L'era dei Narcostati - Valori
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XINHUA / EYEVINE / CONTRASTO<br />
Mensile di economia sociale, finanza etica e sostenibilità<br />
Cooperativa<br />
Editoriale Etica<br />
Anno 12 numero 104.<br />
Novembre 2012.<br />
€ 4,00<br />
Poste Italiane S.p.A.<br />
Spedizione in abbonamento postale<br />
D.L. 353/2003<br />
(conv. in L. 27/02/2004 n° 46)<br />
art. 1, comma 1, DCB Trento<br />
Contiene I.R.<br />
L’era <strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong><br />
La criminalità organizzata gestisce il traffico come una multinazionale<br />
Finanza > Con il sì dell’Italia scatta l’ora della Tobin Tax. Con qualche questione aperta<br />
Economia solidale > Boom di trivellazioni. Anche in zone a rischio sismico<br />
Internazionale > Campagna elettorale Usa. Chi ha pagato per il nuovo presidente?<br />
| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |
| 2 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
La nuova frontiera<br />
del riciclaggio<br />
di Douglas Farah<br />
L<br />
L’AUTORE<br />
Douglas Farah<br />
È presidente di Ibi Consultants<br />
e Senior Fellow presso<br />
l’International Assessment and<br />
Strategy Center. È consulente<br />
alla sicurezza nazionale e analista.<br />
Nel 2004 ha lavorato per nove<br />
mesi presso il Consortium for the<br />
Study of Intelligence, dove<br />
si è occupato del tema <strong>dei</strong> gruppi<br />
armati e della riforma <strong>dei</strong> servizi<br />
di intelligence. Nei due decenni<br />
precedenti è stato corrispondente<br />
all’estero e giornalista d’inchiesta<br />
per il Washington Post e altri<br />
giornali, occupandosi<br />
in particolare di Africa Occidentale<br />
e America Latina.<br />
* Questo editoriale è basato<br />
sul contenuto di un’intervista<br />
rilasciata a <strong>Valori</strong> nel mese<br />
di ottobre 2012.<br />
| editoriale |<br />
e regole internazionali per il contrasto al riciclaggio di denaro e al traffico di droga sono state<br />
progettate oltre vent’anni fa. Ma il mondo che si conosceva all’epoca era molto diverso<br />
da quello globalizzato in cui viviamo oggi. I flussi di libero scambio commerciale, i rapidi<br />
trasferimenti di denaro e i nuovi paradisi offshore hanno finito per plasmare un nuovo<br />
ambiente capace di rendere gli attuali strumenti di contrasto sorpassati e inutili. Vale per molte<br />
attività, dal riciclaggio al traffico di armi, un settore nel quale le regole erano state pensate per<br />
contrastare gli scambi tra gli Stati e oggi risultano completamente inadatte nel prevenire<br />
gli scambi illegali tra i mercanti privati che attualmente dominano il mercato. Tutto è cambiato.<br />
Dieci anni fa lo scambio commerciale tra Cina e America Latina era valutato in dieci miliardi<br />
di dollari. Oggi vale venti volte tanto. La maggior parte di queste transazioni rientra nello<br />
scambio legale. Ma l’aspetto più importante, sfortunatamente, è che, al crescere<br />
dell’ammontare degli scambi, aumenta anche la facilità con cui vi si possono nascondere<br />
i traffici e le transazioni illegali. In definitiva qualcuno può sempre guadagnare qualche<br />
milione di dollari qua o là, oppure spostare qualche container da un’altra parte senza che<br />
questo sembri attrarre molta attenzione. E probabilmente, come ha evidenziato il caso<br />
di Hsbc, l’interesse a sapere cosa accade non esiste nemmeno.<br />
Oggi le compagnie cinesi controllano molti <strong>dei</strong> principali porti del Messico, gli stessi in cui,<br />
da un lato, si può osservare una forte crescita del traffico di metanfetamine e, dall’altro, una<br />
miriade di processi finanziari fittizi, attività tipiche del riciclaggio, realizzati attraverso<br />
banche cinesi di piccole dimensioni che magari neanche esistono (nessuno ha voglia<br />
di controllare). Nei porti messicani si vedono container provenienti dalla Cina con un valore<br />
dichiarato di 2 o anche 4 milioni di dollari. Stanno fermi lì in attesa che qualcuno se li venga<br />
a prendere. In seguito, dopo un bel po’ di tempo, magari anche sei settimane, visto che<br />
nessuno li reclama, le autorità messicane intervengono, li aprono e scoprono che non<br />
contengono nessuna merce di valore. E allora, sei settimane dopo che qualcuno ha pagato<br />
2 o 4 milioni di dollari per “niente”, è perfettamente chiaro cosa sia realmente successo:<br />
2 o 4 milioni di dollari sono già entrati in circolo nel sistema finanziario illegale.<br />
In America Centrale, contrariamente alle aspettative, la debolezza dell’economia non<br />
ha condotto a un grande collasso finanziario. La ragione principale è probabilmente la forte<br />
crescita del narcotraffico e delle attività illegali. Un elemento decisivo, qualcosa di cui<br />
queste economie hanno bisogno. Basta guardare a Paesi come El Salvador, Panama<br />
o Ecuador – “economie dollarizzate” in cui non devi nemmeno cambiare valuta se vuoi fare<br />
business – e alle molteplici opportunità che questi offrono ai trafficanti di droga e ai<br />
riciclatori. Di fatto non c’è nessun controllo sui flussi di denaro e per i criminali i rischi sono<br />
molto bassi. Ci sono grandi investimenti, si importano auto di lusso, si costruiscono<br />
appartamenti nuovi di zecca: l’economia sembra crescere, ma il 90% della popolazione<br />
continua a non prenderne parte. La verità è che è tutto fasullo e ogni cosa non è che<br />
un sintomo delle attività di riciclaggio. Secondo il programma della Casa Bianca noto come<br />
Strategy to Combat Transnational Organized Crime, le attività di riciclaggio valgono<br />
da 1,3 a 3,3 trilioni di dollari. Il controvalore stimato dallo United Nations Office on Drugs<br />
and Crime è pari invece a 2,1 trilioni, una cifra equivalente all’incirca al Pil dell’Italia. <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 3 |
| decrescita: il dibattito |<br />
Da anni <strong>Valori</strong> “parla” di Decrescita, proponendo diversi punti di vista. Con il dossier pubblicato sul numero<br />
di settembre – a poche settimane dalla terza Conferenza internazionale sulla Decrescita (Venezia, 19-23 settembre),<br />
a cui la redazione ha partecipato – si è scatenato un acceso dibattito. Diamo spazio alle diverse posizioni sia sul sito<br />
internet www.valori.it, sia su queste pagine.<br />
Spostamento, non decrescita<br />
per la società del benvivere<br />
di Francuccio Gesualdi Centro Nuovo Modello di Sviluppo<br />
Non so se l’idea che mi sono fatto della Decrescita sia la<br />
stessa <strong>dei</strong> suoi teorici, ma vi scorgo tre messaggi importanti.<br />
1. Non si può perseguire la crescita infinita in un Pianeta dalle risorse<br />
limitate. 2. La corsa dietro ai consumi compromette la qualità della<br />
vita per strangolamento delle relazioni. 3. Se vogliamo garantirci un<br />
futuro dobbiamo ridurre consumo di materia e produzione di rifiuti.<br />
Ma, enunciati i principi, spuntano i nodi. Ad esempio: in un mondo<br />
squilibrato come quello in cui viviamo l’invito a ridurre non può valere<br />
per tutti, ma solo per gli opulenti, quelli che consumano 100 chili di carne<br />
all’anno, che possiedono più di un’auto ogni due persone, che producono<br />
più di 500 chili di rifiuti all’anno. Quanto ai tre miliardi di poveri<br />
assoluti, hanno diritto a mangiare di più, vestirsi di più, studiare di<br />
più, curarsi di più, viaggiare di più, ma potranno farlo solo se gli opulenti<br />
accettano di sottoporsi a cura dimagrante perché c’è competizione<br />
per le risorse scarse. Dunque tutto bene con lo sviluppo avviato<br />
in Cina, India o Sudafrica? Non proprio, considerato che agli impoveriti<br />
arrivano solo le briciole sottoforma di consumismo spazzatura.<br />
La verità è che sia il Nord che il Sud hanno bisogno di un nuovo modello<br />
economico, più orientato all’equità, con il Nord in posizione di<br />
maggiore difficoltà perché deve fare due operazioni in una: ridurre<br />
e riequilibrare. Premesso che l’efficienza tecnologica non è sufficiente<br />
a realizzare il miracolo, la domanda che si pone chi si occupa<br />
non solo di ambiente, ma anche di sopravvivenza delle persone,<br />
è: come fare senza mietere vittime? Non a caso fra i più accesi oppositori<br />
della Decrescita ci sono i sindacati, preoccupati per i posti<br />
di lavoro in un sistema dove la forma prevalente di lavoro è quella<br />
salariata fortemente ancorata alla crescita <strong>dei</strong> consumi.<br />
In fin <strong>dei</strong> conti il grande punto interrogativo è se sia possibile coniugare<br />
sobrietà con piena occupazione e sicurezza sociale, concetti<br />
che sarebbe meglio ribattezzare piena partecipazione lavorativa<br />
e vita sicura per tutti. La risposta è sì, che si può, precisando<br />
che la battaglia vera non è per la riduzione tout court del Pil, ma per<br />
una ristrutturazione di produzione e consumo, ben sapendo che il<br />
sistema in cui viviamo ha sovraprodotto per il consumo privato e<br />
sottoprodotto per il consumo pubblico.<br />
| 4 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Forse la parola giusta è spostamento, a significare che dovremo ridurre<br />
certi settori e ampliarne altri: meno automobili più treni e autobus,<br />
meno strade più ferrovie, meno acqua in bottiglia più acquedotti,<br />
meno centrali a carbone più pannelli solari, meno case di<br />
nuova costruzione più ristrutturazione di quelle esistenti, meno<br />
pubblicità più scuola, minor uso di materie prime più recupero di rifiuti,<br />
meno importazione di cibo più agricoltura locale.<br />
Di sicuro una società che dispone di meno deve decidere cosa privilegiare<br />
e personalmente non ho dubbi che la priorità va data ai bisogni<br />
fondamentali: acqua, cibo, alloggio, energia, sanità, scuola,<br />
comunicazione, trasporti. Bisogni da garantire in maniera gratuita<br />
perché appartenenti alla fascia <strong>dei</strong> diritti e proprio per questo di<br />
esclusiva competenza dell’economia pubblica, che, funzionando<br />
sul principio della solidarietà collettiva, è l’unica forma organizzativa<br />
che può praticare la gratuità.<br />
Per questo credo che un serio progetto di Decrescita debba depotenziare<br />
il mercato e rafforzare l’economia pubblica, smettendo di<br />
concepirla come una struttura parassitaria che succhia ricchezza.<br />
Al contrario deve viverla come uno spazio produttivo comune che,<br />
oltre a garantire i bisogni fondamentali, garantisce un’occupazione<br />
minima per tutti.<br />
Certo, per raggiungere un obiettivo tanto ambizioso, in un contesto<br />
di economia rallentata, bisogna inventarsi altri modi di fare funzionare<br />
l’economia pubblica, che non sia più quello fiscale. Potrebbe<br />
essere il servizio civile obbligatorio, la tassazione del tempo in alternativa<br />
alla tassazione del reddito, il lavoro comunitario in cambio<br />
di un reddito di cittadinanza. Le soluzioni tecniche alla fine si<br />
trovano, il problema è culturale. Bisogna saper ripensare il lavoro, il<br />
ruolo del mercato, la funzione dell’economia pubblica, le forme di<br />
contribuzione all’economia collettiva, l’intreccio fra economia locale<br />
ed economia globale, il ruolo e il governo della moneta. Questi<br />
sono i nodi da affrontare per una società del benvivere, termine più<br />
appropriato per una società che dopo avere superato la fase di dimagrimento,<br />
cerca la giusta dieta per mantenere il peso forma.<br />
Dunque politica alta per la Decrescita, tenendo a mente l’avvertimento<br />
di Langer: «La conversione ecologica avverrà solo se sarà<br />
socialmente desiderabile».
BANCA ETICA E LA DECRESCITA di Riccardo Milano (responsabile delle relazioni culturali di Banca Etica)<br />
Anni fa, nel pieno della crescita finanziaria degli anni ’90, nasceva<br />
l’idea di fondare una nuova banca che si occupasse, a seguito della<br />
nascita di un movimento denominato finanza etica, di attività che<br />
avessero a che fare con temi quali trasparenza, diritto al credito,<br />
giustizia e solidarietà, uso del denaro, rispetto dell’ambiente, e così<br />
via. Di fatto è stata una rivoluzione culturale che ha aperto molti<br />
orizzonti e oggi si può affermare che è stata lungimirante.<br />
Non si può dire che tutto sia stato risolto, anzi: la crisi attuale<br />
ha di nuovo rimescolato le carte e le problematiche per le quali<br />
è sorta la finanza etica si sono ampliate, fino a mettere<br />
in discussione le motivazioni stesse dell’intera attività economica<br />
mondiale. In tal senso il versante della Decrescita – nome ormai<br />
da moltissimi considerato sì ambiguo, ma che rende<br />
plasticamente l’idea di un “qualcosa” da rivedere – si è imposto<br />
con tutto il suo carico di positività, negatività, idealità e ideologia,<br />
accondiscendenza e altro.<br />
Banca Etica è stata da subito nel dibattito grazie ai suoi soci, che<br />
sono o attivisti/estimatori del movimento o solo osservatori più<br />
o meno interessati, e ha cercato, ma senza una neutralità<br />
pericolosa, di comprendere le ragioni delle parti per impostare<br />
una sua linea operativa. Da subito ha accettato la “provocazione”<br />
come un forte appello culturale e ha condiviso molte delle<br />
battaglie, specie sulla finanza e sull’ambiente; e ancora oggi<br />
continua a studiare, a partecipare alle varie manifestazioni,<br />
a cercare di capire e di tentare di dare una risposta al “come<br />
bisogna vivere?” socratico.<br />
L’art. 5 dello Statuto della banca recita: «La finanza eticamente<br />
orientata è sensibile alle conseguenze non economiche delle<br />
azioni economiche». Non c’è dubbio che la sua attività è per<br />
un futuro di crescita umana, cosa del tutto naturale e rafforzata<br />
dal suo Manifesto. D’altra parte non può ignorare le tante aporie<br />
dell’attuale mainstream economico e le tante problematiche<br />
sia nuove e sia trascinatesi da tempo.<br />
Sicuramente il dibattito sollevato dal movimento della Decrescita,<br />
o da altri economisti più tiepidi al riguardo, è appena agli inizi<br />
e dovrà essere sempre più precisato sia culturalmente che<br />
operativamente. Per quanto riguarda Banca Etica si ribadisce<br />
che la sua visione è all’interno di quella nuova impostazione<br />
economica chiamata “Economia civile” che ben rappresenta tutti<br />
coloro che hanno a cuore uno sviluppo umano che possa essere<br />
solidale, mutualistico e generazionale nel pieno rispetto<br />
del pianeta Terra. Ciò ben sapendo che le risposte non debbono<br />
essere a lungo termine e che debbono essere sempre condivise<br />
e mai strumentalizzate da nessuna parte.<br />
SPOSTARE LA PRIORITÀ DELLA DECRESCITA DEL PIL<br />
ALLA CRESCITA DELL’OCCUPAZIONE IN LAVORI UTILI di Movimento per la Decrescita felice<br />
Appello di imprenditori, tecnici, consulenti e attivisti del<br />
Movimento per la Decrescita felice per un cambio di priorità<br />
in Italia nelle scelte economiche e industriali, al fine di iniziare<br />
a superare l’attuale crisi di sistema.<br />
In tempi normali è sufficiente gestire l’ordinaria amministrazione<br />
con accortezza perché tutto proceda bene. […] Ma quando, come<br />
ora, si vivono grandi cambiamenti epocali, dove masse sempre<br />
più grandi di persone soffrono per mancanza di lavoro, occorre<br />
rimettere in discussione idee consolidate, in particolare il dogma<br />
della crescita continua del Prodotto interno lordo.<br />
Vediamo con apprensione che si parla di Project Bond per<br />
realizzare grandi opere infrastrutturali. Si tratta di fare altri debiti<br />
per realizzare grandi opere finalizzate, più che alla reale utilità, a far<br />
ripartire la crescita, come se fosse la soluzione ad ogni male. […]<br />
E si dà per scontato che la crescita faccia automaticamente<br />
aumentare l’occupazione, ma non è vero […]. Dagli anni ’60 a oggi<br />
il Pil è aumentato di quasi 4 volte, mentre l’occupazione in<br />
proporzione all’aumento della popolazione è diminuita! […]<br />
La galleria per il Tav in val di Susa […] consentirebbe di creare<br />
[…] al massimo seimila nuovi posti di lavoro contro un<br />
investimento minimo di 8,2 mld di euro, ovvero 0,73 nuovi posti<br />
per ogni milione di euro investito, sempre che il costo <strong>dei</strong> lavori<br />
non subisca aumenti […] La spesa sarebbe coperta a debito<br />
ribaltando ancora una volta il problema sulle generazioni future,<br />
che dovrebbero anche sorbirsi i danni ambientali e le spese per<br />
l’energia necessaria a illuminare e climatizzare l’opera. Tutte<br />
le grandi opere infrastrutturali hanno per comun denominatore<br />
l’uso del debito, di molto cemento, di molta energia e quindi<br />
un impatto ambientale molto rilevante. […]<br />
Si può fare diversamente? Certo che sì! Bisogna solo cambiare<br />
le priorità e spendere il denaro in altro modo, […] in molte migliaia<br />
di piccoli e micro cantieri e solo successivamente, eventualmente,<br />
in grandi opere infrastrutturali. I micro cantieri dovrebbero<br />
riguardare in primo luogo l’efficientamento energetico degli edifici<br />
pubblici e privati. Poi anche le bonifiche ambientali e per la messa<br />
in sicurezza del territorio rispetto agli eventi catastrofici. […]<br />
In un articolo del 13 febbraio 2012 sul Sole 24 ore si legge che<br />
per ogni 10 miliardi di euro investiti si possono avere 130 mila<br />
nuovi posti di lavoro di buona qualità, mentre investendo la<br />
stessa cifra in grandi opere daremmo lavoro al massimo a 7.300<br />
persone. […] Occorre abbandonare il dogma della crescita<br />
continua. Nell’Universo NULLA cresce per sempre. Si tratta<br />
di una sciocca illusione generata dalla mente dell’homo<br />
oeconomicus, […]. E solo per questa sciocca specie di umani,<br />
e per gli altri che ci credono, il Pil è l’indicatore unico<br />
e indiscutibile del nostro benessere.<br />
* La versione integrale sul sito di <strong>Valori</strong> e su:<br />
http://decrescitafelice.it/2012/05/spostare-la-priorita-dalla-crescita-del-pilalla-crescita-delloccupazione-in-lavori-utili-una-proposta-concreta/<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 5 |
Lacrime e sangue<br />
Quei Keynesiani<br />
del Fmi<br />
N<br />
ella seconda settimana di ottobre si è svolta a Tokyo l’assemblea<br />
annuale più importante del Fondo monetario internazionale (Fmi). In<br />
tale sede si è preso atto del forte rallentamento che sta caratterizzando,<br />
pur nella diversità <strong>dei</strong> risultati <strong>dei</strong> singoli Paesi, l’intera economia mondiale.<br />
Ciò implica anche ammettere che, ancora una volta, si sono commessi<br />
significativi errori previsionali. Ma<br />
ciò che più stupisce (favorevolmente)<br />
è che l’Fmi attribuisca tali errori alla<br />
sottovalutazione degli effetti depressivi<br />
delle manovre di rigore che, peraltro,<br />
era lo stesso organismo economico<br />
internazionale a pretendere. Come<br />
dichiarato dalla direttrice del Fondo,<br />
Christine Lagarde, «le misure di austerità<br />
adottate nel mondo hanno avuto<br />
effetti più forti di quelli previsti».<br />
Del resto, dal 2010 in poi, soprattutto<br />
in Europa, i Paesi hanno cominciato<br />
a tagliare significativamente e<br />
simultaneamente i bilanci pubblici.<br />
Trattandosi di regioni economiche altamente<br />
integrate tra loro, la riduzione<br />
della spesa pubblica e della domanda<br />
interna di ciascuna di esse non<br />
poteva che tradursi in minori esportazioni<br />
e, quindi, minore Pil anche per i<br />
Paesi vicini.<br />
L’Fmi ha quindi dovuto ammettere<br />
che politiche fiscali di austerità non<br />
possono essere l’unico strumento di<br />
politica economica in mano ai governi.<br />
Anche perché il debito pubblico ha<br />
continuato ad aumentare in molti Stati,<br />
nonostante i tagli alla spesa e l’aumento<br />
delle tasse.<br />
In definitiva sia i dati che le analisi<br />
del Fondo monetario internazionale<br />
sconfessano la cosiddetta “auste-<br />
Anche il Fondo monetario<br />
internazionale ha ammesso<br />
che l’austerity, da sola, non<br />
può farci uscire dalla crisi<br />
rità espansiva”, ossia la ricetta liberista<br />
di politica economica seguita, in<br />
particolare dall’Europa, per affrontare<br />
la crisi. Secondo tale ricetta la riduzione<br />
<strong>dei</strong> deficit pubblici, grazie anche<br />
al calo <strong>dei</strong> tassi di interesse che<br />
TOMASO MARCOLLA / WWW.MARCOLLA.IT<br />
di Alberto Berrini<br />
| globalvision |<br />
dovrebbe indurre (ma non si sono fatti<br />
i conti con mercati finanziari lasciati<br />
colpevolmente liberi di agire indisturbati),<br />
libera risorse che saranno<br />
poi utilizzate dai privati (consumatori e<br />
imprese) e, quindi, favoriranno la ripresa.<br />
In realtà, come la storia ha sempre<br />
dimostrato, non è scontata l’autonoma<br />
e spontanea capacità del mercato di risollevarsi,<br />
soprattutto quando la crisi è<br />
così profonda e riguarda l’intera economia<br />
globale.<br />
In breve, senza realistiche aspettative<br />
di crescita, difficilmente consumi<br />
e investimenti intraprendono spontaneamente<br />
la strada della ripresa. Ma<br />
la ricetta “keynesiana” dell’Fmi, per<br />
quanto rivoluzionaria per un organismo<br />
che in passato imponeva dolorosissime<br />
ancorché inefficaci politiche<br />
di tagli, è assai limitata. Il Fondo suggerisce,<br />
infatti, ai governi di prendere<br />
tempo, ossia di diluire nel tempo le politiche<br />
di aggiustamento per dare più<br />
ossigeno alla crescita.<br />
Ma i Paesi hanno ormai il fiato corto.<br />
E, come ricordava Keynes, «nel lungo<br />
periodo siamo tutti morti». Servono<br />
robusti interventi pubblici contro la<br />
crisi. Il capo-economista keynesiano<br />
del Fondo monetario internazionale,<br />
Olivier Blanchard, sicuramente lo sa.<br />
Gli daranno ascolto? <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 7 |
| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />
| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />
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Saldi made in Italy<br />
Per ridurre il debito dell’Italia è giusto (s)vendere il suo patrimonio?<br />
Finanza > Agenzie di rating sotto processo: da loro dipende la salvezza di un Paese<br />
Economia solidale > Primi passi: 5 banche tolgono le mani dalle commodity agricole<br />
Internazionale > Obama vs Romney: chi vincerebbe se Wall Street potesse votare?<br />
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| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 1 |<br />
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Lavoro, welfare, redistribuzione. Una teoria che non critica il sistema<br />
Finanza > Sei mila miliardi di derivati nelle casse delle banche europee. Enormi i rischi<br />
Economia solidale > Caccia al petrolio nei mari italiani. Le lobby ringraziano Passera<br />
Internazionale > Da mezzo della malavita a semiconduttore: la magia <strong>dei</strong> diamanti<br />
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| ANNO 12 N. 96 | FEBBRAIO 2012 | valori | 2 |<br />
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i nostri titoli non sono tossici<br />
ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
ndiamo per esempio i caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
n pir<br />
avanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando<br />
p<br />
ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
nd amo per esempio caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
o pe es p o c v o d la pp e p<br />
pe e p c pp<br />
avanzi e debiti; una l economia ritirando<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
avanzi e debiti una econom a r t rando<br />
p<br />
avanzi e debiti; una correzione più rapida rischia di mettere in ginocchio l'economia ritirando<br />
p<br />
deficit debito interessi deficit e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />
deficit debito nteress def c t e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />
e t e def r n t pp l c mu<br />
t d t p<br />
p p pp p<br />
p p pp p<br />
p p pp p<br />
p p p<br />
a correzione più rapi re in ginocchio<br />
a correz one più rap re n ginocch o<br />
r p p e n<br />
r p<br />
pp<br />
pp<br />
pp<br />
h<br />
mento delle tasse.<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
o d e .<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
porto della domanda<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
p d a<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
da pubb z<br />
da pub<br />
p b<br />
p<br />
odo; cioè misure ch<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
odo; c oè m sure ch<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
ve per odo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
vuole u<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
ve per odo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
b<br />
nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
ome l aumento dell età pe o oni significative subito, sono lente a<br />
ome aumento de età pe o oni s gnif cat ve sub to, sono ente a<br />
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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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troppo la conte<br />
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troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
omica ppo cald<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
l inciampo della caduta e m on tanto la politica<br />
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p de a a e o t n p a<br />
p de e p a<br />
o freddo , di conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
o freddo , d conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
quanto la politica ie are fra il tro<br />
quanto a pol t ca e a e ra il tro<br />
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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
sociale: interessi, dis e più intensi in tempi di crisi.<br />
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Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
D fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
g a<br />
un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
g a<br />
Di fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
D fronte a queste sfide la politica ha stentato a trovare i ritmi e i passi adeguati. Li troverà?<br />
un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
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gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
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ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />
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gurio è certamente questo p a a non si riveli effimera qua<br />
gur o è certamente questo p a non s r veli eff me a qua<br />
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gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
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un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
q g<br />
gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
g<br />
ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />
gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
e po<br />
do, e quindi potenzialmente abitabile. Ma le osservazioni del satellite Hipparcos dimostraron<br />
e po<br />
ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />
un altra speranza: il pianeta 70 Virginis b e nella costellazione della<br />
un a tra speranza: pianeta 70 V rgin s ne la coste laz one del a<br />
un sper z p a 0 V rg s b e a d<br />
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un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />
un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />
do, e quindi potenzialmente a azioni del satellite Hipparcos dimostraron<br />
seguito che Goldilocks era troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />
do e quind potenz almente a azioni del satellite Hipparcos dimostraron<br />
ergine; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />
erg ne; scoperto nel 1996 fu battezzato Goldilocks, perché non era né troppo caldo né troppo<br />
g e per o n 1 u to o opp c pp<br />
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p p g<br />
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troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />
troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />
e abitabile. M del sa<br />
e ab tabile del sa<br />
t l s<br />
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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
p p<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
p p<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
nuove<br />
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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
blica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
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c penali<br />
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blica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
nuove<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
na soluzione<br />
na soluz one<br />
u<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
pe s o ab e, o<br />
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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
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società<br />
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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
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vera. Le soluzio<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
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e trovata<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
p<br />
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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
porto della domanda pubblica o penalizzando la domanda privata con l'aumento delle tasse.<br />
rio<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
io<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
economia<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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di sostegno ne<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
economia<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
vuole una soluzione Goldilocks: misure di sostegno ne<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
ne nel lungo perio<br />
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ne g p o<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
ome l'aumento dell'età pensionabile, non portano restrizioni significative subito, sono lente a<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
oni significative s<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
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finanza<br />
nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
e riducono tang<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
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nifestare gli effetti, ma detti effetti si cumulano nel tempo e riducono tangibilmente gli squilib<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
finanza<br />
el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
mato in causa no<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
mato in causa no<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
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mato i causa n<br />
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l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
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omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
finanza<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
l'inciampo della caduta e il rimbalzo della ripresa. Ha chiamato in causa non tanto la politica<br />
sensi ideologici, di placare la conte<br />
sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
sensi deo ogici, di placare la conte<br />
finanza<br />
sens ideo ogici, di placare la conte<br />
sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
se de ogici, di placare la conte<br />
edono di media<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
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troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
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finanza<br />
edono d med a<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
d o m d<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
d<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
finanza<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
troppo freddo", di conciliare gli interessi, di affrontare i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
omica quanto la politica vera. Le soluzioni Goldilocks richiedono di mediare fra il "troppo cald<br />
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sociale: interessi, dissensi e contese che diventano più intensi in tempi di crisi.<br />
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gurio è certamente questo. E la speranza è che la soluzione trovata non si riveli effimera quan<br />
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un'altra speranza: il pianeta "70 Virginis b" è un pianeta extrasolare nella costellazione della<br />
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ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
ndiamo per esempio il caso delle correzioni di bilancio per svincolarsi dalla trappola delle spir<br />
deficit e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />
t e ancora debito. Una correzione troppo lenta fa accumulare<br />
ve periodo accompagnate da credibili misure di correzione nel lungo periodo; cioè misure ch<br />
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el lungo periodo.Questa crisi, insomma, non ha visto all'opera i normali meccanismi del ciclo,<br />
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conciliare gli interessi, di a i dissensi ideologici, di placare la conte<br />
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più intensi in tempi di crisi.<br />
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questo che pianeta.<br />
troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />
troppo caldo. Ma forse un giorno troveremo il giusto mezzo, sia su<br />
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novembre 2012<br />
mensile<br />
www.valori.it<br />
anno 12 numero 104<br />
Registro Stampa del Tribunale di Milano<br />
n. 304 del 15.04.2005<br />
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l’Editore si dichiara pienamente disponibile<br />
ad adempiere ai propri doveri.<br />
chiusura<br />
in stampa: 25 ottobre 2012<br />
in posta: 31 ottobre 2012<br />
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che legno e derivati non provengano da foreste ad alto<br />
valore di conservazione, dal taglio illegale o a raso e da aree<br />
dove sono violati i diritti civili e le tradizioni locali.<br />
Involucro in Mater-Bi®<br />
XINHUA / EYEVINE / CONTRASTO<br />
Guachinango, Messico, ottobre 2012.<br />
Un soldato messicano partecipa alla<br />
distruzione di una coltivazione<br />
di marijuana. Era stata seminata insieme<br />
al mais per renderne più difficile<br />
il rilevamento. Il campo, secondo<br />
la stampa locale, aveva un’estensione<br />
di 30 mila metri quadrati.<br />
| sommario |<br />
globalvision 7<br />
fotonotizie 10<br />
dossier L’era <strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong> 16<br />
Economia drogata 18<br />
Crimine globale 20<br />
Il narco-servizio bancario: da Wachovia a Hsbc 22<br />
Regole vecchie, sanzioni minime. Così prospera la finanza <strong>dei</strong> narcos 22<br />
Mex, drugs & rock ‘n’ roll. L’assalto <strong>dei</strong> narco-petrolieri 24<br />
Argentina, narcostato sempre più attivo 26<br />
finanzaetica<br />
Riforme finanziarie, è scattata l’offensiva europea 29<br />
Le banche restano in paradiso 32<br />
Shaxson: «La City? Uno <strong>dei</strong> tanti tax havens» 33<br />
Banca Etica e i Gas. Non così vicini 35<br />
narcoglobalizzazione 38<br />
economiasolidale<br />
La banda del buco 41<br />
Il dilemma di Milano: meglio il cibo sano o una nuova autostrada? 45<br />
Il mais italiano alla guerra della produttività 47<br />
Biogas, attenzione a chiamarla “energia pulita” 49<br />
La sostenibilità viaggia a pedali 51<br />
valorifiscali 53<br />
internazionale<br />
Paperini e Paperoni: chi finanzia il nuovo presidente? 55<br />
Se un mormone sale alla Casa Bianca 58<br />
Lo sporco business delle cavie umane 59<br />
Libia. Dall’occupazione coloniale alla “guerra umanitaria” 61<br />
Brasile di terra, business e pallottole 63<br />
consumiditerritorio 65<br />
altrevoci 66<br />
bancor 73<br />
action! 74<br />
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| fotonotizie |<br />
Contributi all’energia:<br />
rinnovabili 66 miliardi,<br />
fossili mille<br />
Che gli studi scientifici valgano meno<br />
<strong>dei</strong> ritorni economici lo si capisce<br />
dalla inesorabile disparità tra fonti<br />
rinnovabili e combustibili fossili come<br />
beneficiari <strong>dei</strong> contributi finanziari<br />
mondiali. Il dato emerge da una<br />
ricerca diffusa a fine agosto dal<br />
Worldwatch Institute e realizzata<br />
da Vital Signs: i contributi totali<br />
per l'energia rinnovabile nel 2010<br />
ammontavano a 66 miliardi di dollari,<br />
mentre i sussidi planetari attribuiti<br />
ai combustibili fossili raggiungono<br />
un valore stimato in 775 miliardi<br />
di dollari per il 2010 e più di 1 trilione<br />
(mille miliardi) di dollari nel 2012.<br />
Un confronto impari, con la sola<br />
magra consolazione che viene<br />
calcolando le sovvenzioni per<br />
kilowattora prodotto: basandosi sulla<br />
produzione di energia del 2009,<br />
Worldwatch Institute dice che quella<br />
rinnovabile avrebbe ricevuto tra 1,7<br />
e 15 ¢ (cent di dollaro) per kWh,<br />
mentre i sussidi per i combustibili<br />
fossili restano compresi tra 0,1 e 0,7 ¢<br />
per kWh. Peccato che attraverso<br />
il trilione di dollari concesso<br />
a petrolio&Co. la collettività finanzi<br />
anche le cosiddette “esternalità<br />
negative” sulla disponibilità delle<br />
risorse, l'ambiente e la salute umana:<br />
la Us National Academy of Sciences<br />
stima che le sovvenzioni ai combustibili<br />
fossili pesino in costi sanitari<br />
(perlopiù da inquinamento) per<br />
120 miliardi di dollari l’anno.<br />
Costi evitabili se eliminassimo<br />
il solito trilione entro i prossimi<br />
8 anni, perché allora – secondo<br />
le proiezioni della International<br />
Energy Agency (Iea) – il consumo<br />
globale di energia si ridurrebbe<br />
del 3,9%, colpendo innanzitutto<br />
la domanda di petrolio (-3,7 milioni<br />
di barili al giorno), gas naturale<br />
(-330 miliardi di metri cubi)<br />
e carbone (-230 milioni di tonnellate).<br />
Per non dire delle emissioni di CO2<br />
risparmiate. E sul prossimo numero<br />
di <strong>Valori</strong> ne saprete di più. [C.F.]<br />
[Il disastro ambientale nella piattaforma petrolifera<br />
Deepwater Horizon, che tra aprile e agosto del 2012<br />
ha sversato tonnellate di combustibile nelle acque<br />
del Golfo del Messico. Ancora oggi, a due anni<br />
di distanza, se ne vedono pesanti tracce]. REUTERS / HANDOUT<br />
| 10 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 11 |
| fotonotizie |<br />
Venezuela, Chávez<br />
eletto presidente<br />
per la quarta volta<br />
Ingrassato, ma ufficialmente guarito<br />
dal cancro a causa del quale è stato<br />
a lungo assente dalla ribalta politica<br />
lo scorso anno, il 58enne Hugo<br />
Rafael Chávez Frías si è riconfermato<br />
per la quarta volta consecutiva<br />
presidente del Venezuela.<br />
Ha annunciato la sua vittoria<br />
lo scorso 8 ottobre, affacciandosi<br />
da palazzo di Miraflores brandendo<br />
la spada di Simon Bolivar, l’eroe<br />
venezuelano vissuto tra la fine del<br />
’700 e inizio ’800 che ha contribuito<br />
all’indipendenza di molti Paesi del<br />
Sudamerica e al quale il programma<br />
di Hugo Chávez, il socialismo del XXI<br />
secolo, si ispira.<br />
L’ex militare ha ottenuto il 54,2%<br />
delle preferenze contro il 45% del<br />
suo sfidante, il quarantenne<br />
Henrique Capriles Radonski,<br />
avvocato e governatore dal 2008<br />
dello Stato di Miranda; il riconfermato<br />
presidente porta a casa 7 milioni<br />
e 400 mila voti, il suo sfidante<br />
6 milioni e 200 mila. Un risultato<br />
non sufficiente per l’elezione,<br />
ma in crescita rispetto al 36% che<br />
l’opposizione aveva conseguito<br />
nel 2006, confermando la credibilità<br />
di Capriles tra le fasce di popolazione<br />
contrarie a Chávez, che nella scorsa<br />
elezione era stato votato dal 63%<br />
<strong>dei</strong> venezuelani. C’è da dire che<br />
a queste elezioni si è presentato<br />
il 6% dell’elettorato in più, che<br />
ha espresso il suo consenso per<br />
il presidente del Partito socialista<br />
unito del Venezuela.<br />
Capriles ha preso sportivamente<br />
i risultati esprimendo l’intenzione<br />
di durare nel tempo e di continuare<br />
a lavorare per Prima la giustizia<br />
(Primero justicia), il partito di centro<br />
destra favorevole al libero mercato<br />
e alla democratizzazione del Paese,<br />
nato come associazione nel 1992.<br />
In carica dal 1998, Chávez<br />
continuerà a governare fino al 2018,<br />
con un incarico non facile: i risultati<br />
mostrano un Paese polarizzato<br />
e diviso verticalmente. Mentre<br />
l’aspetto da bravo ragazzo<br />
di Capriles ha compattato<br />
l’opposizione e raccolto i consensi<br />
<strong>dei</strong> più ricchi, ancora oggi chiamati<br />
los escualidos (gli squallidi) dai ceti<br />
medi e popolari. [Pa.Bai.]<br />
[Hugo Chávez vittorioso affacciato dal Palazzo<br />
di Miraflores lo scorso 8 ottobre].<br />
| 12 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
REUTERS / JORGE SILVA
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 13 |
| fotonotizie |<br />
Mais Ogm:<br />
tumore nei topi,<br />
paura per l’uomo<br />
Un nuovo allarme sugli Ogm,<br />
suffragato da un corposo lavoro<br />
