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L'era dei Narcostati - Valori

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XINHUA / EYEVINE / CONTRASTO<br />

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità<br />

Cooperativa<br />

Editoriale Etica<br />

Anno 12 numero 104.<br />

Novembre 2012.<br />

€ 4,00<br />

Poste Italiane S.p.A.<br />

Spedizione in abbonamento postale<br />

D.L. 353/2003<br />

(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)<br />

art. 1, comma 1, DCB Trento<br />

Contiene I.R.<br />

L’era <strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong><br />

La criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale<br />

Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta<br />

Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismico<br />

Internazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente?<br />

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |


| 2 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


La nuova frontiera<br />

del riciclaggio<br />

di Douglas Farah<br />

L<br />

L’AUTORE<br />

Douglas Farah<br />

È presidente di Ibi Consultants<br />

e Senior Fellow presso<br />

l’International Assessment and<br />

Strategy Center. È consulente<br />

alla sicurezza nazionale e analista.<br />

Nel 2004 ha lavorato per nove<br />

mesi presso il Consortium for the<br />

Study of Intelligence, dove<br />

si è occupato del tema <strong>dei</strong> gruppi<br />

armati e della riforma <strong>dei</strong> servizi<br />

di intelligence. Nei due decenni<br />

precedenti è stato corrispondente<br />

all’estero e giornalista d’inchiesta<br />

per il Washington Post e altri<br />

giornali, occupandosi<br />

in particolare di Africa Occidentale<br />

e America Latina.<br />

* Questo editoriale è basato<br />

sul contenuto di un’intervista<br />

rilasciata a <strong>Valori</strong> nel mese<br />

di ottobre 2012.<br />

| editoriale |<br />

e regole internazionali per il contrasto al riciclaggio di denaro e al traffico di droga sono state<br />

progettate oltre vent’anni fa. Ma il mondo che si conosceva all’epoca era molto diverso<br />

da quello globalizzato in cui viviamo oggi. I flussi di libero scambio commerciale, i rapidi<br />

trasferimenti di denaro e i nuovi paradisi offshore hanno finito per plasmare un nuovo<br />

ambiente capace di rendere gli attuali strumenti di contrasto sorpassati e inutili. Vale per molte<br />

attività, dal riciclaggio al traffico di armi, un settore nel quale le regole erano state pensate per<br />

contrastare gli scambi tra gli Stati e oggi risultano completamente inadatte nel prevenire<br />

gli scambi illegali tra i mercanti privati che attualmente dominano il mercato. Tutto è cambiato.<br />

Dieci anni fa lo scambio commerciale tra Cina e America Latina era valutato in dieci miliardi<br />

di dollari. Oggi vale venti volte tanto. La maggior parte di queste transazioni rientra nello<br />

scambio legale. Ma l’aspetto più importante, sfortunatamente, è che, al crescere<br />

dell’ammontare degli scambi, aumenta anche la facilità con cui vi si possono nascondere<br />

i traffici e le transazioni illegali. In definitiva qualcuno può sempre guadagnare qualche<br />

milione di dollari qua o là, oppure spostare qualche container da un’altra parte senza che<br />

questo sembri attrarre molta attenzione. E probabilmente, come ha evidenziato il caso<br />

di Hsbc, l’interesse a sapere cosa accade non esiste nemmeno.<br />

Oggi le compagnie cinesi controllano molti <strong>dei</strong> principali porti del Messico, gli stessi in cui,<br />

da un lato, si può osservare una forte crescita del traffico di metanfetamine e, dall’altro, una<br />

miriade di processi finanziari fittizi, attività tipiche del riciclaggio, realizzati attraverso<br />

banche cinesi di piccole dimensioni che magari neanche esistono (nessuno ha voglia<br />

di controllare). Nei porti messicani si vedono container provenienti dalla Cina con un valore<br />

dichiarato di 2 o anche 4 milioni di dollari. Stanno fermi lì in attesa che qualcuno se li venga<br />

a prendere. In seguito, dopo un bel po’ di tempo, magari anche sei settimane, visto che<br />

nessuno li reclama, le autorità messicane intervengono, li aprono e scoprono che non<br />

contengono nessuna merce di valore. E allora, sei settimane dopo che qualcuno ha pagato<br />

2 o 4 milioni di dollari per “niente”, è perfettamente chiaro cosa sia realmente successo:<br />

2 o 4 milioni di dollari sono già entrati in circolo nel sistema finanziario illegale.<br />

In America Centrale, contrariamente alle aspettative, la debolezza dell’economia non<br />

ha condotto a un grande collasso finanziario. La ragione principale è probabilmente la forte<br />

crescita del narcotraffico e delle attività illegali. Un elemento decisivo, qualcosa di cui<br />

queste economie hanno bisogno. Basta guardare a Paesi come El Salvador, Panama<br />

o Ecuador – “economie dollarizzate” in cui non devi nemmeno cambiare valuta se vuoi fare<br />

business – e alle molteplici opportunità che questi offrono ai trafficanti di droga e ai<br />

riciclatori. Di fatto non c’è nessun controllo sui flussi di denaro e per i criminali i rischi sono<br />

molto bassi. Ci sono grandi investimenti, si importano auto di lusso, si costruiscono<br />

appartamenti nuovi di zecca: l’economia sembra crescere, ma il 90% della popolazione<br />

continua a non prenderne parte. La verità è che è tutto fasullo e ogni cosa non è che<br />

un sintomo delle attività di riciclaggio. Secondo il programma della Casa Bianca noto come<br />

Strategy to Combat Transnational Organized Crime, le attività di riciclaggio valgono<br />

da 1,3 a 3,3 trilioni di dollari. Il controvalore stimato dallo United Nations Office on Drugs<br />

and Crime è pari invece a 2,1 trilioni, una cifra equivalente all’incirca al Pil dell’Italia. <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 3 |


| decrescita: il dibattito |<br />

Da anni <strong>Valori</strong> “parla” di Decrescita, proponendo diversi punti di vista. Con il dossier pubblicato sul numero<br />

di settembre – a poche settimane dalla terza Conferenza internazionale sulla Decrescita (Venezia, 19-23 settembre),<br />

a cui la redazione ha partecipato – si è scatenato un acceso dibattito. Diamo spazio alle diverse posizioni sia sul sito<br />

internet www.valori.it, sia su queste pagine.<br />

Spostamento, non decrescita<br />

per la società del benvivere<br />

di Francuccio Gesualdi Centro Nuovo Modello di Sviluppo<br />

Non so se l’idea che mi sono fatto della Decrescita sia la<br />

stessa <strong>dei</strong> suoi teorici, ma vi scorgo tre messaggi importanti.<br />

1. Non si può perseguire la crescita infinita in un Pianeta dalle risorse<br />

limitate. 2. La corsa dietro ai consumi compromette la qualità della<br />

vita per strangolamento delle relazioni. 3. Se vogliamo garantirci un<br />

futuro dobbiamo ridurre consumo di materia e produzione di rifiuti.<br />

Ma, enunciati i principi, spuntano i nodi. Ad esempio: in un mondo<br />

squilibrato come quello in cui viviamo l’invito a ridurre non può valere<br />

per tutti, ma solo per gli opulenti, quelli che consumano 100 chili di carne<br />

all’anno, che possiedono più di un’auto ogni due persone, che producono<br />

più di 500 chili di rifiuti all’anno. Quanto ai tre miliardi di poveri<br />

assoluti, hanno diritto a mangiare di più, vestirsi di più, studiare di<br />

più, curarsi di più, viaggiare di più, ma potranno farlo solo se gli opulenti<br />

accettano di sottoporsi a cura dimagrante perché c’è competizione<br />

per le risorse scarse. Dunque tutto bene con lo sviluppo avviato<br />

in Cina, India o Sudafrica? Non proprio, considerato che agli impoveriti<br />

arrivano solo le briciole sottoforma di consumismo spazzatura.<br />

La verità è che sia il Nord che il Sud hanno bisogno di un nuovo modello<br />

economico, più orientato all’equità, con il Nord in posizione di<br />

maggiore difficoltà perché deve fare due operazioni in una: ridurre<br />

e riequilibrare. Premesso che l’efficienza tecnologica non è sufficiente<br />

a realizzare il miracolo, la domanda che si pone chi si occupa<br />

non solo di ambiente, ma anche di sopravvivenza delle persone,<br />

è: come fare senza mietere vittime? Non a caso fra i più accesi oppositori<br />

della Decrescita ci sono i sindacati, preoccupati per i posti<br />

di lavoro in un sistema dove la forma prevalente di lavoro è quella<br />

salariata fortemente ancorata alla crescita <strong>dei</strong> consumi.<br />

In fin <strong>dei</strong> conti il grande punto interrogativo è se sia possibile coniugare<br />

sobrietà con piena occupazione e sicurezza sociale, concetti<br />

che sarebbe meglio ribattezzare piena partecipazione lavorativa<br />

e vita sicura per tutti. La risposta è sì, che si può, precisando<br />

che la battaglia vera non è per la riduzione tout court del Pil, ma per<br />

una ristrutturazione di produzione e consumo, ben sapendo che il<br />

sistema in cui viviamo ha sovraprodotto per il consumo privato e<br />

sottoprodotto per il consumo pubblico.<br />

| 4 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Forse la parola giusta è spostamento, a significare che dovremo ridurre<br />

certi settori e ampliarne altri: meno automobili più treni e autobus,<br />

meno strade più ferrovie, meno acqua in bottiglia più acquedotti,<br />

meno centrali a carbone più pannelli solari, meno case di<br />

nuova costruzione più ristrutturazione di quelle esistenti, meno<br />

pubblicità più scuola, minor uso di materie prime più recupero di rifiuti,<br />

meno importazione di cibo più agricoltura locale.<br />

Di sicuro una società che dispone di meno deve decidere cosa privilegiare<br />

e personalmente non ho dubbi che la priorità va data ai bisogni<br />

fondamentali: acqua, cibo, alloggio, energia, sanità, scuola,<br />

comunicazione, trasporti. Bisogni da garantire in maniera gratuita<br />

perché appartenenti alla fascia <strong>dei</strong> diritti e proprio per questo di<br />

esclusiva competenza dell’economia pubblica, che, funzionando<br />

sul principio della solidarietà collettiva, è l’unica forma organizzativa<br />

che può praticare la gratuità.<br />

Per questo credo che un serio progetto di Decrescita debba depotenziare<br />

il mercato e rafforzare l’economia pubblica, smettendo di<br />

concepirla come una struttura parassitaria che succhia ricchezza.<br />

Al contrario deve viverla come uno spazio produttivo comune che,<br />

oltre a garantire i bisogni fondamentali, garantisce un’occupazione<br />

minima per tutti.<br />

Certo, per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso, in un contesto<br />

di economia rallentata, bisogna inventarsi altri modi di fare funzionare<br />

l’economia pubblica, che non sia più quello fiscale. Potrebbe<br />

essere il servizio civile obbligatorio, la tassazione del tempo in alternativa<br />

alla tassazione del reddito, il lavoro comunitario in cambio<br />

di un reddito di cittadinanza. Le soluzioni tecniche alla fine si<br />

trovano, il problema è culturale. Bisogna saper ripensare il lavoro, il<br />

ruolo del mercato, la funzione dell’economia pubblica, le forme di<br />

contribuzione all’economia collettiva, l’intreccio fra economia locale<br />

ed economia globale, il ruolo e il governo della moneta. Questi<br />

sono i nodi da affrontare per una società del benvivere, termine più<br />

appropriato per una società che dopo avere superato la fase di dimagrimento,<br />

cerca la giusta dieta per mantenere il peso forma.<br />

Dunque politica alta per la Decrescita, tenendo a mente l’avvertimento<br />

di Langer: «La conversione ecologica avverrà solo se sarà<br />

socialmente desiderabile».


BANCA ETICA E LA DECRESCITA di Riccardo Milano (responsabile delle relazioni culturali di Banca Etica)<br />

Anni fa, nel pieno della crescita finanziaria degli anni ’90, nasceva<br />

l’idea di fondare una nuova banca che si occupasse, a seguito della<br />

nascita di un movimento denominato finanza etica, di attività che<br />

avessero a che fare con temi quali trasparenza, diritto al credito,<br />

giustizia e solidarietà, uso del denaro, rispetto dell’ambiente, e così<br />

via. Di fatto è stata una rivoluzione culturale che ha aperto molti<br />

orizzonti e oggi si può affermare che è stata lungimirante.<br />

Non si può dire che tutto sia stato risolto, anzi: la crisi attuale<br />

ha di nuovo rimescolato le carte e le problematiche per le quali<br />

è sorta la finanza etica si sono ampliate, fino a mettere<br />

in discussione le motivazioni stesse dell’intera attività economica<br />

mondiale. In tal senso il versante della Decrescita – nome ormai<br />

da moltissimi considerato sì ambiguo, ma che rende<br />

plasticamente l’idea di un “qualcosa” da rivedere – si è imposto<br />

con tutto il suo carico di positività, negatività, idealità e ideologia,<br />

accondiscendenza e altro.<br />

Banca Etica è stata da subito nel dibattito grazie ai suoi soci, che<br />

sono o attivisti/estimatori del movimento o solo osservatori più<br />

o meno interessati, e ha cercato, ma senza una neutralità<br />

pericolosa, di comprendere le ragioni delle parti per impostare<br />

una sua linea operativa. Da subito ha accettato la “provocazione”<br />

come un forte appello culturale e ha condiviso molte delle<br />

battaglie, specie sulla finanza e sull’ambiente; e ancora oggi<br />

continua a studiare, a partecipare alle varie manifestazioni,<br />

a cercare di capire e di tentare di dare una risposta al “come<br />

bisogna vivere?” socratico.<br />

L’art. 5 dello Statuto della banca recita: «La finanza eticamente<br />

orientata è sensibile alle conseguenze non economiche delle<br />

azioni economiche». Non c’è dubbio che la sua attività è per<br />

un futuro di crescita umana, cosa del tutto naturale e rafforzata<br />

dal suo Manifesto. D’altra parte non può ignorare le tante aporie<br />

dell’attuale mainstream economico e le tante problematiche<br />

sia nuove e sia trascinatesi da tempo.<br />

Sicuramente il dibattito sollevato dal movimento della Decrescita,<br />

o da altri economisti più tiepidi al riguardo, è appena agli inizi<br />

e dovrà essere sempre più precisato sia culturalmente che<br />

operativamente. Per quanto riguarda Banca Etica si ribadisce<br />

che la sua visione è all’interno di quella nuova impostazione<br />

economica chiamata “Economia civile” che ben rappresenta tutti<br />

coloro che hanno a cuore uno sviluppo umano che possa essere<br />

solidale, mutualistico e generazionale nel pieno rispetto<br />

del pianeta Terra. Ciò ben sapendo che le risposte non debbono<br />

essere a lungo termine e che debbono essere sempre condivise<br />

e mai strumentalizzate da nessuna parte.<br />

SPOSTARE LA PRIORITÀ DELLA DECRESCITA DEL PIL<br />

ALLA CRESCITA DELL’OCCUPAZIONE IN LAVORI UTILI di Movimento per la Decrescita felice<br />

Appello di imprenditori, tecnici, consulenti e attivisti del<br />

Movimento per la Decrescita felice per un cambio di priorità<br />

in Italia nelle scelte economiche e industriali, al fine di iniziare<br />

a superare l’attuale crisi di sistema.<br />

In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione<br />

con accortezza perché tutto proceda bene. […] Ma quando, come<br />

ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre<br />

più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, occorre<br />

rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma<br />

della crescita continua del Prodotto interno lordo.<br />

Vediamo con apprensione che si parla di Project Bond per<br />

realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta di fare altri debiti<br />

per realizzare grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, a far<br />

ripartire la crescita, come se fosse la soluzione ad ogni male. […]<br />

E si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente<br />

aumentare l’occupazione, ma non è vero […]. Dagli anni ’60 a oggi<br />

il Pil è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in<br />

proporzione all’aumento della popolazione è diminuita! […]<br />

La galleria per il Tav in val di Susa […] consentirebbe di creare<br />

[…] al massimo seimila nuovi posti di lavoro contro un<br />

investimento minimo di 8,2 mld di euro, ovvero 0,73 nuovi posti<br />

per ogni milione di euro investito, sempre che il costo <strong>dei</strong> lavori<br />

non subisca aumenti […] La spesa sarebbe coperta a debito<br />

ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future,<br />

che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per<br />

l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera. Tutte<br />

le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore<br />

l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e quindi<br />

un impatto ambientale molto rilevante. […]<br />

Si può fare diversamente? Certo che sì! Bisogna solo cambiare<br />

le priorità e spendere il denaro in altro modo, […] in molte migliaia<br />

di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente,<br />

in grandi opere infrastrutturali. I micro cantieri dovrebbero<br />

riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici<br />

pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa<br />

in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. […]<br />

In un articolo del 13 febbraio 2012 sul Sole 24 ore si legge che<br />

per ogni 10 miliardi di euro investiti si possono avere 130 mila<br />

nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la<br />

stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300<br />

persone. […] Occorre abbandonare il dogma della crescita<br />

continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta<br />

di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo<br />

oeconomicus, […]. E solo per questa sciocca specie di umani,<br />

e per gli altri che ci credono, il Pil è l’indicatore unico<br />

e indiscutibile del nostro benessere.<br />

* La versione integrale sul sito di <strong>Valori</strong> e su:<br />

http://decrescitafelice.it/2012/05/spostare-la-priorita-dalla-crescita-del-pilalla-crescita-delloccupazione-in-lavori-utili-una-proposta-concreta/<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 5 |


Lacrime e sangue<br />

Quei Keynesiani<br />

del Fmi<br />

N<br />

ella seconda settimana di ottobre si è svolta a Tokyo l’assemblea<br />

annuale più importante del Fondo monetario internazionale (Fmi). In<br />

tale sede si è preso atto del forte rallentamento che sta caratterizzando,<br />

pur nella diversità <strong>dei</strong> risultati <strong>dei</strong> singoli Paesi, l’intera economia mondiale.<br />

Ciò implica anche ammettere che, ancora una volta, si sono commessi<br />

significativi errori previsionali. Ma<br />

ciò che più stupisce (favorevolmente)<br />

è che l’Fmi attribuisca tali errori alla<br />

sottovalutazione degli effetti depressivi<br />

delle manovre di rigore che, peraltro,<br />

era lo stesso organismo economico<br />

internazionale a pretendere. Come<br />

dichiarato dalla direttrice del Fondo,<br />

Christine Lagarde, «le misure di austerità<br />

adottate nel mondo hanno avuto<br />

effetti più forti di quelli previsti».<br />

Del resto, dal 2010 in poi, soprattutto<br />

in Europa, i Paesi hanno cominciato<br />

a tagliare significativamente e<br />

simultaneamente i bilanci pubblici.<br />

Trattandosi di regioni economiche altamente<br />

integrate tra loro, la riduzione<br />

della spesa pubblica e della domanda<br />

interna di ciascuna di esse non<br />

poteva che tradursi in minori esportazioni<br />

e, quindi, minore Pil anche per i<br />

Paesi vicini.<br />

L’Fmi ha quindi dovuto ammettere<br />

che politiche fiscali di austerità non<br />

possono essere l’unico strumento di<br />

politica economica in mano ai governi.<br />

Anche perché il debito pubblico ha<br />

continuato ad aumentare in molti Stati,<br />

nonostante i tagli alla spesa e l’aumento<br />

delle tasse.<br />

In definitiva sia i dati che le analisi<br />

del Fondo monetario internazionale<br />

sconfessano la cosiddetta “auste-<br />

Anche il Fondo monetario<br />

internazionale ha ammesso<br />

che l’austerity, da sola, non<br />

può farci uscire dalla crisi<br />

rità espansiva”, ossia la ricetta liberista<br />

di politica economica seguita, in<br />

particolare dall’Europa, per affrontare<br />

la crisi. Secondo tale ricetta la riduzione<br />

<strong>dei</strong> deficit pubblici, grazie anche<br />

al calo <strong>dei</strong> tassi di interesse che<br />

TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT<br />

di Alberto Berrini<br />

| globalvision |<br />

dovrebbe indurre (ma non si sono fatti<br />

i conti con mercati finanziari lasciati<br />

colpevolmente liberi di agire indisturbati),<br />

libera risorse che saranno<br />

poi utilizzate dai privati (consumatori e<br />

imprese) e, quindi, favoriranno la ripresa.<br />

In realtà, come la storia ha sempre<br />

dimostrato, non è scontata l’autonoma<br />

e spontanea capacità del mercato di risollevarsi,<br />

soprattutto quando la crisi è<br />

così profonda e riguarda l’intera economia<br />

globale.<br />

In breve, senza realistiche aspettative<br />

di crescita, difficilmente consumi<br />

e investimenti intraprendono spontaneamente<br />

la strada della ripresa. Ma<br />

la ricetta “keynesiana” dell’Fmi, per<br />

quanto rivoluzionaria per un organismo<br />

che in passato imponeva dolorosissime<br />

ancorché inefficaci politiche<br />

di tagli, è assai limitata. Il Fondo suggerisce,<br />

infatti, ai governi di prendere<br />

tempo, ossia di diluire nel tempo le politiche<br />

di aggiustamento per dare più<br />

ossigeno alla crescita.<br />

Ma i Paesi hanno ormai il fiato corto.<br />

E, come ricordava Keynes, «nel lungo<br />

periodo siamo tutti morti». Servono<br />

robusti interventi pubblici contro la<br />

crisi. Il capo-economista keynesiano<br />

del Fondo monetario internazionale,<br />

Olivier Blanchard, sicuramente lo sa.<br />

Gli daranno ascolto? <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 7 |


| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />

Cooperativa<br />

Editoriale Etica<br />

Anno 12 numero 103.<br />

Ottobre 2012.<br />

€ 4,00<br />

RICCARDO SALA / TIPS / PHOTOSHOTS<br />

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(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)<br />

art. 1, comma 1, DCB Trento<br />

Contiene I.R.<br />

Saldi made in Italy<br />

Per ridurre il debito dell’Italia è giusto (s)vendere il suo patrimonio?<br />

Finanza > Agenzie di rating sotto processo: da loro dipende la salvezza di un Paese<br />

Economia solidale > Primi passi: 5 banche tolgono le mani dalle commodity agricole<br />

Internazionale > Obama vs Romney: chi vincerebbe se Wall Street potesse votare?<br />

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità<br />

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />

Cooperativa<br />

Editoriale Etica<br />

Anno 12 numero 102.<br />

Settembre 2012.<br />

€ 4,00<br />

REUTERS / ANDREA COMAS<br />

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art. 1, comma 1, DCB Trento<br />

Contiene I.R.<br />

Decrescita forzata<br />

Lavoro, welfare, redistribuzione. Una teoria che non critica il sistema<br />

Finanza > Sei mila miliardi di derivati nelle casse delle banche europee. Enormi i rischi<br />

Economia solidale > Caccia al petrolio nei mari italiani. Le lobby ringraziano Passera<br />

Internazionale > Da mezzo della malavita a semiconduttore: la magia <strong>dei</strong> diamanti<br />

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità<br />

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 2 |<br />

| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 2 |<br />

Cooperativa<br />

Editoriale Etica<br />

Anno 12 numero 104.<br />

Novembre 2012.<br />

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art. 1, comma 1, DCB Trento<br />

Contiene I.R.<br />

L’era <strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong><br />

La criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale<br />

Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta<br />

Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismico<br />

Internazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente?<br />

Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità<br />

i nostri titoli non sono tossici<br />

ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

ndiamo per esempio i caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

n pir<br />

avanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando<br />

p<br />

ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

nd amo per esempio caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

o pe es p o c v o d la pp e p<br />

pe e p c pp<br />

avanzi e debiti; una l economia ritirando<br />

porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

avanzi e debiti una econom a r t rando<br />

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avanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando<br />

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deficit debito interessi deficit e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />

deficit debito nteress def c t e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />

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a correzione più rapi re in ginocchio<br />

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mento delle tasse.<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

o d e .<br />

porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

porto della domanda<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

da pubb z<br />

da pub<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

sociale: interessi, dis e più intensi in tempi di crisi.<br />

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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />

D fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

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un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />

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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />

D fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />

un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />

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gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />

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ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />

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gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />

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un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />

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gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />

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ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />

gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />

un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />

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do, e quindi potenzialmente abitabile. Ma le osservazioni del satellite Hipparcos dimostraron<br />

e po<br />

ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />

un altra speranza: il pianeta 70 Virginis b e nella costellazione della<br />

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un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />

ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />

un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />

seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />

do, e quindi potenzialmente a azioni del satellite Hipparcos dimostraron<br />

seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />

do e quind potenz almente a azioni del satellite Hipparcos dimostraron<br />

ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />

erg ne; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />

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troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />

troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />

na soluzione<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

nuove<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />

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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />

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a vera. Le so uz<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />

el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

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troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

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troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />

sensi ideologici, di placare la conte<br />

sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />

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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />

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troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />

troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />

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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />

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ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />

deficit e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />

t e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />

ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />

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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />

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più intensi in tempi di crisi.<br />

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troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />

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novembre 2012<br />

mensile<br />

www.valori.it<br />

anno 12 numero 104<br />

Registro Stampa del Tribunale di Milano<br />

n. 304 del 15.04.2005<br />

editore<br />

Società Cooperativa Editoriale Etica<br />

Via Napo Torriani, 29 - 20124 Milano<br />

promossa da Banca Etica<br />

soci<br />

Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Arci,<br />

FairTrade Italia, Mag 2, Editrice Monti, Fiba Cisl Nazionale,<br />

Cooperativa Sermis, Ecor, Cnca, Fiba Cisl Brianza,<br />

Federazione Autonoma Bancari Italiani, Publistampa,<br />

Federazione Trentina della Cooperazione, Rodrigo Vergara,<br />

Circom soc. coop., Donato Dall’Ava<br />

consiglio di amministrazione<br />

Paolo Bellentani, Antonio Cossu, Donato Dall’Ava,<br />

Giuseppe Di Francesco, Marco Piccolo,<br />

Fabio Silva (presidente@valori.it), Sergio Slavazza<br />

direzione generale<br />

Giancarlo Roncaglioni (roncaglioni@valori.it)<br />

collegio <strong>dei</strong> sindaci<br />

Giuseppe Chiacchio (presidente),<br />

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direttore editoriale<br />

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(ruggiero.fondazione@bancaetica.org)<br />

direttore responsabile<br />

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caporedattore<br />

Elisabetta Tramonto (tramonto@valori.it)<br />

redazione (redazione@valori.it)<br />

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Paola Baiocchi, Andrea Baranes, Andrea Barolini,<br />

Francesco Carcano, Matteo Cavallito, Corrado Fontana,<br />

Emanuele Isonio, Michele Mancino, Mauro Meggiolaro,<br />

Andrea Montella, Valentina Neri<br />

grafica, impaginazione e stampa<br />

Publistampa Arti grafiche<br />

Via Dolomiti 36, Pergine Valsugana (Trento)<br />

fotografie e illustrazioni<br />

Roberto Caccuri, Fabio Cuttica, Xinhua (Contrasto);<br />

Fabrizio Bensch, Handout, Jorge Silva (Reuters);<br />

Olivier Douliery (Photoshot); Tomaso Marcolla<br />

abbonamento annuale ˜ 10 numeri<br />

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È consentita la riproduzione totale o parziale<br />

<strong>dei</strong> soli articoli purché venga citata la fonte.<br />

Per le fotografie di cui, nonostante le ricerche eseguite,<br />

non è stato possibile rintracciare gli aventi diritto,<br />

l’Editore si dichiara pienamente disponibile<br />

ad adempiere ai propri doveri.<br />

chiusura<br />

in stampa: 25 ottobre 2012<br />

in posta: 31 ottobre 2012<br />

Il Forest Stewardship Council® (FSC®) garantisce tra l’altro<br />

che legno e derivati non provengano da foreste ad alto<br />

valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree<br />

dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.<br />

Involucro in Mater-Bi®<br />

XINHUA / EYEVINE / CONTRASTO<br />

Guachinango, Messico, ottobre 2012.<br />

Un soldato messicano partecipa alla<br />

distruzione di una coltivazione<br />

di marijuana. Era stata seminata insieme<br />

al mais per renderne più difficile<br />

il rilevamento. Il campo, secondo<br />

la stampa locale, aveva un’estensione<br />

di 30 mila metri quadrati.<br />

| sommario |<br />

globalvision 7<br />

fotonotizie 10<br />

dossier L’era <strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong> 16<br />

Economia drogata 18<br />

Crimine globale 20<br />

Il narco-servizio bancario: da Wachovia a Hsbc 22<br />

Regole vecchie, sanzioni minime. Così prospera la finanza <strong>dei</strong> narcos 22<br />

Mex, drugs & rock ‘n’ roll. L’assalto <strong>dei</strong> narco-petrolieri 24<br />

Argentina, narcostato sempre più attivo 26<br />

finanzaetica<br />

Riforme finanziarie, è scattata l’offensiva europea 29<br />

Le banche restano in paradiso 32<br />

Shaxson: «La City? Uno <strong>dei</strong> tanti tax havens» 33<br />

Banca Etica e i Gas. Non così vicini 35<br />

narcoglobalizzazione 38<br />

economiasolidale<br />

La banda del buco 41<br />

Il dilemma di Milano: meglio il cibo sano o una nuova autostrada? 45<br />

Il mais italiano alla guerra della produttività 47<br />

Biogas, attenzione a chiamarla “energia pulita” 49<br />

La sostenibilità viaggia a pedali 51<br />

valorifiscali 53<br />

internazionale<br />

Paperini e Paperoni: chi finanzia il nuovo presidente? 55<br />

Se un mormone sale alla Casa Bianca 58<br />

Lo sporco business delle cavie umane 59<br />

Libia. Dall’occupazione coloniale alla “guerra umanitaria” 61<br />

Brasile di terra, business e pallottole 63<br />

consumiditerritorio 65<br />

altrevoci 66<br />

bancor 73<br />

action! 74<br />

LETTERE, CONTRIBUTI, ABBONAMENTI,<br />

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| fotonotizie |<br />

Contributi all’energia:<br />

rinnovabili 66 miliardi,<br />

fossili mille<br />

Che gli studi scientifici valgano meno<br />

<strong>dei</strong> ritorni economici lo si capisce<br />

dalla inesorabile disparità tra fonti<br />

rinnovabili e combustibili fossili come<br />

beneficiari <strong>dei</strong> contributi finanziari<br />

mondiali. Il dato emerge da una<br />

ricerca diffusa a fine agosto dal<br />

Worldwatch Institute e realizzata<br />

da Vital Signs: i contributi totali<br />

per l'energia rinnovabile nel 2010<br />

ammontavano a 66 miliardi di dollari,<br />

mentre i sussidi planetari attribuiti<br />

ai combustibili fossili raggiungono<br />

un valore stimato in 775 miliardi<br />

di dollari per il 2010 e più di 1 trilione<br />

(mille miliardi) di dollari nel 2012.<br />

Un confronto impari, con la sola<br />

magra consolazione che viene<br />

calcolando le sovvenzioni per<br />

kilowattora prodotto: basandosi sulla<br />

produzione di energia del 2009,<br />

Worldwatch Institute dice che quella<br />

rinnovabile avrebbe ricevuto tra 1,7<br />

e 15 ¢ (cent di dollaro) per kWh,<br />

mentre i sussidi per i combustibili<br />

fossili restano compresi tra 0,1 e 0,7 ¢<br />

per kWh. Peccato che attraverso<br />

il trilione di dollari concesso<br />

a petrolio&Co. la collettività finanzi<br />

anche le cosiddette “esternalità<br />

negative” sulla disponibilità delle<br />

risorse, l'ambiente e la salute umana:<br />

la Us National Academy of Sciences<br />

stima che le sovvenzioni ai combustibili<br />

fossili pesino in costi sanitari<br />

(perlopiù da inquinamento) per<br />

120 miliardi di dollari l’anno.<br />

Costi evitabili se eliminassimo<br />

il solito trilione entro i prossimi<br />

8 anni, perché allora – secondo<br />

le proiezioni della International<br />

Energy Agency (Iea) – il consumo<br />

globale di energia si ridurrebbe<br />

del 3,9%, colpendo innanzitutto<br />

la domanda di petrolio (-3,7 milioni<br />

di barili al giorno), gas naturale<br />

(-330 miliardi di metri cubi)<br />

e carbone (-230 milioni di tonnellate).<br />

Per non dire delle emissioni di CO2<br />

risparmiate. E sul prossimo numero<br />

di <strong>Valori</strong> ne saprete di più. [C.F.]<br />

[Il disastro ambientale nella piattaforma petrolifera<br />

Deepwater Horizon, che tra aprile e agosto del 2012<br />

ha sversato tonnellate di combustibile nelle acque<br />

del Golfo del Messico. Ancora oggi, a due anni<br />

di distanza, se ne vedono pesanti tracce]. REUTERS / HANDOUT<br />

| 10 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 11 |


| fotonotizie |<br />

Venezuela, Chávez<br />

eletto presidente<br />

per la quarta volta<br />

Ingrassato, ma ufficialmente guarito<br />

dal cancro a causa del quale è stato<br />

a lungo assente dalla ribalta politica<br />

lo scorso anno, il 58enne Hugo<br />

Rafael Chávez Frías si è riconfermato<br />

per la quarta volta consecutiva<br />

presidente del Venezuela.<br />

Ha annunciato la sua vittoria<br />

lo scorso 8 ottobre, affacciandosi<br />

da palazzo di Miraflores brandendo<br />

la spada di Simon Bolivar, l’eroe<br />

venezuelano vissuto tra la fine del<br />

’700 e inizio ’800 che ha contribuito<br />

all’indipendenza di molti Paesi del<br />

Sudamerica e al quale il programma<br />

di Hugo Chávez, il socialismo del XXI<br />

secolo, si ispira.<br />

L’ex militare ha ottenuto il 54,2%<br />

delle preferenze contro il 45% del<br />

suo sfidante, il quarantenne<br />

Henrique Capriles Radonski,<br />

avvocato e governatore dal 2008<br />

dello Stato di Miranda; il riconfermato<br />

presidente porta a casa 7 milioni<br />

e 400 mila voti, il suo sfidante<br />

6 milioni e 200 mila. Un risultato<br />

non sufficiente per l’elezione,<br />

ma in crescita rispetto al 36% che<br />

l’opposizione aveva conseguito<br />

nel 2006, confermando la credibilità<br />

di Capriles tra le fasce di popolazione<br />

contrarie a Chávez, che nella scorsa<br />

elezione era stato votato dal 63%<br />

<strong>dei</strong> venezuelani. C’è da dire che<br />

a queste elezioni si è presentato<br />

il 6% dell’elettorato in più, che<br />

ha espresso il suo consenso per<br />

il presidente del Partito socialista<br />

unito del Venezuela.<br />

Capriles ha preso sportivamente<br />

i risultati esprimendo l’intenzione<br />

di durare nel tempo e di continuare<br />

a lavorare per Prima la giustizia<br />

(Primero justicia), il partito di centro<br />

destra favorevole al libero mercato<br />

e alla democratizzazione del Paese,<br />

nato come associazione nel 1992.<br />

In carica dal 1998, Chávez<br />

continuerà a governare fino al 2018,<br />

con un incarico non facile: i risultati<br />

mostrano un Paese polarizzato<br />

e diviso verticalmente. Mentre<br />

l’aspetto da bravo ragazzo<br />

di Capriles ha compattato<br />

l’opposizione e raccolto i consensi<br />

<strong>dei</strong> più ricchi, ancora oggi chiamati<br />

los escualidos (gli squallidi) dai ceti<br />

medi e popolari. [Pa.Bai.]<br />

[Hugo Chávez vittorioso affacciato dal Palazzo<br />

di Miraflores lo scorso 8 ottobre].<br />

| 12 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

REUTERS / JORGE SILVA


| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 13 |


| fotonotizie |<br />

Mais Ogm:<br />

tumore nei topi,<br />

paura per l’uomo<br />

Un nuovo allarme sugli Ogm,<br />

suffragato da un corposo lavoro<br />

scientifico, è rimbalzato in tutto<br />

il mondo a fine settembre, lanciato<br />

da uno studio francese che<br />

ha smosso in primis il governo<br />

di Parigi. Lo studio, pubblicato sulla<br />

rivista scientifica Food and Chemical<br />

Toxicology, ha richiesto due anni<br />

di lavoro ed è stato curato<br />

da un’équipe di ricercatori guidata<br />

da Gilles-Eric Seralini, dell’Università<br />

di Caen, con una collaborazione<br />

anche dell’Università di Verona.<br />

Ha dimostrato che topi alimentati<br />

con mais geneticamente modificato<br />

“NK603” (varietà tollerante<br />

al pesticida Roundup brevettata<br />

da Monsanto) sono morti prima di<br />

altri, dopo aver sviluppato tumori<br />

alla mammella e danni gravi a fegato<br />

e reni. Il ministro francese<br />

dell’Agricoltura Stéphane Le Foll<br />

ha dichiarato che sarà necessario<br />

rivedere i protocolli<br />

di autorizzazione <strong>dei</strong> prodotti<br />

geneticamente modificati e, non<br />

appena lo studio sarà convalidato<br />

dall’Agenzia nazionale per<br />

la sicurezza sanitaria (Anses), Parigi<br />

chiederà che venga disposto<br />

«il blocco delle importazioni<br />

di questo tipo di prodotti. Occorrerà<br />

prendere decisioni politiche<br />

di notevole importanza, anche<br />

su scala europea».<br />

Ma a preoccuparsi non è solo<br />

il Paese transalpino, se è vero che<br />

l’autorità tedesca sulla sicurezza<br />

alimentare ha dato mandato<br />

a un gruppo di esperti di stilare<br />

una relazione sull’argomento.<br />

E in Canada la coalizione<br />

ambientalista Vigilance Ogm, che<br />

chiede da tempo l’imposizione<br />

di un’etichettatura specifica per tali<br />

tipi di prodotti, vuole ripetere<br />

nuovamente lo studio, al fine<br />

di fugare anche alcuni dubbi che<br />

sono sorti in merito alla metodologia<br />

utilizzata dai ricercatori francesi.<br />

[C.F.]<br />

[Alcuni ricercatori dell’Università di Caen mentre<br />

eseguono i test. <strong>Valori</strong> ha scelto di non mostrare<br />

le immagini più agghiaccianti. Ci scusiamo per aver<br />

comunque pubblicato la foto di un animale<br />

sottoposto ai test].<br />

| 14 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


| |<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 15 |


dossier a<br />

Nella città di Tijuana, al confine con il Messico,<br />

il 22 ottobre del 2010 furono sequestrate<br />

da polizia ed esercito 134 tonnellate di marijuana,<br />

che poi vennero date alle fiamme<br />

Economia drogata > 18<br />

Crimine globale > 20<br />

Il narco-servizio bancario > 22<br />

L’assalto <strong>dei</strong> narco-petrolieri > 24<br />

Argentina-narcostato sempre più attivo > 26<br />

cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini,<br />

Matteo Cavallito e Valentina Neri


L’era<br />

<strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong><br />

Delocalizzano, fanno dumping,<br />

aprono nuovi mercati, investono<br />

nella finanza. Sono le corporation<br />

del crimine, quasi indistinguibili<br />

da quelle legali<br />

FABIO CUTTICA / CONTRASTO


dossier<br />

| 18 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

Economia<br />

drogata<br />

di Paola Baiocchi<br />

Si parla di una nuova fase del potere criminale, ormai in simbiosi con il sistema economico legale e che usa<br />

tutte le potenzialità della “globalizzazione” per svilupparsi: Stati deboli, culture sottomesse alla dittatura del profitto<br />

e finanziarizzazione del mondo. In un quadro di collaborazioni transnazionali tra organizzazioni criminali<br />

