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DA HABERMAS A KANT - Società Italiana di Storia della Filosofia

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ANDREA VESTRUCCI<br />

Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik 1<br />

Il titolo dell’articolo si riferisce al ben noto saggio <strong>di</strong> Lessing<br />

Eine Duplik , , e<strong>di</strong>to a Braunschweig nel gennaio del 1778; come lo<br />

scritto <strong>di</strong> Lessing è una controreplica alle critiche mossegli da<br />

Johann Heinrich Ress, così il presente articolo si struttura sulla<br />

base dell’intreccio tra critiche a più livelli: Hegel critico <strong>di</strong> Kant,<br />

Habermas critico delle critiche <strong>di</strong> Hegel, Habermas critico <strong>di</strong> Kant,<br />

Wellmer e Heller critici <strong>di</strong> Habermas, e infine una Duplik alle critiche<br />

habermasiane all’etica kantiana.<br />

Il presente lavoro si compone <strong>di</strong> quattro parti, due habermasiane<br />

e due contro-habermasiane, secondo una struttura parallela e<br />

circolare: la prima parte, concernente le critiche <strong>di</strong> Habermas a<br />

Kant, è connessa alla quarta, sulla possibile Duplik a tali critiche;<br />

alla seconda parte, relativa alla proposta habermasiana quale risultante<br />

dalle supposte debolezze kantiane, si collega la terza parte, il<br />

cui oggetto è la presentazione delle critiche <strong>di</strong> Wellmer e Heller ad<br />

alcuni elementi dell’etica del <strong>di</strong>scorso.<br />

1. Le critiche <strong>di</strong> Habermas all’etica kantiana<br />

Habermas presenta le sue critiche all’etica kantiana in prima<br />

istanza come Duplik alla celebre critica hegeliane, presentata in<br />

modo esplicito al § 135 delle Grundlinien, ma soggiacente a tutta la<br />

terza sezione <strong>della</strong> Moralität. Secondo Habermas la posizione hege-<br />

1 Il contributo intende presentare una migliore argomentazione e un significativo<br />

ampliamento delle conclusioni presenti nel precedente Discorso e<br />

Virtù. Un confronto tra Habermas e Kant, pubblicato in «Secretum. Scienze,<br />

saperi, forme <strong>di</strong> cultura», 2, 8, 2007.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

liana necessita <strong>di</strong> una controreplica, affinché possa riferirsi correttamente<br />

all’etica kantiana: pertanto, le debolezze che Habermas<br />

pensa <strong>di</strong> aver in<strong>di</strong>viduato nell’etica kantiana derivano da una reinterpretazione<br />

<strong>di</strong> Hegel. In questo complesso intreccio è necessario<br />

procedere in primo luogo presentando la Duplik <strong>di</strong> Habermas ai<br />

vari aspetti <strong>della</strong> critica hegeliana, e in seconda istanza riassumendo<br />

le critiche originali <strong>di</strong> Habermas quali reinterpretazioni <strong>della</strong><br />

posizione del filosofo <strong>di</strong> Berlino.<br />

1.1. Duplik <strong>di</strong> Habermas alle critiche <strong>di</strong> Hegel<br />

La critica <strong>di</strong> Hegel all’etica kantiana è riconducibile, secondo<br />

Habermas, a quattro aspetti: la tautologicità dell’imperativo<br />

categorico, l’astrattezza del giu<strong>di</strong>zio morale, l’impotenza del<br />

dovere <strong>di</strong> universalità a riferirsi alle situazioni in cui il soggetto<br />

morale si trova, l’intenzione come principio <strong>di</strong> giustificazione<br />

dell’azione 2 . Come detto, la Duplik habermasiana consiste nel<br />

criticare tali critiche.<br />

In primo luogo, dato che i contenuti del dovere – le Maximen<br />

deines Willens – non sono prodotti dalla ragion pratica pura, ma<br />

trovati da essa in quanto già esistenti nel mondo storico, l’imperativo<br />

categorico non ha forma tautologica. Se tale forma tautologica<br />

è riassunta nella massima “Devi perché devi”, alla luce <strong>della</strong> Duplik<br />

appena esposta il primo “devi” non ha la medesima valenza prescrittiva<br />

del secondo: il primo si riferisce alla prescrizione storica, il<br />

secondo all’imperativo categorico, che conferma il valore coattivo<br />

e vincolante, l’obbligatorietà <strong>della</strong> massima.<br />

La Duplik al secondo aspetto deriva dalla precedente: il giu<strong>di</strong>zio<br />

morale non ha nulla <strong>della</strong> vuota astrattezza, dato che non si riferisce<br />

a un’altrettanto vuota universalità. Come l’universalità è<br />

“piena” alla luce del riferimento alle massime storiche, così il giu<strong>di</strong>zio<br />

si riferisce al confronto <strong>della</strong> situazione con quelle massime<br />

2 Cfr. J. Habermas, Erläuterung zur Diskursethik, Suhrkamp, Frankfurt a.<br />

M. 1991, tr. it. <strong>di</strong> V.-E. Tota, Teoria <strong>della</strong> Morale, Laterza, Roma-Bari 1994,<br />

pp. 16-25.<br />

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Andrea Vestrucci - Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik<br />

riconosciute come vincolanti (o, meglio come si vedrà, il cui valore<br />

prescrittivo non sia negato), quali norme e valori <strong>di</strong> una determinata<br />

