

“storicamente” interessante. E, 

soprattutto, nonostante le canzoni 

siano tutte originali e non riprendano 

quelle delle “Supremes”, ma si 

rifacciano agli stili della black music 

dell’epoca, dal pop alla disco, dal rock 

al soul, dal Rhythm and Blues alla 

musica di scena di Broadway. Musica, 

vitalità e aggressività delle esecuzioni. 

Di cui si fanno carico (a parte la 

sorprendente rentrée di Eddie Murphy) 

la pop-star Beyoncé Knowles, nel ruolo 

di Diana Ross, Anika Noni Rose in quello 

della “seconda donna”, e soprattutto 

Jennifer Hudson, star della tv per la 

prima volta al cinema, nel ruolo della 

turbolenta Effie White, elemento 

dialettico del trio. E’ proprio questo 

personaggio a offrire il meglio del film: 

le canzoni a lei sola affidate, And I Am 

Telling You I’m Not Going e I Am 

Changing sono capolavori assoluti. 

Per tutti i gusti di Federico Pontiggia 


Strameritato Golden Globe 

per la colonna sonora di 

Alexandre Desplat, che 

contrappunta raffinata 

l’adattamento da W. Somerset 

Maugham. Per l’occasione il 

musicista parigino ha diretto la 

Prague Symphony Orchestra, 

al piano il solista Lang Lang. 

L’ALBERO DELLA VITA 

La cosa più bella, in realtà ci 

vuole poco, de L’albero della 

vita sono le musiche di Clint 

Mansell, compositore per 

Aronofsky già in Pi greco e 

Requiem for a Dream. Con 

un duttile minimalismo, è 

Mansell il solo a non perdersi 

nelle mille strade del film. 

L’ARTE DEL SOGNO 

Variegata ma non schizoide 

la partitura di Jean-Michel 

Bernard, che si appropria 

dell’onirismo di Michel 

Gondry, di cui è collaboratore 

sin da Human Nature. 

Dall’evocazione parigina al 

purismo strumentale, un 

soundtrack per intenditori. 

DI FEDERICO PONTIGGIA


di Ermanno Comuzio 

Di Bill Condon 

Musica Henry 

Krieger 


Visto da vicino 

DREAMGIRLS 

Chiave black per un musical-biopic da applausi 

Dreamgirls coniuga la tradizione 

dei bio-musicali con i dark 

musicals, quelli in cui penetra il dolore 

(come All That Jazz, Pennies from 

Heaven, Chorus Line, Evita, Moulin 

Rouge, Chicago), in cui l’America che 

danza e canta non è solo quella del 

“grande sogno”, ma anche quella degli 

amari risvegli. Il regista Bill Condon è 

non a caso lo sceneggiatore diChicago. 

Il film è ambientato a Detroit e 

presenta uno spaccato dell’America dal 

1959 al 1977, la rock era, comprese le 

violente rivendicazioni dei neri: il 

gruppo di ragazze di colore che 

conquista il successo contribuisce 

all’emancipazione degli afro-americani. 

Pur usando nomi di fantasia, la storia si 

ispira a quella di The Supremes e della 

Motown, l’etichetta che lanciò il trio 

alla conquista del mondo, fra il ’64 e il 

’69. L’importanza del film è nella 

Protagonista di esecuzioni 

vitali e aggressive, Jennifer Hudson è 

la cosa più interessante del film 

colonna sonora. Proprio lo stile di 

arrangiamenti ed esecuzioni (a parte 

quattro nuove canzoni, vengono dal 

musical teatrale di Henry Krieger per la 

musica e di Tom Eyen per le lyrics) è 

“storicamente” interessante. E, 

soprattutto, nonostante le canzoni 

siano tutte originali e non riprendano 

quelle delle “Supremes”, ma si 

rifacciano agli stili della black music 

dell’epoca, dal pop alla disco, dal rock 

al soul, dal Rhythm and Blues alla 

musica di scena di Broadway. Musica, 

vitalità e aggressività delle esecuzioni. 

Di cui si fanno carico (a parte la 

sorprendente rentrée di Eddie Murphy) 

la pop-star Beyoncé Knowles, nel ruolo 

di Diana Ross, Anika Noni Rose in quello 

della “seconda donna”, e soprattutto 

Jennifer Hudson, star della tv per la 

prima volta al cinema, nel ruolo della 

turbolenta Effie White, elemento 

dialettico del trio. E’ proprio questo 

personaggio a offrire il meglio del film: 

le canzoni a lei sola affidate, And I Am 

Telling You I’m Not Going e I Am 

Changing sono capolavori assoluti. 

Per tutti i gusti di Federico Pontiggia 


Strameritato Golden Globe 

per la colonna sonora di 

Alexandre Desplat, che 

contrappunta raffinata 

l’adattamento da W. Somerset 

Maugham. Per l’occasione il 

musicista parigino ha diretto la 

Prague Symphony Orchestra, 

al piano il solista Lang Lang. 

L’ALBERO DELLA VITA 

La cosa più bella, in realtà ci 

vuole poco, de L’albero della 

vita sono le musiche di Clint 

Mansell, compositore per 

Aronofsky già in Pi greco e 

Requiem for a Dream. Con 

un duttile minimalismo, è 

Mansell il solo a non perdersi 

nelle mille strade del film. 

L’ARTE DEL SOGNO 

Variegata ma non schizoide 

la partitura di Jean-Michel 

Bernard, che si appropria 

dell’onirismo di Michel 

Gondry, di cui è collaboratore 

sin da Human Nature. 

Dall’evocazione parigina al 

purismo strumentale, un 

soundtrack per intenditori. 

DI FEDERICO PONTIGGIA

TRUST YOUR INSTINCT 

KHAKI 

X-WIND 

Strumento di volo 

Cronografo automatico 

3 lunette rotanti 

Impermeabile fino a 100 m 

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quando e perché il film-tv crea dipendenza. Nel ... - Cinematografo

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