L’<br />

economia della droga, un mercato<br />

che ingenera bisogni e sfrutta<br />

debolezze umane, produce fiumi<br />

di danaro che si stima rappresentino il 4%<br />

del Pil mondiale. Ma diventano centinaia<br />

di volte di più dopo esser stati moltiplicati<br />

dalle leve “legali” <strong>dei</strong> prodotti finanziari,<br />

attraverso i quali i narcocapitali vengono<br />

lavati e rientrano nell’economia, indistinguibili<br />

dagli altri capitali finanziari.<br />

Sulla base della difficoltà di separare<br />

legale e illegale, chi studia il potere criminale<br />

parla di una nuova fase nella storia<br />

del crimine organizzato, che sarebbe in<br />

questo momento simbiotico all’economia<br />

legale e quindi “globalizzato”, avendo saputo<br />

approfittare del vuoto di potere politico<br />

conseguente alla dissoluzione dell’Unione<br />

Sovietica, come spiega Umberto<br />

Santino, storico delle mafie, in Droga, mafia<br />

e globalizzazione.<br />

Il progressivo indebolimento degli<br />

Stati nazione, trasformati in Stati mercato<br />

dalla fine della guerra fredda e<br />

dall’avanzare del neoliberalismo, per Loretta<br />

Napoleoni, esperta di terrorismo<br />

ed economia internazionale, rende possibile<br />

l’evoluzione della ’ndrangheta calabrese<br />

che, tra gli anni ’80 e ’90, esporta<br />

all’estero la rete che ha costruito in Italia<br />

in un secolo, cavalcando l’occasione delle<br />

guerre nei Balcani, che bloccano le tradizionali<br />

rotte (Economia canaglia, Il<br />

Saggiatore 2008).<br />

La ’ndrangheta convince contrabbandieri<br />

albanesi, bulgari, turchi e isla-<br />

mici a deviare i loro traffici per far diventare<br />

le coste della Calabria le nuove<br />

frontiere illegali dell’Europa. Scrive la<br />

Napoleoni: «Alla fine della guerra nei<br />

Balcani le rotte calabresi sono tanto comode<br />

e frequentate che quelle di prima<br />

non vengono più riaperte».<br />

L’integrazione verticale<br />

della ’ndrangheta<br />

Nel frattempo la ’ndrangheta consolida i<br />

rapporti con i cartelli colombiani e messicani<br />

della cocaina e riesce a costruire<br />

un’organizzazione a “integrazione verticale”<br />

sul modello delle corporation multinazionali,<br />

che offre come nessun altro<br />

il pacchetto completo (volendo anche di<br />

voti elettorali). Le ’ndrine garantiscono<br />

dal contrabbando della droga ai pagamenti<br />

in armi, al riciclaggio del danaro<br />

<strong>dei</strong> narcos in euro, in questo facilitate<br />

dall’unione monetaria europea, che aiuta<br />

a coprire l’origine <strong>dei</strong> proventi illegali,<br />

assieme all’insufficiente monitoraggio<br />

comunitario sui contanti in entrata e in<br />

uscita dall’Unione.<br />

Spiega Michele Prestipino, procuratore<br />

aggiunto presso la Direzione distrettuale<br />

antimafia di Reggio Calabria: «Nella sua<br />

ascesa come intermediatore e organizzatore<br />

<strong>dei</strong> traffici internazionali della cocaina,<br />

la ’ndrangheta ha approfittato di due<br />

“jolly”: l’impegno di Cosa nostra nella strategia<br />

stragista e poi il suo indebolimento<br />

per la reazione dello Stato. Negli anni in<br />

cui tutta l’attenzione era focalizzata sulla<br />

Sicilia – continua Prestipino – la ’ndrangheta<br />

ha accumulato un enorme potere e<br />

un’enorme ricchezza. Compatta e con un<br />

grande serbatoio di liquidità finanziaria<br />

per poter far fronte in ogni caso a qualsiasi<br />

pagamento, la ’ndrangheta si è affermata<br />

per affidabilità e solvibilità di cassa».<br />

La proletarizzazione della cocaina<br />

Interconnessione <strong>dei</strong> mercati, velocità<br />

nelle transazioni, segretezza del sistema<br />

bancario, grandi diseguaglianze sociali<br />

all’interno <strong>dei</strong> Paesi e tra i Paesi e svuotamento<br />

della funzione politica degli Stati<br />

che non agiscono più come regolatori <strong>dei</strong><br />

mercati, sottoposti solo alle leggi del profitto.<br />

Tutte queste caratteristiche della<br />

“globalizzazione” sono colte dal traffico<br />

internazionale delle droghe che approfitta<br />

per svilupparsi, secondo Santino, sia<br />

del deficit che dell’abbondanza.<br />

Così dalla povertà della Colombia nasce<br />

la ricchezza <strong>dei</strong> narcos, che hanno<br />

“proletarizzato” una droga come la cocaina<br />

che fino a 25 anni fa era solo per ricchi<br />

e ora è diffusa sulle piazze quanto l’hashish,<br />

mentre coltivazioni e laboratori dalla<br />

Colombia si diffondono in Bolivia e Perù.<br />

Azzardiamo l’ipotesi che la cocaina sia<br />

spinta nella sua discesa verso prezzi più<br />

“popolari”, che non ne intaccano comunque<br />

il “saggio di profitto”, anche dalle economie<br />

di scala permesse dall’efficienza<br />

organizzativa della ’ndrangheta.<br />

La diffusione della cocaina nei Paesi<br />

dell’Est, così come nel resto del mondo, è


culturalmente legata all’imitazione di modelli<br />

che ne fanno una droga per “vincenti”.<br />

Modelli di quel pensiero unico che,<br />

sempre per Umberto Santino, incarna<br />

“l’etica della globalizzazione”: cioè una<br />

summa di codici culturali ispirati al dogma<br />

del profitto, alla sudditanza del lavoro<br />

al capitale, alla competitività e al consumismo<br />

come filosofia di vita, per arrivare<br />

al successo ad ogni costo. In queste praterie<br />

culturali e legislative libere da “lacci e<br />

lacciuoli”, tra le criminalità si stabiliscono<br />

collaborazioni transnazionali in nome del<br />

“mercato”, per evitare clamorose guerre.<br />

Nuovi mercati si aprono<br />

L’eroina, dopo la flessione nei consumi<br />

conseguente alla conoscenza <strong>dei</strong> suoi effetti<br />

e alla diffusione dell’Aids, ora fumata<br />

e sniffata oltre che iniettata, ha conquistato<br />

nuovi mercati: l’Iran, per esempio,<br />

che è allo stesso tempo piattaforma nei<br />

flussi dall’Afghanistan verso l’Europa e<br />

consumatore, con 4/5 milioni di dipendenti<br />

da oppiacei. Ma anche la Russia e i Paesi<br />

dell’Est si stanno affermando come consumatori<br />

oltre che come trafficanti, dopo<br />

la caduta del Muro di Berlino.<br />

Dall’Afghanistan arrivano i tre quarti<br />

della produzione mondiale di oppio,<br />

materia base per l’eroina, che ora viene<br />

anche raffinata localmente. «Per questioni<br />

economiche: è molto più facile<br />

contrabbandare eroina che pani d’oppio»,<br />

spiega Rosario Aitala, consigliere<br />

del ministro degli Affari esteri per le<br />

Aree di crisi e Criminalità internazionale,<br />

che continua: «L’Afghanistan ha una<br />

storia complessa per cui lì è diventato facile<br />

coltivare l’oppio e sarà molto difficile<br />

che smettano di coltivarlo».<br />

La proxy war, la guerra per procura,<br />

combattuta dagli afghani contro l’Urss<br />

alla fine degli anni ’70, finanziata con capitali<br />

Usa e dell’Arabia Saudita, con la<br />

collaborazione <strong>dei</strong> servizi segreti pakistani,<br />

israeliani ed egiziani, ha riaperto<br />

“la via della seta” per i missili Stinger destinati<br />

ai mujaheddin, ma anche al traffico<br />

di droga. E ha aperto la strada anche,<br />

sostiene Chalmers Johnson, storico e<br />

saggista statunitense autore di Nemesi,<br />

all’11 settembre e alle successive guerre<br />

Usa contro il terrorismo. <br />

1. FLUSSI GLOBALI DI EROINA DI ORIGINE ASIATICA<br />

Flussi di eroina<br />

[tonnellate]<br />

[not actual trafficking routes]<br />

11<br />

6-10<br />

1-5<br />

USA,<br />

Canada<br />

Mexico 17<br />

165<br />

Pacific<br />

West, Central,<br />

East Europe<br />

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC<br />

2. FLUSSI GLOBALI DI COCAINA NEL 2008<br />

14 Canada<br />

USA<br />

ANDEAN<br />

REGION<br />

Caribbean<br />

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC<br />

38 Opium 5,300<br />

88<br />

South-East<br />

Europe Caucasus<br />

Africa<br />

82<br />

B.R. of Venezuela<br />

Brazil<br />

Turkey<br />

Russian<br />

Federation<br />

95<br />

Islamic<br />

Republic<br />

of Iran<br />

Gulf area,<br />

Middle East<br />

124<br />

West<br />

Africa<br />

Central<br />

Asia<br />

Afghanistan<br />

105<br />

1 50<br />

Pakistan<br />

Europe<br />

| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

India<br />

Southern<br />

Africa<br />

Transformed<br />

into heroin<br />

2,700<br />

Afghanistan<br />

China<br />

Myanmar<br />

Traffico di cocaina [tonnellate]<br />

140<br />

60<br />

15<br />

6<br />

South-East<br />

Asia<br />

Principali produttori di cocaina<br />

Consumo di cocaina<br />

[tonnellate]<br />

Produzione<br />

di oppio<br />

[tonnellate]<br />

1-2 Ad oggi, i dati relativi al consumo totale di eroina nel mondo, insieme a quelli legati ai sequestri,<br />

indicano un flusso complessivo nel mercato globale di circa 430-450 tonnellate. La quantità prodotta<br />

dal Myanmar e dal Laos raggiunge circa le 50 tonnellate, mentre il resto – circa 380 tonnellate di eroina<br />

e morfina – è prodotto esclusivamente in Afghanistan.<br />

Sono due le principali “autostrade” della droga: una che passa dai Balcani e un’altra che sfrutta il territorio<br />

della Russia, in direzione dell’Europa. Il primo corridoio tocca l’Iran (ma spesso anche il Pakistan),<br />

la Turchia, la Grecia e la Bulgaria, prima di entrare nella ex-Jugoslavia; rappresenta un giro d’affari di circa<br />

20 miliardi di dollari all’anno. Il secondo passa per Tagikistan e Kirgizistan (o Uzbekistan e Turkmenistan),<br />

tocca il Kazakistan e arriva in Russia; il valore stimato è di 13 miliardi di dollari all’anno.<br />

Per quanto riguarda la cocaina, il mercato non è più quasi unicamente europeo, come nel caso dell’eroina,<br />

ma anche nordamericano. Sono le nazioni andine (Colombia su tutte, ma anche Perù e Bolivia) i principali<br />

produttori: per raggiungere Usa e Canada i trafficanti sfruttano le vie marittime o il Messico.<br />

Le navi sono invece il mezzo privilegiato per arrivare in Europa.<br />

77<br />

95<br />

500<br />

450<br />

Myanmar<br />

Oceania<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 19 |


dossier<br />

di Valentina Neri<br />

| 20 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

Crimine<br />

globale<br />

La criminalità organizzata gestisce<br />

il traffico di droga come una<br />

multinazionale: produce dove costa<br />

meno e dove è più sicuro.<br />

E sfrutta le economie di scala.<br />

Lo racconta Franz Trautmann<br />

dire come sono organizzati<br />

i gruppi crimina-<br />

«Èdifficile<br />

li. L’unica cosa certa è che<br />

seguono le stesse regole: cercano di sfruttare<br />

le economie di scala». Esordisce così<br />

Franz Trautmann, direttore dell’unità<br />

Affari internazionali al Trimbos Institute,<br />

centro studi olandese sulle droghe e<br />

la salute mentale.<br />

Ritiene che esistano veri narcostati? E che<br />

la criminalità organizzata sia organizzata<br />

come le multinazionali?<br />

È un tema di cui mi sto occupando<br />

per la Commissione europea. Abbiamo la<br />

sensazione che ci siano Paesi “deboli” in<br />

cui vige un regime di corruzione e le organizzazioni<br />

criminali sono piuttosto<br />

stabili perché non hanno molto da temere.<br />

Lo possiamo vedere ad esempio nel<br />

traffico di cocaina in America Latina.<br />

La criminalità organizzata sfrutta le<br />

economie di scala. Che non vuol dire soltanto<br />

che i siti di produzione sono più<br />

grandi, ma anche che le organizzazioni<br />

criminali cercano di differenziare i rischi,<br />

ad esempio delocalizzando la produzione<br />

in diverse zone. Puoi scovare un<br />

centro di produzione, ma a quel punto ne<br />

hai solo uno. Ci vuole uno sforzo maggiore<br />

per riuscire a individuare i centri di<br />

produzione più piccoli e meno visibili.<br />

SEQUESTRI DI CANNABIS NEL MONDO<br />

United States of America<br />

1,931.0<br />

Mexico<br />

2,313.1<br />

Sequestri nel 2010<br />

[tonnellate]<br />

Tendenza 2009-2010<br />

In crescita (>10%)<br />

Stabile (+/- 10%)<br />

In calo (>10%)<br />

Canada<br />

50.7<br />

Belize<br />

97.0<br />

Guatemala<br />

4.4 Panama<br />

El Salvador 1.8<br />

0.9<br />

Costa Rica<br />

0.6<br />

Ecuador<br />

2.5<br />

Nessun dato disponibile<br />

per l’anno precedente<br />

Peru<br />

3.9<br />

Colombia<br />

255.0<br />

Chile<br />

8.1<br />

Venezuela (Bolivarian<br />

Republic of)<br />

38.9<br />

Caribbean<br />

92.3<br />

Suriname<br />

0.15<br />

Boliva (Plurinational State of)<br />

4.4<br />

Uruguay<br />

0.38<br />

Argentina<br />

36.3<br />

Brazil<br />

155.1<br />

Morocco<br />

186.6<br />

West & Central Europe<br />

69.2<br />

Sono più difficili le operazioni antidroga...<br />

I metodi di contrasto alle droghe attivati<br />

finora stanno convogliando la produzione<br />

in certe direzioni. Capita, ad<br />

esempio, che si delocalizzi da un territorio<br />

a un altro perché è più sicuro. La polizia<br />

olandese negli ultimi anni ha agito molto<br />

attivamente per scovare le coltivazioni di<br />

cannabis, utilizzando addirittura rilevazioni<br />

con telecamere a infrarossi. Risultato:<br />

parte della produzione è stata spostata<br />

in Belgio, a 20-50 km di distanza, perché<br />

Southeast Europe<br />

55.0<br />

Israel<br />

4.9<br />

Egypt<br />

107.0<br />

Chad<br />

0.6<br />

Nigeria<br />

Mozambique<br />

3.25<br />

Botswana<br />

0.7<br />

Swaziland<br />

5.94<br />

Sequestri di cannabis dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

Nessun sequestro di cannabis dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

SEQUESTRI DI COCAINA NEL MONDO<br />

United States of America<br />

163.34<br />

Mexico<br />

9.89<br />

Sequestri nel 2010<br />

[tonnellate]<br />

Tendenza 2009-2010<br />

Central America<br />

85.7<br />

Ecuador<br />

15.47<br />

In crescita (>10%)<br />

Stabile (+/- 10%)<br />

In calo (>10%)<br />

Canada<br />

2.95<br />

Nessun dato disponibile<br />

per l’anno precedente<br />

Venezuela<br />

(Bolivarian Republic of)<br />

25.09<br />

Colombia<br />

211.21<br />

Peru<br />

31.06<br />

Chile<br />

9.94<br />

Caribbean<br />

7.28<br />

Guyana<br />

0.09<br />

0.38<br />

Suriname<br />

Brazil<br />

27.07<br />

Bolivia (Plurinational State of)<br />

29.09<br />

Paraguay<br />

1.43<br />

Uruguay<br />

0.65<br />

Argentina<br />

7.3<br />

East Europe<br />

39.0<br />

Uzbekistan<br />

1.7<br />

Iran<br />

8.2<br />

Senegal<br />

15.9<br />

Mali<br />

3.33<br />

Burkina Faso<br />

0.13<br />

Australia<br />

1.8<br />

Côte d’Ivoire<br />

174.7<br />

3.6 Togo<br />

Ghana<br />

0.6<br />

0.15<br />

Cameroon<br />

0.3<br />

Kenya<br />

15.0<br />

Gabon<br />

1.1<br />

Tanzania (United Republic of)<br />

279.5<br />

Senegal<br />

0.04<br />

West & Central Europe<br />

60.95<br />

Morocco<br />

0.07<br />

Mali MMali 0.0 0.02<br />

BBenin<br />

0.01<br />

Ghana<br />

0.03<br />

East Europe<br />

0.27<br />

South-East Europe<br />

0.37<br />

Nigeria<br />

0.71<br />

Cameroon<br />

0.01<br />

Israel<br />

0.07<br />

Sequestri di cocaina dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

Nessun sequestro di cocaina dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

Saudi Arabia<br />

0.03<br />

Madagascar<br />

0.8<br />

Kazakhstan<br />

27.3<br />

Kyrgyzstan<br />

1.4<br />

India<br />

173.1<br />

Islamic Republic of Iran<br />

0.02 Pakistan<br />

0.23<br />

0.05<br />

United Arab<br />

Emirates<br />

Kenya<br />

0.02<br />

Tanzania (United Republic of)<br />

0.06<br />

Bangladesh<br />

22.3<br />

India<br />

0.02<br />

Myanmar<br />

0.2<br />

China<br />

3.2<br />

Thailand<br />

17.9<br />

China<br />

0.44<br />

Lao People's Democratic Republic<br />

3.5<br />

Vietnam<br />

0.2<br />

Malaysia<br />

1.1<br />

0.03<br />

Thailand<br />

Malaysia<br />

0.02<br />

Indonesia<br />

22.7<br />

0.34<br />

Philippines<br />

Japan<br />

0.2<br />

Philippines<br />

1.1<br />

Australia<br />

1.8<br />

Hong Kong, China<br />

0.58<br />

Australia<br />

1.89<br />

è un territorio meno controllato. Pur rimanendo<br />

nelle mani delle stesse organizzazioni.<br />

È lo stesso meccanismo per cui, se<br />

oggi si compra un prodotto Apple, è fabbricato<br />

a Taiwan. È una legge economica:<br />

si produce dove costa meno. Il mercato<br />

della droga sta facendo più o meno lo<br />

stesso. La maggiore differenza fra i mercati<br />

legali e quelli illegali è che questi ultimi,<br />

oltre ai costi di produzione, trasporto,<br />

smistamento ecc., devono considerare costi<br />

extra per il rischio di sequestri.<br />

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2012, UNODC<br />

New Zealand<br />

0.8


SEQUESTRI DI ECSTASY NEL MONDO<br />

Canada<br />

528.9<br />

United States of America<br />

1,069.1<br />

Mexico<br />

2.0<br />

Sequestri nel 2010<br />

[tonnellate]<br />

Tendenza 2009-2010<br />

In crescita (>10%)<br />

Stabile (+/- 10%)<br />

In calo (>10%)<br />

Colombia<br />

1.8<br />

Nessun dato disponibile<br />

per l’anno precedente<br />

United States of America<br />

3.5<br />

Mexico<br />

0.4<br />

0.1<br />

Canada<br />

Caribbean<br />

0.03<br />

Central America<br />

0.2<br />

Ecuador<br />

0.9<br />

Colombia<br />

1.7<br />

Peru<br />

68.1<br />

Argentina<br />

25.5<br />

0.05<br />

Venezuela (Bolivarian<br />

Republic of)<br />

West & Central Europe<br />

1,029.4<br />

Ma esiste una vera organizzazione del<br />

lavoro criminale a livello globale?<br />

È difficile entrare nello specifico dell’organizzazione<br />

del lavoro. Le organizzazioni<br />

illecite si occupano di diversi settori:<br />

il traffico di droga spesso è legato al traffico<br />

di esseri umani e talvolta anche al<br />

gioco d’azzardo. I traffici hanno bisogno<br />

in primo luogo di infrastrutture: aeroporti,<br />

strade, ecc. Lo si vede a Rotterdam come<br />

in Sudafrica: uno Stato che inizia ad<br />

aver un certo ruolo perché ha ottime in-<br />

East Europe<br />

5.9<br />

South-East Europe<br />

276.2<br />

Sequestri di ecstasy dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

Nessun sequestro di ecstasy dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

SEQUESTRI DI EROINA E MORFINA NEL MONDO<br />

Sequestri nel 2010<br />

[tonnellate]<br />

Tendenza 2009-2010<br />

In crescita (>10%)<br />

Stabile (+/- 10%)<br />

In calo (>10%)<br />

Nessun dato disponibile<br />

per l’anno precedente<br />

Russian Federation<br />

2.6<br />

China<br />

381.9<br />

4.00<br />

Thailand<br />

129.7<br />

Malaysia<br />

1.74<br />

Hong Kong, China<br />

Singapore<br />

2.4<br />

127.4<br />

Indonesia<br />

Australia<br />

111.6<br />

Belarus<br />

West & Central Europe 0.04<br />

Kazakhstan<br />

5.8<br />

Southeast Europe<br />

0.3<br />

(excl. Turkey)<br />

Turkey<br />

Uzbekistan<br />

0.68<br />

12.7 Turkmenistan 1.0 0.2<br />

Syrian Arab Republic 0.1<br />

Kyrgyzstan China<br />

0.05<br />

1.0<br />

Islamic Rep. of Tajikistan<br />

5.4<br />

Iran<br />

Israel<br />

Afghanistan<br />

Pakistan<br />

0.2 0.5<br />

14.1<br />

Hong Kong, China<br />

0.2<br />

10.3 Bangladesh<br />

North Africa<br />

0.1 0.07 Taiwan province of China<br />

0.06 United Arab Emirates<br />

0.01 0.07<br />

Saudi Arabia<br />

0.1<br />

0.8 Myanmar 0.08<br />

Macau, China<br />

0.2<br />

India<br />

Lao People’s Dem. Rep.<br />

Thaliand<br />

West and Central Africa<br />

0.1 0.3<br />

0.2<br />

0.1<br />

Malaysia<br />

Viet Nam<br />

East Africa<br />

Sri Lanka<br />

0.3 0.05<br />

0.03<br />

Singapore Indonesia<br />

35.24<br />

Sequestri di eroina e morfina dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

Nessun sequestro di eroina e morfina dal rapporto<br />

UNODC (2006-2010)<br />

Australia<br />

0.5<br />

Japan<br />

4.95<br />

New Zealand<br />

12.5<br />

frastrutture. Ma ci sono anche infrastrutture<br />

“invisibili”. Le organizzazioni criminali<br />

hanno iniziato a lavorare di più nelle<br />

zone dell’Africa occidentale che erano excolonie<br />

portoghesi: da lì le sostanze stupefacenti<br />

vengono portate in Portogallo e<br />

Spagna. Legami storici che in un certo<br />

senso agiscono da infrastrutture.<br />

Secondo i dati dell’Unodc, i proventi del<br />

traffico di droga sono in diminuzione...<br />

Ho i miei dubbi su questi dati. Il de-<br />

| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

L’ultimo rapporto dell’Unodc (l’Ufficio delle Nazioni<br />

Unite per il Controllo della droga e la prevenzione<br />

del crimine) sottolinea che quello legato alla<br />

cannabis è un fenomeno globale: spiccano<br />

i casi di Stati Uniti e Messico, ma i sequestri<br />

risultano effettuati in tutto il mondo.<br />

Per la cocaina, la maggioranza delle operazioni<br />

si concentra in America centrale (nella regione<br />

andina) e del Sud, negli Usa ed Europa occidentale.<br />

La maggior parte <strong>dei</strong> sequestri di eroina<br />

si concentra in Asia meridionale, ricalcando<br />

la geografia <strong>dei</strong> principali luoghi di produzione.<br />

Nel solo 2008 in tutto il mondo sono state<br />

sottratte ai trafficanti 73,7 tonnellate di eroina.<br />

Solo due Paesi, Iran e Turchia, registrano oltre<br />

la metà <strong>dei</strong> sequestri mondiali. Al contrario,<br />

nello Stato che più di ogni altri produce eroina,<br />

l’Afghanistan, la quota sequestrata risulta<br />

assolutamente esigua: solamente 5 tonnellate<br />

contro le 375 introdotte sul mercato internazionale.<br />

Discorso opposto per l’ecstasy, sequestrata quasi<br />

unicamente in Usa, Canada, Europa e Cina.<br />

I dati relativi ai sequestri però non sono di per<br />

sé indicativi di una maggiore o minore presenza<br />

di droga sul territorio. Dipendono anche dalla<br />

capacità (o volontà) delle forze di polizia<br />

di contrastare il fenomeno.<br />

naro che circola nel narcotraffico deriva<br />

da varie fasi: produzione, traffico, vendita<br />

su larga scala e al dettaglio. Sappiamo<br />

che la produzione è la parte minore perché<br />

l’agricoltore che coltiva la coca prende<br />

solo le briciole, sappiamo anche che i<br />

profitti arrivano nel passaggio tra “ingrosso”<br />

e “dettaglio”, ma è difficile capire<br />

a quanto ammontino.<br />

Ci si sta spostando verso le droghe<br />

sintetiche, più facili e veloci da produrre,<br />

da delocalizzare e da nascondere. Per<br />

coltivare coca o papavero, invece, sono<br />

necessari campi vasti e visibili e servono<br />

mesi. Le droghe sintetiche, però, non sono<br />

ancora monitorate a sufficienza.<br />

Da cosa dipende lo spostamento<br />

del traffico da una droga all’altra?<br />

Ci sono molti fattori. In Olanda in<br />

questo momento l’età media delle persone<br />

in trattamento per l’uso di eroina è sui<br />

cinquant’anni: non ci sono persone giovani<br />

che iniziano a fare uso di eroina. Si<br />

tratta di trend che hanno a che fare con<br />

la moda: l’eroina non è più di moda, i giovani<br />

pensano che sia una droga per perdenti.<br />

Al contrario la cocaina, le anfetamine<br />

e la cannabis sono più “cool”, sono<br />

le droghe delle persone che vogliono soldi,<br />

vogliono fare carriera. Le politiche<br />

reagiscono al problema ma non riescono<br />

a dare forma al problema stesso. <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 21 |


dossier<br />

| 22 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

Il narco-servizio bancario:<br />

da Wachovia a Hsbc<br />

di Matteo Cavallito<br />

Un rapporto del Senato inchioda<br />

la banca britannica, per anni efficace<br />

lavanderia <strong>dei</strong> trafficanti di droga.<br />

Ma il suo non è un caso isolato<br />

L’<br />

ultimo scandalo è del luglio scorso<br />

e le cifre sono da capogiro. Il<br />

colosso finanziario britannico<br />

Hsbc – 2.500 miliardi di dollari (in asset gestiti),<br />

89 milioni di clienti e 22 miliardi di<br />

profitti annui – ha prestato i suoi servizi al<br />

riciclaggio internazionale di denaro sporco.<br />

La denuncia, contenuta in un rapporto<br />

di oltre 300 pagine del Committee on<br />

Homeland Security and Governmental<br />

Affairs del Senato statunitense parla chiaro:<br />

in barba ai regolamenti sulla traspa-<br />

renza finanziaria, l’istituto ha aperto migliaia<br />

di conti correnti in favore di clienti<br />

sospetti, società fantasma, riciclatori ed<br />

evasori di stanza nei paradisi fiscali come<br />

Bahamas, Nauru e Isole Cayman. Il controvalore<br />

delle transazioni potenzialmente<br />

rischiose e non adeguatamente monitorate<br />

dalla banca ammonterebbe a circa 60<br />

trilioni (mila miliardi) di dollari all’anno.<br />

Oltre due terzi del Pil mondiale.<br />

I regolamenti internazionali impongono<br />

al sistema bancario l’adeguamento costante<br />

a due tipi di standard preventivi:<br />

l’Aml (Anti money laundering, antiriciclaggio)<br />

e il Ctf (Counter-terrorism financing,<br />

contrasto ai canali di finanziamento<br />

<strong>dei</strong> terroristi). In ossequio a questi criteri,<br />

l’Office of foreign assets control (Ofac) del<br />

dipartimento del Tesoro Usa ha elaborato<br />

Regole vecchie, sanzioni minime<br />

Così prospera la finanza <strong>dei</strong> narcos<br />

di Matteo Cavallito<br />

Secondo l’ex direttore dell’Unodc Costa, il collegamento<br />

banche, narcotraffico e riciclaggio è un problema endemico.<br />

Mancano regole e sanzioni adeguate. La globalizzazione<br />

finanziaria aiuta a spostare, e lavare, capitali<br />

«Il nesso tra narcotraffico, finanza e riciclaggio non è un fatto<br />

congiunturale, ma il frutto di un problema endemico che parte<br />

dalla mancanza di moralità». Non ha dubbi l’ex direttore<br />

dell’Unodc Antonio Maria Costa. A quasi quattro anni dalla<br />

denuncia sulle connessioni tra banche e proventi della droga,<br />

i problemi di fondo sono tuttora irrisolti.<br />

da tempo una lista nera di soggetti e giurisdizioni<br />

cui proibire l’accesso ai servizi finanziari.<br />

Tra il 2002 e il 2007 la filiale Usa<br />

di Hsbc è stata usata da ignoti clienti per<br />

effettuare transazioni potenzialmente<br />

proibite dall’Ofac per quasi 20 miliardi di<br />

dollari, coinvolgendo giurisdizioni “problematiche”<br />

tra cui Iran e Corea del Nord.<br />

I vertici Usa di Hsbc, sostiene il rapporto,<br />

erano stati informati delle operazioni<br />

sospette già nel 2001, ma non avevano<br />

attuato alcuna significativa misura<br />

di contrasto. Anzi, per dieci anni la banca<br />

ha intrattenuto rapporti con almeno tre<br />

istituti, noti per le loro attività di finanziamento<br />

del terrorismo internazionale:<br />

la banca saudita Al Rajhi Islami e le bengalesi<br />

Bank Bangladesh Ltd. e Social Islami<br />

Bank.<br />

Dottor Costa, che impressione le ha fatto il caso Hsbc?<br />

È stato uno <strong>dei</strong> tanti casi clamorosi che sono emersi, come<br />

quelli di Wachovia o di Citibank. La cosa che più mi colpisce<br />

è che si tratta di banche di grande importanza che non avrebbero<br />

bisogno di ricorrere a certi stratagemmi per reperire la liquidità.<br />

Tuttavia siamo di fronte a un problema sistemico: regole globali<br />

in parte assenti e in parte inadeguate che spesso vengono<br />

anche disattese.<br />

Quindi è un problema di regole?<br />

Nel luglio del 1989, quando ero vice segretario generale<br />

dell’Ocse, l’allora G7 creò la Financial Action Task Force (Fatf),<br />

che negli anni successivi fissò alcune regole adatte a un mondo


La “risorsa” <strong>dei</strong> narcodollari<br />

La storia più incredibile nell’epopea di<br />

Hsbc viene dalla filiale messicana della<br />

banca, Hbmx, che tra il 2007 e il 2008 ha materialmente<br />

spedito 7 miliardi di dollari in<br />

contanti negli Stati Uniti. Un simile ammontare<br />

di denaro liquido non tracciabile,<br />

si sospetta sia riconducibile ai cartelli della<br />

droga. La vicenda di Hbmx richiama alla<br />

memoria un’altra storia messicana, quella<br />

cominciata con il sequestro di un DC-9 carico<br />

di 5,7 tonnellate di cocaina (controvalore<br />

stimato: 100 milioni di dollari) a Ciudad<br />

del Carmen, il 10 aprile del 2006. Dalle<br />

indagini successive si scoprì che il velivolo<br />

era stato acquistato con denaro riciclato<br />

attraverso la banca statunitense Wachovia,<br />

di base a Charlotte nel North Carolina.<br />

La banca, riferì in seguito il quotidiano<br />

britannico The Observer, aveva condotto<br />

transazioni per quasi 380 miliardi di<br />

dollari con le oscure Casas de cambio locali,<br />

le agenzie messicane di conversione<br />

della valuta da tempo clienti dell’istituto.<br />

Nel gennaio del 2009, in un’intervista al<br />

settimanale austriaco Profil, il direttore<br />

(dal 2002 al 2010) dello United nations office<br />

on drugs and crime (Unodc) Antonio<br />

Maria Costa lanciò una pesantissima accusa<br />

all’intero sistema bancario globale:<br />

nella seconda metà del 2008, spiegò, «il<br />

denaro derivante dal traffico di droga<br />

non ancora stravolto dalla globalizzazione finanziaria. Oggi<br />

è possibile portare contanti nelle cosiddette rogue jurisdictions,<br />

i Paesi “canaglia”, in Africa, nel Pacifico, in America Centrale,<br />

paradisi fiscali in genere, e vederli trasferire nel giro<br />

di poche ore nelle giurisdizioni tradizionali.<br />

Occorre anche denunciare il ruolo di altri soggetti protagonisti<br />

del riciclaggio, come l’industria alberghiera, del turismo<br />

in generale e del gioco d’azzardo (i casinò ad esempio).<br />

Detto questo esiste anche un altro problema, quello<br />

delle sanzioni.<br />

Sono troppo lievi?<br />

Nel caso Wachovia i responsabili se ne sono andati e hanno<br />

trovato una nuova occupazione altrove nel sistema bancario<br />

americano, mentre la loro banca, accusata di riciclare<br />

oltre 400 miliardi di narcodollari, riceveva una multa pari<br />

a qualcosa come il 2% circa del suo profitto annuale.<br />

Se si vuole arrestare il fenomeno occorre avere sanzioni molto<br />

più severe per i soggetti e le istituzioni coinvolte.<br />

rappresentava l’unico investimento liquido<br />

di capitale». Tradotto, con un mercato<br />

interbancario congelato (gli istituti<br />

avevano smesso di prestarsi denaro temendo<br />

vicendevolmente l’insolvenza) a<br />

salvare dal collasso il sistema era stato il<br />

denaro <strong>dei</strong> trafficanti/riciclatori, gli unici<br />

a disporre di liquidità e di propensione<br />

all’investimento. Nei mesi convulsi del<br />

collasso Lehman (e del tracollo della stessa<br />

Wachovia, salvata dalla bancarotta<br />

dall’acquisizione da parte di Wells Fargo),<br />

di fronte alle richieste di apertura<br />

<strong>dei</strong> conti da parte degli investitori più facoltosi,<br />

gli istituti di credito avevano<br />

preferito non fare troppe domande.<br />

Ma il problema di fondo resta. Tanto<br />

che, spiega oggi Costa, «è impossibile non<br />

| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

OBAMA DICHIARA GUERRA AL CRIMINE ORGANIZZATO<br />

Si chiama Strategia per combattere il crimine organizzato transnazionale (Transnational<br />

Organized Crime Strategy). È stata lanciata da Barack Obama nel luglio del 2011 ed è la prima<br />

politica nazionale mirata a combattere le reti criminali con un giro d’affari di oltre mille miliardi<br />

di dollari. Si sono profondamente evolute negli anni: sfruttando l’innovazione tecnologica<br />

e la globalizzazione sono diventate più fluide, in grado di ramificarsi e stringere alleanze<br />

internazionali. Ai vertici fra le organizzazioni più pericolose c’è anche la camorra, che secondo<br />

le autorità Usa si affianca al cartello messicano Las Zetas, alla mafia russa del Circolo <strong>dei</strong><br />

fratelli e alla Yakuza giapponese. E “scavalca” Cosa nostra, storicamente più radicata nelle città<br />

americane. Le priorità di Obama sono migliorare l’intelligence, proteggere i sistemi finanziari,<br />

rafforzare le indagini, ostacolare il traffico di droga (a suon di controlli, ma anche di programmi<br />

di prevenzione e riabilitazione), costruire cooperazione e partnership a livello internazionale.<br />

pensare che possa esserci anche una sola<br />

grande banca che non abbia giocato un<br />

ruolo significativo nel ricevere fondi sospetti».<br />

Nel 2011 gli economisti Alejandro<br />

Gaviria e Daniel Mejía dell’Universidad<br />

de los Andes di Bogotá hanno accusato il<br />

sistema bancario europeo e statunitense<br />

di favorire il riciclaggio del denaro <strong>dei</strong><br />

narcos grazie all’applicazione di standard<br />

di controllo meno rigorosi. «In Colombia<br />

le banche fanno domande che non ti sentiresti<br />

mai fare negli Stati Uniti dove ci sono<br />

norme molto solide sulla segretezza»,<br />

ha dichiarato Gaviria. Secondo la ricerca<br />

la Colombia riesce a trattenere nei suoi<br />

confini solo il 2,6% <strong>dei</strong> profitti del traffico<br />

di cocaina. Il restante 97,4 viene trasferito<br />

e riciclato in Occidente. <br />

Un recente studio ha accusato il sistema bancario Usa<br />

di avere regole antiriciclaggio assai meno severe di quelle<br />

adottate dalla banche colombiane. Sembra un paradosso...<br />

In realtà, a differenza di quanto accade in Messico, dove<br />

la corruzione è endemica a livello delle amministrazioni locali,<br />

in Colombia si stanno compiendo sforzi lodevoli nella lotta<br />

al narcotraffico. Questo è importante perché, nella mia<br />

esperienza, il contrasto al traffico di droga deve andare ben oltre<br />

i controlli di frontiera. Negli Usa, come dicevo, c’è un grave<br />

problema di immoralità del sistema bancario.<br />

Forse non solo delle banche, basti pensare al caso Pemex<br />

I privati cittadini che entrano negli Stati Uniti sono sottoposti<br />

a controlli molto severi, pensate ai mille controlli al JFK di New<br />

York. Apparentemente non altrettanto si può dire delle merci<br />

che entrano senza difficoltà nel Paese, anche dal Messico,<br />

che pure è un Paese sospetto. È evidente che c’è qualcosa che<br />

non va. In altre parole, la lotta al narcotraffico ha possibilità<br />

di successo solo se si integra con la caccia ai narcodollari.<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 23 |


dossier<br />

| 24 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

Mex, drugs and rock ’n’ roll.<br />

L’assalto <strong>dei</strong> narco-petrolieri<br />

di Matteo Cavallito<br />

Diversificare il business e garantirsi finanziamenti illimitati: così Pemex,<br />

il monopolista messicano degli idrocarburi, è diventato il bancomat<br />

<strong>dei</strong> narcos. Dal libro-inchiesta della giornalista Ana Lilia Pérez<br />

