ADORNO, HABERMAS E L'AUTOCRITICA DELLA MODERNITÀ
ADORNO, HABERMAS E L'AUTOCRITICA DELLA MODERNITÀ
ADORNO, HABERMAS E L'AUTOCRITICA DELLA MODERNITÀ
Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
PHILOSOPHIA<br />
BOLLETTINO <strong>DELLA</strong><br />
SOCIETÀ ITALIANA DI STORIA <strong>DELLA</strong> FILOSOFIA<br />
VI (1/2012)
Philosophia<br />
Bollettino della Società Italiana di Storia della Filosofia<br />
VI (1/2012)<br />
Registrazione del tribunale di Bologna numero 8209 del 16/11/2011.<br />
ISSN 2240-2497<br />
ISBN 978-8865982372<br />
TUTTI I DIRITTI RISERVATI<br />
© 2012, Edizioni Pendragon<br />
Via Borgonuovo, 21/a – 40125 Bologna<br />
www.pendragon.it<br />
È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata,<br />
compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
COMITATO DI DIREZIONE<br />
Davide Bigalli, Carlo Borghero, Giuseppe Cacciatore,<br />
Girolamo Cotroneo, Massimo Mori, Gregorio Piaia,<br />
Alberto Postigliola, Luigi Ruggiu, Walter Tega (direttore)<br />
REDAZIONI<br />
BERLINO – Giulio Busi (Freie Universität, Institut für Judaistik)<br />
BOLOGNA – Walter Tega (Università di Bologna)<br />
GINEVRA – Martin Rueff (Université de Genève)<br />
MADRID – Javier San Martín (UNED de Madrid)<br />
PARIGI – Pierre Caye (CNRS Centre Jean Pépin – THETA)<br />
SEGRETERIA DI REDAZIONE<br />
Giuseppe D’Anna, Armando Mascolo, Elisabetta Mastrogiacomo,<br />
Giulia Mingucci, Jonathan Molinari, Cristina Paoletti,<br />
Massimo Rizzardini, Silvia Rodeschini, Giampiero Rossi<br />
COMITATO SCIENTIFICO<br />
Ferdinando Abbri, Annarita Angelini, Valeria Babini,<br />
Simonetta Bassi, Luca Bianchi, Alberto Burgio, Giulio Busi,<br />
Giuseppe Cambiano, Giuseppe Cantillo, Pierre Caye,<br />
Michele Ciliberto, Robert Damien, Carla De Pascale,<br />
Giulio d’Onofrio, Germana Ernst, Riccardo Fedriga, Luca Fonnesu,<br />
Gianna Gigliotti, Miguel Ángel Granada, Matthias Kaufmann,<br />
Peter Koenig, Maurizio Martirano, Edoardo Massimilla,<br />
Gianni Paganini, Vittoria Perrone Compagni, Stefano Poggi,<br />
Martin Rueff, Baldine Saint Girons, Javier San Martín,<br />
Jean Seidengart, José Manuel Sevilla Fernández, William Shea,<br />
Mariafranca Spallanzani, Fulvio Tessitore,<br />
Salvatore Veca, Mario Vegetti
CONTRIBUTI<br />
I contributi che perverranno alla redazione di «Philosophia» dovranno<br />
rispettare i criteri di editing della rivista, da richiedere a redazione.philo so -<br />
phia@gmail.com. La rivista accetta contributi in italiano, inglese, francese,<br />
spagnolo e tedesco. Tutti i saggi dovranno essere corredati da un abstract in<br />
lingua inglese e saranno sottoposti alla valutazione di due referee anonimi.<br />
I contributi verranno pubblicati solo se valutati positivamente.<br />
MODALITÀ DI ABBONAMENTO<br />
Per i soci della SISF la quota associativa che dà diritto all’abbonamento<br />
annuale alla Rivista è di 65 euro (40 euro di quota associativa e 25 euro per<br />
l’abbonamento). Le coordinate bancarie per il versamento delle quote<br />
sono le seguenti:<br />
Società Italiana di Storia della Filosofia<br />
IBAN: IT65B0200802457000010529442<br />
All’atto della sottoscrizione della quota associativa comprendente l’abbonamento<br />
a «Philosophia» vi preghiamo di comunicare a redazione.philosophia@gmail.com<br />
l’indirizzo presso il quale desiderate ricevere la Rivista.<br />
Chi non è socio della SISF può sottoscrivere l’abbonamento annuale alla<br />
rivista (40 euro) scrivendo direttamente a redazione.philoso phia@g -<br />
mail.com.