Sittlichkeit in cui un determinato in<strong>di</strong>viduo vive.<br />

Di conseguenza, a sintesi delle due prime Dupliken, Habermas<br />

riconosce un andamento inversamente proporzionale tra particolarizzazione<br />

e specificazione degli “orientamenti rispetto ai valori” e<br />

generalizzazione e astrazione delle norme o principi atti a regolare<br />

“la libertà d’azione degli in<strong>di</strong>vidui” 3 , ossia la scelta tra tali orientamenti.<br />

É evidente come tale conclusione rappresenti il primo passo<br />

per l’introduzione dell’etica del <strong>di</strong>scorso come (unica, secondo<br />

Habermas) procedura <strong>di</strong> legittimazione universale degli orientamenti<br />

in<strong>di</strong>viduali: la determinazione universalistica (la sola legittima<br />

possibile) <strong>della</strong> posizione morale in<strong>di</strong>viduale non può prescindere<br />

da un confronto con la struttura <strong>di</strong> norme, regole e valori che<br />

determina il contesto prescrittivo in cui l’in<strong>di</strong>viduo è situato, e <strong>di</strong><br />

conseguenza non può prescindere da un confronto con gli altri<br />

in<strong>di</strong>vidui quali eguali soggetti <strong>di</strong> riferimento delle istanze prescrittive<br />

storiche ed eguali portatori <strong>di</strong> orientamenti assiologici all’interno<br />

<strong>della</strong> struttura <strong>della</strong> Sittlichkeit.<br />

Da ciò risulta come Habermas non abbia nessuna Duplik da presentare<br />

al terzo aspetto <strong>della</strong> critica hegeliana: l’universalità, se considerata<br />

(quale principio ultimo <strong>di</strong> legittimazione dell’orientazione<br />

in<strong>di</strong>viduale rispetto al sistema <strong>di</strong> valori vigente e <strong>della</strong> scelta in<strong>di</strong>viduale<br />

tra norme storiche 4 ) unicamente dal punto <strong>di</strong> vista <strong>della</strong><br />

coscienza in<strong>di</strong>viduale, non è attiva, ossia pratica, dato che non è in<br />

grado <strong>di</strong> produrre nessuna azione che tenga conto del contesto prescrittivo<br />

storico in cui risulta essere inserita; in sintesi, l’universalità<br />

intesa in foro interno non è in grado <strong>di</strong> introdurre alcun effetto nel la<br />

Sittlichkeit <strong>di</strong> appartenenza. L’universalità deve, al contrario, riferirsi<br />

in foro esterno al massimo numero <strong>di</strong> soggetti possibili – e, come si<br />

vedrà tra breve, il <strong>di</strong>scorso risulta quin<strong>di</strong>, nel contempo, la procedura<br />

<strong>di</strong> applicazione e la realizzazione del principio dell’universalità.<br />

3 Ibidem, p. 20.<br />

4 Ossia, in altre parole, <strong>della</strong> posizione morale dell’in<strong>di</strong>viduo.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

Ci si aspetterebbe quin<strong>di</strong> che anche il quarto aspetto <strong>della</strong> critica<br />

hegeliana contro la Gesinnungethik 5 (in cui l’intenzione svolge<br />

il ruolo <strong>di</strong> principio <strong>di</strong> legittimazione e giustificazione dell’azione)<br />

sia confermato da Habermas, alla luce del riferimento al foro<br />

interno in<strong>di</strong>viduale, con<strong>di</strong>viso dal terzo e quarto aspetto. Al contrario<br />

il filosofo non sottoscrive questo momento <strong>della</strong> critica<br />

hegeliana, interpretandolo nei termini <strong>di</strong> una giustificazione <strong>di</strong><br />

azioni immorali in vista <strong>della</strong> realizzazione del fine morale (dell’universalità).<br />

Ovviamente, interpretata in questi termini la critica<br />

<strong>di</strong> Hegel non può non essere rifiutata, alla luce <strong>della</strong> coincidenza<br />

tra azione <strong>di</strong> realizzazione dell’universalità e azione morale – le<br />

due azioni infatti coincidono, per definizione. Alla luce dell’interpretazione<br />

<strong>di</strong> Habermas, l’azione <strong>di</strong> realizzazione dell’universalità<br />

non può produrre azioni totalitarie o comunque negatrici <strong>della</strong><br />

libertà personale, in forza <strong>della</strong> coincidenza tra universalità e riferimento<br />

all’altro in<strong>di</strong>viduo anche come fine in sé e non solo come<br />

mezzo. Pertanto ogni regime totalitario, opprimente la libertà<br />

in<strong>di</strong>viduale, non ha nulla a che vedere con la realizzazione dell’universalità,<br />

dal momento che lo stesso fine dell’azione morale<br />

risulta <strong>di</strong>satteso 6 .<br />

5 Il termine <strong>di</strong> etica dell’intenzione o Gesinnungethik è la classica denominazione<br />

dell’etica kantiana. Per correttezza filologica è necessario sottolineare,<br />

comunque, come Hegel utilizzi il termine Überzeugung, e non Gesinnung,<br />

per denominare tale tipo <strong>di</strong> etica (cfr. Grundlinien, § 140 nota “e”). In ogni<br />

caso, come riconosce S. Landucci nel suo Sull’etica <strong>di</strong> Kant, Guerini, Milano<br />

1994, p. 165, Weber non è certo il primo a qualificare l’etica <strong>di</strong> matrice<br />

kantiana nei termini <strong>di</strong> un’etica delle intenzioni, citando almeno il Troeltsch<br />

