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L'elleboro, fiore della saggezza - Banca Popolare di Sondrio

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in in Valtellina Valtellina<br />

e Valchiavenna<br />

Valchiavenna


in in Valtellina Valtellina<br />

e Valchiavenna<br />

Valchiavenna<br />

125<br />

1996<br />

o 1871


Coor<strong>di</strong>natori dell’opera:<br />

LUCIANO GIACOMELLI<br />

WALTER TOGNO<br />

Realizzazione e stampa:<br />

POLIGRAFICHE BOLIS s.p.a. - Bergamo<br />

Fotografie <strong>di</strong>:<br />

LUCIANO GIACOMELLI<br />

EMILIO MARCASSOLI<br />

CARLO MARCONI<br />

ADRIANO TURCATTI<br />

FRANCO VALOTI<br />

Disegni <strong>di</strong>:<br />

MARIALUISA LAFAYETTE<br />

© 1996<br />

BANCA POPOLARE DI SONDRIO<br />

I <strong>di</strong>ritti sono riservati per tutti i Paesi.


La <strong>Banca</strong> <strong>Popolare</strong> <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong> in occasione <strong>della</strong> fausta ricorrenza<br />

del 125° <strong>di</strong> sua fondazione offre ai lettori questa pubblicazione piena<br />

<strong>di</strong> fragranze <strong>della</strong> terra dove è nata, vive e opera.<br />

La conoscenza delle proprie ra<strong>di</strong>ci – storiche, ambientali e socioeconomiche<br />

– non solo rappresenta l’elemento basilare per crescere<br />

e svilupparsi in armonia con la realtà che ci circonda, ma tempra<br />

l’uomo per affrontare realtà <strong>di</strong>verse, talora lontane, nei meandri<br />

delle quali è facilissimo perdersi in mancanza <strong>di</strong> una precisa<br />

identità culturale.<br />

La <strong>Banca</strong> <strong>Popolare</strong> <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong>, nata nel lontano 1871 come banca<br />

a carattere locale e via via trasformatasi fino a <strong>di</strong>venire ai giorni nostri<br />

una realtà sovraregionale e recentissimamente – a seguito <strong>della</strong><br />

costituzione <strong>della</strong> <strong>Banca</strong> <strong>Popolare</strong> <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong> (Suisse) SA con sede<br />

a Lugano, nella vicina Confederazione Elvetica – internazionale, ha<br />

sempre de<strong>di</strong>cato a questo aspetto, con pubblicazioni <strong>di</strong> varia natura<br />

e, dal 1973, con la rivista quadrimestrale Notiziario, un’attenzione<br />

del tutto particolare.<br />

Conoscersi per conoscere meglio gli altri; per acquisire ciò che a<br />

noi manca, ma soprattutto per dare agli altri ciò che la nostra matrice<br />

montanara, da sempre a cavallo <strong>di</strong> culture e tra<strong>di</strong>zioni eterogenee,<br />

ha saldamente impresso in un «co<strong>di</strong>ce genetico» dal quale<br />

traspaiono voglia <strong>di</strong> fare, cortesia, buon senso e lungimiranza.<br />

L’ambiente naturale nel quale abbiamo avuto la fortuna <strong>di</strong> nascere,<br />

e al quale molto dobbiamo del nostro carattere, merita certamente<br />

<strong>di</strong> essere portato a conoscenza <strong>di</strong> soci, clienti e amici; la<br />

penna <strong>di</strong> Gigliola Magrini, una vita de<strong>di</strong>cata soprattutto agli aspetti<br />

naturalistici visti nella loro più ampia accezione, non ha bisogno <strong>di</strong><br />

essere presentata, tanti sono i libri che ha dato alla luce sull’argomento,<br />

tante le collaborazioni ai più importanti quoti<strong>di</strong>ani e perio<strong>di</strong>ci<br />

nazionali e, perché no?, tante le schede realizzate per il nostro<br />

Notiziario da oramai un ventennio.<br />

Buona lettura, quin<strong>di</strong>, e una raccomandazione: cogliamo, assieme al<br />

colore e al profumo dei fiori e delle erbe me<strong>di</strong>cinali, il senso profondo<br />

e talvolta imperscrutabile <strong>della</strong> natura <strong>di</strong> montagna, il ripetersi<br />

ogni anno, nonostante i duri colpi inferti all’ambiente dal nostro<br />

mondo tecnologico e consumistico, <strong>della</strong> magia dello sbocciare <strong>di</strong> un<br />

timido e umile <strong>fiore</strong>.<br />

<strong>Sondrio</strong>, 15 gennaio 1996


Due Valli da conoscere<br />

Inquinamento, piogge acide e smog stanno lentamente, inesorabilmente<br />

cancellando colori e bellezza da ampie zone <strong>della</strong> Terra, Italia<br />

compresa, tanto da rendere irriconoscibili luoghi che un tempo<br />

erano il simbolo stesso <strong>della</strong> suggestione paesaggistica.<br />

Non sempre è così per fortuna, non è così ovunque.<br />

La Natura, in molti luoghi conserva il suo manto verde, la sua ricchezza<br />

<strong>di</strong> fiori, <strong>di</strong> preziose erbe curative e anche il patrimonio <strong>di</strong> cultura,<br />

tra<strong>di</strong>zioni, leggende e costumi che sono una sola cosa con la Storia<br />

dell’uomo.<br />

La Valtellina e la Valchiavenna sono due <strong>di</strong> questi siti straor<strong>di</strong>nari, <strong>di</strong><br />

queste oasi incontaminate che, al pari <strong>di</strong> un forziere, attendono soltanto<br />

<strong>di</strong> svelare il loro tesoro.<br />

Tutto questo comporta una ricerca, un’attenzione, un’indagine molto<br />

precise e sottili, qualche volta al limite <strong>della</strong> pignoleria, ma pur<br />

sempre lungo il sentiero <strong>di</strong>ritto e chiaro <strong>della</strong> scienza.<br />

Per conoscere le creature vegetali che vivono nei boschi <strong>di</strong> queste<br />

Valli, l’una naturale letto <strong>di</strong> uno stupendo fiume, l’Adda, abbiamo<br />

coinvolto poeti e scrittori, nostrani o stranieri, perché suggellassero<br />

con parole più alte delle nostre quanto andavamo scoprendo <strong>di</strong> radura<br />

in radura, <strong>di</strong> pen<strong>di</strong>o in pen<strong>di</strong>o, fra l’una e l’altra baita, fra questa<br />

o quella macchia arborea.<br />

Questo volume, dunque, vuol essere un incontro, visto sotto ogni<br />

possibile aspetto, fra il nostro amore per le bellezze naturali e l’ecologia<br />

<strong>di</strong> queste Valli dove si respira davvero un’aria <strong>di</strong>versa, dove<br />

la vita si snoda secondo un ritmo che è <strong>di</strong>fficile riconoscere in altri<br />

luoghi.<br />

La Valtellina e la Valchiavenna hanno <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> essere scoperte e<br />

ammirate, passo dopo passo, da questa a quella «buona erba», da una<br />

corolla all’altra, percorrendo un ideale itinerario che comincia sui<br />

monti e piano piano conduce alla pianura.<br />

Un itinerario da percorrere insieme, così, pagina dopo pagina.<br />

GIGLIOLA MAGRINI


I FIORI


«Vuoi regalarmi un momento <strong>di</strong><br />

gioia perfetta? Portami lassù, al<br />

margine dei nevai, in un giorno <strong>di</strong><br />

sole, quando è già fiorita la<br />

soldanella e il vento la sfiora per<br />

farsi raccontare chissà quali<br />

segreti».<br />

Peter McNeil<br />

La soldanella, simbolo <strong>di</strong> grazia<br />

Appartenente alla famiglia delle Primulacee, questa deliziosa specie, sicuramente<br />

una delle più graziose fra tutte le piante alpine, deve il suo nome con ogni<br />

probabilità alla ra<strong>di</strong>ce etimologica da cui deriva anche la parola «soldo». Simbolo<br />

<strong>di</strong> questa specie è il «risveglio dell’amore»; infatti, la soldanella spunta<br />

quando la neve non si è del tutto <strong>di</strong>sciolta, ma già cominciano ad apparire le<br />

prime chiazze erbose al margine dei pascoli e lungo i sentieri.<br />

La più <strong>di</strong>ffusa tra le specie che compongono il genere Soldanella è la Soldanella<br />

alpina o soldanella (in francese soldanelle des Alpes, in inglese blue moonwort<br />

e anche alpine snowbell, in tedesco alpenglöckchen); presenta lievi ed eleganti<br />

corolle pendule, a campanula, dai petali frangiati, <strong>di</strong> un inconfon<strong>di</strong>bile azzurro-lilla,<br />

assai simile a quello delle glicini. Il colore dei fiori è messo in maggior<br />

risalto dal bruno-rossastro dei peduncoli che possono essere alti da 5 a 15 centimetri.<br />

Le foglie formano rosetta presso il suolo, sono rotondo-reniformi e<br />

piuttosto carnosette. La soldanella fiorisce per un periodo abbastanza breve<br />

e la si può trovare fra 1000 e 2500 metri, ma in con<strong>di</strong>zioni particolari può vegetare<br />

anche verso i 3000. È presente nella flora spontanea <strong>di</strong> quasi tutta Europa,<br />

Pirenei e Balcani compresi, e la si può trovare anche sull’Appennino.<br />

La ra<strong>di</strong>ce <strong>della</strong> soldanella viene usata per preparare un decotto ad azione<br />

purgativa <strong>di</strong> notevole efficacia.<br />

A parte queste notizie <strong>di</strong> carattere scientifico-tecnico, la soldanella merita senz’altro<br />

un ulteriore commento relativo alla sua fragile bellezza, valorizzata anche dal<br />

particolare momento <strong>della</strong> fioritura <strong>di</strong> questa minuscola specie alpina.<br />

È fragile soltanto in apparenza, visto che ha la forza <strong>di</strong> sopportare le rigide<br />

temperature dell’alta montagna e <strong>di</strong> dar vita alla nuova vegetazione quando<br />

il suolo è ancora coperto <strong>di</strong> neve.<br />

Certo è un’emozione scorgere un tappeto <strong>di</strong> soldanelle affioranti dallo strato<br />

<strong>di</strong> vecchia erba, là dove il sole comincia a sciogliere la coltre nevosa.<br />

Soltanto i crochi possono eguagliare la soldanella nello sfidare il<br />

freddo, il gelido vento <strong>di</strong> tramontana che non <strong>di</strong> rado a fine inverno<br />

corre tra cima e cima, radente e impetuoso. Può portare un’ultima<br />

nevicata, può servire a ripulire il cielo da nubi e foschia, ma<br />

è probabile che serva anche alla Soldanella per capire che la buona<br />

stagione non è poi così lontana.<br />

Può sembrare assurdo che la Natura costringa le corolle simbolo del «risveglio<br />

d’amore» ad affrontare freddo e intemperie, ma la ragione esiste ed<br />

è molto importante: mentre in montagna il termometro segna ancora temperature<br />

piuttosto basse, l’orologio biologico che regola il ritmo esistenziale<br />

<strong>di</strong> alcuni insetti li induce a riprendere la normale attività, i «voli <strong>di</strong> ricerca»<br />

delle corolle ricche <strong>di</strong> polline.<br />

Se la soldanella non fosse ancora fiorita, molte specie <strong>di</strong> insetti finirebbero per<br />

soccombere, non porterebbero a termine il loro compito <strong>di</strong> trasportatori <strong>di</strong><br />

polline, operazione che garantisce la continuità e la propagazione delle specie<br />

vegetali in genere e <strong>di</strong> quelle alpine in particolare che sono sempre in<br />

numero ridotto e vivono in con<strong>di</strong>zioni ambientali piuttosto <strong>di</strong>fficili.<br />

È come <strong>di</strong>re che la soldanella rappresenta un importante<br />

anello <strong>di</strong> congiunzione e <strong>di</strong> continuità nel mosaico<br />

<strong>di</strong> vite, <strong>di</strong> piccole esistenze che, nel loro insieme,<br />

rappresentano il mondo complesso e affascinante <strong>di</strong><br />

un habitat fra i più interessanti che esistano, quello<br />

<strong>della</strong> montagna.<br />

Lassù crescono maestose le conifere, allargano i loro rami, querce<br />

e faggi, maturano frutti deliziosi e fiorisce anche la soldanella,<br />

simbolo del «risveglio d’amore» e anche del ritorno dell’incantata stagione<br />

che chiamiamo primavera.<br />

10


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Soldanella<br />

Nomi popolari: campanella <strong>della</strong> luna,<br />

campanella <strong>della</strong> neve, riflesso blu<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale; è presente<br />

sulle Alpi e sugli Appennini<br />

Famiglia: Primulacee; riunisce <strong>di</strong>ciotto specie,<br />

<strong>di</strong> cui quattro sono spontanee in Italia:<br />

Soldanella alpina, Soldanella minima,<br />

Soldanella pusilla e Soldanella montana<br />

11<br />

Fiori: campanulati, fimbriati, azzurro-viola-rosa,<br />

penduli<br />

Caratteristiche: pianticelle alte da cinque a 15<br />

centimetri, con foglie basali, rotondo-reniformi,<br />

consistenti. I fiori sono sorretti da peduncoli<br />

robusti, rossastri. Non sono note particolari<br />

proprietà me<strong>di</strong>cinali<br />

Etimologia: il nome soldanella deriva dal latino<br />

solidus e dal volgare soldus, una moneta d’oro<br />

del tempo <strong>di</strong> Costantino, per ricordare la forma<br />

<strong>della</strong> foglie delle soldanelle


«Quando il ministro Disraeli si<br />

inginocchiò <strong>di</strong>nnanzi alla regina<br />

Vittoria <strong>di</strong> Inghilterra, si era nel<br />

1877, per offrirle la corona delle<br />

In<strong>di</strong>e, si vide porgere dalla sovrana,<br />

come gesto simbolico un mazzolino<br />

<strong>di</strong> primule».<br />

Primula, regina <strong>di</strong> primavera<br />

Il nome scientifico del genere Primula deriva dal latino «primus» a in<strong>di</strong>care la<br />

precoce fioritura <strong>della</strong> specie più <strong>di</strong>ffusa, la Primula vulgaris che spunta dal<br />

terreno al primo accenno <strong>di</strong> tepore, non appena la neve accenna a sciogliersi.<br />

Il simbolo legato a queste piante è la «giovinezza», sempre in riferimento al<br />

periodo dell’anno in cui queste corolle si schiudono con maggior rigoglio, letteralmente<br />

ricoprendo pen<strong>di</strong>i e scarpate.<br />

Fra le specie più tipiche <strong>della</strong> flora alpina italiana vi sono senz’altro le primule,<br />

presenti sul nostro territorio con una decina <strong>di</strong> specie, quasi tutte <strong>di</strong> tipo<br />

erbaceo, dalla fioritura sempre interessante e vistosa, spesso caratterizzate da<br />

non trascurabili virtù officinali, ossia curative, grazie alla presenza <strong>di</strong> saponina<br />

e <strong>di</strong> due glucosi<strong>di</strong> (primaverina e primulaverina) sostanze che vantano proprietà<br />

neurotoniche, antireumatiche, espettoranti e sudorifere.<br />

In modo particolare nelle valli che fanno corona a <strong>Sondrio</strong>, è possibile trovare<br />

le seguenti specie dai fiori dorati: Primula veris, Primula elatior, Primula farinosa,<br />

Primula minima, Primula latifolia, Primula vulgaris.<br />

La Primula veris, o primula odorata (in francese primevère officinale, in inglese<br />

covslip, in tedesco himmelschüssel) ha fiori color giallo chiaro, odorosi, portati<br />

da un lungo scapo che può raggiungere anche 30 centimetri <strong>di</strong> altezza; la<br />

sua fioritura inizia verso fine marzo-aprile e continua sino a giugno, a seconda<br />

<strong>della</strong> maggiore o minore esposizione al sole; preferisce i terreni asciutti e i tratti<br />

aperti, meglio se protetti dal vento da una corona <strong>di</strong> alberi o arbusti. La sua<br />

presenza abbraccia una larga fascia: dalle alture collinari sino ai duemila metri<br />

circa, su un’area quanto mai vasta che corre dalla Spagna al Caucaso e in<br />

Asia sino in Siberia e ai monti Altai.<br />

La Primula elatior, o primula maggiore (in francese primevère élevée, in inglese<br />

true oxlip, in tedesco hohe schlüsselblume) comincia a fiorire un po’ dopo la<br />

Primula veris, con fiori ad ombrella, giallo vivo, e pre<strong>di</strong>lige i suoli calcarei, freschi<br />

e umi<strong>di</strong>, ad altezze che variano da cento a 2200 metri. Questa primula è<br />

presente dai Pirenei al Caucaso e anche in Asia, su tutta la catena alpina e buona<br />

parte dell’Appennino.<br />

La Primula farinosa o primula impolverata (in francese primevère farineuse, in<br />

inglese birdseye primrose, in tedesco mehl primel) fiorisce da maggio ad agosto<br />

con ombrelle <strong>di</strong> corolle rosa-lilla portate da un lungo stelo che si innalza sopra<br />

una rosetta <strong>di</strong> foglie dalla pagina inferiore biancastra, quasi fosse coperta <strong>di</strong> farina.<br />

La preferenza <strong>di</strong> questa specie va al terreno umido, <strong>di</strong> natura torbosa, fra<br />

gli 800 e 2500 metri, sia sulla corona alpina che sugli Appennini. È una specie<br />

<strong>di</strong>ffusa un po’ in tutto il mondo e soprattutto sulle Ande, dal Cile alla Patagonia.<br />

La Primula minima o primula ventaglina (in francese petite primevère, in inglese<br />

least primrose, in tedesco zwerg primel) è una specie graziosissima,<br />

alta pochi centimetri, con strane foglie dentate che paiono minuscoli<br />

rastrelli e corolle rosa-viola a fauce bianca; fiorisce da giugno a luglio<br />

ed è tipica delle Alpi Retiche anche se è presente sui Carpazi<br />

e su alcuni rilievi dei Balcani.<br />

La Primula latifolia o primula vischiosa (in francese primevère<br />

hirsute, in inglese viscous primrose, in tedesco<br />

klebrige primel) è un’altra specie del genere <strong>di</strong> cui ci stiamo<br />

occupando, fra le più tipiche <strong>della</strong> zona che si stende attorno alle Alpi<br />

Retiche e, quin<strong>di</strong>, delle vallate che fanno corona alla Valtellina. Questa primula,<br />

che normalmente vive tra i 1500 e i 2700 metri, in Enga<strong>di</strong>na e sul<br />

Rosa può fare la sua apparizione anche intorno ai 3000 metri, proprio<br />

in virtù <strong>della</strong> consistenza delle sue foglie, che sono spesse e<br />

vischiose, dei fiori che formano ombrelle compatte e raccolte<br />

e che aderendo al suolo ottengono una valida protezione contro<br />

il vento e i rigori del clima.<br />

12


Qui sotto: Primula minima e Primula elatior.<br />

A destra: Primula veris e Primula vulgaris.<br />

La Primula vulgaris o primula minore (in francese coucou à grandes fleurs, in<br />

inglese common primrose, in tedesco stengellose primel) è fra le specie più <strong>di</strong>ffuse<br />

e precoci, con corolle sorrette da esili peduncoli che nascono <strong>di</strong>rettamente<br />

dal terreno e foglie reticolate e bollose. I fiori sono gialli con piccole macchie<br />

più scure alla base dei petali. Questa primula, che nasce spontanea anche in<br />

pianura, è frequentissima sui pen<strong>di</strong>i alpini in buon sole; desidera terreno non<br />

troppo asciutto, soffice e ricco.<br />

Fra le più tipiche piante erbacee delle nostre montagne la famiglia delle primule<br />

13


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Primula<br />

Nomi popolari: primaverula, filadora, orecchio<br />

d’orso giallo, gialut, conterba, pestelacie<br />

Origine: Europa<br />

Famiglia: Primulacee<br />

Fiori: gialli, rosa, bianchi, rossi, porpora, blu,<br />

a cinque petali. Hanno forma <strong>di</strong>versa a<br />

seconda <strong>della</strong> specie e possono fiorire alla fine<br />

dell’inverno a primavera avanzata<br />

Caratteristiche: pianticelle erbacee perenni,<br />

alte da 10 a 30 centimetri, con foglie a<br />

rosetta, verde chiaro, crespate, con i margini<br />

dentati o ondulati e la pagina inferiore coperta<br />

da lieve peluria; le corolle possono essere<br />

sorrette da un lungo peduncolo o da un breve<br />

picciolo<br />

Etimologia: il nome deriva dal latino primus,<br />

primo, a in<strong>di</strong>care la comparsa precoce dei<br />

fiori, non appena finisce il gelo invernale<br />

è senz'altro una delle più interessanti e numerose, caratterizzata da fioriture<br />

intense, in vari colori, che si susseguono dai primi tepori sino alla calda parentesi<br />

estiva recando una nota <strong>di</strong> freschezza e <strong>di</strong> leggiadria fra le rocce o al margine<br />

dei boschi, sulle prode erbose o negli anfratti dei canaloni, fra cuscini <strong>di</strong><br />

muschio e l’intrico degli arbusti.<br />

Si tratta <strong>di</strong> specie che, pur nella delicata fragilità delle corolle e nel tenero tessuto<br />

fogliare, <strong>di</strong>mostrano grande resistenza agli agenti atmosferici, buona adattabilità<br />

alla natura del terreno e una <strong>di</strong>screta attività riproduttiva, sia attraverso<br />

la propagazione per seme sia per la germinazione <strong>di</strong> nuovi cespi accanto alle<br />

piante-madri.<br />

Malgrado tutte queste positive caratteristiche, esistono alcune specie <strong>di</strong> primule<br />

che in determinate zone, a causa del clima, <strong>di</strong> particolari fenomeni <strong>di</strong><br />

inquinamento o per l’irresponsabilità <strong>di</strong> quanti raccolgono i fiori spontanei<br />

senza riflettere sulle conseguenze <strong>di</strong> questo inutile vandalismo, hanno necessità<br />

<strong>di</strong> essere severamente protette.<br />

In modo particolare, l’Amministrazione provinciale <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong> ha redatto (in<br />

base alla delibera numero 18438 e alla legge regionale numero 33) un elenco <strong>di</strong><br />

specie da <strong>fiore</strong> «protette» che comprende tutte le primule a <strong>fiore</strong> rosso – ormai<br />

piuttosto rare – e l’auricola che è tra le meno <strong>di</strong>ffuse. Le sanzioni pecuniarie per<br />

chi trasgre<strong>di</strong>sce questa or<strong>di</strong>nanza vanno da lire 80 mila a 800.000 lire e non rimane<br />

che augurarsi che la sorveglianza delle autorità sia fra le più severe, tale<br />

da assicurare la sopravvivenza del patrimonio floricolo alpestre la cui presenza<br />

riveste un ruolo essenziale nella catena biologica che con<strong>di</strong>ziona l’habitat e la<br />

sfera ecologica <strong>della</strong> Valtellina.<br />

Nelle righe precedenti, ci siamo soffermati a descrivere soprattutto le primule<br />

a <strong>fiore</strong> giallo, che sono le più comuni e le più note, mentre ora desideriamo<br />

soffermarci su cinque specie dalle corolle rosa intenso o violetto che per la loro<br />

14


Primula viscosa. A sinistra: Primula farinosa. rarità sono senz’altro da includere fra le primule «a <strong>fiore</strong> rosso» e quin<strong>di</strong> da<br />

salvaguardare con il massimo scrupolo.<br />

Cominciamo col descrivere la Primula daonensis, dai fiori rosa vivo o lilla, che<br />

sbocciano in maggio in mazzetti sostenuti da steli alti una decina <strong>di</strong> centimetri.<br />

Le foglie sono <strong>di</strong> un bel verde vivo, lanceolate, con pochi denti all’apice,<br />

quasi glabre. Questa primula, nota anche come orecchia d’orso <strong>della</strong> val Daone,<br />

cresce esclusivamente su terreno siliceo, sassoso, fra 1600 e 2800 metri, ed<br />

è endemica dell’area che comprende i gruppi dell’Ortles e del Cevedale, dell’Adamello<br />

e <strong>della</strong> Presanella (dalla val Daone sino alla valle dell’Inn) delle Prealpi<br />

bresciane e delle Alpi Orobiche.<br />

Assai simile alla precedente la Primula rubra (sinonimo Primula hirsuta) che<br />

15


In senso orario: Primula glutinosa, daonensis,<br />

hirsuta, integrifolia.<br />

volgarmente viene chiamata orecchia d’orso pelosa. Le corolle sono rosa-lillaporpora,<br />

con la gola bianca, e appaiono fra maggio e luglio, su terreni silicei, fra<br />

le rocce, tra 1200 e 2800 metri. In qualche caso essa compare ad altitu<strong>di</strong>ni maggiori,<br />

anche verso i 3500 metri. La caratteristica più saliente <strong>di</strong> questa pianta sta<br />

nelle foglie, fortemente vischiose, sulla cui superficie gli insetti restano imprigionati.<br />

L’area geografica che ospita la rubra è molto vasta e corre dai Pirenei alle<br />

Alpi, a cominciare da quelle orientali per finire in Austria sui monti Tauri.<br />

La Primula glutinosa presenta corolle blu-violetto, profumate, che si schiudono<br />

in maggio-giugno. Le foglie sono oblunghe, lanceolate, con margini cartilaginosi<br />

e superficie vischiosa. È possibile ammirare questa delicata primula<br />

su buona parte <strong>della</strong> corona alpina, con una decisa preferenza per le<br />

cime tirolesi e qualche zona delle Alpi centrali. Ne esiste una varietà a fiori<br />

bianchi.<br />

La Primula integrifolia è, fra le specie <strong>di</strong> questo genere, una delle più «compatte»<br />

visto che gli steli che sorreggono i fiori sono alti al massimo sei-sette centimetri.<br />

Le corolle sono rosa-lilla (raramente bianche), fioriscono in estate, in<br />

piccoli ciuffi. Le foglie sono ellittiche, lunghe due o tre centimetri, dai bor<strong>di</strong><br />

interi, lievemente pelose. Oltre che sulle nostre montagne, la integrifolia è reperibile<br />

sui Pirenei.<br />

Conclude la nostra breve carrellata la Primula viscosa o primula vischiosa, che<br />

appare in maggio-giugno, in posizione riparata e su terreni rocciosi, con corolle<br />

profumate, violette, sorrette da steli alti anche 15-20 centimetri. Le foglie sono<br />

ovali-lanceolate, lunghe una decina <strong>di</strong> centimetri, irregolarmente dentate e un<br />

poco accartocciate. Questa primula è particolarmente frequente sui monti<br />

<strong>della</strong> Savoia, sulle montagne svizzere e sui Pirenei mentre in Valtellina è reperibile<br />

solo nelle zone meno frequentate.<br />

16


«Spunta fra le rocce come un soffio<br />

rosa, come l’impronta <strong>di</strong> un bacio,<br />

come un sospiro <strong>di</strong> nostalgia, <strong>di</strong><br />

una tenera voluttà».<br />

Gabriele d’Annunzio<br />

L’armeria, un fiocco rosa tra le rocce<br />

Appartiene a una famiglia molto numerosa, quella delle Plumbaginacee, che<br />

comprende circa 500 generi e – in particolare – il genere Armeria, costituito da<br />

forse 50 specie, quasi sempre perenni, <strong>di</strong> cui alcune tipiche delle regioni montane.<br />

Fra le cinquanta specie <strong>di</strong> armeria quella che più ci interessa è l’Armeria montana<br />

(sinonimo Armeria alpina) che è una delle piante più caratteristiche e<br />

graziose fra quante ne fioriscono tra le rupi, ove il minimo anfratto o la più<br />

piccola fessura consentono l’accumulo <strong>di</strong> terriccio e detriti con conseguente<br />

formazione <strong>di</strong> humus.<br />

Nota anche come brillantini lisci, armeria delle Alpi, spilloni, spilloni <strong>di</strong> dama<br />

e statice delle Alpi, la specie <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando viene definita botanicamente<br />

orofita, ossia amica dei monti e la sua <strong>di</strong>stribuzione geografica interessa<br />

la maggior parte delle Alpi meri<strong>di</strong>onali, a ovest sino alla Spagna e a est<br />

sino alla Jugoslavia e ai Carpazi.<br />

L’Armeria montana (una volta numerosa in Valtellina e oggi assai meno presente<br />

nella zona, tanto da essere inclusa fra le specie «protette», <strong>di</strong> cui è severamente<br />

proibita la raccolta) pre<strong>di</strong>lige il terreno siliceo e vive in una fascia altimetrica<br />

compresa fra i 1100 e i 3200 metri, con una decisa preferenza per i rocciati<br />

situati fra i 2000 e 2700 metri d’altezza, in buon sole e possibilmente al riparo<br />

dal vento.<br />

La pianta dell’armeria alpina forma un compatto cuscino verde cupo, costituito<br />

da un cespo <strong>di</strong> foglie lineari larghe appena due o tre millimetri, <strong>di</strong>sposte in<br />

modo un po’ arruffato; da questo cuscino si alzano gli steli che sorreggono l’in<strong>fiore</strong>scenza,<br />

che possono essere alti da <strong>di</strong>eci a venti centimetri e si presentano<br />

perfettamente lisci e privi <strong>di</strong> fogliame.<br />

L’in<strong>fiore</strong>scenza ha la forma <strong>di</strong> una mezza sfera ed è costituita da un insieme<br />

compatto <strong>di</strong> <strong>fiore</strong>llini a cinque petali <strong>di</strong> color rosa vivo che talvolta può raggiungere<br />

un delicato viola-lilla. L’in<strong>fiore</strong>scenza ha, per solito, il <strong>di</strong>ametro<br />

<strong>di</strong> due o tre centimetri e – nell’insieme – richiama proprio la forma degli<br />

spilloni che le signore usavano infilare nei cappelli sia a scopo decorativo<br />

sia per impe<strong>di</strong>re al vento <strong>di</strong> far cadere il copricapo.<br />

I fiori dell’armeria alpina cominciano a sbocciare in piena estate, verso<br />

l’inizio <strong>di</strong> luglio e si rinnovano sino all’autunno. Nei luoghi meglio esposti,<br />

e ad altitu<strong>di</strong>ni non superiori ai 1800 metri, la fioritura continua sino a fine ottobre.<br />

Ci sembra opportuno ricordare, a puro titolo in<strong>di</strong>cativo, che esiste una specie<br />

<strong>di</strong> armeria, la maritima (nota anche come garofano del mare) che vanta una<br />

notevole rassomiglianza con la montana ed è curioso sottolineare come gli<br />

inglesi abbiano trovato per ambedue le specie lo stesso nome volgare:<br />

thriff, che letteralmente significa «frugalità», a in<strong>di</strong>care le scarsissime esigenze<br />

<strong>di</strong> queste piante che possono vivere benissimo in un pugnetto <strong>di</strong> terra,<br />

resistono molto bene alla siccità e si <strong>di</strong>mostrano particolarmente resistenti<br />

agli agenti patogeni.<br />

Tutte queste positive caratteristiche hanno fatto sì che l’armeria<br />

abbia guadagnato la simpatia <strong>di</strong> quanti si occupano<br />

<strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio, che l’utilizzano come bordura, sul rock-garden<br />

e la includono fra le specie essenziali del «bordo misto»<br />

realizzato secondo la tecnica anglosassone.<br />

Fra tante benemerenze, manca all’Armeria montana quella <strong>di</strong><br />

essere presente nel variopinto e numeroso mazzo delle piante<br />

officinali, ossia curative, mentre viene riconosciuto il suo valido<br />

apporto alla nutrizione delle api e, quin<strong>di</strong>, la si può considerare<br />

come una buona specie mellifera.<br />

È veramente augurabile che, anche in vista delle gravi sanzioni <strong>di</strong> leg­<br />

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ge previste per quanti danneggiano la flora protetta, si faccia sempre più viva<br />

in ognuno una precisa coscienza ecologica a salvaguar<strong>di</strong>a del prezioso bene<br />

comune rappresentato dalle piante e soprattutto da quelle alpine. E sarà questo,<br />

al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> tanta falsa demagogia, il modo più positivo per <strong>di</strong>mostrare il<br />

proprio rispetto per la Natura e per i fiori che insieme agli animali rappresentano<br />

una delle più perfette espressioni del Creato.<br />

E con il grande Leonardo ci sembra opportuno ricordare che «...se gli animali<br />

non troveranno da pascere le fresche erbe, morranno; e agli uomini, dopo molti<br />

ripari, converrà abbandonare la loro vita, e mancherà la generazione umana».<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Armeria giugno a ottobre<br />

Nomi popolari: brillantini lisci, statice delle<br />

Alpi, spilloni, spilloni <strong>di</strong> dama<br />

Caratteristiche: pianticelle erbacee perenni,<br />

alte 10-15 centimetri, con foglie lunghe e<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale sottili, basali, che circondano lo scapo che<br />

Famiglia: Plumbaginacee<br />

sorregge l’in<strong>fiore</strong>scenza<br />

Fiori: riuniti in capolini globulosi del <strong>di</strong>ametro Etimologia: il nome dell’armeria deriva dalle<br />

<strong>di</strong> 2-3 centimetri. Ogni <strong>fiore</strong>llino è composto da parole celtiche ar, vicino, e mor, mare a<br />

cinque petali allungati, rosa vivo o lilla, in<strong>di</strong>care l’habitat preferito da alcune specie,<br />

raramente bianchi; la fioritura va da fine come l’Armeria maritima<br />

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«Il profumo chiede al <strong>fiore</strong>: – Chi sa<br />

<strong>di</strong>rmi perché io esisto? – Non<br />

perderti d’animo, amico. In<br />

un’aurora perfetta mescolerai la tua<br />

vita con tutta la vita intorno a te e<br />

saprai, alla fine, il tuo scopo».<br />

Rabindranãth Tagore<br />

La nigritella, il profumo più dolce<br />

Tra le molte, bellissime specie caratteristiche <strong>della</strong> flora <strong>di</strong> montagna del nostro<br />

continente, ne esiste una davvero inconfon<strong>di</strong>bile per colore e profumo: la<br />

Nigritella nigra <strong>della</strong> famiglia delle orchidee, nota anche come palmacristi fragrantissima<br />

oppure come orchidea vaniglia per il suo inimitabile profumo dolce<br />

e penetrante, che richiama da presso quello dei frutti <strong>di</strong> un’altra orchidea: la<br />

Vanilla fragrans, frutti da cui si ricava il noto aroma che viene impiegato in<br />

pasticceria e nella fabbricazione <strong>di</strong> molti liquori.<br />

Ebbene, la nigritella, tanto più nostrana <strong>della</strong> Vanilla, che cresce e fruttifica<br />

soprattutto in In<strong>di</strong>a, per uno strano gioco <strong>della</strong> Natura emette spighe fiorifere<br />

che hanno l’identica fragranza dei lunghi baccelli dell’esotica specie che ci<br />

consente <strong>di</strong> dare a dolci e bevande un bouquet del tutto particolare, morbido<br />

e pieno.<br />

Ma torniamo alla nostra nigritella, <strong>della</strong> quale vogliamo ricordare subito i nomi<br />

volgari nelle varie lingue europee: orchis vanillé in francese, black vanilla orchid<br />

in inglese, schwarzes kohlrôschen in tedesco. Questa precisazione vale da sola<br />

a in<strong>di</strong>care la vastità dell’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione <strong>della</strong> nigritella che, infatti, arriva a<br />

nord sino alla Groenlan<strong>di</strong>a, compare sui Pirenei, sui Balcani e nel Giura, sulla<br />

cerchia delle Alpi e sugli Appennini, dove giunge solo al settore apuano.<br />

Tutta l’Europa, dunque, nella fascia altitu<strong>di</strong>nale compresa fra i 1500 e i 2500<br />

metri, conosce questa piccola pianta, neppure molto bella, alta da otto a quin<strong>di</strong>ci<br />

centimetri, che pre<strong>di</strong>lige i pascoli ricchi <strong>di</strong> graminacee e con substrato<br />

decisamente calcareo, piuttosto asciutto, ben esposto al sole.<br />

I fusti <strong>della</strong> nigritella sono robusti e un poco angolosi, con foglie lineari, acute<br />

e scanalate che, a mano a mano che si procede verso il sommo dello stelo, si<br />

vanno riducendo a brevi squame.<br />

Queste le caratteristiche salienti <strong>della</strong> nigritella, cui si possono aggiungere altre<br />

notizie <strong>di</strong> questo tipo: alcuni autori la classificano come Habenaria, vari suoi<br />

ibri<strong>di</strong> sono inclusi fra le Gymnadenia e le Orchis, tanto è vero che la Nigritella<br />

nigra è conosciuta anche come: Orchis nigra, Orchis miniata, Habenaria nigra,<br />

Gymnadenia nigra.<br />

Comunque, il suo sinonimo più noto e frequente è quello <strong>di</strong> Nigritella angustifolia.<br />

Il genere <strong>di</strong> cui stiamo parlando conta una sola specie, la Nigritella nigra, appunto,<br />

con una varietà ben determinata (oltre agli ibri<strong>di</strong> cui abbiamo fatto cenno),<br />

ossia la varietà rubra che produce spighe fiorali <strong>di</strong> color rosso.<br />

E a proposito <strong>di</strong> fiori, parliamo finalmente <strong>della</strong> breve spiga <strong>di</strong> corolle che fa<br />

<strong>della</strong> nigritella un vero e proprio miracolo <strong>di</strong> profumo, spighetta che è formata<br />

da <strong>fiore</strong>llini bruno-porpora, quasi neri, oppure rosso cupo, con petali lanceolati<br />

lunghi da sei a otto millimetri piegati verso il basso, nella più tipica <strong>di</strong>sposizione<br />

del <strong>fiore</strong> delle Orchidacee.<br />

Il labello <strong>di</strong> questa corolla è triangolare ed è rivolto verso l’alto, prolungato alla<br />

base in un breve sperone.<br />

La fioritura <strong>della</strong> nigritella va da luglio a settembre a seconda <strong>della</strong> latitu<strong>di</strong>ne<br />

e dell’andamento climatico.<br />

Nel decreto emanato dalla Giunta provinciale <strong>di</strong> <strong>Sondrio</strong> in «materia <strong>di</strong> tutela<br />

ambientale ed ecologica», sono comprese le due nigritelle e un identico provve<strong>di</strong>mento<br />

è stato preso da altre Amministrazioni, fra cui la regione Trentino-<br />

Alto A<strong>di</strong>ge dove si pone grande attenzione a tutti i possibili accorgimenti tesi<br />

a impe<strong>di</strong>re la <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> piante in pericolo <strong>di</strong> estinzione, o comunque minacciate<br />

dalla sconsiderata abitu<strong>di</strong>ne a raccogliere i fiori <strong>della</strong> montagna, o<br />

<strong>della</strong> flora spontanea <strong>di</strong> qualsiasi altra zona, per buttarli dopo qualche ora, non<br />

appena appassiscono.<br />

Per completare la descrizione <strong>della</strong> nigritella o vaniglione, detta anche brunetta,<br />

<strong>di</strong>remo che nella sua spiga fiorifera le corolle sono una quarantina, circa, e<br />

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che il loro ovario non è torto, come nelle altre orchidee, proprio perché labello<br />

e sperone sono rivolti verso l’alto, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto accade normalmente<br />

per i fiori <strong>di</strong> questa famiglia.<br />

Le altre notizie su questa deliziosa quanto profumata pianta, riguardano le leggende<br />

e le credenze popolari legate alla nigritella che è anche ritenuta specie<br />

afro<strong>di</strong>siaca, ma che nasconde un grave pericolo. Infatti, si crede che uno dei<br />

suoi tubercoli possa dare grande virilità mentre l’altro tubercolo sembra destinato<br />

a rendere gli uomini «inadatti» all’amore.<br />

Esistono molte altre superstizioni legate al vaniglione, superstizioni che giustificano<br />

anche la <strong>di</strong>struzione operata nel passato <strong>di</strong> questa pianta che tutti cercavano<br />

<strong>di</strong> raccogliere perché si <strong>di</strong>ceva che, sra<strong>di</strong>candola fra le un<strong>di</strong>ci e mezzo<br />

e mezzanotte, essa avrebbe portato l’amore e tanta fortuna al raccoglitore o alla<br />

raccoglitrice; ma non basta: pare che un <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> «brunetta» infilato nel portamonete<br />

serva a impe<strong>di</strong>re che il denaro scappi via, ossia abbia il potere <strong>di</strong> indurre<br />

alla parsimonia.<br />

Inoltre, essa varrebbe a proteggere dal malocchio, dalle streghe, dalle sventure<br />

e da «qualsiasi altra <strong>di</strong>savventura».<br />

Per fortuna il tempo <strong>di</strong> queste sciocche leggende è finito, ma forse non è stata<br />

inutile tanta... fioritura <strong>di</strong> credenze popolari, che sono servite, se non altro, ad<br />

accrescere il fascino <strong>di</strong> questa graziosa pianta che potrebbe giustamente impersonare<br />

la virtù, prerogativa delle persone modeste, che non chiedono tutto<br />

alle doti esteriori ma si affidano alle qualità dell’animo; un po’ come fa la<br />

nigritella che per far ricordare i propri fiori, scuri e insignificanti, li ha dotati<br />

<strong>di</strong> uno dei profumi più intensi e più dolci <strong>di</strong> tutto il regno vegetale, solo paragonabile<br />

a quello dell’esotico frangipane, o Plumeria, che serve alle donne delle<br />

Hawai per preparare le caratteristiche collane <strong>di</strong> benvenuto.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Nigritella nigra Questi fiori, profumatissimi, singolarmente<br />

Nomi popolari: palmacristi fragrantissima, lunghi 7-8 millimetri, appaiono tra fine giugno<br />

orchidea vaniglia, vaniglione<br />

e settembre<br />

Origine: Europa, dalla Groenlan<strong>di</strong>a ai Pirenei, Caratteristiche: non più alta <strong>di</strong> un palmo,<br />

al Giura, alle Alpi sino al settore apuano degli questa pianticella tipica dei pascoli erbosi e<br />

Appennini dei terreni calcarei, appare tra 1500 e 2500<br />

Famiglia: Orchidacee<br />

metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. Presenta fusti robusti con<br />

Fiori: in spighe brevi e dense, rosso cupo, con foglie lineari, verde vivo<br />

il labello rivolto verso l’alto a <strong>di</strong>fferenza delle Etimologia: dal latino niger, nero, a in<strong>di</strong>care il<br />

altre orchidee che l’hanno piegato in basso. colore cupo delle sue in<strong>fiore</strong>scenze<br />

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«... e forse tutti i superbi roseti<br />

tralascerò per quella sola genziana<br />

aperta sul ciglio del campo come<br />

una gemma preziosa».<br />

Gabriele d’Annunzio<br />

Genziana acaulis. Nella foto: Gentiana lutea.<br />

Genziana, regina dei pascoli<br />

Quando si pensa ai fiori alpestri, quasi a voler simboleggiare la flora che caratterizza<br />

le zone situate a maggior altitu<strong>di</strong>ne, una delle corolle che per prima si<br />

affaccia alla mente è senz’altro la genziana, soprattutto nelle specie a petali blu<br />

o azzurri, mentre quelle gialle sono meno conosciute e, talvolta, ad<strong>di</strong>rittura<br />

confuse con altro tipo <strong>di</strong> pianta.<br />

Infatti, la famiglia delle Genzianacee è una delle più numerose che si conoscano<br />

e arriva a comprendere circa ottanta generi con un totale <strong>di</strong> oltre novecento<br />

specie con moltissime varietà.<br />

Ebbene, <strong>di</strong> questi ottanta generi cinque appartengono alla flora spontanea del<br />

nostro Paese con una somma <strong>di</strong> trenta specie che fioriscono in vari perio<strong>di</strong>: dal<br />

<strong>di</strong>sgelo al colmo dell’estate e sino ai primi fred<strong>di</strong> autunnali.<br />

Tutte le piante che fanno parte del genere Gentiana, <strong>di</strong> cui ci occupiamo, hanno<br />

in comune una caratteristica molto importante: quella <strong>di</strong> possedere ra<strong>di</strong>ci<br />

dai poteri officinali, ossia curativi, in virtù <strong>di</strong> essenziali «principi amari», aperitivi<br />

e <strong>di</strong>gestivi insieme, capaci <strong>di</strong> sollecitare le funzioni dell’apparato <strong>di</strong>gerente<br />

attivando l’attività dei succhi gastrici e la produzione <strong>di</strong> bile; è nota anche la<br />

loro azione febbrifuga e lassativa.<br />

L’importanza dell’amaro tonico contenuto nell’apparato ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> un buon<br />

numero <strong>di</strong> specie <strong>di</strong> genziana era ben nota anche nell’antichità e pare che uno<br />

dei primi sostenitori <strong>della</strong> vali<strong>di</strong>tà terapeutica <strong>di</strong> queste piante sia stato un<br />

certo Gentius, re dell’Illiria, che avrebbe così meritato <strong>di</strong> dare il proprio<br />

nome a tutto il genere <strong>di</strong> queste deliziose piante alpine.<br />

Una delle specie più importanti e <strong>di</strong>ffuse è senz’altro quella che va sotto<br />

il nome <strong>di</strong> Gentiana lutea, o genziana maggiore (in francese gentiane jaune,<br />

in inglese yellow Gentian e in tedesco Gelber Enzian), che appare tra<br />

i 1000 e i 2500 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, su terreno calcareo e profondo dove<br />

può affondare la sua lunga e grossa ra<strong>di</strong>ce a rizoma. Questa genziana<br />

può essere alta anche più <strong>di</strong> un metro, presenta gran<strong>di</strong> foglie lanceolate<br />

e provviste <strong>di</strong> vistose nervature in rilievo che, nella parte terminale<br />

dello stelo, finiscono per assumere l’aspetto <strong>di</strong> brattee che<br />

quasi avvolgono i verticilli formati da corolle giallo dorate che si<br />

schiudono nella piena estate, fra giugno e agosto. La ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

questa specie è molto ricercata, oltre che per uso farmaceutico anche<br />

come componente base per vari liquori o per i tipici «amari»<br />

preparati con <strong>di</strong>verse erbe alpestri.<br />

La Gentiana lutea caratterizza i massicci montuosi <strong>di</strong> tutta l’Europa<br />

meri<strong>di</strong>onale, comprese le montagne <strong>della</strong> Spagna, i Vosgi, il<br />

Giura, i Carpazi, i Balcani, le catene dell’Asia minore e – naturalmente<br />

– le Alpi e gli Appennini; la sua presenza continua anche sui rilievi<br />

<strong>della</strong> Sicilia e <strong>della</strong> Sardegna, dell’Elba e delle altre isole che completano<br />

la nostra penisola.<br />

Inutile <strong>di</strong>re che, proprio in virtù delle sue utilizzazioni <strong>di</strong> tipo<br />

erboristico, la Gentiana lutea era gravemente minacciata<br />

<strong>di</strong> estinzione, ma che questo pericolo appare scongiurato<br />

da quando essa è stata inclusa fra le specie «protette» secondo<br />

una delibera che si estende a tutto il territorio nazionale e che – ovviamente<br />

– comprende tutte le zone alpine, Valtellina inclusa.<br />

Altrettanto interessante, sotto il profilo erboristico, e quin<strong>di</strong> altrettanto<br />

ricercata e parimenti «protetta», la Gentiana punctata,<br />

qualche volta in<strong>di</strong>cata come Gentiana purpurea, malgrado i<br />

suoi fiori siano <strong>di</strong> un bel giallo vivo, ma sfumati in rosso porpora<br />

e finemente picchiettati all’interno nello stesso colore.<br />

La Gentiana punctata, che fiorisce tra giugno e luglio, pre<strong>di</strong>lige<br />

i pascoli un poco sassosi, le dorsali moreniche e occupa<br />

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Sotto: Gentiana verna e Gentiana campestris;<br />

a destra: Gentiana punctata.<br />

un’area ben definita rispetto alla lutea estendendo eccezionalmente la sua fascia<br />

altitu<strong>di</strong>nale sino ai 3000 metri e talvolta apparendo anche a basse quote,<br />

intorno ai 1000 metri; <strong>di</strong> norma, vive tra i 1400 metri e i 2600 metri. Questa<br />

specie è orofita, <strong>di</strong>ffusa lungo tutto l’arco alpino, dal Piemonte al Friuli, con<br />

areali secondari e separati sui Balcani settentrionali e sui Carpazi.<br />

La vera Gentiana purpurea (Gentiane rouge in francese, purplisch-red Gentian in<br />

inglese, Purpus Enzian in tedesco) può raggiungere l’altezza <strong>di</strong> 60-70 centimetri,<br />

ha foglie basali <strong>di</strong> forma ellittica piuttosto allungata e fiori rosso-porpora<br />

con una sfumatura gialla alla base <strong>della</strong> corolla, talvolta marezzata in verde.<br />

Questa genziana, la cui ra<strong>di</strong>ce trova varie applicazioni in campo me<strong>di</strong>cinale,<br />

fiorisce da luglio ad agosto (grosso modo fra 1200 e 2400 metri) lungo tutta la<br />

catena alpina e anche su altri sistemi montuosi europei.<br />

Particolarmente <strong>di</strong>ffusa in Valtellina (come del resto la Gentiana lutea) la<br />

Gentiana purpurea ha fiori delicatamente profumati e rappresenta una delle<br />

più tipiche espressioni <strong>della</strong> flora alpina, insieme ad altre stupende specie<br />

<strong>della</strong> vasta famiglia delle Gentianacee: dalla Gentiana clusii o genzianel­<br />

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Gentiana purpurea e Gentiana acaulis.<br />

la del Clusio, dai fiori simili a calici <strong>di</strong> cristallo blu illuminato da riflessi<br />

metallici, alla kochiana azzurro-argento, all’angustifolia che si lascia docilmente<br />

coltivare sulle domestiche «roccaglie» anche in pianura, per finire con<br />

la Gentiana asclepiadea, dagli alti fusti eretti con corolle azzurro cupo punteggiato<br />

<strong>di</strong> viola.<br />

E potremmo nominare anche l’acaulis e la verna, la bavarica e la campestris e<br />

molte altre specie, tutte interessanti sotto il profilo estetico e quello ecologico,<br />

spesso utilizzate a scopo terapeutico per le doti stimolanti o vermifughe,<br />

<strong>di</strong>gestive o aperitive del loro apparato ra<strong>di</strong>cale.<br />

Potremmo continuare ancora a lungo, ma ben <strong>di</strong>fficilmente sapremmo definire<br />

in giusto modo la grazia <strong>di</strong> un cespo <strong>di</strong> genziane nella cornice verde dell’erba,<br />

in un contrasto cromatico che solo la Natura, nella sua sapiente misura delle<br />

sfumature e degli accenti sa trovare e ripetere infinite volte, grazie al misterioso<br />

processo dell’ere<strong>di</strong>tà genetica che fa <strong>della</strong> nascita <strong>di</strong> ogni <strong>fiore</strong>, <strong>di</strong> ogni filo d’erba,<br />

un miracolo cui l’uomo dovrebbe saper guardare con sempre maggior<br />

umiltà, con sempre maggiore riflessione, con estremo rispetto.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Gentiana sovrapposte, dalle vistose brattee, ora sono<br />

Nomi popolari: gensara, gensana, inzana,<br />

ansiana, giansana, argiansana<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale e i massicci<br />

montuosi che raggiungono l’Asia Minore. In<br />

Italia, le genziane appaiono sulle Alpi, sugli<br />

Appennini, sui monti <strong>della</strong> Sicilia e <strong>della</strong><br />

Sardegna<br />

solitari, campanulati e allungati, sorretti da corti<br />

piccioli. I colori variano dal giallo all’azzurro,<br />

dal blu al porpora; fioritura estiva<br />

Caratteristiche: le foglie sono sempre ellittiche,<br />

verde vivo, più o meno larghe, <strong>di</strong>sposte in<br />

rosette basali nelle genziane a <strong>fiore</strong> singolo e<br />

<strong>di</strong>stribuite in piani sovrapposti nella Gentiana<br />

lutea e nella Gentiana punctata<br />

Famiglia: Genzianacee Etimologia: il nome deriva da Gentius, re<br />

Fiori: hanno forma <strong>di</strong>fferente a seconda <strong>della</strong> dell’Illiria, che per primo ha scoperto le virtù<br />

specie; ora sono riuniti in in<strong>fiore</strong>scenze me<strong>di</strong>cinali <strong>della</strong> Gentiana lutea<br />

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«Guardate come splendono i gigli<br />

<strong>della</strong> campagna...Salomone stesso,<br />

con tutta la sua gloria, non fu mai<br />

vestito con l’eguale ricchezza <strong>di</strong><br />

uno <strong>di</strong> loro».<br />

Vangelo <strong>di</strong> San Matteo (6, 28-29)<br />

Giglio martagone e Giglio <strong>di</strong> S. Giovanni<br />

I gigli, gloria <strong>della</strong> terra<br />

Negli antichi testi sacri, volendo esaltare la ricchezza delle vesti <strong>di</strong> un re, si fa<br />

paragone con la bellezza del <strong>fiore</strong> del giglio e con lo splendore del colore dei<br />

suoi petali che sembrano d’oro e <strong>di</strong> seta. E in verità, poche sono le specie spontanee<br />

(a parte forse l’iris, altrettanto regale ed elegante) a eguagliare la grazia,<br />

il garbo <strong>della</strong> composizione formale e le sfumature cromatiche dei Lilium, tipiche<br />

piante alpine, reperibili anche a notevole altezza.<br />

A parte le specie <strong>di</strong> provenienza esotica che vengono coltivate in giar<strong>di</strong>no e che<br />

sono davvero stupende, la nostra flora spontanea comprende solo 10 specie<br />

<strong>di</strong> gigli, piante che appartengono alla numerosa famiglia delle Liliacee, che conta<br />

ben 3700 specie raggruppate in duecentocinquanta generi fra i quali – appunto<br />

– quello dei Lilium che è costituito da circa un centinaio <strong>di</strong> specie, tutte originarie<br />

dell’emisfero boreale e <strong>di</strong>stribuite nei vari continenti.<br />

I gigli europei, come abbiamo visto, sono solamente una decina e quelli che si<br />

possono trovare sulle nostre montagne sono pochi, anche se molto apprezzabili.<br />

Fra i più regali e aristocratici bisogna ricordare senz’altro il Lilium bulbiferum<br />

croceum o giglio <strong>di</strong> San Giovanni, noto in francese come lis orangé, in inglese<br />

come orange lily e in tedesco come Feurlilie. Questa pianta (che vive fra i 2000<br />

e i 2400 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, ma la si può trovare anche più in basso, se in particolari<br />

con<strong>di</strong>zioni ambientali) pre<strong>di</strong>lige i pascoli in pieno sole, in forte pendenza<br />

– proprio per poter godere <strong>della</strong> maggior insolazione possibile – e con suolo<br />

acido.<br />

I suoi fiori sono rosso arancio, in varie sfumature e si schiudono, grosso modo,<br />

tra la fine giugno e la prima parte del mese <strong>di</strong> luglio. L’altezza dei robusti steli<br />

del giglio rosso, o giglio <strong>di</strong> San Giovanni, possono raggiungere anche gli 80 o 90<br />

centimetri; le sue foglie sono alterne e poco appariscenti, in un sommesso tono<br />

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SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Lilium<br />

Nomi popolari: martagone, riccio <strong>di</strong> dama,<br />

pirenaico, giglio <strong>di</strong> san Giovanni<br />

Origine: Giappone, Siberia, cerchia delle<br />

Alpi, Pirenei<br />

Famiglia: Liliacee<br />

Fiori: appariscenti, in vari colori esclusa la<br />

gamma del blu e del viola; sono composti da<br />

sei tepali aperti a coppa o rivolti all’in<strong>di</strong>etro per<br />

lasciare liberi stami, antere e stilo a stimma.<br />

Fioritura estiva<br />

Caratteristiche: piante ornamentali, alte da 40<br />

a 90 centimetri con foglie ellittico-lanceolate,<br />

variamente <strong>di</strong>stribuite lungo il fusto. I Lilium<br />

spontanei vivono in un areale che va da 400 a<br />

2650 metri, in terreno calcareo<br />

Etimologia: il nome deriva dal celtico li,<br />

bianco, e dal greco leíron, giglio<br />

verde-grigio che pone in ancor maggiore evidenza la vivacità delle tinte del<br />

Lilium bulbiferum croceum e la forma delle sue gran<strong>di</strong> corolle. Questa pianta è<br />

<strong>di</strong>ffusa sulle Alpi come sugli Appennini e la sua <strong>di</strong>stribuzione viene definita<br />

come euro-asiatica. Inutile <strong>di</strong>re che si tratta <strong>di</strong> specie inclusa fra quelle protette<br />

e delle quali è severamente vietata la raccolta. Il giglio <strong>di</strong> San Giovanni è conosciuto<br />

anche con gli pseudonimi Lilium aurantiacum e Lilium croceum.<br />

Ancora più noto, e più tipicamente identificabile, il Lilium martagon o martagone,<br />

detto anche riccio <strong>di</strong> dama, lis martagon per i francesi, turk’s cap lily (giglio<br />

berretto <strong>di</strong> turco) per gli inglesi e Türchenbund (turbante <strong>di</strong> turco) per i<br />

tedeschi.<br />

Sia sulle pen<strong>di</strong>ci alpine coperte d’erba che nelle schiarite fra i boschi dell’Appennino,<br />

non è raro incontrare fra giugno e luglio gli steli del martagon, alti<br />

quasi un metro e dal quale pendono a guisa <strong>di</strong> lampioncini, da tre a venti fiori<br />

formati da sei petali, carnosi e lucenti, curvi all’in<strong>di</strong>etro per lasciare liberi e<br />

penduli i sei stami e le antere, lo stilo e lo stimma su cui gli insetti potranno<br />

celebrare il rito <strong>della</strong> fecondazione.<br />

Il colore del «riccio <strong>di</strong> dama» è rosa-porpora, con una punteggiatura bruna sulla<br />

superficie interna dei petali, mentre la faccia inferiore è leggermente vellutata.<br />

Le foglie, verde intenso, sono <strong>di</strong> forma ellittico-lanceolata, più appariscenti<br />

nella zona me<strong>di</strong>ana del fusto. Le corolle <strong>di</strong> questo giglio emanano un odore<br />

poco gradevole che ha comunque il compito <strong>di</strong> richiamare particolari specie<br />

<strong>di</strong> insetti.<br />

La fascia altitu<strong>di</strong>nale in cui è possibile reperire il Lilium martagon è piuttosto<br />

vasta e corre dai 400 ai 2400 metri, con qualche eccezionale apparizione anche<br />

a 2650 metri.<br />

Il terreno è sempre <strong>di</strong> natura calcarea, ricco <strong>di</strong> sostanze nutritive e decisamente<br />

erboso.<br />

È interessante rilevare che il Lilium martagon conta numerose varietà, con fiori<br />

<strong>di</strong> colore <strong>di</strong>verso: dall’album, con petali bianco-gesso, all’album superbum,<br />

bianco-avorio, dal cattaniae presente in Dalmazia, rosso-porpora brillante, al<br />

sanguineo-purpureum che sembra macchiato <strong>di</strong> sangue e che vive spontaneo in<br />

Albania.<br />

Nelle nostre vallate, comunque, è presente quasi unicamente la tipica specie<br />

rosa intenso, un po’ vinosa e, in via eccezionale, qualche esemplare bianco,<br />

veramente assai raro.<br />

Un altro giglio che qualche volta fa la sua apparizione sulle Alpi è il Lilium pyrenaicum<br />

o giglio dei Pirenei, lis des Pyrénées in francese, yellow turkscap lily per<br />

gli inglesi e Türchenbund von Pyrenaen in tedesco.<br />

Questa specie è molto simile al nostrano martagon, ma con fiori <strong>di</strong> un bellissimo<br />

giallo vivo con punteggiatura bruno-porpora e antere rosse. La sua fioritura<br />

avviene fra giugno e luglio e il suo habitat va dagli 800 ai 2200 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne,<br />

limitatamente ai pascoli e alle radure boschive coperte d’erba.<br />

Il Lilium pyrenaicum, come chiaramente in<strong>di</strong>cato dal suo nome, è originario<br />

delle montagne che fanno parte <strong>della</strong> catena dei Pirenei, con una scarsa <strong>di</strong>ffusione<br />

sulle alture che fanno corona al golfo del Leone, i monti Corbières, la<br />

Cor<strong>di</strong>gliera nera in Bretagna e qualche ristretto stanziamento anche sulle Alpi<br />

italiane e svizzere, ma puramente occasionale e da considerarsi raro ed eccezionale.<br />

Nel giar<strong>di</strong>no botanico del monte Bondone, presso Trento, si può ammirare<br />

anche una varietà rossa del Lilium pyrenaicum, ottenuta per ibridazione orticola<br />

dato che questa specie è fra le più apprezzate per la coltura sui rock-garden<br />

in virtù <strong>della</strong> sua limitata statura; infatti, il Lilium pyrenaicum non supera i<br />

50-60 centimetri <strong>di</strong> altezza e mantiene un portamento raccolto e compatto,<br />

particolarmente adatto alla sistemazione sulle roccaglie.<br />

Per completare la descrizione dei gigli che vivono sulle Alpi, si ricorda il<br />

Lilium pomponium, spontaneo sulle Alpi Marittime, alto mezzo metro, con<br />

fiori scarlatti punteggiati <strong>di</strong> nero, dall’odore sgradevole, che desidera<br />

suolo calcareo ed ama il gran sole. Sulle Alpi Carniche vive invece il Lilium<br />

carniolicum, dalle corolle rosso-arancio (sempre punteggiate in nero),<br />

pianta decorativa e interessante, ma <strong>di</strong>fficile da incontrare perché il suo<br />

habitat si limita a una zona molto ristretta che non va al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> penisola<br />

dalmata.<br />

28


«Il bocciolo, il <strong>fiore</strong> bianco-giallino,<br />

il seme soprattutto con le sue<br />

lunghe piume leggere e bianche, la<br />

grazia dei suoi virgulti, tutto<br />

contribuisce a fare <strong>della</strong> vitalba una<br />

delle più affascinanti creazioni<br />

<strong>della</strong> Natura. Le clemati<strong>di</strong> sono<br />

sinonimo <strong>di</strong> bellezza».<br />

J. J. Correvon<br />

Le clemati<strong>di</strong>, luce dei boschi<br />

Sono piante che possono sfuggire alla nostra attenzione nel momento <strong>della</strong> fioritura,<br />

la cui massa cromatica si perde tra le mille sfumature <strong>di</strong> verde e <strong>di</strong> colore<br />

del bosco, ma che è impossibile non notare quando d’inverno le foglie sono<br />

ormai cadute e sull’intrico bruno dei rami spogli rimangono soltanto poche<br />

bacche o i portasemi delle Clematis a portare un riflesso d’argento.<br />

Le clemati<strong>di</strong> <strong>della</strong> montagna sono piante semplici, umili nel loro aspetto poco<br />

appariscente, tuttavia presentano non pochi motivi <strong>di</strong> interesse da un punto<br />

<strong>di</strong> vista botanico ed ecologico e possono senz’altro essere annoverate tra<br />

le specie più «caratterizzanti» <strong>della</strong> nostra flora alpina ed appenninica, con<br />

particolare riferimento alla vegetazione silvestre <strong>della</strong> Valtellina e delle zone<br />

che presentano identica configurazione, identiche con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> terreno e <strong>di</strong><br />

clima.<br />

Le clemati<strong>di</strong> più tipiche del territorio che più ci interessa appartengono a tre<br />

specie: la Clematis alpina, la Clematis recta e la Clematis vitalba.<br />

La Clematis alpina, nota anche come vitalbino dei sassi (atragène des Alpes per<br />

i francesi, alpine Clematís in inglese e Alpenrebe in tedesco), è un arbusto molto<br />

grazioso, dai tralci lunghi e flessuosi che possono raggiungere, e qualche volta<br />

superare, i due metri <strong>di</strong> lunghezza. Questa caratteristica fa sì che il vitalbino<br />

dei sassi sia considerato l’unica liana appartenente alla flora alpina e prealpina.<br />

Il terreno preferito dalla clematide delle Alpi è quello ricco <strong>di</strong> humus e povero<br />

<strong>di</strong> calcare, soffice e piuttosto umido, ma la pianta non <strong>di</strong>sdegna i luoghi sassosi<br />

purché la terra fra le pietre sia del tipo appena in<strong>di</strong>cato. L’ambiente preferito<br />

dalle clemati<strong>di</strong> è quello caratterizzato da macchie boschive chiare, ricche<br />

<strong>di</strong> arbusti sui quali la Clematis si possa arrampicare con facilità, trovando così<br />

un valido sostegno ai suoi tralci sottili quanto tenaci, coperti da foglie lungamente<br />

picciolate e composte da foglioline ovato-lanceolate, irregolarmente incise<br />

o dentate. La fascia altitu<strong>di</strong>nale abitualmente occupata dalla Clematis alpina<br />

varia dai 600-700 metri ai 2400 metri e si svolge dalla Scan<strong>di</strong>navia alla Siberia,<br />

sino all’America del nord, con un’ansa che scende ad occupare l’Europa<br />

centrale e il Caucaso, con una punta che abbraccia l’arco alpino e gli<br />

Appennini sino all’Emilia.<br />

La fioritura <strong>della</strong> clematide alpina avviene da maggio a luglio, con<br />

corolle biancastre e insignificanti che acquistano una particolare<br />

bellezza in virtù <strong>di</strong> quattro sepali lilla o violaporpora,<br />

lunghi anche quattro centimetri, che avvolgono<br />

il <strong>fiore</strong> dal tipico portamento pendulo<br />

e dal lungo peduncolo ricurvo.<br />

L’altra <strong>di</strong>ffusissima clematide spontanea nei nostri<br />

boschi e lungo le siepi <strong>di</strong> pianura, è la Clematis<br />

recta o vitalbino (per i francesi teverin droite, erect’s<br />

clematis in inglese e Aufrechte waldrebe in tedesco),<br />

grazioso arbusto alto poco più <strong>di</strong> un metro, dai fusti<br />

erbacei ma ben sostenuti ed eretti, che fra maggio e giugno<br />

si coprono <strong>di</strong> eleganti corimbi apicali composti da leggere corolle<br />

bianco-avorio dal cui centro emerge un ciuffo <strong>di</strong> stami giallognoli. Le foglie<br />

sono <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>verse: quelle inferiori semplici e ovate, le superiori composte<br />

da 3-7 foglioline appuntite.<br />

La Clematis recta cresce spontaneamente sino a 700-800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne e<br />

occupa un’area che comprende tutto il bacino del Me<strong>di</strong>terraneo, una parte<br />

dell’Asia nord-occidentale e il Giappone. Nel nostro Paese, il vitalbino fiorisce<br />

dalla pianura alle Prealpi e sino alle prime alture alpine.<br />

Completa la triade delle nostrane clemati<strong>di</strong> la Clematis vitalba o vitalba, nota<br />

anche come viorna o vidaelba, che i francesi chiamano teverin, gli inglesi tra­<br />

29


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Clematis<br />

Nomi popolari: vitalba, vitalbino, viorna,<br />

vidaelba, culla <strong>della</strong> Vergine, barba <strong>di</strong><br />

vecchio, baffi <strong>di</strong> nonno, neve sulla siepe,<br />

pergola <strong>della</strong> Vergine, fiamma dei boschi<br />

Origine: regioni temperate<br />

Famiglia: Ranuncolacee<br />

Fiori: formati da sepali bianchi, lilla o porpora<br />

a seconda <strong>della</strong> specie, con al centro un ricco<br />

ciuffo <strong>di</strong> stami giallognoli. Alla caduta dei fiori<br />

si formano vistosi portasemi piumosi che<br />

permangono sulla pianta per mesi<br />

Caratteristiche: le clemati<strong>di</strong> hanno leggeri fusti<br />

sarmentosi che si allungano ad abbracciare le<br />

piante vicine e che durante il periodo <strong>della</strong><br />

fioritura le avvolgono in un vero e proprio<br />

scialle fiorito<br />

Etimologia: il nome deriva dal greco klematís,<br />

sarmento<br />

veller’s Joy e i tedeschi Aufrechte waldrebe. Gli steli flessuosi <strong>della</strong> vitalba possono<br />

allungarsi anche sino a una ventina <strong>di</strong> metri e i suoi robusti piccioli consentono<br />

alla pianta <strong>di</strong> aggrapparsi saldamente agli alberi, alle palizzate, a qualsiasi<br />

supporto. La fioritura, in leggere pannocchie bianco-avorio, si verifica in<br />

estate, da giugno ad agosto, e caratterizza i terreni calcarei situati in una fascia<br />

altitu<strong>di</strong>nale che non supera i 1500 metri e che si stende lungo tutta la catena<br />

alpina e parte <strong>di</strong> quella appenninica.<br />

A parte queste caratteristiche estive delle tre clemati<strong>di</strong> che sono parte integran­<br />

te <strong>della</strong> flora delle nostre valli, e anche <strong>della</strong> pianura, è interessante sottolineare<br />

l’apporto decorativo <strong>di</strong> queste specie durante l’autunno e l’inverno, quando<br />

si pongono in evidenza i sericei portasemi del tutto simili ad arruffati gomitoli<br />

<strong>di</strong> fili argentati, soffici e luminosi, che rassomigliano a decorazioni natalizie.<br />

È in questa fase che le «vitalbe» acquistano una bellezza quasi magica, che giustifica<br />

le molte leggende sorte attorno alle clemati<strong>di</strong> che nel linguaggio dei fiori<br />

sono in<strong>di</strong>cate con il significato <strong>di</strong> «povertà» e anche <strong>di</strong> «salvezza» perché le<br />

loro foglie possiedono un alto potere revulsivo e vengono impiegate nella farmacopea<br />

popolare per la cura esterna <strong>di</strong> nevralgie e <strong>di</strong> ulcerazioni, dolori muscolari,<br />

contusioni e <strong>di</strong>storsioni.<br />

Pericoloso, invece, l’uso delle foglie <strong>di</strong> clematide per la preparazione <strong>di</strong> me<strong>di</strong>cine<br />

ad uso interno, in quanto queste piante (e soprattutto la Clematis vitalba)<br />

contengono alcaloi<strong>di</strong> dalla notevole azione tossica.<br />

A parte queste notizie specifiche sulle Clematis delle nostre montagne, notevolmente<br />

<strong>di</strong>ffuse lungo i dorsali e nelle macchie, boschive valtellinesi, sarà<br />

interessante sapere che il genere Clematis appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee<br />

e comprende oltre 230 specie, fra erbacee, semi arbustive, arbustive<br />

a portamento eretto o rampicanti, oppure con fusti dalle caratteristiche<br />

<strong>di</strong> liana.<br />

Dalle specie originarie, soprattutto a portamento rampicante, sono stati ottenuti<br />

cultivar <strong>di</strong> grande interesse da un punto <strong>di</strong> vista decorativo, utilizzati in<br />

giar<strong>di</strong>no e sul balcone per la straor<strong>di</strong>naria massa <strong>di</strong> colore delle in<strong>fiore</strong>scenze<br />

caratterizzate dai sepali vistosi, nelle tinte più delicate o più cupe e brillanti.<br />

Comunque, a parte le doti ornamentali delle varietà ottenute dall’uomo per<br />

incroci o ibridazioni artificiali, rimane l’inimitabile bellezza dell’argentea apparizione<br />

d’autunno-inverno dei portasemi delle clemati<strong>di</strong> alpine che nel monotono<br />

grigiore del bosco acquistano il valore <strong>di</strong> un riflesso <strong>di</strong> luce, <strong>di</strong> una spruzzata<br />

d’argento che gareggia in grazia con quella <strong>della</strong> brina o con le prime tracce<br />

<strong>di</strong> neve sulle foglie secche, sul muschio che fa da cuscino alla base degli alberi<br />

e dei cespugli.<br />

Uno dei mille inimitabili «momenti» <strong>di</strong> bellezza che la Natura sa donarci, seppure<br />

nella stagione meno propizia, quasi a confermare il continuo miracolo<br />

<strong>della</strong> Creazione, quasi a suggerirci un nuovo motivo <strong>di</strong> riflessione, un nuovo<br />

spunto per sentirci umilmente partecipi <strong>della</strong> straor<strong>di</strong>naria avventura che si<br />

chiama vita.<br />

30


«La mia signora profumava <strong>di</strong><br />

muschio e <strong>di</strong> trifoglio, i suoi occhi<br />

erano azzurri come i petali del<br />

polemonio ed era dolce e bella<br />

come il para<strong>di</strong>so».<br />

Anonimo francese del XIV secolo<br />

Il polemonio, come briciole <strong>di</strong> cielo<br />

Scorgere da lontano un cespo <strong>di</strong> Polemonium desta esattamente questa impressione:<br />

come se fra l’erba si fosse impigliata una manciata d’azzurro o come se<br />

in una pozzanghera fatta <strong>di</strong> petali si specchiasse un poco <strong>di</strong> celeste.<br />

Un celeste tutto speciale, che sfuma nel bianco o si stempera <strong>di</strong> glicine, proprio<br />

come sa fare il cielo verso il tramonto o poco dopo l’alba, quando l’atmosfera<br />

filtra mille sfumature per poter trovare – finalmente – la tonalità perfetta, adatta<br />

a una giornata serena, in alta montagna.<br />

Sì, perché il polemonio è una specie che per solito appare soltanto nelle radure<br />

umide e cespugliose situate in una fascia altimetrica che va dai 1600 ai 2300<br />

metri, lungo tutta la catena delle Alpi. Solo per eccezione, nel cuore dell’Europa<br />

può essere presente in qualche valletta ad altitu<strong>di</strong>ne inferiore, verso i 600­<br />

700 metri.<br />

L’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del Polemonium, definito «specie circumboreale», corre dai<br />

Pirenei centrali alle montagne dell’Europa me<strong>di</strong>a, al Caucaso, alla Siberia e –<br />

infine – all’America del nord.<br />

In Italia, le stazioni endemiche più importanti sono localizzate in Valtellina e<br />

nelle Alpi del settore Trentino-Alto A<strong>di</strong>ge.<br />

Per chi non conoscesse questa bella pianta, <strong>di</strong>remo che essa appartiene alla<br />

famiglia delle Polemoniacee, che è composta da quin<strong>di</strong>ci generi con circa 300<br />

specie, quasi sempre erbacee e solo raramente lianose e rampicanti; tanto per<br />

precisare, alla famiglia del polemonio appartengono anche il Phlox e la Cobaea<br />

scandens dai bellissimi e curiosi fiori blu-viola che gli inglesi chiamano «tazza<br />

e piattino» per la strana forma delle corolle.<br />

Per tornare più specificamente al Polemonium, ve<strong>di</strong>amo che si tratta <strong>di</strong><br />

una pianta cespugliosa, dai fusti semplici ed eretti, alti da 30 a 80 centimetri,<br />

ricchi <strong>di</strong> foglie imparipennate, a 13-15 foglioline ellittico-lanceolate<br />

e acuminate.<br />

I fiori appaiono da giugno a settembre, in racemi paniculato-terminali; possono<br />

essere celesti, azzurri o bianco-azzurri, in varie tonalità, sempre molto<br />

delicate e presentano un breve tubo che termina in una corolla quasi a<br />

ruota, a cinque lobi, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> circa due centimetri. Il <strong>fiore</strong> acquista una<br />

particolare leggerezza dalla presenza <strong>di</strong> un ciuffetto <strong>di</strong> cinque stami graziosamente<br />

rivolti all’insù.<br />

La specie presente in Italia, e soprattutto in Valtellina, è il Polemonium caeruleum,<br />

che i francesi chiamano polémoine bleu, gli inglesi Jacob’s Ladder, che,<br />

secondo una traduzione a spanna, significa scala <strong>di</strong> Giacobbe e con quale riferimento<br />

proprio non sappiamo, e i tedeschi Sperrkraut, Jakobs-Leiter.<br />

Anche sul nome scientifico del Polemonium esiste qualche incertezza circa la<br />

sua origine; infatti, qualcuno vuole che esso ricor<strong>di</strong> un tal Polemo, re del Ponto,<br />

mentre altri (e sono la maggioranza) lasciano a Dioscoride il merito <strong>di</strong> aver<br />

scelto questa definizione rifacendosi alla parola greca polemónion che in<strong>di</strong>cava<br />

un particolare tipo <strong>di</strong> erba.<br />

A parte queste <strong>di</strong>atribe squisitamente lessicali, su cui i botanici <strong>di</strong>scuteranno<br />

ancora per molto, giova ricordare che il polemonio è anche oggetto <strong>di</strong> coltivazione,<br />

soprattutto in specie originarie dell’America, tutte molto decorative e dai<br />

fiori bellissimi, in vari colori: Polemonium carneum, con fiori crema, rosa o blu;<br />

Polemonium elegans a corolle azzurro cupo; il confertum e il filicinum che fioriscono<br />

in blu; il flavum e il pauciflorum dalle corolle gialle; il mellitum dalla<br />

delicata fioritura color crema; il molle e il robustum dai fiori rosa-porpora più<br />

o meno scuri; il viscosum e l’occidentale dalle corolle blu-viola e – infine – il<br />

lanatum humile non più alto <strong>di</strong> 15 centimetri che fiorisce in blu vivo, a luglio, e<br />

che rassomiglia molto, anche come statura, al reptans che però, qualche volta,<br />

produce fiori bianchi.<br />

La facilità <strong>di</strong> coltura <strong>di</strong> queste specie fa sì che il polemonio entri <strong>di</strong> prepoten­<br />