SAGGI<br />
INDICE<br />
GREGORIO PIAIA<br />
L’immagine di Averroè in Pierre Bayle p. 11<br />
BRUNO PINCHARD<br />
Aufhebung. Une éthique de l’homme précaire.<br />
Quelques questions à Hegel 29<br />
PIERRE CAYE<br />
La question de la technique face<br />
à la contrainte écologique 43<br />
ANNARITA ANGELINI<br />
Garin interprete di Cassirer,<br />
Cassirer interprete del moderno 63<br />
STEFANO PETRUCCIANI<br />
Adorno, Habermas e l’autocritica della modernità 103<br />
THIERRY GONTIER<br />
Blumenberg: una lettura “postmoderna”<br />
della modernità? 121<br />
DISCUSSIONI<br />
GIAMPIERO ROSSI<br />
“On ne détruit que ce qu’on remplace”. Genesi<br />
e difesa della civiltà moderna nel giovane Comte 141
JONATHAN MOLINARI<br />
Crisi umanistica e modernità 167<br />
RECENSIONI<br />
CECILIA CAMPA<br />
Tiziana Pangrazi, La “Musurgia Universalis”<br />
di Athanasius Kircher. Contenuti, fonti, terminologia,<br />
Olschki, Firenze 2009 189<br />
ELISABETTA RUTA<br />
A. Mascolo, M.L. Mollo (a cura di), Xavier Zubiri,<br />
numero monografico di «Rocinante. Rivista di filosofia<br />
iberica e iberoamericana», n. 5, 2010,<br />
Le Cáriti, Firenze 2011 193<br />
RICCARDO FEDRIGA – ROBERTO LIMONTA<br />
Tommaso di Carpegna Falconieri, Medioevo militante.<br />
La politica di oggi alle prese con barbari e crociate,<br />
Einaudi, Torino 2011<br />
Armando Bisogno, Sententiae philosophorum.<br />
L’alto Medioevo e la storia della filosofia,<br />
Città Nuova Editrice, Roma 2011 203<br />
VINCENZO SCALONI<br />
Nicolao Merker, Karl Marx. Vita e opere,<br />
Laterza, Roma-Bari 2010 210
STEFANO PETRUCCIANI<br />
Adorno, Habermas e l’autocritica della modernità<br />
The starting point of the reflection on modernity in the Frankfurt<br />
School is as follows: is modernity a process in the rationalization of<br />
social life, and does it coincide with Enlightenment’s ideas of progress<br />
and secularization (what Horkheimer e Adorno affirm), as it is confirmed<br />
by the catastrophes of the twentieth century, Auschwitz, the<br />
gulags, the atomic bomb? This text illustrates the Frankfurt School’s<br />
criticism of modernity and shows how it was modified by Habermas.<br />
Thinking of modernity as an “unfinished project”, Habermas develops<br />
a theory in which the pathology of modernity is described in terms of<br />
lack of equilibrium, since it would produce a unilateral rationalization,<br />
in which technical and instrumental elements grow hugely at the<br />
expense of the communication and values of rationality.<br />
1. La modernità tra critica e autocritica<br />
Nella riflessione filosofica di quella che per brevità definiamo<br />
come la Scuola di Francoforte, il tema della interpretazione della<br />
modernità acquisisce una vera e propria centralità a partire dall’ultima<br />
parte degli anni Trenta. Ma prima di accostarci al modo in cui<br />
gli autori francofortesi (ci soffermeremo soprattutto su Adorno,<br />
Horkheimer e Habermas) interpretano la questione della modernità,<br />
conviene mettere a fuoco, in modo assolutamente provvisorio,<br />
l’oggetto della nostra riflessione: come può essere intesa, dal punto<br />
di vista storico-sociologico, la nozione di modernità?<br />
Tenendo conto anche delle molte considerazioni che Habermas<br />
ha dedicato all’argomento, possiamo provare a indicare alcune<br />
coordinate di ciò che si potrebbe plausibilmente intendere per<br />
modernità. La modernità potrebbe essere definita, cercando di<br />
avvicinarsi al tema, come l’epoca caratterizzata da una serie di fon-<br />
103
Philosophia VI (1/2012)<br />