<strong>di</strong> Etica, religione, filosofia <strong>della</strong> storia e lo Scheler de Il formalismo nell’etica<br />

e l’etica materiale dei valori.<br />

6 Si tratta <strong>della</strong> celebre questione del nesso tra etica kantiana e Terreur <strong>della</strong><br />

Rivoluzione Francese. Cfr. G.W.F. Hegel, Vorlesungen über <strong>di</strong>e Geschichte<br />

der Philosophie, a c. <strong>di</strong> H. Glockner, Frommann, Stuttgart-Bad Cannstatt<br />

1965, p. 534, e anche G.W.F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, a c. <strong>di</strong> H.-<br />

F. Wessels e W. Bonsiepen, Meiner, Hamburg 2006, p. 422.<br />

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Andrea Vestrucci - Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik<br />

1.2. Critiche <strong>di</strong> Habermas all’etica kantiana<br />

È possibile passare alle critiche originali <strong>di</strong> Habermas all’etica<br />

kantiana – primo passo negativo per introdurre l’etica del <strong>di</strong>scorso<br />

quale correzione delle faiblesses kantiane evidenziate in tali critiche.<br />

Come risulta da quanto analizzato in precedenza, la preoccupazione<br />

maggiore <strong>di</strong> Habermas è rappresentata dalla preservazione<br />

<strong>della</strong> libertà soggettiva (nei termini <strong>di</strong> libertà nella scelta normativa,<br />

nell’orientamento rispetto alla pluralità <strong>di</strong> valori storici) all’interno<br />

del contesto prescrittivo cui il soggetto appartiene. Le sue<br />

critiche a Kant si riferiscono proprio alla preservazione dell’autodeterminazione<br />

soggettiva contro un’universalità che rischia <strong>di</strong><br />

annullare ogni istanza in<strong>di</strong>viduale relativa alla scelta delle forme<br />

assiologiche <strong>di</strong> determinazione e conduzione <strong>della</strong> propria vita –<br />

un’universalità che, in quanto metro <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio sulle norme storiche,<br />

costringerebbe il soggetto ad annullare ogni riferimento con la<br />

realtà storica e fenomenica, lasciandolo completamente “nudo” per<br />

quanto concerne la determinazione <strong>della</strong> propria vita. Alla luce <strong>di</strong><br />

questo fondo assiologico, <strong>di</strong> determinazione “soggettivistica” <strong>della</strong><br />

vita, è possibile comprendere non solo le critiche che Habermas<br />

rivolge a Kant, ma, <strong>di</strong> conseguenza, anche il senso <strong>della</strong> proposta <strong>di</strong><br />

un’etica del <strong>di</strong>scorso quale risposta positiva a tali critiche.<br />

Habermas – relativamente alla prima critica hegeliana – esprime<br />

la necessità che la massima dell’universalità non si riferisca solo alle<br />

massime storiche, ma anche alle scelte assiologiche determinanti<br />

l’andamento <strong>della</strong> vita buona dell’in<strong>di</strong>viduo. Secondo Habermas<br />

l’etica kantiana manca <strong>di</strong> ogni riferimento a un possibile criterio <strong>di</strong><br />

conduzione <strong>della</strong> vita in<strong>di</strong>viduale, <strong>di</strong> determinazione del suo télos.<br />

Per colmare questa lacuna Habermas introduce, nel saggio Uso<br />

pragmatico, etico e morale <strong>della</strong> ragion pratica 7 , una forma “etica” <strong>di</strong><br />

ragion pratica, la quale ha la funzione <strong>di</strong> determinare i valori, le<br />

priorità e in generale la <strong>di</strong>rezione <strong>della</strong> vita in<strong>di</strong>viduale, tenendo<br />

conto dei penchants soggettivi. Ovviamente, alla luce <strong>della</strong> sua natu-<br />

7 Contenuto in J. Habermas, Teoria <strong>della</strong> Morale, cit., pp. 103-122.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

ra in<strong>di</strong>viduale, tale <strong>di</strong>rezione non sod<strong>di</strong>sfa in sé il criterio dell’universalità,<br />

potendo collidere con altri percorsi in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> realizzazione<br />

<strong>della</strong> vita 8 . Si inserisce quin<strong>di</strong> la necessità <strong>di</strong> un criterio atto a<br />

ri<strong>di</strong>rezionare il percorso <strong>di</strong> vita in<strong>di</strong>viduale attraverso l’applicazione<br />

del criterio <strong>di</strong> universalità: solo i percorsi universalizzabili possono<br />

essere condotti all’interno <strong>di</strong> un contesto interpersonale <strong>di</strong> altri percorsi<br />

<strong>di</strong> vita – altrettanto universalizzabili. Questo contesto interpersonale,<br />

essendo l’elemento per la cui preservazione il percorso <strong>di</strong><br />

vita deve essere mo<strong>di</strong>ficato, rappresenta, nella speculazione <strong>di</strong><br />

Habermas, non solo il criterio <strong>di</strong> legittimazione ma anche l’istanza<br />

<strong>di</strong> legittimazione dell’esito <strong>della</strong> ragion pratica “etica”. Questo confronto<br />

con l’istanza collettiva – che ovviamente nulla è se non la rappresentazione<br />

dell’istanza <strong>di</strong>alogica – coincide, nel lessico habermasiano,<br />

con l’uso “morale” <strong>della</strong> ragion pratica. Potrebbe essere<br />

obiettato che l’ingerenza dell’uso collettivo “morale” <strong>della</strong> ragione<br />

pratica sia unicamente negativo nei confronti <strong>di</strong> quello “etico” – nel<br />

senso <strong>di</strong> una sua mera limitazione. In realtà l’uso “etico” ha sostanza<br />

unicamente nel contesto collettivo, come scelta <strong>di</strong> un orientamento<br />

assiologico all’interno <strong>di</strong> una pluralità <strong>di</strong> orientamenti già esistenti<br />