È<br />

la quarta compagnia del mondo<br />

nel settore degli idrocarburi, il<br />

principale finanziatore dello Stato<br />

messicano nonché, in qualche modo,<br />

un simbolo dell’orgoglio nazionale e della<br />

sovranità petrolifera del Paese. Fondata<br />

nel 1938 dopo la nazionalizzazione<br />

delle risorse energetiche, la Petróleos<br />

Mexicanos - Pemex è il principale punto<br />

di riferimento della 14ª economia del<br />

Pianeta.<br />

LOS SEÑORES DEL NARCO<br />

Un patrimonio di circa un miliardo di dollari, che lo porta<br />

al cinquantacinquesimo posto fra le persone più potenti<br />

al mondo: più del Ceo di Apple, Tim Cook, o del presidente<br />

russo Dimitri Medvedev. Così la rivista Forbes definisce Joaquín<br />

Guzmán Loera (conosciuto come El Chapo), il numero uno del<br />

cartello di Sinaloa, che spartisce con Las Zetas il controllo sul<br />

narcotraffico in Messico. La sua ascesa risale ai primi anni<br />

Ottanta, quando prende il posto del “Padrino” Miguel Ángel<br />

Félix Gallardo. Nel 1993 – dopo essere sfuggito a un attacco<br />

tesogli dal cartello di Tijuana e costato la vita a un cardinale –<br />

viene arrestato e condannato a vent’anni e nove mesi per traffico<br />

di droga, corruzione e associazione a delinquere: ma il 20 gennaio<br />

del 2001 riesce a evadere dal carcere di massima sicurezza<br />

di Puente Grande. A ricostruire le sue vicende è il libro Los señores<br />

del narco di Anabel Hernández, nato da cinque anni di indagini.<br />

Da tempo, secondo diverse fonti, nel carcere vigeva un regime<br />

di corruzione per cui i narcos avevano il controllo assoluto.<br />

Secondo la versione comunemente accettata, El Chapo sarebbe<br />

fuggito dentro il carrello della lavanderia: ma nell’evasione,<br />

denuncia la Hernández, sarebbero state implicate decine<br />

di persone. I sospetti vanno molto oltre: secondo alcune<br />

Eppure, da diversi anni, l’impresa è diventata<br />

anche l’inesauribile bancomat<br />

del narcotraffico nazionale.<br />

Il saccheggio<br />

In Messico si chiamano ordeñadores,<br />

letteralmente “mungitori”, gli uomini al<br />

servizio della “Compagnia”, il sodalizio<br />

criminale che attraverso le minacce, le<br />

estorsioni, la corruzione e la violenza si è<br />

impossessato della catena produttiva<br />

dell’impresa. Antonio Ezequiel Cárdenas<br />

Guillen, detto Tony Tormenta; Jorge<br />

Eduardo Costilla Sánchez, noto come El<br />

Coss o Doble equis (XX); Heriberto Lazcano,<br />

El verdugo (il boia). Ecco i nomi <strong>dei</strong><br />

nuovi imprenditori del settore.<br />

L’idea <strong>dei</strong> narcotrafficanti è stata di<br />

collocare pompe clandestine lungo gas -<br />

dotti e oleodotti, “mungere” materia prima<br />

e lanciarsi nel commercio. Colto in flagrante<br />

dagli uomini della sicurezza della<br />

Pemex, un capo <strong>dei</strong> narcos ha chiarito: «Il<br />

nostro business è il narcotraffico, ma dal<br />

momento che il mercato è depresso, rubiamo<br />

idrocarburi». La verità, spiega la<br />

giornalista Ana Lilia Pérez nel libro-in-<br />

indiscrezioni, il governo di Vicente Fox avrebbe cercato<br />

di favorire il cartello di Sinaloa. E, si legge nell’inchiesta, proprio<br />

a Fox sarebbe stata offerta una tangente milionaria per ottenere<br />

protezione politica per la fuga.<br />

Tornato in libertà, Guzmán Loera accresce il proprio potere,<br />

mentre si scatena la guerra contro il narcotraffico che finora<br />

– si stima – ha portato alla morte di 60 mila persone, compresi<br />

molti innocenti. A giugno è stato arrestato il figlio, Jesus Alfredo<br />

Guzmán Salazar (El Gordo). Ma anche su traguardi come<br />

questo la giornalista è scettica: “Negli ultimi anni – si legge –<br />

il governo federale ha assestato alcuni colpi mediatici<br />

ai componenti del cartello di Sinaloa per cercare di deviare<br />

l’attenzione da una serie di indizi che segnalano una complicità<br />

di fondo con quest’organizzazione. Le sue azioni sono sempre<br />

state contro bracci operativi, ma non hanno danneggiato<br />

il cuore del cartello: i suoi affari”.<br />

In uno Stato come il Messico in cui a partire dal 2000 sono<br />

già morti quarantacinque giornalisti che avevano osato troppo,<br />

è inevitabile che anche Anabel Hernández abbia ricevuto<br />

minacce: ha fatto il giro del mondo l’appello alle autorità<br />

affinché la proteggano. V.N.


chiesta El cártel negro (fonte di queste<br />

informazioni), è paradossale. «Ironicamente<br />

– scrive la Pérez – quando Felipe<br />

Calderón (attuale presidente del Messico,<br />

ndr) avvia la guerra contro il narcotraffico,<br />

i cartelli penetrano con maggiore<br />

intensità nell’industria più lucrosa del<br />

Paese, quel settore petrolifero non meno<br />

redditizio del business della droga».<br />

Nel luglio scorso il quotidiano messicano<br />

Excelsior ha quantificato il valore del<br />

narcobusiness petrolifero ai danni di Pemex:<br />

mezzo miliardo di pesos al mese. Al<br />

cambio attuale fa circa 470 milioni di dollari<br />

l’anno. I punti di estrazione clandestina<br />

identificati, ha riferito la Pemex, sarebbero<br />

oltre 5 mila in tutto il Messico.<br />

Insider & gringos<br />

L’attività <strong>dei</strong> narco-petrolieri coinvolge<br />

dai contractors dell’azienda agli impie-<br />

3. LA DOMANDA GLOBALE NEL 2008 E NEL 2010<br />

42%<br />

Oppiacei<br />

Cannabis<br />

Cocaina<br />

Anfetamine<br />

Altri<br />

NORD AMERICA<br />

1990 2008<br />

31%<br />

FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC<br />

1990 2008<br />

65%<br />

49%<br />

SUD AMERICA<br />

3 Il consumo di droghe non è omogeneo nel mondo. Negli Usa e nel Canada,<br />

ad esempio, il mercato è decisamente vario: nessuno stupefacente prevale<br />

nettamente sugli altri. In America Latina, invece, cocaina e cannabis<br />

(con la seconda in netto aumento negli ultimi due decenni) costituiscono<br />

quasi la totalità del consumo.<br />

In Europa e Asia sono gli oppiacei (eroina inclusa) a risultare i più consumati.<br />

gati della Pemex. Nel 2009, a Tamaulipas,<br />

nel Messico Nord-orientale, le autorità<br />

individuano una cellula de Los Zetas,<br />

uno <strong>dei</strong> più potenti cartelli della droga<br />

del Paese. Tra gli affiliati ci sono anche<br />

dipendenti e fornitori dell’azienda petrolifera,<br />

che si occupano di estorsioni e<br />

acquisizioni “forzate” di imprese.<br />

A garantire uno sbocco al commercio<br />

illegale di petrolio, invece, ci pensano le<br />

raffinerie americane. Nel gennaio 2007<br />

il direttore operativo del consorzio texano<br />

Continental Combustibiles Inc, Josh<br />

Crescenzi, intercettato, telefonò al suo<br />

omologo della Trammo Petroleum Donald<br />

Schroeder: «C’è del petrolio messicano<br />

rubato, ti interessa? Mi hai sentito<br />

Donald? È ru-ba-to». Donald aveva sentito<br />

benissimo e ricevuta la proposta, acquistò<br />

il petrolio per rivenderlo al gigante<br />

tedesco Basf (che ha affermato di non sa-<br />

EUROPA<br />

AFRICA<br />

1990 2008<br />

72%<br />

1990 2008<br />

61% 63%<br />

57%<br />

| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

PEMEX IN CIFRE<br />

Fondazione: 1938<br />

Sede: Città del Messico<br />

Dipendenti: 150 mila circa<br />

Ricavi netti: 1.558,4 mld di pesos<br />

(111,6 mld di dollari*)<br />

Produzione giornaliera petrolio:<br />

2,5 milioni di barili<br />

Produzione giornaliera gas naturale:<br />

104 milioni di metri cubi<br />

Rating: S&P BBB (stabile), Moody’s BBB<br />

(stabile), Fitch Baa1 (stabile)<br />

* al tasso di cambio del 31/12/2011<br />

(100 pesos = 7,17 dollari Usa)<br />

pere dell’origine illecita).Tra il 2010 e il<br />

2012 Pemex ha avviato cause contro una<br />

miriade di compagnie Usa, tra cui ConocoPhillips,<br />

Shell e Sunoco Partner, accusate<br />

di aver comprato petrolio rubato.<br />

I casi sono ancora aperti. <br />

1990 2008<br />

73% 62%<br />

OCEANIA<br />

1990 2008<br />

66%<br />

ASIA<br />

47%<br />

Complessivamente, l’eroina consumata in tutto il mondo è pari oggi<br />

a circa 340 tonnellate, mentre la cocaina raggiunge le 470 tonnellate.<br />

I consumatori di quest’ultima, tra il 2007 e il 2008, sono stati 16-17<br />

milioni di persone: il 40% di loro vive nell’America del Nord, circa un 25%<br />

in Europa.<br />

A livello globale, il mercato della cocaina vale circa 88 miliardi di dollari.<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 25 |<br />

FONTI: PEMEX (WWW.RI.PEMEX.COM, FORTUNE MAGAZINE)


FONTE: BASEL INSTITUTE ON GOVERNANCE, 2012. HTTP://INDEX.BASELGOVERNANCE.ORG/INDEX.HTML#RANKING<br />

dossier<br />

| 26 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

Argentina, narcostato<br />

sempre più attivo<br />

di Andrea Barolini<br />

Nel Nord del Paese i narcos sfruttano piste di atterraggio clandestine per introdurre la droga, che poi viene facilmente<br />

esportata in Europa, grazie ai forti legami che l’economia argentina ha stabilito con il Vecchio Continente<br />

L’<br />

Argentina è sempre più coinvolta<br />

nel traffico internazionale di<br />

droga. Il New York Times ha recentemente<br />

ricordato numerosi casi di<br />

cronaca nera eclatanti, che danno la misura<br />

del fenomeno. Hector Jairo Saldarriaga,<br />

alias The Dragger, fu ucciso nello<br />

scorso aprile a Barrio Norte, quartiere di<br />

Buenos Aires. La polizia gli trovò addosso<br />

tre passaporti e ben presto le indagini<br />

consentirono di identificare quello che<br />

era stato uno <strong>dei</strong> più spietati assassini al<br />

RICICLAGGIO E RISCHIO PAESE<br />

soldo di Daniel Barrera, conosciuto col soprannome<br />

di Crazy One, noto boss colombiano.<br />

Saldarriaga aveva coordinato l’assassinio<br />

di due ex membri di un gruppo<br />

paramilitare che protegge i trafficanti,<br />

che furono freddati in un garage della capitale<br />

argentina nel giugno del 2008.<br />

Qualche giorno dopo l’uccisione di<br />

Saldarriaga, Ruth Martinez Rodriguez, 39<br />

anni, fu arrestata alla periferia della città:<br />

stava cercando di esportare 280 chilogrammi<br />

di cocaina, nascosti in suppellet-<br />

Iran, Kenya, Cambogia. Eccolo, secondo gli ultimi dati disponibili, il podio <strong>dei</strong> Paesi<br />

a maggior rischio riciclaggio del mondo. La graduatoria, stilata dal Basel Institute<br />

of Governance, si basa su un indicatore, il Basel Aml Risk Index (ponderato a sua<br />

volta per altri 15 indici indipendenti) capace di misurare l’adeguamento di ogni<br />

nazione agli standard antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo<br />

(unitamente ad altri elementi quali le norme finanziarie, la trasparenza e il livello<br />

di corruzione). Tra i 144 Paesi presi in esame (per molti altri mancano dati sufficienti),<br />

l’Italia ottiene solo il 56esimo miglior punteggio, a metà strada tra Algeria e Albania.<br />

TOP 10<br />

DEL RISCHIO<br />

Punteggio Rischio<br />

TOP 10 DELLA<br />

SICUREZZA<br />

Punteggio Rischio<br />

1 Iran 8.57 elevato 144 Norvegia 2.36 basso<br />

2 Kenya 8.49 elevato 143 Estonia 3.28 basso<br />

3 Cambogia 8.46 elevato 142 Slovenia 3.37 medio<br />

4 Haiti 8.16 elevato 141 Svezia 3.50 medio<br />

5 Tajikistan 8.12 elevato 140 Finlandia 3.59 medio<br />

6 Mali 7.88 elevato 139 Nuova Zelanda 3.82 medio<br />

7 Uganda 7.63 elevato 138 Lituania 3.96 medio<br />

8 Paraguay 7.57 elevato 137 Cile 4.08 medio<br />

9 Belize 7.44 elevato 136 Sud Africa 4.12 medio<br />

10 Zambia 7.41 elevato 135 Francia 4.14 medio<br />

tili antiche. Ancora, nel 2010 fu fermata<br />

Angie Sanclemente Valencia, ventunenne<br />

sospettata di aver capeggiato un gruppo<br />

di modelle spacciatrici di droga: aveva<br />

55 chilogrammi di cocaina nel bagaglio a<br />

mano, mentre cercava di imbarcarsi su un<br />

aereo. Più di recente, le autorità hanno sequestrato<br />

7 tonnellate di marijuana a Posadas,<br />

al confine col Paraguay, mentre un<br />

caporale della gendarmeria è stato fermato<br />

con 110 chilogrammi di cocaina. Perfino<br />

le ambulanze sono utilizzate per trasportare<br />

la polvere bianca.<br />

«L’Argentina è un Paese di europei<br />

– racconta Ruben H. Oliva, giornalista e<br />

regista – con rapporti commerciali molto<br />

forti con il Vecchio Continente: una nave<br />

battente bandiera argentina non desta<br />

sospetti in un porto europeo. Per questo i<br />

narcos utilizzano il Paese come trampolino.<br />

Dapprima arrivano nelle regioni a<br />

Nord di Buenos Aires, sfruttando anche<br />

la mancanza di controlli radar aerei e atterrando<br />

su piste clandestine. Quindi<br />

smerciano parte della droga nel Paese:<br />

non a caso sono moltissime le “cucine” di<br />

cocaina, “laboratori” dove si produce la<br />

polvere bianca. Il resto parte per l’Europa.<br />

E gli scarti sono usati per il Paco, sostanza<br />

ultra-tossica, capace di dare dipendenza<br />

fin dalla prima dose: una droga che sta<br />

uccidendo la gioventù delle bidonville».<br />

«I boss operano volentieri nel nostro<br />

Paese: qui non ci sono problemi con la giustizia,<br />

né guerre tra narcos», ha dichiarato<br />

Claudio Izaguirre, presidente dell’Associazione<br />

Antidroga locale. E il fenomeno,


L’AFRICA, LA NUOVA MINACCIA<br />

Tutto cominciò una decina di anni fa. La Guinea Bissau<br />

fu individuata dai cartelli sudamericani della droga come<br />

un ottimo trampolino verso l’Europa. Il Paese offriva sostanziale<br />

impunità, i controlli erano quasi inesistenti e le deboli agenzie<br />

governative erano facilmente corrompibili. In breve i narcos<br />

penetrarono l’intero apparato statale, arrivando perfino all’ufficio<br />

del presidente João Bernardo Vieira, che fu ucciso nel 2009.<br />

Eppure – ha ricordato un’inchiesta di Davin O’Regan, della<br />

National Defense University di Washington, pubblicata dal New<br />

York Times nel marzo scorso – nonostante il tasso di omicidi<br />

nel Paese sia aumentato del 25%, arrivando a toccare il triplo<br />

della media globale, e la povertà sia rimasta un problema<br />

endemico, il caso della Guinea Bissau avrebbe potuto anche<br />

essere derubricato come un unicum. Al contrario, la nazione<br />

è stata solamente il primo <strong>dei</strong> nuovi narcostati africani.<br />

Negli ultimi anni il traffico di eroina, anfetamine e cocaina<br />

si è, infatti, drammaticamente esteso nel continente, arrivando<br />

a toccare un giro d’affari di non meno di 6-7 miliardi di dollari.<br />

Coinvolgendo Stati di importanza strategica, economicamente<br />

e politicamente, come Ghana, Kenya, Nigeria, Mozambico<br />

e Sudafrica. Con annessi numerosi scandali tra parlamentari,<br />

ufficiali di polizia e ministri. Un business favorito anche<br />

da Hezbollah e Al Qaeda, in un intreccio che rischia di mettere<br />

in pericolo anche le democrazie più giovani.<br />

che ha origini lontane, non riesce ad essere<br />

arginato neanche dai funzionari pubblici<br />

più zelanti: «È nel 1989, con il governo<br />

di Carlos Menem, che si effettuò l’apertura<br />

“ufficiale” ai cartelli della droga. Il presidente<br />

dichiarò: “Che arrivino capitali<br />

esteri, non importa da dove”. Da allora<br />

non è cambiato nulla, anche per via della<br />

corruzione dilagante nelle forze dell’ordine,<br />

operata da organizzazioni potenti come<br />

la ’ndrangheta. Il governo attuale, che<br />

pure ha alcuni meriti, sul fronte della droga<br />

non ha fatto nulla. Il ministro della Difesa<br />

Nilda Garré, ad esempio, pare sia armata<br />

di buone intenzioni. Ma se la polizia<br />

è al soldo <strong>dei</strong> trafficanti come si fa?». <br />

Il grafico evidenzia in modo molto evidente un calo<br />

complessivo <strong>dei</strong> prezzi della cocaina dal 1990<br />

al 2010. Secondo Franz Trautmann, sociologo<br />

a capo dell’Unità Affari Internazionale del Trimbos<br />

Institute, non è un calo del consumo a spiegare<br />

l’abbassamento del costo: «L’uso sta aumentando<br />

moltissimo, soprattutto nell’Europa dell’Est.<br />

La cocaina è la droga <strong>dei</strong> ricchi, degli uomini<br />

d’affari, <strong>dei</strong> famosi. Ciò che spiega i prezzi più<br />

bassi – continua Trautmann – è piuttosto la qualità<br />

della droga: è la purezza a diminuire, altrimenti<br />

il dato rimarrebbe fondamentalmente stabile».<br />

| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />

IL PUNJAB, LA “NARCOREGIONE” INDIANA<br />

A volte non si può parlare di veri e propri “narcostati”, bensì<br />

di “narcoregioni”. È il caso del Punjab indiano, area prospera nel Nord<br />

del Paese, nella quale si registra una statistica impressionante.<br />

Secondo le stime dell’amministrazione locale, in circa il 67% delle<br />

famiglie rurali presenti nella zona, almeno un membro è<br />

tossicodipendente. Il Punjab corre lungo la frontiera con il Pakistan<br />

e costituisce un luogo di ingresso privilegiato dell’eroina in India.<br />

La droga, di provenienza afghana – ha spiegato un recente reportage<br />

dell’agenzia AFP – ha generato una vera e propria economia locale,<br />

al cui centro ci sono pastori e contadini. Essi, nel corso degli anni,<br />

hanno costituito una rete di smercio e di approvvigionamento<br />

clandestina, che ormai gestisce un commercio colossale e<br />

difficilmente accessibile (è impossibile, ad oggi, quantificare il transito<br />

di droga dal Pakistan all’India). Complice la scarsa informazione sui<br />

danni, molti “agricoltori-spacciatori” entrano a loro volta nel tunnel<br />

della droga, grazie anche alle disponibilità economiche superiori<br />

rispetto ad altre regioni indiane. La questione è nota alle autorità<br />

internazionali – come confermato da Rajiv Walia, coordinatore<br />

regionale dell’Unodc – ma è molto difficile da fronteggiare.<br />

Ad Amritsar, centro spirituale della religione sikh, un milione<br />

di abitanti, il quartiere di Maqboolpura è l’esempio più chiaro della<br />

trasformazione del Punjab in una “narcoregione”: qui sono così<br />

tanti i morti provocati dalle droghe che il luogo è stato ribattezzato<br />

“il villaggio delle vedove”.<br />

IL PREZZO “RETAIL” DI UN GRAMMO DI COCAINA IN EUROPA (IN $ USA)<br />

Austria<br />

198 156 94 101 97<br />

Belgio<br />

80 93 55 51 67<br />

Danimarca<br />

144 176 106 82 89<br />

Finlandia<br />

159 191 138 125 106<br />

Francia<br />

99 174 50 94 80<br />

Germania<br />

120 103 57 79 87<br />

Grecia<br />

150 111 69 79 96<br />

Irlanda<br />

141 119 28 88 97<br />

Italia<br />

108 113 100 114 92<br />

Lussemburgo<br />

105 166<br />

Norvegia<br />

114 155 154<br />

Paesi Bassi<br />

66 79 33 59 59<br />

Portogallo<br />

63 66 56 55 61<br />

Spagna<br />

110 91 52 76 79<br />

Regno Unito<br />

131 111 94 79 62<br />

Svezia<br />

160 118 77 92 111<br />

Svizzera<br />

178 148 77 86 96<br />

0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200<br />

1990 1995 2000 2005 2010<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 27 |<br />

FONTI: UNODC ARQ DATA, EUROPOL E STIME UNODC


REUTERS / FABRIZIO BENSCH<br />

finanzaetica<br />

Le banche restano in paradiso > 32<br />

Gas e Banca Etica. Stranamente lontani > 35<br />

| 28 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


Riforme<br />

finanziarie<br />

| finanza da rifare |<br />

Un attivista del movimento “alter-global Attac”<br />

indossa una maschera raffigurante il ministro<br />

dell’Economia tedesco Philipp Roesler nel corso<br />

di una protesta satirica a favore della tassa<br />

sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin<br />

Tax, di fronte alla Liberi Democratici (FDP), partito<br />

con sede a Berlino, il 16 gennaio 2012<br />

Con il sì dell’Italia la Tobin Tax<br />

è ormai a una svolta. Ma sul tavolo<br />

ci sono molti altri importanti<br />

provvedimenti. Con qualche ombra<br />

È scattata l’offensiva<br />

europea<br />

di Matteo Cavallito<br />

Ealla fine scocca anche l’ora della<br />

svolta. L’8 ottobre scorso: Italia,<br />

Spagna e Slovacchia hanno dato il<br />

loro nulla osta all’introduzione di una tassa<br />

sulle transazioni finanziarie o Tobin<br />

Tax, come viene comunemente ribattezzata<br />

nella cronaca finanziaria (sebbene<br />

nel progetto di James Tobin si pensasse<br />

di colpire i soli scambi valutari). L’assenso<br />

definitivo, che si affianca così all’ok<br />

di altri otto Paesi (Francia, Germania,<br />

Austria, Portogallo, Slovenia, Belgio, Grecia<br />

ed Estonia), permetterà l’avvio della<br />

cooperazione rafforzata, il sistema<br />

che garantisce la possibilità di approvare<br />

il provvedimento quando il consenso<br />

unanime è impossibile (Regno<br />

Unito, Malta, Irlanda, Olanda e Svezia<br />

sono totalmente contrarie). La richiesta<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 29 |


HTTP://WWW.EUROPARL.EUROPA.EU?<br />

| finanzaetica |<br />

STATO DELLE RIFORME FINANZIARIE NELLA UE<br />

HIGH FREQUENCY TRADING<br />

Proposta di riforma<br />

Gli scambi ad alta velocità vengono rallentati<br />

con l’introduzione della regola <strong>dei</strong> 500<br />

millisecondi. I sistemi di trading algoritmico<br />

gestiti dai computer dovranno far passare<br />

almeno mezzo secondo tra l’attivazione<br />

di un’offerta per un acquisto o una vendita<br />

sul mercato finanziario e la sua successiva<br />

modifica.<br />

Status dell’iter<br />

Approvazione Commissione economicofinanziaria<br />

del Parlamento europeo.<br />

| 30 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

di cooperazione passa ora alla Commissione<br />

che, a quel punto, dovrebbe rinviarla<br />

al Consiglio europeo per un voto<br />

a maggioranza. In caso di successo, la<br />

tassa potrebbe entrare in vigore già a<br />

inizio 2013.<br />

Tobin Tax, due interrogativi<br />

Attorno alla “Tobin” restano però aperti<br />

almeno due interrogativi, a cominciare<br />

dall’origine dell’assenso italiano. Una<br />

premessa. La Germania, notoriamente,<br />

aveva preso l’iniziativa per prima: Angela<br />

Merkel ha sempre sostenuto l’ipotesi<br />

della tassazione ottenendo in cambio il<br />

consenso sui provvedimenti di fiscal compact<br />

dai socialdemocratici del Bundes tag<br />

(da sempre a favore della “Tobin”).<br />

Durante il vertice chiave del 28-29 giugno,<br />

Italia e Spagna avevano però frenato.<br />

Nell’occasione Monti e Rajoy si erano<br />

impuntati minacciando il veto sulla questione<br />

se la Germania non avesse offerto<br />

adeguate aperture sul fronte delle strategie<br />

salva Stati, con la “Tobin” trasformata<br />

in un mezzo di scambio per lo scudo anti<br />

spread. Ancora alla fine di settembre, fonti<br />

vicine alle istituzioni europee riferivano<br />

di un governo italiano intenzionato a<br />

condizionare il sì alla tassa all’ottenimento<br />

di un meccanismo automatico di contenimento<br />

dello spread (cosa che l’attuale<br />

scudo anti differenziali ancora non contempla).<br />

Resta ora da chiedersi se il via libera<br />

di Roma e Madrid possa essere dunque<br />

il preludio a una modifica in futuro<br />

del funzionamento del fondo salva Stati.<br />

DERIVATI E COMMODITIES<br />

Proposta di riforma<br />

• Passaggio degli scambi over-the-counter<br />

su piattaforme sottoposte a monitoraggio<br />

(organized trading facilities OTFs).<br />

• La European Securities and Markets Authority<br />

potrà bloccare lo scambio di prodotti<br />

giudicati eccessivamente rischiosi.<br />

• Limiti alle posizioni sui contratti futures<br />

sulle materie prime.<br />

Status dell’iter<br />

Approvazione Commissione economicofinanziaria<br />

del Parlamento europeo.<br />

L’ok alla cooperazione<br />

rafforzata sulla tassa sulle<br />

transazioni finanziarie è una<br />

vittoria. Ma restano dubbi<br />

sull’origine del “sì” italiano.<br />

Ora si punta a limitare gli<br />

scambi over-the-counter e<br />

l’high frequency trading<br />

La seconda questione è relativa all’uso<br />

del gettito che, alle attuali condizioni<br />

(0,1% di aliquota su azioni e obbligazioni,<br />

0,01 sui derivati) dovrebbe garantire<br />

qualcosa come 57 miliardi all’anno. Le<br />

stesse fonti europee sostengono che<br />

Berlino punterebbe a usare i ricavi per<br />

incrementare il fondo salva Stati. Un’ipotesi<br />

che a quel punto suonerebbe come<br />

una beffa per le campagne internazionali<br />

– tra cui l’italiana Zerozerocinque –<br />

che da sempre chiedono di destinare il<br />

50% del gettito alle iniziative di cooperazione<br />

internazionale, welfare e contrasto<br />

al cambiamento climatico.<br />

«Ogni Stato che aderirà alla cooperazione<br />

rafforzata – ricordano da Zerozerocinque<br />

– potrà decidere della destinazione<br />

del gettito». Tuttavia, «la Commissione ha<br />

intenzione di utilizzare parte del gettito<br />

per le proprie risorse, come ha affermato<br />

con decisione nel suo Multilateral Financial<br />

Framework. Gli Stati non sono per<br />

niente convinti né condiscendenti». Quel<br />

che è certo, in ogni caso, è che «ora che il<br />

percorso è avviato le risorse diventano ap-<br />

UNIONE BANCARIA<br />

Proposta di riforma<br />

• Versione soft del Dodd-Frank, tutto sotto<br />

lo stesso tetto ma riorganizzazione delle<br />

attività quando le operazioni “rischiose”<br />

eccedono una certa soglia (15-25% degli<br />

asset totali o limite di 100 miliardi di euro).<br />

• Vigilanza bancaria sui grandi istituti.<br />

Possibile estensione <strong>dei</strong> controlli anche agli<br />

istituti di piccole dimensioni.<br />

Status dell’iter<br />

Proposta ufficiale da parte della Commissione<br />

europea (Rapporto Liikanen).


petibili per molti e il budget europeo è più<br />

che mai nella mente del Commissario».<br />

Derivati: stop alla speculazione<br />

Quello della “Tobin” è solo uno <strong>dei</strong> molteplici<br />

fronti del piano di riforma della<br />

finanza europea. A fine settembre la<br />

Commissione per gli affari economici e<br />

monetari del Parlamento Ue ha adottato<br />

un report elaborato dall’eurodeputato<br />

popolare tedesco Markus Ferber che<br />

prevede un piano per la riorganizzazione<br />

degli scambi di titoli derivati. I dettagli<br />

sono in via di definizione, ma il<br />

principio di fondo è chiaro: limitare gli<br />

scambi over-the-counter (transazioni<br />

bilaterali fuori dalle borse) e ricondurre<br />

le operazioni in piattaforme elettroniche<br />

monitorabili. L’obiettivo è quello<br />

di ridurre la speculazione, la stessa finalità<br />

condivisa dal principio di limitazione<br />

alle posizioni assunte sul mercato<br />

<strong>dei</strong> futures (contratti derivati di acquisto<br />

differito) sulle materie prime (la cui<br />

proliferazione ne ha favorito la volatilità<br />

<strong>dei</strong> prezzi) e del deciso rallentamento<br />

alla pratica dell’high frequency trading<br />

(vedi BOX ).<br />

“Dodd-Frank” e beffa provvigioni<br />

Mentre resta aperta la polemica sui piani<br />

di unione bancaria (la Germania vorrebbe<br />

escludere i piccoli istituti dall’ombrello<br />

dell’autorità di controllo), quelli di<br />

riforma del sistema creditizio sembrano<br />

trarre ispirazione dalla lezione americana.<br />

Alla fine di settembre, il governatore<br />

PROVVIGIONI<br />

Proposta di riforma<br />

Obbligo di comunicazione degli incentivi<br />

da parte <strong>dei</strong> promotori ma sì al mantenimento<br />

delle provvigioni. Resta il conflitto d’interesse.<br />

Status dell’iter<br />

Approvazione Commissione economicofinanziaria<br />

del Parlamento europeo.<br />

HIGH FREQUENCY TRADING, SI PREGA DI RALLENTARE<br />

della Banca centrale finlandese e numero<br />

uno del gruppo di esperti europei<br />

Erkki Liikanen ha proposto ufficialmente<br />

la separazione legale tra le attività di<br />

rischio dell’investment banking e quelle<br />

ordinarie della clientela retail (la gestione<br />

<strong>dei</strong> depositi). Il progetto di riforma,<br />

nato sulla falsariga del Dodd-Frank Act<br />

statunitense, ipotizza una separazione<br />

interna (niente creazione di società distinte<br />

dunque) delle attività bancarie<br />

quando le operazioni “rischiose” eccedono<br />

una soglia compresa tra il 15 il 25% degli<br />

asset totali o il limite <strong>dei</strong> 100 miliardi<br />

| finanzaetica |<br />

Sul fronte dell’high frequency trading la Commissione europea ha approvato<br />

la proposta per la regola <strong>dei</strong> 500 millisecondi. La norma impone ai sistemi di trading<br />

algoritmico gestiti dai computer di far trascorrere almeno mezzo secondo tra<br />

l’attivazione di un’offerta per un acquisto o una vendita sul mercato finanziario<br />

e la sua successiva modifica. Ovvero, in sintesi, limitare la velocità e la frequenza<br />

degli scambi, la chiave stessa di un sistema che garantisce guadagni notevoli sulle<br />

variazioni <strong>dei</strong> margini di prezzo che, come noto, si intensificano di pari passo<br />

con l’accelerazione degli scambi. Mezzo secondo può sembrare nulla, ma in realtà<br />

è un tempo che può fare la differenza soprattutto per quei sistemi informatici capaci<br />

di effettuare migliaia di operazioni all’istante. A metà settembre, la Sec (la Consob<br />

americana) ha multato di 5 milioni di dollari due sistemi di trasmissione <strong>dei</strong> dati<br />

del Nyse Euronext, chiamati Open Book Ultra e Pdp Quotes, per aver inviato<br />

informazioni chiave come dati, statistiche e cifre agli operatori ad alta velocità prima<br />

che queste ultime fossero rese pubbliche al mercato. La differenza in molti casi<br />

era nell’ordine <strong>dei</strong> millisecondi. Potenzialmente devastanti nei periodi di maggiore<br />

speculazione (l’attività si è regolarmente intensificata nei momenti caldi<br />

dell’eurocrisi), le operazioni “Hft” condotte negli Stati Uniti rappresentavano<br />

nel 2011 circa il 60% degli scambi (contro il 15% del 2006) e il 40% di quelli condotti<br />

in Europa.<br />

TOBIN TAX<br />

Proposta di riforma<br />

Via alla cooperazione rafforzata con<br />

l’assenso di 11 Paesi. Imposta dello 0,1%<br />

su scambi di azioni e obbligazioni e dello<br />

0,01% sui derivati. Ancora incerto il destino<br />

<strong>dei</strong> ricavi.<br />

Status dell’iter<br />

Avvio della cooperazione rafforzata.<br />

di euro. In estrema sintesi si tratta di<br />

proteggere il denaro <strong>dei</strong> correntisti dai<br />

rischi della speculazione. Ma è proprio<br />

questo principio, oggi, ad essere messo in<br />

crisi da un altro provvedimento: la conferma<br />

delle provvigioni. Nel sistema attualmente<br />

in vigore i promotori finanziari<br />

possono ricevere incentivi per la<br />

vendita <strong>dei</strong> loro prodotti. Il risultato tipico<br />

è che gli operatori e i consulenti finiscono<br />

per piazzare ogni genere di prodotto,<br />

specialmente quelli della loro<br />

banca di riferimento o quelli sui quali ottengono<br />

maggiori provvigioni (spesso le<br />

due cose coincidono). È così che sono<br />

state collocate negli ultimi anni le oscure<br />

polizze unit linked o index linked. È così<br />

che i tango bond, le obbligazioni Lehman<br />

e i titoli di debito di Bank of Ireland<br />

(sì, proprio quelli svalutati a 1 centesimo<br />

per ogni 1.000 euro investiti) sono finiti<br />

nel portafoglio <strong>dei</strong> cittadini comuni. Ebbene,<br />

il testo presentato alla Commissione<br />

prevedeva, di fatto, l’abolizione degli<br />

incentivi ma a pochi minuti dall’approvazione<br />

una richiesta <strong>dei</strong> socialdemocratici<br />

ha provocato una modifica radicale:<br />

sì alle provvigioni purché siano dichiarate<br />

pubblicamente. Il conflitto di interessi<br />

è salvo. Il portafoglio <strong>dei</strong> risparmiatori<br />

un po’ meno. <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 31 |


| finanzaetica | offshore |<br />

Le banche<br />

restano in paradiso<br />

di Andrea Barolini<br />

I colossi bancari francesi avevano 494 filiali nei “tax havens” nel 2010.<br />

Oggi, nonostante le promesse, il numero è salito a 513. E anche gli istituti<br />

inglesi e americani sono fortemente presenti. Quello che manca, infatti,<br />

per contrastare seriamente il fenomeno, è una forte volontà politica<br />

Era il 29 settembre del 2009, quando<br />

il direttore generale del colosso<br />

francese Bnp Paribas annunciava<br />

l’uscita del gruppo da tutti i territori presenti<br />

nella lista grigia dell’Ocse. Pochi<br />

giorni dopo, numerosi altri istituti di credito<br />

transalpini manifestavano la stessa<br />

volontà. In poche parole, si sarebbe dovuto<br />

trattare di un vero e proprio addio ai<br />

paradisi fiscali. Tanto che l’allora presidente<br />

Nicolas Sarkozy annunciò la scelta<br />

in pompa magna. A distanza di tre anni,<br />

però, non solo le promesse appaiono disattese,<br />

ma a rileggere la cronaca di quei<br />

giorni la sensazione è quella di una presa<br />

in giro: le banche non hanno affatto abbandonato<br />

i paradisi fiscali. Al contrario,<br />

hanno rinforzato la loro presenza.<br />

Altro che addio<br />

Proprio mentre i governi di tutto il mondo<br />

occidentale stanno chiedendo ai cittadini<br />

enormi sacrifici, gli istituti di credito<br />

si guardano bene dall’abbandonare<br />

i “buchi neri” della finanza globale. Secondo<br />

un rapporto di Ccfd-Terre Solidaire<br />

(Banques et Paradis Fiscaux, luglio<br />

2012) Bnp Paribas, Société Générale e<br />

Crédit Agricole controllano oggi 513 filiali<br />

nei tax havens, mentre due anni fa la<br />

cifra non superava le 494 unità.<br />

Va detto che, in effetti, le banche hanno<br />

abbandonato alcune giurisdizioni. Ma<br />

– si legge nello studio – rispetto alla lista<br />

di paradisi fiscali elaborata dalla Ong Tax<br />

| 32 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Justice Network (che identifica 60 Stati<br />

particolarmente “opachi”), il dato risulta<br />

appunto in aumento. E, proprio per comprendere<br />

tale presenza, una commissione<br />

d’inchiesta sull’evasione fiscale del Senato<br />

parigino ha interrogato il numero uno<br />

di Bnp, Badouin Prot, chiedendo conto<br />

delle 360 filiali presenti nei paradisi fiscali.<br />

Le risposte, tuttavia, secondo quando<br />

spiegato al settimanale Alternatives Economiques<br />

da Mathilde Dupré, del Ccfd,<br />

non sono state soddisfacenti: «La banca<br />

non ha voluto parlare <strong>dei</strong> documenti interni<br />

che dimostrano come vengano proposti<br />

alla clientela servizi di “ottimizzazione<br />

fiscale” attraverso i tax havens. Noi<br />

chiediamo massima trasparenza sulle attività<br />

effettuate Paese per Paese».<br />

GB e Usa, la musica non cambia<br />

D’altra parte i colossi francesi sono in<br />

buona compagnia. Quasi tutte le grandi<br />

aziende (non solo banche) di tutto il<br />

mondo sfruttano le giurisdizioni “opache”.<br />

Secondo un’analisi dell’associazione<br />

inglese ActionAid, 98 <strong>dei</strong> 100 più importanti<br />

gruppi britannici (quelli quotati<br />

nell’indice Ftse 100 alla Borsa di Londra)<br />

possiedono circa 34 mila controllate. E<br />

un quarto di queste, oltre ottomila, hanno<br />

sede in Paesi che offrono basse aliquote<br />

fiscali o richiedono standard limitati<br />

in termini di trasparenza.<br />

Anche nel caso inglese, in testa alla<br />

“classifica” ci sono le banche: Hsbc, Rbs,<br />

NL.WIKIPEDIA.ORG<br />

Barclays e Lloyds, che controllano 1.649<br />

filiali offshore, la maggior parte alle Isole<br />

Cayman (solo Barclays arriva qui a quota<br />

174), Delaware (Hsbc ha 156 società nello<br />

Stato americano) e Channel Islands<br />

(meta preferita del gruppo Lloyds).<br />

Dall’altra parte dell’Atlantico, negli<br />

Stati Uniti, i dati sulla presenza offshore<br />

delle banche non sono così aggiornati.<br />

L’ultimo riferimento lo diede un rapporto<br />

pubblicato nel dicembre del 2008<br />

dal Government Accountability Office,<br />

secondo il quale tra le prime 100 aziende<br />

quotate a Wall Street, 83 risultavano<br />

Gli istituti di credito hanno<br />

dimostrato di non essere in<br />

grado di autoregolamentarsi.<br />

E il G20 si è fermato alle<br />

promesse di Londra


presenti nei paradisi fiscali. E dire che molte di esse, dopo l’esplosione<br />

della crisi finanziaria, avevano attinto al Trouble<br />

Asset Relief Program, ovvero al fondo – finanziato con denaro<br />

pubblico – istituito da Washington per salvare il sistema<br />

dal collasso. Tra i principali utilizzatori di giurisdizioni “esotiche”<br />

figuravano Morgan Stanley (273 filiali controllate nel<br />

complesso, 158 nelle sole Isole Cayman), Citigroup (ben 472) e<br />

Bank of America (59).<br />

Un problema soprattutto istituzionale<br />

È difficile, molto difficile, immaginare insomma che le banche<br />

possano autoregolamentarsi (non lo fanno i mercati, perché<br />

dovrebbero farlo quelli che sono attori protagonisti del capitalismo<br />

globale?). Servirebbe un piano organico e condiviso a<br />

livello internazionale. Ma i proclami del G20 di Londra, quando<br />

per la prima volta si puntò con decisione il dito contro i “buchi<br />

neri” della finanza, sono rimasti lettera morta. Al massimo<br />

si è riusciti a siglare qualche accordo bilaterale (ad esempio<br />

quello tra la Germania e la Svizzera). Gocce in mezzo al mare:<br />

in una finanza globalizzata ci vuole molto poco per muovere i<br />

capitali verso i lidi, di volta in volta, più convenienti.<br />

Al contempo anche in Europa la situazione appare di stallo.<br />

Da oltre un anno si parla della necessità di imporre un<br />

reporting Paese per Paese (nello scorso aprile l’Europarlamento<br />

ha ribadito la questione in una risoluzione), ma il progetto<br />

è lontano dal diventare legge. I deputati europei chiedono<br />

in particolare l’introduzione di un elenco ampio e<br />

dettagliato delle operazioni contabili effettuate in ciascuna<br />

giurisdizione, al fine di comprendere se le imposte versate in<br />

patria dalle aziende siano o meno in linea con gli affari effettuati<br />

offshore. Ma per ora i governi <strong>dei</strong> Ventisette sembrano<br />

molto più attenti ad ascoltare le esigenze delle imprese,<br />

piuttosto che la volontà degli eurodeputati. E pazienza se<br />

questi ultimi rappresentano il popolo. <br />

| finanzaetica |<br />

«La City?<br />

Uno <strong>dei</strong> tanti<br />

tax havens»<br />

di Andrea Barolini<br />

Nicholas Shaxson, giornalista e scrittore inglese, è autore<br />

di Le isole del tesoro, duro atto d’accusa contro<br />

il mondo offshore. E contro i Paesi ricchi, alcuni <strong>dei</strong> quali<br />

sono giudicati al pari di Svizzera e British Virgin Islands<br />

Perché, a suo avviso, governi come quelli di Usa e Regno<br />

Unito non fanno qualcosa per modificare gli status<br />

del Delaware o della City di Londra? In tempi di crisi<br />

dovrebbero avere bisogno di recuperare i capitali evasi.<br />

La risposta è semplice: i paradisi fiscali sono un progetto<br />

<strong>dei</strong> Paesi ricchi e delle più potenti élite delle nostre società. La<br />

loro influenza politica è enorme. Per questo gli sforzi apparenti<br />

per combattere i tax havens si rivelano parole. Così la City resta<br />

il più importante attore singolo del mondo offshore, e il Delaware<br />

può rimanere funzionale all’ingresso di capitali sporchi<br />

negli Usa. La verità, insomma, è che Regno Unito e Stati Uniti<br />

sono essi stessi paradisi fiscali.<br />

Dunque anche le poche nuove regole imposte negli ultimi anni<br />

sono inutili?<br />

Assolutamente, non è stato fatto nulla di serio. Mi spiego:<br />

molte calamità occorse negli Usa negli ultimi anni sono<br />

“partite” dal Regno Unito. L’unità che fece vacillare Aig fu<br />

Aig Financial Products, con sede nella City. Ciò significa che<br />

Londra è la scappatoia offshore di Wall Street: è qui che bisognerebbe<br />

intervenire. Ma la City è molto più potente del<br />

Tesoro inglese.<br />

L’introduzione di un’agenzia internazionale potrebbe aiutare?<br />

Esistono varie agenzie Onu che cercano di fare qualcosa.<br />

L’Un Tax Committee, ad esempio, dovrebbe combattere le regole<br />

dominanti a livello internazionale. Ma il “club” <strong>dei</strong> Paesi<br />

ricchi dell’Ocse ha fatto in modo che l’organismo sia privo di risorse<br />

e abbia scarsa influenza.<br />

Quindi i tax havens sono parte integrante, e non<br />

una degenerazione del capitalismo?<br />

I paradisi sono diventati elementi costitutivi del capitalismo<br />

finanziario globale, anche se rappresentano comunque<br />

una stortura del mercato. Il problema è proprio nella globa-<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 33 |


| finanzaetica |<br />

lizzazione della finanza, che al contrario<br />

di quella del commercio – che comporta<br />

grandi problemi ma anche vantaggi<br />

– è fortemente negativa. In larga<br />

parte proprio a causa del modello offshore<br />

che ne costituisce il cuore.<br />

Nel suo libro spiega che anche i Paesi<br />

in via di sviluppo ne sono vittime: come<br />

possono difendersi?<br />

È incredibilmente difficile per loro, perché<br />

le regole globali – disegnate dai Paesi<br />

ricchi – li mettono all’angolo. Le banche<br />

private mandano rappresentanti nei<br />

Paesi in via di sviluppo invitando i clienti<br />

a sfruttare i servizi offshore, e offrendo<br />

eserciti di avvocati. Senza contare<br />

che spesso le persone che distolgono denaro<br />

dalle casse pubbliche locali sono le<br />

stesse che decidono leggi e regole. <br />

LIBRI<br />

Nicholas Shaxson<br />

Le isole del tesoro.<br />

Viaggio nei paradisi fiscali dove<br />

è nascosto il tesoro<br />

della globalizzazione<br />

Feltrinelli, 2012<br />

LE ISOLE DEL TESORO (DA 21 MILA MILIARDI DI DOLLARI)<br />

Seimila miliardi di dollari. È l’imponente, quasi incalcolabile cifra relativa ai capitali<br />

sottratti ai governi di tutto il mondo dai paradisi fiscali. Tasse che non saranno mai<br />

versate, nemmeno in questo momento di grande crisi. Questo e molti altri dati<br />

impressionanti sono contenuti nel libro Le isole del tesoro, di Nicholas Shaxson,<br />

costruito sulla base di esperienze dirette, incroci di dati, analisi <strong>dei</strong> flussi di denaro.<br />

Alla popolazione inglese che si domanda come mai la pressione fiscale continui a salire,<br />

ad esempio, Shaxson risponde con una sola parola: «Offshore». È per via <strong>dei</strong> paradisi<br />

fiscali, infatti, che lo Stato britannico perde ogni anno circa 20 miliardi di sterline:<br />

«Basterebbero per far tornare la Vat (l’iva inglese, ndr) al 15%». E attenzione: il libro<br />

spiega che non dobbiamo prendercela solamente con i soliti noti. Jersey, Cayman<br />

o Liechtenstein sono solo la punta dell’iceberg: nel mirino del giornalista ci sono anche<br />

l’Irlanda, Hong Kong, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, il Ghana. E lo stesso Regno Unito,<br />

a causa delle regole che imposero le autorità britanniche quando decisero lo status della<br />

City londinese. Per non parlare della Svizzera, nelle cui banche «nel 2009 erano depositati<br />

2.100 miliardi di dollari, intestati a non residenti, la metà <strong>dei</strong> quali di provenienza europea».<br />

D’altra parte, uno studio pubblicato dall’associazione Tax Justice Network ha indicato<br />

in almeno 21 mila miliardi di dollari il valore complessivo degli asset finanziari detenuti<br />

presso i paradisi fiscali di tutto il mondo. Una cifra spaventosa, gestita in buona parte<br />

da tre banche: le svizzere UBS e Credit Suisse e l’americana Goldman Sachs. «Si tratta<br />

di qualcosa come la somma del valore di due economie come gli Stati Uniti<br />

e il Giappone», ha sottolineato la Ong, che ha specificato come la cifra possa essere<br />

perfino sottostimata (lo studio non tiene conto di immobili, opere d’arte o altri beni simili).<br />

Anche ipotizzando un rendimento medio piuttosto basso per tali capitali (3%<br />

annuo), se si tassassero tali profitti al 30%, si potrebbe generare un flusso fiscale<br />

compreso tra i 190 e i 280 miliardi di dollari: il doppio di tutti gli aiuti allo sviluppo<br />

versati ogni anno dai Paesi ricchi dell’Ocse.