damentali innovazioni che si intrecciano tra loro dando luogo a un<br />
nuovo orizzonte sociale.<br />
Sul piano delle strutture sociali, le grandi innovazioni evolutive<br />
della modernità consistono fondamentalmente (seguendo la lezione<br />
di Weber e di Habermas) nello sviluppo di sottosistemi di agire<br />
razionale rispetto allo scopo nell’ambito economico e nell’ambito<br />
politico-statuale. Si possono mettere a fuoco i seguenti aspetti: sviluppo<br />
dell’industria fondata sulla tecnologia e le macchine che<br />
aumenta enormemente la capacità di produrre beni; progressivo<br />
formarsi di un mercato capitalistico globale; affermazione degli<br />
stati nazionali secolari, dotati di una estesa amministrazione pubblica<br />
burocratizzata; aumento della mobilità sociale, calo della<br />
popolazione agricola e urbanizzazione; aumento della mobilitazione<br />
politica delle masse attraverso movimenti e partiti.<br />
Sul piano culturale, la modernità sembra implicare essenzialmente:<br />
sviluppo della scienza e della tecnologia come fonte primaria<br />
della crescita economica e del cambiamento sociale; secolarizzazione<br />
come emancipazione della società civile, della scienza e delle<br />
forme culturali (morale, arte e filosofia) dal controllo religioso;<br />
razionalizzazione e individualizzazione degli stili di vita, affermazione<br />
di una condotta di vita individualistica e privatizzazione della<br />
vita familiare; democratizzazione della vita sociale e politica, sviluppo<br />
degli strumenti e dei mezzi di comunicazione, cambiamento<br />
della condizione femminile.<br />
Da parte della Scuola di Francoforte, l’approccio alle grandi<br />
trasformazioni della modernità è segnato da due orientamenti di<br />
fondo, che caratterizzano in modo particolare la posizione di Adorno<br />
e Horkheimer, e che mi pare orientino tutta la costruzione del<br />
loro discorso. In primo luogo, si potrebbe dire che il tema della<br />
modernità viene affrontato dal punto di vista della catastrofe, cioè<br />
a partire non già dai suoi innegabili successi, quanto piuttosto dai<br />
suoi catastrofici fallimenti. Il problema sul quale Adorno e Horkheimer<br />
si interrogano a partire dalla fine degli anni Trenta del<br />
Novecento viene dunque a delinearsi in questo modo: se la modernità<br />
configura un progresso nella razionalizzazione della vita sociale,<br />
e si identifica con la linea laica, emancipativa, scientifica e pro-<br />
104
Stefano Petrucciani – Adorno, Habermas e l’autocritica della modernità<br />
gressiva dell’illuminismo, come si spiegano le catastrofi del Novecento,<br />
lo sterminio di milioni di persone, Auschwitz, il gulag, la<br />
bomba atomica? Come si spiega la riduzione dell’uomo a oggetto<br />
di distruzione di massa pianificata, scientifica e burocratizzata?<br />
Come si deve pensare il rapporto tra questi esiti di radicale barbarie<br />
e la dinamica emancipativa che sembrava dover caratterizzare la<br />
modernità e l’illuminismo?<br />
Nel Novecento abbiamo assistito alla degradazione dell’uomo a<br />
puro oggetto manipolabile, al venir meno anche alle minime forme<br />
di rispetto per la sacralità non solo della vita, ma anche del corpo<br />
dell’uomo. Come è stata possibile la riduzione del soggetto umano<br />
a mero materiale sfruttabile? E, sul piano per così dire culturale:<br />
come è stato possibile il ritorno, con il nazismo, al mito pagano del<br />
sangue e della razza, quando sembrava che il razionalismo moderno<br />
dovesse far pulizia di miti, superstizioni e forse anche delle religioni<br />