– già oggetto <strong>di</strong> scelte precedenti; l’uso “etico” trae la sua legittimità<br />

nel confronto con questo stesso contesto collettivo da cui e in<br />

cui si forma (in altri termini, la decisione normativa dell’uso “morale”<br />

impe<strong>di</strong>sce all’uso “etico” <strong>di</strong> essere cieco).<br />

La modalità che la ragion pratica “morale” ha per ri<strong>di</strong>rezionare<br />

lo sviluppo “etico” in<strong>di</strong>viduale è la produzione <strong>di</strong> prescrizioni.<br />

Tali prescrizioni sono le famose prescrizioni “morali”, riferibili, de<br />

jure, alla totalità degli sviluppi “etici” e riferite, de facto, agli sviluppi<br />

etici <strong>di</strong> una data realtà prescrittiva storica; <strong>di</strong> conseguenza le prescrizioni<br />

morali sono confermate o invalidate dall’istanza collettiva.<br />

E tale istanza non può che essere <strong>di</strong>alogica, caratterizzata dall’uguaglianza<br />

tra le posizioni dei partecipanti, e realizzante il necessario<br />

riconoscimento <strong>di</strong> un valore uguale a ogni posizione “etica” prima<br />

dell’esito del <strong>di</strong>scorso.<br />

8 Ibidem, p. 108.<br />

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Andrea Vestrucci - Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik<br />

Si introduce a questo punto un’ulteriore critica a Kant, relativa<br />

alla questione dell’applicazione – problema che, secondo Habermas,<br />

“le etiche <strong>di</strong> tipo kantiano […] lasciano senza risposta” 9 . Tale<br />

problema si riferisce alla determinazione dell’azione morale, ossia<br />

alla modalità <strong>di</strong> traduzione <strong>della</strong> vali<strong>di</strong>tà <strong>della</strong> massima (la cui vali<strong>di</strong>tà<br />

prescrittiva è confermata dal giu<strong>di</strong>zio secondo criterio dell’universalità)<br />

nel caso dell’azione. L’etica kantiana, secondo Habermas,<br />

ha il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> non assicurare che l’azione secondo la massima<br />

morale sia altrettanto morale – con la conseguenza <strong>di</strong> relegare la<br />

moralità alla sfera delle intenzioni e non dell’azione 10 .<br />

A parere <strong>di</strong> Habermas, la <strong>di</strong>fficoltà del passaggio <strong>della</strong> moralità<br />

dalla massima all’azione sarebbe anch’essa risolta alla luce <strong>della</strong><br />

<strong>di</strong>fferenziazione tra uso “etico” e “morale” <strong>della</strong> ragion pratica: la<br />

massima riconosciuta come universale (secondo l’uso “morale”) si<br />

inserisce infatti all’interno del percorso <strong>di</strong> vita dell’in<strong>di</strong>viduo, e<br />

quin<strong>di</strong> la sua universalità si applica (nei mo<strong>di</strong> dell’uso “etico”) alla<br />

situazione in<strong>di</strong>viduale, e si conserva nell’azione dell’in<strong>di</strong>viduo intesa<br />

come parte <strong>di</strong> quell’energeia che è la determinazione-realizzazione<br />

<strong>della</strong> <strong>di</strong>rezione <strong>della</strong> propria vita. La <strong>di</strong>rezione <strong>della</strong> vita risulta<br />

il più universale possibile alla luce <strong>della</strong> sua ridefinizione secondo<br />

la massima universale riscontrata dall’uso “morale”, e <strong>di</strong> conseguenza<br />

le azioni in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> realizzazione <strong>di</strong> tale vita conservano<br />

lo statuto <strong>di</strong> universalità <strong>della</strong> massima.<br />

Queste, in sintesi, le critiche che Habermas rivolge a Kant. In<br />

questa breve presentazione si sono già delineati alcuni aspetti dell’etica<br />

del <strong>di</strong>scorso, come modalità <strong>di</strong> superamento <strong>di</strong> alcune supposte<br />

debolezze all’etica kantiana (o meglio, alle “etiche <strong>di</strong> tipo<br />

kantiano”). È necessario ora approfon<strong>di</strong>re tali aspetti, al fine <strong>di</strong> sottolineare<br />

con maggiore precisione le risposte habermasiane a tali<br />

debolezze.<br />

9 Ibidem, p. 20.<br />

10 Tale riferimento implicito – ma consequenziale – a una critica all’etica dell’intenzione<br />

potrebbe costituire la conferma in<strong>di</strong>retta <strong>della</strong> sottoscrizione<br />

del quarto aspetto <strong>della</strong> critica hegeliana.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