32


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Polemonium<br />

Nomi popolari: scala <strong>di</strong> Giacobbe, valeriana<br />

greca<br />

Origine: Asia, Nordamerica, Europa<br />

Famiglia: Polemoniacee<br />

Fiori: sono raccolti in pannocchie, hanno<br />

cinque petali, ondulati, appaiono in estate e<br />

sono caratterizzati da stupende tonalità<br />

azzurre, celesti e blu; ne esistono anche <strong>di</strong><br />

color bianco e giallo<br />

Caratteristiche: l’altezza <strong>di</strong> queste piante varia<br />

da 30 a 80 centimetri, le foglie sono ovali,<br />

verde cupo, <strong>di</strong>sposte a coppie lungo lo stelo,<br />

quasi a formare dei gra<strong>di</strong>ni da cui il nome<br />

popolare <strong>di</strong> «scala <strong>di</strong> Giacobbe»<br />

Etimologia: il nome ricorda Polemon, re del<br />

Ponto, secondo quanto afferma Dioscoride.<br />

Questa pianta ha meritato una citazione nella<br />

Bibbia<br />

za nella gamma delle piante che costituiscono l’elaborato schema del mixed<br />

border, il bordo misto all’inglese; l’uso delle varietà orticole è una delle migliori<br />

garanzie per la salvaguar<strong>di</strong>a del Polemonium caeruleum delle nostre montagne<br />

che, inutile <strong>di</strong>rlo, è una delle molte specie protette e rappresenta una delle<br />

tessere più preziose del variopinto mosaico <strong>della</strong> stupenda quanto minacciata<br />

flora alpina.<br />

Per completare le notizie sul polemonio, <strong>di</strong>remo che anticamente, ma l’usanza<br />

vive ancora in qualche regione alpina e in Germania, questa pianta trovava<br />

largo impiego come specie funeraria, sorte che toccava a molti fiori <strong>di</strong> colore<br />

celeste o azzurro, tinte che simboleggiavano il ricordo e insieme l’oblio.<br />

Un’altra caratteristica del Polemonium caeruleum è quella <strong>di</strong> possedere buone<br />

proprietà curative, soprattutto anti<strong>di</strong>arroiche e astringenti. Per ottenere pozioni<br />

<strong>di</strong> buona efficacia, bisogna raccogliere le sommità fiorite in piena estate, e<br />

usarne un grammo ogni cento grammi <strong>di</strong> acqua per preparare un infuso da bersi<br />

in ragione <strong>di</strong> tre tazzine al giorno.<br />

Siamo partiti da un’immagine poetica che paragona il polemonio a una manciata<br />

<strong>di</strong> azzurro rimasta impigliata fra l’erba e, <strong>di</strong> riga in riga, siamo arrivati alla<br />

tisana anti<strong>di</strong>arroica, ma questa conclusione non sembri irriverente nei confronti<br />

<strong>della</strong> bella pianta <strong>di</strong> cui stiamo parlando.<br />

La vita, in fondo, è così: qualcosa <strong>di</strong> colorato, qualcosa <strong>di</strong> sgradevole, una gioia<br />

e un dolore, una malattia e un rime<strong>di</strong>o. Il fascino e il suggestivo messaggio<br />

<strong>della</strong> Natura sono, forse, tutto questo: un’apparente contrad<strong>di</strong>zione e – invece<br />

– una continua lezione <strong>di</strong> <strong>saggezza</strong>, un costante suggerimento per vedere,<br />

al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una manciata <strong>di</strong> briciole color del cielo anche una fonte <strong>di</strong> benessere,<br />

anche la possibilità <strong>di</strong> curare uno dei tanti mali che possono colpirci.<br />

Essere uomini è tutto questo e un <strong>fiore</strong> può insegnarcelo.<br />

34


«Sbucammo in una radura del<br />

bosco, dove il suolo era coperto <strong>di</strong><br />

bianchi fiori <strong>di</strong> eritronio.<br />

Un momento magico, una suggestione<br />

indescrivibile. Ma forse era soltanto<br />

un incantesimo d’amore».<br />

Paolo Mantegazza<br />

L’eritronio, come un gioco <strong>di</strong> fantasia<br />

Spunta nei tratti più ombrosi delle macchie boschive, dove affiorano spuntoni<br />

<strong>di</strong> roccia, dove i sassi si vestono <strong>di</strong> muschio e le piante del sottobosco formano<br />

un solo mosaico <strong>di</strong> forme e <strong>di</strong> colori.<br />

Lo si trova sulle primissime alture e poi più su, sino ai contrafforti alpini, ma<br />

(vera e propria eccezione tra le specie <strong>della</strong> montagna) non rifiuta le attente<br />

cure <strong>di</strong> quanti desiderano coltivarlo in giar<strong>di</strong>no, sul rock-garden o nel bordo<br />

misto.<br />

Scientificamente si chiama Erythronium dens-canis, ossia eritronio dente <strong>di</strong><br />

cane, i francesi lo hanno soprannominato Violette dent du chien, gli inglesi Dog’stooth<br />

Violet e i tedeschi Hundzahn veilchen.<br />

Noi, semplicemente, lo chiamiamo eritronio e cerchiamo <strong>di</strong> capire il perché <strong>di</strong><br />

quel «dente <strong>di</strong> cane» affibbiato al delicato rosa-porpora, o porpora-rosato, degli<br />

otto petali che formano la sua corolla. A prima vista la definizione sembra<br />

quasi assurda, sbagliata, e vien voglia <strong>di</strong> correggerla in «falso ciclamino», «ciclamino<br />

a stella» o qualcosa <strong>di</strong> simile, ma poi la somiglianza con i denti canini<br />

salta all’occhio, colore a parte, e ci sentiamo <strong>di</strong>sponibili ad accettare quel «dente<br />

<strong>di</strong> cane» che al primo momento suona un po’ sgradevole.<br />

Ma, in fondo, questo è il <strong>fiore</strong> delle contrad<strong>di</strong>zioni; infatti, il suo nome latino<br />

deriva, pari pari, dal greco erythros che vuol <strong>di</strong>re rosso, colore dominante fra<br />

le specie europee <strong>di</strong> questo genere <strong>della</strong> famiglia delle Liliacee, che è presente<br />

in varie parti del mondo (Europa, Russia asiatica, Giappone, Nord America)<br />

malgrado comprenda soltanto una ventina <strong>di</strong> specie, oltre a numerose varietà<br />

e ibri<strong>di</strong>.<br />

Abbiamo detto che il suo nome deriva da «rosso», ma a leggere la descrizione<br />

dei vari Erythronium si scopre l’albidum che è bianco, l’americanum giallo, il<br />

californicum crema-bianco, il citrinum bianco sfumato in giallo, il gran<strong>di</strong>florum<br />

giallo vivo macchiato d’arancio, il montanum bianco con variegature arancio,<br />

l’oregonum crema e giallo e il californiano tuolumnense dalle corolle giallo chiarissimo.<br />

Ma torniamo all’Erythronium dens-canis che è la specie che interessa <strong>di</strong> più<br />

perché è quella presente in Italia, e soprattutto in Valtellina, per constatare una<br />

singolarità: questa pianta, che è spontanea in tutta Europa, in qualche zona<br />

dell’Asia settentrionale e in Giappone, presenta la varietà sibiricum che vive<br />

solo in Siberia, esattamente sui monti Altai. Tutto questo fa supporre una identità<br />

<strong>di</strong> clima e <strong>di</strong> ambiente fra quella lontana terra e la nostra bellissima valle e<br />

conferma, se ve ne fosse bisogno, il pro<strong>di</strong>gioso meccanismo ecologico che<br />

determina la formazione delle «nicchie» in cui ogni specie trova la situazione<br />

ideale per vivere e riprodursi secondo leggi immutabili che da una pianticella<br />

alta un palmo raggiungono il moto degli astri.<br />

A parte queste considerazioni, che sono pure importantissime quando si voglia<br />

intendere il vero linguaggio <strong>della</strong> Natura e non limitarsi a un semplice atteggiamento<br />

ammirativo nei confronti delle sue bellezze, delle sue manifestazioni,<br />

ve<strong>di</strong>amo che i pregi dell’eritronio non si limitano alla delicata forma del<br />

<strong>fiore</strong>, alle gentili sfumature dei petali, al particolare portamento dello stelo, ma<br />

investono anche il suo fogliame. Infatti, le foglie dell’Erythronium in generale,<br />

e del dens-canis in particolare, è caratterizzato da strane maculature brunorossastre,<br />

irregolari, che risaltano gradevolmente sulla superficie <strong>di</strong> base che<br />

è verde-grigio.<br />

Altre specie <strong>di</strong> eritronio presentano macchie dal <strong>di</strong>segno <strong>di</strong>fferente, ma sempre<br />

<strong>di</strong> grande effetto decorativo e alcune <strong>di</strong> queste variegature sono così strane<br />

che anticamente vi erano degli «esperti» che credevano <strong>di</strong> potervi leggere<br />

auspici per il futuro.<br />

In genere, le foglie dell’Erythronium dens-canis sono due, hanno forma ovoidale<br />

e sono <strong>di</strong> tipo basale, ossia il loro picciolo nasce dal terreno, o meglio dal<br />

35


ulbo che è conico cilindrico.<br />

A proposito del bulbo, è opportuno ricordare che in Giappone<br />

se ne estrae un amido assai pregiato che trova impiego<br />

nella fabbricazione <strong>di</strong> paste alimentari; ma c’è <strong>di</strong> più: in Mongolia,<br />

e in qualche altra regione asiatica, le foglie <strong>di</strong> questa<br />

pianta sono considerate una preziosa risorsa per il menù<br />

quoti<strong>di</strong>ano e vengono utilizzate come ortaggi, alla guisa<br />

degli spinaci.<br />

Forse varrebbe la pena <strong>di</strong> provare a cucinarne qualcuna, se<br />

non altro per rendersi conto dei gusti dei mongoli in fatto <strong>di</strong><br />

gastronomia.<br />

Il consiglio, fra l’altro, non contrasta con le leggi che proteggono<br />

le piante spontanee e quelle alpine in particolare (eritronio<br />

compreso), in quanto questa specie si riproduce con<br />

grande facilità a mezzo dei bulbilli basali che si separano al<br />

momento del rinvaso o del trapianto e tanto più che i bulbi<br />

dell’eritronio sono normalmente in ven<strong>di</strong>ta, presso le <strong>di</strong>tte<br />

specializzate, in <strong>di</strong>verse varietà.<br />

L’Erythronium dens-canis, dunque, è una pianta particolare,<br />

molto interessante, <strong>di</strong> notevole apporto decorativo, coltivabile<br />

sul rock-garden come in vaso, dal bulbo che fornisce<br />

amido e con le foglie che possono sostituire spinaci ed erbette,<br />

ma che possono anche suggerire a un occhio esperto<br />

previsioni quasi atten<strong>di</strong>bili su quello che accadrà nel<br />

prossimo futuro.<br />

È evidente che torniamo su quest’ultimo particolare solo<br />

per scherzo, mentre la realtà è rappresentata dalla presenza<br />

gentile nei nostri boschi <strong>di</strong> una pianta estremamente graziosa,<br />

da <strong>di</strong>fendere con ogni cautela.<br />

Anzi, ed è un suggerimento per quanti coltivano Erythronium,<br />

<strong>di</strong> qualsiasi specie, nel giar<strong>di</strong>no roccioso o in vaso,<br />

perché non sacrificare qualche bulbo interrandolo nei boschi?<br />

Potrebbe essere il modo più significativo per <strong>di</strong>mostrare<br />

la nostra coscienza ecologica e anche per restituire alla<br />

Natura almeno un’infinitesima parte <strong>di</strong> quanto gli uomini le<br />

hanno, da sempre, sottratto. Chi volesse aderire a questa<br />

idea, che è applicabile a qualsiasi altra pianta, ricor<strong>di</strong> che<br />

l’eritronio si trapianta in agosto, in ombra, e che i bulbi debbono<br />

essere collocati a circa otto centimetri <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà.<br />

Poi, penserà il bosco a creare attorno al nostro protagonista<br />

la nicchia ideale, ad accoglierlo fra le altre creature silvestri,<br />

quasi fosse nato lì, espressione <strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> bellezza,<br />

<strong>di</strong> un’evoluzione biologica nata con la Creazione stessa e<br />

che si compirà solo il giorno in cui l’ultima scintilla si spegnerà<br />

sul grande palcoscenico che ha nome Universo, <strong>di</strong> cui<br />

anche l’eritronio è un piccolissimo quanto in<strong>di</strong>spensabile ingranaggio.<br />

E, forse, vale la pena <strong>di</strong> riflettere su questa innegabile verità<br />

ogni volta che si attraversa un bosco e si sta per strappare<br />

una foglia o un <strong>fiore</strong>, per spegnere anche la più piccola forma<br />

<strong>di</strong> vita.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Erythronium Caratteristiche: tipiche pianticelle alpine,<br />

Nomi popolari: eritronio canino, dente <strong>di</strong><br />

cane, stella canina<br />

Origine: America; in Italia vive la sola specie<br />

Erythronium dens canis<br />

adatte al mezzo sole, nascono da piccoli bulbi<br />

che hanno la forma <strong>di</strong> un dente, da cui<br />

spuntano due foglie verde intenso macchiate <strong>di</strong><br />

rosso-bruno, simili a lingue appuntite<br />

Famiglia: Liliacee Etimologia: il nome deriva dal greco erytros,<br />

Fiori: piccoli, simili ai ciclamini, dai petali rosso, a in<strong>di</strong>care le foglie macchiate <strong>di</strong><br />

ricurvi, rosa. Sono privi <strong>di</strong> profumo porpora<br />

36


«...se al tramonto ti soffermi a<br />

guardare il paesaggio sullo sfondo<br />

<strong>di</strong> un pascolo, sarà <strong>di</strong>fficile che tu<br />

possa <strong>di</strong>stinguere il colore dei<br />

monti illuminati dall’ultimo sole da<br />

quello dei rododendri che<br />

sembrano brillare <strong>di</strong> luce propria».<br />

Giovanni Maria Rey<br />

Il rododendro, rosa degli alti pascoli<br />

Fra gli arbusti che vivono e fioriscono alle maggiori altitu<strong>di</strong>ni sulle nostre<br />

montagne, e quin<strong>di</strong> anche in Valtellina, vi sono senz’altro i rododendri, in latino<br />

Rhododendron, in francese Rhododendron, in inglese e in tedesco Alpenrose,<br />

rosa delle Alpi.<br />

Due sono le specie che crescono spontanee nel nostro territorio: il Rhododendron<br />

ferrugineum e il Rhododendron hirsutum. Il primo vive, normalmente, fra<br />

1450 e 2450 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, ma può toccare anche punte estreme, dai 400<br />

ai 3200 metri. Di solito, gli intricati tappeti formati dagli arbusti non <strong>di</strong> rado<br />

sdraiati dei rododendri, appaiono oltre la fascia <strong>della</strong> vegetazione arborea; sulla<br />

coltre bassa e fitta dei pascoli, tra giugno e luglio, è un improvviso fiammeggiare<br />

<strong>di</strong> corolle dal rosa al rosso, accese <strong>di</strong> riflessi sullo sfondo delle foglie verde vivo,<br />

lucenti, sfumate <strong>di</strong> ruggine nel Rhododendron ferrugineum.<br />

La specie hirsutum, invece, raramente compare oltre i 2400 metri ma in compenso<br />

è pianta molto longeva e forse più resistente del rododendro ferrugineo,<br />

facilmente adattabile, tra l’altro, anche ai terreni più ingrati, ad<strong>di</strong>rittura ai ghiaioni<br />

e ai brevi pianerottoli fra le rupi. È certo che fu proprio il Rhododendron<br />

ferrugineum la prima specie del genere a essere coltivata in un giar<strong>di</strong>no, ed<br />

esattamente in quello <strong>di</strong> Tradescant, attorno al 1650. Tuttavia, la fortuna <strong>di</strong><br />

questa pianta, come del resto per il ferrugineum, per quanto riguarda la coltura<br />

in giar<strong>di</strong>no non è stata certo degna <strong>di</strong> nota; infatti, si tratta <strong>di</strong> soggetti estremamente<br />

«<strong>di</strong>fficili» ed è questa, per fortuna, una delle ragioni che hanno contribuito<br />

alla loro sopravvivenza.<br />

Inutile <strong>di</strong>re che il rododendro, come gran parte delle specie alpine, oggi è protetto<br />

da <strong>di</strong>sposizioni severissime e questo lascia sperare che la sua presenza<br />

si possa moltiplicare e <strong>di</strong>ffondere lungo tutta la catena alpina e appenninica,<br />

ovunque esistono le con<strong>di</strong>zioni ambientali adatte alla sua vita, alla sua riproduzione.<br />

Fra l’altro, non bisogna <strong>di</strong>menticare che i rododendri, come molte<br />

Ericacee, è fra le specie mellifere più apprezzate dalle api che dopo<br />

aver visitato le loro corolle producono un miele dal sapore particolare,<br />

forse leggermente più amaro del consueto, ma comunque<br />

gradevolissimo e ricco <strong>di</strong> proprietà curative verso le forme<br />

bronchiali e le malattie da raffreddamento in genere.<br />

Sui rododendri vi sarebbero molte e molte cose da<br />

<strong>di</strong>re, considerando che queste piante detengono il<br />

primato in fatto <strong>di</strong> leggende e superstizioni che, stranamente,<br />

ricorrono da un capo all’altro delle Alpi, solo<br />

con lievi varianti. Questo non deve stupire se si pensa<br />

che i rododendri sono fra le piante più antiche che si<br />

conoscano, tanto che i loro reperti fossili risalgono al<br />

miocene e che nelle più remote raffigurazioni mitologiche<br />

legate alle saghe nor<strong>di</strong>che, il rododendro appare come il <strong>fiore</strong><br />

pre<strong>di</strong>letto dal <strong>di</strong>o Donar.<br />

Anzi, pare che questa terribile <strong>di</strong>vinità fosse tanto gelosa <strong>della</strong><br />

«rosa dei giganti», da scagliare una folgore contro chiunque<br />

osasse cogliere una <strong>di</strong> tali corolle e portarla fra le mani o sul<br />

petto. Un modo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa drastico, ma indubbiamente efficace.<br />

A parte queste reminiscenze <strong>di</strong> fantasia sulla storia del rododendro,<br />

è indubbio che all’inizio del 1500, e forse anche prima, vari<br />

naturalisti si sono cimentati nella descrizione <strong>di</strong> queste belle piante,<br />

chiamandole però con altri nomi, come Cistus o Chamaecistus,<br />

mentre il merito <strong>di</strong> aver fissato l’attuale denominazione va ad Andrea<br />

Cesalpino che nel 1583, nel De Plantis, ha descritto il Rhododendron fer­<br />

37


ugineum come un arbusto che ricorda da presso l’oleandro ed ha fiori assai<br />

simili a questo.<br />

Oggi, quando si parla <strong>di</strong> rododendri, il pensiero corre imme<strong>di</strong>atamente agli<br />

splen<strong>di</strong><strong>di</strong> ibri<strong>di</strong> ottenuti in serra e venduti come piante da appartamento, letteralmente<br />

coperti da mazzi <strong>di</strong> fiori nelle tinte più varie, nelle sfumature più<br />

raffinate, che competono in bellezza con le varietà coltivate in giar<strong>di</strong>no, in gradevole<br />

associazione con le consorelle azalee, ed è <strong>di</strong>fficile pensare che questi<br />

arbusti appartengono allo stesso genere dei Rhododendron <strong>di</strong> montagna, tale<br />

e tanta è la <strong>di</strong>versità del loro fogliame e delle loro corolle.<br />

Indubbiamente, ben poche piante possono competere in bellezza con i rododendri<br />

e le azalee coltivati, tutti <strong>di</strong> origine asiatica e quasi tutti importati dai<br />

naturalisti inglesi o russi, ma è anche indubbio che ben poche specie possono<br />

eguagliare in grazia i Rhododendron che fioriscono al margine delle nevi eterne,<br />

poco sopra la frangia degli abeti, dei pini, dei larici. Certo si tratta <strong>di</strong> una<br />

grazia, <strong>di</strong> una bellezza, <strong>di</strong> un colore che non tutti possono ammirare perché<br />

sono da conquistare, come tutte le espressioni legate al mondo <strong>della</strong> montagna.<br />

Le rose degli alti pascoli, le «rose dei giganti», non sfuggono a questa legge e per<br />

lunghi mesi dell’anno si limitano a formare dense macchie <strong>di</strong> verde, appena più<br />

lucido e folto dell’erba, ma improvvisamente, quando anche lassù arriva la<br />

buona stagione, gli arbusti si coprono <strong>di</strong> fiamme rosa e rosse, forse in ricordo<br />

delle mitiche folgori scagliate dal previdente <strong>di</strong>o Donar.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Rhododendron piuttosto piccole rispetto alle specie che si<br />

Nomi popolari: rosa delle Alpi, cespuglio delle<br />

rose, rose dei giganti<br />

Origine: regioni temperato-fredde dell’emisfero<br />

settentrionale, Australia, Borneo, Guinea. In<br />

Italia vivono spontanee due specie<br />

Famiglia: Ericacee<br />

coltivano in giar<strong>di</strong>no. Appaiono in estate<br />

Caratteristiche: si tratta <strong>di</strong> arbusti semprever<strong>di</strong>,<br />

con piccole foglie ovali, verde scuro, color<br />

ruggine sul rovescio per il Rhododendron<br />

ferrugineum. L’altezza <strong>di</strong> questi arbusti si<br />

mantiene sul metro<br />

Etimologia: il nome significa «albero delle<br />

Fiori: raggruppati in in<strong>fiore</strong>scenze terminali, dal rose», dal greco ródon, rosa, e déndron,<br />

rosa, al porpora al rosso vivo; le corolle sono albero<br />

39


«Otto petali che sembrano <strong>di</strong><br />

ghiaccio e un cuore giallo, sopra un<br />

ricamo <strong>di</strong> foglie che sembrano<br />

ritagliate nel velluto. Io ti offrirò un<br />

mazzolino <strong>di</strong> dria<strong>di</strong> e sarà come<br />

<strong>di</strong>rti che ti amo».<br />

Carlotta <strong>di</strong> Vailate<br />

Il camedrio, solitario <strong>fiore</strong> delle altitu<strong>di</strong>ni<br />

Sembra una pianticella da nulla e, invece, è tanto importante da aver meritato<br />

<strong>di</strong> dare il suo nome a un tipo particolare <strong>di</strong> flora, la «flora a Dryas», sviluppatasi<br />

dopo le ultime glaciazioni.<br />

Botanicamente, la Dryas o camedrio alpino, nella specie octopetala spontanea<br />

sulle nostre montagne, appartiene alla famiglia delle Rosacee, presenta foglie<br />

ellittiche od oblunghe, con il margine dentato rivolto in basso. La pagina superiore<br />

delle foglie è <strong>di</strong> un bel verde, vivo, lucente, qualche volta coperto da lieve<br />

peluria, mentre la pagina inferiore è biancastra per la presenza <strong>di</strong> uno spesso<br />

strato tomentoso che ha funzione protettiva contro il freddo vento <strong>di</strong> tramontana.<br />

Il fusto, alto da 5 a 15 centimetri, è quasi legnoso alla base, sempre per offrire<br />

maggior resistenza ai rigori del clima, e al sommo <strong>di</strong> questo stelo si aprono i<br />

fiori, solitari, molto belli, bianchi con una macchia centrale color giallo vivo,<br />

formata dai molti stami. Il numero dei petali <strong>di</strong> questa corolla, cosa abbastanza<br />

insolita, raggiunge il numero <strong>di</strong> otto.<br />

Altra caratteristica <strong>della</strong> Dryas è quella <strong>di</strong> avere un portamento quasi prostrato,<br />

per poter godere al massimo del calore che emana dal suolo, soprattutto<br />

nelle ore notturne, quando la temperatura, data l’altitu<strong>di</strong>ne, si abbassa in modo<br />

notevole. Infatti, questa delicata, stupenda pianticella vive nei pascoli sassosi,<br />

calcarei e scarsamente erbosi da quota 1000 sino a 2500 metri e oltre, in fitti<br />

tappeti che circondano gli spuntoni <strong>di</strong> roccia, impedendo alla poca terra <strong>di</strong><br />

essere asportata dalla pioggia o dallo sciogliersi <strong>della</strong> neve.<br />

È evidente, dunque, che la Dryas octopetala, nell’armonia ecologica <strong>della</strong> montagna,<br />

svolge un duplice e importante compito: consolidare il terreno e consentire<br />

ad altre specie <strong>di</strong> instaurarsi sui dossi rocciosi, dando così inizio a un vero<br />

e proprio processo <strong>di</strong> colonizzazione vegetale. E anche per questa ragione che<br />

la Dryas è una delle specie alpine maggiormente protette e tutelate dalle leggi<br />

che regolano la forestazione internazionale.<br />

L’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie non si limita, infatti, alla zona alpina, ma<br />

scende lungo l’Appennino sino alla Campania, si estende per tutta Europa dai<br />

Pirenei al Giura, dai Carpazi ai Balcani e i suoi fiori, tra maggio e giugno, illuminano<br />

le morene ghiaiose e pietrose <strong>di</strong> larghe macchie bianche dai riflessi dorati<br />

e argentei insieme, dove gli insetti trovano nettare abbondante e<br />

aromatico.<br />

Una pianticella dai molti meriti, dunque; antichissima, tanto<br />

da appartenere con <strong>di</strong>ritto alle vicende paleontologiche legate<br />

alla storia <strong>della</strong> Terra, ma anche una specie apprezzata per<br />

le doti curative del suo fogliame che viene impiegato per farne<br />

una tisana dagli effetti molteplici: favorisce la <strong>di</strong>gestione,<br />

stimola le secrezioni gastriche e quin<strong>di</strong> anche l’appetito, toglie<br />

l’infiammazione e risolve i processi <strong>di</strong>arroici. Ma non basta: 5 grammi <strong>di</strong><br />

foglie <strong>di</strong> Dryas octopetala, bollite per una decina <strong>di</strong> minuti in acqua, forniscono<br />

un decotto che si impiega per gargarismi e sciacqui contro le<br />

irritazioni gengivali e del cavo orale, il mal <strong>di</strong> gola e il gon<strong>fiore</strong><br />

delle tonsille.<br />

Probabilmente, le persone che amano le piante spontanee<br />

anche per le loro proprietà curative, non hanno imme<strong>di</strong>atamente<br />

riconosciuto nella Dryas la specie volgarmente<br />

nota come driade e anche come camedrio alpino. I francesi<br />

la conoscono come Dryade à 8 pétales, gli inglesi come<br />

Mountain Avens e anche White dryas, i tedeschi come Silberwurz.<br />

In realtà, non è facile stabilire un esatto nome comune per questa piccola<br />

pianta alpina, perché non è ben stabilita l’origine <strong>della</strong> sua denominazione<br />

scientifica. Infatti, non si è ancora certi che Dryas possa de­<br />

40


ivare dal termine greco drys, ossia quercia, a in<strong>di</strong>care la somiglianza delle foglioline<br />

del minuscolo camedrio alpino con quelle del maestoso Quercus. Qualche<br />

altro autore (e ne conferma l’ipotesi l’autorevole parere <strong>della</strong> Royal Horticoltural<br />

Society) vede nel nome Dryas un preciso riferimento alle dria<strong>di</strong>, ninfe<br />

mitologiche che abitavano nel folto dei boschi.<br />

E adesso una breve indagine per conoscere i «parenti» del nostrano camedrio<br />

alpino, ossia la Dryas drummon<strong>di</strong>i che vive sulle montagne delle zone nord<br />

orientali dell’America settentrionale, e la Dryas tomentosa, dai fiori gialli e con<br />

le foglie coperte da densa peluria, che vegeta solo in Canada, sulle Montagne<br />

Rocciose.<br />

Ecco, con quest’ultima annotazione finisce la storia del camedrio alpino, una<br />

pianticella alta pochi centimetri, dai fiori delicati che tuttavia, unico esempio<br />

nella flora nostrana, ha meritato il privilegio <strong>di</strong> entrare nel mondo <strong>della</strong> paleontologia<br />

per dar nome, ad<strong>di</strong>rittura, a un «periodo» scritto dalla nostra Terra<br />

lungo la strada del tempo.<br />

E questo <strong>di</strong>mostra, seppure ve ne fosse bisogno, come in natura tutto sia concatenato,<br />

come ogni fenomeno possa trarre origine, giustificazione o conferma,<br />

anche dall’esistenza, dalla sopravvivenza <strong>di</strong> una piantina fatta <strong>di</strong> niente: poche<br />

foglie e otto petali bianchi che nascondono una storia antichissima e affascinante.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Dryas octopetala Caratteristiche: pianta <strong>di</strong> piccola statura (5-15<br />

Nomi popolari: driade, camedrio alpino, erba<br />

argentata, driade cervina<br />

Origine: cerchia delle Alpi<br />

Famiglia: Rosacee<br />

centimetri), perenne, prostrata, strisciante, con<br />

foglie lanceolate, ver<strong>di</strong> sopra, bianche e<br />

lanuginose, sotto, coriacee, dai bor<strong>di</strong> festonati<br />

Etimologia: dal greco Dryas, ninfa dei boschi;<br />

qualche autore insiste per un’altra versione che<br />

Fiori: bianchi, in estate, con otto petali e un fa derivare il nome <strong>di</strong> questa pianta dal greco<br />

ricco ciuffo giallo <strong>di</strong> stami e stili. Alla caduta drys, quercia, per la somiglianza delle<br />

dei petali resta un portaseme piumoso rispettive foglie<br />

41


«Fiore buffo, grottesco, ricco <strong>di</strong><br />

corna, che non sarà accarezzato da<br />

donna alcuna, colto da nessun<br />

innamorato, così come volle un<br />

potente mago».<br />

Paolo Mantegazza<br />

L’aquilegia o dell’amor nascosto<br />

È questo un <strong>fiore</strong> che piace e incuriosisce<br />

nella stessa misura: per quella sua forma<br />

strana, quasi assurda, per il profondo colore<br />

che sa <strong>di</strong> mistero, per l’eleganza degli<br />

steli sottili che sembrano reggere le corolle<br />

quasi per gioco, lasciandole al mutevole<br />

capriccio del vento che le muove a<br />

guisa <strong>di</strong> campanelli. È un <strong>fiore</strong> che rievoca<br />

antiche leggende ricche <strong>di</strong> poesia,<br />

come quella che lo vorrebbe nato dalle<br />

pratiche magiche <strong>di</strong> uno stregone che abitava<br />

in una caverna presso il lago <strong>di</strong> Como<br />

e che non trovò altra soluzione, a una<br />

complicata storia d’amore fra la principessa<br />

Teodagne e il <strong>di</strong>ssoluto principe<br />

longobardo Rutibando, che tramutare<br />

quest’ultimo nella corolla dell’aquilegia.<br />

In realtà, l’aquilegia è un <strong>fiore</strong> molto bello,<br />

anzi – come scrive il Correvon – esso è<br />

«uno dei fiori più graziosi e delicati delle<br />

nostre Alpi» e deve essere parso tale in<br />

ogni tempo dato che già nel 1400 lo si coltivava<br />

nei giar<strong>di</strong>ni e destava l’interesse<br />

dei maggiori artisti del pennello, come<br />

il Pisanello che ne fece l’elemento dominante<br />

in un ritratto <strong>di</strong> una principessa<br />

<strong>della</strong> casa d’Este. E mai profilo<br />

<strong>di</strong> donna ebbe una cornice più<br />

enigmatica e gentile, un accostamento<br />

così prezioso nelle linee e nelle tonalità<br />

cromatiche.<br />

Certo le aquilegie che si coltivano in giar<strong>di</strong>no,<br />

varietà e ibri<strong>di</strong> delle varie specie <strong>di</strong><br />

Aquilegia coerulea, vulgaris, canadensis,<br />

chrysantha e skinneri, sono ben <strong>di</strong>verse<br />

dalla fragile bellezza delle aquilegie<br />

che vivono spontanee nei boschi,<br />

nei pascoli montani <strong>della</strong> regione<br />

alpina e sugli Appennini sino alla<br />

Campania; in queste zone, nei tratti ricchi<br />

<strong>di</strong> humus e su terreno calcareo, non è <strong>di</strong>fficile<br />

trovare ricchi cespi <strong>di</strong> Aquilegia atrata<br />

dai fiori penduli e gran<strong>di</strong>, costituiti da<br />

5 sepali petaloi<strong>di</strong> color viola scuro, internamente<br />

ai quali vi sono altrettanti petali<br />

<strong>di</strong> eguale colore, ma imbutiformi e curiosamente<br />

prolungati alla base in uno<br />

sperone ricurvo a uncino; la fioritura avviene<br />

da maggio a luglio, la sua presenza<br />

occupa una fascia altimetrica che va dalle<br />

pen<strong>di</strong>ci collinari ai duemila metri. Del<br />

tutto simile nella forma, ma con fiori azzurri<br />

e qualche volta anche bianchi o rosa<br />

scuro, l’Aquilegia alpina presente soprat­<br />

42


tutto nelle Alpi piemontesi, fra i 1200 e i 1500 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. Un’altra aquilegia<br />

che vive in montagna, in qualche tratto delle cime che si affacciano sul<br />

lago <strong>di</strong> Como e sul lago <strong>di</strong> Lugano, è la pyrenaica dai fiori azzurri e dagli speroni<br />

quasi <strong>di</strong>ritti.<br />

Insomma, un <strong>fiore</strong> ricco <strong>di</strong> particolari, <strong>di</strong>verso nella forma e nel colore, mutevole<br />

anche per la capricciosa <strong>di</strong>stribuzione geografica, curioso per l’etimologia<br />

del nome scientifico. Infatti, alcuni autori sostengono che Aquilegia derivi<br />

da aquila, tanto più che nel 1500, in Italia, questo <strong>fiore</strong> veniva chiamato appunto<br />

43


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Aquilegia<br />

Nomi popolari: amor nascosto, fior cappuccio,<br />

amore perfetto, guanti <strong>della</strong> Madonna,<br />

colombina, cornetta, aquilantina, guanti <strong>di</strong><br />

pastorella<br />

Origine: Europa<br />

Famiglia: Ranuncolacee<br />

Fiori: appaiono sul finire <strong>della</strong> primavera e<br />

sono formati da cinque petali che si<br />

prolungano in un cornetto uncinato; possono<br />

essere blu-viola, bianchi o rosa<br />

Caratteristiche: specie erbacea perenne, alta<br />

da 60 a 85 centimetri, con foglie verdeazzurro,<br />

<strong>di</strong>vise in 3-9 foglioline lobate, molto<br />

decorative. Ama il terreno calcareo e compare<br />

nei boschi, nei prati e fra le rocce<br />

Etimologia: il suo nome può derivare dal latino<br />

aquila a causa dei peduncoli <strong>della</strong> corolla<br />

uncinati come i rostri dell’omonimo rapace, ma<br />

può anche riferirsi ad aquilegium, o serbatoio<br />

d’acqua, visto che nell’interno del <strong>fiore</strong> si<br />

raccolgono le gocce <strong>della</strong> rugiada<br />

«aquilina» a in<strong>di</strong>care la somiglianza dei peduncoli <strong>della</strong> corolla con «gli adunchi<br />

rostri del potentissimo volatile». Altri autori, come Bailey e Vilmorin, sostengono<br />

che aquilegia derivi da aquilegium, o serbatoio d’acqua, in riferimento alle<br />

gocce <strong>di</strong> rugiada che si raccolgono all’interno del <strong>fiore</strong>.<br />

La questione è ancora controversa e forse non si arriverà mai a stabilire la vera<br />

origine del nome <strong>di</strong> questa deliziosa specie, ora severamente protetta al pari<br />

<strong>di</strong> quasi tutte le piante alpine, prezioso patrimonio da salvaguardare con ogni<br />

mezzo. Comunque, se è in <strong>di</strong>scussione l’etimologia del suo nome scientifico,<br />

l’aquilegia si prende una bella rivincita sul piano internazionale per quanto<br />

riguarda la denominazione volgare. Infatti, essa è conosciuta ovunque con almeno<br />

uno dei suoi molti nomi: amor nascosto, amor perfetto, aquilina, aquilantina,<br />

colombina, campanella, scarpetta, guanto <strong>di</strong> pastorella, cornetta. E così<br />

ritroviamo in francese Ancolie noirâtre, Dame honteuse, Gant de bergère, Gant<br />

de Notre-Dame, in inglese aquilegia suona come Common Columbine e in tedesco<br />

Gemeiner Akelei.<br />

Cosa potremmo <strong>di</strong>re <strong>di</strong> più su questa pianta timida eppure così ricca <strong>di</strong> personalità,<br />

fragilissima a vedersi e invece in grado <strong>di</strong> resistere al clima non certo<br />

mite dei duemila metri? Ecco, una cosa possiamo aggiungere: non <strong>di</strong>mentichiamo<br />

che l’aquilegia appartiene alla grande famiglia delle Ranuncolacee e quin<strong>di</strong>,<br />

come tutte le piante <strong>di</strong> questa «<strong>di</strong>nastia», nasconde nei suoi tessuti sostanze<br />

tossiche, fra cui un alcaloide, e per questo deve essere considerata «pericolosa»<br />

come specie officinale, malgrado le sue proprietà antiscorbutiche, depurative,<br />

<strong>di</strong>uretiche e sedative.<br />

Insomma, una pianta da trattare col dovuto rispetto. E potrebbe essere <strong>di</strong>versamente<br />

dato che essa cela il segreto dell’amor nascosto?<br />

44


«Forse era proprio una stella prima<br />

<strong>di</strong> cadere sulla Terra e <strong>di</strong><br />

trasformarsi in un <strong>fiore</strong> che appare<br />

tra le rocce come un piccolo<br />

pro<strong>di</strong>gio».<br />

J. B. S. Haldane<br />

La stella alpina, can<strong>di</strong>da «zampa <strong>di</strong> leone»<br />

Certo non mancava <strong>di</strong> fantasia il botanico che attorno al Mille seppe vedere<br />

nella strana corolla dell’edelweiss, ossia <strong>della</strong> stella alpina, una certa rassomiglianza<br />

con la morbida quanto possente zampa del re <strong>della</strong> foresta. Sta <strong>di</strong> fatto<br />

che la traduzione letterale <strong>di</strong> Leontopo<strong>di</strong>um, questo il nome latino del solitario<br />

<strong>fiore</strong> delle altitu<strong>di</strong>ni, chiama in causa le parole Leon leone, e pus, podós,<br />

piede. Ma per fortuna, non tutti conoscono la denominazione scientifica <strong>della</strong><br />

stella alpina ed è più facile sentirla chiamare edelweiss, come l’hanno definita<br />

anticamente in Tirolo e come l’identificano in Gran Bretagna, in Germania e nei<br />

Carpazi. In Francia, invece, è più nota come Belle étoile o Pied de lion.<br />

Ma al <strong>di</strong> là e al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> qualsiasi <strong>di</strong>squisizione linguistica ed etimologica, la<br />

stella alpina rimane il <strong>fiore</strong> <strong>della</strong> montagna per eccellenza, il <strong>fiore</strong> che può essere<br />

raccolto soltanto da chi è in grado <strong>di</strong> salire molto in alto, il <strong>fiore</strong> che vuole<br />

essere conquistato con sacrificio e con fatica. Purtroppo un <strong>fiore</strong> che ha<br />

voluto non poche vittime fra quanti hanno osato eccessivamente nel tentativo<br />

<strong>di</strong> strapparlo al suo habitat <strong>di</strong> roccia, <strong>di</strong> silenzio, <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne.<br />

Inutile <strong>di</strong>re che in molte regioni italiane sono state emanate <strong>di</strong>sposizioni severissime<br />

per la protezione <strong>di</strong> questa specie antichissima, ma ormai molto rara<br />

a causa del sistematico saccheggio operato per secoli. Tuttavia, si spera che,<br />

data la facilità con la quale l’edelweiss si riproduce, si possa ben presto contare<br />

sul graduale ripopolamento delle zone rocciose comprese fra i<br />

1200 e i 3400 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, sulla graduale ricomparsa <strong>della</strong> romantica<br />

stella alpina.<br />

Tanto per farla conoscere un po’ meglio, <strong>di</strong>remo che, botanicamente,<br />

essa appartiene alla grande famiglia delle Composite, è alta da 5 a 15<br />

centimetri, i suoi steli sono <strong>di</strong>ritti, lanosi, le foglie lanceolate, in linguette<br />

tomentose e biancastre; i capolini terminali, <strong>di</strong> insignificanti fiori dorati,<br />

sono circondati da una stella <strong>di</strong> foglie trasformate, bianche, che sembrano<br />

ritagliate in una stoffa feltrosa. La lanuggine che ricopre le foglie <strong>della</strong> stella<br />

alpina e la consistenza delle brattee che circondano il capolino <strong>di</strong> fiori, rappresentano<br />

il modo ingegnoso con il quale la pianta si <strong>di</strong>fende dall’inclemenza delle stagioni<br />

a quell’altitu<strong>di</strong>ne, dalla forza del vento e, anche, dall’ardente azione dei raggi<br />

solari che se l’edelweiss non fosse così protetto finirebbero per <strong>di</strong>sidratarla. Non <strong>di</strong>mentichiamo,<br />

infatti, che la stella alpina vive tra i sassi, nelle fessure<br />

<strong>della</strong> roccia, spesso affondando le ra<strong>di</strong>ci in un mucchietto <strong>di</strong> terra<br />

che starebbe tutto nel palmo <strong>della</strong> mano.<br />

E adesso una curiosità: in genere, quando si pensa al Leontopo<strong>di</strong>um<br />

alpinum si localizza automaticamente la sua origine sulle montagne<br />

che fanno corona al nostro Paese; invece, la stella alpina è arrivata<br />

in Europa dalla lontana Asia e in quel continente essa conta<br />

ben trentasei specie affini all’edelweiss e alcune hanno ad<strong>di</strong>rittura<br />

portamento arbustivo. Il lungo cammino che ha portato il Leontopo<strong>di</strong>um<br />

dalla regione dell’Altai alle Alpi, è cominciato nel periodo delle<br />

glaciazioni quando tutta la fascia che corre dalla Cina all’Europa godeva<br />

<strong>di</strong> uno stesso clima. Sta <strong>di</strong> fatto che tre specie, staccatesi dalla tribù dei Leontopo<strong>di</strong>um<br />

asiatici, hanno raggiunto nel corso dei secoli, percorrendo la via<br />

del vento che ne ha trasportato i semi, le gran<strong>di</strong> catene montane del continente<br />

europeo: Balcani, Alpi, Appennini, Pirenei. Si chiamano Leontopo<strong>di</strong>um alpinum,<br />

nivale e haplophylloides. Quest’ultimo è piuttosto raro, ad<strong>di</strong>rittura rarissimo<br />

sulle Alpi, e viene chiamato dagli inglesi Lemonscented Edelweiss, dato che le<br />

sue foglie profumano intensamente <strong>di</strong> limone.<br />

Un poeta nato a Chiavenna, il Bertacchi, ha de<strong>di</strong>cato a questa stupenda, commovente<br />

pianta alpina, due suggestivi versi:<br />

È l’edelweiss da la stellata chioma bianco<br />

fior <strong>di</strong> silenzio e <strong>di</strong> mistero.<br />

45


E chi ama la natura non può che augurarsi che attorno alla stella alpina torni<br />

il mistero <strong>della</strong> solitu<strong>di</strong>ne, il rispetto del silenzio e che solo alla luna, come <strong>di</strong>ce<br />

la leggenda dell’edelweiss, sia dato <strong>di</strong> raccogliere questi fiori e <strong>di</strong> spargerli sulla<br />

Terra in segno <strong>di</strong> gioia e <strong>di</strong> pace.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Leontopo<strong>di</strong>um alpinum (foglie mo<strong>di</strong>ficate), cotonose, <strong>di</strong>sposte a stella<br />

Nomi popolari: stella alpina, bella stella, Caratteristiche: nelle varie specie, i<br />

zampa <strong>di</strong> leone, stella <strong>di</strong> neve<br />

Leontopo<strong>di</strong>um non superano 10-15 centimetri<br />

Origine: Asia, in particolare dalla Mongolia<br />

Famiglia: Composite<br />

<strong>di</strong> altezza, presentano foglie spatolate,<br />

tomentose, bianco-argento, più fitte alla base,<br />

quasi a formare rosetta<br />

Fiori: appaiono in estate e sono composti da Etimologia: dal greco léon, leone, e podós,<br />

glomeruli centrali <strong>di</strong> fiori minuscoli, giallastri, piede, per l’aspetto peloso <strong>della</strong> corolla che<br />

che fanno da cuore alla corona <strong>di</strong> brattee nel centro ricorda l’orma del re <strong>della</strong> foresta<br />

46


«Alle mie spalle avevo lasciato i<br />

prati e mi avviavo verso le nevi<br />

eterne, verso pareti alte come<br />

cattedrali; là in alto sapevo che<br />

avrei finalmente conosciuto la<br />

verità, avrei saputo perché anch’io<br />

esisto, come questi astri, il cielo,<br />

questo mondo».<br />

Peter Henckel<br />

L’astro, una tenera stella <strong>di</strong> petali<br />

A vederlo spuntare tra l’erba bassa e rada che ricopre il terreno calcareo delle<br />

Alpi, l’astro appare come un minuscolo miracolo <strong>di</strong> colore, quasi una briciola<br />

<strong>di</strong> tramonto imprigionata nell’intrico degli steli e delle foglie, quasi una piccola<br />

stella invi<strong>di</strong>osa delle sfumature del cielo all’alba.<br />

Un piccolo miracolo ormai sempre più raro, che si realizza tra luglio e agosto,<br />

nella breve stagione che rinnova in montagna il pro<strong>di</strong>gio dei fiori, la vita degli<br />

insetti, il riprodursi delle specie.<br />

Botanicamente si chiama Aster alpinus, come lo definì Linneo, ed è apparso<br />

nell’Europa centrale, proveniente dalla Siberia, nel corso delle gran<strong>di</strong> glaciazioni.<br />

Allo stesso modo dell’edelweiss ha colonizzato i Pirenei, le Alpi, i Carpazi,<br />

i Balcani, gli Urali, ma sulle nostre montagne è presente solo in aree<br />

molto ristrette, sui pascoli asciutti e sassosi, lungo i pen<strong>di</strong>i soleggiati, dai<br />

1000 ai 3000 metri.<br />

Qualche timida apparizione <strong>di</strong> questo delizioso <strong>fiore</strong> anche sugli Appennini,<br />

almeno sino al confine dell’Abruzzo.<br />

Un tempo era possibile ammirarne interi tappeti, delicatamente azzurro-viola<br />

o azzurro-rosati, già alle spalle <strong>di</strong> Stresa, sulle coste solatie del Mottarone e non<br />

era <strong>di</strong>fficile scoprire interi fitti parterres <strong>di</strong> astri alpini nelle vallette che completano<br />

il <strong>di</strong>segno <strong>della</strong> Valtellina.<br />

Oggi, per fotografare l’astro delle Alpi (guai a chi commettesse il delitto <strong>di</strong> raccoglierlo)<br />

bisogna scarpinare un bel po’ e sperare nella fortuna; ma quando lo<br />

si incontra è impossibile non riconoscerlo: per la forma inconfon<strong>di</strong>bile<br />

(a margherita dalle ligule lunghe e assai strette), per le sfumature<br />

<strong>di</strong> colore, insolite a quelle altitu<strong>di</strong>ni, ricche piuttosto <strong>di</strong> corolle gialle<br />

o bianche o rosse, per i fusti eretti e robusti, alti da 5 a 30 centimetri,<br />

il fogliame a rosetta, pubescente e vellutato e i fiori terminali,<br />

che possono avere anche un <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 4 centimetri, con un<br />

cuore ben delineato <strong>di</strong> fiori tubulosi giallo dorato.<br />

I francesi lo chiamano Aster des Alpes, gli inglesi Blue alpine Daisy, i<br />

tedeschi Alpenaster; da noi non ha raccolto sinonimi strani o nomi<br />

<strong>di</strong> fantasia; soltanto in una zona dell’Appennino, proprio a cavallo<br />

fra l’Emilia e la Toscana, ho sentito in<strong>di</strong>carlo come l’«astro delle<br />

farfalle» e, in realtà, pochi fiori quanto questa piccola stella sfumata<br />

<strong>di</strong> violetto hanno il potere <strong>di</strong> attirare con altrettanto successo<br />

gli insetti impollinatori.<br />

Ed è veramente uno spettacolo <strong>di</strong> bellezza e <strong>di</strong> policroma grazia vedere<br />

cinque o sei farfalle posate su una sola <strong>di</strong> queste corolle, mentre<br />

attorno ronzano api e vespe, in attesa <strong>di</strong> partecipare alla raccolta del nettare.<br />

È giusto che sia così, considerando la breve vita <strong>della</strong> flora alpina e la necessità<br />

che l’impollinazione si possa compiere nel modo più rapido possibile. Poi,<br />

la testina fiorale dell’astro si richiuderà, raccogliendo i cosiddetti petali in un<br />

fiocco appuntito che, dopo breve tempo, si riapre per dare via libera a una<br />

cinquantina <strong>di</strong> acheni, ognuno provvisto <strong>di</strong> un minuscolo paracadute <strong>di</strong> setole<br />

finissime che il vento – anche il più leggero – è in grado <strong>di</strong> sollevare e portare<br />

via, lungo il profilo dei pascoli e dei declivi per far nascere e fiorire, tra l’erba,<br />

altri miracoli <strong>di</strong> colore e <strong>di</strong> bellezza a forma <strong>di</strong> stella.<br />

Dovrà passare, sulla montagna, la dolce quiete dell’autunno, dovrà passare<br />

la gelida parentesi dell’inverno, ma poi sarà <strong>di</strong> nuovo primavera e<br />

<strong>di</strong> nuovo sarà l’estate, secondo il ciclo meraviglioso che ha nome vita<br />

e morte e che l’uomo e gli animali e le piante debbono saper accettare<br />

e capire, così come si accetta e si segue una fede.<br />

Una fede che magari non si esprime in preghiere, ma si rivela nella commozione<br />

e nel rispetto <strong>di</strong> un <strong>fiore</strong>, <strong>di</strong> un lieve volo <strong>di</strong> insetti, nel saper riconoscere<br />

nella pioggia o nel vento altrettanti messaggi <strong>di</strong> continuità del dono meravi­<br />

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SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Aster alpinus<br />

Nomi popolari: astro <strong>di</strong> monte, astro alpino,<br />

astro blu<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Composite<br />

Fiori: a capolino, terminali, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 4-5<br />

centimetri, con fiori tubulosi, giallo vivo, riuniti a<br />

formare il <strong>di</strong>sco centrale; i fiori <strong>della</strong> corona<br />

sono a ligula, <strong>di</strong>sposti a raggi, in una<br />

particolare tonalità azzurro-rosa-viola. La<br />

fioritura continua da luglio a fine agosto<br />

Caratteristiche: l’altezza <strong>di</strong> questo astro varia<br />

da <strong>di</strong>eci a trenta centimetri, con fusti non<br />

ramosi e foglie a spatola che si addensano al<br />

piede <strong>della</strong> pianta. Tutto l’esemplare è<br />

leggermente peloso<br />

Etimologia: dal greco astér, stella, a in<strong>di</strong>care la<br />

forma dei capolini<br />

glioso che si chiama «esistenza» e che si esprime per noi in mille forme, in mille<br />

mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi: anche nella fragile presenza <strong>di</strong> una piccola stella colorata <strong>di</strong><br />

azzurro e <strong>di</strong> viola e <strong>di</strong> rosa, nata tra l’erba come un piccolo pro<strong>di</strong>gio, combinato<br />

da un incontro d’amore tra una farfalla e un astro delle Alpi lassù a quota<br />

duemila, dove le magie sono ancora possibili.<br />

48


«Piccolo <strong>fiore</strong>, bello e misterioso,<br />

dal profumo dolce e ingannevole,<br />

mi ricor<strong>di</strong> la seduzione <strong>di</strong> una<br />

donna infida e affascinante, pronta<br />

ad amare, ma anche a tra<strong>di</strong>re».<br />

F. G. Quevedo y Vilegas<br />

La dafne, bella e pericolosa<br />

I botanici l’hanno chiamata Daphne, lo stesso nome che i Greci davano all’alloro,<br />

o lauro, nome che deriva da quello dell’omonima ninfa oggetto delle amorose<br />

brame <strong>di</strong> Apollo, sottrattasi all’inseguimento del <strong>di</strong>o con uno stratagemma<br />

quanto mai efficace: trasformandosi in una pianta <strong>di</strong> lauro perfettamente<br />

mimetizzata nel folto <strong>di</strong> una macchia boschiva.<br />

Non può accadere altrettanto alla nostra dafne, soprattutto nel periodo <strong>della</strong><br />

fioritura, allorché i suoi rami si coprono <strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> vario colore, spesso ancor<br />

prima dell’apparizione delle foglie, con effetto cromatico <strong>di</strong> grande suggestione.<br />

Le varie specie <strong>di</strong> Daphne, che appartengono alla famiglia delle Thymeleaceae,<br />

sono caratterizzate da frutti a drupa, rossi oppure neri, velenosi per la presenza<br />

<strong>di</strong> «dafnina», fenomeno che è particolarmente evidente nella Daphne<br />

laureola, chiamata comunemente olivella, che vive sulle nostre montagne alla<br />

stessa altitu<strong>di</strong>ne del faggio e del castagno. Questa dafne, eccezione in tutto il<br />

genere, fiorisce con mazzetti <strong>di</strong> corolle tubolari verdognole, poco profumate;<br />

la corteccia dei suoi rami viene utilizzata dalla farmacopea popolare per le virtù<br />

vescicatorie e se ne estrae una sostanza gialla che anticamente serviva a tingere<br />

lana e stoffe.<br />

Ma <strong>di</strong>re dafne è ricordare piante assai <strong>di</strong>verse nell’aspetto dalla laureola, decisamente<br />

tipiche del paesaggio alpino, prealpino e appenninico, dove queste<br />

specie<br />

«... appaiono come macchie rosa che sembrano inventate dalla fantasia per<br />

regalare al bosco e alle pietraie un momento <strong>di</strong> magia, un attimo <strong>di</strong> sogno, per<br />

poter credere ancora nel regno degli elfi e delle fate». Così Halsen B. Herwood,<br />

gentile quanto puntuale scrittore <strong>di</strong> argomenti botanici, in una raccolta <strong>di</strong> note<br />

sulla flora dell’Europa meri<strong>di</strong>onale (1859). Ma aggiunge: «E queste stesse piante<br />

denominate “Daphne” si ritrovano nella lontana Asia e vengono utilizzate dai<br />

noma<strong>di</strong> pastori che con il succo tratto dalla corteccia <strong>di</strong> tali arbusti usano dare<br />

delicati colori alle lane per tesserne poi tappeti e stoffe <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima bellezza<br />

e pregio».<br />

Ecco le dafne sono anche questo, ma soprattutto rappresentano una delle voci<br />

più interessanti del patrimonio boschivo delle nostre valli, a cominciare dalla<br />

Daphne mezereum (forse la più <strong>di</strong>ffusa dopo la laureola) chiamata anche mezereo<br />

o fior <strong>di</strong> stecco, bois gentil e morillon in francese, Common mezereon in<br />

inglese e gemeiner Seidelbast in tedesco. Questa specie fiorisce alla fine dell’inverno,<br />

allo sciogliersi delle nevi, e sino a maggio è possibile ammirare i suoi<br />

rami letteralmente coperti <strong>di</strong> fiori rosa-porpora, in varie tonalità, dal profumo<br />

intenso e dolce.<br />

Gareggia in bellezza con la mezereum la Daphne cneorum o timelea odorosa<br />

(Lauréole odorante, Garland flower, Steinröserl) che è una delle prime piante ad<br />

avvertire il ritorno <strong>della</strong> buona stagione. Si tratta <strong>di</strong> un arbustino compatto,<br />

spesso non più alto <strong>di</strong> un palmo, dai fiori rosso-porpora in ciuffetti apicali che<br />

spiccano come altrettanti fiocchi sul verde intenso delle foglie formanti una<br />

sorta <strong>di</strong> cuscino. Dai fiori <strong>della</strong> timelea si spande nell’aria pura e fresca <strong>della</strong><br />

montagna un aroma persistente, acuto, che assomma la dolcezza <strong>della</strong> vaniglia<br />

all’esotica fragranza del garofano.<br />

Diverso, ma altrettanto intenso, il profumo <strong>della</strong> Daphne striata o dafne<br />

rosa (Daphné strié, Striated Daphned, Gestreifter Siedelbast) che vive fra i<br />

1000 e i 2800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, sui terreni rocciosi, in pieno sole e che<br />

richiama nel portamento prostrato e nella forma dei bassi cespugli l’aspetto<br />

dei rododendri. I suoi fiori sono rosa, in fascetti terminali, e appaiono<br />

verso maggio.<br />

Per completare questa passerella <strong>di</strong> silvestri bellezze, ecco la timelea delle<br />

rocce o Daphne petraea (Lauréole des rochers, Rock Mezereon, Felsen<br />

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SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Daphne<br />

Nomi popolari: timeleo, fior <strong>di</strong> stecco, legno<br />

gentile, laureola, timelea delle rocce, dafne<br />

rosa, farne striata<br />

Origine: Asia ed Europa<br />

Famiglia: Timelacee<br />

Fiori: petali ridotti a scaglie e sepali che<br />

assumono funzione vessillifera, per attrarre gli<br />

insetti. Fioritura primaverile, in vari toni <strong>di</strong> rosa<br />

e <strong>di</strong> rosso. Profumo intenso<br />

Caratteristiche: piccoli arbusti, talvolta dal<br />

portamento prostrato, con foglie assai piccole,<br />

lanceolate o a spatola, verde intenso. La<br />

corteccia delle dafne contiene un glucoside, la<br />

«dafnina», che provoca irritazioni alla pelle<br />

Etimologia: il nome, dal greco dáfne, alloro,<br />

ricorda la ninfa omonima che gli dei<br />

tramutarono in un cespuglio <strong>di</strong> lauro per<br />

sottrarla all’inseguimento <strong>di</strong> Apollo


Seidelbast), un arbusto dal portamento particolare, che vive nelle fessure<br />

delle rupi allungando i rami a formare una sorta <strong>di</strong> fiorita tappezzeria<br />

lungo le pareti a picco. I suoi fiori rosa-porpora, profumatissimi, compongono<br />

macchie <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria evidenza sul grigio delle pietre, tanto più<br />

che il fogliame finisce per essere completamente nascosto dalla massa<br />

delle corolle. La timelea delle rocce occupa un’area abbastanza ristretta<br />

dell’arco alpino e fa la sua apparizione solo nelle Prealpi bresciane e bergamasche.<br />

Questa, seppure in sintesi, la storia botanica delle dafne che arricchiscono il<br />

nostro paesaggio, il nostro prezioso corredo <strong>di</strong> specie spontanee e che regalano<br />

ai nostri boschi e alle pietraie più elevate la grazia del colore, la magia del profumo.<br />

E ben lo sanno farfalle e api, vespe e calabroni che sulla dafne vanno a cercare<br />

la dolcezza del nettare e dai suoi fiori traggono la vita mentre si incaricano <strong>di</strong><br />

trasportarne il polline verso altre corolle.<br />

Ed è così che si rinnova il ciclo meraviglioso che allaccia uno degli anelli <strong>della</strong><br />

catena biologica che si salda nella presenza dell’uomo sul grande palcoscenico<br />

che si chiama Terra, <strong>della</strong> cui salvezza ognuno <strong>di</strong> noi è <strong>di</strong>rettamente responsabile<br />

e che può cominciare proprio nel rispetto <strong>di</strong> un <strong>fiore</strong>, uno soltanto: magari<br />

quello <strong>di</strong> una profumatissima dafne, bella ma un poco infida.


«...fiori strani, petali <strong>di</strong> carne rosea<br />

o sanguigna, <strong>di</strong> porcellana can<strong>di</strong>da<br />

o azzurra, foglie più belle dei fiori...<br />

Tutto è immutato come alle origini,<br />

quando non era l’uomo, quando<br />

non era il dolore».<br />

Guido Gozzano<br />

Orchidee alpine,<br />

quando la natura<br />

imita se stessa<br />

Fra le molte specie che contribuiscono allo<br />

splendore <strong>della</strong> flora spontanea delle nostre<br />

montagne, le orchidee tengono un posto importante<br />

e – per fortuna – sono ancora abbastanza<br />

numerose e quin<strong>di</strong> suscettibili <strong>di</strong> conservazione<br />

anche in virtù delle precise norme<br />

protezionistiche ormai sancite in tutta Europa.<br />

Cominceremo col ricordare che la grande<br />

famiglia delle orchidee è, fra le monocotiledoni,<br />

la più ricca <strong>di</strong> generi (735) e conta ben ventimila<br />

specie <strong>di</strong>stribuite in tutto il globo: dal<br />

Circolo polare artico dove vive la Linnaea borealis<br />

sino alle zone più calde e misteriose dei<br />

Tropici.<br />

Anche le caratteristiche delle orchidee sono<br />

delle più varie; infatti, esse sono sempre erbacee<br />

e perenni, ma alcune specie tropicali assumono<br />

portamento lianoso, oppure sono<br />

terricole e altre epifite; esistono persino orchidee<br />

prive <strong>di</strong> clorofilla che vivono a spese <strong>di</strong><br />

altre piante.<br />

Nella flora italiana sono presenti ventitré generi<br />

<strong>di</strong> orchidee spontanee, con sessantasei<br />

specie tutte terricole e provviste <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci a<br />

pseudo-tubero. Davvero singolare è l’organizzazione<br />

del <strong>fiore</strong> che qualunque sia la sua forma<br />

è sempre costituito da sei tepali: cinque<br />

formano la parte superiore <strong>della</strong> corolla e<br />

spesso sono conniventi a casco, mentre il tepalo<br />

inferiore, o labello, è grande e vistoso, <strong>di</strong><br />

varia foggia, spesso colorato in modo <strong>di</strong>verso<br />

dal resto del <strong>fiore</strong>. Il labello assolve una funzione<br />

importantissima nell’economia riproduttiva<br />

delle orchidee in quanto ha il compito<br />

<strong>di</strong> richiamare gli insetti e i minuscoli uccelli<br />

(questo avviene solo ai Tropici grazie alla presenza<br />

dei colibrì) che hanno il compito <strong>di</strong> raggiungere<br />

il polline celato nel cuore dell’orchidea<br />

per trasportarlo in altre corolle<br />

e così fecondarle.<br />

Ebbene, è proprio nell’intento <strong>di</strong> realizzare<br />

questa delicatissima impresa che la Natura<br />

mette in atto uno dei più straor<strong>di</strong>nari fenomeni<br />

che sia dato riscontrare nel regno vegetale<br />

e che trova una precisa rispondenza<br />

anche in quello animale.<br />

Stiamo parlando del processo «imitativo» che<br />

attraverso la lenta opera <strong>di</strong> evoluzione compiuta<br />

da tutte le specie viventi, ha fatto sì che<br />

alcuni fiori, e in modo particolare le orchidee<br />

Ophrys e Orchis, abbiano raggiunto una perfetta<br />

somiglianza con gli insetti impollinatori:<br />

mosche, vespe, api, coleotteri.<br />

Nel regno animale lo stesso fenomeno si com­<br />

52


pie con un <strong>di</strong>verso meccanismo – e secondo tempi rapi<strong>di</strong>ssimi <strong>di</strong> trasformazione<br />

– ed è noto come «mimetismo», caratteristica particolare <strong>di</strong> alcuni rettili e,<br />

in specie, del camaleonte.<br />

Queste brevi annotazioni sull’aspetto delle orchidee nostrane possono aver definito<br />

la preziosità e l’interesse che si riferiscono a questo gruppo <strong>di</strong> specie, preziosità<br />

e interesse che trovano un ulteriore motivo <strong>di</strong> attenzione in un’altra<br />

qualità <strong>di</strong> questi fiori: il profumo. Infatti, raramente si trova nella grande famiglia<br />

delle piante un aroma dolce e penetrante come quello <strong>della</strong> scurissima<br />

Nigritella nigra, detta anche palmacristo fragrantissima, che odora <strong>di</strong> vaniglia<br />

e cioccolato insieme, oppure quello <strong>della</strong> Gymnadenia odoratissima, nota come<br />

orchidea garofanata, le cui minuscole corolle rosa profumano quasi fossero<br />

enormi garofani. Pure molto interessante, sotto questo aspetto, la bianca Platanthera<br />

bifolia, che si ammira sulle Alpi e sugli Appennini, che emana un delicato<br />

sentore <strong>di</strong> vaniglia; non bisogna infatti <strong>di</strong>menticare che l’esotica vaniglia<br />

che si impiega in gastronomia altro non è se non il frutto <strong>della</strong> Vainilla planifolia<br />

che vive e si coltiva ai Tropici.<br />

Se le orchidee che abbiamo appena ricordate destano interesse per il loro profumo,<br />

tra le orchidee spontanee sulle nostre montagne l’Oscar <strong>della</strong> bellezza<br />

va senz’altro al variegato Cypripe<strong>di</strong>um calceolus o pianella <strong>della</strong> Madonna, che<br />

i francesi chiamano sabot de la Vierge, gli inglesi Lady’s slipper orchid e i tedeschi<br />

Frauenschuh. Questa orchidea, interprete <strong>di</strong> tante delicate leggende, vive<br />

fra i 650 e i 2000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne nei boschi <strong>di</strong> faggi o <strong>di</strong> abeti e fra gli arbusti,<br />

su terreno calcareo; fiorisce da maggio a giugno.<br />

Per quanto riguarda Ophrys e Orchis nelle <strong>di</strong>verse specie spontanee sulle Alpi,<br />

<strong>di</strong>remo che esse pre<strong>di</strong>ligono i tratti <strong>di</strong> terreno asciutto, erbosi o parcamente<br />

arbustivi, piuttosto pianeggianti, situati attorno ai 1000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. Tra<br />

le in<strong>fiore</strong>scenze più curiose appartenenti a queste specie, ecco l’Ophrys fuciflora<br />

detta formicone o fior ragno perché le sue corolle bruno-porpora ricordano<br />

da presso il capo <strong>di</strong> questi insetti; pure interessanti i <strong>fiore</strong>llini bianco rosati<br />

dell’Orchis simia che ricreano in proporzioni microscopiche la forma <strong>di</strong> una<br />

scimmietta; questa orchidea è tipicamente me<strong>di</strong>terranea, si trova con una certa<br />

frequenza sugli Appennini e lungo l’arco prealpino nei luoghi meno esposti al<br />

vento e in posizione soleggiata.<br />

Amano invece il terreno paludoso la rosea Dactylorhiza majalis o orchidea <strong>di</strong><br />

maggio e la Dactylorhiza sambucina o giglio sambucino che profuma leggermente<br />

<strong>di</strong> sambuco e fiorisce sia in giallo sia in porpora.<br />

E potremmo parlare ancora a lungo delle perfette imitazioni realizzate dall’Ophrys<br />

apifera, dall’Ophrys bombyliflora, dall’Ophrys insectifera, dall’Ophrys<br />

aranifera, in stretta concorrenza con api, bombici, ragni e insetti vari e in gara<br />

con l’Orchis papilionacea e la già nominata Orchis simia.<br />

Potremmo <strong>di</strong>lungarci ancora nel descrivere queste meraviglie, ma ci basta aver<br />

suggerito ai nostri lettori un ulteriore motivo <strong>di</strong> interesse per le loro scarpinate<br />

in montagna: munirsi <strong>di</strong> una buona lente e andare a ricercare le orchidee per<br />

esaminare con attenzione le minuscole corolle e scoprirvi forme insospettate.<br />

Per constatare quale pro<strong>di</strong>gi sa realizzare la Natura, quando vuol imitare sé<br />

stessa, per assicurare il compiersi <strong>di</strong> un miracolo che si attua attraverso l’impollinazione<br />

e che ha nome vita.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Ophrys, Orchis, Nigritella, corolle, oppure a pianella, a spiga, a<br />

Gymnadenia, Platanthera Cypripe<strong>di</strong>um, campanula, nei colori più vari; qualche specie<br />

Dactylorhiza, eccetera emana intenso profumo. Fioritura estiva<br />

Nomi popolari: ofride, orchide, palmacristo, Caratteristiche: specie erbacee, perenni, <strong>di</strong><br />

pianella <strong>della</strong> Madonna, vaniglione, giglio varia altezza, con foglie ellittiche, lanceolate o<br />

sambucino, orchidea garofanata<br />

a spada, talvolta maculate <strong>di</strong> porpora<br />

Origine: dal Circolo polare ai tropici<br />

Famiglia: Orchidacee<br />

Etimologia: il nome <strong>di</strong> ogni specie ha una sua<br />

origine, ma quello <strong>della</strong> famiglia, ossia<br />

Orchidacee, deriva da Orchis che in greco<br />

Fiori: sono <strong>di</strong> varia forma, spesso a imitazione significa testicoli, dato che molte specie<br />

degli insetti incaricati <strong>della</strong> fecondazione delle presentano due tuberi stranamente abbinati<br />

54


«Ancora ridon tra le lunghe ciglia<br />

gli occhi, e fingete che vi arrida<br />

amore;<br />

ma racconta, per voi, questa<br />

androsace alpina<br />

la gran malinconia del vostro<br />

cuore».<br />

Elisabetta Barrett-Browning<br />

L’androsace, come un tenero muschio<br />

Il mondo vegetale è una continua fonte <strong>di</strong> meraviglie e <strong>di</strong> sorprese, una vera e<br />

propria miniera <strong>di</strong> «osservazioni» <strong>di</strong> grande interesse sotto il profilo scientifico.<br />

È soltanto colpa <strong>della</strong> nostra superficialità se spesso non sappiamo leggere<br />

in questo straor<strong>di</strong>nario libro scritto con le piante e con i fiori <strong>di</strong> cui ammiriamo<br />

soprattutto la bellezza e solo raramente guardandone in modo più specifico<br />

la realtà.<br />

L’Androsace, la piccola primulacea cui de<strong>di</strong>chiamo questo capitolo, è uno degli<br />

esempi più significativi del potere <strong>di</strong> adattamento delle specie vegetali alle<br />

con<strong>di</strong>zioni dell’ambiente e del clima; un adattamento che sembra quasi voler<br />

riscattare le piante dalla schiavitù che è loro imposta dall’essere ancorate alla<br />

terra a mezzo delle ra<strong>di</strong>ci. Infatti, se gli animali hanno la possibilità <strong>di</strong> ricercare<br />

l’habitat più congeniale, <strong>di</strong> fuggire da un luogo inospitale per cercare zone<br />

più tiepide o più fredde, angoli riparati dal vento o ricchi <strong>di</strong> acqua, alle piante<br />

è dato soltanto <strong>di</strong> adeguarsi alla situazione e volgere a proprio vantaggio anche<br />

le con<strong>di</strong>zioni meno positive.<br />

E ve<strong>di</strong>amo, in modo particolare, cosa succede alle piccole androsacee e soprattutto<br />

all’Androsace vandellii che è la specie più <strong>di</strong>ffusa sulle nostre montagne.<br />

Questa deliziosa, piccola pianta vive – <strong>di</strong> norma – fra i 2000 e i 3000 metri sul<br />

livello del mare, abbarbicata sulle rocce o sullo sfasciume <strong>di</strong> natura silicea,<br />

come graniti e scisti, esposta alla massima incidenza del vento e, perciò, in<br />

situazione molto precaria per la sopravvivenza <strong>di</strong> piante che avessero lunghi<br />

fusti e foglie larghe, fiori sorretti da sottili steli e un portamento cespitoso.<br />

Ecco, allora, l’androsace mettere in atto una serie <strong>di</strong> intelligenti mo<strong>di</strong>fiche al<br />

normale aspetto <strong>di</strong> una specie erbacea, mo<strong>di</strong>fiche che l’hanno resa perfettamente<br />

adatta a vivere dove ben poche altre piante riescono a colonizzare l’ambiente<br />

ponendo le basi ecologiche per l’inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> altri elementi vegetali.<br />

Prima <strong>di</strong> ogni altra cosa, l’androsace ha ridotto l’altezza del suo fusto a pochi<br />

centimetri, non più <strong>di</strong> quattro, accorgimento che le permette <strong>di</strong> resistere anche<br />

alle più violente sferzate del vento; ma non basta quasi a cercare calore e protezione<br />

nella vicinanza dei suoi simili, i fusti dell’androsace spuntano così prossimi<br />

gli uni agli altri da formare dense zolle a cuscinetto, fitte come il più compatto<br />

dei muschi.<br />

In modo particolare l’Androsace vandellii, nota anche come Androsace<br />

multiflora, si riconosce per la tonalità bianco-argento delle sue foglioline<br />

che sono coperte da una coltre tomentosa, ossia da una miriade<br />

<strong>di</strong> peli stellati che hanno lo scopo <strong>di</strong> proteggere dal freddo e dall’intensa<br />

azione dei raggi solari i delicati tessuti <strong>della</strong> piccola<br />

pianta. La protezione dai fattori climatici non è comunque<br />

affidata soltanto all’argentea peluria che ricopre<br />

il fogliame, ma alla forma e <strong>di</strong>sposizione stessa<br />

delle foglie, minuscole, strette e spatolate, lunghe<br />

da 3 a 6 millimetri, densamente addossate ai fusticini come gli<br />

embrici <strong>di</strong> un tetto; in tal modo, i singoli fusti vengono ad assumere<br />

un aspetto colonnare con l’apice arrotondato, caratteristiche che<br />

accrescono la resistenza degli steli a qualsiasi sollecitazione<br />

esterna <strong>di</strong> natura climatica.<br />

Fra l’altro, il colore grigiastro e la «forza» con la quale i<br />

cuscini <strong>di</strong> androsace aderiscono alla roccia, rappresentano<br />

una valida <strong>di</strong>fesa contro la voracità dei mammiferi<br />

che vivono ad alta quota e che debbono accontentarsi <strong>di</strong><br />

poca e rada vegetazione.<br />

Se l’androsace non mettesse in atto anche quest’astuzia, in<br />

breve tempo molte specie <strong>di</strong> questo interessante genere finirebbero<br />

per scomparire. È ovvio che non basta questo tipo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa ad<br />

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assicurare la sopravvivenza e la riproduzione dell’androsace che deve affidarsi<br />

alla compiacente alleanza del vento e soprattutto dei pochi insetti che vivono<br />

a quelle altitu<strong>di</strong>ni per poter <strong>di</strong>ffondere i suoi semi e trasportare il suo polline;<br />

perché si compia il rito <strong>della</strong> riproduzione, l’androsace fra luglio e agosto emette<br />

un gran numero <strong>di</strong> fiori, piccoli e quasi sessili, ossia con uno stelo brevissimo,<br />

del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> quattro millimetri. La corolla ha un tubo breve e cinque lobi<br />

arrotondati, bianchi o rosa, con la fauce gialla o porpora che assume una colorazione<br />

più intensa a mano a mano che il <strong>fiore</strong> essicca.<br />

Sui fitti cuscini argentei dell’androsace i fiori sembrano proprio tante piccole<br />

stelle dai contorni morbi<strong>di</strong>, miracolosamente apparse fra gli aspri contorni<br />

delle rocce, nelle sacche dove si raccoglie una manciata <strong>di</strong> terra, primo e timido<br />

avamposto del possibile inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> altre e più robuste specie.<br />

Per trovare l’Androsace, in genere, e la vandellii in particolare, bisogna scarpinare<br />

un po’, ma non è <strong>di</strong>fficile imbattersi in questa singolare pianta che occupa<br />

un areale vastissimo: dai Pirenei alle Alpi, soprattutto le occidentali, da<br />

quelle del Delfinato in Francia e poi, verso oriente, sino alla Stiria.<br />

Ecco questa è la storia, piccola e semplice, dell’androsace, che gli inglesi chiamano<br />

rockjasmine; una pianta <strong>di</strong> pochi centimetri che tuttavia nasconde un<br />

profondo insegnamento: nulla in Natura avviene per caso, dalla vita del più<br />

minuscolo insetto all’esistenza delle stelle.<br />

Aveva ben ragione Einstein nell’affermare: «Dio non può giocare a da<strong>di</strong> con<br />

l’Universo».<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Androsace vandellii Caratteristiche: questa tipica pianta a<br />

Nomi popolari: gelsomino <strong>di</strong> roccia, cuscino <strong>di</strong> cuscinetto non supera i quattro centimetri <strong>di</strong><br />

stelle<br />

altezza e i fusti sono così addossati gli uni agli<br />

Origine: Catena dei Pirenei e cerchia delle<br />

Alpi<br />

Famiglia: Primulacee<br />

Fiori: a cinque petali arrotondati, bianchi, con<br />

altri da formare una sorta <strong>di</strong> emisfera compatta.<br />

Su ogni stelo appaiono minuscole foglie<br />

<strong>di</strong>sposte come le tegole <strong>di</strong> un tetto, come le<br />

squame <strong>di</strong> una minuscola pigna<br />

la gola gialla, aperti a stella; si schiudono in Etimologia: dal greco andrós, uomo e ákos,<br />

estate e hanno un <strong>di</strong>ametro massimo <strong>di</strong> mezzo rime<strong>di</strong>o, per sottolineare le proprietà me<strong>di</strong>cinali<br />

centimetro delle androsacee<br />

57


«Niente mi ha dato il senso <strong>della</strong><br />

solitu<strong>di</strong>ne e del gelo quanto quel<br />

piccolo <strong>fiore</strong> spuntato al margine<br />

dei ghiacci, con i petali raccolti a<br />

ciotola per trattenere ogni stilla <strong>di</strong><br />

sole».<br />

G. M.<br />

Il ranuncolo, figlio del ghiaccio<br />

L’etimologia del nome scientifico Ranunculus si rifà a una parola greca, batrachion<br />

(da cui il moderno «batrace» per in<strong>di</strong>care genericamente le rane) e dal suo<br />

<strong>di</strong>minutivo riferito a ranocchietta, con il chiaro intento <strong>di</strong> ricordare l’habitat<br />

abituale per questo tipo <strong>di</strong> pianta che «spunta numerosa nei luoghi ricchi <strong>di</strong><br />

acque stagnanti ove vivono anche animali anfibi, come rane e ranocchi». Questa<br />

la spiegazione <strong>di</strong> un naturalista del passato che si è <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> aggiungere<br />

che i ranuncoli vivono anche lungo i fossati dove l’acqua scorre liberamente,<br />

per non parlare delle specie <strong>di</strong> provenienza esotica, come i Ranunculus asiaticus<br />

e hortensis importati in Europa al tempo delle Crociate.<br />

Ma forse la <strong>di</strong>menticanza più grave dell’antico cronista <strong>di</strong> cose botaniche è<br />

quella che si riferisce a una delle più belle e preziose piante alpine: il Ranunculus<br />

glacialis che già nel suo nome evoca immagini <strong>di</strong> fredda e trasparente bellezza,<br />