(almeno secondo quanto affermavano i teorici di una progressiva<br />
secolarizzazione)?<br />
La prima caratteristica peculiare dell’approccio francofortese<br />
sta dunque in questa posizione del problema. Ma vi è un secondo<br />
aspetto che merita anch’esso di essere sottolineato, perché è<br />
essenziale per definire la collocazione della Scuola di Francoforte<br />
all’interno di una ipotetica classificazione delle letture possibili<br />
della modernità. Il punto è che nella prospettiva francofortese<br />
gli esiti catastrofici ai quali sopra abbiamo accennato comportano<br />
certamente una completa messa in questione della modernità,<br />
ma non nel senso di una critica che possa essere definita in qualche<br />
modo antimoderna. Per questo, a mio avviso, pur con tutte le<br />
differenze del caso, sia le tesi di Adorno che quelle di Habermas<br />
devono essere intese nel senso di una autocritica della modernità.<br />
Per dirla in breve, il capo d’accusa attorno al quale si svolge il<br />
processo alla modernità non è quello di avere rinnegato e abbandonato<br />
la tradizione, consegnandosi così al nichilismo e a tutte le<br />
catastrofi che ne discendono. Alla modernità si rimprovera, piuttosto,<br />
di non essere abbastanza e coerentemente moderna, cioè di<br />
non avere attinto (proprio perché ha conservato in sé troppo<br />
arcaismo) quella emancipazione alla quale sembrava votata come<br />
105
Philosophia VI (1/2012)<br />
al suo più proprio telos. Che in Habermas le cose stiano così è<br />
abbastanza ovvio, dal momento che uno dei suoi più famosi<br />
discorsi si intitola proprio La modernità – un progetto incompiuto.<br />
Ma a me pare, e qui dissento da coloro che ne hanno enfatizzato<br />
l’elemento antimoderno, che anche in Adorno sia questa la<br />
principale linea di ragionamento. Se letti con attenzione i suoi<br />
testi, su questo punto, parlano molto chiaro; e del resto mi sembra<br />
veramente paradossale qualificare come antimoderno uno<br />
studioso che, tra l’altro, ha dedicato molte delle sue pagine più<br />
convinte alla difesa intransigente e senza compromessi del<br />
modernismo in arte. Il problema, per l’hegeliano Adorno, è piuttosto<br />
che la modernità non è all’altezza del suo concetto; e che<br />
potrebbe adeguarsi ad esso solo attraverso una radicale purificazione<br />
critica o, meglio, autocritica. È certamente vero che, in<br />
questo processo di autoriflessione, anche il contributo dei critici<br />
reazionari della modernità va preso totalmente sul serio: le pagine<br />
che Adorno ha dedicato in più occasioni a Oswald Spengler,<br />
l’autore del famoso Tramonto dell’Occidente, stanno lì a testimoniarlo<br />
1 . Ma un conto è riconoscere che, su molte questioni, i critici<br />
reazionari hanno visto giusto, altra cosa è sposare il loro<br />
punto di vista. Vi possono essere grandi affinità nel mettere a<br />
fuoco le patologie della modernità; ma i punti di vista tornano a<br />
divergere completamente quando si parla delle terapie. La<br />
denuncia dei rischi della democrazia di massa, per esempio, la si<br />
può condividere anche partendo da diversi punti di vista: solo<br />
che alcuni ne trarranno conseguenze di tipo antidemocratico e<br />
apertamente “cesaristico”, altri cercheranno di capire come si<br />
possano correggere queste patologie attraverso iniezioni di più<br />
radicata e robusta democrazia.<br />
1 Cfr. Th. W. Adorno, Wird Spengler rechtbehalten?, in «Frankfurter Hefte»,<br />
n. 10, 1955, pp. 841-846; Spengler dopo il tramonto, trad. it. in Prismi. Critica<br />
della cultura e società, Einaudi, Torino 1972, pp. 39-63.<br />