2. L’etica del <strong>di</strong>scorso alla luce delle critiche a Kant<br />

Habermas riconosce tre <strong>di</strong>fferenze tra l’etica del <strong>di</strong>scorso e<br />

l’etica <strong>di</strong> tipo kantiano 11 : esse si riferiscono alla sussistenza (o<br />

meno) <strong>di</strong> un dualismo tra regno dei fini e regno fenomenico, al<br />

carattere del giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> moralità (se in<strong>di</strong>viduale o collettivo), e infine<br />

alla natura <strong>della</strong> legge morale (se coercitiva e negante le istanze<br />

fenomeniche o meno). Tutte e tre le <strong>di</strong>fferenze si riassumono in una<br />

sola: se da un lato, secondo Habermas, le etiche <strong>di</strong> tipo kantiano si<br />

basano su una netta separazione tra homo noumenon e homo phenomenon<br />

(prescrivendo la sottomissione coercitiva del secondo al<br />

primo), dall’altro lato l’etica del <strong>di</strong>scorso supera tale dualismo<br />

attraverso una concor<strong>di</strong>a tra i due homines, alla luce <strong>di</strong> un’interpretazione<br />

interpersonale e non solipsistica (seconda <strong>di</strong>fferenza) dell’homo<br />

noumenon, quale momento <strong>di</strong> incontro tra i vari homines<br />

phenomena. Questo incontro ha natura <strong>di</strong>alogica, in quanto sola<br />

forma che non presenti alcun aspetto <strong>di</strong> strumentalizzazione dell’altro<br />

in<strong>di</strong>viduo, e il cui risultato possa essere considerato universale<br />

– all’interno <strong>di</strong> un contesto <strong>di</strong>alogico specifico.<br />

Da tale separazione delle sfere derivano le critiche citate nei<br />

due paragrafi precedenti – procedendo a ritroso: il problema del<br />

passaggio da massima morale ad azione morale, il problema del<br />

riferimento alla vita soggettiva (“fenomenica”), e infine l’impossibilità<br />

<strong>di</strong> una decisione in foro interno che possa essere universale,<br />

senza un confronto con altri punti <strong>di</strong> vista in un foro esterno. Il problema<br />

fondamentale per Habermas concerne, quin<strong>di</strong>, il passaggio<br />

da un’universalità prescrittiva a un’universalità che potrebbe essere<br />

definita “pragmatica”, ossia inerente all’azione – nuovamente, si<br />

tratta <strong>della</strong> classica critica inerente al fatto che le etiche <strong>di</strong> tipo kantiano<br />

ignorino o trascurino l’aspetto pragmatico relativo all’azione,<br />

per concentrarsi solo sull’aspetto intenzionale, e ad<strong>di</strong>rittura<br />

costringendo l’aspetto fenomenico-pragmatico ad annullarsi <strong>di</strong><br />

fronte alle ragioni del noumenico-intenzionale. La conciliazione<br />

11 Cfr. J. Habermas, Teoria <strong>della</strong> Morale, cit., pp. 16-17.<br />

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Andrea Vestrucci - Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik<br />

dei due aspetti dell’universalità quale con<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> morale dell’azione<br />

dettata anche da penchants e interessi in<strong>di</strong>viduali è alla<br />

base <strong>della</strong> proposta dell’etica del <strong>di</strong>scorso.<br />

Il problema risiede quin<strong>di</strong> nella riformulazione dell’imperativo<br />

categorico, quale criterio atto a determinare la massima che sia morale.<br />

Come evidenziato nel paragrafo precedente, Habermas riconosce<br />

all’imperativo categorico una funzione positiva nella valutazione<br />

<strong>della</strong> massima (così da potersi riferire al mondo storico, e non essere<br />

tautologico) non gli riconosce alcuna funzione relativa alla determinazione<br />

dell’azione in<strong>di</strong>viduale né, in senso lato, alla costituzione<br />

<strong>della</strong> vita in<strong>di</strong>viduale fenomenica. La sua sola ingerenza è, al massimo,<br />

negativa, quale coercizione e negazione “puritanistica” <strong>di</strong> ogni<br />

aspetto sensibile, particolaristico e interessato nella vita del soggetto.<br />

Il solo modo, secondo Habermas, per rime<strong>di</strong>are alla negazione<br />

<strong>della</strong> natura fenomenica dell’in<strong>di</strong>viduo, e per dare a questa natura<br />

<strong>di</strong>gnità morale, è fare in modo che l’in<strong>di</strong>viduo sottoponga al criterio<br />

dell’universalità proprio questa natura: sottoponga, non sottometta.<br />

Il fine in<strong>di</strong>viduale <strong>della</strong> procedura <strong>di</strong> universalizzazione non è quin<strong>di</strong><br />

semplicemente la determinazione delle massime morali (poiché<br />

esso è solo un fine, il fine dell’uso “morale” <strong>della</strong> ragion pratica),<br />

quanto, piuttosto, la determinazione <strong>della</strong> condotta <strong>di</strong> vita in<strong>di</strong>viduale.<br />

L’in<strong>di</strong>viduo fenomenico si presta a correggere il corso <strong>della</strong><br />

propria vita secondo il criterio dell’universalità non come mera conseguenza<br />

dell’assunzione del criterio <strong>di</strong> universalità stesso, ma come<br />

suo fine: l’in<strong>di</strong>viduo si vuole universalizzare alla luce del ritorno<br />

fenomenico <strong>di</strong> tale universalizzazione. Ma questo non basta: se infatti<br />

l’universalità fosse assunta in modo formale, anche solo come<br />

mezzo per un fine che non è l’universalità stessa, si cadrebbe ancora<br />

nei medesimi problemi <strong>di</strong> contatto tra forma dell’universalità e<br />

sua traduzione pratica in un’azione. Pertanto, il criterio stesso dell’universalità<br />

deve riferirsi alla natura fenomenica: l’universalità<br />

deve in qualche modo essere connessa a un’esigenza <strong>della</strong> componente<br />

fenomenica. Il solo modo per realizzare ciò coincide con una<br />

formulazione del criterio <strong>di</strong> legittimazione normativa quale fondato<br />

sull’accordo portante su una prescrizione (regolatrice <strong>della</strong> vita<br />

fenomenica), effettuato da tutte le parti fenomeniche in causa.<br />

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Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