scientifico, è rimbalzato in tutto<br />
il mondo a fine settembre, lanciato<br />
da uno studio francese che<br />
ha smosso in primis il governo<br />
di Parigi. Lo studio, pubblicato sulla<br />
rivista scientifica Food and Chemical<br />
Toxicology, ha richiesto due anni<br />
di lavoro ed è stato curato<br />
da un’équipe di ricercatori guidata<br />
da Gilles-Eric Seralini, dell’Università<br />
di Caen, con una collaborazione<br />
anche dell’Università di Verona.<br />
Ha dimostrato che topi alimentati<br />
con mais geneticamente modificato<br />
“NK603” (varietà tollerante<br />
al pesticida Roundup brevettata<br />
da Monsanto) sono morti prima di<br />
altri, dopo aver sviluppato tumori<br />
alla mammella e danni gravi a fegato<br />
e reni. Il ministro francese<br />
dell’Agricoltura Stéphane Le Foll<br />
ha dichiarato che sarà necessario<br />
rivedere i protocolli<br />
di autorizzazione <strong>dei</strong> prodotti<br />
geneticamente modificati e, non<br />
appena lo studio sarà convalidato<br />
dall’Agenzia nazionale per<br />
la sicurezza sanitaria (Anses), Parigi<br />
chiederà che venga disposto<br />
«il blocco delle importazioni<br />
di questo tipo di prodotti. Occorrerà<br />
prendere decisioni politiche<br />
di notevole importanza, anche<br />
su scala europea».<br />
Ma a preoccuparsi non è solo<br />
il Paese transalpino, se è vero che<br />
l’autorità tedesca sulla sicurezza<br />
alimentare ha dato mandato<br />
a un gruppo di esperti di stilare<br />
una relazione sull’argomento.<br />
E in Canada la coalizione<br />
ambientalista Vigilance Ogm, che<br />
chiede da tempo l’imposizione<br />
di un’etichettatura specifica per tali<br />
tipi di prodotti, vuole ripetere<br />
nuovamente lo studio, al fine<br />
di fugare anche alcuni dubbi che<br />
sono sorti in merito alla metodologia<br />
utilizzata dai ricercatori francesi.<br />
[C.F.]<br />
[Alcuni ricercatori dell’Università di Caen mentre<br />
eseguono i test. <strong>Valori</strong> ha scelto di non mostrare<br />
le immagini più agghiaccianti. Ci scusiamo per aver<br />
comunque pubblicato la foto di un animale<br />
sottoposto ai test].<br />
| 14 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
| |<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 15 |
dossier a<br />
Nella città di Tijuana, al confine con il Messico,<br />
il 22 ottobre del 2010 furono sequestrate<br />
da polizia ed esercito 134 tonnellate di marijuana,<br />
che poi vennero date alle fiamme<br />
Economia drogata > 18<br />
Crimine globale > 20<br />
Il narco-servizio bancario > 22<br />
L’assalto <strong>dei</strong> narco-petrolieri > 24<br />
Argentina-narcostato sempre più attivo > 26<br />
cura di Paola Baiocchi, Andrea Barolini,<br />
Matteo Cavallito e Valentina Neri
L’era<br />
<strong>dei</strong> <strong>Narcostati</strong><br />
Delocalizzano, fanno dumping,<br />
aprono nuovi mercati, investono<br />
nella finanza. Sono le corporation<br />
del crimine, quasi indistinguibili<br />
da quelle legali<br />
FABIO CUTTICA / CONTRASTO
dossier<br />
| 18 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
Economia<br />
drogata<br />
di Paola Baiocchi<br />
Si parla di una nuova fase del potere criminale, ormai in simbiosi con il sistema economico legale e che usa<br />
tutte le potenzialità della “globalizzazione” per svilupparsi: Stati deboli, culture sottomesse alla dittatura del profitto<br />
e finanziarizzazione del mondo. In un quadro di collaborazioni transnazionali tra organizzazioni criminali<br />
L’<br />
economia della droga, un mercato<br />
che ingenera bisogni e sfrutta<br />
debolezze umane, produce fiumi<br />
di danaro che si stima rappresentino il 4%<br />
del Pil mondiale. Ma diventano centinaia<br />
di volte di più dopo esser stati moltiplicati<br />
dalle leve “legali” <strong>dei</strong> prodotti finanziari,<br />
attraverso i quali i narcocapitali vengono<br />
lavati e rientrano nell’economia, indistinguibili<br />
dagli altri capitali finanziari.<br />
Sulla base della difficoltà di separare<br />
legale e illegale, chi studia il potere criminale<br />
parla di una nuova fase nella storia<br />
del crimine organizzato, che sarebbe in<br />
questo momento simbiotico all’economia<br />
legale e quindi “globalizzato”, avendo saputo<br />
approfittare del vuoto di potere politico<br />
conseguente alla dissoluzione dell’Unione<br />
Sovietica, come spiega Umberto<br />
Santino, storico delle mafie, in Droga, mafia<br />
e globalizzazione.<br />
Il progressivo indebolimento degli<br />
Stati nazione, trasformati in Stati mercato<br />
dalla fine della guerra fredda e<br />
dall’avanzare del neoliberalismo, per Loretta<br />
Napoleoni, esperta di terrorismo<br />
ed economia internazionale, rende possibile<br />
l’evoluzione della ’ndrangheta calabrese<br />
che, tra gli anni ’80 e ’90, esporta<br />
all’estero la rete che ha costruito in Italia<br />
in un secolo, cavalcando l’occasione delle<br />
guerre nei Balcani, che bloccano le tradizionali<br />
rotte (Economia canaglia, Il<br />
Saggiatore 2008).<br />
La ’ndrangheta convince contrabbandieri<br />
albanesi, bulgari, turchi e isla-<br />
mici a deviare i loro traffici per far diventare<br />
le coste della Calabria le nuove<br />
frontiere illegali dell’Europa. Scrive la<br />
Napoleoni: «Alla fine della guerra nei<br />
Balcani le rotte calabresi sono tanto comode<br />
e frequentate che quelle di prima<br />
non vengono più riaperte».<br />
L’integrazione verticale<br />
della ’ndrangheta<br />
Nel frattempo la ’ndrangheta consolida i<br />
rapporti con i cartelli colombiani e messicani<br />
della cocaina e riesce a costruire<br />
un’organizzazione a “integrazione verticale”<br />
sul modello delle corporation multinazionali,<br />
che offre come nessun altro<br />
il pacchetto completo (volendo anche di<br />
voti elettorali). Le ’ndrine garantiscono<br />
dal contrabbando della droga ai pagamenti<br />
in armi, al riciclaggio del danaro<br />
<strong>dei</strong> narcos in euro, in questo facilitate<br />
dall’unione monetaria europea, che aiuta<br />
a coprire l’origine <strong>dei</strong> proventi illegali,<br />
assieme all’insufficiente monitoraggio<br />
comunitario sui contanti in entrata e in<br />
uscita dall’Unione.<br />
Spiega Michele Prestipino, procuratore<br />
aggiunto presso la Direzione distrettuale<br />
antimafia di Reggio Calabria: «Nella sua<br />
ascesa come intermediatore e organizzatore<br />
<strong>dei</strong> traffici internazionali della cocaina,<br />
la ’ndrangheta ha approfittato di due<br />
“jolly”: l’impegno di Cosa nostra nella strategia<br />
stragista e poi il suo indebolimento<br />
per la reazione dello Stato. Negli anni in<br />
cui tutta l’attenzione era focalizzata sulla<br />
Sicilia – continua Prestipino – la ’ndrangheta<br />
ha accumulato un enorme potere e<br />
un’enorme ricchezza. Compatta e con un<br />
grande serbatoio di liquidità finanziaria<br />
per poter far fronte in ogni caso a qualsiasi<br />
pagamento, la ’ndrangheta si è affermata<br />
per affidabilità e solvibilità di cassa».<br />
La proletarizzazione della cocaina<br />
Interconnessione <strong>dei</strong> mercati, velocità<br />
nelle transazioni, segretezza del sistema<br />
bancario, grandi diseguaglianze sociali<br />
all’interno <strong>dei</strong> Paesi e tra i Paesi e svuotamento<br />
della funzione politica degli Stati<br />
che non agiscono più come regolatori <strong>dei</strong><br />
mercati, sottoposti solo alle leggi del profitto.<br />
Tutte queste caratteristiche della<br />
“globalizzazione” sono colte dal traffico<br />
internazionale delle droghe che approfitta<br />
per svilupparsi, secondo Santino, sia<br />
del deficit che dell’abbondanza.<br />
Così dalla povertà della Colombia nasce<br />
la ricchezza <strong>dei</strong> narcos, che hanno<br />
“proletarizzato” una droga come la cocaina<br />
che fino a 25 anni fa era solo per ricchi<br />
e ora è diffusa sulle piazze quanto l’hashish,<br />
mentre coltivazioni e laboratori dalla<br />
Colombia si diffondono in Bolivia e Perù.<br />
Azzardiamo l’ipotesi che la cocaina sia<br />
spinta nella sua discesa verso prezzi più<br />
“popolari”, che non ne intaccano comunque<br />
il “saggio di profitto”, anche dalle economie<br />
di scala permesse dall’efficienza<br />
organizzativa della ’ndrangheta.<br />
La diffusione della cocaina nei Paesi<br />
dell’Est, così come nel resto del mondo, è
culturalmente legata all’imitazione di modelli<br />
che ne fanno una droga per “vincenti”.<br />
Modelli di quel pensiero unico che,<br />
sempre per Umberto Santino, incarna<br />
“l’etica della globalizzazione”: cioè una<br />
summa di codici culturali ispirati al dogma<br />
del profitto, alla sudditanza del lavoro<br />
al capitale, alla competitività e al consumismo<br />
come filosofia di vita, per arrivare<br />
al successo ad ogni costo. In queste praterie<br />
culturali e legislative libere da “lacci e<br />
lacciuoli”, tra le criminalità si stabiliscono<br />
collaborazioni transnazionali in nome del<br />
“mercato”, per evitare clamorose guerre.<br />
Nuovi mercati si aprono<br />
L’eroina, dopo la flessione nei consumi<br />
conseguente alla conoscenza <strong>dei</strong> suoi effetti<br />
e alla diffusione dell’Aids, ora fumata<br />
e sniffata oltre che iniettata, ha conquistato<br />
nuovi mercati: l’Iran, per esempio,<br />
che è allo stesso tempo piattaforma nei<br />
flussi dall’Afghanistan verso l’Europa e<br />
consumatore, con 4/5 milioni di dipendenti<br />
da oppiacei. Ma anche la Russia e i Paesi<br />
dell’Est si stanno affermando come consumatori<br />
oltre che come trafficanti, dopo<br />
la caduta del Muro di Berlino.<br />
Dall’Afghanistan arrivano i tre quarti<br />
della produzione mondiale di oppio,<br />
materia base per l’eroina, che ora viene<br />
anche raffinata localmente. «Per questioni<br />
economiche: è molto più facile<br />
contrabbandare eroina che pani d’oppio»,<br />
spiega Rosario Aitala, consigliere<br />
del ministro degli Affari esteri per le<br />
Aree di crisi e Criminalità internazionale,<br />
che continua: «L’Afghanistan ha una<br />
storia complessa per cui lì è diventato facile<br />
coltivare l’oppio e sarà molto difficile<br />
che smettano di coltivarlo».<br />
La proxy war, la guerra per procura,<br />
combattuta dagli afghani contro l’Urss<br />
alla fine degli anni ’70, finanziata con capitali<br />
Usa e dell’Arabia Saudita, con la<br />
collaborazione <strong>dei</strong> servizi segreti pakistani,<br />
israeliani ed egiziani, ha riaperto<br />
“la via della seta” per i missili Stinger destinati<br />
ai mujaheddin, ma anche al traffico<br />
di droga. E ha aperto la strada anche,<br />
sostiene Chalmers Johnson, storico e<br />
saggista statunitense autore di Nemesi,<br />
all’11 settembre e alle successive guerre<br />
Usa contro il terrorismo. <br />
1. FLUSSI GLOBALI DI EROINA DI ORIGINE ASIATICA<br />
Flussi di eroina<br />
[tonnellate]<br />
[not actual trafficking routes]<br />
11<br />
6-10<br />
1-5<br />
USA,<br />
Canada<br />
Mexico 17<br />
165<br />
Pacific<br />
West, Central,<br />
East Europe<br />
FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC<br />
2. FLUSSI GLOBALI DI COCAINA NEL 2008<br />
14 Canada<br />
USA<br />
ANDEAN<br />
REGION<br />
Caribbean<br />
FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC<br />
38 Opium 5,300<br />
88<br />
South-East<br />
Europe Caucasus<br />
Africa<br />
82<br />
B.R. of Venezuela<br />
Brazil<br />
Turkey<br />
Russian<br />
Federation<br />
95<br />
Islamic<br />
Republic<br />
of Iran<br />
Gulf area,<br />
Middle East<br />
124<br />
West<br />
Africa<br />
Central<br />
Asia<br />
Afghanistan<br />
105<br />
1 50<br />
Pakistan<br />
Europe<br />
| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
India<br />
Southern<br />
Africa<br />
Transformed<br />
into heroin<br />
2,700<br />
Afghanistan<br />
China<br />
Myanmar<br />
Traffico di cocaina [tonnellate]<br />
140<br />
60<br />
15<br />
6<br />
South-East<br />
Asia<br />
Principali produttori di cocaina<br />
Consumo di cocaina<br />
[tonnellate]<br />
Produzione<br />
di oppio<br />
[tonnellate]<br />
1-2 Ad oggi, i dati relativi al consumo totale di eroina nel mondo, insieme a quelli legati ai sequestri,<br />
indicano un flusso complessivo nel mercato globale di circa 430-450 tonnellate. La quantità prodotta<br />
dal Myanmar e dal Laos raggiunge circa le 50 tonnellate, mentre il resto – circa 380 tonnellate di eroina<br />
e morfina – è prodotto esclusivamente in Afghanistan.<br />
Sono due le principali “autostrade” della droga: una che passa dai Balcani e un’altra che sfrutta il territorio<br />
della Russia, in direzione dell’Europa. Il primo corridoio tocca l’Iran (ma spesso anche il Pakistan),<br />
la Turchia, la Grecia e la Bulgaria, prima di entrare nella ex-Jugoslavia; rappresenta un giro d’affari di circa<br />
20 miliardi di dollari all’anno. Il secondo passa per Tagikistan e Kirgizistan (o Uzbekistan e Turkmenistan),<br />
tocca il Kazakistan e arriva in Russia; il valore stimato è di 13 miliardi di dollari all’anno.<br />
Per quanto riguarda la cocaina, il mercato non è più quasi unicamente europeo, come nel caso dell’eroina,<br />
ma anche nordamericano. Sono le nazioni andine (Colombia su tutte, ma anche Perù e Bolivia) i principali<br />
produttori: per raggiungere Usa e Canada i trafficanti sfruttano le vie marittime o il Messico.<br />
Le navi sono invece il mezzo privilegiato per arrivare in Europa.<br />
77<br />
95<br />
500<br />
450<br />
Myanmar<br />
Oceania<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 19 |
dossier<br />
di Valentina Neri<br />
| 20 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
Crimine<br />
globale<br />
La criminalità organizzata gestisce<br />
il traffico di droga come una<br />
multinazionale: produce dove costa<br />
meno e dove è più sicuro.<br />
E sfrutta le economie di scala.<br />
Lo racconta Franz Trautmann<br />
dire come sono organizzati<br />
i gruppi crimina-<br />
«Èdifficile<br />
li. L’unica cosa certa è che<br />
seguono le stesse regole: cercano di sfruttare<br />
le economie di scala». Esordisce così<br />
Franz Trautmann, direttore dell’unità<br />
Affari internazionali al Trimbos Institute,<br />
centro studi olandese sulle droghe e<br />
la salute mentale.<br />
Ritiene che esistano veri narcostati? E che<br />
la criminalità organizzata sia organizzata<br />
come le multinazionali?<br />
È un tema di cui mi sto occupando<br />
per la Commissione europea. Abbiamo la<br />
sensazione che ci siano Paesi “deboli” in<br />
cui vige un regime di corruzione e le organizzazioni<br />
criminali sono piuttosto<br />
stabili perché non hanno molto da temere.<br />
Lo possiamo vedere ad esempio nel<br />
traffico di cocaina in America Latina.<br />
La criminalità organizzata sfrutta le<br />
economie di scala. Che non vuol dire soltanto<br />
che i siti di produzione sono più<br />
grandi, ma anche che le organizzazioni<br />
criminali cercano di differenziare i rischi,<br />
ad esempio delocalizzando la produzione<br />
in diverse zone. Puoi scovare un<br />
centro di produzione, ma a quel punto ne<br />
hai solo uno. Ci vuole uno sforzo maggiore<br />
per riuscire a individuare i centri di<br />
produzione più piccoli e meno visibili.<br />
SEQUESTRI DI CANNABIS NEL MONDO<br />
United States of America<br />
1,931.0<br />
Mexico<br />
2,313.1<br />
Sequestri nel 2010<br />
[tonnellate]<br />
Tendenza 2009-2010<br />
In crescita (>10%)<br />
Stabile (+/- 10%)<br />
In calo (>10%)<br />
Canada<br />
50.7<br />
Belize<br />
97.0<br />
Guatemala<br />
4.4 Panama<br />
El Salvador 1.8<br />
0.9<br />
Costa Rica<br />
0.6<br />
Ecuador<br />
2.5<br />
Nessun dato disponibile<br />
per l’anno precedente<br />
Peru<br />
3.9<br />
Colombia<br />
255.0<br />
Chile<br />
8.1<br />
Venezuela (Bolivarian<br />
Republic of)<br />
38.9<br />
Caribbean<br />
92.3<br />
Suriname<br />
0.15<br />
Boliva (Plurinational State of)<br />
4.4<br />
Uruguay<br />
0.38<br />
Argentina<br />
36.3<br />
Brazil<br />
155.1<br />
Morocco<br />
186.6<br />
West & Central Europe<br />
69.2<br />
Sono più difficili le operazioni antidroga...<br />
I metodi di contrasto alle droghe attivati<br />
finora stanno convogliando la produzione<br />
in certe direzioni. Capita, ad<br />
esempio, che si delocalizzi da un territorio<br />
a un altro perché è più sicuro. La polizia<br />
olandese negli ultimi anni ha agito molto<br />
attivamente per scovare le coltivazioni di<br />
cannabis, utilizzando addirittura rilevazioni<br />
con telecamere a infrarossi. Risultato:<br />
parte della produzione è stata spostata<br />
in Belgio, a 20-50 km di distanza, perché<br />
Southeast Europe<br />
55.0<br />
Israel<br />
4.9<br />
Egypt<br />
107.0<br />
Chad<br />
0.6<br />
Nigeria<br />
Mozambique<br />
3.25<br />
Botswana<br />
0.7<br />
Swaziland<br />
5.94<br />
Sequestri di cannabis dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
Nessun sequestro di cannabis dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
SEQUESTRI DI COCAINA NEL MONDO<br />
United States of America<br />
163.34<br />
Mexico<br />
9.89<br />
Sequestri nel 2010<br />
[tonnellate]<br />
Tendenza 2009-2010<br />
Central America<br />
85.7<br />
Ecuador<br />
15.47<br />
In crescita (>10%)<br />
Stabile (+/- 10%)<br />
In calo (>10%)<br />
Canada<br />
2.95<br />
Nessun dato disponibile<br />
per l’anno precedente<br />
Venezuela<br />
(Bolivarian Republic of)<br />
25.09<br />
Colombia<br />
211.21<br />
Peru<br />
31.06<br />
Chile<br />
9.94<br />
Caribbean<br />
7.28<br />
Guyana<br />
0.09<br />
0.38<br />
Suriname<br />
Brazil<br />
27.07<br />
Bolivia (Plurinational State of)<br />
29.09<br />
Paraguay<br />
1.43<br />
Uruguay<br />
0.65<br />
Argentina<br />
7.3<br />
East Europe<br />
39.0<br />
Uzbekistan<br />
1.7<br />
Iran<br />
8.2<br />
Senegal<br />
15.9<br />
Mali<br />
3.33<br />
Burkina Faso<br />
0.13<br />
Australia<br />
1.8<br />
Côte d’Ivoire<br />
174.7<br />
3.6 Togo<br />
Ghana<br />
0.6<br />
0.15<br />
Cameroon<br />
0.3<br />
Kenya<br />
15.0<br />
Gabon<br />
1.1<br />
Tanzania (United Republic of)<br />
279.5<br />
Senegal<br />
0.04<br />
West & Central Europe<br />
60.95<br />
Morocco<br />
0.07<br />
Mali MMali 0.0 0.02<br />
BBenin<br />
0.01<br />
Ghana<br />
0.03<br />
East Europe<br />
0.27<br />
South-East Europe<br />
0.37<br />
Nigeria<br />
0.71<br />
Cameroon<br />
0.01<br />
Israel<br />
0.07<br />
Sequestri di cocaina dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
Nessun sequestro di cocaina dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
Saudi Arabia<br />
0.03<br />
Madagascar<br />
0.8<br />
Kazakhstan<br />
27.3<br />
Kyrgyzstan<br />
1.4<br />
India<br />
173.1<br />
Islamic Republic of Iran<br />
0.02 Pakistan<br />
0.23<br />
0.05<br />
United Arab<br />
Emirates<br />
Kenya<br />
0.02<br />
Tanzania (United Republic of)<br />
0.06<br />
Bangladesh<br />
22.3<br />
India<br />
0.02<br />
Myanmar<br />
0.2<br />
China<br />
3.2<br />
Thailand<br />
17.9<br />
China<br />
0.44<br />
Lao People's Democratic Republic<br />
3.5<br />
Vietnam<br />
0.2<br />
Malaysia<br />
1.1<br />
0.03<br />
Thailand<br />
Malaysia<br />
0.02<br />
Indonesia<br />
22.7<br />
0.34<br />
Philippines<br />
Japan<br />
0.2<br />
Philippines<br />
1.1<br />
Australia<br />
1.8<br />
Hong Kong, China<br />
0.58<br />
Australia<br />
1.89<br />
è un territorio meno controllato. Pur rimanendo<br />
nelle mani delle stesse organizzazioni.<br />
È lo stesso meccanismo per cui, se<br />
oggi si compra un prodotto Apple, è fabbricato<br />
a Taiwan. È una legge economica:<br />
si produce dove costa meno. Il mercato<br />
della droga sta facendo più o meno lo<br />
stesso. La maggiore differenza fra i mercati<br />
legali e quelli illegali è che questi ultimi,<br />
oltre ai costi di produzione, trasporto,<br />
smistamento ecc., devono considerare costi<br />
extra per il rischio di sequestri.<br />
FONTE: WORLD DRUG REPORT 2012, UNODC<br />
New Zealand<br />
0.8
SEQUESTRI DI ECSTASY NEL MONDO<br />
Canada<br />
528.9<br />
United States of America<br />
1,069.1<br />
Mexico<br />
2.0<br />
Sequestri nel 2010<br />
[tonnellate]<br />
Tendenza 2009-2010<br />
In crescita (>10%)<br />
Stabile (+/- 10%)<br />
In calo (>10%)<br />
Colombia<br />
1.8<br />
Nessun dato disponibile<br />
per l’anno precedente<br />
United States of America<br />
3.5<br />
Mexico<br />
0.4<br />
0.1<br />
Canada<br />
Caribbean<br />
0.03<br />
Central America<br />
0.2<br />
Ecuador<br />
0.9<br />
Colombia<br />
1.7<br />
Peru<br />
68.1<br />
Argentina<br />
25.5<br />
0.05<br />
Venezuela (Bolivarian<br />
Republic of)<br />
West & Central Europe<br />
1,029.4<br />
Ma esiste una vera organizzazione del<br />
lavoro criminale a livello globale?<br />
È difficile entrare nello specifico dell’organizzazione<br />
del lavoro. Le organizzazioni<br />
illecite si occupano di diversi settori:<br />
il traffico di droga spesso è legato al traffico<br />
di esseri umani e talvolta anche al<br />
gioco d’azzardo. I traffici hanno bisogno<br />
in primo luogo di infrastrutture: aeroporti,<br />
strade, ecc. Lo si vede a Rotterdam come<br />
in Sudafrica: uno Stato che inizia ad<br />
aver un certo ruolo perché ha ottime in-<br />
East Europe<br />
5.9<br />
South-East Europe<br />
276.2<br />
Sequestri di ecstasy dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
Nessun sequestro di ecstasy dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
SEQUESTRI DI EROINA E MORFINA NEL MONDO<br />
Sequestri nel 2010<br />
[tonnellate]<br />
Tendenza 2009-2010<br />
In crescita (>10%)<br />
Stabile (+/- 10%)<br />
In calo (>10%)<br />
Nessun dato disponibile<br />
per l’anno precedente<br />
Russian Federation<br />
2.6<br />
China<br />
381.9<br />
4.00<br />
Thailand<br />
129.7<br />
Malaysia<br />
1.74<br />
Hong Kong, China<br />
Singapore<br />
2.4<br />
127.4<br />
Indonesia<br />
Australia<br />
111.6<br />
Belarus<br />
West & Central Europe 0.04<br />
Kazakhstan<br />
5.8<br />
Southeast Europe<br />
0.3<br />
(excl. Turkey)<br />
Turkey<br />
Uzbekistan<br />
0.68<br />
12.7 Turkmenistan 1.0 0.2<br />
Syrian Arab Republic 0.1<br />
Kyrgyzstan China<br />
0.05<br />
1.0<br />
Islamic Rep. of Tajikistan<br />
5.4<br />
Iran<br />
Israel<br />
Afghanistan<br />
Pakistan<br />
0.2 0.5<br />
14.1<br />
Hong Kong, China<br />
0.2<br />
10.3 Bangladesh<br />
North Africa<br />
0.1 0.07 Taiwan province of China<br />
0.06 United Arab Emirates<br />
0.01 0.07<br />
Saudi Arabia<br />
0.1<br />
0.8 Myanmar 0.08<br />
Macau, China<br />
0.2<br />
India<br />
Lao People’s Dem. Rep.<br />
Thaliand<br />
West and Central Africa<br />
0.1 0.3<br />
0.2<br />
0.1<br />
Malaysia<br />
Viet Nam<br />
East Africa<br />
Sri Lanka<br />
0.3 0.05<br />
0.03<br />
Singapore Indonesia<br />
35.24<br />
Sequestri di eroina e morfina dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
Nessun sequestro di eroina e morfina dal rapporto<br />
UNODC (2006-2010)<br />
Australia<br />
0.5<br />
Japan<br />
4.95<br />
New Zealand<br />
12.5<br />
frastrutture. Ma ci sono anche infrastrutture<br />
“invisibili”. Le organizzazioni criminali<br />
hanno iniziato a lavorare di più nelle<br />
zone dell’Africa occidentale che erano excolonie<br />
portoghesi: da lì le sostanze stupefacenti<br />
vengono portate in Portogallo e<br />
Spagna. Legami storici che in un certo<br />
senso agiscono da infrastrutture.<br />
Secondo i dati dell’Unodc, i proventi del<br />
traffico di droga sono in diminuzione...<br />
Ho i miei dubbi su questi dati. Il de-<br />
| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
L’ultimo rapporto dell’Unodc (l’Ufficio delle Nazioni<br />
Unite per il Controllo della droga e la prevenzione<br />
del crimine) sottolinea che quello legato alla<br />
cannabis è un fenomeno globale: spiccano<br />
i casi di Stati Uniti e Messico, ma i sequestri<br />
risultano effettuati in tutto il mondo.<br />
Per la cocaina, la maggioranza delle operazioni<br />
si concentra in America centrale (nella regione<br />
andina) e del Sud, negli Usa ed Europa occidentale.<br />
La maggior parte <strong>dei</strong> sequestri di eroina<br />
si concentra in Asia meridionale, ricalcando<br />
la geografia <strong>dei</strong> principali luoghi di produzione.<br />
Nel solo 2008 in tutto il mondo sono state<br />
sottratte ai trafficanti 73,7 tonnellate di eroina.<br />
Solo due Paesi, Iran e Turchia, registrano oltre<br />
la metà <strong>dei</strong> sequestri mondiali. Al contrario,<br />
nello Stato che più di ogni altri produce eroina,<br />
l’Afghanistan, la quota sequestrata risulta<br />
assolutamente esigua: solamente 5 tonnellate<br />
contro le 375 introdotte sul mercato internazionale.<br />
Discorso opposto per l’ecstasy, sequestrata quasi<br />
unicamente in Usa, Canada, Europa e Cina.<br />
I dati relativi ai sequestri però non sono di per<br />
sé indicativi di una maggiore o minore presenza<br />
di droga sul territorio. Dipendono anche dalla<br />
capacità (o volontà) delle forze di polizia<br />
di contrastare il fenomeno.<br />
naro che circola nel narcotraffico deriva<br />
da varie fasi: produzione, traffico, vendita<br />
su larga scala e al dettaglio. Sappiamo<br />
che la produzione è la parte minore perché<br />
l’agricoltore che coltiva la coca prende<br />
solo le briciole, sappiamo anche che i<br />
profitti arrivano nel passaggio tra “ingrosso”<br />
e “dettaglio”, ma è difficile capire<br />
a quanto ammontino.<br />
Ci si sta spostando verso le droghe<br />
sintetiche, più facili e veloci da produrre,<br />
da delocalizzare e da nascondere. Per<br />
coltivare coca o papavero, invece, sono<br />
necessari campi vasti e visibili e servono<br />
mesi. Le droghe sintetiche, però, non sono<br />
ancora monitorate a sufficienza.<br />
Da cosa dipende lo spostamento<br />
del traffico da una droga all’altra?<br />
Ci sono molti fattori. In Olanda in<br />
questo momento l’età media delle persone<br />
in trattamento per l’uso di eroina è sui<br />
cinquant’anni: non ci sono persone giovani<br />
che iniziano a fare uso di eroina. Si<br />
tratta di trend che hanno a che fare con<br />
la moda: l’eroina non è più di moda, i giovani<br />
pensano che sia una droga per perdenti.<br />
Al contrario la cocaina, le anfetamine<br />
e la cannabis sono più “cool”, sono<br />
le droghe delle persone che vogliono soldi,<br />
vogliono fare carriera. Le politiche<br />
reagiscono al problema ma non riescono<br />
a dare forma al problema stesso. <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 21 |
dossier<br />
| 22 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
Il narco-servizio bancario:<br />
da Wachovia a Hsbc<br />
di Matteo Cavallito<br />
Un rapporto del Senato inchioda<br />
la banca britannica, per anni efficace<br />
lavanderia <strong>dei</strong> trafficanti di droga.<br />
Ma il suo non è un caso isolato<br />
L’<br />
ultimo scandalo è del luglio scorso<br />
e le cifre sono da capogiro. Il<br />
colosso finanziario britannico<br />
Hsbc – 2.500 miliardi di dollari (in asset gestiti),<br />
89 milioni di clienti e 22 miliardi di<br />
profitti annui – ha prestato i suoi servizi al<br />
riciclaggio internazionale di denaro sporco.<br />
La denuncia, contenuta in un rapporto<br />
di oltre 300 pagine del Committee on<br />
Homeland Security and Governmental<br />
Affairs del Senato statunitense parla chiaro:<br />
in barba ai regolamenti sulla traspa-<br />
renza finanziaria, l’istituto ha aperto migliaia<br />
di conti correnti in favore di clienti<br />
sospetti, società fantasma, riciclatori ed<br />
evasori di stanza nei paradisi fiscali come<br />
Bahamas, Nauru e Isole Cayman. Il controvalore<br />
delle transazioni potenzialmente<br />
rischiose e non adeguatamente monitorate<br />
dalla banca ammonterebbe a circa 60<br />
trilioni (mila miliardi) di dollari all’anno.<br />
Oltre due terzi del Pil mondiale.<br />
I regolamenti internazionali impongono<br />
al sistema bancario l’adeguamento costante<br />
a due tipi di standard preventivi:<br />
l’Aml (Anti money laundering, antiriciclaggio)<br />
e il Ctf (Counter-terrorism financing,<br />
contrasto ai canali di finanziamento<br />
<strong>dei</strong> terroristi). In ossequio a questi criteri,<br />
l’Office of foreign assets control (Ofac) del<br />
dipartimento del Tesoro Usa ha elaborato<br />
Regole vecchie, sanzioni minime<br />
Così prospera la finanza <strong>dei</strong> narcos<br />
di Matteo Cavallito<br />
Secondo l’ex direttore dell’Unodc Costa, il collegamento<br />
banche, narcotraffico e riciclaggio è un problema endemico.<br />
Mancano regole e sanzioni adeguate. La globalizzazione<br />
finanziaria aiuta a spostare, e lavare, capitali<br />
«Il nesso tra narcotraffico, finanza e riciclaggio non è un fatto<br />
congiunturale, ma il frutto di un problema endemico che parte<br />
dalla mancanza di moralità». Non ha dubbi l’ex direttore<br />
dell’Unodc Antonio Maria Costa. A quasi quattro anni dalla<br />
denuncia sulle connessioni tra banche e proventi della droga,<br />
i problemi di fondo sono tuttora irrisolti.<br />
da tempo una lista nera di soggetti e giurisdizioni<br />
cui proibire l’accesso ai servizi finanziari.<br />
Tra il 2002 e il 2007 la filiale Usa<br />
di Hsbc è stata usata da ignoti clienti per<br />
effettuare transazioni potenzialmente<br />
proibite dall’Ofac per quasi 20 miliardi di<br />
dollari, coinvolgendo giurisdizioni “problematiche”<br />
tra cui Iran e Corea del Nord.<br />
I vertici Usa di Hsbc, sostiene il rapporto,<br />
erano stati informati delle operazioni<br />
sospette già nel 2001, ma non avevano<br />
attuato alcuna significativa misura<br />
di contrasto. Anzi, per dieci anni la banca<br />
ha intrattenuto rapporti con almeno tre<br />
istituti, noti per le loro attività di finanziamento<br />
del terrorismo internazionale:<br />
la banca saudita Al Rajhi Islami e le bengalesi<br />
Bank Bangladesh Ltd. e Social Islami<br />
Bank.<br />
Dottor Costa, che impressione le ha fatto il caso Hsbc?<br />
È stato uno <strong>dei</strong> tanti casi clamorosi che sono emersi, come<br />
quelli di Wachovia o di Citibank. La cosa che più mi colpisce<br />
è che si tratta di banche di grande importanza che non avrebbero<br />
bisogno di ricorrere a certi stratagemmi per reperire la liquidità.<br />
Tuttavia siamo di fronte a un problema sistemico: regole globali<br />
in parte assenti e in parte inadeguate che spesso vengono<br />
anche disattese.<br />
Quindi è un problema di regole?<br />
Nel luglio del 1989, quando ero vice segretario generale<br />
dell’Ocse, l’allora G7 creò la Financial Action Task Force (Fatf),<br />
che negli anni successivi fissò alcune regole adatte a un mondo
La “risorsa” <strong>dei</strong> narcodollari<br />
La storia più incredibile nell’epopea di<br />
Hsbc viene dalla filiale messicana della<br />
banca, Hbmx, che tra il 2007 e il 2008 ha materialmente<br />
spedito 7 miliardi di dollari in<br />
contanti negli Stati Uniti. Un simile ammontare<br />
di denaro liquido non tracciabile,<br />
si sospetta sia riconducibile ai cartelli della<br />
droga. La vicenda di Hbmx richiama alla<br />
memoria un’altra storia messicana, quella<br />
cominciata con il sequestro di un DC-9 carico<br />
di 5,7 tonnellate di cocaina (controvalore<br />
stimato: 100 milioni di dollari) a Ciudad<br />
del Carmen, il 10 aprile del 2006. Dalle<br />
indagini successive si scoprì che il velivolo<br />
era stato acquistato con denaro riciclato<br />
attraverso la banca statunitense Wachovia,<br />
di base a Charlotte nel North Carolina.<br />
La banca, riferì in seguito il quotidiano<br />
britannico The Observer, aveva condotto<br />
transazioni per quasi 380 miliardi di<br />
dollari con le oscure Casas de cambio locali,<br />
le agenzie messicane di conversione<br />
della valuta da tempo clienti dell’istituto.<br />
Nel gennaio del 2009, in un’intervista al<br />
settimanale austriaco Profil, il direttore<br />
(dal 2002 al 2010) dello United nations office<br />
on drugs and crime (Unodc) Antonio<br />
Maria Costa lanciò una pesantissima accusa<br />
all’intero sistema bancario globale:<br />
nella seconda metà del 2008, spiegò, «il<br />
denaro derivante dal traffico di droga<br />
non ancora stravolto dalla globalizzazione finanziaria. Oggi<br />
è possibile portare contanti nelle cosiddette rogue jurisdictions,<br />
i Paesi “canaglia”, in Africa, nel Pacifico, in America Centrale,<br />
paradisi fiscali in genere, e vederli trasferire nel giro<br />
di poche ore nelle giurisdizioni tradizionali.<br />
Occorre anche denunciare il ruolo di altri soggetti protagonisti<br />
del riciclaggio, come l’industria alberghiera, del turismo<br />
in generale e del gioco d’azzardo (i casinò ad esempio).<br />
Detto questo esiste anche un altro problema, quello<br />
delle sanzioni.<br />
Sono troppo lievi?<br />
Nel caso Wachovia i responsabili se ne sono andati e hanno<br />
trovato una nuova occupazione altrove nel sistema bancario<br />
americano, mentre la loro banca, accusata di riciclare<br />
oltre 400 miliardi di narcodollari, riceveva una multa pari<br />
a qualcosa come il 2% circa del suo profitto annuale.<br />
Se si vuole arrestare il fenomeno occorre avere sanzioni molto<br />
più severe per i soggetti e le istituzioni coinvolte.<br />
rappresentava l’unico investimento liquido<br />
di capitale». Tradotto, con un mercato<br />
interbancario congelato (gli istituti<br />
avevano smesso di prestarsi denaro temendo<br />
vicendevolmente l’insolvenza) a<br />
salvare dal collasso il sistema era stato il<br />
denaro <strong>dei</strong> trafficanti/riciclatori, gli unici<br />
a disporre di liquidità e di propensione<br />
all’investimento. Nei mesi convulsi del<br />
collasso Lehman (e del tracollo della stessa<br />
Wachovia, salvata dalla bancarotta<br />
dall’acquisizione da parte di Wells Fargo),<br />
di fronte alle richieste di apertura<br />
<strong>dei</strong> conti da parte degli investitori più facoltosi,<br />
gli istituti di credito avevano<br />
preferito non fare troppe domande.<br />
Ma il problema di fondo resta. Tanto<br />
che, spiega oggi Costa, «è impossibile non<br />
| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
OBAMA DICHIARA GUERRA AL CRIMINE ORGANIZZATO<br />
Si chiama Strategia per combattere il crimine organizzato transnazionale (Transnational<br />
Organized Crime Strategy). È stata lanciata da Barack Obama nel luglio del 2011 ed è la prima<br />
politica nazionale mirata a combattere le reti criminali con un giro d’affari di oltre mille miliardi<br />
di dollari. Si sono profondamente evolute negli anni: sfruttando l’innovazione tecnologica<br />
e la globalizzazione sono diventate più fluide, in grado di ramificarsi e stringere alleanze<br />
internazionali. Ai vertici fra le organizzazioni più pericolose c’è anche la camorra, che secondo<br />
le autorità Usa si affianca al cartello messicano Las Zetas, alla mafia russa del Circolo <strong>dei</strong><br />
fratelli e alla Yakuza giapponese. E “scavalca” Cosa nostra, storicamente più radicata nelle città<br />
americane. Le priorità di Obama sono migliorare l’intelligence, proteggere i sistemi finanziari,<br />
rafforzare le indagini, ostacolare il traffico di droga (a suon di controlli, ma anche di programmi<br />
di prevenzione e riabilitazione), costruire cooperazione e partnership a livello internazionale.<br />
pensare che possa esserci anche una sola<br />
grande banca che non abbia giocato un<br />
ruolo significativo nel ricevere fondi sospetti».<br />
Nel 2011 gli economisti Alejandro<br />
Gaviria e Daniel Mejía dell’Universidad<br />
de los Andes di Bogotá hanno accusato il<br />
sistema bancario europeo e statunitense<br />
di favorire il riciclaggio del denaro <strong>dei</strong><br />
narcos grazie all’applicazione di standard<br />
di controllo meno rigorosi. «In Colombia<br />
le banche fanno domande che non ti sentiresti<br />
mai fare negli Stati Uniti dove ci sono<br />
norme molto solide sulla segretezza»,<br />
ha dichiarato Gaviria. Secondo la ricerca<br />
la Colombia riesce a trattenere nei suoi<br />
confini solo il 2,6% <strong>dei</strong> profitti del traffico<br />
di cocaina. Il restante 97,4 viene trasferito<br />
e riciclato in Occidente. <br />
Un recente studio ha accusato il sistema bancario Usa<br />
di avere regole antiriciclaggio assai meno severe di quelle<br />
adottate dalla banche colombiane. Sembra un paradosso...<br />
In realtà, a differenza di quanto accade in Messico, dove<br />
la corruzione è endemica a livello delle amministrazioni locali,<br />
in Colombia si stanno compiendo sforzi lodevoli nella lotta<br />
al narcotraffico. Questo è importante perché, nella mia<br />
esperienza, il contrasto al traffico di droga deve andare ben oltre<br />
i controlli di frontiera. Negli Usa, come dicevo, c’è un grave<br />
problema di immoralità del sistema bancario.<br />
Forse non solo delle banche, basti pensare al caso Pemex<br />
I privati cittadini che entrano negli Stati Uniti sono sottoposti<br />
a controlli molto severi, pensate ai mille controlli al JFK di New<br />
York. Apparentemente non altrettanto si può dire delle merci<br />
che entrano senza difficoltà nel Paese, anche dal Messico,<br />
che pure è un Paese sospetto. È evidente che c’è qualcosa che<br />
non va. In altre parole, la lotta al narcotraffico ha possibilità<br />
di successo solo se si integra con la caccia ai narcodollari.<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 23 |
dossier<br />
| 24 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
Mex, drugs and rock ’n’ roll.<br />
L’assalto <strong>dei</strong> narco-petrolieri<br />
di Matteo Cavallito<br />
Diversificare il business e garantirsi finanziamenti illimitati: così Pemex,<br />
il monopolista messicano degli idrocarburi, è diventato il bancomat<br />
<strong>dei</strong> narcos. Dal libro-inchiesta della giornalista Ana Lilia Pérez<br />
È<br />
la quarta compagnia del mondo<br />
nel settore degli idrocarburi, il<br />
principale finanziatore dello Stato<br />
messicano nonché, in qualche modo,<br />
un simbolo dell’orgoglio nazionale e della<br />
sovranità petrolifera del Paese. Fondata<br />
nel 1938 dopo la nazionalizzazione<br />
delle risorse energetiche, la Petróleos<br />
Mexicanos - Pemex è il principale punto<br />
di riferimento della 14ª economia del<br />
Pianeta.<br />
LOS SEÑORES DEL NARCO<br />
Un patrimonio di circa un miliardo di dollari, che lo porta<br />
al cinquantacinquesimo posto fra le persone più potenti<br />
al mondo: più del Ceo di Apple, Tim Cook, o del presidente<br />
russo Dimitri Medvedev. Così la rivista Forbes definisce Joaquín<br />
Guzmán Loera (conosciuto come El Chapo), il numero uno del<br />
cartello di Sinaloa, che spartisce con Las Zetas il controllo sul<br />
narcotraffico in Messico. La sua ascesa risale ai primi anni<br />
Ottanta, quando prende il posto del “Padrino” Miguel Ángel<br />
Félix Gallardo. Nel 1993 – dopo essere sfuggito a un attacco<br />
tesogli dal cartello di Tijuana e costato la vita a un cardinale –<br />
viene arrestato e condannato a vent’anni e nove mesi per traffico<br />
di droga, corruzione e associazione a delinquere: ma il 20 gennaio<br />
del 2001 riesce a evadere dal carcere di massima sicurezza<br />
di Puente Grande. A ricostruire le sue vicende è il libro Los señores<br />
del narco di Anabel Hernández, nato da cinque anni di indagini.<br />
Da tempo, secondo diverse fonti, nel carcere vigeva un regime<br />
di corruzione per cui i narcos avevano il controllo assoluto.<br />
Secondo la versione comunemente accettata, El Chapo sarebbe<br />
fuggito dentro il carrello della lavanderia: ma nell’evasione,<br />
denuncia la Hernández, sarebbero state implicate decine<br />
di persone. I sospetti vanno molto oltre: secondo alcune<br />
Eppure, da diversi anni, l’impresa è diventata<br />
anche l’inesauribile bancomat<br />
del narcotraffico nazionale.<br />
Il saccheggio<br />
In Messico si chiamano ordeñadores,<br />
letteralmente “mungitori”, gli uomini al<br />
servizio della “Compagnia”, il sodalizio<br />
criminale che attraverso le minacce, le<br />
estorsioni, la corruzione e la violenza si è<br />
impossessato della catena produttiva<br />
dell’impresa. Antonio Ezequiel Cárdenas<br />
Guillen, detto Tony Tormenta; Jorge<br />
Eduardo Costilla Sánchez, noto come El<br />
Coss o Doble equis (XX); Heriberto Lazcano,<br />
El verdugo (il boia). Ecco i nomi <strong>dei</strong><br />
nuovi imprenditori del settore.<br />
L’idea <strong>dei</strong> narcotrafficanti è stata di<br />
collocare pompe clandestine lungo gas -<br />
dotti e oleodotti, “mungere” materia prima<br />
e lanciarsi nel commercio. Colto in flagrante<br />
dagli uomini della sicurezza della<br />
Pemex, un capo <strong>dei</strong> narcos ha chiarito: «Il<br />
nostro business è il narcotraffico, ma dal<br />
momento che il mercato è depresso, rubiamo<br />
idrocarburi». La verità, spiega la<br />
giornalista Ana Lilia Pérez nel libro-in-<br />
indiscrezioni, il governo di Vicente Fox avrebbe cercato<br />
di favorire il cartello di Sinaloa. E, si legge nell’inchiesta, proprio<br />
a Fox sarebbe stata offerta una tangente milionaria per ottenere<br />
protezione politica per la fuga.<br />
Tornato in libertà, Guzmán Loera accresce il proprio potere,<br />
mentre si scatena la guerra contro il narcotraffico che finora<br />
– si stima – ha portato alla morte di 60 mila persone, compresi<br />
molti innocenti. A giugno è stato arrestato il figlio, Jesus Alfredo<br />
Guzmán Salazar (El Gordo). Ma anche su traguardi come<br />
questo la giornalista è scettica: “Negli ultimi anni – si legge –<br />
il governo federale ha assestato alcuni colpi mediatici<br />
ai componenti del cartello di Sinaloa per cercare di deviare<br />
l’attenzione da una serie di indizi che segnalano una complicità<br />
di fondo con quest’organizzazione. Le sue azioni sono sempre<br />
state contro bracci operativi, ma non hanno danneggiato<br />
il cuore del cartello: i suoi affari”.<br />
In uno Stato come il Messico in cui a partire dal 2000 sono<br />
già morti quarantacinque giornalisti che avevano osato troppo,<br />
è inevitabile che anche Anabel Hernández abbia ricevuto<br />
minacce: ha fatto il giro del mondo l’appello alle autorità<br />
affinché la proteggano. V.N.