<strong>di</strong> irripetibili silenzi, <strong>di</strong> suggestioni in<strong>di</strong>menticabili.<br />

Raramente, come in questo caso, un nome aderisce in modo perfetto alle caratteristiche<br />

<strong>della</strong> specie, considerando che il glacialis vive proprio a due passi<br />

dalle nevi eterne, sulle morene e alla base delle creste rocciose che fanno da<br />

festone alle <strong>di</strong>stese <strong>di</strong> ghiaccio attorno ai 4000 metri, con qualche punta <strong>di</strong>scendente<br />

sino a 2500 metri e un picco deciso che raggiunge i 4300 metri del Finsteraarhorn<br />

nelle Alpi bernesi, ossia il limite estremo occupato dalle specie fanerogame<br />

nel nostro continente.<br />

Il Ranunculus glacialis, noto volgarmente come erba camozzera (renuncole des<br />

glaciers, in Francia; glacier’s crowfoot in Gran Bretagna e Gletscher-Hahnenfuss<br />

in lingua tedesca) appartiene alla famiglia delle Ranuncolacee, presenta fusto<br />

carnoso, rossastro, contorto e ramoso, alto da 4 a 20 centimetri, con poche<br />

foglie, ridotte e trilobe. Ogni fusto porta uno o due fiori, raramente <strong>di</strong> più, larghi<br />

sino a 3 centimetri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, con sepali esternamente pelosi e color ruggine,<br />

petali bianchi o appena rosati in numero <strong>di</strong> cinque o più, molto allargati<br />

in alto, a margine intero o leggermente festonato. Al centro, una corona <strong>di</strong> stami<br />

giallo-oro, molto allargata. Nell’insieme, il <strong>fiore</strong> ricorda una coppa e questa<br />

forma sembra fatta apposta per ricevere tutto il calore possibile. La fioritura<br />

avviene tra luglio e agosto.<br />

È interessante esaminare l’origine del Ranunculus glacialis che è originario delle<br />

regioni artiche, dove è <strong>di</strong>ffuso dalla Finlan<strong>di</strong>a e dalla Scan<strong>di</strong>navia sino all’Islanda<br />

e alla Groenlan<strong>di</strong>a orientale. Un secondo areale <strong>di</strong> questa specie si è localizzato<br />

– in seguito alle glaciazioni che hanno «spinto» alcune piante verso il sud<br />

alla ricerca <strong>di</strong> climi più miti – in una fascia che abbraccia le catene montuose<br />

dell’Europa centrale, dalla Sierra Nevada ai Pirenei, e lungo la catena alpina sino<br />

ai Carpazi.<br />

In Valtellina, che è veramente ricca <strong>di</strong> specie spontanee tra le più belle e pregiate,<br />

il Ranunculus glacialis è presente, in varie località e, grazie al cielo, pare<br />

che la pianta non sia minacciata dal pericolo dell’estinzione, una realtà che –<br />

purtroppo – riguarda molte altre piante <strong>della</strong> montagna più facilmente raggiungibili<br />

dalla vandalica raccolta del turista occasionale. Infatti, il vero appassionato<br />

<strong>di</strong> montagna conosce il valore <strong>di</strong> ogni singola presenza animale o vegetale<br />

e si comporta <strong>di</strong> conseguenza, attento a non turbare minimamente il già<br />

precario equilibrio ecologico <strong>di</strong> una Natura così esposta alle azioni dell’uomo,<br />

così vulnerabile nei suoi meccanismi tanto sottili e precisi, legati da connessioni<br />

in parte misteriose e, comunque, molto facili da spezzare o turbare.<br />

Per fortuna, il Ranunculus glacialis, come molte altre specie alpine ed appenniniche,<br />

vive a così grande altitu<strong>di</strong>ne e in luoghi tanto impervi da concedersi in<br />

visione soltanto a pochi; esso rappresenta veramente l’immagine <strong>della</strong> bellezza<br />

in assoluto, qualcosa <strong>di</strong> irreale nell’atmosfera un po’ rarefatta delle altitu<strong>di</strong>ni,<br />

dove la luce ha una trasparenza tutta speciale e i colori sembrano scindersi<br />

in un cromatismo che ricorda le pennellate minute e sapienti dei Divisionisti.<br />

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Ecco, il glacialis è davvero il simbolo <strong>di</strong> una profonda armonia, <strong>di</strong> un incanto<br />

che forse nessuno saprà mai descrivere in tutta la sua pienezza, in tutta la sua<br />

struggente e avvincente poesia.<br />

Forse, l’essenza più vera <strong>di</strong> tutto questo è affidata proprio al figlio dei ghiacci,<br />

al ranuncolo nato non per fiorire nella quieta immobilità <strong>di</strong> uno stagno, ma<br />

piuttosto per sfidare il vento e il sole dei quattromila dove è più facile credere<br />

nella bellezza assoluta, nella perfezione <strong>di</strong> ogni cosa creata.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Ranunculus glacialis colore dei fiori, che si aprono in estate, è<br />

Nomi popolari: erba camozzera, ranuncolo<br />

dei ghiacci<br />

bianco soffuso <strong>di</strong> rosa<br />

Caratteristiche: fusti rossastri e foglie carnose,<br />

lucide, <strong>di</strong>sposte soprattutto alla base e rade<br />

Origine: Finlan<strong>di</strong>a, Groenlan<strong>di</strong>a, Scan<strong>di</strong>navia lungo i fusti. Questo ranuncolo, bellissimo,<br />

e Islanda fiorisce tra i sassi, sulle morene che fanno da<br />

Famiglia: Ranuncolacee<br />

contorno ai ghiacciai<br />

Etimologia: dal latino rana, rana, e unculus,<br />

Fiori: solitari, con il <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> tre centimetri, termine che equivale a un <strong>di</strong>minutivo. Il nome<br />

sorretti da steli <strong>di</strong> varia altezza: da tre a venti ricorda che i ranuncoli vivono <strong>di</strong> solito nelle<br />

centimetri. I petali sono cinque, si allargano e zone paludose preferite dalle rane. Esiste anche<br />

poi si incurvano a formare ciotola che al centro un significato etimologico più antico che si<br />

racchiude una corona <strong>di</strong> stami giallo-oro. Il collega al greco batrachion, batrace, ossia rana<br />

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«... e sotto la macchia e l’erica<br />

e gli anemoni sottili<br />

soltanto il guar<strong>di</strong>acaccia vede<br />

che dove cova la palombella<br />

e ruzzolano i tassi, facilmente<br />

c’era un tempo una strada fra i<br />

boschi».<br />

Rudyard Kipling<br />

L’erica, romantica e solitaria<br />

È la pianta dei gran<strong>di</strong> spazi, che non si mescola ad altre specie, che si illumina<br />

<strong>di</strong> bellezza e <strong>di</strong> incre<strong>di</strong>bili sfumature al tramonto o al sorgere del sole, quasi<br />

avesse pudore <strong>di</strong> mostrare la sua grazia nel pieno <strong>della</strong> luce. È forse la pianta<br />

più <strong>di</strong>fficile da coltivare perché esigentissima in fatto <strong>di</strong> terreno e <strong>di</strong> ambiente,<br />

perché pretende aria pulita, il giusto grado <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà atmosferica e mal<br />

sopporta spostamenti e trapianti. Insomma, una creatura vegetale dal carattere<br />

<strong>di</strong>fficile, quasi aristocratico, ma che può <strong>di</strong>ventare generosa ed esuberante<br />

quando trova l’habitat congeniale, quando si inse<strong>di</strong>a in una sua nicchia ecologicamente<br />

favorevole.<br />

Tutto questo spiega perché, sulle nostre montagne, e persino in pianura nelle<br />

brughiere, all’improvviso si incontrano larghi spazi coperti <strong>di</strong> erica, squarci <strong>di</strong><br />

rosa, porpora o lilla che emergono da un tappeto <strong>di</strong> mirtilli o interrompono<br />

morbide sequenze <strong>di</strong> felci. In genere, si tratta dell’Erica carnea (sinonimo Erica<br />

herbacea) detta volgarmente scopina, <strong>della</strong> famiglia delle Ericacee, una famiglia<br />

che comprende i rododendri e i mirtilli, rossi e neri.<br />

In francese la nostra più comune erica viene in<strong>di</strong>cata come bruyère herbacée,<br />

in inglese è nota come spring heat e in tedesco si chiama Schneeheide.<br />

La specie <strong>di</strong> cui stiamo parlando è originaria dell’Europa centro-meri<strong>di</strong>onale,<br />

dalla penisola Iberica ai Balcani, con la massima irra<strong>di</strong>azione settentrionale in<br />

Boemia. In Italia è <strong>di</strong>ffusa lungo tutto l’arco alpino e sui dorsali appenninici non<br />

oltre il confine meri<strong>di</strong>onale <strong>della</strong> Toscana.<br />

Botanicamente parlando l’erica scopina, come del resto tutti i componenti <strong>di</strong><br />

questo genere ricco <strong>di</strong> circa 650 specie e moltissimi ibri<strong>di</strong> e varietà, è una pianta<br />

suffruticosa <strong>di</strong> modeste <strong>di</strong>mensioni, con altezza massima <strong>di</strong> 25-30 centimetri,<br />

che fiorisce in primavera in delicate tonalità dal rosa carne, al rosa-porpora. I<br />

fusti sono prostrato-ascendenti, tortuosi, <strong>di</strong>fficili da spezzare; le foglie sono<br />

lineari-acuminate quasi aghiformi; le corolle ovoido-tubolose sono <strong>di</strong>vise all’apice<br />

in quattro lobi.<br />

L’Erica carnea, che come abbiamo visto cresce in masse compatte, pre<strong>di</strong>lige<br />

l’esposizione a pieno sole o le radure boschive dai 300 ai 1800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne.<br />

In casi eccezionali vive anche ad altezze maggiori, raggiungendo i 2700 metri.<br />

E ora ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere in modo più intimo questa bella pianta nota nel vocabolario<br />

d’amore per il suo significato <strong>di</strong> «solitu<strong>di</strong>ne» e immortalata<br />

da Guillaume Apollinaire con questi struggenti e tenerissimi<br />

versi:<br />

Ho colto questo stelo <strong>di</strong> brughiera<br />

l’autunno è morto devi ricordare.<br />

Non ci vedremo più su questa terra<br />

odor <strong>di</strong> tempo stelo <strong>di</strong> brughiera<br />

ricorda bene ch’io t’attendo ancora.<br />

E nei fotogrammi <strong>della</strong> memoria si <strong>di</strong>segnano<br />

vallette solitarie, lontananze viola e un po’ nebbiose<br />

come accade <strong>di</strong> vederne solo in Scozia e Irlanda.<br />

Erica, segno del tempo che passa ma non si cancella,<br />

così come i suoi rami tenaci e soffici insieme coprono senza<br />

annullare il profilo <strong>di</strong> un’orma, il ricordo <strong>di</strong> un passo,<br />

<strong>di</strong> una presenza:<br />

... e sotto i muschi e l’eriche<br />

l’anima dei ruscelli in sonno è chiusa...<br />

Niccolò Tommaseo sintetizza così il concetto<br />

<strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne, ma lascia intendere<br />

che basta un nulla a risvegliare la vita, a<br />

destare l’anima delle cose e degli uomini; e l’erica, aiutando<br />

a ricordare, può servire a «rompere» il cerchio un po’ greve del rimpianto. Non<br />

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SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Erica carnea<br />

Nomi popolari: brugo, grecchia, scopa<br />

meschina, scopetta, brola, scopiglio,<br />

brusciariello, galencia<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale, Africa<br />

Famiglia: Ericacee<br />

Fiori: molto piccoli, quasi campanulati, riuniti<br />

verso l’apice dei fusti; appaiono in primavera e<br />

sono <strong>di</strong> color rosa, rosso-porpora e rosa-lilla.<br />

Sono ricchi <strong>di</strong> nettare e attirano le api<br />

61<br />

Caratteristiche: cespuglio semi-legnoso, o<br />

suffrutice, dai fusti tenaci, a volte prostrati,<br />

contorti, rivestiti da minuscole foglie, quasi<br />

aghiformi, verde-grigio<br />

Etimologia: dal greco eréiko, rompo, a<br />

in<strong>di</strong>care la forza del legno dell’erica, capace<br />

<strong>di</strong> spezzare la roccia per far posto alle ra<strong>di</strong>ci<br />

che si vanno formando. Dal ceppo dell’Erica<br />

scoparia si ricavano pregevoli pipe dette <strong>di</strong><br />

«ra<strong>di</strong>ca»


per nulla il nome <strong>di</strong> questa pianta deriva dal greco ereikein che significa appunto<br />

spezzare e sembra che Dioscoride abbia scelto questa definizione perché la<br />

ra<strong>di</strong>ce dell’erica riesce a spezzare persino la silice.<br />

E proprio in virtù <strong>di</strong> questa durezza, <strong>della</strong> tenacità <strong>di</strong> questa ra<strong>di</strong>ce, che gli<br />

uomini impiegano la parte sotterranea dell’Erica arborea per mo<strong>della</strong>rvi le<br />

scodelline <strong>di</strong> piacere che si chiamano pipe: piccoli bracieri dove si consumano<br />

ansie e tensioni dove si fabbricano pensieri e vanno in cenere tanti<br />

sogni.<br />

Sull’erica, proprio perché pianta così antica e legata da presso alla farmacopea<br />

popolare (visto che le sue ra<strong>di</strong>ci rompono la silice perché non utilizzarla contro<br />

i calcoli?) sono nate molte leggende e superstizioni, riferimenti e interpretazioni;<br />

degni <strong>di</strong> nota ci sembrano i simbolismi <strong>di</strong> natura teologica, a cominciare<br />

da quello proposto da sant’Anselmo nelle Me<strong>di</strong>tationes dove si paragona l’erica<br />

al peccato originale, meritevole del fuoco eterno in quanto si tratta <strong>di</strong> pianta<br />

dal lignum aridum et inutile, aeternis ignibus <strong>di</strong>gnum (legno arido e inutile,<br />

degno del fuoco eterno). Dello stesso parere è anche la Bibbia e san Tomaso<br />

d’Aquino nella Summa theologica vede nell’erica ad<strong>di</strong>rittura la dannazione. E,<br />

in fondo, quale condanna peggiore <strong>della</strong> solitu<strong>di</strong>ne? Forse l’erica ignora il peso<br />

dell’isolamento cui la costringe una delle infinite leggi <strong>della</strong> Natura, forse non<br />

conosce il sottile confine tra solitu<strong>di</strong>ne e sicurezza, tra rimpianto e desiderio.<br />

Forse vuol soltanto vivere nel vento <strong>della</strong> montagna o nella bruma delle brughiere,<br />

<strong>fiore</strong>ndo al primo tepore.<br />

Forse l’erica chiede solo <strong>di</strong> regalarci un po’ <strong>di</strong> bellezza perché la solitu<strong>di</strong>ne può<br />

trovare un momento <strong>di</strong> gioia anche in pochi fiori rosa, lilla, porpora o carnicini,<br />

nati in una corona <strong>di</strong> felci, mirtilli e muschio; che sembrano messi lì apposta<br />

per far ricordare al nostro cuore un momento <strong>di</strong> bellezza, un attimo <strong>di</strong> felicità.<br />

62


«Dov’è il mio giar<strong>di</strong>no, così colmo<br />

<strong>di</strong> linarie, nasturzi, bocche <strong>di</strong> leone,<br />

garofani e reseda e dove nascevano<br />

tanti dolci castelli in aria, ormai<br />

tutti crollati, e l’azzurro profilo dei<br />

monti che allora, per me,<br />

sorgevano al <strong>di</strong> là del cancello?»<br />

Ottone Edoardo Leopoldo <strong>di</strong> Bismarck<br />

Nella linaria i colori del tramonto<br />

La Natura ci ha abituati alle combinazioni cromatiche più impensabili, ad assonanze<br />

che nessun pittore oserebbe nel timore <strong>di</strong> realizzare contrasti poco<br />

armonici, ad accostamenti <strong>di</strong> così sottile eleganza da tramutarsi in magia. Se<br />

questo è vero per centinaia e centinaia <strong>di</strong> specie, è ancor più vero per molte<br />

piante alpine, nelle quali la modesta <strong>di</strong>mensione è compensata da grande bellezza<br />

<strong>di</strong> forme e sfumature. Se tutto questo è vero per tanti e tanti fiori che vivono<br />

in montagna, ancor più vero per la piccola, deliziosa Linaria alpina, <strong>della</strong><br />

famiglia delle Scrofulariacee, chiamata volgarmente linaiola d’alpe, in francese<br />

linaire des Alpes, in inglese alpine toadflax e in tedesco alpen Leinkraut.<br />

La Linaria alpina appartiene al gruppo <strong>di</strong> specie che vengono chiamate – e con<br />

buona ragione – «migratrici dei detriti»; infatti, essa ama inse<strong>di</strong>arsi sui ghiaioni<br />

mobili, sui terreni alluvionali, sulle morene. Per assorbire umi<strong>di</strong>tà dal profondo,<br />

la linaiola si è... inventata ra<strong>di</strong>ci lunghissime e questo particolare le<br />

consente <strong>di</strong> evitare i tratti erbosi e <strong>di</strong> vivere in aristocratico isolamento abbarbicata<br />

al terreno calcareo-dolomitico, o leggermente acido, a notevole altitu<strong>di</strong>ne:<br />

fra i 1500 e i 3800 metri. Per resistere alle variazioni climatiche e al vento<br />

caratteristico <strong>di</strong> tali quote, la linaiola d’alpe ha messo in atto il semplice accorgimento<br />

dell’associazionismo, riunendosi in piccoli cuscinetti, e neppure<br />

molto fitti, composti da fusticini ramosi e prostrato-<strong>di</strong>ffusi, con<br />

altezza che varia dai 5 ai 20 centimetri.<br />

Le foglie sono piccole, carnose, lineari-spatolate, <strong>di</strong> un delicato<br />

color verde azzurro che fa da sfondo alle in<strong>fiore</strong>scenze che hanno<br />

la forma <strong>di</strong> racemi, brevi e densi posti al termine <strong>di</strong> ogni fusticino.<br />

Ed è qui, a livello delle corolle, che si esprime la magica<br />

bellezza <strong>della</strong> Linaria alpina che da giugno ad agosto dà vita<br />

a piccoli fiori simili a minuscole bocche <strong>di</strong> leone, con cinque<br />

lobi aperti a fauce, terminanti in un lungo sperone nella parte<br />

inferiore <strong>della</strong> corolla tubulosa.<br />

La parte più esterna del <strong>fiore</strong> è <strong>di</strong> un delicato viola-rosa mentre<br />

la gola sfuma in toni <strong>di</strong> arancione intenso. Proprio come accade<br />

al cielo, verso sera, quando il sole riverbera all’orizzonte<br />

sulle striature ametista del tramonto. Un gioco <strong>di</strong> riflessi e<br />

<strong>di</strong> trasparenze rimandati da nuvola a nuvola, accesi dagli ultimi<br />

lampi <strong>di</strong> luce, velati dalla prima ombra. Difficile <strong>di</strong>re<br />

dove inizia una banda <strong>di</strong> colore e dove essa finisce perché<br />

su questa sequenza <strong>di</strong> toni e semitoni si stende un’impalpabile<br />

trama senza colore, ma che è intrisa <strong>di</strong> iridescenze, come<br />

l’aria stessa.<br />

Ecco, i fiori <strong>della</strong> Linaria alpina, che vivono in invi<strong>di</strong>abile solitu<strong>di</strong>ne<br />

a cospetto del cielo, hanno finito per rubare al tramonto il sortilegio<br />

<strong>di</strong> questi colori, non descrivibili sino in fondo perché raramente<br />

la bellezza assoluta trova nelle parole il modo <strong>di</strong> esprimersi, <strong>di</strong> tradursi<br />

in immagini.<br />

Ma forse la bellezza <strong>della</strong> linaiola d’alpe sta anche nella gioia <strong>di</strong> scoprirla,<br />

<strong>di</strong> incontrarla ad altitu<strong>di</strong>ni non in<strong>di</strong>fferenti, in ambienti abbastanza<br />

desolati, tali da non costituire la meta <strong>di</strong> gite turistiche, ma<br />

da rasentare gli itinerari <strong>di</strong> più preciso interesse escursionistico. Quest’area<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione va dai Pirenei al Giura, dalle Alpi all’Appennino<br />

abruzzese, dai Balcani ai Carpazi, in una fascia che comprende le maggiori<br />

elevazioni europee.<br />

A questo punto, per dovere <strong>di</strong> informazione, è giusto ricordare che la Linaria<br />

alpina, così palesemente aristocratica da <strong>di</strong>sdegnare la vicinanza <strong>di</strong> altre<br />

piante, non può rinnegare i suoi parenti più democratici, quelli che accettano<br />

<strong>di</strong> vivere in comunità con le infinite altre specie che vegetano ai limiti dei bo­<br />

63


schi, al margine dei prati o nelle aiuole dei giar<strong>di</strong>ni. Non può rinnegare le altre<br />

linarie, ma non accetta <strong>di</strong> vivere neppure accanto alla linaiola gialla o Linaria<br />

vulgaris, <strong>di</strong>ffusa sulle Alpi, sugli Appennini, nel Caucaso, in Cina o nel Nordamerica,<br />

che quasi per rispetto verso la cugina dalle corolle viola e arancione come<br />

un tramonto d’estate, limita la propria area esistenziale a un limite altimetrico<br />

che non supera i 1600 metri.<br />

E ancora vogliamo ricordare la deliziosa Linaria cymbalaria, dai minuscoli fiori<br />

azzurri o lilla e foglioline che ripetono in se<strong>di</strong>cesimo la forma palmata dell’edera.<br />

La cimbalaria emette lunghi e sottili fusti striscianti che spuntano da<br />

ogni crepa <strong>della</strong> roccia o dalle fessure dei vecchi muri, tra il muschio e le felci,<br />

ovunque umi<strong>di</strong>tà e ombra formino il microclima adatto a salvaguardare la sua<br />

vegetazione tenera e delicata.<br />

Queste le linarie dei monti ben <strong>di</strong>verse da quelle che si possono coltivare in<br />

giar<strong>di</strong>no: Linaria repens, Linaria dalmatica, Linaria bipartita e la bellissima Linaria<br />

maroccana originaria del Marocco, ricca <strong>di</strong> varietà e ibri<strong>di</strong> con spighe<br />

fiorifere <strong>di</strong> vari colori.<br />

Dopo aver accennato alle specie meno «<strong>di</strong>fficili» del genere Linaria può essere<br />

interessante riferire i dati <strong>di</strong> una ricerca compiuta da un naturalista tedesco,<br />

Georg Zwerger, che ha seguito nella frattura <strong>di</strong> un masso roccioso il percorso<br />

delle ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> un cespo <strong>di</strong> linaiola d’alpe e ha potuto stabilire che in superficie<br />

la pianta occupava un’area <strong>di</strong> soli venticinque centimetri quadrati mentre il suo<br />

apparato ra<strong>di</strong>cale si era così esteso e ramificato, nell’intento <strong>di</strong> andare a trovare<br />

una manciatina <strong>di</strong> terra e un po’ <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, da coprire una superficie <strong>di</strong><br />

ben seicento centimetri quadrati. Ma non basta: due piante separate da una<br />

<strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> oltre un metro, avevano le ra<strong>di</strong>ci strettamente intrecciate nell’evidente<br />

tentativo <strong>di</strong> rubarsi a vicenda spazio e nutrimento, in una vera e propria<br />

lotta per la vita.<br />

Se in montagna avrete la fortuna <strong>di</strong> incontrare un cespo <strong>di</strong> Linaria alpina ammiratela<br />

anche per questa sua ostinata voglia <strong>di</strong> vivere e sopravvivere; non<br />

lasciatevi tentare a raccoglierla, vinti dalla sua bellezza quasi struggente in<br />

determinate con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> luce. Non lasciatevi tentare e cercate invece <strong>di</strong> vedere,<br />

anche in quest’umile pianta, uno dei mille pro<strong>di</strong>gi <strong>della</strong> Natura.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Linaria alpina<br />

Nomi popolari: linaiola d’alpe, linaria <strong>di</strong><br />

monte, linaria del lupo<br />

Origine: catene montuose d’Europa<br />

Famiglia: Scrofulariacee<br />

Fiori: simili a bocche <strong>di</strong> leone in miniatura, si<br />

raccolgono in dense in<strong>fiore</strong>scenze al termine<br />

dei fusti, le corolle si aprono in estate e sono <strong>di</strong><br />

color viola con la gola arancione<br />

64<br />

Caratteristiche: i suoi fusti, alti da cinque a<br />

venti centimetri, formano cuscinetti semiprostrati,<br />

non densi, dal fogliame assai minuto<br />

e carnoso, verde-azzurro. Questa specie è<br />

tipica dei ghiaioni mobili ed è nota come<br />

«pianta dei detriti» perché segue il movimento<br />

delle morene che circondano i ghiacciai<br />

Etimologia: dal latino linum, per la somiglianza<br />

delle sue foglie con quelle del lino


«Tutto quanto è in armonia con te,<br />

o mondo, è in armonia anche con<br />

me. Tutto è frutto per me ciò che<br />

portano le tue stagioni, o Natura.<br />

Fosse pure un piccolo <strong>fiore</strong> tra mille<br />

alberi ed erbe».<br />

Marco Aurelio imperatore<br />

L’azalea alpina nata in America<br />

La Natura, sul filo delle sue leggi, immutabili quanto imperscrutabili, ci ha abituati<br />

a continue sorprese mettendoci <strong>di</strong> fronte a realtà talvolta sconcertanti, in<br />

contrasto con i parametri fred<strong>di</strong> e standar<strong>di</strong>zzati <strong>della</strong> logica comune.<br />

Fra i moltissimi casi <strong>di</strong> questo tipo, è da annoverare sicuramente anche il caso<br />

<strong>della</strong> Loiseleuria procumbens <strong>della</strong> famiglia delle Ericacee (sinonimo Azalea<br />

procumbens, Chamaecistus procumbens) comunemente nota come azalea alpina<br />

o azalea nana, azalea delle Alpi e bosso alpino; in francese loseleurie couchée,<br />

in inglese creeping azalea e in tedesco Gemsheide.<br />

Infatti, la Loiseleuria procumbens per arrivare sino alle nostre montagne ha<br />

compiuto quasi il giro del mondo, probabilmente ai tempi dell’ultima glaciazione,<br />

passando dall’America settentrionale al continente euro-asiatico lungo una<br />

strada comprendente la Groenlan<strong>di</strong>a e l’Islanda. Da quest’ultimo territorio un<br />

lungo passo ha portato la Loiseleuria (è l’unica specie coltivata del suo genere)<br />

sui contrafforti montuosi europei, dai Pirenei ai Carpazi e sino ai Balcani,<br />

ovviamente compresa la catena delle Alpi.<br />

La Loiseleuria procumbens è un arboscello prostrato alto da 5 a 20 centimetri,<br />

dai rametti contorti e abbastanza flessibili che finiscono per intrecciarsi fittamente,<br />

sino a formare una specie <strong>di</strong> reticolo sul terreno dei pascoli più sassosi<br />

e lungo il profilo delle rupi esposte al vento, ovunque il substrato terroso<br />

appaia decalcificato e siliceo.<br />

L’altitu<strong>di</strong>ne pre<strong>di</strong>letta dall’azalea delle Alpi, o bosso alpino, e quella compresa<br />

fra 1500 e 2400 metri, con un limite estremo che può toccare i 3000 metri.<br />

La nostra graziosa pianta presenta foglie opposte, non più lunghe <strong>di</strong> 7 millimetri,<br />

coriacee e persistenti, verde intenso e lucide sulla pagina superiore, biancastre<br />

e tomentose su quella inferiore.<br />

I fiori, in gruppi da due a cinque, sono posti all’apice dei rami e presentano una<br />

corolla rosea del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 5 millimetri, campanulata, con il cuore in una sfumatura<br />

più intensa. La fioritura avviene da giugno a luglio, nel momento <strong>di</strong> più<br />

intensa insolazione.<br />

Per completare i dati morfologici essenziali <strong>della</strong> Loiseleuria <strong>di</strong>remo che questo<br />

piccolo arbusto sopporta lunghi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> siccità e sa resistere al<br />

freddo più intenso, sopravvivendo anche a temperature molto<br />

basse, ad<strong>di</strong>rittura a 35-36°C al <strong>di</strong> sotto dello zero.<br />

Abbiamo iniziato la storia dell’azalea delle Alpi facendo cenno<br />

alle apparenti incongruenze dei fenomeni naturali, ma<br />

dobbiamo <strong>di</strong>re che il nostro piccolo bosso alpino è interprete<br />

<strong>di</strong> un’altra singolarità, relativa al suo nome scientifico. Infatti,<br />

è singolare e insolito che in campo botanico si attribuiscano<br />

a una stessa persona due generi <strong>di</strong>fferenti. È accaduto,<br />

invece, al me<strong>di</strong>co e naturalista francese Loiseleur-Deslongchamps<br />

(nato nel 1774 e morto nel 1849) che per i suoi meriti e la sua attività<br />

scientifica ha meritato l’onore <strong>di</strong> dare il suo cognome al genere<br />

Loiseleuria e al genere Longchampia. Per quanto riguarda la Loiseleuria,<br />

le complicazioni non finiscono qui, perché all’inizio<br />

l’unica specie, procumbens, venne attribuita da Linneo – il grande<br />

naturalista svedese considerato il padre <strong>della</strong> sistematica moderna<br />

– al genere Azalea mentre altri stu<strong>di</strong>osi ascrissero questa pianta<br />

fra i rododendri.<br />

È comunque stabilito che la Loiseleuria non è un’azalea e tanto<br />

meno un Rhododendron, ma appartiene a un genere apposito creato<br />

nel 1814 dal Desvaux e de<strong>di</strong>cato, come già abbiamo detto, al me<strong>di</strong>co francese<br />

Loiseleur-Deslongchamps <strong>di</strong> nobile e antica famiglia. Una storia abbastanza<br />

intricata e complessa, tanto più interessante se si pensa alla pianticella<br />

che interpreta la parte <strong>di</strong> protagonista assoluta <strong>della</strong> vicenda comin­<br />

66


ciata nella lontana America e che oggi si recita sul gran<strong>di</strong>oso palcoscenico<br />

che ha per fondali i monti <strong>di</strong> tutta Europa.<br />

Una storia che quasi intenerisce se si osservano i ver<strong>di</strong> cuscini del bosso alpino<br />

e se si pensa che esso è giunto alla nostra latitu<strong>di</strong>ne e longitu<strong>di</strong>ne sospinto<br />

dal gelido incalzare dei ghiacci che in epoche remote hanno mutato il volto<br />

<strong>della</strong> Terra spostando da un continente all’altro animali e piante e così creando<br />

le con<strong>di</strong>zioni del nostro habitat.<br />

Ecco, la Loiseleuria procumbens, la piccola azalea delle Alpi, nota anche come<br />

bosso alpino, è una delle testimonianze più facilmente riscontrabili <strong>di</strong> questi<br />

eventi geologici <strong>di</strong> portata immane, <strong>di</strong> questi sostanziali mutamenti del patrimonio<br />

vegetale del nostro pianeta.<br />

Ed è proprio in nome dell’accertata sopravvivenza <strong>della</strong> Loiseleuria all’ultima<br />

glaciazione, che nel corredo genetico <strong>della</strong> pianta è rimasta in «memoria», proprio<br />

come in uno straor<strong>di</strong>nario computer, la possibilità <strong>di</strong> resistere anche a<br />

temperature molto basse, quasi proibitive per un gran numero <strong>di</strong> specie alpine<br />

che per poter superare i perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> gran freddo sono costrette a cercare<br />

nicchie ecologiche particolari, in anfratti ben protetti dal vento.<br />

L’azalea delle Alpi, invece, pur cercando nell’aderenza al suolo una sorta <strong>di</strong><br />

riparo, sembra preferire le posizioni più audacemente offerte all’impeto delle<br />

correnti ventose, quasi in atteggiamento <strong>di</strong> sfida.<br />

E così, dove ben poche specie riescono a inse<strong>di</strong>arsi, dove persino l’erica rinuncia<br />

a vivere, la Loiseleuria procumbens allunga i suoi rami che finiscono per<br />

formare una trama fitta e intricata che quando arriva il momento <strong>della</strong> fioritura<br />

si illumina <strong>di</strong> rosa, proprio come un antico merletto realizzato in due colori<br />

con paziente lavoro <strong>di</strong> fuselli.<br />

Questa la storia, semplice e complessa insieme, dell’azalea delle Alpi, chiamata<br />

anche bosso alpino, che la Natura ha eletto a testimone <strong>di</strong> una pagina <strong>della</strong> sua<br />

lunga vicenda: lunga quanto la storia <strong>della</strong> Terra, affascinante come una fiaba.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Loiseleuria procumbens cinque lobi; sono rosa e appaiono in estate<br />

Nomi popolari: azalea delle Alpi, bosso Caratteristiche: arboscelli prostrati, alti sino a<br />

alpino, azalea, azalea nana, azalea sdraiata venti centimetri, con foglie piccolissime,<br />

Origine: America del nord: dopo l’ultima oblunghe, lucide, con la pagina inferiore<br />

glaciazione, questa piccola pianta, attraverso coperta da peluria biancastra<br />

la Groenlan<strong>di</strong>a e l’Islanda, è giunta in Europa Etimologia: il nome ricorda il me<strong>di</strong>co e<br />

Fiori: riuniti in ciuffi all’apice dei fusti; hanno la botanico francese J.C.A. Loiseleur<br />

forma <strong>di</strong> una campanula aperta in cima, in Deslongchamps (1774-1849)<br />

68


«Non credo che leggerò mai, che<br />

vedrò mai<br />

una poesia bella come un piccolo<br />

<strong>fiore</strong>».<br />

A. J. Kilmer<br />

La linnea,<br />

simbolo <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione<br />

È una delle specie più umili e meno conosciute fra le piante alpine, ma merita<br />

la nostra attenzione e per varie ragioni.<br />

La prima, la più evidente, sta nel suo stesso nome che ricorda il grande naturalista<br />

svedese Carl von Linné, detto Linnaeus o Linneo, ideatore <strong>della</strong><br />

classificazione binomia che ha consentito <strong>di</strong> mettere or<strong>di</strong>ne nella miriade<br />

<strong>di</strong> generi, specie e varietà che compongono il mosaico degli organismi<br />

viventi e dei vegetali in particolare. Linneo, vissuto tra il 1707 e il<br />

1778, professore <strong>di</strong> botanica all’Università <strong>di</strong> Uppsala, è considerato<br />

il padre <strong>della</strong> sistematica moderna e a lui si devono le basi da<br />

cui si sono evolute le più attuali conquiste <strong>della</strong> biologia, che<br />

è quanto <strong>di</strong>re lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> vita.<br />

Ci sembra oltremodo significativo, e non privo <strong>di</strong> valore<br />

morale, il fatto che a un personaggio così importante e illustre,<br />

uno dei punti fermi nel cammino <strong>della</strong> scienza, sia<br />

stata de<strong>di</strong>cata proprio questa pianticella, fragile e facilmente<br />

confon<strong>di</strong>bile con le tante erbe del bosco, quasi a sottolineare<br />

la modestia del grande naturalista svedese, ma anche l’importanza<br />

<strong>della</strong> linnea sotto il profilo botanico.<br />

Va comunque detto che non è stato Linneo, responsabile del «battesimo»<br />

<strong>di</strong> migliaia e migliaia <strong>di</strong> specie, ad aver dato il<br />

proprio nome alla pianta <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando.<br />

Il merito <strong>della</strong> scelta va ad altri naturalisti che<br />

hanno intuito il valore simbolico che si nasconde<br />

nella «campanula <strong>di</strong> Linneo». Pare che il maggior responsabile<br />

<strong>della</strong> scelta sia stato il Gronovius, nel<br />

1737.<br />

Questa la storia, per quanto ci è dato sapere, <strong>della</strong><br />

classificazione <strong>della</strong> Linnaea, appartenente alla famiglia<br />

delle Caprifoliacee, capostipite <strong>di</strong> un genere<br />

che comprende una sola specie la Linnaea borealis, con<br />

una seconda forma, molto simile – scientificamente definita «spe­<br />

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SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Linnaea borealis<br />

Nomi popolari: campanula <strong>di</strong> Linneo,<br />

campanella dei ghiacci<br />

Origine: emisfero boreale sino al 72° <strong>di</strong><br />

latitu<strong>di</strong>ne<br />

Famiglia: Caprifoliacee<br />

Fiori: terminali, a campanella, alla sommità si<br />

aprono in cinque lobi arrotondati. Misurano da<br />

uno a due centimetri, sono bianchi con lievi<br />

venature rosse ed emanano un dolce profumo.<br />

Appaiono in estate, in ombra, nei boschi <strong>di</strong><br />

conifere<br />

Caratteristiche: è una pianticella a ra<strong>di</strong>ci<br />

rizomatose, con fusti legnificati, alti da 10 a<br />

30 centimetri. Foglie ovali oppure arrotondate,<br />

glabre o tomentose, verde intenso. La linnea<br />

vive e si riproduce soltanto nei luoghi che<br />

rimangono coperti <strong>di</strong> neve a lungo<br />

Etimologia: il nome ricorda il botanico svedese<br />

Linneo (1707-1778) famoso botanico svedese,<br />

padre <strong>della</strong> sistematica moderna, ossia del<br />

sistema <strong>di</strong> classificazione <strong>di</strong> piante e animali<br />

cie variabile» – che compare nel Nordamerica, tra la California settentrionale<br />

e il Canada.<br />

Ad ogni modo, l’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione <strong>della</strong> Linnaea si spinge nell’emisfero boreale<br />

sino al 72° <strong>di</strong> latitu<strong>di</strong>ne, con qualche spora<strong>di</strong>ca apparizione più a Sud, come<br />

sulle Alpi, evidente retaggio <strong>di</strong> antiche glaciazioni, ad altitu<strong>di</strong>ni non inferiori ai<br />

1200 metri e non superiori ai 2300.<br />

Qual è l’aspetto <strong>della</strong> campanula <strong>di</strong> Linneo e dove è più facile ammirarla?<br />

La Linnaea è una pianticella a ra<strong>di</strong>ci rizomatose, con fusti un po’ pelosi e leggermente<br />

legnificati, alti da 10 a 30 centimetri, con foglie ovali oppure arrotondate,<br />

glabre o tomentose, <strong>di</strong> un bel verde pieno.<br />

I fiori sono terminali, leggermente penduli, a forma <strong>di</strong> campanella allungata,<br />

terminante in cinque lobi allungati. Il colore è bianco, can<strong>di</strong>do, illeggiadrito da<br />

venature rosse che, nell’insieme, danno alla corolla una sfumatura rosea. Ma<br />

il dato più interessante sulla campanula <strong>di</strong> Linneo è il profumo che esala da<br />

questi minuscoli fiori, soprattutto al tramonto, tanto che Dumont de Courset<br />

ha scritto: «La linnea è notevole per il nome che le fu dato, ma anche per il grato<br />

odore che essa sparge all’intorno verso sera». Questo minuscolo arbustino vive<br />

<strong>di</strong> preferenza nei boschi <strong>di</strong> conifere, in assoluta ombra e su terreno soffice e<br />

coperto <strong>di</strong> muschio. Ma non basta: questa pianta vive e si moltiplica solo in una<br />

particolare situazione ambientale, ossia quando il suolo rimane coperto a lungo<br />

da una notevole coltre nevosa.<br />

70


Pretendere <strong>di</strong> farla vivere in luoghi assolati e in terreno molto umido, oppure<br />

dove la temperatura si abbassa sotto lo zero, ma non nevica abbondantemente,<br />

è molto <strong>di</strong>fficile per non <strong>di</strong>re impossibile.<br />

Ecco dunque, perché la campanula <strong>di</strong> Linneo è simbolo <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione: ama<br />

il clima boreale, tanto da spingersi sino ai limiti del Circolo polare artico, eppure<br />

non resiste agli inverni molto fred<strong>di</strong> se non può godere <strong>della</strong> complice<br />

protezione <strong>della</strong> neve. Desidera vivere nei boschi ombrosi, il più ombrosi possibile,<br />

ma non sopporta l’eccesso <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà; infatti, il terreno che le è più congeniale<br />

è quello soffice e permeabile, coperto <strong>di</strong> muschio che funge da spugna<br />

assorbendo l’acqua che la linnea non gra<strong>di</strong>rebbe.<br />

È una pianta piccola, che passerebbe inosservata se non sapesse imporsi per<br />

l’intensità del suo profumo; è umile e poco conosciuta, ma reca un nome importante,<br />

il nome <strong>di</strong> un uomo che ha meritato un posto preciso, determinante nella<br />

storia <strong>della</strong> Scienza.<br />

Non bastano questi particolari a fare <strong>della</strong> Linnaea borealis il simbolo <strong>della</strong><br />

contrad<strong>di</strong>zione?<br />

71


«I suoi fiori, il suo fogliame sono<br />

raccolti in una sorta <strong>di</strong> compatto<br />

cuscino su cui vorrei adagiare il<br />

capo, appoggiare le labbra e,<br />

chiudendo gli occhi, nascondervi il<br />

cuore».<br />

Guido Gozzano<br />

La silene è un cuscino <strong>di</strong> fiori<br />

La chiamano anche in altri mo<strong>di</strong>: cuscino rosa, muschio <strong>di</strong> Campion (dal nome<br />

del naturalista che l’ha classificata) e schiuma fiorita, ma scientificamente è<br />

nota come Silene acaulis, un nome che fa subito pensare a qualcosa <strong>di</strong> piccolo<br />

e <strong>di</strong> silvestre, o forse <strong>di</strong> lunare, se ricor<strong>di</strong>amo Silene personificazione dell’astro<br />

che illumina la notte. Teofrasto – il primo a usare questa denominazione<br />

– ha forse voluto celebrare il <strong>di</strong>o Sileno, grasso e costantemente ebbro <strong>di</strong><br />

vino?<br />

Gli inglesi, poco romantici, definiscono alcune silene, quelle che essudano dagli<br />

steli una sostanza vischiosa, catchfly, acchiappa mosche, mentre i tedeschi le<br />

in<strong>di</strong>cano come Leimkraut. Insomma, un bell’assortimento <strong>di</strong> vocaboli e <strong>di</strong> aggettivi<br />

per una pianticella alta tre o quattro centimetri, non <strong>di</strong> più, ma che rivela<br />

straor<strong>di</strong>nari fenomeni <strong>di</strong> adattamento ambientale e soluzioni... tecnologiche<br />

davvero interessanti.<br />

Ma prima <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> questi particolari, ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere il genere Silene,<br />

<strong>della</strong> famiglia delle Cariofillacee (la stessa cui appartengono i garofani)<br />

genere che comprende ben trecento specie originarie dell’emisfero settentrionale,<br />

con qualche soggetto che proviene dal Sudafrica.<br />

La Silene acaulis, presente sulle montagne valtellinesi come lungo tutto l’arco<br />

alpino e in qualche zona appenninica, ha compiuto un lungo viaggio nel tempo<br />

e nello spazio per giungere sino al nostro territorio. Infatti, la prima <strong>di</strong>mora<br />

<strong>di</strong> questa pianticella era situata nelle terre boreo-artiche, sia dell’Eurasia, sia<br />

<strong>della</strong> Groenlan<strong>di</strong>a che dell’America; in seguito al fenomeno delle glaciazioni<br />

(qualcosa come seicentomila anni or sono) questo tipo <strong>di</strong> flora è scesa<br />

verso i massicci montuosi dell’Europa centrale e, come relitto artico-alpino,<br />

ha trovato il suo areale lungo una fascia che corre dai Pirenei<br />

ai Balcani, sino ai Carpazi e agli Urali, stabilendosi a una rispettabile<br />

altitu<strong>di</strong>ne, compresa fra 1500 e 3500 metri.<br />

In fatto <strong>di</strong> terreno, le preferenze <strong>della</strong> Silene acaulis sono decisamente<br />

orientate verso i pascoli sassosi, le vallette nivali a substrato acido (ossia<br />

privo <strong>di</strong> calcio, o almeno povero <strong>di</strong> questo elemento), i detriti, le fessure<br />

<strong>della</strong> roccia e del brecciame. Per poter vivere in questa situazione, decisamente<br />

poco favorevole, la silene si è «fabbricata» una lunga ra<strong>di</strong>ce a fittone<br />

che scende nel suolo a cercare nutrimento e umi<strong>di</strong>tà.<br />

La parte aerea si sviluppa in un cuscinetto <strong>di</strong> fusti che non superano, <strong>di</strong> norma,<br />

i cinque centimetri e solo in casi eccezionali raggiungono <strong>di</strong>eci centimetri. Le<br />

foglie si addensano in rosette che formano una superficie compatta sulla quale,<br />

da giugno a settembre, appaiono i minuscoli fiori non più larghi <strong>di</strong> un centimetro,<br />

a cinque petali, in un vivido rosa confetto.<br />

Ne esiste anche una varietà a petali doppi, ma forse la più bella e appariscente<br />

è la Silene acaulis alba dalle corolle can<strong>di</strong>de; a breve <strong>di</strong>stanza sembra proprio<br />

una spruzzata <strong>di</strong> neve su un tappetino <strong>di</strong> muschio. Interessante anche la<br />

Silene acaulis aurea con foglie a riflessi dorati.<br />

È proprio la statura così esigua a mettere la silene in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> poter resistere<br />

al vento e al freddo notturno <strong>della</strong> fascia altimetrica tipica <strong>di</strong> questa specie<br />

che, aderendo al suolo, raccoglie la sia pur minima dose <strong>di</strong> tepore e risente in<br />

modo positivo <strong>della</strong> vicinanza protettiva <strong>di</strong> altre piante o dell’azione frangivento<br />

<strong>di</strong> qualche pietra.<br />

Per intuire quanto sia <strong>di</strong>fficile la vita <strong>della</strong> Silene acaulis, come <strong>di</strong> qualsiasi<br />

specie alpina, basta pensare che un cuscino <strong>di</strong> questo delizioso «muschio <strong>di</strong><br />

Campion» per espandersi sino a coprire un palmo <strong>di</strong> terreno impiega una<br />

quin<strong>di</strong>cina d’anni. Non è <strong>di</strong>fficile capire quale danno si procura alla<br />

montagna ogni volta che incautamente, per una qualsiasi ragione, si<br />

strappa o si calpesta un ciuffo <strong>di</strong> silene. La considerazione vale, è ovvio,<br />

per tutte le specie spontanee, anche delle più minuscole, primo ed es­<br />

72


senziale anello <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amenti vegetali che poi si evolvono, a minore altitu<strong>di</strong>ne,<br />

in pascoli, in macchie arbustive e quin<strong>di</strong> in boschi e pinete. Il degrado dell’ambiente,<br />

e purtroppo ne abbiamo <strong>di</strong> frequente, tragiche testimonianze, è il<br />

risultato <strong>di</strong> un’armonia che si è andata <strong>di</strong>sgregando nel corso dei secoli per<br />

un’infinità <strong>di</strong> cause tra cui l’intervento umano – purtroppo – ha avuto e avrà un<br />

peso determinante.<br />

L’esistenza <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> vita molto più semplici <strong>della</strong> silene, come il muschio o<br />

i licheni, garantiscono la «continuità» <strong>di</strong> un’evoluzione biologica che esige la<br />

presenza <strong>di</strong> specifiche essenze vegetali per assicurare la sopravvivenza <strong>di</strong><br />

particolari insetti, a loro volta destinati a <strong>di</strong>ventare cibo per altri animali e così<br />

via, in una sequenza a spirale che giunta alla massima espressione si riavvolge<br />

e si assottiglia sino a tornare alla primitiva «forma».<br />

Ecco, la Silene acaulis, espressione <strong>di</strong> pura bellezza, ci racconta tutto questo;<br />

73


esempio <strong>di</strong> tenacia e <strong>di</strong> «intelligenza tecnologica» nel mettere in atto una serie<br />

<strong>di</strong> astuzie strutturali in base alle caratteristiche dell’ambiente; in un certo senso<br />

ci invita a riflettere, a guardare con occhi sempre meno <strong>di</strong>staccati la bellezza<br />

delle piccole cose, sino a capire i perché <strong>della</strong> presenza sulla Terra anche <strong>di</strong> una<br />

pianticella alta pochi centimetri. Tanto più che lo stesso genere Silene vanta<br />

specie <strong>di</strong> ben <strong>di</strong>verso aspetto, sino alla Silene gigantea dai fiori bianchi che<br />

raggiunge e supera il metro <strong>di</strong> altezza. Ma già, la gigantea vive lungo le coste del<br />

Me<strong>di</strong>terraneo, in con<strong>di</strong>zioni climatiche ben <strong>di</strong>verse da quelle che deve affron­<br />

tare il muschio rosa che Teofrasto ha chiamato Silene acaulis.<br />

A proposito, il grande filosofo greco nello scegliere il nome da dare alla pianta<br />

che abbiamo descritto, non ha pensato a silenti paesaggi montani o alla luce<br />

<strong>della</strong> luna, ma ha voluto proprio ricordare Sileno, vecchio satiro amico <strong>di</strong> Dioniso,<br />

qualche volta rappresentato anche come un saggio, anziano e solitario,<br />

all’eterna ricerca <strong>della</strong> <strong>saggezza</strong> assoluta.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Silene acaulis tanto fitti da formare un tappeto simile al<br />

Nomi popolari: silene senza gambo, falso<br />

muschio, stelline rosa<br />

Origine: America del nord e Groenlan<strong>di</strong>a<br />

muschio. È una pianta che prende possesso<br />

molto lentamente del territorio e si sviluppa, in<br />

superficie, con estrema <strong>di</strong>fficoltà; infatti, un<br />

cuscinetto <strong>di</strong> Silene acaulis per raggiungere il<br />

Famiglia: Cariofillacee<br />

Fiori: non superano il centimetro <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro e<br />

sono formati da cinque petali obovati, rosa<br />

vivo, presenti da giugno a settembre<br />

<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> un palmo può impiegare anche<br />

vent’anni. Anche per questo è una pianta che<br />

merita grande rispetto e protezione<br />

Etimologia: dal greco síalon, saliva, a in<strong>di</strong>care<br />

la sostanza vischiosa presente nei calici e negli<br />

Caratteristiche: fusti alti da 5 a 15 centimetri, steli <strong>di</strong> molte silene<br />

74


«Dammi, o Apollo, che io in buona<br />

salute goda <strong>di</strong> quello che ho,<br />

dammi ti prego, una mente sana e<br />

una vecchiaia non turpe non priva<br />

del conforto del canto e delle<br />

piccole, umili piante».<br />

Orazio<br />

Le sassifraghe, velluto <strong>della</strong> roccia<br />

Appartengono a una grande famiglia, cosmopolita, ricca <strong>di</strong> quasi seicento specie<br />

delle quali una sessantina hanno preso stabile <strong>di</strong>mora nel nostro territorio<br />

e rappresentano sei generi dalle caratteristiche <strong>di</strong>fferenti e, non <strong>di</strong> rado, contrastanti.<br />

Noi ci occuperemo, come d’abitu<strong>di</strong>ne, soltanto delle specie che vivono<br />

in montagna e che sono presenti, in modo più o meno rilevante, anche sulle<br />

cime che fanno da sponda e da contrafforte alla Valtellina e alle zone imme<strong>di</strong>atamente<br />

limitrofe.<br />

Non incontreremo in questo ormai rituale appuntamento con la flora alpina<br />

piante appariscenti, <strong>di</strong> grande statura, ma piuttosto dovremo chinarci verso il<br />

suolo per ammirare in tutta la loro grazia i cuscini, i festoni <strong>di</strong>segnati dalle sassifraghe<br />

proprio sulla nuda superficie dei massi, sulle pietre che affiorano tra<br />

l’erba arsa e aspra dei pascoli. E sarà come accarezzare uno scampolo <strong>di</strong> velluto<br />

coperto dalla spuma bianca, rosa o gialla <strong>di</strong> innumerevoli, minuscoli fiori<br />

che, al massimo, raggiungono il <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> un centimetro.<br />

La bellezza, la grazia <strong>di</strong> queste pianticelle è tale, da meritare una precisa descrizione<br />

per ogni singola specie, ma prima <strong>di</strong> fare questa intima conoscenza con<br />

il «velluto <strong>della</strong> roccia» è bene ricordare che le Saxifraga sono note in francese<br />

come saxifrage, in inglese conservano lo stesso nome (saxifrage) anche se la<br />

pronuncia è ben <strong>di</strong>versa e che in tedesco sono note come Steinbrech.<br />

Il loro nome scientifico deriva da due parole latine: saxum, roccia, e frangere,<br />

rompere, per in<strong>di</strong>care una delle peculiarità <strong>di</strong> queste piante ossia quella <strong>di</strong><br />

spuntare dalle fen<strong>di</strong>ture delle pietre, visto che le loro ra<strong>di</strong>ci sanno insinuarsi<br />

nelle spaccature e andare a raggiungere le pur piccole scorte <strong>di</strong> terriccio accumulato<br />

dal vento. In questa minima porzione <strong>di</strong> suolo, in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> sufficiente<br />

umi<strong>di</strong>tà e al riparo dal gelo, l’apparato ra<strong>di</strong>cale delle sassifraghe si àncora<br />

saldamente e riesce a nutrire e a mantenere in vita la parte aerea che, a sua<br />

volta, attraverso una dura lotta per la sopravvivenza, durata decine e decine<br />

<strong>di</strong> migliaia d’anni, ha imparato che per resistere al clima dell’alta montagna bisogna<br />

mettere in atto alcuni accorgimenti: le foglie debbono crescere quanto<br />

meno possibile, i tessuti farsi coriacei, tenaci e, ancor meglio, coprirsi <strong>di</strong> soffice<br />

e densa peluria per sentire meno i morsi del gelo. I fiori, poi, dovranno sbocciare<br />

in gran numero a compenso <strong>della</strong> loro fragilità, <strong>della</strong> loro vulnerabilità.<br />

Solo in questo modo, gli insetti delegati a far da me<strong>di</strong>atori nelle nozze tra corolla<br />

e corolla, avranno modo <strong>di</strong> realizzare un buon bottino <strong>di</strong> granuli <strong>di</strong> polli-<br />

Saxifraga aizoon o sempreviva. Saxifraga caesia o verdemare. Saxifraga aizoides o autunnale.<br />

75


ne da trasportare su altri esemplari e così dar luogo al fenomeno dell’impollinazione<br />

incrociata.<br />

Anche il momento <strong>della</strong> fioritura è importantissimo e <strong>di</strong>pende dal clima <strong>di</strong> ogni<br />

ecosistema, <strong>di</strong> ogni «nicchia» ecologica, perché la schiusura delle corolle deve<br />

coincidere in modo perfetto con il periodo <strong>di</strong> massima vitalità degli insetti<br />

pronubi. Se questa coincidenza non si verificasse, molte sassifraghe non potrebbero<br />

produrre il seme e l’anno successivo, quello appresso e ancora dopo,<br />

in un’intera zona montana si verificherebbe un brusco arresto nella propagazione<br />

del «velluto <strong>della</strong> roccia».<br />

Queste poche, schematiche osservazioni, del resto valide per molte specie<br />

erbacee cosiddette alpine, hanno sicuramente delineato le <strong>di</strong>fficoltà esistenziali<br />

delle sassifraghe e le loro caratteristiche, ma anche l’importanza <strong>della</strong> loro<br />

presenza in luoghi dove la vegetazione è scarsa, povera <strong>di</strong> fiori, dove ogni specie<br />

purché riesca ad affrancarsi assume il determinante ruolo <strong>di</strong> pianta pioniera,<br />

minuscolo e coraggioso avamposto <strong>di</strong> un processo evolutivo che porterà, che<br />

dovrebbe portare, all’inse<strong>di</strong>amento <strong>di</strong> una vegetazione maggiore, con piccoli<br />

arbusti, erbacee <strong>di</strong> maggior mole e così via.<br />

Come si può vedere, un compito importante, una finalità che giustifica ampiamente<br />

le severe or<strong>di</strong>nanze protezionistiche a carattere regionale, rivolte proprio<br />

alle piccole piante <strong>della</strong> montagna, espressione <strong>della</strong> bellezza più pura, ma<br />

anche <strong>della</strong> più tenace voglia <strong>di</strong> vivere e sopravvivere.<br />

In particolare, queste qualità debbono essere riconosciute alla Saxifraga oppositifolia,<br />

o sassifraga rossa, che vive fra 1800 e 3800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, su terreno<br />

siliceo; è una specie circumpolare, sospinta verso Sud dagli eventi geologici<br />

legati alle gran<strong>di</strong> glaciazioni e che oggi è presente su molte catene montuose<br />

europee dai Pirenei ai Carpazi, compresi Alpi e Appennini. Questa specie<br />

comincia a fiorire in giugno con corolle rosso porpora o rosso violetto che finiscono<br />

per nascondere del tutto le foglie.<br />

La Saxifraga hostii, sassifraga dell’Host, è una pianta altamente specializzata,<br />

tanto è vero che per ogni zona ha messo a punto una varietà dalle precise caratteristiche,<br />

con adattamenti morfologici aderenti alla situazione ambientale.<br />

I suoi fiori, bianchi e sorretti da steli che possono raggiungere il mezzo metro<br />

<strong>di</strong> lunghezza, si schiudono in luglio.<br />

Un’altra specie <strong>di</strong> origine circumpolare è la Saxifraga aizoon, sassifraga sempreviva,<br />

che è anche una delle più belle a vedersi perché dal cuscino delle sue<br />

foglie a rosetta, alte pochi centimetri, si alzano molti e sottili fusti che recano<br />

corimbi <strong>di</strong> <strong>fiore</strong>llini bianchi, sino a formare una massa spumosa che da lontano<br />

fa pensare a un arruffio <strong>di</strong> trine. Vive sulle rocce calcaree tra 600 e 3400 metri<br />

e la sua fioritura comincia in giugno.<br />

La sassifraga verdemare, o Saxifraga caesia, si è <strong>di</strong>mostrata molto furba durante<br />

le glaciazioni perché ha trovato modo <strong>di</strong> evitare la traumatica esperienza <strong>di</strong><br />

quello sconvolgimento, aspettando il ritorno alla normalità in piccole zone<br />

protette delle montagne che fanno corona al Me<strong>di</strong>terraneo; infatti, il suo areale<br />

si spinge sino all’Asia Minore dopo aver interessato Pirenei e Carpazi, Alpi<br />

76<br />

Dall’alto:<br />

Saxifraga cotiledon,<br />

Saxifraga stellaris<br />

Saxifraga muscoides e<br />

Saxifraga appositifolia<br />

Una bella fioritura <strong>di</strong><br />

Saxifraga nel suo<br />

caratteristico habitat.


Saxifraga cuneifolia o mestoletta.<br />

A destra: la sassifraga rossa spicca per la sua<br />

vivacità cromatica.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Saxifraga<br />

Nomi popolari: sassifraga rossa, sempreviva,<br />

verdemare, autunnale, mestoletta, velluto <strong>di</strong><br />

roccia, stellata, muscosa<br />

Origine: Asia, America, Europa centromeri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Saxifragacee<br />

Fiori: minuscoli, sorretti da scapi cortissimi o<br />

che possono raggiungere i venti centimetri; il<br />

colore varia dal bianco al giallo, dal rosa<br />

all’arancione. La fioritura può essere<br />

primaverile, estiva o autunnale<br />

Caratteristiche: le sassifraghe possono aderire<br />

al suolo, formando cuscinetto, oppure assumere<br />

un aspetto più slanciato, ma sempre con le<br />

foglie, carnose e lucide, raccolte nella parte<br />

inferiore, formando cuscinetti simili a placche <strong>di</strong><br />

muschio<br />

Etimologia: dal latino saxum, sasso, e frango,<br />

rompo, a in<strong>di</strong>care la preferenza delle<br />

sassifragre per i rocciati, nelle cui crepe<br />

inseriscono le ra<strong>di</strong>ci, sino a spezzare la pietra<br />

per raggiungere terra e umi<strong>di</strong>tà<br />

e Appennini. Vive sino alla quota <strong>di</strong> 3400 metri e da luglio a settembre il compatto<br />

cuscinetto delle sue foglie si copre <strong>di</strong> <strong>fiore</strong>llini bianchi e solitari, dal breve<br />

stelo. Molto simile a questa è la Saxifraga brioides, sassifraga solfina, dalle<br />

corolle bianco-giallo con una macchia arancione alla base dei petali.<br />

Decisamente gialli, con il centro arancione-rosso, i fiori <strong>della</strong> sassifraga autunnale<br />

o Saxifraga aizoides che spesso viene confusa con un Sedum per la sua<br />

tendenza a formare un festone che ricade mollemente dalla roccia. Fiorisce sino<br />

a settembre avanzato e non è reperibile oltre i 1300 metri, proprio come accade<br />

alla deliziosa sassifraga mestoletta o Saxifraga cuneifolia, che da giugno ad<br />

agosto emette scapi fiorali alti da 10 a 25 centimetri che sorreggono pannocchie<br />

<strong>di</strong> fiori bianchi, a stella, con una macchia rossa alla base. Le foglie sono<br />

molto corte e carnose, a spatola, riunite in rosette. È possibile confonderla con<br />

la Saxifraga stellaris, sassifraga stellata, che presenta foglie più lunghe, grossolanamente<br />

dentate, e fiori con una macchia gialla. Il suo areale interessa anche<br />

l’America del nord e si spinge sino a 3000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne.<br />

L’ultima sassifraga <strong>della</strong> nostra rassegna è la verdolina, o Saxifraga muscoides,<br />

che sul Cervino, verso 4200 metri, raggiunge il suo limite estremo. Le foglie sono<br />

corte e pelose, aderenti al suolo, gli scapi fiorali hanno una lunghezza che varia<br />

da 3 a 10 centimetri e ognuno può portare anche quattro fiori dal bianco al giallo,<br />

che si schiudono in luglio-agosto. Vive soltanto sulle Alpi e in zone limitate.<br />

Non è certo con queste poche, aride note che si può descrivere la bellezza delle<br />

sassifraghe – come <strong>di</strong> qualsiasi altra pianta, del resto – ma la nostra speranza<br />

è che il lettore, anche il più <strong>di</strong>stratto, incontrando un cespo delle specie che<br />

abbiamo ricordato si fermi ad ammirare e a riflettere sull’ennesima <strong>di</strong>mostrazione<br />

del miracolo che si chiama vita e che nel «velluto <strong>della</strong> roccia» si traduce<br />

in pura espressione <strong>di</strong> bellezza.<br />

78


«...Maria, mia dolce Maria, accetta<br />

questo mazzolino <strong>di</strong> violette e<br />

possa <strong>di</strong>ventare un misterioso<br />

legame tra noi, un vincolo segreto<br />

in mezzo alla folla che ci circonda.<br />

Amami, mia dolce Maria e che la<br />

tua mano non si stacchi da queste<br />

violette».<br />

Napoleone Bonaparte<br />

La viola, romantica e profumata<br />

Nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> una piccola, sperduta isola, Sant’Elena, è nata l’ultima leggenda<br />

legata al ricordo del vincitore <strong>di</strong> Jena e <strong>di</strong> Austerlitz, al grande sconfitto <strong>di</strong><br />

Waterloo. Una leggenda che racconta la tragica notte <strong>della</strong> morte <strong>di</strong> Napoleone,<br />

mentre infuriava un fortunale che abbatteva gran parte degli alberi che<br />

facevano corona alla casa <strong>di</strong> Bonaparte.<br />

Al mattino, fra tanti rami stroncati e arbusti <strong>di</strong>velti, due angoli apparvero intatti,<br />

quasi il vento non li avesse sfiorati: dove stava una quercia e il tappeto <strong>di</strong> viole<br />

<strong>di</strong>nnanzi alla camera dell’Imperatore.<br />

Forse non è andata proprio così, forse la quercia non è stata abbattuta perché<br />

posta in una posizione particolare e le violette non hanno avvertito la furia<br />

dell’uragano perché protette dalla chioma dell’albero. Forse la spiegazione è<br />

questa, ma ai bonapartisti piacque pensare a qualcosa <strong>di</strong> più e <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso e il<br />

tappeto <strong>di</strong> viole fiorito il mattino del cinque maggio ha finito per <strong>di</strong>ventare un<br />

simbolo preciso: grandeur e umiltà unite insieme, in cinque petali color viola,<br />

porpora o ametista, lilla o bianchi, soavissimi <strong>di</strong> profumo, <strong>di</strong> grazia inimitabile.<br />

Tutte queste qualità dovevano essere ben note anche a un altro personaggio,<br />

meno reale ma altrettanto noto, ossia Giove, che volendo intrecciare un rapporto<br />

d’amore con la ninfa lo, non trovò <strong>di</strong> meglio che tramutarla in una giovenca,<br />

in una giovane mucca, commettendo una grave mancanza <strong>di</strong> delicatezza cui il<br />

padre degli dei pensò <strong>di</strong> porre rime<strong>di</strong>o inventando uno straor<strong>di</strong>nario e raffinatissimo<br />

pascolo per la malcapitata: un grande prato coperto <strong>di</strong> viole costantemente<br />

in <strong>fiore</strong>.<br />

Gli esempi, mitologici e romantici potrebbero continuare per pagine e pagine,<br />

ma la più bella celebrazione delle viole sta nella loro stessa grazia, in quel loro<br />

timido apparire tra i fili d’erba, nella soavità del loro profumo, nell’armonia dei<br />

loro colori.<br />

Non vogliamo neppure ricordare in questa sede i molti ibri<strong>di</strong> orticoli <strong>di</strong> Viola<br />

tricolor o «viola del pensiero» che a primavera formano compatte bordure<br />

in giar<strong>di</strong>no e colmano <strong>di</strong> accenti cromatici davanzali e balconate. La nostra<br />

attenzione, come sempre, si rivolge alle specie che vivono spontanee in<br />

montagna e fioriscono in epoca <strong>di</strong>versa a seconda dell’altitu<strong>di</strong>ne e del<br />

microclima, delle con<strong>di</strong>zioni ambientali <strong>di</strong> ogni nicchia ecologica e in<br />

base a molti altri fattori che sarebbe lungo e un po’ noioso elencare.<br />

Prima <strong>di</strong> descrivere le singole specie, ricor<strong>di</strong>amo che la famiglia delle Violacee<br />

ne comprende novecento sud<strong>di</strong>vise in ventidue generi; il genere Viola, da<br />

solo, conta ben quattrocento specie tipiche delle zone temperate dall’Europa<br />

meri<strong>di</strong>onale alle Ande, sino alle Isole Sandwich. Sulle nostre montagne<br />

vegetano in modo preminente 6 tipi <strong>di</strong> viola: Viola biflora o<br />

violetta gialla, Viola calcarata o viola farfalla, Viola hirta o violetta<br />

senza odore, Viola labraedorica o viola del Labrador, Viola odorata<br />

o viola mammola e Viola tricolor o viola del pensiero selvatica.<br />

Ognuna <strong>di</strong> queste specie ha una precisa caratteristica, occupa un areale<br />

ben localizzato e alcune hanno persino qualche virtù me<strong>di</strong>cinale.<br />

Un particolare accomuna tutte queste viole: il nome generico che deriva<br />

dal latino, ma ha la prima ra<strong>di</strong>ce nel greco íon, con significato <strong>di</strong> violetto.<br />

Riferendoci alle lingue moderne, ve<strong>di</strong>amo che in francese le viole si<br />

chiamano violette e anche pensée (la viola del pensiero), in inglese violet,<br />

pansy, heartsease, mentre i tedeschi hanno vari mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> in<strong>di</strong>carle<br />

Geibes bergveilchen, Alpen -stiefmütterchen, Rauhhaanges veilchen e Veilchen<br />

von Labrador.<br />

Molti mo<strong>di</strong>, dunque, per in<strong>di</strong>care le viole, tenere pianticelle erbacee, un poco<br />

legnificate alla base, con foglie semplici, raramente palmate e sorrette da un<br />

robusto picciolo. Il <strong>fiore</strong> è formato da un calice a cinque sepali e da cinque petali<br />

<strong>di</strong>suguali, fra cui uno – l’inferiore – si prolunga in uno sperone cavo.<br />

79


Due immagini <strong>di</strong> Viola tricolor e Viola<br />

calcarata.<br />

A destra: Viola cenisia.<br />

A sinistra dall’alto:<br />

Viola dubyana, Viola biflora e Viola tricolor.<br />

La curiosità botanica più rilevante circa le corolle <strong>della</strong> viola è il fenomeno <strong>della</strong><br />

«cleistogamia», un fenomeno quanto mai interessante, che <strong>di</strong>mostra quali e<br />

quanti accorgimenti abbia saputo escogitare la Natura per assicurare la propagazione<br />

<strong>di</strong> ogni specie, anche la più piccola e, apparentemente, poco importante. La<br />

«cleistogamia», detta anche fecondazione a fioritura chiusa, si verifica nelle pianticelle<br />

del sottobosco dove, talvolta, l’ombra è così densa da pregiu<strong>di</strong>care la schiusura<br />

delle corolle e così impe<strong>di</strong>re agli insetti <strong>di</strong> compiere la loro opera <strong>di</strong> trasporto<br />

del polline da un <strong>fiore</strong> all’altro. Ebbene, in questa situazione, le piante che non<br />

81


Viola hirta.<br />

Viola tricolor.<br />

ricevono la giusta dose <strong>di</strong> sole decidono <strong>di</strong> provvedere all’autofecondazione all’interno<br />

del <strong>fiore</strong> che non si aprirà mai. Nel chiuso <strong>della</strong> corolla si forma il seme che<br />

poi matura e cade al suolo assicurando la perpetuazione <strong>della</strong> specie. Nelle viole<br />

questo fenomeno è abbastanza frequente e testimonia una sapienza che va ben al<br />

<strong>di</strong> là <strong>di</strong> tutto il tecnicismo <strong>di</strong> cui l’uomo, a giusta ragione, va così fiero.<br />

Ora che siamo penetrati nella più intima morfologia delle viole, scoprendo un<br />

meccanismo biologico davvero sbalor<strong>di</strong>tivo, ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere un po’<br />

meglio le caratteristiche delle 6 specie presenti sulle Alpi, sulle Prealpi, sugli<br />

Appennini e anche in pianura almeno per una o due <strong>di</strong> esse.<br />

La Viola biflora pre<strong>di</strong>lige i piccoli anfratti delle rocce silicee, fra 700 e 2900 metri<br />

<strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. È una pianticella fragile, alta da 5 a 20 centimetri, con foglie a forma<br />

<strong>di</strong> cuore e dai margini crenati. Ogni fusticino sorregge due fiori, piccoli,<br />

giallo-oro, segnati da sfumature porpora alla base dei petali. Fiorisce da giugno<br />

ad agosto ed è priva <strong>di</strong> profumo.<br />

Le corolle <strong>della</strong> Viola calcarata sembrano proprio altrettante minuscole farfalle<br />

appoggiate su un denso cuscino <strong>di</strong> foglie ovato-oblunghe, verde scuro. I fusti<br />

che sorreggono i fiori, solitari, odorosi, sono alti un palmo; ogni corolla conta<br />

3-4 centimetri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro; il colore dei petali varia dal giallo al giallo scuro, dal<br />

viola all’azzurro, con qualche eccezione <strong>di</strong> viole bianche. Il terreno preferito da<br />

questa specie è quello un po’ sassoso, leggermente acido, ad altezze comprese<br />

fra 1200 e 2800 metri. È una specie tipicamente alpina.<br />

Sulle pen<strong>di</strong>ci soleggiate e nelle radure dei boschi, dalla quota collinare sin verso<br />

i 2000 metri, fiorisce la Viola hirta, molto simile alla viola mammola, ma dalle<br />

corolle prive <strong>di</strong> profumo, in un delicato rosa-violaceo oppure color lilla-malva.<br />

Le foglie sono pelose a forma <strong>di</strong> cuore allungato e nascono <strong>di</strong>rettamente dalla<br />

ra<strong>di</strong>ce. Forma densi ciuffi <strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> particolare bellezza. Altrettanto interessante<br />

la Viola labraedorica, che ricorda anch’essa la viola mammola, o Viola odorata,<br />

ma senza il profumo delle comuni violette. Questa specie è originaria <strong>della</strong><br />

fred<strong>di</strong>ssima penisola del Labrador, all’estremo nord-est del continente americano,<br />

ma è stata introdotta nella nostra flora e in qualche zona è riuscita a<br />

colonizzare brevi spazi creando splen<strong>di</strong><strong>di</strong> cuscini <strong>di</strong> corolle viola cupo, molto<br />

gran<strong>di</strong>, sorrette da fusti alti appena 6-7 centimetri; le foglie sono ovato-lanceolate,<br />

dai piccioli brevi; fiorisce in giugno.<br />

Viola odorata è il nome scientifico <strong>della</strong> mammola, che in qualche zona viene anche<br />

chiamata <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> san Bastiano oppure ciocchetta. Vegeta sino a 1000-1200<br />

82


Viola dubyana.<br />

metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne e i suoi fusti non superano la lunghezza <strong>di</strong> 10-15 centimetri. Le<br />

corolle sono viola, più o meno intenso, e qualche volta anche lilla chiaro o bianche.<br />

La loro caratteristica più saliente è l’inconfon<strong>di</strong>bile profumo che sin dall’antichità<br />

è stato <strong>di</strong>stillato e impiegato anche a scopo curativo. Infatti, Greci e Romani<br />

ritenevano che l’essenza <strong>di</strong> viola potesse guarire l’emicrania e attenuare le conseguenze<br />

<strong>di</strong> libagioni eccessive. Gli Arabi, dal canto loro, misero a punto uno «sciroppo<br />

<strong>di</strong> viola» che ancora oggi viene impiegato in farmacopea; non bisogna <strong>di</strong>menticare<br />

che la ra<strong>di</strong>ce delle violette contiene un energico emetico, la violina.<br />

Chiude la descrizione dei fiori cari a Napoleone, la Viola tricolor che negli ibri<strong>di</strong><br />

cosiddetti orticoli, perché ottenuti tra esemplari coltivati, ha assunto proporzioni<br />

ben <strong>di</strong>verse dalla specie originaria che presenta un fusto eretto e robusto<br />

alto anche quaranta centimetri, che da aprile a ottobre produce piccole<br />

corolle sorrette da lunghi ed esili piccioli. Questi fiori sono giallo-oro, sfumati<br />

<strong>di</strong> bianco o <strong>di</strong> viola nella parte superiore ed emanano un delicato profumo. La<br />

fascia altimetrica occupata dalla Viola tricolor va dai 500 ai 1000 metri e, in<br />

qualche zona, appare anche a maggior altitu<strong>di</strong>ne; ama particolarmente il sole.<br />

La descrizione delle nostre viole spontanee si conclude così, dopo qualche<br />

<strong>di</strong>vagazione storico-mitologica, una breve <strong>di</strong>ssertazione scientifica e qualche<br />

dato sulla loro presenza in ambiente montano.<br />

Come sempre, le parole hanno definito la realtà, ma la bellezza e la poesia <strong>di</strong><br />

queste corolle tanto evocatrici sono qualcosa che non ha bisogno <strong>di</strong> essere<br />

scritto perché va inteso con il cuore.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Viola presentano abbinamenti <strong>di</strong> vari colori e<br />

Nomi popolari: mammola, violetta, <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> san<br />

Bastiano, viola del pensiero, viola <strong>di</strong> tre colori,<br />

suocera e nuora, viola farfalla, ciocchette<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale, sud Africa,<br />

Australia, sud America<br />

Famiglia: Violacee<br />

sfumature, in una forma che ricorda una<br />

farfalla. La viola mammola (Viola odorata)<br />

fiorisce in primavera, la viola del pensiero<br />

(Viola tricolor), da aprile a ottobre<br />

Caratteristiche: si tratta <strong>di</strong> erbacee annuali<br />

nella viola del pensiero e perenni nella viola<br />

mammola; la prima ha foglie ovali o allungate,<br />

Fiori: solitari e profumati nella viola mammola, la seconda, foglioline a cuore<br />

bianchi, lilla o violetti; nella viola del pensiero Etimologia: dal latino viola, inteso come colore<br />

83


«Che cosa è più <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong> tutto?<br />

Ciò che sembra più facile: vedere la<br />

realtà <strong>di</strong> quello che abbiamo<br />

proprio sotto gli occhi. Come certi<br />

fiori che sono un miracolo <strong>di</strong><br />

bellezza».<br />

J. W. Goethe<br />

I semprevivi <strong>di</strong>pingono la roccia<br />

Potrebbero essere chiamate le «piante dell’impossibile» e la loro presenza è così<br />

connaturata con l’ambiente montano che il più delle volte sfioriamo una macchia<br />

<strong>di</strong> Sempervivum senza accorgerci <strong>della</strong> loro presenza, senza soffermarci<br />

ad ammirarne la bellezza e lo straor<strong>di</strong>nario tecnicismo <strong>della</strong> loro struttura<br />

morfologica. Ma è solo una <strong>di</strong>strazione momentanea, una <strong>di</strong>sattenzione superficiale<br />

perché nel mosaico dei colori, degli aromi, delle sensazioni che si identificano<br />

nell’immagine <strong>della</strong> montagna, i semprevivi sono ben presenti, come<br />

un leggero sottofondo, una trama che si riaffaccia costante fra i mille motivi <strong>di</strong><br />

un intreccio <strong>di</strong> verde, <strong>di</strong> fiori, <strong>di</strong> forme.<br />

