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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />

Ferdinando Neri<br />

Rosa, Rosso & Neri<br />

Racconti erotici gay<br />

adatti ad un pubblico adulto<br />

Volume primo<br />

e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it<br />

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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />

FERDINANDO NERI nasce in Francia da padre aretino<br />

e madre francese. Quando Ferdinando ha tre anni, il<br />

padre decide, per motivi di lavoro, di lasciare la<br />

Francia e stabilirsi in Italia, prima in Toscana e poi<br />

in Piemonte, dove Ferdinando frequenta il liceo.<br />

Negli anni del liceo si innamora della fotografia e<br />

di un fotoreporter, che lavora per un grande<br />

quotidiano milanese.<br />

Ferdinando abbandona l’università ed ha inizio un<br />

periodo che definisce “di esplorazione”: esplorazione<br />

dell’America, che Ferdinando attraversa dal<br />

Canada all’Argentina, guadagnandosi da vivere con<br />

vari mestieri; esplorazione dei propri mezzi e dei<br />

propri desideri.<br />

Per mantenersi durante il viaggio, Ferdinando<br />

vende ad una rivista statunitense alcune fotografie<br />

di grizzly scattate <strong>nel</strong> parco di Jaspers: è il primo<br />

passo di una carriera come fotografo naturalistico,<br />

che lo porterà negli anni successivi a viaggiare<br />

molto, soprattutto in America ed in Australia.<br />

Ferdinando stabilisce la sua residenza a Milano, ma<br />

è spesso assente per lavoro.<br />

In diversi dei suoi viaggi Ferdinando tiene un<br />

diario, senza però pensare mai ad una<br />

pubblicazione. Scrivere gli piace e spesso trascrive<br />

storie che sente raccontare dalla gente del posto o<br />

ne inventa altre, a partire da episodi a cui assiste o<br />

che immagina. Nel 2005 pubblica il suo primo<br />

romanzo, I QUATTRO RE, ambientato in Francia ai<br />

tempi della rivoluzione. Altri suoi racconti<br />

appaiono su diversi siti Internet. Segue un secondo<br />

romanzo, CERRO DEL DIABLO (2006), ispirato ai<br />

disegni di Viste ed inserito <strong>nel</strong> sito del disegnatore<br />

(http://viste.supereva.it).<br />

Nel 2007 Ferdinando apre un proprio sito<br />

(http://xoomer.virgilio.it/ferdinandoneri) e completa<br />

un terzo romanzo, LA PROMESSA, ambientato tra i<br />

pirati dei Caraibi.<br />

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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />

PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />

ROSA, ROSSO & NERI<br />

Racconti erotici gay destinati ad un publico adulto<br />

Copyright © 2007 Ferdinando Neri<br />

info: ferdinandoneri@yahoo.it<br />

Copyright © 2007 www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it<br />

Editing on line no profit<br />

info: redazione@isogni<strong>nel</strong>cassetto.it<br />

I edizione in e-<strong>book</strong>, febbraio 2007<br />

Questo e-<strong>book</strong> (autorizzato dall’autore) è gratuito e<br />

si <strong>scarica</strong> dal sito con un semplice click del mouse.<br />

Questo non significa che è però del tutto libero: il<br />

download è consentito tramite una licenza<br />

“Creative Commons” che completa il diritto<br />

d'autore, permettendo ai lettori di copiare,<br />

distribuire e riutilizzare l’opera a patto di citare<br />

sempre il nome dell'autore originario, l'indirizzo del<br />

sito originario (www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it) e di non<br />

utilizzarla per scopi commerciali.<br />

L’autore garantisce altresì l’originalità dei testi<br />

pubblicati e solleva lo staff di I <strong>Sogni</strong> <strong>nel</strong> <strong>Cassetto</strong><br />

(www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it) da qualunque corresponsabilità<br />

anche in merito ai contenuti.<br />

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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />

Nei racconti che seguono ho sviluppato un unico tema: la<br />

relazione tra due uomini. Ogni racconto è diverso dagli altri per<br />

ambientazione, personaggi, vicenda, linguaggio, ma i testi sono<br />

legati gli uni agli altri da una rete di corrispondenze.<br />

Nello scrivere un racconto, come <strong>nel</strong> cucinare un piatto,<br />

l’autore può mescolare gli ingredienti in molti modi ed usare un<br />

condimento od un altro, ottenendo così risultati del tutto diversi. I<br />

lettori, in base ai propri gusti, possono apprezzare o meno il<br />

racconto: ciò che agli uni appare gradevole, ad altri può sembrare<br />

troppo piccante o invece insipido. Perciò i miei racconti sono<br />

spesso accompagnati da un codice di colori, affinché il lettore<br />

sappia che cosa aspettarsi: il rosa è il colore dei sentimenti, il rosso<br />

del sesso e dell’erotismo, il blu dell’avventura (più frequente nei<br />

miei romanzi che nei racconti) ed il nero quello della violenza e<br />

della morte.<br />

F.N.<br />

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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />

Sommario<br />

VOLUME PRIMO<br />

Domande pericolose pag. 7<br />

(un racconto rosso)<br />

Bufera di novembre pag. 26<br />

(un racconto rosa)<br />

Cibo per avvoltoi pag. 47<br />

(un racconto rosso, nero, blu e anche rosa)<br />

Lo spazzolino lo fornisce la Qantas pag. 74<br />

(un racconto rosa, con un po’ di blu)<br />

VOLUME SECONDO<br />

Corso estivo pag. 7<br />

(un racconto rosso)<br />

Giornata d’autunno pag. 30<br />

(un racconto rosa)<br />

L’esecuzione pag. 43<br />

(un racconto nero)<br />

La pietra angolare pag. 57<br />

(un racconto rosso e rosa)<br />

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Domande pericolose<br />

Un racconto rosso<br />

Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco<br />

di calmarmi. Non è facile. Non è facile. Ho fatto una cazzata ed ora<br />

mi sento morire.<br />

E dire che questa mattina ero così contento all’idea che<br />

finalmente è arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed<br />

incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo è il momento più<br />

bello, quando mi si aprono davanti mesi e mesi di libertà assoluta.<br />

Eppure, quest’anno non è così, quest’anno ci sono altre cose<br />

per aria. E ci sono almeno tre giorni la settimana in cui a scuola<br />

sono sempre venuto volentieri. Non posso dirlo a nessuno,<br />

nemmeno a Dario, che pure è il mio migliore amico. Non mi<br />

capirebbe.<br />

A dire la verità, non mi capisco neanch’io. O forse mi<br />

capisco benissimo, ma non ho nessuna voglia di capirmi.<br />

Il professore di storia e filosofia non è un bell’uomo. Ha una<br />

faccia dura, alla Jean Reno dell’Impero dei lupi, il naso schiacciato,<br />

due occhi gelidi. Ha un fisico robusto, ma è sovrappeso. Patisce il<br />

caldo ed in questa stagione gli vedo spesso le macchie di sudore<br />

sulla camicia, sotto le ascelle.<br />

I miei compagni lo prendono in giro perché suda così tanto,<br />

ma lo fanno solo quando lui non sente, ovviamente, perché non è il<br />

tipo che si lascia prendere per il culo ed ho l’impressione che con<br />

un solo pugno potrebbe mandare K.O. anche Roberto, che è uno e<br />

87. Lo chiamano il buttafuori, perché è di modi spicci e sa farsi<br />

rispettare. Dicono che una volta abbia menato due ladruncoli che<br />

stavano aggredendo una vecchietta e ne abbia mandato uno<br />

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all’ospedale. Non so se è vero, ne dicono tante. Ma quell’uomo mi<br />

fa paura.<br />

Quando lo guardo, mi sento la gola asciutta. Non ho più un<br />

goccio di saliva. Mi mancano le forze ed ho paura, una paura fisica,<br />

come se lui potesse alzarsi dalla cattedra, avvicinarsi, mollarmi un<br />

pugno allo stomaco e poi…<br />

Poi il mio cervello si rifiuta di continuare, ma tutto il mio<br />

corpo è in tensione, l’uccello ha alzato la testa ed un desiderio<br />

feroce mi sale dentro. Desiderio di che cosa, non lo so. Desiderio e<br />

paura di quelle mani forti, che mi afferrano, mi strappano la<br />

maglietta, desiderio di vederlo spogliarsi, di… Non lo so, non<br />

voglio saperlo.<br />

Quando mi interroga, non lo guardo mai. Se lo guardassi,<br />

smetterei di ragionare. Rispondo sempre tenendo gli occhi bassi.<br />

Ma quando sono al posto, non gli stacco gli occhi di dosso. Sono in<br />

una buona posizione, defilata, seminascosto da Roberto, che mi<br />

copre alla vista degli altri. Fisso il professore tutto il tempo, tranne<br />

quando lui gira lo sguardo dalla mia parte. Allora abbasso gli occhi,<br />

subito. Non oso incontrare quegli occhi grigi. Ho l’impressione che<br />

mi leggerebbe dentro.<br />

Fino a dieci minuti fa, quando ho fatto la cazzata. Non so<br />

perché l’ho fatta. Forse perché la scuola sta per finire, c’è ancora<br />

un’unica lezione di storia. So solo che mentre lui stava spiegando e<br />

guardava ora da una parte, ora dall’altra, io mi sentivo teso,<br />

continuavo a dirmi che tra pochi giorni non lo rivedrò più. Ed<br />

allora, quando lui ha voltato la faccia <strong>nel</strong>la mia direzione, ho fatto<br />

una cosa assurda. Mi sono passato la lingua sulle labbra, prima<br />

sotto, poi sopra, lentamente, senza distogliere lo sguardo. L’ho<br />

fissato in quegli occhi grigi, di ghiaccio, che non mi perdevano di<br />

vista e che non si sono allontanati un attimo, anche se lui ha<br />

continuato a parlare.<br />

Quando mi sono reso conto di quello che avevo fatto, mi<br />

sono sentito male. Per fortuna è suonata la campana, a quella di<br />

inglese ho detto che non stavo bene e sono uscito. Adesso, qui da<br />

solo <strong>nel</strong> cesso, mi sento morire. Mi chiedo che cosa mi è passato per<br />

la mente. Sono stato pazzo. Poi mi dico che non se n’è neanche<br />

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accorto, ma è una cazzata, non mi ha tolto gli occhi di dosso<br />

nemmeno per un minuto. Ma probabilmente ha solo pensato che<br />

avessi le labbra secche, non può avere capito…<br />

Dio, in che casino mi sono cacciato. Mi tremano le gambe.<br />

Devo rientrare. Per fortuna questa mattina non lo vedo più.<br />

Giovedì non vengo a scuola. Non me la sento di averlo di nuovo<br />

un’ora davanti agli occhi.<br />

Fausto Andreis, professore di storia e filosofia, ha un’ora<br />

buca. Esce in cortile a fumare il suo sigaro. Lo faceva già prima del<br />

divieto di fumo nei locali pubblici, perché sa che l’aroma dei suoi<br />

toscani non è apprezzato da tutti.<br />

Fuma e pensa. Pensa che il ragazzo, Enzo Bondi, è una<br />

troietta. Non se l’aspettava. La timidezza assurda di cui Enzo ha<br />

sempre dato prova con lui (e solo con lui, perché con i colleghi<br />

Enzo è normalissimo) è una manfrina e nasconde solo una troia in<br />

calore? Gli è difficile crederlo. È dall’inizio dell’anno che è così. Se<br />

è stata tutta una manovra per risvegliare il suo interesse e farselo<br />

mettere in culo, che senso aveva trascinarla per un intero anno<br />

scolastico? Andreis non sa che cosa pensare. Quell’improvviso<br />

fissarlo negli occhi, quella lingua che indugiava sulle labbra…<br />

troppo esplicito per lasciare spazio a dubbi. È una provocazione,<br />

questo è evidente. Una provocazione che trova il terreno giusto.<br />

Fausto ha quarantaquattro anni e da tempo si è accorto che<br />

le donne lo interessano sempre di meno. Se il suo matrimonio è<br />

fallito non è solo per i suoi sigari. Se con sua moglie scopava poco,<br />

per non dire niente, non è perché gli mancasse l’appetito, che è<br />

sempre stato forte, quasi vorace. Se gira su internet e curiosa sui siti<br />

gay, non è per una delle sue ricerche storiche. Se legge i racconti<br />

porno gay, non è per conoscere le nuove tendenze della letteratura.<br />

Se…, se…, se…<br />

Fausto potrebbe continuare con i se a lungo, ma sarebbe un<br />

gioco fine a se stesso. Le idee le ha ormai chiare. Gli uomini lo<br />

*<br />

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interessano, soprattutto quelli giovani. Soprattutto quelli dell’età di<br />