TERESA MANUZZI<br />

Banca Etica e i Gas<br />

Non così vicini<br />

di Elisabetta Tramonto<br />

Continua il dibattito attorno al piano industriale di Banca Etica lanciato<br />

sul numero di settembre di <strong>Valori</strong>. Parliamo di Gruppi di acquisto solidale,<br />

per la banca tra gli interlocutori principali, ma nella realtà non sempre<br />

interessati alla finanza etica<br />

Consumo responsabile e finanza<br />

etica. Si potrebbe pensare che<br />

siano due facce della stessa medaglia,<br />

ma non è necessariamente così. I<br />

Gruppi di acquisto solidale nascono dall’idea<br />

di essere consapevoli di quello che<br />

mangiamo, usiamo, compriamo, di chi e<br />

come lo produce. Lo stesso desiderio di<br />

consapevolezza, trasparenza e partecipazione<br />

alla base della finanza etica.<br />

Peccato che questi due mondi non sempre<br />

coincidano (su <strong>Valori</strong> ne abbiamo già<br />

parlato, sul numero di settembre 2011).<br />

Tanto che da qualche anno, all’interno<br />

del mondo <strong>dei</strong> Gas, sono nati <strong>dei</strong> tavoli<br />

dedicati alla finanza etica (in particolare<br />

in Lombardia). «Continuiamo a riflettere<br />

su una situazione che a noi sembra<br />

contraddittoria: il movimento del consumo<br />

critico, i Gas e i Des si occupano<br />

poco di finanza etica», si legge nel documento<br />

del tavolo sulla finanza etica riunitosi<br />

durante il convegno nazionale <strong>dei</strong><br />

Gas, lo scorso giugno a Golena del Furlo,<br />

nelle Marche.<br />

Banca Etica, dal canto suo, ha sviluppato<br />

un discorso analogo, tanto che nel<br />

piano industriale, votato dal Consiglio di<br />

amministrazione lo scorso giugno, ha indicato<br />

nei Gas uno <strong>dei</strong> propri interlocu-<br />

| finanzaetica | consumo responsabile |<br />

tori principali. «Vogliamo rafforzare le<br />

relazioni con alcune categorie particolarmente<br />

in linea con i nostri valori, come<br />

i Gruppi di acquisto solidale», aveva<br />

spiegato, in un’intervista pubblicata sul<br />

numero di settembre 2012 di <strong>Valori</strong>, il<br />

presidente di Banca Etica, Ugo Biggeri.<br />

Ma il lavoro da fare per raggiungere questo<br />

obiettivo sembra ancora lungo.<br />

Finanza etica, quella sconosciuta<br />

«La finanza etica non è al centro degli<br />

obiettivi <strong>dei</strong> Gas, almeno non quanto altre<br />

modalità di consumo critico», esordisce<br />

Davide Biolghini del tavolo Res<br />

nazionale. «Certamente è una questione<br />

che riguarda Banca Etica, che deve<br />

trovare il giusto approccio. Ma è soprattutto<br />

un problema <strong>dei</strong> Gas: per loro l’idea<br />

di consumo critico riguarda alcune<br />

categorie merceologiche in cui non rientrano<br />

i prodotti finanziari», commenta<br />

Ugo Biggeri. «È necessario avviare una<br />

dialettica da entrambe le parti – aggiunge<br />

David Marchiori della rete <strong>dei</strong> Gas veneziani<br />

–, da parte <strong>dei</strong> Gruppi di acquisto<br />

serve una presa di coscienza della<br />

finanza etica. E da parte di Banca Etica<br />

sarebbe necessaria un’operatività non<br />

solo relativa agli aspetti tecnici, ma anche<br />

nella cura <strong>dei</strong> processi, ad esempio<br />

per rendere i Gas più trasparenti e tracciabili».<br />

«Il discorso di acquistare mele<br />

bio a poco prezzo passa subito. La finanza<br />

etica meno», aggiunge Claudia<br />

Gazzale, socia di Banca Etica e presidente<br />

del Des Brianza. «Spesso i gasisti<br />

aprono il conto con una banca non etica<br />

semplicemente perché costa meno.<br />

Senza applicare gli stessi principi che<br />

guidano l’acquisto <strong>dei</strong> prodotti».<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 35 |


| finanzaetica |<br />

Kuminda, cibo consapevole<br />

Alcuni momenti di Kuminda, il festival del diritto<br />

al cibo, organizzato da Acra e Terre di mezzo Eventi<br />

a Milano dall’11 al 15 ottobre scorso, presso<br />

la Cascina Cuccagna. Un racconto del cibo, in tutti<br />

i suoi aspetti, per parlare di chi lo consuma, di chi<br />

lo produce, per condividere le esperienze virtuose<br />

di produzione agricola, i progetti di cooperazione<br />

con i Paesi del Sud del mondo, le filiere<br />

di distribuzione sostenibili, le scelte di consumo<br />

consapevoli. www.kuminda.org<br />

Banca Etica: così vicini, così lontani<br />

Al di là della scarsa conoscenza e consapevolezza<br />

nei confronti della finanza etica,<br />

da parte <strong>dei</strong> Gas sembra esistere una<br />

vera distanza (talvolta delusione, talvolta<br />

solo non conoscenza) da Banca Etica.<br />

«A livello nazionale prevale un atteggiamento<br />

critico», conferma Katia Mastrantuono,<br />

copresidente della Res Marche.<br />

Critiche diverse: da una mancanza di efficienza<br />

(«Di fronte a una richiesta di finanziamento<br />

per un’attività assolutamente<br />

in linea con lo spirito di Banca<br />

Etica non siamo neanche riusciti a ottenere<br />

un preventivo. Banca Prossima ci<br />

ha risposto in una settimana », racconta<br />

David Marchiori) al rifiuto di finanziare<br />

tutti i progetti virtuosi presentati: «Banca<br />

Etica era vissuta dai Gas come un istituto<br />

che dovrebbe sostenere le imprese<br />

sociali non bancabili – spiega Davide<br />

Biolghini – ma purtroppo ci si è resi conto<br />

che non sempre lo fa. L’esempio classico<br />

è quello dell’azienda Tomasoni, il<br />

produttore di formaggio che anni fa fu<br />

salvato grazie all’intervento di alcuni<br />

Gas e di Mag2, dopo il “no” di Banca Etica<br />

al finanziamento che aveva richiesto».<br />

«A volte si guarda un singolo caso non finanziato<br />

senza considerare che la stragrande<br />

maggioranza <strong>dei</strong> prestiti conces-<br />

| 36 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

VTERESA MANUZZI<br />

si da Banca Etica riguardano progetti<br />

che i Gas apprezzerebbero e a cui gli altri<br />

istituti di credito avrebbero sbattuto la<br />

porta in faccia», replica Ugo Biggeri. Che<br />

aggiunge: «Il fatto che i Gas non abbiano<br />

ben chiaro cosa sia la finanza etica fa sì<br />

che abbiano aspettative non coerenti».<br />

E non è tutto: «Banca Etica viene percepita<br />

come distante e poco coinvolta<br />

nel percorso dell’economia solidale che i<br />

Gas portano avanti», spiega ancora Katia<br />

Mastrantuono. «Non ha una presenza<br />

concreta e reale sul territorio. Quella<br />

<strong>dei</strong> Gas è una rete complessa che va seguita<br />

da vicino», aggiunge David Marchiori.<br />

«Le Mag (Mutue di autogestione)<br />

– continua Davide Biolghini – sono più<br />

vicine, più presenti sul territorio e hanno<br />

una relazione più diretta con i Gas».<br />

Netta la replica di Ugo Biggeri: «Banca<br />

Etica non ritiene che esista una vera<br />

distanza dai Gas. È consapevole che esistono<br />

percorsi diversi, ma l’obiettivo è<br />

comune. Da parte della banca c’è una<br />

grande volontà di partecipare ai percorsi<br />

<strong>dei</strong> Gruppi di acquisto: a partire dalle<br />

operatività specifiche, come il conto dedicato<br />

ai Gas, alla presenza nei diversi<br />

momenti di confronto. All’ultimo Sbarco<br />

Gas io c’ero». «Il conto gas è solo un primo<br />

passo – precisa Paolo Ferraresi, responsabile<br />

dell’ufficio progetti di Banca Etica –<br />

ha ottime condizioni di costo, ma è soprattutto<br />

un segno di attenzione, un modo<br />

per aprire un canale di comunicazione.<br />

Stiamo cercando di creare <strong>dei</strong> prodotti<br />

adatti anche alle esigenze <strong>dei</strong> produttori,<br />

attivando un sistema di garanzie dal basso,<br />

non patrimoniali».<br />

Un partner ideale<br />

E infine l’accusa di un mancato coinvolgimento<br />

<strong>dei</strong> Gas. «Banca Etica ha organizzato<br />

<strong>dei</strong> laboratori di economia civile. Cosa<br />

che ha molto infastidito i Gas perché<br />

non si sono sentiti coinvolti. Sono state<br />

interessate solo alcune singole realtà»,<br />

racconta Katia Mastrantuono. «Certo,<br />

abbiamo coinvolto solo alcune realtà del<br />

mondo <strong>dei</strong> Gas come la Res Marche», risponde<br />

Ugo Biggeri. «Ma non è possibile<br />

considerare tutti e non è facile trovare<br />

<strong>dei</strong> referenti. Quella <strong>dei</strong> Gruppi di acquisto<br />

è una realtà pulviscolare e senza una<br />

vera rappresentanza. Sinceramente mi<br />

sembra una polemica fuori luogo». Per il<br />

presidente il fulcro della questione è un<br />

altro: «Vorrei che i Gas capissero le specificità<br />

di Banca Etica che la rendono un interlocutore<br />

ideale per loro. Innanzitutto<br />

è l’unica realtà che offre strumenti di partecipazione<br />

e coerenza nelle modalità con<br />

cui lavora. La trasparenza nei finanziamenti<br />

e soprattutto la forma partecipativa<br />

sono caratteristiche innovative. Se vogliono<br />

che Banca Etica sia la banca <strong>dei</strong><br />

Gas, basta che diventino soci. Questo mi<br />

sembra che non venga compreso. Banca<br />

Etica è <strong>dei</strong> suoi soci».<br />

Un rapporto biunivoco<br />

Insomma servirebbe uno sforzo da parte<br />

di entrambi. «Banca Etica non è nata per<br />

finanziare i Gas o i produttori, bensì il<br />

terzo settore – spiega Ugo Biggeri – ma<br />

può avvenire un avvicinamento, come è<br />

successo con la legalità. Il finanziamento<br />

alle realtà della legalità non apparteneva<br />

a Banca Etica, oggi sì, grazie al percorso<br />

fatto con Libera».<br />

Ma paradossalmente oggi è Banca Etica<br />

ad avere bisogno di un aiuto, anche per<br />

poter aiutare i Gas. Per poter concedere<br />

più finanziamenti serve, infatti, più capitale<br />

sociale, lo richiedono le regole bancarie.<br />

Ma i Gruppi di acquisto sono disposti<br />

a investire nel capitale di Banca Etica? «Al<br />

momento non credo», risponde Davide<br />

Biolghini. «Servirebbe maggiore dialogo<br />

per costruire quanto Banca Etica chiede. I<br />

Gas portano avanti con i produttori rapporti<br />

basati sulla fiducia e sulla conoscenza<br />

reciproca, non basta che un agricoltore<br />

sia biologico. Bisogna stabilire una relazione.<br />

Lo stesso vale per Banca Etica. Non<br />

basta la parola “etica” per farla diventare<br />

automaticamente un interlocutore <strong>dei</strong><br />

Gas. Serve un rapporto di fiducia e azioni<br />

di reciproca conoscenza».<br />

«I Gas però – conclude Ugo Biggeri –<br />

dovrebbero usare con Banca Etica gli<br />

stessi criteri di selezione e di valutazione<br />

impiegati per i produttori dove acquistano<br />

la verdura o il formaggio bio.<br />

In quel caso si valuta come vengono<br />

prodotti, con quali materie prime e quali<br />

procedimenti. Lo stesso vale per la finanza<br />

etica».


Nella splendida cornice della settecentesca<br />

Cascina Cuccagna, a Milano<br />

(zona Porta Romana, facilmente raggiungibile<br />

con metropolitana e autobus).<br />

Con la classica formula week-end:<br />

circa 15 ore di lezione nell’arco di due giorni<br />

Per studenti universitari, sindacalisti, imprenditori,<br />

mondo associativo, cittadini attivi, un piano<br />

formativo modulare, che ogni partecipante potrà<br />

comporre a suo piacimento.<br />

Docenti preparati useranno un linguaggio chiaro<br />

e un approccio attento ai non addetti ai lavori.<br />

Una metodologia basata sull’interazione, sulle<br />

esercitazioni collettive e sulla presenza continua<br />

di un facilitatore d’aula.<br />

Accanto ai corsi un programma di stage nel campo<br />

dell’imprenditoria non profit e della ricerca<br />

economica e finanziaria.<br />

inaugura<br />

L’Università<br />

della sostenibilità<br />

A PARTIRE DA GENNAIO 2013<br />

PROGRAMMA<br />

• Basi per una comprensione critica dell’economia.<br />

• Basi per una comprensione critica della finanza etica.<br />

• Finanza Etica: principi e strumenti alternativi<br />

ai modelli speculativi.<br />

• Economie Solidali.<br />

• Green economy: un futuro sostenibile per l’Europa.<br />

• Giornalismo economico finanziario.<br />

• Giornalismo e nuovi media: dalla distrazione<br />

di massa all’attivismo democratico.<br />

(per il calendario www.corsivalori.it)<br />

OLTRE ALLA SCUOLA ESTIVA:<br />

• Un nuovo rapporto città-campagna:<br />

agricoltura peri-urbana e di prossimità.<br />

• La riconversione dell’economia verso il controllo<br />

delle filiere.<br />

• Realtà e prospettive delle energie rinnovabili.<br />

• Green economy e impatti sull’occupazione.<br />

INFORMAZIONI SUL SITO info@corsivalori.it / www.corsivalori.it


| inumeridellaterra |<br />

Narcoglobalizzazione<br />

di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Matteo Cavallito e Valentina Neri<br />

S<br />

tilare una mappa che descriva esaustivamente<br />

la divisione <strong>dei</strong> compiti nell’“organizzazione<br />

del lavoro criminale” è impossibile,<br />

data l’estrema rapidità di adattamento delle<br />

strategie <strong>dei</strong> gruppi malavitosi al variare delle<br />

condizioni di mercato. Quello che descriviamo è<br />

un mercato che si avvale di tutte le possibilità offerte<br />

dalla “globalizzazione” e dalle regole neoliberaliste<br />

per realizzare profitti straordinari, in cui le<br />

criminalità hanno capito che mettersi “in rete” è<br />

più proficuo che farsi apertamente la guerra. <br />

MESSICO/CARTELLI<br />

Uno degli Stati maggiormente coinvolti nel narcotraffico. Il cartello di Tijuana,<br />

quello del Golfo, di Sinaloa e di Juárez si spartiscono il mercato delle droghe<br />

dal Messico verso gli Usa. Il cartello di Los Zetas, nato come gruppo paramilitare,<br />

traffica verso l’Europa grazie ai collegamenti con la ’ndrangheta calabrese.<br />

Violentissimi e dotati di armi da guerra come bazooka e mitragliatrici, i cartelli<br />

messicani hanno “colonizzato” intere regioni del Paese, imponendo regole<br />

neofeudali. Il conflitto tra i cartelli avrebbe causato più di 13 mila morti nel 2011.<br />

COLOMBIA/CARTELLI<br />

Con 325 tonnellate l’anno, è il principale produttore mondiale di cocaina, anche<br />

se – secondo i dati di Narcoleaks – la quantità prodotta in Colombia e valutata<br />

in base ai sequestri sarebbe sei volte di più. Il dato reale sarebbe tenuto basso<br />

grazie al sistema di monitoraggio dell’Unodc, per far passare in secondo piano<br />

l’importanza della Colombia e spostare l’attenzione delle politiche antidroga<br />

verso il Perù. I tre cartelli colombiani più noti sono quello di Medellín, un vero<br />

Stato nello Stato che assolda poliziotti, magistrati, giornalisti, personaggi dello<br />

spettacolo, quello di Cali e il cartello di Norte del Valle.<br />

I cartelli colombiani lavorano in stretta correlazione con gruppi terroristici<br />

e contano importanti collegamenti con le criminalità europee (spagnole, italiane<br />

e olandesi) e con gruppi di origine caraibica (domenicani in Spagna, jamaicani<br />

nel Regno Unito e cittadini delle Antille in Olanda) e dell’Africa Occidentale<br />

(presenti in Francia, Svizzera, Austria, Germania, Italia e Portogallo).<br />

PERÙ<br />

Coltivazioni di cocaina: 61.200 ettari<br />

Valore <strong>dei</strong> ricavi per i coltivatori: 384 milioni di $ [2009]<br />

Sequestri complessivi: 30,7 tonnellate [2010]<br />

ARGENTINA<br />

Uno <strong>dei</strong> principali trampolini per l’esportazione di droga in Europa, grazie<br />

ai forti rapporti commerciali che il Paese vanta con il Vecchio Continente,<br />

insieme agli scarsi controlli e agli episodi di corruzione della polizia.<br />

| 38 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

OLANDA<br />

In Europa riveste il ruolo di importante centro temporaneo<br />

di stoccaggio e smistamento dell’eroina destinata ai mercati<br />

inglesi, francesi, belgi e tedeschi, in un network gestito da<br />

organizzazioni olandesi, turche e nigeriane.<br />

MAGHREB<br />

I Nordafricani sono presenti nei mercati <strong>dei</strong> Paesi mediterranei<br />

(Spagna, Francia e Italia) e in Olanda. Organizzazioni criminali<br />

di origine maghrebina sono impegnate nel traffico<br />

di sostanze stupefacenti: sono composte da cittadini<br />

provenienti dal MAROCCO, dalla TUNISIA, dall’ALGERIA,<br />

dalla LIBIA e dalla MAURITANIA, che operano in piccoli gruppi.<br />

GUINEA BISSAU<br />

Un hub sempre più importante per la droga proveniente<br />

dall’America Latina, destinata al mercato europeo e agli Usa,<br />

soprattutto a causa della corruzione: i narcos negli anni hanno<br />

penetrato l’intero apparato statale, arrivando perfino all’ufficio<br />

del presidente João Bernardo Vieira, che fu ucciso nel 2009.<br />

Il traffico coinvolge Paesi strategici – economicamente<br />

e politicamente – come GHANA, KENYA, NIGERIA, MOZAMBICO<br />

e SUDAFRICA. E gruppi terroristici come Hezbollah e Al Qaeda.<br />

BOLIVIA<br />

È uno <strong>dei</strong> Paesi latino-americani dove si produce più<br />

cocaina. Le piantagioni sono controllate da cartelli che<br />

riforniscono il mercato dell’America del Nord (Stati Uniti<br />

e Canada) e dell’Europa.<br />

Coltivazioni di cocaina: 30.900 ettari<br />

Valore netto: 13 miliardi di $<br />

Sequestri effettuati: 25,7 tonnellate [dati 2009]


ITALIA/COSA NOSTRA<br />

Agli inizi degli anni ’70 la mafia siciliana entra nel mercato internazionale degli stupefacenti, superando una sorta<br />

di suo tabù nei confronti delle droghe. Realizza una coalizione transnazionale con i marsigliesi che forniscono<br />

i chimici: la morfina base arriva dagli Stati Uniti e in Sicilia, ad Alcamo, viene localizzata la più grande raffineria<br />

di eroina d’Europa, che verrà scoperta nel 1985.<br />

Dopo una flessione nella leadership di Cosa nostra, dovuta al suo coinvolgimento nella strategia stragista<br />

e agli arresti di suoi membri, in questi anni si stanno stabilendo nuove reti per il controllo territoriale<br />

e internazionale con la ’ndrangheta, finalizzate al traffico di stupefacenti (soprattutto cocaina) dal Sudamerica<br />

attraverso il Nord Europa (Olanda, Germania, Belgio e Austria), come dimostrato anche dalla vasta operazione<br />

di metà ottobre scorso, coordinata dalla Dda della Procura di Milano, con 52 arresti in 8 regioni italiane<br />

del Nord e del Sud.<br />

ITALIA/’NDRANGHETA<br />

Attualmente considerata una delle più potenti organizzazioni<br />

criminali d’Europa, offre come nessun altro il “pacchetto<br />

completo” (anche di voti elettorali). Le ’ndrine garantiscono<br />

dal contrabbando della droga ai pagamenti in armi, al riciclaggio<br />

del danaro <strong>dei</strong> narcos in euro. In collaborazione e sovente con<br />

la doppia affiliazione <strong>dei</strong> suoi capi con le principali mafie italiane<br />

e internazionali. Tra gli anni ’80 e ’90 hanno conquistato un ruolo<br />

di leadership come intermediatore e organizzatore <strong>dei</strong> traffici<br />

internazionali della cocaina.<br />

INDIA/PUNJAB<br />

Il Punjab, regione dell’India al confine con il Pakistan, è una<br />

porta d’ingresso privilegiata per la droga di origine afghana<br />

[vedi BOX pag. 27]. Viene sfruttata la “rete” sul territorio<br />

costituita da numerosi contadini, che si occupano di fatto<br />

di smerciare gli stupefacenti.<br />

NIGERIA/CRIMINALITÀ<br />

Il network creato dai gruppi criminali nigeriani sta reinvestendo<br />

i proventi di prostituzione, cocaina ed eroina su droghe sintetiche<br />

e metanfetamine, con una strategia criminale mirata a produrre<br />

prodotti di origine sintetica di qualità e costo maggiore, in questo<br />

modo affermando la loro leadership rispetto ad altri gruppi etnici.<br />

I nigeriani occupano un posto di rilievo, soprattutto in Olanda,<br />

poiché gestiscono un proprio mercato che riforniscono attraverso<br />

corrieri aerei in partenza dalle Antille e dal Suriname e, in seguito<br />

all’incremento <strong>dei</strong> controlli, dal Perù, dalla Repubblica Dominicana<br />

e dal Messico. Recenti stime indicano che in Nigeria operano circa<br />

400 centrali del crimine, 136 delle quali specializzate nel traffico<br />

di droga e la metà con ramificazioni internazionali.<br />

Gruppi criminali nigeriani, stanziati in TAGIKISTAN, acquistano oppio<br />

nell’area afghana e lo indirizzano verso la Cina finora rifornita dalla<br />

produzione del Sudest asiatico, abbassandone il prezzo di carico<br />

e di vendita e andando a sovrapporsi ai flussi di traffico dell’oppio<br />

proveniente dal Myanmar, il cui prezzo risulta triplo rispetto a quello<br />

acquistato in Afghanistan dalla criminalità nigeriana.<br />

SERBIA<br />

E ALBANIA/GRUPPI<br />

Gruppi criminali serbi e albanesi<br />

stanno muovendosi autonomamente<br />

per acquistare cocaina dai Paesi di<br />

produzione, provvedendo al trasporto<br />

fino ai mercati di consumo. Tagliano<br />

molto la cocaina per diminuirne il<br />

prezzo e realizzare i profitti necessari<br />

alla loro ascesa.<br />

LAOS<br />

Coltivazioni di oppio: 3 mila ettari<br />

[dati 2010]<br />

| risiko del narcotraffico |<br />

AFGHANISTAN<br />

Dal 2008 è diventato il primo produttore mondiale di oppio, nonostante (o grazie)<br />

al fatto di essere un Paese che quasi non conosce la pace. La regia è gestita da cinque<br />

importanti gruppi criminali compositi, che operano o dietro la copertura di traffici leciti<br />

oppure avvalendosi di gruppi minori, spesso legati da vincoli famigliari.<br />

Con il nome pittoresco di Mezzaluna d’oro viene indicata la regione asiatica con<br />

la maggiore produzione di oppiacei del mondo, che comprende oltre all’Afghanistan,<br />

l’IRAN, il PAKISTAN e in minor misura INDIA e NEPAL.<br />

Coltivazioni di oppio: 123 mila ettari<br />

Valore della produzione: 2.900 $ netti per ettaro<br />

Coltivazioni di cannabis: 9-29 mila ettari<br />

Valore della produzione: 8.341 $ netti per ettaro [dati 2010]<br />

MYANMAR [dati 2010]<br />

Coltivazioni di oppio: 38.100 ettari<br />

Addetti: 224 mila persone<br />

Prezzo medio di vendita: 305 $ al kg<br />

Valore <strong>dei</strong> ricavi per i coltivatori: 177 milioni di $<br />

Il Triangolo d’oro composto da LAOS, MYANMAR,<br />

THAILANDIA e VIETNAM è attualmente<br />

la seconda area asiatica di produzione dell’oppio.<br />

MARIJUANA<br />

È prodotta in quasi tutto il mondo: maggiori produttori sono il Nord e Sud America (46%<br />

del totale mondiale: MESSICO, USA, PARAGUAY), l’Africa con il 26% (SUD AFRICA, NIGERIA,<br />

GHANA) e l’Asia con il 22% (AFGHANISTAN, PAKISTAN). Il maggior produttore mondiale<br />

di hashish è il MAROCCO (27,2%) che contende la prima posizione all’Afghanistan, seguono<br />

Pakistan (7,8%) e NEPAL (6,6%). In Europa è molto diffusa la coltivazione intensiva in serra,<br />

utilizzando varietà geneticamente modificate, riscaldamento, illuminazione artificiale,<br />

in coltura idroponica. I prodotti che ne derivano hanno un più alto contenuto di Thc.<br />

LE DROGHE SINTETICHE<br />

Un mercato in crescita, soprattutto per le metanfetamine, afferma l’Unodc, e per la prima volta<br />

numerosi Paesi ne hanno segnalato la presenza sui loro territori (ARGENTINA, BRASILE,<br />

GUATEMALA). Costituiscono un pericolo senza precedenti, perché percepite erroneamente<br />

come meno dannose; nel 2009 sono stati scoperti 45 laboratori, tutti in Europa, che utilizzano<br />

anche internet per il reperimento <strong>dei</strong> “precursori”. Siti di lavorazione esistono nell’Est e Sudest<br />

asiatico, Nord America, Oceania, Sudamerica, Turchia, Libano, Giordania. Il 97% <strong>dei</strong> sequestri<br />

si concentra in Europa e in Medio Oriente, con un traffico intraregionale, caratterizzato in base<br />

alle preferenze <strong>dei</strong> consumatori. Il grande mercato cinese attira l’attenzione <strong>dei</strong> gruppi<br />

criminali per le sue potenzialità di produzione e di diffusione.<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 39 |<br />

FONTE: NOSTRA RIELABORAZIONE DA DATI WWW.UNODC.ORG; WWW.NARCOLEAKS.ORG; MINISTERO DELL’INTERNO; CAMERA DEI DEPUTATI - ILLUSTRAZIONE: DAVIDE VIGANÒ


ROBERTO CACCURI / CONTRASTO<br />

economiasolidale<br />

Il dilemma di Milano: cibo sano o autostrada? > 45<br />

Il mais italiano alla guerra della produttività > 47<br />

Biogas: attenzione a chiamarla energia pulita > 49<br />

La sostenibilità viaggia a pedali > 51<br />

| 40 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


La banda<br />

| la lobby delle estrazioni |<br />

Viggiano (Potenza) dicembre 2003: lavori<br />

di ampliamento del Centro Oli Eni-Agip. Qui viene<br />

desolforato il petrolio greggio proveniente da tutti<br />

i pozzi della Basilicata. Con un oleodotto il lavorato<br />

viene poi inviato alla raffineria Agip di Taranto.<br />

Negli ultimi mesi, più di una volta, alte fiamme<br />

si sono sprigionate per ore dalla torcia del Centro Oli<br />

Grazie a leggi permissive e tasse<br />

minime c’è un boom delle<br />

trivellazioni per ricercare<br />

ed estrarre gas e petrolio. A questo<br />

si aggiunge il nuovo business degli<br />

stoccaggi di gas e CO 2. Ma mancano<br />

gli strumenti di controllo<br />

e la valutazione del rischio è scarsa<br />

del buco<br />

di Paola Baiocchi<br />

Il sisma del maggio scorso in Emilia,<br />

con il suo triste bilancio di morti e<br />

di distruzione, ha sollevato nuovamente<br />

il problema della scarsa prevenzione<br />

del rischio che si pratica in Italia.<br />

Mentre le telecamere <strong>dei</strong> telegiornali<br />

erano puntate sulle macerie, gli emiliani<br />

sono riusciti a denunciare sulla ribalta<br />

mediatica nazionale la loro preoccupazione<br />

per il progetto di deposito sotterraneo<br />

di gas a Rivara, una frazione del<br />

Comune di San Felice sul Panaro. Localizzato<br />

a poca distanza dall’epicentro del<br />

terremoto, in un’area classificata nella<br />

mappa sismo-tettonica a rischio propagazione<br />

di onda sismica e di liquefazione<br />

delle sabbie sature, il sito di stoccaggio<br />

Erg Rivara Storage – come riportato sul<br />

sito ufficiale – prevede di utilizzare «un<br />

serbatoio naturale perfetto per lo scopo:<br />

una struttura geologica a forma convessa<br />

il cui vertice si trova a 2.500 metri di<br />

profondità dalla superficie». Due chilo-<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 41 |


| economiasolidale |<br />

metri e mezzo sotto terra il metano troverebbe<br />

spazio nel calcare, poroso e con<br />

fessure naturali piene di acqua salata<br />

che verrebbe spinta in basso dalla pressione;<br />

il gas formerebbe una specie di<br />

bolla e resterebbe intrappolato tra l’acqua<br />

e una sorta di “tappo” di argille impermeabili<br />

dello spessore di 1.700 metri.<br />

La capacità di stoccaggio dovrebbe essere<br />

di 3.700 milioni di metri cubi di metano,<br />

con un’estensione sotterranea di 12<br />

chilometri quadrati e uno spessore di<br />

400 metri. In superficie, con 19 pozzi di<br />

estrazione, dovrebbe occupare un’area<br />

di circa 11 ettari nei Comuni di San Felice<br />

sul Panaro, Crevalcore, Camposanto, Finale<br />

Emilia, Medolla e Mirandola.<br />

Tre miliardi di metri cubi<br />

di gas sottoterra<br />

Rivara sarebbe il primo sito di stoccaggio<br />

in “acquifero profondo” in Italia e la<br />

scelta della società Erg Rivara Storage,<br />

costituita apposta per questo progetto<br />

nel 2008 dall’inglese Independent Resources<br />

(85%) e da Erg Power & Gas (15%),<br />

Si intitola con il gioco di parole che richiama<br />

un fim di 007, uno <strong>dei</strong> capitoli del libro di Pietro<br />

Dommarco Trivelle d’Italia. Il sistema delle royalties<br />

in vigore, cioè le tasse di compensazione<br />

ambientale versate, rendono particolarmente<br />

appetibile estrarre in Italia. Le compagnie<br />

| 42 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Nessuna valutazione<br />

del rischio sismico viene<br />

richiesta per le trivellazioni<br />

in mare e il decreto Cresci<br />

Italia ha ridotto la distanza<br />

di 12 miglia dalla costa<br />

per gli impianti marini<br />

è caduta su questa zona soprattutto per<br />

la centralità dell’Emilia, all’incrocio delle<br />

vie della distribuzione del gas.<br />

Però i cittadini, che avevano dato vita<br />

a comitati contro il deposito prima del<br />

sisma, sono ora disposti a continuare la<br />

loro opposizione, anche se il progetto è<br />

stato fermato dal ministero dell’Ambiente,<br />

perché temono possa venire ripresentato<br />

quando l’attenzione calerà.<br />

Guardando sul sito della Erg Rivara<br />

Storage, infatti, tutto fa pensare che non<br />

abbiano rinunciato al progetto. Intanto<br />

gli emiliani, e noi con loro, chiedono cosa<br />

sarebbe successo se il terremoto avesse<br />

scaricato la sua energia sopra più di tre<br />

miliardi di metri cubi di gas.<br />

CASINÒ ROYALTIES: IL FISCO RISPARMIA I PETROLIERI<br />

Pietro Dommarco<br />

Trivelle d’Italia.<br />

Perché il nostro Paese<br />

è un paradiso per petrolieri<br />

Altraeconomia, 2012<br />

petrolifere godono di una franchigia, per cui sono esentate dal pagamento delle<br />

royalties sulle prime 20 mila tonnellate di greggio estratte sulla terraferma, sulle<br />

prime 50 mila tonnellate di greggio estratte in mare, sui primi 25 milioni di metri cubi<br />

di gas estratti sulla terraferma e sui primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti<br />

in mare. Tradotto in milioni di euro, le compagnie risparmiano, per ogni anno<br />

di produzione, circa 8 milioni di euro sul greggio estratto sulla terraferma, 19 milioni<br />

di euro sul greggio estratto in mare, 7 milioni di euro sul gas estratto sulla terraferma<br />

e 24 milioni di euro sul gas estratto in mare. Un bottino milionario che, in tempi<br />

di vacche magre come sono questi, i cittadini dovrebbero poter recuperare.<br />

Facilitazioni fiscali nate perché il petrolio italiano era considerato residuale, quando<br />

le tecnologie, però, erano molto meno efficienti: ora si arriva tranquillamente<br />

a 5.000/6.000 metri di profondità e quindi, anche se il petrolio italiano ha molto<br />

zolfo, il risparmio è esorbitante rispetto alle royalties del 50% che si pagano<br />

mediamente in area Opec. In Italia invece sono pari al 10% per le estrazioni<br />

di greggio e gas sulla terraferma, al 7% per l’estrazione di gas in mare e al 4% per<br />

l’estrazione di greggio in mare. Di queste il 55% va alle Regioni, il 30% lo incassa<br />

lo Stato. Mentre ai Comuni che sono i più colpiti dall’impatto ambientale, va il 15%.<br />

Oppure niente nel caso delle estrazioni in mare. Pa. Bai.<br />

Rivara sarebbe il primo sito di stoccaggio<br />

in “acquifero profondo” in Italia,<br />

ma diversi altri progetti di stoccaggio sono<br />

stati presentati al ministero dello Sviluppo<br />

economico.<br />

Rischio sismico sottovalutato<br />

«Ho letto le relazioni geologiche e sismiche<br />

allegate al progetto di Rivara – spiega<br />

Franco Ortolani, ordinario di Geologia<br />

all’Università di Napoli – e vi ho trovato<br />

che la sismicità era sottostimata: si diceva<br />

che non poteva essere superiore a 5,8 gradi<br />

della scala Richter, invece a maggio è<br />

stata superiore. Non possiamo dire cosa<br />

sarebbe successo nel caso in cui il deposito<br />

fosse già stato operativo, perché le conoscenze<br />

sono scarse. È invece ampiamente<br />

documentato scientificamente<br />

– continua Ortolani – che qualsiasi iniezione<br />

nel sottosuolo determina una perturbazione<br />

e se la zona è già di per sé instabile<br />

tettonicamente e sismicamente,<br />

come la zona dell’epicentro del 20 maggio,<br />

qualsiasi attività nel sottosuolo può determinare<br />

un’accelerazione <strong>dei</strong> fenomeni<br />

di instabilità tettonica e quindi accelerare<br />

quelli che poi andranno a trasformarsi in<br />

eventi sismici».<br />

Come evitare, allora, che nuove attività<br />

di stoccaggio possano creare criticità?<br />

Per Ortolani la soluzione è a portata di mano:<br />

«In Italia sarebbe facilissimo mettere<br />

<strong>dei</strong> paletti, partendo dalle mappe dell’Istituto<br />

nazionale di geologia e vulcanologia<br />

(Ingv), che hanno individuato dove in passato<br />

si sono verificati terremoti. Dove il<br />

sottosuolo è instabile, perché ci sono delle<br />

faglie che periodicamente si muovono<br />

dando luogo a sismi, va detto che non si deve<br />

toccare il sottosuolo con nuovi depositi<br />

sotterranei di anidride carbonica o di gas».<br />

Invece in Italia siamo testimoni di una<br />

vera e propria “corsa alla trivellazione” sia<br />

per nuovi pozzi che per nuovi siti di stoccaggio,<br />

in presenza di una legislazione<br />

molto condiscendente rispetto alle compagnie<br />

e con la tendenza a eliminare ulteriori<br />

“lacci e lacciuoli” che, viene detto, “limitano<br />

il mercato” ma sono, invece, tutele<br />

per la sicurezza e la salute. Come la riduzione<br />

di fatto del già minimo limite di 12<br />

miglia dalla costa per le estrazioni in mare,<br />

introdotto nel decreto Cresci Italia.