Li ritroviamo tra sasso e sasso, sui vecchi muretti <strong>di</strong>visori che chiudono prati<br />

e pascoli in una imprecisa rete grigia, li ve<strong>di</strong>amo ricamare orli bianchi, gialli,<br />

rossi o glauchi lungo le scarpate o i pen<strong>di</strong>i che fanno da spalla ai boschi e più<br />

su, oltre i duemila, li ve<strong>di</strong>amo impegnati a <strong>di</strong>pingere la roccia, ovunque il vento<br />

abbia raccolto un pugno <strong>di</strong> terra e <strong>di</strong> humus, ovunque la vita possa avere<br />

inizio.<br />

I Sempervivum appartengono alla famiglia delle Crassulacee e sono presenti<br />

sulla Terra in ben millecinquecento specie <strong>di</strong>stribuite in trentacinque generi<br />

fra cui cinque vivono allo stato spontaneo sul nostro territorio, con<br />

un totale <strong>di</strong> cinquantacinque specie. Se pren<strong>di</strong>amo in esame tutti i continenti,<br />

ve<strong>di</strong>amo che i semprevivi non conoscono confini: spuntano ai margini<br />

delle zone desertiche dove la temperatura raggiunge livelli altissimi, appaiono<br />

nella fascia temperata a una certa altitu<strong>di</strong>ne e non <strong>di</strong>sdegnano neppure le<br />

basse latitu<strong>di</strong>ni, ovunque esista un luogo roccioso e decisamente asciutto. È proprio<br />

in base a quest’ultima caratteristica ambientale che fusti e foglie dei semprevivi<br />

presentano un’accentuata carnosità, funzionando da «riserva d’acqua»,<br />

captata quasi esclusivamente attraverso la caduta <strong>di</strong> rugiada e trattenuta all’interno<br />

dei tessuti vegetali grazie a uno stratagemma: la cuticola che ricopre la<br />

parte verde dei Sempervivum è del tutto priva degli stomi – paragonabili ai pori<br />

<strong>della</strong> nostra pelle – che nelle piante, nelle foglie normali consentono all’esemplare<br />

<strong>di</strong> «respirare», ossia <strong>di</strong> stabilire il giusto equilibrio fra la temperatura esterna<br />

e la quantità <strong>di</strong> liquido presente nelle cellule, secondo il ritmo <strong>di</strong> circolazione<br />

<strong>della</strong> linfa.<br />

Mancando gli stomi, l’evaporazione non avviene e la pianta non ha bisogno <strong>di</strong><br />

bere per cui riesce a convivere benissimo con un ambiente inospitale, impossibile<br />

per qualsiasi altra pianta. È proprio da questa eccezionale possibilità <strong>di</strong><br />

sopravvivenza che deriva il nome latino <strong>di</strong> queste minuscole Crassulacee, ossia<br />

Sempervivum, termine che nelle maggiori lingue europee suona così: joubarbe<br />

(barba <strong>di</strong> Giove) in francese; houseleek in inglese e Hauswurz in tedesco.<br />

Esistono poi vari nomi <strong>di</strong>alettali legati, quasi sempre, all’uso terapeutico dei<br />

semprevivi, le cui foglie contengono una buona percentuale <strong>di</strong> acido malico e<br />

perciò vengono usate nella me<strong>di</strong>cina popolare per curare <strong>di</strong>versi malanni. In<br />

modo particolare, sono tenuti in gran conto il Sempervivum tectorum e il Sempervivum<br />

montanum che vengono applicati a guisa <strong>di</strong> cataplasma per alleviare<br />

il bruciore delle scottature, lenire l’insopportabile prurito <strong>di</strong> alcune dermatosi<br />

e l’infiammazione provocata dalle punture degli insetti. Ultimo merito, e<br />

non poco importante, quello <strong>di</strong> agire positivamente contro geloni e calli.<br />

Abbiamo appena ricordato il Sempervivum tectorum o semprevivo dei tetti, per<br />

le sue proprietà curative, ma non bisogna <strong>di</strong>menticare che questa specie riveste<br />

un non trascurabile ruolo nel folclore e nelle tra<strong>di</strong>zioni alpine, in quanto si<br />

ritiene che la sua presenza, fra le tegole o le lastre <strong>di</strong> pietra che ricoprono case<br />

e baite, equivalga a una sicura protezione dal fulmine e dalla nefasta influenza<br />

degli spiriti folletti che abitano i boschi. Feste tra<strong>di</strong>zionali, canti e leggende <strong>di</strong><br />

montagna sono intessuti da queste antiche credenze ed è anche per questo che<br />

84 Sempervivum wulfenii


Sempervivum wulfenii<br />

Sempervivum montanum<br />

i semprevivi dei tetti continuano a vegetare e fiorire liberamente al margine<br />

delle grondaie come un prezioso merletto senza tempo. Le specie <strong>di</strong> Sempervivum<br />

più frequenti nelle nostre valli sono il Sempervivum aracnoideum o semprevivo<br />

ragnateloso, così chiamato per una specie <strong>di</strong> ragnatela bianca che si<br />

stende lungo il margine e all’apice delle foglie; i suoi fiori sono rosa-porpora e<br />

appaiono da giugno a settembre. Il Sempervivum montanum, presente sino a<br />

3000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, vive lungo tutto l’arco delle Alpi, pre<strong>di</strong>lige le rupi silicee<br />

e fiorisce in rosso-viola da giugno ad agosto.<br />

Il Sempervivum tectorum o semprevivo dei tetti ha foglie verde tenero, con una<br />

sfumatura color bronzo; forma compatte rosette che si propagano attraverso<br />

lunghi stoloni; i fiori sono rosso-porpora, più o meno scuri, che nella varietà<br />

alpinum sono riuniti in in<strong>fiore</strong>scenze particolarmente fitte. Per concludere<br />

86


Sempervivum aracnoideum<br />

l’elenco dei semprevivi tipici delle nostre montagne dobbiamo ricordare il<br />

Sempervivum wulfenii, non molto <strong>di</strong>ffuso, amante del suolo acido e che può<br />

raggiungere 2600 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne; le sue foglie presentano un margine finemente<br />

coperto da ciglia scure, i fiori sono giallo oro con una corona <strong>di</strong> filamenti<br />

rossi. Si conclude così la descrizione delle minuscole Crassulacee che si chiamano<br />

Sempervivum, che sanno vivere in un pugnetto <strong>di</strong> terra e traggono dalla<br />

rugiada la loro linfa vitale. Sono proprio piante dell’impossibile eppure hanno<br />

avuto dalla Natura un compito importante, che nessun’altra specie saprebbe<br />

assolvere così bene: quello <strong>di</strong> trasformare una roccia, un muro, un vecchio tetto<br />

in un’immagine <strong>di</strong> incomparabile bellezza.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Sempervivum Caratteristiche: piante che non superano il<br />

Nomi popolari: sopravvivo, erba da calli,<br />

sempreio, articiochi mati, erba trouna, orecine<br />

palmo d’altezza, con rosette a globo composte<br />

da foglie carnose, verde chiaro con sfumature<br />

purpuree. I semprevivi si <strong>di</strong>ffondono a mezzo <strong>di</strong><br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale<br />

stoloni che recano minuscole rosette che,<br />

Famiglia: Crassulacee<br />

staccate dalla pianta madre, si trasformano in<br />

altrettanti esemplari perfettamente autonomi<br />

Fiori: piccoli, a stella, in ciuffi terminali, rosa, Etimologia: dal latino semper vivum, in<br />

porpora o gialli, sorretti da fusti coperti <strong>di</strong> brevi riferimento alla lunga vita <strong>di</strong> queste specie e<br />

foglie a squama <strong>di</strong>sposte a embrice. Si aprono alla loro adattabilità anche nei terreni più ari<strong>di</strong><br />

in estate e poveri<br />

87


«... Quando avviene, come avviene,<br />

che più limpida scorre l’acqua <strong>della</strong><br />

sorgente, quando sboccia il<br />

selvatico miosotide e l’usignolo sul<br />

ramo ripete, modula e addolcisce e<br />

affina la sua dolce canzone, è<br />

giusto che anch’io canti e pianga<br />

d’amore, per una ferita che sempre<br />

mi duole».<br />

Jaufré Rudel principe <strong>di</strong> Blaia<br />

Myosotis alpestris<br />

Il nontiscordar<strong>di</strong>mé, per non <strong>di</strong>menticare<br />

Per questi deliziosi, delicati fiori gli innamorati hanno inventato un nome estremamente<br />

evocativo e gentile: nontiscordar<strong>di</strong>mé. Un nome che fa pensare a preziosi<br />

libriccini dalle pagine ingiallite dove qualche corolla <strong>di</strong> Myosotis, ormai<br />

secca, è quanto rimane <strong>di</strong> un amore lontano, <strong>di</strong> un’amicizia che si è perduta fra<br />

le pieghe del tempo, <strong>di</strong> un ieri così <strong>di</strong>verso da sembrare ad<strong>di</strong>rittura un sogno.<br />

Questo il significato romantico associato al Myosotis, ma a ben guardare questo<br />

<strong>fiore</strong>llino sembra nascondere un ben più impegnativo ammonimento: nontiscordar<strong>di</strong>mé<br />

recitano le minuscole corolle, quasi a sollecitare l’attenzione<br />

degli uomini verso la flora spontanea, anche la meno appariscente, perché è<br />

proprio nel rispetto verso ogni creatura vivente, animale o pianta che sia, il<br />

senso profondo <strong>di</strong> una coscienza ecologica assunta a norma esistenziale. Nontiscordar<strong>di</strong>mé<br />

in italiano, myosotis des Alpes in francese, wood forget me not in<br />

inglese e Blau Mauseohrlein in tedesco, per in<strong>di</strong>care soprattutto il Myosotis<br />

alpestris e il Myosotis palustris che sono le due specie tipiche delle nostre montagne.<br />

In realtà, il genere Myosotis riunisce una cinquantina <strong>di</strong> specie spontanee<br />

in Europa, Asia, America, Sudafrica, Nuova Zelanda e Australia; sul territorio<br />

italiano, oltre ai due nontiscordar<strong>di</strong>mé appena ricordati, vivono anche il<br />

Myosotis pusilla e il Myosotis arvensis che hanno il loro habitat in collina e in<br />

pianura, sempre in luoghi piuttosto umi<strong>di</strong> e freschi. Prima <strong>di</strong> soffermarci a<br />

descrivere la grazia dei nontiscordar<strong>di</strong>mé alpini, è giusto ricordare che il nome<br />

scientifico <strong>di</strong> queste piante deriva dal greco myós, topo, e otós, orecchio, a in<strong>di</strong>care<br />

una vaga rassomiglianza tra l’appen<strong>di</strong>ce auricolare dei ro<strong>di</strong>tori e le corolle<br />

<strong>di</strong> cui ci stiamo occupando.<br />

La responsabilità <strong>della</strong> scelta <strong>di</strong> questa definizione va al più famoso farmacologo<br />

dell’antichità, Dioscuride Pedanio <strong>di</strong> Anazarbo, me<strong>di</strong>co militare al tempo<br />

<strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> Nerone. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto è accaduto per molte altre specie,<br />

i Myosotis hanno conservato il nome scelto dallo stu<strong>di</strong>oso greco e lungo il<br />

filo del tempo hanno portato sino a noi il loro tenero messaggio, la loro forza<br />

evocativa. Li ve<strong>di</strong>amo spuntare fra l’erba, anche a notevole altitu<strong>di</strong>ne, e la loro<br />

presenza denuncia inequivocabilmente l’esistenza <strong>di</strong> terreni soffici, ricchi <strong>di</strong><br />

humus, freschi, esposti al sole o a mezz’ombra; il Myosotis alpestris, in particolare,<br />

vive sui gran<strong>di</strong> pascoli alpini, <strong>di</strong> norma sino a 2700 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, ma<br />

qualche volta si spinge sino a quota 3000. È una pianta dallo sviluppo variabile,<br />

con un’altezza che va da 5 ai 20 centimetri e con in<strong>fiore</strong>scenze a scorpione,<br />

composte da <strong>fiore</strong>llini a cinque petali, azzurro vivo, più o meno intenso, a seconda<br />

delle luminosità e <strong>della</strong> natura del suolo. È in <strong>fiore</strong> da aprile ad agosto.<br />

Oltre che sulla corona alpina il nontiscordar<strong>di</strong>mé alpestre vive anche sugli<br />

Appennini e sui monti <strong>della</strong> Corsica, in aree limitate, in «tasche» ecologiche <strong>di</strong><br />

88


Qui sopra: Eritrichium nanum.<br />

A destra: nontiscordar<strong>di</strong>mé e<br />

Myosotis alpestris. antichissima origine, residuo delle gran<strong>di</strong> glaciazioni che hanno mutato il volto<br />

<strong>della</strong> Terra. L’altro miosotide <strong>di</strong>ffuso anche in Valtellina appartiene alla specie<br />

Myosotis palustris, presente nei luoghi umi<strong>di</strong> o ad<strong>di</strong>rittura acquitrinosi.<br />

Nasce e fiorisce già in pianura, acquista il massimo <strong>della</strong> bellezza attorno ai<br />

1000 metri e si spinge sino al limite dei 2000. Le sue corolle, sorrette da fusti alti<br />

20-50 centimetri, sbocciano in maggio e continuano a fiorire sino a luglio, con<br />

una ripresa verso metà settembre. Il colore dei nontiscordar<strong>di</strong>mé <strong>di</strong> palude<br />

subisce una lenta trasformazione: quando il <strong>fiore</strong> si apre, i petali sono teneramente<br />

rosa, ma poi assumono una delicata tonalità celeste o azzurra, con qualche<br />

spora<strong>di</strong>co caso <strong>di</strong> miosoti<strong>di</strong> bianchi. L’in<strong>fiore</strong>scenza ha la consueta forma<br />

a coda <strong>di</strong> scorpione e i cinque petali che formano la corolla hanno il margine<br />

meno arrotondato rispetto a quello che caratterizza i Myosotis alpestris. L’areale<br />

dei nontiscordar<strong>di</strong>mé <strong>di</strong> palude si <strong>di</strong>lata sino ai monti <strong>della</strong> Sicilia, con lar­<br />

89


Eritrichio nano.<br />

ghe «nicchie» sull’Appennino. Il nostro... incontro con i Myosotis potrebbe concludersi<br />

qui, ma per amore <strong>di</strong> precisione, e anche a puro titolo <strong>di</strong> curiosità, riteniamo<br />

opportuno ricordare che comunemente si usa in<strong>di</strong>care come nontiscordar<strong>di</strong>mé<br />

nano l’Eritrichium nanum, pianta che con il Myosotis alpestris o con<br />

il Myosotis palustris ha ben poco da vedere, tolta la famiglia <strong>di</strong> appartenenza<br />

ossia la famiglia delle Boraginacee. L’eritrichio nano, detto anche miosotide blu,<br />

è una specie che raramente supera i quin<strong>di</strong>ci centimetri <strong>di</strong> altezza, forma densi<br />

cuscini, pre<strong>di</strong>lige i pascoli dove affiorano isole <strong>di</strong> roccia che fungono da provvidenziale<br />

riparo contro il vento e i rigori notturni. Le in<strong>fiore</strong>scenze dell’eritrichio<br />

nano possono essere terminali oppure situate all’ascella delle minuscole<br />

foglie, non più lunghe <strong>di</strong> un centimetro. Le corolle sono <strong>di</strong> uno splen<strong>di</strong>do blu,<br />

brillante e morbido insieme, con qualche rara apparizione <strong>di</strong> fiori bianchi. Il<br />

periodo <strong>di</strong> fioritura va da giugno ad agosto, ma anche in settembre è possibile,<br />

ammirare qualche ciuffo <strong>di</strong> Eritrichium nanum in piena attività vegetativa.<br />

Non è facile, a un primo esame, <strong>di</strong>stinguere i Myosotis dall’Eritrichium nanum<br />

e questo giustifica l’aver accomunato queste specie sotto il popolare nomignolo<br />

<strong>di</strong> nontiscordar<strong>di</strong>mé. Anzi, questo arbitrio, questa inesattezza, si risolvono<br />

in modo del tutto positivo se vogliamo rifarci alle considerazioni iniziali, se<br />

vogliamo dare al miosotide il compito <strong>di</strong> «ricordare», ma anche <strong>di</strong> «ammonire».<br />

Diventano così due le delicate fragili piante alpine che suggeriscono all’uomo<br />

una maggiore attenzione verso le meraviglie e i problemi <strong>della</strong> Natura. Basta<br />

entrare in sintonia con questo mondo affascinante e prezioso per capire come,<br />

a volte, possa essere più valido e preciso il messaggio <strong>di</strong> pochi, minuscoli fiori<br />

che sembrano fatti <strong>di</strong> porcellana o <strong>di</strong> cielo, rispetto a tanti, enfatici <strong>di</strong>scorsi<br />

che definire demagogici è troppo benevolo.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Myosotis bianco. Fioriscono dalla primavera all’estate<br />

Nomi popolari: nontiscordar<strong>di</strong>mé, ricordo Caratteristiche: piante erbacee perenni, alte da<br />

d’amore, talco celeste, miosotide, occhi <strong>della</strong> 15 a 40 centimetri; le foglie sono oblunghe,<br />

Madonna molli, pelose. Vivono bene anche in terreni<br />

Origine: Europa, Africa e Asia intrisi d’acqua o al margine dei torrenti<br />

Famiglia: Borraginacee Etimologia: il nome proviene dal greco myós,<br />

Fiori: minuscole corolle in spighe terminali, sorcio, e otós, orecchio, a causa delle foglie<br />

<strong>di</strong>vise in quattro lobi; il colore varia dal celeste pelose che richiamano nella forma le orecchie<br />

al blu chiaro, con alcune varianti in rosa e in <strong>di</strong> un topolino<br />

90


«Io sono <strong>di</strong>steso sull’erba<br />

tra i fiori selvatici dell’epilobio.<br />

Ora dove saranno le nuvole,<br />

su quali paesi?<br />

Forse su prati che non conosco».<br />

Kitahora Ha Kuschù<br />

L’epilobio, come una fiamma <strong>di</strong> seta<br />

È un genere <strong>di</strong> piante assai <strong>di</strong>ffuso sulle nostre montagne, in sei specie <strong>di</strong>verse:<br />

tutte appariscenti, con fiori molto belli che variano dal rosa al rosso e i cui<br />

petali sembrano ritagliati in una lievissima carta velina finemente crespata,<br />

oppure in un velo impalpabile intessuto d’argento.<br />

È impossibile non notare le macchie <strong>di</strong> epilobi che, non appena il terreno acquista<br />

un certo grado <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà, formano dense cortine che si alzano sopra il<br />

verde dell’erba proprio come una fiamma, come una frangia rosata che il vento<br />

agita e muove in un continuo alternarsi <strong>di</strong> forme, in una suggestiva sovrapposizione<br />

<strong>di</strong> colori. È impossibile non notare la grazia <strong>di</strong> queste piante, caratterizzate<br />

da un incessante an<strong>di</strong>rivieni <strong>di</strong> api, vespe, calabroni e farfalle attirati<br />

dalla ricchezza <strong>di</strong> nettare che si raccoglie nella profon<strong>di</strong>tà delle corolle degli<br />

Epilobium.<br />

Ed è stata proprio l’eccezionale presenza <strong>di</strong> insetti attorno a questi esemplari<br />

a determinare il ruolo storico degli epilobi nell’indagine scientifica <strong>della</strong> botanica<br />

moderna. Infatti, nel 1793 il naturalista tedesco Christian Conrad Sprengel<br />

osservando un gruppo <strong>di</strong> Epilobium ebbe l’intuizione che fossero proprio<br />

api, vespe e simili a compiere l’importante funzione <strong>di</strong> agenti impollinatori. Si<br />

trattava <strong>di</strong> una teoria rivoluzionaria, accolta con molto scetticismo dagli scienziati<br />

del tempo e che venne convalidata soltanto da Charles Darwin, un secolo<br />

dopo, ponendo le basi <strong>di</strong> una nuova visione del processo riproduttivo e<br />

dell’evoluzione del mondo vegetale. Il nome scientifico dell’Epilobium deriva<br />

dal greco epi, sopra, e lobós, siliqua, a in<strong>di</strong>care la struttura del frutto <strong>di</strong> queste<br />

piante erbacee perenni che nel gergo comune vengono in<strong>di</strong>cate in vario modo:<br />

erba <strong>di</strong> sant’Antonio, sfenice, behen rosa, gambi rossi, ramerino <strong>di</strong> monte, turgoncello,<br />

trigono, garofanino <strong>di</strong> montagna.<br />

In francese sono note come Epilobe, in inglese Willowherb e in tedesco Weidenröschen.<br />

La famiglia <strong>di</strong> appartenenza è quella delle Onogracee, ossia delle piante<br />

gra<strong>di</strong>te all’onagrus, che è quanto <strong>di</strong>re asino selvatico. A questi dati, <strong>di</strong> natura<br />

semantica, bisogna aggiungere che il genere Epilobium è composto da una<br />

sessantina <strong>di</strong> specie presenti lungo la fascia temperata dell’emisfero settentrionale<br />

e, in modo particolare, sulle montagne europee, sul Caucaso, in Giappone,<br />

nell’America del nord, sulle alture dell’Africa settentrionale. In Italia, sulle<br />

Alpi e lungo la dorsale appenninica, sono particolarmente <strong>di</strong>ffuse sei specie <strong>di</strong><br />

epilobi: Epilobium angustifolium, Epilobium dodonaei, Epilobium fleischeri, Epilobium<br />

montanum, Epilobium palustre ed Epilobium alpestre.<br />

91


Spetta comunque all’Epilobium angustifolium il record delle presenze su tutto<br />

il nostro territorio, fra i 200 e i 2300 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, al margine dei boschi,<br />

lungo le rive dei torrenti, ovunque esista un «consorzio» <strong>di</strong> alte erbe, su terreno<br />

siliceo o calcareo a seconda <strong>della</strong> specie. Sino a questo momento ci siamo<br />

occupati dell’aspetto esteriore degli Epilobium, <strong>della</strong> loro bellezza, ma è anche<br />

giusto riconoscere il valore terapeutico <strong>di</strong> queste piante utilizzate nella me<strong>di</strong>cina<br />

popolare per preparare un decotto <strong>di</strong> notevole efficacia contro le infiammazioni<br />

del cavo orale, da usare per gargarismi, per curare edemi e gonfiori causati<br />

da traumi, per lenire il dolore <strong>di</strong> natura reumatica, per detergere abrasioni<br />

e piccole ferite arrestando anche la fuoriuscita <strong>di</strong> sangue.<br />

Infine, con le foglie e i fiori essiccati si prepara un infuso (tre grammi ogni cento<br />

<strong>di</strong> acqua bollente) che agisce sull’apparato intestinale con una leggera azione<br />

astringente. Potremmo chiedere <strong>di</strong> più a questa bella pianta <strong>di</strong> montagna?<br />

Pare <strong>di</strong> sì, visto che in vari Paesi del Nord Europa si preparano squisite e salutari<br />

insalate con i germogli più teneri dell’Epilobium angustifolium, germogli che<br />

possono anche essere cucinati al burro, come gli spinaci. In Russia, per esempio,<br />

ne utilizzano le foglie per sostituire il tè e con le ra<strong>di</strong>ci preparano un piatto<br />

che non ha nulla da invi<strong>di</strong>are agli asparagi.<br />

Insomma, gli epilobi <strong>di</strong>mostrano in molti mo<strong>di</strong> la loro utilità pari alla loro bellezza,<br />

ma forse il pregio maggiore <strong>di</strong> queste eleganti spighe rosa sta nella loro<br />

proprietà <strong>di</strong> colonizzare pietraie e morene, consolidando il terreno grazie alla<br />

lunghezza e alla forza delle loro ra<strong>di</strong>ci; quando su un pen<strong>di</strong>o si instaurano e<br />

germinano i semi degli Epilobium – soprattutto l’angustifolium – si può essere<br />

certi che in breve tempo nello stesso luogo appariranno muschi e piccole erbe<br />

e, infine, qualche arbusto.<br />

Sarà il primo nucleo, la pattuglia avanzata del futuro bosco e così un altro lembo<br />

<strong>di</strong> montagna acquisterà la sua veste <strong>di</strong> verde e <strong>di</strong> fiori. Tutto questo anche per<br />

la volontà <strong>di</strong> sopravvivere e l’istinto a riprodursi dell’epilobio nelle varie specie,<br />

una pianta che <strong>di</strong>segna sul profilo delle pinete o sullo sfondo del cielo una<br />

frangia rosa che nella luce del tramonto o nel chiarore dell’alba prende i riflessi<br />

<strong>di</strong> una fiamma <strong>di</strong> seta.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Epilobium Caratteristiche: piante erbacee perenni, dai<br />

Nomi popolari: garofanino <strong>di</strong> bosco, fiamma, fusti rigi<strong>di</strong> e rossastri, con foglie allungate,<br />

sfènice, behen rosso, gambi rossi<br />

ondulate, verde vivo; l’altezza varia da 30<br />

Origine: Europa, Asia, America boreale<br />

Famiglia: Enoteracee o Onogracee<br />

Fiori: penduli, riuniti in dense spighe terminali;<br />

centimetri al metro e mezzo. Gli Epìlobium<br />

crescono in fitte macchie al margine dei<br />

boschi, nei luoghi umi<strong>di</strong><br />

appaiono da giugno a ottobre e sono <strong>di</strong> color Etimologia: dal greco epí, sopra, e lóbos,<br />

rosa in varie tonalità, sino al rosso baccello<br />

92


«Vicino e lontano<br />

il suo profumo <strong>di</strong> garofano mi<br />

attirava irresistibilmente,<br />

come una calamita,<br />

come un persuasore occulto,<br />

che mi offriva <strong>di</strong> continuo,<br />

voluttuosamente,<br />

il piacere del suo corpo,<br />

del suo viso».<br />

Giamil O-Beha<br />

Dianthus silvestris.<br />

Nella pagina a fianco: Dianthus sp. e<br />

Dianthus glacialis.<br />

Nel <strong>di</strong>segno: Dianthus superbus.<br />

Il garofano, <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> Giove<br />

È uno dei fiori alpini che è impossibile ignorare quando si attraversa un pascolo<br />

o si percorre un sentiero; il suo profumo è dolce, penetrante, insistente e basta<br />

una bava <strong>di</strong> vento perché la fragranza inconfon<strong>di</strong>bile si <strong>di</strong>ffonda nell’aria e<br />

finisca per accarezzarci come una sciarpa lievissima. È un profumo che nasconde<br />

il sentore <strong>di</strong> certe spezie orientali, la sensuale morbidezza del patchouli,<br />

un’essenza tipicamente araba, con una nota che ricorda la resina e lo zucchero<br />

bruciati insieme.<br />

È un genere <strong>di</strong> fiori che si fa ricordare per la grazia delle corolle nelle <strong>di</strong>verse<br />

specie e per i loro colori, tutti nella gamma dal rosa tenuissimo al porpora,<br />

senza <strong>di</strong>menticare il bianco e qualche sfumatura lilla. La pianta, in se stessa,<br />

non ha valore decorativo se considerata singolarmente, ma acquista una grazia<br />

particolare se molti esemplari sono riuniti a far gruppo, creando con il loro<br />

sottile fogliame e gli steli esili e dritti una lieve macchia grigio-azzurro-verde.<br />

Qualche volta, i garofani <strong>di</strong> montagna nascono da un tappeto ver<strong>di</strong>ssimo d’erba<br />

o <strong>di</strong> muschio, ma spesso si alzano dalla superficie compatta e un po’ giallastra<br />

dei pascoli d’alta montagna, in gara con le nigritelle e le genziane. Infatti,<br />

i Dianthus, o garofani, occupano un areale che va da 500 a 2800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne,<br />

a seconda <strong>della</strong> specie; varia anche il tipo <strong>di</strong> terreno preferito da queste<br />

piante: ora calcareo, ora acido, ora sassoso oppure ricco <strong>di</strong> humus e un poco<br />

umido.<br />

Tutta la catena alpina, gli Appennini, i Pirenei e il Caucaso ospitano i Dianthus<br />

che sono parenti stretti del garofano dei fioristi o Dianthus caryophyllus, cui è<br />

legata una storia molto curiosa: all’epoca delle Crociate, quando i soldati francesi<br />

giunsero in Terrasanta scoppiò un’epidemia <strong>di</strong> peste e fra le truppe si <strong>di</strong>ffuse,<br />

non si sa bene il perché, la credenza che il profumo <strong>di</strong> un garofano, spontaneo<br />

in Asia Minore, avesse il potere <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re il <strong>di</strong>ffondersi del morbo e<br />

anche <strong>di</strong> guarirlo. Una pura e semplice illusione, ma sta <strong>di</strong> fatto che quando i<br />

Crociati tornarono in patria recarono semi, pianticelle o anche soltanto corolle<br />

essiccate <strong>di</strong> garofano a guisa <strong>di</strong> talismano.<br />

94


È stato così che il Dianthus caryophyllus, o garofano dei fioristi, quello dal grande<br />

<strong>fiore</strong> doppio e stradoppio oggi coltivato in migliaia <strong>di</strong> ibri<strong>di</strong> e varietà, nelle<br />

tinte più <strong>di</strong>verse, si è <strong>di</strong>ffuso in Europa e poi nel resto del mondo. Invece, per i<br />

minuscoli garofani <strong>di</strong> montagna la storia è andata in modo <strong>di</strong>fferente: sin da Ere<br />

lontane essi continuano a vivere al margine dei boschi e lungo la fascia prativa<br />

che segue il limite <strong>della</strong> vegetazione arborea, con il solo impegno <strong>di</strong> profumare<br />

nel modo più intenso possibile per attirare gli insetti che debbono provvedere<br />

all’impollinazione. Le poche specie che non hanno il pregio <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondere<br />

nell’aria il caratteristico aroma, hanno messo in atto altri accorgimenti, altri<br />

motivi <strong>di</strong> seduzione, come quello del colore <strong>di</strong> particolare intensità, una speciale<br />

iridescenza dei petali, pistilli e stami <strong>di</strong> insolita lunghezza oppure corolle<br />

frangiate che il minimo alito <strong>di</strong> vento riesce a far vibrare con movimenti <strong>di</strong><br />

richiamo. Oggi, per fortuna, i piccoli, deliziosi Dianthus <strong>di</strong> montagna sono protetti<br />

da severe <strong>di</strong>sposizioni <strong>di</strong> legge, nell’intento <strong>di</strong> salvare le specie più <strong>di</strong>ffuse<br />

e <strong>di</strong> far ricostituire quelle in pericolo <strong>di</strong> estinzione. Si spera <strong>di</strong> riportare in<br />

gran numero su Alpi e Appennini il Dianthus superbus, o garofano a pennacchio,<br />

<strong>di</strong> un palli<strong>di</strong>ssimo rosa-lilla; il minuscolo Dianthus alpinus, garofano delle Alpi,<br />

alto non più <strong>di</strong> 10 centimetri, dai petali rosso carnicino, che forma piccoli cuscini;<br />

il Dianthus monspessulanus, garofano <strong>di</strong> Montpellier, dai fiori bianchi<br />

profumatissimi e dagli steli alti 20-30 centimetri; il Dianthus pavonius, garofano<br />

negletto alto da 5 a 15 centimetri, che fiorisce in rosa carico in gruppi compatti<br />

dal portamento molto elegante, che risaltano contro gli spuntoni <strong>di</strong> roccia<br />

e tra i sassi; il Dianthus seguieri, garofanino del Seguier, una delle specie più<br />

belle, con fiori dal rosa al rosso con macchioline scure; il Dianthus sylvestris,<br />

garofanino silvestre privo <strong>di</strong> profumo, dalle corolle rosa vivo, che cresce fra i<br />

<strong>di</strong>rupi e persino tra le fessure dei vecchi muri; il Dianthus carthusianorum, garofano<br />

da prato, alto da 20 a 40 centimetri, con fiori rossi picchiettati <strong>di</strong> bianco.<br />

Quest’ultima specie vanta notevoli proprietà curative, soprattutto <strong>di</strong>uretiche<br />

e sudorifere; si usano i petali essiccati, messi in infusione in acqua calda nella<br />

dose <strong>di</strong> due grammi ogni cento grammi <strong>di</strong> acqua e se ne bevono tre tazze al<br />

giorno. Abbiamo così scoperto che i garofani <strong>di</strong> montagna possono aiutarci ad<br />

alleviare i piccoli malanni, ma questa è soltanto un’osservazione marginale: essi<br />

rimangono uno degli accenti <strong>di</strong> maggior bellezza <strong>della</strong> flora alpina e scoprirne<br />

un cespo è sempre un’emozione, come se quel colore, quel profumo dolce e<br />

intenso fossero un dono che la Natura ha inventato soltanto per noi, per ognuno<br />

<strong>di</strong> noi, e così il «<strong>fiore</strong> <strong>di</strong> Giove» assume un significato e un valore del tutto<br />

particolari. Già, ci siamo scordati <strong>di</strong> <strong>di</strong>rvi che Dianthus è un nome che deriva<br />

dal greco <strong>di</strong>ós, <strong>di</strong>o, e anthós, <strong>fiore</strong>, ossia «<strong>fiore</strong> del <strong>di</strong>o» per eccellenza, in chiave<br />

mitologica, ossia il padre dell’Olimpo, Giove in persona.<br />

Dall’alto: Dianthus pavonius, Dianthus<br />

neglectus, Dianthus superbus e Dianthus<br />

monspessulanus.<br />

96<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Dianthus<br />

Nomi popolari: garofani delle Alpi, garofano<br />

<strong>di</strong> Montpellier, garofano a pennacchio,<br />

garofano negletto, garofano del Séguier,<br />

garofanino dei boschi, <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> Giove<br />

Origine: Europa, Africa del nord, Asia Minore,<br />

Cina e Giappone<br />

Famiglia: Cariofillacee<br />

Fiori: profumati, <strong>di</strong> varia forma, con petali<br />

seghettati, a frangia o sud<strong>di</strong>visi in lacinie. I<br />

colori vanno dal bianco al giallo, dal rosa al<br />

rosso<br />

Caratteristiche: erbacee perenni con steli rigi<strong>di</strong>,<br />

<strong>di</strong> varia altezza, con fiori solitari o in gruppi,<br />

foglie lanceolate-lineari, verde-azzurro, fitte alla<br />

base dei fusti<br />

Etimologia: dal greco <strong>di</strong>ós, Giove, e ánthos,<br />

<strong>fiore</strong>


«La chiamano rosa <strong>di</strong> Natale e<br />

fiorisce nel gelo. Nei petali rosati o<br />

verdastri conserva un argenteo<br />

riflesso <strong>di</strong> neve e la sua grazia è<br />

come una promessa <strong>della</strong> bella<br />

stagione che è già nell’aria, che è<br />

già nel cielo, ogni giorno più alto e<br />

trasparente».<br />

Maddalena Vanelli<br />

Helleborus foetidus. Nel <strong>di</strong>segno: Helleborus<br />

viri<strong>di</strong>s e, a destra, Helleborus niger o rosa <strong>di</strong><br />

natale<br />

L’elleboro, <strong>fiore</strong> <strong>della</strong> <strong>saggezza</strong><br />

Può sembrare una contrad<strong>di</strong>zione, ma in realtà i bellissimi Helleborus sono<br />

piante cui, sin dai tempi più antichi, si sono attribuite proprietà curative contro<br />

la pazzia, tanto è vero che ad Anticyra nel golfo <strong>di</strong> Corinto, dove fiorivano<br />

migliaia e migliaia <strong>di</strong> queste piante, era un continuo, accorrere <strong>di</strong> malati <strong>di</strong><br />

mente nella speranza <strong>di</strong> ritrovare la <strong>saggezza</strong>. Non è dato sapere, invece, quanti<br />

ad Anticyra finissero i loro giorni nel dolce sopore provocato dall’elleborina che<br />

è un tossico car<strong>di</strong>aco molto simile, come azione, alla <strong>di</strong>gitale e allo strofanto.<br />

Sta <strong>di</strong> fatto che le virtù terapeutiche attribuite all’elleboro, hanno conservato<br />

nei secoli la loro presunta vali<strong>di</strong>tà, riba<strong>di</strong>ta in chiave poetica da Gabriele D’Annunzio<br />

ne «La figlia <strong>di</strong> Jorio»: «Vammi in cerca dell’elleboro nero che il senno<br />

renda a questa creatura...».<br />

Dal ritenere che gli Helleborus potessero allontanare dalla mente il «grande<br />

male» a supporre che essi avessero anche il potere <strong>di</strong> influire sugli affari <strong>di</strong><br />

cuore, sui sentimenti, il passo è stato breve ed ecco pozioni e filtri magici intervenire<br />

nelle vicende d’amore, con esorcismi e fatture che avevano per protagonista<br />

le strane corolle dell’antico elléboros.<br />

Poi, nel tempo, queste credenze hanno perduto gran parte <strong>della</strong> loro suggestione<br />

e nella <strong>di</strong>zione popolare l’Helleborus, sia per la forma dei fiori, sia per<br />

l’epoca <strong>della</strong> loro apparizione, ha cominciato a chiamarsi «rosa <strong>di</strong> Natale». Ben<br />

poche specie eguagliano in bellezza e poesia un ciuffo <strong>di</strong> ellebori bianchi,<br />

rosa, sfumati <strong>di</strong> verde o ad<strong>di</strong>rittura color porpora, che spuntano fra<br />

la neve in una corona <strong>di</strong> foglie verde cupo. Cinque sono i sepali<br />

trasformati in petali che formano le corolle <strong>di</strong> queste specie,<br />

ampiamente coltivate nei giar<strong>di</strong>ni e presenti allo stato spontaneo<br />

sulle nostre montagne, soprattutto nel più comune Helleborus<br />

niger (rose de Nöel in francese, Christmas Flower in ingle­<br />

97


Helleborus viri<strong>di</strong>s. Nella pagina a fianco:<br />

Helleborus niger<br />

se, Christrose o Schneerose in tedesco) che si può trovare in una fascia altitu<strong>di</strong>nale<br />

che va da 1300 a 1850 metri.<br />

Insieme all’Helleborus niger è possibile vedere l’Helleborus viri<strong>di</strong>s, o elleboro<br />

verde, presente anche in Sicilia, e l’Helleborus foetidus che ha uno strano nome<br />

popolare: cavolo <strong>di</strong> lupo. Molto simile a quest’ultimo e altrettanto maleodorante,<br />

l’Helleborus trifolius, piuttosto raro sui monti <strong>della</strong> Penisola e frequente in<br />

Sardegna. Tutti gli ellebori sono considerati velenosi ma il foetidus e il trifolius<br />

hanno meritato ad<strong>di</strong>rittura la qualifica <strong>di</strong> velenosissimi.<br />

A questo punto è giusta una precisazione: non è detto che raccogliere ellebori<br />

(sarebbe comunque meglio lasciarli alla montagna) o coltivarli, possa costituire<br />

un pericolo. Infatti, le parti sicuramente velenose <strong>della</strong> pianta sono il rizoma<br />

e le ra<strong>di</strong>ci e a nessuno, anche per il sapore acre e pungente, potrebbe<br />

98


Helleborus niger.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Helleborus<br />

Nomi popolari: rosa <strong>di</strong> Natale, elleboro verde,<br />

cavolo <strong>di</strong> lupo<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale, Caucaso,<br />

Asia<br />

Famiglia: Ranuncolacee<br />

Fiori: vistosi, a cinque petali, sepali petaloi<strong>di</strong>,<br />

bianchi, rosa, ver<strong>di</strong> o rosso cupo; appaiono in<br />

inverno<br />

Caratteristiche: specie erbacee, perenni, con<br />

scapo fiorale alto da venti a quaranta<br />

centimetri. Le foglie, ra<strong>di</strong>cali, sono gran<strong>di</strong>,<br />

palmate, coriacee, verde scuro o porpora. Tutta<br />

la pianta è altamente velenosa<br />

Le foglie formano cespo, quasi a mettere in<br />

risalto la delicata bellezza dei fiori<br />

Etimologia: dal greco helléborus, che<br />

consuma, che uccide, in riferimento alla<br />

presenza <strong>della</strong> temibile «elleborina»<br />

passare per il capo <strong>di</strong> cibarsi <strong>di</strong> queste parti sotterranee dell’elleboro. La precauzione<br />

<strong>di</strong> lavarsi le mani dopo aver toccato le rose <strong>di</strong> Natale è pur sempre una<br />

vali<strong>di</strong>ssima norma precauzionale.<br />

Ne terrà conto soprattutto chi coltiva questi fiori in giar<strong>di</strong>no o sul balcone<br />

(sono parecchi i floricoltori che offrono in ven<strong>di</strong>ta piante e semi <strong>di</strong> queste specie)<br />

perché andarli a raccogliere in montagna non è semplice, non è ecologicamente<br />

corretto e si corre il rischio <strong>di</strong> dover pagare multe salate, dato che in<br />

molte regioni gli Helleborus fanno parte <strong>della</strong> «flora protetta». Sino a questo<br />

momento abbiamo messo in rilievo i pericoli che si nascondono nel rizoma e<br />

nelle ra<strong>di</strong>ci <strong>della</strong> rosa <strong>di</strong> Natale, ma è anche giusto ricordare che i principi attivi<br />

contenuti in questa pianta vengono utilizzati dall’industria farmaceutica per<br />

ottenere car<strong>di</strong>otonici, psicofarmaci, drastici purganti e unguenti per la cura <strong>di</strong><br />

particolari malattie <strong>della</strong> pelle.<br />

In questo breve elenco <strong>di</strong> possibili utilizzazioni degli ellebori sono inclusi anche<br />

gli psicofarmaci e questo, tutto sommato, convalida le antiche supposizioni<br />

sulla vali<strong>di</strong>tà <strong>della</strong> rosa <strong>di</strong> Natale nella cura delle malattie mentali. Ben <strong>di</strong>verso<br />

l’uso che ancora oggi si fa <strong>di</strong> queste piante, quasi agli antipo<strong>di</strong> <strong>della</strong> Valtellina,<br />

ad<strong>di</strong>rittura in In<strong>di</strong>a, dove si brucia l’Helleborus niger o katuka, accanto al<br />

giaciglio delle partorienti, per affrettare il parto e perché «lo spirito degli dei<br />

entri nella mente del neonato».<br />

Questa la storia <strong>della</strong> rosa <strong>di</strong> Natale, del misterioso elleboro, capace <strong>di</strong> guarire<br />

la follia e anche <strong>di</strong> regalare <strong>saggezza</strong>, ma soprattutto una fra le più delicate<br />

immagini <strong>di</strong> colore e <strong>di</strong> grazia <strong>di</strong> tutta la flora spontanea delle nostre montagne.<br />

Bianche o rosate, sfumate <strong>di</strong> verde o color porpora sul candore argenteo <strong>della</strong><br />

neve, o messe in risalto da un cuscino <strong>di</strong> muschio, le corolle degli ellebori<br />

continuano a regalarci un’immagine <strong>di</strong> bellezza e a ricordare alla nostra <strong>di</strong>sattenta<br />

in<strong>di</strong>fferenza per gli infiniti miracoli <strong>della</strong> Natura, il ritorno <strong>della</strong> buona<br />

stagione.<br />

L’elleboro, per tutta l’estate e l’autunno è soltanto un cespo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> foglie a<br />

forma <strong>di</strong> mano, scure e un po’ coriacee, neppure molto belle, ma non <strong>di</strong>mentichiamo<br />

che da questi cespi, nel momento più freddo dell’anno, quasi come una<br />

sfida, spunteranno le rose <strong>di</strong> Natale.<br />

Tenerissime nel colore, eleganti nella forma, fragili eppure resistenti, proprio<br />

uno dei mille e mille pro<strong>di</strong>gi che fanno <strong>della</strong> nostra realtà una sequenza <strong>di</strong><br />

meraviglie su cui dovremmo riflettere più spesso, per essere più ricchi nell’anima<br />

e, sicuramente, più sereni.<br />

100


«Ancora ridon tra le lunghe ciglia<br />

gli occhi, e fingete che vi arrida<br />

amore; ma racconta per voi, questo<br />

fior d’arnica la gran malinconia del<br />

vostro cuore».<br />

Elisabetta Barrett-Browning<br />

L’arnica, piccola macchia <strong>di</strong> sole<br />

Da maggio ad agosto appare sui prati meno ricchi d’erba e sui pascoli alpini,<br />

fra i 1000 e i 2500 metri, su terreno siliceo e povero <strong>di</strong> calcare l’Arnica. I suoi fiori<br />

sono giallo vivo nella corona periferica, mentre quelli che formano il <strong>di</strong>sco<br />

centrale presentano una tonalità più intensa, qualche volta nella gamma dell’arancione.<br />

Le foglie sono ovaliformi, <strong>di</strong>sposte a rosetta a livello del suolo e se<br />

ne scorgono altre due, o quattro, molto piccole, lungo il fusto che può essere<br />

alto un palmo oppure superare il mezzo metro.<br />

Queste le caratteristiche morfologiche <strong>di</strong> una pianta che ha un particolare<br />

potere: i suoi fiori sembrano assorbire la luce e al tramonto, o quando il cielo<br />

è coperto dalle nuvole, la rimandano con straor<strong>di</strong>naria intensità che si <strong>di</strong>ffonde<br />

nell’aria come una vibrazione cromatica. Per qualche istante è come se il<br />

sole tornasse a illuminare il prato o il pascolo, frazionato in piccole macchie<br />

dorate che sembrano sospese a mezz’aria.<br />

Questa pianta è presente sulle Alpi in una sola specie, l’Arnica montana, <strong>della</strong><br />

famiglia delle Composite; in francese si chiama arnica des montagnes, in inglese<br />

Mountain Arnica e in tedesco Arnika Wohlverleih. Nella tra<strong>di</strong>zione popolare,<br />

invece, è nota come piantagine delle Alpi, battonica, stranudèla, tabach de<br />

montagna oppure tabacco dei Vosgi.<br />

A proposito <strong>di</strong> tabacco, in alcune valli, soprattutto nelle Alpi centrali, persiste<br />

l’antica abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fumare foglie <strong>di</strong> arnica in sostituzione del normale tabacco,<br />

sia a scopo <strong>di</strong>sinfettante delle prime vie respiratorie, sia come <strong>di</strong>sintossicante.<br />

Ad<strong>di</strong>rittura, essa era ritenuta un potente febbrifugo, tanto da essere<br />

in<strong>di</strong>cata come la china dei poveri. Questa utilizzazione è abbastanza strana se<br />

si pensa che l’arnica è oggi considerata un tossico che può colpire gli organi più<br />

delicati e agire negativamente sul sistema nervoso.<br />

La contrad<strong>di</strong>zione che si nasconde nei solari riflessi dell’Arnica montana trova<br />

un ulteriore motivo <strong>di</strong> interesse nell’origine abbastanza oscura del suo nome<br />

che pare derivi dal greco ptarmico, termine che tradotto a braccio significa «che<br />

fa starnutire».<br />

Della presenza dell’arnica sul nostro territorio non si hanno precise documentazioni<br />

anteriori al Mille e si deve a sant’Ildegarda <strong>di</strong> Bingen (1098-1179), mistica<br />

benedettina tedesca, <strong>di</strong> aver parlato <strong>di</strong>ffusamente <strong>della</strong> pianta <strong>di</strong> cui ci stiamo<br />

occupando, sia per vantarne le virtù terapeutiche sia per sottolinearne gli «arcani<br />

poteri». Non bisogna <strong>di</strong>menticare che questa santa, badessa dell’abbazia<br />

<strong>di</strong> Disibodenberg e fondatrice del monastero <strong>di</strong> Bingen, è nota per le straor<strong>di</strong>narie<br />

visioni, spesso profetiche, che avvenivano durante momenti <strong>di</strong> estasi<br />

simile a uno stato ipnotico, il cui meccanismo poteva, forse, essere indotto da<br />

particolari pozioni. Questa è, ovviamente, una pura supposizione che nulla<br />

toglie alle virtù <strong>di</strong> sant’Ildegarda, cui dobbiamo essere grati <strong>di</strong> averci lasciato<br />

precise informazioni <strong>di</strong> carattere botanico.<br />

La stessa cosa possiamo <strong>di</strong>re per i componenti <strong>della</strong> Scuola me<strong>di</strong>ca salernitana,<br />

convinti estimatori dell’Arnica descritta minuziosamente, e anche <strong>di</strong>segnata,<br />

da Pierandrea Mattioli (1500-1577) me<strong>di</strong>co e naturalista considerato il coor<strong>di</strong>natore<br />

<strong>di</strong> tutte le nozioni scientifiche allora conosciute e relative al Regno<br />

vegetale.<br />

Questa, in sintesi, la storia abbastanza singolare <strong>di</strong> una pianta considerata<br />

curativa, mentre la scienza moderna ne sostiene ad<strong>di</strong>rittura la pericolosità: è<br />

tenuta in poco conto sotto il profilo ornamentale, mentre meriterebbe maggiore<br />

attenzione, sia nella specie europea, ossia l’Arnica montana, sia nelle specie <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>versa origine, come l’Arnica chamissonis, l’Arnica cor<strong>di</strong>folia, l’Arnica foliosa<br />

e l’Arnica mollis che provengono dal continente americano, fioriscono tutte in<br />

<strong>di</strong>versi toni <strong>di</strong> giallo-arancione e si prestano a decorare balconi e giar<strong>di</strong>ni.<br />

L’Arnica montana non si confonde con le consorelle d’America e continua a<br />

vivere, in aristocratico isolamento, nelle valli alpine, pronta a sfidare il vento<br />

101


e il gelo che oltre i duemila metri non sono certo da trascurare. Infatti, alle<br />

prime avvisaglie <strong>della</strong> cattiva stagione, il nostro tabacco <strong>di</strong> montagna sembra<br />

scomparire dai prati e dai pascoli; ma è soltanto il suo sistema <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa perché,<br />

in realtà, sotto la coltre <strong>di</strong> neve, sotto il mantello protettivo dell’erba bruciata<br />

dal freddo, le ra<strong>di</strong>ci dell’Arnica montana riposano e si nutrono preparandosi alla<br />

ripresa primaverile.<br />

Infatti, quando l’aria si fa tiepida e pascoli e prati riprendono il loro smagliante<br />

tappeto verde, ecco le foglie un po’ pelose <strong>della</strong> «stranudèla» (o «starnutella»)<br />

fare capolino tra l’erba. Poi, a partire da maggio, in cima ai sottili steli dell’arnica<br />

appaiono le in<strong>fiore</strong>scenze e si ripropone la piccola magia <strong>della</strong> «china<br />

dei poveri»: quella <strong>di</strong> saper rubare la luce del sole e poi rimandarla verso l’alto,<br />

al tramonto, quando la prima sciarpa d’ombra si stende sul suolo e sembra<br />

invitare ogni creatura vivente al riposo notturno.<br />

Racconta una delicata leggenda che le lucciole sono state create per far luce<br />

ai piccoli animali sorpresi dalla notte lontani dalla tana.<br />

Ebbene, a noi piace pensare che l’Arnica abbia un compito altrettanto poetico:<br />

nascondere tra i suoi petali un po’ dello splendore dorato che illumina la Terra<br />

e poi regalarlo agli uomini nell’ora che induce alla malinconia e ai ricor<strong>di</strong>.<br />

Così l’arnica, quando il grande astro del giorno sparisce all’orizzonte, sembra<br />

brillare <strong>di</strong> luce propria e si trasforma in altrettante, piccole macchie <strong>di</strong> sole.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Arnica periferici sono gialli, a ligula, mentre il<br />

Nomi popolari: tabacco <strong>di</strong> montagna, tabacco<br />

dei Vosgi, bettonica, piantagine delle Alpi,<br />

stranudèla<br />

Origine: rilievi montuosi dell’Europa centromeri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Composite<br />

cuscinetto centrale è formato da minuscole<br />

corolle tubulose, <strong>di</strong>sposte a <strong>di</strong>sco, color<br />

arancione. Fioritura estiva<br />

Caratteristiche: erbacee perenni, alte da 20 a<br />

60 centimetri, con scapo fiorale eretto, peloso,<br />

leggermente curvo verso la cima. Le foglie,<br />

aromatiche, sono ovali, verde intenso, <strong>di</strong>sposte<br />

Fiori: in gran<strong>di</strong> capolini terminali, che possono a rosetta<br />

avere il <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci centimetri; i fiori Etimologia: il nome è <strong>di</strong> antica origine latina<br />

103


«Meglio esser messi alla prova<br />

dalle piante (come il velenoso<br />

aconito) che non dalle persone,<br />

dal momento che con le piante<br />

sappiamo <strong>di</strong> esser noi ad aver<br />

sbagliato, mentre con le persone è<br />

sempre l’opposto...».<br />

Mary Annette Beauchamp<br />

Aconitum napellus.<br />

Nell’aconito, bellezza e veleno<br />

Lo chiamano anche elmo <strong>di</strong> Giove, tradotto pari pari in francese come casque<br />

de Jupiter, mentre gli inglesi preferiscono definirlo common monkshood, ossia<br />

cappuccio <strong>di</strong> monaco mentre per i tedeschi <strong>di</strong>venta blauer Eisenhut che, grosso<br />

modo, significa elmo blu. La ragione <strong>di</strong> questi nomi popolari è evidente:<br />

basta osservare la forma dei singoli fiori che compongono gli alti racemi, le<br />

dense spighe fiorifere <strong>di</strong> queste belle e interessanti piante.<br />

La definizione scientifica, invece, è meno poetica, ma tanto più in<strong>di</strong>cativa per<br />

definire le caratteristiche dell’Aconitum, nome che deriva dal greco akóniton,<br />

velenoso, a suggerire la presenza <strong>della</strong> temibile aconitina, un alcaloide che<br />

viene usato con molta cautela in farmacologia per rime<strong>di</strong> antinevralgici e che<br />

è del tutto sconsigliato per pozioni... casalinghe, vista la sua estrema tossicità.<br />

Un pericolo che persino gli animali avvertono, tanto che mucche, pecore e<br />

capre si guardano bene dal brucare le consistenti foglie dell’aconito.<br />

Presente nei pascoli e accanto alle malghe, dove il terreno è più ricco <strong>di</strong> sostanze<br />

nutritive, questo genere <strong>di</strong> piante fa parte <strong>della</strong> nostra flora spontanea, dai<br />

500 ai 3000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne lungo tutta la catena alpina, mentre non appare<br />

104


Aconitum napellus; a destra, fioritura <strong>di</strong><br />

Aconitum napellus e lamarkii.<br />

sugli Appennini. Ritroviamo gli Aconitum in Corsica, sui Pirenei, nel Giura, sui<br />

Carpazi, in America e in Asia occidentale, per complessive sessanta specie e<br />

molte varietà, tutte con in<strong>fiore</strong>scenze <strong>di</strong> grande bellezza, ora con corolle blu,<br />

oppure azzurro vivo, giallo-limone, viola-porpora o con petali screziati; le foglie<br />

sono palmate e sud<strong>di</strong>vise in fini lacinie, in vari toni <strong>di</strong> verde. Le piante<br />

possono essere alte da trenta centimetri a un metro e sorgono quasi sempre in<br />

gruppo, realizzando intense macchie <strong>di</strong> colore, che cominciano ad apparire in<br />

giugno e persistono sino a settembre.<br />

A fare da contrappeso a tanta bellezza, nella parte più nascosta degli Aconitum,<br />

ossia nella ra<strong>di</strong>ce, si nasconde il veleno: una presenza ancora più insi<strong>di</strong>osa se<br />

si pensa che l’apparato ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> queste specie è rappresentato da piccole<br />

rape o da tuberi che possono essere facilmente confusi con il raponzolo, i ramolacci<br />

o le rape commestibili.<br />

Le proprietà venefiche dell’aconito erano ben note sin dall’antichità quando la<br />

pianta veniva già coltivata non certo a scopo decorativo come si usa fare oggi,<br />

soprattutto per alcune varietà a fiori doppi o a corolle raccolte in in<strong>fiore</strong>scenze<br />

a grappolo, derivanti dall’Aconitum carmichaelii (sinonimo Aconitum fischeri)<br />

originario <strong>della</strong> Kamtschatka, in Asia. A titolo <strong>di</strong> curiosità, ricor<strong>di</strong>amo che le<br />

specie asiatiche e americane dell’aconito sono giunte in Europa nel XVIII secolo,<br />

ma non si sono spontaneizzate nel nostro territorio rimanendo <strong>di</strong> puro interesse<br />

orticolo, ossia decorativo.<br />

Sulle nostre montagne, quasi con aristocratico <strong>di</strong>stacco, continuano a fiorire,<br />

tra gli altri, l’Aconitum napellus, la specie più nota e <strong>di</strong>ffusa, dai fiori blu-porpora,<br />

raramente bianchi e l’Aconitum vulparia, detto anche strozzalupo, dalle<br />

in<strong>fiore</strong>scenze gialle, altrettanto velenoso degli altri aconiti, ma che stranamente<br />

non contiene aconitina, bensì alcaloi<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferente natura. Qualche esemplare<br />

<strong>di</strong> strozzalupo si trova anche sugli Appennini, sino in Calabria. L’assortimento<br />

degli aconiti europei e tipicamente alpini, comprendono l’Aconitum angustifolium,<br />

assai simile al napellus, ma con i fiori viola-blu; l’Aconitum anthora, dalle<br />

ra<strong>di</strong>ci particolarmente carnose che fiorisce soltanto in luglio, con in<strong>fiore</strong>scenze<br />

gialle o blu; l’Aconitum neomontanum, dalle spighe violette, formate da corolle<br />

molte gran<strong>di</strong>, del tutto simili alle fauci spalancate <strong>di</strong> un felino; l’Aconitum<br />

paniculatum dai fiori lilla, molto simile all’Aconitum variegatum che può dar vita<br />

a in<strong>fiore</strong>scenze viola oppure bianche, ma che nella varietà bicolor presenta<br />

petali striati <strong>di</strong> bianco e blu, davvero stupen<strong>di</strong>.<br />

Abbiamo detto che tutti gli aconiti sono velenosi e che le loro ra<strong>di</strong>ci a tubero<br />

sono ricche <strong>di</strong> un temibile alcaloide e perciò ci sembra giusto segnalare la specie<br />

che detiene il primato <strong>della</strong> tossicità: l’Aconitum ferox, proveniente dall’Asia,<br />

che per fortuna non cresce sulle nostre montagne, ma qualche volta viene utilizzato<br />

a scopo ornamentale per i bei fiori giallo-crema.<br />

Un genere affascinante quello <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando, che riunisce bellezza<br />

e veleno secondo un modello <strong>di</strong> ambiguità che spesso, e la ragione rimane<br />

106


Aconitum lamarkii, anthora e vulparia.<br />

misteriosa, caratterizza altri fenomeni simili nel Regno vegetale: i funghi più<br />

appariscenti – ad esempio l’Amanita muscaria – sono pericolosi, le bacche più<br />

colorate nascondono un pericolo. Sta <strong>di</strong> fatto che, in base a questa considerazione,<br />

nella simbologia floreale l’aconito ha meritato vari significati: amore<br />

colpevole, rimorso, vendetta, <strong>di</strong>ssimulazione e persino misantropia. A noi,<br />

<strong>di</strong>menticando il gusto romantico e un po’ decadente <strong>di</strong> voler dare ai fiori il<br />

valore <strong>di</strong> un messaggio, non rimane che ammirare la bellezza quasi altera <strong>di</strong> un<br />

ciuffo <strong>di</strong> aconiti sulla <strong>di</strong>stesa <strong>di</strong> un pascolo, <strong>di</strong>menticando che nel tepore del<br />

suolo essi nascondono un cattivo segreto.<br />

Un segreto che può essere fatale all’imprudenza degli uomini, ma è ben noto<br />

agli animali depositari <strong>di</strong> una «scienza» e <strong>di</strong> una verità che gli esseri umani<br />

hanno <strong>di</strong>menticate a mano a mano che il progre<strong>di</strong>re <strong>della</strong> civiltà li ha allontanati<br />

dall’antico legame con le forze <strong>della</strong> Natura. Era quello un tempo straor<strong>di</strong>nario,<br />

come ricorda Axel Munthe: «... era l’età d’oro, quando viveva Pan,<br />

quando gli alberi <strong>della</strong> foresta potevano parlare, le onde del mare potevano<br />

cantare e l’uomo ascoltare e capire». Forse, nel profondo del nostro spirito,<br />

<strong>della</strong> nostra mente, questa magia esiste ancora e anche l’aconito può servire<br />

a ridestarla, a suggerirci il modo giusto per fare dell’ecologia una norma <strong>di</strong> vita<br />

e non soltanto un’arida speculazione priva <strong>di</strong> significato e <strong>di</strong> valore. E allora,<br />

sarà possibile capire anche il perché dell’Aconitum, quel suo essere bellissimo<br />

e temibile insieme, secondo una legge che dura da sempre e durerà sino alla fine<br />

del tempo.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Aconitum Caratteristiche: specie erbacee perenni alte da<br />

Nomi popolari: aconito, napello, luparia, mezzo metro al metro e mezzo. Le foglie sono<br />

strozza lupo<br />

gran<strong>di</strong>, palmate, con i lobi sud<strong>di</strong>visi in sottili<br />

Origine: Europa, Asia centrale e Giappone lacinie che lo rendono leggero ed elegante<br />

Famiglia: Ranuncolacee Etimologia: il nome deriva dal greco a e koné,<br />

Fiori: raccolti in racemi terminali, possono uccisione, a ricordare che la pianta è<br />

essere blu-viola o gialli e hanno la classica estremamente velenosa. Mucche e pecore che<br />

forma del berretto frigio terminante in un lungo pascolano in montagna, evitano <strong>di</strong> cibarsi <strong>di</strong><br />

sperone. Appaiono nella piena estate queste piante<br />

107


«Se ti è cara la vita ricorda che è<br />

cara anche alle altre creature e non<br />

<strong>di</strong>menticare che la luna illumina<br />

tutti con la stessa luce: i re come i<br />

fiori delle più piccole campanule».<br />

Antica massima in<strong>di</strong>ana<br />

Campanula persicifolia e Campanula<br />

scheuchzeri<br />

Le campanule, come briciole <strong>di</strong> cielo<br />

In genere, hanno corolle che imitano perfettamente la forma <strong>di</strong> una minuscola<br />

campana e, quasi, ci si aspetta <strong>di</strong> sentirle tintinnare sotto l’azione <strong>di</strong> un rèfolo<br />

<strong>di</strong> vento. Il colore dei loro fiori ripete, in molte varianti, le trasparenti sfumature<br />

del cielo in ogni momento <strong>della</strong> giornata: rosa-madreperla all’aurora, azzurro<br />

<strong>di</strong> prima mattina, celeste quando il sole è più alto, blu nel primo meriggio<br />

e sfumato <strong>di</strong> viola verso il tramonto.<br />

Le campanule sono tutto questo e molto <strong>di</strong> più: alte pochi centimetri o con fusti<br />

che superano il metro, rappresentano uno dei motivi cromatici più frequenti<br />

sulle nostre montagne, considerato che nella flora italiana sono presenti ben<br />

settanta specie <strong>di</strong> Campanula, sud<strong>di</strong>vise in <strong>di</strong>eci generi.<br />

È da sperare che il degrado ecologico non ci privi <strong>della</strong> loro grazia, <strong>della</strong> loro<br />

bellezza. Axel Munthe, ne La storia <strong>di</strong> san Michele, <strong>di</strong>ce: «Chiazze <strong>di</strong> campanule<br />

spuntano da ogni roccia. La primavera, ancora una volta è tornata… Pochi<br />

fiori selvatici per raccontare meravigliose fiabe».<br />

Queste le parole <strong>di</strong> un poeta, questa l’immagine rimasta nella memoria <strong>di</strong> Axel<br />

Munthe, ormai cieco, che attraverso l’azzurro <strong>di</strong> qualche ciuffo <strong>di</strong> Campanula<br />

idealizza il ricordo <strong>di</strong> un paesaggio italiano nel tepore <strong>della</strong> bella stagione.<br />

Una citazione cui se ne potrebbero aggiungere molte altre, senza <strong>di</strong>menticare<br />

le innumerevoli figurazioni pittoriche, soprattutto dal XIV secolo alla fine del<br />

Rinascimento, dove campanule, pratoline e altri fiori <strong>di</strong> campo rappresentavano<br />

elementi quasi simbolici <strong>di</strong> un realismo naturalistico <strong>di</strong> grande suggestione.<br />

La campanula, dunque, pur così fragile, tenera, <strong>di</strong>venta un personaggio<br />

importante nel panorama culturale, ma essenzialmente in quello botanico del<br />

nostro Paese, anche in virtù <strong>della</strong> sua vasta area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione, oltre alle innegabili<br />

doti <strong>di</strong> bellezza, <strong>di</strong> grazia, <strong>di</strong> colore.<br />

Che si chiami campanella barbuta o Campanula barbata, campanula spigata o<br />

Campanula spicata, campanula a capolino o Campanula glomerata, campanula<br />

soldanella o Campanula cochleariifolia, campanula <strong>di</strong> monte o Campanula<br />

scheuchzeri, campanella serpeggiante o Campanula rapuncoloides, campanella<br />

persicifoglia o Campanula persicifolia, raponzolo minore o Campanula patula,<br />

campanula a foglie larghe o Campanula latifolia, cominciamo ad ammirare<br />

questo <strong>fiore</strong> già attorno ai 200 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne e continuiamo a incontrarlo,<br />

nelle varie specie, sino al limite dei tremila, dove la vegetazione arborea cede<br />

il passo ai pascoli, al piede delle rocce e dei ghiaioni.<br />

Lassù la neve non è lontana e il vento soffia impetuoso, ma la Campanula è una<br />

108


Campanula latifolia e cochleariifolia.<br />

Sotto: Campanula spicata, patula, barbata e<br />

glomerata.<br />

109


Campanula rapuncoloides.<br />

pianta coraggiosa, tenace; anzi, è considerata uno dei generi pionieri in quanto<br />

è fra le prime a inse<strong>di</strong>arsi su un pen<strong>di</strong>o appena colonizzato dal muschio o da<br />

altre piante che hanno identica funzione e sono l’avanguar<strong>di</strong>a del manto verde<br />

che finirà per ricoprire la zona interessata.<br />

Per capire sino in fondo l’importanza delle campanule nell’equilibrio ecologico,<br />

bisognerebbe analizzare con minuzia le caratteristiche morfologiche (ossia<br />

«<strong>della</strong> forma») e biologiche, (perciò dell’intima struttura) delle specie <strong>di</strong> cui<br />

ci stiamo occupando, perché ognuna <strong>di</strong> esse rivela una specializzazione del<br />

tutto particolare, strettamente connessa all’ambiente cui è destinata.<br />

Ad esempio, la Campanula barbata mostra fiori, steli e foglie coperti da fitta<br />

peluria che ha un evidente scopo protettivo; la Campanula cochleariifolia ha<br />

steli alti da 5 a 15 centimetri, per poter aderire al massimo alle rupi e al suolo<br />

e goderne il tepore.<br />

Al contrario, la Campanula spicata e la glomerata si alzano sino a 80 centimetri-un<br />

metro, e spiccano fra la restante vegetazione, irresistibile invito per gli<br />

insetti impollinatori; nella fascia altimetrica che va da 400 a 2000 metri; essi non<br />

hanno problemi a rifornirsi <strong>di</strong> nettare e quin<strong>di</strong> costringono le varie piante a<br />

mettere in atto ogni possibile trucco per vincere la concorrenza e assicurarsi<br />

la visita <strong>di</strong> ospiti in grado <strong>di</strong> trasportare lontano il polline e, così, realizzare la<br />

fecondazione in<strong>di</strong>spensabile al perpetuarsi <strong>della</strong> specie.<br />

In questa tavolozza <strong>di</strong> campanule dalle caratteristiche così particolari, ed ognuna<br />

degna <strong>di</strong> interesse, non bisogna <strong>di</strong>menticare la Campanula rapunculus. Comunemente<br />

nota come raperonzolo, essa appare anche in pianura nei prati <strong>di</strong><br />

stoppie, in primavera, ed è molto apprezzata per le sue can<strong>di</strong>de, carnose ra<strong>di</strong>ci,<br />

dal sapore che ricorda quello dei ravanelli, ma più dolce e delicato, ra<strong>di</strong>ci<br />

che si consumano in insalata insieme alle foglie più tenere <strong>di</strong> questa insolita,<br />

piccola campanula.<br />

Prima <strong>di</strong> concludere la nostra breve indagine su un genere <strong>di</strong> piante alpine<br />

quanto mai interessanti, ricor<strong>di</strong>amo che da alcune <strong>di</strong> queste specie sono stati<br />

ottenuti ibri<strong>di</strong> <strong>di</strong> grande bellezza, che si coltivano in giar<strong>di</strong>no o sul balcone,<br />

oppure su scala industriale per la raccolta del <strong>fiore</strong> reciso.<br />

Vale la pena <strong>di</strong> far notare che le campanule sono popolarissime in Gran Bretagna,<br />

dove vengono chiamate bellflower e molto <strong>di</strong>ffuse anche sulle montagne<br />

tedesche e austriache; lassù le Glockenblume crescono in situazioni ambientali<br />

molto simili a quelle che caratterizzano il nostro areale alpino, mentre in Francia<br />

le campanule sono presenti soprattutto sui Pirenei e sui rilievi montuosi che<br />

fanno da contrafforte al litorale che si affaccia sul Me<strong>di</strong>terraneo.<br />

Quest’ultima annotazione lascia intendere che le campanule non <strong>di</strong>sdegnano<br />

la vicinanza del mare, tanto è vero che la Campanula fragilis dalla stupenda fioritura<br />

in azzurro o in bianco, a cascata, è uno degli elementi tipici <strong>della</strong> flora<br />

spontanea dell’isola <strong>di</strong> Capri.<br />

«Pochi fiori selvatici per raccontare meravigliose fiabe», per ricordare l’avvicendarsi<br />

delle stagioni, perché nessuno <strong>di</strong>mentichi la meraviglia che ci sta attorno,<br />

perché ognuno impari a guardare anche la più piccola delle corolle, sino a<br />

scoprire i tanti perché nascosti oltre la fragilità dei petali, nell’essenza dei colori,<br />

dei profumi, delle forme.<br />

E quale <strong>fiore</strong>, più <strong>di</strong> una campanula, che sembra in attesa <strong>di</strong> un po’ <strong>di</strong> vento per<br />

mettersi a tintinnare, può essere più adatto a trasmetterci misteriosi messaggi?<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Campanula con un <strong>di</strong>segno a coppa o a stella. Il colore<br />

Nomi popolari: campanella barbuta,<br />

campanella a capolino, campanula soldanella,<br />

campanella spigata, campanula <strong>di</strong> monte,<br />

raponzolo minore, campanella ginestrina,<br />

campanula sassifraga, stella d’Italia<br />

Origine: Europa e Asia<br />

Famiglia: Campanulacee<br />

varia dall’azzurro al blu, dal lilla al viola, dal<br />

bianco al giallo. Fioritura estiva<br />

Caratteristiche: specie erbacee perenni con rare<br />

forme arbustive; possono essere alte <strong>di</strong>eci<br />

centimetri come un metro, a seconda <strong>della</strong><br />

specie e presentano foglie ovali, allungate, a<br />

cuore o sagittiformi. Gli scapi fiorali sono<br />

sempre sottili, dal portamento elegante<br />

Fiori: composto da cinque petali, più o meno Etimologia: nome <strong>di</strong> origine latina, riferito alla<br />

aperti, sia nella tipica forma a campanula sia forma dei fiori<br />

110


«È rimasto <strong>di</strong> te solo un sospiro<br />

nel tremore dei tigli a fil <strong>di</strong> bosco.<br />

Il tuo sorriso è nella sera, cade<br />

con le foglie e s’impiglia fra i roseti<br />

dove il tempo (e il ricordo) ha il<br />

tuo colore».<br />

Giuseppe Villaroel<br />

Cinorroi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Rosa canina e <strong>di</strong> Rosa pendulina.<br />

Le rose <strong>di</strong> siepe, fiori <strong>della</strong> preistoria<br />

Sono fiori che si vedono spesso, in montagna: a lato dei sentieri, al margine <strong>di</strong><br />

un ghiaione, accanto a una macchia <strong>di</strong> rovi, e ogni volta si fanno ammirare per<br />

la loro fragilità, per la loro grazia.<br />

Cinque petali che sembrano mo<strong>della</strong>ti nella porcellana o pazientemente ritagliati<br />

nella carta velina, quella crespata che si usava per i fiori finti. Cinque petali<br />

rosa carnicino, rosa confetto, rosa carminio, rosa avorio oppure virginalmente<br />

can<strong>di</strong><strong>di</strong>, <strong>di</strong> un bianco assoluto da cui il sole trae una lieve trama d’argento.<br />

Tanta fragilità, tanta grazia, nascondono invece una resistenza eccezionale alle<br />

avversità climatiche, al gelo e al vento, considerato che le piccole rose <strong>di</strong> siepe<br />

si incontrano anche a quote altimetriche <strong>di</strong> tutto rispetto, ad<strong>di</strong>rittura sino<br />

a 2500 metri lungo l’arco alpino, per non parlare degli Appennini, dei Pirenei,<br />

delle catene montuose dell’Africa settentrionale, dell’Asia occidentale e dell’America<br />

del Nord.<br />

Prima <strong>di</strong> parlare delle singole specie <strong>di</strong> rosa che crescono spontanee in montagna,<br />

è giusto ricordare due fatti molto importanti: queste roselline a cinque<br />

petali, dalle foglie minute e dagli aculei più o meno robusti, sono le progenitrici<br />

<strong>di</strong> moltissime rose moderne, risultato <strong>di</strong> una lenta evoluzione biologica e <strong>di</strong><br />

una lunga e sapiente opera <strong>di</strong> ibridazione artificiale operata dall’uomo. Ma non<br />

basta: tutte le sofisticate rose oggi in commercio, sono il prodotto dell’innesto<br />

<strong>di</strong> una gemma <strong>di</strong> varietà pregiata su un «selvatico», ossia su un portainnesto<br />

costituito da una Rosa canina che è appunto una delle cinque specie tipiche<br />

delle Alpi e delle Prealpi.<br />

Bastano queste prime osservazioni a far intendere che le «rose specie», ossia<br />

quelle non incrociate con altre, e che perciò conservano intatti i loro caratteri<br />

primari, hanno un’origine antica, anzi antichissima. Tuttavia, è <strong>di</strong>fficile immaginare<br />

che le rose <strong>di</strong> macchia siano presenti sulla Terra da ben <strong>di</strong>eci milioni <strong>di</strong><br />

anni. Dalla preistoria, in una parola, quando il nostro Pianeta era una sorta <strong>di</strong><br />

Eden, il silenzio era rotto soltanto dalle voci degli animali e piante e fiori andavano<br />

colonizzando lentamente i territori lasciati liberi dal mare e dalle palu<strong>di</strong>.<br />

Prendevano forma montagne e continenti e già, nel folto dei boschi, lungo la<br />

riva <strong>di</strong> qualche corso d’acqua, sbocciavano le prime rose <strong>di</strong> siepe, quelle che<br />

ancora riescono a stupirci per l’armonia del loro <strong>di</strong>segno, per le tenui sfumature<br />

dei colori. Questo è uno dei fili che legano la nostra realtà a primor<strong>di</strong>ali<br />

esistenze e che <strong>di</strong>mostrano la complessità e, anche, il mistero<br />

che avvolge certi fenomeni <strong>della</strong> Natura: sono apparsi sulla Terra<br />

animali che raggiungevano l’altezza <strong>di</strong> molti e molti metri e poi sono<br />

scomparsi senza un’apparente ragione, come per i <strong>di</strong>nosauri; i secoli<br />

si sono sommati ad altri secoli, ma per le piccole rose a cinque<br />

petali il tempo si è fermato a «quel» momento quando nel mosaico<br />

<strong>della</strong> Creazione è sbocciato il soavissimo colore rosa-porcellana<br />

<strong>della</strong> prima, piccola regina dei fiori.<br />

An<strong>di</strong>amo a conoscere, dunque, le antichissime specie che ancora<br />

fioriscono sulle nostre montagne, «segno» <strong>di</strong> un tempo remoto<br />

e perduto per sempre, che magicamente conserva i suoi segreti in<br />

minute corolle a cinque petali che, nella loro fragilità, da <strong>di</strong>eci milioni<br />

<strong>di</strong> anni guardano lo scorrere <strong>della</strong> vita e seguono le vicende degli<br />

uomini.<br />

La più nota e <strong>di</strong>ffusa è senz’altro la Rosa canina che vive su terreno calcareo<br />

dalla pianura sino a 1600 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, in un areale che comprende<br />

la fascia temperata <strong>di</strong> tutta l’Europa, l’Africa del Nord, l’Asia occidentale<br />

e l’America settentrionale dove si è ampiamente naturalizzata. La Rosa canina<br />

o rosa <strong>di</strong> macchia, fiorisce da maggio ad agosto e viene chiamata églantier<br />

sauvage in francese, dog rose o dogbriar in inglese, Hundsrose in tedesco. Forma<br />

un cespuglio fitto e spinoso, con fiori solitari in <strong>di</strong>verse tonalità rosa, che dan­<br />

111


Sopra e in basso: fiori <strong>di</strong> Rosa<br />

pendulina; a destra: Rosa canina.<br />

112


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Rosa<br />

Nomi popolari: rosa delle siepi, rosa canina,<br />

rosa selvatica, spina novella, rosa spina,<br />

rosella, rosa macchiaiola, roselline <strong>di</strong> pruni,<br />

rosa <strong>di</strong> macchia, biancarosa<br />

Origine: regioni fredde e temperate<br />

dell’emisfero boreale<br />

Famiglia: Rosacee<br />

Fiori: solitari o in mazzi, formati da cinque<br />

petali, con un ricco ciuffo <strong>di</strong> stami. Il colore<br />

varia dal bianco al rosa al rosso; fioritura<br />

primaverile che può rinnovarsi verso la fine<br />

dell’estate<br />

Caratteristiche: arbusto spinoso con tralci<br />

lunghi sino a quattro metri che formano un<br />

groviglio impenetrabile. Foglie composte da 5­<br />

7 foglioline dentate, ovali, lucide. Frutti ovali,<br />

carnosi e lisci, eduli, aciduli detti «cinorrodonti»<br />

Etimologia: il nome rosa è <strong>di</strong> antica origine<br />

latina; in greco questo <strong>fiore</strong> si chiamava rodon,<br />

in arabo ward, in celtico rhodd o rhudd (rosso)<br />

e in sanscrito warda<br />

Rosa pendulina e Rosa majalis.<br />

no origine a ricettacoli fruttiferi rosso vivo, ovaliformi, ricchi <strong>di</strong> vitamina C, dai<br />

quali si ricavano una gradevole marmellata, una tisana curativa e altre preparazioni<br />

erboristiche.<br />

Molto interessante anche la Rosa glauca, o rosa verde-azzurra per il colore del<br />

fogliame (rosier glauche in francese, glaucous rose in inglese e Meerblau rose in<br />

tedesco) che fiorisce da giugno a settembre con mazzi <strong>di</strong> corolle rosa intenso<br />

con petali sfumati <strong>di</strong> bianco alla base.<br />

È piuttosto spinosa, vive fra i 700 e i 2000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, dai Pirenei all’Ungheria<br />

e sull’Appennino sino al tratto abruzzese. La stessa area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione<br />

caratterizza la rosa alpina o Rosa pendulina (rosier des Alpes in francese, boursault<br />

in inglese e Berg-rose in tedesco) che fiorisce da giugno a settembre e si<br />

può ammirare da 500 a 2600 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, in varie situazioni ambientali:<br />

nel fitto delle macchie arbustive come lungo le morene e sui pen<strong>di</strong>i esposti a<br />

pieno sole.<br />

Le spine <strong>di</strong> questa specie sono <strong>di</strong> tipo quasi erbaceo, le corolle sono isolate,<br />

piuttosto gran<strong>di</strong>, rosa-carminio, ed emanano un leggero odore <strong>di</strong> trementina.<br />