Queste “parti fenomeniche”, i partner <strong>della</strong> decisione normativa<br />

non possono presentarsi a questa situazione <strong>di</strong> accordo come<br />

“fenomeniche”, altrimenti non potrebbero essere comparabili tra<br />

loro, e nessun accordo potrebbe essere trovato. L’accordo deve<br />

basarsi quin<strong>di</strong> su elemento con<strong>di</strong>viso da tutte le parti in causa: tale<br />

elemento non può essere altro se non la stessa sussistenza delle<br />

parti, alla luce del quale ogni posizione fenomenica è identica alle<br />

altre, e può quin<strong>di</strong> comunicare con le altre. Pertanto, l’universalità<br />

<strong>della</strong> massima coincide con l’accordo <strong>di</strong> tutte le parti in causa, e si<br />

riferisce al fatto che la massima sod<strong>di</strong>sfi il bisogno <strong>di</strong> realizzazione<br />

<strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> vita. Si è quin<strong>di</strong> giunti alla formulazione<br />

dell’“imperativo categorico” haermasiano, criterio <strong>di</strong> universalizzazione<br />

delle massime, il cosiddetto principio U:<br />

Ogni norma valida deve sod<strong>di</strong>sfare la con<strong>di</strong>zione che le conseguenze<br />

e gli effetti secondari, derivanti (presumibilmente) <strong>di</strong> volta<br />

in volta dalla sua universale osservanza per quel che riguarda la<br />

sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> ciascun singolo, possano venir accettate da tutti gli<br />

interessati (e possano essere preferite alle conseguenze delle note<br />

possibilità alternative <strong>di</strong> regolamentazione) 12 .<br />

Il test kantiano dell’universalizzazione <strong>della</strong> massima è quin<strong>di</strong><br />

mantenuto, ma non a livello <strong>di</strong> auto-contrad<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> massima,<br />

quanto a livello <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione <strong>della</strong> massima con la “sod<strong>di</strong>sfazione”<br />

<strong>di</strong> ogni in<strong>di</strong>viduo per le conseguenze a livello <strong>di</strong> vita in<strong>di</strong>viduale<br />

– a livello <strong>della</strong> compatibilità <strong>della</strong> massima con il percorso<br />

<strong>di</strong> vita fenomenica assunto dall’in<strong>di</strong>viduo. Alla luce <strong>di</strong> tale definizione,<br />

l’universalità non può essere più affare del foro interno dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

dato che il solo foro interno non è sufficiente non solo<br />

per valutare le conseguenze possibili <strong>della</strong> massima, ma soprattutto<br />

per tenere conto <strong>della</strong> pluralità <strong>di</strong> posizioni fenomeniche in<br />

gioco. Pertanto il principio U è la massima <strong>della</strong> procedura descrit-<br />

12 J. Habermas, Moralbewusstsein und kommunikatives Handeln, Suhrkamp,<br />

Frankfurt a. M. 1983, tr. it. <strong>di</strong> E. Agazzi, Etica del <strong>di</strong>scorso, Laterza, Roma-<br />

Bari 1985, p. 74.<br />

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Andrea Vestrucci - Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik<br />

ta dal principio D – il principio del definisce il solo ambito possibile<br />

<strong>di</strong> attuazione <strong>della</strong> procedura <strong>di</strong> determinazione <strong>di</strong> universalità:<br />

“Possono avere pretesa <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà soltanto quelle norme che<br />

potrebbero incontrare il consenso <strong>di</strong> tutti gli interessati quali partecipanti<br />

a un <strong>di</strong>scorso pratico” 13 . La natura e l’oggetto del consenso<br />

sono determinati dal principio U, e il principio D determina la<br />

modalità <strong>di</strong> produzione del consenso – il <strong>di</strong>scorso.<br />

Da questo deriva una prima risposta a Kant: il fatto che la procedura<br />

<strong>di</strong> determinazione dell’universalità non avviene in foro interno,<br />

ma in foro esterno, attraverso la partecipazione al <strong>di</strong>scorso pratico.<br />

La necessità del <strong>di</strong>scorso è data dal bisogno <strong>di</strong> tenere conto<br />

<strong>della</strong> pluralità <strong>di</strong> determinazioni fenomeniche, affinché il momento<br />

<strong>di</strong> universalità non si risolva in un suo annullamento o repressione,<br />

ma al contrario sorga dal riconoscimento dei “<strong>di</strong>ritti” <strong>della</strong> parte<br />

fenomenica (come conferma <strong>della</strong> prima <strong>di</strong>fferenza tra etica kantiana<br />

e etica del <strong>di</strong>scorso): l’universalità in Habermas si riferisce quin<strong>di</strong><br />

in prima istanza al momento “etico”-particolare, e in seconda<br />

istanza al momento “morale”-prescrittivo. Da ciò consegue la<br />

seconda <strong>di</strong>fferenza: il momento <strong>di</strong> valutazione dell’universalità non<br />

può riferirsi a una valutazione in<strong>di</strong>viduale, ma deve derivare da una<br />

valutazione pluralistica; a sua volta, la valutazione pluralistica, derivata<br />

dal tenere conto delle varie istanze, non può che essere derivata<br />

da una modalità che riconosca pari valore a tutte le parti in causa:<br />

il <strong>di</strong>scorso tra parti uguali. Ogni altra modalità prevederebbe infatti<br />

un uso strumentale tra in<strong>di</strong>vidui, e quin<strong>di</strong> l’instaurazione <strong>di</strong> una<br />

situazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>seguaglianza tra le varie posizioni fenomeniche.<br />