SIAMO PROPRIO SICURI?<br />

Operanti > coltivazione idrocarburi<br />

In iter > istanza/permesso<br />

Pozzi a terra operanti<br />

Pozzi a terra in iter<br />

Piattaforme operanti<br />

Piattaforme in iter<br />

Dal 2011 divieto di perforazione<br />

e di coltivazione Lg. 179/01<br />

Raffinerie<br />

Trecate<br />

Sannazzaro<br />

Porto Foxi<br />

Ma quello che è ancora più grave, e<br />

sembra incredibile, è che la legislazione<br />

attuale per le trivellazioni in mare non richiede<br />

la valutazione del rischio sismico.<br />

L’autocontrollo delle compagnie<br />

Spetta alle compagnie anche autocertificare<br />

la produzione sulla quale pagare le<br />

tasse, come ha scritto Emanuele Isonio<br />

nell’articolo “Trivella libera vuol dire sviluppo?”<br />

(<strong>Valori</strong> n. 102, settembre 2012), sottraendo<br />

importanti introiti al fisco (vedi<br />

BOX ). «Sta di fatto che su un centinaio circa<br />

di compagnie petrolifere in attività,<br />

solo 11 pagano le tasse, spiega Pietro<br />

Dommarco, autore di Trivelle d’Italia, un<br />

viaggio lungo lo stivale in cui ha documentato<br />

installazioni e richieste di nuovi<br />

impianti in località vicine ad aree intensa-<br />

Busalla<br />

Cremona<br />

Livorno<br />

Mantova<br />

EGADI<br />

PANTELLERIA (TP)<br />

Pa<br />

Venezia<br />

Pantano<br />

Pe<br />

Po<br />

mente abitate o di interesse naturalistico,<br />

agricolo, artistico o storico.<br />

Alle compagnie si lascia poi il ruolo<br />

di controllori di sé stessi anche in materia<br />

di sicurezza e salute pubblica, a proposito<br />

di emissioni e incidenti: dal 2010,<br />

in nome della “semplificazione”, è stata<br />

introdotta l’Autorizzazione integrata<br />

ambientale (Aia) che rende “superflue”<br />

numerose autorizzazioni ambientali di<br />

settore. Gli impianti soggetti ad Aia sono<br />

tenuti a comunicare ciò che avviene nel-<br />

U<br />

Falconara<br />

Gela<br />

A F<br />

Milazzo<br />

S<br />

P<br />

Priolo<br />

Augusta<br />

Taranto<br />

| economiasolidale |<br />

Mappa di pericolosità sismica<br />

del territorio nazionale e<br />

principali attività estrattive<br />

< 0.025 g<br />

0.025 - 0.050<br />

0.050 - 0.075<br />

0.075 - 0.100<br />

0.100 - 0.125<br />

0.125 - 0.150<br />

0.150 - 0.175<br />

0.175 - 0.200<br />

0.200 - 0.225<br />

0.225 - 0.250<br />

0.250 - 0.275<br />

0.275 - 0.300<br />

Le sigle individuano isole<br />

per le quali è necessaria<br />

una valutazione ad hoc<br />

Elaborazione: aprile 2004<br />

le proprie aziende all’Ines (Inventario<br />

nazionale delle emissioni e loro sorgenti).<br />

Succede così che i cittadini vedano<br />

svilupparsi delle fiamme dai pozzi di petrolio,<br />

ma non riscontrino nessuna denuncia<br />

di incidente, come ha spiegato a<br />

<strong>Valori</strong> Luciana Coletta, segretaria regionale<br />

della Basilicata di Csp-Partito comunista<br />

e membro del Comitato Aria pulita,<br />

che continua: «Eppure quei pozzi a<br />

Villa d’Agri di Potenza sono ad appena<br />

250 metri dall’ospedale civile».<br />

IN RETE<br />

http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/ Ministero dello Sviluppo economico<br />

www.gm.ingv.it/index.php/sismologia-e-ingegneria-sismica/ricerca-scientifica/15-studio-degli-effetti-di-sito-nelbacino-della-val-dagri2<br />

Studio degli effetti di sito nel bacino della Val D’Agri<br />

www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=29949&content=1 Dossier del Wwf “Milioni di regali - Italia: Far West delle trivelle”<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 43 |


| economiasolidale |<br />

Le homepage <strong>dei</strong> siti indicati a pagina 43<br />

Sembra però che la sicurezza sia un<br />

problema che non riguarda le compagnie<br />

petrolifere, ma solo i cittadini, che<br />

continuano a organizzarsi in centinaia<br />

di comitati e movimenti, che restano,<br />

però, in ambito locale e per la mancanza<br />

di una cinghia di trasmissione che li col-<br />

CENTRALI DI STOCCAGGIO CRESCONO<br />

| 44 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

leghi alla politica nazionale, ottengono<br />

scarsissimi risultati. «Questo perché manca<br />

un partito che abbia un progetto alternativo<br />

di società e quindi di economia, come<br />

è stato il Partito comunista italiano»<br />

aggiunge Luciana Coletta.<br />

La Basilicata è la Regione a più alta capacità<br />

estrattiva d’Europa, pur essendo<br />

l’Italia il quarto produttore europeo. Si<br />

Il progetto pilota di iniezione delle emissioni di CO2 a Cortemaggiore, proposto<br />

da Stogit (Gruppo Eni), ha ricevuto ad aprile esito favorevole nella Valutazione<br />

di impatto ambientale (Via), a condizione che l’approvvigionamento della CO2 avvenga in zone più vicine, ai fini di un risparmio energetico ed emissivo.<br />

Nei giacimenti già utilizzati dal 1964 come stoccaggio del metano in provincia<br />

di Piacenza, nei Comuni di Cortemaggiore e Besenzone, per tre anni l’Eni inietterà<br />

l’anidride carbonica per sperimentarne l’uso come cushion gas (vedi GLOSSARIO )<br />

a 1.400 metri di profondità, per un totale di 8.000 tonnellate di CO2 l’anno.<br />

Il progetto solleva le preoccupazioni <strong>dei</strong> cittadini per la sicurezza, dopo il recente<br />

sisma, ma anche perché inciderebbe poco sulla riduzione delle emissioni: la CO2 utilizzata nel giacimento di Cortemaggiore, infatti, sarà in parte approvvigionata con<br />

trasporto su gomma dall’impianto di cattura di recente inaugurato da Enel a Brindisi.<br />

SCHEMA GENERALE DI SITO DI STOCCAGGIO<br />

FONTE: STOGIT SPA<br />

vuole ora puntare al raddoppio della produzione<br />

proprio in Val d’Agri: “Una delle<br />

aree italiane a maggiore potenziale sismogenetico”,<br />

certifica l’Istituto nazionale<br />

di geofisica e vulcanologia.<br />

Una zona cioè dove possono facilmente<br />

generarsi terremoti, come il devastante<br />

sisma del 1857, tra i più potenti d’Italia,<br />

con magnitudo tra 6,9 e 7. <br />

GLOSSARIO<br />

STOCCAGGIO DEL GAS NATURALE IN SOTTERRANEO:<br />

il deposito in strutture del sottosuolo del gas naturale<br />

prelevato dalla rete di trasporto nazionale<br />

e successivamente reimmesso nella rete in funzione<br />

delle richieste del mercato.<br />

I componenti principali di un sito di stoccaggio sono:<br />

il giacimento, la centrale di stoccaggio con gli impianti<br />

di compressione e trattamento e i pozzi. Lo stoccaggio<br />

è un’attività mineraria soggetta a concessione,<br />

con modalità recentemente aggiornate con Decreto<br />

ministeriale 21 gennaio 2011. Attualmente in Italia sono<br />

in attività dieci siti di stoccaggio, tutti realizzati<br />

in corrispondenza di giacimenti a gas esauriti; sono<br />

in corso di realizzazione tre nuovi impianti, e ci sono<br />

otto istanze di concessione di stoccaggio, compresa<br />

quella di Rivara, in corso di rigetto.<br />

WORKING GAS: la quantità di gas naturale gestita<br />

secondo le richieste degli shippers (i proprietari<br />

del gas). Una parte del working gas deve essere<br />

mantenuto in giacimento per garantire la riserva<br />

strategica (attualmente 5.100 milioni di mc).<br />

CUSHION GAS: è il “gas cuscino”, il quantitativo<br />

minimo indispensabile di gas presente o inserito<br />

nei giacimenti in fase di stoccaggio, che ha la funzione<br />

di consentire l'erogazione <strong>dei</strong> restanti volumi senza<br />

pregiudicare nel tempo le caratteristiche minerarie<br />

<strong>dei</strong> giacimenti stessi.<br />

Nel caso di giacimenti quasi esauriti dove verrebbe<br />

iniettata la CO2, questa farebbe da “cuscino”<br />

permettendo l’estrazione del metano rimasto sul fondo.<br />

La capacità di stoccaggio di gas naturale<br />

al 31 dicembre 2011 è pari a circa 15.620 milioni<br />

di standard metri cubi (MSmc), di cui 5.100 MSmc<br />

riservati allo stoccaggio strategico.<br />

FONTE: NOSTRA ELABORAZIONE SU DATI UNMIG, STOGIT, ENI


Se questa vicenda avrà un lieto fine<br />

darà concretezza al sogno di chi<br />

crede nella sicurezza alimentare,<br />

nella tutela del territorio, nel diritto al cibo<br />

sano. Ma per ora la realtà è tutt’altra:<br />

una striscia di asfalto, larga otto corsie,<br />

lunga 32 chilometri con sei svincoli e altrettanti<br />

caselli, che sorgerà su un’area<br />

agricola rara e preziosa con il serio rischio<br />

di cancellare uno <strong>dei</strong> più ambiziosi progetti<br />

di ricostruzione di filiera corta del pane.<br />

La (flebile) speranza di cambiare le cose è<br />

legata a un ricorso che potrebbe creare un<br />

precedente storico.<br />

Asfalto al posto del grano bio<br />

Nel Parco agricolo Sud Milano è attivo da<br />

quasi cinque anni il progetto Spiga & Madia,<br />

nato per produrre, attraverso un originale<br />

sistema di “coproduzione” tra consumatori,<br />

agricoltori e fornai, pane di alta<br />

qualità, da agricoltura biologica, a prezzi<br />

altrove impensabili. L’area scelta sembrava<br />

ideale per l’esperimento: è a pochi chi-<br />

lometri da Milano (a Caponago), è molto<br />

fertile e in loco si può trovare tutto il necessario<br />

per creare una filiera a chilometro<br />

zero. Ma su quell’area dovrà passare la<br />

nuova Tangenziale esterna (Teem) e, sui<br />

terreni coltivati a grano, sarà costruita la<br />

rotatoria per collegarla all’autostrada A4.<br />

Le decine di chilometri della Teem – oltre<br />

ai 32 di autostrada da Agrate Brianza a<br />

Melegnano, ci sono anche 38 km di nuove<br />

strade ordinarie e 15 di riqualificazione di<br />

arterie esistenti – è considerata “opera infrastrutturale<br />

per lo sviluppo strategico<br />

del Paese”, tanto da essere stata inserita<br />

nella Legge obiettivo, che permette di derogare<br />

alla legislazione ordinaria.<br />

Per i suoi ideatori (un consorzio composto<br />

da Provincia di Milano, Benetton,<br />

Gavio, Intesa San Paolo, Impregilo, Pizzarotti,<br />

Coopsette, Cmb, Unieco e Cmc), servirà<br />

a decongestionare l’attuale Tangenziale<br />

Est permettendo di passare dalla A1<br />

alla A4 bypassando Milano. Ma in parecchi<br />

dubitano dell’utilità dell’opera. «La<br />

| economiasolidale | difesa della terra |<br />

Il dilemma di Milano:<br />

meglio il cibo sano<br />

o una nuova autostrada?<br />

di Emanuele Isonio<br />

I lavori della nuova Tangenziale esterna condanneranno a morte la filiera corta del pane di Spiga & Madia. Il distretto<br />

di economia sociale della Brianza fa ricorso alla Commissione europea. Con una motivazione originale: il valore<br />

preminente della sicurezza alimentare<br />

IL DES.BRI: AIUTATECI<br />

A COPRIRE LE SPESE LEGALI<br />

Portare avanti un’azione legale complessa<br />

richiede molto denaro. Lo sanno bene<br />

i grandi gruppi industriali, che spesso<br />

contano proprio sui costi della giustizia per<br />

fermare chi si oppone a opere controverse.<br />

Il Des Brianza ha quindi lanciato un appello<br />

per coprire le spese legali. I contributi<br />

possono essere versati sul conto corrente<br />

di Banca Etica, intestato al “Comitato verso<br />

il Distretto di Economia Solidale della<br />

Brianza”, causale “Campagna Spiga e Madia”,<br />

Iban IT74E0501801600000000141046.<br />

Teem non ridurrà il traffico della Tangenziale<br />

Est, che è usata quasi esclusivamente<br />

per andare da una parte all’altra di Milano»,<br />

spiega Damiano Di Simine, presidente<br />

di Legambiente Lombardia. A sostegno<br />

della sua tesi, un calcolo degli stessi committenti:<br />

in quel rapporto, per di più stilato<br />

prima della crisi economica, la nuova<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 45 |


| economiasolidale |<br />

Teem ridurrebbe di appena il 7% il traffico<br />

dell’attuale tangenziale. Troppo poco per<br />

un’autostrada che, già sulla carta, promette<br />

di essere tra le più costose: 80 milioni di<br />

euro al chilometro. Tra l’altro i primi lavori<br />

stanno partendo anche se è stato reperito<br />

solo il 20% <strong>dei</strong> due miliardi necessari a<br />

completarla. Il sospetto che questo costringa<br />

la Cassa Depositi e Prestiti a intervenire<br />

è concreto. «Sarebbe comunque<br />

una follia – osserva Di Simine – bloccare risorse<br />

bancarie per un’opera inutile mentre<br />

centinaia di imprese falliscono per mancanza<br />

di liquidità».<br />

Un’istanza inedita<br />

A queste motivazioni, si uniscono quelle<br />

delle 600 famiglie del progetto Spiga &<br />

Madia, che hanno deciso di tentare un ricorso<br />

originale: invece di contestare i criteri<br />

di esproprio dell’area coltivata a grano,<br />

hanno preferito invocare il diritto al<br />

cibo sano. Rivolgendosi, per il ricorso, a un<br />

pool di avvocati e professori universitari,<br />

coordinati da Domenico Monci, docente di<br />

Diritto ambientale all’università del Molise.<br />

«Un ricorso a più tappe», spiega Monci.<br />

Con un destinatario di alto livello: la Direzione<br />

generale Ambiente della Commissione<br />

europea, l’organismo che, nella Ue,<br />

ha competenza sulla legislazione ambientale<br />

e alimentare. «La nostra speranza è<br />

che chieda chiarimenti alle istituzioni nazionali<br />

coinvolte (ministero delle Infrastrutture,<br />

Cipe, Regione Lombardia) e verifichi<br />

se sono state ignorate le esigenze<br />

delle popolazioni locali, in violazione della<br />

Convenzione di Aarhus».<br />

Quattro i punti su cui pone l’accento<br />

l’istanza inviata a Bruxelles, che <strong>Valori</strong> ha<br />

potuto visionare in assoluta anteprima:<br />

oltre ai dubbi sull’effettiva utilità dell’opera,<br />

contestata persino da 34 <strong>dei</strong> Comuni<br />

dell’area, che avevano proposto un progetto<br />

alternativo (vedi BOX ), si denuncia la<br />

violazione del diritto di accesso al cibo sano.<br />

«Una motivazione praticamente inedita<br />

in Europa – spiega Monci – ma sostenuta<br />

da importanti basi legali. Non solo per il<br />

principio di precauzione sancito dall’articolo<br />

191 del Trattato sul funzionamento<br />

dell’Unione europea, ma anche per le regole<br />

già in vigore nella Ue con il regolamento<br />

178/02 sulla sicurezza alimentare».<br />

| 46 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Accanto a questo, viene sottolineato<br />

il danno alle colture biologiche e a produzioni<br />

agricole di pregio (la Teem, si legge<br />

nell’istanza, è «capace di alterare in<br />

maniera irreversibile le condizioni attuali<br />

dell’area e privarla delle sue peculiari<br />

qualità agronomiche e ambientali»)<br />

e il concreto pericolo per la biodiversità<br />

del territorio: «La proprietà agricola impiegata<br />

nel progetto Spiga & Madia è al-<br />

A8<br />

locata in uno <strong>dei</strong> residui corridoi ecologici<br />

esistenti nella Brianza». «Se, come speriamo,<br />

la DG Ambiente aderirà alle nostre<br />

motivazioni – commenta Monci –<br />

potremo chiedere al Tar di bloccare l’opera<br />

e al tempo stesso avremo creato un<br />

precedente epocale: avremmo dimostrato<br />

che il diritto al cibo sano non può essere<br />

sacrificato sull’altare degli interessi<br />

delle lobby industriali». <br />

Monza<br />

Agrate<br />

Brianza<br />

! !<br />

Rho<br />

Vanzago<br />

Arluno<br />

Pregnana Milanese<br />

Pero<br />

A52<br />

Gorgonzola<br />

Cernusco sul Naviglio<br />

Cassina de Pecchi<br />

Pialtello Vignate Melzo<br />

Sedriano<br />

Cornaredo<br />

Segrate<br />

Vittuone Settimo Milanese<br />

Bareggio<br />

A50<br />

Corbetta<br />

Milano<br />

A51<br />

Rodano Liscate<br />

Settaia<br />

Cisliano<br />

Albalrate<br />

Vermezzo<br />

Cusago<br />

Cesano Boscone A7<br />

Corsico<br />

Trezzano sul Naviglio<br />

BuccinascoAssago<br />

Gaggiano<br />

Pantigliate<br />

Peschiera Barromeo<br />

Paullo<br />

S. Donato Milanese Mediglia<br />

Tribiano<br />

Zelo Surrigone<br />

Rozzano Opera<br />

Colturano<br />

S. Giuliano Milanese<br />

Noviglio<br />

A1<br />

Dresano<br />

Gudo Visconti Zibido S. Giacomo<br />

Locate Triulzi<br />

Melegnano<br />

Pieve Emanuele<br />

Vizzolo Predabissi<br />

Rosate<br />

Carpiano<br />

Binasco<br />

Basiglio<br />

Bubbiano<br />

Cerro al Lambro<br />

CalvignascoVernateCasarile Lacchiarella<br />

Area del Parco Agricolo Sud Milano TEEM - Tangenziale Est Esterna di Milano<br />

ALTRO CHE TEEM:<br />

34 COMUNI SOSTENGONO IL RAPPORTO “POLINOMIA”<br />

A mettere in dubbio l’utilità della Tangenziale esterna non ci sono solo ambientalisti<br />

e sostenitori dell’agricoltura biologica. 34 comuni lombardi, situati tra la BreBeMi<br />

(l’autostrada di collegamento tra Brescia, Bergamo e Milano) e la nuova Teem hanno<br />

commissionato all’istituto Polinomia uno studio sui vantaggi dell’opera e sulle possibili<br />

varianti. Obiettivo: dimostrare che la Teem è tutt’altro che indispensabile e che<br />

si possono decongestionare le arterie esistenti in modo ben diverso. «Non esiste<br />

a tutt’oggi alcuna evidenza tecnica, asseverata da studi e valutazioni redatti secondo<br />

gli standard correnti, dell’effettiva rispondenza della Teem alle numerose e rilevanti<br />

problematiche del sistema di trasporto interessato». Il rapporto “Polinomia” propone<br />

quindi soluzioni alternative: il potenziamento delle ferrovie regionali, soprattutto nelle<br />

tratte comprese tra 35-40 chilometri dal centro di Milano; la riorganizzazione della rete<br />

di trasporto pubblico extraurbano; la razionalizzazione della rete stradale esistente;<br />

una revisione <strong>dei</strong> criteri di gestione del traffico; lo sfruttamento di aree industriali<br />

dismesse connesse alla rete di trasporto pubblico. «Se 34 Comuni, enti pubblici<br />

di prima istanza, concordano su un piano alternativo – commenta l’avvocato Monci –<br />

si conferma in modo inequivocabile che un’alternativa alla Teem è concreta e attuabile».<br />

A4


Il mais italiano<br />

alla guerra<br />

della produttività<br />

di Emanuele Isonio<br />

La maiscoltura tricolore ha perso il primato europeo e i suoi profitti<br />

dipendono ormai dal premio Pac che ben presto potrebbe scomparire.<br />

Uno scenario a tinte fosche. E, sullo sfondo, due soluzioni che non convincono<br />

un dato che più di tutti fa<br />

impressione tra quelli che ci C’è<br />

aiutano a fotografare il mondo<br />

del mais italiano: nel 2011 le importazioni<br />

nette di questo cereale si sono attestate<br />

al 23% della domanda totale, dopo<br />

decenni in cui l’Italia era di fatto autosufficiente.<br />

Alla luce di questo dato, i costi<br />

di importazione <strong>dei</strong> cereali per mangimi<br />

animali hanno annullato i ricavi<br />

dell’esportazione <strong>dei</strong> nostri prodotti tipici<br />

di origine animale. Alla base di questo<br />

dato c’è un problema di produttività, figlio<br />

diretto di un disperato bisogno di<br />

redditività. Un’esigenza certamente comune<br />

a molti altri settori agroalimentari,<br />

che però, nel caso della maiscoltura,<br />

diventa condizione indispensabile per la<br />

sopravvivenza stessa della filiera. Per<br />

decenni fiore all’occhiello dell’agricoltura<br />

italiana, ma che da qualche anno è stata<br />

superata, in termini di produzione e<br />

resa, da altri Stati europei, primo tra tutti<br />

la Spagna.<br />

Dai produttori si leva quindi un appello<br />

per individuare sistemi che aumentino<br />

i loro redditi e coprano i costi di produzione.<br />

Ma le soluzioni – varietà Ogm e<br />

Tre i problemi principali:<br />

la resa per ettaro non cresce<br />

più da quindici anni,<br />

le aziende sono troppo<br />

piccole e i costi di<br />

produzione crescono<br />

10,0<br />

8,0<br />

6,0<br />

4,0<br />

2,0<br />

0,0<br />

biogas – potrebbero rivelarsi medicine<br />

peggiori della malattia da curare.<br />

La resa non cresce più<br />

I dati Istat segnalano nel 2011 una produzione<br />

di 9,6 milioni di tonnellate, in ripresa<br />

rispetto al triennio orribile 2008-<br />

2010, ma comunque quarto peggiore<br />

risultato degli ultimi 15 anni. Le superfici<br />

coltivate tornano a superare la soglia<br />

psicologica del milione di ettari. Ma a<br />

preoccupare gli analisti sono i dati delle<br />

rese per ettaro: «Nonostante siano in ripresa<br />

rispetto al 2010 – spiega Dario Frisio,<br />

ordinario di Economia ed Estimo rurale<br />

all’Università Statale di Milano – la<br />

crescita inarrestabile avuta fino agli anni<br />

’90 si è ormai fermata». Un confronto<br />

con la Spagna (vedi GRAFICO ): nel 1993 la resa<br />

per ettaro era di 85 quintali contro i 93<br />

dell’Italia. Nel 2011 il mais iberico è cresciuto<br />

a 105 quintali per ettaro mentre<br />

quello italiano si è fermato a 94.<br />

[Mil t] [.000 ha]<br />

12,0<br />

1.500<br />

1961<br />

1966<br />

| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 19 |<br />

EVOLUZIONE DELLE SUPERFICI E DELLE PRODUZIONI DI MAIS DA GRANELLA IN ITALIA TRA IL 1961 E IL 2011<br />

1971<br />

1976<br />

1981<br />

Produzioni (milioni t) Superfici (.000 ha)<br />

1986<br />

1991<br />

1996<br />

2001<br />

2006<br />

9,6<br />

1.019<br />

2011<br />

1.250<br />

1.000<br />

750<br />

500<br />

250<br />

0,0<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 47 |<br />

FONTE: ELABORAZIONI OECV-DEPAAA SU DATI ISTAT (2010 E 2011 PROVVISORI)


FONTE: EUROSTAT<br />

| economiasolidale |<br />

Imprese troppo piccole<br />

costi in salita<br />

Una situazione già complicata per i produttori<br />

nostrani, resa ancor più difficile<br />

dalla struttura delle aziende italiane e da<br />

costi di produzione spesso superiori ai<br />

prezzi di vendita. «Le imprese italiane –<br />

conferma Frisio – sono ben più piccole<br />

<strong>dei</strong> loro concorrenti esteri». 103 mila delle<br />

154 mila aziende agricole che coltivano<br />

mais in Italia (il 67% del totale) hanno<br />

un’estensione inferiore ai 10 ettari. «E<br />

più sono piccole, più è difficile per loro<br />

coprire i costi, soprattutto ora che i prezzi<br />

<strong>dei</strong> fertilizzanti, stabili per vent’anni,<br />

stanno avendo oscillazioni mai viste prima».<br />

Un solo esempio: il prezzo del fosfato<br />

doppio di ammonio è passato dai 280<br />

dollari a tonnellata del gennaio 2007 ai<br />

1200 del marzo 2008 (vedi GRAFICO ).<br />

Ancora una volta, la colpa di questa<br />

oscillazione va ricercata nelle speculazioni<br />

mondiali sulle commodity agricole.<br />

I produttori sono quindi spinti a ridurre<br />

l’uso di fertilizzanti per abbassare i costi:<br />

«Ma così calano anche le rese e siamo obbligati<br />

ad acquistare all’estero il mais per<br />

coprire la domanda nazionale (circa 11<br />

milioni di tonnellate)». Risultato: ad oggi,<br />

la redditività della maiscoltura è legata<br />

al beneficio del premio unico aziendale<br />

previsto dalla Pac (Politica agricola comunitaria).<br />

Tolto quel premio – cosa assai<br />

probabile con la prossima riforma<br />

della Politica agricola – il settore potrebbe<br />

entrare in una crisi definitiva.<br />

MAIS DA GRANELLA RESE A CONFRONTO [q/ha]<br />

110<br />

100<br />

90<br />

80<br />

70<br />

60<br />

1991<br />

1992<br />

1993<br />

1994<br />

1995<br />

1996<br />

1997<br />

1998<br />

1999<br />

2000<br />

2001<br />

2002<br />

2003<br />

2004<br />

2005<br />

2006<br />

2007<br />

2008<br />

2009<br />

2010<br />

Spagna Francia Italia<br />

| 48 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

PREZZO MEDIO MENSILE<br />

DEL MAIS IBRIDO<br />

ISMEA<br />

26,56<br />

[euro/q] FONTE:<br />

23,81<br />

23,66<br />

16,71<br />

gen 07<br />

mag 07<br />

set 07<br />

Il futuro sarà Ogm?<br />

Viste le premesse, è inevitabile cercare<br />

nuove strade per aumentare redditi e<br />

produttività. Ma, analizzate a livello globale,<br />

le soluzioni lasciano molti dubbi. Per<br />

fare profitti, oggi non c’è idea migliore che<br />

destinare il proprio mais agli impianti di<br />

biogas. Una manna dal cielo per i produttori<br />

italiani: minimizza i problemi di coltivazione<br />

e aumenta la garanzia di reddito<br />

(vedi ARTICOLO ). Per incrementare la produzione<br />

nazionale, l’alternativa pare obbligata:<br />

o aumentare le superfici coltivate<br />

oppure ridurre i vincoli all’uso di varietà<br />

di mais geneticamente modificate. «L’Italia<br />

– spiega Frisio – ha per decenni utilizzato<br />

semi proveniente dagli Stati Uniti,<br />

dove l’ambiente climatico è molto simile a<br />

quello della pianura padana. Ma dal 1996<br />

il mais statunitense è quasi esclusivamente<br />

Ogm e questo ne ha impedito l’uso<br />

105,4<br />

92,4<br />

87,4<br />

gen 08<br />

mag 08<br />

1.400<br />

1.200<br />

1.000<br />

800<br />

600<br />

400<br />

200<br />

0<br />

set 08<br />

12,91<br />

gen 09<br />

gen 07<br />

mag 09<br />

set 09<br />

in Italia». Nel nostro Paese, tra l’altro, i<br />

vincoli sono più rigorosi che in altri Stati<br />

Ue: «L’uso di materiale genetico migliorato<br />

e la riduzione delle perdite in campo ha<br />

permesso alla Spagna di superarci in termini<br />

di rese. Se anche da noi si usassero tipi<br />

di mais più resistenti ai parassiti la nostra<br />

produzione potrebbe superare i 100<br />

quintali per ettaro».<br />

Un tema delicato e controverso: se si<br />

rifiuta il ricorso agli Ogm, non rimane che<br />

pensare a uno stop all’uso di cereali per fini<br />

diversi da quello alimentare (leggi: biogas)<br />

sviluppando sistemi consortili che<br />

superino la frammentazione dell’offerta:<br />

«Sarebbero utilissimi per abbassare i costi<br />

e ridurre gli sprechi – conferma Frisio<br />

–. O si arriva a una migliore organizzazione<br />

sovra-aziendale oppure perderemo<br />

ulteriore terreno rispetto ai nostri concorrenti<br />

europei». <br />

EVOLUZIONE DEL PREZZO DEI PRINCIPALI FERTILIZZANTI [$ USA per tonnellata]<br />

gen 08<br />

14,10<br />

gen ’07 gen ’08 gen ’09 gen ’10 gen ’11 lug ’11 dic ’11<br />

gen 10<br />

mag 10<br />

DAP: diammonium phosphate, f.o.b. US Gulf<br />

UREA: f.o.b. Black Sea<br />

POTASSIO: muriate of potash, f.o.b. Vancouver<br />

FOSFATO: Phosphate rock, 70% BPL, f.a.s. Casablanca<br />

gen 09<br />

set 10<br />

gen 11<br />

gen 10<br />

mag 11<br />

18,30<br />

set 11<br />

gen 11<br />

gen 12<br />

FONTE: ELABORAZIONI OECV-DEPAAA SU DATI WORLD BAR


Cereali da trasformare in elettricità:<br />

i vantaggi per i produttori sono<br />

enormi. Frutto di incentivi molto<br />

generosi e mal calibrati. Ma sono<br />

in aumento le voci critiche contro<br />

una tecnologia che, se usata male,<br />

può aprire le porte a una frontiera<br />

della speculazione<br />

Produrre cibo per dargli fuoco: in<br />

periodi di crisi alimentare già l’idea<br />

dovrebbe far sgranare gli occhi.<br />

Eppure è quanto avviene, sempre<br />

più spesso, nei campi italiani. Dove la<br />

difficoltà di far quadrare i conti spinge<br />

gli agricoltori a sposare la via delle coltivazioni<br />

destinate a biogas. In alcune<br />

aree il fenomeno ha raggiunto livelli impressionanti:<br />

«A Bagnoli – denunciava<br />

l’estate scorsa l’associazione “Il Moraro” –<br />

abbiamo tre impianti di biogas e nella<br />

Bassa Padovana si coltiva ormai quasi<br />

esclusivamente per alimentarli. Ben 800<br />

ettari di mais prodotti per essere di-<br />

strutti. Uno schiaffo a chi muore di fame<br />

e un business in cui i profitti sono garantiti<br />

solo grazie ai contributi statali e<br />

comunitari».<br />

Drogati dagli incentivi<br />

I dubbi di molti ambientalisti sono in effetti<br />

confermati dagli esperti. Gli impianti<br />

di biogas in dieci anni sono praticamente<br />

decuplicati. «E la maggior parte<br />

– spiega Giovanni Carrosio, docente di<br />

Sociologia del territorio all’Università di<br />

Padova – hanno una potenza inferiore a<br />

999 KWe». Non è un caso: la potenza degli<br />

impianti è infatti legata a filo doppio<br />

al sistema di incentivi in vigore nel nostro<br />

Paese. «Gli impianti di potenza inferiore<br />

al megawatt hanno diritto a ricevere<br />

28 centesimi per ogni chilowattora<br />

prodotto (circa tre volte quanto si paga<br />

per l’energia prodotta “normalmente”,<br />

ndr). Oltre entrerebbero nel sistema <strong>dei</strong><br />

certificati verdi».<br />

Ma per ottenere gli incentivi non fa alcuna<br />

differenza il materiale utilizzato nelle<br />

centrali. «Un errore madornale – prosegue<br />

Carrosio – perché in questo modo<br />

| economiasolidale |<br />

Biogas, attenzione<br />

a chiamarla “energia pulita”<br />

di Emanuele Isonio<br />

non si spinge un’impresa agricola a realizzare<br />

un impianto per smaltire gli scarti<br />

agricoli e le <strong>dei</strong>ezioni animali prodotte<br />

nella propria azienda. Si incentiva<br />

invece una conversione delle coltivazioni.<br />

Dall’agricoltura alimentare a quella<br />

energetica». Un’analisi <strong>dei</strong> dati conferma<br />

questo sospetto: su 532 impianti a biogas<br />

agricolo, almeno 293 impianti utilizzano<br />

una quota di mais al loro interno. Di questi,<br />

il 12% impiega solo mais. «Per soddisfare<br />

una potenza di 999 chilowatt elettrici<br />

(l’unità di misura con cui si calcola la potenza<br />

elettrica di un impianto, ndr) – spiega<br />

Carrosio – occorrono 200 ettari di mais<br />

ciascuno. Moltiplicato per i 293 impianti,<br />

abbiamo 58 mila ettari di mais. In pratica<br />

oltre mezzo milione di tonnellate di mais<br />

coltivato in Italia è destinato a essere<br />

bruciato a scopi energetici».<br />

Una situazione ben diversa dal sistema<br />

virtuoso che pure il biogas, se usato bene,<br />

potrebbe garantire: «L’assetto attuale<br />

– concorda il preside della facoltà di Agraria<br />

della Statale di Milano, Dario Frisio – è<br />

drogato dagli incentivi. Se non ci fossero,<br />

degli attuali 500 impianti ne rimarrebbero<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 49 |


FONTE: PICCININI (2011), GSE, CONSORZIO ITALIANO BIOGAS,<br />

REGIONE VENETO, REGIONE LOMBARDIA<br />

| economiasolidale |<br />

2000-2011 IL GRANDE BOOM DEGLI IMPIANTI<br />

350<br />

300<br />

250<br />

200<br />

150<br />

100<br />

50<br />

0<br />

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009<br />

> 1000 KWe > 100 < 500 KWe > 500 < 1000 KWe<br />

< 100 KWe<br />

Dareste via dieci pannocchie per averne indietro otto?<br />

La risposta sembrerebbe lapalissiana. Ma attenzione prima<br />

di rispondere no. Perché se poi poteste vendere le otto<br />

pannocchie a tre volte il loro valore di mercato, la risposta molto<br />

probabilmente sarebbe diversa. Questo è più o meno quello<br />

che succede con gli impianti di biogas. Perché spesso<br />

ci si concentra sui chilowattora prodotti dall’impianto ma non<br />

si prende in considerazione quanta energia serve per arrivare<br />

a produrli. «In molti casi – denuncia Giovanni Carrosio –<br />

il bilancio energetico degli impianti non è positivo, ma questo<br />

è un aspetto che poche volte viene evidenziato». Quando<br />

si calcola la produzione di energia di un impianto infatti<br />

si dovrebbe sottrarre l’energia consumata per coltivare il mais,<br />

irrigare il campo, alimentare i trattori per la raccolta e per<br />

il trasporto del materiale. Solo così si può avere un’idea esatta<br />

| 50 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

al massimo qualche decina. Di certo questo<br />

è un invito a nozze sia per i proprietari<br />

degli impianti sia per gli agricoltori. Questi<br />

ultimi possono vendere in blocco tutta la<br />

loro produzione di mais, trattenendosi il<br />

premio unico aziendale concesso dalla<br />

Pac e guadagnando con il contratto di remunerazione<br />

del biogas». In pratica, si<br />

trasformano in produttori di energia. Dal<br />

loro punto di vista, un modo per sopravvivere<br />

alla crisi del settore agricolo.<br />

Ma, a livello di sistema, gli aspetti<br />

preoccupanti sono più di uno. Lo spiega<br />

chiaramente Carlo Petrini, fondatore di<br />

Slow Food: «In primo luogo, si sottrae cibo<br />

a uomini e animali per produrre energia.<br />

Inoltre, la monocoltura di mais impoverisce<br />

i terreni, aumentando la necessità<br />

di concimi chimici costosi. Infine, chi produce<br />

energia può permettersi di pagare<br />

affitti <strong>dei</strong> terreni ben più alti, andando a<br />

danneggiare gli agricoltori che usano la<br />

terra per l’agricoltura alimentare e per<br />

l’allevamento».<br />

Metodi alternativi<br />

Una soluzione tutto sommato facile da<br />

applicare per fortuna esiste. «Bisogna rimodulare<br />

gli incentivi» spiega Carrosio.<br />

«In Germania, ad esempio, più fai piccolo<br />

l’impianto, più sono alti i contributi.<br />

In questo modo si scoraggia la costruzione<br />

di strutture troppo grandi. Inoltre,<br />

i contributi vanno legati all’utilizzo<br />

di sottoprodotti agricoli, come reflui,<br />

<strong>dei</strong>ezioni e scarti agricoli, e non alle materie<br />

prime. Infine, bisogna costringere<br />

a recuperare l’uso del calore prodotto<br />

dall’impianto che oggi finisce per buona<br />

parte in atmosfera». In caso contrario<br />

una tecnologia nata per essere pulita rischia<br />

di trasformarsi nell’ennesima<br />

Mecca per gli speculatori. Arrivando a<br />

un paradosso: a seconda degli impianti,<br />

per seminare, coltivare, raccogliere e<br />

trasformare il mais in biogas si può finire<br />

per consumare più energia di quella<br />

che si produce (vedi BOX ). <br />

QUANTA ENERGIA PER PRODURRE ENERGIA: BOLZANO PROVA A CALCOLARLA<br />

2010<br />

2011<br />

Per bloccare la speculazione<br />

gli incentivi vanno limitati<br />

al solo uso di scarti agricoli<br />

di quale sia l’apporto dell’impianto. Uno studio interessante,<br />

in tal senso, lo ha svolto la Provincia di Bolzano, focalizzando<br />

l’attenzione su tre <strong>dei</strong> 31 impianti presenti sul territorio:<br />

un piccolo impianto agricolo aziendale, uno di media taglia<br />

e un impianto per la trasformazione <strong>dei</strong> rifiuti solidi urbani.<br />

I calcoli sul rendimento elettrico delle tre centrali indicano,<br />

rispettivamente, una percentuale del 39, 42 e 37%. «In pratica,<br />

il bilancio energetico ci dice che per produrre un kWh<br />

se ne consuma circa 0,6» spiega Carrosio. E i tre impianti<br />

considerati nella ricerca sono da considerarsi “virtuosi” perché<br />

non utilizzano materie prime ma scarti. «Se facessimo<br />

un calcolo del bilancio energetico degli impianti da 999 kWe<br />

alimentati soprattutto da mais e altri cereali, i risultati<br />

sarebbero ben peggiori». A quel punto, giustificare i forti<br />

incentivi <strong>dei</strong> quali godono diventerebbe ancor più faticoso.