Quella appena descritta è senz’altro la rosa <strong>di</strong> siepe più vivacemente colorata:<br />

infatti, le corolle <strong>della</strong> Rosa agrestis (eglantier agreste in francese, agrestic eglantine<br />

in inglese e Bäuerlich rose in tedesco) sono caratterizzate da una lievissima<br />

sfumatura rosa avorio. Da questi fiori che sbocciano da maggio a luglio<br />

emana un tenue profumo speziato. L’arbusto è cosparso <strong>di</strong> spine lunghe e acute<br />

e le foglie sono verde intenso, lucide sulla pagina superiore. La rosa agreste è<br />

presente lungo tutto l’arco alpino, sugli Appennini e nelle nostre isole.<br />

L’ultima rosellina selvatica, tipica <strong>della</strong> flora italiana, è la Rosa elliptica (rosier<br />

à folioles elliptiques, in francese, elliptical rose in inglese, Elliptischer rose in<br />

tedesco, biancarosa nella <strong>di</strong>zione popolare). Si tratta <strong>di</strong> una specie piuttosto<br />

rara, che ama i luoghi assolati e rocciosi, fra 400 e 1800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne,<br />

presente in Italia soprattutto sulle Prealpi e sull’Appennino ligure e tosco-emiliano;<br />

le sue spine sono rade, ma adunche.<br />

I fiori compaiono in maggio e si rinnovano sino ad agosto; sono bianchi e profumano<br />

un poco <strong>di</strong> resina.<br />

Il nostro incontro con le cinque rose alpine, con le cinque antichissime specie<br />

che nelle loro cellule conservano un patrimonio genetico vecchio <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci milioni<br />

<strong>di</strong> anni, il nostro incontro con le rose <strong>di</strong> siepe finisce qui.<br />

Non abbiamo raccontato cose curiose su questi arbusti che, apparentemente,<br />

non vantano caratteristiche degne <strong>di</strong> nota: hanno solamente il pregio, e non<br />

sembri poco, <strong>di</strong> avere attraversato un lungo arco <strong>di</strong> tempo conservando l’identico<br />

aspetto del momento nel quale sono apparse sulla Terra. Se fosse possibile<br />

guardare attraverso i loro petali, con un magico apparecchio, ritroveremmo<br />

l’immagine <strong>di</strong> animali mostruosi, <strong>di</strong> terrificanti eventi climatici, <strong>di</strong> storie<br />

intrecciate a miti e leggende. In una parola, la favola <strong>della</strong> meravigliosa avventura<br />

che si chiama vita.<br />

113


«I prati sembravano coperti da<br />

manciate <strong>di</strong> monete d’oro ed erano,<br />

invece, i fiori gialli dei ranuncoli<br />

dai petali laccati, illuminati dal<br />

sole».<br />

Garcia Lorca<br />

Ranunculus peltatus. Nella pagina a fianco:<br />

Ranunculus glacialis.<br />

I ranuncoli,<br />

macchie d’oro tra l’erba e sull’acqua<br />

È ormai certo che i primi fiori comparsi sulla Terra, ancora in gran parte coperta<br />

dall’acqua e da immense <strong>di</strong>stese paludose, siano stati <strong>di</strong> colore giallo, forse<br />

perché più visibili ai gran<strong>di</strong> insetti presenti in quelle Ere geologiche e, sicuramente,<br />

perché adatti a vivere in un habitat ricco <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà. Ed è tanto vero che<br />

persino il nome delle piante <strong>di</strong> cui stiamo per parlare fa riferimento preciso agli<br />

stagni: Ranunculus, infatti, trova la sua ra<strong>di</strong>ce etimologica nel sostantivo «rana».<br />

I ranuncoli, dalle corolle che in qualche specie si regalano il capriccio dei petali<br />

bianchi, sono piante che spesso vivono a grande altitu<strong>di</strong>ne, appartengono a una<br />

famiglia presente su tutta la Terra e che in Italia si è inse<strong>di</strong>ata con venti generi e<br />

un centinaio <strong>di</strong> specie. È bene <strong>di</strong>re subito che i ranuncoli allo stato fresco contengono<br />

sostanze nocive che scompaiono con il <strong>di</strong>sseccamento. Quin<strong>di</strong>, dopo<br />

aver raccolto questi fiori, che del resto si possono anche coltivare, è opportuno<br />

lavarsi accuratamente le mani; la raccomandazione, come è ovvio,<br />

vale soprattutto per i bambini che, <strong>di</strong> solito, sono affascinati dal riflesso<br />

solare dei botton d’oro che oscillano con grazia sopra il verde dell’erba<br />

o si sporgono sull’acqua, quasi a volersi specchiare.<br />

Prima <strong>di</strong> descrivere le specie più interessanti fra quelle che fanno<br />

parte <strong>della</strong> nostra flora spontanea, val la pena <strong>di</strong> sottolineare una<br />

curiosità: in genere, per ogni tipo <strong>di</strong> pianta, abbiamo potuto in<strong>di</strong>care<br />

la traduzione generica del nome popolare: in francese, inglese<br />

e tedesco; per i ranuncoli non è possibile, in quanto ogni specie<br />

è in<strong>di</strong>cata con una denominazione particolare, riferita alla zona<br />

d’origine, all’ambiente in cui essa vive, eccetera.<br />

Di volta in volta, quin<strong>di</strong>, accanto al nome latino in<strong>di</strong>cheremo il<br />

«soprannome» dato in Francia, Gran Bretagna o Germania a questa<br />

o a quella specie. L’onore <strong>di</strong> aprire la sfilata sulla passerella<br />

<strong>della</strong> bellezza e dello splendore cromatico, spetta al Ranunculus<br />

glacialis o erba camozzera, forse con significato <strong>di</strong> erba dei camosci,<br />

(renoncule des glaciers, Glacier’s crowfoot, Gletscher-Hahnenfuss),<br />

che vive sin oltre i 4000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne e fiorisce in bianco-rosa<br />

nel colmo dell’estate; proviene dall’Artico ed è rimasto sul nostro territorio al<br />

114


116


Ranunculus acris e Ranunculus glacialis.<br />

A sinistra: Ranunculus thora, Ranunculus<br />

glacialis e Caltha palustris.<br />

termine dell’ultima glaciazione. Non supera la quota dei 2000 metri il Ranunculus<br />

thora (cabaret, roundleaved crowfoot, Gift-Hahnenkamm). Fiorisce in maggio-giugno,<br />

in giallo vivo, con petali trasluci<strong>di</strong>; è particolarmente tossico tanto<br />

è vero che gli antichi cacciatori usavano il suo succo per avvelenare la punta<br />

delle frecce.<br />

Abbastanza simile al precedente, il Ranunculus montanus (renoncule des montagnes,<br />

mountain buttercup, Berg-Hahnenfuss) in <strong>fiore</strong> da giugno ad agosto, con<br />

corolle sorrette da gambi scuri e robusti riuniti alla base, che poi si allargano<br />

a mazzo con un portamento molto elegante. Torniamo alle corolle bianche con<br />

il Ranunculus seguieri o ranuncolo serpentino (renoncule de Séguier, seguier’s<br />

buttercup, Seguier’s Hahnenfuss) che appare in piena estate a forma <strong>di</strong> cuscinetti<br />

nell’incavo delle rocce dove, non <strong>di</strong> rado, si trovano anche le tane delle serpi.<br />

Meno preoccupante la presenza del Ranunculus acris (bouton d’or, buttercup,<br />

Ankelsblume) dai petali <strong>di</strong> un giallo che tende all’arancione e foglie spesso<br />

macchiate <strong>di</strong> porpora.<br />

Lasciamo ora la quota dei pascoli e scen<strong>di</strong>amo dove la montagna è coperta <strong>di</strong><br />

prati e dove è facile imbattersi in pozze d’acqua stagnante, in tratti dove il terreno<br />

assume le caratteristiche dei cosiddetti «luoghi umi<strong>di</strong>», ossia delle torbiere,<br />

delle palu<strong>di</strong>.<br />

I ranuncoli sbocciano ovunque e sembrano brillare <strong>di</strong> luce propria quasi avessero<br />

imprigionato tante stille <strong>di</strong> sole e le rimandassero nell’aria anche quando<br />

il cielo è velato dalle nuvole e il verde, insieme agli altri fiori, acquista una tonalità<br />

opaca, uniforme.<br />

In mezzo ai prati si alzano i Ranunculus lingua, che raggiungono anche il metro<br />

<strong>di</strong> statura e hanno i fiori <strong>di</strong> tre centimetri <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro.<br />

Più avido d’acqua o, almeno, <strong>di</strong> un terreno molto umido il Ranunculus aquatilis,<br />

dalle bellissime corolle bianche che al tramonto prendono una strana fosforescenza<br />

argentea. Ma il classico colore dei ranuncoli è il giallo, vivo e brillante,<br />

tanto da aver meritato per molte <strong>di</strong> queste piante il nome popolare <strong>di</strong><br />

botton d’oro. È proprio il richiamo cromatico che ha coinvolto nel gruppo dei<br />

ranuncoli due specie che con i Ranunculus veri e propri con<strong>di</strong>vidono soltanto<br />

la famiglia, quella delle Ranuncolacee, appunto. Si tratta <strong>della</strong> stupenda<br />

Caltha palustris o farfarugine (souci des marais, marsh marigold, Sumpfdotterblume)<br />

che fiorisce in giallo intenso, dalla pianura sino a 2500 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne,<br />

ovunque vi sia dell’acqua, anche corrente. I ranuncoli d’acqua si schiudono<br />

in primavera e in alcune zone alpine i boccioli si conservano sotto sale<br />

in sostituzione dei capperi. I fiori, ben aperti, vengono aggiunti al burro per<br />

intensificarne la tonalità gialla. Queste due pratiche non sono certo consigliabili<br />

vista la pericolosità <strong>di</strong> tutte le Ranuncolacee, ma l’impiego delle corolle<br />

<strong>della</strong> Caltha palustris fa ormai parte delle tra<strong>di</strong>zioni conta<strong>di</strong>ne e <strong>di</strong>fficilmente<br />

si andrà <strong>di</strong>sperdendo.<br />

Altrettanto decorativo il Trollius europaeus o grani d’oro (boule d’or, globe<br />

flower, Trollblume), che si incontra fra i 500 e i 2500 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, nelle<br />

vallette, nelle conche ricche <strong>di</strong> vegetazione, a breve <strong>di</strong>stanza dai torrenti o da<br />

qualche specchio d’acqua. I suoi fiori sembrano piccole sfere <strong>di</strong> seta gialla,<br />

117


Trollius europaeus o botton d’oro.<br />

piuttosto compatte, illeggiadrite da un risvolto che rifinisce i petali esterni.<br />

Il Trollius europaeus, viene in<strong>di</strong>cato come ranuncolo e anche se la definizione<br />

non è esatta, a voler essere pignoli, a noi piace includerlo con i veri Ranunculus<br />

e la Caltha palustris nell’assortimento dei botton d’oro e immaginare tutte queste<br />

corolle come altrettante espressioni <strong>di</strong> una serenità, <strong>di</strong> una gioia che non<br />

si esprimono in parole, ma in sensazioni che soltanto in montagna si possono<br />

avvertire con tanta, intensa commozione. Sarà il contrasto fra la maestà e la<br />

forza espressa dal paesaggio con la grazia quasi magica <strong>di</strong> certi fiori, <strong>di</strong> certi<br />

colori, ma è certo che la bellezza <strong>di</strong> un cespo <strong>di</strong> Ranunculus glacialis messo fra<br />

le rocce, <strong>di</strong> un prato coperto <strong>di</strong> Trollius o <strong>di</strong> uno stagno incorniciato <strong>di</strong> Caltha<br />

palustris, sono altrettanti regali per lo spirito. Altrettante suggestioni che l’anima<br />

e la mente non possono e non devono <strong>di</strong>menticare perché sarebbe come<br />

avvilire il privilegio d’essere uomini e <strong>di</strong> poter vivere su questa meravigliosa<br />

astronave chiamata Terra. Un luogo dove fra l’erba, fra i sassi vivono manciate<br />

<strong>di</strong> bottoni d’oro che nessun orafo saprà mai imitare.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Ranunculus, Caltha, Trollius<br />

Nomi popolari: botton d’oro, piede <strong>di</strong><br />

cornacchia, erba tora, batrachio, farfarugine<br />

Origine: da molte parti del globo<br />

Famiglia: Ranuncolacee<br />

Fiori: <strong>di</strong> varia forma, a cinque petali, spesso<br />

con la corolla raccolta a coppa. Il colore può<br />

essere bianco o giallo, più o meno intenso,<br />

sempre con un ricco ciuffo <strong>di</strong> stami al centro,<br />

118<br />

anche in tinta contrastante. Fioritura primaverile<br />

o estiva<br />

Caratteristiche: corolle solitarie sorrette da fusti<br />

robusti, alti da pochi centimetri al metro. Le<br />

foglie sono carnose, verde vivo, rotonde o<br />

palmate, a cuore oppure sud<strong>di</strong>vise in sottili<br />

lacinie<br />

Etimologia: dal latino rana e unculus, a<br />

in<strong>di</strong>care che queste piante amano i luoghi<br />

umi<strong>di</strong>, o paludosi, preferiti dalle rane


«Amate tutta la Creazione nel suo<br />

insieme e in ogni grano <strong>di</strong> sabbia.<br />

Amate ogni filo d’erba, ogni <strong>fiore</strong><br />

azzurro o giallo che sia, ogni<br />

raggio <strong>di</strong> sole. E finirete per amare<br />

il mondo <strong>di</strong> un amore ormai totale<br />

e ˆ<br />

universale».<br />

Michajlovic Dostoevskij<br />

Il fiordaliso, una specie da salvare<br />

Un tempo era normale vedere i campi coltivati a frumento punteggiati <strong>di</strong> rosso<br />

per la presenza dei papaveri, illuminati <strong>di</strong> bianco dai cespi delle margherite<br />

e intensamente spruzzati <strong>di</strong> azzurro, l’azzurro del tutto particolare, tenero,<br />

vivo e morbido insieme che si trova soltanto nei petali del fiordaliso.<br />

Le sue corolle possono essere anche bianche o delicatamente rosa, ma la norma<br />

è quella inconfon<strong>di</strong>bile sfumatura che nasce dal blu e si stempera sino all’azzurro<br />

con una spruzzata d’argento che traspare dall’orlo frangiato <strong>di</strong> quelli<br />

che riteniamo petali e, invece, sono singoli fiori che compongono i bei capolini<br />

dei fiordalisi.<br />

Scientificamente, il genere si chiama Centaurea e comprende circa cinquecento<br />

specie, fra cui una quarantina spontanee nel nostro territorio, dalla pianura<br />

sino a 1800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne.<br />

Nella terminologia popolare sono parecchi i nomi che in<strong>di</strong>cano le varie specie<br />

<strong>di</strong> fiordaliso e tutti particolarmente gentili, in armonia con le tinte e l’aspetto<br />

<strong>di</strong> questi fiori: bluèt, floralis, muneghetta, ambretta, biavettina, fior campese,<br />

occhi <strong>di</strong> cielo.<br />

Centaurea, invece, ha un significato meno poetico e ricorda il personaggio<br />

mitologico Chirone, un centauro che pare sia stato guarito, in modo miracoloso,<br />

da un impacco <strong>di</strong> succo <strong>di</strong> fiordaliso.<br />

A parte l’origine leggendaria <strong>di</strong> questa storia, l’evento non è del tutto improbabile,<br />

in quanto il fiordaliso possiede buone proprietà curative contro reumatismi<br />

e attacchi <strong>di</strong> gotta, ma soprattutto serve a preparare un<br />

decotto che applicato sugli occhi attenua il bruciore <strong>della</strong> congiuntivite;<br />

grazie a questo particolare uso, in qualche regione i<br />

fiordalisi vengono chiamati anche rompiocchiali.<br />

È stato il naturalista svedese Linneo a classificare questi fiori<br />

nel genere Centaurea e nella famiglia delle Composite fra cui<br />

spiccano per bellezza, colori e <strong>di</strong>ffusione la Centaurea cyanus,<br />

il comune fiordaliso, la Centaurea moschata o ambretta, la Centaurea<br />

macrocephala o fiordaliso dalla grossa testa, la Centaurea<br />

montana che sulle Alpi è presente anche oltre i 2000 metri<br />

<strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne e la Centaurea nervosa o zazzerina, dai capolini<br />

rosa porpora.<br />

Le varie specie <strong>di</strong> fiordaliso in Francia vengono in<strong>di</strong>cate con<br />

il nome generico <strong>di</strong> bluèt, in inglese le chiamano Cornflower e<br />

in tedesco sono conosciute come Flockenblume.<br />

I fiordalisi possono essere coltivati con una certa facilità, ma<br />

non rientrano nella decorazione floreale più comune dei giar<strong>di</strong>ni<br />

o dei balconi sia per la fragilità delle loro corolle, sia per<br />

la breve durata <strong>di</strong> ogni singolo capolino.<br />

Si tratta <strong>di</strong> piante che acquistano il massimo <strong>della</strong> bellezza e<br />

recano un notevole apporto ornamentale soltanto quando riescono<br />

a creare una massa <strong>di</strong> colore posta a contatto con fiori<br />

<strong>di</strong> tinta contrastante.<br />

La Natura, una volta <strong>di</strong> più, ha <strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> possedere straor<strong>di</strong>narie<br />

doti <strong>di</strong> regia facendo crescere i fiordalisi accanto all’oro<br />

del frumento, al bianco delle margherite e al rosso dei papaveri.<br />

Ai conta<strong>di</strong>ni queste presenze floreali in mezzo al grano erano tutt’altro<br />

che gra<strong>di</strong>te e, in realtà, qualche volta le corolle variopinte<br />

erano tanto numerose da soffocare il frumento e compromettere<br />

l’entità del raccolto.<br />

E allora? Diserbanti a tutto andare, in dosi spesso eccessive, con risultato<br />

positivo per quanto riguarda la compattezza e l’uniformità del parterre <strong>di</strong><br />

119


Fiordaliso comune o Centaurea cyanus.<br />

Centaurea macrocephala e nervosa.<br />

grano, ma con la sparizione quasi totale <strong>di</strong> fiordalisi, margherite e papaveri.<br />

A un esame superficiale e sotto l’aspetto del tornaconto in<strong>di</strong>viduale, niente <strong>di</strong><br />

meglio, ma ai fini ecologici e considerando l’esito <strong>di</strong> questi interventi sulle<br />

gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanze, un vero e proprio <strong>di</strong>sastro che ha finito per decretare l’estinzione<br />

più o meno prossima <strong>di</strong> tante specie vegetali, per inquinare profondamente<br />

il terreno e portare la morte nell’acqua dei ruscelli, dei fiumi e, infine,<br />

nel mare.<br />

Il mondo, gli uomini, possono certo vivere senza godere la bellezza <strong>di</strong> questo<br />

o quel <strong>fiore</strong>, senza accarezzare con lo sguardo la macchia azzurra <strong>di</strong> una <strong>di</strong>stesa<br />

<strong>di</strong> fiordalisi, ma come abbiamo sottolineato tante volte, con la scomparsa<br />

<strong>della</strong> Centaurea cyanus come <strong>di</strong> altre piccole piante che sembrano create soltanto<br />

per la gioia del nostro spirito, vi sono insetti che non troveranno il loro<br />

nettare, perderanno la forza <strong>di</strong> volare e riprodursi, non potranno assolvere il<br />

compito <strong>di</strong> trasportare il polline da una corolla all'altra e, quin<strong>di</strong>, assicurare<br />

la riproduzione <strong>di</strong> molte specie.<br />

Non sono necessari dei secoli perché questo si verifichi, perché si instauri la<br />

desolazione dove prima si stendevano prati, pascoli, boschi. Non occorre<br />

molto tempo e, del resto, ve<strong>di</strong>amo cosa sta accadendo dopo qualche decennio<br />

<strong>di</strong> corsa a un’iperproduzione agricola con l’uso incontrollato <strong>di</strong> <strong>di</strong>sinfettanti e<br />

<strong>di</strong>sinfestanti.<br />

Un’iperproduzione che, oltretutto, la legge del mercato sta contestando per cui<br />

si assiste all’assurda necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>struggere una certa aliquota dei raccolti per<br />

non interferire con le <strong>di</strong>sposizioni Comunitarie.<br />

Considerazioni amare quanto serie, che sembrano ben lontane dalla delicata<br />

bellezza, dalla gentile policromia dei fiordalisi, ma abbiamo voluto parlare <strong>di</strong><br />

questo <strong>fiore</strong>, quale simbolo delle specie da salvare perché nel suo destino è<br />

scritta la vocazione a far da emblema a qualcosa <strong>di</strong> importante.<br />

Infatti, Guglielmo I, imperatore <strong>di</strong> Germania, quando dovette scegliere un fregio<br />

aral<strong>di</strong>co che rappresentasse la sua casata, <strong>di</strong>ede la preferenza al fiordaliso<br />

in ricordo <strong>di</strong> un momento tenero e drammatico insieme legato ai suoi primi anni<br />

<strong>di</strong> vita, e alla fuga compiuta insieme alla madre Luisa <strong>di</strong> Prussia e ai fratellini<br />

per sfuggire ai soldati <strong>di</strong> Napoleone che volevano imprigionare la famiglia reale.<br />

Visto che le truppe <strong>di</strong> Bonaparte erano ormai vicinissime, le guar<strong>di</strong>e che scortavano<br />

la regina Luisa la convinsero a nascondersi in un campo <strong>di</strong> frumento;<br />

in attesa che gli inseguitori si allontanassero, per tranquillizzare i bambini e<br />

dare alla fuga l’aria <strong>di</strong> una scampagnata, la madre del futuro imperatore <strong>di</strong><br />

Germania aveva passato quelle terribili ore a intrecciare ghirlande e mazzetti<br />

<strong>di</strong> fiordalisi per ornare il capo e gli abiti dei piccoli principi, ignari <strong>di</strong> quanto<br />

stava accadendo.<br />

Quel lontano, tenero ricordo con<strong>di</strong>zionò la scelta <strong>di</strong> Guglielmo I e noi vorremmo<br />

che gli uomini, prima <strong>di</strong> intervenire in modo irrazionale e sconsiderato<br />

nell’evolversi degli eventi naturali, riflettessero per un attimo sul <strong>di</strong>ritto alla vita<br />

<strong>di</strong> ogni e qualsiasi specie, forse proprio a cominciare dal fiordaliso che nella<br />

simbologia floreale significa «dolcezza», proprio come è dolce e gentile il bluazzurro<br />

dei suoi capolini spruzzati d’argento lungo l’orlo <strong>di</strong> ogni corolla.<br />

120


Centaurea scabiosa e cyanus.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Centaurea<br />

Nomi popolari: occhi <strong>di</strong> cielo, muneghetta,<br />

ambretta, bluèt, floralis, biavettina, fior<br />

campese, stoppione, vedovina<br />

Origine: Europa, Asia, Africa del nord<br />

Famiglia: Composite<br />

Fiori: tubulosi, frangiati e vistosi quelli periferici,<br />

più corti e in colore contrastante quelli interni.<br />

Fioritura estiva, in blu, bianco, rosa, porpora e<br />

giallo<br />

Caratteristiche: specie erbacee annuali o<br />

perenni, <strong>di</strong> varia statura; foglie molto sottili<br />

oppure ovali. I capolini possono essere<br />

semplici, con il <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 2-3 centimetri, o<br />

raggiungere i 9 centimetri, come nella<br />

Centaurea macrocephala<br />

Etimologia: il nome ricorda il me<strong>di</strong>co Chirone,<br />

rappresentato come un centauro<br />

121


«Dice il cartello: non sciupare i<br />

delicati fiori del lino, ma il vento<br />

non sa leggere».<br />

James Mason<br />

Linum campanulatum, gran<strong>di</strong>florum e<br />

narbonense.<br />

Il lino, briciole <strong>di</strong> colore fra l’erba<br />

I Linum sono piante <strong>di</strong> cui si parla poco e quasi sempre soltanto per ricordare<br />

le virtù <strong>della</strong> fibra tessile che si ricava dal Linum usitatissimum; delle altre duecento<br />

specie che compongono questo genere si sfruttano assai male le indubbie<br />

doti ornamentali fatte <strong>di</strong> grazia, sfumature cromatiche particolari e una<br />

straor<strong>di</strong>naria leggerezza.<br />

Come spesso accade per le specie spontanee (in Italia sono tre<strong>di</strong>ci i Linum<br />

selvatici), anche le piante <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando sono poco celebrate dai<br />

libri <strong>di</strong> floricoltura, mentre si mettono in rilievo le doti <strong>di</strong> fiori vistosi, troppo<br />

vistosi, come il tagete, le zinnie, i gla<strong>di</strong>oli o le dalie, così poco aderenti alle<br />

caratteristiche del nostro habitat, del nostro paesaggio.<br />

Prima <strong>di</strong> ricordare la storia del lino è giusto precisare che le corolle <strong>di</strong> queste<br />

piante sono <strong>di</strong> vari colori, oltre il classico azzurro-cielo: bianco, giallo, rosa,<br />

violetto, blu, carminio, porpora, rosso vivo, cremisi, celeste e bianco, lilla e<br />

viola.<br />

Gli steli sono sempre esili, erbacei o semilegnosi; le foglie piccole e strette,<br />

piuttosto rade, presentano <strong>di</strong>verse tonalità <strong>di</strong> verde, più o meno grigiastro o<br />

tendente all’argenteo.<br />

L’epoca <strong>di</strong> fioritura va da aprile a tutto settembre, a seconda <strong>della</strong> specie e del<br />

clima, considerando che i Linum alpini sono presenti sino a quote superiori ai<br />

2000 metri, mentre altri fioriscono lungo la dorsale appenninica e altri ancora<br />

spuntano lungo i litorali, oppure in Sicilia, nei tratti <strong>di</strong> terreno calcareo.<br />

Ma torniamo ai Linum tipici delle Alpi e Prealpi (Linum tenuifolium, Linum viscosum,<br />

Linum alpinum) sino al Linum usitatissimum da cui si ricava la nota fibra<br />

tessile, chiamata in gergo tiglio, e al Linum gran<strong>di</strong>florum che si coltiva per i fiori<br />

rossi, molto appariscenti, ricco <strong>di</strong> varietà con corolle in parecchie tinte.<br />

Per riprendere le fila – il riferimento è facile e scontato – <strong>della</strong> storia del lino,<br />

bisogna risalire all’epoca dei Faraoni quando si tessevano preziose<br />

stoffe con le fibre del Linum usitatissimum, come è comprovato dal<br />

ritrovamento <strong>di</strong> alcune mummie fasciate con bende <strong>di</strong> questa tela.<br />

Ma non basta: le dame <strong>di</strong> corte, le danzatrici e le sacerdotesse si<br />

122


Linum alpinum.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Linum<br />

Nomi popolari: lino selvatico, salva<strong>di</strong>,<br />

liniceddu, malvino<br />

Origine: regioni temperate e subtropicali<br />

dell’emisfero boreale<br />

Famiglia: Linacee<br />

Fiori: a cinque petali, riuniti in leggeri mazzi;<br />

possono essere celesti, rosa o lilla palli<strong>di</strong>, rosa<br />

con venature viola. Si schiudono da maggio a<br />

settembre<br />

Caratteristiche: specie erbacee, leggermente<br />

pelose, con foglie lineari o lanceolate che nel<br />

Linum montanum <strong>di</strong>ventano filiformi e <strong>di</strong> colore<br />

rossastro. I Linum fanno parte <strong>della</strong> tipica flora<br />

me<strong>di</strong>terranea<br />

Etimologia: dal greco linon, filo, per ricordare<br />

l’antichissimo uso tessile <strong>della</strong> fibra ricavata dal<br />

Linum usitatissimum<br />

coprivano, si fa per <strong>di</strong>re, con tuniche finemente pieghettate, fatte <strong>di</strong> lieve tessuto<br />

<strong>di</strong> lino, ad<strong>di</strong>rittura trasparente come un velo. Accadeva seimila anni fa. In<br />

base ad altri ritrovamenti, ai reperti fossili, all’esame <strong>di</strong> pitture e alla consultazione<br />

<strong>di</strong> pergamene e altri documenti, si è accertato che il Linum era noto a<br />

Cinesi, Peruviani, Greci, Romani, Galli, Germani e agli abitanti dell’antica Iberia.<br />

Il <strong>di</strong>ffondersi del cotone, e recentemente delle fibre chimiche e sintetiche, ha<br />

fatto <strong>di</strong>minuire in modo sostanziale l’impiego <strong>della</strong> nobile fibra vegetale celebrata<br />

sin dal V secolo a. C. da Teofrasto. Oggi la tela <strong>di</strong> lino è riservata agli abiti<br />

e alla biancheria <strong>di</strong> lusso mentre non è da trascurare l’impiego dei suoi semi<br />

per trarne un olio dai molteplici impieghi, anche a livello industriale per la<br />

produzione <strong>di</strong> speciali vernici, inchiostri, saponi e così via.<br />

A questo proposito, è interessante ricordare che dal Me<strong>di</strong>oevo al Rinascimento<br />

l’olio <strong>di</strong> lino cotto e fatto addensare al sole, era usato dai pittori per dare intensità<br />

e brillantezza alle tempere in sostituzione dell’uovo.<br />

Cos’altro potremmo <strong>di</strong>re del lino, e in particolare <strong>della</strong> specie Linum angustifolium<br />

tipico delle nostre montagne? Possiamo ricordare che i suoi semi sono<br />

ricercati per essere ridotti in farina e poi utilizzati per cataplasmi utili a risolvere<br />

le forme bronchiali, gli ascessi e i foruncoli. Un impiego abbastanza strano,<br />

efficace e <strong>di</strong>ffuso sino a una quarantina <strong>di</strong> anni fa, consisteva nel mettere a<br />

bagno un cucchiaio <strong>di</strong> semi <strong>di</strong> lino in un bicchier d’acqua, lasciar riposare il<br />

tutto un’intera notte, al freddo, e al mattino seguente bere il miscuglio, del resto<br />

non sgradevole, a scopo <strong>di</strong>sintossicante, <strong>di</strong>uretico, emolliente e per regolare<br />

l’intestino.<br />

Queste le considerazioni <strong>di</strong> carattere pratico legate al Linum che i francesi<br />

chiamano lin, gli inglesi flax, i tedeschi flachs, e che nel linguaggio floreale ha<br />

meritato una simbologia davvero strana, «presunzione», considerato l’aspetto<br />

poco vistoso, quasi umile <strong>di</strong> queste piante.<br />

D’altra parte, nel mondo vegetale non sono poche le contrad<strong>di</strong>zioni, le stranezze<br />

<strong>di</strong> questo tipo, evidentemente legate a leggende, tra<strong>di</strong>zioni, o folclore. Certo,<br />

una ragione deve esserci stata per una scelta simile e sarebbe bello conoscerla.<br />

Ma forse è giusto così, per quel pizzico <strong>di</strong> mistero che serve a solleci­<br />

123


Linum viscosum.<br />

Sotto: Linum angustifolium e Linum tenuifolium.<br />

tare la nostra curiosità e a far viaggiare la fantasia attorno ai cinque petali <strong>di</strong><br />

una corolla <strong>di</strong> lino, bianca, rosa, azzurra, blu, gialla o violetta che sia.<br />

Cinque petali fragili e leggeri, senza profumo e, tuttavia, testimoni <strong>di</strong> una lunga<br />

parentesi <strong>di</strong> storia, parallela a quella dell’uomo.<br />

Forse, camminando al margine dei boschi o attraversando un prato, non faremo<br />

caso alle piccole briciole <strong>di</strong> colore, per lo più azzurre, che sembrano cristalli<br />

d’acquamarina appoggiati sull’erba. Forse, <strong>di</strong>strattamente, li s<strong>fiore</strong>remo quasi<br />

ignorandoli, ma quei fiori rimarranno scritti nella nostra memoria e quella<br />

particolare sfumatura <strong>di</strong> celeste riaf<strong>fiore</strong>rà all’improvviso. Anche per una ragione<br />

ben precisa: i fiori gialli, bianchi e quelli rossi sono, geneticamente parlando,<br />

i più antichi, apparsi per primi sulla Terra e quasi connaturati con la<br />

nostra stessa struttura psico-fisica, mentre le corolle che si schiudono nella<br />

gamma dal celeste al blu, dal lilla al violetto, sono ancora giovani, tanto da stupirci<br />

e incantarci, forse anche perché rievocano immagini <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> libertà,<br />

come il cielo, l’acqua dei fiumi e dei laghi, le frange <strong>di</strong> colore <strong>di</strong> certe aurore,<br />

<strong>di</strong> certi tramonti.<br />

Tutto questo si può leggere su cinque fragilissimi petali <strong>di</strong> un <strong>fiore</strong> gentile e<br />

<strong>di</strong>screto che si chiama lino e a cui gli uomini, chissà perché, hanno associato<br />

la simbologia <strong>di</strong> uno sgradevole <strong>di</strong>fetto: la presunzione.<br />

124


«...e fu così che ogni stagione ci ha<br />

regalato lo splendore <strong>di</strong> un <strong>fiore</strong> e<br />

una <strong>di</strong>versa carezza del sole, ma<br />

anche l’aroma caldo e intenso delle<br />

foglie <strong>di</strong> un geranio odoroso».<br />

dai Canti <strong>di</strong> Brama<br />

L’erba roberta dalle molte virtù<br />

Alcuni la chiamano geranio odoroso in riferimento all’intenso aroma delle sue<br />

foglie e, anche, al nome scientifico del genere cui appartiene questa erbacea<br />

annuale, ossia Geranium, da non confondere con i Pelargonium che sono i gerani<br />

eretti o ricadenti che si coltivano su balconi e finestre.<br />

I Geranium crescono spontanei sui vecchi muri, tra le rocce e nel sottobosco<br />

sino a 1800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, nell’Europa meri<strong>di</strong>onale, in Nordamerica, nell’Asia<br />

del sud e comprendono circa 250 specie. I comuni gerani, invece, o Pelargonium,<br />

contano soltanto 200 specie e provengono dal Sudafrica.<br />

Stabilite queste sostanziali <strong>di</strong>fferenze, ve<strong>di</strong>amo per quale ragione l’erba roberta,<br />

o Geranium robertianum, porta questo nome.<br />

È probabile che robertianum derivi dal latino ruber, rosso, a in<strong>di</strong>care gli stimmi<br />

color porpora che caratterizzano i fiori <strong>di</strong> questa graziosa pianta e il profilo<br />

cremisi che sottolinea la forma delle sue foglie.<br />

Un’altra versione, più dotta, ma forse meno probabile, vede nel termine<br />

robertianum una deformazione <strong>di</strong> rupertianum per ricordare san<br />

Ruperto, vissuto nel VII secolo d.C. e che fu vescovo <strong>di</strong> Strasburgo.<br />

Pare che sia stato proprio san Ruperto a scoprire le virtù terapeutiche<br />

<strong>di</strong> questo Geranium. Sta <strong>di</strong> fatto che nel secolo do<strong>di</strong>cesimo<br />

l’erba roberta entrava in molti me<strong>di</strong>camenti proposti da<br />

un’abbadessa benedettina che sarebbe poi <strong>di</strong>ventata sant’Ildegarda,<br />

che viveva in un monastero presso Bingen, in Germania, e che<br />

<strong>di</strong>resse anche l’abbazia <strong>di</strong> Disibodenberg. Questa santa era nota<br />

per le visioni e per l’efficacia delle pozioni, sempre a base vegetale,<br />

che <strong>di</strong>stribuiva ai pellegrini che affluivano a centinaia al<br />

convento.<br />

A parte l’incertezza sull’etimologia del nome scientifico <strong>della</strong> pianta<br />

<strong>di</strong> cui ci stiamo occupando, è interessante ricordare i nomi che<br />

le vengono attribuiti nelle varie regioni italiane: erba rosséra, gamba<br />

rossa, erba de fogu, cicuta rossa (le sue foglie sono simili, infatti,<br />

a quelle <strong>della</strong> temibile cicuta), roberziana e becco <strong>di</strong> cicogna.<br />

L’ultimo nome impone <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care anche l’origine del termine Geranium,<br />

dal greco gheranos, gru, a causa del frutto che si forma<br />

al centro <strong>di</strong> ogni <strong>fiore</strong> <strong>della</strong> Geraniacee, frutto che si<br />

in<strong>di</strong>ca normalmente come seme, formato da cinque<br />

carpelli (organi femminili <strong>della</strong> corolla) e che<br />

ricorda, nell’insieme, la forma del becco <strong>di</strong> una gru.<br />

È interessante far osservare che l’erba roberta subito<br />

dopo la fioritura conclude il proprio ciclo vitale e appassisce;<br />

quasi tutte le altre annuali, invece, anche se<br />

non rifioriscono conservano le foglie e magari ne emettono<br />

<strong>di</strong> nuove sino all’autunno o alle<br />

soglie dell’inverno.<br />

Rimane da ricordare che il Geranium robertianum<br />

in Francia si chiama geranium<br />

roberte, in Gran Bretagna Red Cranesbill<br />

e in Germania Rot Storchschnabel.<br />

Anche se non stiamo descrivendo l’erba<br />

roberta per vantarne le proprietà curative,<br />

sarebbe ingiusto non riconoscere che essa contiene:<br />

tannino, un olio essenziale responsabile<br />

dell’aroma intenso che caratterizza le sue foglie,<br />

resina, un principio decisamente amaro e<br />

una buona quantità <strong>di</strong> vitamina C.<br />

Un tempo, il Geranium robertianum veniva im­<br />

125


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Geranium<br />

Nomi popolari: erba roberta, roberziana, erba<br />

passéra, gamba rossa, erba de fogu, cicuta<br />

rossa, becco <strong>di</strong> cicogna<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale, Armenia,<br />

Caucaso, Africa del sud<br />

Famiglia: Geraniacee<br />

Fiori: a cinque petali, rosa-porpora, sostenuti<br />

da steli rossicci. Fioritura estiva. Il ciuffo <strong>di</strong><br />

stimmi centrali è <strong>di</strong> color rosso<br />

Caratteristiche: le foglie, profondamente<br />

palmate, sono <strong>di</strong>vise in sottili lacinie e<br />

presentano minuscoli punti rossi; lo stesso<br />

colore forma un lieve contorno al fogliame che<br />

emana un aroma inconfon<strong>di</strong>bile, assai<br />

gradevole che, stranamente, è inviso agli insetti<br />

e li tiene lontani dalle abitazioni<br />

Etimologia: dal greco géranos, gru, a in<strong>di</strong>care<br />

i carpelli filiformi che terminano con un lungo<br />

becco simile, appunto, a quello delle gru. Il<br />

carpello è una foglia trasformata che costituisce<br />

il pistillo del <strong>fiore</strong><br />

piegato soprattutto per arrestare le emorragie, curare le piaghe che tardavano<br />

a rimarginarsi e le affezioni del cavo orale, come l’afta. A questo proposito,<br />

un decotto <strong>di</strong> erba roberta veniva impiegato per <strong>di</strong>sinfettare la bocca<br />

e le gengive dei bovini colpiti dalla temibile epidemia nota come afta epizootica,<br />

che sino a qualche decina <strong>di</strong> anni or sono decimava mandrie e greggi,<br />

ad<strong>di</strong>rittura svuotando le stalle. Oggi, il ricorso all’erba roberta è limitato<br />

alla tra<strong>di</strong>zione popolare soltanto in qualche zona del Paese, soprattutto in<br />

montagna, e la delicata bellezza <strong>di</strong> questa specie trova la giusta collocazione<br />

nel bordo misto o mixed border, uno degli elementi decorativi più interessanti<br />

per i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> stile moderno, all’inglese, basato su un tappeto verde<br />

centrale chiuso da una cornice variopinta. Un bordo misto degno <strong>di</strong> attenzione<br />

deve essere formato dal maggior numero <strong>di</strong> specie possibile, meglio<br />

se <strong>di</strong> tipo erbaceo perenne, tuttavia la grazia delicata dell’erba roberta può<br />

rappresentare un elemento assai gradevole nell’insieme <strong>di</strong> questa particolare<br />

bordura.<br />

In maggio, quando il Geranium robertianum fiorisce, il mixed border si accende<br />

<strong>di</strong> una miriade <strong>di</strong> punti rosa-lilla messi in risalto dalla trina leggera delle foglie<br />

bordate <strong>di</strong> rosso e degli steli, tanto sottili, color porpora. Un apporto <strong>di</strong> colore<br />

e <strong>di</strong> forme che può sembrare insignificante nella massa <strong>di</strong> tinte e sfumature<br />

del bordo misto e che invece, rappresenta un elemento determinante nel definire<br />

lo stile e l’impostazione <strong>della</strong> bordura.<br />

Una presenza, quella dell’erba roberta, che non si prolunga <strong>di</strong> molto e che –<br />

come abbiamo già detto – si annulla quasi all’improvviso, dopo che l’ultima<br />

corolla ha lasciato cadere i petali.<br />

La Natura, tuttavia, avrà compiuto la sua opera e sul terreno saranno già<br />

caduti innumerevoli semi; l’anno successivo, alla fine dell’inverno, il Geranium<br />

robertianum riapparirà sicuramente pur essendo un annuale e si<br />

confonderà con il fogliame delle erbacee perenni <strong>di</strong>sposte con cura sapiente<br />

per ottenere un determinato gioco <strong>di</strong> colori, basato sui tempi <strong>di</strong> fioritura<br />

delle varie specie e sulla statura delle piante, sistemate in modo da non sovrastarsi<br />

l’un l’altra: quelle più alte all’esterno e poi via via con elementi<br />

sempre più bassi sino a incontrare la compatta superficie del tappeto erboso.<br />

L’erba roberta, in questa or<strong>di</strong>nata sequenza non può avere un posto ben determinato<br />

in quanto i suoi semi nascono dove il capriccio del vento li ha lasciati<br />

cadere, ma la sua presenza è così <strong>di</strong>screta, poco ingombrante e tanto graziosa<br />

da non interferire con i fiori che le stanno accanto.<br />

I meriti del Geranium robertianum non sono finiti: infatti, l’aroma così particolare<br />

e acre delle sue foglie ha il potere <strong>di</strong> allontanare determinati tipi <strong>di</strong> insetti<br />

dannosi per le piante ornamentali e questo, indubbiamente, non è cosa da<br />

poco.<br />

126


«Come un’insi<strong>di</strong>a d’amore, come il<br />

bugiardo sorriso <strong>di</strong> una donna che<br />

sta per tra<strong>di</strong>re, la pinguicola attrae<br />

gli insetti con i bei fiori simili a<br />

viole mammole e poi li cattura e<br />

<strong>di</strong>vora, quasi in un sacrificio<br />

pagano».<br />

John Siebherg<br />

Una pinguicola ha inesorabilmente catturato<br />

un insetto; le sue foglie vischiose si<br />

chiuderanno per <strong>di</strong>gerirlo.<br />

Sotto: Pinguicula vulgaris.<br />

La pinguicola, apparenza che inganna<br />

Può sembrare un paradosso, un’esagerazione,<br />

eppure il mondo vegetale è più ricco <strong>di</strong> insi<strong>di</strong>e<br />

e inganni <strong>di</strong> quanto non lo sia quello<br />

animale. Basterebbe per tutti un esempio: accarezziamo<br />

un cane o un gatto e sappiamo <strong>di</strong><br />

andare incontro a una possibile reazione negativa,<br />

in base al carattere del soggetto, ma è<br />

<strong>di</strong>fficile sospettare che <strong>di</strong>etro la fragile, incantata<br />

bellezza <strong>di</strong> un rosa si celino spine taglienti<br />

come rasoi, caratterizzate da una linfa che<br />

può provocare irritazioni o, ad<strong>di</strong>rittura, infezioni<br />

che culminano nel dolorosissimo patereccio<br />

o gira<strong>di</strong>to.<br />

Non <strong>di</strong>mentichiamo i funghi, qualche volta mortali,<br />

e certe bacche coloratissime dal succo venefico,<br />

foglie che provocano bruciore intenso –<br />

l’ortica insegna – per non parlare <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci, bulbi<br />

e tuberi, come quelli del ciclamino e dei crochi,<br />

che soltanto gli animali possono mangiare e<br />

che per noi sarebbero fatali. Persino la nutriente<br />

patata nasconde un pericolo; infatti, le parti<br />

ver<strong>di</strong> <strong>della</strong> pianta e soprattutto i germogli che si<br />

formano sul tubero già raccolto, sono ricchi <strong>di</strong><br />

solanina, sostanza che provoca gravi intossicazioni<br />

che qualche volta hanno esito letale.<br />

Ma non è tutto: persino gli insetti, malgrado siano<br />

guidati da un istinto infallibile per quanto riguarda<br />

le complesse fasi del loro ciclo biologico,<br />

non riconoscono l’agguato nascosto nell’accattivante<br />

grazia <strong>di</strong> un <strong>fiore</strong>, nell’innocente aspetto <strong>di</strong> un ciuffo <strong>di</strong> foglie.<br />

Questa ambiguità, questi tranelli sono tipici <strong>di</strong> un particolare gruppo<br />

<strong>di</strong> piante definite pittorescamente carnivore e che nella fantasia <strong>di</strong> autori<br />

esperti in fantascienza, o <strong>di</strong> registi <strong>di</strong> film dell’orrore, vengono descritte<br />

come «capaci <strong>di</strong> uccidere e <strong>di</strong>vorare anche un uomo».<br />

La realtà è ben <strong>di</strong>versa e le loro vittime raramente superano la <strong>di</strong>mensione<br />

<strong>di</strong> un insetto; soltanto nelle foreste pluviali si possono incontrare<br />

carnivore in grado <strong>di</strong> catturare lucertole, rane o topolini.<br />

In genere, le specie carnivore non hanno un aspetto molto attraente, particolarmente<br />

decorativo, ma una fa eccezione e si veste <strong>di</strong> grazia e <strong>di</strong> colore per<br />

nascondere la sua vera natura. Arriva persino a imitare un’altra pianta, fra le<br />

più gentili che esistano: la viola mammola, profumo escluso naturalmente.<br />

La carnivora, così abile, si chiama Pinguicula, nota anche come erba unta, erba<br />

oliosa, erba da taj, erba da cai. Le sue corolle hanno <strong>di</strong> solito un delizioso color<br />

viola-porpora, ma nella specie Pinguicula alpina i fiori sono bianchi, nella<br />

Pinguicula leptoceras sono azzurro-viola con macchie bianche e nella Pinguicula<br />

vulgaris sono lilla con sfumature rosso-porpora.<br />

Queste piante vengono chiamate in francese grassette, in inglese butterwort e<br />

in tedesco Fettkraut.<br />

Vivono lungo un areale che si stende per tutta la catena alpina e raggiunge gli<br />

Appennini, a un’altitu<strong>di</strong>ne che va dai 500 ai 2500 metri. Il loro habitat si accentra<br />

presso le rive dei torrenti, dove la terra conserva un buon grado <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà,<br />

accanto a stagni e palu<strong>di</strong>, attorno alle sorgenti, nelle forre più ombrose, nel<br />

folto dei boschi <strong>di</strong> latifoglie.<br />

Le pinguicole sono pianticelle minuscole e la loro altezza va dai 5 ai 15 centi­<br />

127


Pinguicula alpina e Pinguicula leptocera; nella<br />

foto grande: Pinguicula vulgaris.<br />

metri; mostrano una rosetta <strong>di</strong> foglie verde-giallo, aderenti al suolo, ovaliformi,<br />

con bor<strong>di</strong> che si ripiegano verso l’alto, a ciotola. Dal cuore <strong>della</strong> rosetta <strong>di</strong> foglie<br />

si alzano gli steli che sorreggono le corolle, steli che hanno un portamento<br />

morbido, si curvano verso il basso nella parte terminale e sono color purpureo.<br />

I fiori, l’abbiamo già detto, hanno un <strong>di</strong>segno che ricorda da vicino quello delle<br />

viole mammole e con la loro bellezza attirano molti insetti. E guai a loro.<br />

Questi ignari cacciatori <strong>di</strong> nettare, nel cercare <strong>di</strong> raggiungere i fiori sfiorano le<br />

foglie e rimangono invischiati sul fondo delle ver<strong>di</strong> ciotole già descritte. Infatti,<br />

la pagina superiore delle foglie è cosparsa <strong>di</strong> ghiandole che secernono una<br />

sostanza collosa che trattiene inesorabilmente gli insetti. Ma non basta: la pinguicola,<br />

nel timore <strong>di</strong> perdere le sue prede, fa sì che le foglie si arrotolino su se<br />

stesse sino a formare una vera e propria prigione.<br />

Dopo tre giorni, quando le foglie riprendono la normale posizione, gli insetti<br />

sono stati ormai <strong>di</strong>geriti, grazie agli enzimi contenuti nelle venticinquemila<br />

ghiandole <strong>di</strong>gestive che tappezzano ogni centimetro quadrato <strong>della</strong> superficie<br />

fogliare.<br />

Soltanto le ali e le zampette testimoniano il passaggio dei malcapitati ospiti che,<br />

andando in cerca <strong>di</strong> cibo, finiscono per <strong>di</strong>ventare essi stessi nutrimento per la<br />

pinguicola, graziosa quanto temibile, che potrebbe essere presa a simbolo <strong>della</strong><br />

bellezza che tra<strong>di</strong>sce.<br />

Come dato singolare, aggiungiamo che la Pinguicola vulgaris, sosia <strong>della</strong> viola<br />

mammola o Viola odorata, è inclusa fra le buone erbe grazie alle sue proprietà<br />

calmanti ed emollienti. In antico le foglie <strong>di</strong> questa specie carnivora venivano utilizzate<br />

per far coagulare il latte. Auguriamoci che l’usanza sia caduta in <strong>di</strong>suso.<br />

Questa è la storia <strong>di</strong> una piccola pianta, che può passare inosservata nel microuniverso<br />

del bosco, confusa tra altre cento specie, che rappresenta una delle<br />

più singolari astuzie messe in atto dal mondo vegetale per far arrivare a domicilio<br />

<strong>di</strong> determinate essenze erbacee il cibo <strong>di</strong> cui hanno bisogno.<br />

Una volta <strong>di</strong> più non rimane che inchinarci <strong>di</strong> fronte alla meravigliosa organizzazione<br />

<strong>della</strong> Natura, alla raffinata strategia che ha, come scopo ultimo, la sopravvivenza<br />

delle specie, tutte importanti ai fini dell’equilibrio ecologico che<br />

possiamo tranquillamente chiamare vita.<br />

Una vita che è fatta <strong>di</strong> tessere gran<strong>di</strong> e piccole ed è <strong>di</strong>fficile stabilire la proporzione<br />

<strong>di</strong> ognuna, l’importanza <strong>di</strong> una piantina alta pochi centimetri, come la<br />

pinguicola, rispetto all’imponente presenza <strong>di</strong> un albero alto metri e metri.<br />

Sono calcoli <strong>di</strong> cui non conosceremo mai l’esatta soluzione, ma che impongono<br />

rispetto perché testimoniano il quoti<strong>di</strong>ano pro<strong>di</strong>gio che circonda la nostra esistenza<br />

e che tanto spesso offen<strong>di</strong>amo con in<strong>di</strong>fferenza e negligenza.<br />

Tutto questo racconta la pinguicola, l’erba unta dalle foglie ricoperte da una<br />

sostanza oleosa e vischiosa, implacabile trappola per gli insetti. E intanto,<br />

dall’alto, i bei fiori delle pinguicole curvano il capo e stanno ad osservare, inconsapevoli<br />

<strong>di</strong> quanto avviene attorno ad essi, ma attivamente partecipi <strong>della</strong><br />

piccola, grande storia del bosco, <strong>della</strong> palude, del torrente, o dello stagno,<br />

del mondo incantato che ha per fondale le montagne.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Pinguicula cosiddette «piante carnivore o insettivore»; le<br />

Nomi popolari: erba grassa, erba da taglio,<br />

erba unta, erba da calli, olearia<br />

Origine: Europa, Asia settentrionale<br />

Famiglia: Lentibulariacee<br />

Fiori: del tutto simili alle viole mammole, dotate<br />

<strong>di</strong> uno sperone più o meno lungo a seconda<br />

<strong>della</strong> specie. Il colore tipico è rosa-porpora con<br />

varianti azzurro-viola, ma può essere bianco<br />

prede vengono imprigionate dalle foglie<br />

coperte da una cera vischiosa e infine <strong>di</strong>gerite<br />

grazie all’intervento <strong>di</strong> un particolare enzima<br />

secreto dalla pianta stessa, che in tal modo,<br />

riesce a procurarsi l’azoto in<strong>di</strong>spensabile alla<br />

propria vita e che non può trovare in<br />

determinati tipi <strong>di</strong> terreno, specie in quello<br />

paludoso, tipico habitat <strong>della</strong> pinguicola<br />

sfumato in giallo nella gola. Fioritura estiva Etimologia: dal latino pinguis, grasso, a<br />

Caratteristiche: la pinguicola fa parte delle in<strong>di</strong>care lo strato untuoso che copre le foglie<br />

128


«Non pensare <strong>di</strong> coltivarla in<br />

giar<strong>di</strong>no; lasciala vivere libera<br />

dove si respira odore <strong>di</strong> muschio e<br />

<strong>di</strong> montagna. Lasciale godere tutto<br />

questo incanto».<br />

Geremia Hoechts<br />

La polmonaria invi<strong>di</strong>a l’arcobaleno<br />

Ormai è da parecchie pagine che parliamo delle corolle che si schiudono sui<br />

monti, a <strong>di</strong>verse altitu<strong>di</strong>ni, nelle situazioni ambientali più varie, e ci siamo resi<br />

conto che la loro bellezza non è mai appariscente, ma perciò ancor più preziosa,<br />

in virtù <strong>di</strong> una forma perfetta, <strong>di</strong> colori stupen<strong>di</strong>, <strong>di</strong> particolari che, osservati<br />

con la lente, rivelano un mondo minuscolo e misterioso, suggestivo e impreve<strong>di</strong>bile,<br />

dove il miracolo <strong>della</strong> vita si rivela e si rinnova in proporzioni microscopiche.<br />

Colore, bellezza e profumo in fiori che spesso non superano il<br />

<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> pochi millimetri e, per imporsi, per sopravvivere, non trovano <strong>di</strong><br />

meglio che riunirsi in compatte in<strong>fiore</strong>scenze, come la nigritella, per esempio,<br />

la più profumata delle nostre orchidee spontanee, che per attirare gli insetti<br />

odora acutamente <strong>di</strong> vaniglia come alcune specie tropicali. Allo stesso scopo,<br />

altre piante alpine imitano la forma degli insetti pronubi, quelli incaricati <strong>di</strong><br />

celebrare le nozze tra l’una e l’altra corolla, ricreando con la fragilità dei petali<br />

la livrea <strong>di</strong> api, vespe, calabroni, ragni, bombici e mosche. Esiste persino<br />

un’orchidea, I’Orchis simia, che nelle corolle ospita il simulacro <strong>di</strong> una scimmietta<br />

ritagliato nel labello rosso cupo che sporge appena, quasi volesse mostrarsi<br />

e non mostrarsi. La ragione <strong>di</strong> questo ennesimo mimetismo floreale, è<br />

davvero misteriosa e non trova una spiegazione logica. Ma poi è necessario<br />

spiegarci ogni cosa in modo razionale? La fantasia, allora, cosa starebbe a fare?<br />

Ebbene, visto che abbiamo scomodato questa parte <strong>della</strong> nostra mente, sinonimo<br />

<strong>di</strong> libertà, <strong>di</strong> anticonformismo, <strong>di</strong> creatività senza limite, possiamo prendere<br />

ad esempio una pianticella alpina che in fatto <strong>di</strong> fantasia non è seconda<br />

ad alcuno. Stiamo parlando <strong>della</strong> Pulmonaria officinalis, una specie perenne alta<br />

un palmo, che vive sui monti, nei boschi interrotti da radure, sino a 1000 metri<br />

<strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. Ha il fusto coperto da peluria e rade foglie tomentose punteggiate<br />

<strong>di</strong> bianco, <strong>di</strong> forma ovale oppure cuoriforme.<br />

Sin qui nulla <strong>di</strong> particolare e il nostro interesse si sposta ad osservare i fiori<br />

<strong>della</strong> polmonaria, che è anche una pianta dalle molte virtù officinali. La polmonaria<br />

appartiene alla stessa famiglia dei nontiscordar<strong>di</strong>mé, ma le corolle delle<br />

due piante <strong>di</strong>fferiscono nella forma e, soprattutto nel colore, teneramente azzurro,<br />

rosa-confetto o bianco nel Myosotis, rossi non appena si schiudono nella<br />

Pulmonaria e poi trascoloranti con lentezza nel blu-viola sin quando appassiscono.<br />

È evidente che questi fiori, riuniti in cime terminali, non si aprono tutti<br />

nello stesso momento e, per questa ragione, la pianta presenta molte corolle<br />

in <strong>di</strong>fferenti tonalità <strong>di</strong> colore e in sfumature indefinibili, che occupano la banda<br />

del rosso, del blu, del viola, del porpora. Un riflesso <strong>di</strong> arcobaleno limitato<br />

a una breve gamma cromatica che dona alla polmonaria una grazia inconfon<strong>di</strong>bile,<br />

un rilievo del tutto particolare nell’insieme <strong>di</strong> verde e <strong>di</strong> colori che si<br />

chiama bosco, che si chiama vegetazione spontanea presente fra la pianura<br />

e i 1000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne.<br />

A parte l’in<strong>di</strong>scutibile bellezza dei fiori la Pulmonana officinalis, come recita<br />

il suo stesso nome, è stata considerata per secoli un valido rime<strong>di</strong>o contro<br />

la tubercolosi, semplicemente perché le sue foglie picchiettate <strong>di</strong> bianco<br />

richiamano l’immagine <strong>di</strong> un polmone ammalato. Può sembrare assurdo,<br />

ma è stato così e soltanto dopo il 1850 la Tbc è stata affrontata con sistemi<br />

ben più vali<strong>di</strong> e scientificamente provati. Questo non toglie che la polmonaria,<br />

detta anche salvia <strong>di</strong> Gerusalemme, erba macchiata, borrana selvatica,<br />

non possieda qualche buona virtù curativa, come sudorifero, espettorante,<br />

<strong>di</strong>uretico e per guarire lievi forme <strong>di</strong> dermatosi. Ma per noi la polmonaria ha<br />

in serbo particolari caratteristiche morfologiche da Guinness botanico: infatti,<br />

la polmonaria – imitata in questo soltanto dalla salcerella – per il timore<br />

<strong>di</strong> non essere propagata in misura sufficiente, ha pensato <strong>di</strong> proporre agli<br />

insetti tre tipi <strong>di</strong> <strong>fiore</strong>, dalla struttura <strong>di</strong>fferente, con “stili”<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>verse lunghezze e stami irregolari. Come risul­<br />

130


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Pulmonaria officinalis<br />

Nomi popolari: borrana selvatica, erba<br />

macchiata, salvia <strong>di</strong> Gerusalemme, tabacco<br />

selvatico, curapolmoni<br />

Origine: Europa e Asia settentrionale<br />

Famiglia: Borraginacee<br />

Fiori: a cinque petali che quando si schiudono<br />

sono <strong>di</strong> color rosso e poi trascolorano nel blu;<br />

esistono altre specie con fiori celesti o azzurri.<br />

Fioritura primaverile<br />

Caratteristiche: è specie erbacea perenne, alta<br />

da 15 a 30 centimetri, dalla vegetazione<br />

coperta da peluria, con foglie macchiate <strong>di</strong><br />

bianco, appuntite. L’aspetto delle foglie<br />

richiama la presenza degli alveoli nei polmoni<br />

e mette questa pianta fra quelle «segnate», utili<br />

a curare le parti del nostro organismo che nella<br />

forma o nel colore richiamano foglie o fiori<br />

<strong>della</strong> specie presa in esame<br />

Etimologia: dal latino pulmo, pulmonis,<br />

polmone, a causa delle foglie usate, un tempo,<br />

per curare le forme polmonari<br />

tato, vespe, api, calabroni e altri preziosi corrieri, vento compreso, possono<br />

contare su <strong>di</strong>ciotto mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> raggiungere il polline e, quin<strong>di</strong>, trasportarlo<br />

su altre corolle per fecondarle. Sin qui abbiamo parlato <strong>della</strong> Pulmonaria officinalis<br />

che è tipica del nostro territorio, ma è giusto ricordare che questo<br />

genere è composto da ben <strong>di</strong>ciassette specie, presenti in Europa e in Asia,<br />

non molto <strong>di</strong>ssimili tra loro, tutte caratterizzate da buon valore decorativo,<br />

tanto da essere anche coltivate per arricchire il giar<strong>di</strong>no roccioso, il bordo<br />

misto, le cassette sul balcone o per realizzare una macchia <strong>di</strong> colore insolita<br />

lungo la parete <strong>di</strong> un muretto fornito <strong>di</strong> tasche, da cui sbordano piante<br />

fiorite <strong>di</strong> piccola statura, oppure ricadenti. La polmonaria, tutto sommato,<br />

può essere una piacevole sorpresa per chi non la conosce, una conferma per<br />

quanti amano la bellezza <strong>di</strong>screta e minuta delle specie selvatiche. Qualche<br />

volta le sfioriamo percorrendo i sentieri <strong>di</strong> montagna o camminando al margine<br />

dei prati e non riusciamo a cogliere la suggestione dei loro colori, la<br />

grazia delle corolle, I’eleganza del fogliame. Ma per la polmonaria bisogna<br />

proprio fare un’eccezione e guardarla attentamente; non capita tutti i giorni<br />

<strong>di</strong> incontrare una piccola pianta invi<strong>di</strong>osa dell’arcobaleno, tanto da inventarsi<br />

fiori capaci <strong>di</strong> mutare colore: dal rosso, al blu, al porpora, al viola. Come<br />

fa il cielo al tramonto.<br />

131


«Detergerò le mie mani con i rosei<br />

fiori <strong>della</strong> saponaria, le colmerò<br />

d’acqua pura e placherò la tua sete;<br />

ma non quella d’amore e <strong>di</strong><br />

desiderio. Sarò io a <strong>di</strong>ssetarti».<br />

Saffo<br />

Un sapone profumato <strong>di</strong> sole<br />

La Natura non fa che proporci curiosità e sempre nuovi motivi <strong>di</strong> interesse che,<br />

non <strong>di</strong> rado, vengono sottolineati da credenze popolari che sfiorano la superstizione.<br />

È il caso <strong>della</strong> Saponaria officinalis, una delle venti specie che appartengono a<br />

un genere presente in Europa meri<strong>di</strong>onale e in Asia, al margine dei boschi, lungo<br />

sentieri e corsi d’acqua, dove il terreno presenta una buona percentuale <strong>di</strong><br />

sabbia e anche qualche sasso.<br />

Vale la pena <strong>di</strong> ricordare che le saponarie sono la <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> uno strano<br />

fenomeno, del tutto opposto a quanto avviene normalmente. Infatti, <strong>di</strong> solito<br />

le specie spontanee vengono promosse al ruolo <strong>di</strong> piante coltivate, arrivano a<br />

decorare balconi e giar<strong>di</strong>ni e, qualche volta, finiscono per sparire da prati e<br />

pascoli, sopravvivendo soltanto come elementi <strong>di</strong> carattere ornamentale.<br />

Le saponarie, invece, almeno per quanto riguarda l’area europea, sono state<br />

importate anticamente per portare una nota <strong>di</strong> colore nei giar<strong>di</strong>ni segreti dei<br />

castelli oppure negli orti conventuali, nei chiostri dei monasteri; solo in seguito<br />

si sono <strong>di</strong>ffuse e naturalizzate, sino a invadere – letteralmente – tutto il nostro<br />

territorio, dalla pianura alla montagna, sino all’altitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> 1600 metri.<br />

Tutta l’Italia, dunque, conosce questa pianta erbacea perenne, elegante e delicata<br />

per le sfumature tenui dei suoi petali che possono essere bianco-rosa,<br />

rosa-porcellana o giallo-limone.<br />

Alla grazia dei fiori si contrappone la forza delle ra<strong>di</strong>ci, a forma <strong>di</strong> rizoma, che<br />

si allungano con grande rapi<strong>di</strong>tà sino a colonizzare spazi sempre più ampi.<br />

In tutta la Penisola – <strong>di</strong>cevamo – è presente la Saponaria, magari in specie <strong>di</strong>fferenti<br />

dalla comunissima officinalis, e sono parecchi i nomi che vengono attribuiti<br />

a questa pianta: savonea, saunaria, sapuneira, con<strong>di</strong>zi, sapuneddu, garofalo<br />

a mazzetti e giasmin matt. L’ultima <strong>di</strong> queste definizioni popolari (gelsomino<br />

matto) si riferisce al profumo dolce e persistente che caratterizza le corolle<br />

<strong>della</strong> saponaria, soprattutto in particolari situazioni climatiche, quando l’aria<br />

è carica <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà e la temperatura elevata.<br />

A proposito <strong>di</strong> nomi, è giusto ricordare che i francesi chiamano queste piante<br />

savonière, gli inglesi farewell summer e soapwort e i tedeschi grosses Seifenkraut.<br />

Fin qui la situazione filologica relativa alla saponaria che nel mondo verde si <strong>di</strong>stingue<br />

per una caratteristica del tutto particolare che <strong>di</strong>pende dalla presenza <strong>di</strong><br />

saponine, nei fiori, nelle foglie e nel rizoma, che danno origine a una schiuma<br />

detergente davvero efficace tanto è vero che in alcune regioni, ancora oggi si usa<br />

un decotto <strong>di</strong> Saponaria officinalis per lavare pizzi, ricami, tessuti in seta e filati.<br />

Per rendersi conto <strong>di</strong> questa proprietà basta un semplice esperimento che<br />

consiste nel raccogliere una cima fiorita <strong>di</strong> saponaria e stropicciarla fra le mani<br />

compiendo l’atto <strong>di</strong> lavarle. Ben presto sarà visibile un lieve strato <strong>di</strong> schiuma<br />

e infine, la pelle apparirà detersa, bianca e morbi<strong>di</strong>ssima.<br />

Un gioco da ragazzi? Non tanto se si pensa che l’uso <strong>di</strong> questa pianta consente<br />

– come già detto – <strong>di</strong> rifinire lavori artigianali che non <strong>di</strong> rado meritano la qualifica<br />

<strong>di</strong> artistico e rappresentano preziose quanto antiche forme <strong>di</strong> attività tra<strong>di</strong>zionale;<br />

tanto antiche che cinque secoli prima <strong>di</strong> Cristo già si parlava <strong>della</strong> saponaria<br />

per sgrassare la lana che le popolazioni noma<strong>di</strong> dell’Asia impiegavano per<br />

tessere i loro famosi tappeti, dopo averla tinta con fiori, foglie o bacche.<br />

Più <strong>di</strong> recente, si fa per <strong>di</strong>re, attorno al 400 avanti Cristo, il grande me<strong>di</strong>co Ippocrate<br />

citava le possibilità terapeutiche attribuite alle ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> saponaria<br />

«capace <strong>di</strong> depurare il corpo e donare alle donne una pelle rosata, degna <strong>di</strong><br />

quella <strong>di</strong> Venere».<br />

Oggi si riconosce alla pianta <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando una virtù in campo<br />

cosmetico; infatti, facendola bollire in acqua per una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> minuti, fornisce<br />

un decotto schiumoso ideale per lavare i capelli sottili e fragili, oppure<br />

quelli dei bambini.<br />

132


Tutto questo è la saponaria, dai deliziosi fiori a cinque petali che odorano come<br />

il gelsomino, ma non profumano se vivono all’ombra. Ma non basta: il sole per<br />

la pianta del sapone è come una cura <strong>di</strong> bellezza, tanto è vero che le sue corolle<br />

acquistano sfumature più decise se i raggi solari le accarezzano da mattina<br />

a sera e, invece, impalli<strong>di</strong>scono sino a <strong>di</strong>ventare can<strong>di</strong>de se gli alberi fanno da<br />

schermo alla luce.<br />

Si può <strong>di</strong>re, insomma, che la Saponaria ha i colori e il profumo <strong>di</strong>stillati dalla<br />

magica alchimia del sole e rappresenta l’ennesima ricchezza del bosco, l’ennesimo<br />

regalo <strong>di</strong> questo ambiente naturale così straor<strong>di</strong>nario, così complesso e<br />

che nasconde ancora tante e tante sorprese.<br />

Un mondo che non finiremo mai <strong>di</strong> scoprire perché è come un mosaico fatto <strong>di</strong><br />

infiniti particolari, l’uno correlato agli altri, in una sequenza che non ha fine né<br />

principio.<br />

Oggi sono i fiori <strong>della</strong> saponaria a catturare la nostra curiosità, domani sarà la<br />

forma <strong>di</strong> una foglia, il colore o il sapore <strong>di</strong> un frutto, l’aroma <strong>di</strong> un legno.<br />

Poi, se gustando una mora o raccogliendo una pigna, rimarrà sulle nostre<br />

mani una traccia blu o la tenace patina <strong>della</strong> resina, non avremo che chiedere<br />

l’intervento <strong>di</strong> un’altra creatura del bosco: <strong>della</strong> saponaria – appunto –<br />

dalla schiuma che ha profumo d’erba e <strong>di</strong> sole, proprio come si conviene a un<br />

sapone che sembra inventato per bucati da favola riservati a personaggi <strong>di</strong><br />

fantasia.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Saponaria officinalis Caratteristiche: specie erbacea perenne, alta da<br />

Nomi popolari: savonea, saunaria, savonada,<br />

con<strong>di</strong>zi, garofalo a mazzetti, gelsomino matto,<br />

sapunèira, sapunedduè<br />

Origine: Europa e Asia<br />

Famiglia: Cariofillacee<br />

30 a 60 centimetri. Le foglie sono verde vivo,<br />

ovali-lanceolate. Il rizoma <strong>della</strong> saponaria, e in<br />

minor misura tutta la pianta, contiene una<br />

notevole percentuale <strong>di</strong> saponina che produce<br />

abbondante schiuma; prima <strong>della</strong> <strong>di</strong>ffusione dei<br />

detersivi <strong>di</strong> sintesi, dalla saponaria si ricavava<br />

Fiori: a cinque petali, bianco-rosa, profumati, un’ottima polvere per lavare<br />

raccolti in ricchi fasci posti alla sommità degli Etimologia: dal latino sapo, sapone per<br />

steli. Si aprono in estate ricordare le proprietà detersive <strong>di</strong> questa specie<br />

133


«Forse le fate, per incipriarsi il viso,<br />

usano i fiori <strong>della</strong> globularia, intrisi<br />

<strong>di</strong> sole o <strong>di</strong> luna; sarà un magico<br />

rito celebrato soltanto dalle<br />

creature del bosco».<br />

Gunther Frommel<br />

Globularia vulgaris. Nella foto: Globularia<br />

nu<strong>di</strong>caulis.<br />

La globularia, come fiocchi <strong>di</strong> ciniglia<br />

Scientificamente è classificata come Globularia, dal latino globus, sfera, a causa<br />

delle sue minuscole in<strong>fiore</strong>scenze globose lilla e anche celesti, con qualche<br />

varietà bianco-rosa o violetto. Nel gergo popolare, prende vari nomi: bottonaria,<br />

testette, teista neigra, toson, <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> san Luigi e sgoibe.<br />

È un genere che comprende una ventina <strong>di</strong> specie, e sette sono presenti in Italia,<br />

limitatamente al centro-nord, dalla pianura sino a 2200 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne:<br />

nei terreni sassosi o rocciosi, piuttosto poveri e ari<strong>di</strong>. È interessante il contrasto<br />

fra la vellutata fragilità <strong>della</strong> globularia e le caratteristiche del suo habitat,<br />

aspro e pietroso, interrotto soltanto da ciuffi <strong>di</strong> gramigna e dalle chiazze color<br />

pastello dei fiori <strong>di</strong> cui stiamo parlando.<br />

La Globularia è una pianticella alta da 5 a 30 centimetri, perenne, con foglie a<br />

forma <strong>di</strong> spatola <strong>di</strong>sposte a rosetta alla base <strong>di</strong> esili fusti che sostengono i capolini<br />

terminali e solitari che sembrano fatti <strong>di</strong> morbida peluria. La fioritura<br />

dura da aprile al pieno dell’estate, a seconda del clima e dell’altitu<strong>di</strong>ne. Per<br />

completare la descrizione <strong>della</strong> globularia, ricor<strong>di</strong>amo che essa esala un aroma<br />

intenso ed è considerata pericolosa, quin<strong>di</strong> da non prendere in considerazione<br />

come specie me<strong>di</strong>cinale per quanto le siano riconosciuti molti meriti<br />

come lassativo. Il suo uso è consentito soltanto a livello industriale, sotto controllo<br />

delle aziende farmaceutiche.<br />

Oltre che in Italia, la globularia è presente in altri Paesi dell’area me<strong>di</strong>terranea,<br />

nelle isole <strong>di</strong> Capo Verde e nell’Africa nord occidentale.<br />

I francesi chiamano questa pianta globulaire, gli inglesi globe flower e i tedeschi<br />

la in<strong>di</strong>cano come Kugelblume.<br />

Dato che le globularia sono piantine molto decorative e <strong>di</strong> facile coltura, ve<strong>di</strong>amo<br />

<strong>di</strong> conoscere meglio le specie più rappresentative e dalla fioritura più interessante,<br />

a cominciare dalla Globularia vulgaris, con in<strong>fiore</strong>scenze che spesso tendono<br />

al blu, da non confondere con la Globularia alypum, leggermente legnosa, tipica<br />

delle zone appenniniche, rocciose. Queste due specie, venivano ampiamente<br />

usate nell’antichità a scopo curativo, ma non <strong>di</strong> rado si verificavano gravi incidenti<br />

perché la Globularia alypum veniva confusa con la Globularia turbith dall’azione<br />

purgativa tanto violenta da averle meritato il nome <strong>di</strong> pianta terribile.<br />

In giar<strong>di</strong>no, le globularia, oltre che per formare bordure, sono davvero preziose<br />

per arricchire i cosiddetti muri fioriti, completi <strong>di</strong> tasche dove inserire i vari<br />

esemplari.<br />

Altrettanto interessante l’impiego <strong>della</strong> globularia sul giar<strong>di</strong>no roccioso, nel<br />

bordo misto all’inglese, oppure in basse ciotole da collocare lungo i vialetti, al<br />

margine dei lastricati oppure sul balcone.<br />

La globularia <strong>di</strong>venta così una pianta... domestica, conserva la sua grazia, ma<br />

sicuramente perde parte del suo fascino, del particolare contrasto fra la tenera<br />

grazia delle sue in<strong>fiore</strong>scenze e l’abituale aspetto dei luoghi in cui essa nasce<br />

allo stato spontaneo, là dove i suoi semi portati dal vento trovano le giuste<br />

con<strong>di</strong>zioni d’ambiente e <strong>di</strong> vita.<br />

Certo, le globularia sono piccole piante, quasi insignificanti nel complesso<br />

mosaico <strong>di</strong> specie vegetali che formano l’immenso tappeto <strong>di</strong> verde e <strong>di</strong> fiori<br />

che copre il pianeta chiamato Terra.<br />

Sono piccole specie, ma rappresentano un gra<strong>di</strong>no importante <strong>della</strong> scala che<br />

comincia con i muschi e i licheni e finisce con le sequoie e i baobab, i giganti<br />

ver<strong>di</strong> che dominano le foreste del nord o le savane.<br />

Possono sembrare pianticelle da niente, ma assicurano un’emozione se, camminando<br />

in montagna, a un tratto se ne scorge un cespo tra le rocce o <strong>di</strong> fianco<br />

a un canalone ghiaioso, dove sembra impossibile che un organismo così fragile<br />

possa vivere e fiorire in virtù del sole, del minimo nutrimento presente nel<br />

terreno povero <strong>di</strong> humus, con l’umi<strong>di</strong>tà portata a larghi intervalli dalle piogge<br />

occasionali o dallo sciogliersi delle nevi, a primavera.<br />

135


Globularia nu<strong>di</strong>caulis e Globularia punctata.<br />

Sembra che le Globularia abbiano imparato le sottili regole <strong>della</strong> sopravvivenza<br />

e a sfruttare ogni minimo appiglio pur <strong>di</strong> colonizzare un tratto <strong>di</strong> territorio.<br />

Non sapremo mai perché la Natura abbia scelto la globularia per questo compito<br />

e non una specie più robusta e in grado <strong>di</strong> reagire positivamente alle caratteristiche<br />

negative del suolo e del clima. Evidentemente, questa pianticella<br />

ha nei suoi tessuti sostanze capaci <strong>di</strong> reazioni chimiche del tutto particolari<br />

e del giusto grado <strong>di</strong> acclimatazione.<br />

Non sapremo mai il perché <strong>di</strong> quanto ha deciso madre Natura nel determinare<br />

la funzione <strong>della</strong> Globularia nel misterioso meccanismo che crea e conserva<br />

la vita sulla Terra, in ogni forma e momento. A noi, rimane soltanto la dolce<br />

esperienza <strong>di</strong> imbatterci a un tratto, fra i sassi, in un cuscino lilla, violetto o blu<br />

<strong>di</strong> globularie in <strong>fiore</strong>. D’istinto, saremo tentati <strong>di</strong> accarezzare la macchia fiorita,<br />

così come accarezzeremmo un antico scialle <strong>di</strong> ciniglia che in ogni frangia<br />

nasconde il ricordo <strong>di</strong> trascorse intimità, <strong>di</strong> irripetibili momenti.<br />