chiesta El cártel negro (fonte di queste<br />
informazioni), è paradossale. «Ironicamente<br />
– scrive la Pérez – quando Felipe<br />
Calderón (attuale presidente del Messico,<br />
ndr) avvia la guerra contro il narcotraffico,<br />
i cartelli penetrano con maggiore<br />
intensità nell’industria più lucrosa del<br />
Paese, quel settore petrolifero non meno<br />
redditizio del business della droga».<br />
Nel luglio scorso il quotidiano messicano<br />
Excelsior ha quantificato il valore del<br />
narcobusiness petrolifero ai danni di Pemex:<br />
mezzo miliardo di pesos al mese. Al<br />
cambio attuale fa circa 470 milioni di dollari<br />
l’anno. I punti di estrazione clandestina<br />
identificati, ha riferito la Pemex, sarebbero<br />
oltre 5 mila in tutto il Messico.<br />
Insider & gringos<br />
L’attività <strong>dei</strong> narco-petrolieri coinvolge<br />
dai contractors dell’azienda agli impie-<br />
3. LA DOMANDA GLOBALE NEL 2008 E NEL 2010<br />
42%<br />
Oppiacei<br />
Cannabis<br />
Cocaina<br />
Anfetamine<br />
Altri<br />
NORD AMERICA<br />
1990 2008<br />
31%<br />
FONTE: WORLD DRUG REPORT 2010, UNODC<br />
1990 2008<br />
65%<br />
49%<br />
SUD AMERICA<br />
3 Il consumo di droghe non è omogeneo nel mondo. Negli Usa e nel Canada,<br />
ad esempio, il mercato è decisamente vario: nessuno stupefacente prevale<br />
nettamente sugli altri. In America Latina, invece, cocaina e cannabis<br />
(con la seconda in netto aumento negli ultimi due decenni) costituiscono<br />
quasi la totalità del consumo.<br />
In Europa e Asia sono gli oppiacei (eroina inclusa) a risultare i più consumati.<br />
gati della Pemex. Nel 2009, a Tamaulipas,<br />
nel Messico Nord-orientale, le autorità<br />
individuano una cellula de Los Zetas,<br />
uno <strong>dei</strong> più potenti cartelli della droga<br />
del Paese. Tra gli affiliati ci sono anche<br />
dipendenti e fornitori dell’azienda petrolifera,<br />
che si occupano di estorsioni e<br />
acquisizioni “forzate” di imprese.<br />
A garantire uno sbocco al commercio<br />
illegale di petrolio, invece, ci pensano le<br />
raffinerie americane. Nel gennaio 2007<br />
il direttore operativo del consorzio texano<br />
Continental Combustibiles Inc, Josh<br />
Crescenzi, intercettato, telefonò al suo<br />
omologo della Trammo Petroleum Donald<br />
Schroeder: «C’è del petrolio messicano<br />
rubato, ti interessa? Mi hai sentito<br />
Donald? È ru-ba-to». Donald aveva sentito<br />
benissimo e ricevuta la proposta, acquistò<br />
il petrolio per rivenderlo al gigante<br />
tedesco Basf (che ha affermato di non sa-<br />
EUROPA<br />
AFRICA<br />
1990 2008<br />
72%<br />
1990 2008<br />
61% 63%<br />
57%<br />
| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
PEMEX IN CIFRE<br />
Fondazione: 1938<br />
Sede: Città del Messico<br />
Dipendenti: 150 mila circa<br />
Ricavi netti: 1.558,4 mld di pesos<br />
(111,6 mld di dollari*)<br />
Produzione giornaliera petrolio:<br />
2,5 milioni di barili<br />
Produzione giornaliera gas naturale:<br />
104 milioni di metri cubi<br />
Rating: S&P BBB (stabile), Moody’s BBB<br />
(stabile), Fitch Baa1 (stabile)<br />
* al tasso di cambio del 31/12/2011<br />
(100 pesos = 7,17 dollari Usa)<br />
pere dell’origine illecita).Tra il 2010 e il<br />
2012 Pemex ha avviato cause contro una<br />
miriade di compagnie Usa, tra cui ConocoPhillips,<br />
Shell e Sunoco Partner, accusate<br />
di aver comprato petrolio rubato.<br />
I casi sono ancora aperti. <br />
1990 2008<br />
73% 62%<br />
OCEANIA<br />
1990 2008<br />
66%<br />
ASIA<br />
47%<br />
Complessivamente, l’eroina consumata in tutto il mondo è pari oggi<br />
a circa 340 tonnellate, mentre la cocaina raggiunge le 470 tonnellate.<br />
I consumatori di quest’ultima, tra il 2007 e il 2008, sono stati 16-17<br />
milioni di persone: il 40% di loro vive nell’America del Nord, circa un 25%<br />
in Europa.<br />
A livello globale, il mercato della cocaina vale circa 88 miliardi di dollari.<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 25 |<br />
FONTI: PEMEX (WWW.RI.PEMEX.COM, FORTUNE MAGAZINE)
FONTE: BASEL INSTITUTE ON GOVERNANCE, 2012. HTTP://INDEX.BASELGOVERNANCE.ORG/INDEX.HTML#RANKING<br />
dossier<br />
| 26 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
| l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
Argentina, narcostato<br />
sempre più attivo<br />
di Andrea Barolini<br />
Nel Nord del Paese i narcos sfruttano piste di atterraggio clandestine per introdurre la droga, che poi viene facilmente<br />
esportata in Europa, grazie ai forti legami che l’economia argentina ha stabilito con il Vecchio Continente<br />
L’<br />
Argentina è sempre più coinvolta<br />
nel traffico internazionale di<br />
droga. Il New York Times ha recentemente<br />
ricordato numerosi casi di<br />
cronaca nera eclatanti, che danno la misura<br />
del fenomeno. Hector Jairo Saldarriaga,<br />
alias The Dragger, fu ucciso nello<br />
scorso aprile a Barrio Norte, quartiere di<br />
Buenos Aires. La polizia gli trovò addosso<br />
tre passaporti e ben presto le indagini<br />
consentirono di identificare quello che<br />
era stato uno <strong>dei</strong> più spietati assassini al<br />
RICICLAGGIO E RISCHIO PAESE<br />
soldo di Daniel Barrera, conosciuto col soprannome<br />
di Crazy One, noto boss colombiano.<br />
Saldarriaga aveva coordinato l’assassinio<br />
di due ex membri di un gruppo<br />
paramilitare che protegge i trafficanti,<br />
che furono freddati in un garage della capitale<br />
argentina nel giugno del 2008.<br />
Qualche giorno dopo l’uccisione di<br />
Saldarriaga, Ruth Martinez Rodriguez, 39<br />
anni, fu arrestata alla periferia della città:<br />
stava cercando di esportare 280 chilogrammi<br />
di cocaina, nascosti in suppellet-<br />
Iran, Kenya, Cambogia. Eccolo, secondo gli ultimi dati disponibili, il podio <strong>dei</strong> Paesi<br />
a maggior rischio riciclaggio del mondo. La graduatoria, stilata dal Basel Institute<br />
of Governance, si basa su un indicatore, il Basel Aml Risk Index (ponderato a sua<br />
volta per altri 15 indici indipendenti) capace di misurare l’adeguamento di ogni<br />
nazione agli standard antiriciclaggio e di contrasto al finanziamento del terrorismo<br />
(unitamente ad altri elementi quali le norme finanziarie, la trasparenza e il livello<br />
di corruzione). Tra i 144 Paesi presi in esame (per molti altri mancano dati sufficienti),<br />
l’Italia ottiene solo il 56esimo miglior punteggio, a metà strada tra Algeria e Albania.<br />
TOP 10<br />
DEL RISCHIO<br />
Punteggio Rischio<br />
TOP 10 DELLA<br />
SICUREZZA<br />
Punteggio Rischio<br />
1 Iran 8.57 elevato 144 Norvegia 2.36 basso<br />
2 Kenya 8.49 elevato 143 Estonia 3.28 basso<br />
3 Cambogia 8.46 elevato 142 Slovenia 3.37 medio<br />
4 Haiti 8.16 elevato 141 Svezia 3.50 medio<br />
5 Tajikistan 8.12 elevato 140 Finlandia 3.59 medio<br />
6 Mali 7.88 elevato 139 Nuova Zelanda 3.82 medio<br />
7 Uganda 7.63 elevato 138 Lituania 3.96 medio<br />
8 Paraguay 7.57 elevato 137 Cile 4.08 medio<br />
9 Belize 7.44 elevato 136 Sud Africa 4.12 medio<br />
10 Zambia 7.41 elevato 135 Francia 4.14 medio<br />
tili antiche. Ancora, nel 2010 fu fermata<br />
Angie Sanclemente Valencia, ventunenne<br />
sospettata di aver capeggiato un gruppo<br />
di modelle spacciatrici di droga: aveva<br />
55 chilogrammi di cocaina nel bagaglio a<br />
mano, mentre cercava di imbarcarsi su un<br />
aereo. Più di recente, le autorità hanno sequestrato<br />
7 tonnellate di marijuana a Posadas,<br />
al confine col Paraguay, mentre un<br />
caporale della gendarmeria è stato fermato<br />
con 110 chilogrammi di cocaina. Perfino<br />
le ambulanze sono utilizzate per trasportare<br />
la polvere bianca.<br />
«L’Argentina è un Paese di europei<br />
– racconta Ruben H. Oliva, giornalista e<br />
regista – con rapporti commerciali molto<br />
forti con il Vecchio Continente: una nave<br />
battente bandiera argentina non desta<br />
sospetti in un porto europeo. Per questo i<br />
narcos utilizzano il Paese come trampolino.<br />
Dapprima arrivano nelle regioni a<br />
Nord di Buenos Aires, sfruttando anche<br />
la mancanza di controlli radar aerei e atterrando<br />
su piste clandestine. Quindi<br />
smerciano parte della droga nel Paese:<br />
non a caso sono moltissime le “cucine” di<br />
cocaina, “laboratori” dove si produce la<br />
polvere bianca. Il resto parte per l’Europa.<br />
E gli scarti sono usati per il Paco, sostanza<br />
ultra-tossica, capace di dare dipendenza<br />
fin dalla prima dose: una droga che sta<br />
uccidendo la gioventù delle bidonville».<br />
«I boss operano volentieri nel nostro<br />
Paese: qui non ci sono problemi con la giustizia,<br />
né guerre tra narcos», ha dichiarato<br />
Claudio Izaguirre, presidente dell’Associazione<br />
Antidroga locale. E il fenomeno,
L’AFRICA, LA NUOVA MINACCIA<br />
Tutto cominciò una decina di anni fa. La Guinea Bissau<br />
fu individuata dai cartelli sudamericani della droga come<br />
un ottimo trampolino verso l’Europa. Il Paese offriva sostanziale<br />
impunità, i controlli erano quasi inesistenti e le deboli agenzie<br />
governative erano facilmente corrompibili. In breve i narcos<br />
penetrarono l’intero apparato statale, arrivando perfino all’ufficio<br />
del presidente João Bernardo Vieira, che fu ucciso nel 2009.<br />
Eppure – ha ricordato un’inchiesta di Davin O’Regan, della<br />
National Defense University di Washington, pubblicata dal New<br />
York Times nel marzo scorso – nonostante il tasso di omicidi<br />
nel Paese sia aumentato del 25%, arrivando a toccare il triplo<br />
della media globale, e la povertà sia rimasta un problema<br />
endemico, il caso della Guinea Bissau avrebbe potuto anche<br />
essere derubricato come un unicum. Al contrario, la nazione<br />
è stata solamente il primo <strong>dei</strong> nuovi narcostati africani.<br />
Negli ultimi anni il traffico di eroina, anfetamine e cocaina<br />
si è, infatti, drammaticamente esteso nel continente, arrivando<br />
a toccare un giro d’affari di non meno di 6-7 miliardi di dollari.<br />
Coinvolgendo Stati di importanza strategica, economicamente<br />
e politicamente, come Ghana, Kenya, Nigeria, Mozambico<br />
e Sudafrica. Con annessi numerosi scandali tra parlamentari,<br />
ufficiali di polizia e ministri. Un business favorito anche<br />
da Hezbollah e Al Qaeda, in un intreccio che rischia di mettere<br />
in pericolo anche le democrazie più giovani.<br />
che ha origini lontane, non riesce ad essere<br />
arginato neanche dai funzionari pubblici<br />
più zelanti: «È nel 1989, con il governo<br />
di Carlos Menem, che si effettuò l’apertura<br />
“ufficiale” ai cartelli della droga. Il presidente<br />
dichiarò: “Che arrivino capitali<br />
esteri, non importa da dove”. Da allora<br />
non è cambiato nulla, anche per via della<br />
corruzione dilagante nelle forze dell’ordine,<br />
operata da organizzazioni potenti come<br />
la ’ndrangheta. Il governo attuale, che<br />
pure ha alcuni meriti, sul fronte della droga<br />
non ha fatto nulla. Il ministro della Difesa<br />
Nilda Garré, ad esempio, pare sia armata<br />
di buone intenzioni. Ma se la polizia<br />
è al soldo <strong>dei</strong> trafficanti come si fa?». <br />
Il grafico evidenzia in modo molto evidente un calo<br />
complessivo <strong>dei</strong> prezzi della cocaina dal 1990<br />
al 2010. Secondo Franz Trautmann, sociologo<br />
a capo dell’Unità Affari Internazionale del Trimbos<br />
Institute, non è un calo del consumo a spiegare<br />
l’abbassamento del costo: «L’uso sta aumentando<br />
moltissimo, soprattutto nell’Europa dell’Est.<br />
La cocaina è la droga <strong>dei</strong> ricchi, degli uomini<br />
d’affari, <strong>dei</strong> famosi. Ciò che spiega i prezzi più<br />
bassi – continua Trautmann – è piuttosto la qualità<br />
della droga: è la purezza a diminuire, altrimenti<br />
il dato rimarrebbe fondamentalmente stabile».<br />
| dossier | l’era <strong>dei</strong> narcostati |<br />
IL PUNJAB, LA “NARCOREGIONE” INDIANA<br />
A volte non si può parlare di veri e propri “narcostati”, bensì<br />
di “narcoregioni”. È il caso del Punjab indiano, area prospera nel Nord<br />
del Paese, nella quale si registra una statistica impressionante.<br />
Secondo le stime dell’amministrazione locale, in circa il 67% delle<br />
famiglie rurali presenti nella zona, almeno un membro è<br />
tossicodipendente. Il Punjab corre lungo la frontiera con il Pakistan<br />
e costituisce un luogo di ingresso privilegiato dell’eroina in India.<br />
La droga, di provenienza afghana – ha spiegato un recente reportage<br />
dell’agenzia AFP – ha generato una vera e propria economia locale,<br />
al cui centro ci sono pastori e contadini. Essi, nel corso degli anni,<br />
hanno costituito una rete di smercio e di approvvigionamento<br />
clandestina, che ormai gestisce un commercio colossale e<br />
difficilmente accessibile (è impossibile, ad oggi, quantificare il transito<br />
di droga dal Pakistan all’India). Complice la scarsa informazione sui<br />
danni, molti “agricoltori-spacciatori” entrano a loro volta nel tunnel<br />
della droga, grazie anche alle disponibilità economiche superiori<br />
rispetto ad altre regioni indiane. La questione è nota alle autorità<br />
internazionali – come confermato da Rajiv Walia, coordinatore<br />
regionale dell’Unodc – ma è molto difficile da fronteggiare.<br />
Ad Amritsar, centro spirituale della religione sikh, un milione<br />
di abitanti, il quartiere di Maqboolpura è l’esempio più chiaro della<br />
trasformazione del Punjab in una “narcoregione”: qui sono così<br />
tanti i morti provocati dalle droghe che il luogo è stato ribattezzato<br />
“il villaggio delle vedove”.<br />
IL PREZZO “RETAIL” DI UN GRAMMO DI COCAINA IN EUROPA (IN $ USA)<br />
Austria<br />
198 156 94 101 97<br />
Belgio<br />
80 93 55 51 67<br />
Danimarca<br />
144 176 106 82 89<br />
Finlandia<br />
159 191 138 125 106<br />
Francia<br />
99 174 50 94 80<br />
Germania<br />
120 103 57 79 87<br />
Grecia<br />
150 111 69 79 96<br />
Irlanda<br />
141 119 28 88 97<br />
Italia<br />
108 113 100 114 92<br />
Lussemburgo<br />
105 166<br />
Norvegia<br />
114 155 154<br />
Paesi Bassi<br />
66 79 33 59 59<br />
Portogallo<br />
63 66 56 55 61<br />
Spagna<br />
110 91 52 76 79<br />
Regno Unito<br />
131 111 94 79 62<br />
Svezia<br />
160 118 77 92 111<br />
Svizzera<br />
178 148 77 86 96<br />
0 20 40 60 80 100 120 140 160 180 200<br />
1990 1995 2000 2005 2010<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 27 |<br />
FONTI: UNODC ARQ DATA, EUROPOL E STIME UNODC
REUTERS / FABRIZIO BENSCH<br />
finanzaetica<br />
Le banche restano in paradiso > 32<br />
Gas e Banca Etica. Stranamente lontani > 35<br />
| 28 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
Riforme<br />
finanziarie<br />
| finanza da rifare |<br />
Un attivista del movimento “alter-global Attac”<br />
indossa una maschera raffigurante il ministro<br />
dell’Economia tedesco Philipp Roesler nel corso<br />
di una protesta satirica a favore della tassa<br />
sulle transazioni finanziarie, la cosiddetta Tobin<br />
Tax, di fronte alla Liberi Democratici (FDP), partito<br />
con sede a Berlino, il 16 gennaio 2012<br />
Con il sì dell’Italia la Tobin Tax<br />
è ormai a una svolta. Ma sul tavolo<br />
ci sono molti altri importanti<br />
provvedimenti. Con qualche ombra<br />
È scattata l’offensiva<br />
europea<br />
di Matteo Cavallito<br />
Ealla fine scocca anche l’ora della<br />
svolta. L’8 ottobre scorso: Italia,<br />
Spagna e Slovacchia hanno dato il<br />
loro nulla osta all’introduzione di una tassa<br />
sulle transazioni finanziarie o Tobin<br />
Tax, come viene comunemente ribattezzata<br />
nella cronaca finanziaria (sebbene<br />
nel progetto di James Tobin si pensasse<br />
di colpire i soli scambi valutari). L’assenso<br />
definitivo, che si affianca così all’ok<br />
di altri otto Paesi (Francia, Germania,<br />
Austria, Portogallo, Slovenia, Belgio, Grecia<br />
ed Estonia), permetterà l’avvio della<br />
cooperazione rafforzata, il sistema<br />
che garantisce la possibilità di approvare<br />
il provvedimento quando il consenso<br />
unanime è impossibile (Regno<br />
Unito, Malta, Irlanda, Olanda e Svezia<br />
sono totalmente contrarie). La richiesta<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 29 |
HTTP://WWW.EUROPARL.EUROPA.EU?<br />
| finanzaetica |<br />
STATO DELLE RIFORME FINANZIARIE NELLA UE<br />
HIGH FREQUENCY TRADING<br />
Proposta di riforma<br />
Gli scambi ad alta velocità vengono rallentati<br />
con l’introduzione della regola <strong>dei</strong> 500<br />
millisecondi. I sistemi di trading algoritmico<br />
gestiti dai computer dovranno far passare<br />
almeno mezzo secondo tra l’attivazione<br />
di un’offerta per un acquisto o una vendita<br />
sul mercato finanziario e la sua successiva<br />
modifica.<br />
Status dell’iter<br />
Approvazione Commissione economicofinanziaria<br />
del Parlamento europeo.<br />
| 30 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
di cooperazione passa ora alla Commissione<br />
che, a quel punto, dovrebbe rinviarla<br />
al Consiglio europeo per un voto<br />
a maggioranza. In caso di successo, la<br />
tassa potrebbe entrare in vigore già a<br />
inizio 2013.<br />
Tobin Tax, due interrogativi<br />
Attorno alla “Tobin” restano però aperti<br />
almeno due interrogativi, a cominciare<br />
dall’origine dell’assenso italiano. Una<br />
premessa. La Germania, notoriamente,<br />
aveva preso l’iniziativa per prima: Angela<br />
Merkel ha sempre sostenuto l’ipotesi<br />
della tassazione ottenendo in cambio il<br />
consenso sui provvedimenti di fiscal compact<br />
dai socialdemocratici del Bundes tag<br />
(da sempre a favore della “Tobin”).<br />
Durante il vertice chiave del 28-29 giugno,<br />
Italia e Spagna avevano però frenato.<br />
Nell’occasione Monti e Rajoy si erano<br />
impuntati minacciando il veto sulla questione<br />
se la Germania non avesse offerto<br />
adeguate aperture sul fronte delle strategie<br />
salva Stati, con la “Tobin” trasformata<br />
in un mezzo di scambio per lo scudo anti<br />
spread. Ancora alla fine di settembre, fonti<br />
vicine alle istituzioni europee riferivano<br />
di un governo italiano intenzionato a<br />
condizionare il sì alla tassa all’ottenimento<br />
di un meccanismo automatico di contenimento<br />
dello spread (cosa che l’attuale<br />
scudo anti differenziali ancora non contempla).<br />
Resta ora da chiedersi se il via libera<br />
di Roma e Madrid possa essere dunque<br />
il preludio a una modifica in futuro<br />
del funzionamento del fondo salva Stati.<br />
DERIVATI E COMMODITIES<br />
Proposta di riforma<br />
• Passaggio degli scambi over-the-counter<br />
su piattaforme sottoposte a monitoraggio<br />
(organized trading facilities OTFs).<br />
• La European Securities and Markets Authority<br />
potrà bloccare lo scambio di prodotti<br />
giudicati eccessivamente rischiosi.<br />
• Limiti alle posizioni sui contratti futures<br />
sulle materie prime.<br />
Status dell’iter<br />
Approvazione Commissione economicofinanziaria<br />
del Parlamento europeo.<br />
L’ok alla cooperazione<br />
rafforzata sulla tassa sulle<br />
transazioni finanziarie è una<br />
vittoria. Ma restano dubbi<br />
sull’origine del “sì” italiano.<br />
Ora si punta a limitare gli<br />
scambi over-the-counter e<br />
l’high frequency trading<br />
La seconda questione è relativa all’uso<br />
del gettito che, alle attuali condizioni<br />
(0,1% di aliquota su azioni e obbligazioni,<br />
0,01 sui derivati) dovrebbe garantire<br />
qualcosa come 57 miliardi all’anno. Le<br />
stesse fonti europee sostengono che<br />
Berlino punterebbe a usare i ricavi per<br />
incrementare il fondo salva Stati. Un’ipotesi<br />
che a quel punto suonerebbe come<br />
una beffa per le campagne internazionali<br />
– tra cui l’italiana Zerozerocinque –<br />
che da sempre chiedono di destinare il<br />
50% del gettito alle iniziative di cooperazione<br />
internazionale, welfare e contrasto<br />
al cambiamento climatico.<br />
«Ogni Stato che aderirà alla cooperazione<br />
rafforzata – ricordano da Zerozerocinque<br />
– potrà decidere della destinazione<br />
del gettito». Tuttavia, «la Commissione ha<br />
intenzione di utilizzare parte del gettito<br />
per le proprie risorse, come ha affermato<br />
con decisione nel suo Multilateral Financial<br />
Framework. Gli Stati non sono per<br />
niente convinti né condiscendenti». Quel<br />
che è certo, in ogni caso, è che «ora che il<br />
percorso è avviato le risorse diventano ap-<br />
UNIONE BANCARIA<br />
Proposta di riforma<br />
• Versione soft del Dodd-Frank, tutto sotto<br />
lo stesso tetto ma riorganizzazione delle<br />
attività quando le operazioni “rischiose”<br />
eccedono una certa soglia (15-25% degli<br />
asset totali o limite di 100 miliardi di euro).<br />
• Vigilanza bancaria sui grandi istituti.<br />
Possibile estensione <strong>dei</strong> controlli anche agli<br />
istituti di piccole dimensioni.<br />
Status dell’iter<br />
Proposta ufficiale da parte della Commissione<br />
europea (Rapporto Liikanen).
petibili per molti e il budget europeo è più<br />
che mai nella mente del Commissario».<br />
Derivati: stop alla speculazione<br />
Quello della “Tobin” è solo uno <strong>dei</strong> molteplici<br />
fronti del piano di riforma della<br />
finanza europea. A fine settembre la<br />
Commissione per gli affari economici e<br />
monetari del Parlamento Ue ha adottato<br />
un report elaborato dall’eurodeputato<br />
popolare tedesco Markus Ferber che<br />
prevede un piano per la riorganizzazione<br />
degli scambi di titoli derivati. I dettagli<br />
sono in via di definizione, ma il<br />
principio di fondo è chiaro: limitare gli<br />
scambi over-the-counter (transazioni<br />
bilaterali fuori dalle borse) e ricondurre<br />
le operazioni in piattaforme elettroniche<br />
monitorabili. L’obiettivo è quello<br />
di ridurre la speculazione, la stessa finalità<br />
condivisa dal principio di limitazione<br />
alle posizioni assunte sul mercato<br />
<strong>dei</strong> futures (contratti derivati di acquisto<br />
differito) sulle materie prime (la cui<br />
proliferazione ne ha favorito la volatilità<br />
<strong>dei</strong> prezzi) e del deciso rallentamento<br />
alla pratica dell’high frequency trading<br />
(vedi BOX ).<br />
“Dodd-Frank” e beffa provvigioni<br />
Mentre resta aperta la polemica sui piani<br />
di unione bancaria (la Germania vorrebbe<br />
escludere i piccoli istituti dall’ombrello<br />
dell’autorità di controllo), quelli di<br />
riforma del sistema creditizio sembrano<br />
trarre ispirazione dalla lezione americana.<br />
Alla fine di settembre, il governatore<br />
PROVVIGIONI<br />
Proposta di riforma<br />
Obbligo di comunicazione degli incentivi<br />
da parte <strong>dei</strong> promotori ma sì al mantenimento<br />
delle provvigioni. Resta il conflitto d’interesse.<br />
Status dell’iter<br />
Approvazione Commissione economicofinanziaria<br />
del Parlamento europeo.<br />
HIGH FREQUENCY TRADING, SI PREGA DI RALLENTARE<br />
della Banca centrale finlandese e numero<br />
uno del gruppo di esperti europei<br />
Erkki Liikanen ha proposto ufficialmente<br />
la separazione legale tra le attività di<br />
rischio dell’investment banking e quelle<br />
ordinarie della clientela retail (la gestione<br />
<strong>dei</strong> depositi). Il progetto di riforma,<br />
nato sulla falsariga del Dodd-Frank Act<br />
statunitense, ipotizza una separazione<br />
interna (niente creazione di società distinte<br />
dunque) delle attività bancarie<br />
quando le operazioni “rischiose” eccedono<br />
una soglia compresa tra il 15 il 25% degli<br />
asset totali o il limite <strong>dei</strong> 100 miliardi<br />
| finanzaetica |<br />
Sul fronte dell’high frequency trading la Commissione europea ha approvato<br />
la proposta per la regola <strong>dei</strong> 500 millisecondi. La norma impone ai sistemi di trading<br />
algoritmico gestiti dai computer di far trascorrere almeno mezzo secondo tra<br />
l’attivazione di un’offerta per un acquisto o una vendita sul mercato finanziario<br />
e la sua successiva modifica. Ovvero, in sintesi, limitare la velocità e la frequenza<br />
degli scambi, la chiave stessa di un sistema che garantisce guadagni notevoli sulle<br />
variazioni <strong>dei</strong> margini di prezzo che, come noto, si intensificano di pari passo<br />
con l’accelerazione degli scambi. Mezzo secondo può sembrare nulla, ma in realtà<br />
è un tempo che può fare la differenza soprattutto per quei sistemi informatici capaci<br />
di effettuare migliaia di operazioni all’istante. A metà settembre, la Sec (la Consob<br />
americana) ha multato di 5 milioni di dollari due sistemi di trasmissione <strong>dei</strong> dati<br />
del Nyse Euronext, chiamati Open Book Ultra e Pdp Quotes, per aver inviato<br />
informazioni chiave come dati, statistiche e cifre agli operatori ad alta velocità prima<br />
che queste ultime fossero rese pubbliche al mercato. La differenza in molti casi<br />
era nell’ordine <strong>dei</strong> millisecondi. Potenzialmente devastanti nei periodi di maggiore<br />
speculazione (l’attività si è regolarmente intensificata nei momenti caldi<br />
dell’eurocrisi), le operazioni “Hft” condotte negli Stati Uniti rappresentavano<br />
nel 2011 circa il 60% degli scambi (contro il 15% del 2006) e il 40% di quelli condotti<br />
in Europa.<br />
TOBIN TAX<br />
Proposta di riforma<br />
Via alla cooperazione rafforzata con<br />
l’assenso di 11 Paesi. Imposta dello 0,1%<br />
su scambi di azioni e obbligazioni e dello<br />
0,01% sui derivati. Ancora incerto il destino<br />
<strong>dei</strong> ricavi.<br />
Status dell’iter<br />
Avvio della cooperazione rafforzata.<br />
di euro. In estrema sintesi si tratta di<br />
proteggere il denaro <strong>dei</strong> correntisti dai<br />
rischi della speculazione. Ma è proprio<br />
questo principio, oggi, ad essere messo in<br />
crisi da un altro provvedimento: la conferma<br />
delle provvigioni. Nel sistema attualmente<br />
in vigore i promotori finanziari<br />
possono ricevere incentivi per la<br />
vendita <strong>dei</strong> loro prodotti. Il risultato tipico<br />
è che gli operatori e i consulenti finiscono<br />
per piazzare ogni genere di prodotto,<br />
specialmente quelli della loro<br />
banca di riferimento o quelli sui quali ottengono<br />
maggiori provvigioni (spesso le<br />
due cose coincidono). È così che sono<br />
state collocate negli ultimi anni le oscure<br />
polizze unit linked o index linked. È così<br />
che i tango bond, le obbligazioni Lehman<br />
e i titoli di debito di Bank of Ireland<br />
(sì, proprio quelli svalutati a 1 centesimo<br />
per ogni 1.000 euro investiti) sono finiti<br />
nel portafoglio <strong>dei</strong> cittadini comuni. Ebbene,<br />
il testo presentato alla Commissione<br />
prevedeva, di fatto, l’abolizione degli<br />
incentivi ma a pochi minuti dall’approvazione<br />
una richiesta <strong>dei</strong> socialdemocratici<br />
ha provocato una modifica radicale:<br />
sì alle provvigioni purché siano dichiarate<br />
pubblicamente. Il conflitto di interessi<br />
è salvo. Il portafoglio <strong>dei</strong> risparmiatori<br />
un po’ meno. <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 31 |
| finanzaetica | offshore |<br />
Le banche<br />
restano in paradiso<br />
di Andrea Barolini<br />
I colossi bancari francesi avevano 494 filiali nei “tax havens” nel 2010.<br />
Oggi, nonostante le promesse, il numero è salito a 513. E anche gli istituti<br />
inglesi e americani sono fortemente presenti. Quello che manca, infatti,<br />
per contrastare seriamente il fenomeno, è una forte volontà politica<br />
Era il 29 settembre del 2009, quando<br />
il direttore generale del colosso<br />
francese Bnp Paribas annunciava<br />
l’uscita del gruppo da tutti i territori presenti<br />
nella lista grigia dell’Ocse. Pochi<br />
giorni dopo, numerosi altri istituti di credito<br />
transalpini manifestavano la stessa<br />
volontà. In poche parole, si sarebbe dovuto<br />
trattare di un vero e proprio addio ai<br />
paradisi fiscali. Tanto che l’allora presidente<br />
Nicolas Sarkozy annunciò la scelta<br />
in pompa magna. A distanza di tre anni,<br />
però, non solo le promesse appaiono disattese,<br />
ma a rileggere la cronaca di quei<br />
giorni la sensazione è quella di una presa<br />
in giro: le banche non hanno affatto abbandonato<br />
i paradisi fiscali. Al contrario,<br />
hanno rinforzato la loro presenza.<br />
Altro che addio<br />
Proprio mentre i governi di tutto il mondo<br />
occidentale stanno chiedendo ai cittadini<br />
enormi sacrifici, gli istituti di credito<br />
si guardano bene dall’abbandonare<br />
i “buchi neri” della finanza globale. Secondo<br />
un rapporto di Ccfd-Terre Solidaire<br />
(Banques et Paradis Fiscaux, luglio<br />
2012) Bnp Paribas, Société Générale e<br />
Crédit Agricole controllano oggi 513 filiali<br />
nei tax havens, mentre due anni fa la<br />
cifra non superava le 494 unità.<br />
Va detto che, in effetti, le banche hanno<br />
abbandonato alcune giurisdizioni. Ma<br />
– si legge nello studio – rispetto alla lista<br />
di paradisi fiscali elaborata dalla Ong Tax<br />
| 32 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Justice Network (che identifica 60 Stati<br />
particolarmente “opachi”), il dato risulta<br />
appunto in aumento. E, proprio per comprendere<br />
tale presenza, una commissione<br />
d’inchiesta sull’evasione fiscale del Senato<br />
parigino ha interrogato il numero uno<br />
di Bnp, Badouin Prot, chiedendo conto<br />
delle 360 filiali presenti nei paradisi fiscali.<br />
Le risposte, tuttavia, secondo quando<br />
spiegato al settimanale Alternatives Economiques<br />
da Mathilde Dupré, del Ccfd,<br />
non sono state soddisfacenti: «La banca<br />
non ha voluto parlare <strong>dei</strong> documenti interni<br />
che dimostrano come vengano proposti<br />
alla clientela servizi di “ottimizzazione<br />
fiscale” attraverso i tax havens. Noi<br />
chiediamo massima trasparenza sulle attività<br />
effettuate Paese per Paese».<br />
GB e Usa, la musica non cambia<br />
D’altra parte i colossi francesi sono in<br />
buona compagnia. Quasi tutte le grandi<br />
aziende (non solo banche) di tutto il<br />
mondo sfruttano le giurisdizioni “opache”.<br />
Secondo un’analisi dell’associazione<br />
inglese ActionAid, 98 <strong>dei</strong> 100 più importanti<br />
gruppi britannici (quelli quotati<br />
nell’indice Ftse 100 alla Borsa di Londra)<br />
possiedono circa 34 mila controllate. E<br />
un quarto di queste, oltre ottomila, hanno<br />
sede in Paesi che offrono basse aliquote<br />
fiscali o richiedono standard limitati<br />
in termini di trasparenza.<br />
Anche nel caso inglese, in testa alla<br />
“classifica” ci sono le banche: Hsbc, Rbs,<br />
NL.WIKIPEDIA.ORG<br />
Barclays e Lloyds, che controllano 1.649<br />
filiali offshore, la maggior parte alle Isole<br />
Cayman (solo Barclays arriva qui a quota<br />
174), Delaware (Hsbc ha 156 società nello<br />
Stato americano) e Channel Islands<br />
(meta preferita del gruppo Lloyds).<br />
Dall’altra parte dell’Atlantico, negli<br />
Stati Uniti, i dati sulla presenza offshore<br />
delle banche non sono così aggiornati.<br />
L’ultimo riferimento lo diede un rapporto<br />
pubblicato nel dicembre del 2008<br />
dal Government Accountability Office,<br />
secondo il quale tra le prime 100 aziende<br />
quotate a Wall Street, 83 risultavano<br />
Gli istituti di credito hanno<br />
dimostrato di non essere in<br />
grado di autoregolamentarsi.<br />
E il G20 si è fermato alle<br />
promesse di Londra
presenti nei paradisi fiscali. E dire che molte di esse, dopo l’esplosione<br />
della crisi finanziaria, avevano attinto al Trouble<br />
Asset Relief Program, ovvero al fondo – finanziato con denaro<br />
pubblico – istituito da Washington per salvare il sistema<br />
dal collasso. Tra i principali utilizzatori di giurisdizioni “esotiche”<br />
figuravano Morgan Stanley (273 filiali controllate nel<br />
complesso, 158 nelle sole Isole Cayman), Citigroup (ben 472) e<br />
Bank of America (59).<br />
Un problema soprattutto istituzionale<br />
È difficile, molto difficile, immaginare insomma che le banche<br />
possano autoregolamentarsi (non lo fanno i mercati, perché<br />
dovrebbero farlo quelli che sono attori protagonisti del capitalismo<br />
globale?). Servirebbe un piano organico e condiviso a<br />
livello internazionale. Ma i proclami del G20 di Londra, quando<br />
per la prima volta si puntò con decisione il dito contro i “buchi<br />
neri” della finanza, sono rimasti lettera morta. Al massimo<br />
si è riusciti a siglare qualche accordo bilaterale (ad esempio<br />
quello tra la Germania e la Svizzera). Gocce in mezzo al mare:<br />
in una finanza globalizzata ci vuole molto poco per muovere i<br />
capitali verso i lidi, di volta in volta, più convenienti.<br />
Al contempo anche in Europa la situazione appare di stallo.<br />
Da oltre un anno si parla della necessità di imporre un<br />
reporting Paese per Paese (nello scorso aprile l’Europarlamento<br />
ha ribadito la questione in una risoluzione), ma il progetto<br />
è lontano dal diventare legge. I deputati europei chiedono<br />
in particolare l’introduzione di un elenco ampio e<br />
dettagliato delle operazioni contabili effettuate in ciascuna<br />
giurisdizione, al fine di comprendere se le imposte versate in<br />
patria dalle aziende siano o meno in linea con gli affari effettuati<br />
offshore. Ma per ora i governi <strong>dei</strong> Ventisette sembrano<br />
molto più attenti ad ascoltare le esigenze delle imprese,<br />
piuttosto che la volontà degli eurodeputati. E pazienza se<br />
questi ultimi rappresentano il popolo. <br />
| finanzaetica |<br />
«La City?<br />
Uno <strong>dei</strong> tanti<br />
tax havens»<br />
di Andrea Barolini<br />
Nicholas Shaxson, giornalista e scrittore inglese, è autore<br />
di Le isole del tesoro, duro atto d’accusa contro<br />
il mondo offshore. E contro i Paesi ricchi, alcuni <strong>dei</strong> quali<br />
sono giudicati al pari di Svizzera e British Virgin Islands<br />
Perché, a suo avviso, governi come quelli di Usa e Regno<br />
Unito non fanno qualcosa per modificare gli status<br />
del Delaware o della City di Londra? In tempi di crisi<br />
dovrebbero avere bisogno di recuperare i capitali evasi.<br />
La risposta è semplice: i paradisi fiscali sono un progetto<br />
<strong>dei</strong> Paesi ricchi e delle più potenti élite delle nostre società. La<br />
loro influenza politica è enorme. Per questo gli sforzi apparenti<br />
per combattere i tax havens si rivelano parole. Così la City resta<br />
il più importante attore singolo del mondo offshore, e il Delaware<br />
può rimanere funzionale all’ingresso di capitali sporchi<br />
negli Usa. La verità, insomma, è che Regno Unito e Stati Uniti<br />
sono essi stessi paradisi fiscali.<br />
Dunque anche le poche nuove regole imposte negli ultimi anni<br />
sono inutili?<br />
Assolutamente, non è stato fatto nulla di serio. Mi spiego:<br />
molte calamità occorse negli Usa negli ultimi anni sono<br />
“partite” dal Regno Unito. L’unità che fece vacillare Aig fu<br />
Aig Financial Products, con sede nella City. Ciò significa che<br />
Londra è la scappatoia offshore di Wall Street: è qui che bisognerebbe<br />
intervenire. Ma la City è molto più potente del<br />
Tesoro inglese.<br />
L’introduzione di un’agenzia internazionale potrebbe aiutare?<br />
Esistono varie agenzie Onu che cercano di fare qualcosa.<br />
L’Un Tax Committee, ad esempio, dovrebbe combattere le regole<br />
dominanti a livello internazionale. Ma il “club” <strong>dei</strong> Paesi<br />
ricchi dell’Ocse ha fatto in modo che l’organismo sia privo di risorse<br />
e abbia scarsa influenza.<br />
Quindi i tax havens sono parte integrante, e non<br />
una degenerazione del capitalismo?<br />
I paradisi sono diventati elementi costitutivi del capitalismo<br />
finanziario globale, anche se rappresentano comunque<br />
una stortura del mercato. Il problema è proprio nella globa-<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 33 |
| finanzaetica |<br />
lizzazione della finanza, che al contrario<br />
di quella del commercio – che comporta<br />
grandi problemi ma anche vantaggi<br />
– è fortemente negativa. In larga<br />
parte proprio a causa del modello offshore<br />
che ne costituisce il cuore.<br />
Nel suo libro spiega che anche i Paesi<br />
in via di sviluppo ne sono vittime: come<br />
possono difendersi?<br />
È incredibilmente difficile per loro, perché<br />
le regole globali – disegnate dai Paesi<br />
ricchi – li mettono all’angolo. Le banche<br />
private mandano rappresentanti nei<br />
Paesi in via di sviluppo invitando i clienti<br />
a sfruttare i servizi offshore, e offrendo<br />
eserciti di avvocati. Senza contare<br />
che spesso le persone che distolgono denaro<br />
dalle casse pubbliche locali sono le<br />
stesse che decidono leggi e regole. <br />
LIBRI<br />
Nicholas Shaxson<br />
Le isole del tesoro.<br />
Viaggio nei paradisi fiscali dove<br />
è nascosto il tesoro<br />
della globalizzazione<br />
Feltrinelli, 2012<br />
LE ISOLE DEL TESORO (DA 21 MILA MILIARDI DI DOLLARI)<br />
Seimila miliardi di dollari. È l’imponente, quasi incalcolabile cifra relativa ai capitali<br />
sottratti ai governi di tutto il mondo dai paradisi fiscali. Tasse che non saranno mai<br />
versate, nemmeno in questo momento di grande crisi. Questo e molti altri dati<br />
impressionanti sono contenuti nel libro Le isole del tesoro, di Nicholas Shaxson,<br />
costruito sulla base di esperienze dirette, incroci di dati, analisi <strong>dei</strong> flussi di denaro.<br />
Alla popolazione inglese che si domanda come mai la pressione fiscale continui a salire,<br />
ad esempio, Shaxson risponde con una sola parola: «Offshore». È per via <strong>dei</strong> paradisi<br />
fiscali, infatti, che lo Stato britannico perde ogni anno circa 20 miliardi di sterline:<br />
«Basterebbero per far tornare la Vat (l’iva inglese, ndr) al 15%». E attenzione: il libro<br />
spiega che non dobbiamo prendercela solamente con i soliti noti. Jersey, Cayman<br />
o Liechtenstein sono solo la punta dell’iceberg: nel mirino del giornalista ci sono anche<br />
l’Irlanda, Hong Kong, il Lussemburgo, i Paesi Bassi, il Ghana. E lo stesso Regno Unito,<br />
a causa delle regole che imposero le autorità britanniche quando decisero lo status della<br />
City londinese. Per non parlare della Svizzera, nelle cui banche «nel 2009 erano depositati<br />
2.100 miliardi di dollari, intestati a non residenti, la metà <strong>dei</strong> quali di provenienza europea».<br />
D’altra parte, uno studio pubblicato dall’associazione Tax Justice Network ha indicato<br />
in almeno 21 mila miliardi di dollari il valore complessivo degli asset finanziari detenuti<br />
presso i paradisi fiscali di tutto il mondo. Una cifra spaventosa, gestita in buona parte<br />
da tre banche: le svizzere UBS e Credit Suisse e l’americana Goldman Sachs. «Si tratta<br />
di qualcosa come la somma del valore di due economie come gli Stati Uniti<br />
e il Giappone», ha sottolineato la Ong, che ha specificato come la cifra possa essere<br />
perfino sottostimata (lo studio non tiene conto di immobili, opere d’arte o altri beni simili).<br />
Anche ipotizzando un rendimento medio piuttosto basso per tali capitali (3%<br />
annuo), se si tassassero tali profitti al 30%, si potrebbe generare un flusso fiscale<br />
compreso tra i 190 e i 280 miliardi di dollari: il doppio di tutti gli aiuti allo sviluppo<br />
versati ogni anno dai Paesi ricchi dell’Ocse.