La sostenibilità<br />

viaggia a pedali<br />

di Valentina Neri<br />

Tra mille difficoltà, si moltiplicano<br />

le iniziative <strong>dei</strong> Comuni per stimolare<br />

l’uso della bicicletta in città.<br />

Le più interessanti sono state<br />

premiate con il Klimaenergy Award<br />

La differenza, a volte, si nota anche<br />

dalle piccole cose. Come l’home<br />

page del sito ufficiale di un ente<br />

pubblico. In quella del comune di Lodi,<br />

fra “Bandi, concorsi, aste e avvisi” e “Bilancio<br />

comunale”, spicca una voce: “Biciclette<br />

e piste ciclabili”. Non è che un piccolo<br />

segnale del ruolo centrale assunto<br />

dalla mobilità green nella città lombarda:<br />

non solo sul web.<br />

L’ha riconosciuto la giuria del Klima -<br />

energy Award (vedi BOX ), che ha premiato<br />

l’impegno dell’amministrazione che prosegue<br />

da sette anni su diversi fronti. Il<br />

primo, indispensabile, è quello delle piste<br />

ciclabili: una rete di circa 39 km. Ma per<br />

pedalare e camminare in tranquillità sono<br />

state introdotte anche delle zone con<br />

limite a 30 km/h e da ottobre partirà un’inedita<br />

“zona 20” nel centro storico. Alcune<br />

resistenze, spiega l’assessore all’Ambiente<br />

e alla Mobilità Simone Uggetti,<br />

«sono state inevitabili, soprattutto quando<br />

per fare una pista ciclabile si è costretti<br />

a togliere spazio ai parcheggi. Per<br />

questo cerchiamo di fare un progetto il<br />

più possibile partecipato».<br />

Al di là degli spazi servono i servizi. Come<br />

la ciclostazione in cui si può parcheggiare<br />

al sicuro vicino alla stazione ferroviaria<br />

per poi recarsi a Milano per lavoro.<br />

O ancora la ciclofficina, che oltre al parcheggio<br />

custodito offre i servizi di bike<br />

| economiasolidale | muoversi con dolcezza |<br />

FIORILLO: «SERVE UNA MOBILITÀ PIÙ DEMOCRATICA»<br />

In queste pagine presentiamo le esperienze di Comuni e associazioni che si sono<br />

messi alla prova per una mobilità sostenibile. Esperienze che – si auspica – potranno<br />

servire da esempio, visto che il panorama generale nel nostro Paese è ben diverso.<br />

O addirittura «emergenziale». Parola di Alberto Fiorillo, responsabile Aree urbane<br />

di Legambiente, che specifica: «Tranne poche eccezioni, alle amministrazioni manca<br />

la capacità di mettere mano alla mobilità per renderla a misura del territorio e<br />

soprattutto meno pericolosa e stressante per i cittadini». Si tratta di un tema che negli<br />

ultimi mesi è salito agli onori delle cronache: basti pensare alla campagna #salvaiciclisti,<br />

o agli Stati generali della bicicletta di inizio ottobre a Reggio Emilia. O ancora ad Area C<br />

(vedi <strong>Valori</strong> di febbraio 2012), che ha rivoluzionato la mobilità milanese, ma dall’altro lato<br />

ha scatenato un vespaio di controversie e ricorsi al Tar. Ma nella stragrande maggioranza<br />

<strong>dei</strong> casi, spiega Fiorillo, a cambiare abitudini e a ridurre l’uso dell’auto sono stati<br />

direttamente i cittadini. C’è chi sostiene che la crisi abbia dato una mano, così come<br />

i forti aumenti della benzina. Ma, a suo parere, «la crisi non aiuta mai» e le soluzioni<br />

ecologiche come il car sharing e i mezzi pubblici paradossalmente si sono diffuse<br />

soprattutto tra le persone benestanti che di norma abitano in zone più servite come<br />

il centro città. Per chi vive nell’hinterland, invece, abbandonare l’auto spesso non<br />

è un’opzione praticabile: le alternative mancano e la crisi non fa che complicare le cose.<br />

Le amministrazioni non hanno risorse da investire nei trasporti oppure, prosegue Fiorillo,<br />

«continuano a destinare centinaia di milioni di euro al trasporto su gomma e intanto<br />

tagliano sulle ferrovie regionali o sui mezzi pubblici urbani». Ma gli esempi non finiscono<br />

qui: «Io non contesto l’alta velocità fra Roma e Milano – afferma – ma nei giorni feriali<br />

il treno che le collega trasporta circa 25 mila passeggeri al giorno, che sono molti meno<br />

di quelli che viaggiano sulla linea 8 di Roma o in una metropolitana di Milano. Ma i costi<br />

della Tav sono incommensurabilmente più elevati. La crisi ha offerto delle opportunità,<br />

ma nessuno se le è giocate: bisognerebbe abbandonare la logica della Torino-Lione<br />

e potenziare treni e metro leggere per i pendolari».<br />

PREMIATI DALL’AMBIENTE<br />

Lodi e Caronno Pertusella sono fra i vincitori <strong>dei</strong> Klimaenergy Award, assegnati a settembre<br />

a Bolzano in occasione delle fiere Klimaenergy e Klimamobility, dedicate rispettivamente<br />

all’innovazione nel campo delle rinnovabili e alla mobilità sostenibile. Fra gli altri premiati<br />

figurano due comuni piemontesi, Buttigliera Alta e Bra, che hanno intrapreso percorsi mirati<br />

all’efficienza energetica. Ad assicurarsi un riconoscimento sono stati anche Lasa in provincia<br />

di Bolzano, che si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2, e Padova, che ha puntato sul<br />

solare, costituendo gruppi d’acquisto per incentivare le installazioni di piccoli impianti domestici.<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 51 |


FONTE: LEGAMBIENTE, L’A-BICI, SETTEMBRE 2010<br />

| economiasolidale |<br />

LE CITTÀ PIÙ AMICHE DELLA BICICLETTA<br />

40<br />

34,86<br />

35<br />

31,14<br />

30<br />

28,39 27,81<br />

24,93 24,57<br />

25<br />

22,65 22,40 22,24<br />

21,11<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

Reggio<br />

Emilia<br />

Lodi<br />

Modena<br />

Mantova<br />

Vercelli<br />

sharing, riparazioni e vendita di biciclette<br />

e ricambi. Nelle aule scolastiche non mancano<br />

le ore di educazione ambientale, con<br />

un’impronta specifica sulla mobilità. A<br />

coordinare le iniziative è l’ufficio per la<br />

Mobilità ciclistica promosso dal Comune,<br />

che lavora fianco a fianco con Ciclobby,<br />

un’associazione affiliata alla Fiab (la Federazione<br />

italiana amici della bicicletta).<br />

Proprio dalle scuole è partito Caronno<br />

Pertusella, un comune di poco più di 10<br />

mila abitanti in provincia di Varese, che,<br />

per diffondere la cultura della mobilità<br />

sostenibile, ha scelto gli spostamenti quotidiani<br />

per eccellenza: quelli degli studenti.<br />

È questo il fulcro del progetto “Tempo<br />

a ruota libera”, finanziato dalla regione<br />

Lombardia nell’ambito del Piano territoriale<br />

degli orari, che sostiene le iniziative<br />

per il coordinamento e la pianificazione<br />

<strong>dei</strong> servizi urbani. Per circa un anno sono<br />

stati organizzati laboratori di educazione<br />

alla mobilità sostenibile e consapevole,<br />

mirati ai ragazzi delle scuole elementari<br />

e medie e ai loro genitori. Un percorso<br />

– sottolinea Viviana Biscaldi, assessore<br />

ai Servizi alla persona, alla famiglia e alla<br />

solidarietà sociale – che ha coinvolto<br />

gli insegnanti e due consulenti del Comune,<br />

ma anche Lura Ambiente, la società<br />

che gestisce le risorse idriche nel territorio,<br />

e soggetti del Terzo Settore come<br />

l’Auser (associazione di volontariato attiva<br />

a livello nazionale che lavora soprattutto<br />

con gli anziani). <br />

| 52 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Cremona<br />

Ravenna<br />

Ferrara<br />

La top ten delle città italiane per indice di ciclabilità (metri ciclabili per abitante<br />

calcolati tenendo conto di: lunghezza e tipologia piste ciclabili, estensione aree<br />

pedonali e zone30, interventi di traffic calming)<br />

Forlì<br />

Cuneo<br />

LE PISTE CICLABILI NELLE CITTÀ ITALIANE<br />

40<br />

35<br />

30<br />

25<br />

20<br />

15<br />

10<br />

5<br />

0<br />

CITTÀ GRANDI CITTÀ MEDIE CITTÀ PICCOLE<br />

16,47<br />

12,97<br />

9,46<br />

8,76<br />

6,00<br />

4,34<br />

2,70<br />

1,80<br />

1,68<br />

0,69<br />

Padova<br />

Venezia<br />

Verona<br />

Bologna<br />

Torino<br />

Firenze<br />

Trieste<br />

Milano<br />

Roma<br />

Palermo<br />

Reggio Emilia<br />

Forlì<br />

Piacenza<br />

Ravenna<br />

Modena<br />

Alessandria<br />

Brescia<br />

Bolzano<br />

Ferrara<br />

Lucca<br />

Lodi<br />

Cremona<br />

Mantova<br />

Sondrio<br />

Vercelli<br />

Pordenone<br />

Pavia<br />

Verbania<br />

Cuneo<br />

Rovigo<br />

PEDALOPOLIS, BERGAMO SI RISCOPRE A DUE RUOTE<br />

Chi non ha mai fatto una pedalata su una Graziella? A Bergamo l’amarcord diventa<br />

una festa a luglio con le Grazielliadi, un evento a metà fra la competizione e la goliardia.<br />

Si tratta di una delle iniziative promosse da Pedalopolis, un’associazione di “temerari<br />

ciclisti quotidiani” che dedicano tempo ed energie alla promozione della bici, vista<br />

come mezzo privilegiato per riappropriarsi della città. Nel 2008 è stata aperta<br />

la Ciclostazione 42 alla stazione ferroviaria, che si occupa di riparazioni, servizio<br />

di custodia, vendita di accessori e pezzi di ricambio, recupero e restauro.<br />

Nel 2009 è arrivata anche la Ciclostazione <strong>dei</strong> Colli a Ponteranica. «I negozi – spiega<br />

Dennis Carrara, uno <strong>dei</strong> promotori – di norma preferiscono trattare bici di alto livello.<br />

Noi invece accogliamo anche i ragazzi, gli anziani, le persone che trovano reperti<br />

vecchissimi in cantina. A Bergamo non mancano i ciclisti della domenica né chi<br />

fornisce servizi per loro: quello che manca sono persone che considerino la bici<br />

come uno strumento quotidiano e davvero alternativo all’auto». L’obiettivo<br />

dell’associazione, insomma, è quello di sensibilizzare ad ampio spettro e fare<br />

pressione affinché si vada incontro alle esigenze di chi vuole lasciare a casa l’auto,<br />

anche in una città come Bergamo che ha una conformazione urbanistica “difficile”<br />

in cui grosse arterie a tre corsie si dirigono verso il centro. Ma le cose possono<br />

cambiare: per cominciare, ad esempio, basterebbe una rete di parcheggi più<br />

strutturata. «Noi – conclude Carrara – non premiamo tanto per le piste ciclabili,<br />

quanto per le strade ciclabili». www.pedalopolis.org<br />

35,13<br />

[metri equivalenti di piste ciclabili ogni 100 abitanti]<br />

21,53<br />

20,15<br />

20,08<br />

19,73<br />

19,11<br />

17,51<br />

17,13<br />

16,58<br />

16,08<br />

25,70<br />

25,53<br />

25,47<br />

15,20<br />

14,99<br />

14,98<br />

14,97<br />

14,68<br />

11,75<br />

8,58<br />

FONTE: ECOSISTEMA URBANO 2011 - XVIII RAPPORTO SULLA QUALITÀ AMBIENTALE<br />

DEI COMUNI CAPOLUOGO DI PROVINCIA. DATI RIFERITI AL 2010


I dubbi sulla politica fiscale<br />

L’Iva funesta<br />

Da qualche anno il dibattito sulla politica fiscale è caratterizzato dall’idea<br />

che sia opportuno uno spostamento dalle imposte sui redditi a quelle<br />

sui consumi (“dalle persone alle cose”). Questo sembra effettivamente<br />

essere stato uno <strong>dei</strong> criteri guida delle politiche fiscali adottate sia dal governo<br />

Berlusconi sia dal governo Monti. Solitamente chi sostiene questo tipo di<br />

politica (il Fondo Monetario internazionale<br />

primo fra tutti) lo fa perché in<br />

un’Unione monetaria la variazione delle<br />

aliquote Iva rappresenta il miglior<br />

succedaneo possibile della svalutazione<br />

monetaria, se accompagnata da una<br />

riduzione del cuneo fiscale sul lavoro.<br />

Per la maggior parte <strong>dei</strong> beni, infatti, l’aliquota<br />

nazionale si applica alle importazioni,<br />

mentre, come noto, le esportazioni<br />

sono non imponibili. Se gli sgravi<br />

sul costo del lavoro si trasferiscono sui<br />

prezzi delle imprese nazionali, la manovra<br />

determina una riduzione <strong>dei</strong> prezzi<br />

relativi della produzione domestica e<br />

un conseguente guadagno di competitività.<br />

Secondo i dati Eurostat nella Ue<br />

l’aliquota Iva ordinaria è mediamente<br />

aumentata nel corso del triennio 2009-<br />

2011 di 2,5 punti percentuali.<br />

Tuttavia questo tipo di manovra<br />

presenta <strong>dei</strong> seri problemi. In primo<br />

luogo va considerato che la base imponibile<br />

dell’Iva è costituita per il 70% dai<br />

consumi delle famiglie italiane. Ovviamente<br />

la struttura <strong>dei</strong> consumi delle famiglie<br />

povere è diversa da quella delle<br />

famiglie ricche. Se si volesse ridurre la<br />

diseguaglianza, le aliquote dell’Iva dovrebbero<br />

basarsi sulle caratteristiche<br />

distributive <strong>dei</strong> consumi: beni e servizi<br />

consumati maggiormente dai più poveri<br />

dovrebbero essere tassati con aliquo-<br />

Per ridurre le diseguaglianze,<br />

servirebbero aliquote più<br />

alte solo per i beni di lusso<br />

te inferiori rispetto ai “beni di lusso”, e<br />

viceversa. Ma tale differenziazione è<br />

fortemente limitata dal quadro istituzionale<br />

europeo, in cui gli Stati possono<br />

muoversi entro limiti angusti e non<br />

possono creare nuove aliquote. L’aumento<br />

dell’aliquota Iva ordinaria, realizzata<br />

recentemente in Italia con il<br />

passaggio dal 20 al 21% e in altri Paesi, finisce<br />

per colpire non solo i cosiddetti<br />

beni di lusso, ma, soprattutto, i consumi<br />

ordinari delle famiglie italiane.<br />

C’è poi un secondo problema. L’aumento<br />

dell’aliquota Iva può far aumentare<br />

l’evasione, perché incrementa la<br />

di Alessandro Santoro<br />

| valorifiscali |<br />

convenienza di venditore e compratore<br />

a occultare la transazione. Secondo alcuni<br />

osservatori questo fenomeno si è<br />

già pesantemente manifestato negli ultimi<br />

mesi del 2011 e nei primi mesi del<br />

2012, ed è esattamente questa la causa<br />

della riduzione del gettito Iva di proporzioni<br />

ben maggiori rispetto al calo<br />

<strong>dei</strong> consumi.<br />

Infine l’aumento dell’Iva corrisponde<br />

a un aumento <strong>dei</strong> prezzi e, quindi, ha<br />

un effetto depressivo, sebbene questo<br />

elemento vada combinato con la deflazione<br />

osservata in alcuni settori.<br />

Fino a pochi mesi fa era previsto un<br />

ulteriore inasprimento dell’aliquota Iva<br />

ordinaria, che doveva passare dal 21% al<br />

23%, e di quella ridotta per cui era previsto<br />

un incremento dal 10 al 12%. A quanto<br />

sembra dalla Legge di Stabilità presentata<br />

dal governo, questi aumenti<br />

saranno (almeno parzialmente) evitati<br />

grazie ai tagli di spesa. Si tratta, in linea<br />

di principio, di una buona notizia. Gli<br />

aspetti negativi sul piano dell’equità e<br />

dell’evasione sono probabilmente superiori<br />

al potenziale competitivo della<br />

manovra. Tuttavia l’equità di un taglio<br />

di spesa non è per definizione maggiore<br />

rispetto a quella di un aumento di imposte:<br />

va verificato quali spese vengono<br />

tagliate e a danno di chi. Su questo<br />

aspetto torneremo prossimamente. <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 53 |


OLIVIER DOULIERY / ABACA PRESS / MCT / PHOTOSHOT<br />

internazionale<br />

Lo sporco business delle cavie umane > 59<br />

Libia: colonialismo e “guerra umanitaria” > 61<br />

Brasile di terra, business e pallottole > 63<br />

| 54 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


Paperini e<br />

Paperoni<br />

Volontari e gadgets, un binomio inscindibile<br />

delle campagne presidenziali Usa<br />

Una pioggia di fondi sulla campagna<br />

elettorale per le presidenziali<br />

americane. Barack Obama potrebbe<br />

superare il miliardo di dollari. Per lui<br />

il sostegno <strong>dei</strong> singoli cittadini, delle<br />

università, <strong>dei</strong> sindacati e <strong>dei</strong> vip. Mitt<br />

Romney invece raccoglie fondi dai<br />

ricconi e dai big della finanza<br />

Chi finanzia il<br />

nuovo<br />

presidente?<br />

di Mariangela Tessa<br />

| elezioni Usa |<br />

Èstata una partita giocata a colpi<br />

di milioni di dollari quella tra Barack<br />

Obama e lo sfidante repubblicano<br />

Mitt Romney nelle presidenziali<br />

americane. Quando <strong>Valori</strong> andrà in edicola<br />

i lettori sapranno chi, tra i due contendenti,<br />

si è aggiudicato l’ingresso alla<br />

Casa Bianca. Ad oggi (22 ottobre), la competizione<br />

resta ancora aperta con l’ultimo<br />

sondaggio Nbc-Wall Street Journal<br />

che indica Obama e Romney pari al 47%<br />

<strong>dei</strong> consensi. Pur nell’incertezza dell’esito<br />

finale, una cosa tuttavia appare sicura:<br />

mai, nella storia degli Stati Uniti, si erano<br />

visti così tanti soldi affluire nelle tasche<br />

di due candidati in corsa alla Casa Bianca.<br />

Se le previsioni dovessero rivelarsi<br />

corrette, Obama, finora vero vincitore<br />

nel fundraising, chiuderà la campagna<br />

superando il miliardo di dollari di donazioni,<br />

ben oltre le più rosee aspettative.<br />

Due anni fa i responsabili della sua campagna<br />

elettorale avevano affermato di<br />

puntare a 750 milioni di dollari, una cifra<br />

di fatto ampiamente superata già a<br />

fine agosto. Ma chi sono stati i grandi finanziatori<br />

della campagna elettorale<br />

più ricca nella storia degli Stati Uniti?<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 55 |


| internazionale |<br />

Da un lato i Paperoni d’America<br />

e le banche…<br />

Uno sguardo veloce ai dati pubblicati dal<br />

centro studi indipendente Center for Responsive<br />

Politics sul sito OpenSecret<br />

conferma quella che, sin dalle prime battute<br />

di questa tornata elettorale, era ap-<br />

REGOLE PER I FINANZIAMENTI<br />

| 56 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

parsa come una strada già segnata: se i<br />

micro-finanziamenti si sono rivelati, come<br />

nelle precedenti elezioni, la vera gallina<br />

d’oro di Obama, la fortuna di Romney<br />

è arrivata dai SuperPac. È, infatti,<br />

tramite Restore our future (questo il nome<br />

del principale SuperPac che sostiene<br />

Mentre in Italia infuriano gli scandali e le polemiche sul finanziamento<br />

pubblico ai partiti, negli Stati Uniti solo una piccola fetta <strong>dei</strong> fondi<br />

per la campagna elettorale arriva dallo Stato. Gran parte <strong>dei</strong> milioni di dollari<br />

affluiti nelle tasche <strong>dei</strong> due candidati e <strong>dei</strong> rispettivi partiti arrivano infatti<br />

da donazioni private, dai Pac (Political action committee) e dai SuperPac.<br />

Vediamo come funziona. Per ogni cittadino americano viene fissato un tetto<br />

di contributo pari a 2.500 dollari per le primarie. Una volta che le Convention<br />

hanno designato i candidati alle elezioni si possono donare altri 2.500 dollari.<br />

Allo stesso tempo, ogni elettore può finanziare i comitati elettorali del partito<br />

per una cifra non superiore ai 30.800 dollari l’anno.<br />

Uno <strong>dei</strong> punti di forza delle due campagne elettorali di Obama (2008 e 2012)<br />

è stato quello di poter contare su un diffuso numero di micro finanziamenti<br />

(le donazioni partono da 3 dollari). Al contrario, l’ex governatore<br />

del Massachusetts Mitt Romney ha largamente beneficiato di una decisione<br />

presa dalla Corte Suprema americana nel 2010 che ha tolto i freni<br />

ai finanziamenti della campagna elettorale per il Congresso o la Casa Bianca,<br />

spianando la strada alla nascita <strong>dei</strong> SuperPac. Si tratta in pratica, di cartelli<br />

elettorali in cui, da due anni a questa parte, finiscono montagne di soldi<br />

per lo più provenienti dai magnati dell’industria e della finanza a stelle<br />

e strisce. Si differenziano dai tradizionali Pac, in quanto questi ultimi non<br />

possono accettare donazioni da aziende e hanno un limite di 5 mila dollari per<br />

quelle provenienti da individui singoli.<br />

I TOP DONORS DI OBAMA<br />

1 Università della California $ 706,931<br />

2 Microsoft Corp $ 544,445<br />

3 Google Inc $ 526,009<br />

4 Università di Harvard $ 433,860<br />

5 Governo Usa $ 389,100<br />

I TOP DONORS DI MITT ROMNEY<br />

1 Goldman Sachs $ 891,140<br />

2 Bank of America $ 668,139<br />

3 JPMorgan Chase & Co $ 663,219<br />

4 Morgan Stanley $ 649,847<br />

5 Credit Suisse Group $ 554,066<br />

I finanziamenti riportati nella tabella non arrivano dagli enti in sé, ma rappresentano l’ammontare delle<br />

singole donazioni effettuate dai singoli dipendenti e <strong>dei</strong> familiari delle istituzioni.<br />

FONTE: DATI OPENSECRET.COM RIELABORATI DA FEDERAL ELECTION COMMISSION (AGGIORNATI ALL’1 OTTOBRE 2012)<br />

MARIANGELA TESSA<br />

Romney) che l’ex governatore del Massachusetts<br />

ha raccolto circa 144,7 milioni<br />

di dollari provenienti per lo più dalle tasche<br />

<strong>dei</strong> paperoni d’America. Una cifra<br />

che fa impallidire i 44,3 milioni accumulati<br />

da Priorities Usa, il cartello elettorale<br />

a sostegno di Obama.<br />

ALASKA<br />

D $ 1,078,091<br />

R $ 1,313,993<br />

HAWAII<br />

D $ 5,212,524<br />

R $ 2,708,909<br />

FINANZIATORI DEMOCRATICI<br />

E REPUBBLICANI DEGLI USA<br />

WASHINGTON<br />

D $ 21,240,190<br />

R $ 14,419,396<br />

OREGON<br />

D $ 7,581,217<br />

R $ 6,523,078<br />

NEVADA<br />

D $ 7,041,601<br />

R $ 13,368,443<br />

CALIFORNIA<br />

D $ 145,214,728<br />

R $ 108,643,591


MARIANGELA TESSA<br />

Tra i donatori più generosi del candidato<br />

mormone spicca il re <strong>dei</strong> Casinò,<br />

Sheldon Adelson che, insieme alla moglie<br />

Miriam, ha staccato un assegno da<br />

40 milioni di dollari. Tra i top donors<br />

spiccano tra gli altri William Bill Koch,<br />

fratello degli ancora più ricchi David e<br />

NORTH DAKOTA<br />

D $ 906,517<br />

R $ 2,718,269<br />

IDAHO<br />

SOUTH DAKOTA<br />

D $ 713,184<br />

D $ 787,095<br />

R $ 3,886,705<br />

R $ 3,343,671<br />

UTAH<br />

NEBRASKA<br />

D $ 2,418,667<br />

D $ 2,468,138<br />

R $ 12,908,181<br />

R $ 6,325,818<br />

MONTANA<br />

D $ 2,742,284<br />

R $ 3,462,300<br />

IOWA<br />

D $ 4,132,770<br />

WYOMING<br />

R $ 6,316,149<br />

D $ 1,025,011<br />

R $ 4,273,674<br />

ARIZONA<br />

D $ 9,624,778<br />

R $ 21,469,361<br />

NEW MEXICO<br />

D $ 6,529,584<br />

R $ 5,413,023<br />

MINNESOTA<br />

D $ 13,322,535<br />

R $ 14,210,102<br />

KANSAS<br />

D $ 2,673,861<br />

R $ 8,003,70<br />

OKLAHOMA<br />

D $ 3,195,242<br />

R $ 13,861,977<br />

TEXAS<br />

D $ 42,587,315<br />

R $ 124,150,262<br />

COLORADO<br />

D $ 13,852,927<br />

R $ 20,548,315<br />

WISCONSIN<br />

D $ 19,750,469<br />

R $ 12,166,827<br />

ILLINOIS<br />

D $ 44,447,402<br />

R $ 46,957,885<br />

MARIANGELA TESSA<br />

TENNESSEE<br />

D $ 6,049,115<br />

R $ 25,641,888<br />

ALABAMA<br />

D $ 2,856,214<br />

R $ 11,812,774<br />

MISSISSIPPI<br />

D $ 837,946<br />

R $ 6,454,465<br />

MISSOURI<br />

D $ 10,627,302<br />

R $ 20,816,456<br />

ARKANSAS<br />

D $ 2,999,817<br />

R $ 7,195,280<br />

LOUISIANA<br />

D $ 3,638,405<br />

R $ 16,226,997<br />

Charles, tra i maggiori sostenitori del<br />

movimento del Tea Party. E ancora Bob<br />

Perry, imprenditore edile texano e Jim<br />

Davis, proprietario del marchio di scarpe<br />

New Balance. La lista, decisamente<br />

lunga, mette insieme un nutrito club di<br />

miliardari che per diverse ragioni e in-<br />

WEST VIRGINIA<br />

D $ 1,905,335<br />

R $ 4,390,285<br />

INDIANA<br />

VIRGINIA<br />

D $ 5,604,747<br />

D $ 43,761,481<br />

R $ 17,252,096 R $ 73,840,457<br />

MICHIGAN<br />

PENNSYLVANIA<br />

D $ 17,087,576<br />

D $ 27,331,910<br />

R $ 31,348,418 R $ 36,200,564<br />

OHIO<br />

NEW YORK<br />

D $ 15,031,459 D $ 107,365,803<br />

R $ 36,742,707 R $ 75,151,208<br />

KENTUCKY VERMONT MAINE<br />

D $ 6,713,056<br />

D $ 3,640,210 D $ 3,759,447<br />

R $ 9,241,305 R $ 531,547 R $ 1,959,563<br />

NEW JERSEY CONNECTICUT<br />

D $ 24,443,198 D $ 19,981,363<br />

R $ 25,642,899 R $ 25,077,353<br />

DELAWARE DISTRICT<br />

D $ 2,852,613 OF COLUMBIA<br />

R $ 2,192,253 D $ 110,900,498<br />

R $ 85,438,720<br />

MARYLAND<br />

D $ 35,664,069<br />

R $ 17,832,247<br />

NORTH CAROLINA<br />

D $ 10,797,352<br />

R $ 18,448,533<br />

SOUTH CAROLINA<br />

D $ 3,575,267<br />

GEORGIA<br />

R $ 9,106,053<br />

D $ 11,877,472<br />

R $ 26,582,443<br />

FLORIDA<br />

D $ 43,212,505<br />

R $ 86,701,085<br />

NEW HAMPSHIRE<br />

D $ 3,445,981<br />

R $ 3,976,106<br />

MASSACHUSETTS<br />

D $ 42,393,549<br />

R $ 34,028,054<br />

FONTE: DATI FEDERAL ELECTION COMMISSION AGGIORNATI ALL’1 OTTOBRE 2012<br />

| internazionale |<br />

teressi hanno deciso di scommettere<br />

sul candidato repubblicano.<br />

Al di fuori <strong>dei</strong> SuperPac, Romney ha<br />

goduto del supporto incondizionato dalla<br />

lobby di Wall Street. È sufficiente<br />

guardare la classifica <strong>dei</strong> cinque top donors<br />

per rendersi conto che, tra le protagoniste<br />

indiscusse della corsa del candidato<br />

repubblicano, è stata la comunità<br />

delle banche statunitensi. Da sempre tiepide<br />

nei confronti della riforma di Wall<br />

Street e nella speranza di ottenere leggi<br />

più permissive, Goldman Sachs & co.<br />

hanno staccato assegni a sei zeri pur di<br />

liberarsi del fautore della tanto odiata<br />

legge Dodd-Frank.<br />

…dall’altro la gente comune<br />

e i divi di Hollywood<br />

Se Wall Street ha giocato la parte del<br />

leone nella corsa di Romney, come dicevamo,<br />

la fetta più grossa <strong>dei</strong> fondi di<br />

Obama è arrivata dalle piccole donazioni<br />

(in pratica quelle sotto i 200 dollari):<br />

162 milioni dollari contro gli appena<br />

46 milioni dello sfidante. Non meno<br />

significativo è stato il sostegno arrivato<br />

dall’industria hi-tech. Ripetendo un<br />

copione già visto nel 2008, Obama ha<br />

fatto incetta di donazioni arrivate dai<br />

dipendenti delle maggiori industrie hitech<br />

del paese (Microsoft e Google in<br />

testa). Altrettanto significativo è stato<br />

il sostegno della comunità accademica<br />

(Università della California e Harvard<br />

in testa). E, per finire, quello <strong>dei</strong> dipendenti<br />

del governo federale, chiaramente<br />

interessati a conservare il loro posto<br />

di lavoro.<br />

Meno ricco rispetto a quello di Romney,<br />

il principale SuperPac di Obama,<br />

Priorities Usa, sembra secondo le stime<br />

destinato a rivelarsi decisivo in queste<br />

ultime settimane. La discesa in campo di<br />

George Soros che, pochi giorni fa, ha versato<br />

un milione di dollari al cartello del<br />

Presidente in carica potrebbe, secondo<br />

la stampa americana, spingere altri ricchi<br />

sostenitori del partito democratico<br />

a effettuare donazioni sostanziose in<br />

queste ultime battute della campagna<br />

elettorale che sarà ricordata per essere<br />

stata finora la più ricca nella storia degli<br />

Stati Uniti. <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 57 |


| internazionale |<br />

Se un mormone<br />

sale alla Casa Bianca<br />

di Corrado Fontana<br />

Mitt Romney in corsa per la presidenza americana è un mormone. Mentre la sua Chiesa predica neutralità politica,<br />

alcuni temono che la sua fede possa condizionarne la politica sociale<br />

Il 70% degli americani partecipa a<br />

una funzione religiosa la domenica<br />

(in Europa e Italia il 18-20%) e il 91%<br />

ritiene che Dio abbia un ruolo importante<br />

nella propria vita (da noi il 50%). Oggi<br />

la religione si fa tema caldo negli Usa,<br />

con il repubblicano Mitt Romney, fedele<br />

LA FINANZA RIVELATA<br />

| 58 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

mormone, che ha sfidato Barack Obama<br />

alle presidenziali. Anche perché, ricorda<br />

Luigi Marco Bassani, professore di Storia<br />

delle dottrine politiche alla Statale di<br />

Milano specializzato sugli Usa, «Obama<br />

ha portato a una diminuzione dell’importanza<br />

della religione nella politica e<br />

Circa 40 miliardi di dollari: questo il valore complessivo della Chiesa di Gesù<br />

Cristo e <strong>dei</strong> Santi degli ultimi giorni secondo un articolo di Caroline Winter uscito<br />

per Bloomberg Businessweek. La giornalista la assimila a una multinazionale al cui<br />

vertice è la Società del presidente della Chiesa di Gesù Cristo <strong>dei</strong> Santi degli ultimi<br />

giorni, che fa capo a un solo individuo, oggi Thomas Spencer Monson, sedicesimo<br />

presidente della Chiesa, e controlla, tramite holdings, diverse attività. Ad esempio<br />

un parco divertimenti a tema polinesiano a Oahu, nelle Hawaii (23 milioni di dollari<br />

l’anno in biglietti d’ingresso e 36 milioni di dollari esentasse in donazioni). Proprio<br />

l’esenzione fiscale parrebbe essere – scrive la Winter – un affare assai lucroso per<br />

i Mormoni: niente tasse, infatti, sulle donazioni <strong>dei</strong> fedeli, che secondo un’inchiesta<br />

di Time sarebbero pari a 5 miliardi di dollari l’anno. E niente tasse anche sulle<br />

azioni: attraverso la società Bain Capital proprio Mitt Romney fece arrivare alla<br />

Chiesa milioni di azioni di Burger King e Domino’s Pizza, rivendute senza pagare<br />

nulla sui guadagni ottenuti. Ma la Chiesa possiede anche il fondo d’investimento<br />

Ensign Peak Advisors, la società di gestione immobiliare Utah Property<br />

Management Associates e la Deseret Management Corporation, holding che<br />

partecipa in giornali, stazioni radio e varie attività lucrative.<br />

21.000 fedeli riempiono il Centro Conferenze<br />

di Salt Lake City durante la Conferenza Generale Tempio Mormone. Roma, Italia<br />

di questo si avvantaggia ora il suo avversario».<br />

La Chiesa di Gesù Cristo e <strong>dei</strong> Santi degli<br />

ultimi giorni – nome ufficiale <strong>dei</strong> Mormoni<br />

– nasce ad opera di Joseph Smith<br />

nel 1830. Col successore Brigham Young, i<br />

Mormoni si trasferiscono nello Utah fondando<br />

Salt Lake City, base della loro diffusione<br />

(quasi 15 milioni nel mondo, oltre<br />

6 milioni negli Usa, circa 25 mila in Italia).<br />

Alcuni precetti di questa fede destano<br />

qualche perplessità, se si pensa che<br />

potrebbero influenzare il possibile presidente<br />

degli Stati Uniti. Recentemente il<br />

New York Times ha lanciato un sospetto<br />

di razzismo: ricordando che il sacerdozio<br />

fu aperto ai membri di colore della Chiesa<br />

<strong>dei</strong> Mormoni solo nel 1978. Un fattore<br />

che si aggiunge agli atteggiamenti tenuti<br />

da alcune frange fondamentaliste, nonostante<br />

l’egualitarismo predicato dal<br />

Smith. L’etica familiare è al centro della<br />

società <strong>dei</strong> Mormoni: all’uomo meritevole<br />

onere e onore del sacerdozio, per la<br />

donna una certa immagine di angelo del<br />

focolare. E poi il rifiuto di alcol, caffeina,<br />

tabacco e droga; l’invito alla sobrietà contro<br />

il consumismo sfrenato; la riprovazione<br />

per la contrazione di debiti che non<br />

siano per la propria casa. Ma i precetti si<br />

sono adattati all’evolversi <strong>dei</strong> tempi. La<br />

poligamia, sostenuta per fini dichiarati di<br />

ripopolamento bianco delle terre americane<br />

dell’Ovest, ha subito una virata che<br />

evitò il conflitto con le autorità. E in politica?<br />

I Mormoni predicano assoluta neutralità.<br />

www.media-mormoni.it


Lo sporco business<br />

delle cavie umane<br />

di Andrea Barolini<br />

L’industria farmaceutica delocalizza i test sui farmaci, per risparmiare costi<br />

e tempo. Sfruttando anche normative assurde, come quella che ha fatto<br />

nascere in India un fenomeno molto simile a una nuova forma di colonialismo<br />

dottore ci disse che bastava<br />

firmare un documento per ri- «Il<br />

cevere le cure di cui aveva bisogno<br />

mio padre, e che in questo modo sarebbe<br />

guarito completamente. Ma papà<br />

non sapeva leggere molto bene, è andato a<br />

scuola solo fino a 9 anni». A parlare è Pradeep<br />

Gehlot, ragazzo indiano figlio di Krishna,<br />

61enne malato cronico di asma. Dal<br />

2009 aveva accettato la proposta di uno<br />

pneumologo di un ospedale pubblico di seguire<br />

un “trattamento gratuito”. In realtà<br />

era stato inserito in uno delle decine di migliaia<br />

di test alle quali le multinazionali del<br />

farmaco sottopongono cittadini indiani.<br />

Era diventato una cavia umana. Con la<br />

complicità della legge locale.<br />

UN TAPPETO ROSSO INDIANO PER BIG PHARMA<br />

In India prima del 2005 i test dovevano essere effettuati<br />

rispettando tre fasi. La prima prevedeva un controllo sulla<br />

tolleranza ai medicinali; la seconda sull’efficacia. La terza,<br />

la più onerosa in termini economici, era costituita da una<br />

comparazione tra l’efficacia del farmaco rispetto ad alcuni<br />

placebo su una popolazione compresa tra mille e tremila<br />

pazienti. Una riforma della legge ha consentito però alle<br />

multinazionali di passare direttamente alla fase tre,<br />

a patto che le prime due siano state approvate in un altro<br />

Paese. Una manna per le case farmaceutiche, dal<br />

momento che per trovare in Europa o negli Usa malati<br />

disposti a sottoporsi ai test occorre molto più tempo<br />

(e denaro: i pazienti devono essere rimborsati con migliaia<br />

di euro a testa all’anno). In India basta qualche settimana,<br />

e (neppure sempre) qualche decina di euro.<br />

Nello specifico – ha rivelato di recente<br />

un’inchiesta del mensile francese Alternatives<br />

Economiques – la “cura” consisteva<br />

nella somministrazione di un nuovo<br />

broncodilatatore, l’Olodarerol, sviluppato<br />

dal secondo più importante laboratorio<br />

tedesco: Boehringer Ingelheim. Krishna<br />

è morto a gennaio, proprio poco dopo<br />

aver saputo che il medicinale che aveva<br />

assunto per un anno non era mai stato<br />

approvato in India.<br />

India: il Paese <strong>dei</strong> test<br />

Storie come questa, nell’immenso Paese<br />

dell’Asia meridionale, sono sempre più<br />

frequenti. Il Washington Post ha raccontato<br />

ad esempio la vicenda dell’ottanten-<br />

| internazionale | test farmaceutici|<br />

ne Shrad Geete. Due mesi dopo aver perso<br />

la moglie, malata di Alzheimer, scoprì<br />

che era stata inserita in un trattamento<br />

di prova: «Il medico ci disse che i farmaci<br />

sarebbero stati concessi gratuitamente,<br />

e che si trattava di medicinali che sarebbero<br />

stati lanciati a breve da una<br />

compagnia straniera. Non spiegò che si<br />

trattava di un test. Se lo avessi saputo,<br />

pensate che avrei corso il rischio?». L’India<br />

è diventata la meta privilegiata <strong>dei</strong><br />

colossi globali del farmaco, che preferiscono<br />

“delocalizzare” la morte, dando vita<br />

a una nuova forma di vero e proprio<br />

colonialismo, nata nel 2005, quando fu<br />

introdotta una riforma che semplificava<br />

fortemente la conduzione di trattamenti<br />

di prova nel Paese (vedi BOX ).<br />

Da allora e fino al 2010, solamente a Indore,<br />

città dove viveva Krishna Gehlot,<br />

sono stati realizzati 3.300 test clinici, per<br />

conto di 30 compagnie (tra le quali 22 mul-<br />

EVOLUZIONE DEL MERCATO<br />

DEI TEST CLINICI ESTERNALIZZATI IN INDIA [in milioni di dollari]<br />

650<br />

575<br />

500<br />

425<br />

350<br />

275<br />

200<br />

125<br />

50<br />

94,5<br />

2005<br />

123,5<br />

2006<br />

161,2<br />

2007<br />

210,6<br />

2008<br />

275,0<br />

2009<br />

360,0<br />

2010<br />

468,0<br />

2011<br />

608,4<br />

2012<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 59 |<br />

FONTE: ZINNOV MANAGEMENT CONSULTING


| internazionale |<br />

tinazionali). Un rapporto delle autorità<br />

locali ha spiegato che la metà di tali trattamenti<br />

è stata effettuata senza un assenso<br />

formale da parte <strong>dei</strong> malati. Di questi,<br />

81 persone – tra cui anche bambini e<br />

portatori di handicap – hanno subito gravi<br />

effetti collaterali; 33 sono morti. E nessuno,<br />

ad oggi, ha ricevuto un indennizzo.<br />

Una situazione che, allargata all’India<br />

intera, ha assunto i contorni di un massacro.<br />

Tanto da costringere, nell’agosto<br />

scorso, il ministro della Sanità di Nuova<br />

Delhi, Ghulam Nabi Azad, a sciorinarne le<br />

agghiaccianti statistiche: solo nei primi<br />

sei mesi di quest’anno sono 211 i decessi<br />

provocati dai test. Nel 2011 i casi sono stati<br />

438; 668 l’anno precedente. Le vittime<br />

vengono gelidamente classificate con la<br />

sigla Sae: Serious Adverse Events (letteralmente,<br />

gravi eventi avversi). Come se<br />

a ucciderle fosse stato un terremoto o<br />

un’inondazione, e non una scelta drammaticamente<br />

lucida, che chiama in causa<br />

aziende, governo indiano e regolatori, locali<br />

e internazionali.<br />

Azad ha spiegato che sono state apportate<br />

modifiche alla legge: ora ogni test<br />

è registrato dal Consiglio indiano per la<br />

Ricerca Medica e alle case farmaceutiche<br />

è imposto l’obbligo di fornire cure ai malati<br />

e rimborsi alle famiglie <strong>dei</strong> deceduti.<br />

Guadagni per le multinazionali<br />

Nel frattempo, però, la quota di cavie<br />

umane indiane, sottoposte attualmente<br />

a test, è pari a oltre 200 mila persone. Un<br />

mercato da 500 milioni di euro, in cresci-<br />

| 60 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

ta del 30% ogni anno. E solo alle famiglie<br />

di 22 vittime sono arrivati risarcimenti<br />

dalle compagnie di Usa ed Europa (a cifre<br />

in ogni caso indecenti, comprese tra 2<br />

e 20 mila dollari).<br />

Ma l’India non è l’unica meta del business<br />

delle cavie umane. Uno studio realizzato<br />

dal Centro olandese per la Ricerca<br />

sulle Multinazionali (Somo) ha rivelato<br />

che il 37% <strong>dei</strong> pazienti sottoposti a test<br />

clinici su nuovi farmaci (sottomessi all’approvazione<br />

delle autorità europee) risiede<br />

in Europa dell’Est, Russia, America<br />

Latina e Cina (oltre alla stessa India). Percentuale<br />

che, per le compagnie degli Stati<br />

Uniti, sale al 60%.<br />

Nel sottolineare come sia fondamentale<br />

stabilire regole ferree per i test e co-<br />

ALLE COMPAGNIE MULTE PER 11 MILIARDI DI DOLLARI<br />

L’industria farmaceutica globale, nel suo complesso,<br />

ha ricevuto negli ultimi tre anni multe per illeciti di vario<br />

genere pari a 11 miliardi di dollari. Complessivamente, hanno<br />

spiegato recentemente due ricerche pubblicate sul New<br />

England Journal of Medicine, 26 compagnie – tra le quali<br />

figurano otto delle prime dieci a livello mondiale – si sono<br />

macchiate di comportamenti giudicati “criminali”.<br />

La sanzione più onerosa – tre miliardi di dollari – è stata<br />

comminata al colosso inglese GlaxoSmith-Kline nello<br />

scorso mese di luglio; Pfizer ha raggiunto i 2,3 miliardi,<br />

Novartis i 420 milioni, Abbott Laboratories gli 1,5 miliardi.<br />

Tra gli illeciti figura l’aver nascosto dati utili per garantire<br />

la sicurezza <strong>dei</strong> malati, o la promozione<br />

FRANCIA, UNO STUDIO GIUDICA INUTILE IL 50% DEI MEDICINALI<br />

Un medicinale su due tra quelli distribuiti in Francia sarebbe inutile se non<br />

dannoso. A rivelarlo è un libro pubblicato da un medico specialista, Philippe<br />