106
Stefano Petrucciani – Adorno, Habermas e l’autocritica della modernità<br />
2. Modernità e catastrofe<br />
Ma torniamo dunque al primo punto che è necessario mettere a<br />
fuoco, e cioè al modo in cui, nella riflessione di Adorno e Horkherimer,<br />
viene affrontato il nodo modernità e catastrofe. La tesi fortemente<br />
provocatoria da cui essi partono è che la barbarie non è<br />
ascrivibile, semplicemente, all’anti-illuminismo e all’anti-modernità;<br />
non è il contraccolpo violento e disperato delle potenze arcaiche<br />
alle quali la modernità aveva sottratto il terreno sotto i piedi (la<br />
gerarchia, l’ineguaglianza per natura, la teocrazia, il mero e brutale<br />
dominio); non è neppure la riscossa del fondo oscuro e mitico dell’anima<br />
tedesca (questa potrebbe essere la tesi di Thomas Mann);<br />
la tesi francofortese è che il trionfo della regressione è invece molto<br />
più legato a una dinamica interna all’illuminismo stesso; ovvero che<br />
il ritorno della barbarie e del mito affonda le sue radici anche, se<br />
non soprattutto, nei limiti e nelle insufficienze della stessa modernità<br />
come l’abbiamo conosciuta in Occidente.<br />
Vediamo allora in che senso. Intanto c’è un primo punto che va<br />
subito chiarito: nella prospettiva della Scuola di Francoforte<br />
(penso soprattutto al testo fondamentale pubblicato da Max Horkheimer<br />
e Theodor W. Adorno nel 1947, la Dialettica dell’illuminismo<br />
2 ) il concetto di modernità coincide in larga misura con quello<br />
di illuminismo. L’illuminismo è infatti, si potrebbe azzardare<br />
senza troppo timore di essere smentiti, la filosofia della modernità.<br />
Ne condivide, ne enuncia e ne qualifica le caratteristiche essenziali:<br />
in primo luogo la secolarizzazione, l’emancipazione dalla regola<br />
religiosa come asse portante e riferimento ultimo della vita<br />
sociale e anche della sovranità politica. In secondo luogo l’illuminismo<br />
è l’esaltazione della rivoluzione scientifica: la critica della<br />
religione e la nascita della nuova scienza costituiscono un unico<br />
movimento, che qualifica la rivoluzione culturale della modernità.<br />
Ne consegue pertanto la critica della metafisica e, con essa, la critica<br />
di ogni morale che si appoggi su un riferimento ontologico,<br />
2 Trad. it. Einaudi, Torino 1966.<br />
107
Philosophia VI (1/2012)<br />
teologico o trascendente. Per l’illuminismo radicale, da Hobbes a<br />
Helvéthius, non c’è morale che non coincida con l’interesse bene<br />
inteso e che non si radichi in ultima istanza nell’autoconservazione<br />
(come fa appunto la legge naturale hobbesiana). Così come, sul<br />
piano politico, non ci può essere potere legittimo che non nasca<br />
dal libero consenso o dal patto tra gli individui che a questo potere<br />
devono essere assoggettati. L’illuminismo, dunque, è la filosofia<br />
della modernità, della secolarizzazione, della rivoluzione scientifica<br />
e del liberalismo politico.<br />
Nella visione ancor più allargata che ne propongono Adorno e<br />
Horkheimer, però, l’illuminismo indica in un senso più generale e<br />
a tutto campo il movimento emancipativo del pensiero che supera<br />
i miti, le religioni, le superstizioni e le metafisiche. In altre parole,<br />
il concetto di illuminismo non denota soltanto le correnti settecentesche<br />
che di solito vengono indicate con questo nome (Voltaire,<br />
Diderot, D’Alembert, l’Enciclopedia) ma designa una linea fondamentale<br />
del pensiero della modernità: in particolare la linea nominalistica,<br />