Enzo Bondi. Quanti anni ha Bondi? Fa quarta, quindi è <strong>nel</strong>l’anno<br />

dei diciotto. Magari non li ha ancora compiuti e lui rischia di finire<br />

dentro, dato che è anche il suo insegnante.<br />

Alle domande, bisogna rispondere. Andreis entra in<br />

segreteria e va all’armadio. Tira fuori la cartella della IV B e cerca<br />

il fascicolo di Bondi. Sa benissimo che lo stanno guardando storto,<br />

gli insegnanti non devono entrare in segreteria fuori orario, gli<br />

insegnanti non devono prendere le cartelle personali dei ragazzi, c’è<br />

la legge sulla privacy. Possono andare tutti a farsi fottere, tanto<br />

Andreis sa anche benissimo che tutti sono un po’ in soggezione<br />

davanti a lui e nessuno gli dirà niente. Si rende conto che ha anche<br />

il sigaro in bocca, ancora peggio, ma tanto esce subito.<br />

Eccolo qui, Bondi, Enzo, nato … aprile, 17 aprile. I<br />

diciott’anni li ha. E adesso, che se ne fa il professor Andreis di<br />

questa bella informazione?<br />

Mentre esce di nuovo <strong>nel</strong> cortile, Andreis si interroga.<br />

Vuole davvero portarsi Bondi a letto? Non lo sa neanche lui.<br />

Lui, che certamente non è mai stato un indeciso, non sa varcare il<br />

Rubicone. Bondi lo attrae. È un bel ragazzo, un viso gradevole,<br />

occhi di un bell’azzurro intenso e folti capelli neri. È intelligente e<br />

questo non guasta, anche se a letto non è la cosa più importante. Se<br />

è una troia, è l’ideale per incominciare, può fargli da nave scuola.<br />

Fausto ride, ma ride amaro. Se davvero Bondi è una troia,<br />

sarà solo una scopata. Glielo ficca in culo, magari si fa fare anche<br />

un pompino e tutto finisce lì. Perché, che cosa si aspetta? Un grande<br />

amore? Fausto butta il sigaro a terra e lo spegne con il tacco. È<br />

nervoso, scocciato con se stesso per questa indecisione assurda.<br />

È ora di rientrare, per l’ultima ora di lezione. A mezzogiorno<br />

può uscire. O magari potrebbe fermarsi per fare le medie della<br />

seconda e della terza, tanto lì ha finito con le interrogazioni.<br />

Potrebbe uscire un po’ dopo, a casa non lo aspetta nessuno. E se<br />

uscisse quando suona ed escono anche i ragazzi? Che faccia farebbe<br />

Bondi?<br />

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La giornata è finita. Mi sono ripreso, anche se al pensiero di<br />

Andreis, mi viene ancora male. Oggi non rischio di incontrarlo, esce<br />

un’ora prima. So il suo orario a memoria ed i giorni in cui so che<br />

esce all’ultima ora, faccio in modo di scendere in fretta e poi<br />

aspettare che esca, tra gli altri. Non lo guardo mai in faccia, ma<br />

quando si allontana lo seguo con gli occhi.<br />

Scendo le scale ed improvvisamente mi sembra di affondare,<br />

barcollo. Lui è lì, ai piedi dell’ultima rampa. Guarda le scale. Mi<br />

guarda, con quegli occhi grigi che mi raggelano il sangue. Mi fermo<br />

di colpo. Luca, che è dietro di me, mi viene addosso e per poco non<br />

rotoliamo tutti e due.<br />

- Che cazzo ti è preso?<br />

- Scusa, ho dimenticato la penna in classe.<br />

Senza lanciare più uno sguardo in basso, mi volto e risalgo<br />

le scale. Faccio un po’ fatica, perché sono in tanti a scendere, e mi<br />

sembra di sentire <strong>nel</strong>la schiena gli occhi di Andreis. Mi sembra che<br />

mi perforino la maglietta.<br />

Arrivo alla classe, mi dirigo al mio banco e mi fermo. Non<br />

mi siedo, appoggio appena le mani sul banco, cercando di<br />

calmarmi. È meglio che non venga a scuola neanche domani, tanto<br />

non ho più interrogazioni. Non ce la farei ad incrociare Andreis<br />

un’altra volta.<br />

Mi sto calmando, ma sono ancora teso. Ho fatto una cazzata<br />

a salire in classe, adesso mi tocca scendere da solo e magari lui è<br />

ancora là.<br />

Solo quando la porta si apre, capisco perché sono venuto in<br />

classe. Non lo sapevo un attimo fa, ma ora lo so benissimo. Sono<br />

venuto in classe, perché Andreis mi potesse raggiungere. Ed eccolo<br />

entrare, con quel viso duro, quegli occhi grigi ed una smorfia che<br />

potrebbe essere un sorriso sulle labbra, ma non è un sorriso<br />

cordiale, è un ghigno malefico, in cui leggo disprezzo.<br />

*<br />

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Si avvicina a me ed io sento che le gambe non mi reggono.<br />

Mi appoggio al banco, ma la testa mi gira. Andreis non mi toglie gli<br />

occhi di dosso, ma il suo sguardo è cambiato, sembra perplesso.<br />

Con uno sforzo mi drizzo. Vorrei parlare, ma non sono in<br />

grado di spiccicare una parola.<br />

- Non so che cosa vuoi, ma io abito in via Peyron, al 18.<br />

Oggi sono a casa. Se hai qualche cosa da dirmi…<br />

Si volta e se ne va senza darmi il tempo di replicare. Ma non<br />

riuscirei a replicare nemmeno se ne andasse della mia vita. Mi<br />

siedo, incapace di rimanere in piedi.<br />

Voleva insultarlo, magari dargli della troia, voleva<br />

chiedergli che cazzo voleva da lui, voleva baciarlo, Fausto Andreis<br />

non sa che cosa voleva fare, ma il ragazzo era bianco come un<br />

cencio e non stava in piedi. Si può fingere di stare male, ma quel<br />

pallore non poteva essere finto.<br />

Fausto non sa che cosa pensare. Se quel ragazzo voleva<br />

attirare la sua attenzione, ce l’ha fatta, in pieno. E non solo la sua<br />

attenzione. Fausto è tanto eccitato che cerca di tirare indietro la<br />

pancia per nascondere l’erezione, ma non è facile: è sempre stato<br />

piuttosto dotato (troppo, si lamentava sua moglie) ed il palo che<br />

tende quei pantaloni estivi è troppo grosso per non essere<br />

chiaramente visibile.<br />

Fausto evita la sala insegnanti, dove sicuramente c’è ancora<br />

qualcuno, e si rifugia <strong>nel</strong> gabinetto degli uomini, dove rimane un<br />

buon momento, aspettando che la febbre del suo corpo si calmi.<br />

I minuti passano, ma non c’è niente da fare. È sempre stato<br />

così: tanto rapido ad accendersi, quanto lento a spegnersi.<br />

Quando l’eccitazione sale, c’è un solo modo per farla calare.<br />

Ed allora tanto vale non perdere altro tempo.<br />

*<br />

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Fausto apre la cinghia, abbassa la cerniera e lascia che i<br />

pantaloni calino da soli. Poi, con un gesto secco, si abbassa le<br />

mutande, facendole scendere oltre le grosse natiche. Guarda il cazzo<br />

che emerge dalla camicia, la cappella violacea gonfia di sangue.<br />

Fausto si sbottona la camicia e rimane un attimo così, la camicia<br />

tutta aperta, il cazzo massiccio teso verso l’alto, pantaloni e<br />

mutande calati. Se lo vedessero i colleghi o gli allievi!<br />

Ma non gliene fotte un cazzo di colleghi e studenti, ora. La<br />

porta è chiusa a chiave ed il desiderio preme, impaziente, feroce,<br />

sembra una mano che gli strizza i coglioni.<br />

Ora è la sua mano, grande e forte, che scende verso<br />

l’animale che gli batte contro il ventre, teso allo spasimo, lo afferra<br />

con decisione, il pollice davanti e le altre quattro dita dietro, chiuse<br />

intorno a quel palo di carne ardente.<br />

L’immagine di Enzo è davanti ai suoi occhi, la lingua di<br />

Enzo che passa sulle labbra, gli occhi di Enzo che lo fissano, il<br />

corpo di Enzo appoggiato al banco,<br />

Fausto immagina il ragazzo che si accascia sul banco, lui gli<br />

sfila i pantaloni con un gesto rapido ed ora ha di fronte a sé il bel<br />

culo del ragazzo.<br />

Vede il proprio cazzo premere contro l’apertura per entrare,<br />

lo vede forzare l’ingresso ed affondare <strong>nel</strong>la carne come una lama di<br />

coltello <strong>nel</strong> burro.<br />

- Prenditelo tutto, troia -, sibila tra i denti, mentre la sua<br />

mano chiusa intorno alla belva affamata scorre verso l’alto e verso<br />

il basso, incendiandogli i sensi.<br />

Sente i gemiti di Enzo, che mugola di piacere, di dolore, non<br />

lo sa, non gliene fotte un cazzo, sente solo il calore di quella carne<br />

in cui la sua spada affonda. E poi viene – ed è una fitta tanto acuta<br />

da mozzargli il fiato -, mentre il suo seme si scaglia in avanti,<br />

incontra il palmo della sinistra che Andreis ha messo in posizione,<br />

per evitare di inondare il gabinetto, e si spande sulla mano, ricade<br />

sul cazzo ancora teso allo spasimo.<br />

Andreis assapora a fondo le ultime gocce di piacere, poi<br />

rimane un momento fermo, gli occhi chiusi, la destra ancora stretta<br />

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intorno all’animale caldo, la sinistra contro la cappella, l’immagine<br />

di Enzo, di quel culo che non ha mai visto, negli occhi. Infine si<br />

riscuote, prende la carta igienica, si pulisce le mani, controlla che<br />

non ci siano schizzi in giro. Ce ne sono, diversi. Andreis li ripulisce,<br />

poi controlla i vestiti. Tutto a posto, per fortuna.<br />

Dà ancora un’occhiata, si pulisce bene la cappella con la<br />

carta igienica, si riveste, tira l’acqua ed esce. Si lava accuratamente<br />

le mani. Non c’è più nessuno in sala insegnanti. Meglio così.<br />

Fausto Andreis si dirige verso casa. Mentre entra si chiede<br />

se Enzo verrà <strong>nel</strong> pomeriggio. Il solo pensiero ha di nuovo un<br />

effetto dirompente, ma per fortuna non scende nessuno per le scale.<br />

Deve togliersi quel ragazzo dalla testa. O metterglielo in<br />

culo. Una delle due.<br />

Andreis sorride. Se può scegliere, preferisce la seconda.<br />

*<br />

Via Peyron, 18, una bella casa liberty. Si tratta bene il prof.<br />

La mia testa fa commenti idioti, come se non sapesse che<br />

cosa sta succedendo al mio corpo, come se lei vivesse in un altro<br />

pianeta. La mia testa osserva la via, una vecchia con il cane che<br />

passa, un bidone dell’immondizia più in là. La mia testa sta da<br />

un’altra parte, beata lei.<br />

Perché il mio corpo sta qui, da almeno dieci minuti, davanti<br />

a questo portone dove le mie gambe mi hanno portato senza che la<br />

mia testa volesse saperne niente. Ed il mio cuore sta correndo tanto<br />

veloce che da un momento all’altro se ne uscirà fuori, lasciandomi<br />

qui. Ed il mio uccello è una spranga di ferro.<br />

Non posso presentarmi così dal prof. Ed in che modo dovrei<br />

presentarmi? Che cosa sono venuto a fare, se non…<br />

Se la mia testa fosse qui con me, le chiederei di ragionare un<br />

attimo, di studiare una linea d’azione, un piano d’intervento,<br />

preferibilmente una ritirata strategica. Ma la mia testa continua a<br />

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farsi i cazzi suoi, ora sta osservando gli eleganti motivi decorativi<br />