Un po’ come accade in ogni <strong>fiore</strong>, dove fra petalo e petalo si celano chissà quali<br />

segreti, chissà quante piccole storie.<br />

Certamente un pro<strong>di</strong>gio: quello <strong>della</strong> bellezza senza tempo e senza confini,<br />

nuova ogni giorno perché <strong>di</strong>segnata dal sole e dal vento, dal passare <strong>di</strong> una<br />

nuvola o dallo scorrere <strong>della</strong> pioggia fra le rughe <strong>della</strong> montagna. Tutto questo<br />

racconta la globularia e molte altre cose ancora.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Globularia Caratteristiche: specie erbacea perenne, alta<br />

Nomi popolari: bottonaria, testette, toson, <strong>fiore</strong> da 5 a 30 centimetri con foglie a spatola<br />

<strong>di</strong> san Luigi, teista neigra, sgoibe raccolte alla base, a rosetta. La vegetazione <strong>di</strong><br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Globulariacee<br />

Fiori: minuscoli, riuniti in capolini sferici, a<br />

piumino, azzurri, celesti o blu-lilla, solitari;<br />

questa specie resiste anche al freddo intenso.<br />

Anticamente la globularia, soprattutto nella<br />

specie turbith veniva utilizzata a scopo<br />

me<strong>di</strong>cinale<br />

emanano un aroma forte e appaiono nella<br />

tarda primavera<br />

Etimologia: dal latino globus, sfera, a in<strong>di</strong>care<br />

la particolare forma dei suoi capolini<br />

136


«Oh, andare, andare a passi tar<strong>di</strong>,<br />

da tanca a tanca...<br />

a coglier l’erbe buone e i car<strong>di</strong><br />

d’oro;<br />

a mangiar <strong>di</strong> quell’erbe e <strong>di</strong> quei<br />

car<strong>di</strong>».<br />

Sebastiano Satta<br />

La carlina, ama il cielo sereno<br />

Fra l’erba dei pascoli, bassa e un po’ bruciata, la Carlina acaulis sembra una<br />

margherita color argento, ritagliata in una paglia iridescente. È un’in<strong>fiore</strong>scenza<br />

a capolino, con un cuore formato da fiori tubolari <strong>di</strong>sposti a cuscino e una<br />

corona <strong>di</strong> brattee simili a petali, sottili e acuminati, che la rendono quanto mai<br />

vistosa, appariscente, subito in<strong>di</strong>viduabile dai pochi insetti che volano ad alta<br />

quota.<br />

Infatti, la carlina, una delle specie più singolari <strong>della</strong> flora <strong>di</strong> montagna, è presente<br />

sino a 2800 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, a un palmo dalle gran<strong>di</strong> cime e a due palmi<br />

dalle nuvole.<br />

Già, le nuvole, questi gran<strong>di</strong> fiocchi bianchi o grigi che giocano a nascondere<br />

il sole e poi scappano via, sul filo del vento e per non farsi riconoscere mutano<br />

<strong>di</strong> continuo forma e colore, come ombre cinesi sullo schermo immenso del<br />

cielo.<br />

137


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Carlina acaulis<br />

Nomi popolari: rosa <strong>di</strong> terra, cardo argentino,<br />

carcioffola <strong>di</strong> montagna, spino <strong>di</strong> prato,<br />

cariopinto<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Composite<br />

Fiori: capolini molto gran<strong>di</strong>, con una corona <strong>di</strong><br />

brattee dalla consistenza pagliosa, argentee;<br />

questi strani fiori sono privi <strong>di</strong> gambo o «caule».<br />

Il <strong>di</strong>ametro arriva a 15 centimetri. Appaiono da<br />

luglio a settembre e sono sensibilissimi alle<br />

variazioni climatiche, tanto da essere noti come<br />

«fiori segnatempo»<br />

Caratteristiche: foglie coriacee, riunite in una<br />

rosetta basale; presentano lobi molto<br />

segmentati, pungentissimi. Sono piante assai<br />

ricercate dagli insetti melliferi<br />

Etimologia: l’origine del nome è controversa;<br />

secondo Linneo ricorda il kaiser Carlo V (1500­<br />

1558) il cui esercito colpito dalla peste, pare<br />

sia stato guarito da una pozione a base <strong>di</strong><br />

carlina; altri sostengono che l’aneddoto<br />

riguar<strong>di</strong> le truppe <strong>di</strong> Carlo Magno<br />

La carlina non ama questo gioco, vuol vedere soltanto azzurro e sole e<br />

quando l’aria si fa umida e l’orizzonte si oscura, chiude il suo grande<br />

occhio argenteo, quasi non volesse guardare. La corona <strong>di</strong> brattee si<br />

ripiega verso il centro <strong>della</strong> corolla, ma non per capriccio; per uno scopo<br />

ben preciso: proteggere il cuore <strong>della</strong> carlina dove si nascondono gli<br />

organi <strong>della</strong> riproduzione. Se l’umi<strong>di</strong>tà o la pioggia riuscissero a inumi<strong>di</strong>re<br />

il polline, la pianta avrebbe ben poche speranze <strong>di</strong> essere riprodotta<br />

grazie alla visita degli insetti pronubi, ossia degli insetti incaricati <strong>di</strong><br />

facilitare le nozze tra <strong>fiore</strong> e <strong>fiore</strong>.<br />

Tutti sanno che in montagna il clima è quanto mai variabile e che nel giro<br />

<strong>di</strong> pochi minuti il sole appare e scompare, l’aria si raffredda o si riscalda<br />

e questi mutamenti si traducono per la simpatica quanto pungente<br />

Carlina acaulis in un continuo aprirsi e chiudersi, quasi come fanno le<br />

valve <strong>di</strong> una conchiglia. Il comportamento <strong>di</strong> questa in<strong>fiore</strong>scenza le ha<br />

meritato un posto d’onore fra le specie segnatempo, tanto è vero che<br />

sulla porta delle baite e delle malghe non è raro vedere appeso un mazzo<br />

<strong>di</strong> carline con il compito <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care con <strong>di</strong>ligenza il tempo che farà.<br />

Infatti, queste in<strong>fiore</strong>scenze conservano la loro proprietà e sensibilità<br />

igrometrica anche dopo essere state raccolte; basta che il tasso <strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà<br />

atmosferica superi un certo livello perché il nostro segnatempo vegetale<br />

si metta in movimento.<br />

Un comportamento davvero interessante, noto in tutta Europa e che ha reso<br />

quanto mai popolare la carline des Alpes (per i francesi), Stemless carline thistle<br />

(per gli inglesi) e che i tedeschi chiamano Silber<strong>di</strong>stel. In Italia la si conosce<br />

come «spin de pra», «rosa <strong>di</strong> terra», «cardunceddu», «cardu argentin», «carcioffola<br />

de montagna».<br />

È una specie che vanta anche qualche merito in campo erboristico, tanto è vero<br />

che la sua ra<strong>di</strong>ce viene utilizzata per preparare pozioni <strong>di</strong> buona efficacia a<br />

scopo <strong>di</strong>sintossicante e <strong>di</strong>uretico.<br />

Ben <strong>di</strong>fferente l’uso antico, quando si credeva che lo «spin de pra» potesse agire<br />

contro il mal nero, ossia la peste (purtroppo <strong>di</strong> recente tornata alla ribalta in<br />

In<strong>di</strong>a) tanto è vero che stando alle cronache le truppe <strong>di</strong> Carlo Magno o <strong>di</strong> Carlo<br />

V vennero curate con gran decotti <strong>di</strong> Carlina acaulis quando la terribile infezione<br />

prese il profilo dell’epidemia.<br />

È improbabile che la cura sia stata <strong>di</strong> una qualche efficacia, se non per un<br />

effetto placebo, utile per dare ai soldati l’impulso a continuare le faticosissime<br />

marce.<br />

In queste vicende <strong>di</strong> guerra la pianta <strong>di</strong> cui ci stiamo occupando è stata così<br />

importante che l’origine del suo nome scientifico pare sia da attribuire proprio<br />

al ricordo dei due condottieri appena ricordati.<br />

Un’altra versione, forse la più atten<strong>di</strong>bile, fa risalire il nome carlina a car<strong>di</strong>na,<br />

ossia piccolo cardo e, in realtà, la nostra piantina segnatempo è proprio<br />

un cardo senza gambo (acaulis, senza caule) <strong>di</strong>fferente dalla Carlina vulgaris<br />

che occupa lo stesso habitat ma è fornita <strong>di</strong> un fusto ramificato e non presenta<br />

un meccanismo <strong>di</strong> reazione altrettanto rapido al variare del clima. Di quest’ultimo<br />

tipo <strong>di</strong> carlina bisogna <strong>di</strong>re che il suo territorio supera il mare Me<strong>di</strong>terraneo<br />

e raggiunge le coste africane, <strong>di</strong>ffondendosi particolarmente in Egitto<br />

e in Abissinia.<br />

La Carlina acaulis, invece, possiede uno spirito decisamente europeo e dopo<br />

aver colonizzato le Alpi e gli Appennini ha raggiunto la Spagna, i Balcani e la<br />

Russia centrale.<br />

Per completare il nostro incontro con la rosa <strong>di</strong> terra o spin de pra che <strong>di</strong>r si<br />

voglia, aggiungiamo che questa pianta così particolare appartiene alla famiglia<br />

delle Composite, <strong>di</strong> cui fanno parte anche le margherite, tanto per intenderci,<br />

e conta una ventina <strong>di</strong> specie che non godono la stessa popolarità dell’argentea<br />

in<strong>fiore</strong>scenza che, pur non alzandosi oltre il livello <strong>della</strong> magra erba dei<br />

pascoli, non fa che guardare il cielo.<br />

Sembra quasi stregata dal celeste, dall’azzurro o dal pervinca <strong>della</strong> grande<br />

volta che chiude la montagna come sotto una cupola d’aria, <strong>di</strong> sole, <strong>di</strong> colori,<br />

<strong>di</strong> vento. Sembra stregata da tanta meraviglia la Carlina acaulis e non sopporta<br />

proprio che l’ombra <strong>di</strong> una nuvola possa privarla <strong>di</strong> uno spettacolo così<br />

suggestivo.<br />

Meglio, molto meglio comandare a una corona <strong>di</strong> cellule particolari <strong>di</strong> produr­<br />

138


e la giusta quantità <strong>di</strong> auxina, sostanza ormonale che ha il potere <strong>di</strong> indurre<br />

un processo chimico utile a far compiere a determinate parti <strong>di</strong> una pianta dei<br />

movimenti o a provocare importanti variazioni: il mutar colore delle foglie in<br />

autunno, la caduta dei frutti in soprannumero, la reazione <strong>della</strong> Mimosa pu<strong>di</strong>ca<br />

o sensitiva che quando viene sfiorata abbassa il fogliame quasi fosse appassito<br />

e per convincere gli animali erbivori a passar oltre, a cercare una vegetazione<br />

più fresca.<br />

Questa complessa elaborazione chimica, sicuramente svilita da una descrizione<br />

così sintetica, nella carlina segnatempo impone alle brattee <strong>della</strong> corona <strong>di</strong><br />

richiudersi, <strong>di</strong> raccogliersi a protezione dei fiori centrali. Ed è per questo ingegnoso<br />

stratagemma che scomparse le nuvole la carlina torna a farsi stregare<br />

dall’azzurro, dal cielo sereno e riacquista i suoi riflessi <strong>di</strong> madreperla, sicuro<br />

richiamo per gli insetti che volano lassù, in cima alla montagna.<br />

139


Un pettirosso trillò fra i rami del<br />

caprifoglio e nel suo canto erano<br />

stranamente intrecciate la dolcezza<br />

<strong>della</strong> vita e la tristezza <strong>della</strong> morte.<br />

Ma nulla era più dolce a u<strong>di</strong>rsi...<br />

M. Kinnan Rawlings<br />

Il caprifoglio soave, profumata presenza<br />

È un arbusto fra i più decorativi, compreso nella categoria dei rampicanti, grazie<br />

ai suoi fusti sottili e tenaci, flessibili, più esattamente definiti volubili, che<br />

si allungano per vari metri, letteralmente avviluppando alberi e cespugli, spesso<br />

soffocandoli in un abbraccio mortale, mentre lo straor<strong>di</strong>nario profumo dei<br />

suoi fiori pervade tutto il bosco.<br />

Il caprifoglio o Lonicera occupa un posto importante anche tra le specie da<br />

giar<strong>di</strong>no e da balcone; per la robustezza, la velocità <strong>di</strong> crescita e, inutile ripeterlo,<br />

la fragranza straor<strong>di</strong>naria delle sue sommità fiorite, leggere, eleganti,<br />

simili a fiocchi <strong>di</strong> petali arricciati: bianco-avorio nella Lonicera caprifolium, giallo<br />

chiarissimo sfumati in rosso nella Lonicera periclymenum.<br />

Nel linguaggio popolare questi arbusti sono chiamati madreselva, matrisilva,<br />

abbracciabosco, seresetta, ciucciabecco.<br />

I francesi, a sottolineare la pre<strong>di</strong>lezione delle capre per le foglie <strong>della</strong> lonicera,<br />

si limitano alla traduzione letterale <strong>di</strong> chèvrefeuille; gli inglesi, con honeysuckle,<br />

ricordano che alla base delle corolle del caprifoglio si nasconde una dolcissima<br />

goccia <strong>di</strong> nettare; in tedesco le cose si complicano un po’ sul piano semantico<br />

e il <strong>di</strong>zionario traduce così: Jelänger-jelieber.<br />

Visto che stiamo parlando <strong>di</strong> nomi e significati, restiamo in tema e ve<strong>di</strong>amo<br />

che i Greci, come documenta Dioscoride, chiamavano il caprifoglio periclymenon<br />

da perikleio (io mi attacco) in riferimento all’abitu<strong>di</strong>ne <strong>della</strong> Lonicera<br />

<strong>di</strong> avvolgersi con forza a qualsiasi sostegno.<br />

Anticamente i due arbusti <strong>di</strong> cui stiamo parlando, vere e proprie gemme dei<br />

nostri boschi, erano tenuti in grande considerazione anche come specie me<strong>di</strong>cinali;<br />

infatti, Egizi, Greci e Romani ne usavano la corteccia per decotti ad<br />

azione <strong>di</strong>sinfettante e <strong>di</strong>uretica.<br />

Durante il Me<strong>di</strong>oevo, nella fase <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione fra magia, alchimia e me<strong>di</strong>cina,<br />

l’impiego del caprifoglio venne cancellato dall’elenco delle specie utili<br />

alla farmacopea popolare, anche perché si era scoperto che le sue bacche,<br />

rosse e lucide, riunite in mazzetti, sono pericolose per la presenza<br />

<strong>di</strong> un glucoside tossico.<br />

Queste le caratteristiche e, in sintesi, la storia <strong>di</strong> un rampicante che<br />

se rappresenta una preoccupazione per i guar<strong>di</strong>aboschi che lo vedono<br />

abbracciare con eccessiva... fedeltà le piante che lo circondano, è invece apprezzato<br />

da chi vuole ottenere in poco tempo una parete verde e fiorita.<br />

Sono dello stesso parere le api, ghiotte del dolce e profumato<br />

nettare che le attira e le costringe a trasportare il polline da una<br />

corolla all’altra e, in tal modo, fecondarle.<br />

Non è questo il solo merito <strong>della</strong> Lonicera che si impone alla nostra<br />

attenzione anche per la sua tendenza a correre sul suolo se non trova<br />

un appiglio verticale. Questo comportamento ha suggerito l’impiego<br />

del caprifoglio come copertura delle scarpate e lungo gli svincoli autostradali<br />

dove è necessario tappezzare il suolo pur mantenendo la massima visibilità.<br />

Il caprifoglio è l’ideale in questo senso e realizza un tappeto folto e intricato,<br />

elastico e capace <strong>di</strong> ammortizzare gli urti, senza <strong>di</strong>menticare che per tutta<br />

l’estate si copre <strong>di</strong> fiori bianco-avorio a volte striati in rosso, dall’aroma inconfon<strong>di</strong>bile.<br />

La madreselva, o abbracciaboschi che <strong>di</strong>r si voglia, è dunque una pianta<br />

dalle multiformi virtù: specializzata in arrampicate, ma pronta ad adattarsi<br />

ad altre circostanze senza nulla perdere in bellezza e in vigore. Possiamo<br />

chiederle <strong>di</strong> coprire un berceau, o <strong>di</strong> dare un tono <strong>di</strong> leggiadria a un<br />

palo, a un camino che sporga da un terrazzo, ma evitiamo <strong>di</strong> farla<br />

salire sull’antenna <strong>della</strong> TV. Ne prenderebbe possesso e potremmo<br />

<strong>di</strong>re ad<strong>di</strong>o alla normale ricezione.<br />

Insomma, bisogna riservare al caprifoglio il rispetto che merita­<br />

140


no le creature del bosco, senza eccezione, nate per seguire una legge che le<br />

nostre cesoie possono con<strong>di</strong>zionare per qualche tempo, ma certamente non<br />

sopprimere, non mo<strong>di</strong>ficare in assoluto.<br />

Persino nel linguaggio floreale si riba<strong>di</strong>scono le caratteristiche salienti <strong>della</strong><br />

Lonicera che viene identificata con i legami d’amore; legami così esclusivi, così<br />

assoluti da trasformarsi in una presenza soffocante. Succede anche alle passioni<br />

umane, quando la gelosia e la smania <strong>di</strong> possesso finiscono per togliere leggerezza<br />

e splendore ai sentimenti e lasciar apparire soltanto l’egoismo mascherato<br />

da passione.<br />

Il caprifoglio, se non altro, nasconde i suoi <strong>di</strong>fetti con una profusione <strong>di</strong> fiori e<br />

riesce, anche da lontano, a tessere una trama d’incanto, <strong>di</strong> sottile magia, grazie<br />

al profumo che si spande per l’aria e si fa ancora più penetrante e speziato<br />

verso sera. È allora, nella luce incerta del tramonto, che l’atmosfera si carica<br />

<strong>di</strong> umi<strong>di</strong>tà e trasporta sciarpe d’aromi e fragranze oltre la cortina degli alberi,<br />

al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> macchia verde del bosco, oltre il profilo delle siepi e la morbida<br />

<strong>di</strong>stesa dei prati.<br />

Tutto questo ha nome caprifoglio e rientra nei doni <strong>della</strong> nostra flora, quella<br />

spontanea, che da migliaia <strong>di</strong> anni veste <strong>di</strong> incomparabile bellezza lo straor<strong>di</strong>nario<br />

Paese, botanicamente parlando, dove abbiamo la fortuna <strong>di</strong> vivere e che<br />

tanto spesso <strong>di</strong>mentichiamo <strong>di</strong> dover proteggere, <strong>di</strong> dover rispettare.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Lonicera tubo, che infine si allargano in quattro lobi<br />

Nomi popolari: madreselva, abbracciabosco,<br />

matrisilva, seresetta, ciuciabech.<br />

Origine: Asia orientale, Himalaya, Giava, Sud<br />

America, Europa. In Italia vivono allo stato<br />

spontaneo nove specie.<br />

Famiglia: Caprifogliacee<br />

arricciati; Profumo intenso e dolce. Appaiono in<br />

estate.<br />

Caratteristiche: arbusto dai fusti sottili, volubili,<br />

che possono raggiungere la lunghezza <strong>di</strong> sei<br />

metri e si avvolgono tenacemente agli alberi e<br />

a ogni possibile sostegno. Foglie caduche,<br />

ovali, più chiare sulla pagina inferiore.<br />

Fiori: raggruppati in sommità terminali, sono <strong>di</strong> Etimologia: il nome ricorda Adam Lonicer o<br />

color bianco-avorio, talvolta sfumati in rosso, Lonitzer (1528-1586) me<strong>di</strong>co, matematico,<br />

hanno un corto calice e corolle allungate, a botanico e naturalista.<br />

142


Esiste un vocabolario che può<br />

servire a comporre lunghe<br />

filastrocche che parlano <strong>di</strong><br />

tenerezza, che <strong>di</strong> una barchetta <strong>di</strong><br />

carta sa fare una vela che corre sul<br />

mare, da una pagliuzza che corre<br />

nel vento trae le ali <strong>di</strong> una farfalla,<br />

da un <strong>fiore</strong> simile a una manciata<br />

<strong>di</strong> sole ricava parole e parole<br />

d’amore.<br />

G. M.<br />

La violacciocca gialla sembra fatta <strong>di</strong> sole<br />

Il significato letterale <strong>di</strong> violacciocca, nome popolare del Cheiranthus, nelle<br />

specie cheiri e alpinus presenti sulle nostre montagne, è quello <strong>di</strong> viole in mazzetti,<br />

in ciocche, ma se vogliamo indagare in un ambito più dotto, non possiamo<br />

che accettare un’etimologia più incerta, quasi oscura che attribuisce alle<br />

parole Cheiranthus e cheiri dalla non meglio precisata origine araba.<br />

Ma non è tutto qui; infatti, nelle varie zone del nostro Paese, la violacciocca si<br />

riconosce come violetta gialla, e barcaro, garofana, viola groga.<br />

I francesi la chiamano carefée, giroflée de murailles, violer jaune; gli inglesi<br />

Wallflower e i tedeschi Goldlack.<br />

La violacciocca ha una storia antica, legata a primitive superstizioni, quando<br />

si credeva che la morte del padrone <strong>di</strong> casa coincidesse con il repentino appassimento<br />

<strong>di</strong> tutti i Cheiranthus esistenti presso l’abitazione, nelle fessure dei<br />

vecchi muri o sui cumuli <strong>di</strong> calcinacci.<br />

Una pianta resistente, dunque, <strong>di</strong> poche pretese, che soltanto un evento definitivo<br />

come la morte del capo famiglia poteva colpire. Al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> leggenda,<br />

le caratteristiche <strong>della</strong> violacciocca devono aver colpito profondamente la<br />

romantica personalità dei trovatori me<strong>di</strong>oevali che nella buona stagione non<br />

mancavano <strong>di</strong> guarnire i loro farsetti con un mazzolino <strong>di</strong> Cheiranthus, simbolo<br />

dell’amore che supera il tempo.<br />

Se aggiungiamo che la violacciocca gialla (quella rossa si chiama Matthiola) è<br />

deliziosamente profumata e fiorisce da marzo a maggio, nel più dolce momento<br />

dell’anno, si può ben capire l’interesse che in ogni tempo è stato riservato a<br />

questa umile pianta alpina, che ben si adatta anche a esser coltivata.<br />

Fra l’altro, non bisogna <strong>di</strong>menticare che la violacciocca è compresa fra le cosiddette<br />

piante nuziali, portatrici <strong>di</strong> felicità e fecon<strong>di</strong>tà, in grado <strong>di</strong> allontanare<br />

gli eventi negativi e <strong>di</strong> sollecitare i piaceri d’amore.<br />

Ancora oggi, in alcune zone alpine, il bouquet <strong>di</strong> nozze nella stagione adatta reca<br />

al centro un ciuffo <strong>di</strong> Cheiranthus circondato da timo che è un’altra specie beneaugurante,<br />

soprattutto in<strong>di</strong>cata per accrescere la virilità dello sposo.<br />

Certo, vedendo una violacciocca in <strong>fiore</strong> sullo sfondo <strong>di</strong> una parete <strong>di</strong> sassi, fra<br />

un pascolo e l’altro, non si può supporre che le sue corolle nascondano tanti<br />

piccoli segreti e una storia così intrigante e antica, certamente legata a mitologiche<br />

vicende e riti tribali che si perdono nelle ombre del passato.<br />

Può sembrare soltanto una manciata <strong>di</strong> sole che si è impigliata fra le pietre, può<br />

sembrare soltanto un ciuffo <strong>di</strong> petali che il vento ha <strong>di</strong>menticato <strong>di</strong> raccogliere<br />

e, invece, si tratta <strong>di</strong> una violacciocca che nella specie Cheiranthus alpinus<br />

proviene dalla Norvegia e dalla Lapponia, mentre nella cheiri vanta un’origine<br />

più nostrana.<br />

In ogni caso, una pianta da non trascurare e che nei tempi andati era considerata<br />

sicuro rime<strong>di</strong>o contro l’itterizia in virtù <strong>della</strong> teoria <strong>della</strong> signatura per cui<br />

forma e colore <strong>di</strong> una foglia, <strong>di</strong> un <strong>fiore</strong>, erano sicuri in<strong>di</strong>zi per in<strong>di</strong>care la loro<br />

vali<strong>di</strong>tà terapeutica verso un organo o una malattia che presentassero una<br />

caratteristica che ricorda l’aspetto <strong>della</strong> specie in questione. Nel caso <strong>della</strong><br />

violacciocca il giallo dei petali indusse a pensare che essa potesse guarire l’itterizia.<br />

Oggi, comunque, i Cheiranthus non sono compresi fra le specie me<strong>di</strong>cinali <strong>di</strong><br />

maggior interesse ed è riconosciuta loro soltanto un buon contenuto in vitamina<br />

C, senza alcuna, possibilità <strong>di</strong> sfruttamento.<br />

Interessante, invece, l’impiego delle violacciocche gialle come elemento decorativo<br />

per i giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> stile spontaneo o rustico, soprattutto nelle zone collinari<br />

o sui primi contrafforti <strong>della</strong> montagna, anche se il terreno è povero e il clima<br />

scarso <strong>di</strong> piogge.<br />

Oltre ad ammirare questa pianta nei luoghi ove cresce spontanea, giusto in un<br />

pugno <strong>di</strong> terra fra le rocce, vale dunque la pena <strong>di</strong> farla ambientare anche nel<br />

143


Sopra e a sinistra: Matthiola<br />

incana rossa e bianca.<br />

A destra: Violacciocca gialla.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Cheiranthus cheiri e alpinus;<br />

Nomi popolari: viole in mazzetti, viole in<br />

ciocche, violetta gialla, barcaro, garofana e<br />

viola groga;<br />

Origine: Europa centro meri<strong>di</strong>onale, Norvegia<br />

e Lapponia;<br />

Famiglia: Crucifere;<br />

Fiori: profumati, composti da quattro petali,<br />

solitamente gialli, qualche volta sfumati in<br />

arancione o in bruno. Appaiono da marzo a<br />

giugno.<br />

Caratteristiche: specie erbacea biennale alta<br />

da venti a sessanta centimetri, con foglie ovaliallungate,<br />

pelose, ben <strong>di</strong>stribuite su fusti eretti<br />

che alla base tendono a farsi leggermente<br />

legnosi. Gli esemplari <strong>di</strong> violacciocca gialla<br />

hanno un portamento elegante e si <strong>di</strong>spongono<br />

in ciuffi non troppo fitti.<br />

Etimologia: il nome è <strong>di</strong> origine araba, ma il<br />

vero significato è incerto. Probabilmente esso<br />

deriva da un sostantivo che stava a in<strong>di</strong>care un<br />

<strong>fiore</strong> simile al Cheiranthus.<br />

144<br />

nostro habitat, dove realizzerà una viva macchia dal riflesso solare, in gradevole<br />

contrasto con il verde o con il grigio delle pietre.<br />

A proposito <strong>di</strong> colore, val la pena <strong>di</strong> ricordare anche la violacciocca rossa o<br />

Matthiola incana, che fiorisce dalla primavera all’estate con spighe più vistose<br />

<strong>di</strong> quelle del Cheiranthus cheiri e in colori ben <strong>di</strong>versi dal tipico giallo <strong>della</strong><br />

violacciocca che è la protagonista <strong>di</strong> questo capitolo. La Matthiola, infatti, si<br />

copre <strong>di</strong> corolle che vanno dal rosso cupo al mattone, dall’arancione al cremisi,<br />

dal lilla al viola, dal bianco al rosa intenso. È una pianta più appariscente<br />

<strong>della</strong> violacciocca gialla, ma è meno facile trovarla allo stato spontaneo: in<br />

compenso viene coltivata con successo e si rivela oltremodo decorativa.<br />

I botanici e i naturalisti riservano comunque la loro simpatia e il massimo interesse<br />

per il Cheiranthus cheiri, una delle espressioni più gentili <strong>della</strong> flora italiana<br />

pur così ricca <strong>di</strong> specie e varietà, <strong>di</strong> spunti cromatici.<br />

Per questo, a ogni ritorno <strong>della</strong> primavera sarà una piccola emozione scoprire<br />

la macchia <strong>di</strong> luce <strong>di</strong> una violacciocca gialla sull’asperità <strong>di</strong> un muretto <strong>di</strong><br />

sassi e potremo illuderci per un attimo che il sole sia rimasto impigliato fra le<br />

pietre, quasi a voler restare fra noi, chiuso nelle trame <strong>della</strong> leggenda che fa<br />

capo al Cheiranthus cheiri simbolo <strong>di</strong> felicità e fecon<strong>di</strong>tà.


LE<br />

«BUONE ERBE»<br />

DEL BOSCO<br />

E DEL PRATO<br />

145


«Non aggiungere al mio cibo la<br />

polvere del cartamo per dargli<br />

riflessi d’oro. Questa luce io la<br />

cerco nei tuoi occhi o nel sole<br />

quando sfiora l’orizzonte al limite<br />

del giorno».<br />

Steve McEacharn<br />

Il cartamo, abile imitazione dello zafferano<br />

146<br />

Il Carthamus tinctorius è convinto d’essere riuscito<br />

a confonderci le idee, tanto da poter essere<br />

scambiato con il prezioso, nobile Crocus sativus<br />

o zafferano. Pura illusione visto l’aspetto del tutto<br />

<strong>di</strong>fferente delle due piante, appartenenti a famiglie<br />

dai caratteri opposti e dalla morfologia<br />

che non presenta punti <strong>di</strong> contatto.<br />

D’altra parte, il cartamo non ha del tutto torto visto<br />

che nella terminologia popolare questa pianta<br />

è nota come, zafferanone, zafferano matto, zafferano<br />

bastardo e così <strong>di</strong> seguito.<br />

Il motivo <strong>di</strong> questi soprannomi ha un fondamento<br />

preciso e molto antico, avallato anche<br />

dalla definizione scientifica <strong>di</strong> Carthamus che <strong>di</strong>scende<br />

per via <strong>di</strong>retta dall’arabo kurthum, che ha<br />

le sue ra<strong>di</strong>ci etimologiche nell’ebraico kartami, tingere,<br />

sostantivo che in Me<strong>di</strong>o Oriente nei tempi passati<br />

serviva a in<strong>di</strong>care le varie specie tintorie impiegate<br />

soprattutto per dare colore alla lana con la quale<br />

si tessevano poi i tappeti, secondo una tecnica ancora<br />

in uso.<br />

Il cartamo entrava ed entra con pieno <strong>di</strong>ritto in questa categoria<br />

visto che i suoi fiori gialli o arancione forniscono due materie<br />

coloranti <strong>di</strong> notevole interesse: una gialla solubile in acqua e una<br />

rossa che reagisce nell’alcol. Quest’ultima è nota come cartamina, ma in<br />

gergo viene chiamata rosso vegetale ed è molto apprezzata dai pittori.<br />

In qualche zona dell’Africa settentrionale e in modo particolare in Algeria<br />

e Marocco, i fiori del cartamo, messi a macerare nell’alcol<br />

e poi trattati secondo una tecnica speciale,<br />

forniscono la base per produrre un eccezionale<br />

belletto che le in<strong>di</strong>gene usano per le guance, le labbra<br />

e le unghie.<br />

A questo punto, ci sembra giusto conoscere un po’ meglio il<br />

Carthamus tinctorius che è una specie annuale, alta da 20 a<br />

60 centimetri, con foglie <strong>di</strong> forma ovale allungata, spinose,<br />

verde chiaro con lievi maculature gialle; fra luglio e settembre<br />

appaiono le in<strong>fiore</strong>scenze, più esattamente i capolini<br />

(visto che il cartamo appartiene alle Composite),<br />

<strong>di</strong> color giallo-arancione, messi in risalto da vistose<br />

brattee sormontate da lunghe ciglia. Sotto le in<strong>fiore</strong>scenze<br />

un fitto ciuffo <strong>di</strong> foglie <strong>di</strong>sposte a collare serve<br />

a far risaltare l’intensa tonalità dei fiori. Un tempo il<br />

Carthamus tinctorius era reperibile soltanto negli orti o<br />

in piccole colture, ma in seguito si è <strong>di</strong>ffuso anche allo<br />

stato spontaneo e cresce, seppur in piccola quantità, nelle<br />

zone <strong>di</strong> montagna e <strong>di</strong> mezza montagna dell’Italia settentrionale,<br />

nei terreni incolti, alla base dei vecchi<br />

muri o fra i calcinacci.<br />

I princìpi attivi<br />

Oltre alle due sostanze coloranti già ricordate,<br />

fra cui la cartamina o rosso vegetale, che<br />

serve ai pittori e alla preparazione artigianale<br />

<strong>di</strong> un belletto decisamente rosso, il Carthamus tin­


ctorius viene impiegato per ravvivare la tinta <strong>di</strong> liquori, bibite, sciroppi e persino<br />

il burro.<br />

A parte questi impieghi particolari, chiaramente limitati a un uso tra<strong>di</strong>zionale<br />

più che ad attività <strong>di</strong> tipo industriale, il cartamo viene tenuto in considerazione<br />

per alcuni suoi costituenti <strong>di</strong> buon interesse a livello farmacologico: gluci<strong>di</strong>,<br />

lipi<strong>di</strong>, proti<strong>di</strong>, vitamina C, cellulosa, un enzima contenuto nei semi e che ha<br />

la proprietà <strong>di</strong> far coagulare il latte, un olio incluso fra i grassi insaturi, con<br />

azione anti-colesterolo, benefico per chi soffre <strong>di</strong> ipertensione.<br />

L’olio contenuto nei semi <strong>di</strong> cartamo, che è molto amaro, esercita una buona<br />

funzione purgativa e dopo un’opportuna depurazione per renderlo gradevole<br />

al palato, viene consigliato alle persone che seguono una <strong>di</strong>eta priva <strong>di</strong><br />

grassi animali e povera <strong>di</strong> quelli vegetali, per integrare giustamente l’alimentazione<br />

ed evitare carenze sempre pericolose; l’uso <strong>di</strong> olio <strong>di</strong> cartamo è raccomandato<br />

agli obesi, ai car<strong>di</strong>opatici e a quanti denunciano fenomeni <strong>di</strong> aterosclerosi.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Da quanto abbiamo detto, è evidente che il Carthamus tinctorius non è fra le<br />

specie me<strong>di</strong>cinali <strong>di</strong> uso più comune e <strong>di</strong> più largo impiego, ma è comunque<br />

interessante per le specifiche utilizzazioni, come la coagulazione del latte, che<br />

risalgono ad epoche assai remote.<br />

A parte quest’uso un po’ particolare, del resto ancora vivo presso le tribù noma<strong>di</strong><br />

del Nordafrica, il cartamo serve per:<br />

– frizioni: si eseguono con l’olio ottenuto schiacciando o pestando i semi e che<br />

viene passato ripetutamente sugli arti dolenti per forme reumatiche o anche<br />

in seguito a contusioni o per postumi <strong>di</strong> fratture. Le frizioni devono essere leggere<br />

e ripetute due volte al giorno; per ottenere risultati positivi e duraturi,<br />

è opportuno continuare la cura per almeno una settimana;<br />

– decotto con azione purgativa: si prepara con 10 grammi <strong>di</strong> semi <strong>di</strong> cartamo<br />

bolliti per <strong>di</strong>eci minuti in un litro <strong>di</strong> acqua. La dose da assumere è <strong>di</strong> un bicchiere<br />

al giorno, a <strong>di</strong>giuno, ma la cura deve essere approvata da un me<strong>di</strong>co<br />

e, comunque, non è consigliabile per quanti soffrono <strong>di</strong> colite o <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>sturbi<br />

intestinali, oppure per i bambini e le persone anziane.<br />

Per concludere il nostro incontro con il Carthamus tinctorius vogliamo ricordare<br />

una curiosità: i semi <strong>di</strong> questa pianta sono oltremodo amari e, malgrado il sapore<br />

<strong>di</strong>sgustoso, rappresentano una vera leccornia per i pappagalli. Una delle<br />

tante stranezze <strong>di</strong> cui il mondo <strong>della</strong> Natura è ricchissimo e che noi an<strong>di</strong>amo<br />

scoprendo, a mano a mano, registrando anche le connessioni tra la vita degli<br />

animali e la presenza <strong>di</strong> determinate piante, lungo il contorno <strong>di</strong> un <strong>di</strong>segno che<br />

si rivela, ogni volta, sempre più complesso, interessante e, qualche volta, misterioso.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Carthamus tinctorius terminano con filamenti a ciglia. I petali sono<br />

Nomi popolari: zafferanone, cartamo<br />

officinale, zafferano bastardo, safranùn,<br />

zafràn, urfaru, usciuru, zafferano matto, gruogo<br />

Origine: Asia, isole Canarie, Egitto, Europa<br />

meri<strong>di</strong>onale, Etiopia<br />

Famiglia: Composite<br />

utilizzati come sostitutivo dello zafferano,<br />

oppure per colorare stoffe, produrre cosmetici o<br />

ricavarne la cartamina, usata dai pittori<br />

Caratteristiche: specie annuale, alta da 10 a<br />

60 centimetri, dalle foglie oblunghe, dentate e<br />

spinose, ricche <strong>di</strong> vitamina C. Foglie e semi<br />

contengono un enzima in grado <strong>di</strong> far cagliare<br />

Fiori: minuscoli, giallo-arancione, riuniti in il latte<br />

gran<strong>di</strong> capolini solitari; appaiono in estate. Etimologia: il nome deriva dall’arabo kortum e<br />

Sono circondati da vistose brattee che dall’ebraico kartami che significano colore<br />

147


«...una foglia odorosa, una foglia<br />

d’una <strong>di</strong> quelle erbe che crescono<br />

anche in un vaso <strong>di</strong> terracotta sui<br />

davanzali delle finestre nei<br />

campielli solitari».<br />

Gabriele d’Annunzio<br />

La menta, una ninfa trasformata in profumo<br />

Fra le storie <strong>di</strong> origine mitologica, una delle più poetiche è quella che parla <strong>di</strong><br />

Menta o Mintha, una ninfa che calpestata nel sonno da Demetra, dea delle piante<br />

e dei cereali, venne trasformata dai padri dell’Olimpo in una piccola pianta<br />

dal singolare destino: le sue foglie avrebbero emanato un intenso aroma soltanto<br />

se schiacciate o stropicciate. Al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> queste fantasie, che hanno pur sempre<br />

il fascino <strong>di</strong> una fiaba, possiamo affermare che le mente, in genere, sono tra<br />

le piante che vantano una antichissima attenzione da parte dell’uomo per le<br />

loro virtù aromatiche e terapeutiche. Infatti, già alcuni millenni prima <strong>di</strong> Cristo,<br />

nella farmacopea cinese si teneva in gran conto il potere calmante e antispasmo<strong>di</strong>co<br />

<strong>della</strong> menta che veniva in<strong>di</strong>cata come «cuore <strong>di</strong> giada»; ed è noto che<br />

per gli Orientali la giada nasconde segreti poteri e una benefica influenza sul<br />

corpo e sullo spirito.<br />

Ne erano convinti anche i Greci, e lo testimoniano gli scritti <strong>di</strong> Ippocrate – un<br />

me<strong>di</strong>co vissuto 4 secoli prima <strong>di</strong> Cristo –, che attribuiva alla pianta <strong>di</strong> cui stiamo<br />

scrivendo anche un alto potere afro<strong>di</strong>siaco; Plinio il Vecchio, invece, un<br />

funzionario romano morto nel 79 a.C., eru<strong>di</strong>to autore <strong>della</strong> Naturalis historia che<br />

rappresenta il più vasto e documentato compen<strong>di</strong>o del sapere antico, parlò<br />

<strong>della</strong> Mentha come <strong>di</strong> un efficace analgesico, ottimo per lenire un gran numero<br />

<strong>di</strong> dolori: dagli spasmi muscolari al dolor <strong>di</strong> denti, dal mal <strong>di</strong> stomaco all’emicrania.<br />

Dal Me<strong>di</strong>oevo in poi, con il progre<strong>di</strong>re dell’interesse scientifico e la ricerca <strong>di</strong><br />

vali<strong>di</strong> me<strong>di</strong>camenti <strong>di</strong> origine vegetale, le virtù <strong>della</strong> menta si rivelarono assai<br />

più ampie <strong>di</strong> quanto non fossero apparse sino a quel momento e ancora oggi,<br />

tutto sommato, si ritiene che da questa pianta, nelle sue molte specie, si possano<br />

ricavare nuovi «principi» attivi ampiamente utilizzabili a scopo terapeutico<br />

oppure in campo alimentare, per non parlare del settore cosmetico. Seppure<br />

esistano sensibili <strong>di</strong>fferenze nel tipo e nella quantità delle sostanze che<br />

entrano nella struttura delle varie mente, i componenti principali <strong>di</strong> queste<br />

piante possono essere in<strong>di</strong>cati sinteticamente secondo questo elenco:<br />

• olio essenziale; acetato <strong>di</strong> metile; mentone; derivati terpenici: mentene, pinene,<br />

fellandrene, limonene, eccetera; tannino; resina; pectina; enzimi: ossidasi,<br />

perossidasi glucoside; saponina acida, carotene.<br />

E ovvio che la percentuale e la presenza stessa <strong>di</strong> alcuni elementi varia in modo<br />

notevole nella menta essiccata rispetto a quella fresca. Anche l’aroma è sicuramente<br />

più intenso nelle foglie degli esemplari in piena attività vegetativa e,<br />

in tal senso, incidono anche le con<strong>di</strong>zioni climatiche; infatti, la maggiore intensità<br />

aromatica si ha nelle giornate <strong>di</strong> sole e nelle ore centrali <strong>della</strong> giornata, alla<br />

fine <strong>della</strong> pioggia e nel periodo <strong>di</strong> tempo che va da metà giugno a metà luglio,<br />

da fine agosto a fine settembre.<br />

Un genere molto ricco<br />

Le varie specie <strong>di</strong> Mentha appartengono alla famiglia delle Labiate, appaiono<br />

in <strong>di</strong>verse parti del mondo, ma sono considerate una tipica pianta me<strong>di</strong>terranea,<br />

elemento essenziale <strong>della</strong> famosa «macchia» arbustivo-erbacea che caratterizza<br />

le nostre coste e le regioni centro-meri<strong>di</strong>onali <strong>della</strong> Penisola. Le mente<br />

più <strong>di</strong>ffuse in Italia e presenti, in maggiore o minore quantità anche lungo la<br />

cerchia alpina e prealpina, sono le seguenti:<br />

Mentha arvensis, menta giapponese o menta <strong>di</strong> campo; Mentha citrata, menta<br />

bergamotto; Mentha longifolia, menta selvatica; Mentha piperita, menta inglese;<br />

Mentha pulegium, puleggio o mentuccia; Mentha requienii, mentella; Mentha<br />

rotun<strong>di</strong>folia, mentastro; Mentha spicata, menta verde.<br />

Complicato e non essenziale in<strong>di</strong>care le <strong>di</strong>fferenze strutturali caratteristiche <strong>di</strong><br />

ogni specie, visto che tutte possono essere usate per semplici me<strong>di</strong>camenti <strong>di</strong><br />

natura casalinga, lasciando alla farmacopea ufficiale l’utilizzazione più com­<br />

148


Mentha pulegium, Mentha spicata e Mentha<br />

suaveolens.<br />

plessa dei principi attivi contenuti nei tessuti fogliari e nelle sommità<br />

fiorite <strong>della</strong> Mentha e all’industria cosmetica e alimentare il<br />

compito <strong>di</strong> caratterizzare con l’aroma <strong>di</strong> menta e mentuccia i prodotti<br />

più vari: dalle gomme da masticare ai dentifrici, dalle caramelle<br />

ai liquori, agli sciroppi.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

È ovvio che nella pratica casalinga le proprietà <strong>della</strong> menta non<br />

possono essere sfruttate al massimo, tanto più che le virtù me<strong>di</strong>cinali<br />

<strong>di</strong> queste piante si nascondono soprattutto in un alcol che si<br />

estrae dall’essenza <strong>di</strong> menta, il mentolo, isolato alla fine del Settecento,<br />

in Olanda. Nei rime<strong>di</strong> casalinghi entrano soltanto poche tracce<br />

<strong>di</strong> mentolo, mentre le sofisticate attrezzature <strong>di</strong> laboratorio sono<br />

in grado <strong>di</strong> trarre dai tessuti vegetali il massimo <strong>della</strong> loro potenzialità<br />

<strong>di</strong> natura terapeutica. A ogni modo, è bene ricordare che le<br />

mente, in genere, possono essere utilizzate come:<br />

– infuso: un pizzico <strong>di</strong> foglie e fiori, freschi o essiccati, lasciati in<br />

infusione per una decina <strong>di</strong> minuti in acqua calda, forniscono un tè<br />

dalle molte virtù: bevuto subito dopo il pasto agisce da <strong>di</strong>gestivo;<br />

sorbito freddo durante la giornata serve da corroborante e da tonico<br />

per il sistema nervoso; assunto a metà mattina, o a metà pomeriggio,<br />

esplica una notevole azione sull’apparato gastrointestinale,<br />

contro fermentazioni e infezioni; bere una tazza <strong>di</strong> tè <strong>di</strong> menta<br />

prima <strong>di</strong> coricarsi assicura un sonno tranquillo. In ogni caso,<br />

volendo addolcire questa bevanda si suggerisce <strong>di</strong> preferire il miele<br />

allo zucchero;<br />

– analgesico: la menta ha il potere <strong>di</strong> lenire il dolore, perciò si rivela<br />

molto utile contro mal <strong>di</strong> capo, dolor <strong>di</strong> denti, contrazioni muscolari,<br />

contusioni e <strong>di</strong>storsioni. Le applicazioni possono essere <strong>di</strong> due<br />

tipi: semplicemente coprendo la parte dolorante con foglie fresche,<br />

dopo averle schiacciate con un batticarne per ridurle quasi in poltiglia.<br />

Coprire il cataplasma con una garza e con una falda <strong>di</strong> cotone<br />

idrofilo, lasciar agire sino a quando le foglie cominciano ad asciugarsi<br />

e, se necessario, ripetere la cura. Non avendo a <strong>di</strong>sposizione<br />

foglie fresche, bisogna preparare un decotto con cinque grammi <strong>di</strong><br />

prodotto essiccato ogni cento grammi <strong>di</strong> acqua, lasciando bollire<br />

per una decina <strong>di</strong> minuti; inzuppare del cotone idrofilo con questo<br />

decotto e procedere a un impacco;<br />

– antisettico: le piccole ferite, le punture <strong>di</strong> insetti o <strong>di</strong> spine trovano<br />

imme<strong>di</strong>ato sollievo se la pelle viene strofinata con foglie fresche<br />

<strong>di</strong> menta o tamponata con un batuffolo <strong>di</strong> cotone intriso <strong>di</strong> decotto<br />

preparato con il prodotto essiccato. Oltre a <strong>di</strong>sinfettare, la menta<br />

agisce anche da lieve anestetico;<br />

– aromatizzante: gli arabi ritengono che un rametto <strong>di</strong> menta immerso<br />

nell’acqua o nel tè, oltre a donare un fresco aroma, abbia il<br />

potere <strong>di</strong> rendere «puro» il liquido; noi non possiamo certo attribuire<br />

alla menta un potere <strong>di</strong>sinquinante, ma è certo che qualche foglia<br />

<strong>di</strong> questa pianta serve a dare un profumo particolare a frittate, sughi,<br />

funghi, piatti <strong>di</strong> pesce e minestre.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Mentha menta. Fioritura estiva<br />

Nomi popolari: mentastro, sosembro, erba Caratteristiche; erbacee perenni, aromatiche,<br />

pelosa, bonamente, erba <strong>di</strong>avolona, menta <strong>di</strong> largo impiego in me<strong>di</strong>cina e gastronomia,<br />

crespa, menta forte, pulegio, basilico selvatico, grazie alla presenza nei tessuti <strong>di</strong> queste piante<br />

neta <strong>di</strong> cort<br />

<strong>di</strong> un particolare elemento, il mentolo,<br />

Origine: Europa, Asia, Africa settentrionale<br />

Famiglia: Labiate<br />

stimolante, analgesico e antisettico che,<br />

somministrato a forti dosi, può rivelarsi<br />

pericoloso<br />

Fiori: piccoli e numerosi, riuniti in verticilli Etimologia: il nome ricorda la ninfa Minte,<br />

terminali; hanno una corolla che si apre in trasformata nell’aromatica pianta <strong>di</strong> cui stiamo<br />

quattro lobi ed emana, insieme alle foglie, il parlando, da Proserpina gelosa delle attenzioni<br />

tipico, fresco aroma delle varie specie <strong>di</strong> <strong>di</strong> Ade per Minte<br />

149


«Io salutava ad ogni passo la<br />

famiglia dei fiori e delle erbe<br />

odorose che a poco a poco<br />

alzavano il capo chino dalla<br />

brina».<br />

Ugo Foscolo<br />

Thymus polytricus<br />

Il timo, respiro <strong>della</strong> montagna<br />

«Chiu<strong>di</strong> gli occhi e ascolta: la montagna ti parla con mille suoni e si fa amare con<br />

l’aroma del timo». Così recita un antichissimo canto sardo e, in realtà sui monti,<br />

quando soffia un leggero vento e l’aria è calda <strong>di</strong> sole, sembra proprio <strong>di</strong> sentirsi<br />

avvolti da un ansito lieve e poderoso insieme, che ha sentore <strong>di</strong> resina, <strong>di</strong><br />

fiori, ma soprattutto <strong>di</strong> timo. Una pianta proprio da niente, un arbustino alto<br />

una spanna dai fitti rami legnosi e contorti, con foglioline lunghe pochi millimetri<br />

e piccole spighe <strong>di</strong> fiori rosa o bianchi che appaiono da maggio a settembre.<br />

Un arbustino quasi insignificante ma che acquista un’inconfon<strong>di</strong>bile personalità<br />

soltanto a sfiorarlo perché da quelle foglioline emana un odore aromatico<br />

fra i più intensi e gradevoli <strong>della</strong> flora montana. Ed è stato senz’altro questo<br />

profumo così particolare, inconfon<strong>di</strong>bile, ad attirare l’attenzione dei primi erboristi<br />

e poi degli alchimisti e dei monaci intenti a preparare pozioni ed elisir<br />

ad azione stimolante e corroborante, espettorante, <strong>di</strong>sinfettante dell’intestino<br />

e <strong>di</strong>uretica.<br />

A quelle prime intuizioni hanno fatto seguito ricerche più approfon<strong>di</strong>te e specifiche<br />

sotto l’aspetto scientifico e non è improbabile che il futuro riservi altre<br />

acquisizioni circa le proprietà curative dei Thymus presenti sulle nostre montagne.<br />

Molti componenti<br />

Prima <strong>di</strong> descrivere quali e quanti sono i principi attivi, le sostanze e i composti<br />

che caratterizzano il timo, detto anche erbuccia, serpolino, pepolino, sermollino,<br />

erba pévera e ferrúgera, una curiosità che riguarda anche il mondo<br />

animale. Il timo, infatti, è tenuto in gran considerazione dagli abitanti del bosco<br />

e non sono pochi gli animali feriti o ammalati che per guarire inghiottono<br />

notevole quantità <strong>di</strong> foglioline e <strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> Thymus, fiduciosi nelle proprietà<br />

antisettiche <strong>di</strong> questa pianta.<br />

Inutile <strong>di</strong>re che questa abitu<strong>di</strong>ne si rifà ad esperienze antichissime, tramandate<br />

geneticamente da in<strong>di</strong>viduo a in<strong>di</strong>viduo lungo il corso <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni<br />

e che fanno parte <strong>della</strong> innata «sapienza» degli animali. Anzi, è indubbio che<br />

l’abitu<strong>di</strong>ne dell’uomo a servirsi <strong>di</strong> molte specie me<strong>di</strong>cinali risale proprio<br />

alle in<strong>di</strong>cazioni comportamentali delle creature selvatiche. Un tempo<br />

l’uomo primitivo – e questo accade ancora presso i popoli non industrializzati<br />

– sapeva capire e applicare tali suggerimenti facendone una<br />

norma <strong>di</strong> vita che poi è stata filtrata lungo l’arco dei secoli dalla quoti<strong>di</strong>ana<br />

esperienza e dall’apporto delle <strong>di</strong>verse culture etniche. Tutto questo<br />

ha portato alle attuali conoscenze e a stabilire che nel timo si nascondono<br />

molti componenti: olio essenziale; timolo; carvacrolo; derivati terpenici:<br />

linalolo; borneolo; cimolo; cineolo; levopinene; mentene; timene; tannino;<br />

resina; sali minerali; vitamina B1 e C; una saponina.<br />

Le tre specie<br />

Il genere Thymus è composto da un numero elevatissimo <strong>di</strong> specie; circa<br />

quattrocento, ma sulle nostre montagne se ne incontrano soprattutto tre:<br />

Thymus polytrichus, serpolino montano; Thymus praecox, pepolino, salaredda,<br />

riganeddu; Thymus vulgaris, erbuccia, erba pévera, ferrúgera.<br />

L’area <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione del timo è molto vasta e interessa, praticamente, tutta la<br />

Penisola, comprese Sicilia e Sardegna dai 300 ai 3000 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, con<br />

qualche localizzazione più intensa lungo l’arco alpino, nei luoghi ari<strong>di</strong> e pietrosi,<br />

su terreno calcareo e argilloso, in buon sole.<br />

La presenza dei Thymus è accertata anche sulle scogliere lungo le coste, soprattutto<br />

per quanto riguarda il Thymus vulgaris.


Thymus praecox.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Prima <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care le semplici pozioni casalinghe ottenibili con le foglie e i fiori<br />

del timo per coa<strong>di</strong>uvare la cura farmacologica <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>ffusi <strong>di</strong>sturbi, è giusto<br />

ricordare che è buona abitu<strong>di</strong>ne aromatizzare arrosti, sughi, frittate e piatti<br />

<strong>di</strong> verdura con il timo, fresco o secco che sia, per rendere più <strong>di</strong>geribile il cibo<br />

e anche per favorire il deflusso biliare con evidente vantaggio per la funzione<br />

epatica.<br />

Detto questo, precisiamo che è possibile preparare:<br />

– infuso: mettere a bagno tre-quattro grammi <strong>di</strong> foglie e fiori in cento grammi<br />

<strong>di</strong> acqua bollente per una decina <strong>di</strong> minuti e bere un bicchierino <strong>di</strong> questa<br />

pozione dopo i pasti, a scopo <strong>di</strong>gestivo e <strong>di</strong>sinfettante dell’apparato gastrointestinale<br />

e anche come coleretico per favorire il deflusso <strong>della</strong> bile;<br />

– tisana: due grammi <strong>di</strong> foglie e fiori fatti bollire due o tre minuti in cento grammi<br />

<strong>di</strong> acqua forniscono una pozione calmante e tonificante insieme, da bere tre<br />

o quattro volte al giorno, a tazzine, con l’aggiunta <strong>di</strong> un po’ <strong>di</strong> miele;<br />

– vino aromatico: si ottiene lasciando in infusione per <strong>di</strong>eci giorni cinque-sei<br />

grammi <strong>di</strong> foglie e fiori ogni cento grammi <strong>di</strong> vino bianco secco; in seguito,<br />

filtrare il vino e berne due o tre bicchierini al giorno come stimolante dell’appetito<br />

e anche come corroborante;<br />

– cicatrizzante: il decotto <strong>di</strong> timo (tre grammi <strong>di</strong> fiori e foglie ogni cento <strong>di</strong> acqua,<br />

bolliti per <strong>di</strong>eci minuti) serve a cicatrizzare piccole ferite e anche a frizionare<br />

le parti dolenti in seguito a <strong>di</strong>storsioni o a traumi <strong>di</strong> vario tipo.<br />

Aggiungiamo che le foglie <strong>di</strong> timo possono sostituire o aromatizzare il comune<br />

tè e ricor<strong>di</strong>amo che i fiori <strong>di</strong> questa pianta sono ricercatissimi dalle api che<br />

ne traggono un miele squisito, molto aromatico.<br />

Per terminare, una curiosità: le capre sono particolarmente ghiotte <strong>di</strong> timo che<br />

dona un profumo speciale al formaggio <strong>di</strong> origine caprina.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Thymus vulgaris ricercatissimi dalle api<br />

Nomi popolari: pepolino, ferrùgera, erba<br />

pèvera, sermollino, salaredda, riganeddu<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Labiate<br />

Caratteristiche: pianticelle semi-arbustive, alte<br />

da 10 a 30 centimetri, con rami eretti o<br />

prostrati e piccole foglie lanceolate, biancastre<br />

sulla pagina inferiore, aromatiche, ampiamente<br />

usate in me<strong>di</strong>cina, gastronomia e profumeria;<br />

Fiori: vellutati, odorosi, in fascetti o in spicastri contengono timolo e fenolo<br />

terminali; sono minuscoli, rosa o rosa-porpora e Etimologia: il nome deriva dal greco thymáo,<br />

si aprono da maggio a settembre. Sono profumo, aroma<br />

152


«...il profumo era così forte che mi<br />

guardavo intorno, per capir da<br />

quale albero provenisse; poi mi<br />

accorsi che l’aroma saliva a ondate<br />

dalle erbe, quasi fossero state<br />

cosparse da essenze odorose. Fra<br />

tutte, si <strong>di</strong>stingueva il sentore <strong>della</strong><br />

veronica».<br />

Guido Piovene<br />

Veronica officinalis.<br />

La veronica, erba <strong>della</strong> febbre<br />

È un genere <strong>di</strong> piante erbacee perenni che riunisce circa duecento specie, fra<br />

cui una trentina spontanee nel nostro Paese, sia presso il mare sia in montagna.<br />

È un genere dal nome gentile, italiano, un po’ ottocentesco: Veronica, in onore<br />

<strong>della</strong> santa; forse una delle pie donne che seguirono Gesù sul Golgota o forse<br />

santa Veronica Giuliani che dal 1716 al 1727 fu badessa nel convento delle Cappuccine,<br />

a Città <strong>di</strong> Castello.<br />

Vera l’una o l’altra versione, sta <strong>di</strong> fatto che una delle veroniche presenti sul<br />

nostro territorio, esattamente la Veronica officinalis, è una specie compresa tra<br />

le «officinali» ossia fra le piante che vantano un buon potere curativo accertato<br />

dall’esperienza popolare. Più nota in qualche zona, meno utilizzata in altre,<br />

la Veronica officinalis prende vari nomi: tè svizzero, tè d’Europa, occhi <strong>della</strong> Madonna,<br />

tè dei monti, erba dei tagli, ma la definizione che meglio la caratterizza<br />

è erba <strong>della</strong> febbre, viste le sue proprietà curative, particolarmente efficaci<br />

contro le malattie dell’apparato respiratorio, i <strong>di</strong>sturbi <strong>della</strong> <strong>di</strong>gestione e le intossicazioni<br />

del sangue; inoltre, è un buon galattogogo, ossia favorisce la montata<br />

lattea.<br />

I francesi la chiamano véronique, gli inglesi Speedwell e i tedeschi Ehrenpreiss<br />

e tutti sono d’accordo nel ritenere la Veronica officinalis un vero e proprio toccasana<br />

per molte affezioni, tanto è vero che nei secoli XVI e XVII i me<strong>di</strong>ci tedeschi<br />

le attribuirono il potere <strong>di</strong> guarire persino la tubercolosi che allora era<br />

molto <strong>di</strong>ffusa e <strong>di</strong> esito letale. Tutti si curavano con pozioni e cataplasmi<br />

<strong>di</strong> veronica e un certo Johann Frank scrisse un volume <strong>di</strong> ben trecento pagine<br />

de<strong>di</strong>cato a questa pianta e ai suoi meriti, volume che venne pubblicato<br />

in Germania nel 1690 e che venne poi tradotto in altre lingue.<br />

I principi attivi<br />

L’azione terapeutica <strong>della</strong> Veronica officinalis in particolare, che è la più apprezzata,<br />

ma anche <strong>della</strong> Veronica chamaedrys e <strong>della</strong> Veronica teucrium, <strong>di</strong>pende<br />

dalla presenza più o meno intensa <strong>di</strong> vari princìpi attivi, presenza che è determinata<br />

da molti fattori: natura del suolo, con<strong>di</strong>zioni climatiche ed età <strong>della</strong><br />

pianta. Ad ogni modo, i componenti principali delle veroniche sono: tannino,<br />

sostanze resinose, sostanze amare, mannite, gomma, cera, olio volatile,<br />

una saponina, aci<strong>di</strong> organici, veronicina.<br />

Grazie a queste sostanze, i rime<strong>di</strong> a base <strong>di</strong> veronica, preparati<br />

secondo varie ricette, agiscono come: aperitivo, <strong>di</strong>gestivo,<br />

espettorante, sudorifero, antinfluenzale, come calmante <strong>di</strong> spasmi<br />

e dolori articolari. Tralasciando per un attimo il valore puramente<br />

curativo <strong>della</strong> Veronica officinalis, ricor<strong>di</strong>amo che le sue<br />

foglie servono a preparare anche un tè che può sostituire quello<br />

orientale, tanto è vero che questa specie entra nella composizione<br />

del famoso tè svizzero che raccoglie ben 13 piante <strong>di</strong>verse: assenzio,<br />

betonica, calaminta, camedrio, edera terrestre, issopo, origano, pervinca,<br />

rosmarino, salvia, scolopendrio, timo, veronica, con l’aggiunta<br />

<strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> antennaria e tussilagine.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Senza arrivare alle esagerazioni dei me<strong>di</strong>ci tedeschi <strong>di</strong> quattro secoli or sono,<br />

riconosciamo alla Veronica officinalis, in modo particolare, buone proprietà<br />

curative attraverso queste «preparazioni»:<br />

– tisana: si prepara mettendo in infusione due grammi <strong>di</strong> foglie e fiori essiccati<br />

ogni cento grammi <strong>di</strong> acqua calda, per <strong>di</strong>eci minuti. Poi, si filtra e si bevono<br />

due o tre tazze al giorno <strong>di</strong> questo gradevole tè, eventualmente con l’aggiunta<br />

<strong>di</strong> miele;<br />

153


Veronica chamaedrys.<br />

– decotto: è particolarmente efficace contro la febbre e si ottiene facendo bollire<br />

per cinque minuti un grammo, ossia un pizzico, <strong>di</strong> veronica in cento grammi<br />

<strong>di</strong> acqua; berne due tazzine al giorno;<br />

– infuso: si usa questa pozione soltanto per gargarismi in caso <strong>di</strong> infiammazione<br />

del cavo orale, oppure per lavare ferite e piaghe o per fare impacchi sulle<br />

articolazioni doloranti. L’infuso si ottiene con otto grammi <strong>di</strong> foglie e fiori lasciati<br />

per una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> minuti in cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente; ripetere<br />

l’applicazione più volte nel corso <strong>della</strong> giornata.<br />

A parte queste utilizzazioni <strong>di</strong> natura terapeutica, in molte località alpine vi è<br />

l’usanza <strong>di</strong> consumare i germogli più teneri <strong>di</strong> veronica in sostituzione dell’insalata<br />

oppure per cucinare squisite frittate e per arricchire il sapore delle minestre.<br />

Come ultima annotazione, si ricorda che il latte prodotto da mucche che<br />

pascolano dove le veroniche crescono più numerose ha un profumo e un sapore<br />

del tutto particolari, molto gradevoli. Le pecore sono ghiottissime dell’erba<br />

<strong>della</strong> febbre e non sapremo mai se si tratta <strong>di</strong> una questione <strong>di</strong> gusto oppure<br />

se la genetica «sapienza» degli animali suggerisce loro <strong>di</strong> cibarsi <strong>di</strong> Veronica<br />

officinalis per le sue proprietà curative.<br />

154<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Veronica<br />

Nomi popolari: occhi <strong>della</strong> Madonna, tè<br />

svizzero, tè d’Europa, tè del monte, erba del<br />

taj, erba <strong>della</strong> febbre<br />

Origine: Europa e Asia<br />

Famiglia : Scrofulariacee<br />

Fiori: sono <strong>di</strong> varia forma, solitari o riuniti in<br />

in<strong>fiore</strong>scenze, formati da quattro o da cinque<br />

petali: celesti, azzurro-viola, bianchi, rosa o<br />

lilla-blu, a seconda <strong>della</strong> specie. Fioritura estiva<br />

Caratteristiche: specie erbacee, talvolta con<br />

fusti semilegnosi, eretti o adagiati al suolo;<br />

foglie pelose ovali, lanceolate, con margini<br />

anche profondamente dentati; emanano un<br />

aroma particolare, amaro<br />

Etimologia: alcuni fanno risalire il nome <strong>di</strong><br />

queste piante a santa veronica, altri al latino<br />

verus, vero, e unicus, unico, a in<strong>di</strong>care le<br />

proprietà curative delle veronica unico e vero<br />

rime<strong>di</strong>o per molte malattie


«...marmaglia <strong>di</strong> ortiche, <strong>di</strong> logli, <strong>di</strong><br />

gramigne, <strong>di</strong> farinelli, d’avene<br />

selvatiche, d’amaranti ver<strong>di</strong>, <strong>di</strong><br />

ra<strong>di</strong>chiello, d’acetosella, <strong>di</strong><br />

panicastrello, <strong>di</strong> valeriana e<br />

d’altrettante piante...».<br />

Alessandro Manzoni<br />

Valeriana officinalis.<br />

La valeriana, per combattere l’ansia<br />

La chiamano anche amantilla, bardo selvatico, erba gatta, vallaricana e baddariana,<br />

ma per i botanici è semplicemente Valeriana officinalis, presente nelle<br />

radure, nei boschi e lungo i declivi prativi delle Alpi e degli Appennini, sino a<br />

2350-2400 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. È una pianta erbacea, perenne, elegante, alta<br />

anche più <strong>di</strong> un metro, dal fusto eretto e robusto, cavo e scanalato, con foglie<br />

composte da <strong>di</strong>eci, quin<strong>di</strong>ci o venti foglioline, ora più larghe, ora più strette, <strong>di</strong><br />

un bel verde intenso.<br />

Alla sommità del fusto si apre un’ombrella compatta <strong>di</strong> <strong>fiore</strong>llini bianchi o rosa<br />

che si aprono in maggio-giugno, ben evidenti tra la vegetazione circostante. Del<br />

resto tutta la pianta si fa notare se non altro per l’odore assai penetrante e non<br />

proprio gradevole che essa emana non appena la si sfiora o si tenta <strong>di</strong> raccoglierne<br />

i fiori. Ama i siti freschi, un poco umi<strong>di</strong> ed è presente in un’area piuttosto<br />

strana, che va dall’Europa verso l’Asia, raggiunge la Siberia e il Giappone<br />

e non scende a quote più basse. Soltanto in Europa interessa, come abbiamo<br />

visto, la dorsale appenninica, ma poi <strong>di</strong>serta tutto il bacino del Me<strong>di</strong>terraneo.<br />

La cosa è abbastanza misteriosa se si pensa che fu proprio un me<strong>di</strong>co egiziano,<br />

nel IX secolo, a commentare per primo le virtù <strong>della</strong> valeriana, giuntagli<br />

forse dall’Estremo Oriente lungo la via <strong>della</strong> seta o delle spezie, oppure ad opera<br />

<strong>di</strong> qualche nomade tribù emigrata in Asia Minore e quin<strong>di</strong> spintasi fin sulle rive<br />

del Nilo.<br />

Sta <strong>di</strong> fatto che già attorno al Mille, parlare <strong>di</strong> valeriana era come nominare<br />

un me<strong>di</strong>camento capace <strong>di</strong> guarire ogni sorta <strong>di</strong> infermità, una panacea dalle<br />

molte virtù, efficace soprattutto contro gli eccessi nervosi e il mal caduco,<br />

che oggi conosciamo come epilessia; si riteneva che quanti ne venivano<br />

colpiti potessero acquisire poteri <strong>di</strong>vinatori, tanto da essere degni <strong>di</strong> ogni rispetto,<br />

quasi a sfiorare la superstizione, un po’ come accadeva verso i «posseduti<br />

dalla follia». Credenze popolari, <strong>di</strong>cerie e leggende? Certo, ma una<br />

cosa è storicamente accertata: la guarigione <strong>di</strong> Fabio Colonna, principe romano,<br />

che nel 1592 – come raccontano le cronache – era preda <strong>di</strong> gravi attacchi<br />

<strong>di</strong> epilessia, che cessarono dopo un’intensa cura a base <strong>di</strong> pozioni <strong>di</strong><br />

valeriana.<br />

Sta <strong>di</strong> fatto che questa pianta era tenuta in gran conto, anche perché la sua<br />

azione sedativa era valida anche contro la febbre e sostituiva quin<strong>di</strong>, il ben più<br />

efficace chinino che però a quel tempo era del tutto sconosciuto.<br />

Millenni e millenni <strong>di</strong> storia, dunque, per questa pianticella alpina che ancora<br />

oggi, malgrado le sofisticate elaborazioni <strong>della</strong> chimica farmacologica, rimane<br />

uno dei vali<strong>di</strong> e celebrati rime<strong>di</strong> contro le forme d’ansia, d’angoscia e i lievi<br />

squilibri del sistema nervoso; senza contare che il suo uso non provoca sicuramente<br />

dannose conseguenze e correlazioni, come spesso accade con farmaci<br />

<strong>di</strong> sintesi.<br />

I suoi «componenti»<br />

Anche la valeriana, come tutte le specie aromatico-me<strong>di</strong>cinali, è caratterizzata<br />

da un olio essenziale che ne determina, appunto, il caratteristico profumo<br />

e che in questo caso raggiunge la percentuale dello 0,5 per cento; contiene<br />

«esteri» dal nome complicato che sono responsabili degli aci<strong>di</strong> contenuti nella<br />

Valeriana essiccata.<br />

A parte queste precisazioni che hanno un interesse puramente scientifico, è<br />

interessante ricordare che la valeriana è uno degli esempi più straor<strong>di</strong>nari <strong>di</strong><br />

sinergismo <strong>di</strong> tutto il regno vegetale, ossia <strong>di</strong> azione combinata ed efficace fra<br />

tutti i suoi componenti, per cui ognuno <strong>di</strong> essi concorre a rendere più efficace<br />

l’apporto terapeutico <strong>di</strong> un altro elemento e, così <strong>di</strong> seguito, in una catena senza<br />

soluzione <strong>di</strong> continuità che ha meritato alla Valeriana l’attributo <strong>di</strong> «meravigliosa<br />

droga». E per droga, ovviamente, si intende sostanza vegetale <strong>di</strong> natura cu­<br />

155


ativa, e non certo con il significato <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzione organica, psichica e <strong>di</strong> morte,<br />

legato all’uso <strong>di</strong> sostanze tossiche stupefacenti.<br />

Torniamo all’ingenua quanto benefica Valeriana per ricordare che essa è molto<br />

usata anche in veterinaria, che i gatti amano particolarmente il suo aroma,<br />

le api la cercano e ne visitano i fiori quasi con frenesia e che la sua ra<strong>di</strong>ce, essiccata<br />

e messa negli arma<strong>di</strong>, allontana le tarme o tignole.<br />

Per completare l’identikit <strong>della</strong> valeriana, aggiungiamo che nei suoi tessuti,<br />

oltre all’olio essenziale, già descritto, si trovano: acido valerianico; acido malico;<br />

acido tannico; alcaloi<strong>di</strong>: catinina; valerianina; valerina; mucillagine; gomma;<br />

resina; amido; zuccheri; enzimi: lipasi e ossidasi; fitoci<strong>di</strong> ad azione antibatterica.<br />

Le varie specie<br />

Quando si parla <strong>di</strong> valeriana, <strong>di</strong> solito si intende la Valeriana officinalis che è<br />

anche la più <strong>di</strong>ffusa nel nostro habitat montano e collinare, ma esistono ben<br />

centocinquanta specie nella famiglia delle Valerianacee riunite, appunto, nel<br />

genere Valeriana. Ad ogni modo, quelle che vengono tenute in considerazione<br />

sotto il profilo terapeutico, ossia quelle comprese tra le officinali sono sei e le<br />

elenchiamo per or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> importanza come vali<strong>di</strong>tà curativa: Valeriana officinalis,<br />

che si raccoglie da marzo a maggio, da agosto a ottobre, presente in tutta<br />

la Penisola, Sicilia compresa; Valeriana palustre, ama i luoghi umi<strong>di</strong> dell’Italia<br />

settentrionale e vive anche in Abruzzo; in <strong>fiore</strong> da aprile a giugno; Valeriana<br />

grande, frequente in Lombar<strong>di</strong>a e Veneto; si usa e si raccoglie come la officinalis;<br />

Valeriana celtica, pre<strong>di</strong>lige le pietraie delle Alpi piemontesi e lombarde;<br />

Valeriana saliunca, si trova sui pascoli alpini e appenninici; Valeriana marina,<br />

vive soprattutto sui pen<strong>di</strong>i e negli sterpeti <strong>di</strong> collina, su suolo calcareo.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Senza arrivare all’esagerazione degli In<strong>di</strong>ani del Messico, che masticano foglie<br />

<strong>di</strong> valeriana contro la fatica e per attenuare ogni tipo <strong>di</strong> sofferenza, ritenendo<br />

questa pianta una bene<strong>di</strong>zione degli dei, anche noi possiamo affidarci alle virtù<br />

curative delle specie appena ricordate, con la sicurezza <strong>di</strong> ottenere qualche<br />

buon risultato.<br />

A parte l’uso <strong>di</strong> prodotti farmaceutici a base <strong>di</strong> Valeriana da assumere contro<br />

l’ansia e per riportare il sistema nervoso affaticato a un giusto grado <strong>di</strong> equilibrio,<br />

si consigliano queste pozioni:<br />

156


Valeriana tripteris e Valeriana versifolia.<br />

– tisana: si prepara con due grammi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> valeriana messi in infusione in<br />

cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente per un quarto d’ora; addolcire con miele e<br />

berne tre bicchieri al giorno contro ansia, stati depressivi e anche per indurre<br />

al sonno;<br />

– vino aromatico: lasciare a macero per due settimane due grammi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce<br />

ogni cento grammi <strong>di</strong> vino bianco secco e poi filtrare; berne un bicchierino<br />

dopo i pasti per evitare le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong>gestive dovute a isterismo, stati depressivi,<br />

angoscia;<br />

– succo: spremendo la parte aerea fresca, raccolta da maggio a luglio, si ottiene<br />

un succo da ingerire nella dose <strong>di</strong> 2-3 grammi al giorno, con ottima azione<br />

sedativa.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Valeriana<br />

Nomi popolari: amantilla, erba gatta, nardo<br />

selvatico, vallariana, baddariana, vallaricana<br />

Origine: Europa e Asia<br />

Famiglia: Valerianacee<br />

Fiori: minuscoli, bianchi o rosa, riuniti in cime a<br />

ombrello; appaiono dalla tarda primavera<br />

all’estate ed emanano un odore intenso, non<br />

157<br />

proprio gradevole, che attira numerosi insetti<br />

Caratteristiche: specie perenne, che può<br />

superare il metro e mezzo <strong>di</strong> altezza, dal fusto<br />

eretto, robusto e cavo. Le foglie sono composte<br />

da foglioline, in numero variante da cinque a<br />

ventitré. Si tratta <strong>di</strong> specie impiegate per<br />

produrre farmaci sedativi e calmanti contro gli<br />

squilibri nervosi<br />

Etimologia: dal latino valere, essere in salute


«Dopo vent’anni, oggi, nel salotto<br />

rivivo con profumo d’artemisia e<br />

mentastro<br />

e <strong>di</strong> cotogna tutto ciò che fu.<br />

Mi specchio ancora nello specchio<br />

rotto<br />

rivedo i finti frutti d’alabastro...».<br />

Guido Gozzano<br />

Artemisia, benefica e profumata<br />

Diciamo subito che pochi generi, al pari dell’Artemisia possono vantare altrettanta<br />

eterogeneità <strong>di</strong> specie, non per quanto si riferisce all’aspetto quanto per<br />

le sostanze presenti nei loro tessuti e per la conseguente attività terapeutica<br />

o altri particolari utilizzazioni.<br />

Prima <strong>di</strong> tutto, ricor<strong>di</strong>amo che Artemisia deriva dal nome <strong>della</strong> dea Artemide<br />

che, secondo la tra<strong>di</strong>zione greca, era chiamata ad accrescere le virtù delle piante<br />

me<strong>di</strong>cinali attive contro i <strong>di</strong>sturbi dell’organismo femminile. È indubbio che<br />

varie specie <strong>di</strong> artemisia venivano utilizzate anche in tempi remoti, come in<br />

Cina, per una cura assai curiosa e decisamente sofisticata, nota come kaobustione<br />

e che si rifà ai principi dell’agopuntura, con una <strong>di</strong>fferenza: invece <strong>di</strong><br />

infilare sottili aghi in corrispondenza delle terminazioni nervose che influiscono<br />

su determinati organi, si preparano minuscoli coni <strong>di</strong> foglie pressate che poi<br />

vengono appoggiati sulle parti interessate e bruciati con un metodo particolare<br />

che, ovviamente, non lascia alcun segno sulla pelle.<br />

La kaobustione può essere utilizzata contro <strong>di</strong>versi malanni, un po’ come l’agopuntura,<br />

mentre per via orale l’Artemisia vulgaris (assenzio volgare, amarella,<br />

arcimesa), l’Artemisia absinthium (assenzio romano, ascenzi, incens), l’Artemisia<br />

maritima (assenziola, assenzio marino), sono efficaci contro l’epilessia,<br />

l’isterismo, i <strong>di</strong>sturbi mestruali, la febbre in genere, i parassiti; le tre specie,<br />

applicate in cataplasma e in impacchi, affrettano la guarigione delle piaghe e<br />

calmano il dolore provocato dalla puntura degli insetti.<br />

A proposito <strong>di</strong> insetti, davanti alle baite o alle stalle <strong>di</strong> montagna è frequente<br />

vedere dei cespi <strong>di</strong> Artemisia vulgaris che ha il potere <strong>di</strong> attirare gli insetti, specialmente<br />

le mosche, allontanandoli così dalla casa.<br />

Per completare questa succinta descrizione delle artemisie presenti sul nostro<br />

territorio, bisogna ricordare anche l’Artemisia glacialis o genepì, che i francesi<br />

chiamano genèpi noir, gli inglesi Genippi silky Wormwood e i tedeschi Schwarze<br />