TERESA MANUZZI<br />
Banca Etica e i Gas<br />
Non così vicini<br />
di Elisabetta Tramonto<br />
Continua il dibattito attorno al piano industriale di Banca Etica lanciato<br />
sul numero di settembre di <strong>Valori</strong>. Parliamo di Gruppi di acquisto solidale,<br />
per la banca tra gli interlocutori principali, ma nella realtà non sempre<br />
interessati alla finanza etica<br />
Consumo responsabile e finanza<br />
etica. Si potrebbe pensare che<br />
siano due facce della stessa medaglia,<br />
ma non è necessariamente così. I<br />
Gruppi di acquisto solidale nascono dall’idea<br />
di essere consapevoli di quello che<br />
mangiamo, usiamo, compriamo, di chi e<br />
come lo produce. Lo stesso desiderio di<br />
consapevolezza, trasparenza e partecipazione<br />
alla base della finanza etica.<br />
Peccato che questi due mondi non sempre<br />
coincidano (su <strong>Valori</strong> ne abbiamo già<br />
parlato, sul numero di settembre 2011).<br />
Tanto che da qualche anno, all’interno<br />
del mondo <strong>dei</strong> Gas, sono nati <strong>dei</strong> tavoli<br />
dedicati alla finanza etica (in particolare<br />
in Lombardia). «Continuiamo a riflettere<br />
su una situazione che a noi sembra<br />
contraddittoria: il movimento del consumo<br />
critico, i Gas e i Des si occupano<br />
poco di finanza etica», si legge nel documento<br />
del tavolo sulla finanza etica riunitosi<br />
durante il convegno nazionale <strong>dei</strong><br />
Gas, lo scorso giugno a Golena del Furlo,<br />
nelle Marche.<br />
Banca Etica, dal canto suo, ha sviluppato<br />
un discorso analogo, tanto che nel<br />
piano industriale, votato dal Consiglio di<br />
amministrazione lo scorso giugno, ha indicato<br />
nei Gas uno <strong>dei</strong> propri interlocu-<br />
| finanzaetica | consumo responsabile |<br />
tori principali. «Vogliamo rafforzare le<br />
relazioni con alcune categorie particolarmente<br />
in linea con i nostri valori, come<br />
i Gruppi di acquisto solidale», aveva<br />
spiegato, in un’intervista pubblicata sul<br />
numero di settembre 2012 di <strong>Valori</strong>, il<br />
presidente di Banca Etica, Ugo Biggeri.<br />
Ma il lavoro da fare per raggiungere questo<br />
obiettivo sembra ancora lungo.<br />
Finanza etica, quella sconosciuta<br />
«La finanza etica non è al centro degli<br />
obiettivi <strong>dei</strong> Gas, almeno non quanto altre<br />
modalità di consumo critico», esordisce<br />
Davide Biolghini del tavolo Res<br />
nazionale. «Certamente è una questione<br />
che riguarda Banca Etica, che deve<br />
trovare il giusto approccio. Ma è soprattutto<br />
un problema <strong>dei</strong> Gas: per loro l’idea<br />
di consumo critico riguarda alcune<br />
categorie merceologiche in cui non rientrano<br />
i prodotti finanziari», commenta<br />
Ugo Biggeri. «È necessario avviare una<br />
dialettica da entrambe le parti – aggiunge<br />
David Marchiori della rete <strong>dei</strong> Gas veneziani<br />
–, da parte <strong>dei</strong> Gruppi di acquisto<br />
serve una presa di coscienza della<br />
finanza etica. E da parte di Banca Etica<br />
sarebbe necessaria un’operatività non<br />
solo relativa agli aspetti tecnici, ma anche<br />
nella cura <strong>dei</strong> processi, ad esempio<br />
per rendere i Gas più trasparenti e tracciabili».<br />
«Il discorso di acquistare mele<br />
bio a poco prezzo passa subito. La finanza<br />
etica meno», aggiunge Claudia<br />
Gazzale, socia di Banca Etica e presidente<br />
del Des Brianza. «Spesso i gasisti<br />
aprono il conto con una banca non etica<br />
semplicemente perché costa meno.<br />
Senza applicare gli stessi principi che<br />
guidano l’acquisto <strong>dei</strong> prodotti».<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 35 |
| finanzaetica |<br />
Kuminda, cibo consapevole<br />
Alcuni momenti di Kuminda, il festival del diritto<br />
al cibo, organizzato da Acra e Terre di mezzo Eventi<br />
a Milano dall’11 al 15 ottobre scorso, presso<br />
la Cascina Cuccagna. Un racconto del cibo, in tutti<br />
i suoi aspetti, per parlare di chi lo consuma, di chi<br />
lo produce, per condividere le esperienze virtuose<br />
di produzione agricola, i progetti di cooperazione<br />
con i Paesi del Sud del mondo, le filiere<br />
di distribuzione sostenibili, le scelte di consumo<br />
consapevoli. www.kuminda.org<br />
Banca Etica: così vicini, così lontani<br />
Al di là della scarsa conoscenza e consapevolezza<br />
nei confronti della finanza etica,<br />
da parte <strong>dei</strong> Gas sembra esistere una<br />
vera distanza (talvolta delusione, talvolta<br />
solo non conoscenza) da Banca Etica.<br />
«A livello nazionale prevale un atteggiamento<br />
critico», conferma Katia Mastrantuono,<br />
copresidente della Res Marche.<br />
Critiche diverse: da una mancanza di efficienza<br />
(«Di fronte a una richiesta di finanziamento<br />
per un’attività assolutamente<br />
in linea con lo spirito di Banca<br />
Etica non siamo neanche riusciti a ottenere<br />
un preventivo. Banca Prossima ci<br />
ha risposto in una settimana », racconta<br />
David Marchiori) al rifiuto di finanziare<br />
tutti i progetti virtuosi presentati: «Banca<br />
Etica era vissuta dai Gas come un istituto<br />
che dovrebbe sostenere le imprese<br />
sociali non bancabili – spiega Davide<br />
Biolghini – ma purtroppo ci si è resi conto<br />
che non sempre lo fa. L’esempio classico<br />
è quello dell’azienda Tomasoni, il<br />
produttore di formaggio che anni fa fu<br />
salvato grazie all’intervento di alcuni<br />
Gas e di Mag2, dopo il “no” di Banca Etica<br />
al finanziamento che aveva richiesto».<br />
«A volte si guarda un singolo caso non finanziato<br />
senza considerare che la stragrande<br />
maggioranza <strong>dei</strong> prestiti conces-<br />
| 36 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
VTERESA MANUZZI<br />
si da Banca Etica riguardano progetti<br />
che i Gas apprezzerebbero e a cui gli altri<br />
istituti di credito avrebbero sbattuto la<br />
porta in faccia», replica Ugo Biggeri. Che<br />
aggiunge: «Il fatto che i Gas non abbiano<br />
ben chiaro cosa sia la finanza etica fa sì<br />
che abbiano aspettative non coerenti».<br />
E non è tutto: «Banca Etica viene percepita<br />
come distante e poco coinvolta<br />
nel percorso dell’economia solidale che i<br />
Gas portano avanti», spiega ancora Katia<br />
Mastrantuono. «Non ha una presenza<br />
concreta e reale sul territorio. Quella<br />
<strong>dei</strong> Gas è una rete complessa che va seguita<br />
da vicino», aggiunge David Marchiori.<br />
«Le Mag (Mutue di autogestione)<br />
– continua Davide Biolghini – sono più<br />
vicine, più presenti sul territorio e hanno<br />
una relazione più diretta con i Gas».<br />
Netta la replica di Ugo Biggeri: «Banca<br />
Etica non ritiene che esista una vera<br />
distanza dai Gas. È consapevole che esistono<br />
percorsi diversi, ma l’obiettivo è<br />
comune. Da parte della banca c’è una<br />
grande volontà di partecipare ai percorsi<br />
<strong>dei</strong> Gruppi di acquisto: a partire dalle<br />
operatività specifiche, come il conto dedicato<br />
ai Gas, alla presenza nei diversi<br />
momenti di confronto. All’ultimo Sbarco<br />
Gas io c’ero». «Il conto gas è solo un primo<br />
passo – precisa Paolo Ferraresi, responsabile<br />
dell’ufficio progetti di Banca Etica –<br />
ha ottime condizioni di costo, ma è soprattutto<br />
un segno di attenzione, un modo<br />
per aprire un canale di comunicazione.<br />
Stiamo cercando di creare <strong>dei</strong> prodotti<br />
adatti anche alle esigenze <strong>dei</strong> produttori,<br />
attivando un sistema di garanzie dal basso,<br />
non patrimoniali».<br />
Un partner ideale<br />
E infine l’accusa di un mancato coinvolgimento<br />
<strong>dei</strong> Gas. «Banca Etica ha organizzato<br />
<strong>dei</strong> laboratori di economia civile. Cosa<br />
che ha molto infastidito i Gas perché<br />
non si sono sentiti coinvolti. Sono state<br />
interessate solo alcune singole realtà»,<br />
racconta Katia Mastrantuono. «Certo,<br />
abbiamo coinvolto solo alcune realtà del<br />
mondo <strong>dei</strong> Gas come la Res Marche», risponde<br />
Ugo Biggeri. «Ma non è possibile<br />
considerare tutti e non è facile trovare<br />
<strong>dei</strong> referenti. Quella <strong>dei</strong> Gruppi di acquisto<br />
è una realtà pulviscolare e senza una<br />
vera rappresentanza. Sinceramente mi<br />
sembra una polemica fuori luogo». Per il<br />
presidente il fulcro della questione è un<br />
altro: «Vorrei che i Gas capissero le specificità<br />
di Banca Etica che la rendono un interlocutore<br />
ideale per loro. Innanzitutto<br />
è l’unica realtà che offre strumenti di partecipazione<br />
e coerenza nelle modalità con<br />
cui lavora. La trasparenza nei finanziamenti<br />
e soprattutto la forma partecipativa<br />
sono caratteristiche innovative. Se vogliono<br />
che Banca Etica sia la banca <strong>dei</strong><br />
Gas, basta che diventino soci. Questo mi<br />
sembra che non venga compreso. Banca<br />
Etica è <strong>dei</strong> suoi soci».<br />
Un rapporto biunivoco<br />
Insomma servirebbe uno sforzo da parte<br />
di entrambi. «Banca Etica non è nata per<br />
finanziare i Gas o i produttori, bensì il<br />
terzo settore – spiega Ugo Biggeri – ma<br />
può avvenire un avvicinamento, come è<br />
successo con la legalità. Il finanziamento<br />
alle realtà della legalità non apparteneva<br />
a Banca Etica, oggi sì, grazie al percorso<br />
fatto con Libera».<br />
Ma paradossalmente oggi è Banca Etica<br />
ad avere bisogno di un aiuto, anche per<br />
poter aiutare i Gas. Per poter concedere<br />
più finanziamenti serve, infatti, più capitale<br />
sociale, lo richiedono le regole bancarie.<br />
Ma i Gruppi di acquisto sono disposti<br />
a investire nel capitale di Banca Etica? «Al<br />
momento non credo», risponde Davide<br />
Biolghini. «Servirebbe maggiore dialogo<br />
per costruire quanto Banca Etica chiede. I<br />
Gas portano avanti con i produttori rapporti<br />
basati sulla fiducia e sulla conoscenza<br />
reciproca, non basta che un agricoltore<br />
sia biologico. Bisogna stabilire una relazione.<br />
Lo stesso vale per Banca Etica. Non<br />
basta la parola “etica” per farla diventare<br />
automaticamente un interlocutore <strong>dei</strong><br />
Gas. Serve un rapporto di fiducia e azioni<br />
di reciproca conoscenza».<br />
«I Gas però – conclude Ugo Biggeri –<br />
dovrebbero usare con Banca Etica gli<br />
stessi criteri di selezione e di valutazione<br />
impiegati per i produttori dove acquistano<br />
la verdura o il formaggio bio.<br />
In quel caso si valuta come vengono<br />
prodotti, con quali materie prime e quali<br />
procedimenti. Lo stesso vale per la finanza<br />
etica».
Nella splendida cornice della settecentesca<br />
Cascina Cuccagna, a Milano<br />
(zona Porta Romana, facilmente raggiungibile<br />
con metropolitana e autobus).<br />
Con la classica formula week-end:<br />
circa 15 ore di lezione nell’arco di due giorni<br />
Per studenti universitari, sindacalisti, imprenditori,<br />
mondo associativo, cittadini attivi, un piano<br />
formativo modulare, che ogni partecipante potrà<br />
comporre a suo piacimento.<br />
Docenti preparati useranno un linguaggio chiaro<br />
e un approccio attento ai non addetti ai lavori.<br />
Una metodologia basata sull’interazione, sulle<br />
esercitazioni collettive e sulla presenza continua<br />
di un facilitatore d’aula.<br />
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dell’imprenditoria non profit e della ricerca<br />
economica e finanziaria.<br />
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L’Università<br />
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PROGRAMMA<br />
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ai modelli speculativi.<br />
• Economie Solidali.<br />
• Green economy: un futuro sostenibile per l’Europa.<br />
• Giornalismo economico finanziario.<br />
• Giornalismo e nuovi media: dalla distrazione<br />
di massa all’attivismo democratico.<br />
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OLTRE ALLA SCUOLA ESTIVA:<br />
• Un nuovo rapporto città-campagna:<br />
agricoltura peri-urbana e di prossimità.<br />
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delle filiere.<br />
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• Green economy e impatti sull’occupazione.<br />
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| inumeridellaterra |<br />
Narcoglobalizzazione<br />
di Paola Baiocchi, Andrea Barolini, Matteo Cavallito e Valentina Neri<br />
S<br />
tilare una mappa che descriva esaustivamente<br />
la divisione <strong>dei</strong> compiti nell’“organizzazione<br />
del lavoro criminale” è impossibile,<br />
data l’estrema rapidità di adattamento delle<br />
strategie <strong>dei</strong> gruppi malavitosi al variare delle<br />
condizioni di mercato. Quello che descriviamo è<br />
un mercato che si avvale di tutte le possibilità offerte<br />
dalla “globalizzazione” e dalle regole neoliberaliste<br />
per realizzare profitti straordinari, in cui le<br />
criminalità hanno capito che mettersi “in rete” è<br />
più proficuo che farsi apertamente la guerra. <br />
MESSICO/CARTELLI<br />
Uno degli Stati maggiormente coinvolti nel narcotraffico. Il cartello di Tijuana,<br />
quello del Golfo, di Sinaloa e di Juárez si spartiscono il mercato delle droghe<br />
dal Messico verso gli Usa. Il cartello di Los Zetas, nato come gruppo paramilitare,<br />
traffica verso l’Europa grazie ai collegamenti con la ’ndrangheta calabrese.<br />
Violentissimi e dotati di armi da guerra come bazooka e mitragliatrici, i cartelli<br />
messicani hanno “colonizzato” intere regioni del Paese, imponendo regole<br />
neofeudali. Il conflitto tra i cartelli avrebbe causato più di 13 mila morti nel 2011.<br />
COLOMBIA/CARTELLI<br />
Con 325 tonnellate l’anno, è il principale produttore mondiale di cocaina, anche<br />
se – secondo i dati di Narcoleaks – la quantità prodotta in Colombia e valutata<br />
in base ai sequestri sarebbe sei volte di più. Il dato reale sarebbe tenuto basso<br />
grazie al sistema di monitoraggio dell’Unodc, per far passare in secondo piano<br />
l’importanza della Colombia e spostare l’attenzione delle politiche antidroga<br />
verso il Perù. I tre cartelli colombiani più noti sono quello di Medellín, un vero<br />
Stato nello Stato che assolda poliziotti, magistrati, giornalisti, personaggi dello<br />
spettacolo, quello di Cali e il cartello di Norte del Valle.<br />
I cartelli colombiani lavorano in stretta correlazione con gruppi terroristici<br />
e contano importanti collegamenti con le criminalità europee (spagnole, italiane<br />
e olandesi) e con gruppi di origine caraibica (domenicani in Spagna, jamaicani<br />
nel Regno Unito e cittadini delle Antille in Olanda) e dell’Africa Occidentale<br />
(presenti in Francia, Svizzera, Austria, Germania, Italia e Portogallo).<br />
PERÙ<br />
Coltivazioni di cocaina: 61.200 ettari<br />
Valore <strong>dei</strong> ricavi per i coltivatori: 384 milioni di $ [2009]<br />
Sequestri complessivi: 30,7 tonnellate [2010]<br />
ARGENTINA<br />
Uno <strong>dei</strong> principali trampolini per l’esportazione di droga in Europa, grazie<br />
ai forti rapporti commerciali che il Paese vanta con il Vecchio Continente,<br />
insieme agli scarsi controlli e agli episodi di corruzione della polizia.<br />
| 38 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
OLANDA<br />
In Europa riveste il ruolo di importante centro temporaneo<br />
di stoccaggio e smistamento dell’eroina destinata ai mercati<br />
inglesi, francesi, belgi e tedeschi, in un network gestito da<br />
organizzazioni olandesi, turche e nigeriane.<br />
MAGHREB<br />
I Nordafricani sono presenti nei mercati <strong>dei</strong> Paesi mediterranei<br />
(Spagna, Francia e Italia) e in Olanda. Organizzazioni criminali<br />
di origine maghrebina sono impegnate nel traffico<br />
di sostanze stupefacenti: sono composte da cittadini<br />
provenienti dal MAROCCO, dalla TUNISIA, dall’ALGERIA,<br />
dalla LIBIA e dalla MAURITANIA, che operano in piccoli gruppi.<br />
GUINEA BISSAU<br />
Un hub sempre più importante per la droga proveniente<br />
dall’America Latina, destinata al mercato europeo e agli Usa,<br />
soprattutto a causa della corruzione: i narcos negli anni hanno<br />
penetrato l’intero apparato statale, arrivando perfino all’ufficio<br />
del presidente João Bernardo Vieira, che fu ucciso nel 2009.<br />
Il traffico coinvolge Paesi strategici – economicamente<br />
e politicamente – come GHANA, KENYA, NIGERIA, MOZAMBICO<br />
e SUDAFRICA. E gruppi terroristici come Hezbollah e Al Qaeda.<br />
BOLIVIA<br />
È uno <strong>dei</strong> Paesi latino-americani dove si produce più<br />
cocaina. Le piantagioni sono controllate da cartelli che<br />
riforniscono il mercato dell’America del Nord (Stati Uniti<br />
e Canada) e dell’Europa.<br />
Coltivazioni di cocaina: 30.900 ettari<br />
Valore netto: 13 miliardi di $<br />
Sequestri effettuati: 25,7 tonnellate [dati 2009]
ITALIA/COSA NOSTRA<br />
Agli inizi degli anni ’70 la mafia siciliana entra nel mercato internazionale degli stupefacenti, superando una sorta<br />
di suo tabù nei confronti delle droghe. Realizza una coalizione transnazionale con i marsigliesi che forniscono<br />
i chimici: la morfina base arriva dagli Stati Uniti e in Sicilia, ad Alcamo, viene localizzata la più grande raffineria<br />
di eroina d’Europa, che verrà scoperta nel 1985.<br />
Dopo una flessione nella leadership di Cosa nostra, dovuta al suo coinvolgimento nella strategia stragista<br />
e agli arresti di suoi membri, in questi anni si stanno stabilendo nuove reti per il controllo territoriale<br />
e internazionale con la ’ndrangheta, finalizzate al traffico di stupefacenti (soprattutto cocaina) dal Sudamerica<br />
attraverso il Nord Europa (Olanda, Germania, Belgio e Austria), come dimostrato anche dalla vasta operazione<br />
di metà ottobre scorso, coordinata dalla Dda della Procura di Milano, con 52 arresti in 8 regioni italiane<br />
del Nord e del Sud.<br />
ITALIA/’NDRANGHETA<br />
Attualmente considerata una delle più potenti organizzazioni<br />
criminali d’Europa, offre come nessun altro il “pacchetto<br />
completo” (anche di voti elettorali). Le ’ndrine garantiscono<br />
dal contrabbando della droga ai pagamenti in armi, al riciclaggio<br />
del danaro <strong>dei</strong> narcos in euro. In collaborazione e sovente con<br />
la doppia affiliazione <strong>dei</strong> suoi capi con le principali mafie italiane<br />
e internazionali. Tra gli anni ’80 e ’90 hanno conquistato un ruolo<br />
di leadership come intermediatore e organizzatore <strong>dei</strong> traffici<br />
internazionali della cocaina.<br />
INDIA/PUNJAB<br />
Il Punjab, regione dell’India al confine con il Pakistan, è una<br />
porta d’ingresso privilegiata per la droga di origine afghana<br />
[vedi BOX pag. 27]. Viene sfruttata la “rete” sul territorio<br />
costituita da numerosi contadini, che si occupano di fatto<br />
di smerciare gli stupefacenti.<br />
NIGERIA/CRIMINALITÀ<br />
Il network creato dai gruppi criminali nigeriani sta reinvestendo<br />
i proventi di prostituzione, cocaina ed eroina su droghe sintetiche<br />
e metanfetamine, con una strategia criminale mirata a produrre<br />
prodotti di origine sintetica di qualità e costo maggiore, in questo<br />
modo affermando la loro leadership rispetto ad altri gruppi etnici.<br />
I nigeriani occupano un posto di rilievo, soprattutto in Olanda,<br />
poiché gestiscono un proprio mercato che riforniscono attraverso<br />
corrieri aerei in partenza dalle Antille e dal Suriname e, in seguito<br />
all’incremento <strong>dei</strong> controlli, dal Perù, dalla Repubblica Dominicana<br />
e dal Messico. Recenti stime indicano che in Nigeria operano circa<br />
400 centrali del crimine, 136 delle quali specializzate nel traffico<br />
di droga e la metà con ramificazioni internazionali.<br />
Gruppi criminali nigeriani, stanziati in TAGIKISTAN, acquistano oppio<br />
nell’area afghana e lo indirizzano verso la Cina finora rifornita dalla<br />
produzione del Sudest asiatico, abbassandone il prezzo di carico<br />
e di vendita e andando a sovrapporsi ai flussi di traffico dell’oppio<br />
proveniente dal Myanmar, il cui prezzo risulta triplo rispetto a quello<br />
acquistato in Afghanistan dalla criminalità nigeriana.<br />
SERBIA<br />
E ALBANIA/GRUPPI<br />
Gruppi criminali serbi e albanesi<br />
stanno muovendosi autonomamente<br />
per acquistare cocaina dai Paesi di<br />
produzione, provvedendo al trasporto<br />
fino ai mercati di consumo. Tagliano<br />
molto la cocaina per diminuirne il<br />
prezzo e realizzare i profitti necessari<br />
alla loro ascesa.<br />
LAOS<br />
Coltivazioni di oppio: 3 mila ettari<br />
[dati 2010]<br />
| risiko del narcotraffico |<br />
AFGHANISTAN<br />
Dal 2008 è diventato il primo produttore mondiale di oppio, nonostante (o grazie)<br />
al fatto di essere un Paese che quasi non conosce la pace. La regia è gestita da cinque<br />
importanti gruppi criminali compositi, che operano o dietro la copertura di traffici leciti<br />
oppure avvalendosi di gruppi minori, spesso legati da vincoli famigliari.<br />
Con il nome pittoresco di Mezzaluna d’oro viene indicata la regione asiatica con<br />
la maggiore produzione di oppiacei del mondo, che comprende oltre all’Afghanistan,<br />
l’IRAN, il PAKISTAN e in minor misura INDIA e NEPAL.<br />
Coltivazioni di oppio: 123 mila ettari<br />
Valore della produzione: 2.900 $ netti per ettaro<br />
Coltivazioni di cannabis: 9-29 mila ettari<br />
Valore della produzione: 8.341 $ netti per ettaro [dati 2010]<br />
MYANMAR [dati 2010]<br />
Coltivazioni di oppio: 38.100 ettari<br />
Addetti: 224 mila persone<br />
Prezzo medio di vendita: 305 $ al kg<br />
Valore <strong>dei</strong> ricavi per i coltivatori: 177 milioni di $<br />
Il Triangolo d’oro composto da LAOS, MYANMAR,<br />
THAILANDIA e VIETNAM è attualmente<br />
la seconda area asiatica di produzione dell’oppio.<br />
MARIJUANA<br />
È prodotta in quasi tutto il mondo: maggiori produttori sono il Nord e Sud America (46%<br />
del totale mondiale: MESSICO, USA, PARAGUAY), l’Africa con il 26% (SUD AFRICA, NIGERIA,<br />
GHANA) e l’Asia con il 22% (AFGHANISTAN, PAKISTAN). Il maggior produttore mondiale<br />
di hashish è il MAROCCO (27,2%) che contende la prima posizione all’Afghanistan, seguono<br />
Pakistan (7,8%) e NEPAL (6,6%). In Europa è molto diffusa la coltivazione intensiva in serra,<br />
utilizzando varietà geneticamente modificate, riscaldamento, illuminazione artificiale,<br />
in coltura idroponica. I prodotti che ne derivano hanno un più alto contenuto di Thc.<br />
LE DROGHE SINTETICHE<br />
Un mercato in crescita, soprattutto per le metanfetamine, afferma l’Unodc, e per la prima volta<br />
numerosi Paesi ne hanno segnalato la presenza sui loro territori (ARGENTINA, BRASILE,<br />
GUATEMALA). Costituiscono un pericolo senza precedenti, perché percepite erroneamente<br />
come meno dannose; nel 2009 sono stati scoperti 45 laboratori, tutti in Europa, che utilizzano<br />
anche internet per il reperimento <strong>dei</strong> “precursori”. Siti di lavorazione esistono nell’Est e Sudest<br />
asiatico, Nord America, Oceania, Sudamerica, Turchia, Libano, Giordania. Il 97% <strong>dei</strong> sequestri<br />
si concentra in Europa e in Medio Oriente, con un traffico intraregionale, caratterizzato in base<br />
alle preferenze <strong>dei</strong> consumatori. Il grande mercato cinese attira l’attenzione <strong>dei</strong> gruppi<br />
criminali per le sue potenzialità di produzione e di diffusione.<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 39 |<br />
FONTE: NOSTRA RIELABORAZIONE DA DATI WWW.UNODC.ORG; WWW.NARCOLEAKS.ORG; MINISTERO DELL’INTERNO; CAMERA DEI DEPUTATI - ILLUSTRAZIONE: DAVIDE VIGANÒ
ROBERTO CACCURI / CONTRASTO<br />
economiasolidale<br />
Il dilemma di Milano: cibo sano o autostrada? > 45<br />
Il mais italiano alla guerra della produttività > 47<br />
Biogas: attenzione a chiamarla energia pulita > 49<br />
La sostenibilità viaggia a pedali > 51<br />
| 40 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
La banda<br />
| la lobby delle estrazioni |<br />
Viggiano (Potenza) dicembre 2003: lavori<br />
di ampliamento del Centro Oli Eni-Agip. Qui viene<br />
desolforato il petrolio greggio proveniente da tutti<br />
i pozzi della Basilicata. Con un oleodotto il lavorato<br />
viene poi inviato alla raffineria Agip di Taranto.<br />
Negli ultimi mesi, più di una volta, alte fiamme<br />
si sono sprigionate per ore dalla torcia del Centro Oli<br />
Grazie a leggi permissive e tasse<br />
minime c’è un boom delle<br />
trivellazioni per ricercare<br />
ed estrarre gas e petrolio. A questo<br />
si aggiunge il nuovo business degli<br />
stoccaggi di gas e CO 2. Ma mancano<br />
gli strumenti di controllo<br />
e la valutazione del rischio è scarsa<br />
del buco<br />
di Paola Baiocchi<br />
Il sisma del maggio scorso in Emilia,<br />
con il suo triste bilancio di morti e<br />
di distruzione, ha sollevato nuovamente<br />
il problema della scarsa prevenzione<br />
del rischio che si pratica in Italia.<br />
Mentre le telecamere <strong>dei</strong> telegiornali<br />
erano puntate sulle macerie, gli emiliani<br />
sono riusciti a denunciare sulla ribalta<br />
mediatica nazionale la loro preoccupazione<br />
per il progetto di deposito sotterraneo<br />
di gas a Rivara, una frazione del<br />
Comune di San Felice sul Panaro. Localizzato<br />
a poca distanza dall’epicentro del<br />
terremoto, in un’area classificata nella<br />
mappa sismo-tettonica a rischio propagazione<br />
di onda sismica e di liquefazione<br />
delle sabbie sature, il sito di stoccaggio<br />
Erg Rivara Storage – come riportato sul<br />
sito ufficiale – prevede di utilizzare «un<br />
serbatoio naturale perfetto per lo scopo:<br />
una struttura geologica a forma convessa<br />
il cui vertice si trova a 2.500 metri di<br />
profondità dalla superficie». Due chilo-<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 41 |
| economiasolidale |<br />
metri e mezzo sotto terra il metano troverebbe<br />
spazio nel calcare, poroso e con<br />
fessure naturali piene di acqua salata<br />
che verrebbe spinta in basso dalla pressione;<br />
il gas formerebbe una specie di<br />
bolla e resterebbe intrappolato tra l’acqua<br />
e una sorta di “tappo” di argille impermeabili<br />
dello spessore di 1.700 metri.<br />
La capacità di stoccaggio dovrebbe essere<br />
di 3.700 milioni di metri cubi di metano,<br />
con un’estensione sotterranea di 12<br />
chilometri quadrati e uno spessore di<br />
400 metri. In superficie, con 19 pozzi di<br />
estrazione, dovrebbe occupare un’area<br />
di circa 11 ettari nei Comuni di San Felice<br />
sul Panaro, Crevalcore, Camposanto, Finale<br />
Emilia, Medolla e Mirandola.<br />
Tre miliardi di metri cubi<br />
di gas sottoterra<br />
Rivara sarebbe il primo sito di stoccaggio<br />
in “acquifero profondo” in Italia e la<br />
scelta della società Erg Rivara Storage,<br />
costituita apposta per questo progetto<br />
nel 2008 dall’inglese Independent Resources<br />
(85%) e da Erg Power & Gas (15%),<br />
Si intitola con il gioco di parole che richiama<br />
un fim di 007, uno <strong>dei</strong> capitoli del libro di Pietro<br />
Dommarco Trivelle d’Italia. Il sistema delle royalties<br />
in vigore, cioè le tasse di compensazione<br />
ambientale versate, rendono particolarmente<br />
appetibile estrarre in Italia. Le compagnie<br />
| 42 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Nessuna valutazione<br />
del rischio sismico viene<br />
richiesta per le trivellazioni<br />
in mare e il decreto Cresci<br />
Italia ha ridotto la distanza<br />
di 12 miglia dalla costa<br />
per gli impianti marini<br />
è caduta su questa zona soprattutto per<br />
la centralità dell’Emilia, all’incrocio delle<br />
vie della distribuzione del gas.<br />
Però i cittadini, che avevano dato vita<br />
a comitati contro il deposito prima del<br />
sisma, sono ora disposti a continuare la<br />
loro opposizione, anche se il progetto è<br />
stato fermato dal ministero dell’Ambiente,<br />
perché temono possa venire ripresentato<br />
quando l’attenzione calerà.<br />
Guardando sul sito della Erg Rivara<br />
Storage, infatti, tutto fa pensare che non<br />
abbiano rinunciato al progetto. Intanto<br />
gli emiliani, e noi con loro, chiedono cosa<br />
sarebbe successo se il terremoto avesse<br />
scaricato la sua energia sopra più di tre<br />
miliardi di metri cubi di gas.<br />
CASINÒ ROYALTIES: IL FISCO RISPARMIA I PETROLIERI<br />
Pietro Dommarco<br />
Trivelle d’Italia.<br />
Perché il nostro Paese<br />
è un paradiso per petrolieri<br />
Altraeconomia, 2012<br />
petrolifere godono di una franchigia, per cui sono esentate dal pagamento delle<br />
royalties sulle prime 20 mila tonnellate di greggio estratte sulla terraferma, sulle<br />
prime 50 mila tonnellate di greggio estratte in mare, sui primi 25 milioni di metri cubi<br />
di gas estratti sulla terraferma e sui primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti<br />
in mare. Tradotto in milioni di euro, le compagnie risparmiano, per ogni anno<br />
di produzione, circa 8 milioni di euro sul greggio estratto sulla terraferma, 19 milioni<br />
di euro sul greggio estratto in mare, 7 milioni di euro sul gas estratto sulla terraferma<br />
e 24 milioni di euro sul gas estratto in mare. Un bottino milionario che, in tempi<br />
di vacche magre come sono questi, i cittadini dovrebbero poter recuperare.<br />
Facilitazioni fiscali nate perché il petrolio italiano era considerato residuale, quando<br />
le tecnologie, però, erano molto meno efficienti: ora si arriva tranquillamente<br />
a 5.000/6.000 metri di profondità e quindi, anche se il petrolio italiano ha molto<br />
zolfo, il risparmio è esorbitante rispetto alle royalties del 50% che si pagano<br />
mediamente in area Opec. In Italia invece sono pari al 10% per le estrazioni<br />
di greggio e gas sulla terraferma, al 7% per l’estrazione di gas in mare e al 4% per<br />
l’estrazione di greggio in mare. Di queste il 55% va alle Regioni, il 30% lo incassa<br />
lo Stato. Mentre ai Comuni che sono i più colpiti dall’impatto ambientale, va il 15%.<br />
Oppure niente nel caso delle estrazioni in mare. Pa. Bai.<br />
Rivara sarebbe il primo sito di stoccaggio<br />
in “acquifero profondo” in Italia,<br />
ma diversi altri progetti di stoccaggio sono<br />
stati presentati al ministero dello Sviluppo<br />
economico.<br />
Rischio sismico sottovalutato<br />
«Ho letto le relazioni geologiche e sismiche<br />
allegate al progetto di Rivara – spiega<br />
Franco Ortolani, ordinario di Geologia<br />
all’Università di Napoli – e vi ho trovato<br />
che la sismicità era sottostimata: si diceva<br />
che non poteva essere superiore a 5,8 gradi<br />
della scala Richter, invece a maggio è<br />
stata superiore. Non possiamo dire cosa<br />
sarebbe successo nel caso in cui il deposito<br />
fosse già stato operativo, perché le conoscenze<br />
sono scarse. È invece ampiamente<br />
documentato scientificamente<br />
– continua Ortolani – che qualsiasi iniezione<br />
nel sottosuolo determina una perturbazione<br />
e se la zona è già di per sé instabile<br />
tettonicamente e sismicamente,<br />
come la zona dell’epicentro del 20 maggio,<br />
qualsiasi attività nel sottosuolo può determinare<br />
un’accelerazione <strong>dei</strong> fenomeni<br />
di instabilità tettonica e quindi accelerare<br />
quelli che poi andranno a trasformarsi in<br />
eventi sismici».<br />
Come evitare, allora, che nuove attività<br />
di stoccaggio possano creare criticità?<br />
Per Ortolani la soluzione è a portata di mano:<br />
«In Italia sarebbe facilissimo mettere<br />
<strong>dei</strong> paletti, partendo dalle mappe dell’Istituto<br />
nazionale di geologia e vulcanologia<br />
(Ingv), che hanno individuato dove in passato<br />
si sono verificati terremoti. Dove il<br />
sottosuolo è instabile, perché ci sono delle<br />
faglie che periodicamente si muovono<br />
dando luogo a sismi, va detto che non si deve<br />
toccare il sottosuolo con nuovi depositi<br />
sotterranei di anidride carbonica o di gas».<br />
Invece in Italia siamo testimoni di una<br />
vera e propria “corsa alla trivellazione” sia<br />
per nuovi pozzi che per nuovi siti di stoccaggio,<br />
in presenza di una legislazione<br />
molto condiscendente rispetto alle compagnie<br />
e con la tendenza a eliminare ulteriori<br />
“lacci e lacciuoli” che, viene detto, “limitano<br />
il mercato” ma sono, invece, tutele<br />
per la sicurezza e la salute. Come la riduzione<br />
di fatto del già minimo limite di 12<br />
miglia dalla costa per le estrazioni in mare,<br />
introdotto nel decreto Cresci Italia.