Even (direttore dell’Istituto Necker), insieme a un parlamentare transalpino.<br />

E, hanno specificato i due, «non si tratta di un libro di opinioni, bensì di un testo<br />

informativo, frutto dell’analisi di migliaia e migliaia di pubblicazioni».<br />

Diventato un best seller in poche settimane, il libro indica un elenco di 4 mila<br />

farmaci giudicati inutili: in particolare nel mirino ci sono numerosi medicinali<br />

contro il colesterolo, fortemente diffusi in Francia (li assumono tra i 3 e i 5<br />

milioni di persone) e capaci di generare un giro d’affari da 2 miliardi di euro<br />

all’anno. Per Even ciò è sufficiente per definire quella farmaceutica «la più<br />

lucrativa, la più cinica e la meno etica di tutte le industrie».<br />

Il medico sottolinea inoltre come la maggior parte <strong>dei</strong> farmaci inutili sia<br />

rimborsata dal servizio sanitario pubblico, il che porta alla conclusione che per<br />

risolvere il problema <strong>dei</strong> finanziamenti alla sanità, sarebbe sufficiente eliminare<br />

dal commercio i medicinali non necessari. A.Bar.<br />

me sia complesso il problema, il Somo ha<br />

ricordato i casi dell’Abilify e del Seroquel,<br />

sviluppati da Bristol-Myers Squibb<br />

e da AstraZeneca. Si tratta di anti-schizofrenici<br />

testati in Sudamerica, Asia e<br />

Africa tra il 2003 e il 2005, attraverso la<br />

somministrazione di alcune sostanze<br />

placebo a una parte <strong>dei</strong> malati. Pratica<br />

che, però, proprio per via <strong>dei</strong> gravi rischi<br />

psicologici che possono insorgere nei<br />

pazienti schizofrenici, è stata vietata in<br />

Europa. Così le multinazionali possono<br />

risparmiare tempo, denaro e agire nell’ombra.<br />

Senza “effetti collaterali”: nonostante<br />

il modo in cui vennero effettuati<br />

i test, l’Abilify e il Seroquel sono<br />

stati approvati e oggi sono regolarmente<br />

in commercio. <br />

di farmaci al di là di ciò che è consentito dalle licenze.<br />

Abbott, ad esempio, ha sostenuto un farmaco,<br />

il Depakote, senza che esistessero adeguate prove<br />

della sua efficacia.<br />

Le cifre, però, non devono ingannare: le multe difficilmente<br />

saranno in grado di convincere la lobby farmaceutica<br />

a modificare le proprie “abitudini”. Per Gsk, ad esempio,<br />

le sanzioni non rappresentano che il 10,8% <strong>dei</strong> propri<br />

ricavi. Inoltre, ha spiegato al quotidiano britannico<br />

The Independent Kevin Outterson, dell’Università di Boston,<br />

«nessun dirigente è stato mai giudicato responsabile<br />

a livello individuale. Per i colossi del settore si tratta solo<br />

di rinunciare a una piccola quota <strong>dei</strong> loro guadagni». A.Bar.


| internazionale | osservatorio medio oriente/Libia |<br />

Dall’occupazione coloniale<br />

alla “guerra umanitaria”<br />

di Paola Baiocchi<br />

L’eliminazione di Gheddafi<br />

e la disgregazione della Libia sono<br />

segni della volontà occidentale<br />

di chiudere definitivamente<br />

la stagione delle indipendenze<br />

dal colonialismo, declinate<br />

su un ideale panarabo di identità<br />

culturale non basata sulla religione<br />

Mentre divampavano i disordini<br />

in Algeria, Tunisia ed Egitto durante<br />

lo scorso anno, molti osservatori<br />

erano pronti a giurare che il<br />

“contagio” non sarebbe arrivato alla Libia:<br />

largo il consenso popolare a Gheddafi,<br />

ben redistribuiti i proventi del petrolio<br />

nella società, solido l’appoggio dell’esercito<br />

al colonnello, lui stesso riabilitato dalla<br />

comunità internazionale dopo gli anni<br />

dell’embargo perché considerato uno<br />

Stato canaglia. Eppure il 2011 non si era<br />

ancora concluso quando il 20 ottobre<br />

Muammar al-Gheddafi veniva ucciso nei<br />

pressi della sua città natale, Sirte, e le immagini<br />

del suo corpo denudato e seviziato<br />

facevano il giro del mondo, impietosamente<br />

pubblicate da tutti i media.<br />

Cosa ha reso possibile il precipitare così<br />

rapido della situazione e il ribaltamento<br />

dell’immagine mediatica di Gheddafi, passato<br />

in pochi mesi da alleato strategico<br />

dell’Italia nel respingimento <strong>dei</strong> clandestini,<br />

da partner commerciale di rilievo per la<br />

Francia, a “massacratore della sua gente”?<br />

Finanziatore di Sarkozy<br />

Sono del dicembre 2007 le fotografie di<br />

Gheddafi a Parigi, ricevuto dal neoeletto<br />

presidente Sarkozy. A 34 anni di distanza<br />

dal suo ultimo viaggio in Francia, al colonnello<br />

vengono riservati gli onori ufficiali<br />

e cinque giorni di firme di trattati<br />

commerciali, di incontri con gli intellettuali,<br />

una visita all’Unesco e anche una<br />

battuta di caccia. Eventi che hanno segnato<br />

ufficialmente la fine del periodo<br />

delle ostilità e l’inizio di reciproci profittevoli<br />

affari: per un totale stimato di dieci<br />

miliardi di euro, in quei giorni viene<br />

sottoscritto un accordo di cooperazione<br />

nel settore dell’energia nucleare civile,<br />

che aprirebbe la strada alla fornitura di<br />

uno o più reattori francesi da destinare<br />

alla desalinizzazione dell’acqua e la collaborazione<br />

nelle attività di prospezione e<br />

sfruttamento <strong>dei</strong> giacimenti di uranio.<br />

In quei giorni Tripoli firma anche<br />

un memorandum di cooperazione, in<br />

base al quale si impegna «a negoziati<br />

esclusivi con la Francia per l’acquisto<br />

di equipaggiamento» militare, e manifesta<br />

interesse per 14 caccia Rafale, 35<br />

elicotteri da combattimento di fabbricazione<br />

francese, equipaggiamento militare<br />

per altri 5,4 milioni di euro e 21 aerei<br />

di linea della Airbus.<br />

Dietro la sfavillante accoglienza di<br />

Sarkozy a Gheddafi il sito francese d’in -<br />

formazione Mediapart afferma, con documenti<br />

<strong>dei</strong> servizi segreti libici, che ci<br />

sono 50 milioni di euro che Tripoli ha<br />

fatto arrivare per finanziare la vittoriosa<br />

campagna elettorale di Sarkozy, su<br />

conti svizzeri e panamensi.<br />

MAI USARE LA PAROLA GUERRA: L’INTERVENTO ITALIANO<br />

Di “assoluto rilievo” il contributo delle Forze armate italiane secondo<br />

le dichiarazioni rilasciate dal ministero della Difesa alla conclusione delle<br />

“operazioni in Libia” a guida Nato, chiamate prima Odissey Dawn, in seguito<br />

Unified Protector.<br />

Di assoluto rilievo anche l’impegno profuso nel comunicato del gennaio scorso<br />

dove non viene mai utilizzata la parola guerra o bombardamento, che diventano,<br />

infatti, delle più asettiche missioni di “difesa aerea”. Su oltre 10 mila missioni,<br />

che hanno sganciato sul territorio libico qualcosa come 40/50 mila bombe<br />

e messili, 1.182 sono state condotte dagli italiani, che hanno potuto appoggiarsi<br />

su sette basi aeree, messe anche a disposizione della coalizione.<br />

«La Difesa – riporta il comunicato – ha altresì contribuito alla “cooperazione<br />

umanitaria”, in stretto coordinamento con il ministero degli Esteri,<br />

mettendo a disposizione aerei cargo C-130J, che hanno effettuato il trasporto<br />

di materiale medico e l’evacuazione di “personale ferito”, portato in Italia<br />

per essere curato».<br />

Peccato che molti di quei C-130J siano partiti dall’aeroporto militare di Pisa, che<br />

sicuramente non caricava cooperazione umanitaria dalla vicina base<br />

statunitense di Camp Darby, il più importante deposito di armi e munizioni<br />

del Mediterraneo. Pa.Bai.<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 61 |


| internazionale |<br />

Niente processo internazionale<br />

Un “investimento” che però non è servito<br />

a fermare i caccia francesi che hanno<br />

dato inizio ai bombardamenti sulla Libia<br />

e nemmeno a disarmare la mano che<br />

gli ha sparato. Dopo l’uccisione a Bengasi<br />

dell’ambasciatore Usa, Chris Stevens,<br />

avvenuta lo scorso 11 settembre, si<br />

sono aggiunti nuovi particolari sugli ultimi<br />

momenti di vita di Gheddafi, che<br />

sarebbe stato ucciso «da un agente straniero»<br />

molto probabilmente francese<br />

(un giovane morto in un ospedale a Parigi<br />

lo scorso settembre), all’interno di<br />

un’operazione Nato in cui è stato localizzato<br />

il telefono satellitare del colonnello.<br />

Gheddafi avrebbe potuto fare molte<br />

rivelazioni scomode per banche e Stati,<br />

se fosse arrivato vivo a un processo:<br />

avrebbe parlato per esempio sulla vicenda<br />

dell’abbattimento del DC-9 Itavia a<br />

Ustica, dove sono morti 81 civili che si sono<br />

trovati al centro di un’operazione internazionale<br />

di guerra coperta, in cui l’obiettivo<br />

era Gheddafi.<br />

1911/2011: CENTO ANNI DI GUERRA ALLA LIBIA<br />

La partecipazione alla guerra di aggressione della Nato nei confronti<br />

della Libia è stata una sorta di macabra commemorazione del centenario<br />

della dichiarazione di guerra del governo Giolitti all’Impero ottomano<br />

del 29 settembre 1911, con la quale viene instaurata la dominazione italiana<br />

in Libia fino all’amministrazione delle Nazioni Unite nel 1943.<br />

La Libia raggiunge l’indipendenza nel 1951, ma è solo con la deposizione di re<br />

Idris – a seguito del colpo di Stato incruento del 1969, organizzato da giovani<br />

L’ORO LIBICO<br />

Oleodotti<br />

Gasdotti<br />

Giacimenti<br />

Impianti<br />

di liquefazione gas<br />

Terminal<br />

per l’esportazione<br />

Raffinerie<br />

Scenari a bombardamenti<br />

della coalizione<br />

| 62 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Giacimenti<br />

petroliferi dell’Eni<br />

E sicuramente avrebbe avuto molto<br />

da raccontare anche sulla morte di Enrico<br />

Mattei, abbattuto con il suo aereo di<br />

ritorno da un incontro in Sicilia con rappresentanti<br />

libici e del mondo arabo, dove<br />

era stato preparato il colpo di Stato<br />

che ha deposto re Idris. Avrebbe aggiunto<br />

anche molto sull’eliminazione di Aldo<br />

Moro, continuatore della visione di Mattei<br />

in materia di politica energetica nell’area<br />

mediterranea.<br />

Ma, per assicurare la sopravvivenza al<br />

padre della rivoluzione verde e alla Libia,<br />

non sono bastati nemmeno i 1.500 milioni<br />

di dollari versati all’amministrazione Usa<br />

come risarcimento globale per i danni causati<br />

dagli atti di terrorismo di cui i libici sono<br />

stati ritenuti responsabili. In particolare<br />

l’esplosione dell’aereo Pan Am 103 in<br />

volo sopra la cittadina scozzese di Lockerbie,<br />

in cui il 21 dicembre 1988 sono morte<br />

270 persone, 189 delle quali statunitensi.<br />

Il nuovo colonialismo<br />

La scomparsa di Gheddafi è un segno<br />

della volontà occidentale di chiudere de-<br />

militari nasseriani e condotto da Muammar<br />

al-Gheddafi – che la Libia comincia a spostare<br />

il suo sistema politico. Nel 1970 i beni di circa 35<br />

mila italo-libici, che ancora vivevano nella ex<br />

colonia, vengono confiscati.<br />

Gheddafi, pur non assumendo nessuna carica<br />

pubblica, si pone come “guida della<br />

rivoluzione”. Con la riforma costituzionale<br />

del 2 marzo 1977, il Paese assume il nome<br />

di “Jamahiriya araba libica socialista popolare”<br />

e viene istituito un sistema di governo<br />

popolare diretto che culmina nel Congresso<br />

generale del popolo, che eleggeva<br />

un Segretariato, composto da sette membri<br />

finitivamente la stagione delle indipendenze<br />

dal colonialismo, declinate in nome<br />

di un ideale panarabo di identità culturale<br />

non basata sulla religione. Da<br />

sostituire con teocrazie organizzate su<br />

base etnica, come è già avvenuto con<br />

Saddam Hussein e l’Iraq.<br />

In Libia ora, nella completa disattenzione<br />

degli organi di informazione italiani,<br />

si è avviato un periodo che Tierry<br />

Meyssan, il fondatore del Reseau Voltaire,<br />

definisce di “somalizzazione”: di sanguinose<br />

lotte tra città stato, in un territorio<br />

che vanta le riserve petrolifere<br />

migliori, più abbondanti e ancora poco<br />

sfruttate dell’Africa. Dove le compagnie<br />

petrolifere non hanno più intenzione di<br />

pagare il 93% di tasse sulle estrazioni,<br />

un’eccezione nell’area Ocse dove la percentuale<br />

massima delle royalties è il 60%<br />

che chiede il Kuwait.<br />

Come ha affermato il segretario di<br />

Stato Usa, Hillary Clinton, alla conclusione<br />

dell’operazione Protettore unificato:<br />

«We came, we saw, he died» (Siamo arrivati,<br />

abbiamo visto, lui è morto). <br />

LA BANDIERA<br />

Il Consiglio nazionale<br />

di transizione (Cnt)<br />

ha adottato come bandiera<br />

quella del deposto re Idris del<br />

regno di Libia (1951-1969)<br />

sostituendo la bandiera verde<br />

della Jamahiriya.<br />

in cui il Segretario era in pratica il capo dello Stato, e un Comitato generale,<br />

equivalente grosso modo a un Consiglio <strong>dei</strong> ministri.<br />

Tra gli anni ’80 e i ’90 la Libia appoggia gruppi terroristici come<br />

il palestinese Settembre nero e l’irlandese Ira. Nel 1986 Tripoli viene<br />

bombardata dai caccia Usa e una delle figlie di Gheddafi trova la morte.<br />

A seguito dell’attentato di Lockerbie del 1988 e al rifiuto libico<br />

di consegnare gli attentatori, nel 1992 l’Onu decide l’embargo economico,<br />

che dura fino al 2003 con l’accettazione della responsabilità civile verso<br />

le vittime. A partire dagli anni ’90 comincia il riavvicinamento tra la Libia<br />

e la comunità internazionale. Il 17 marzo 2011, dopo una serie di scontri<br />

alimentati da bande armate infiltrate da corpi speciali qatariani, inglesi,<br />

francesi e le solite “bufale belliche” – come le false fosse comuni<br />

nei pressi di Tripoli con “diecimila vittime del regime” – il Consiglio<br />

di sicurezza delle Nazioni Unite vota la risoluzione 1973 che dà il via alle<br />

operazioni militari. Tra le diecimila e le ventimila le vittime civili.


Brasile di terra,<br />

business e pallottole<br />

di Corrado Fontana<br />

Un Paese in crescita con enormi<br />

estensioni agricole e foreste.<br />

Stretto tra l’interesse <strong>dei</strong> poteri<br />

consolidati e politiche assistenziali<br />

per le popolazioni rurali. Tra violenze<br />

e progetti infrastrutturali<br />

importanti, ma di grande impatto<br />

sociale e ambientale<br />

grande proprietario terriero è<br />

oggi rappresentato dall’idro- «Il<br />

agro-business sotto il comando<br />

<strong>dei</strong> gruppi alimentari e chimici, che<br />

controllano le terre (non necessariamente<br />

avendone la proprietà) con contratti di<br />

affitto e/o controllo del lavoro contadino<br />

attraverso l’anticipazione di sementi e<br />

additivi da usare secondo indirizzi tecnologici<br />

prestabiliti». Già da queste parole<br />

possiamo intuire qualcosa dell’attuale<br />

gestione delle campagne in Brasile. Una<br />

sorta di identikit del latifondismo locale<br />

dipinto dalla professoressa Teresa<br />

Isenburg, docente di Geografia economico-politica<br />

al dipartimento di Studi<br />

internazionali, giuridici e storico-politici<br />

dell’Università Statale di Milano, la quale<br />

completa il quadro ricordando che «in<br />

Parlamento c’è un gruppo ruralista molto<br />

trasversale politicamente e socialmente<br />

assai influente».<br />

Aspettando la riforma agraria<br />

Un blocco di potere forte, che fa capo all’agro-business<br />

ed è lontano dal modello arcaico<br />

<strong>dei</strong> latifondisti, che si avvantaggia<br />

del fatto che la tanto attesa riforma agraria<br />

che doveva ridare la terra ai contadini<br />

THE BRAZILIAN FAR WEST - SEBASTIAN LISTE-REPORTAGE BY GETTY IMAGES<br />

avanza con lentezza. Un ritardo compensato<br />

solo in parte dalle politiche sociali assistenziali<br />

recentemente sostenute dal governo,<br />

di Luiz Ignacio Lula da Silva prima<br />

e di Dilma Rousseff ora. «Il progetto Bolsa<br />

familha – continua la professoressa – impegna<br />

i municipi a comprare il 30% degli<br />

| internazionale | questione agraria |<br />

FAR WEST BRASILIANO<br />

«In assenza di una qualsiasi<br />

presenza dello Stato, le armi vengono<br />

utilizzate per conquistare ogni pezzo<br />

di terra». Con queste parole del frate<br />

domenicano Henri Burin des Roziers,<br />

membro della Commissione pastorale<br />

per la terra (Cpt) brasiliana, Sebastian<br />

Liste apre l’introduzione al suo<br />

progetto video/fotogiornalistico<br />

intitolato The Brazilian Far West.<br />

Un lavoro premiato quest’anno<br />

ai Grants for Editorial Photography<br />

di Getty Images e destinato a creare<br />

una sorta di mappa multimediale<br />

della disuguaglianza e della violenza<br />

in Brasile. Mentre il Paese sta<br />

diventando una superpotenza agricola<br />

internazionale, il 4% <strong>dei</strong> suoi<br />

proprietari terrieri controlla ancora<br />

circa l’80% della terra coltivabile,<br />

costringendo circa cinque milioni<br />

di contadini a restare sem terra, senza<br />

terra, in balia di conflitti sanguinosi e a subire forme nuove di schiavitù,<br />

«accettando condizioni di vita e di lavoro disumane». Liste ha dedicato gli ultimi<br />

tre anni a documentare le loro vite, ma anche quella <strong>dei</strong> milioni di diseredati<br />

in fuga dalle campagne, spinti a costruire ex novo o ad ampliare gli insediamenti<br />

delle aree periurbane, fatti di case di lamiera e fango. Ambienti per noi<br />

inimmaginabili come quelli fotografati nei cosiddetti quilombos, urbani<br />

o nascosti nella boscaglia (vedi GLOSSARIO ), oppure scene di quotidiana<br />

sopraffazione dove per la terra si lotta e si muore.<br />

alimenti per scuole e uso sociale dall’agricoltura<br />

famigliare del municipio stesso.<br />

Oppure il progetto Luz para todos, che ha<br />

portato energia elettrica in aree rurali, con<br />

un miglioramento delle condizioni di vita<br />

di base». È già un progresso si potrebbe<br />

dire. Ma, secondo Serena Romagnoli e<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 63 |


| internazionale |<br />

GLOSSARIO<br />

QUILOMBO: un quilombo era una comunità formata<br />

da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui erano<br />

prigionieri nel Brasile all’epoca della schiavitù, abolita<br />

ufficialmente nel 1888. Oggi esistono ancora numerosi<br />

insediamenti quilombos sparsi per tutto il Brasile<br />

e quasi mai collegati tra di loro. Piccoli villaggi nascosti<br />

nelle foreste o nelle montagne fatti di capanne in fango<br />

e qualche volta con la sala comunitaria o le case <strong>dei</strong><br />

meno poveri in muratura.<br />

Avanza lentamente la molto<br />

attesa riforma agraria.<br />

Nel frattempo il governo<br />

ha investito 150 milioni<br />

nell’agro-business<br />

Claudia Fanti di Amig@s Mst-Italia, gruppo<br />

italiano che sostiene il Movimento sem<br />

terra brasiliano, l’anno scorso il governo<br />

ha investito 14 milioni nell’agricoltura<br />

famigliare e ben 150 nell’agro-business.<br />

«La mancanza di una vera riforma<br />

agraria (180 mila famiglie sono accampa-<br />

TERRA DI SCONTRI<br />

| 64 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

te, con poche prospettive di ottenere la<br />

terra in un periodo ragionevole) e di importanti<br />

servizi, anche lì dove ci sono degli<br />

insediamenti, spinge gli abitanti delle<br />

campagne verso le favelas, con minime<br />

possibilità d’integrazione. Nelle favelas<br />

domina il lavoro informale, oltre ad alcolismo,<br />

spaccio, prostituzione. E il 6% della<br />

popolazione brasiliana (oltre 11 milioni di<br />

persone su più di 190 milioni, ndr) vive in<br />

questo tipo di agglomerati, secondo il censimento<br />

2010 del Brazilian Institute of<br />

Geography and Statistics».<br />

Sviluppo vs ambiente<br />

Un quadro che spiega come possano essere<br />

cattive le condizioni di lavoro nelle<br />

campagne, «specie per la contaminazione<br />

da agro-tossici in alcune zone», prosegue<br />

la professoressa Isenburg. E senza contare<br />

che «la violenza contro i lavoratori agricoli<br />

è particolarmente forte nello Stato di<br />

Parà e in alcune aree di avanzamento della<br />

frontiera agricola (Mato Grosso, Rondonia),<br />

dove circolano molte armi e l’elimina-<br />

Brasile simbolo di contraddizioni al punto che, mentre le ultime previsioni<br />

dicono che il suo Pil 2013 crescerà comunque di oltre 4 punti percentuali,<br />

l’indice di diseguaglianza interna (il Gini index) diminuisce costantemente<br />

dal 2001, ma resta tra i più elevati del mondo (vedi MAPPA ).<br />

E le rilevazioni sui conflitti che avvengono annualmente nelle campagne<br />

contenuti nel rapporto Conflitos no campo Brasil 2011, realizzato dalla<br />

Commissione pastorale della terra (Cpt), fanno semplicemente paura. Anche<br />

se la situazione è in miglioramento più o meno progressivo, almeno dal 2003<br />

(da 73 persone assassinate si passa alle 29 del 2011), la Cpt registra,<br />

in controtendenza, un incremento del 15% sul numero totale <strong>dei</strong> conflitti nelle<br />

campagne tra 2010 e 2011 e una crescita enorme del numero di ettari di terra<br />

teatro di scontri e oggetto di controversie (poco meno di 4 milioni nel 2003,<br />

l’anno scorso quasi 14 milioni e mezzo di ettari). Fa impressione pensare poi<br />

che i 1.363 episodi ascritti al 2011 (1.035 conflitti per la terra; 260 legati<br />

al lavoro; 68 per l'acqua) abbiano coinvolto complessivamente oltre 600 mila<br />

persone (quasi 1 milione e 200 mila nel 2003) e circa 70 mila famiglie. Che il tema<br />

delle risorse agricole sia sentito lo dimostra anche un significativo aumento <strong>dei</strong><br />

conflitti per questioni di terra (+ 24% sul 2010) e del numero di famiglie<br />

allontanate dalla propria dimora (2137 nel 2011, +75,7% sull’anno precedente).<br />

Drammi per intere comunità, quindi, e “conflitti” che possono limitarsi a semplici<br />

controversie di natura legale o diventare aggressioni violente e omicidi: il numero<br />

delle famiglie minacciate da uomini armati ha subito il significativo aumento<br />

del 50,4% (!), da 10.274 a 15.456, tra 2010 e 2011. Un quadro generale di cui<br />

la Cpt attribuisce la gran parte delle responsabilità allo strapotere di alcuni<br />

soggetti privati: fazen<strong>dei</strong>ros, imprenditori, produttori di legnami.<br />

BRASILE: DISTRIBUZIONE<br />

DEI CONFLITTI SUL TERRITORIO<br />

Numero di famiglie coinvolte<br />

Famiglie per Comune<br />

1.270<br />

540<br />

20<br />

FONTE: RAPPORTO CPT “CONFLITO NO CAMPO BRASIL 2010”,<br />

zione fisica di lavoratori rurali non è rara».<br />

Ma a minacciare la vita nelle campagne intervengono<br />

anche nuovi fattori. L’Amazzonia<br />

è oggetto di un programma di grandi<br />

progetti idroelettrici come la diga di<br />

Belo Monte: progetti di infrastrutturazione<br />

che portano l’area verso un’integrazione<br />

spaziale nazionale e continentale,<br />

nonché al centro di controversie.<br />

Come sottolinea la professoressa Isenburg,<br />

nonostante «le trattative ambientali<br />

e con i gruppi nativi siano complesse,<br />

con conflitti anche fra il potere federale e<br />

il ministero pubblico, nonché fra interessi<br />

diversi di gruppi locali, le popolazioni indigene<br />

o contadine sono spesso favorevoli<br />

al cambiamento».<br />

Ma l’impatto sociale resta pesante su<br />

queste comunità. Il governo della presidente<br />

Rousseff è molto criticato, sia per<br />

l’ammontare degli indennizzi proposti alle<br />

famiglie che hanno perduto terre, case,<br />

lavoro, e sono state espulse dal loro territorio<br />

finendo spesso nelle favelas insieme<br />

ai “senza terra”; sia per non aver messo<br />

il veto su un contestatissimo nuovo<br />

Codice forestale. E il tasso di deforestazione<br />

dell’Amazzonia brasiliana, fortemente<br />

rallentato in questi anni, è tornato<br />

a salire tra 2011 e 2012 (+220%, -642 mila<br />

ettari di foresta) per l’Inpe (National Institute<br />

for Space Research).


Marketing emozionale<br />

Strandmon<br />

e il programma MK-Ikea<br />

Sulla copertina del catalogo Ikea 2013 c’è una poltrona degli anni Cinquanta:<br />

la MK, definita il “top della qualità” nel catalogo del 1951, il primo<br />

pubblicato dall’allora nascente colosso dell’arredamento. Nello<br />

stesso anno in cui veniva pubblicato Il giovane Holden di Salinger e al cinema<br />

usciva Bellissima di Visconti, la MK era in vendita per “207 corone svedesi”.<br />

La poltrona riprodotta sulla copertina<br />

del catalogo non solo è d’epoca e porta<br />

i segni del tempo ma è proprio di Ingvar<br />

Kamprad, il fondatore di Ikea.<br />

Se ci ricordiamo che Kamprad ha la<br />

fama di essere un gran tirchio, che si<br />

dice viaggi solo in classe economica e<br />

aspetti la fine del mercato per spuntare<br />

i prezzi migliori della frutta, allora<br />

siamo già entrati a far parte della famiglia<br />

allargata di Ikea e conosciamo<br />

almeno una parte della “narrazione”<br />

che il fondatore stesso ha contribuito<br />

a creare pubblicando nel 1976 il Testamento<br />

di un commerciante di mobili.<br />

Ma naturalmente c’è molto di più:<br />

c’è la scelta fatta dagli strateghi della<br />

comunicazione dell’etichetta gialloblu<br />

di collocare nel passato Ikea per dimostrare<br />

che non è solo contemporaneità<br />

e mobili usa e getta, invendibili se<br />

si trasloca, ma oggetti che durano nel<br />

tempo. E la poltrona del suo fondatore<br />

è lì, a testimoniare che c’è una “storia”.<br />

Anzi a tutti gli effetti c’è una mitologia,<br />

che retrodata Ikea perfino rispetto alla<br />

Barbie, un oggetto “culto” della produzione<br />

di massa.<br />

La poltrona MK precede di un paio<br />

di anni anche un suo quasi omonimo:<br />

il programma MK Ultra, il più esteso<br />

progetto di sperimentazione sul condizionamento<br />

mentale, condotto dalla<br />

Ambientalista e popolare?<br />

Quello che dice di essere<br />

non corrisponde a ciò che fa<br />

Cia su cittadini ignari e poi applicato<br />

in luoghi di detenzione come Guantanamo<br />

e Abu Ghraib.<br />

Le vie delle coincidenze sono infinite,<br />

ma per quanto il signor Kamprad<br />

abbia avuto simpatie naziste, i suoi<br />

programmi sono sicuramente diversi<br />

da quelli della Cia, anche se sempre di<br />

condizionamento mentale si parla.<br />

Perché Ikea ha una buona reputazione,<br />

nonostante ci siano delle incongruenze<br />

tra quello che fa e quello che<br />

dice di essere. Nella sua narrazione è<br />

egualitaria e popolare. Ma la proprietà<br />

di Paola Baiocchi<br />

| consumiditerritorio |<br />

dell’azienda è dissimulata in una nebulosa<br />

societaria che fa perdere le tracce<br />

tra la fiscalmente benevola Olanda, il<br />

Lussemburgo, le Antille olandesi e Curaçao.<br />

Anche rispetto alle donne Ikea<br />

ha un atteggiamento bivalente, cancellando<br />

le presenze femminili nei cataloghi<br />

destinati all’Arabia Saudita.<br />

Ikea si presenta come ambientalista<br />

e socialmente responsabile, ma gli autori<br />

del libro Ikea, che cosa si nasconde<br />

dietro il mito della casa che piace a tutti?<br />

ritengono che «il suo modello di sovraproduzione<br />

e sovraconsumo – acquistare<br />

sempre di più, qualcosa di sempre<br />

meno caro da conservare sempre meno<br />

a lungo – sia incoerente con un discorso<br />

ambientalista e sociale credibile».<br />

D’altronde, secondo il sociologo tedesco<br />

Theodor Adorno, il bisogno indotto<br />

crea l’illusione che quello che è stato<br />

offerto sia in realtà una scelta individuale,<br />

ma è uno strumento chiave attraverso<br />

il quale si perpetua il capitalismo.<br />

La poltrona MK viene ora proposta<br />

nella versione Strandmon, stabilendo<br />

un collegamento intimo con questo<br />

«papà» di «131mila collaboratori» – scrivono<br />

nel catalogo Ikea – che afferma<br />

«abbiamo scelto di stare dalla parte del<br />

maggior numero possibile di persone».<br />

Naturalmente dalla parte dove tengono<br />

il portafoglio. <br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 65 |


altrevoci<br />

VACCINO ESAVALENTE:<br />

ANCHE LA SLOVACCHIA LO RITIRA<br />

Dopo Spagna, Germania, Francia, Australia e Canada e altri 13 Stati nel mondo, anche la Slovacchia<br />

ha deciso di ritirare dal commercio un lotto del vaccino esavalente Infanrix Hexa, prodotto<br />

dalla GlaxoSmithKline. Alla base della decisione – classificata con il massimo livello di urgenza<br />

(che si assegna quando c’è una potenziale minaccia di vita o di gravi danni per la salute pubblica) –<br />

una contaminazione batterica riscontrata nell’ambiente in cui è stato prodotto il vaccino<br />

incriminato. C’è però chi teme che questa sia solo una giustificazione di facciata: troppi i lotti<br />

ritirati e troppi gli Stati che hanno deciso il ritiro.<br />

Sotto accusa è quindi il vaccino in sé. L’esavalente è usato anche nelle strutture pubbliche italiane<br />

per vaccinare i neonati a partire dal 2-3° mese di vita. Sei le malattie contro cui protegge: difterite,<br />

tetano, poliomielite, epatite B, pertosse ed emofilo tipo B. Un utilizzo massiccio e secondo alcuni<br />

immotivato (l’Europa ha il certificato “polio free” dal 2002 e l’ultimo caso di difterite risale<br />

a parecchi decenni fa), soprattutto su bambini molto piccoli e nonostante, per la legge italiana,<br />

le vaccinazioni obbligatorie sarebbero solo quattro. «I ministeri della Salute di molti Stati – spiega<br />

il farmacologo Roberto Gava su Informasalus.it – hanno avvisato la popolazione affinché i genitori<br />

<strong>dei</strong> bambini che hanno ricevuto questa vaccinazione negli ultimi mesi contattino le autorità<br />

sanitarie con urgenza. Il nostro ministero, invece, tace, anche se pare che i laboratori<br />

GlaxoSmithKline di Verona siano tra quelli che producono il vaccino per la Germania<br />

e i tedeschi hanno prontamente ritirato i vaccini sospettati di contaminazione».<br />