del portone e, approfittando della disattenzione del cervello, la mia<br />

mano ha premuto il campa<strong>nel</strong>lo con il nome Andreis.<br />

C’è un attimo di lucidità, un attimo solo, ed il desiderio di<br />

fuga ha immediatamente la meglio. Mi volto, sto già per<br />

scomparire, ma il ronzio e lo scatto del portone che si apre mi<br />

inchiodano. Non ha risposto, non ha chiesto chi è. Ha<br />

semplicemente aperto. Sa benissimo chi è.<br />

So come si sente il condannato a morte quando gli dicono<br />

che la sua domanda di grazia è stata respinta. È esattamente quello<br />

che provo io e l’androne, immerso in una fresca penombra, è il<br />

corridoio del braccio della morte. Ma vallo a dire al mio uccello,<br />

che ormai è al secondo piano senza che io abbia ancora messo piede<br />

sul primo gradino.<br />

Salgo le scale. È il secondo piano, ma vorrei che fosse il<br />

centesimo. Ogni passo mi pesa, eppure le mie gambe salgono i<br />

gradini rapide, quasi di corsa. Invano cerco di rallentare. Ho paura.<br />

La porta è aperta. Non c’è nessuno sulla soglia, ma quello è<br />

sicuramente il suo appartamento.<br />

Il prof. appare. Non sorride, non saluta, non dice nulla. Fa<br />

appena un passo indietro per lasciarmi entrare, ma non si toglie.<br />

Sono entrato, ma non posso procedere, perché Andreis è davanti a<br />

me, blocca il passaggio. La sua mano chiude la porta alle mie<br />

spalle. Il suo corpo mi spinge contro l’uscio, preme su di me e le<br />

sua mani mi prendono la testa, la sua bocca è sulla mia, la sua<br />

lingua si infila tra le mie labbra, la mia bocca si apre da sola, mentre<br />

la testa incomincia a vorticare e mi dico che, se non avessi la porta<br />

dietro ed Andreis davanti, finirei di sicuro per terra.<br />

La pressione del corpo di Andreis su di me mi toglie il fiato<br />

o forse è la sua lingua che esplora la mia bocca a togliermi il<br />

respiro. Sento una <strong>scarica</strong> elettrica che mi percorre tutto, dalla bocca<br />

lungo la colonna vertebrale, fino ai piedi e poi risale davanti.<br />

Quando la <strong>scarica</strong> raggiunge il mio uccello, la tensione, ormai<br />

insostenibile, esplode, ed io vengo in un parossismo di piacere, che<br />

mi farebbe urlare se potessi farlo. Le mie mani si sono attaccate al<br />

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petto di Andreis e stringono, mentre <strong>scarica</strong> dopo <strong>scarica</strong>, il piacere<br />

sale ed io mi affloscio completamente.<br />

Quando Andreis si stacca da me e fa un passo indietro, forse<br />

stupito della mia reazione, vede immediatamente la macchia fresca<br />

sui pantaloni e scoppia a ridere.<br />

- Vai di fretta, tu, eh?<br />

Mi sento morire dalla vergogna ed allora faccio un passo<br />

avanti, lo stringo tra le braccia e lo bacio, lo bacio come lui ha fatto<br />

prima con me, spingendogli la lingua tra i denti, oltre i denti, fino ad<br />

incontrare la sua.<br />

Questa mossa Fausto Andreis non se l’aspettava. Ma è<br />

un’ottima mossa. Accoglie calorosamente la gradita ospite, la lascia<br />

muoversi come se fosse a casa sua, poi stacca la sua bocca da quella<br />

di Enzo, si abbassa un po’, gli passa le braccia sotto il culo e lo<br />

solleva, senza nessuno sforzo.<br />

Trionfante porta il suo prigioniero lungo tutto il corridoio<br />

fino alla propria camera e lo lancia sul letto. Enzo ora ride e poi<br />

dice:<br />

- Anche lei non perde tempo, professore! Ugh!<br />

La frase finisce con un gemito, perché Fausto Andreis si<br />

butta su Enzo e Fausto Andreis non è un peso piuma, lo sa<br />

benissimo. Ora i loro due corpi aderiscono completamente e le loro<br />

bocche riprendono l’attività interrotta.<br />

È bello baciare un ragazzo, c’è <strong>nel</strong>la bocca di un uomo, <strong>nel</strong>le<br />

labbra, <strong>nel</strong>la leggera peluria sopra il labbro superiore, una ruvidezza<br />

che la rende molto diversa dalla bocca di una donna.<br />

Fausto si stacca dal corpo steso sotto di lui, si mette in<br />

ginocchio, le gambe a lato di quel corpo che ora vuole vedere. Le<br />

sue mani sfilano rapide la maglietta ed Enzo agevola il movimento<br />

alzando le braccia.<br />

*<br />

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Fausto osserva il petto di Enzo. Una carne morbida, qualche<br />

pelo appena intorno ai capezzoli. Sono belli quei capezzoli scuri,<br />

quelle curve appena segnate, quel gioco di muscoli che affiorano<br />

sotto la pelle. C’è la delicatezza dell’adolescenza e la forza della<br />

virilità, un miscuglio appetitoso.<br />

Fausto si siede sul ventre di Enzo e le sue mani<br />

incominciano ad accarezzare quel corpo che ora è prigioniero del<br />

suo. Scivolano sul torace, accarezzano con una certa brutalità i<br />

capezzoli, li stuzzicano. Sì, è bello poter toccare quella carne, anche<br />

in modo brusco, senza cautele.<br />

Enzo è bloccato dal peso di Fausto, ma è un prigioniero<br />

decisamente orientato verso il collaborazionismo spinto. Perché non<br />

solo non oppone resistenza, ma dopo un po’ le mani del ragazzo si<br />

sollevano e, incerte, raggiungono le braccia di Fausto, le<br />

percorrono, le accarezzano lievi.<br />

Fausto ride, un riso di gioia, e le sue mani slacciano la<br />

cintura dei pantaloni di Enzo. Poi, con un movimento brusco,<br />

Fausto scende a terra, sfila le scarpe del ragazzo, senza slacciarle e<br />

tira con violenza i pantaloni. Rimane solo l’ultima difesa, quelle<br />

mutande bagnate che non nascondono, ma quasi mettono in<br />

evidenza, il sesso ancora un po’ turgido.<br />

Fausto accarezza le gambe, gambe agili, ma forti, risale fino<br />

ai fianchi ed è quasi per caso che le sue dita si impigliano<br />

<strong>nel</strong>l’elastico delle mutande, è con dolcezza che le sfilano, lasciando<br />

emergere il desiderio di Enzo.<br />

È la prima volta che il professor Fausto Andreis spoglia un<br />

uomo ed è la prima volta che la sua mano avanza, prima<br />

leggermente incerta, poi decisa, verso un cazzo, la prima volta che<br />

ne accarezza uno, che scorre un dito sulla cappella, facendo<br />

sussultare Enzo, la prima volta che la mano ripercorre in senso<br />

inverso la strada fatta, che raggiunge la pelle umida e coperta di una<br />

leggera peluria dello scroto, che afferra la sacca, forse un po’ troppo<br />

bruscamente, a giudicare dal sussulto di Enzo.<br />

*<br />

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Voglio vederlo nudo, cazzo, voglio vederlo nudo! Dovessi<br />

morire qui, ora, subito, voglio vederlo nudo. Io sono nudo, non ho<br />

più nulla addosso – e che me ne farei di qualche cosa, adesso? E lui<br />

è vestito che potrebbe tranquillamente andare ad aprire la porta e<br />

dire: - Stavo leggendo un libro di storia.<br />

Sì, un libro di storia sulle scopate attraverso i secoli, perché<br />

ce l’ha duro che ancora un po’ gli buca i pantaloni. E deve avercelo<br />

grosso come non ne ho mai visto uno. Voglio vederlo nudo, non ce<br />

la faccio più, ma come faccio a dirlo al mio professore di storia e<br />

filosofia?<br />

Inutile che glielo dica. Meglio passare all’azione.<br />

Mi metto a sedere, mentre lui si tiene le mie palle in quella<br />

zampa da orso. Lui continua a sorridere ed io avanzo le dita fino al<br />

primo bottone della camicia. Il suo sorriso si allarga.<br />

Non è facile sbottonare questa camicia, le mani mi tremano<br />

un po’ e la sua faccia è vicinissima alla mia. Troppo vicina. Le<br />

nostre labbra si sfiorano, poi si appiccicano e siamo di nuovo distesi<br />

lui che mi avvolge, mi schiaccia, Dio, se pesa, Dio, se è bello<br />

sentire questo peso, la sua bocca, la sua lingua, Dio, che bello.<br />

Si rimette a sedere su di me e mi guarda. A giudicare da<br />

come mi guarda,…<br />

Comunque siamo più o meno al punto di prima, io nudo<br />

come un verme e lui, piccolo passo avanti, con due bottoni<br />

sbottonati, da cui emerge appena una bella quantità di pelo. Questa<br />

volta le mie mani (lo giuro, senza nessun ordine da parte del mio<br />

cervello) vanno per le spicce ed afferrano la cintura dei suoi<br />

pantaloni, la slacciano, poi esitano un momento e, con una certa<br />

fatica, cercano di sganciare il bottone della patta, ma non è facile,<br />

sia per la pressione della pancia, sia per un’altra, ben più forte,<br />

pressione. Le mie dita sfiorano, attraverso la stoffa, quel bel pane<br />

appena sfornato, ancora caldo caldo e la mia mente ha smesso di<br />

ragionare.<br />

Il professore mi dà una mano, slacciandosi quel benedetto<br />

bottone ed abbassando la cerniera. I pantaloni scivolano verso il<br />

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basso, ma la camicia si allarga, nascondendo quello che vorrei<br />

vedere.<br />

Impaziente, esasperato, riprendo a sbottonare la camicia,<br />

finché essa si apre completamente ed io rimango senza fiato.<br />

Ha un torace da lottatore, con diversi chili di troppo, forse,<br />

ma imponente. Ha una quantità di peli che farebbe morire di invidia<br />

la testa di Berlusconi e soprattutto, dalle mutande emerge, massiccia<br />

ed inquietante, una cappella violacea.<br />

Ho la bocca secca.<br />

Chissà che gusto ha? La domanda Fausto se la sta ponendo<br />

da un pezzo. Se un’ora fa gli avessero detto che si sarebbe chiesto<br />

che gusto ha il cazzo di un uomo, Andreis si sarebbe messo a ridere.<br />

Non si era mai posto una domanda del genere, prima di vedere nudo<br />

Enzo, ma quella piccola troia in calore che ora stringe tra le gambe<br />

gli fa scoprire nuovi appetiti.<br />

Voleva metterglielo in culo, sì, voleva metterglielo in culo,<br />

Ma c’è qualche problema.<br />

Il primo problema è che la piccola troia è in realtà un<br />

maialino, inequivocabilmente maschio, e che è esattamente questo<br />

che sta incendiandogli i sensi. Il corpo che ha davanti è diverso da<br />

quelli che ha sempre accarezzato, posseduto. È simile al suo, eppure<br />

completamente diverso.<br />

Il secondo problema è che Fausto Andreis, curioso di natura,<br />

è uno che cerca di soddisfare le proprie curiosità. Uno che quando si<br />

pone una domanda, si mette a cercare la risposta.<br />

Ed è così che Fausto Andreis si ritrova, senza essersi dato il<br />

tempo di pensare, a chinare la testa sul ventre glabro di Enzo, ad<br />

aprire la bocca e ad inghiottire un bocconcino di carne, non più (o<br />

non ancora) rigido e voluminoso, ma neppure a riposo.<br />

*<br />

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Che gusto ha? No, la prima sensazione è stata un’altra. Che<br />

odore ha? Un odore di seme, perché il ragazzo è venuto, un odore di<br />

giovane maschio. E questo è bello. E poi sì, che gusto ha? Ha gusto<br />

di sborro, una volta Fausto ha assaggiato il proprio, da ragazzo, poi<br />

non gli è mai più capitato, ma è un buon gusto. Ma soprattutto è<br />

caldo, morbido, anche se sempre meno morbido, diciamo ormai<br />

piuttosto rigido, ma ancora delicato, è un piacere farci passare sopra<br />

la lingua, accarezzare, succhiare, mordere.<br />

- Ahi!<br />

Fausto Andreis ride, vorrebbe dire ad Enzo che ora glielo<br />

mangerà, ma non c’è un’intimità sufficiente tra di loro. Come no,<br />

gli sta succhiando il cazzo e non c’è un’intimità sufficiente? No,<br />

non c’è, Fausto Andreis sa benissimo che l’intimità è una cosa, la<br />

scopata un’altra. Riprende a passare la lingua su quel bel boccone<br />

caldo, sempre più rigido. Bondi va di fretta, vero è che è appena<br />

venuto, ma magari viene di nuovo. E se gli viene in bocca? Che<br />

effetto farà, bere un po’ di sborro?<br />

Non è possibile, non è possibile. Non può essere: il<br />

professore mi sta facendo un pompino. Non è possibile. Non è<br />

possibile, ma è vero e questa lingua che mi accarezza l’uccello,<br />

questa lingua, cazzo, che meraviglia, cazzo, che meraviglia. Vorrei<br />

gridare dal piacere, ma non oso.<br />

Non oso che cosa? Ho paura di fare brutta figura? Sono qui<br />

nudo, lui me lo sta succhiando-leccando-avvolgendo ed io ho paura<br />

di fare brutta figura? Ahi! Mi ha morso di nuovo. E se… Ma che<br />

cazzo vado a pensare? Mica me lo mangia. Cazzo, se ci sa fare.<br />

Inghiotte, sputa fuori, lecca, succhia. Si direbbe che le stia provando<br />

tutte, come se volesse farmi passare in rassegna tutto il suo<br />

repertorio. E, cazzo!, è un signor repertorio. Ci sa fare con la lingua.<br />

È un esperto, il professor Andreis. Chi l’avrebbe mai detto?<br />

Professore di scoposofia.<br />

*<br />

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Cazzo, che bello, ha una lingua morbida come velluto. E<br />