SIAMO PROPRIO SICURI?<br />
Operanti > coltivazione idrocarburi<br />
In iter > istanza/permesso<br />
Pozzi a terra operanti<br />
Pozzi a terra in iter<br />
Piattaforme operanti<br />
Piattaforme in iter<br />
Dal 2011 divieto di perforazione<br />
e di coltivazione Lg. 179/01<br />
Raffinerie<br />
Trecate<br />
Sannazzaro<br />
Porto Foxi<br />
Ma quello che è ancora più grave, e<br />
sembra incredibile, è che la legislazione<br />
attuale per le trivellazioni in mare non richiede<br />
la valutazione del rischio sismico.<br />
L’autocontrollo delle compagnie<br />
Spetta alle compagnie anche autocertificare<br />
la produzione sulla quale pagare le<br />
tasse, come ha scritto Emanuele Isonio<br />
nell’articolo “Trivella libera vuol dire sviluppo?”<br />
(<strong>Valori</strong> n. 102, settembre 2012), sottraendo<br />
importanti introiti al fisco (vedi<br />
BOX ). «Sta di fatto che su un centinaio circa<br />
di compagnie petrolifere in attività,<br />
solo 11 pagano le tasse, spiega Pietro<br />
Dommarco, autore di Trivelle d’Italia, un<br />
viaggio lungo lo stivale in cui ha documentato<br />
installazioni e richieste di nuovi<br />
impianti in località vicine ad aree intensa-<br />
Busalla<br />
Cremona<br />
Livorno<br />
Mantova<br />
EGADI<br />
PANTELLERIA (TP)<br />
Pa<br />
Venezia<br />
Pantano<br />
Pe<br />
Po<br />
mente abitate o di interesse naturalistico,<br />
agricolo, artistico o storico.<br />
Alle compagnie si lascia poi il ruolo<br />
di controllori di sé stessi anche in materia<br />
di sicurezza e salute pubblica, a proposito<br />
di emissioni e incidenti: dal 2010,<br />
in nome della “semplificazione”, è stata<br />
introdotta l’Autorizzazione integrata<br />
ambientale (Aia) che rende “superflue”<br />
numerose autorizzazioni ambientali di<br />
settore. Gli impianti soggetti ad Aia sono<br />
tenuti a comunicare ciò che avviene nel-<br />
U<br />
Falconara<br />
Gela<br />
A F<br />
Milazzo<br />
S<br />
P<br />
Priolo<br />
Augusta<br />
Taranto<br />
| economiasolidale |<br />
Mappa di pericolosità sismica<br />
del territorio nazionale e<br />
principali attività estrattive<br />
< 0.025 g<br />
0.025 - 0.050<br />
0.050 - 0.075<br />
0.075 - 0.100<br />
0.100 - 0.125<br />
0.125 - 0.150<br />
0.150 - 0.175<br />
0.175 - 0.200<br />
0.200 - 0.225<br />
0.225 - 0.250<br />
0.250 - 0.275<br />
0.275 - 0.300<br />
Le sigle individuano isole<br />
per le quali è necessaria<br />
una valutazione ad hoc<br />
Elaborazione: aprile 2004<br />
le proprie aziende all’Ines (Inventario<br />
nazionale delle emissioni e loro sorgenti).<br />
Succede così che i cittadini vedano<br />
svilupparsi delle fiamme dai pozzi di petrolio,<br />
ma non riscontrino nessuna denuncia<br />
di incidente, come ha spiegato a<br />
<strong>Valori</strong> Luciana Coletta, segretaria regionale<br />
della Basilicata di Csp-Partito comunista<br />
e membro del Comitato Aria pulita,<br />
che continua: «Eppure quei pozzi a<br />
Villa d’Agri di Potenza sono ad appena<br />
250 metri dall’ospedale civile».<br />
IN RETE<br />
http://unmig.sviluppoeconomico.gov.it/ Ministero dello Sviluppo economico<br />
www.gm.ingv.it/index.php/sismologia-e-ingegneria-sismica/ricerca-scientifica/15-studio-degli-effetti-di-sito-nelbacino-della-val-dagri2<br />
Studio degli effetti di sito nel bacino della Val D’Agri<br />
www.wwf.it/client/ricerca.aspx?root=29949&content=1 Dossier del Wwf “Milioni di regali - Italia: Far West delle trivelle”<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 43 |
| economiasolidale |<br />
Le homepage <strong>dei</strong> siti indicati a pagina 43<br />
Sembra però che la sicurezza sia un<br />
problema che non riguarda le compagnie<br />
petrolifere, ma solo i cittadini, che<br />
continuano a organizzarsi in centinaia<br />
di comitati e movimenti, che restano,<br />
però, in ambito locale e per la mancanza<br />
di una cinghia di trasmissione che li col-<br />
CENTRALI DI STOCCAGGIO CRESCONO<br />
| 44 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
leghi alla politica nazionale, ottengono<br />
scarsissimi risultati. «Questo perché manca<br />
un partito che abbia un progetto alternativo<br />
di società e quindi di economia, come<br />
è stato il Partito comunista italiano»<br />
aggiunge Luciana Coletta.<br />
La Basilicata è la Regione a più alta capacità<br />
estrattiva d’Europa, pur essendo<br />
l’Italia il quarto produttore europeo. Si<br />
Il progetto pilota di iniezione delle emissioni di CO2 a Cortemaggiore, proposto<br />
da Stogit (Gruppo Eni), ha ricevuto ad aprile esito favorevole nella Valutazione<br />
di impatto ambientale (Via), a condizione che l’approvvigionamento della CO2 avvenga in zone più vicine, ai fini di un risparmio energetico ed emissivo.<br />
Nei giacimenti già utilizzati dal 1964 come stoccaggio del metano in provincia<br />
di Piacenza, nei Comuni di Cortemaggiore e Besenzone, per tre anni l’Eni inietterà<br />
l’anidride carbonica per sperimentarne l’uso come cushion gas (vedi GLOSSARIO )<br />
a 1.400 metri di profondità, per un totale di 8.000 tonnellate di CO2 l’anno.<br />
Il progetto solleva le preoccupazioni <strong>dei</strong> cittadini per la sicurezza, dopo il recente<br />
sisma, ma anche perché inciderebbe poco sulla riduzione delle emissioni: la CO2 utilizzata nel giacimento di Cortemaggiore, infatti, sarà in parte approvvigionata con<br />
trasporto su gomma dall’impianto di cattura di recente inaugurato da Enel a Brindisi.<br />
SCHEMA GENERALE DI SITO DI STOCCAGGIO<br />
FONTE: STOGIT SPA<br />
vuole ora puntare al raddoppio della produzione<br />
proprio in Val d’Agri: “Una delle<br />
aree italiane a maggiore potenziale sismogenetico”,<br />
certifica l’Istituto nazionale<br />
di geofisica e vulcanologia.<br />
Una zona cioè dove possono facilmente<br />
generarsi terremoti, come il devastante<br />
sisma del 1857, tra i più potenti d’Italia,<br />
con magnitudo tra 6,9 e 7. <br />
GLOSSARIO<br />
STOCCAGGIO DEL GAS NATURALE IN SOTTERRANEO:<br />
il deposito in strutture del sottosuolo del gas naturale<br />
prelevato dalla rete di trasporto nazionale<br />
e successivamente reimmesso nella rete in funzione<br />
delle richieste del mercato.<br />
I componenti principali di un sito di stoccaggio sono:<br />
il giacimento, la centrale di stoccaggio con gli impianti<br />
di compressione e trattamento e i pozzi. Lo stoccaggio<br />
è un’attività mineraria soggetta a concessione,<br />
con modalità recentemente aggiornate con Decreto<br />
ministeriale 21 gennaio 2011. Attualmente in Italia sono<br />
in attività dieci siti di stoccaggio, tutti realizzati<br />
in corrispondenza di giacimenti a gas esauriti; sono<br />
in corso di realizzazione tre nuovi impianti, e ci sono<br />
otto istanze di concessione di stoccaggio, compresa<br />
quella di Rivara, in corso di rigetto.<br />
WORKING GAS: la quantità di gas naturale gestita<br />
secondo le richieste degli shippers (i proprietari<br />
del gas). Una parte del working gas deve essere<br />
mantenuto in giacimento per garantire la riserva<br />
strategica (attualmente 5.100 milioni di mc).<br />
CUSHION GAS: è il “gas cuscino”, il quantitativo<br />
minimo indispensabile di gas presente o inserito<br />
nei giacimenti in fase di stoccaggio, che ha la funzione<br />
di consentire l'erogazione <strong>dei</strong> restanti volumi senza<br />
pregiudicare nel tempo le caratteristiche minerarie<br />
<strong>dei</strong> giacimenti stessi.<br />
Nel caso di giacimenti quasi esauriti dove verrebbe<br />
iniettata la CO2, questa farebbe da “cuscino”<br />
permettendo l’estrazione del metano rimasto sul fondo.<br />
La capacità di stoccaggio di gas naturale<br />
al 31 dicembre 2011 è pari a circa 15.620 milioni<br />
di standard metri cubi (MSmc), di cui 5.100 MSmc<br />
riservati allo stoccaggio strategico.<br />
FONTE: NOSTRA ELABORAZIONE SU DATI UNMIG, STOGIT, ENI
Se questa vicenda avrà un lieto fine<br />
darà concretezza al sogno di chi<br />
crede nella sicurezza alimentare,<br />
nella tutela del territorio, nel diritto al cibo<br />
sano. Ma per ora la realtà è tutt’altra:<br />
una striscia di asfalto, larga otto corsie,<br />
lunga 32 chilometri con sei svincoli e altrettanti<br />
caselli, che sorgerà su un’area<br />
agricola rara e preziosa con il serio rischio<br />
di cancellare uno <strong>dei</strong> più ambiziosi progetti<br />
di ricostruzione di filiera corta del pane.<br />
La (flebile) speranza di cambiare le cose è<br />
legata a un ricorso che potrebbe creare un<br />
precedente storico.<br />
Asfalto al posto del grano bio<br />
Nel Parco agricolo Sud Milano è attivo da<br />
quasi cinque anni il progetto Spiga & Madia,<br />
nato per produrre, attraverso un originale<br />
sistema di “coproduzione” tra consumatori,<br />
agricoltori e fornai, pane di alta<br />
qualità, da agricoltura biologica, a prezzi<br />
altrove impensabili. L’area scelta sembrava<br />
ideale per l’esperimento: è a pochi chi-<br />
lometri da Milano (a Caponago), è molto<br />
fertile e in loco si può trovare tutto il necessario<br />
per creare una filiera a chilometro<br />
zero. Ma su quell’area dovrà passare la<br />
nuova Tangenziale esterna (Teem) e, sui<br />
terreni coltivati a grano, sarà costruita la<br />
rotatoria per collegarla all’autostrada A4.<br />
Le decine di chilometri della Teem – oltre<br />
ai 32 di autostrada da Agrate Brianza a<br />
Melegnano, ci sono anche 38 km di nuove<br />
strade ordinarie e 15 di riqualificazione di<br />
arterie esistenti – è considerata “opera infrastrutturale<br />
per lo sviluppo strategico<br />
del Paese”, tanto da essere stata inserita<br />
nella Legge obiettivo, che permette di derogare<br />
alla legislazione ordinaria.<br />
Per i suoi ideatori (un consorzio composto<br />
da Provincia di Milano, Benetton,<br />
Gavio, Intesa San Paolo, Impregilo, Pizzarotti,<br />
Coopsette, Cmb, Unieco e Cmc), servirà<br />
a decongestionare l’attuale Tangenziale<br />
Est permettendo di passare dalla A1<br />
alla A4 bypassando Milano. Ma in parecchi<br />
dubitano dell’utilità dell’opera. «La<br />
| economiasolidale | difesa della terra |<br />
Il dilemma di Milano:<br />
meglio il cibo sano<br />
o una nuova autostrada?<br />
di Emanuele Isonio<br />
I lavori della nuova Tangenziale esterna condanneranno a morte la filiera corta del pane di Spiga & Madia. Il distretto<br />
di economia sociale della Brianza fa ricorso alla Commissione europea. Con una motivazione originale: il valore<br />
preminente della sicurezza alimentare<br />
IL DES.BRI: AIUTATECI<br />
A COPRIRE LE SPESE LEGALI<br />
Portare avanti un’azione legale complessa<br />
richiede molto denaro. Lo sanno bene<br />
i grandi gruppi industriali, che spesso<br />
contano proprio sui costi della giustizia per<br />
fermare chi si oppone a opere controverse.<br />
Il Des Brianza ha quindi lanciato un appello<br />
per coprire le spese legali. I contributi<br />
possono essere versati sul conto corrente<br />
di Banca Etica, intestato al “Comitato verso<br />
il Distretto di Economia Solidale della<br />
Brianza”, causale “Campagna Spiga e Madia”,<br />
Iban IT74E0501801600000000141046.<br />
Teem non ridurrà il traffico della Tangenziale<br />
Est, che è usata quasi esclusivamente<br />
per andare da una parte all’altra di Milano»,<br />
spiega Damiano Di Simine, presidente<br />
di Legambiente Lombardia. A sostegno<br />
della sua tesi, un calcolo degli stessi committenti:<br />
in quel rapporto, per di più stilato<br />
prima della crisi economica, la nuova<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 45 |
| economiasolidale |<br />
Teem ridurrebbe di appena il 7% il traffico<br />
dell’attuale tangenziale. Troppo poco per<br />
un’autostrada che, già sulla carta, promette<br />
di essere tra le più costose: 80 milioni di<br />
euro al chilometro. Tra l’altro i primi lavori<br />
stanno partendo anche se è stato reperito<br />
solo il 20% <strong>dei</strong> due miliardi necessari a<br />
completarla. Il sospetto che questo costringa<br />
la Cassa Depositi e Prestiti a intervenire<br />
è concreto. «Sarebbe comunque<br />
una follia – osserva Di Simine – bloccare risorse<br />
bancarie per un’opera inutile mentre<br />
centinaia di imprese falliscono per mancanza<br />
di liquidità».<br />
Un’istanza inedita<br />
A queste motivazioni, si uniscono quelle<br />
delle 600 famiglie del progetto Spiga &<br />
Madia, che hanno deciso di tentare un ricorso<br />
originale: invece di contestare i criteri<br />
di esproprio dell’area coltivata a grano,<br />
hanno preferito invocare il diritto al<br />
cibo sano. Rivolgendosi, per il ricorso, a un<br />
pool di avvocati e professori universitari,<br />
coordinati da Domenico Monci, docente di<br />
Diritto ambientale all’università del Molise.<br />
«Un ricorso a più tappe», spiega Monci.<br />
Con un destinatario di alto livello: la Direzione<br />
generale Ambiente della Commissione<br />
europea, l’organismo che, nella Ue,<br />
ha competenza sulla legislazione ambientale<br />
e alimentare. «La nostra speranza è<br />
che chieda chiarimenti alle istituzioni nazionali<br />
coinvolte (ministero delle Infrastrutture,<br />
Cipe, Regione Lombardia) e verifichi<br />
se sono state ignorate le esigenze<br />
delle popolazioni locali, in violazione della<br />
Convenzione di Aarhus».<br />
Quattro i punti su cui pone l’accento<br />
l’istanza inviata a Bruxelles, che <strong>Valori</strong> ha<br />
potuto visionare in assoluta anteprima:<br />
oltre ai dubbi sull’effettiva utilità dell’opera,<br />
contestata persino da 34 <strong>dei</strong> Comuni<br />
dell’area, che avevano proposto un progetto<br />
alternativo (vedi BOX ), si denuncia la<br />
violazione del diritto di accesso al cibo sano.<br />
«Una motivazione praticamente inedita<br />
in Europa – spiega Monci – ma sostenuta<br />
da importanti basi legali. Non solo per il<br />
principio di precauzione sancito dall’articolo<br />
191 del Trattato sul funzionamento<br />
dell’Unione europea, ma anche per le regole<br />
già in vigore nella Ue con il regolamento<br />
178/02 sulla sicurezza alimentare».<br />
| 46 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Accanto a questo, viene sottolineato<br />
il danno alle colture biologiche e a produzioni<br />
agricole di pregio (la Teem, si legge<br />
nell’istanza, è «capace di alterare in<br />
maniera irreversibile le condizioni attuali<br />
dell’area e privarla delle sue peculiari<br />
qualità agronomiche e ambientali»)<br />
e il concreto pericolo per la biodiversità<br />
del territorio: «La proprietà agricola impiegata<br />
nel progetto Spiga & Madia è al-<br />
A8<br />
locata in uno <strong>dei</strong> residui corridoi ecologici<br />
esistenti nella Brianza». «Se, come speriamo,<br />
la DG Ambiente aderirà alle nostre<br />
motivazioni – commenta Monci –<br />
potremo chiedere al Tar di bloccare l’opera<br />
e al tempo stesso avremo creato un<br />
precedente epocale: avremmo dimostrato<br />
che il diritto al cibo sano non può essere<br />
sacrificato sull’altare degli interessi<br />
delle lobby industriali». <br />
Monza<br />
Agrate<br />
Brianza<br />
! !<br />
Rho<br />
Vanzago<br />
Arluno<br />
Pregnana Milanese<br />
Pero<br />
A52<br />
Gorgonzola<br />
Cernusco sul Naviglio<br />
Cassina de Pecchi<br />
Pialtello Vignate Melzo<br />
Sedriano<br />
Cornaredo<br />
Segrate<br />
Vittuone Settimo Milanese<br />
Bareggio<br />
A50<br />
Corbetta<br />
Milano<br />
A51<br />
Rodano Liscate<br />
Settaia<br />
Cisliano<br />
Albalrate<br />
Vermezzo<br />
Cusago<br />
Cesano Boscone A7<br />
Corsico<br />
Trezzano sul Naviglio<br />
BuccinascoAssago<br />
Gaggiano<br />
Pantigliate<br />
Peschiera Barromeo<br />
Paullo<br />
S. Donato Milanese Mediglia<br />
Tribiano<br />
Zelo Surrigone<br />
Rozzano Opera<br />
Colturano<br />
S. Giuliano Milanese<br />
Noviglio<br />
A1<br />
Dresano<br />
Gudo Visconti Zibido S. Giacomo<br />
Locate Triulzi<br />
Melegnano<br />
Pieve Emanuele<br />
Vizzolo Predabissi<br />
Rosate<br />
Carpiano<br />
Binasco<br />
Basiglio<br />
Bubbiano<br />
Cerro al Lambro<br />
CalvignascoVernateCasarile Lacchiarella<br />
Area del Parco Agricolo Sud Milano TEEM - Tangenziale Est Esterna di Milano<br />
ALTRO CHE TEEM:<br />
34 COMUNI SOSTENGONO IL RAPPORTO “POLINOMIA”<br />
A mettere in dubbio l’utilità della Tangenziale esterna non ci sono solo ambientalisti<br />
e sostenitori dell’agricoltura biologica. 34 comuni lombardi, situati tra la BreBeMi<br />
(l’autostrada di collegamento tra Brescia, Bergamo e Milano) e la nuova Teem hanno<br />
commissionato all’istituto Polinomia uno studio sui vantaggi dell’opera e sulle possibili<br />
varianti. Obiettivo: dimostrare che la Teem è tutt’altro che indispensabile e che<br />
si possono decongestionare le arterie esistenti in modo ben diverso. «Non esiste<br />
a tutt’oggi alcuna evidenza tecnica, asseverata da studi e valutazioni redatti secondo<br />
gli standard correnti, dell’effettiva rispondenza della Teem alle numerose e rilevanti<br />
problematiche del sistema di trasporto interessato». Il rapporto “Polinomia” propone<br />
quindi soluzioni alternative: il potenziamento delle ferrovie regionali, soprattutto nelle<br />
tratte comprese tra 35-40 chilometri dal centro di Milano; la riorganizzazione della rete<br />
di trasporto pubblico extraurbano; la razionalizzazione della rete stradale esistente;<br />
una revisione <strong>dei</strong> criteri di gestione del traffico; lo sfruttamento di aree industriali<br />
dismesse connesse alla rete di trasporto pubblico. «Se 34 Comuni, enti pubblici<br />
di prima istanza, concordano su un piano alternativo – commenta l’avvocato Monci –<br />
si conferma in modo inequivocabile che un’alternativa alla Teem è concreta e attuabile».<br />
A4
Il mais italiano<br />
alla guerra<br />
della produttività<br />
di Emanuele Isonio<br />
La maiscoltura tricolore ha perso il primato europeo e i suoi profitti<br />
dipendono ormai dal premio Pac che ben presto potrebbe scomparire.<br />
Uno scenario a tinte fosche. E, sullo sfondo, due soluzioni che non convincono<br />
un dato che più di tutti fa<br />
impressione tra quelli che ci C’è<br />
aiutano a fotografare il mondo<br />
del mais italiano: nel 2011 le importazioni<br />
nette di questo cereale si sono attestate<br />
al 23% della domanda totale, dopo<br />
decenni in cui l’Italia era di fatto autosufficiente.<br />
Alla luce di questo dato, i costi<br />
di importazione <strong>dei</strong> cereali per mangimi<br />
animali hanno annullato i ricavi<br />
dell’esportazione <strong>dei</strong> nostri prodotti tipici<br />
di origine animale. Alla base di questo<br />
dato c’è un problema di produttività, figlio<br />
diretto di un disperato bisogno di<br />
redditività. Un’esigenza certamente comune<br />
a molti altri settori agroalimentari,<br />
che però, nel caso della maiscoltura,<br />
diventa condizione indispensabile per la<br />
sopravvivenza stessa della filiera. Per<br />
decenni fiore all’occhiello dell’agricoltura<br />
italiana, ma che da qualche anno è stata<br />
superata, in termini di produzione e<br />
resa, da altri Stati europei, primo tra tutti<br />
la Spagna.<br />
Dai produttori si leva quindi un appello<br />
per individuare sistemi che aumentino<br />
i loro redditi e coprano i costi di produzione.<br />
Ma le soluzioni – varietà Ogm e<br />
Tre i problemi principali:<br />
la resa per ettaro non cresce<br />
più da quindici anni,<br />
le aziende sono troppo<br />
piccole e i costi di<br />
produzione crescono<br />
10,0<br />
8,0<br />
6,0<br />
4,0<br />
2,0<br />
0,0<br />
biogas – potrebbero rivelarsi medicine<br />
peggiori della malattia da curare.<br />
La resa non cresce più<br />
I dati Istat segnalano nel 2011 una produzione<br />
di 9,6 milioni di tonnellate, in ripresa<br />
rispetto al triennio orribile 2008-<br />
2010, ma comunque quarto peggiore<br />
risultato degli ultimi 15 anni. Le superfici<br />
coltivate tornano a superare la soglia<br />
psicologica del milione di ettari. Ma a<br />
preoccupare gli analisti sono i dati delle<br />
rese per ettaro: «Nonostante siano in ripresa<br />
rispetto al 2010 – spiega Dario Frisio,<br />
ordinario di Economia ed Estimo rurale<br />
all’Università Statale di Milano – la<br />
crescita inarrestabile avuta fino agli anni<br />
’90 si è ormai fermata». Un confronto<br />
con la Spagna (vedi GRAFICO ): nel 1993 la resa<br />
per ettaro era di 85 quintali contro i 93<br />
dell’Italia. Nel 2011 il mais iberico è cresciuto<br />
a 105 quintali per ettaro mentre<br />
quello italiano si è fermato a 94.<br />
[Mil t] [.000 ha]<br />
12,0<br />
1.500<br />
1961<br />
1966<br />
| economiasolidale | made in italy a rischio/puntata 19 |<br />
EVOLUZIONE DELLE SUPERFICI E DELLE PRODUZIONI DI MAIS DA GRANELLA IN ITALIA TRA IL 1961 E IL 2011<br />
1971<br />
1976<br />
1981<br />
Produzioni (milioni t) Superfici (.000 ha)<br />
1986<br />
1991<br />
1996<br />
2001<br />
2006<br />
9,6<br />
1.019<br />
2011<br />
1.250<br />
1.000<br />
750<br />
500<br />
250<br />
0,0<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 47 |<br />
FONTE: ELABORAZIONI OECV-DEPAAA SU DATI ISTAT (2010 E 2011 PROVVISORI)
FONTE: EUROSTAT<br />
| economiasolidale |<br />
Imprese troppo piccole<br />
costi in salita<br />
Una situazione già complicata per i produttori<br />
nostrani, resa ancor più difficile<br />
dalla struttura delle aziende italiane e da<br />
costi di produzione spesso superiori ai<br />
prezzi di vendita. «Le imprese italiane –<br />
conferma Frisio – sono ben più piccole<br />
<strong>dei</strong> loro concorrenti esteri». 103 mila delle<br />
154 mila aziende agricole che coltivano<br />
mais in Italia (il 67% del totale) hanno<br />
un’estensione inferiore ai 10 ettari. «E<br />
più sono piccole, più è difficile per loro<br />
coprire i costi, soprattutto ora che i prezzi<br />
<strong>dei</strong> fertilizzanti, stabili per vent’anni,<br />
stanno avendo oscillazioni mai viste prima».<br />
Un solo esempio: il prezzo del fosfato<br />
doppio di ammonio è passato dai 280<br />
dollari a tonnellata del gennaio 2007 ai<br />
1200 del marzo 2008 (vedi GRAFICO ).<br />
Ancora una volta, la colpa di questa<br />
oscillazione va ricercata nelle speculazioni<br />
mondiali sulle commodity agricole.<br />
I produttori sono quindi spinti a ridurre<br />
l’uso di fertilizzanti per abbassare i costi:<br />
«Ma così calano anche le rese e siamo obbligati<br />
ad acquistare all’estero il mais per<br />
coprire la domanda nazionale (circa 11<br />
milioni di tonnellate)». Risultato: ad oggi,<br />
la redditività della maiscoltura è legata<br />
al beneficio del premio unico aziendale<br />
previsto dalla Pac (Politica agricola comunitaria).<br />
Tolto quel premio – cosa assai<br />
probabile con la prossima riforma<br />
della Politica agricola – il settore potrebbe<br />
entrare in una crisi definitiva.<br />
MAIS DA GRANELLA RESE A CONFRONTO [q/ha]<br />
110<br />
100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
1991<br />
1992<br />
1993<br />
1994<br />
1995<br />
1996<br />
1997<br />
1998<br />
1999<br />
2000<br />
2001<br />
2002<br />
2003<br />
2004<br />
2005<br />
2006<br />
2007<br />
2008<br />
2009<br />
2010<br />
Spagna Francia Italia<br />
| 48 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
PREZZO MEDIO MENSILE<br />
DEL MAIS IBRIDO<br />
ISMEA<br />
26,56<br />
[euro/q] FONTE:<br />
23,81<br />
23,66<br />
16,71<br />
gen 07<br />
mag 07<br />
set 07<br />
Il futuro sarà Ogm?<br />
Viste le premesse, è inevitabile cercare<br />
nuove strade per aumentare redditi e<br />
produttività. Ma, analizzate a livello globale,<br />
le soluzioni lasciano molti dubbi. Per<br />
fare profitti, oggi non c’è idea migliore che<br />
destinare il proprio mais agli impianti di<br />
biogas. Una manna dal cielo per i produttori<br />
italiani: minimizza i problemi di coltivazione<br />
e aumenta la garanzia di reddito<br />
(vedi ARTICOLO ). Per incrementare la produzione<br />
nazionale, l’alternativa pare obbligata:<br />
o aumentare le superfici coltivate<br />
oppure ridurre i vincoli all’uso di varietà<br />
di mais geneticamente modificate. «L’Italia<br />
– spiega Frisio – ha per decenni utilizzato<br />
semi proveniente dagli Stati Uniti,<br />
dove l’ambiente climatico è molto simile a<br />
quello della pianura padana. Ma dal 1996<br />
il mais statunitense è quasi esclusivamente<br />
Ogm e questo ne ha impedito l’uso<br />
105,4<br />
92,4<br />
87,4<br />
gen 08<br />
mag 08<br />
1.400<br />
1.200<br />
1.000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
0<br />
set 08<br />
12,91<br />
gen 09<br />
gen 07<br />
mag 09<br />
set 09<br />
in Italia». Nel nostro Paese, tra l’altro, i<br />
vincoli sono più rigorosi che in altri Stati<br />
Ue: «L’uso di materiale genetico migliorato<br />
e la riduzione delle perdite in campo ha<br />
permesso alla Spagna di superarci in termini<br />
di rese. Se anche da noi si usassero tipi<br />
di mais più resistenti ai parassiti la nostra<br />
produzione potrebbe superare i 100<br />
quintali per ettaro».<br />
Un tema delicato e controverso: se si<br />
rifiuta il ricorso agli Ogm, non rimane che<br />
pensare a uno stop all’uso di cereali per fini<br />
diversi da quello alimentare (leggi: biogas)<br />
sviluppando sistemi consortili che<br />
superino la frammentazione dell’offerta:<br />
«Sarebbero utilissimi per abbassare i costi<br />
e ridurre gli sprechi – conferma Frisio<br />
–. O si arriva a una migliore organizzazione<br />
sovra-aziendale oppure perderemo<br />
ulteriore terreno rispetto ai nostri concorrenti<br />
europei». <br />
EVOLUZIONE DEL PREZZO DEI PRINCIPALI FERTILIZZANTI [$ USA per tonnellata]<br />
gen 08<br />
14,10<br />
gen ’07 gen ’08 gen ’09 gen ’10 gen ’11 lug ’11 dic ’11<br />
gen 10<br />
mag 10<br />
DAP: diammonium phosphate, f.o.b. US Gulf<br />
UREA: f.o.b. Black Sea<br />
POTASSIO: muriate of potash, f.o.b. Vancouver<br />
FOSFATO: Phosphate rock, 70% BPL, f.a.s. Casablanca<br />
gen 09<br />
set 10<br />
gen 11<br />
gen 10<br />
mag 11<br />
18,30<br />
set 11<br />
gen 11<br />
gen 12<br />
FONTE: ELABORAZIONI OECV-DEPAAA SU DATI WORLD BAR
Cereali da trasformare in elettricità:<br />
i vantaggi per i produttori sono<br />
enormi. Frutto di incentivi molto<br />
generosi e mal calibrati. Ma sono<br />
in aumento le voci critiche contro<br />
una tecnologia che, se usata male,<br />
può aprire le porte a una frontiera<br />
della speculazione<br />
Produrre cibo per dargli fuoco: in<br />
periodi di crisi alimentare già l’idea<br />
dovrebbe far sgranare gli occhi.<br />
Eppure è quanto avviene, sempre<br />
più spesso, nei campi italiani. Dove la<br />
difficoltà di far quadrare i conti spinge<br />
gli agricoltori a sposare la via delle coltivazioni<br />
destinate a biogas. In alcune<br />
aree il fenomeno ha raggiunto livelli impressionanti:<br />
«A Bagnoli – denunciava<br />
l’estate scorsa l’associazione “Il Moraro” –<br />
abbiamo tre impianti di biogas e nella<br />
Bassa Padovana si coltiva ormai quasi<br />
esclusivamente per alimentarli. Ben 800<br />
ettari di mais prodotti per essere di-<br />
strutti. Uno schiaffo a chi muore di fame<br />
e un business in cui i profitti sono garantiti<br />
solo grazie ai contributi statali e<br />
comunitari».<br />
Drogati dagli incentivi<br />
I dubbi di molti ambientalisti sono in effetti<br />
confermati dagli esperti. Gli impianti<br />
di biogas in dieci anni sono praticamente<br />
decuplicati. «E la maggior parte<br />
– spiega Giovanni Carrosio, docente di<br />
Sociologia del territorio all’Università di<br />
Padova – hanno una potenza inferiore a<br />
999 KWe». Non è un caso: la potenza degli<br />
impianti è infatti legata a filo doppio<br />
al sistema di incentivi in vigore nel nostro<br />
Paese. «Gli impianti di potenza inferiore<br />
al megawatt hanno diritto a ricevere<br />
28 centesimi per ogni chilowattora<br />
prodotto (circa tre volte quanto si paga<br />
per l’energia prodotta “normalmente”,<br />
ndr). Oltre entrerebbero nel sistema <strong>dei</strong><br />
certificati verdi».<br />
Ma per ottenere gli incentivi non fa alcuna<br />
differenza il materiale utilizzato nelle<br />
centrali. «Un errore madornale – prosegue<br />
Carrosio – perché in questo modo<br />
| economiasolidale |<br />
Biogas, attenzione<br />
a chiamarla “energia pulita”<br />
di Emanuele Isonio<br />
non si spinge un’impresa agricola a realizzare<br />
un impianto per smaltire gli scarti<br />
agricoli e le <strong>dei</strong>ezioni animali prodotte<br />
nella propria azienda. Si incentiva<br />
invece una conversione delle coltivazioni.<br />
Dall’agricoltura alimentare a quella<br />
energetica». Un’analisi <strong>dei</strong> dati conferma<br />
questo sospetto: su 532 impianti a biogas<br />
agricolo, almeno 293 impianti utilizzano<br />
una quota di mais al loro interno. Di questi,<br />
il 12% impiega solo mais. «Per soddisfare<br />
una potenza di 999 chilowatt elettrici<br />
(l’unità di misura con cui si calcola la potenza<br />
elettrica di un impianto, ndr) – spiega<br />
Carrosio – occorrono 200 ettari di mais<br />
ciascuno. Moltiplicato per i 293 impianti,<br />
abbiamo 58 mila ettari di mais. In pratica<br />
oltre mezzo milione di tonnellate di mais<br />
coltivato in Italia è destinato a essere<br />
bruciato a scopi energetici».<br />
Una situazione ben diversa dal sistema<br />
virtuoso che pure il biogas, se usato bene,<br />
potrebbe garantire: «L’assetto attuale<br />
– concorda il preside della facoltà di Agraria<br />
della Statale di Milano, Dario Frisio – è<br />
drogato dagli incentivi. Se non ci fossero,<br />
degli attuali 500 impianti ne rimarrebbero<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 49 |
FONTE: PICCININI (2011), GSE, CONSORZIO ITALIANO BIOGAS,<br />
REGIONE VENETO, REGIONE LOMBARDIA<br />
| economiasolidale |<br />
2000-2011 IL GRANDE BOOM DEGLI IMPIANTI<br />
350<br />
300<br />
250<br />
200<br />
150<br />
100<br />
50<br />
0<br />
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009<br />
> 1000 KWe > 100 < 500 KWe > 500 < 1000 KWe<br />
< 100 KWe<br />
Dareste via dieci pannocchie per averne indietro otto?<br />
La risposta sembrerebbe lapalissiana. Ma attenzione prima<br />
di rispondere no. Perché se poi poteste vendere le otto<br />
pannocchie a tre volte il loro valore di mercato, la risposta molto<br />
probabilmente sarebbe diversa. Questo è più o meno quello<br />
che succede con gli impianti di biogas. Perché spesso<br />
ci si concentra sui chilowattora prodotti dall’impianto ma non<br />
si prende in considerazione quanta energia serve per arrivare<br />
a produrli. «In molti casi – denuncia Giovanni Carrosio –<br />
il bilancio energetico degli impianti non è positivo, ma questo<br />
è un aspetto che poche volte viene evidenziato». Quando<br />
si calcola la produzione di energia di un impianto infatti<br />
si dovrebbe sottrarre l’energia consumata per coltivare il mais,<br />
irrigare il campo, alimentare i trattori per la raccolta e per<br />
il trasporto del materiale. Solo così si può avere un’idea esatta<br />
| 50 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
al massimo qualche decina. Di certo questo<br />
è un invito a nozze sia per i proprietari<br />
degli impianti sia per gli agricoltori. Questi<br />
ultimi possono vendere in blocco tutta la<br />
loro produzione di mais, trattenendosi il<br />
premio unico aziendale concesso dalla<br />
Pac e guadagnando con il contratto di remunerazione<br />
del biogas». In pratica, si<br />
trasformano in produttori di energia. Dal<br />
loro punto di vista, un modo per sopravvivere<br />
alla crisi del settore agricolo.<br />
Ma, a livello di sistema, gli aspetti<br />
preoccupanti sono più di uno. Lo spiega<br />
chiaramente Carlo Petrini, fondatore di<br />
Slow Food: «In primo luogo, si sottrae cibo<br />
a uomini e animali per produrre energia.<br />
Inoltre, la monocoltura di mais impoverisce<br />
i terreni, aumentando la necessità<br />
di concimi chimici costosi. Infine, chi produce<br />
energia può permettersi di pagare<br />
affitti <strong>dei</strong> terreni ben più alti, andando a<br />
danneggiare gli agricoltori che usano la<br />
terra per l’agricoltura alimentare e per<br />
l’allevamento».<br />
Metodi alternativi<br />
Una soluzione tutto sommato facile da<br />
applicare per fortuna esiste. «Bisogna rimodulare<br />
gli incentivi» spiega Carrosio.<br />
«In Germania, ad esempio, più fai piccolo<br />
l’impianto, più sono alti i contributi.<br />
In questo modo si scoraggia la costruzione<br />
di strutture troppo grandi. Inoltre,<br />
i contributi vanno legati all’utilizzo<br />
di sottoprodotti agricoli, come reflui,<br />
<strong>dei</strong>ezioni e scarti agricoli, e non alle materie<br />
prime. Infine, bisogna costringere<br />
a recuperare l’uso del calore prodotto<br />
dall’impianto che oggi finisce per buona<br />
parte in atmosfera». In caso contrario<br />
una tecnologia nata per essere pulita rischia<br />
di trasformarsi nell’ennesima<br />
Mecca per gli speculatori. Arrivando a<br />
un paradosso: a seconda degli impianti,<br />
per seminare, coltivare, raccogliere e<br />
trasformare il mais in biogas si può finire<br />
per consumare più energia di quella<br />
che si produce (vedi BOX ). <br />
QUANTA ENERGIA PER PRODURRE ENERGIA: BOLZANO PROVA A CALCOLARLA<br />
2010<br />
2011<br />
Per bloccare la speculazione<br />
gli incentivi vanno limitati<br />
al solo uso di scarti agricoli<br />
di quale sia l’apporto dell’impianto. Uno studio interessante,<br />
in tal senso, lo ha svolto la Provincia di Bolzano, focalizzando<br />
l’attenzione su tre <strong>dei</strong> 31 impianti presenti sul territorio:<br />
un piccolo impianto agricolo aziendale, uno di media taglia<br />
e un impianto per la trasformazione <strong>dei</strong> rifiuti solidi urbani.<br />
I calcoli sul rendimento elettrico delle tre centrali indicano,<br />
rispettivamente, una percentuale del 39, 42 e 37%. «In pratica,<br />
il bilancio energetico ci dice che per produrre un kWh<br />
se ne consuma circa 0,6» spiega Carrosio. E i tre impianti<br />
considerati nella ricerca sono da considerarsi “virtuosi” perché<br />
non utilizzano materie prime ma scarti. «Se facessimo<br />
un calcolo del bilancio energetico degli impianti da 999 kWe<br />
alimentati soprattutto da mais e altri cereali, i risultati<br />
sarebbero ben peggiori». A quel punto, giustificare i forti<br />
incentivi <strong>dei</strong> quali godono diventerebbe ancor più faticoso.