[EM.IS.]<br />

UE, SMOG: DUE ANNI DI VITA<br />

IN MENO PER GLI EUROPEI<br />

Due anni in meno di aspettativa di vita a causa<br />

dell’inquinamento atmosferico. Il destino accomuna<br />

gli abitanti di un terzo delle città europee. L’impietosa<br />

previsione arriva dall’Agenzia europea dell’Ambiente.<br />

Spiega il suo direttore, Jacqueline McGlade, citando<br />

i dati contenuti in una pubblicazione (“Qualità dell’aria<br />

in Europa”) presentata a Bruxelles: «La colpa<br />

è delle concentrazioni eccessive di particolato<br />

in sospensione nell’aria (le polveri sottili, ndr), una delle<br />

sostanze inquinanti più nocive per la salute umana<br />

in quanto penetra nelle parti sensibili dell’apparato<br />

respiratorio». Oltre al particolato, sono presenti nell’aria<br />

di molte regioni urbane quantità eccessive di biossido<br />

d’azoto e benzo(a)pirene, mentre sono stati fatti passi<br />

avanti significativi per il monossido di carbonio<br />

e il biossido di zolfo. «Ma in molti Paesi i livelli rimangono<br />

al di sopra <strong>dei</strong> limiti legali», conclude McGlade.<br />

«Questa relazione – aggiunge il commissario Ue<br />

all’Ambiente, Janez Potočnik – serve a ricordarci quanto<br />

sia importante la qualità dell’aria per la salute <strong>dei</strong> nostri<br />

cittadini. Ecco perché voglio che il 2013 sia l’Anno<br />

della qualità dell’aria».<br />

[EM.IS.]<br />

| 66 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

CRESCONO LE AREE PROTETTE<br />

NEL MONDO<br />

Le aree protette di tutto il mondo – parchi, riserve naturali<br />

o altre tipologie di zone sottoposte a tutela – sono<br />

cresciute sia in numero sia in estensione. A rivelarlo<br />

è il Protected Planet Report 2012, redatto dall’Unione<br />

Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn),<br />

che spiega come oggi la superficie terrestre protetta<br />

sia pari al 12,7% della terraferma (era l’8,8% nel 1990),<br />

e all’1,6% delle aree marine.<br />

«Le aree protette contribuiscono significativamente alla<br />

conservazione delle biodiversità, e un aumento della loro<br />

estensione è vitale per il nostro pianeta. In termini<br />

di accesso al cibo e all’acqua pulita, di lotta<br />

al cambiamento climatico e di riduzione dell’impatto<br />

<strong>dei</strong> disastri naturali», ha spiegato Julia Marton-Lefèvre,<br />

direttrice generale dell’organismo internazionale.<br />

L’obiettivo è di raggiungere gli “Aichi Targets”, una serie<br />

di obiettivi indicati due anni fa dalla Convenzione sulla<br />

Diversità biologica, che vuole far crescere le aree protette<br />

al 17% della superficie terrestre e quelle marine al 10%.<br />

[A.BAR.]<br />

DIGA DI XAYABURI<br />

IL LAOS NON FERMA IL PROGETTO<br />

«Non abbiamo bisogno di altri dati»: il Laos va per la sua<br />

strada e sbatte la porta in faccia alle proteste <strong>dei</strong> Paesi<br />

vicini e della comunità internazionale (ultima in ordine<br />

di tempo, quella del segretario di Stato Usa, Hillary<br />

Clinton). Oggetto del contendere la diga di Xayaburi, che<br />

diventerebbe la prima barriera sulla parte bassa del fiume<br />

Mekong, il più lungo dell’Indocina. 880 metri di lunghezza,<br />

32 di altezza, l’opera interesserebbe un bacino<br />

di 272 mila chilometri quadrati. Tre i motivi di maggiore<br />

preoccupazione: le esondazioni che metterebbero a rischio<br />

la sussistenza <strong>dei</strong> 60 milioni di persone presenti nei villaggi<br />

dal nord della Thailandia fino al delta del fiume in Vietnam,<br />

che dipende per l’80% dalla pesca; l’impatto sulla quantità<br />

di pesci presenti nel fiume e le conseguenze che<br />

i sedimenti prodotti dalla diga avrebbero sull’assetto<br />

idrogeologico della zona. «Se il Laos realizzerà quel<br />

progetto attirerà su di sé le stesse critiche che hanno<br />

coinvolto la Cina con la Diga delle Tre Gole», spiega Witoon<br />

Permpongsacharoen, direttore del Mekong Energy<br />

and Ecology Network. Quella di Xayaburi sarebbe la prima<br />

di undici dighe che dovrebbero sorgere sul basso Mekong:<br />

se fossero realizzate tutte, entro il 2030 la riserva ittica<br />

del fiume – prevede un rapporto Wwf – subirebbe<br />

una flessione del 16%. Cifra che salirebbe al 40%<br />

se si considerassero tutte le 88 dighe del fiume.<br />

[EM.IS.]<br />

CMCGRUPPO.COM


L’EUROCRISI<br />

FAVORISCE LA BOLLA IMMOBILIARE TEDESCA?<br />

SPAGNA, MEDICI “OBIETTORI”<br />

CONTRO IL GOVERNO<br />

Al rigore, a volte, non c’è davvero limite. Neanche<br />

quello che dovrebbe essere garantito dal buon senso.<br />

Qualche mese fa, il governo conservatore spagnolo<br />

di Mariano Rajoy ha emanato un decreto che prevedeva<br />

la soppressione delle cure sanitarie gratuite per i senza<br />

tetto (salvo per i minorenni e per i casi di urgenza).<br />

La decisione ha suscitato grandi proteste nel Paese, tanto<br />

che tre regioni si sono rifiutate di applicare la riforma.<br />

Recentemente, poi, circa 2 mila medici si sono dichiarati<br />

“obiettori di coscienza”, e hanno firmato un appello<br />

nel quale chiedono ai loro colleghi di non osservare<br />

la legge. Un’iniziativa che arriva dopo che pazienti<br />

e personale medico hanno manifestato nel corso<br />

dell’estate per contestare una scelta giudicata ingiusta.<br />

E anche inefficace economicamente: curare un malato<br />

è meno costoso che farlo aggravare e doverlo<br />

poi trattare d’urgenza.<br />

Il provvedimento del governo spagnolo, tuttavia, per<br />

ora resta in vigore: a farne le spese saranno circa<br />

150 mila persone.<br />

[A.BAR.]<br />

| LASTNEWS |<br />

La presenza di tassi di interesse favorevoli e il persistente timore di sviluppi negativi nella crisi<br />

dell’euro starebbero alimentando una possibile bolla immobiliare nel mercato tedesco.<br />

È l’ipotesi avanzata dal Financial Times lo scorso ottobre attraverso l’analisi degli ultimi dati<br />

di settore disponibili. Negli ultimi cinque anni, sostiene la società di consulenza F+B, il prezzo<br />

medio delle abitazioni berlinesi è salito del 23%. Secondo i dati della Jones Lang LaSalle,<br />

un’azienda concorrente, il fenomeno sarebbe ancora più evidente: +37,5% dal 2009 a oggi, +20%<br />

solo nell’ultimo anno. Il fenomeno della crescita <strong>dei</strong> prezzi resta però prevalentemente confinato<br />

ad alcune città in particolare (la capitale tedesca su tutte, ma anche Monaco e Amburgo).<br />

Due, si diceva, i fattori determinanti. Da un lato il basso livello <strong>dei</strong> tassi di interesse può<br />

favorire il ricorso all’indebitamento, ovvero la sottoscrizione <strong>dei</strong> mutui per la casa.<br />

In un contesto come quello attuale, inoltre, i modesti rendimenti <strong>dei</strong> titoli di Stato (il bund<br />

decennale paga appena l’1,5% circa) e la turbolenza del mercato azionario sembrano indurre<br />

i risparmiatori a investire nella proprietà immobiliare. Dall’altro lato, la persistente crisi<br />

del mercato europeo spingerebbe gli investitori a puntare su assets sicuri in un’economia<br />

giudicata particolarmente solida come quella tedesca. In questo quadro non stupisce l’ampia<br />

presenza di compratori cash provenienti dal resto del continente (italiani, spagnoli<br />

e del Nord Europa in particolare).<br />

[M.CAV.]<br />

PEOPLE MOVER A PISA<br />

UNA FUNE PER TRAINARE IL TRENO<br />

1.780 metri per un costo previsto di 78 milioni. Tanto<br />

dovrebbe costare il People mover, un trenino trainato<br />

da fune, senza conducente, per collegare l’aeroporto<br />

Galilei con la stazione ferroviaria di Pisa. Un progetto<br />

approvato dal Comune, da far eseguire in project<br />

financing da privati consorziati in un’associazione<br />

temporanea (capofila la Leitner di Vipiteno).<br />

Ma il progetto ha fatto storcere la bocca ai pisani perché<br />

l’aeroporto è già servito dal treno e dalla pensilina della<br />

ferrovia al check-in, non bisogna neanche attraversare<br />

la strada. Non solo, il Galilei è un aeroporto cittadino:<br />

si raggiunge con i bus e anche a piedi, se ci si è fermati<br />

a dormire all’ostello o in un’altra sistemazione in centro.<br />

Alle obiezioni <strong>dei</strong> cittadini, l’amministrazione risponde<br />

con argomentazioni risibili: si eliminerebbero due<br />

passaggi a livello, dopo 40 anni l’impianto diventerebbe<br />

della città. Il People mover sembra essere diventata<br />

una moda contagiosa: Bologna sta provando, contro<br />

il volere <strong>dei</strong> cittadini, a costruirne uno da 5 km circa (costo:<br />

110 milioni di euro), quando il problema del collegamento<br />

potrebbe essere risolto con un tapis roulant da 800 metri<br />

e il completamento di una stazione ferroviaria.<br />

[PA.BAI.]<br />

FIRENZE.REPUBBLICA.IT<br />

INVESTIMENTI RESPONSABILI<br />

L’EUROPA CI CREDE SEMPRE DI PIÙ<br />

Dai 6,9 miliardi di euro del 2005 ai 25,3 del 2009 ai 48<br />

del 2011. Le cifre dimostrano un vero e proprio boom degli<br />

investimenti sostenibili e responsabili (Sri) in Europa,<br />

i capitali investiti in fondi che contengono imprese<br />

selezionate in base alla propria attenzione all’ambiente<br />

e alle tematiche sociali. Sono questi i dati contenuti<br />

nell’ultimo rapporto di Eurosif (European Sustainable<br />

Investment Forum), una rete di organizzazioni europee che<br />

si occupano di sostenibilità negli investimenti, presentato<br />

all’inizio di ottobre. Ma in realtà la lettura <strong>dei</strong> dati non<br />

è così semplice, perché «da quest’anno l’Sri si è ampliato<br />

ed è diventato più complicato», spiega Davide Dal Maso,<br />

segretario del Forum per la finanza sostenibile. «Sono stati<br />

individuati sei diversi modi di fare Sri: sei criteri per definire<br />

un investimento responsabile. Su questo tema a livello<br />

europeo non c’è ancora una convergenza: c’è una visione<br />

scandinava, una anglosassone, una mediterranea etc.<br />

Per esempio determinate cifre farebbero pensare<br />

a un boom di investimenti responsabili in Italia, ma non<br />

è detto che siano “veri” Sri. Tutte le strategie monitorate,<br />

comunque, mostrano dinamismo e/o crescita». Il rapporto<br />

è scaricabile dal sito www.finanzasostenibile.it<br />

[V.N.]<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 67 |


| FUTURE |<br />

a cura di Francesco Carcano | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it<br />

BLOG DA MENTI IN FUGA<br />

SOTT’OCCHIO<br />

ELA & DIMITRI<br />

IN TRANSMEDIA LOVE<br />

Esperimento tecnologico e opera artistica, Ela & Dimitri<br />

è un progetto multimediale di due giovani artisti<br />

di Marsiglia, che vogliono raccontare la nascita<br />

di un amore nell’era del web. “Nell’era degli sms, Romeo<br />

sarebbe stato ancora ridicolo sotto il balcone<br />

di Giulietta?”. Non viene data risposta, affidando<br />

il quesito a quanti vorranno interagire per una<br />

narrazione dall’esito incerto. Co-protagonisti e scenario,<br />

oltre alla città fisica, luogo di incontri attesi e mancati,<br />

sono gli strumenti che la moderna tecnologia mette<br />

a disposizione. Il progetto prevede la possibilità<br />

di entrare, come fosse un gioco di ruolo, nei panni<br />

di Ela o di Dimitri e utilizzare i diversi media urbani.<br />

Messaggi e sms, post su Facebook ed e-mail<br />

comporranno la narrazione. Il testo verrà poi trasposto<br />

in un grande telo urbano da affiancare a una mostra<br />

multimediale che prevede, ancora una volta, una diretta<br />

interazione del pubblico/attore, che può intervenire<br />

manualmente sull’esposizione e modificare, quasi la vita<br />

fosse una bacheca di social network, il proprio stato<br />

d’animo o sentimento verso la narrazione collettiva.<br />

Altra particolarità: il progetto è stato finanziato<br />

raccogliendo tutti i fondi in Rete tramite microdonazioni.<br />

| 68 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Ci sono alcuni blog in lingua nostrana cui vale sempre la pena dare un’occhiata.<br />

Quello di Matteo Bittanti rientra nella categoria, quali che siano i vostri interessi. Bittanti è<br />

Senior Adjunct Professor nei programmi di VisualSstudies e Visual & Critical Studies del<br />

California College of the Arts di San Francisco & Oakland, California. E lì insegna materie come<br />

game studies, advanced visual studies e global cities. Insomma, temi per addetti ai lavori<br />

interessati alle interazioni tra culture visive, arte, nuovi media e strumenti della nuova cultura<br />

popolare come videogiochi.<br />

Da Mattscape.com si accede così a un blog che riporta chicche degne di nota. Tra queste,<br />

alcune riprese da Wired, dove si firma Mr. Bit, una “estetica della statistica” a opera <strong>dei</strong><br />

californiani Stamen, che mostrano con molta bellezza il diffondersi surreale di un post<br />

su Facebook. La cultura digitale diventa una forma d’arte, non conta qui il contenuto,<br />

ma la sua modalità e intensità di propagazione. Il disegno animato mostra il propagarsi<br />

tra gli utenti, di un contributo postato ad arte. Cose su cui riflettere.<br />

ELETTRICHE,<br />

ZERO EMISSIONI E VELOCI<br />

Sono stazioni private, pensate da un costruttore<br />

per il suo modello elettrico di punta. Ma hanno<br />

una particolarità: saranno diffuse in tutta la California,<br />

gratuite perché alimentate da fotovoltaico, aperte anche<br />

ad altri utenti e marche di veicoli elettrici. E saranno<br />

superveloci. Tesla sceglie la strada dell’installazione<br />

in stile web per il suo modello elettrico più veloce,<br />

ma coglie nel segno perché l’operazione non appare solo<br />

di propaganda, ma eroga un servizio utile e in modalità<br />

innovativa. Trecento stazioni di servizio previste, solo<br />

sei al momento quelle già attive, un tempo medio<br />

di ricarica di una trentina di minuti per poi avere<br />

un’autonomia di circa trecento chilometri<br />

di percorrenza. Chiamate Superchanger, hanno avuto<br />

un impatto minimo sia sull’ambiente sia in termini<br />

di investimento perché il progetto doveva svilupparsi<br />

a partire dall’ottimizzazione di tecnologie esistenti.<br />

La scelta del fotovoltaico per alimentare le stazioni<br />

di servizio e della gratuità dello stesso sono al contempo<br />

un’efficace campagna promozionale del marchio<br />

e un servizio che la società statunitense dichiara di voler<br />

espandere in Europa.<br />

LA DEMOCRAZIA<br />

È UN CLICK?<br />

Ognuno può lanciare il suo appello on line e, se sarà<br />

convincente, diventerà una campagna d’opinione<br />

internazionale. Change.org è un sito che promuove<br />

campagne pubbliche di mobilitazione su temi sociali.<br />

Il suo credo è basato sul principio dell’adesione.<br />

Se un’idea intercetta il sentimento di molti, se sono<br />

numerosi a sostenerla firmando una petizione on line,<br />

allora significa che probabilmente quell’idea ha una sua<br />

validità e merita di essere conosciuta. «Change.org<br />

è una piattaforma d’azione che permette a chiunque,<br />

non importa da dove, di lanciare delle campagne per<br />

cambiare il mondo», recita il sito dell’organizzazione<br />

che annovera tra i suoi risultati la riduzione <strong>dei</strong> costi<br />

bancari di Bank of America e la difesa e affermazione<br />

di diritti civili di persone omossessuali. Il tema<br />

e l’approccio meritano analisi profonde e un raffronto<br />

con l’operatività di gruppi storici come Amnesty<br />

international o Greenpeace, che hanno costruito parte<br />

del loro consenso anche sul modello di partecipazione<br />

condivisa alle campagne d’opinione, che vengono<br />

tuttavia attentamente vagliate prima della diffusione<br />

da legali operatori <strong>dei</strong> diritti umani, specialisti e dagli<br />

stessi attivisti. Qualcosa di strutturalmente diverso<br />

dall’idea di un web luogo di autorappresentazione<br />

degli utenti non mediato da alcuna struttura<br />

che Change.org sembra invece esprimere.


a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it<br />

REOOSE,<br />

IL WEB RISCOPRE IL BARATTO<br />

BACI DI TRAMA,<br />

LA MODA È “NATURALE”<br />

Dopo alcuni anni a lavorare come modellista e stilista<br />

per grandi aziende che delocalizzavano la produzione<br />

in Cina e India e trattavano anche pelli e pellicce, Susy<br />

Bonollo ha deciso di cambiare strada, assecondando<br />

la propria sensibilità ambientale. Da questa scelta,<br />

nel maggio del 2011, nasce “Baci di trama”, una linea<br />

di abbigliamento per donna («ma presto – anticipa –<br />

arriveranno anche i capi maschili») in materiali<br />

esclusivamente biologici: canapa, cotone bio, fibra<br />

di bambù, lana organica e nuove fibre ricavate dal mais<br />

e dall’ortica. Ogni modello è disegnato da lei e realizzato<br />

artigianalmente, al massimo in 50-60 capi, da piccoli<br />

produttori italiani che riescono a fatica a reggere alla<br />

concorrenza <strong>dei</strong> colossi industriali. Anche Susy Bonollo<br />

lo scorso settembre era a Milano, a So critical so fashion,<br />

ed è in contatto con i Gruppi di acquisto solidale che<br />

spesso organizzano piccole fiere del tessile etico.<br />

E auspica che in Italia si riesca a «coinvolgere sempre<br />

di più anche i non addetti ai lavori, per far comprendere<br />

il valore del biologico al pubblico più vasto possibile».<br />

www.baciditrama.it<br />

ELISABETTA ZAVOLI<br />

| TERRAFUTURA |<br />

Un sito dalla grafica accattivante che ricalca la struttura delle piattaforme di aste online.<br />

Ma c’è una differenza fondamentale: il denaro non compare mai. È Reoose, un portale che mette<br />

le potenzialità del web a disposizione della più antica delle forme commerciali: il baratto.<br />

L’idea nasce quando Luca e Irina acquistano un materasso sbagliato e, dopo inutili giri<br />

di telefonate, sono costretti a disfarsene. A partire da questo piccolo danno economico<br />

e ambientale progettano una vetrina virtuale in cui chiunque può esporre oggetti che non usa più.<br />

A ogni prodotto, a seconda della sua categoria, viene assegnato un certo “peso” in crediti:<br />

quando lo si cede a un altro utente dunque si guadagnano punti da usare per ottenere un altro<br />

oggetto. Oppure da donare a una Onlus, che ad esempio, racconta Luca, può essere «una casafamiglia<br />

che procura su Reoose un passeggino da donare a genitori in difficoltà». Il passaparola,<br />

la partnership con Banca Etica, un blog dedicato all’ambiente, ma soprattutto l’entusiasmo<br />

degli utenti: e, senza spendere un euro in pubblicità, nell’arco di poco più di un anno si è arrivati<br />

a 20 mila iscritti. Con il progetto – spiega Luca – di allargare il team e sbarcare all’estero.<br />

www.reoose.com<br />

WEB E AMBIENTE<br />

PER L’INSERIMENTO SOCIALE<br />

La recente normativa dell’Unione europea, recepita<br />

anche in Italia, impone di smaltire in modo corretto<br />

i Raee. La sigla sta per “rifiuti da apparecchiature<br />

elettriche ed elettroniche”: computer, elettrodomestici,<br />

cellulari e così via. In Emilia Romagna un ampio gruppo<br />

di soggetti pubblici e privati ha deciso di cogliere<br />

quest’opportunità ambientale e darle anche un valore<br />

sociale, affidando questo lavoro ai detenuti. Dopo una<br />

fase sperimentale finanziata dalla Regione con il Fondo<br />

sociale europeo, la partenza ufficiale è stata circa<br />

tre anni fa: attualmente undici ragazzi sono impiegati<br />

in tre laboratori gestiti da altrettante cooperative sociali<br />

a Forlì, Bologna e Ferrara. Ma l’iniziativa ha avuto anche<br />

un’inedita “svolta digitale”: a gestire il sito ufficiale,<br />

infatti, sono un ragazzo e una ragazza che stanno finendo<br />

di scontare la propria pena ai domiciliari. «Per noi la cosa<br />

più importante, insieme al valore ambientale,<br />

è responsabilizzarli il più possibile», spiega Barbara<br />

Bovelacci di Techne Forlì-Cesena, l’ente di formazione<br />

che segue i detenuti insieme a Cefal Bologna.<br />

«Cerchiamo di fornire loro competenze digitali, ma anche<br />

di comunicazione: in futuro dovranno relazionarsi<br />

con i giornalisti e fare ricerche su temi ambientali».<br />

www.raeeincarcere.org<br />

LA VIA D’USCITA ALLA CRISI?<br />

È “GREEN”<br />

Ormai giunto alla sua sedicesima edizione, Ecomondo<br />

si attesta tra gli appuntamenti fissi nel panorama<br />

italiano della green economy. A Rimini Fiera, dal 7 al 10<br />

novembre, ci sarà spazio per più di 150 eventi, collegati<br />

da un fil rouge di stretta attualità: qual è la via d’uscita<br />

alla crisi? Ecomondo propone una risposta: la green<br />

economy dev’essere al centro delle scelte di enti<br />

pubblici, imprese e cittadini, come volano per uno<br />

sviluppo sostenibile che garantisca nuove opportunità<br />

lavorative, soprattutto per i giovani. Sarà questo<br />

lo sfondo <strong>dei</strong> numerosi convegni, dedicati di volta<br />

in volta alla certificazione dell’impatto ambientale <strong>dei</strong><br />

prodotti, agli strumenti finanziari e ai fondi europei<br />

da cui gli enti locali possono attingere per investire<br />

nell’efficienza energetica, o ancora alle tecnologie per<br />

la tutela dell’ambiente nei Paesi in via di sviluppo.<br />

Ma si parlerà anche di Patto <strong>dei</strong> sindaci, compostaggio,<br />

raccolta differenziata. Saranno ospitati dalla fiera,<br />

inoltre, gli Stati generali della Green Economy promossi<br />

dal Ministero dell’Ambiente e coordinati dalla<br />

Fondazione Sviluppo Sostenibile.<br />

www.ecomondo.com<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 69 |


| ECONOMIAEFINANZA |<br />

a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it<br />

LA FINANZA<br />

RICHIEDE INFORMAZIONI E BUON SENSO<br />

Ugo Biggeri<br />

e Giulio Tagliavini<br />

Manuale di finanza<br />

popolare<br />

Eif e.Book, 2012<br />

IL POTERE<br />

DELLE AGENZIE DI RATING<br />

Il loro giudizio pesa sulle economie degli Stati e sulle<br />

finanze <strong>dei</strong> risparmiatori, può gettare nel panico mercati,<br />

banche e nazioni. La responsabilità che hanno Standard<br />

& Poor’s, Moody’s e Fitch, le tre agenzie di rating,<br />

nel massiccio spostamento di capitali è dunque enorme.<br />

Finiscono sulle prime pagine <strong>dei</strong> giornali perché il loro<br />

potere, alimentato da un mercato miliardario, è ancora<br />

grande, nonostante gli errori eclatanti fatti in passato.<br />

Come non ricordare le valutazioni su Parmalat e Cirio,<br />

o quelle sulla Lehman Brothers. Non si può ignorare<br />

il conflitto di interessi che caratterizza le agenzie<br />

di rating in quanto una parte del loro capitale è detenuto<br />

da fondi che sono presenti in molte società sparse per<br />

il mondo che poi vengono giudicate dalle agenzie stesse.<br />

Errori di cui non rispondono in termini di responsabilità<br />

perché si tratta di opinioni e non di pareri. Le agenzie<br />

di rating vanno dunque riformate partendo da alcuni<br />

principi come trasparenza, indipendenza e responsabilità.<br />

O ancor meglio imparare a farne a meno.<br />

Paolo Gila, Mario Miscali<br />

I signori del rating<br />

Bollati Boringhieri, 2012<br />

| 70 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

La prima cosa che rende questo libro un po’ speciale è che è gratuito perché distribuito con licenza<br />

Creative Commons (http://t.co/VSNV0i1T). Gli autori partono da una considerazione semplice<br />

ma fondamentale: poter disporre di qualche competenza finanziaria è importante per la tranquillità<br />

e il benessere quotidiano della propria famiglia. In un mercato finanziario complesso come quello<br />

di oggi e in un momento di contrazione del reddito, il risparmiatore deve fare due cose: informarsi<br />

in maniera corretta per farsi le domande giuste e usare il buon senso nelle scelte finanziarie,<br />

come dovrebbe fare il buon padre di famiglia. Gli strumenti formativi e informativi, caratterizzati<br />

da un taglio popolare, sono ancora insufficienti e questo incide sulla consapevolezza<br />

dell’investitore comune che nelle sue scelte si affida necessariamente senza conoscere i rischi<br />

a cui va incontro. A livello collettivo le conseguenze sono ancora più gravi, perché se il livello<br />

di educazione finanziaria non è curato ne deriva un livello di tranquillità generale più basso, sono<br />

necessari maggiori interventi pubblici a salvaguardia del welfare, i percorsi di formazione<br />

e di sviluppo personale si fanno più difficili e l’esposizione delle famiglie alle vicende negative<br />

delle situazioni di crisi è più grave.<br />

LA TERRA È DI TUTTI,<br />

SALVIAMOLA<br />

Stagionalità degli alimenti perduta e produzione agricola<br />

massificata, industrializzata, portata all’estremo e senza<br />

più alcun legame con l’ambiente, ortaggi che percorrono<br />

migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre<br />

tavole, sementi ibride e geneticamente modificate<br />

diffuse a danno delle varietà locali. Senza contare lavoro<br />

nero, land grabbing e rischio Ogm, terreni esausti e falde<br />

acquifere sempre più contaminate da concimi chimici<br />

e pesticidi, la scomparsa delle api e gli allevamenti<br />

trasformati in fabbriche che non garantiscono<br />

comunque dai rischi sanitari (come influenza aviaria<br />

e “mucca pazza” insegnano). Il libro mette a nudo<br />

le crepe sempre più evidenti del modello di agricoltura<br />

convenzionale, ormai insostenibile al punto che, dagli<br />

anni ’50 ad oggi, ha visto crescere il costo <strong>dei</strong> fattori<br />

produttivi dal 50 all’80% del fatturato. Ma Davide<br />

Ciccarese, agronomo da anni impegnato nello sviluppo<br />

dell’agricoltura periurbana, nella realizzazione di fattorie<br />

didattiche e orti urbani, suggerisce anche un modello<br />

alternativo fondato su nuove parole dal sapore antico:<br />

prossimità, stagionalità, sovranità e sicurezza alimentari.<br />

Davide Ciccarese<br />

Il libro nero dell’agricoltura<br />

Ponte alle Grazie, 2012<br />

IL SAPER FARE ITALIANO<br />

NELLA CRISI<br />

È stato grazie ai distretti industriali che l’Italia per molti<br />

anni ha costruito la sua competitività sui mercati<br />

internazionali, coniugando culture locali e vantaggio<br />

competitivo in quei settori manifatturieri che molti<br />

economisti consideravano ormai destinati al declino.<br />

Il patrimonio di saperi artigianali, quel famoso “saper<br />

fare”, sedimentato nelle regioni italiane, è stato<br />

traghettato nell’economia globale attenta a cogliere<br />

il valore delle specializzazioni eccellenti. La domanda<br />

però non può essere elusa: che probabilità ha questo<br />

modello di confermare la sua validità in un contesto<br />

sempre più globalizzato e feroce come quello<br />

della crisi mondiale? Questo libro affida la risposta<br />

alla viva voce <strong>dei</strong> protagonisti, portando i lettori<br />

tra i distretti più famosi e dinamici. Un viaggio attraverso<br />

forme di aggregazione e di business che non hanno<br />

eguali nel mondo e rappresentano la spina dorsale<br />

del made in Italy, l’ultima carta vincente da giocarsi<br />

sui mercati esteri.<br />

Aa. Vv.<br />

Distretti<br />

Baldini & Castoldi, 2012


a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it<br />

DIETRO I LICENZIAMENTI<br />

CI SONO LE PERSONE<br />

Marina Morpurgo<br />

Risorse disumane<br />

Astoria, 2012<br />

LEGGIAMO<br />

PER REINCANTARE IL MONDO<br />

The New Yorker l’ha definito “una lettera d’amore<br />

alla letteratura”. Per raccontare la felicità la giovane<br />

autrice di origine iraniana si fa accompagnare da<br />

Vladimir Nabokov, l’eroe letterario che le ha cambiato<br />

la vita, attraverso quindici capitoli corrispondenti<br />

ad altrettante idee di felicità: quella legata<br />

all’esperienza, al tempo, alla memoria, alla sensualità,<br />

all’amore e al linguaggio. Una storia della felicità, che<br />

parte dal piacere della lettura e dal confronto serrato<br />

con quei libri che ci cambiano la vita e, soprattutto, con<br />

chi li ha scritti. Perché l’ispirazione del romanziere<br />

è una magica estasi che gli permette di percepire<br />

passato, presente e futuro in un solo istante. E il lettore<br />

può toccare con mano questo miracolo che offre la gioia<br />

fanciullesca di meravigliarci delle piccole cose.<br />

Lila Azam Zanganeh<br />

Un incantevole sogno di felicità<br />

Nabokov, le farfalle e la gioia di vivere<br />

L’ancora del Mediterraneo, 2012<br />

| NARRATIVA |<br />

Tre donne vengono licenziate, all’improvviso. Prima della rabbia arriva la vergogna, perché<br />

se si è stati licenziati forse un motivo ci sarà. Poi arriva anche l’ansia: trovare un nuovo lavoro<br />

è difficile, c’è la famiglia e il mutuo da pagare. C’è anche la difficoltà di adattarsi ai nuovi ritmi<br />

di vita, dettati dal tempo liberato. Tutti quando lavorano sperano sempre di avere più tempo,<br />

ma quando il tempo a disposizione è troppo diventa un inferno. Trattandosi di tre lavoratrici<br />

intellettuali, non si limitano a voler capire cosa è successo e perché, ma decidono<br />

che importante è far capire, a chi questo licenziamento ha messo in atto, che licenziare forse<br />

non è la soluzione più brillante per far andar meglio le cose. Insomma, il responsabile<br />

va in qualche modo rieducato. Uno sguardo ironico e appassionato su un mondo travolto<br />

dalla crisi economica e dalle sue conseguenze. Un romanzo per resistere ai manager nell’era<br />

della crisi economica globale e riderci sopra.<br />

I CAMORRISTI CHE GUARDANO<br />

IL “GRANDE FRATELLO”<br />

Lo Zio è un boss della camorra con una passione<br />

patologica per il “Grande Fratello”. Non si perde una<br />

puntata del reality neanche quando è costretto a vivere<br />

in latitanza, braccato dall’agente di polizia Woody Alien,<br />

così soprannominato per la bruttezza intellettualoide,<br />

che potrebbe incastrarlo grazie a un misterioso<br />

informatore. Allora i guaglioni dello Zio arruolano<br />

un “bravo ragazzo” per mandargli un messaggio dalla<br />

casa del GF: il pusher Anthony, ventenne incensurato,<br />

ma in compenso lampadato, con le sopracciglia<br />

sagomate e depilato. Dopo un estenuante<br />

addestramento, Anthony riesce a superare il provino,<br />

entra nel cast e lancia un messaggio al boss. Stefano<br />

Piedimonte ha trovato un modo speciale<br />

di raccontare una realtà dura come quella napoletana:<br />

restituisce operai e manager del crimine ai loro gesti,<br />

ai loro tic, al loro linguaggio, alla loro infernale<br />

quotidianità, e proprio per questo li colpisce nel vivo.<br />

Stefano Piedimonte<br />

Nel nome dello Zio<br />

Guanda, 2012<br />

L’AMORE<br />

AI TEMPI DEL NAZISMO<br />

Ai tempi del nazismo c’era l’amore. C’era anche a Vienna<br />

durante l’Anschluss (annessione) del 1938. La bella<br />

e giovane Trudi Miller, apprezzata modista specializzata<br />

nella creazione di cappelli in un atelier per le donne più<br />

eleganti della città, si innamora di Walter, uomo d’affari<br />

affascinante. Il loro amore però dovrà fare i conti con<br />

l’antisemitismo e la persecuzione <strong>dei</strong> nazisti perché<br />

entrambi sono ebrei e quando le truppe tedesche<br />

entrano in Austria saranno costretti a fuggire. Trudi lotta<br />

con tenacia per difendere il suo amore e i suoi genitori,<br />

sapendo che ogni momento potrebbe essere fatale<br />

per il loro futuro. Un’incredibile storia di vita vissuta<br />

che da Vienna a Praga, dall’Est Europa fino alla Londra<br />

<strong>dei</strong> bombardamenti, racconta <strong>dei</strong> disperati tentativi<br />

compiuti da questa giovane donna per garantire<br />

un rifugio sicuro a sé e a Walter, per fuggire dagli orrori<br />

che hanno inghiottito l’Europa.<br />

Trudi Kanter<br />

Ragazze, cappelli e Hitler. Una storia d’amore<br />

edizioni e/o, 2012<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 71 |


| 72 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |


I nuovi laburisti inglesi<br />

“Ed il Rosso”<br />

e la fine del Liblairismo<br />

L<br />

o ha ripetuto per l’ennesima volta anche pochi giorni fa alla convention<br />

annuale di Manchester : l’appellativo di “Ed il Rosso” non gli piace. Il padre,<br />

accademico marxista nato in Belgio da genitori ebrei di origine polacca,<br />

ne sarebbe invece stato orgoglioso. E anche la madre probabilmente, anche<br />

se, come ha ricordato il quarantatreenne candidato nuovo primo ministro<br />

inglese, è troppo buona per fargliene<br />

una critica. D’altra parte, molte delle<br />

posizioni del “nuovo” New Labour su<br />

temi importanti come riforma delle<br />

pensioni, fisco o immigrazione non<br />

sono poi così diverse da quelle del<br />

tanto rinnegato Tony Blair. Tuttavia<br />

Ed Milliband, rilanciando a due anni<br />

dall’elezione a segretario l’idea di una<br />

“One Nation” fondata su più marcati<br />

principi solidaristici di equità e giustizia,<br />

ha impresso una svolta radicale<br />

al suo partito, con l’obiettivo di rimuovere<br />

tra gli elettori il ricordo di<br />

quel “Liblairismo” giudicato troppo<br />

debole con la City.<br />

Riformare il welfare, sostenere la<br />

crescita, mantenere la finanza pubblica<br />

sotto controllo non possono far dimenticare<br />

«il gap inaccettabile tra ricchi e<br />

poveri», ha sostenuto Milliband davanti<br />

a una platea entusiasta: qualsiasi governo<br />

dovrebbe chiedere «a chi ha di<br />

più di prendersi più e più grandi responsabilità<br />

e alle banche di servire il<br />

Paese e non di servirsene per i loro interessi».<br />

Il messaggio è arrivato a Londra<br />

come uno tsunami: o entro le prossime<br />

elezioni la City approverà autonomamente<br />

riforme sostanziali e si adeguerà<br />

alle raccomandazioni della commissione<br />

Vickers sullo scorporo delle attività<br />

di casinò banking – con tutto ciò che<br />

Il segretario del New Labour<br />

promette un cambio di rotta<br />

rispetto agli anni di Blair<br />

questo comporta – o lo farà, per decreto,<br />

il suo prossimo governo.<br />

E in molti, all’ombra di Westminster,<br />

guardando la soddisfazione dell’ex sindaco<br />

Ken Livingstone, lui sì fiero un<br />

tempo del soprannome di “Ken il Rosso”,<br />

hanno subito riattivato i canali lobbistici<br />

con il governo conservatore tanto che<br />

pochi giorni dopo, nel chiudere la sua<br />

convention dal palco della vicina Birmingham,<br />

l’attuale primo ministro Cameron<br />

non ha speso neanche una parola<br />

sul ruolo delle banche e sulle tante<br />

riforme mancate del settore finanzia-<br />

| bancor |<br />

dal cuore della City Luca Martino<br />

rio, perdendo forse quei punti di consenso<br />

decisivi nella sua rincorsa al voto<br />

in libera uscita <strong>dei</strong> Liberal Democratici.<br />

I rischi per Milliband non sono pochi,<br />

tra tutti quello di avvantaggiare<br />

concorrenti europei in un settore strategico<br />

per il Regno Unito, con possibili ricadute<br />

negative su molti altri settori<br />

economici. Inoltre, dal punto di vista<br />

delle relazioni con i partner d’Oltremanica,<br />

pesano i timori per l’esito, tutt’altro<br />

che scontato, delle elezioni in Italia e<br />

Germania. Ma l’aspirazione di Milliband<br />

è ambiziosa: riportare al centro dell’azione<br />

di governo alcuni <strong>dei</strong> valori fondanti<br />

della politica e della società britannica<br />

fin dai tempi dell’epopea vittoriana.<br />

Centociquanta anni fa fu Benjamin<br />

Disraeli, un conservatore tutto d’un pezzo,<br />

a promuovere per primo l’idea della<br />

“One Nation” sulla quale punta oggi “Ed<br />

il Rosso”: in un suo celebre discorso a difesa<br />

del Cartismo (il primo movimento<br />

politico di massa del mondo al quale il<br />

Regno Unito deve, tra l’altro, l’adozione<br />

del suffragio universale) Disraeli intimò,<br />

a chi nel suo partito appariva quasi<br />

esclusivamente alla ricerca spasmodica<br />

e confusa del benessere materiale,<br />

che «il potere ha uno e un solo dovere,<br />

quello di assicurare il benessere sociale<br />

di tutta la comunità». <br />

todebate@gmail.com<br />

| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 73 |


FONTE: THOMSON REUTERS<br />

| action! |<br />

L’AZIONE IN VETRINA KRAFT<br />

10 ott 2012: KFT-U.TI 21,15 ^DJI 13485,97<br />

30%<br />

25%<br />

20%<br />

15%<br />

10%<br />

5%<br />

0%<br />

-5%<br />

-10%<br />

-15%<br />

Kraft, cose buone dal mondo. Incartate,<br />

inscatolate, avviluppate da rotoli<br />

di alluminio, plastica colorata, mucche<br />

viola e in gelatina. Alla fine tutti rifiuti<br />

che, nella migliore delle ipotesi, gonfiano i<br />

sacchi del secco e, nella peggiore, finiscono<br />

indistintamente in discarica, sul ciglio della<br />

strada o galleggiano fieri sui greti di ruscelli<br />

montani. Ecco, se si iniziasse a ridurre questa<br />

pletora di scatole e scatolette, sacchi e<br />

sacchetti, forse ne trarremmo tutti un po’ di<br />

beneficio: l’aria, l’acqua, ma anche la stessa<br />

Kraft, che risparmierebbe qualche dollaro di<br />

materiali, dopo averne spesi milioni per<br />

cambiare il brand aziendale da Kraft a Mondelez<br />

(googlare per credere). All’azienda lo<br />

hanno fatto notare gli azionisti critici di As<br />

You Sow, associazione non profit californiana<br />

che prende il nome da un passo della Bibbia<br />

(“Quello che tu semini, raccogli”, Galati<br />

6:7). Per ora ha raccolto il 25,6% <strong>dei</strong> voti degli<br />

azionisti. Non sono bastati per far passare la<br />

mozione sugli imballaggi, ma è già un buon<br />

risultato. Avanti così seminatori californiani.<br />

Un giorno, grazie a voi, il sacco del secco<br />

potrebbe diventare più leggero. <br />

| 74 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />

Il rendimento in Borsa di Kraft negli ultimi dodici mesi (in marrone, +27%)<br />

confrontato con l’indice Eurostoxx 50 (in arancio, +17%%)<br />

2011 Dic 2012 Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott<br />

Kraft: meno imballaggi,<br />

meno rifiuti a cura di Mauro Meggiolaro<br />

L’AZIONISTA DEL MESE<br />

UN’IMPRESA AL MESE<br />

As You Sow www.asyousow.org<br />

Sede San Francisco, California, Usa<br />

Tipo di società Organizzazione non profit per la tutela dell'ambiente e <strong>dei</strong> consumatori. Dal 1992 promuove campagne<br />

di educazione sulla presenza di sostanze chimiche tossiche nei prodotti di consumo (alimentari, giocattoli, ecc.).<br />

Alla formazione <strong>dei</strong> consumatori si accompagnano, dal 1997, iniziative di azionariato critico nei confronti di imprese<br />

che violano i diritti <strong>dei</strong> consumatori o norme ambientali.<br />

Asset gestiti As You Sow non gestisce patrimoni<br />

L’azione su Kraft As You Sow ha presentato una mozione all’assemblea di Kraft chiedendo alla società<br />

di adottare una politica di riduzione del packaging per diminuire la quantità di rifiuti e le emissioni di CO2.<br />

La mozione è stata votata dal 25,6% degli azionisti.<br />

Altre iniziative Nel 2012 As You Sow ha presentato mozioni alle assemblee di 11 imprese su una serie di temi:<br />

riduzione <strong>dei</strong> rifiuti elettronici, rischi collegati allo shale gas e all'estrazione di carbone.<br />

Kraft www.kraft.com<br />

Sede Northfield, Illinois Usa Borsa Nasdaq<br />

Rendimento negli ultimi 12 mesi +27%<br />

Attività La Kraft Foods Inc. è la più grande azienda alimentare dell’America settentrionale e la seconda più grande<br />

al mondo dopo la Nestlé. È nota ai consumatori per le cioccolate Milka e Cadbury, i biscotti Lu, le caramelle Halls<br />

e il formaggio Philadelphia.<br />

Azionisti principali Società a capitale diffuso. State Street (7,81%); Capital Research Global Investors (7,33%);<br />

Vanguard Group (6,38%); Warren Buffett (5,07%).<br />

Perché interessa agli azionisti responsabili? Kraft è stata spesso criticata dai consumatori e dagli azionisti<br />

attivi perché per un lungo periodo (1988-2007) il maggiore azionista della società è stato il colosso del tabacco<br />

AltriaPhilip Morris. Oggi Altria non detiene più alcun interesse in Kraft. Kraft è considerata una delle imprese più<br />

responsabili nel settore alimentare.<br />

2011 2011<br />

Ricavi [Miliardi di dollari] 54,36 Utile [Miliardi di dollari] 3,55<br />

Numero dipendenti 126.000

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