Dato che la massima approvata dal <strong>di</strong>scorso deriva da e si riferisce<br />

a posizioni fenomeniche, è risolto, secondo Habermas, anche il<br />

problema <strong>della</strong> conservazione dell’universalità dalla massima all’azione:<br />

la vali<strong>di</strong>tà <strong>della</strong> massima deve necessariamente informare il<br />

momento <strong>di</strong> determinazione <strong>della</strong> vita in<strong>di</strong>viduale, poiché la massima<br />

stessa vi si riferisce in potenza prima del <strong>di</strong>scorso, e necessariamente a<br />

13 J. Habermas, Teoria <strong>della</strong> morale, cit., p. 8. Cfr. Id., Etica del <strong>di</strong>scorso, cit., p.<br />

103.<br />

89


Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

seguito del risultato del <strong>di</strong>scorso. L’universalità <strong>della</strong> parte fenomenica<br />

non è quin<strong>di</strong> il risultato <strong>della</strong> negazione <strong>di</strong> tale parte, <strong>della</strong> negazione<br />

del suo “<strong>di</strong>ritto” a essere oggetto <strong>di</strong> determinazione, a essere perseguita<br />

e realizzata – al contrario: l’universalità <strong>della</strong> parte fenomenica<br />

coincide con la sua realizzazione secondo la decisione interpersonale<br />

<strong>di</strong> quali sono i limiti <strong>della</strong> sua <strong>di</strong>rezione. Quin<strong>di</strong> l’universalità <strong>della</strong><br />

parte fenomenica è anche una con<strong>di</strong>zione necessaria per la sua realizzazione.<br />

Come riconosciuto prima, il processo, la forma, la <strong>di</strong>rezione<br />

<strong>della</strong> vita in<strong>di</strong>viduale, non deriva da una decisione spontanea e autonoma<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo, ma dal contesto oggettivo e interpersonale <strong>di</strong><br />

valori e <strong>di</strong> norme, tra cui l’in<strong>di</strong>viduo sceglie assiologicamente e prescrittivamente<br />

la propria posizione; tali valori e norme, in quanto esistenti,<br />

sono a loro volta assunti da altre posizioni in<strong>di</strong>viduali. Infatti,<br />

l’in<strong>di</strong>viduo entra nel contesto del <strong>di</strong>scorso con il fine <strong>di</strong> preservare la<br />

propria <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> vita, il proprio statuto fenomenico e, alla luce <strong>di</strong><br />

questo fine, con il principio che tutti i <strong>di</strong>fferenti statuti fenomenici<br />

hanno uguale valore – in caso contrario, la posizione in<strong>di</strong>viduale<br />

sarebbe passibile <strong>di</strong> strumentalizzazione da parte <strong>di</strong> altre posizioni,<br />

con il rischio <strong>di</strong> una sua negazione. Pertanto la realizzazione in<strong>di</strong>viduale<br />

non può esistere se non nel rispetto e nella conservazione del<br />

contesto interpersonale da cui tale realizzazione, e la decisione <strong>della</strong><br />

<strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> tale realizzazione, trasse e trae esistenza.<br />

L’oggetto del <strong>di</strong>scorso è quin<strong>di</strong> la regolazione armonica <strong>di</strong> tutte<br />

le <strong>di</strong>fferenti posizioni fenomeniche, attraverso una valutazione<br />

delle prescrizioni atte a regolare non necessariamente la totalità<br />

delle posizioni, ma <strong>di</strong> certo almeno alcune posizioni; tale valutazione<br />

si riferisce al fatto che le prescrizioni consentano o meno lo sviluppo<br />

<strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>fferenti posizioni: se una norma legittimasse un<br />

uso strumentale <strong>di</strong> una posizione da parte <strong>di</strong> un’altra, tale norma o<br />

valore sarebbe rifiutato poiché le sue conseguenze non sarebbero<br />

passibili <strong>di</strong> accettazione da parte <strong>di</strong> tutte le parti in causa – tutti i<br />

partecipanti al <strong>di</strong>scorso. La conclusione del <strong>di</strong>scorso è quin<strong>di</strong> l’approvazione<br />

<strong>di</strong> una prescrizione che consenti (o meglio che non<br />

neghi) l’eguale sviluppo <strong>di</strong> tutte le <strong>di</strong>rezioni fenomeniche <strong>di</strong> vita: la<br />

prescrizione è valida perché è universale, ed è universale poiché la<br />

sua legittimità è il risultato del consenso <strong>di</strong> tutte le parti in causa.<br />

90


Andrea Vestrucci - Da Habermas a Kant: una proposta <strong>di</strong> Duplik<br />

Riassumendo: la risposta <strong>di</strong> Habermas alle debolezze <strong>di</strong> cui l’etica<br />

<strong>di</strong> tipo kantiano, ai suoi occhi, soffre, corrisponde alla proposizione<br />

dei due principi U e D. l’etica del <strong>di</strong>scorso è infatti determinata<br />

dall’unione dei due principi, i quali non hanno senso se non in sinergia<br />

– e tali due principi svolgono la funzione <strong>di</strong> correggere gli errori<br />

kantiani. Il principio U è l’espressione <strong>della</strong> terza <strong>di</strong>fferenza tra etica<br />

del <strong>di</strong>scorso e etica kantiana, relativa alla relazione tra aspetto noumenico<br />