La sostenibilità<br />
viaggia a pedali<br />
di Valentina Neri<br />
Tra mille difficoltà, si moltiplicano<br />
le iniziative <strong>dei</strong> Comuni per stimolare<br />
l’uso della bicicletta in città.<br />
Le più interessanti sono state<br />
premiate con il Klimaenergy Award<br />
La differenza, a volte, si nota anche<br />
dalle piccole cose. Come l’home<br />
page del sito ufficiale di un ente<br />
pubblico. In quella del comune di Lodi,<br />
fra “Bandi, concorsi, aste e avvisi” e “Bilancio<br />
comunale”, spicca una voce: “Biciclette<br />
e piste ciclabili”. Non è che un piccolo<br />
segnale del ruolo centrale assunto<br />
dalla mobilità green nella città lombarda:<br />
non solo sul web.<br />
L’ha riconosciuto la giuria del Klima -<br />
energy Award (vedi BOX ), che ha premiato<br />
l’impegno dell’amministrazione che prosegue<br />
da sette anni su diversi fronti. Il<br />
primo, indispensabile, è quello delle piste<br />
ciclabili: una rete di circa 39 km. Ma per<br />
pedalare e camminare in tranquillità sono<br />
state introdotte anche delle zone con<br />
limite a 30 km/h e da ottobre partirà un’inedita<br />
“zona 20” nel centro storico. Alcune<br />
resistenze, spiega l’assessore all’Ambiente<br />
e alla Mobilità Simone Uggetti,<br />
«sono state inevitabili, soprattutto quando<br />
per fare una pista ciclabile si è costretti<br />
a togliere spazio ai parcheggi. Per<br />
questo cerchiamo di fare un progetto il<br />
più possibile partecipato».<br />
Al di là degli spazi servono i servizi. Come<br />
la ciclostazione in cui si può parcheggiare<br />
al sicuro vicino alla stazione ferroviaria<br />
per poi recarsi a Milano per lavoro.<br />
O ancora la ciclofficina, che oltre al parcheggio<br />
custodito offre i servizi di bike<br />
| economiasolidale | muoversi con dolcezza |<br />
FIORILLO: «SERVE UNA MOBILITÀ PIÙ DEMOCRATICA»<br />
In queste pagine presentiamo le esperienze di Comuni e associazioni che si sono<br />
messi alla prova per una mobilità sostenibile. Esperienze che – si auspica – potranno<br />
servire da esempio, visto che il panorama generale nel nostro Paese è ben diverso.<br />
O addirittura «emergenziale». Parola di Alberto Fiorillo, responsabile Aree urbane<br />
di Legambiente, che specifica: «Tranne poche eccezioni, alle amministrazioni manca<br />
la capacità di mettere mano alla mobilità per renderla a misura del territorio e<br />
soprattutto meno pericolosa e stressante per i cittadini». Si tratta di un tema che negli<br />
ultimi mesi è salito agli onori delle cronache: basti pensare alla campagna #salvaiciclisti,<br />
o agli Stati generali della bicicletta di inizio ottobre a Reggio Emilia. O ancora ad Area C<br />
(vedi <strong>Valori</strong> di febbraio 2012), che ha rivoluzionato la mobilità milanese, ma dall’altro lato<br />
ha scatenato un vespaio di controversie e ricorsi al Tar. Ma nella stragrande maggioranza<br />
<strong>dei</strong> casi, spiega Fiorillo, a cambiare abitudini e a ridurre l’uso dell’auto sono stati<br />
direttamente i cittadini. C’è chi sostiene che la crisi abbia dato una mano, così come<br />
i forti aumenti della benzina. Ma, a suo parere, «la crisi non aiuta mai» e le soluzioni<br />
ecologiche come il car sharing e i mezzi pubblici paradossalmente si sono diffuse<br />
soprattutto tra le persone benestanti che di norma abitano in zone più servite come<br />
il centro città. Per chi vive nell’hinterland, invece, abbandonare l’auto spesso non<br />
è un’opzione praticabile: le alternative mancano e la crisi non fa che complicare le cose.<br />
Le amministrazioni non hanno risorse da investire nei trasporti oppure, prosegue Fiorillo,<br />
«continuano a destinare centinaia di milioni di euro al trasporto su gomma e intanto<br />
tagliano sulle ferrovie regionali o sui mezzi pubblici urbani». Ma gli esempi non finiscono<br />
qui: «Io non contesto l’alta velocità fra Roma e Milano – afferma – ma nei giorni feriali<br />
il treno che le collega trasporta circa 25 mila passeggeri al giorno, che sono molti meno<br />
di quelli che viaggiano sulla linea 8 di Roma o in una metropolitana di Milano. Ma i costi<br />
della Tav sono incommensurabilmente più elevati. La crisi ha offerto delle opportunità,<br />
ma nessuno se le è giocate: bisognerebbe abbandonare la logica della Torino-Lione<br />
e potenziare treni e metro leggere per i pendolari».<br />
PREMIATI DALL’AMBIENTE<br />
Lodi e Caronno Pertusella sono fra i vincitori <strong>dei</strong> Klimaenergy Award, assegnati a settembre<br />
a Bolzano in occasione delle fiere Klimaenergy e Klimamobility, dedicate rispettivamente<br />
all’innovazione nel campo delle rinnovabili e alla mobilità sostenibile. Fra gli altri premiati<br />
figurano due comuni piemontesi, Buttigliera Alta e Bra, che hanno intrapreso percorsi mirati<br />
all’efficienza energetica. Ad assicurarsi un riconoscimento sono stati anche Lasa in provincia<br />
di Bolzano, che si è impegnato a ridurre le emissioni di CO2, e Padova, che ha puntato sul<br />
solare, costituendo gruppi d’acquisto per incentivare le installazioni di piccoli impianti domestici.<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 51 |
FONTE: LEGAMBIENTE, L’A-BICI, SETTEMBRE 2010<br />
| economiasolidale |<br />
LE CITTÀ PIÙ AMICHE DELLA BICICLETTA<br />
40<br />
34,86<br />
35<br />
31,14<br />
30<br />
28,39 27,81<br />
24,93 24,57<br />
25<br />
22,65 22,40 22,24<br />
21,11<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
Reggio<br />
Emilia<br />
Lodi<br />
Modena<br />
Mantova<br />
Vercelli<br />
sharing, riparazioni e vendita di biciclette<br />
e ricambi. Nelle aule scolastiche non mancano<br />
le ore di educazione ambientale, con<br />
un’impronta specifica sulla mobilità. A<br />
coordinare le iniziative è l’ufficio per la<br />
Mobilità ciclistica promosso dal Comune,<br />
che lavora fianco a fianco con Ciclobby,<br />
un’associazione affiliata alla Fiab (la Federazione<br />
italiana amici della bicicletta).<br />
Proprio dalle scuole è partito Caronno<br />
Pertusella, un comune di poco più di 10<br />
mila abitanti in provincia di Varese, che,<br />
per diffondere la cultura della mobilità<br />
sostenibile, ha scelto gli spostamenti quotidiani<br />
per eccellenza: quelli degli studenti.<br />
È questo il fulcro del progetto “Tempo<br />
a ruota libera”, finanziato dalla regione<br />
Lombardia nell’ambito del Piano territoriale<br />
degli orari, che sostiene le iniziative<br />
per il coordinamento e la pianificazione<br />
<strong>dei</strong> servizi urbani. Per circa un anno sono<br />
stati organizzati laboratori di educazione<br />
alla mobilità sostenibile e consapevole,<br />
mirati ai ragazzi delle scuole elementari<br />
e medie e ai loro genitori. Un percorso<br />
– sottolinea Viviana Biscaldi, assessore<br />
ai Servizi alla persona, alla famiglia e alla<br />
solidarietà sociale – che ha coinvolto<br />
gli insegnanti e due consulenti del Comune,<br />
ma anche Lura Ambiente, la società<br />
che gestisce le risorse idriche nel territorio,<br />
e soggetti del Terzo Settore come<br />
l’Auser (associazione di volontariato attiva<br />
a livello nazionale che lavora soprattutto<br />
con gli anziani). <br />
| 52 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Cremona<br />
Ravenna<br />
Ferrara<br />
La top ten delle città italiane per indice di ciclabilità (metri ciclabili per abitante<br />
calcolati tenendo conto di: lunghezza e tipologia piste ciclabili, estensione aree<br />
pedonali e zone30, interventi di traffic calming)<br />
Forlì<br />
Cuneo<br />
LE PISTE CICLABILI NELLE CITTÀ ITALIANE<br />
40<br />
35<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
0<br />
CITTÀ GRANDI CITTÀ MEDIE CITTÀ PICCOLE<br />
16,47<br />
12,97<br />
9,46<br />
8,76<br />
6,00<br />
4,34<br />
2,70<br />
1,80<br />
1,68<br />
0,69<br />
Padova<br />
Venezia<br />
Verona<br />
Bologna<br />
Torino<br />
Firenze<br />
Trieste<br />
Milano<br />
Roma<br />
Palermo<br />
Reggio Emilia<br />
Forlì<br />
Piacenza<br />
Ravenna<br />
Modena<br />
Alessandria<br />
Brescia<br />
Bolzano<br />
Ferrara<br />
Lucca<br />
Lodi<br />
Cremona<br />
Mantova<br />
Sondrio<br />
Vercelli<br />
Pordenone<br />
Pavia<br />
Verbania<br />
Cuneo<br />
Rovigo<br />
PEDALOPOLIS, BERGAMO SI RISCOPRE A DUE RUOTE<br />
Chi non ha mai fatto una pedalata su una Graziella? A Bergamo l’amarcord diventa<br />
una festa a luglio con le Grazielliadi, un evento a metà fra la competizione e la goliardia.<br />
Si tratta di una delle iniziative promosse da Pedalopolis, un’associazione di “temerari<br />
ciclisti quotidiani” che dedicano tempo ed energie alla promozione della bici, vista<br />
come mezzo privilegiato per riappropriarsi della città. Nel 2008 è stata aperta<br />
la Ciclostazione 42 alla stazione ferroviaria, che si occupa di riparazioni, servizio<br />
di custodia, vendita di accessori e pezzi di ricambio, recupero e restauro.<br />
Nel 2009 è arrivata anche la Ciclostazione <strong>dei</strong> Colli a Ponteranica. «I negozi – spiega<br />
Dennis Carrara, uno <strong>dei</strong> promotori – di norma preferiscono trattare bici di alto livello.<br />
Noi invece accogliamo anche i ragazzi, gli anziani, le persone che trovano reperti<br />
vecchissimi in cantina. A Bergamo non mancano i ciclisti della domenica né chi<br />
fornisce servizi per loro: quello che manca sono persone che considerino la bici<br />
come uno strumento quotidiano e davvero alternativo all’auto». L’obiettivo<br />
dell’associazione, insomma, è quello di sensibilizzare ad ampio spettro e fare<br />
pressione affinché si vada incontro alle esigenze di chi vuole lasciare a casa l’auto,<br />
anche in una città come Bergamo che ha una conformazione urbanistica “difficile”<br />
in cui grosse arterie a tre corsie si dirigono verso il centro. Ma le cose possono<br />
cambiare: per cominciare, ad esempio, basterebbe una rete di parcheggi più<br />
strutturata. «Noi – conclude Carrara – non premiamo tanto per le piste ciclabili,<br />
quanto per le strade ciclabili». www.pedalopolis.org<br />
35,13<br />
[metri equivalenti di piste ciclabili ogni 100 abitanti]<br />
21,53<br />
20,15<br />
20,08<br />
19,73<br />
19,11<br />
17,51<br />
17,13<br />
16,58<br />
16,08<br />
25,70<br />
25,53<br />
25,47<br />
15,20<br />
14,99<br />
14,98<br />
14,97<br />
14,68<br />
11,75<br />
8,58<br />
FONTE: ECOSISTEMA URBANO 2011 - XVIII RAPPORTO SULLA QUALITÀ AMBIENTALE<br />
DEI COMUNI CAPOLUOGO DI PROVINCIA. DATI RIFERITI AL 2010
I dubbi sulla politica fiscale<br />
L’Iva funesta<br />
Da qualche anno il dibattito sulla politica fiscale è caratterizzato dall’idea<br />
che sia opportuno uno spostamento dalle imposte sui redditi a quelle<br />
sui consumi (“dalle persone alle cose”). Questo sembra effettivamente<br />
essere stato uno <strong>dei</strong> criteri guida delle politiche fiscali adottate sia dal governo<br />
Berlusconi sia dal governo Monti. Solitamente chi sostiene questo tipo di<br />
politica (il Fondo Monetario internazionale<br />
primo fra tutti) lo fa perché in<br />
un’Unione monetaria la variazione delle<br />
aliquote Iva rappresenta il miglior<br />
succedaneo possibile della svalutazione<br />
monetaria, se accompagnata da una<br />
riduzione del cuneo fiscale sul lavoro.<br />
Per la maggior parte <strong>dei</strong> beni, infatti, l’aliquota<br />
nazionale si applica alle importazioni,<br />
mentre, come noto, le esportazioni<br />
sono non imponibili. Se gli sgravi<br />
sul costo del lavoro si trasferiscono sui<br />
prezzi delle imprese nazionali, la manovra<br />
determina una riduzione <strong>dei</strong> prezzi<br />
relativi della produzione domestica e<br />
un conseguente guadagno di competitività.<br />
Secondo i dati Eurostat nella Ue<br />
l’aliquota Iva ordinaria è mediamente<br />
aumentata nel corso del triennio 2009-<br />
2011 di 2,5 punti percentuali.<br />
Tuttavia questo tipo di manovra<br />
presenta <strong>dei</strong> seri problemi. In primo<br />
luogo va considerato che la base imponibile<br />
dell’Iva è costituita per il 70% dai<br />
consumi delle famiglie italiane. Ovviamente<br />
la struttura <strong>dei</strong> consumi delle famiglie<br />
povere è diversa da quella delle<br />
famiglie ricche. Se si volesse ridurre la<br />
diseguaglianza, le aliquote dell’Iva dovrebbero<br />
basarsi sulle caratteristiche<br />
distributive <strong>dei</strong> consumi: beni e servizi<br />
consumati maggiormente dai più poveri<br />
dovrebbero essere tassati con aliquo-<br />
Per ridurre le diseguaglianze,<br />
servirebbero aliquote più<br />
alte solo per i beni di lusso<br />
te inferiori rispetto ai “beni di lusso”, e<br />
viceversa. Ma tale differenziazione è<br />
fortemente limitata dal quadro istituzionale<br />
europeo, in cui gli Stati possono<br />
muoversi entro limiti angusti e non<br />
possono creare nuove aliquote. L’aumento<br />
dell’aliquota Iva ordinaria, realizzata<br />
recentemente in Italia con il<br />
passaggio dal 20 al 21% e in altri Paesi, finisce<br />
per colpire non solo i cosiddetti<br />
beni di lusso, ma, soprattutto, i consumi<br />
ordinari delle famiglie italiane.<br />
C’è poi un secondo problema. L’aumento<br />
dell’aliquota Iva può far aumentare<br />
l’evasione, perché incrementa la<br />
di Alessandro Santoro<br />
| valorifiscali |<br />
convenienza di venditore e compratore<br />
a occultare la transazione. Secondo alcuni<br />
osservatori questo fenomeno si è<br />
già pesantemente manifestato negli ultimi<br />
mesi del 2011 e nei primi mesi del<br />
2012, ed è esattamente questa la causa<br />
della riduzione del gettito Iva di proporzioni<br />
ben maggiori rispetto al calo<br />
<strong>dei</strong> consumi.<br />
Infine l’aumento dell’Iva corrisponde<br />
a un aumento <strong>dei</strong> prezzi e, quindi, ha<br />
un effetto depressivo, sebbene questo<br />
elemento vada combinato con la deflazione<br />
osservata in alcuni settori.<br />
Fino a pochi mesi fa era previsto un<br />
ulteriore inasprimento dell’aliquota Iva<br />
ordinaria, che doveva passare dal 21% al<br />
23%, e di quella ridotta per cui era previsto<br />
un incremento dal 10 al 12%. A quanto<br />
sembra dalla Legge di Stabilità presentata<br />
dal governo, questi aumenti<br />
saranno (almeno parzialmente) evitati<br />
grazie ai tagli di spesa. Si tratta, in linea<br />
di principio, di una buona notizia. Gli<br />
aspetti negativi sul piano dell’equità e<br />
dell’evasione sono probabilmente superiori<br />
al potenziale competitivo della<br />
manovra. Tuttavia l’equità di un taglio<br />
di spesa non è per definizione maggiore<br />
rispetto a quella di un aumento di imposte:<br />
va verificato quali spese vengono<br />
tagliate e a danno di chi. Su questo<br />
aspetto torneremo prossimamente. <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 53 |
OLIVIER DOULIERY / ABACA PRESS / MCT / PHOTOSHOT<br />
internazionale<br />
Lo sporco business delle cavie umane > 59<br />
Libia: colonialismo e “guerra umanitaria” > 61<br />
Brasile di terra, business e pallottole > 63<br />
| 54 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
Paperini e<br />
Paperoni<br />
Volontari e gadgets, un binomio inscindibile<br />
delle campagne presidenziali Usa<br />
Una pioggia di fondi sulla campagna<br />
elettorale per le presidenziali<br />
americane. Barack Obama potrebbe<br />
superare il miliardo di dollari. Per lui<br />
il sostegno <strong>dei</strong> singoli cittadini, delle<br />
università, <strong>dei</strong> sindacati e <strong>dei</strong> vip. Mitt<br />
Romney invece raccoglie fondi dai<br />
ricconi e dai big della finanza<br />
Chi finanzia il<br />
nuovo<br />
presidente?<br />
di Mariangela Tessa<br />
| elezioni Usa |<br />
Èstata una partita giocata a colpi<br />
di milioni di dollari quella tra Barack<br />
Obama e lo sfidante repubblicano<br />
Mitt Romney nelle presidenziali<br />
americane. Quando <strong>Valori</strong> andrà in edicola<br />
i lettori sapranno chi, tra i due contendenti,<br />
si è aggiudicato l’ingresso alla<br />
Casa Bianca. Ad oggi (22 ottobre), la competizione<br />
resta ancora aperta con l’ultimo<br />
sondaggio Nbc-Wall Street Journal<br />
che indica Obama e Romney pari al 47%<br />
<strong>dei</strong> consensi. Pur nell’incertezza dell’esito<br />
finale, una cosa tuttavia appare sicura:<br />
mai, nella storia degli Stati Uniti, si erano<br />
visti così tanti soldi affluire nelle tasche<br />
di due candidati in corsa alla Casa Bianca.<br />
Se le previsioni dovessero rivelarsi<br />
corrette, Obama, finora vero vincitore<br />
nel fundraising, chiuderà la campagna<br />
superando il miliardo di dollari di donazioni,<br />
ben oltre le più rosee aspettative.<br />
Due anni fa i responsabili della sua campagna<br />
elettorale avevano affermato di<br />
puntare a 750 milioni di dollari, una cifra<br />
di fatto ampiamente superata già a<br />
fine agosto. Ma chi sono stati i grandi finanziatori<br />
della campagna elettorale<br />
più ricca nella storia degli Stati Uniti?<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 55 |
| internazionale |<br />
Da un lato i Paperoni d’America<br />
e le banche…<br />
Uno sguardo veloce ai dati pubblicati dal<br />
centro studi indipendente Center for Responsive<br />
Politics sul sito OpenSecret<br />
conferma quella che, sin dalle prime battute<br />
di questa tornata elettorale, era ap-<br />
REGOLE PER I FINANZIAMENTI<br />
| 56 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
parsa come una strada già segnata: se i<br />
micro-finanziamenti si sono rivelati, come<br />
nelle precedenti elezioni, la vera gallina<br />
d’oro di Obama, la fortuna di Romney<br />
è arrivata dai SuperPac. È, infatti,<br />
tramite Restore our future (questo il nome<br />
del principale SuperPac che sostiene<br />
Mentre in Italia infuriano gli scandali e le polemiche sul finanziamento<br />
pubblico ai partiti, negli Stati Uniti solo una piccola fetta <strong>dei</strong> fondi<br />
per la campagna elettorale arriva dallo Stato. Gran parte <strong>dei</strong> milioni di dollari<br />
affluiti nelle tasche <strong>dei</strong> due candidati e <strong>dei</strong> rispettivi partiti arrivano infatti<br />
da donazioni private, dai Pac (Political action committee) e dai SuperPac.<br />
Vediamo come funziona. Per ogni cittadino americano viene fissato un tetto<br />
di contributo pari a 2.500 dollari per le primarie. Una volta che le Convention<br />
hanno designato i candidati alle elezioni si possono donare altri 2.500 dollari.<br />
Allo stesso tempo, ogni elettore può finanziare i comitati elettorali del partito<br />
per una cifra non superiore ai 30.800 dollari l’anno.<br />
Uno <strong>dei</strong> punti di forza delle due campagne elettorali di Obama (2008 e 2012)<br />
è stato quello di poter contare su un diffuso numero di micro finanziamenti<br />
(le donazioni partono da 3 dollari). Al contrario, l’ex governatore<br />
del Massachusetts Mitt Romney ha largamente beneficiato di una decisione<br />
presa dalla Corte Suprema americana nel 2010 che ha tolto i freni<br />
ai finanziamenti della campagna elettorale per il Congresso o la Casa Bianca,<br />
spianando la strada alla nascita <strong>dei</strong> SuperPac. Si tratta in pratica, di cartelli<br />
elettorali in cui, da due anni a questa parte, finiscono montagne di soldi<br />
per lo più provenienti dai magnati dell’industria e della finanza a stelle<br />
e strisce. Si differenziano dai tradizionali Pac, in quanto questi ultimi non<br />
possono accettare donazioni da aziende e hanno un limite di 5 mila dollari per<br />
quelle provenienti da individui singoli.<br />
I TOP DONORS DI OBAMA<br />
1 Università della California $ 706,931<br />
2 Microsoft Corp $ 544,445<br />
3 Google Inc $ 526,009<br />
4 Università di Harvard $ 433,860<br />
5 Governo Usa $ 389,100<br />
I TOP DONORS DI MITT ROMNEY<br />
1 Goldman Sachs $ 891,140<br />
2 Bank of America $ 668,139<br />
3 JPMorgan Chase & Co $ 663,219<br />
4 Morgan Stanley $ 649,847<br />
5 Credit Suisse Group $ 554,066<br />
I finanziamenti riportati nella tabella non arrivano dagli enti in sé, ma rappresentano l’ammontare delle<br />
singole donazioni effettuate dai singoli dipendenti e <strong>dei</strong> familiari delle istituzioni.<br />
FONTE: DATI OPENSECRET.COM RIELABORATI DA FEDERAL ELECTION COMMISSION (AGGIORNATI ALL’1 OTTOBRE 2012)<br />
MARIANGELA TESSA<br />
Romney) che l’ex governatore del Massachusetts<br />
ha raccolto circa 144,7 milioni<br />
di dollari provenienti per lo più dalle tasche<br />
<strong>dei</strong> paperoni d’America. Una cifra<br />
che fa impallidire i 44,3 milioni accumulati<br />
da Priorities Usa, il cartello elettorale<br />
a sostegno di Obama.<br />
ALASKA<br />
D $ 1,078,091<br />
R $ 1,313,993<br />
HAWAII<br />
D $ 5,212,524<br />
R $ 2,708,909<br />
FINANZIATORI DEMOCRATICI<br />
E REPUBBLICANI DEGLI USA<br />
WASHINGTON<br />
D $ 21,240,190<br />
R $ 14,419,396<br />
OREGON<br />
D $ 7,581,217<br />
R $ 6,523,078<br />
NEVADA<br />
D $ 7,041,601<br />
R $ 13,368,443<br />
CALIFORNIA<br />
D $ 145,214,728<br />
R $ 108,643,591
MARIANGELA TESSA<br />
Tra i donatori più generosi del candidato<br />
mormone spicca il re <strong>dei</strong> Casinò,<br />
Sheldon Adelson che, insieme alla moglie<br />
Miriam, ha staccato un assegno da<br />
40 milioni di dollari. Tra i top donors<br />
spiccano tra gli altri William Bill Koch,<br />
fratello degli ancora più ricchi David e<br />
NORTH DAKOTA<br />
D $ 906,517<br />
R $ 2,718,269<br />
IDAHO<br />
SOUTH DAKOTA<br />
D $ 713,184<br />
D $ 787,095<br />
R $ 3,886,705<br />
R $ 3,343,671<br />
UTAH<br />
NEBRASKA<br />
D $ 2,418,667<br />
D $ 2,468,138<br />
R $ 12,908,181<br />
R $ 6,325,818<br />
MONTANA<br />
D $ 2,742,284<br />
R $ 3,462,300<br />
IOWA<br />
D $ 4,132,770<br />
WYOMING<br />
R $ 6,316,149<br />
D $ 1,025,011<br />
R $ 4,273,674<br />
ARIZONA<br />
D $ 9,624,778<br />
R $ 21,469,361<br />
NEW MEXICO<br />
D $ 6,529,584<br />
R $ 5,413,023<br />
MINNESOTA<br />
D $ 13,322,535<br />
R $ 14,210,102<br />
KANSAS<br />
D $ 2,673,861<br />
R $ 8,003,70<br />
OKLAHOMA<br />
D $ 3,195,242<br />
R $ 13,861,977<br />
TEXAS<br />
D $ 42,587,315<br />
R $ 124,150,262<br />
COLORADO<br />
D $ 13,852,927<br />
R $ 20,548,315<br />
WISCONSIN<br />
D $ 19,750,469<br />
R $ 12,166,827<br />
ILLINOIS<br />
D $ 44,447,402<br />
R $ 46,957,885<br />
MARIANGELA TESSA<br />
TENNESSEE<br />
D $ 6,049,115<br />
R $ 25,641,888<br />
ALABAMA<br />
D $ 2,856,214<br />
R $ 11,812,774<br />
MISSISSIPPI<br />
D $ 837,946<br />
R $ 6,454,465<br />
MISSOURI<br />
D $ 10,627,302<br />
R $ 20,816,456<br />
ARKANSAS<br />
D $ 2,999,817<br />
R $ 7,195,280<br />
LOUISIANA<br />
D $ 3,638,405<br />
R $ 16,226,997<br />
Charles, tra i maggiori sostenitori del<br />
movimento del Tea Party. E ancora Bob<br />
Perry, imprenditore edile texano e Jim<br />
Davis, proprietario del marchio di scarpe<br />
New Balance. La lista, decisamente<br />
lunga, mette insieme un nutrito club di<br />
miliardari che per diverse ragioni e in-<br />
WEST VIRGINIA<br />
D $ 1,905,335<br />
R $ 4,390,285<br />
INDIANA<br />
VIRGINIA<br />
D $ 5,604,747<br />
D $ 43,761,481<br />
R $ 17,252,096 R $ 73,840,457<br />
MICHIGAN<br />
PENNSYLVANIA<br />
D $ 17,087,576<br />
D $ 27,331,910<br />
R $ 31,348,418 R $ 36,200,564<br />
OHIO<br />
NEW YORK<br />
D $ 15,031,459 D $ 107,365,803<br />
R $ 36,742,707 R $ 75,151,208<br />
KENTUCKY VERMONT MAINE<br />
D $ 6,713,056<br />
D $ 3,640,210 D $ 3,759,447<br />
R $ 9,241,305 R $ 531,547 R $ 1,959,563<br />
NEW JERSEY CONNECTICUT<br />
D $ 24,443,198 D $ 19,981,363<br />
R $ 25,642,899 R $ 25,077,353<br />
DELAWARE DISTRICT<br />
D $ 2,852,613 OF COLUMBIA<br />
R $ 2,192,253 D $ 110,900,498<br />
R $ 85,438,720<br />
MARYLAND<br />
D $ 35,664,069<br />
R $ 17,832,247<br />
NORTH CAROLINA<br />
D $ 10,797,352<br />
R $ 18,448,533<br />
SOUTH CAROLINA<br />
D $ 3,575,267<br />
GEORGIA<br />
R $ 9,106,053<br />
D $ 11,877,472<br />
R $ 26,582,443<br />
FLORIDA<br />
D $ 43,212,505<br />
R $ 86,701,085<br />
NEW HAMPSHIRE<br />
D $ 3,445,981<br />
R $ 3,976,106<br />
MASSACHUSETTS<br />
D $ 42,393,549<br />
R $ 34,028,054<br />
FONTE: DATI FEDERAL ELECTION COMMISSION AGGIORNATI ALL’1 OTTOBRE 2012<br />
| internazionale |<br />
teressi hanno deciso di scommettere<br />
sul candidato repubblicano.<br />
Al di fuori <strong>dei</strong> SuperPac, Romney ha<br />
goduto del supporto incondizionato dalla<br />
lobby di Wall Street. È sufficiente<br />
guardare la classifica <strong>dei</strong> cinque top donors<br />
per rendersi conto che, tra le protagoniste<br />
indiscusse della corsa del candidato<br />
repubblicano, è stata la comunità<br />
delle banche statunitensi. Da sempre tiepide<br />
nei confronti della riforma di Wall<br />
Street e nella speranza di ottenere leggi<br />
più permissive, Goldman Sachs & co.<br />
hanno staccato assegni a sei zeri pur di<br />
liberarsi del fautore della tanto odiata<br />
legge Dodd-Frank.<br />
…dall’altro la gente comune<br />
e i divi di Hollywood<br />
Se Wall Street ha giocato la parte del<br />
leone nella corsa di Romney, come dicevamo,<br />
la fetta più grossa <strong>dei</strong> fondi di<br />
Obama è arrivata dalle piccole donazioni<br />
(in pratica quelle sotto i 200 dollari):<br />
162 milioni dollari contro gli appena<br />
46 milioni dello sfidante. Non meno<br />
significativo è stato il sostegno arrivato<br />
dall’industria hi-tech. Ripetendo un<br />
copione già visto nel 2008, Obama ha<br />
fatto incetta di donazioni arrivate dai<br />
dipendenti delle maggiori industrie hitech<br />
del paese (Microsoft e Google in<br />
testa). Altrettanto significativo è stato<br />
il sostegno della comunità accademica<br />
(Università della California e Harvard<br />
in testa). E, per finire, quello <strong>dei</strong> dipendenti<br />
del governo federale, chiaramente<br />
interessati a conservare il loro posto<br />
di lavoro.<br />
Meno ricco rispetto a quello di Romney,<br />
il principale SuperPac di Obama,<br />
Priorities Usa, sembra secondo le stime<br />
destinato a rivelarsi decisivo in queste<br />
ultime settimane. La discesa in campo di<br />
George Soros che, pochi giorni fa, ha versato<br />
un milione di dollari al cartello del<br />
Presidente in carica potrebbe, secondo<br />
la stampa americana, spingere altri ricchi<br />
sostenitori del partito democratico<br />
a effettuare donazioni sostanziose in<br />
queste ultime battute della campagna<br />
elettorale che sarà ricordata per essere<br />
stata finora la più ricca nella storia degli<br />
Stati Uniti. <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 57 |
| internazionale |<br />
Se un mormone<br />
sale alla Casa Bianca<br />
di Corrado Fontana<br />
Mitt Romney in corsa per la presidenza americana è un mormone. Mentre la sua Chiesa predica neutralità politica,<br />
alcuni temono che la sua fede possa condizionarne la politica sociale<br />
Il 70% degli americani partecipa a<br />
una funzione religiosa la domenica<br />
(in Europa e Italia il 18-20%) e il 91%<br />
ritiene che Dio abbia un ruolo importante<br />
nella propria vita (da noi il 50%). Oggi<br />
la religione si fa tema caldo negli Usa,<br />
con il repubblicano Mitt Romney, fedele<br />
LA FINANZA RIVELATA<br />
| 58 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
mormone, che ha sfidato Barack Obama<br />
alle presidenziali. Anche perché, ricorda<br />
Luigi Marco Bassani, professore di Storia<br />
delle dottrine politiche alla Statale di<br />
Milano specializzato sugli Usa, «Obama<br />
ha portato a una diminuzione dell’importanza<br />
della religione nella politica e<br />
Circa 40 miliardi di dollari: questo il valore complessivo della Chiesa di Gesù<br />
Cristo e <strong>dei</strong> Santi degli ultimi giorni secondo un articolo di Caroline Winter uscito<br />
per Bloomberg Businessweek. La giornalista la assimila a una multinazionale al cui<br />
vertice è la Società del presidente della Chiesa di Gesù Cristo <strong>dei</strong> Santi degli ultimi<br />
giorni, che fa capo a un solo individuo, oggi Thomas Spencer Monson, sedicesimo<br />
presidente della Chiesa, e controlla, tramite holdings, diverse attività. Ad esempio<br />
un parco divertimenti a tema polinesiano a Oahu, nelle Hawaii (23 milioni di dollari<br />
l’anno in biglietti d’ingresso e 36 milioni di dollari esentasse in donazioni). Proprio<br />
l’esenzione fiscale parrebbe essere – scrive la Winter – un affare assai lucroso per<br />
i Mormoni: niente tasse, infatti, sulle donazioni <strong>dei</strong> fedeli, che secondo un’inchiesta<br />
di Time sarebbero pari a 5 miliardi di dollari l’anno. E niente tasse anche sulle<br />
azioni: attraverso la società Bain Capital proprio Mitt Romney fece arrivare alla<br />
Chiesa milioni di azioni di Burger King e Domino’s Pizza, rivendute senza pagare<br />
nulla sui guadagni ottenuti. Ma la Chiesa possiede anche il fondo d’investimento<br />
Ensign Peak Advisors, la società di gestione immobiliare Utah Property<br />
Management Associates e la Deseret Management Corporation, holding che<br />
partecipa in giornali, stazioni radio e varie attività lucrative.<br />
21.000 fedeli riempiono il Centro Conferenze<br />
di Salt Lake City durante la Conferenza Generale Tempio Mormone. Roma, Italia<br />
di questo si avvantaggia ora il suo avversario».<br />
La Chiesa di Gesù Cristo e <strong>dei</strong> Santi degli<br />
ultimi giorni – nome ufficiale <strong>dei</strong> Mormoni<br />
– nasce ad opera di Joseph Smith<br />
nel 1830. Col successore Brigham Young, i<br />
Mormoni si trasferiscono nello Utah fondando<br />
Salt Lake City, base della loro diffusione<br />
(quasi 15 milioni nel mondo, oltre<br />
6 milioni negli Usa, circa 25 mila in Italia).<br />
Alcuni precetti di questa fede destano<br />
qualche perplessità, se si pensa che<br />
potrebbero influenzare il possibile presidente<br />
degli Stati Uniti. Recentemente il<br />
New York Times ha lanciato un sospetto<br />
di razzismo: ricordando che il sacerdozio<br />
fu aperto ai membri di colore della Chiesa<br />
<strong>dei</strong> Mormoni solo nel 1978. Un fattore<br />
che si aggiunge agli atteggiamenti tenuti<br />
da alcune frange fondamentaliste, nonostante<br />
l’egualitarismo predicato dal<br />
Smith. L’etica familiare è al centro della<br />
società <strong>dei</strong> Mormoni: all’uomo meritevole<br />
onere e onore del sacerdozio, per la<br />
donna una certa immagine di angelo del<br />
focolare. E poi il rifiuto di alcol, caffeina,<br />
tabacco e droga; l’invito alla sobrietà contro<br />
il consumismo sfrenato; la riprovazione<br />
per la contrazione di debiti che non<br />
siano per la propria casa. Ma i precetti si<br />
sono adattati all’evolversi <strong>dei</strong> tempi. La<br />
poligamia, sostenuta per fini dichiarati di<br />
ripopolamento bianco delle terre americane<br />
dell’Ovest, ha subito una virata che<br />
evitò il conflitto con le autorità. E in politica?<br />
I Mormoni predicano assoluta neutralità.<br />
www.media-mormoni.it
Lo sporco business<br />
delle cavie umane<br />
di Andrea Barolini<br />
L’industria farmaceutica delocalizza i test sui farmaci, per risparmiare costi<br />
e tempo. Sfruttando anche normative assurde, come quella che ha fatto<br />
nascere in India un fenomeno molto simile a una nuova forma di colonialismo<br />
dottore ci disse che bastava<br />
firmare un documento per ri- «Il<br />
cevere le cure di cui aveva bisogno<br />
mio padre, e che in questo modo sarebbe<br />
guarito completamente. Ma papà<br />
non sapeva leggere molto bene, è andato a<br />
scuola solo fino a 9 anni». A parlare è Pradeep<br />
Gehlot, ragazzo indiano figlio di Krishna,<br />
61enne malato cronico di asma. Dal<br />
2009 aveva accettato la proposta di uno<br />
pneumologo di un ospedale pubblico di seguire<br />
un “trattamento gratuito”. In realtà<br />
era stato inserito in uno delle decine di migliaia<br />
di test alle quali le multinazionali del<br />
farmaco sottopongono cittadini indiani.<br />
Era diventato una cavia umana. Con la<br />
complicità della legge locale.<br />
UN TAPPETO ROSSO INDIANO PER BIG PHARMA<br />
In India prima del 2005 i test dovevano essere effettuati<br />
rispettando tre fasi. La prima prevedeva un controllo sulla<br />
tolleranza ai medicinali; la seconda sull’efficacia. La terza,<br />
la più onerosa in termini economici, era costituita da una<br />
comparazione tra l’efficacia del farmaco rispetto ad alcuni<br />
placebo su una popolazione compresa tra mille e tremila<br />
pazienti. Una riforma della legge ha consentito però alle<br />
multinazionali di passare direttamente alla fase tre,<br />
a patto che le prime due siano state approvate in un altro<br />
Paese. Una manna per le case farmaceutiche, dal<br />
momento che per trovare in Europa o negli Usa malati<br />
disposti a sottoporsi ai test occorre molto più tempo<br />
(e denaro: i pazienti devono essere rimborsati con migliaia<br />
di euro a testa all’anno). In India basta qualche settimana,<br />
e (neppure sempre) qualche decina di euro.<br />
Nello specifico – ha rivelato di recente<br />
un’inchiesta del mensile francese Alternatives<br />
Economiques – la “cura” consisteva<br />
nella somministrazione di un nuovo<br />
broncodilatatore, l’Olodarerol, sviluppato<br />
dal secondo più importante laboratorio<br />
tedesco: Boehringer Ingelheim. Krishna<br />
è morto a gennaio, proprio poco dopo<br />
aver saputo che il medicinale che aveva<br />
assunto per un anno non era mai stato<br />
approvato in India.<br />
India: il Paese <strong>dei</strong> test<br />
Storie come questa, nell’immenso Paese<br />
dell’Asia meridionale, sono sempre più<br />
frequenti. Il Washington Post ha raccontato<br />
ad esempio la vicenda dell’ottanten-<br />
| internazionale | test farmaceutici|<br />
ne Shrad Geete. Due mesi dopo aver perso<br />
la moglie, malata di Alzheimer, scoprì<br />
che era stata inserita in un trattamento<br />
di prova: «Il medico ci disse che i farmaci<br />
sarebbero stati concessi gratuitamente,<br />
e che si trattava di medicinali che sarebbero<br />
stati lanciati a breve da una<br />
compagnia straniera. Non spiegò che si<br />
trattava di un test. Se lo avessi saputo,<br />
pensate che avrei corso il rischio?». L’India<br />
è diventata la meta privilegiata <strong>dei</strong><br />
colossi globali del farmaco, che preferiscono<br />
“delocalizzare” la morte, dando vita<br />
a una nuova forma di vero e proprio<br />
colonialismo, nata nel 2005, quando fu<br />
introdotta una riforma che semplificava<br />
fortemente la conduzione di trattamenti<br />
di prova nel Paese (vedi BOX ).<br />
Da allora e fino al 2010, solamente a Indore,<br />
città dove viveva Krishna Gehlot,<br />
sono stati realizzati 3.300 test clinici, per<br />
conto di 30 compagnie (tra le quali 22 mul-<br />
EVOLUZIONE DEL MERCATO<br />
DEI TEST CLINICI ESTERNALIZZATI IN INDIA [in milioni di dollari]<br />
650<br />
575<br />
500<br />
425<br />
350<br />
275<br />
200<br />
125<br />
50<br />
94,5<br />
2005<br />
123,5<br />
2006<br />
161,2<br />
2007<br />
210,6<br />
2008<br />
275,0<br />
2009<br />
360,0<br />
2010<br />
468,0<br />
2011<br />
608,4<br />
2012<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 59 |<br />
FONTE: ZINNOV MANAGEMENT CONSULTING
| internazionale |<br />
tinazionali). Un rapporto delle autorità<br />
locali ha spiegato che la metà di tali trattamenti<br />
è stata effettuata senza un assenso<br />
formale da parte <strong>dei</strong> malati. Di questi,<br />
81 persone – tra cui anche bambini e<br />
portatori di handicap – hanno subito gravi<br />
effetti collaterali; 33 sono morti. E nessuno,<br />
ad oggi, ha ricevuto un indennizzo.<br />
Una situazione che, allargata all’India<br />
intera, ha assunto i contorni di un massacro.<br />
Tanto da costringere, nell’agosto<br />
scorso, il ministro della Sanità di Nuova<br />
Delhi, Ghulam Nabi Azad, a sciorinarne le<br />
agghiaccianti statistiche: solo nei primi<br />
sei mesi di quest’anno sono 211 i decessi<br />
provocati dai test. Nel 2011 i casi sono stati<br />
438; 668 l’anno precedente. Le vittime<br />
vengono gelidamente classificate con la<br />
sigla Sae: Serious Adverse Events (letteralmente,<br />
gravi eventi avversi). Come se<br />
a ucciderle fosse stato un terremoto o<br />
un’inondazione, e non una scelta drammaticamente<br />
lucida, che chiama in causa<br />
aziende, governo indiano e regolatori, locali<br />
e internazionali.<br />
Azad ha spiegato che sono state apportate<br />
modifiche alla legge: ora ogni test<br />
è registrato dal Consiglio indiano per la<br />
Ricerca Medica e alle case farmaceutiche<br />
è imposto l’obbligo di fornire cure ai malati<br />
e rimborsi alle famiglie <strong>dei</strong> deceduti.<br />
Guadagni per le multinazionali<br />
Nel frattempo, però, la quota di cavie<br />
umane indiane, sottoposte attualmente<br />
a test, è pari a oltre 200 mila persone. Un<br />
mercato da 500 milioni di euro, in cresci-<br />
| 60 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
ta del 30% ogni anno. E solo alle famiglie<br />
di 22 vittime sono arrivati risarcimenti<br />
dalle compagnie di Usa ed Europa (a cifre<br />
in ogni caso indecenti, comprese tra 2<br />
e 20 mila dollari).<br />
Ma l’India non è l’unica meta del business<br />
delle cavie umane. Uno studio realizzato<br />
dal Centro olandese per la Ricerca<br />
sulle Multinazionali (Somo) ha rivelato<br />
che il 37% <strong>dei</strong> pazienti sottoposti a test<br />
clinici su nuovi farmaci (sottomessi all’approvazione<br />
delle autorità europee) risiede<br />
in Europa dell’Est, Russia, America<br />
Latina e Cina (oltre alla stessa India). Percentuale<br />
che, per le compagnie degli Stati<br />
Uniti, sale al 60%.<br />
Nel sottolineare come sia fondamentale<br />
stabilire regole ferree per i test e co-<br />
ALLE COMPAGNIE MULTE PER 11 MILIARDI DI DOLLARI<br />
L’industria farmaceutica globale, nel suo complesso,<br />
ha ricevuto negli ultimi tre anni multe per illeciti di vario<br />
genere pari a 11 miliardi di dollari. Complessivamente, hanno<br />
spiegato recentemente due ricerche pubblicate sul New<br />
England Journal of Medicine, 26 compagnie – tra le quali<br />
figurano otto delle prime dieci a livello mondiale – si sono<br />
macchiate di comportamenti giudicati “criminali”.<br />
La sanzione più onerosa – tre miliardi di dollari – è stata<br />
comminata al colosso inglese GlaxoSmith-Kline nello<br />
scorso mese di luglio; Pfizer ha raggiunto i 2,3 miliardi,<br />
Novartis i 420 milioni, Abbott Laboratories gli 1,5 miliardi.<br />
Tra gli illeciti figura l’aver nascosto dati utili per garantire<br />
la sicurezza <strong>dei</strong> malati, o la promozione<br />
FRANCIA, UNO STUDIO GIUDICA INUTILE IL 50% DEI MEDICINALI<br />
Un medicinale su due tra quelli distribuiti in Francia sarebbe inutile se non<br />
dannoso. A rivelarlo è un libro pubblicato da un medico specialista, Philippe<br />
Even (direttore dell’Istituto Necker), insieme a un parlamentare transalpino.<br />
E, hanno specificato i due, «non si tratta di un libro di opinioni, bensì di un testo<br />
informativo, frutto dell’analisi di migliaia e migliaia di pubblicazioni».<br />
Diventato un best seller in poche settimane, il libro indica un elenco di 4 mila<br />
farmaci giudicati inutili: in particolare nel mirino ci sono numerosi medicinali<br />
contro il colesterolo, fortemente diffusi in Francia (li assumono tra i 3 e i 5<br />
milioni di persone) e capaci di generare un giro d’affari da 2 miliardi di euro<br />
all’anno. Per Even ciò è sufficiente per definire quella farmaceutica «la più<br />
lucrativa, la più cinica e la meno etica di tutte le industrie».<br />
Il medico sottolinea inoltre come la maggior parte <strong>dei</strong> farmaci inutili sia<br />
rimborsata dal servizio sanitario pubblico, il che porta alla conclusione che per<br />
risolvere il problema <strong>dei</strong> finanziamenti alla sanità, sarebbe sufficiente eliminare<br />
dal commercio i medicinali non necessari. A.Bar.<br />
me sia complesso il problema, il Somo ha<br />
ricordato i casi dell’Abilify e del Seroquel,<br />
sviluppati da Bristol-Myers Squibb<br />
e da AstraZeneca. Si tratta di anti-schizofrenici<br />
testati in Sudamerica, Asia e<br />
Africa tra il 2003 e il 2005, attraverso la<br />
somministrazione di alcune sostanze<br />
placebo a una parte <strong>dei</strong> malati. Pratica<br />
che, però, proprio per via <strong>dei</strong> gravi rischi<br />
psicologici che possono insorgere nei<br />
pazienti schizofrenici, è stata vietata in<br />
Europa. Così le multinazionali possono<br />
risparmiare tempo, denaro e agire nell’ombra.<br />
Senza “effetti collaterali”: nonostante<br />
il modo in cui vennero effettuati<br />
i test, l’Abilify e il Seroquel sono<br />
stati approvati e oggi sono regolarmente<br />
in commercio. <br />
di farmaci al di là di ciò che è consentito dalle licenze.<br />
Abbott, ad esempio, ha sostenuto un farmaco,<br />
il Depakote, senza che esistessero adeguate prove<br />
della sua efficacia.<br />
Le cifre, però, non devono ingannare: le multe difficilmente<br />
saranno in grado di convincere la lobby farmaceutica<br />
a modificare le proprie “abitudini”. Per Gsk, ad esempio,<br />
le sanzioni non rappresentano che il 10,8% <strong>dei</strong> propri<br />
ricavi. Inoltre, ha spiegato al quotidiano britannico<br />
The Independent Kevin Outterson, dell’Università di Boston,<br />
«nessun dirigente è stato mai giudicato responsabile<br />
a livello individuale. Per i colossi del settore si tratta solo<br />
di rinunciare a una piccola quota <strong>dei</strong> loro guadagni». A.Bar.