quella bocca, quella bocca. Non ce la faccio più, non ce la faccio<br />

più, è troppo forte, è troppo forte. Non reggo più. Vorrei che non<br />

finisse mai, ma ormai non manca più molto.<br />

Sto per venire. Devo avvisarlo, non posso mica venirgli in<br />

bocca. Quasi grido:<br />

- Professore, sto per…<br />

Troppo tardi, è una <strong>scarica</strong> elettrica che mi percorre e mi fa<br />

vibrare, una scossa che mi brucia la carne. La bocca mi rimane<br />

spalancata, il fiato mi manca.<br />

E lui non toglie la bocca, inghiotte, sembra non voler<br />

perdere neppure una goccia.<br />

Ancora la sua lingua, ma ora non è più velluto, è carta<br />

vetrata.<br />

È troppo, non ce la faccio più.<br />

Non ce la faccio più.<br />

- Basta!<br />

La sua bocca mi lascia. Il professore Andreis, professore di<br />

scoposofia e scoposofo di prim’ordine – chissà se ha mai scritto un<br />

trattato? Potrebbe farlo, secondo me – mi guarda, in ginocchio su di<br />

me, e sorride. Un sorriso un po’ beffardo, ma non cattivo.<br />

Lentamente mi calmo, il cuore riprende un ritmo regolare.<br />

Sorrido anch’io.<br />

Vorrei chiedergli se gli è piaciuta la coca-cola che ha appena<br />

bevuto, ma il professore deve conoscerle bene, queste bevande. Il<br />

professore è un vero esperto, che mi sta insegnando un casino di<br />

cose. Altro che Cartesio, questa sì che è filosofia pura! Ed il<br />

professore è davvero un mago, in materia.<br />

*<br />

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L’esperto professor Fausto Andreis, che mai <strong>nel</strong>la sua vita<br />

ha gustato un simile boccone di carne e mai ha bevuto ad una fonte<br />

così gustosa, si sta dicendo che ha sprecato un sacco di anni, ma<br />

conta di rimediare.<br />

Quella troietta del Bondi sembra tutto contento, è venuto<br />

due volte. Andreis guarda quel corpo steso, completamente<br />

abbandonato, e si dice che è bello guardare quel ventre liscio, quel<br />

torace ben disegnato.<br />

Ma Andreis non intende continuare a guardare. Ormai la<br />

tensione è troppo violenta. Non è più in grado di reggere. Guarda il<br />

suo allievo, sorride, si solleva appena, afferra quel bel corpo e lo<br />

volta. Ha agito d’istinto, come in tutto questo pomeriggio assurdo.<br />

È giunta l’ora di attaccare il nemico alle spalle. Il nemico è disteso,<br />

non sembra intenzionato ad opporre resistenza. È un bel nemico.<br />

È bello guardarlo da dietro. Forse ancora più bello che da<br />

davanti. Quel bel culo stretto, non tondo come quello delle donne,<br />

quei fianchi ben modellati, sodi. Andreis li afferra e stringe con<br />

forza. È bello affondarci le mani, stringere la carne.<br />

Bondi non reagisce, non si divincola. Bene, la sua condanna<br />

a morte è firmata e l’arma dell’esecuzione è perfettamente pronta.<br />

Ma prima, anche se la tensione è ormai intollerabile, prima Andreis<br />

vuole accarezzare un po’ quel culo.<br />

È fantastico quel culo, non c’è niente di più bello di quel bel<br />

culo. Ed ora, quel bel culo sarà infilzato.<br />

Andreis si rende conto di essere ancora mezzo vestito, ma è<br />

proprio solo mezzo. I mocassini (se li era messi per andare ad aprire<br />

la porta) sono volati via da tempo, i pantaloni sono abbassati e basta<br />

un attimo per farli scivolare oltre le ginocchia, insieme alle<br />

mutande, e poi in qualche modo (piedi aiutando) sbatterli via. La<br />

camicia, già aperta, segue il resto. Ad Andreis piace starsene lì,<br />

tutto biotto, seduto su quel bel culo. Ma il contatto con quella carne<br />

calda accende il suo corpo ed ormai Andreis sa che è ora di entrare.<br />

Si solleva un po’ e divarica le gambe di Bondi, che non oppone<br />

resistenza. Quella troietta deve averne presi un bel po’, di cazzi, in<br />

culo.<br />

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Per un attimo Bondi pensa all’AIDS e si dà del coglione:<br />

non ha neanche un preservativo in casa. Ma a quel culo così caldo<br />

non intende proprio rinunciare.<br />

Lo accarezza, divarica le natiche, osserva l’apertura che tra<br />

poco allargherà con la sua arma spianata.<br />

Dalla sua frequentazione di siti gay (e soprattutto dalla<br />

lettura di racconti gay, come quelli di Ferdinando Neri), Andreis sa<br />

benissimo che occorre inumidire l’ingresso posteriore.<br />

Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben<br />

bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede più,<br />

perché Bondi è voltato (ma questo va bene, perché così mette in<br />

vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco,<br />

arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro.<br />

Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai è troppo tardi.<br />

E poi dev’esserci abituato. Bondi è una troia, basta vedere come<br />

gode. Che faccia farà Bondi, quando lui quando glielo metterà in<br />

culo?<br />

Perché mi ha voltato la faccia di lato? Vuole vedere che<br />

faccia fa uno a prenderselo in culo?<br />

Perché è quello che sta per succedere. Ora. Lo sapevo<br />

benissimo che sarebbe successo. È inutile che mi dica che non lo<br />

sapevo. Lo sapevo già quando mi sono passato la lingua sui denti,<br />

questa mattina. Questa mattina? Era solo questa mattina?<br />

Lo sapevo, ma ho paura. Meno male che lui è esperto,<br />

accidenti, se è esperto. Vero è che è un professore. Avrà letto il<br />

Kamasutra e… Ma il Kamasutra descrive anche le posizioni di due<br />

uomini? Ma che cazzo sto pensando?<br />

Ecco, ha tolto le dita. Non era male, la sensazione di quelle<br />

dita. Mi ha fatto male, entrando, ma non è stato così doloroso. Però,<br />

se adesso ci mette quel bastone… Di certo non mi ha voltato per il<br />

piacere della prospettiva.<br />

*<br />

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Lasciamolo fare, ci sa fare.<br />

Lo sento che mi preme sul culo. Non è male, questa<br />

sensazione di calore, non è male, questa pressione leggera. Chiudo<br />

gli occhi. Mi concentro sul calore, sulla pressione.<br />

Cazzo! Mi sta trapassando. Non è piacevole, no, per niente.<br />

- Piano!<br />

Si ferma. Mi sto abituando a questa presenza. Non è<br />

doloroso. O forse sì, forse un po’, ma solo un po’. E non è male,<br />

davvero, non è male. È la prima volta <strong>nel</strong>la mia vita che qualcuno<br />

me lo mette dentro.<br />

Cazzo! Sta avanzando. Mi fa di nuovo male. Si ferma. Non<br />

c’è che dire: è esperto il professor Andreis. Avanza ancora.<br />

Si ferma. Apro gli occhi. Con la coda dell’occhio vedo che<br />

mi sta guardando.<br />

Si ritrae leggermente, poi avanza. Prima procede piano e la<br />

mia carne si abitua a questo girarrosto che mi infilza. Fa male, fa un<br />

po’ male, ma è bello sentire dentro questa massa calda che solletica<br />

e spinge. È bello, sì, è bello, cazzo, se è bello!<br />

Spinge avanti e indietro, spinge con vigore, a tratti mi fa<br />

male, parecchio male, ma non dico nulla, non voglio che smetta, è<br />

bello sentirlo dentro, fa male, ma è bello.<br />

Spinge sempre più forte. Con le mani stringo il cuscino, mi<br />

fa male, decisamente male, mi sembra che mi voglia infilzare fino<br />

allo stomaco.<br />

Grugnisce, spinge ancora, più volte. Sta venendo.<br />

Si affloscia su di me. Quella spranga di ferro acquista<br />

dimensioni più umane. Il dolore si attenua. Ora averlo dentro, più<br />

piccolo, è bello. È proprio bello.<br />

Rimaniamo un buon momento così. È bello sentirlo su di<br />

me, il suo corpo che mi copre, il suo ansimare vicino al mio<br />

orecchio, il suo uccello dentro di me.<br />

Poi lo toglie. Mi spiace. Mi spiace sentirlo uscire da me. Mi<br />

ero abituato a quell’ospite, brutale, ma benvenuto.<br />

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Mi volta e mi guarda. Gli sorrido. È stato bello.<br />

Il professor Andreis guarda in faccia il suo allievo.<br />

Il ragazzo ha un’aria proprio beata.<br />

Certo che gli deve essere piaciuto. E nuovi pensieri frizzano<br />

<strong>nel</strong>la testa di Fausto Andreis. Nuovi pensieri, nuove domande. Una<br />

domanda, soprattutto. Una.<br />

Ma che effetto fa prenderselo in culo?<br />

*<br />

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Bufera di novembre<br />

Un racconto rosa<br />

Claudio fermò l’auto <strong>nel</strong>lo spiazzo vicino alle case della<br />

borgata. Scese e guardò il cielo. Era nuvoloso, ma le nuvole non<br />

avevano un aspetto minaccioso. Solo dalla parte della Serra c’erano<br />

nuvoloni neri, di tempesta.<br />

Le previsioni del tempo erano chiare: rapido peggioramento<br />

delle condizioni atmosferiche, perturbazione in arrivo da ovest e<br />

forti nevicate a partire dal tardo pomeriggio. Claudio aveva pensato<br />

di non muoversi, ma la giornata precedente era stata così serena.<br />

Claudio sentiva il bisogno di fare una bella camminata. Il<br />

colle del Vento era una buona meta. Partendo presto, sarebbe<br />

arrivato prima di mezzogiorno. Il tempo di mangiare due biscotti e<br />

giù. Per le tre al massimo sarebbe arrivato alla macchina e, prima<br />

della nevicata, sarebbe ritornato a casa, soddisfatto.<br />

Forse era un’imprudenza, andare da solo, a novembre, in<br />

una giornata di brutto tempo, ma conosceva il sentiero benissimo e<br />

sarebbe tornato presto. Non se la sentiva di stare a casa da solo.<br />

Aveva bisogno di respirare un po’ di aria fresca, di camminare tra<br />

gli alberi, sui pascoli. Prima che la neve invernale rendesse più<br />

difficile muoversi.<br />

A casa si sentiva irrequieto, insoddisfatto. La montagna gli<br />

restituiva un po’ di serenità.<br />

Mentre si infilava gli scarponi, si disse che non avrebbe<br />

dovuto lamentarsi, lo sapeva. Aveva un lavoro, stabile e ben pagato,<br />

e la recente promozione gli prospettava la possibilità di una bella<br />

carriera in banca: a soli ventisette anni, dopo otto anni di lavoro,<br />

aveva superato colleghi con anzianità ben maggiore. Il lavoro<br />

d’ufficio non gli dispiaceva. La salute era ottima, c’erano gli amici,<br />

molti interessi. Che cosa gli mancava?<br />

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Chiuse l’auto, infilò le chiavi <strong>nel</strong>la tasca della giacca a<br />

vento, controllando che ci fossero anche quelle di casa, richiuse la<br />

cerniera e si avviò.<br />

Sapeva benissimo che cosa gli mancava. Gli mancava<br />

l’amore, gli mancava il sesso. Due cose che aveva sempre<br />

considerato importanti e legate l’una all’altra. Un’idea romantica,<br />

stupida, ma era fatto così.<br />

A ventisette anni non aveva mai avuto un rapporto. Non<br />

aveva mai stretto qualcuno che amava tra le sue braccia.<br />

C’era stato qualche bacio, qualche abbraccio, ma le limitate<br />

esperienze con le coetanee alle superiori non avevano fatto che<br />

confermare ciò che già vagamente intuiva. Non gli importava nulla<br />

delle donne.<br />

Il ricordo di Eugenio emerse improvviso, doloroso come<br />

sempre. Eugenio era un amico di Antonio, veniva da un paese<br />

vicino a Novara. Loro tre avevano affittato un appartamento a<br />

Torino quando si erano iscritti all’università. Claudio aveva<br />

conosciuto Antonio al mare, l’anno prima, ed aveva accettato<br />

volentieri l’offerta di condividere un appartamento in città per il<br />

periodo universitario: nessuno dei suoi amici intendeva proseguire<br />

gli studi.<br />

Claudio si fermò, guardando fisso davanti a sé. Si disse che<br />

neanche lui aveva proseguito gli studi.<br />

Aveva cominciato a seguire i corsi. Tutto regolare. Aveva<br />

fatto conoscenza con l’amico di Antonio. Eugenio era un bel<br />

ragazzo, che dimostrava forse qualche anno in più dei suoi<br />

diciannove. Era già un uomo.<br />

Aveva fatto amicizia con Eugenio: avevano gusti comuni,<br />

più che con Antonio. Andavano al cinema, a teatro. Stavano<br />

benissimo insieme, scherzavano, certe volte ridevano fin quasi ad<br />

avere le lacrime agli occhi, Antonio diceva che erano due scemi.<br />

Ma spesso parlavano di argomenti seri, si infervoravano per la pace,<br />

si scontravano sulla politica. Anche quando erano su posizioni<br />

opposte, ognuno rispettava le scelte dell’altro. Stavano bene<br />

insieme. Maledettamente bene.<br />

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Claudio si era innamorato.<br />