Edelraute. Si tratta <strong>di</strong> una pianticella grigiastra, tomentosa, alta pochi centimetri<br />

e fortemente aromatica, le cui foglie hanno proprietà <strong>di</strong>gestive, neurotoniche<br />

e sudorifere. Ma non è tutto; infatti, l’Artemisia glacialis entra nella composizione<br />

<strong>di</strong> un noto liquore, il «genepì» appunto, e la richiesta del fogliame <strong>di</strong><br />

questa pianta da parte delle industrie è stato così massiccio in passato da minacciare<br />

la sopravvivenza stessa <strong>di</strong> questa specie alpina, tanto è vero che oggi<br />

l’Artemisia glacialis è inclusa tra le specie protette data la sua rarità.<br />

Visto che abbiamo appena parlato <strong>di</strong> un liquore, è d’obbligo un preciso riferimento<br />

all’Artemisia absinthium che serve a preparare l’assenzio, dal sapore<br />

molto forte e sgra<strong>di</strong>to a molti, sicuramente pericoloso perché contiene un olio<br />

essenziale che a lungo andare provoca intossicazioni e un progressivo deca<strong>di</strong>mento<br />

fisico-psichico che può essere paragonato ai danni derivanti dall’uso <strong>di</strong><br />

droga.<br />

L’assenzio, il cui nome significa «privo <strong>di</strong> dolcezza», è stato il simbolo <strong>di</strong> una<br />

certa società decadente del secolo scorso che faceva capo agli intellettuali<br />

francesi che si raccoglievano attorno ai cosiddetti poeti maledetti: Mallarmé,<br />

Baudelaire e Rimbaud. Oggi, la produzione <strong>di</strong> assenzio è proibita in molti Paesi<br />

d’Europa.<br />

A parte il deprecabile impiego appena descritto, l’Artemisia absinthium, come<br />

abbiamo già detto, è anche pianta dalle notevoli qualità terapeutiche che erano<br />

ben note alcune migliaia <strong>di</strong> anni or sono come documenta un papiro egizio<br />

risalente al 1650 a.C.<br />

Anche gli Arabi e i Celti avevano grande fiducia in questa specie, ricordata<br />

persino nelle Sacre scritture; il me<strong>di</strong>co e botanico tedesco Jakob Theodor<br />

Bergzabern (1520-1590) più noto con il nome umanistico <strong>di</strong> Tabernaemontanus,<br />

nella sua opera Eicones plantarum pubblicata nel 1590, raccomanda l’uso<br />

dell’Artemisia absinthium per «render liete le persone <strong>di</strong> brutto carattere».<br />

158


L’Artemisia glacialis entra nella composizione<br />

del noto liquore «genepì». La raccolta<br />

massiccia fatta in passato per questo uso ha<br />

messo in pericolo la specie che ora è protetta.<br />

159


L’Arthemisia absinthium, dalle notevoli<br />

proprietà terapeutiche, serve anche a<br />

preparare l’assenzio che provoca a lungo<br />

andare intossicazione e deca<strong>di</strong>mento psicofisico.<br />

Sotto: Arthemisia vulgaris.<br />

Più scientificamente <strong>di</strong> Tabernaemontanus, ve<strong>di</strong>amo ora <strong>di</strong> conoscere da vicino<br />

i componenti delle artemisie.<br />

I princìpi attivi<br />

Seppure in percentuale <strong>di</strong>versa e con qualche variante chimica, le artemisie<br />

contengono questi componenti: olio essenziale <strong>di</strong> sapore acre, verde scuro o<br />

giallo, absintina e anabsintina, artemisina amara e tujone; tannino; clorofilla;<br />

resina; nitrato <strong>di</strong> potassio; aci<strong>di</strong> succinico, malico e azulene; mucillagine.<br />

Da segnalare, particolarmente, due componenti dell’Artemisia absinthium:<br />

–l’absintolo, che in piccole dosi esplica un’azione eccitante dei succhi gastrici,<br />

mentre in quantità elevata provoca intossicazione e convulsioni;<br />

– il tujone, contenuto nei fiori, considerato cancerogeno.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Tralasciando l’uso dell’Artemisia absinthium per le ragioni già esposte, ve<strong>di</strong>amo<br />

quali sono le pozioni curative e gli impieghi più vali<strong>di</strong> che si ottengono con<br />

l’Artemisia vulgaris:<br />

– infuso: si ottiene con 2-3 grammi <strong>di</strong> foglie, steli e in<strong>fiore</strong>scenze messi in infusione<br />

in 100 grammi <strong>di</strong> acqua bollente per un quarto d’ora, tenendo il recipiente<br />

ben coperto. Di questo infuso si bevono due o tre bicchierini al giorno,<br />

come tonico del sistema nervoso e, quin<strong>di</strong>, per combattere gli stati <strong>di</strong><br />

ansia;<br />

– vino: si prepara lasciando macerare tre grammi <strong>di</strong> artemisia ogni 100 grammi<br />

<strong>di</strong> vino bianco secco per la durata <strong>di</strong> due settimane. In seguito, si filtra e<br />

si beve nella dose <strong>di</strong> due bicchierini al giorno, subito dopo i pasti. Giova<br />

contro le forme <strong>di</strong> isterismo e gli stati convulsivi;<br />

– decotto: facendo bollire per un quarto d’ora cinque grammi <strong>di</strong> artemisia ogni<br />

100 grammi <strong>di</strong> acqua, si realizza un liquido per uso esterno, per impacchi ad<br />

azione astringente, contro gonfiori, contusioni, infiammazioni muscolari derivanti<br />

da superfatica.<br />

L’Artemisia vulgaris fornisce anche una potente polvere insetticida efficace<br />

contro gli scarafaggi e innocua per l’uomo e per gli animali domestici. Se nel<br />

foraggio delle mucche è presente una forte quantità <strong>di</strong> artemisia la carne e il<br />

latte degli animali prendono un sapore amaro.<br />

Per concludere, ricor<strong>di</strong>amo che le pozioni a base <strong>di</strong> artemisia, <strong>di</strong> qualsiasi specie,<br />

sono controin<strong>di</strong>cate per le donne in attesa <strong>di</strong> un bambino.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Artemisia Caratteristiche: erbacee perenni, alte da 50<br />

Nomi popolari: assenzio selvatico, assenzio<br />

volgare, amarella, assenzio delle siepi, urtmia,<br />

arcimesa, rettimisia, altanisie, assenziola,<br />

genepì nero, ascenzi, incens<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Composite<br />

centimetri al metro e mezzo. Le foglie sono<br />

<strong>di</strong>vise in lobi appuntiti, verde scuro<br />

superiormente e bianco-argento sulla pagina<br />

inferiore che è coperta da peluria. Contengono<br />

numerose vitamine ed esalano un aroma<br />

intenso<br />

Etimologia: il nome ricorda la dea Artemis,<br />

Fiori: sono giallo-verdastri e variano un poco a ossia Diana, simbolo <strong>della</strong> giovinezza, a<br />

seconda <strong>della</strong> specie; sempre minuscoli sono sottolineare le virtù terapeutiche soprattutto<br />

raccolti in capolini e poi riuniti in spighe dell’Artemisia vulgaris<br />

160


«... nel giar<strong>di</strong>no la luna, e quel<br />

profumo d’erba e <strong>di</strong> aromatico<br />

querciolo che ricorda certe<br />

lontanissime mattine (saranno mai<br />

esistite?) quando alle prime luci<br />

con gli scarponi e il flobert, si<br />

usciva a caccia».<br />

Dino Buzzati<br />

Il teucrio, un «semplice» dalle molte virtù<br />

Nei giar<strong>di</strong>ni segreti dei conventi e dei monasteri in epoca me<strong>di</strong>evale, i monaci<br />

hanno iniziato una vera e propria coltivazione dei semplici, ossia delle erbe<br />

me<strong>di</strong>cinali, che poi utilizzavano riprendendo antichissime ricette risalenti<br />

ad<strong>di</strong>rittura al tempo degli Assiri e dei Babilonesi, degli Egizi e dei popoli noma<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> origine asiatica. Ebbene, le proprietà terapeutiche dei Teucrium, e in particolare<br />

del Teucrium chamaedrys, erano note sin dal tempo dei Troiani e delle<br />

mitiche gesta narrate da Omero e lo prova il fatto che a questo genere <strong>di</strong> piante<br />

si è dato il nome derivante da quello <strong>di</strong> Teucro, un principe che viveva a Troia<br />

e che per primo si <strong>di</strong>ce abbia scoperto le virtù <strong>della</strong> specie <strong>di</strong> cui ci stiamo<br />

occupando.<br />

Prima <strong>di</strong> tutto precisiamo che il genere Teucrium, <strong>della</strong> famiglia delle Labiate,<br />

riunisce un centinaio <strong>di</strong> specie presenti nelle zone temperato-calde <strong>di</strong> tutto il<br />

mondo, ma come piante me<strong>di</strong>cinali la nostra attenzione si limita al Teucrium<br />

chamaedrys, detto anche camedrio, querciola, erba iva, calamandrea, scalambrina;<br />

vive sulle scogliere e sulle pietraie, dalla pianura sino a 1500 metri, su<br />

terreno calcareo.<br />

È una pianticella poco più alta <strong>di</strong> un palmo, molto graziosa, dal portamento<br />

quasi prostrato, con piccole foglie verde vivo, lucide superiormente e con la<br />

pagina inferiore un poco pelosa, dai margini seghettati. I fiori appaiono da maggio<br />

a settembre e sono rosa-porpora, riuniti a mazzetto all’ascella delle foglie<br />

lungo il tratto terminale <strong>di</strong> ogni stelo. Quando il camedrio è in <strong>fiore</strong> forma dense<br />

macchie purpuree sul suolo roccioso o fra le pietre, con un <strong>di</strong>stacco cromatico<br />

inconfon<strong>di</strong>bile; basta sfiorare questi cespi o strofinare tra le mani le foglie<br />

del Teucrium perché l’aria si impregni <strong>di</strong> un aroma sottile e penetrante insieme,<br />

<strong>di</strong>fficile da definire nelle sue caratteristiche. Oltre al Teucrium chamaedrys, nei<br />

trattati <strong>di</strong> erboristeria si parla <strong>di</strong> botride o Teucrium botrys, che ne <strong>di</strong>fferisce<br />

soltanto per il colore dei fiori che sono lilla punteggiati <strong>di</strong> rosso; è presente sulle<br />

Prealpi, sulle Alpi e sull’Appennino sino in Abruzzo, in collina e anche sulle rive<br />

sassose dei fiumi. Altrettanto <strong>di</strong>ffuso il Teucrium scor<strong>di</strong>um o scor<strong>di</strong>o, che pre<strong>di</strong>lige<br />

i luoghi umi<strong>di</strong>, presso i torrenti, fiorisce in rosa e viene chiamato anche falso<br />

aglio; infatti steli e foglie, pestati, esalano intenso aroma <strong>di</strong> questa bulbosa.<br />

Interessante il Teucrium scorodonia detto scorodonia, dai fiori gialli, utilizzato<br />

nella cura <strong>della</strong> bronchite o come impacco contro i processi infettivi. Degno <strong>di</strong><br />

essere ricordato anche il Teucrium montanum o ramerino <strong>di</strong> monte, che fiorisce<br />

in giallo e ha, grosso modo, le stesse proprietà del Teucrium chamaedrys, sicuramente<br />

la specie più significativa <strong>di</strong> tutto il genere sotto il profilo terapeutico.<br />

I principi attivi<br />

Sull’importanza dei Teucrium come piante me<strong>di</strong>cinali non vi sono dubbi soprattutto<br />

per quanto riguarda la cura <strong>di</strong> alcuni <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong> carattere gastro-intestinale<br />

e anche per provocare abbondanti sudorazioni e così combattere gli attacchi<br />

febbrili, gli stati influenzali e le malattie dell’apparato respiratorio. Le<br />

virtù terapeutiche dei Teucrium e del camedrio in particolare, <strong>di</strong>pendono dalla<br />

presenza <strong>di</strong> alcuni princìpi attivi negli steli in <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> queste graziose piante:<br />

teucrio resina, olio essenziale, tannino, colina, amaro, scutellarina, saponina,<br />

pinene, canfene, cariofillene.<br />

Il particolare aroma dei teucri esercita un notevole potere <strong>di</strong> attrazione verso<br />

le api che dal nettare <strong>di</strong> queste piante ottengono un miele profumatissimo e dal<br />

sapore inconfon<strong>di</strong>bile, leggermente amaro, molto gradevole.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Precisiamo che la raccolta delle sommità fiorite dei teucri in genere e del camedrio<br />

in particolare, si esegue da metà giugno a fine agosto, periodo considerato<br />

come l’ideale tempo balsamico per molte specie me<strong>di</strong>cinali e aromati­<br />

161


Teucrium scorodonia.<br />

In alto: Teucrium montanum.<br />

che. Per tra<strong>di</strong>zione, in molte regioni la raccolta inizia la notte <strong>di</strong> San Giovanni,<br />

il 24 giugno, considerata magica e festeggiata con balli popolari e l’accensione<br />

<strong>di</strong> falò in ricordo dei «sabba» che secondo la mitologia nor<strong>di</strong>ca avevano come<br />

protagonisti streghe, fate, elfi e altre creature dei boschi.<br />

A parte queste superstizioni, che pure hanno il loro valore nel perpetuarsi <strong>di</strong><br />

pratiche terapeutiche che hanno la loro ra<strong>di</strong>ce nella più antica ere<strong>di</strong>tà dell’etnome<strong>di</strong>cina,<br />

ossia <strong>della</strong> me<strong>di</strong>cina primitiva delle varie etnie, ecco quali sono le<br />

più valide utilizzazioni del Teucrium chamaedrys e, in mancanza <strong>di</strong> questo,<br />

anche delle altre specie già elencate:<br />

– infuso: si prepara con tre grammi <strong>di</strong> sommità fiorite, fresche o essiccate, lasciate<br />

in infusione in cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente per un quarto d’ora;<br />

prendere tre-quattro tazzine al giorno prima dei pasti come stimolante dell’appetito<br />

e come tonico, oppure dopo i pasti per un’azione <strong>di</strong>gestiva; una<br />

tazza da tè <strong>di</strong> questo infuso bevuto al mattino a <strong>di</strong>giuno, agisce come leggero<br />

lassativo;<br />

– decotto: si prepara facendo bollire cinque grammi <strong>di</strong> sommità fiorite in cento<br />

grammi <strong>di</strong> acqua per <strong>di</strong>eci minuti e con questo liquido si fanno impacchi<br />

sulle parti colpite da punture <strong>di</strong> insetti, sulle ferite che stentano a guarire e<br />

anche per attenuare l’infiammazione emorroidaria. Usato per sciacqui e gargarismi,<br />

questo decotto calma la tosse perché decongestiona le prime vie respiratorie;<br />

– vino aromatico: mettere a macero mezzo etto <strong>di</strong> sommità fiorite in un litro <strong>di</strong><br />

vino bianco secco e lasciar riposare per almeno due settimane, scuotendo<br />

ogni tanto la bottiglia. Infine, filtrare e conservare il vino nel frigorifero; berne<br />

un bicchierino prima dei pasti per stimolare le funzioni gastriche.<br />

Come ultima annotazione, da recenti indagini pare assodato che i principi attivi<br />

contenuti nei tessuti cellulari dei Teucrium, in genere, siano in grado <strong>di</strong> agire<br />

positivamente sulla memoria e per attivare le facoltà intellettuali.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Teucrium compongono una spiga terminale.<br />

Nomi popolari: camedrio, querciolo, erba iva,<br />

calamandrea, scalambrina, quercignola,<br />

cametriu, cerzodda, cirsudda<br />

Ricercatissimi dalle api<br />

Caratteristiche: specie erbacee perenni,<br />

striscianti, alte da 10 a 30 centimetri.<br />

Foglioline coriacee, verde vivo, dai bor<strong>di</strong> a<br />

Origine: Europa centro-meri<strong>di</strong>onale, Asia piccoli festoni, o crenati, dall’aroma intenso,<br />

occidentale e Africa del nord gradevole. La pagina inferiore delle foglie è<br />

Famiglia: Labiate<br />

pelosa<br />

Etimologia: dal nome del principe troiano<br />

Fiori: minuscoli, rosa-porpora, in estate, raccolti Teucro, il primo ad usare queste piante a scopo<br />

in gruppetti all’ascella delle foglie; me<strong>di</strong>cinale<br />

162


«Masticata a <strong>di</strong>giuno, purché dopo<br />

colta non abbia più toccato terra, la<br />

potentilla rinsalda i denti<br />

traballanti; rende profumato l’alito<br />

e assunta in pozione, stimola al<br />

congiungimento con una donna».<br />

dal Libro <strong>di</strong> Casa Cerruti<br />

(XIV secolo)<br />

La potentilla guarisce uomini e animali<br />

Sono circa trecentocinquanta le specie <strong>di</strong> potentilla presenti nelle zone montane<br />

e submontane d’Europa, Cina, Siberia e Himalaya; lungo la catena delle<br />

Alpi e sugli Appennini se ne incontrano, normalmente, soltanto tre – la Potentilla<br />

erecta, la Potentilla anserina e la Potentilla reptans – che si possono classificare<br />

senza ombra <strong>di</strong> dubbio tra le piante me<strong>di</strong>cinali. Le altre potentille incluse<br />

nella nostra flora alpina sono <strong>di</strong> puro interesse botanico e non vantano proprietà<br />

terapeutiche degne <strong>di</strong> nota.<br />

Il nome scientifico del genere Potentilla è <strong>di</strong> origine latina e deriva dall’aggettivo<br />

potens, potente, in riferimento alle virtù curative <strong>di</strong> queste piante, virtù ben<br />

note anche nell’antichità quando si riteneva che la Potentilla erecta, fosse in<br />

grado, ad<strong>di</strong>rittura, <strong>di</strong> guarire dal colera.<br />

In realtà, le cose non sono proprio così, tuttavia è indubbio che i principi attivi<br />

contenuti nei tessuti <strong>di</strong> queste graziose piante meritano la nostra attenzione<br />

e, una volta <strong>di</strong> più, dobbiamo essere grati alle creature del bosco che per<br />

prime sono ricorse, e ricorrono, alla potentille per riacquistare la salute.<br />

Ma an<strong>di</strong>amo per or<strong>di</strong>ne e ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere un po’ meglio le tre specie<br />

appena in<strong>di</strong>cate, a cominciare dalla loro famiglia che è quella delle Rosacee, per<br />

continuare con le caratteristiche <strong>della</strong> Potentilla erecta o tormentilla, detta<br />

anche tormentina, erba da biscia ed erba morella. È una pianticella perenne alta<br />

da 10 a 40 centimetri, con piccoli fiori gialli durante tutta l’estate e una ra<strong>di</strong>ce<br />

a rizoma, biancastra, che <strong>di</strong>venta rosso vivo non appena viene spezzata. Abbiamo<br />

già detto che la tormentilla, che deriva da tormen, colica, era considerata<br />

un efficace rime<strong>di</strong>o contro il colera mentre, in realtà, la sua azione è valida<br />

contro i <strong>di</strong>sturbi intestinali e le coliche in genere, per guarire le piaghe e lenire<br />

il mal <strong>di</strong> denti.<br />

È opportuno precisare che i me<strong>di</strong>camenti a base <strong>di</strong> tormentilla, e delle altre<br />

specie <strong>di</strong> Potentilla, non debbono essere preparati in recipienti <strong>di</strong> metallo dato<br />

l’alto contenuto <strong>di</strong> tannino presente soprattutto nel rizoma <strong>di</strong> queste piante,<br />

tannino che è incompatibile con il ferro, il rame e così via. Molto meglio usare<br />

pentolini smaltati oppure in vetro resistente al fuoco. Anche la conservazione<br />

<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci o foglie essiccate <strong>della</strong> tormentilla si deve effettuare in scatole<br />

<strong>di</strong> legno o in barattoli <strong>di</strong> vetro. Le stesse raccomandazioni valgono per la Potentilla<br />

anserina, o argentina, chiamata in qualche regione anserina, piè d’oca<br />

oppure piè <strong>di</strong> gallo. Il nome <strong>della</strong> specie, ossia anserina, proviene <strong>di</strong>rettamente<br />

dal latino anser, oca, e sta a in<strong>di</strong>care che il simpatico animale è ghiotto<br />

delle setose foglioline <strong>di</strong> questa pianticella alta un palmo, dai fiori estivi giallooro<br />

e dal rizoma nodoso. È impossibile sapere perché l’oca sia così avida dell’argentina,<br />

ricercata anche dai cavalli, dai maiali, dalle mucche e dalle pecore,<br />

mentre sappiamo che in erboristeria essa è ritenuta un valido rime<strong>di</strong>o contro<br />

gli spasmi viscerali, è un buon tonico per le funzioni gastro-intestinali e la<br />

ra<strong>di</strong>ce, data da succhiare ai bambini, rende meno <strong>di</strong>fficile il processo <strong>della</strong> dentizione;<br />

usata nello stesso modo dagli adulti, impe<strong>di</strong>sce alle gengive <strong>di</strong> contrarsi<br />

mettendo allo scoperto la base del dente. La terza specie <strong>di</strong> cui ci occupiamo<br />

è la Potentilla reptans, o cinquefoglio, che assume nomi <strong>di</strong>versi a seconda <strong>della</strong><br />

zona: pentafillo, maggiorana salvadega, fragolaria, erba rabloira, erba calipetallo,<br />

erba de murenas e fraulà areste. Se ne utilizza la ra<strong>di</strong>ce rizomatosa,<br />

fresca o essiccata, come depurativo e febbrifugo, oppure per uso esterno<br />

contro ascessi e paterecci. È una pianta piuttosto strana, ampiamente ricordata<br />

anche dai gran<strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci dell’antichità che vantavano le virtù del pentaphyllon,<br />

la pianta del cinque; infatti, la Potentilla reptans ha fiori gialli (da<br />

giugno a ottobre) formati da cinque petali, cinque lunghi sepali e altrettanti<br />

sepali più corti; le foglie sono composte da cinque foglioline <strong>di</strong>sposte<br />

come le <strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una mano.<br />

Anche il cinquefoglio non sopporta il contatto con il ferro.<br />

163


Potentilla anserina o argentina.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Potentilla<br />

Nomi popolari: persicina, falsa alchemilla,<br />

erba pecorina, fragolaria, cinquefoglie,<br />

fragolaccia, fior d’oro, salvadenti<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale, Africa del nord,<br />

Asia<br />

Famiglia: Rosacee<br />

Fiori: solitari, a cinque petali, bianchi, rosa o<br />

gialli, molto simili alle roselline <strong>di</strong> siepe;<br />

fioritura estiva; ricco ciuffo <strong>di</strong> stami. Sono<br />

ricercati dalle api<br />

Caratteristiche: foglie che ricordano quelle<br />

<strong>della</strong> fragola e che si addensano al piede <strong>di</strong><br />

queste interessanti erbacee perenni, che in<br />

qualche caso assumono consistenza semilegnosa.<br />

Si tratta <strong>di</strong> specie apprezzate per il<br />

valore terapeutico, ma anche per le doti<br />

decorative<br />

Etimologia: dal latino potens, potente, a<br />

in<strong>di</strong>care le virtù curative delle potentille<br />

I princìpi attivi<br />

Le sostanze che rendono così benefiche le tre specie <strong>di</strong> Potentilla appena descritte,<br />

sono parecchie e, soprattutto, sono contenute in queste piante in una<br />

percentuale davvero rimarchevole e ancor più interessante se si pensa alla<br />

fragilità degli steli, delle foglie, <strong>di</strong> ogni parte <strong>della</strong> struttura dell’argentina, <strong>della</strong><br />

tormentilla, del cinquefoglio. Ecco quali sono gli essenziali princìpi attivi delle<br />

potentille, in <strong>di</strong>fferente misura a seconda <strong>della</strong> specie: tannino, resine, amido,<br />

colina, io<strong>di</strong>o, vitamina C, tormentolo, glucoside solforato, flavone.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Affinché il rizoma delle potentille conservi la maggiore efficacia, si consiglia <strong>di</strong><br />

toglierlo dal terreno in aprile e non appena le nuove foglie consentono <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare<br />

senza ombra <strong>di</strong> dubbio la pianta; volendo impiegare solo la parte aerea<br />

dell’esemplare, la raccolta deve essere rimandata a giugno, luglio e agosto,<br />

quando è in atto la piena fioritura. In ogni caso, l’essiccazione del rizoma, ben<br />

ripulito, si effettua al sole, su un’assicella, ritirandolo al tramonto; la parte erbacea<br />

si fa asciugare all’ombra, al caldo, in luogo ventilato.<br />

Ecco le «preparazioni» ottenibili con le potentille:<br />

– infuso: si prepara lasciando due grammi <strong>di</strong> rizoma essiccato <strong>di</strong> tormentilla in<br />

cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente per mezz’ora; se ne prendono tre tazzine al<br />

giorno contro i <strong>di</strong>sturbi intestinali e nelle irregolarità del ciclo mestruale;<br />

– decotto: due grammi <strong>di</strong> rizoma <strong>di</strong> cinquefoglio bolliti per un quarto d’ora in<br />

cento grammi d’acqua bastano a ottenere un buon <strong>di</strong>sinfettante per uso<br />

esterno, da usare quando una piaga o una ferita tardano a rimarginarsi. Con<br />

lo stesso decotto si può affrettare la risoluzione <strong>di</strong> ascessi e paterecci;<br />

– vino aromatico: si mettono a macero cinquanta grammi <strong>di</strong> rizoma <strong>di</strong> tormentilla<br />

o <strong>di</strong> cinquefoglio in un litro <strong>di</strong> vino bianco secco per otto giorni; si filtra<br />

e si beve a bicchierini, due o tre al giorno, dopo i pasti e a metà pomeriggio,<br />

a scopo <strong>di</strong>gestivo e anche come ricostituente, per ridare tono e vitalità all’organismo<br />

debilitato;<br />

– tisana: si prepara con le foglie <strong>di</strong> argentina (due grammi ogni cento d’acqua<br />

bollente) lasciando riposare per <strong>di</strong>eci minuti; serve per sciacqui e impacchi,<br />

per <strong>di</strong>sinfettare il cavo orale e per gargarismi.


«Proprio nel punto più bello dei<br />

sogni <strong>di</strong> stanotte (tu mi chiamavi il<br />

“tuo tutto”) albeggiò il mattino ed il<br />

leggiadro sogno appassì come un<br />

<strong>fiore</strong> <strong>di</strong> betonica o <strong>di</strong> balsamina,<br />

come un fagiolo turco, sul quale,<br />

durante la notte, avrei potuto,<br />

comodamente, salire sul mondo<br />

<strong>della</strong> luna».<br />

Bettina Brentano<br />

(da una lettera a Goethe)<br />

Stachys officinalis; Stachys sylvatica e Stachys<br />

recta.<br />

La betonica, storia <strong>di</strong> una fama usurpata<br />

Gli Egiziani la ritenevano un’erba dalle proprietà magiche, i Greci e i Romani la<br />

impiegavano per curare una cinquantina <strong>di</strong> malattie e non rimane che restarne<br />

stupiti visto che l’assunzione <strong>di</strong> pozioni a base <strong>di</strong> betonica, o Stachys officinalis,<br />

può recare gravi <strong>di</strong>sturbi. La sua ra<strong>di</strong>ce, infatti, pur non essendo velenosa<br />

nel senso stretto <strong>della</strong> parola, oggi è considerata pericolosa e solamente un<br />

me<strong>di</strong>co può prendersi la responsabilità <strong>di</strong> consigliarne l’uso.<br />

Evidentemente gli antichi conoscevano a fondo le caratteristiche delle erbe<br />

me<strong>di</strong>cinali e riuscivano a dosarle in modo perfetto.<br />

A parte la prudenza che sconsiglia dal preparare tisane o decotti con la betonica,<br />

per il pericolo <strong>di</strong> coinvolgere nella preparazione anche la ra<strong>di</strong>ce <strong>della</strong><br />

pianta, ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscere un po’ meglio questa specie un tempo così nota<br />

da aver determinato il <strong>di</strong>ffondersi dell’allocuzione «è come la betonica», riferita<br />

alle persone che vogliono sempre apparire in primo piano ed essere<br />

presenti in ogni circostanza.<br />

L’origine <strong>della</strong> parola betonica o bettonica, come sarebbe più<br />

esatto, sembra risalire ai Vettones, un popolo ibero-celtico, forse<br />

particolarmente abile nell’utilizzare la Stachys officinalis. Questa,<br />

almeno, la spiegazione data da Plinio, ma che lascia qualche


Stachys officinalis e Stachys monieri.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Stachys officinalis<br />

Nomi popolari: vettonica, bertonica, erba<br />

betonica, brattòlica, bittonica, betona<br />

Origine: Europa, Asia Minore, America del<br />

nord<br />

Famiglia: Labiate<br />

Fiori: rosa o porpora, in estate, riuniti in spighe<br />

terminali. Le singole, minuscole corolle hanno la<br />

forma <strong>di</strong> una fauce<br />

Caratteristiche: erbacee perenni, alte da 30 a<br />

60 centimetri. Fusti gracili, a sezione<br />

quadrangolare, foglie ovali, riunite a rosetta<br />

alla base <strong>della</strong> pianta, rade lungo il fusto. Lieve<br />

aroma. È specie <strong>di</strong>ffusissima, apprezzata sin<br />

dall’antichità per una <strong>di</strong>screta azione<br />

terapeutica<br />

Etimologia: dal greco stáckys, spiga, a<br />

in<strong>di</strong>care la <strong>di</strong>sposizione dei fiori<br />

dubbio, mentre è certo che Stachys deriva dal greco stakhys, spiga, a causa <strong>della</strong><br />

forma delle sue in<strong>fiore</strong>scenze.<br />

Oltre alla betonica, nell’assortimento delle piante me<strong>di</strong>cinali esistono la Stachys<br />

palustris e la Stachys sylvatica, note come urtia morta, erba strega, matricale ed<br />

erba giudaica. Sono simili alla Stachys officinalis, ma il loro impiego è meno<br />

<strong>di</strong>ffuso. Ne sono invece ghiotte capre e pecore che se ne cibano probabilmente<br />

a scopo curativo date le loro proprietà calmanti; anche le api ricercano con<br />

166


Un’ape al lavoro su un <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> Stachys<br />

sylvatica. Sotto: Stachys palustris.<br />

avi<strong>di</strong>tà il nettare <strong>di</strong> queste due Stachys, mentre non mostrano eccessivo interesse<br />

per i fiori <strong>della</strong> betonica.<br />

Per completare le notizie su questo genere <strong>di</strong> piante, non rimane che segnalare<br />

la Stachys siebol<strong>di</strong>i, dalle strane ra<strong>di</strong>ci color madreperla, commestibili, dal<br />

sapore molto gradevole.<br />

Ma ora torniamo alla betonica per precisare che essa vive nei terreni argillososilicei,<br />

nei luoghi prativi e un po’ ombrosi, sino a 1700 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne. È<br />

comunissima nell’Italia centro-settentrionale mentre è rara al sud e del tutto<br />

assente in Sicilia e in Sardegna.<br />

A parte la delicata bellezza delle spighe color rosa antico, o rosa-porpora, la<br />

betonica presenta un fusto molto singolare: esile, con poche foglioline, eretto<br />

e quadrato. Tutta la pianta emana un leggero odore amaro che si fa più intenso<br />

sotto il sole.<br />

La parte aerea <strong>della</strong> Stachys officinalis (ripetiamo che la ra<strong>di</strong>ce può causare gravi<br />

<strong>di</strong>sturbi) si raccoglie in giugno-luglio e viene utilizzata come «vulnerario», per<br />

risolvere ascessi, contro gli attacchi <strong>di</strong> gotta e <strong>di</strong> reumatismo. Le foglie, essiccate<br />

e ridotte in polvere vengono mescolate al tabacco da fiuto sia per aromatizzarlo,<br />

sia per accrescerne il potere starnutatorio, con una benefica azione<br />

contro raffreddori e conseguente mal <strong>di</strong> capo. Opportunamente trattata, la<br />

betonica serve per preparazioni farmacologiche epatoprotettive, antitteriche,<br />

atte a facilitare la secrezione biliare, espettoranti ed emollienti, quin<strong>di</strong> adatte a<br />

curare le <strong>di</strong>sfunzioni del fegato e <strong>della</strong> cistifellea, oltre alle forme bronchiali.<br />

I princìpi attivi<br />

Nella betonica, questa graziosa, piccola pianta alta da 30 a 50 centimetri, si<br />

nascondono vari costituenti o princìpi attivi, in un assortimento davvero ricco<br />

<strong>di</strong> voci: acido tannico, stachidrina, betonicina, amaro, colina, betaina, una<br />

saponina, un glucoside, gomma, resina, olio essenziale.<br />

L’elenco non è completo, ma gli altri princìpi sono presenti in percentuali minime<br />

e perciò non influenti sul potere terapeutico <strong>della</strong> Stachys officinalis.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Abbiamo già accennato alla possibilità <strong>di</strong> aggiungere foglie essiccate al tabacco<br />

da fiuto, il cui impiego da qualche tempo sta ritrovando molti estimatori; è<br />

da notare che la betonica esplica una buona azione «antifumo» e si stanno stu<strong>di</strong>ando<br />

veri e propri me<strong>di</strong>camenti <strong>di</strong>sintossicanti a base <strong>di</strong> Stachys officinalis<br />

per risolvere i casi <strong>di</strong> tabagismo.<br />

A parte questo particolare impiego, con la betonica si preparano:<br />

– impiastro: consiste nel pestare con un batticarne la parte aerea <strong>della</strong> betonica,<br />

fiori compresi, sino a ridurre il tutto in poltiglia; l’impiastro viene steso<br />

sulla parte dolente per reumatismo, gotta o un ematoma, per un ascesso o<br />

per un qualsiasi evento traumatico, come l’aver camminato così a lungo da<br />

avere le estremità gonfie e doloranti. Sopra l’impiastro si mette un foglio <strong>di</strong><br />

plastica e si fascia con una leggera garza; l’applicazione si deve ripetere due<br />

volte nel corso <strong>della</strong> giornata;<br />

– suffumigio: contro il catarro bronchiale, la faringite e anche per attenuare il<br />

fasti<strong>di</strong>o del raffreddore, bisogna far bollire foglie e fiori <strong>di</strong> Stachys officinalis<br />

(cinque grammi ogni cento <strong>di</strong> acqua) per un quarto d’ora e poi aspirare i vapori<br />

che salgono dal liquido ancora bollente; inutile <strong>di</strong>re che per ottenere un<br />

buon risultato bisogna coprirsi il capo con una salvietta o una leggera coperta,<br />

in modo da trattenere sotto l’improvvisato riparo quanto più vapore possibile;<br />

– cicatrizzante: per far rimarginare in fretta un taglio o una piaga che stenta a<br />

richiudersi, dopo averle ben lavate e asciugate basta applicare sulla piccola<br />

ferita una foglia <strong>di</strong> betonica, schiacciandola un poco fra le <strong>di</strong>ta per farne<br />

uscire la linfa. Questi sono i rime<strong>di</strong> più semplici, comuni e sicuri fra quanti,<br />

nelle <strong>di</strong>verse regioni, si realizzano con l’impiego <strong>della</strong> betonica che, forse, si<br />

trascina nel tempo una fama usurpata, quella <strong>di</strong> pianta che può guarire molti<br />

e molti malanni, ma certo può vantare, a buon <strong>di</strong>ritto, la somiglianza con<br />

le persone che si vedono ovunque e in ogni occasione, non sempre a proposito.<br />

167


Genepi<br />

«Nasconde un aromatico fuoco che<br />

scalda i sensi e aiuta gli alpinisti a<br />

raggiungere il gelo dei ghiacciai.<br />

Nel genepì vive lo spirito buono<br />

<strong>della</strong> montagna».<br />

Normann Gray<br />

Artemisia spicata.<br />

L’aromatico e prezioso genepì<br />

Il suo nome scientifico è Artemisia glacialis e basterebbe quel “glacialis” a dare<br />

un’idea dell’ambiente dove questa pianticella, alta una decina <strong>di</strong> centimetri<br />

spunta a primavera, si arricchisce <strong>di</strong> un inconfon<strong>di</strong>bile aroma, fiorisce e, infine,<br />

sotto la neve attende che passi il lungo inverno delle alte quote.<br />

Il genepì, infatti, vive sulle Alpi e sugli Appennini, lungo una fascia altimetrica<br />

che va dai 1.800 ai 2.400 metri. Per quanto riguarda la catena appenninica è<br />

particolarmente presente nel tratto abruzzese.<br />

L’Artemisia glacialis è chiamata anche “genepì vero” o “genepì femmina” per<br />

<strong>di</strong>stinguerla dall’Artemisia spicata (“genepì nero o genepì maschio”) e dall’Artemisia<br />

mutellina (“genepì bianco”).<br />

La <strong>di</strong>stinzione non è sostanziale ai fini dell’impiego che si fa <strong>di</strong> queste pianticelle<br />

officinali, dalle doti terapeutiche non trascurabili, utilizzate anche per la<br />

preparazione <strong>di</strong> un liquore tipico delle zone <strong>di</strong> montagna e delle cui proprietà<br />

parleremo tra poco.<br />

La storia dei genepì è priva <strong>di</strong> aneddoti curiosi o <strong>di</strong> nomi famosi, a parte una<br />

singolarità: per molto e molto tempo le tre artemisie appena ricordate erano<br />

del tutto sconosciute ai botanici, interessati soprattutto alle specie <strong>di</strong> pianura<br />

o <strong>di</strong> collina. Soltanto in un secondo tempo, quando l’interesse degli stu<strong>di</strong>osi<br />

si rivolse anche alle piante meno... comode, andando a ricercare nuovi esemplari<br />

in alta montagna, si presero in considerazione le Artemisia glacialis, spicata<br />

e mutellina e si cominciò ad indagare sulle loro reali proprietà curative. E<br />

qui si ebbe un risultato sconcertante.<br />

Infatti, da tempo immemorabile, nelle zone alpine dominate dai ghiacciai, il genepì<br />

(un <strong>di</strong>stillato fortemente alcolico preparato secondo un’antica ricetta) era<br />

considerato un rime<strong>di</strong>o più che efficace contro il congelamento e veniva usato<br />

anche per frizionare le parti colpite dal gelo. In realtà, il genepì serviva a riscaldare<br />

il malcapitato, a riattivare la circolazione sanguigna, ma non <strong>di</strong> rado si esagerava<br />

nella somministrazione del liquore e l’episo<strong>di</strong>o finiva in modo tragico.<br />

Se ne deduce, quin<strong>di</strong>, che le Artemisia sono piante da usare con una certa cautela,<br />

attenendosi con scrupolo alle dosi prescritte.<br />

Prima <strong>di</strong> indagare sui princìpi attivi <strong>di</strong> queste piante e <strong>di</strong> suggerire qualche<br />

piccolo rime<strong>di</strong>o, ricor<strong>di</strong>amo che l’aspetto delle tre artemisie <strong>di</strong> cui ci occupiamo<br />

è abbastanza simile, con foglioline molto laciniate, ossia sud<strong>di</strong>vise in lobi,<br />

verde-grigio, coperte da una villosità setosa; i fiori sono gialli, riuniti in capolini<br />

o in spighe, e tutta la pianta emana un aroma amaro e pungente che ricorda<br />

quello dell’assenzio.<br />

La fioritura avviene in estate, fra giugno e luglio. Purtroppo visto il largo uso<br />

che si è fatto del genepì nella produzione <strong>di</strong> liquori a livello industriale, queste<br />

Artemisia sono <strong>di</strong>ventate piuttosto rare, tanto da essere incluse fra le specie<br />

protette.<br />

Sono comunque coltivabili, su terreno sabbioso, oltre i mille metri e c’è da<br />

augurarsi che la montagna possa presto ripopolarsi <strong>di</strong> queste interessanti piante,<br />

così tipicamente alpestri, chiamate in francese genepì, in inglese genippi, in<br />

tedesco Edelraute.<br />

I princìpi attivi<br />

Le Artemisia glacialis, spicata e mutellina, seppure in <strong>di</strong>versa percentuale, contengono:<br />

olio etereo essenziale, sostanze amare, tannini, gomma, resina, sali<br />

organici.<br />

È importante sottolineare che le parti utilizzate a scopo terapeutico, oppure<br />

come aromatizzante, sono soprattutto le sommità fiorite raccolte nel momento<br />

<strong>della</strong> schiusura. Questo particolare suggerisce <strong>di</strong> non strappare la pianta, ma<br />

eventualmente tagliarla a livello del suolo; in tal modo la parte sotterranea continua<br />

a vivere e la specie non si <strong>di</strong>sperde.<br />

168


Artemisia<br />

glacialis.<br />

Artemisia spicata.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Artemisia glacialis, mutellina<br />

e spicata<br />

Nomi popolari: genepì delle Alpi, genepì<br />

femmina, genepì maggiore, genepì bianco,<br />

genepì nero, genepì maschio<br />

Origine: zone montuose dell’Europa<br />

meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Composite<br />

Fiori: minuscoli, giallo-ver<strong>di</strong>, riuniti in piccoli<br />

capolini quasi sferici riuniti in ciuffi al sommo<br />

degli steli, oppure <strong>di</strong>sposti all’ascella delle<br />

foglie. Emanano un forte aroma. Molto ricercati<br />

dalle api<br />

Caratteristiche: erbacee perenni, alte da 5 a<br />

15 centimetri, con foglie sud<strong>di</strong>vise in sottili<br />

lacinie, <strong>di</strong> color bianco-argento, coperte da<br />

peluria setosa, che ha lo scopo <strong>di</strong> proteggere<br />

le piante dal freddo. Queste tre artemisie si<br />

<strong>di</strong>spongono a tappeto e spesso raggiungono il<br />

bordo dei ghiacciai. Sono fortemente<br />

aromatiche. Sotto l’aspetto curativo devono<br />

essere usate con precauzione e nelle dosi<br />

prescritte<br />

Etimologia: il nome ricorda quello <strong>di</strong> Artemis,<br />

ossia Diana, dea <strong>della</strong> giovinezza e <strong>della</strong><br />

caccia<br />

Un’ultima annotazione; spesso il vero genepì viene sostituito dall’erba iva<br />

(Achillea moschata), altrettanto efficace, e da usare con minor precauzione<br />

perché non presenta pericoli <strong>di</strong> sorta.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

A parte l’antico uso del genepì, inteso come liquore, per curare i postumi del<br />

congelamento, ricor<strong>di</strong>amo che l’Artemisia glacialis, la spicata e la mutellina<br />

vantano soprattutto proprietà <strong>di</strong>gestive, sudorifere, toniche per il sistema<br />

nervoso e anche stimolanti per l’appetito. Le “preparazioni” più consigliate<br />

sono:<br />

– tisana: si prepara con due grammi <strong>di</strong> sommità fiorite <strong>di</strong> genepì ogni 100 grammi<br />

<strong>di</strong> acqua e se ne prendono tre o quattro bicchierini al giorno per dare tono<br />

al sistema nervoso e anche per abbassare la febbre;<br />

– vino aromatico: si ottiene in modo molto semplice, mettendo quattro grammi<br />

<strong>di</strong> fiori <strong>di</strong> Artemisia glacialis in un litro <strong>di</strong> vino bianco secco e lasciando<br />

riposare il tutto per due settimane. È consigliabile tenere la bottiglia nel frigorifero.<br />

Infine, filtrare e bere un bicchierino <strong>di</strong> questo vino leggermente<br />

amaro dopo i pasti a scopo <strong>di</strong>gestivo. Se invece del vino, per questa preparazione<br />

si usa del marsala, ne deriva una bevanda da prendere a bicchierini<br />

prima dei pasti, come aperitivo;<br />

– grappa: l’Artemisia glacialis, la spicata e la mutellina, ossia i tre genepì che<br />

crescono sulle nostre montagne, possono essere utilizzate per dare aroma<br />

e valore terapeutico all’acquavite che poi si <strong>di</strong>mostra efficace per combattere<br />

il “mal <strong>di</strong> montagna”, ossia lo stor<strong>di</strong>mento seguito da capogiri e vertigine che<br />

colpisce parecchie persone, soprattutto alle prime arrampicate. Per preparare<br />

questa grappa me<strong>di</strong>cinale, basta mettere cinque o sei grammi <strong>di</strong> sommità<br />

fiorite <strong>di</strong> genepì in una bottiglia <strong>di</strong> acquavite e lasciar macerare per una ventina<br />

<strong>di</strong> giorni o anche più a lungo, come si fa con la Ruta graveolens. La grappa,<br />

così aromatizzata, oltre a far cessare i <strong>di</strong>sturbi del “mal <strong>di</strong> montagna”,<br />

esercita un’azione corroborante e serve ad attenuare stanchezza e depressione<br />

dopo una fatica, oppure durante gli stati <strong>di</strong> notevole tensione emotiva.<br />

169


«La gente <strong>di</strong> campagna ne mangia<br />

spesso la ra<strong>di</strong>ce col pane, perché<br />

uno dei companatici dati da natura,<br />

come l’origano verde, il crescione,<br />

il serpillo, il piretro e la rucola».<br />

dal Libro <strong>di</strong> casa Cerruti (XIV secolo)<br />

Nel cren un pizzico <strong>di</strong> fuoco<br />

Lo chiamano anche barbaforte ed è un nome proprio azzeccato perché la polpa<br />

<strong>della</strong> sua ra<strong>di</strong>ce ha un sapore che definire pungente è <strong>di</strong>r poco. È noto anche<br />

come rafano e senape dei monaci perché spesso viene sostituito ai semi<br />

<strong>della</strong> Sinapis alba, o senape bianca, ingre<strong>di</strong>ente-base <strong>della</strong> senape e <strong>della</strong> mostarda.<br />

Ma torniamo al cren (Nasturtium armoracia o Armoracia rusticana) originario<br />

dell’Europa centro-orientale, spontaneizzato in varie zone, sia in pianura,<br />

sia in montagna a bassa quota, coltivato soprattutto nel Veneto dove<br />

viene utilizzato per una salsa a base <strong>di</strong> aceto da accompagnare al lesso e<br />

agli arrosti.<br />

Una salsa squisita per chi ha stomaco robusto e il palato avvezzo ai sapori decisi,<br />

piccanti, che lascia letteralmente a bocca aperta e, spesso, fa lacrimare.<br />

A questo punto è lecito chiedersi come mai questa ra<strong>di</strong>ce, dal sapore non<br />

gradevole e dall’odore acre, abbia conservato nei secoli tanta popolarità<br />

presso i buongustai <strong>di</strong> mezza Europa. La ragione <strong>di</strong> questo successo gastronomico<br />

la scopriremo commentando le proprietà e i princìpi attivi del Nasturtium<br />

armoracia che, pare, fosse già noto e apprezzato dai Greci attorno al<br />

mille a.C. e in Gran Bretagna assai prima che i Romani giungessero in quella<br />

zona.<br />

Nel Me<strong>di</strong>oevo, poi, nelle farmacie dei conventi, dove monaci e frati erboristi<br />

preparavano me<strong>di</strong>camenti d’ogni sorta, il rafano barbaforte o cren, ha assunto<br />

un ruolo importante perché il suo sapore e l’aroma davano a qualsiasi pozione<br />

una forza che poteva sottointendere qualcosa <strong>di</strong> magico o, ad<strong>di</strong>rittura,<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>abolico.<br />

Infine nella consuetu<strong>di</strong>ne popolare, la ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> cren, oltre a essere usata a<br />

scopo curativo, è entrata nella tra<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> cosiddetta cucina povera, ossia<br />

quella che riunisce i piatti regionali e costituisce l’ossatura <strong>della</strong> salutare<br />

<strong>di</strong>eta me<strong>di</strong>terranea.<br />

I princìpi attivi<br />

Prima <strong>di</strong> de<strong>di</strong>care la nostra attenzione alle sostanze, o meglio ai componenti<br />

che rendono così particolare la ra<strong>di</strong>ce del Nasturtium armoracia, ricor<strong>di</strong>amo<br />

che le sue foglie, quando sono molto tenere ossia nella prima fase <strong>di</strong> crescita,<br />

possono essere consumate in insalata, oppure lessate con olio; esercitano<br />

notevole azione <strong>di</strong>sintossicante, <strong>di</strong>uretica e depurativa del sangue.<br />

Ma ora ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> elencare i principali componenti che fanno <strong>della</strong> ra<strong>di</strong>ce del<br />

rafano uno dei sapori più inconfon<strong>di</strong>bili, paragonabile a quello del peperoncino<br />

o <strong>di</strong>avolicchio e <strong>della</strong> senape che già abbiamo ricordata.<br />

Il principio attivo più importante del Nasturtium armoracia è la sinigrina glucoside<br />

solforato (riscontrabile anche nella senape); essenza allo 0,6 per cento <strong>di</strong><br />

isosolfocianato <strong>di</strong> allile libero, aminoaci<strong>di</strong>, glutamina, arginina, galattosio, zolfo,<br />

molto potassio, fosforo, ferro, so<strong>di</strong>o, silice e cloro. Tralasciamo i componenti<br />

minori perché trascurabili sotto l’aspetto farmacologico.<br />

È evidente, da quanto esposto, che le ra<strong>di</strong>ci del cren vantano numerose proprietà,<br />

in base alla natura dei componenti e che la loro azione si rivela <strong>di</strong> una certa<br />

efficacia come: antiscorbutico <strong>di</strong> notevole energia, antilinfatico, depurativo<br />

<strong>di</strong>uretico, anticolitico, scialagogo (che stimola la secrezione delle ghiandole salivari),<br />

stimolante delle funzioni <strong>di</strong>gestive, rinforzante dello stomaco, anticatarrale<br />

e antiartritico.<br />

Molte possibilità d’impiego, dunque, cui va aggiunta la stuzzicante sapi<strong>di</strong>tà<br />

<strong>della</strong> salsa al cren che, consumata in piccole dosi, rappresenta un sicuro mezzo<br />

per favorire la produzione <strong>di</strong> succhi gastrici e stuzzicare l’appetito.<br />

La ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rafano, inoltre, può essere utilizzata, con successo per applicazioni<br />

esterne, come vedremo fra poco.<br />

170


171


I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Abbiamo già ricordata l’azione <strong>della</strong> ra<strong>di</strong>ce del Nasturtium armoracia, ridotta<br />

in salsa, sulle funzioni <strong>di</strong>gestive, ma per usi più specificamente terapeutici si<br />

può ricorrere a:<br />

– decotto, ottenuto facendo bollire 3 grammi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce in cento <strong>di</strong> acqua, da bere<br />

a cucchiai (5-6 al giorno) a scopo <strong>di</strong>uretico, contro il catarro e per lenire i dolori<br />

artritici;<br />

– vino al cren; si ottiene facendo macerare 60 grammi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce in un litro <strong>di</strong><br />

vino bianco secco per una settimana tenendo la bottiglia in frigorifero. Filtrare<br />

e bere a bicchierini (due o tre al giorno) prima dei pasti per stimolare l’appetito<br />

e dopo i pasti per aiutare la <strong>di</strong>gestione;<br />

– come uso esterno; la ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rafano deve essere raschiata finemente, oppure<br />

passata nel tritatutto elettrico, e applicata sulla parte dolente per un attacco<br />

<strong>di</strong> sciatica, dolori reumatici e simili. Per ottenere un’azione ancora più forte<br />

e rapida, bisogna aggiungere alla polpa <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rafano qualche cucchiaio<br />

<strong>di</strong> aceto <strong>di</strong> vino rosso; il risultato è paragonabile a quello dei senapismi;<br />

– impacco; o meglio un cataplasma con la ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> rafano ridotta in poltiglia<br />

e applicato sul petto può risolvere le forme bronchiali; è importante, prima<br />

<strong>di</strong> eseguire la cura, ungere la parte interessata con un poco <strong>di</strong> olio d’oliva, coprire<br />

con una tela <strong>di</strong> lino o con una doppia garza e, su questa protezione stendere<br />

la ra<strong>di</strong>ce grattugiata o tritata. In una parola, si devono adottare le precauzioni<br />

che si mettevano in atto quando erano d’uso comune, contro la<br />

bronchite, le polentine preparate con farina <strong>di</strong> lino.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Nasturtium armoracia gran<strong>di</strong> e ondulate, ovaliformi, verde intenso. La<br />

Nomi popolari: barbaforte, erba da scorbuto,<br />

ra<strong>di</strong>ca forte<br />

Origine: Russia, Asia occidentale<br />

Famiglia: Crocifere<br />

Fiori: piccoli, biancastri, appaiono in<br />

primavera, riuniti in gruppetti al sommo degli<br />

steli dal portamento elegante<br />

pianta non è priva <strong>di</strong> un certo valore<br />

decorativo, ma l’interesse maggiore è rivolto<br />

alla sua ra<strong>di</strong>ce, dal sapore piccantissimo, usata<br />

persino in sostituzione <strong>della</strong> senape. Impiegata<br />

in gastronomia, non è priva <strong>di</strong> proprietà<br />

curative<br />

Etimologia: dal latino nasus, naso, e stortus,<br />

storto, a in<strong>di</strong>care il sapore pungente che<br />

Caratteristiche: il cren presenta belle foglie, raggiunge le narici, facendo storcere il naso<br />

172


«Vita come erba,<br />

come la capsella dei pastori<br />

erba vagante sul mondo<br />

più estesa e verde dei fiumi sferzati<br />

dal vento».<br />

Artur Lundkvist<br />

La capsella, amica dei soldati<br />

È proprio una piantina da niente, che spesso non raggiunge i <strong>di</strong>eci centimetri<br />

d’altezza, eppure può vantarsi <strong>di</strong> aver salvato parecchi soldati feriti, votati a<br />

morte sicura.<br />

Certo non è storia <strong>di</strong> oggi e neppure <strong>di</strong> ieri, ma nell’antichità, soprattutto nel<br />

Me<strong>di</strong>oevo, la Capsella bursa pastoris era considerata il più valido dei rime<strong>di</strong><br />

quando si trattava <strong>di</strong> fermare le emorragie e <strong>di</strong> far cicatrizzare le piaghe.<br />

Questa proprietà è stata riconosciuta dal grande me<strong>di</strong>co e naturalista Pierandrea<br />

Mattioli (1500-1577) che ha lasciato opere <strong>di</strong> botanica che, ancora oggi,<br />

fanno testo.<br />

La fama <strong>della</strong> Capsella bursa pastoris ha avuto una consacrazione ufficiale durante<br />

la Prima guerra mon<strong>di</strong>ale, tanto da sostituire gli emostatici tra<strong>di</strong>zionali<br />

a base <strong>di</strong> segale cornuta e <strong>di</strong> idraste.<br />

Prima <strong>di</strong> commentare proprietà e applicazioni <strong>della</strong> borsapastore, cerchiamo<br />

<strong>di</strong> conoscerla un po’ meglio a cominciare dall’etimologia del suo nome popolare<br />

che si riferisce alla forma dei minuscoli frutti che appaiono lungo lo stelo<br />

alla caduta dei fiori e ricordano – appunto – la bisaccia dei pecorai. La definizione<br />

scientifica, invece, è <strong>di</strong> derivazione latina da capsella piccolo cofano,<br />

completata da bursa pastoris con il significato già descritto.<br />

Nella varie regioni questa interessante crucifera è nota come: borsacchina,<br />

erba borsa, scarselline, barlet, cimino, raperina, bursa de mazzone e vurza <strong>di</strong><br />

picuraru.<br />

La sua presenza si <strong>di</strong>lata su tutto il nostro territorio, dalla pianura sino a 2350 metri<br />

<strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, nei luoghi incolti e nei prati, negli orti o nei giar<strong>di</strong>ni, fra i ruderi o alla<br />

base dei muri, al sole come all’ombra; in una parola, si tratta <strong>di</strong> una specie che tende<br />

a <strong>di</strong>ventare infestante e che, pur essendo annuale, si propaga con grande velocità<br />

anche perché fiorisce <strong>di</strong> continuo dando vita a un eccezionale numero <strong>di</strong><br />

frutti e relativi semi. I <strong>fiore</strong>llini, davvero minuscoli e <strong>di</strong> color bianco, sono riuniti<br />

in un’in<strong>fiore</strong>scenza a grappolo all’apice dei fusti o su brevi rami laterali. Le foglie,<br />

a rosetta, aderiscono al suolo e sono pennate o sinuato-dentate.<br />

A titolo <strong>di</strong> curiosità aggiungiamo che le foglie giovani <strong>della</strong> capsella si mescolano<br />

all’insalata, in un connubio molto gradevole, leggermente acidulo. I teneri<br />

germogli primaverili si cucinano in minestra, con il riso, oppure al burro<br />

come spinaci. Un tempo, nelle malghe, sugli alpeggi, si usava la borsapastore<br />

per far coagulare il latte, in sostituzione del caglio; gli stracchini assumevano<br />

un gusto del tutto particolare.<br />

Qualche botanico, ma si tratta <strong>di</strong> supposizioni non del tutto convalidate da<br />

precisi accertamenti, afferma che la pianticella <strong>di</strong> cui stiamo parlando è dotata<br />

<strong>di</strong> un lieve tasso <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>oattività.<br />

173<br />

I princìpi attivi<br />

L’esame dei tessuti <strong>della</strong> capsella per accertare la presenza dei<br />

vari componenti, non può non destare stupore per l’assortimento<br />

e l’importanza degli elementi che si nascondono nella<br />

linfa e nelle parti ver<strong>di</strong> <strong>di</strong> questa piccola pianta, certamente<br />

non decorativa, quasi insignificante. La Natura è pro<strong>di</strong>ga <strong>di</strong><br />

esempi come questo che, secondo una legge <strong>di</strong> compensazione,<br />

arricchiscono in<strong>di</strong>vidui poveri <strong>di</strong> qualità esteriori con pregi<br />

intrinsechi davvero rilevanti.<br />

Nel caso <strong>della</strong> Capsella bursa pastoris i principi attivi sono proprio<br />

molti, fra cui colina, acetilcolina, tiramina e istamina. Tra<br />

gli aci<strong>di</strong> sono presenti: fumarico, prorocatechico, tartarico, malico,<br />

citrico, acetico, bursinico. Seguono sparteina e lupinina, due<br />

alcaloi<strong>di</strong>, e i glucosi<strong>di</strong> esperi<strong>di</strong>na e <strong>di</strong>osmina. Completano l’elenco i<br />

mercaptani, tannino, saponine, amido e, nelle ceneri <strong>della</strong> capsella essicca­


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Capsella bursa pastoris<br />

Nomi popolari: borsa del pastore,<br />

borsacchina, erba borsa, barlet, scarsellina,<br />

cimino, rapertina, bursa de mazzone<br />

Origine: Europa, Asia minore<br />

Famiglia: Crucifere<br />

Fiori: minuscoli, bianchi, presenti sulla pianta<br />

quasi tutto l’anno; sono riuniti in grappolini<br />

Caratteristiche: specie annuale, alta da 10 a<br />

50 centimetri, con fusto centrale che sorregge i<br />

fiori; le foglie, <strong>di</strong>sposte a rosetta alla base <strong>della</strong><br />

pianta, sono sud<strong>di</strong>vise in lobi triangolari. La<br />

capsella viene usata sin dall’antichità contro le<br />

emorragie e per far cicatrizzare le piaghe<br />

Etimologia: dal latino capsella, piccolo cofano,<br />

a in<strong>di</strong>care la forma delle siliquette triangolari<br />

che sono il frutto <strong>della</strong> borsa del pastore<br />

ta, un’alta percentuale <strong>di</strong> ossido <strong>di</strong> potassio (19%). La chimica moderna non ha<br />

faticato molto ad in<strong>di</strong>viduare questi componenti, ma rimane sempre da chiedersi<br />

attraverso quale somma <strong>di</strong> esperienze e durante il corso <strong>di</strong> quanti millenni<br />

l’uomo sia riuscito ad in<strong>di</strong>viduare le proprietà terapeutiche <strong>di</strong> questa come <strong>di</strong><br />

qualsiasi altra pianta. È indubbio che l’uomo primitivo deve aver osservato il<br />

comportamento <strong>di</strong> alcuni animali feriti chiedendosi perché andassero a rotolarsi<br />

sulla capsella piuttosto che su altre specie.<br />

La deduzione è stata semplice e, da quel momento, la borsapastore ha potuto<br />

<strong>di</strong>mostrare le sue proprietà curative e la sua vali<strong>di</strong>tà come emostatico.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Stabilito che la Capsella bursa pastoris interviene positivamente per arrestare<br />

le emorragie, rimane da in<strong>di</strong>care il modo <strong>di</strong> utilizzare la pianta e quale il momento<br />

più adatto per farlo.<br />

I risultati migliori si ottengono con la capsella fresca, raccolta da aprile a ottobre,<br />

fiori compresi. Si può procedere anche all’essiccazione, ma l’azione del<br />

materiale così ottenuto è senz’altro più lenta. Ve<strong>di</strong>amo ora i <strong>di</strong>versi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

impiego:<br />

– l’infuso <strong>di</strong> 3 grammi <strong>di</strong> capsella ogni 100 grammi <strong>di</strong> acqua bollente, bevuto in<br />

ragione <strong>di</strong> tre bicchierini al giorno, agisce da tonico-astringente, da emostatico<br />

interno, da coagulante, con un’azione ipotensiva e vaso<strong>di</strong>latatrice;<br />

– il decotto ottenuto con cento grammi <strong>di</strong> capsella fresca bollita per un quarto<br />

d’ora in cento grammi <strong>di</strong> acqua, fornisce un liquido che serve ad inzuppare<br />

falde <strong>di</strong> cotone idrofilo per farne impacchi da applicare sulla parte interessata<br />

dell’emorragia;<br />

– la pianta fresca, ridotta in poltiglia, usando magari il tritatutto elettrico, si<br />

stende sulla ferita sino a quando il flusso sanguigno cessa;<br />

– le foglie fresche, masticate, accrescono l’attività delle ghiandole salivari e<br />

attenuano il senso <strong>di</strong> secchezza del cavo orale, tipico <strong>di</strong> alcune malattie, come<br />

il <strong>di</strong>abete...


«... e non perdete <strong>di</strong> vista,<br />

in mezzo ai fiori, le male erbe, che<br />

hanno sete anche loro. Non<br />

bagnate solo il prato fresco o solo<br />

quello arido, ma anche i<br />

semprevivi sul tetto...».<br />

Bertolt Brecht<br />

Sempervivum tectorum.<br />

Sembra una rosa nata per caso fra le tegole<br />

Botanicamente, il suo nome è Sempervivum tectorum, ma nel corso dei secoli ha<br />

pensato <strong>di</strong> metter su una specie <strong>di</strong> famiglia, dando vita a due sottospecie: il Sempervivum<br />

alpinum e il Sempervivum schottii che vivono anche a notevole altitu<strong>di</strong>ne, intorno<br />

ai 2800-3000 metri. Molti la considerano semplicemente una pianta grassa,<br />

mentre il suo ceppo d’origine ha un nome ben preciso, quello delle Crassulacee,<br />

composto da ben trentacinque generi e millecinquecento specie. Cinque generi e cinquantacinque<br />

specie nascono spontaneamente sui nostri monti, sulle rupi e tra i<br />

sassi che affiorano nei pascoli, sui tetti delle baite, fra tegole e lastre <strong>di</strong> lavagna,<br />

purché il poco terriccio che occorre alla loro vita sia <strong>di</strong> natura silicea.<br />

Il Sempervivum tectorum è bello a vedersi: sembra una macchia <strong>di</strong> rose ver<strong>di</strong> e<br />

carnose, prive <strong>di</strong> stelo e con la punta dei petali sfumata <strong>di</strong> porpora. Qualcuno paragona<br />

queste piante ai carciofi; infatti uno dei loro nomi popolari è proprio articiochi<br />

mati, ma a noi sembrano meritare un paragone più gentile. Un paragone<br />

che descriva più complutamente la grazia <strong>di</strong> questa specie, soprattutto in<br />

estate, nel momento <strong>della</strong> fioritura, quando dal tappeto <strong>di</strong> foglie verde tenero riunite<br />

in rosette, si alzano gli steli fiorali, coperti da brattee giallo ocra, che terminano<br />

in densi corimbi <strong>di</strong> corolle simili a stelline rosa-porpora, molto decorative.<br />

La fioritura dura a lungo e trasforma completamente il profilo dei<br />

tetti che sembrano ricoprirsi <strong>di</strong> un lieve velo crespato, come una decorazione<br />

<strong>di</strong> chiffon sull’ala <strong>di</strong> un cappellino fine Ottocento.<br />

Il semprevivo, che in alcune zone viene chiamato orecine, erba<br />

trouna o, più prosaicamente erba da calli, in francese è noto come<br />

joubarbe, in tedesco Hauswur, e in inglese houseleek. Fatte queste<br />

precisazioni d’or<strong>di</strong>ne linguistico, ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> sapere qualcosa <strong>di</strong><br />

più e <strong>di</strong> curioso sul Sempervivum tectorum, nome attribuitogli da<br />

grande me<strong>di</strong>co e naturalista svedese Linneo, o Carl von Linné (1707­<br />

1778), padre <strong>della</strong> sistematica moderna e <strong>di</strong> un metodo <strong>di</strong> classificazione<br />

delle specie animali e vegetali tuttora vali<strong>di</strong>ssimo.<br />

La prima notizia curiosa, che ha un preciso riferimento con la pre<strong>di</strong>lezione<br />

del semprevivo per le fessure tra coppo e coppo, fra tegola e tegola,<br />

si rifà a un’antica credenza che attribuiva alle ver<strong>di</strong> rose <strong>di</strong> questa crassulacea,<br />

il potere <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere le case dai fulmini e <strong>di</strong> tenere lontani gli spiriti<br />

cattivi. Una forma <strong>di</strong> superstizione che, automaticamente, ha dato a questa<br />

pianta un valore particolare, quasi magico, lasciando supporre che essa possedesse<br />

anche altre virtù. In effetti, il Sempervivum tectorum, dall’odore acidulo,<br />

è più che efficace per lenire il dolore alle estremità provocato dalla presenza<br />

<strong>di</strong> indurimenti <strong>della</strong> pelle, attenua il bruciore delle scottature e il prurito tipico<br />

<strong>di</strong> alcune forme <strong>di</strong> dermatosi. Per ottenere questi risultati basta anche appoggiare<br />

una delle foglie <strong>di</strong> queste carnose e strane rose ver<strong>di</strong> sulla parte colpita<br />

per ottenere un rapido miglioramento. Importante è che la foglia sia fresca,<br />

con<strong>di</strong>zione che si mantiene anche in pieno inverno, magari sotto<br />

la neve. Non per niente questo semprevivo vegeta in montagna,<br />

anche a notevole altitu<strong>di</strong>ne, come già abbiamo sottolineato. A<br />

questo punto, esauriti i cenni... storici che riguardano il<br />

semprevivo dei tetti, la facile etimologia del suo nome,<br />

scientifico e non, celebrate genericamente le sue<br />

virtù terapeutiche, non rimane che scendere<br />

nei particolari.<br />

175<br />

I princìpi attivi<br />

Le proprietà curative del semprevivo<br />

dei tetti derivano dalla presenza nei<br />

suoi tessuti <strong>di</strong> una mucillagine particolarmente<br />

utile come decongestio­


Sempervivum montanum.<br />

nante, <strong>di</strong> un tannino che ha potere astringente, resina, malato <strong>di</strong> calcio, acido<br />

formico e acido malico.<br />

Completano l’elenco dei costituenti che caratterizzano i tessuti <strong>di</strong> questa specie,<br />

altre sostanze che non meritano <strong>di</strong> essere ricordate perché la loro percentuale<br />

è minima e la loro azione non è rilevante ai fini terapeutici.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

A parte la già ricordata applicazione delle foglie fresche, per attenuare il bruciore<br />

delle scottature, il prurito e le lancinanti stilettate dei poco poetici quanto<br />

dolorosi calli, il Sempervivum tectorum può essere impiegato per preparare:<br />

– il cataplasma; serve a calmare il prurito, si prepara riducendo le foglie in<br />

poltiglia, usando un pestacarne o il fondo <strong>di</strong> un bicchiere. L’applicazione deve<br />

essere ripetuta almeno due volte al giorno. Questo cataplasma è molto utile<br />

anche contro la cefalea;<br />

– gli impacchi vali<strong>di</strong> ad attenuare il dolore delle scottature si preparano mescolando<br />

le foglie passate nel tritatutto ad eguale quantità <strong>di</strong> olio d’oliva;<br />

– il decotto, ottenuto con 5-6 grammi <strong>di</strong> carnose foglie del semprevivo bollite<br />

per <strong>di</strong>eci minuti in cento grammi d’acqua, si usa per gargarismi, per tamponare<br />

l’epistassi, ossia l’emorragia dal naso, ed attenuare la sofferenza provocata<br />

dalle emorroi<strong>di</strong>;<br />

– le foglie, masticate lentamente, senza inghiottirle, calmano il mal <strong>di</strong> denti;<br />

– come callifugo; per renderne più efficace l’azione, si consiglia <strong>di</strong> aggiungere<br />

alle foglie ridotte in poltiglia un po’ d’aceto.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Sempervivum tectorum Caratteristiche: specie perenne dallo stelo<br />

Nomi popolari: sopravvivo, erba da calli,<br />

sempreio, articiochi mati, oregliàrie, urciaela,<br />

erba trouna, orecine, semparvive<br />

Origine: Europa meri<strong>di</strong>onale<br />

Famiglia: Crassulacee<br />

fiorale eretto, alto da 20 a 50 centimetri,<br />

carnoso e coperto da piccole squame <strong>di</strong>sposte<br />

a embrice, verde-azzurro con sfumature rosse.<br />

Le foglie vere e proprie formano cespo al piede<br />

<strong>della</strong> pianta, zona da cui partono gli stoloni<br />

che recano minuscole rosette, ossia altrettante<br />

Fiori: appaiono in estate, sono rosa con pianticelle<br />

striature porpora, a stella; sono riuniti in corimbi Etimologia: dal latino semper e vivum, ossia<br />

terminali e hanno un buon valore decorativo semprevivo<br />

176


«Mi recherò nel bosco e nel mio<br />

giar<strong>di</strong>no segreto coglierò fiori e<br />

frutti per ricavarne misteriose<br />

essenze preziose. Con l’amarella<br />

darò forza al vino e poi conoscere<br />

l’amore sarà un sortilegio che non<br />

avrà fine».<br />

Al-Shi-Dahim<br />

L’amarella, pianta del latte<br />

Amarella è il nome gentile che i montanari riservano a una pianta alta da 5 a 15 centimetri,<br />

che vive sui terreni argillosi e calcarei sino a 1600 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, lungo<br />

tutta la corona delle Alpi, botanicamente nota come Polygala amarella, che i francesi<br />

conoscono come polygola, gli inglesi come milkwort e i tedeschi Kreuzblume.<br />

L’amarella appartiene a un genere ricco <strong>di</strong> ben ottocento specie <strong>di</strong>ffuse in tutto<br />

il mondo, nelle zone temperato-calde, esclusi tre territori: Polinesia, Nuova<br />

Zelanda e Artico.<br />

Oltre alla Polygala amarella, o Polygala amara è molto <strong>di</strong>ffusa in Italia la Polygala<br />

vulgaris, detta anche bozzolina, da non confondere con la Polygala senega<br />

originaria <strong>della</strong> Virginia, degli Stati Uniti e del Canada, tenuta in gran conto<br />

dagli In<strong>di</strong>ani che la ritengono sicuro antidoto contro il veleno dei serpenti e rime<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> grande efficacia nel caso <strong>di</strong> tosse ostinata.<br />

Ma torniamo all’amarella e all’etimologia del suo nome scientifico: Polygala, che<br />

deriva dal greco polys, molto, e gala, latte, a in<strong>di</strong>care la proprietà <strong>di</strong> questa<br />

pianta nel favorire la secrezione lattea nelle puerpere, nelle mucche, nelle capre<br />

e nelle pecore.<br />

Curiosità a parte, l’amarella, pur nella sua minuzia, si impone per la bellezza dei<br />

minuscoli fiori a campanella, <strong>di</strong>sposti a grappolo su un solo lato del fusto, in un<br />

delicatissimo blu-lilla, quello che Gabriele d’Annunzio definiva gridellino, descrivendo<br />

un festone <strong>di</strong> glicine. Qualche volta, ma è raro, le corolle dell’amarella<br />

sono bianche o rosa, ma tutte hanno in comune una particolarità: a mano a<br />

mano che si schiudono, quelle inferiori trascolorano dal blu-lilla, dal bianco o<br />

dal rosa e assumono una tenera colorazione<br />

verde simile a quella delle foglie che sono<br />

ovali, con la punta arrotondata, raccolte a<br />

rosetta alla base <strong>della</strong> pianta.<br />

Per completare la descrizione <strong>della</strong> Polygala<br />

amarella, un particolare davvero insolito:<br />

questa specie produce semi che non germinano<br />

sotto terra, come avviene quasi sempre,<br />

ma per produrre ra<strong>di</strong>ci e germogli hanno bisogno<br />

<strong>della</strong> piena luce. Di conseguenza, i frutticini<br />

dell’amarella una volta caduti al suolo non affondano<br />

nel terreno, ma rimangono in superficie,<br />

in attesa che la pioggia e il sole compiano il loro<br />

dovere e consentano a questa graziosa specie <strong>di</strong> riprodursi<br />

abbondantemente.<br />

La Polygala non è una piantina presa in considerazione come<br />

specie ornamentale, ma è indubbio che una cassettina, una<br />

ciotola colme <strong>di</strong> amarelle in <strong>fiore</strong> rappresentano un elemento decorativo<br />

davvero delizioso, estremamente raffinato, da sistemare<br />

al posto d’onore su un davanzale.<br />

Tutto questo è la Polygala amara, minuscola espressione <strong>di</strong> bellezza<br />

e <strong>di</strong> grazia, non priva <strong>di</strong> valore terapeutico, in virtù delle<br />

sostanze contenute nei suoi tessuti, tenute in buon conto dalla<br />

moderna omeopatia, me<strong>di</strong>cina alternativa che si sta imponendo<br />

nella cura <strong>di</strong> molte e svariate affezioni.<br />

I princìpi attivi<br />

L’azione <strong>della</strong> Polygala amarella contro alcuni <strong>di</strong>sturbi <strong>di</strong>pende,<br />

come è ovvio, dalla percentuale dei componenti che appaiono<br />

nella ra<strong>di</strong>ce e nella parte aerea <strong>di</strong> questa graziosa<br />

pianta utilizzata sin dall’antichità nel Vecchio come nel<br />

Nuovo Mondo.


SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Polygala amarella<br />

Nomi popolari: amarella, poligala amara,<br />

bozzolino<br />

Origine: Europa, Asia occidentale, Africa del<br />

nord e del sud, America<br />

Famiglia: Poligalacee<br />

Fiori: blu, rosa o bianchi, in estate, a<br />

campanella, <strong>di</strong>sposti in grappoli allungati,<br />

lungo un solo lato del fusto<br />

Caratteristiche: erbacea perenne altra da 5 a<br />

15 centimetri, con il fusto che nel primo tratto<br />

aderisce al suolo e poi si erge. Foglie a<br />

spatola, piccole, verde chiaro, riunite a rosetta<br />

al piede <strong>della</strong> pianta. L’amarella favorisce la<br />

secrezione lattea; mucche, pecore e capre la<br />

ricercano e se ne cibano con abbondanza<br />

Etimologia: dal greco polys, molto, e gála,<br />

latte, per l’ipotesi che la poligala aiutasse la<br />

secrezione lattea nei bovini<br />

Di particolare importanza ai fini terapeutici, la senegina al 2 per cento glucoside,<br />

detta anche acido poligalico, la poligamarina, una saponina amara, saponine<br />

acide, olio essenziale, gomma, resina, poliosi poligalite poligalitolo, mucillagine,<br />

pectina, un principio amaro, resina e gluci<strong>di</strong>.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Non sono molte le forme <strong>di</strong> impiego dell’amarella, ma questo non significa che<br />

la sua efficacia debba essere sottovalutata nei confronti <strong>di</strong> specifiche affezioni<br />

tra cui spiccano i <strong>di</strong>sturbi dall’apparato respiratorio a livello bronchiale. Ma<br />

an<strong>di</strong>amo per or<strong>di</strong>ne e illustriamo i rime<strong>di</strong> affidati alla me<strong>di</strong>azione <strong>della</strong> Polygala<br />

amarella:<br />

– il decotto che si prepara facendo bollire l’intera piantina per un quarto d’ora<br />

nella dose <strong>di</strong> 3 grammi ogni 100 grammi <strong>di</strong> liquido, agisce positivamente come<br />

espettorante, alleviando il senso <strong>di</strong> oppressione provocato dalla presenza <strong>di</strong><br />

catarro e conseguente tosse. Il decotto deve essere bevuto caldo, in ragione<br />

<strong>di</strong> due o tre tazze al giorno, lontano dai pasti;<br />

– l’infuso ritenuto un buon galattogeno, ossia utile ad aumentare la secrezione<br />

lattea, si prepara lasciando riposare in acqua bollente per una decina <strong>di</strong><br />

minuti cinque grammi <strong>di</strong> foglie e fiori; l’infuso si beve in misura <strong>di</strong> quattro-cinque<br />

tazzine da caffè al giorno tiepido, preferibilmente a stomaco pieno;<br />

– il vino d’amarella è considerato un gradevole, positivo sistema per stimolare<br />

l’appetito, favorire la <strong>di</strong>gestione e accrescere la presenza <strong>di</strong> secrezioni gastriche<br />

in<strong>di</strong>spensabili al buon funzionamento dell’apparato <strong>di</strong>gestivo. Preparare<br />

questo vino è assai facile: prendere un litro <strong>di</strong> vino bianco secco e infilare<br />

nella bottiglia 30-40 grammi <strong>di</strong> amarella (foglie e fiori) lasciandoli a macero<br />

per una decina <strong>di</strong> giorni. È consigliabile che la bottiglia durante la preparazione<br />

rimanga in frigorifero. Trascorsi <strong>di</strong>eci giorni, il vino deve essere<br />

filtrato con cura e quin<strong>di</strong> bevuto prima dei pasti; la dose consigliata è <strong>di</strong> un<br />

bicchierino da liquore. Inutile aggiungere che il vino <strong>di</strong> amarella deve essere<br />

tenuto sempre al fresco; in tal modo, il suo sapore risulta molto più gradevole<br />

e la conservazione <strong>della</strong> bevanda è assicurata.<br />

178


«Le api cercano i suoi fiori, il sole<br />

scalda le sue foglie d’argento e<br />

l’aria si fa più preziosa quando è<br />

intrisa del suo aroma. Nella mia<br />

cucina un mazzo <strong>di</strong> salvia ricrea<br />

l’incanto <strong>di</strong> certi luoghi del sud, <strong>di</strong><br />

fronte al mare, e <strong>di</strong> vivande dal<br />

sapore in<strong>di</strong>menticabile».<br />

Sackville West<br />

Salvia sclarea.<br />

La salvia, per <strong>di</strong>fendere la salute<br />

È il nome stesso – dal latino salus, salute – a in<strong>di</strong>care il compito delle salvie in<br />

genere, straor<strong>di</strong>narie piante me<strong>di</strong>cinali che sin dall’antichità vengono utilizzate<br />

per guarire i piccoli mali o per prevenirli.<br />

La più celebrata delle salvie è senz’altro la officinalis, quella che si usa anche<br />

in cucina, tanto per intenderci, ma noi vogliamo riabilitare la Salvia sclarea dalle<br />

belle spighe a pannocchia, rosa-viola. Un tempo era in<strong>di</strong>cata come Sclareiam<br />

e inclusa fra le specie officinali consigliate nel Capitolare <strong>di</strong> Villis, risalente al<br />

795, che consigliava quali piante coltivare a scopo curativo.<br />

L’opera, destinata ai monaci e agli erboristi, era ritenuta la più valida guida<br />

per realizzare un giar<strong>di</strong>no dei semplici dove trovare ogni possibile sostanza<br />

me<strong>di</strong>camentosa per preparare decotti e tisane, empiastri e pozioni <strong>di</strong> ogni<br />

genere.<br />

Anche la famosa Scuola Salernitana proponeva molte applicazioni <strong>della</strong> salvia,<br />

classificata allora come Salvia salvatrix e ritenuta una sorta <strong>di</strong> panacea per<br />

molte e molte affezioni e che oggi sta ai primi posti nella scala <strong>della</strong> popolarità,<br />

almeno per quanto riguarda le specie aromatiche; insieme al rosmarino,<br />

all’origano, al timo e alla maggiorana.<br />

Ma torniamo alla Salvia sclarea, nota nel gergo popolare come: chiarella maggiore,<br />

amarella, moscatella, trippa madama, tutta buona, erba salamanna, erba<br />

<strong>di</strong> santa Lucia (vedremo poi il perché <strong>di</strong> questo nome) e salvione.<br />

In francese salvia si <strong>di</strong>ce sauge, in inglese sage e in tedesco Salbel; inutile <strong>di</strong>re<br />

che è molto apprezzata nella farmacopea tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> tutta Europa e che la<br />

sua aggiunta ai cibi per renderli più profumati, non è soltanto una questione <strong>di</strong><br />

gusto, ma anche un modo gradevole per garantirne la <strong>di</strong>geribilità.<br />

Per quanto riguarda la Salvia sclarea sono molte e curiose le utilizzazioni non<br />

strettamente me<strong>di</strong>cinali, ad esempio come aromatizzante per liquori e profumi,<br />

oppure per dare sentore <strong>di</strong> moscato al vino, per intensificare sapore e profumo<br />

del vermouth, <strong>della</strong> birra o altre bevande del genere. Anche i confetti, i<br />

gelati e l’aceto acquistano una caratteristica particolare con l’aggiunta <strong>di</strong> questa<br />

salvia.<br />

La descrizione <strong>della</strong> Salvia sclarea non sarebbe completa se non ne sottolineassimo<br />

anche le qualità ornamentali, soprattutto se essa viene utilizzata<br />

per formare dense bordure, macchie isolate nella cornice del prato, oppure<br />

per sottolineare la base <strong>di</strong> un muro rustico, la spalla <strong>di</strong> una vecchia scala. Importante<br />

è che possa godere <strong>di</strong> molto sole perché il caldo esalta le sue qualità<br />

curative rende più efficaci i suoi componenti, più intenso il suo aroma muschiato.<br />

I princìpi attivi<br />

La Salvia sclarea, per tener fede all’etimologia del suo nome, regala preziose<br />

sostanze benefiche per la nostra salute e che si trovano nelle foglie, raccolte<br />

prima <strong>della</strong> fioritura, nelle spighe fiorite, staccate quando le corolle cominciano<br />

ad aprirsi, e nei semi che, come vedremo, anticamente venivano usati in<br />

modo curioso per la cura degli occhi.<br />

Ma an<strong>di</strong>amo per or<strong>di</strong>ne, cominciando con l’elencare i componenti <strong>di</strong> questa<br />

pianta, che sono: un olio essenziale, una saponina, tannino, colina, un<br />

glucoside, mucillagine, cedrene, sclareolo, acetato <strong>di</strong> linalile, resina, acido<br />

gallico, un’alta percentuale <strong>di</strong> linalolo. Sono caratteristici <strong>della</strong> salvia<br />

<strong>di</strong> cui ci stiamo occupando, il sapore leggermente amaro e un po’ acre;<br />

l’aroma intenso ricorda da lontano quello <strong>della</strong> Salvia officinalis che è la<br />

specie più nota in quanto utilizzata ampiamente in campo gastronomico<br />

e ad<strong>di</strong>rittura alla base <strong>di</strong> alcune ricette tra<strong>di</strong>zionali, tipiche <strong>della</strong> cucina<br />

regionale.<br />

Un impiego particolare, è quello dell’essenza ottenuta per <strong>di</strong>stillazione che<br />

179


Salvia pratensis e Salvia glutinosa.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Salvia<br />

Nomi popolari: chiarella, moscatella, tutta<br />

buona, erba salamanna, erba <strong>di</strong> santa Lucia,<br />

salvione, erba sacra<br />

Origine: Europa e Asia<br />

Famiglia: Labiate<br />

Fiori: blu, rosa o bianchi, in spighe terminali,<br />

vischiose. I singoli <strong>fiore</strong>llini sono messi in<br />

evidenza da brattee lilla, a cuore<br />

Caratteristiche: erbacee perenni alte da 20<br />

centimetri a oltre un metro, con il fusto a<br />

sezione quadrangolare, peloso e robusto. Le<br />

foglie, molto aromatiche, sono più o meno<br />

ovali, rugose e pelose, <strong>di</strong> un tipico color verdegrigio.<br />

Si tratta <strong>di</strong> piante mellifere, <strong>di</strong> buon<br />

valore terapeutico, apprezzate sin dall’antichità<br />

Etimologia: dal latino salveo, star sano, in<br />

relazione alle proprietà me<strong>di</strong>cinali delle varie<br />

specie <strong>di</strong> salvia<br />

<strong>di</strong>mostra un buon valore come fissativo nel settore dei profumi, in sostituzione<br />

<strong>della</strong> costosissima ambra grigia.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Premesso che la Salvia sclarea <strong>di</strong>mostra buone proprietà tonico-stimolanti<br />

soprattutto nei confronti dell’apparato <strong>di</strong>gerente, antispasmo<strong>di</strong>che e antisteriche,<br />

battericide e contro l’eccessiva sudorazione, oltre a regolare il flusso<br />

mestruale, ve<strong>di</strong>amo come si utilizza questa pianta per preparare alcune semplici<br />

pozioni:<br />

– l’infuso, ottenuto con tre grammi <strong>di</strong> salvia e cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente<br />

(l’infusione deve durare almeno <strong>di</strong>eci minuti) esercita una buona azione <strong>di</strong>gestiva<br />

e corroborante; berne una tazza dopo i pasti principali e, se occorre,<br />

anche a metà pomeriggio;<br />

– un leggero infuso, preparato con due grammi <strong>di</strong> foglie o <strong>di</strong> fiori messi a riposare<br />

per qualche minuto in cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente, forniscono un liquido<br />

me<strong>di</strong>cato da usare come calmante contro l’irritazione e l’arrossamento<br />

degli occhi; per eseguire questi bagni oculari, basta inzuppare due <strong>di</strong>schi <strong>di</strong><br />

cotone idrofilo e appoggiarli sulle palpebre per una ventina <strong>di</strong> minuti, stando<br />

sdraiati, al buio;<br />

– le foglie fresche, leggermente pestate, servono da cataplasma e si applicano<br />

sui foruncoli sulle contusioni, sulle parti colpite dalle punture degli insetti e<br />

ovunque si tema l’insorgere <strong>di</strong> un’infezione. Infatti le foglie <strong>della</strong> Salvia sclarea<br />

esercitano una buona azione battericida;<br />

– il vino aromatizzato con questa pianta (foglie e fiori) è ottimo per dare vitalità<br />

all’organismo. La preparazione è molto semplice: basta lasciare a macero<br />

per <strong>di</strong>eci giorni ottanta grammi <strong>di</strong> Salvia sclarea in un litro <strong>di</strong> vino bianco<br />

secco e poi filtrarlo; la bottiglia deve essere conservata in frigorifero; durante<br />

la giornata si bevono cinque sei cucchiai <strong>di</strong> questo preparato con due scopi:<br />

tonificare il sistema nervoso, attenuare il senso <strong>di</strong> fatica e la cosiddetta<br />

ansia;<br />

– i semi <strong>della</strong> Salvia sclarea, come abbiamo già detto, si utilizzano in modo<br />

davvero strano, per liberare gli occhi da eventuali corpi estranei. Infatti, questi<br />

semi sono ricchi <strong>di</strong> mucillagine e una volta infilati sotto la palpebra si gonfiano,<br />

provocando un’abbondante lacrimazione e, <strong>di</strong> conseguenza, la fuoriuscita<br />

del corpo estraneo. Ecco la ragione del nome popolare erba <strong>di</strong> santa<br />

Lucia protettrice <strong>della</strong> vista. Così la salvia, se non proprio a salvarci, contribuisce<br />

a guarire le piccole infermità e ad alleviare le quoti<strong>di</strong>ane sofferenze<br />

che non <strong>di</strong>pendano da gravi patologie e possano essere affrontate senza l’intervento<br />

del me<strong>di</strong>co.<br />

180


«... proprio non vedo<br />

un gran cambiamento;<br />

c’è sopra i nostri tavoli, oggi,<br />

appena<br />

qualche <strong>fiore</strong> <strong>di</strong> meno...<br />

mancano i fiori <strong>della</strong> malva.<br />

Eppure, eppure io mi sovvengo<br />

<strong>di</strong> un altro tempo, <strong>di</strong> un’altra<br />

fiamma...».<br />

Paul Géraldy<br />

La malva, rime<strong>di</strong>o per ogni male<br />

Il suo nome scientifico, Malva, è <strong>di</strong> origine greca da malakós, molle, a in<strong>di</strong>care<br />

le proprietà emollienti e lenitive delle foglie e dei semi <strong>di</strong> questa bella pianta<br />

appartenente a un genere ricco <strong>di</strong> una trentina <strong>di</strong> specie, presenti in Europa,<br />

Africa del nord, Asia; nel nostro Paese è <strong>di</strong>ffusa la Malva silvestris o Malva domestica.<br />

A scopo decorativo si coltivano la Malva moschata e la Malva crispa.<br />

Torniamo alla Malva silvestris chiamata anche varmetta, rion<strong>della</strong>, nalba, melba,<br />

màleva, miloghia e narbighedda; nota in francese come mauve sauvage, in<br />

inglese detta marsh mallow e in tedesco wilde Malve.<br />

Un tempo la sua <strong>di</strong>ffusione era limitata all’area europea, ma poi – come abbiamo<br />

visto – è emigrata verso altri continenti, tanto da essere definita cosmopolita.<br />

Insomma, una specie senza passaporto, adatta a vivere in pianura come<br />

in montagna, sino a 1500-1600 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne, nei terreni incolti, al<br />

bordo dei prati coltivati, negli orti, alla base dei vecchi muri e lungo le<br />

siepi, ovunque il terreno contenga una buona dose <strong>di</strong> humus e <strong>di</strong> azoto.<br />

La malva è una specie che forma un cespuglio dalla ramificazione leggera,<br />

ora prostrata, ora eretta, con foglie alterne, rotondo-palmate, a cinque<br />

o sette lobi. Tutta la pianta è coperta da lieve peluria ed è <strong>di</strong> un verde particolare:<br />

intenso e morbido insieme. I fiori appaiono<br />

all’ascella delle foglie, presentano cinque petali con<br />

l’apice a festoni. Il colore, inconfon<strong>di</strong>bile, è rosa-lilla<br />

con striature più intense che partono dall’unghia<br />

dei petali per poi perdersi nell’uniforme tinta <strong>di</strong><br />

base.<br />

Queste corolle, eleganti e delicate, si schiudono in<br />

maggio e continuano sino a settembre.<br />

La fama <strong>della</strong> malva come specie curativa risale al<br />

settimo secolo prima <strong>di</strong> Cristo, quando la si usava anche<br />

come ortaggio.<br />

L’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> gustarne i germogli è continuata nel tempo<br />

e si <strong>di</strong>ce che Cicerone ne fosse talmente ghiotto da<br />

farne in<strong>di</strong>gestione. Stando a quanto afferma Plinio il<br />

Vecchio, un cucchiaio <strong>di</strong> succo <strong>di</strong> foglie <strong>di</strong> malva preso<br />

al mattino, assicurava (forse assicura) uno straor<strong>di</strong>nario<br />

stato <strong>di</strong> benessere che dura tutta la giornata.<br />

Avrebbe dovuto tenerne conto il poeta Marziale che, invece,<br />

non si accontentava <strong>di</strong> un po’ <strong>di</strong> succo <strong>di</strong> malva bevuto<br />

a titolo preventivo e ricorreva all’aiuto <strong>di</strong> questa pianta<br />

anche dopo un’abbondante libagione, dopo una notte <strong>di</strong> orgia.<br />

I seguaci del filosofo Pitagora erano convinti che la Malva fosse<br />

sacra agli dei e in grado <strong>di</strong> allontanare «dalla mente degli uomini<br />

le riprovevoli passioni che li rendono schiavi del vizio».<br />

Sta <strong>di</strong> fatto che l’imperatore Carlo Magno, ben documentato<br />

sulla storia e sulle virtù <strong>di</strong> questa pianta, volle che nel<br />

suo giar<strong>di</strong>no venisse coltivata, in un’aiuola particolare,<br />

dove si raccoglievano foglie, ra<strong>di</strong>ci e fiori per la preparazione<br />

<strong>di</strong> tisane e decotti destinati a curare i membri<br />

<strong>della</strong> famiglia imperiale.<br />

È stato nel XVI secolo che la Malva silvestris ha raggiunto il<br />

massimo <strong>della</strong> popolarità, tanto da essere chiamata planta omnimorbia,<br />

ossia pianta che guarisce ogni male.<br />

181<br />

I princìpi attivi<br />

È in<strong>di</strong>scutibile che la malva sia una specie dalle molte virtù, in<br />

parte riconosciute anche dalla me<strong>di</strong>cina ufficiale, in base ai costi­


Malva silvestris.<br />

tuenti <strong>di</strong> questa specie: una mucillagine contenente arabinosio, ramnosio, galattosio,<br />

aci<strong>di</strong> cumarico-caffeico e clorogenico; resina, pectina, glucosio, tannino,<br />

olio essenziale, carotene, vitamina A, B1, C ed E; antociani.<br />

Nei fiori, in modo particolare, si trovano mucillagine, glucosio, malvi<strong>di</strong>na, essenza,<br />

acido tannico e colorante porpora.<br />

Per ottenere la massima percentuale delle sostanze appena elencate, si consiglia<br />

<strong>di</strong> raccogliere le foglie da giugno a settembre, i fiori da aprile a ottobre, e<br />

la ra<strong>di</strong>ce in autunno.<br />

È evidente che il tempo balsamico, ossia il periodo <strong>di</strong> maggior vali<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> questa<br />

pianta è molto lungo rispetto ad altre specie me<strong>di</strong>cinali e anche questo<br />

particolare ha contribuito a convalidare la meritata fama <strong>della</strong> Malva silvestris.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

La malva si <strong>di</strong>mostra efficace contro vari <strong>di</strong>sturbi con un’azione prevalentemente<br />

calmante, antinfiammatoria, emolliente, rinfrescante.<br />

Tra i rime<strong>di</strong> più semplici e più efficaci si ricordano:<br />

– il cataplasma ottenuto con la ra<strong>di</strong>ce fresca ridotta in poltiglia, da usare contro<br />

i foruncoli o i paterecci, per ridurre il gon<strong>fiore</strong> o far sparire il livido degli<br />

ematomi;<br />

– l’infuso preparato con due grammi <strong>di</strong> fiori e foglie e 100 grammi <strong>di</strong> acqua<br />

bollente, preso a cucchiai nel corso <strong>della</strong> giornata, calma la tosse stizzosa,<br />

agisce come blando sedativo ed esplica azione lassativa;<br />

– il decotto ottenuto con tre grammi <strong>di</strong> foglie e fiori bolliti per <strong>di</strong>eci minuti in<br />

cento grammi <strong>di</strong> acqua, serve per sciacqui e gargarismi, per fare impacchi su­<br />

182


gli occhi arrossati o per detergere la pelle colpita da eritemi solari o comunque<br />

irritata;<br />

– il succo spremuto dalle foglie fresche trova applicazione in campo cosmetico;<br />

infatti, un batuffolo <strong>di</strong> cotone idrofilo imbevuto <strong>di</strong> linfa ricavata dalla malva<br />

è un ottimo idratante per la pelle resa arida dal vento o dal troppo sole,<br />

dallo smog o dall’uso <strong>di</strong> prodotti <strong>di</strong> bellezza inadatti a determinati tipi <strong>di</strong> epidermide.<br />

Il succo <strong>della</strong> Malva silvestris ha il potere <strong>di</strong> ridare il giusto pH, ossia<br />

il giusto grado <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà, attorno al 5, alla pelle lavata abitualmente con<br />

acqua ricca <strong>di</strong> calcare o con saponi che presentano la stessa caratteristica,<br />

quin<strong>di</strong> decisamente sconsigliabili.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Malva silvestris 60 centimetri, con foglie palmate, coperte da<br />

Nomi popolari: varmetta, rion<strong>della</strong>, melba,<br />

nalba, màleva, milonghia, narbighedda<br />

Origine: Europa e Asia del nord<br />

Famiglia: Malvacee<br />

Fiori: lilla-rosa o lilla-azzurro, in estate, a<br />

cinque petali <strong>di</strong>visi in due lobi alla sommità<br />

peluria ruvida. Il fogliame è privo <strong>di</strong> aroma, ma<br />

assai apprezzato come me<strong>di</strong>camento.<br />

Anticamente, la malva veniva chiamata<br />

omnimorbia, ossia capace <strong>di</strong> guarire qualsiasi<br />

male<br />

Etimologia: dal greco malakós, molle, in<br />

riferimento alle proprietà emollienti dei semi e<br />

Caratteristiche: specie biennale, alta da 20 a delle foglie<br />

183


«Al margine del pascolo, caldo <strong>di</strong><br />

sole,<br />

le api ronzavano e danzavano<br />

nell’aria tersa,<br />

inebriate dal nettare del marrobio<br />

che si nega<br />

agli uomini con il suo acre odore».<br />

Hubert Steiner<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Ballota foetida<br />

Nomi popolari: marrobio, marrubio,<br />

marrubiastro, malavita, balota, cimiciotto<br />

Origine: territorio italiano, dalla pianura sino a<br />

1500 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne<br />

Famiglia: Labiate<br />

Fiori: piccoli, rosa-porpora, riuniti in verticilli<br />

compatti alla base delle foglie, soprattutto verso<br />

la sommità degli steli. Fioritura estiva<br />

Caratteristiche: erbacee perenni, alte da 60 a<br />

80 centimetri, dal fusto ramificato e ricco <strong>di</strong><br />

foglie, vellutate, dentellate e a forma <strong>di</strong> cuore.<br />

Tutta la pianta emana un odore poco<br />

gradevole che non impe<strong>di</strong>sce alle api <strong>di</strong><br />

ricercare il nettare <strong>di</strong> questa pianta e ricavarne<br />

uno squisito miele<br />

Etimologia: il nome popolare marrobio deriva<br />

dall’ebraico mar, amaro, e rab molto, a<br />

sottolineare l’acre sapore <strong>di</strong> questa pianta.<br />

Non è chiaro, invece il significato etimologico<br />

del nome scientifico, Ballota <strong>di</strong> cui è nota<br />

soltanto l’origine greca<br />

Il nero marrobio ricercato dalle api<br />

Il marrobio, scientificamente Ballota foetida, <strong>di</strong>mostra la perfetta organizzazione<br />

<strong>della</strong> Natura, dove tutto è pre<strong>di</strong>sposto con assoluta precisione, e talvolta,<br />

con risultati che possono apparire contrad<strong>di</strong>ttori.<br />

Precisiamo subito che la Ballota foetida, e il nome lo conferma, è una graziosa<br />

pianta erbacea perenne che fiorisce in rosa-porpora, ma che per la nostra sensibilità<br />

olfattiva presenta un grave <strong>di</strong>fetto: emana, anche a una certa <strong>di</strong>stanza,<br />

uno sgradevole odore <strong>di</strong> muffa e <strong>di</strong> fuliggine mescolate insieme, caratteristica<br />

che ha sicuramente lo scopo <strong>di</strong> tenere a debita <strong>di</strong>stanza gli animali erbivori.<br />

È proprio in relazione all’odore del marrobio che accade un fatto strano, singolare,<br />

visto che si riferisce alle api, notoriamente attratte dal soave profumo<br />

<strong>di</strong> rose e gelsomino, caprifoglio e giacinti, reseda o lavanda. Ebbene, chissà per<br />

quale misterioso meccanismo <strong>di</strong> origine chimica, le api rispondono con entusiasmo<br />

al cosiddetto stendardo odoroso <strong>della</strong> Ballota foetida, che il vento agita<br />

in tutte le <strong>di</strong>rezioni.<br />

Ignorando gli effluvi più dolci e gradevoli <strong>di</strong> altre specie, le api sciamano verso<br />

il marrobio e succhiano avide il nettare delle sue piccole corolle, nettare che<br />

si trasformerà poi in ottimo miele dalle buone proprietà curative.<br />

Prima <strong>di</strong> parlare delle possibili utilizzazioni <strong>di</strong> questa specie come pianta officinale,<br />

ve<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> conoscerla un po’ meglio: la Ballota foetida è tipica dell’Italia<br />

settentrionale e vive in pianura come in montagna, sino a 1500 metri <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne,<br />

nei terreni poveri, presso le macerie e alla base dei vecchi muri.<br />

È un’erbacea perenne alta da 60 a 80 centimetri, con foglie vellutate, dentellate,<br />

a forma <strong>di</strong> cuore, con fiori rosa-porpora in ciuffetti compatti, <strong>di</strong>sposti or<strong>di</strong>natamente<br />

lungo i fusti pelosi e quadrangolari.<br />

Nel gergo popolare questa pianta è nota come marrobio, marrubio, marrubiastro,<br />

malavita, balota.<br />

Che il marrobio sia una pianta tipicamente italiana lo <strong>di</strong>mostra il fatto che le<br />

principali lingue europee ne ignorano l’esistenza; è probabile che la Ballota<br />

foetida sia inclusa soltanto nelle forme lessicali tipiche dei vari <strong>di</strong>aletti regionali.<br />

Per concludere questo lungo identikit del marrobio, possiamo <strong>di</strong>re che non si<br />

tratta <strong>di</strong> una pianta particolarmente decorativa, ma merita comunque il nostro<br />

rispetto perché rappresenta l’ennesima <strong>di</strong>mostrazione dei sottili equilibri che<br />

esistono in Natura tra le specie animali e quelle vegetali.<br />

I princìpi attivi<br />

L’interesse <strong>della</strong> Ballota foetida è rappresentato da vari costituenti: un tannino,<br />

una saponina, fitosterolo, colina, un lattone, vari sali minerali, pectina, acido<br />

gallico e acido malico, una gomma e un’essenza amara.<br />

Anticamente, le pozioni a base <strong>di</strong> marrobio, detto anche cimiciotto, trovavano<br />

ampia applicazione nella cura del cosiddetto piccolo male o mal caduco, più<br />

noto come epilessia.<br />

Infatti, le proprietà <strong>della</strong> Ballota foetida sono definite: sedative, antispasmo<strong>di</strong>che,<br />

emmenagoghe e antisteriche.<br />

Oggi, il marrobio viene utilizzato soltanto in qualche zona <strong>di</strong> montagna, secondo<br />

le vecchie ricette, ma la farmacopea ufficiale sta stu<strong>di</strong>ando con molto interesse<br />

i componenti del cimiciotto forse sollecitati anche dallo strano comportamento<br />

delle api che, ignorando lo sgradevole odore dei fiori <strong>di</strong> questa pianta,<br />

sanno <strong>di</strong> trovare nel loro nettare un’eccezionale dolcezza per un miele <strong>di</strong><br />

grande qualità.<br />

I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Non sono molte le applicazioni del marrobio, ma vale la pena <strong>di</strong> ricordarle:<br />

– l’infuso si prepara con tre grammi <strong>di</strong> sommità fiorite, raccolte da metà giugno<br />

184


185<br />

a settembre, messe in infusione per <strong>di</strong>eci minuti in cento grammi <strong>di</strong> acqua<br />

bollente. La bevanda, addolcita con miele, si beve a tazzine due o tre<br />

volte al giorno. L’infuso bevuto poco prima <strong>di</strong> coricarsi, agisce da leggero<br />

sonnifero;<br />

– l’alcool <strong>di</strong> marrobio si ottiene mettendo a macero nell’acquavite una<br />

manciatina <strong>di</strong> fiori per <strong>di</strong>eci giorni; infine, si filtra e si imbottiglia<br />

in recipienti a chiusura ermetica. Questa grappa me<strong>di</strong>cinale si<br />

conserva in frigorifero e si beve a piccole dosi nei momenti <strong>di</strong><br />

nervosismo o per attenuare i crampi dolorosi <strong>di</strong> natura mestruale;<br />

il preparato è particolarmente efficace durante la menopausa,<br />

quando il sistema neurovegetativo femminile è<br />

sottoposto a particolare tensione;<br />

– il cataplasma <strong>di</strong> foglie e fiori del marrobio, ridotti in poltiglia<br />

con un batticarne, è davvero portentoso per alleviare<br />

i dolori <strong>della</strong> gotta e la dolenzia muscolare dovuta a un attacco<br />

<strong>di</strong> reumatismo; inoltre, serve a far sparire rapidamente gli<br />

ematomi o il gon<strong>fiore</strong> provocati da una contusione.<br />

L’industria farmaceutica sta sperimentando un me<strong>di</strong>camento a<br />

base <strong>di</strong> Ballota foetida utile a risolvere il noioso <strong>di</strong>sturbo detto<br />

acufene, ossia il ronzio costante nelle orecchie, e uno sciroppo<br />

<strong>di</strong> buona efficacia contro la pertosse, volgarmente detta tosse<br />

asinina.


Ha un nome che starebbe bene in<br />

una filastrocca infantile e ha una<br />

sua bellezza segreta, sottile, che la<br />

pone tra le specie elette: quelle che<br />

soltanto gli iniziati sanno vedere,<br />

apprezzare ed amare.<br />

Ada Negri<br />

La pimpinella umile quanto benefica<br />

È vero, la pimpinella ha proprio un nome buffo, adatto alla cantilenante, nostalgica<br />

poesia gozzaniana dove ogni immagine, ogni parola acquistano valore <strong>di</strong><br />

simboli, <strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, <strong>di</strong> rimpianti.<br />

La pimpinella è proprio una piantina da niente, una filigrana <strong>di</strong> minuscole foglie<br />

dai margini dentellati, verde chiaro, riunite sino a venticinque elementi<br />

su uno stesso picciolo. Al <strong>di</strong> sopra delle foglie si erge lo stelo, sottile, glabro<br />

e bruno che si <strong>di</strong>rama in brevi rametti; in cima ad ognuno compaiono i fiori<br />

davvero insoliti, originalissimi, ver<strong>di</strong>, sfumati in porpora dove il sole accarezza<br />

i quattro petali <strong>di</strong>sposti in croce.<br />

Queste corolle sono addensate in crocchie compatte, a uovo, che presentano<br />

uno strano fenomeno: i fiori femminili che formano la parte superiore<br />

<strong>della</strong> testa sono caratterizzati da tre carpelli e tre stimmi a piuma, rosso<br />

cinabro. I fiori <strong>della</strong> parte me<strong>di</strong>ana sono ermafro<strong>di</strong>ti, quelli <strong>della</strong> zona inferiore<br />

<strong>della</strong> crocchia sono maschili e lasciano ricadere da venti a trenta<br />

stami piuttosto lunghi, che terminano con sacchetti pollinici giallo vivo.<br />

Un insieme <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>naria grazia da cui un orafo <strong>di</strong> grande abilità potrebbe<br />

ricavare l’ispirazione per un monile davvero insolito. Forse occorre una<br />

lente per ammirare in ogni particolare l’in<strong>fiore</strong>scenza <strong>della</strong> pimpinella, ma<br />

ne vale la pena; si finisce per scoprire una piccola meraviglia, probabile retaggio<br />

<strong>di</strong> un’antichissima specie dall’apparato riproduttivo più che insolito,<br />

inventato dalla Natura per assecondare l’opera <strong>di</strong> chissà quali insetti o,<br />

più probabilmente, per sfruttare al massimo il minimo refolo <strong>di</strong> vento, la più lieve<br />

delle correnti, adatta a far dondolare il ciuffo <strong>di</strong> stami e a <strong>di</strong>sperdere il polline.<br />

Qualche granulo andrà a raggiungere gli stimmi delle corolle femminili e<br />

il resto del prezioso seme andrà per l’aria a realizzare il suo compito riproduttivo,<br />

considerando che questi fiori sono privi <strong>di</strong> nettare e <strong>di</strong> profumo, quin<strong>di</strong><br />

non in grado <strong>di</strong> attirare particolarmente gli insetti.<br />

186


Suggestiva l’immagine <strong>della</strong> pimpinella, comunemente nota come salvastrella,<br />

fojola, olmet, meloncello, scarito, erba persighiua.<br />

Possiamo aggiungere che il nome scientifico Sanguisorba deriva dal latino sanguis,<br />

sangue, e sorbeo, sorbire, per in<strong>di</strong>care l’azione emostatica <strong>di</strong> questa pianta,<br />

verso le emorragie e, in genere, per regolare il flusso sanguigno.<br />

Ve<strong>di</strong>amo ora quali sono le specifiche proprietà <strong>della</strong> pimpinella e come la si può<br />

utilizzare per curare alcuni <strong>di</strong>sturbi, in attesa <strong>di</strong> una più razionale terapia in<strong>di</strong>cata<br />

dal me<strong>di</strong>co.<br />

I princìpi attivi<br />

Non si può <strong>di</strong>re che la Sanguisorba minor sia particolarmente ricca <strong>di</strong> sostanze<br />

benefiche, ma una certa dose <strong>di</strong> princìpi attivi li può vantare e vale la pena<br />

<strong>di</strong> conoscerli.<br />

Abbiamo già fatto cenno al buon contenuto <strong>di</strong> vitamina C cui si aggiungono un<br />

olio essenziale e un tannino, un’essenza amara e la sanguisorbina.<br />

L’azione combinata <strong>di</strong> questi princìpi determina il potere emostatico <strong>della</strong> pimpinella<br />

e anche il suo benefico influsso contro i <strong>di</strong>sturbi intestinali a carattere<br />

<strong>di</strong>arroico, oppure per favorire la produzione <strong>di</strong> latte, tanto è vero che la presenza<br />

<strong>di</strong> questa pianta sui pascoli alpini rende oltremodo apprezzato il fieno che<br />

si raccoglie in tale ambiente.<br />

Per tornare a un impiego decisamente curativo <strong>della</strong> Sanguisorba minor, ricor<strong>di</strong>amo<br />

che questa specie erbacea sembra agire positivamente come regolatrice<br />

<strong>della</strong> circolazione del sangue e probabilmente anche contro l’ipertensione;<br />

a questo proposito, sono in corso varie ricerche <strong>di</strong> laboratorio, da cui si attendono<br />

interessanti risultati.<br />

187


I piccoli rime<strong>di</strong><br />

Anche se la pimpinella non è una pianta d’uso comune nella farmacopea domestica,<br />

il suo impiego non è da trascurare per quanto riguarda poche e semplici<br />

pozioni:<br />

– l’infuso ottenuto con tre grammi dell’intera pianta <strong>della</strong> Sanguisorba minor,<br />

messi in infusione in cento grammi <strong>di</strong> acqua bollente per <strong>di</strong>eci minuti, forniscono<br />

una pozione da bere a tazzine, due o tre nel corso <strong>della</strong> giornata, contro<br />

emorragie, <strong>di</strong>arrea e anche per favorire la montata lattea;<br />

– l’infuso preparato con otto grammi dell’intera pianta può essere usato soltanto<br />

esternamente per accrescere l’afflusso <strong>di</strong> sangue in prossimità delle articolazioni<br />

interessate da sofferenza <strong>di</strong> tipo reumatico o artrosico, oppure per<br />

risolvere gli ematomi;<br />

– le foglie fresche e tenere hanno un delicato sapore che ricorda quello del<br />

cetriolo e possono essere consumate in insalata, magari con l’aggiunta <strong>di</strong> tenera<br />

cicoria o <strong>di</strong> pomodori quasi maturi. Questa insalata esercita una buona<br />

azione depurativa e stimolante dei succhi gastrici.<br />

SCHEDA BOTANICA<br />

Nome scientifico: Sanguisorba minor<br />

Nomi popolari: pimpinella, sanguisorba,<br />

meloncello, scarita, olmet, fojola, erba<br />

persighiua<br />

Origine: regioni me<strong>di</strong>terranee<br />

Famiglia: Rosacee<br />

Fiori: verdastri, sfumati in porpora, raccolti in<br />

fitte crocchie; quelli superiori sono femminili,<br />

corredati da stimmi piumosi, porporini; quelli<br />

centrali sono bisessuati, gli inferiori maschili e<br />

lasciano pendere un ciuffo <strong>di</strong> stami terminanti in<br />

sacchi pollinici giallo vivo<br />

188<br />

Caratteristiche: erbacea perenne alta da venti<br />

a settanta centimetri, con fusto rossastro. Le<br />

foglie sono piccole, graziosamente dentellate,<br />

ovali riunite su uno stesso picciolo in numero<br />

variabile da 9 a 25<br />

Etimologia: il nome scientifico deriva dal latino<br />

sanguis, sangue, e sorbeo, assorbo, in<br />

riferimento alle proprietà curative <strong>di</strong> questa<br />

pianta. Pimpinella, invece, è un nome <strong>di</strong><br />

origine latina e si rifà a piper, pepe, per<br />

ricordare il sapore un po’ piccante delle foglie<br />

<strong>di</strong> questa specie.


I termini botanici<br />

Acauli, piante: sono apparentemente<br />

prive <strong>di</strong> fusto; le loro foglie sembrano<br />

uscire tutte da uno stesso punto, formando<br />

una «rosetta».<br />

Achenio: frutto secco dal rivestimento<br />

tenace; contiene un solo seme.<br />

Aerobio: organismo che vive solo in<br />

presenza <strong>di</strong> ossigeno; il termine si riferisce,<br />

<strong>di</strong> solito, ai batteri.<br />

Afillo: fusto o ramo privo <strong>di</strong> foglie.<br />

Agamica: riproduzione che avviene separando<br />

una parte <strong>della</strong> pianta dalla<br />

quale avrà origine un nuovo esemplare.<br />

Agenti patogeni: organismi <strong>di</strong> tipo parassitario<br />

che vivono a spese <strong>della</strong> pianta<br />

ospite, facendola ammalare; possono<br />

essere batteri o funghi.<br />

Alburno: è la parte più esterna del legno.<br />

Amento: in<strong>fiore</strong>scenza a forma <strong>di</strong> spiga,<br />

pendula. Viene chiamato anche «gattino».<br />

Androceo: apparato sessuale maschile<br />

delle piante provviste <strong>di</strong> fiori; è costituito<br />

dagli stami.<br />

Antera: è la parte dello stame posta al<br />

sommo del «filamento» e contenente i<br />

granuli <strong>di</strong> polline.<br />

Anticrittogamico: sostanza usata per<br />

combattere le malattie dovute ad agenti<br />

fungini o a batteri.<br />

Arbusto: pianta legnosa, <strong>di</strong> statura limitata,<br />

con rami che iniziano a livello del<br />

terreno.<br />

Areale: area geografica entro la quale<br />

una determinata specie trova il suo ambiente<br />

preferito.<br />

Areole: organi tipici delle piante «grasse»<br />

o succulente; rappresentano i punti<br />

da cui nascono spine, fiori, rami, foglie,<br />

eccetera.<br />

Bacca: frutto dalla buccia sottile e dai<br />

semi avvolti da una massa carnosa e<br />

succosa, formata da endocarpo e mesocarpo.<br />

Baccello: frutto secco composto da due<br />

valve alle quali aderiscono uno o più<br />

semi; è deiscente, ossia si apre spontaneamente<br />

quando è maturo. Viene detto<br />

anche «legume».<br />

Balausta: è il tipico frutto del melograno.<br />

Batterio: organismo unicellulare, visibile<br />

soltanto al microscopio.<br />

Bilabiato: organo vegetale sud<strong>di</strong>viso in<br />

due lobi o «labbra»; si può <strong>di</strong>re <strong>di</strong> foglia<br />

o <strong>di</strong> <strong>fiore</strong>.<br />

Bipennata, foglia: è formata da un asse<br />

centrale che non sorregge <strong>di</strong>rettamente<br />

le foglioline, come nelle «foglie pennate»,<br />

ma fa da supporto ad altre assi più<br />

corte che a loro volta recano, a destra e<br />

a sinistra, le foglioline.<br />

Bocciolo: è il <strong>fiore</strong> prima che i petali si<br />

schiudano.<br />

Borsa: tipico rametto delle piante da<br />

frutto appartenenti alle Pomoidee,<br />

come il pero; rametto corto e grosso,<br />

dove si accumulano le sostanze nutritive<br />

<strong>di</strong> riserva. Dalla borsa si formano<br />

«dar<strong>di</strong>» e «brin<strong>di</strong>lli».<br />

Brattea: foglia trasformata, con l’acquisizione<br />

<strong>di</strong> una forma o <strong>di</strong> un colore particolari,<br />

allo scopo <strong>di</strong> attirare gli insetti<br />

o <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere il <strong>fiore</strong> dai predatori.<br />

Brevi<strong>di</strong>urne, piante: sono quelle che<br />

per fiorire hanno bisogno <strong>di</strong> brevi perio<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> luce alternati a lunghe pause <strong>di</strong><br />

buio.<br />

Brin<strong>di</strong>llo: rametto recante alla sommità<br />

una gemma che darà vita a un frutto.<br />

Brughiera: ambiente dal terreno acido,<br />

umido e freddo dove vive una particolare<br />

erica detta «brugo».<br />

Bulbo: organo sotterraneo costituito da<br />

un fusto cortissimo avvolto da scaglie;<br />

le più interne agiscono da organo <strong>di</strong> riserva.<br />

Caduco: <strong>di</strong> breve durata; <strong>di</strong>cesi soprattutto<br />

delle foglie.<br />

Calice: è la parte più esterna del perianzio<br />

<strong>di</strong> molti fiori ed è formato da «sepali»,<br />

quasi sempre <strong>di</strong> color verde.<br />

Capitozzare: potare drasticamente un<br />

albero.<br />

Capolino: tipo <strong>di</strong> in<strong>fiore</strong>scenza caratteristico<br />

delle Composite.<br />

Cascola: caduta prematura e innaturale<br />

dei frutti appena formati.<br />

Ciazio: in<strong>fiore</strong>scenza delle Euforbiacee,<br />

costituita da una brattea vistosa e colorata<br />

e da pochi, insignificanti <strong>fiore</strong>llini.<br />

Cimatura: eliminazione <strong>della</strong> parte apicale,<br />

ossia <strong>della</strong> cima, <strong>di</strong> rami e fusto.<br />

190<br />

Cirro: ramo o foglia trasformata in organi<br />

filiformi che consentono alle piante <strong>di</strong><br />

attaccarsi ai sostegni. È detto anche «viticcio».<br />

Clado<strong>di</strong>: rami mo<strong>di</strong>ficati sino a sembrare<br />

foglie, come le «pale» del fico d’In<strong>di</strong>a.<br />

Clorofilla: pigmento che ha una funzione<br />

determinante nella sintesi delle sostanze<br />

organiche, o «fotosintesi». In genere, è costituita<br />

da «plasti<strong>di</strong>» <strong>di</strong> color verde.<br />

Clorosi: si rivela attraverso la per<strong>di</strong>ta<br />

<strong>di</strong> colore <strong>della</strong> lamina fogliare e <strong>di</strong>pende<br />

da fattori ambientali: eccesso <strong>di</strong><br />

calcare, carenza <strong>di</strong> ferro, scarsa luminosità<br />

e così via.<br />

Colletto: zona particolarmente vulnerabile,<br />

situata fra ra<strong>di</strong>ce e fusto.<br />

Cono: è sinonimo <strong>di</strong> «pigna» o <strong>di</strong> «strobilo»<br />

ed è un falso frutto, tipico delle<br />

Conifere.<br />

Corimbo: in<strong>fiore</strong>scenza formata da molti<br />

fiori che, pur avendo peduncoli <strong>di</strong><br />

varia lunghezza, risultano su uno stesso<br />

piano una volta sbocciati.<br />

Cormo: un tipo <strong>di</strong> bulbo particolare,<br />

presente nei gla<strong>di</strong>oli.<br />

Corolla: la parte più appariscente dei<br />

fiori, formata dai petali.<br />

Culmo: fusto delle Graminacee, nel quale<br />

è ben visibile la sud<strong>di</strong>visione in «no<strong>di</strong>»<br />

e «interno<strong>di</strong>»; in queste ultime porzioni<br />

il culmo è spesso vuoto;<br />

Cultivar: varietà coltivata <strong>di</strong> piante; si<br />

<strong>di</strong>ce anche delle varietà e degli ibri<strong>di</strong> ottenuti<br />

artificialmente.<br />

Dardo: rametto destinato a portare<br />

una gemma «a <strong>fiore</strong>».<br />

Decidua, foglia: che cade in autunno.<br />

Dentato: organo (foglia o petalo) con i<br />

margini segnati da incisioni.<br />

Digitata, foglia: composta da foglioline<br />

che si <strong>di</strong>partono da uno stesso punto,<br />

alla sommità del picciolo, proprio come<br />

le <strong>di</strong>ta <strong>di</strong> una mano.<br />

Disseminazione: si verifica quando i<br />

semi, liberi o racchiusi nei frutti, si <strong>di</strong>sperdono<br />

spontaneamente.<br />

Divisione: sistema <strong>di</strong> propagazione o <strong>di</strong><br />

moltiplicazione che si effettua <strong>di</strong>videndo<br />

i cespi in più parti complete <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci.<br />

Drenaggio: materiale e tecnica utili ad<br />

assicurare il facile deflusso dell’acqua<br />

per evitare ristagni nel terreno.


Drupa: frutto carnoso con buccia consistente,<br />

polpa succosa e seme avvolto<br />

da sostanza legnosa, come nella pesca<br />

o nella ciliegia.<br />

Durezza: si riferisce <strong>di</strong> solito all’acqua<br />

ricca <strong>di</strong> calcare.<br />

Effimero: se riferito a un <strong>fiore</strong> in<strong>di</strong>ca<br />

una corolla che vive un solo giorno; detto<br />

<strong>di</strong> una pianta in<strong>di</strong>ca un soggetto che<br />

vive poche decine <strong>di</strong> giorni.<br />

Embricate, foglie: in<strong>di</strong>ca il fogliame <strong>di</strong>sposto<br />

come le tegole <strong>di</strong> un tetto.<br />

Epicarpo: strato esterno del frutto.<br />

Epifite: piante che crescono su altri<br />

esemplari utilizzandoli come sostegno,<br />

senza parassitarli.<br />

Ermafro<strong>di</strong>to, <strong>fiore</strong>: è quello che riunisce<br />

l’apparato sessuale maschile e quello<br />

femminile in una stessa corolla.<br />

Esperi<strong>di</strong>o: Tipico frutto degli agrumi.<br />

Eziolamento: si verifica quando una<br />

pianta è costretta a vivere al buio, o<br />

quasi, dando vita a fusti e foglie giallicci,<br />

deboli e «filati».<br />

Famiglia: categoria <strong>di</strong> piante che nella<br />

sud<strong>di</strong>visione sistematica viene subito<br />

dopo l’«or<strong>di</strong>ne» e che riunisce uno o più<br />

generi.<br />

Fauce: forma delle corolle tubolari che<br />

all’apice si aprono a «bocca».<br />

Filamento: porzione inferiore dello stame,<br />

con la funzione <strong>di</strong> sostenere le antere.<br />

Filato: <strong>di</strong>cesi <strong>di</strong> un organo vegetale (fusto,<br />

ramo o foglia) che cresce in modo<br />

eccessivo, ma non regolare, restando<br />

debole e sottile, <strong>di</strong> colore molto chiaro,<br />

quasi bianco. Il fenomeno <strong>di</strong>pende da<br />

vari fattori ambientali.<br />

Fiori del <strong>di</strong>sco: sono tipici delle in<strong>fiore</strong>scenze<br />

a «capolino» che caratterizzano<br />

le Composite; sono i fiori centrali, piccoli<br />

e <strong>di</strong> forma tubolare.<br />

Fiori del raggio: nelle in<strong>fiore</strong>scenze delle<br />

Composite sono i fiori periferici, <strong>di</strong>sposti<br />

a corona, detti «fiori ligulati», del<br />

tutto simili a petali con una forma a linguetta.<br />

Fitofarmaci: sostanze chimiche impiegate<br />

nella <strong>di</strong>fesa e nella cura delle<br />

piante.<br />

Fittone: ra<strong>di</strong>ce carnosa che scende verticalmente<br />

nel terreno, come la carota.<br />

Fotosintesi: processo <strong>di</strong> sintesi che avviene<br />

in presenza <strong>di</strong> luce e per il quale,<br />

partendo da acqua e anidride carbonica,<br />

con la me<strong>di</strong>azione <strong>della</strong> clorofilla, le<br />

sostanze organiche assorbite dal suolo<br />

vengono trasformate in zuccheri e<br />

in altri elementi assimilabili dai tessuti<br />

vegetali.<br />

Galbulo: falso frutto del ginepro, chiamato<br />

anche «coccola»; è poco scientifico<br />

in<strong>di</strong>carlo come bacca.<br />

Galla: escrescenza, anche voluminosa,<br />

che si forma soprattutto sulle foglie<br />

come reazione alle punture <strong>di</strong> insetti o<br />

alla presenza <strong>di</strong> funghi parassiti.<br />

Gamopetala: corolla con i petali saldati<br />

fra loro, ai margini.<br />

Gamosepalo: calice formato da sepali<br />

saldati fra loro, ai margini.<br />

Gattino: è sinonimo <strong>di</strong> amento.<br />

Gemma: abbozzo <strong>di</strong> un nuovo organo<br />

(fusto, ramo o <strong>fiore</strong>); esternamente è avvolta<br />

dalle «perule» con funzione protettiva.<br />

Genere: categoria sistematica che raduna<br />

più specie con eguali caratteristiche.<br />

Un certo numero <strong>di</strong> generi dà vita<br />

a una «famiglia» vegetale.<br />

Ghianda: frutto delle querce.<br />

Gineceo: nel <strong>fiore</strong> costituisce l’apparato<br />

<strong>di</strong> riproduzione femminile ed è costituito<br />

da uno o più pistilli.<br />

Glabro: organo vegetale privo <strong>di</strong> peluria.<br />

Granulo: granello <strong>di</strong> polline invisibile a<br />

occhio nudo, che viene prodotto nelle<br />

«antere» o nelle «sacche polliniche» e<br />

che contiene i principi riproduttivi maschili.<br />

Grappolo: in<strong>fiore</strong>scenza con un asse allungato<br />

dal quale si <strong>di</strong>partono numerosi<br />

fiori o frutti singolarmente sostenuti<br />

da un peduncolo. È sinonimo <strong>di</strong> «racemo».<br />

Grasse, piante: ve<strong>di</strong> «succulente».<br />

Graticcio: sostegno realizzato con stecche<br />

<strong>di</strong> legno o con strisce <strong>di</strong> altro materiale,<br />

da usare per «rampicanti» o per<br />

piante dai fusti a liana.<br />

Guaina: parte basale <strong>della</strong> foglia che si<br />

allarga ad abbracciare il fusto.<br />

Guttazione: fenomeno che consente<br />

alla pianta <strong>di</strong> emettere l’acqua assorbita<br />

in eccesso, attraverso particolari<br />

«stomi» presenti sulla superficie fogliare.<br />

Per evitare questo fenomeno si debbono<br />

<strong>di</strong>minuire sensibilmente le annaffiature.<br />

Habitat: ambiente congeniale alla vita<br />

<strong>di</strong> una determinata specie.<br />

Humus: si forma nel terreno per la parziale<br />

decomposizione delle sostanze organiche;<br />

dona alla terra il tipico colore<br />

scuro.<br />

Ibridazione: impollinazione e conseguente<br />

fecondazione tra due specie <strong>di</strong>fferenti.<br />

191<br />

Ibrido: organismo che si ottiene dalla<br />

fecondazione tra piante appartenenti a<br />

specie o a varietà <strong>di</strong>verse.<br />

Impollinazione: si realizza quando il<br />

polline, liberato dalle antere, va a depositarsi<br />

sullo stimma del pistillo. È detta<br />

«anemogama» o anemofila, se avviene<br />

per mezzo del vento; «entomogama», se<br />

intervengono gli insetti; «idrogama»<br />

quando è affidata all’acqua e «zoogama»<br />

se ne sono responsabili vari animali.<br />

In<strong>fiore</strong>scenza: insieme <strong>di</strong> più fiori, variamente<br />

riuniti su un asse <strong>di</strong> forma variabile.<br />

Infruttescenza: insieme <strong>di</strong> più frutti che<br />

possono sembrare un frutto singolo,<br />

come nella «mora» del gelso o «sorosio».<br />

Innesto: inserimento <strong>di</strong> una gemma o <strong>di</strong><br />

un ramoscello in un’altra pianta per dar<br />

vita a un in<strong>di</strong>viduo con nuove caratteristiche.<br />

Si esegue con varie tecniche e in <strong>di</strong>versi<br />

perio<strong>di</strong> dell’anno, a seconda <strong>della</strong><br />

pianta desiderata.<br />

Labello: parte molto vistosa del <strong>fiore</strong>,<br />

presente soprattutto nelle orchidee; ha<br />

il compito <strong>di</strong> richiamare gli insetti.<br />

Lacinie: appen<strong>di</strong>ci appuntite del calice<br />

o <strong>di</strong> altre parti <strong>della</strong> pianta.<br />

Lamburda: corto rametto che reca una<br />

gemma a frutto; tipico delle Pomoidee.<br />

Lamina fogliare: è detta anche «lembo»<br />

ed è la parte più importante <strong>della</strong> foglia;<br />

è <strong>di</strong> forma variabile, piatta, ed è sorretta<br />

quasi sempre dal picciolo.<br />

Lanceolata: <strong>di</strong>cesi delle foglie strette e<br />

lunghe, appuntite all’apice.<br />

Larva: sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> numerosi<br />

insetti.<br />

Latice: liquido bianco, giallo o arancione,<br />

<strong>di</strong> natura viscosa, che geme dalle ferite<br />

inferte a numerose piante; è composto<br />

da un’emulsione <strong>di</strong> grassi, zuccheri<br />

e proteine.<br />

Linfa: scorre nelle piante e si <strong>di</strong>stingue<br />

in «linfa grezza», o ascendente, quando<br />

è composta da acqua e sali minerali, e in<br />

«linfa elaborata», o <strong>di</strong>scendete, quando<br />

è composta da sostanze nutritive prodotte<br />

dalle parti ver<strong>di</strong> attraverso il processo<br />

<strong>di</strong> fotosintesi.<br />

Lobata: foglia con il margine profondamente<br />

inciso in un certo numero <strong>di</strong><br />

«lobi».<br />

Longi<strong>di</strong>urne: per fiorire normalmente<br />

queste piante hanno bisogno <strong>di</strong> essere<br />

illuminate ogni giorno per oltre do<strong>di</strong>ci<br />

ore <strong>di</strong> luce al giorno<br />

Macchia me<strong>di</strong>terranea: tipica formazione<br />

vegetale presente lungo la fascia<br />

costiera del Me<strong>di</strong>terraneo e, anche, in


qualche zona interna, come risultato <strong>di</strong><br />

lontani eventi geologici.<br />

Margotta: particolare sistema <strong>di</strong> propagazione.<br />

Meristema: tessuto vegetale composto<br />

da cellule che hanno il compito <strong>di</strong> dare<br />

origine ad altre cellule; i meristemi apicali<br />

sono destinati all’allungamento del<br />

fusto, dei rami e delle ra<strong>di</strong>ci.<br />

Messa a <strong>di</strong>mora: trapianto <strong>di</strong> giovani<br />

piante, o <strong>di</strong> esemplari già sviluppati, nella<br />

posizione definitiva. È sinonimo <strong>di</strong><br />

piantamento.<br />

Metamorfosi: mo<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> organi<br />

vegetali relativamente alla funzione che<br />

debbono svolgere; ad esempio, bulbi e<br />

rizomi sono il risultato <strong>della</strong> metamorfosi<br />

dei fusti; spine e cirri derivano dalla<br />

mo<strong>di</strong>ficazione delle foglie.<br />

Microclima: clima <strong>di</strong> una zona molto ristretta.<br />

Mutazione: mo<strong>di</strong>ficazione ere<strong>di</strong>taria<br />

che porta alla comparsa <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui<br />

con caratteristiche nuove rispetto alla<br />

specie tipica.<br />

Naturalizzazione: si verifica quando<br />

una pianta importata da altre zone finisce<br />

per ambientarsi e <strong>di</strong>ffondersi spontaneamente.<br />

Nebulizzazione: si ottiene spruzzando<br />

un liquido con un erogatore a pompetta<br />

che sud<strong>di</strong>vida il liquido in minutissime<br />

gocce.<br />

Nettare: liquido zuccherino che si trova<br />

all’interno dei fiori e che serve a richiamare<br />

gli insetti «pronubi», incaricati <strong>di</strong><br />

procedere all’impollinazione. È contenuto<br />

nel «nettario».<br />

Ninfa: sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sviluppo <strong>di</strong> molti insetti.<br />

Nòcciolo: porzione dura <strong>di</strong> molti frutti;<br />

è <strong>di</strong> natura legnosa e serve a proteggere<br />

il seme.<br />

Nodo: porzione del fusto e dei rami; in<br />

corrispondenza dei no<strong>di</strong> si formano foglie<br />

e rami.<br />

Nomenclatura: serve a in<strong>di</strong>care esattamente<br />

le piante. Quella in atto si <strong>di</strong>ce<br />

«nomenclatura binomia» ed è stata proposta<br />

da Linneo; in virtù <strong>di</strong> essa ogni<br />

specie viene in<strong>di</strong>cata con due nomi:<br />

quello del genere cui appartiene e il<br />

nome <strong>della</strong> specie stessa.<br />

Oblunga, foglia: è più lunga che larga.<br />

Obovata, foglia: ha, grosso modo, la<br />

forma <strong>di</strong> un uovo.<br />

Officiali, piante: è sinonimo <strong>di</strong> «me<strong>di</strong>cinali»<br />

e in<strong>di</strong>ca le specie dotate <strong>di</strong> virtù curative.<br />

Ombrella: in<strong>fiore</strong>scenza che, quando le<br />

corolle sono aperte, presenta una superficie<br />

regolare e composta, piatta,<br />

concava o convessa.<br />

Ormoni vegetali: sostanze organiche,<br />

prodotte in quantità limitata dalle piante,<br />

con la funzione <strong>di</strong> regolare il fenomeno<br />

<strong>della</strong> crescita.<br />

Osmosi: fenomeno che regola il passaggio,<br />

per <strong>di</strong>ffusione, attraverso una membrana<br />

semimpermeabile, <strong>di</strong> un liquido,<br />

senza impe<strong>di</strong>re la <strong>di</strong>ffusione delle sostanze<br />

<strong>di</strong>sciolte nel liquido stesso.<br />

Ovario: parte inferiore del pistillo contenente<br />

gli ovuli e dalla quale, dopo la<br />

fecondazione, si sviluppa il frutto.<br />

Ovata, foglia: presenta una lamina ovale,<br />

arrotondata alle due estremità.<br />

Pacciamatura: copertura del terreno<br />

coltivato, soprattutto a ortaggi oppure<br />

a fragole, per limitare il processo <strong>di</strong> evaporazione<br />

e impe<strong>di</strong>re la nascita delle<br />

erbe infestanti. Si esegue con speciale<br />

tessuto plastico <strong>di</strong> color nero, forato a<br />

<strong>di</strong>stanze regolari per consentire la crescita<br />

delle piante.<br />

Pagina fogliare: si <strong>di</strong>stingue in superiore<br />

e inferiore ed è la superficie <strong>della</strong> foglia.<br />

Palmata, foglia: è composta da singole<br />

foglioline che partono da uno stesso<br />

punto, al sommo del picciolo.<br />

Palmetta: forma <strong>di</strong> allevamento ottenuta<br />

con particolari potature, riservata<br />

alle piante del frutto.<br />

Palustre: aggettivo che si riferisce a piante<br />

adatte a vivere in ambiente dal suolo<br />

acquitrinoso oppure nelle torbiere.<br />

Pane <strong>di</strong> terra: massa terrosa aderente<br />

alle ra<strong>di</strong>ci e che durante i trapianti non<br />

deve essere rimossa per non danneggiare<br />

le ra<strong>di</strong>chette più sottili.<br />

Parassita, pianta: si tratta <strong>di</strong> specie che,<br />

non potendo compiere la fotosintesi clorofilliana,<br />

traggono le sostanze nutritive<br />

da piante-ospiti attraverso particolari organi<br />

<strong>di</strong> assorbimento detti «austori».<br />

Parassiti: organi e insetti che vivono a<br />

spese <strong>di</strong> altre creature viventi, piante o<br />

animali che siano.<br />

Peduncolo: sottile porzione <strong>di</strong> ramo<br />

che sostiene fiori o frutti.<br />

Peltata, foglia: ricorda la forma <strong>di</strong> uno<br />

scudo, con il picciolo che parte dalla<br />

zona centrale <strong>della</strong> lamina fogliare:<br />

esempio, il nasturzio.<br />

Pennata, foglia: è formata da un asse<br />

centrale o «rachide» sul quale sono inserite,<br />

a destra e a sinistra, molte foglioline.<br />

Perianzio: parte esterna del <strong>fiore</strong>, formata<br />

da «calice» e «corolla».<br />

Permeabilità: caratteristica del terreno<br />

che lascia defluire liberamente l’acqua<br />

in eccesso.<br />

Persistente, foglia: è quella che non<br />

cade in autunno, ma resiste sui rami per<br />

tutto l’inverno.<br />

192<br />

pH: grado <strong>di</strong> aci<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> un terreno o <strong>di</strong><br />

un liquido, quando il ph è pari a 7 significa<br />

che il substrato oppure l’acqua<br />

sono neutri, se è superiore a 7 la reazione<br />

è calcarea o basica; quando, è inferiore<br />

a 7 la terra è senz’altro acida.<br />

Picciolo: parte <strong>della</strong> foglia che unisce la<br />

lamina fogliare al ramo.<br />

Pigmento: sostanza colorante presente<br />

nelle cellule vegetali.<br />

Pigna: «falso frutto» tipico delle Conifere;<br />

è detto anche cono o strobilo.<br />

Pistillo: apparato femminile dei fiori; è<br />

formato dall’«ovario» e dallo «stilo» che<br />

termina con lo «stimma» o «stigma».<br />

Polline: complesso dei «granuli pollinici»<br />

prodotti nelle «antere» e che costituiscono<br />

l’elemento maschile nel processo<br />

riproduttivo.<br />

Pollone: ramo che si forma al piede <strong>della</strong><br />

pianta e che può essere staccato per<br />

riprodurre l’esemplare.<br />

Portinnesto: è la parte inferiore <strong>di</strong> una<br />

pianta, sulla quale è stato inserito l’innesto<br />

o «marza». Si tratta spesso <strong>di</strong> una<br />

specie selvatica.<br />

Potatura: taglio particolare che ha <strong>di</strong>versi<br />

scopi: far assumere a una pianta<br />

un particolare portamento in vista <strong>di</strong><br />

una maggior produzione <strong>di</strong> fiori o <strong>di</strong><br />

frutti; a scopo ornamentale si esegue<br />

per dare una forma speciale al soggetto;<br />

può essere anche <strong>di</strong> rior<strong>di</strong>no.<br />

Pronubo, animale: si tratta <strong>di</strong> insetti,<br />

uccelli o <strong>di</strong> altre specie destinate a trasportare<br />

il polline da un <strong>fiore</strong> all’altro<br />

per favorire l’impollinazione.<br />

Propaggine: sistema <strong>di</strong> riproduzione<br />

vegetativa.<br />

Prosa: è la porzione <strong>di</strong> terreno compresa<br />

fra due solchi; è tipica degli orti.<br />

Pruina: strato ceroso che ricopre come<br />

una polvere impalpabile alcuni frutti.<br />

Quiescenza: periodo <strong>di</strong> riposo delle<br />

piante, quasi sempre con<strong>di</strong>zionato dal<br />

clima; freddo in inverno, siccità estiva,<br />

eccetera. La quiescenza viene annullata<br />

se le piante sono coltivate in serra.<br />

Racemo: è sinonimo <strong>di</strong> «grappolo».<br />

Rachide: asse delle foglie composte e<br />

anche delle in<strong>fiore</strong>scenze.<br />

Ra<strong>di</strong>ce: parte <strong>della</strong> pianta destinata ad<br />

assorbire le sostanze nutritive e l’acqua<br />

necessarie alla vita vegetale. Può essere<br />

anche area e può avere forma ingrossata,<br />

simile a un tubero, per poter accumulare<br />

sostanze <strong>di</strong> riserva; per esempio,<br />

le ra<strong>di</strong>ci tuberizzate <strong>della</strong> dalia.<br />

Ripicchettatura: trapianto delle giovani<br />

piante nate dal seme allo scopo <strong>di</strong> rin­


forzarle; a questo primo trapianto segue<br />

quello definitivo, a «<strong>di</strong>mora», ossia<br />

dove gli esemplari sono destinati a vivere<br />

per tutto il loro ciclo vegetativo.<br />

Riproduzione: è una forma <strong>di</strong> propagazione,<br />

quasi sempre realizzata attraverso<br />

un processo agamico, ossia a mezzo<br />

<strong>di</strong> talee.<br />

Rizoma: fusto sotterraneo, più o meno<br />

ingrossato, con funzione <strong>di</strong> «riserva»<br />

delle sostanze nutritive; viene considerato,<br />

erroneamente, una ra<strong>di</strong>ce.<br />

Rosetta: nelle piante apparentemente<br />

prive <strong>di</strong> fusto è l’insieme delle foglie che<br />

spuntano alla base dell’esemplare e formano<br />

un cespo or<strong>di</strong>nato e compatto, <strong>di</strong>sposto<br />

come i petali <strong>di</strong> una rosa.<br />

Sagittata, foglia: la sua lamina è appuntita<br />

all’apice e presenta alla base due<br />

lobi pure appuntiti, proprio come la forma<br />

delle frecce.<br />

Sarchiatura: consiste nella lavorazione<br />

superficiale del terreno, per rimuovere<br />

le erbe infestanti e per facilitare l’assorbimento<br />

dell’acqua.<br />

Sarmentose, piante: sono caratterizzate<br />

da lunghi rami flessibili ricadenti verso<br />

terra oppure rampicanti.<br />

Scapo fiorale: è un asse allungato, comunemente<br />

definito gambo, privo <strong>di</strong> foglie<br />

e che reca alla sommità fiori o in<strong>fiore</strong>scenze.<br />

Sciafile, piante: amano l’ombra e sono<br />

tipiche del sottobosco.<br />

Scorpioide: tipo <strong>di</strong> in<strong>fiore</strong>scenza che ha<br />

la forma <strong>di</strong> un grande punto <strong>di</strong> domanda.<br />

Semprever<strong>di</strong>, piante: apparentemente<br />

non perdono mai le foglie, in quanto<br />

non si spogliano al sopraggiungere del<br />

freddo. In realtà il loro fogliame si rinnova<br />

nel tempo, attraverso una sistematica<br />

e parziale sostituzione delle foglie<br />

vecchie che lasciano il posto a<br />

quelle nuove.<br />

Sepali: foglie trasformate che formano<br />

il «calice»<br />

Sfagno: speciale tipo <strong>di</strong> muschio, che<br />

vive nelle torbiere e che ha la particolarità<br />

<strong>di</strong> assorbire molta acqua.<br />

Siconio: falso frutto caratteristico del<br />

fico.<br />

Siliqua: frutto secco che si apre a maturazione.<br />

Simbiosi: forma <strong>di</strong> convivenza tra due o<br />

più organismi vegetali con lo scambio,<br />

qualche volta reciproco, <strong>di</strong> sostanze nutritive.<br />

Sorosio: frutto del gelso, formato da<br />

molte pseudodrupe. È detto anche<br />

«mora».<br />

Spa<strong>di</strong>ce: prolungamento dell’asse che<br />

sostiene l’in<strong>fiore</strong>scenza delle Aracee,<br />

come la calla o l’Arum.<br />

Spata: foglia trasformata in brattea molto<br />

vistosa e colorata che fa da protezione<br />

allo spa<strong>di</strong>ce delle Aracee.<br />

Spiga: tipo <strong>di</strong> in<strong>fiore</strong>scenza nella quale<br />

i singoli fiori sono attaccati <strong>di</strong>rettamente<br />

all’asse, senza peduncoli.<br />

Spina: elemento appuntito e pungente,<br />

più o meno legnificato, che può derivare<br />

dalla trasformazione <strong>di</strong> rami o<br />

<strong>di</strong> foglie.<br />

Spora: è tipica delle felci e serve alla riproduzione;<br />

germinando, dà vita a un<br />

nuovo in<strong>di</strong>viduo.<br />

Squama: foglia trasformata e ridotta a<br />

una minuscola lamina che ha, quasi<br />

sempre, funzione protettiva.<br />

Stami: costituiscono l’apparato sessuale<br />

maschile o «androceo».<br />

Stelo: fusto erbaceo.<br />

Stimma: parte apicale del pistillo, atta a<br />

ricevere il polline; fa parte dell’apparato<br />

sessuale femminile. È detto anche<br />

«stigma».<br />

Stipite: fusto colonnare tipico delle palme,<br />

<strong>di</strong>ritto, cilindrico e coperto dai residui<br />

dei piccioli fogliari.<br />

Stoloni: fusti sottili e striscianti provvisti<br />

<strong>di</strong> «no<strong>di</strong>» dai quali nascono ra<strong>di</strong>ci e<br />

foglie.<br />

Stomi: microscopici fori che costellano<br />

i tessuti <strong>di</strong> natura erbacea e che possono<br />

essere paragonati ai pori <strong>della</strong> nostra<br />

pelle.<br />

Strobilo: è sinonimo <strong>di</strong> «pigna».<br />

Substrato: è detto <strong>di</strong> qualsiasi sostanza<br />

su cui la pianta cresce ricavandone nutrimento.<br />

Succhione: ramo vigoroso, dalla crescita<br />

rapida, che molto spesso si forma al<br />

<strong>di</strong> sotto del punto <strong>di</strong> innesto; succhia<br />

molta linfa e non produce fiori o frutti.<br />

È da eliminare.<br />

Succulente: sono piante che per resistere<br />

a lunghi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> siccità hanno fusti<br />

e foglie dai tessuti carnosi, simili a spugne.<br />

Vengono dette comunemente<br />

«piante grasse».<br />

Suffrutice: pianta perenne che <strong>di</strong>venta<br />

legnosa nella parte inferiore, mentre<br />

la produzione annuale rimane erbacea.<br />

Tipico esempio i gerani o le<br />

fucsie. I suffrutici esigono un tipo <strong>di</strong><br />

potatura primaverile del tutto particolare.<br />

Talea: porzione <strong>di</strong> ramo o <strong>di</strong> foglia che<br />

viene posta in terra o in acqua sino a<br />

quando emette ra<strong>di</strong>ci per dar vita a una<br />

nuova pianta.<br />

Torba: materiale ricco <strong>di</strong> detriti vegetali,<br />

parzialmente decomposti; si estrae<br />

193<br />

dalle torbiere, che sono ambienti paludosi<br />

<strong>di</strong> antichissima origine.<br />

Tubero: fusto sotterraneo, solitamente<br />

<strong>di</strong> forma tozza, dove sono raccolte le sostanze<br />

<strong>di</strong> riserva. È provvisto <strong>di</strong> numerosi<br />

«occhi» dai quali nascono altrettante<br />

nuove piante.<br />

Tubulosi, fiori: presentano una corolla<br />

con i petali saldati fra loro a formare un<br />

tubicino.<br />

Turioni: germogli grossi e vigorosi che<br />

partono dalle ra<strong>di</strong>ci. Tipico esempio gli<br />

asparagi.<br />

Tutore: bastone che viene infisso a lato<br />

<strong>della</strong> pianta per sostenerla.<br />

Umifero: ricco <strong>di</strong> humus.<br />

Unicellulare: organismo formato da<br />

una sola cellula.<br />

Variegata, foglia: dalla lamina chiazzata<br />

<strong>di</strong> bianco.<br />

Varietà: categoria sistematica inferiore<br />

alla specie. In genere, si riserva questa<br />

definizione alle specie spontanee, mentre<br />

per quelle coltivate si preferisce la<br />

<strong>di</strong>zione cultivar.<br />

Vermiculite: sostanza inerte che assorbe<br />

molta acqua e viene usata nella coltura<br />

in vaso.<br />

Verticillo fogliare: gruppo <strong>di</strong> tre o più<br />

foglie che spuntano da uno stesso<br />

nodo. Queste foglie si <strong>di</strong>cono «verticillate».<br />

Virus: sono i più minuscoli esseri viventi,<br />

non visibili al normale microscopio.<br />

Provocano temibili malattie alle piante.<br />

Vivaci, piante: è un modo ricercato, <strong>di</strong><br />

origine francese, per in<strong>di</strong>care le piante<br />

erbacee perenni.<br />

Volubili: piante che crescono in altezza<br />

soltanto se possono avvolgersi a un sostegno.<br />

Xerofite, piante: vivono bene in ambienti<br />

dove piove solo <strong>di</strong> rado, perché sono in<br />

grado <strong>di</strong> mantenere l’equilibrio tra l’assunzione<br />

e la <strong>di</strong>spersione dell’acqua.<br />

Zàgara: <strong>fiore</strong> degli agrumi, soprattutto<br />

dell’arancio.<br />

Zampe: sono i caratteristici rizomi dell’asparago<br />

e si utilizzano per impiantare<br />

le asparagiaie.<br />

Zappatura: lavorazione superficiale del<br />

terreno; si esegue per pre<strong>di</strong>sporre il<br />

suolo a ricevere il seme. Questo lavoro,<br />

essenziale per una buona riuscita delle<br />

varie colture, prevede l’impiego <strong>di</strong> uno<br />

speciale attrezzo a doppia lama.


In<strong>di</strong>ce generale<br />

I FIORI<br />

La soldanella,<br />

simbolo <strong>di</strong> grazia 10<br />

Primula,<br />

regina <strong>di</strong> primavera 12<br />

L’armeria,<br />

un fiocco rosa tra le rocce 17<br />

La nigritella,<br />

il profumo più dolce 19<br />

Genziana,<br />

regina dei pascoli 22<br />

I gigli,<br />

gloria <strong>della</strong> terra 27<br />

Le clemati<strong>di</strong>,<br />

luce dei boschi 29<br />

Il polemonio,<br />

come briciole <strong>di</strong> cielo 32<br />

L’eritronio,<br />

come un gioco <strong>di</strong> fantasia 35<br />

Il rododendro,<br />

rosa degli alti pascoli 37<br />

Il camedrio,<br />

solitario <strong>fiore</strong> delle altitu<strong>di</strong>ni 40<br />

L’aquilegia o dell’amor nascosto 42<br />

La stella alpina,<br />

can<strong>di</strong>da «zampa <strong>di</strong> leone» 45<br />

L’astro,<br />

una tenera stella <strong>di</strong> petali 47<br />

La dafne,<br />

bella e pericolosa 49<br />

Orchidee alpine,<br />

quando la natura imita se stessa 52<br />

L’androsace,<br />

come un tenero muschio 55<br />

Il ranuncolo,<br />

figlio del ghiaccio 58<br />

L’erica,<br />

romantica e solitaria 60<br />

Nella linaria i colori<br />

del tramonto 63<br />

L’azalea alpina nata in America 66<br />

La linnea,<br />

simbolo <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione 69<br />

La silene è un cuscino <strong>di</strong> fiori 72<br />

Le sassifraghe,<br />

velluto <strong>della</strong> roccia 75<br />

La viola,<br />

romantica e profumata 79<br />

I semprevivi <strong>di</strong>pingono la roccia 84<br />

Il nontiscordar<strong>di</strong>mé,<br />

per non <strong>di</strong>menticare 88<br />

L’epilobio,<br />

come una fiamma <strong>di</strong> seta 91<br />

Il garofano,<br />

<strong>fiore</strong> <strong>di</strong> Giove 94<br />

L’elleboro,<br />

<strong>fiore</strong> <strong>della</strong> <strong>saggezza</strong> 97<br />

L’arnica,<br />

piccola macchia <strong>di</strong> sole 101<br />

Nell’aconito,<br />

bellezza e veleno 104<br />

Le campanule,<br />

come briciole <strong>di</strong> cielo 108<br />

Le rose <strong>di</strong> siepe,<br />

fiori <strong>della</strong> preistoria 111<br />

I ranuncoli,<br />

macchie d’oro tra l’erba<br />

e sull’acqua 114<br />

Il fiordaliso,<br />

una specie da salvare 119<br />

Il lino,<br />

briciole <strong>di</strong> colore fra l’erba 122<br />

L’erba roberta dalle molte virtù 125<br />

La pinguicola,<br />

apparenza che inganna 127<br />

La polmonaria invi<strong>di</strong>a<br />

l’arcobaleno 130<br />

Un sapone profumato <strong>di</strong> sole 132<br />

La globularia,<br />

come fiocchi <strong>di</strong> ciniglia 135<br />

La carlina,<br />

ama il cielo sereno 137<br />

Il caprifoglio soave,<br />

profumata presenza 140<br />

La violacciocca gialla<br />

sembra fatta <strong>di</strong> sole 143<br />

LE «BUONE ERBE»<br />

DEL BOSCO E DEL PRATO<br />

Il cartamo,<br />

abile imitazione<br />

dello zafferano 146<br />

La menta,<br />

una ninfa trasformata<br />

in profumo 148<br />

Il timo,<br />

respiro <strong>della</strong> montagna 150<br />

La veronica,<br />

erba <strong>della</strong> febbre 153<br />

La valeriana,<br />

per combattere l’ansia 155<br />

Artemisia,<br />

benefica e profumata 158<br />

Il teucrio,<br />

un «semplice»<br />

dalle molte virtù 161<br />

La potentilla<br />

guarisce uomini e animali 163<br />

La betonica,<br />

storia <strong>di</strong> una fama usurpata 165<br />

L’aromatico e prezioso genepì 168<br />

Nel cren un pizzico <strong>di</strong> fuoco 170<br />

La capsella,<br />

amica dei soldati 173<br />

Sembra un rosa nata per caso<br />

fra le tegole 175<br />

L’amarella,<br />

pianta del latte 177<br />

La salvia,<br />

per <strong>di</strong>fendere la salute 179<br />

La malva,<br />

rime<strong>di</strong>o per ogni male 181<br />

Il nero marrobio ricercato<br />

dalle api 184<br />

La pimpinella<br />

umile quanto benefica 186


In<strong>di</strong>ce alfabetico<br />

Aconito 104<br />

Amarella 177<br />

Androsace 55<br />

Aquilegia 42<br />

Armeria 17<br />

Arnica 101<br />

Artemisia 158<br />

Astro 47<br />

Azalea alpina 66<br />

Betonica 165<br />

Camedrio 40<br />

Campanula 108<br />

Caprifoglio 140<br />

Capsella 173<br />

Carlina 137<br />

Cartamo 146<br />

Clematide 29<br />

Cren 170<br />

Dafne 49<br />

Elleboro 97<br />

Epilobio 91<br />

Erba roberta 125<br />

Erica 60<br />

Eritronio 35<br />

Fiordaliso 119<br />

Garofano 94<br />

Genepì 168<br />

Genziana 22<br />

Giglio 27<br />

Globularia 135<br />

Linaria 63<br />

Linnea 69<br />

Lino 122<br />

Malva 181<br />

Marrobio 184<br />

Menta 148<br />

Nigritella 19<br />

Nontiscordar<strong>di</strong>mé 88<br />

Orchidea alpina 52<br />

Pimpinella 186<br />

Pinguicola 127<br />

Polemonio 32<br />

Polmonaria 130<br />

Potentilla 163<br />

Primula 12<br />

Ranuncolo 58/114<br />

Rododendro 37<br />

Rosa <strong>di</strong> siepe 111<br />

Salvia 179<br />

Saponaria 132<br />

Sassifraga 75<br />

Semprevivo 84/175<br />

Silene 72<br />

Soldanella 10<br />

Stella alpina 45<br />

Teucrio 161<br />

Timo 150<br />

Valeriana 155<br />

Veronica 153<br />

Viola 79<br />

Violacciocca 143


Finito <strong>di</strong> stampare<br />

nello stabilimento <strong>della</strong> Poligrafiche Bolis S.p.A.<br />

in Bergamo gennaio 1996

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