empiristica e antimetafisica, che dissolve i concetti generali<br />
della metafisica tramandata e che riduce la ragione a strumento di<br />
calcolo. Emblematico da questo punto di vista è il pensiero di Hobbes<br />
ancor più che quello di Locke. Nella parte I, cap. V, del Leviatano<br />
Hobbes si propone di definire cosa intendiamo con la “parola<br />
ragione, quando la contiamo tra le facoltà dello spirito” […]. E<br />
la sua risposta è netta e inequivocabile: “la ragione non è, in questo<br />
senso, che un calcolo, – cioè un’addizione e una sottrazione – delle<br />
conseguenze dei nomi generali messi insieme, per notare ed esprimere<br />
i nostri pensieri […]” 3 . E’ in questa chiave che il concetto<br />
moderno di ragione viene letto soprattutto da Horkheimer, a partire<br />
precisamente dal saggio del 1941-42 (scritto già con la collaborazione<br />
di Adorno) che si intitola Ragione e autoconservazione, e<br />
nel quale comincia a delinearsi propriamente la prospettiva “matura”<br />
o, come anche si potrebbe dire, il “secondo tempo” della Scuola<br />
di Francoforte, quello che avrà il suo risultato più emblematico<br />
3 Th. Hobbes, Leviatano, Laterza, Roma-Bari 1974, p. 33.<br />
108
Stefano Petrucciani – Adorno, Habermas e l’autocritica della modernità<br />
nella Dialettica dell’illuminismo. La caratteristica della ragione<br />
moderna, spiega Horkheimer in questo testo, è che essa liquida<br />
tutti i concetti trascendenti della metafisica, e si riduce quindi “al<br />
suo significato strumentale”: “Le sue determinazioni, ridotte a una,<br />
sono l’adattamento ottimale del mezzo allo scopo, il pensiero come<br />
strumento per risparmiare lavoro. Essa è uno strumento che mira<br />
all’utile […]” 4 .<br />
In sostanza, la ragione moderna, secondo il modo in cui Horkheimer<br />
e Adorno la mettono a tema in questo giro di anni, è quella<br />
che Max Weber ha qualificato come la razionalità formale, intesa<br />
come capacità di calcolare e di scegliere i mezzi adatti per gli<br />
scopi che vogliamo raggiungere. Infatti per Max Weber, il cui insegnamento<br />
lascia una traccia duratura nella riflessione della Scuola<br />
di Francoforte, come del resto l’aveva lasciata nel pensiero del<br />
Lukács degli anni Venti, la modernità è appunto l’epoca della<br />
razionalizzazione, una razionalizzazione che però, a sua volta, può<br />
essere intesa in molti modi. Weberianamente si può dire che la<br />
modernità è il regno della razionalizzazione nei suoi aspetti formali,<br />
che pervade i più diversi campi sociali: dalla condotta metodica<br />
di vita degli individui (studiata nelle pagine de L’etica protestante e<br />
lo spirito del capitalismo), al calcolo economico rigoroso dell’impresa<br />
capitalistica, all’impiego della scienza e della tecnologia in tutti i<br />
campi della vita, fino alla minuziosa regolazione giuridica della<br />
amministrazione burocratica nella forma del diritto amministrativo.<br />
Razionalizzazione significa dunque in questo caso uso di metodi<br />
rigorosi, calcolo, prevedibilità, precisione analitica, adeguatezza<br />
dei mezzi ai fini.<br />
Su quali siano i fini degni di essere perseguiti, però, questa ragione<br />
strumentale non può dire assolutamente nulla. Per citare ancora<br />
le parole di Max Horkheimer: “Il giudizio di valore non ha nulla a<br />
che vedere con la ragione e con la scienza. Il soggetto pone lo scopo<br />
a suo piacimento: decide se vuole correre il rischio della libertà o<br />
4 M. Horkheimer, Ragione e autoconservazione, trad. it. in Filosofia e teoria<br />
critica, Einaudi, Torino 2003, p. 92.<br />
109