Aveva diciannove anni ed aveva deciso di dire tutto ad<br />

Eugenio. Era sicuro di poter contare sull’affetto di Eugenio, sulla<br />

sua comprensione, se i suoi sentimenti non fossero stati ricambiati.<br />

Aveva cominciato a parlare. Aveva capito subito che le cose<br />

non stavano andando per il verso giusto, che la reazione di Eugenio<br />

era negativa, ma aveva deciso di continuare. Non voleva ritrattare,<br />

fingere.<br />

Ricordava benissimo quello che era seguito, l’insulto urlato,<br />

la rabbia di Eugenio nei suoi confronti, e, quando lui aveva cercato<br />

di calmarlo mettendogli una mano sul braccio, un’altra serie di<br />

insulti ed il pugno.<br />

Era fuggito, fuggito da quella casa, da Torino,<br />

dall’università. Aveva trovato un impiego in banca a Biella e si era<br />

gettato <strong>nel</strong> lavoro. Non aveva più sentito né Eugenio, né Antonio.<br />

La ferita gli faceva ancora male. Non era una sofferenza<br />

d’amore: l’amore per Eugenio era svanito da molto tempo, non era<br />

stata una passione travolgente o un amore eterno, solo un fuoco di<br />

paglia che la burrasca di quel giorno aveva spento. Quello che<br />

rimaneva era l’umiliazione, il disprezzo e l’orrore <strong>nel</strong>le parole di<br />

Eugenio. Risentiva ancora <strong>nel</strong>le orecchie gli insulti.<br />

Poi più nulla. Si era guardato bene dal manifestare il minimo<br />

interesse per un uomo e nessuno si era mai dimostrato interessato a<br />

lui. Salvo forse quella volta in Grecia, ma quel tedesco di mezza età<br />

non lo attraeva. Si vergognava di essere ancora vergine, ma non gli<br />

interessava scopare solo per potersi dire che aveva scopato. Se era<br />

solo per il bisogno, la mano destra era sufficiente. Il giorno in cui si<br />

fosse trovato a fare l’amore, perché era questo che voleva fare, non<br />

scopare, avrebbe barato un po’, cercato di non mostrarsi troppo<br />

ignorante. La sua teoria la sapeva. La pratica… avrebbe supplito<br />

all’inesperienza con la buona volontà e con un po’ di fortuna<br />

avrebbe evitato la brutta figura di farsi scoprire vergine a ventisette<br />

anni.<br />

Scemenze. La possibilità di incontrare l’uomo giusto era<br />

remotissima. E allora? Che cosa contava di fare? Di rimanere per<br />

tutta la vita così? Il lavoro gli piaceva, ma non era abbastanza. La<br />

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carriera non gli interessava più di tanto, anche se il riconoscimento<br />

degli altri gli dava soddisfazione.<br />

Ripensò agli ultimi giorni, alla comunicazione della<br />

promozione, ai complimenti, più o meno sinceri, dei colleghi.<br />

Respirò a pieni polmoni l’aria, molto fredda. Il cielo era velato, ma<br />

la montagna, con gli ultimi colori dell’autunno, era sempre<br />

splendida. Il grumo oscuro dentro di lui cominciava a sciogliersi.<br />

Il cielo si era rannuvolato. Forse avrebbe fatto meglio a<br />

tornare indietro.<br />

La perturbazione era arrivata prima del previsto, erano appena<br />

le undici e le nuvole stavano avvolgendo le montagne. Sì, sarebbe<br />

stato meglio rinunciare a proseguire. Ma mancavano solo duecento<br />

metri al colle. Continuava a dirsi avrebbe dovuto tornare indietro,<br />

ma andava avanti, mentre le nuvole diventavano sempre più spesse<br />

e la visibilità si riduceva ad ogni metro.<br />

Quando arrivò al colle, se ne accorse solo perché si trovò<br />

davanti la croce. Ormai non si vedeva a più di un metro di distanza.<br />

Si disse che aveva fatto una cazzata. Doveva tornare indietro.<br />

Subito. Fortunatamente il sentiero era ben tracciato e non c’era<br />

rischio di perdersi. Si infilò il berretto pesante ed i guanti e si avviò<br />

per il sentiero.<br />

Aveva fatto pochi passi quando cominciò a vedere il<br />

pulviscolo bianco. Non era neanche mezzogiorno e stava iniziando<br />

a nevicare. Bah, non doveva preoccuparsi, prima che la neve<br />

coprisse il sentiero, sarebbe arrivato all’auto. Accelerò il passo,<br />

badando bene a non perdere la traccia. Vedeva appena dove metteva<br />

i piedi e cominciava a sentirsi inquieto.<br />

I fiocchi sembravano moltiplicarsi e si era alzato un vento<br />

gelido, che gli sbatteva la neve in faccia. Meno male che era ben<br />

coperto. Cercava di camminare in fretta, ma i fiocchi che<br />

turbinavano sempre più fitti e la nebbia gli impedivano di vedere e<br />

doveva badare a non perdere il sentiero. Perdersi a fine novembre in<br />

montagna… Preferì non completare il pensiero.<br />

Scese senza fermarsi, solo un momento per bere dal thermos<br />

una tazza di tè caldo. La sensazione di calore fu piacevole e disperse<br />

la preoccupazione.<br />

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Doveva aver fatto un bel pezzo di strada, quando notò che la<br />

neve cominciava a fermarsi, a formare uno strato sottile.<br />

Distinguere il sentiero diventava più difficile, in quella nebbia.<br />

Merda! Ora cominciava ad avere paura. Ma c’era poco da fare.<br />

Andare avanti, andare avanti. Non poteva fare altro. Doveva cercare<br />

di arrivare all’auto prima che la neve coprisse del tutto il sentiero.<br />

L’auto era a meno di tre chilometri dal paese. Anche se non<br />

fosse riuscito a farla partire, se la strada fosse stata bloccata, al<br />

paese sarebbe potuto arrivare a piedi. Stava dicendo una cazzata,<br />

non sarebbe venuta tanta neve da bloccare la strada. Forti nevicate,<br />

avevano detto. Forti nevicate, ma entro due ore sarebbe arrivato<br />

all’auto. Non poteva esserci già tanta neve da impedirgli di passare.<br />

Guardò l’ora. Mezzogiorno e trenta. Aveva ancora un bel pezzo di<br />

strada. Avrebbe fatto meglio a tornare indietro subito, quando aveva<br />

visto le nuvole addensarsi.<br />

Pochi minuti dopo si accorse di aver perso il sentiero. Sentì<br />

un tuffo al cuore. Si voltò e seguì rapidamente all’indietro le proprie<br />

tracce: almeno questo vantaggio la neve l’aveva. Ritrovò facilmente<br />

il punto in cui era uscito dal sentiero e riprese a scendere, cercando<br />

di fare più attenzione.<br />

Lo strato di neve stava acquistando spessore e solo poche<br />

chiazze di terreno rimanevano scoperte. Claudio si fermò un attimo<br />

e respirò a fondo l’aria fredda. Doveva calmarsi. Non era pauroso,<br />

ma ora sentiva l’angoscia prenderlo. Sapeva che stava rischiando,<br />

rischiando grosso. Se avesse perso il sentiero, se non fosse riuscito<br />

ad arrivare all’auto, non aveva nessuna possibilità di uscirne vivo.<br />

C’erano alcune baite non molto lontano, ma non erano lungo il<br />

sentiero e non sarebbe mai riuscito a trovarle in quelle condizioni.<br />

C’era una borgata disabitata più in basso, ai margini del bosco, lì<br />

sarebbe stato al riparo dalla neve, ma doveva arrivarci. Ci voleva<br />

ancora almeno un’ora. Si mise le ghette e bevve un’altra tazza di tè.<br />

Era meno calda della precedente, ma gli fece bene.<br />

Riprese a camminare, ma la neve lo accecava ed il terreno<br />

era ormai uno strato bianco compatto, da cui spuntavano solo i<br />

ciuffi d’erba. Non riusciva più a vedere il sentiero. Non lo vedeva<br />

più. Si fermò di nuovo. Cercò di ragionare, di pensare alla<br />

conformazione della valle. Doveva scendere. Non c’erano grandi<br />

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dirupi, se non dal lato destro. Se si fosse tenuto sulla sinistra,<br />

sarebbe riuscito a scendere.<br />

Lasciare il sentiero era una cazzata, avrebbe potuto cadere,<br />

rompersi una gamba e non se la sarebbe cavata mai più. Che<br />

cos’altro poteva fare? Non era più sul sentiero.<br />

Cercò il sentiero, tornò anche indietro, ad un certo punto<br />

trovò una traccia, ma si accorse che si spostava troppo verso destra,<br />

era pericoloso. No, la cosa migliore era scendere, scendere<br />

direttamente.<br />

Cercò di scendere lungo la linea di massima pendenza. Per<br />

un bel momento tutto filò liscio e Claudio cominciò a sentirsi un po’<br />

meno agitato. Poi la pendenza divenne più forte. Non c’erano<br />

arbusti a cui aggrapparsi, niente. Claudio non sapeva che cosa ci<br />

fosse oltre la nebbia che aveva davanti agli occhi. Scese con<br />

cautela, ma ad un certo punto inciampò su un sasso nascosto dalla<br />

neve e cadde disteso.<br />

Non si era fatto niente, per fortuna non si era fatto niente. Si<br />

rialzò. Si scrollò la neve di dosso, passando la mano inguantata<br />

sulla giacca e sui pantaloni. Doveva cercare di mantenersi asciutto.<br />

Riprese a scendere, ma il pendio diventava sempre più<br />

ripido. Non poteva continuare così, c’era il rischio di finire in un<br />

precipizio. Risalì un po’, poi cominciò a spostarsi verso sinistra, ma<br />

la pendenza sembrava aumentare. Allora cambiò direzione.<br />

Procedette per un buon momento verso destra. La pendenza<br />

diminuiva. Si sentì sollevato. Fece ancora alcuni passi in quota, poi<br />

riprese a scendere. Scese un buon momento e nuovamente la<br />

coscienza di aver percorso un buon tratto gli restituì un po’ di<br />

tranquillità. Stava scendendo bene. La nebbia era sempre fittissima<br />

e la neve turbinava, spinta da un vento gelido, ma stava scendendo.<br />

Non sarebbe arrivato all’auto, ma prima o poi avrebbe raggiunto la<br />

strada e di lì sarebbe arrivato al paese.<br />

Di colpo, il terreno divenne roccioso. Rocce grandi, su cui<br />

era difficile muoversi. La neve le aveva ricoperte in buona parte,<br />

nascondendo le cavità tra una roccia e l’altra. Claudio si muoveva<br />

con grande circospezione: se avesse infilato il piede in un buco<br />

nascosto, avrebbe potuto rompersi la gamba. Per due volte poco<br />

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mancò che cadesse. Era troppo pericoloso. Cercò di tornare indietro,<br />