| internazionale | osservatorio medio oriente/Libia |<br />
Dall’occupazione coloniale<br />
alla “guerra umanitaria”<br />
di Paola Baiocchi<br />
L’eliminazione di Gheddafi<br />
e la disgregazione della Libia sono<br />
segni della volontà occidentale<br />
di chiudere definitivamente<br />
la stagione delle indipendenze<br />
dal colonialismo, declinate<br />
su un ideale panarabo di identità<br />
culturale non basata sulla religione<br />
Mentre divampavano i disordini<br />
in Algeria, Tunisia ed Egitto durante<br />
lo scorso anno, molti osservatori<br />
erano pronti a giurare che il<br />
“contagio” non sarebbe arrivato alla Libia:<br />
largo il consenso popolare a Gheddafi,<br />
ben redistribuiti i proventi del petrolio<br />
nella società, solido l’appoggio dell’esercito<br />
al colonnello, lui stesso riabilitato dalla<br />
comunità internazionale dopo gli anni<br />
dell’embargo perché considerato uno<br />
Stato canaglia. Eppure il 2011 non si era<br />
ancora concluso quando il 20 ottobre<br />
Muammar al-Gheddafi veniva ucciso nei<br />
pressi della sua città natale, Sirte, e le immagini<br />
del suo corpo denudato e seviziato<br />
facevano il giro del mondo, impietosamente<br />
pubblicate da tutti i media.<br />
Cosa ha reso possibile il precipitare così<br />
rapido della situazione e il ribaltamento<br />
dell’immagine mediatica di Gheddafi, passato<br />
in pochi mesi da alleato strategico<br />
dell’Italia nel respingimento <strong>dei</strong> clandestini,<br />
da partner commerciale di rilievo per la<br />
Francia, a “massacratore della sua gente”?<br />
Finanziatore di Sarkozy<br />
Sono del dicembre 2007 le fotografie di<br />
Gheddafi a Parigi, ricevuto dal neoeletto<br />
presidente Sarkozy. A 34 anni di distanza<br />
dal suo ultimo viaggio in Francia, al colonnello<br />
vengono riservati gli onori ufficiali<br />
e cinque giorni di firme di trattati<br />
commerciali, di incontri con gli intellettuali,<br />
una visita all’Unesco e anche una<br />
battuta di caccia. Eventi che hanno segnato<br />
ufficialmente la fine del periodo<br />
delle ostilità e l’inizio di reciproci profittevoli<br />
affari: per un totale stimato di dieci<br />
miliardi di euro, in quei giorni viene<br />
sottoscritto un accordo di cooperazione<br />
nel settore dell’energia nucleare civile,<br />
che aprirebbe la strada alla fornitura di<br />
uno o più reattori francesi da destinare<br />
alla desalinizzazione dell’acqua e la collaborazione<br />
nelle attività di prospezione e<br />
sfruttamento <strong>dei</strong> giacimenti di uranio.<br />
In quei giorni Tripoli firma anche<br />
un memorandum di cooperazione, in<br />
base al quale si impegna «a negoziati<br />
esclusivi con la Francia per l’acquisto<br />
di equipaggiamento» militare, e manifesta<br />
interesse per 14 caccia Rafale, 35<br />
elicotteri da combattimento di fabbricazione<br />
francese, equipaggiamento militare<br />
per altri 5,4 milioni di euro e 21 aerei<br />
di linea della Airbus.<br />
Dietro la sfavillante accoglienza di<br />
Sarkozy a Gheddafi il sito francese d’in -<br />
formazione Mediapart afferma, con documenti<br />
<strong>dei</strong> servizi segreti libici, che ci<br />
sono 50 milioni di euro che Tripoli ha<br />
fatto arrivare per finanziare la vittoriosa<br />
campagna elettorale di Sarkozy, su<br />
conti svizzeri e panamensi.<br />
MAI USARE LA PAROLA GUERRA: L’INTERVENTO ITALIANO<br />
Di “assoluto rilievo” il contributo delle Forze armate italiane secondo<br />
le dichiarazioni rilasciate dal ministero della Difesa alla conclusione delle<br />
“operazioni in Libia” a guida Nato, chiamate prima Odissey Dawn, in seguito<br />
Unified Protector.<br />
Di assoluto rilievo anche l’impegno profuso nel comunicato del gennaio scorso<br />
dove non viene mai utilizzata la parola guerra o bombardamento, che diventano,<br />
infatti, delle più asettiche missioni di “difesa aerea”. Su oltre 10 mila missioni,<br />
che hanno sganciato sul territorio libico qualcosa come 40/50 mila bombe<br />
e messili, 1.182 sono state condotte dagli italiani, che hanno potuto appoggiarsi<br />
su sette basi aeree, messe anche a disposizione della coalizione.<br />
«La Difesa – riporta il comunicato – ha altresì contribuito alla “cooperazione<br />
umanitaria”, in stretto coordinamento con il ministero degli Esteri,<br />
mettendo a disposizione aerei cargo C-130J, che hanno effettuato il trasporto<br />
di materiale medico e l’evacuazione di “personale ferito”, portato in Italia<br />
per essere curato».<br />
Peccato che molti di quei C-130J siano partiti dall’aeroporto militare di Pisa, che<br />
sicuramente non caricava cooperazione umanitaria dalla vicina base<br />
statunitense di Camp Darby, il più importante deposito di armi e munizioni<br />
del Mediterraneo. Pa.Bai.<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 61 |
| internazionale |<br />
Niente processo internazionale<br />
Un “investimento” che però non è servito<br />
a fermare i caccia francesi che hanno<br />
dato inizio ai bombardamenti sulla Libia<br />
e nemmeno a disarmare la mano che<br />
gli ha sparato. Dopo l’uccisione a Bengasi<br />
dell’ambasciatore Usa, Chris Stevens,<br />
avvenuta lo scorso 11 settembre, si<br />
sono aggiunti nuovi particolari sugli ultimi<br />
momenti di vita di Gheddafi, che<br />
sarebbe stato ucciso «da un agente straniero»<br />
molto probabilmente francese<br />
(un giovane morto in un ospedale a Parigi<br />
lo scorso settembre), all’interno di<br />
un’operazione Nato in cui è stato localizzato<br />
il telefono satellitare del colonnello.<br />
Gheddafi avrebbe potuto fare molte<br />
rivelazioni scomode per banche e Stati,<br />
se fosse arrivato vivo a un processo:<br />
avrebbe parlato per esempio sulla vicenda<br />
dell’abbattimento del DC-9 Itavia a<br />
Ustica, dove sono morti 81 civili che si sono<br />
trovati al centro di un’operazione internazionale<br />
di guerra coperta, in cui l’obiettivo<br />
era Gheddafi.<br />
1911/2011: CENTO ANNI DI GUERRA ALLA LIBIA<br />
La partecipazione alla guerra di aggressione della Nato nei confronti<br />
della Libia è stata una sorta di macabra commemorazione del centenario<br />
della dichiarazione di guerra del governo Giolitti all’Impero ottomano<br />
del 29 settembre 1911, con la quale viene instaurata la dominazione italiana<br />
in Libia fino all’amministrazione delle Nazioni Unite nel 1943.<br />
La Libia raggiunge l’indipendenza nel 1951, ma è solo con la deposizione di re<br />
Idris – a seguito del colpo di Stato incruento del 1969, organizzato da giovani<br />
L’ORO LIBICO<br />
Oleodotti<br />
Gasdotti<br />
Giacimenti<br />
Impianti<br />
di liquefazione gas<br />
Terminal<br />
per l’esportazione<br />
Raffinerie<br />
Scenari a bombardamenti<br />
della coalizione<br />
| 62 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Giacimenti<br />
petroliferi dell’Eni<br />
E sicuramente avrebbe avuto molto<br />
da raccontare anche sulla morte di Enrico<br />
Mattei, abbattuto con il suo aereo di<br />
ritorno da un incontro in Sicilia con rappresentanti<br />
libici e del mondo arabo, dove<br />
era stato preparato il colpo di Stato<br />
che ha deposto re Idris. Avrebbe aggiunto<br />
anche molto sull’eliminazione di Aldo<br />
Moro, continuatore della visione di Mattei<br />
in materia di politica energetica nell’area<br />
mediterranea.<br />
Ma, per assicurare la sopravvivenza al<br />
padre della rivoluzione verde e alla Libia,<br />
non sono bastati nemmeno i 1.500 milioni<br />
di dollari versati all’amministrazione Usa<br />
come risarcimento globale per i danni causati<br />
dagli atti di terrorismo di cui i libici sono<br />
stati ritenuti responsabili. In particolare<br />
l’esplosione dell’aereo Pan Am 103 in<br />
volo sopra la cittadina scozzese di Lockerbie,<br />
in cui il 21 dicembre 1988 sono morte<br />
270 persone, 189 delle quali statunitensi.<br />
Il nuovo colonialismo<br />
La scomparsa di Gheddafi è un segno<br />
della volontà occidentale di chiudere de-<br />
militari nasseriani e condotto da Muammar<br />
al-Gheddafi – che la Libia comincia a spostare<br />
il suo sistema politico. Nel 1970 i beni di circa 35<br />
mila italo-libici, che ancora vivevano nella ex<br />
colonia, vengono confiscati.<br />
Gheddafi, pur non assumendo nessuna carica<br />
pubblica, si pone come “guida della<br />
rivoluzione”. Con la riforma costituzionale<br />
del 2 marzo 1977, il Paese assume il nome<br />
di “Jamahiriya araba libica socialista popolare”<br />
e viene istituito un sistema di governo<br />
popolare diretto che culmina nel Congresso<br />
generale del popolo, che eleggeva<br />
un Segretariato, composto da sette membri<br />
finitivamente la stagione delle indipendenze<br />
dal colonialismo, declinate in nome<br />
di un ideale panarabo di identità culturale<br />
non basata sulla religione. Da<br />
sostituire con teocrazie organizzate su<br />
base etnica, come è già avvenuto con<br />
Saddam Hussein e l’Iraq.<br />
In Libia ora, nella completa disattenzione<br />
degli organi di informazione italiani,<br />
si è avviato un periodo che Tierry<br />
Meyssan, il fondatore del Reseau Voltaire,<br />
definisce di “somalizzazione”: di sanguinose<br />
lotte tra città stato, in un territorio<br />
che vanta le riserve petrolifere<br />
migliori, più abbondanti e ancora poco<br />
sfruttate dell’Africa. Dove le compagnie<br />
petrolifere non hanno più intenzione di<br />
pagare il 93% di tasse sulle estrazioni,<br />
un’eccezione nell’area Ocse dove la percentuale<br />
massima delle royalties è il 60%<br />
che chiede il Kuwait.<br />
Come ha affermato il segretario di<br />
Stato Usa, Hillary Clinton, alla conclusione<br />
dell’operazione Protettore unificato:<br />
«We came, we saw, he died» (Siamo arrivati,<br />
abbiamo visto, lui è morto). <br />
LA BANDIERA<br />
Il Consiglio nazionale<br />
di transizione (Cnt)<br />
ha adottato come bandiera<br />
quella del deposto re Idris del<br />
regno di Libia (1951-1969)<br />
sostituendo la bandiera verde<br />
della Jamahiriya.<br />
in cui il Segretario era in pratica il capo dello Stato, e un Comitato generale,<br />
equivalente grosso modo a un Consiglio <strong>dei</strong> ministri.<br />
Tra gli anni ’80 e i ’90 la Libia appoggia gruppi terroristici come<br />
il palestinese Settembre nero e l’irlandese Ira. Nel 1986 Tripoli viene<br />
bombardata dai caccia Usa e una delle figlie di Gheddafi trova la morte.<br />
A seguito dell’attentato di Lockerbie del 1988 e al rifiuto libico<br />
di consegnare gli attentatori, nel 1992 l’Onu decide l’embargo economico,<br />
che dura fino al 2003 con l’accettazione della responsabilità civile verso<br />
le vittime. A partire dagli anni ’90 comincia il riavvicinamento tra la Libia<br />
e la comunità internazionale. Il 17 marzo 2011, dopo una serie di scontri<br />
alimentati da bande armate infiltrate da corpi speciali qatariani, inglesi,<br />
francesi e le solite “bufale belliche” – come le false fosse comuni<br />
nei pressi di Tripoli con “diecimila vittime del regime” – il Consiglio<br />
di sicurezza delle Nazioni Unite vota la risoluzione 1973 che dà il via alle<br />
operazioni militari. Tra le diecimila e le ventimila le vittime civili.
Brasile di terra,<br />
business e pallottole<br />
di Corrado Fontana<br />
Un Paese in crescita con enormi<br />
estensioni agricole e foreste.<br />
Stretto tra l’interesse <strong>dei</strong> poteri<br />
consolidati e politiche assistenziali<br />
per le popolazioni rurali. Tra violenze<br />
e progetti infrastrutturali<br />
importanti, ma di grande impatto<br />
sociale e ambientale<br />
grande proprietario terriero è<br />
oggi rappresentato dall’idro- «Il<br />
agro-business sotto il comando<br />
<strong>dei</strong> gruppi alimentari e chimici, che<br />
controllano le terre (non necessariamente<br />
avendone la proprietà) con contratti di<br />
affitto e/o controllo del lavoro contadino<br />
attraverso l’anticipazione di sementi e<br />
additivi da usare secondo indirizzi tecnologici<br />
prestabiliti». Già da queste parole<br />
possiamo intuire qualcosa dell’attuale<br />
gestione delle campagne in Brasile. Una<br />
sorta di identikit del latifondismo locale<br />
dipinto dalla professoressa Teresa<br />
Isenburg, docente di Geografia economico-politica<br />
al dipartimento di Studi<br />
internazionali, giuridici e storico-politici<br />
dell’Università Statale di Milano, la quale<br />
completa il quadro ricordando che «in<br />
Parlamento c’è un gruppo ruralista molto<br />
trasversale politicamente e socialmente<br />
assai influente».<br />
Aspettando la riforma agraria<br />
Un blocco di potere forte, che fa capo all’agro-business<br />
ed è lontano dal modello arcaico<br />
<strong>dei</strong> latifondisti, che si avvantaggia<br />
del fatto che la tanto attesa riforma agraria<br />
che doveva ridare la terra ai contadini<br />
THE BRAZILIAN FAR WEST - SEBASTIAN LISTE-REPORTAGE BY GETTY IMAGES<br />
avanza con lentezza. Un ritardo compensato<br />
solo in parte dalle politiche sociali assistenziali<br />
recentemente sostenute dal governo,<br />
di Luiz Ignacio Lula da Silva prima<br />
e di Dilma Rousseff ora. «Il progetto Bolsa<br />
familha – continua la professoressa – impegna<br />
i municipi a comprare il 30% degli<br />
| internazionale | questione agraria |<br />
FAR WEST BRASILIANO<br />
«In assenza di una qualsiasi<br />
presenza dello Stato, le armi vengono<br />
utilizzate per conquistare ogni pezzo<br />
di terra». Con queste parole del frate<br />
domenicano Henri Burin des Roziers,<br />
membro della Commissione pastorale<br />
per la terra (Cpt) brasiliana, Sebastian<br />
Liste apre l’introduzione al suo<br />
progetto video/fotogiornalistico<br />
intitolato The Brazilian Far West.<br />
Un lavoro premiato quest’anno<br />
ai Grants for Editorial Photography<br />
di Getty Images e destinato a creare<br />
una sorta di mappa multimediale<br />
della disuguaglianza e della violenza<br />
in Brasile. Mentre il Paese sta<br />
diventando una superpotenza agricola<br />
internazionale, il 4% <strong>dei</strong> suoi<br />
proprietari terrieri controlla ancora<br />
circa l’80% della terra coltivabile,<br />
costringendo circa cinque milioni<br />
di contadini a restare sem terra, senza<br />
terra, in balia di conflitti sanguinosi e a subire forme nuove di schiavitù,<br />
«accettando condizioni di vita e di lavoro disumane». Liste ha dedicato gli ultimi<br />
tre anni a documentare le loro vite, ma anche quella <strong>dei</strong> milioni di diseredati<br />
in fuga dalle campagne, spinti a costruire ex novo o ad ampliare gli insediamenti<br />
delle aree periurbane, fatti di case di lamiera e fango. Ambienti per noi<br />
inimmaginabili come quelli fotografati nei cosiddetti quilombos, urbani<br />
o nascosti nella boscaglia (vedi GLOSSARIO ), oppure scene di quotidiana<br />
sopraffazione dove per la terra si lotta e si muore.<br />
alimenti per scuole e uso sociale dall’agricoltura<br />
famigliare del municipio stesso.<br />
Oppure il progetto Luz para todos, che ha<br />
portato energia elettrica in aree rurali, con<br />
un miglioramento delle condizioni di vita<br />
di base». È già un progresso si potrebbe<br />
dire. Ma, secondo Serena Romagnoli e<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 63 |
| internazionale |<br />
GLOSSARIO<br />
QUILOMBO: un quilombo era una comunità formata<br />
da schiavi africani fuggiti dalle piantagioni in cui erano<br />
prigionieri nel Brasile all’epoca della schiavitù, abolita<br />
ufficialmente nel 1888. Oggi esistono ancora numerosi<br />
insediamenti quilombos sparsi per tutto il Brasile<br />
e quasi mai collegati tra di loro. Piccoli villaggi nascosti<br />
nelle foreste o nelle montagne fatti di capanne in fango<br />
e qualche volta con la sala comunitaria o le case <strong>dei</strong><br />
meno poveri in muratura.<br />
Avanza lentamente la molto<br />
attesa riforma agraria.<br />
Nel frattempo il governo<br />
ha investito 150 milioni<br />
nell’agro-business<br />
Claudia Fanti di Amig@s Mst-Italia, gruppo<br />
italiano che sostiene il Movimento sem<br />
terra brasiliano, l’anno scorso il governo<br />
ha investito 14 milioni nell’agricoltura<br />
famigliare e ben 150 nell’agro-business.<br />
«La mancanza di una vera riforma<br />
agraria (180 mila famiglie sono accampa-<br />
TERRA DI SCONTRI<br />
| 64 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
te, con poche prospettive di ottenere la<br />
terra in un periodo ragionevole) e di importanti<br />
servizi, anche lì dove ci sono degli<br />
insediamenti, spinge gli abitanti delle<br />
campagne verso le favelas, con minime<br />
possibilità d’integrazione. Nelle favelas<br />
domina il lavoro informale, oltre ad alcolismo,<br />
spaccio, prostituzione. E il 6% della<br />
popolazione brasiliana (oltre 11 milioni di<br />
persone su più di 190 milioni, ndr) vive in<br />
questo tipo di agglomerati, secondo il censimento<br />
2010 del Brazilian Institute of<br />
Geography and Statistics».<br />
Sviluppo vs ambiente<br />
Un quadro che spiega come possano essere<br />
cattive le condizioni di lavoro nelle<br />
campagne, «specie per la contaminazione<br />
da agro-tossici in alcune zone», prosegue<br />
la professoressa Isenburg. E senza contare<br />
che «la violenza contro i lavoratori agricoli<br />
è particolarmente forte nello Stato di<br />
Parà e in alcune aree di avanzamento della<br />
frontiera agricola (Mato Grosso, Rondonia),<br />
dove circolano molte armi e l’elimina-<br />
Brasile simbolo di contraddizioni al punto che, mentre le ultime previsioni<br />
dicono che il suo Pil 2013 crescerà comunque di oltre 4 punti percentuali,<br />
l’indice di diseguaglianza interna (il Gini index) diminuisce costantemente<br />
dal 2001, ma resta tra i più elevati del mondo (vedi MAPPA ).<br />
E le rilevazioni sui conflitti che avvengono annualmente nelle campagne<br />
contenuti nel rapporto Conflitos no campo Brasil 2011, realizzato dalla<br />
Commissione pastorale della terra (Cpt), fanno semplicemente paura. Anche<br />
se la situazione è in miglioramento più o meno progressivo, almeno dal 2003<br />
(da 73 persone assassinate si passa alle 29 del 2011), la Cpt registra,<br />
in controtendenza, un incremento del 15% sul numero totale <strong>dei</strong> conflitti nelle<br />
campagne tra 2010 e 2011 e una crescita enorme del numero di ettari di terra<br />
teatro di scontri e oggetto di controversie (poco meno di 4 milioni nel 2003,<br />
l’anno scorso quasi 14 milioni e mezzo di ettari). Fa impressione pensare poi<br />
che i 1.363 episodi ascritti al 2011 (1.035 conflitti per la terra; 260 legati<br />
al lavoro; 68 per l'acqua) abbiano coinvolto complessivamente oltre 600 mila<br />
persone (quasi 1 milione e 200 mila nel 2003) e circa 70 mila famiglie. Che il tema<br />
delle risorse agricole sia sentito lo dimostra anche un significativo aumento <strong>dei</strong><br />
conflitti per questioni di terra (+ 24% sul 2010) e del numero di famiglie<br />
allontanate dalla propria dimora (2137 nel 2011, +75,7% sull’anno precedente).<br />
Drammi per intere comunità, quindi, e “conflitti” che possono limitarsi a semplici<br />
controversie di natura legale o diventare aggressioni violente e omicidi: il numero<br />
delle famiglie minacciate da uomini armati ha subito il significativo aumento<br />
del 50,4% (!), da 10.274 a 15.456, tra 2010 e 2011. Un quadro generale di cui<br />
la Cpt attribuisce la gran parte delle responsabilità allo strapotere di alcuni<br />
soggetti privati: fazen<strong>dei</strong>ros, imprenditori, produttori di legnami.<br />
BRASILE: DISTRIBUZIONE<br />
DEI CONFLITTI SUL TERRITORIO<br />
Numero di famiglie coinvolte<br />
Famiglie per Comune<br />
1.270<br />
540<br />
20<br />
FONTE: RAPPORTO CPT “CONFLITO NO CAMPO BRASIL 2010”,<br />
zione fisica di lavoratori rurali non è rara».<br />
Ma a minacciare la vita nelle campagne intervengono<br />
anche nuovi fattori. L’Amazzonia<br />
è oggetto di un programma di grandi<br />
progetti idroelettrici come la diga di<br />
Belo Monte: progetti di infrastrutturazione<br />
che portano l’area verso un’integrazione<br />
spaziale nazionale e continentale,<br />
nonché al centro di controversie.<br />
Come sottolinea la professoressa Isenburg,<br />
nonostante «le trattative ambientali<br />
e con i gruppi nativi siano complesse,<br />
con conflitti anche fra il potere federale e<br />
il ministero pubblico, nonché fra interessi<br />
diversi di gruppi locali, le popolazioni indigene<br />
o contadine sono spesso favorevoli<br />
al cambiamento».<br />
Ma l’impatto sociale resta pesante su<br />
queste comunità. Il governo della presidente<br />
Rousseff è molto criticato, sia per<br />
l’ammontare degli indennizzi proposti alle<br />
famiglie che hanno perduto terre, case,<br />
lavoro, e sono state espulse dal loro territorio<br />
finendo spesso nelle favelas insieme<br />
ai “senza terra”; sia per non aver messo<br />
il veto su un contestatissimo nuovo<br />
Codice forestale. E il tasso di deforestazione<br />
dell’Amazzonia brasiliana, fortemente<br />
rallentato in questi anni, è tornato<br />
a salire tra 2011 e 2012 (+220%, -642 mila<br />
ettari di foresta) per l’Inpe (National Institute<br />
for Space Research).