(referente al principio <strong>di</strong> universalità formale) e aspetto fenomenico<br />

(referente al principio <strong>di</strong> irriducibile particolarità in<strong>di</strong>viduale):<br />

tale principio afferma infatti la correlazione tra i due aspetti, eon<br />

la coercizione <strong>di</strong> uno sull’altro, prescrivendo un’universalità come<br />

risultato dell’accordo dei punti <strong>di</strong> vista fenomenici. La modalità <strong>di</strong><br />

tale accordo è prescritta dal principio D nel termini <strong>di</strong> una pratica<br />

<strong>di</strong>scorsiva tra le parti in causa, come a un tempo realizzazione e modalità<br />

<strong>di</strong> realizzazione 14 del principio dell’universalità: tale è il contenuto<br />

<strong>della</strong> seconda <strong>di</strong>fferenza tra etica kantiana e etica del <strong>di</strong>scorso, nei<br />

termini del superamento del solipsismo <strong>di</strong> cui, secondo Habermas,<br />

<strong>di</strong>fettava l’etica kantiana, nella determinazione <strong>della</strong> massima universale.<br />

La sinergia <strong>di</strong> entrambi i principi coincide, infine, con l’espressione<br />

<strong>della</strong> terza <strong>di</strong>fferenza tra le due etiche, relativa al superamento<br />

del dualismo tra noumenon e phenomenon.<br />

3. Due critiche all’etica del <strong>di</strong>scorso<br />

Gli esiti <strong>della</strong> posizione <strong>di</strong> Habermas sono lungi dall’essere teoricamente<br />

scevri, a loro volta, <strong>di</strong> punti deboli: è quin<strong>di</strong> necessario<br />

14 Realizzazione, dal momento che la stessa instaurazione <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso pratico<br />

tra parti uguale coincide già con l’attuazione <strong>di</strong> un or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co<br />

il più universale possibile: il <strong>di</strong>scorso deve infatti essere legittimato da<br />

istituzioni che garantiscano l’uguale riconoscimento <strong>di</strong> ogni posizione in<strong>di</strong>viduale,<br />

quale avente <strong>di</strong>ritto alla partecipazione al <strong>di</strong>scorso. Cfr. J. Habermas,<br />

Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des<br />

demokratischen Rechtsstaats, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1992, tr. it. <strong>di</strong> <strong>di</strong> L.<br />

Ceppa, Fatti e norme. Contributi a una teoria <strong>di</strong>scorsiva del <strong>di</strong>ritto e <strong>della</strong><br />

democrazia, Guerini e Associati, Milano 1996, in particolare pp. 203-6.<br />

91


Philosophia III (2/2010 - 1/2011)<br />

in questo paragrafo presentare due critiche illustri mosse all’etica<br />

del <strong>di</strong>scorso, al fine <strong>di</strong> mostrare come i suoi tentativi <strong>di</strong> colmare<br />

alcuni punti deboli dell’etica kantiana possano essere a loro volta<br />

filosoficamente inconsistenti.<br />

3.1. Le critiche <strong>di</strong> Wellmer<br />

Delle numerose critiche che Albrecht Wellmer, pensatore associato<br />

alla “seconda generazione” <strong>della</strong> Scuola <strong>di</strong> Francoforte, presenta<br />

a Habermas, e che costrinsero quest’ultimo a mo<strong>di</strong>ficare in<br />

parte la propria proposta etica 15 , solo due sono oggetto <strong>di</strong> analisi in<br />

questa sede, per ragioni <strong>di</strong> coerenza ed economia argomentativa. In<br />

connessione con le conclusioni del paragrafo precedente, che vedeva<br />

la sinergia tra i due principi U e D quale superamento delle supposte<br />

limitazioni dell’etica kantiana, le critiche <strong>di</strong> Weller qui analizzate<br />

si riferiscono proprio ad alcune debolezze filosofiche <strong>di</strong> cui i<br />

due principi soffrirebbero.<br />

Wellmer, analizzando lo sforzo teoretico <strong>di</strong> Habermas <strong>di</strong> colmare<br />

i limiti dell’etica kantiana attraverso la sua proposizione etico<strong>di</strong>scorsiva,<br />

sottolinea come tale proposta ricada nelle stesse <strong>di</strong>fficoltà<br />

che intendeva superare. Infatti, i problemi inerenti al formalismo<br />

dei principi etici e alla necessità <strong>di</strong> una fondazione universalistica<br />

delle norme sono conservati in Habermas; tali problemi concernono<br />

in specifico due momenti: la prova <strong>della</strong> necessità dei principi <strong>di</strong><br />

legittimazione delle norme e la concezione del principio <strong>di</strong> universalità<br />

come massima prescrittiva.<br />

Secondo Wellemer, relativamente al primo momento, se in<br />

Kant la prova dell’apriorità dell’imperativo categorio si riduce al<br />

factum <strong>della</strong> ragione, in Habermas la prova dell’apriorità dei due<br />

principi D e U si riferisce al “factum” dell’apriorità del <strong>di</strong>scorso:<br />

Habermas deduce il valore formale dei due principi da un’impasse<br />

formale nel caso <strong>di</strong> una loro negazione – secondo la ben nota procedura<br />

argomentativa per viam negationis. Tale impasse coincide-<br />

15 Cfr. J. Habermas, Teoria <strong>della</strong> morale, cit., pp. 136-42.<br />

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