ma perse subito le proprie tracce. Ritornò sui suoi passi, ma non<br />

riusciva a trovare le orme lasciate sulla neve. Dopo diversi tentativi,<br />

ci rinunciò e riprese a muoversi, con estrema cautela. Cadde due<br />

volte, ma riuscì a non farsi male. Una terza volta cadde malamente e<br />

prese una storta. Niente di grave, solo un po’ di dolore. E si era<br />

bagnato completamente la giacca ed i pantaloni. Zoppicando riprese<br />

a scendere. Cercò di spostarsi verso destra, per uscire dalla pietraia.<br />

Dopo alcuni minuti ritrovò il terreno sotto i piedi e si sentì meglio.<br />

Riprese a scendere.<br />

Scese un quarto d’ora. Cominciava ad avere freddo, ma non<br />

doveva mancare ancora molto. Doveva aver percorso parecchia<br />

strada. Erano… guardò l’ora: le tre. Accidenti, già le tre! Certo che<br />

a scendere in quel modo ci metteva molto più tempo. Avrebbe<br />

dovuto già essere arrivato all’auto, ma aveva perso un sacco di<br />

tempo. Bah, se erano le tre, doveva essere già piuttosto in basso.<br />

Riprese a camminare, ma dopo pochi passi, di colpo, si trovò<br />

sull’orlo del precipizio.<br />

Se ne rese conto vedendo che il terreno scompariva. Sentì<br />

una contrazione alle viscere.<br />

Lentamente, cercò di tornare indietro. Ritrovò le proprie<br />

tracce, che la neve stava coprendo rapidamente. Quando raggiunse<br />

la pietraia, riprese a scendere, cercando di tenersi sul bordo. Sentiva<br />

la stanchezza ed il freddo invaderlo. Si rese conto che c’era sempre<br />

meno luce. No, non era possibile che stesse diventando notte.<br />

Guardò l’orologio. Le cinque. Sentì un tuffo al cuore. Tra poco<br />

sarebbe diventato buio.<br />

Scese ancora, ma ormai sprofondava <strong>nel</strong>la neve, ogni passo<br />

gli costava fatica. Si rendeva conto che non ce l’avrebbe fatta.<br />

Continuò a camminare e di colpo gli apparve davanti un<br />

abete. Per un attimo un senso di sollievo lo invase. Era ai margini<br />

del bosco. Poi si disse che non cambiava nulla. Avrebbe dovuto<br />

attraversare tutto il bosco e non ce l’avrebbe mai fatta. Ormai c’era<br />

tanta neve, che non avrebbe riconosciuto nemmeno la strada. Era<br />

finita.<br />

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Riprese a camminare, ma le gambe non lo reggevano più.<br />

Era sempre più buio. Aveva freddo. Non sentiva più le mani ed i<br />

piedi. Agitò le braccia furiosamente, per fare affluire un po’ di<br />

sangue alle dita gelate. Prese ancora una tazza di tè, ma era appena<br />

tiepido. Riprese a camminare.<br />

Sprofondava. Ogni passo era un’agonia. Sarebbe morto.<br />

Stava morendo.<br />

Non ce la faceva più, non riusciva più a procedere.<br />

Cadde una prima volta in ginocchio. Si rialzò, fece ancora<br />

pochi passi, ricadde. Rimase un buon momento in ginocchio <strong>nel</strong>la<br />

neve. Era finita.<br />

Un dolore acuto, una disperazione selvaggia lo spinsero ad<br />

alzarsi. Gridò:<br />

- No, no, no!<br />

Fece due passi e cadde in ginocchio. Lottò per rialzarsi, ma<br />

neppure la volontà lo sorreggeva. Disse ancora, piano:<br />

-No!<br />

Poi cadde in avanti, il viso <strong>nel</strong>la neve.<br />

Gli parve che qualcuno lo chiamasse, che lo sollevasse e lo<br />

prendesse in braccio, lo trasportasse. Il freddo lasciò lentamente il<br />

posto ad una sensazione di calore, le dita delle mani e dei piedi gli<br />

facevano male, molto male, poi il dolore arretrò ed un senso di pace<br />

infinita lo invase.<br />

C’era una luce bianca davanti ai suoi occhi. Una luce<br />

accecante. Li richiuse, poi li riaprì, cercando di abituarsi. Man mano<br />

che emergeva dal torpore che lo avvolgeva, Claudio riacquistava il<br />

ricordo di quanto era successo. Si disse che era vivo. Vivo? Sì, era<br />

vivo, disteso in un letto. L’avevano portato in ospedale? L’avevano<br />

trovato, prima che morisse congelato!<br />

Ora che gli occhi si erano abituati alla luce, poté guardarsi<br />

intorno. Era in una stanza, piuttosto piccola. C’era un uomo grande<br />

e grosso, con una spessa barba nera, che si stava avvicinando al<br />

letto.<br />

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- Ti sei svegliato? Come stai?<br />

Claudio lo guardò. Aveva una faccia larga, in gran parte<br />

coperta dal barbone nero, che portava corto, due occhi di un azzurro<br />

intensissimo ed un largo sorriso che dava fiducia. Doveva avere più<br />

o meno la sua età, forse qualche anno in più, sì, doveva essere sulla<br />

trentina. L’uomo gli aveva chiesto come stava. Mosse un po’ le<br />

gambe e le braccia. Bene, stava bene.<br />

- Sto bene. Dove sono?<br />

Il sorriso dell’uomo si allargò.<br />

- Nella mia residenza estiva. Una vecchia casa di caccia, ora<br />

capanno per i guardaparco, dove passo molto tempo in estate, ma<br />

vengo anche in inverno.<br />

- Sei un guardaparco?<br />

L’uomo annuì.<br />

- Sì. E tu, che ci facevi da queste parti?<br />

- Ho fatto un’escursione e quando è cominciato a nevicare<br />

ho perso il sentiero.<br />

Il pensiero del giorno prima ritornò, ancora angoscioso.<br />

- Credevo di morire. Sarei morto, se non mi avessi salvato<br />

tu. Come hai fatto a trovarmi?<br />

- Ho sentito la tua voce. Hai urlato, allora sono uscito e ti ho<br />

chiamato. Non rispondevi, ma non è stato difficile trovarti.<br />

- Ricordo di essere crollato <strong>nel</strong>la neve, poi non so più nulla.<br />

- Deliravi, quando ti ho portato qui. Ti ho messo vicino al<br />

fuoco, ti ho tolto gli abiti: erano fradici. Ho cominciato a strofinarti<br />

le dita delle mani e dei piedi: temevo potesse esserci un<br />

congelamento. Per fortuna non c’era ancora niente di serio, anche se<br />

ti sei lamentato parecchio, doveva farti molto male. Poi ti ho fatto<br />

bere un tè caldo ed infine, quando mi sembrava che fossi a posto, ti<br />

ho messo a letto. Ti sei addormentato subito, sembravi un<br />

angioletto, beato e sorridente. Hai dormito circa dodici ore.<br />

- Dodici ore? Stai scherzando!?<br />

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L’uomo sorrise di nuovo e scosse il capo.<br />

- No, no. Dodici ore ed anche qualche cosa di più. Si vede<br />

che ne avevi bisogno.<br />

Claudio si riscosse.<br />

- Beh, è meglio che mi alzi, adesso.<br />

Aveva bisogno di svuotare la vescica. Fece per alzarsi, ma si<br />

rese conto di essere nudo. Cercò <strong>nel</strong>la camera e vide i suoi abiti sul<br />

dorso di una sedia. L’uomo aveva seguito il suo sguardo.<br />

- I tuoi abiti sono asciutti e li ho messi lì. La biancheria è<br />

ancora bagnata.<br />

Claudio non capì. Come mai proprio la biancheria era ancora<br />

bagnata? Non poteva essere entrata la neve fino alle mutande. E poi<br />

sarebbero dovute asciugare prima.<br />

L’uomo colse la perplessità di Claudio.<br />

- Ieri sera l’ho lavata.<br />

Claudio si sentì in imbarazzo. Che idea aveva avuto<br />

quell’uomo, di lavargli la biancheria?<br />

- Ma non era il caso.<br />

Una breve risata accolse le parole di Claudio.<br />

- Certo che era il caso, l’avevi conciata proprio bene.<br />

Claudio lo guardò, colto da un sospetto, ed il suo imbarazzo<br />

aumentò.<br />

L’uomo capì e gli sorrise con dolcezza.<br />

- È normale, in una situazione come quella in cui ti sei<br />

trovato. Uno non si rende neanche conto che si sta sporcando.<br />

Comunque, se vuoi alzarti, posso darti della vecchia biancheria di<br />

un mio collega che non viene più da queste parti. Qui c’è un po’ di<br />

tutto, come vestiario: i ricambi possono sempre servire.<br />

L’uomo si alzò e tirò fuori da un baule un paio di mutande<br />

ed una canottiera logori, ma puliti, che Claudio si infilò. Poi finì di<br />

rivestirsi con i propri abiti.<br />

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- C’è un gabinetto?<br />

- Non proprio, ma puoi usare il secchio in quello sgabuzzino.<br />

Poi lo svuoto.<br />

Claudio si sentiva in imbarazzo, ma fece quel che gli aveva<br />

detto l’uomo.<br />

Ritornò <strong>nel</strong>la stanza, si avvicinò alla finestra e guardò fuori.<br />

La neve arrivava al davanzale e stava ancora nevicando, anche se<br />

assai di meno, e si vedeva il bosco: la nebbia si era diradata.<br />

- Ma quanto è nevicato?<br />

- Circa un metro.<br />

- Allora non si può scendere?<br />

- No, di certo, fino a che non si rassoda un po’. Adesso<br />

sarebbe pericoloso, anche se la strada non è molto lunga. Ho il<br />

radiotelefono, se vuoi parlare con qualcuno. Io ho avvisato i tuoi,<br />

ieri sera.<br />

- I miei? Ma come…?<br />

Claudio non capiva.<br />

- Dopo averti messo a letto, ho aperto il tuo portafogli ed ho<br />

comunicato al mio collega guardaparco che ti avevo trovato qui e<br />

che stavi bene. Ha cercato a casa tua, ma non c’era nessuno.<br />

- Vivo da solo.<br />

- Poi ha cercato ancora ed in qualche modo è arrivato ai tuoi.<br />

Li ha avvisati che sei qui e che stai bene. Vuoi parlargli?<br />

Claudio pensò un momento. Sua madre era senz’altro<br />

preoccupata.<br />

- Se è possibile…<br />

- Certo che lo è. La rete è sempre attiva, anche la domenica.<br />

L’uomo contattò qualcuno a valle e Claudio poté parlare con<br />

la madre e dirle che stava benissimo. La pregò di telefonare alla<br />

banca l’indomani mattina, lunedì, e di avvisare che era bloccato e<br />

che sperava di scendere in giornata. Mentre riattaccava si disse che<br />

era un buon modo per festeggiare la promozione.<br />

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- Bene, adesso possiamo fare colazione. Caffelatte con due<br />

biscotti va bene?<br />

Claudio si rese conto che non aveva mangiato niente dal<br />

mattino del giorno prima. D’improvviso ebbe coscienza di una<br />

voragine <strong>nel</strong> suo stomaco.<br />

- Altroché! Ho una fame da lupi.<br />

- Qui c’è da mangiare. Tengo sempre qualche provvista:<br />

pasta, miele, biscotti, scatolame vario. E quando vengo su mi porto<br />

dietro pane e formaggio. Anche se nevica tre giorni, siamo a posto.<br />

L’uomo cominciò a preparare, poi riprese a parlare.<br />

- Non ti ho neanche detto il mio nome. Mi chiamo Primo.<br />

Faccio il guardaparco, come sai.<br />

- Io sono Claudio, lavoro in un banca a Biella.<br />

- Ho lavorato anch’io in banca, ma ho retto tre mesi. Non<br />

sono tagliato per quella vita. Ho bisogno di stare all’aria aperta, ho<br />

bisogno dei boschi, dell’acqua, della neve.<br />

Sorrise di nuovo.<br />

Claudio si sentì a disagio. Anche lui si chiedeva se la vita<br />

che faceva aveva senso e si sentiva pienamente se stesso solo in<br />

montagna, tra i boschi e le vette. La vita in città gli pesava. Non<br />

solo quello. C’erano anche altre cose che gli pesavano. C’era un<br />

vuoto, di cui aveva paura.<br />

Quando Primo gli mise di fronte la tazza di caffelatte<br />

fumante, un pacco di biscotti ed un vasetto di miele, Claudio si rese<br />

conto di essersi perso <strong>nel</strong>le sue riflessioni. Primo non aveva detto<br />

nulla e Claudio gli fu grato di non aver interrotto le sue<br />

fantasticherie.<br />

Claudio si servì abbondantemente di biscotti e miele. Poi si<br />

rese conto che stava spazzolando tutto e si fermò. La risata di Primo<br />

lo fece sobbalzare.<br />

- Mangia, mangia, ti ho detto che ce n’è in abbondanza. E tu<br />

devi recuperare le forze.<br />

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Dopo la colazione Claudio gli chiese del suo lavoro e Primo<br />