Marketing emozionale<br />
Strandmon<br />
e il programma MK-Ikea<br />
Sulla copertina del catalogo Ikea 2013 c’è una poltrona degli anni Cinquanta:<br />
la MK, definita il “top della qualità” nel catalogo del 1951, il primo<br />
pubblicato dall’allora nascente colosso dell’arredamento. Nello<br />
stesso anno in cui veniva pubblicato Il giovane Holden di Salinger e al cinema<br />
usciva Bellissima di Visconti, la MK era in vendita per “207 corone svedesi”.<br />
La poltrona riprodotta sulla copertina<br />
del catalogo non solo è d’epoca e porta<br />
i segni del tempo ma è proprio di Ingvar<br />
Kamprad, il fondatore di Ikea.<br />
Se ci ricordiamo che Kamprad ha la<br />
fama di essere un gran tirchio, che si<br />
dice viaggi solo in classe economica e<br />
aspetti la fine del mercato per spuntare<br />
i prezzi migliori della frutta, allora<br />
siamo già entrati a far parte della famiglia<br />
allargata di Ikea e conosciamo<br />
almeno una parte della “narrazione”<br />
che il fondatore stesso ha contribuito<br />
a creare pubblicando nel 1976 il Testamento<br />
di un commerciante di mobili.<br />
Ma naturalmente c’è molto di più:<br />
c’è la scelta fatta dagli strateghi della<br />
comunicazione dell’etichetta gialloblu<br />
di collocare nel passato Ikea per dimostrare<br />
che non è solo contemporaneità<br />
e mobili usa e getta, invendibili se<br />
si trasloca, ma oggetti che durano nel<br />
tempo. E la poltrona del suo fondatore<br />
è lì, a testimoniare che c’è una “storia”.<br />
Anzi a tutti gli effetti c’è una mitologia,<br />
che retrodata Ikea perfino rispetto alla<br />
Barbie, un oggetto “culto” della produzione<br />
di massa.<br />
La poltrona MK precede di un paio<br />
di anni anche un suo quasi omonimo:<br />
il programma MK Ultra, il più esteso<br />
progetto di sperimentazione sul condizionamento<br />
mentale, condotto dalla<br />
Ambientalista e popolare?<br />
Quello che dice di essere<br />
non corrisponde a ciò che fa<br />
Cia su cittadini ignari e poi applicato<br />
in luoghi di detenzione come Guantanamo<br />
e Abu Ghraib.<br />
Le vie delle coincidenze sono infinite,<br />
ma per quanto il signor Kamprad<br />
abbia avuto simpatie naziste, i suoi<br />
programmi sono sicuramente diversi<br />
da quelli della Cia, anche se sempre di<br />
condizionamento mentale si parla.<br />
Perché Ikea ha una buona reputazione,<br />
nonostante ci siano delle incongruenze<br />
tra quello che fa e quello che<br />
dice di essere. Nella sua narrazione è<br />
egualitaria e popolare. Ma la proprietà<br />
di Paola Baiocchi<br />
| consumiditerritorio |<br />
dell’azienda è dissimulata in una nebulosa<br />
societaria che fa perdere le tracce<br />
tra la fiscalmente benevola Olanda, il<br />
Lussemburgo, le Antille olandesi e Curaçao.<br />
Anche rispetto alle donne Ikea<br />
ha un atteggiamento bivalente, cancellando<br />
le presenze femminili nei cataloghi<br />
destinati all’Arabia Saudita.<br />
Ikea si presenta come ambientalista<br />
e socialmente responsabile, ma gli autori<br />
del libro Ikea, che cosa si nasconde<br />
dietro il mito della casa che piace a tutti?<br />
ritengono che «il suo modello di sovraproduzione<br />
e sovraconsumo – acquistare<br />
sempre di più, qualcosa di sempre<br />
meno caro da conservare sempre meno<br />
a lungo – sia incoerente con un discorso<br />
ambientalista e sociale credibile».<br />
D’altronde, secondo il sociologo tedesco<br />
Theodor Adorno, il bisogno indotto<br />
crea l’illusione che quello che è stato<br />
offerto sia in realtà una scelta individuale,<br />
ma è uno strumento chiave attraverso<br />
il quale si perpetua il capitalismo.<br />
La poltrona MK viene ora proposta<br />
nella versione Strandmon, stabilendo<br />
un collegamento intimo con questo<br />
«papà» di «131mila collaboratori» – scrivono<br />
nel catalogo Ikea – che afferma<br />
«abbiamo scelto di stare dalla parte del<br />
maggior numero possibile di persone».<br />
Naturalmente dalla parte dove tengono<br />
il portafoglio. <br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 65 |
altrevoci<br />
VACCINO ESAVALENTE:<br />
ANCHE LA SLOVACCHIA LO RITIRA<br />
Dopo Spagna, Germania, Francia, Australia e Canada e altri 13 Stati nel mondo, anche la Slovacchia<br />
ha deciso di ritirare dal commercio un lotto del vaccino esavalente Infanrix Hexa, prodotto<br />
dalla GlaxoSmithKline. Alla base della decisione – classificata con il massimo livello di urgenza<br />
(che si assegna quando c’è una potenziale minaccia di vita o di gravi danni per la salute pubblica) –<br />
una contaminazione batterica riscontrata nell’ambiente in cui è stato prodotto il vaccino<br />
incriminato. C’è però chi teme che questa sia solo una giustificazione di facciata: troppi i lotti<br />
ritirati e troppi gli Stati che hanno deciso il ritiro.<br />
Sotto accusa è quindi il vaccino in sé. L’esavalente è usato anche nelle strutture pubbliche italiane<br />
per vaccinare i neonati a partire dal 2-3° mese di vita. Sei le malattie contro cui protegge: difterite,<br />
tetano, poliomielite, epatite B, pertosse ed emofilo tipo B. Un utilizzo massiccio e secondo alcuni<br />
immotivato (l’Europa ha il certificato “polio free” dal 2002 e l’ultimo caso di difterite risale<br />
a parecchi decenni fa), soprattutto su bambini molto piccoli e nonostante, per la legge italiana,<br />
le vaccinazioni obbligatorie sarebbero solo quattro. «I ministeri della Salute di molti Stati – spiega<br />
il farmacologo Roberto Gava su Informasalus.it – hanno avvisato la popolazione affinché i genitori<br />
<strong>dei</strong> bambini che hanno ricevuto questa vaccinazione negli ultimi mesi contattino le autorità<br />
sanitarie con urgenza. Il nostro ministero, invece, tace, anche se pare che i laboratori<br />
GlaxoSmithKline di Verona siano tra quelli che producono il vaccino per la Germania<br />
e i tedeschi hanno prontamente ritirato i vaccini sospettati di contaminazione».<br />
[EM.IS.]<br />
UE, SMOG: DUE ANNI DI VITA<br />
IN MENO PER GLI EUROPEI<br />
Due anni in meno di aspettativa di vita a causa<br />
dell’inquinamento atmosferico. Il destino accomuna<br />
gli abitanti di un terzo delle città europee. L’impietosa<br />
previsione arriva dall’Agenzia europea dell’Ambiente.<br />
Spiega il suo direttore, Jacqueline McGlade, citando<br />
i dati contenuti in una pubblicazione (“Qualità dell’aria<br />
in Europa”) presentata a Bruxelles: «La colpa<br />
è delle concentrazioni eccessive di particolato<br />
in sospensione nell’aria (le polveri sottili, ndr), una delle<br />
sostanze inquinanti più nocive per la salute umana<br />
in quanto penetra nelle parti sensibili dell’apparato<br />
respiratorio». Oltre al particolato, sono presenti nell’aria<br />
di molte regioni urbane quantità eccessive di biossido<br />
d’azoto e benzo(a)pirene, mentre sono stati fatti passi<br />
avanti significativi per il monossido di carbonio<br />
e il biossido di zolfo. «Ma in molti Paesi i livelli rimangono<br />
al di sopra <strong>dei</strong> limiti legali», conclude McGlade.<br />
«Questa relazione – aggiunge il commissario Ue<br />
all’Ambiente, Janez Potočnik – serve a ricordarci quanto<br />
sia importante la qualità dell’aria per la salute <strong>dei</strong> nostri<br />
cittadini. Ecco perché voglio che il 2013 sia l’Anno<br />
della qualità dell’aria».<br />
[EM.IS.]<br />
| 66 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
CRESCONO LE AREE PROTETTE<br />
NEL MONDO<br />
Le aree protette di tutto il mondo – parchi, riserve naturali<br />
o altre tipologie di zone sottoposte a tutela – sono<br />
cresciute sia in numero sia in estensione. A rivelarlo<br />
è il Protected Planet Report 2012, redatto dall’Unione<br />
Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn),<br />
che spiega come oggi la superficie terrestre protetta<br />
sia pari al 12,7% della terraferma (era l’8,8% nel 1990),<br />
e all’1,6% delle aree marine.<br />
«Le aree protette contribuiscono significativamente alla<br />
conservazione delle biodiversità, e un aumento della loro<br />
estensione è vitale per il nostro pianeta. In termini<br />
di accesso al cibo e all’acqua pulita, di lotta<br />
al cambiamento climatico e di riduzione dell’impatto<br />
<strong>dei</strong> disastri naturali», ha spiegato Julia Marton-Lefèvre,<br />
direttrice generale dell’organismo internazionale.<br />
L’obiettivo è di raggiungere gli “Aichi Targets”, una serie<br />
di obiettivi indicati due anni fa dalla Convenzione sulla<br />
Diversità biologica, che vuole far crescere le aree protette<br />
al 17% della superficie terrestre e quelle marine al 10%.<br />
[A.BAR.]<br />
DIGA DI XAYABURI<br />
IL LAOS NON FERMA IL PROGETTO<br />
«Non abbiamo bisogno di altri dati»: il Laos va per la sua<br />
strada e sbatte la porta in faccia alle proteste <strong>dei</strong> Paesi<br />
vicini e della comunità internazionale (ultima in ordine<br />
di tempo, quella del segretario di Stato Usa, Hillary<br />
Clinton). Oggetto del contendere la diga di Xayaburi, che<br />
diventerebbe la prima barriera sulla parte bassa del fiume<br />
Mekong, il più lungo dell’Indocina. 880 metri di lunghezza,<br />
32 di altezza, l’opera interesserebbe un bacino<br />
di 272 mila chilometri quadrati. Tre i motivi di maggiore<br />
preoccupazione: le esondazioni che metterebbero a rischio<br />
la sussistenza <strong>dei</strong> 60 milioni di persone presenti nei villaggi<br />
dal nord della Thailandia fino al delta del fiume in Vietnam,<br />
che dipende per l’80% dalla pesca; l’impatto sulla quantità<br />
di pesci presenti nel fiume e le conseguenze che<br />
i sedimenti prodotti dalla diga avrebbero sull’assetto<br />
idrogeologico della zona. «Se il Laos realizzerà quel<br />
progetto attirerà su di sé le stesse critiche che hanno<br />
coinvolto la Cina con la Diga delle Tre Gole», spiega Witoon<br />
Permpongsacharoen, direttore del Mekong Energy<br />
and Ecology Network. Quella di Xayaburi sarebbe la prima<br />
di undici dighe che dovrebbero sorgere sul basso Mekong:<br />
se fossero realizzate tutte, entro il 2030 la riserva ittica<br />
del fiume – prevede un rapporto Wwf – subirebbe<br />
una flessione del 16%. Cifra che salirebbe al 40%<br />
se si considerassero tutte le 88 dighe del fiume.<br />
[EM.IS.]<br />
CMCGRUPPO.COM
L’EUROCRISI<br />
FAVORISCE LA BOLLA IMMOBILIARE TEDESCA?<br />
SPAGNA, MEDICI “OBIETTORI”<br />
CONTRO IL GOVERNO<br />
Al rigore, a volte, non c’è davvero limite. Neanche<br />
quello che dovrebbe essere garantito dal buon senso.<br />
Qualche mese fa, il governo conservatore spagnolo<br />
di Mariano Rajoy ha emanato un decreto che prevedeva<br />
la soppressione delle cure sanitarie gratuite per i senza<br />
tetto (salvo per i minorenni e per i casi di urgenza).<br />
La decisione ha suscitato grandi proteste nel Paese, tanto<br />
che tre regioni si sono rifiutate di applicare la riforma.<br />
Recentemente, poi, circa 2 mila medici si sono dichiarati<br />
“obiettori di coscienza”, e hanno firmato un appello<br />
nel quale chiedono ai loro colleghi di non osservare<br />
la legge. Un’iniziativa che arriva dopo che pazienti<br />
e personale medico hanno manifestato nel corso<br />
dell’estate per contestare una scelta giudicata ingiusta.<br />
E anche inefficace economicamente: curare un malato<br />
è meno costoso che farlo aggravare e doverlo<br />
poi trattare d’urgenza.<br />
Il provvedimento del governo spagnolo, tuttavia, per<br />
ora resta in vigore: a farne le spese saranno circa<br />
150 mila persone.<br />
[A.BAR.]<br />
| LASTNEWS |<br />
La presenza di tassi di interesse favorevoli e il persistente timore di sviluppi negativi nella crisi<br />
dell’euro starebbero alimentando una possibile bolla immobiliare nel mercato tedesco.<br />
È l’ipotesi avanzata dal Financial Times lo scorso ottobre attraverso l’analisi degli ultimi dati<br />
di settore disponibili. Negli ultimi cinque anni, sostiene la società di consulenza F+B, il prezzo<br />
medio delle abitazioni berlinesi è salito del 23%. Secondo i dati della Jones Lang LaSalle,<br />
un’azienda concorrente, il fenomeno sarebbe ancora più evidente: +37,5% dal 2009 a oggi, +20%<br />
solo nell’ultimo anno. Il fenomeno della crescita <strong>dei</strong> prezzi resta però prevalentemente confinato<br />
ad alcune città in particolare (la capitale tedesca su tutte, ma anche Monaco e Amburgo).<br />
Due, si diceva, i fattori determinanti. Da un lato il basso livello <strong>dei</strong> tassi di interesse può<br />
favorire il ricorso all’indebitamento, ovvero la sottoscrizione <strong>dei</strong> mutui per la casa.<br />
In un contesto come quello attuale, inoltre, i modesti rendimenti <strong>dei</strong> titoli di Stato (il bund<br />
decennale paga appena l’1,5% circa) e la turbolenza del mercato azionario sembrano indurre<br />
i risparmiatori a investire nella proprietà immobiliare. Dall’altro lato, la persistente crisi<br />
del mercato europeo spingerebbe gli investitori a puntare su assets sicuri in un’economia<br />
giudicata particolarmente solida come quella tedesca. In questo quadro non stupisce l’ampia<br />
presenza di compratori cash provenienti dal resto del continente (italiani, spagnoli<br />
e del Nord Europa in particolare).<br />
[M.CAV.]<br />
PEOPLE MOVER A PISA<br />
UNA FUNE PER TRAINARE IL TRENO<br />
1.780 metri per un costo previsto di 78 milioni. Tanto<br />
dovrebbe costare il People mover, un trenino trainato<br />
da fune, senza conducente, per collegare l’aeroporto<br />
Galilei con la stazione ferroviaria di Pisa. Un progetto<br />
approvato dal Comune, da far eseguire in project<br />
financing da privati consorziati in un’associazione<br />
temporanea (capofila la Leitner di Vipiteno).<br />
Ma il progetto ha fatto storcere la bocca ai pisani perché<br />
l’aeroporto è già servito dal treno e dalla pensilina della<br />
ferrovia al check-in, non bisogna neanche attraversare<br />
la strada. Non solo, il Galilei è un aeroporto cittadino:<br />
si raggiunge con i bus e anche a piedi, se ci si è fermati<br />
a dormire all’ostello o in un’altra sistemazione in centro.<br />
Alle obiezioni <strong>dei</strong> cittadini, l’amministrazione risponde<br />
con argomentazioni risibili: si eliminerebbero due<br />
passaggi a livello, dopo 40 anni l’impianto diventerebbe<br />
della città. Il People mover sembra essere diventata<br />
una moda contagiosa: Bologna sta provando, contro<br />
il volere <strong>dei</strong> cittadini, a costruirne uno da 5 km circa (costo:<br />
110 milioni di euro), quando il problema del collegamento<br />
potrebbe essere risolto con un tapis roulant da 800 metri<br />
e il completamento di una stazione ferroviaria.<br />
[PA.BAI.]<br />
FIRENZE.REPUBBLICA.IT<br />
INVESTIMENTI RESPONSABILI<br />
L’EUROPA CI CREDE SEMPRE DI PIÙ<br />
Dai 6,9 miliardi di euro del 2005 ai 25,3 del 2009 ai 48<br />
del 2011. Le cifre dimostrano un vero e proprio boom degli<br />
investimenti sostenibili e responsabili (Sri) in Europa,<br />
i capitali investiti in fondi che contengono imprese<br />
selezionate in base alla propria attenzione all’ambiente<br />
e alle tematiche sociali. Sono questi i dati contenuti<br />
nell’ultimo rapporto di Eurosif (European Sustainable<br />
Investment Forum), una rete di organizzazioni europee che<br />
si occupano di sostenibilità negli investimenti, presentato<br />
all’inizio di ottobre. Ma in realtà la lettura <strong>dei</strong> dati non<br />
è così semplice, perché «da quest’anno l’Sri si è ampliato<br />
ed è diventato più complicato», spiega Davide Dal Maso,<br />
segretario del Forum per la finanza sostenibile. «Sono stati<br />
individuati sei diversi modi di fare Sri: sei criteri per definire<br />
un investimento responsabile. Su questo tema a livello<br />
europeo non c’è ancora una convergenza: c’è una visione<br />
scandinava, una anglosassone, una mediterranea etc.<br />
Per esempio determinate cifre farebbero pensare<br />
a un boom di investimenti responsabili in Italia, ma non<br />
è detto che siano “veri” Sri. Tutte le strategie monitorate,<br />
comunque, mostrano dinamismo e/o crescita». Il rapporto<br />
è scaricabile dal sito www.finanzasostenibile.it<br />
[V.N.]<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 67 |
| FUTURE |<br />
a cura di Francesco Carcano | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it<br />
BLOG DA MENTI IN FUGA<br />
SOTT’OCCHIO<br />
ELA & DIMITRI<br />
IN TRANSMEDIA LOVE<br />
Esperimento tecnologico e opera artistica, Ela & Dimitri<br />
è un progetto multimediale di due giovani artisti<br />
di Marsiglia, che vogliono raccontare la nascita<br />
di un amore nell’era del web. “Nell’era degli sms, Romeo<br />
sarebbe stato ancora ridicolo sotto il balcone<br />
di Giulietta?”. Non viene data risposta, affidando<br />
il quesito a quanti vorranno interagire per una<br />
narrazione dall’esito incerto. Co-protagonisti e scenario,<br />
oltre alla città fisica, luogo di incontri attesi e mancati,<br />
sono gli strumenti che la moderna tecnologia mette<br />
a disposizione. Il progetto prevede la possibilità<br />
di entrare, come fosse un gioco di ruolo, nei panni<br />
di Ela o di Dimitri e utilizzare i diversi media urbani.<br />
Messaggi e sms, post su Facebook ed e-mail<br />
comporranno la narrazione. Il testo verrà poi trasposto<br />
in un grande telo urbano da affiancare a una mostra<br />
multimediale che prevede, ancora una volta, una diretta<br />
interazione del pubblico/attore, che può intervenire<br />
manualmente sull’esposizione e modificare, quasi la vita<br />
fosse una bacheca di social network, il proprio stato<br />
d’animo o sentimento verso la narrazione collettiva.<br />
Altra particolarità: il progetto è stato finanziato<br />
raccogliendo tutti i fondi in Rete tramite microdonazioni.<br />
| 68 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Ci sono alcuni blog in lingua nostrana cui vale sempre la pena dare un’occhiata.<br />
Quello di Matteo Bittanti rientra nella categoria, quali che siano i vostri interessi. Bittanti è<br />
Senior Adjunct Professor nei programmi di VisualSstudies e Visual & Critical Studies del<br />
California College of the Arts di San Francisco & Oakland, California. E lì insegna materie come<br />
game studies, advanced visual studies e global cities. Insomma, temi per addetti ai lavori<br />
interessati alle interazioni tra culture visive, arte, nuovi media e strumenti della nuova cultura<br />
popolare come videogiochi.<br />
Da Mattscape.com si accede così a un blog che riporta chicche degne di nota. Tra queste,<br />
alcune riprese da Wired, dove si firma Mr. Bit, una “estetica della statistica” a opera <strong>dei</strong><br />
californiani Stamen, che mostrano con molta bellezza il diffondersi surreale di un post<br />
su Facebook. La cultura digitale diventa una forma d’arte, non conta qui il contenuto,<br />
ma la sua modalità e intensità di propagazione. Il disegno animato mostra il propagarsi<br />
tra gli utenti, di un contributo postato ad arte. Cose su cui riflettere.<br />
ELETTRICHE,<br />
ZERO EMISSIONI E VELOCI<br />
Sono stazioni private, pensate da un costruttore<br />
per il suo modello elettrico di punta. Ma hanno<br />
una particolarità: saranno diffuse in tutta la California,<br />
gratuite perché alimentate da fotovoltaico, aperte anche<br />
ad altri utenti e marche di veicoli elettrici. E saranno<br />
superveloci. Tesla sceglie la strada dell’installazione<br />
in stile web per il suo modello elettrico più veloce,<br />
ma coglie nel segno perché l’operazione non appare solo<br />
di propaganda, ma eroga un servizio utile e in modalità<br />
innovativa. Trecento stazioni di servizio previste, solo<br />
sei al momento quelle già attive, un tempo medio<br />
di ricarica di una trentina di minuti per poi avere<br />
un’autonomia di circa trecento chilometri<br />
di percorrenza. Chiamate Superchanger, hanno avuto<br />
un impatto minimo sia sull’ambiente sia in termini<br />
di investimento perché il progetto doveva svilupparsi<br />
a partire dall’ottimizzazione di tecnologie esistenti.<br />
La scelta del fotovoltaico per alimentare le stazioni<br />
di servizio e della gratuità dello stesso sono al contempo<br />
un’efficace campagna promozionale del marchio<br />
e un servizio che la società statunitense dichiara di voler<br />
espandere in Europa.<br />
LA DEMOCRAZIA<br />
È UN CLICK?<br />
Ognuno può lanciare il suo appello on line e, se sarà<br />
convincente, diventerà una campagna d’opinione<br />
internazionale. Change.org è un sito che promuove<br />
campagne pubbliche di mobilitazione su temi sociali.<br />
Il suo credo è basato sul principio dell’adesione.<br />
Se un’idea intercetta il sentimento di molti, se sono<br />
numerosi a sostenerla firmando una petizione on line,<br />
allora significa che probabilmente quell’idea ha una sua<br />
validità e merita di essere conosciuta. «Change.org<br />
è una piattaforma d’azione che permette a chiunque,<br />
non importa da dove, di lanciare delle campagne per<br />
cambiare il mondo», recita il sito dell’organizzazione<br />
che annovera tra i suoi risultati la riduzione <strong>dei</strong> costi<br />
bancari di Bank of America e la difesa e affermazione<br />
di diritti civili di persone omossessuali. Il tema<br />
e l’approccio meritano analisi profonde e un raffronto<br />
con l’operatività di gruppi storici come Amnesty<br />
international o Greenpeace, che hanno costruito parte<br />
del loro consenso anche sul modello di partecipazione<br />
condivisa alle campagne d’opinione, che vengono<br />
tuttavia attentamente vagliate prima della diffusione<br />
da legali operatori <strong>dei</strong> diritti umani, specialisti e dagli<br />
stessi attivisti. Qualcosa di strutturalmente diverso<br />
dall’idea di un web luogo di autorappresentazione<br />
degli utenti non mediato da alcuna struttura<br />
che Change.org sembra invece esprimere.
a cura di Valentina Neri | per segnalazioni scrivete a neri@valori.it<br />
REOOSE,<br />
IL WEB RISCOPRE IL BARATTO<br />
BACI DI TRAMA,<br />
LA MODA È “NATURALE”<br />
Dopo alcuni anni a lavorare come modellista e stilista<br />
per grandi aziende che delocalizzavano la produzione<br />
in Cina e India e trattavano anche pelli e pellicce, Susy<br />
Bonollo ha deciso di cambiare strada, assecondando<br />
la propria sensibilità ambientale. Da questa scelta,<br />
nel maggio del 2011, nasce “Baci di trama”, una linea<br />
di abbigliamento per donna («ma presto – anticipa –<br />
arriveranno anche i capi maschili») in materiali<br />
esclusivamente biologici: canapa, cotone bio, fibra<br />
di bambù, lana organica e nuove fibre ricavate dal mais<br />
e dall’ortica. Ogni modello è disegnato da lei e realizzato<br />
artigianalmente, al massimo in 50-60 capi, da piccoli<br />
produttori italiani che riescono a fatica a reggere alla<br />
concorrenza <strong>dei</strong> colossi industriali. Anche Susy Bonollo<br />
lo scorso settembre era a Milano, a So critical so fashion,<br />
ed è in contatto con i Gruppi di acquisto solidale che<br />
spesso organizzano piccole fiere del tessile etico.<br />
E auspica che in Italia si riesca a «coinvolgere sempre<br />
di più anche i non addetti ai lavori, per far comprendere<br />
il valore del biologico al pubblico più vasto possibile».<br />
www.baciditrama.it<br />
ELISABETTA ZAVOLI<br />
| TERRAFUTURA |<br />
Un sito dalla grafica accattivante che ricalca la struttura delle piattaforme di aste online.<br />
Ma c’è una differenza fondamentale: il denaro non compare mai. È Reoose, un portale che mette<br />
le potenzialità del web a disposizione della più antica delle forme commerciali: il baratto.<br />
L’idea nasce quando Luca e Irina acquistano un materasso sbagliato e, dopo inutili giri<br />
di telefonate, sono costretti a disfarsene. A partire da questo piccolo danno economico<br />
e ambientale progettano una vetrina virtuale in cui chiunque può esporre oggetti che non usa più.<br />
A ogni prodotto, a seconda della sua categoria, viene assegnato un certo “peso” in crediti:<br />
quando lo si cede a un altro utente dunque si guadagnano punti da usare per ottenere un altro<br />
oggetto. Oppure da donare a una Onlus, che ad esempio, racconta Luca, può essere «una casafamiglia<br />
che procura su Reoose un passeggino da donare a genitori in difficoltà». Il passaparola,<br />
la partnership con Banca Etica, un blog dedicato all’ambiente, ma soprattutto l’entusiasmo<br />
degli utenti: e, senza spendere un euro in pubblicità, nell’arco di poco più di un anno si è arrivati<br />
a 20 mila iscritti. Con il progetto – spiega Luca – di allargare il team e sbarcare all’estero.<br />
www.reoose.com<br />
WEB E AMBIENTE<br />
PER L’INSERIMENTO SOCIALE<br />
La recente normativa dell’Unione europea, recepita<br />
anche in Italia, impone di smaltire in modo corretto<br />
i Raee. La sigla sta per “rifiuti da apparecchiature<br />
elettriche ed elettroniche”: computer, elettrodomestici,<br />
cellulari e così via. In Emilia Romagna un ampio gruppo<br />
di soggetti pubblici e privati ha deciso di cogliere<br />
quest’opportunità ambientale e darle anche un valore<br />
sociale, affidando questo lavoro ai detenuti. Dopo una<br />
fase sperimentale finanziata dalla Regione con il Fondo<br />
sociale europeo, la partenza ufficiale è stata circa<br />
tre anni fa: attualmente undici ragazzi sono impiegati<br />
in tre laboratori gestiti da altrettante cooperative sociali<br />
a Forlì, Bologna e Ferrara. Ma l’iniziativa ha avuto anche<br />
un’inedita “svolta digitale”: a gestire il sito ufficiale,<br />
infatti, sono un ragazzo e una ragazza che stanno finendo<br />
di scontare la propria pena ai domiciliari. «Per noi la cosa<br />
più importante, insieme al valore ambientale,<br />
è responsabilizzarli il più possibile», spiega Barbara<br />
Bovelacci di Techne Forlì-Cesena, l’ente di formazione<br />
che segue i detenuti insieme a Cefal Bologna.<br />
«Cerchiamo di fornire loro competenze digitali, ma anche<br />
di comunicazione: in futuro dovranno relazionarsi<br />
con i giornalisti e fare ricerche su temi ambientali».<br />
www.raeeincarcere.org<br />
LA VIA D’USCITA ALLA CRISI?<br />
È “GREEN”<br />
Ormai giunto alla sua sedicesima edizione, Ecomondo<br />
si attesta tra gli appuntamenti fissi nel panorama<br />
italiano della green economy. A Rimini Fiera, dal 7 al 10<br />
novembre, ci sarà spazio per più di 150 eventi, collegati<br />
da un fil rouge di stretta attualità: qual è la via d’uscita<br />
alla crisi? Ecomondo propone una risposta: la green<br />
economy dev’essere al centro delle scelte di enti<br />
pubblici, imprese e cittadini, come volano per uno<br />
sviluppo sostenibile che garantisca nuove opportunità<br />
lavorative, soprattutto per i giovani. Sarà questo<br />
lo sfondo <strong>dei</strong> numerosi convegni, dedicati di volta<br />
in volta alla certificazione dell’impatto ambientale <strong>dei</strong><br />
prodotti, agli strumenti finanziari e ai fondi europei<br />
da cui gli enti locali possono attingere per investire<br />
nell’efficienza energetica, o ancora alle tecnologie per<br />
la tutela dell’ambiente nei Paesi in via di sviluppo.<br />
Ma si parlerà anche di Patto <strong>dei</strong> sindaci, compostaggio,<br />
raccolta differenziata. Saranno ospitati dalla fiera,<br />
inoltre, gli Stati generali della Green Economy promossi<br />
dal Ministero dell’Ambiente e coordinati dalla<br />
Fondazione Sviluppo Sostenibile.<br />
www.ecomondo.com<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 69 |
| ECONOMIAEFINANZA |<br />
a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it<br />
LA FINANZA<br />
RICHIEDE INFORMAZIONI E BUON SENSO<br />
Ugo Biggeri<br />
e Giulio Tagliavini<br />
Manuale di finanza<br />
popolare<br />
Eif e.Book, 2012<br />
IL POTERE<br />
DELLE AGENZIE DI RATING<br />
Il loro giudizio pesa sulle economie degli Stati e sulle<br />
finanze <strong>dei</strong> risparmiatori, può gettare nel panico mercati,<br />
banche e nazioni. La responsabilità che hanno Standard<br />
& Poor’s, Moody’s e Fitch, le tre agenzie di rating,<br />
nel massiccio spostamento di capitali è dunque enorme.<br />
Finiscono sulle prime pagine <strong>dei</strong> giornali perché il loro<br />
potere, alimentato da un mercato miliardario, è ancora<br />
grande, nonostante gli errori eclatanti fatti in passato.<br />
Come non ricordare le valutazioni su Parmalat e Cirio,<br />
o quelle sulla Lehman Brothers. Non si può ignorare<br />
il conflitto di interessi che caratterizza le agenzie<br />
di rating in quanto una parte del loro capitale è detenuto<br />
da fondi che sono presenti in molte società sparse per<br />
il mondo che poi vengono giudicate dalle agenzie stesse.<br />
Errori di cui non rispondono in termini di responsabilità<br />
perché si tratta di opinioni e non di pareri. Le agenzie<br />
di rating vanno dunque riformate partendo da alcuni<br />
principi come trasparenza, indipendenza e responsabilità.<br />
O ancor meglio imparare a farne a meno.<br />
Paolo Gila, Mario Miscali<br />
I signori del rating<br />
Bollati Boringhieri, 2012<br />
| 70 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
La prima cosa che rende questo libro un po’ speciale è che è gratuito perché distribuito con licenza<br />
Creative Commons (http://t.co/VSNV0i1T). Gli autori partono da una considerazione semplice<br />
ma fondamentale: poter disporre di qualche competenza finanziaria è importante per la tranquillità<br />
e il benessere quotidiano della propria famiglia. In un mercato finanziario complesso come quello<br />
di oggi e in un momento di contrazione del reddito, il risparmiatore deve fare due cose: informarsi<br />
in maniera corretta per farsi le domande giuste e usare il buon senso nelle scelte finanziarie,<br />
come dovrebbe fare il buon padre di famiglia. Gli strumenti formativi e informativi, caratterizzati<br />
da un taglio popolare, sono ancora insufficienti e questo incide sulla consapevolezza<br />
dell’investitore comune che nelle sue scelte si affida necessariamente senza conoscere i rischi<br />
a cui va incontro. A livello collettivo le conseguenze sono ancora più gravi, perché se il livello<br />
di educazione finanziaria non è curato ne deriva un livello di tranquillità generale più basso, sono<br />
necessari maggiori interventi pubblici a salvaguardia del welfare, i percorsi di formazione<br />
e di sviluppo personale si fanno più difficili e l’esposizione delle famiglie alle vicende negative<br />
delle situazioni di crisi è più grave.<br />
LA TERRA È DI TUTTI,<br />
SALVIAMOLA<br />
Stagionalità degli alimenti perduta e produzione agricola<br />
massificata, industrializzata, portata all’estremo e senza<br />
più alcun legame con l’ambiente, ortaggi che percorrono<br />
migliaia di chilometri prima di arrivare sulle nostre<br />
tavole, sementi ibride e geneticamente modificate<br />
diffuse a danno delle varietà locali. Senza contare lavoro<br />
nero, land grabbing e rischio Ogm, terreni esausti e falde<br />
acquifere sempre più contaminate da concimi chimici<br />
e pesticidi, la scomparsa delle api e gli allevamenti<br />
trasformati in fabbriche che non garantiscono<br />
comunque dai rischi sanitari (come influenza aviaria<br />
e “mucca pazza” insegnano). Il libro mette a nudo<br />
le crepe sempre più evidenti del modello di agricoltura<br />
convenzionale, ormai insostenibile al punto che, dagli<br />
anni ’50 ad oggi, ha visto crescere il costo <strong>dei</strong> fattori<br />
produttivi dal 50 all’80% del fatturato. Ma Davide<br />
Ciccarese, agronomo da anni impegnato nello sviluppo<br />
dell’agricoltura periurbana, nella realizzazione di fattorie<br />
didattiche e orti urbani, suggerisce anche un modello<br />
alternativo fondato su nuove parole dal sapore antico:<br />
prossimità, stagionalità, sovranità e sicurezza alimentari.<br />
Davide Ciccarese<br />
Il libro nero dell’agricoltura<br />
Ponte alle Grazie, 2012<br />
IL SAPER FARE ITALIANO<br />
NELLA CRISI<br />
È stato grazie ai distretti industriali che l’Italia per molti<br />
anni ha costruito la sua competitività sui mercati<br />
internazionali, coniugando culture locali e vantaggio<br />
competitivo in quei settori manifatturieri che molti<br />
economisti consideravano ormai destinati al declino.<br />
Il patrimonio di saperi artigianali, quel famoso “saper<br />
fare”, sedimentato nelle regioni italiane, è stato<br />
traghettato nell’economia globale attenta a cogliere<br />
il valore delle specializzazioni eccellenti. La domanda<br />
però non può essere elusa: che probabilità ha questo<br />
modello di confermare la sua validità in un contesto<br />
sempre più globalizzato e feroce come quello<br />
della crisi mondiale? Questo libro affida la risposta<br />
alla viva voce <strong>dei</strong> protagonisti, portando i lettori<br />
tra i distretti più famosi e dinamici. Un viaggio attraverso<br />
forme di aggregazione e di business che non hanno<br />
eguali nel mondo e rappresentano la spina dorsale<br />
del made in Italy, l’ultima carta vincente da giocarsi<br />
sui mercati esteri.<br />
Aa. Vv.<br />
Distretti<br />
Baldini & Castoldi, 2012
a cura di Michele Mancino | per segnalazioni scrivete a redazione@valori.it<br />
DIETRO I LICENZIAMENTI<br />
CI SONO LE PERSONE<br />
Marina Morpurgo<br />
Risorse disumane<br />
Astoria, 2012<br />
LEGGIAMO<br />
PER REINCANTARE IL MONDO<br />
The New Yorker l’ha definito “una lettera d’amore<br />
alla letteratura”. Per raccontare la felicità la giovane<br />
autrice di origine iraniana si fa accompagnare da<br />
Vladimir Nabokov, l’eroe letterario che le ha cambiato<br />
la vita, attraverso quindici capitoli corrispondenti<br />
ad altrettante idee di felicità: quella legata<br />
all’esperienza, al tempo, alla memoria, alla sensualità,<br />
all’amore e al linguaggio. Una storia della felicità, che<br />
parte dal piacere della lettura e dal confronto serrato<br />
con quei libri che ci cambiano la vita e, soprattutto, con<br />
chi li ha scritti. Perché l’ispirazione del romanziere<br />
è una magica estasi che gli permette di percepire<br />
passato, presente e futuro in un solo istante. E il lettore<br />
può toccare con mano questo miracolo che offre la gioia<br />
fanciullesca di meravigliarci delle piccole cose.<br />
Lila Azam Zanganeh<br />
Un incantevole sogno di felicità<br />
Nabokov, le farfalle e la gioia di vivere<br />
L’ancora del Mediterraneo, 2012<br />
| NARRATIVA |<br />
Tre donne vengono licenziate, all’improvviso. Prima della rabbia arriva la vergogna, perché<br />
se si è stati licenziati forse un motivo ci sarà. Poi arriva anche l’ansia: trovare un nuovo lavoro<br />
è difficile, c’è la famiglia e il mutuo da pagare. C’è anche la difficoltà di adattarsi ai nuovi ritmi<br />
di vita, dettati dal tempo liberato. Tutti quando lavorano sperano sempre di avere più tempo,<br />
ma quando il tempo a disposizione è troppo diventa un inferno. Trattandosi di tre lavoratrici<br />
intellettuali, non si limitano a voler capire cosa è successo e perché, ma decidono<br />
che importante è far capire, a chi questo licenziamento ha messo in atto, che licenziare forse<br />
non è la soluzione più brillante per far andar meglio le cose. Insomma, il responsabile<br />
va in qualche modo rieducato. Uno sguardo ironico e appassionato su un mondo travolto<br />
dalla crisi economica e dalle sue conseguenze. Un romanzo per resistere ai manager nell’era<br />
della crisi economica globale e riderci sopra.<br />
I CAMORRISTI CHE GUARDANO<br />
IL “GRANDE FRATELLO”<br />
Lo Zio è un boss della camorra con una passione<br />
patologica per il “Grande Fratello”. Non si perde una<br />
puntata del reality neanche quando è costretto a vivere<br />
in latitanza, braccato dall’agente di polizia Woody Alien,<br />
così soprannominato per la bruttezza intellettualoide,<br />
che potrebbe incastrarlo grazie a un misterioso<br />
informatore. Allora i guaglioni dello Zio arruolano<br />
un “bravo ragazzo” per mandargli un messaggio dalla<br />
casa del GF: il pusher Anthony, ventenne incensurato,<br />
ma in compenso lampadato, con le sopracciglia<br />
sagomate e depilato. Dopo un estenuante<br />
addestramento, Anthony riesce a superare il provino,<br />
entra nel cast e lancia un messaggio al boss. Stefano<br />
Piedimonte ha trovato un modo speciale<br />
di raccontare una realtà dura come quella napoletana:<br />
restituisce operai e manager del crimine ai loro gesti,<br />
ai loro tic, al loro linguaggio, alla loro infernale<br />
quotidianità, e proprio per questo li colpisce nel vivo.<br />
Stefano Piedimonte<br />
Nel nome dello Zio<br />
Guanda, 2012<br />
L’AMORE<br />
AI TEMPI DEL NAZISMO<br />
Ai tempi del nazismo c’era l’amore. C’era anche a Vienna<br />
durante l’Anschluss (annessione) del 1938. La bella<br />
e giovane Trudi Miller, apprezzata modista specializzata<br />
nella creazione di cappelli in un atelier per le donne più<br />
eleganti della città, si innamora di Walter, uomo d’affari<br />
affascinante. Il loro amore però dovrà fare i conti con<br />
l’antisemitismo e la persecuzione <strong>dei</strong> nazisti perché<br />
entrambi sono ebrei e quando le truppe tedesche<br />
entrano in Austria saranno costretti a fuggire. Trudi lotta<br />
con tenacia per difendere il suo amore e i suoi genitori,<br />
sapendo che ogni momento potrebbe essere fatale<br />
per il loro futuro. Un’incredibile storia di vita vissuta<br />
che da Vienna a Praga, dall’Est Europa fino alla Londra<br />
<strong>dei</strong> bombardamenti, racconta <strong>dei</strong> disperati tentativi<br />
compiuti da questa giovane donna per garantire<br />
un rifugio sicuro a sé e a Walter, per fuggire dagli orrori<br />
che hanno inghiottito l’Europa.<br />
Trudi Kanter<br />
Ragazze, cappelli e Hitler. Una storia d’amore<br />
edizioni e/o, 2012<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 71 |
| 72 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |
I nuovi laburisti inglesi<br />
“Ed il Rosso”<br />
e la fine del Liblairismo<br />
L<br />
o ha ripetuto per l’ennesima volta anche pochi giorni fa alla convention<br />
annuale di Manchester : l’appellativo di “Ed il Rosso” non gli piace. Il padre,<br />
accademico marxista nato in Belgio da genitori ebrei di origine polacca,<br />
ne sarebbe invece stato orgoglioso. E anche la madre probabilmente, anche<br />
se, come ha ricordato il quarantatreenne candidato nuovo primo ministro<br />
inglese, è troppo buona per fargliene<br />
una critica. D’altra parte, molte delle<br />
posizioni del “nuovo” New Labour su<br />
temi importanti come riforma delle<br />
pensioni, fisco o immigrazione non<br />
sono poi così diverse da quelle del<br />
tanto rinnegato Tony Blair. Tuttavia<br />
Ed Milliband, rilanciando a due anni<br />
dall’elezione a segretario l’idea di una<br />
“One Nation” fondata su più marcati<br />
principi solidaristici di equità e giustizia,<br />
ha impresso una svolta radicale<br />
al suo partito, con l’obiettivo di rimuovere<br />
tra gli elettori il ricordo di<br />
quel “Liblairismo” giudicato troppo<br />
debole con la City.<br />
Riformare il welfare, sostenere la<br />
crescita, mantenere la finanza pubblica<br />
sotto controllo non possono far dimenticare<br />
«il gap inaccettabile tra ricchi e<br />
poveri», ha sostenuto Milliband davanti<br />
a una platea entusiasta: qualsiasi governo<br />
dovrebbe chiedere «a chi ha di<br />
più di prendersi più e più grandi responsabilità<br />
e alle banche di servire il<br />
Paese e non di servirsene per i loro interessi».<br />
Il messaggio è arrivato a Londra<br />
come uno tsunami: o entro le prossime<br />
elezioni la City approverà autonomamente<br />
riforme sostanziali e si adeguerà<br />
alle raccomandazioni della commissione<br />
Vickers sullo scorporo delle attività<br />
di casinò banking – con tutto ciò che<br />
Il segretario del New Labour<br />
promette un cambio di rotta<br />
rispetto agli anni di Blair<br />
questo comporta – o lo farà, per decreto,<br />
il suo prossimo governo.<br />
E in molti, all’ombra di Westminster,<br />
guardando la soddisfazione dell’ex sindaco<br />
Ken Livingstone, lui sì fiero un<br />
tempo del soprannome di “Ken il Rosso”,<br />
hanno subito riattivato i canali lobbistici<br />
con il governo conservatore tanto che<br />
pochi giorni dopo, nel chiudere la sua<br />
convention dal palco della vicina Birmingham,<br />
l’attuale primo ministro Cameron<br />
non ha speso neanche una parola<br />
sul ruolo delle banche e sulle tante<br />
riforme mancate del settore finanzia-<br />
| bancor |<br />
dal cuore della City Luca Martino<br />
rio, perdendo forse quei punti di consenso<br />
decisivi nella sua rincorsa al voto<br />
in libera uscita <strong>dei</strong> Liberal Democratici.<br />
I rischi per Milliband non sono pochi,<br />
tra tutti quello di avvantaggiare<br />
concorrenti europei in un settore strategico<br />
per il Regno Unito, con possibili ricadute<br />
negative su molti altri settori<br />
economici. Inoltre, dal punto di vista<br />
delle relazioni con i partner d’Oltremanica,<br />
pesano i timori per l’esito, tutt’altro<br />
che scontato, delle elezioni in Italia e<br />
Germania. Ma l’aspirazione di Milliband<br />
è ambiziosa: riportare al centro dell’azione<br />
di governo alcuni <strong>dei</strong> valori fondanti<br />
della politica e della società britannica<br />
fin dai tempi dell’epopea vittoriana.<br />
Centociquanta anni fa fu Benjamin<br />
Disraeli, un conservatore tutto d’un pezzo,<br />
a promuovere per primo l’idea della<br />
“One Nation” sulla quale punta oggi “Ed<br />
il Rosso”: in un suo celebre discorso a difesa<br />
del Cartismo (il primo movimento<br />
politico di massa del mondo al quale il<br />
Regno Unito deve, tra l’altro, l’adozione<br />
del suffragio universale) Disraeli intimò,<br />
a chi nel suo partito appariva quasi<br />
esclusivamente alla ricerca spasmodica<br />
e confusa del benessere materiale,<br />
che «il potere ha uno e un solo dovere,<br />
quello di assicurare il benessere sociale<br />
di tutta la comunità». <br />
todebate@gmail.com<br />
| ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 | valori | 73 |
FONTE: THOMSON REUTERS<br />
| action! |<br />
L’AZIONE IN VETRINA KRAFT<br />
10 ott 2012: KFT-U.TI 21,15 ^DJI 13485,97<br />
30%<br />
25%<br />
20%<br />
15%<br />
10%<br />
5%<br />
0%<br />
-5%<br />
-10%<br />
-15%<br />
Kraft, cose buone dal mondo. Incartate,<br />
inscatolate, avviluppate da rotoli<br />
di alluminio, plastica colorata, mucche<br />
viola e in gelatina. Alla fine tutti rifiuti<br />
che, nella migliore delle ipotesi, gonfiano i<br />
sacchi del secco e, nella peggiore, finiscono<br />
indistintamente in discarica, sul ciglio della<br />
strada o galleggiano fieri sui greti di ruscelli<br />
montani. Ecco, se si iniziasse a ridurre questa<br />
pletora di scatole e scatolette, sacchi e<br />
sacchetti, forse ne trarremmo tutti un po’ di<br />
beneficio: l’aria, l’acqua, ma anche la stessa<br />
Kraft, che risparmierebbe qualche dollaro di<br />
materiali, dopo averne spesi milioni per<br />
cambiare il brand aziendale da Kraft a Mondelez<br />
(googlare per credere). All’azienda lo<br />
hanno fatto notare gli azionisti critici di As<br />
You Sow, associazione non profit californiana<br />
che prende il nome da un passo della Bibbia<br />
(“Quello che tu semini, raccogli”, Galati<br />
6:7). Per ora ha raccolto il 25,6% <strong>dei</strong> voti degli<br />
azionisti. Non sono bastati per far passare la<br />
mozione sugli imballaggi, ma è già un buon<br />
risultato. Avanti così seminatori californiani.<br />
Un giorno, grazie a voi, il sacco del secco<br />
potrebbe diventare più leggero. <br />
| 74 | valori | ANNO 12 N. 104 | NOVEMBRE 2012 |<br />
Il rendimento in Borsa di Kraft negli ultimi dodici mesi (in marrone, +27%)<br />
confrontato con l’indice Eurostoxx 50 (in arancio, +17%%)<br />
2011 Dic 2012 Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott<br />
Kraft: meno imballaggi,<br />
meno rifiuti a cura di Mauro Meggiolaro<br />
L’AZIONISTA DEL MESE<br />
UN’IMPRESA AL MESE<br />
As You Sow www.asyousow.org<br />
Sede San Francisco, California, Usa<br />
Tipo di società Organizzazione non profit per la tutela dell'ambiente e <strong>dei</strong> consumatori. Dal 1992 promuove campagne<br />
di educazione sulla presenza di sostanze chimiche tossiche nei prodotti di consumo (alimentari, giocattoli, ecc.).<br />
Alla formazione <strong>dei</strong> consumatori si accompagnano, dal 1997, iniziative di azionariato critico nei confronti di imprese<br />
che violano i diritti <strong>dei</strong> consumatori o norme ambientali.<br />
Asset gestiti As You Sow non gestisce patrimoni<br />
L’azione su Kraft As You Sow ha presentato una mozione all’assemblea di Kraft chiedendo alla società<br />
di adottare una politica di riduzione del packaging per diminuire la quantità di rifiuti e le emissioni di CO2.<br />
La mozione è stata votata dal 25,6% degli azionisti.<br />
Altre iniziative Nel 2012 As You Sow ha presentato mozioni alle assemblee di 11 imprese su una serie di temi:<br />
riduzione <strong>dei</strong> rifiuti elettronici, rischi collegati allo shale gas e all'estrazione di carbone.<br />
Kraft www.kraft.com<br />
Sede Northfield, Illinois Usa Borsa Nasdaq<br />
Rendimento negli ultimi 12 mesi +27%<br />
Attività La Kraft Foods Inc. è la più grande azienda alimentare dell’America settentrionale e la seconda più grande<br />
al mondo dopo la Nestlé. È nota ai consumatori per le cioccolate Milka e Cadbury, i biscotti Lu, le caramelle Halls<br />
e il formaggio Philadelphia.<br />
Azionisti principali Società a capitale diffuso. State Street (7,81%); Capital Research Global Investors (7,33%);<br />
Vanguard Group (6,38%); Warren Buffett (5,07%).<br />
Perché interessa agli azionisti responsabili? Kraft è stata spesso criticata dai consumatori e dagli azionisti<br />
attivi perché per un lungo periodo (1988-2007) il maggiore azionista della società è stato il colosso del tabacco<br />
AltriaPhilip Morris. Oggi Altria non detiene più alcun interesse in Kraft. Kraft è considerata una delle imprese più<br />
responsabili nel settore alimentare.<br />
2011 2011<br />
Ricavi [Miliardi di dollari] 54,36 Utile [Miliardi di dollari] 3,55<br />
Numero dipendenti 126.000