raccontò. Era un uomo sereno, soddisfatto della sua vita.<br />

- Ti va di uscire? Ormai nevica poco.<br />

Claudio annuì.<br />

- Ma ce la facciamo? Si sprofonda.<br />

- Ci mettiamo le racchette. Per muoversi solo qui intorno,<br />

sono sufficienti. Domani, se non nevica più, le usiamo per scendere.<br />

Primo scostò la tenda che copriva una scaffalatura e tirò<br />

fuori due paia di racchette. Aprì la porta. Davanti alla porta la neve<br />

era molto più bassa: Primo doveva aver spalato quella mattina,<br />

prima che Claudio si svegliasse. Il casotto era ai margini del bosco.<br />

La finestra da cui Claudio aveva guardato fuori dava sul bosco.<br />

Un’altra, con le ante chiuse, dava invece su un ampio prato, che<br />

scendeva verso una borgata.<br />

Primo fece alcuni passi e svuotò il secchio, poi si diresse<br />

verso il bosco. C’era un punto in cui la neve formava un<br />

avvallamento.<br />

- Ti ho trovato qui.<br />

Claudio pensò che aveva avuto una fortuna incredibile. Tra<br />

tutti i posti in cui avrebbe potuto crollare, gli era successo proprio a<br />

due passi dal casotto.<br />

Ora che si vedeva, Claudio cercò di ricostruire il suo<br />

itinerario. Con l’aiuto di Primo non fu difficile capire la strada che<br />

aveva percorso e la massa di errori di valutazione che aveva<br />

commesso. Si disse che aveva davvero avuto una fortuna<br />

inverosimile.<br />

Nel corso della giornata uscirono altre due volte. Claudio<br />

provava un senso di benessere, di fianco a Primo. Parlavano, ma<br />

rimanevano anche a lungo in silenzio, immersi nei propri pensieri.<br />

A mezzogiorno non mangiarono molto, ma la sera Primo preparò<br />

una vera e propria cena. Si muoveva ai for<strong>nel</strong>li con la stessa<br />

tranquilla sicurezza con cui usava le racchette, spalava la neve o<br />

svuotava il secchio. Tutto era semplice e naturale, tutto veniva<br />

svolto con attenzione, ma senza tensione.<br />

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Stava diventando buio. Primo accese una luce a gas. Non<br />

nevicava più, ma la neve arrivava a metà della finestra.<br />

Dopo cena, Primo lavò i piatti. Claudio si offrì di aiutarlo,<br />

ma Primo gli disse sorridendo che era suo ospite e che non gli<br />

avrebbe permesso di lavorare.<br />

Verso le dieci, Primo uscì di nuovo a spalare la neve, poi<br />

rientrò.<br />

- Bene, ora a nanna. Vatti a mettere sotto le coperte, mentre<br />

io finisco di sistemare.<br />

Claudio si spogliò, tenendosi però la canottiera e le mutande.<br />

Nel letto faceva caldo e la stanza era ben riscaldata, ma la<br />

temperatura sarebbe scesa. E poi si vergognava un po’, anche se era<br />

ridicolo: Primo l’aveva spogliato, lavato e messo a letto la sera<br />

prima.<br />

Stava togliendosi le calze, quando si rese conto che <strong>nel</strong>la<br />

stanza c’era un solo letto.<br />

- Ma, tu dove dormi…<br />

- Ti faccio vedere dopo.<br />

Quando Claudio fu steso sotto le coperte, Primo accese una<br />

candela e spense la lampada a gas. Poi si avvicinò, stese un’altra<br />

coperta sul pavimento, ai piedi del letto, e si coricò.<br />

- Per terra?<br />

- Certo, come ieri sera. Si dorme benissimo.<br />

- Ma neanche per idea. Io dormo <strong>nel</strong> tuo letto e tu per terra!<br />

No. Qui c’è posto per due!<br />

- No, non c’è posto per due. Non per dormire, almeno.<br />

Claudio insistette.<br />

- Ci stiamo, ci stiamo benissimo. Mi sposto. Vieni qui.<br />

- Claudio, in quel letto in due non ci si sta, non per dormire.<br />

- Vieni, facciamo la prova.<br />

- D’accordo, così vedi.<br />

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Primo si tolse la camicia, la canottiera ed i pantaloni,<br />

rimanendo in mutande. Aveva un ampio torace, con due chiazze di<br />

peli neri intorno ai capezzoli ed una striscia scura che scendeva<br />

verso il ventre.<br />

Claudio si sentì turbato ed abbassò lo sguardo.<br />

- Adesso vedi.<br />

Primo sollevò le coperte, mentre Claudio si spostava e si<br />

stese prono. Era vicino al bordo, ma lo spazio che rimaneva era<br />

pochissimo e Claudio riusciva a stare soltanto su un fianco, proprio<br />

sull’altro bordo. Primo aveva spalle troppo larghe, un torace troppo<br />

possente. Claudio avrebbe dovuto dormire <strong>nel</strong>la direzione opposta,<br />

con i piedi vicino alla faccia di Primo, ma non aveva senso.<br />

- Visto?<br />

- No, ci stiamo.<br />

A Claudio l’idea che Primo dormisse per terra per lasciargli<br />

il letto non andava.<br />

- Finisci fuori dal letto non appena ti addormenti.<br />

- No, al massimo mi appoggio un po’ su di te.<br />

Primo lo guardò. Claudio non sapeva che cosa c’era in<br />

quello sguardo. Cominciava a sentirsi a disagio.<br />

- Proviamo.<br />

Claudio appoggiò la testa sul braccio di Primo.<br />

- No, così non va bene, mi schiacci il braccio, stai scomodo<br />

tu e mi vengono le formiche. Poggia la testa qui.<br />

Con un gesto indicò il torace, mentre alzava il braccio.<br />

Claudio appoggiò la testa sul petto di Primo. Una sensazione<br />

di calore lo avvolse. Primo gli appoggiò il braccio sulla schiena e lo<br />

avvicinò ancora. Ora il corpo di Claudio aderiva a quello di Primo.<br />

Il suo corpo stava reagendo, con una rapidità ed una<br />

violenza che rendevano inutile qualunque sotterfugio. Claudio<br />

pensò ad Eugenio, ma non aveva paura. C’era in Primo un<br />

equilibrio, una pace interiore, che escludevano reazioni violente.<br />

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Claudio però si sentiva imbarazzato, anche se non avrebbe voluto<br />

staccarsi per tutto l’oro del mondo.<br />

- Come va?<br />

La voce di Primo era sempre la stessa, anche se con ogni<br />

probabilità avvertiva la pressione contro la sua coscia, non poteva<br />

non avvertirla.<br />

Claudio alzò gli occhi su di lui, ma Primo teneva la testa sul<br />

cuscino e Claudio non poteva vederlo bene.<br />

- Io bene. E tu?<br />

- Io sto comodissimo. Occupo tutto il letto, io.<br />

Claudio aveva una mano sul torace di Primo. Senza riflettere<br />

cominciò ad accarezzargli l’area intorno al capezzolo destro. Poi si<br />

rese conto di quanto stava facendo e si bloccò, paralizzato. Si<br />

irrigidì, spaventato e confuso.<br />

- Che ti succede?<br />

- Perché?<br />

- Sei diventato un blocco di pietra.<br />

- Scusa… temevo di darti fastidio.<br />

- Non mi davi fastidio, per niente. Era piacevolissimo.<br />

Claudio sentiva il sangue pulsargli alle tempie e la bocca<br />

asciutta. Aveva paura.<br />

La mano di Claudio riprese ad accarezzare il capezzolo, poi<br />

scese lungo il torace. Anche Primo era eccitato, l’erezione era ben<br />

visibile sotto la stoffa.<br />

- Primo…<br />

Primo si sollevò un po’, costringendo anche Claudio ad<br />

alzare il capo ed a guardarlo in faccia.<br />

- Se tu lo vuoi, Claudio, io lo voglio.<br />

A Claudio sembrò di svenire. Sussurrò:<br />

- Lo voglio.<br />

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Primo gli sorrise, si appoggiò nuovamente sul cuscino, con<br />

le braccia potenti spostò il corpo di Claudio sul suo, con la testa a<br />

livello con la propria e con una mano sulla nuca di Claudio portò le<br />

loro bocche ad unirsi.<br />

Claudio sentì le mani di Primo che lo accarezzavano e prima<br />

di abbandonarsi a quell’abbraccio, sentì il bisogno di dirgli:<br />

- È la prima volta, Primo.<br />

Primo lo accarezzò e non disse nulla. Non servivano parole.<br />

Scesero con le racchette a Grange, il paese dove viveva<br />

Primo, <strong>nel</strong> pomeriggio del giorno seguente, dopo una notte ed una<br />

giornata in cui i loro corpi si erano cercati più volte. Mentre<br />

guardava la figura massiccia di Primo, Claudio si chiedeva che cosa<br />

provava. Essersi innamorato in nemmeno due giorni gli sembrava<br />

ridicolo. Eppure non era sicuramente solo interesse a livello fisico.<br />

Primo esercitava su di lui un’attrazione fortissima, che andava<br />

molto oltre il piacere sconfinato che aveva provato la sera prima e<br />

quel mattino.<br />

A Grange la strada era stata sgomberata dallo spartineve, ma<br />

la borgata dove Claudio aveva lasciato la sua auto era ancora<br />

bloccata. Primo si offrì di riaccompagnarlo a casa.<br />

Quando furono arrivati sotto casa sua, Claudio si sentì<br />

perduto. Non sapeva che cosa dire, non voleva imporsi a Primo.<br />

Mentre sprofondava <strong>nel</strong>le sabbie mobili dei dubbi, Primo gli parlò,<br />

con la massima tranquillità.<br />

- Claudio, a me farebbe piacere continuare a vederti. Forse è<br />

presto per dirlo, ma non parlo di vedersi una volta ogni tanto. Se ti<br />

va bene, bene. Se no, ci salutiamo qui e ti dico solo che è stato<br />

molto bello.<br />

Claudio tirò il fiato. Com’era facile!<br />

- Anch’io vorrei vederti spesso, molto spesso. Ad esempio<br />

<strong>nel</strong>le prossime due ore, se non devi tornare subito a Grange.<br />

Primo rise, la sua risata vitale.<br />

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- Va benissimo.<br />

Claudio lasciò a Primo le chiavi dell’auto e Primo si occupò<br />

di recuperarla quando sgombrarono la strada, due giorni dopo.<br />

Gliela portò la sera stessa e si fermò a dormire da lui. Claudio aveva<br />

paura che lo vedessero, ma l’idea di poter passare tutta la notte con<br />

Primo era troppo bella. L’indomani entrambi dovevano lavorare e<br />

Claudio prestò l’auto a Primo, in modo che potesse tornare a<br />

Grange.<br />

Giocarono con l’auto una settimana, prestandosela e<br />

riprendendosela, poi la smisero. Non avevano bisogno di pretesti.<br />

I pochi giorni di novembre volarono via e dicembre arrivò in<br />

fretta alla fine. Si erano visti quasi tutti i giorni e in quelle rare<br />

occasioni in cui non avevano potuto incontrarsi, Claudio si era<br />

sentito smarrito. Gli amici lo accusavo di essere diventato asociale,<br />

di avere qualche amorazzo, ma che l’amorazzo fosse l’uomo<br />

barbuto che intravidero in due o tre occasioni, non passò per la<br />

mente di nessuno.<br />

Claudio era intenzionato a festeggiare capodanno con Primo,<br />

ma Primo non era tagliato per baldorie in piazza o grandi feste a<br />

casa di sconosciuti. Suggerì a Claudio di andare a divertirsi, senza<br />

preoccuparsi per lui.<br />

- Non mi preoccupo per te, mi preoccupo per me. Vorrei<br />

cominciare bene l’anno, perciò vorrei passare capodanno con te.<br />

- Che cosa vuoi fare?<br />

- Io ho esaurito le mie proposte. Tocca a te farne una.<br />

Primo sorrise, o ghignò.<br />

- Andiamo al capanno.<br />

- Al capanno? Ma saranno 20 sotto zero. E poi sarà sepolto<br />

dalla neve.<br />

- No, ce n’è di meno di quando ti sei perso. E quanto al<br />

freddo, accendiamo la stufa.<br />

Claudio era dubbioso, ma l’idea di ritornare dove aveva<br />

incontrato Primo lo allettava. Accettò.<br />

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Salirono al capanno con le racchette, <strong>nel</strong> pomeriggio del<br />

trentuno. Claudio si stupì vedendo delle orme.<br />

- Qualcuno è salito. Chi può essere?<br />

- Non ne ho idea.<br />

Lo stupore aumentò quando arrivarono in vista del capanno.<br />

Le orme si dirigevano esattamente alla porta, dove la neve era stata<br />

spalata.<br />

- Ma qualcuno è andato al capanno! Sono tracce fresche!<br />

Chi può essere?<br />

- Forse qualche mio collega.<br />

- Ma non mi avevi detto che sei l’unico ad usarlo?<br />

- Vatti a sapere. Magari vogliono festeggiare.<br />

Claudio si sentì smarrito. Al capanno, con altra gente! Stare<br />

al capanno aveva senso soltanto se significava stare da soli con<br />

Primo.<br />

Il capanno era chiuso e dentro non c’era nessuno. Ma<br />

qualcuno era passato: il tavolo aveva una coperta pulita e soprattutto<br />

la stanza non era fredda: qualcuno aveva acceso la stufa in giornata<br />

ed anche se ora era spenta, la temperatura era gradevole.<br />

- Bene, adesso riaccendo la stufa, così siamo a posto.<br />

- Ma…<br />

Claudio intuì.<br />

- Sei venuto su tu!<br />

- Sì, sono salito ieri sera, ho acceso la stufa e l’ho tenuta<br />

tutta la notte, in modo che l’ambiente si scaldasse. Questa mattina<br />

ho cambiato le lenzuola, ho messo la tovaglia e sono sceso.<br />

- Per questo mi hai detto che ieri sera eri occupato,<br />

manigoldo!?<br />

Primo sorrise, senza rispondere.<br />

Primo cucinò la cena. Non era un cenone da capodanno, ma<br />

Claudio si disse che non era mai stato tanto felice.<br />

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La stufa andava a tutto vapore e <strong>nel</strong>la stanza faceva caldo.<br />

- Forse puoi anche ridurre il tiraggio.<br />

Primo scosse la testa.<br />

- No, questa sera facciamo festa, dev’essere caldo.<br />

Lo guardò un attimo e, con un sorriso malizioso, aggiunse:<br />

- Questa sera ti faccio la festa.<br />

Claudio ebbe la sensazione che gli mancasse il fiato. Sapeva<br />

a che cosa alludeva Primo. A quello che non avevano fatto <strong>nel</strong> loro<br />

primo incontro, perché Claudio aveva paura. Non era stato<br />

necessario dire niente: Primo aveva capito e non aveva domandato o<br />

detto nulla, si era offerto, ma non aveva richiesto che Claudio<br />

facesse altrettanto. Poi, <strong>nel</strong> mese che era seguito, Claudio si era reso<br />

conto di desiderare, con una forza sempre maggiore, ciò che <strong>nel</strong>lo<br />

stesso tempo lo spaventava. Voleva che Primo lo possedesse, ma,<br />

nonostante la sfacciataggine completa di cui entrambi davano prova<br />

nei loro giochi d’amore, si vergognava a chiedere. Primo aveva<br />

capito.<br />

Fu a mezzanotte e Claudio, malgrado il dolore che aveva<br />

accompagnato il piacere, fu felice, felice di appartenere a Primo.<br />

La primavera e l’estate non modificarono il loro legame.<br />

Sciolsero alcune paure residue di Claudio, la sua ansia di non essere<br />

all’altezza, la paura che per Primo non fosse un sentimento<br />

profondo come quello che provava lui.<br />

Claudio cominciò ad informarsi sulle possibilità di avere un<br />

trasferimento a Sant’Anna, pochi chilometri sotto Grange, dove<br />

c’era anche la sede del parco. Si prese anche il bando di concorso<br />

per personale tecnico del parco, appena uscito. Ma prima di agire,<br />

doveva parlare con Primo.<br />

Provava una vaga inquietudine. Primo sembrava soddisfatto<br />

del loro rapporto così com’era. Non era un rischio?<br />

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Forse, ma Claudio voleva correrlo. Glielo disse una sera che<br />

mangiava da lui, a metà settembre, due giorni prima che scadessero<br />

i termini per il concorso.<br />

- Che cosa ne diresti se mi trasferissi a Grange o a<br />

Sant’Anna? Ti andrebbe bene?<br />

Aveva aggiunto Sant’Anna, timoroso di una reazione<br />

negativa.<br />

Primo lo fissò, senza rispondere.<br />

Claudio era in imbarazzo. Balbettò:<br />

- Era solo un’idea…<br />

- Claudio, tocca a te scegliere, ma se vuoi sapere se mi<br />

piacerebbe, la risposta è no.<br />

Claudio sentì una fitta.<br />

Primo riprese:<br />

- Io vorrei che tu venissi a stare qui, in questa casa. Vorrei<br />

dormire accanto a te, poterti stringere la notte, borbottare quando ti<br />

sciogli dal mio abbraccio per andare a pisciare, aspettare che tu<br />

abbia finito e ritorni a letto, per stringerti di nuovo. Vorrei fare<br />

colazione con te tutti i giorni, o magari lasciarti la colazione pronta,<br />

se mi devo alzare prima. Vorrei che mi portassi la colazione a letto<br />

la domenica. Vorrei vederti leggere su quel divano. Vorrei cucinare<br />

per te o rientrare a casa e scoprire che hai preparato per cena un<br />

piatto nuovo. Vorrei litigare con te perché hai dimenticato di<br />

comprare il sale. Vorrei poterti afferrare quando torni a casa,<br />

strapparti un bacio a forza, calarti i pantaloni mentre protesti… il<br />

resto puoi immaginarlo. Vorrei vivere con te, non abitare <strong>nel</strong>le<br />

vicinanze.<br />

Claudio non riuscì a rispondere subito. Sentiva che se avesse<br />

cercato di parlare, gli sarebbero venute le lacrime agli occhi.<br />

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Cibo per avvoltoi<br />

Un racconto rosso, nero, blu ed anche rosa<br />

(con un nota sul congiuntivo 1 )<br />

a Necrobear 2<br />

Matt scese dal cavallo. Era esausto, il culo gli faceva un<br />

male cane e gli sembrava che i suoi coglioni fossero pieni di<br />

formiche rosse intente a cibarsi. Erano tre giorni che cavalcava,<br />

fermandosi solo quel tanto che era necessario per far riposare un po’<br />

il cavallo e dormire un paio d’ore.<br />

Adesso però era arrivato in vista di Boca Caliente. La<br />

cittadina era ben visibile dalla collina desolata su cui Matt si<br />

trovava. Case basse, molte di mattoni di fango. Altre in pietra,<br />

testimonianza di un passato grandioso ormai calcinato dal sole ed<br />

inghiottito dal deserto. Polvere e squallore. Un calore opprimente.<br />

Era inzuppato di sudore ed il sole continuava ad arrostirlo,<br />

anche se ormai stava quasi per scomparire all’orizzonte. In quel<br />

buco del culo di posto, di nuvole non dovevano venircene mai. E<br />

chi ci sarebbe mai venuto, potendo scegliere, in quel buco del culo?<br />

1 Amo i congiuntivi e di rado li tradisco. Non tutti i miei personaggi condividono i miei<br />

gusti: molti sono vissuti in epoche ed ambienti in cui l’istruzione era poco diffusa. Daniel<br />

Dessart (ne I Quattro re) e molti pirati del mio successivo romanzo non hanno studiato alla<br />

Sorbona, né a Salamanca o ad Oxford. Quando faccio parlare questi personaggi, cerco di<br />

rendere il loro linguaggio, non sempre grammaticalmente corretto. In alcuni racconti, pur<br />

usando la terza persona, sposo il punto di vista ed adotto il linguaggio del personaggio,<br />

come avviene in questo caso. Matt, per l’epoca in cui vive e per la sua condizione sociale,<br />

sa leggere e scrivere, ma non va oltre. Perciò <strong>nel</strong> suo pensiero l’uso dei modi e dei tempi<br />

non è certo elegante (non lo è il suo linguaggio, mai) e spesso nemmeno corretto.<br />

2 La città di Boca Caliente, i due corpi che Matt vede all’arrivo e English Paul<br />

sono invenzioni di un autore che si firma Necrobear e compaiono <strong>nel</strong> racconto Belly to<br />

Belly, Chest to Chest. Per questo dedico a Necrobear il racconto.<br />

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Boca Caliente era un posto di merda, pieno di criminali di<br />

tutte le taglie. E di cacciatori di taglie. Eppure l’ultima possibilità di<br />

trovare Tom era lì, in quel buco del culo.<br />

Sempre che Tom fosse ancora vivo.<br />

I ricordi premevano per uscire dalle loro tane ed affollargli<br />

la testa, ma lui non li voleva, quei lupi fottuti, che ti spolpano vivo<br />

un uomo e non lasciano che brandelli di sofferenza. Si guardò<br />

intorno, per scacciare le immagini che venivano da dentro, e vide<br />

due avvoltoi in volo. Stavano planando, abbassandosi sempre di più.<br />

Ci doveva essere qualche preda, non lontano. Una carogna. Un<br />

animale. O un uomo.<br />

Maledisse gli avvoltoi, risalì a cavallo e si diresse <strong>nel</strong>la<br />

direzione in cui i due fottuti uccellacci stavano scomparendo tra le<br />

rocce.<br />

Quando arrivò sul posto, vide che il suo presentimento non<br />

era sbagliato: un avvoltoio stava affondando il suo becco in un<br />

corpo umano. L’altro stava per posarsi, ma l’arrivo di Matt lo<br />

indusse a fermarsi più lontano.<br />

Con un colpo di speroni spronò il cavallo e si avvicinò.<br />

L’avvoltoio volò via, ma non si allontanò: aspettava che<br />

l’intruso se ne andasse per riprendere la sua opera. Matt smontò e<br />

raggiunse il cadavere.<br />

Non ce n’era uno solo: erano due corpi, nudi. Ma nessuno<br />

dei due era Tom. Uccisi da poco, perché non puzzavano ancora,<br />

malgrado quel sole fottuto che gli arrostiva la testa e lo faceva<br />

zampillare come una fontana.<br />

Due uomini, piuttosto corpulenti. Giacevano uno di traverso<br />

sull’altro, petto contro petto, ventre contro ventre. Quello di sopra<br />

era di schiena ed aveva i fori di quattro proiettili. L’avvoltoio non lo<br />

aveva toccato.<br />

Il corpo disteso sotto l’altro era ancora più grosso e, a<br />

giudicare da quanto si vedeva, molto peloso. Aveva grandi coglioni<br />

coperti da una fitta peluria ed una formidabile erezione. Sul ventre<br />

c’era il foro di un proiettile ed una lacerazione provocata dal becco<br />

dell’avvoltoio.<br />

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Con la punta dello stivale, Matt spostò il cadavere che stava<br />

sopra, facendolo ricadere di schiena, a fianco del compagno. Ora<br />

poteva vederli bene entrambi.<br />

Il più grosso dei due aveva parecchi fori di pallottole. Matt ne<br />

contò sette, distribuiti tra il ventre ed il torace. Anche l’altro aveva<br />

diversi fori. Dalle ferite era colato parecchio sangue. Dovevano<br />

averli giustiziati lentamente, un colpo per volta. Eppure tutti e due<br />

avevano il cazzo duro.<br />

Gli avvoltoi li avrebbero divorati. Sentì un brivido<br />

percorrergli la schiena. Sì, gli avvoltoi… Forse da qualche parte…<br />

Forse di Tom c’erano rimaste solo le ossa. Merda!<br />

Guardò ancora i due cadaveri. Quegli uomini erano stati<br />

amanti. Ne era sicuro. Non avrebbe potuto dire da dove gli veniva<br />

tanta sicurezza e non c’era nulla che la giustificasse. Ma ne era<br />

certo. Erano stati amanti. Ed erano morti insieme. Tutti e due con il<br />

cazzo duro, di fronte alla morte. Questo era bello. Anche lui ci stava<br />

a crepare, se era con Tom. Anche se loro non avevano mai scopato.<br />

Aveva capito troppo tardi. Quel fottuto giorno di febbraio,<br />

sei mesi prima, quando Tom era partito. Al momento di salutarsi lo<br />

aveva afferrato un desiderio feroce di abbracciarlo. Lo aveva fatto e,<br />

senza neppure capire che cosa faceva, lo aveva baciato sulla bocca.<br />

Non aveva mai baciato nessuno. Si bacia forse una puttana in un<br />

bordello? Si bacia l’uomo che ti fotte quando sei ancora un ragazzo<br />

o il compagno con cui ti diverti un po’, in un mondo in cui c’è una<br />

donna ogni dieci uomini e quelle che non sono puttane è peggio che<br />

se avessero la fica cucita? Aveva baciato Tom e Tom aveva<br />

ricambiato quel bacio. Aveva spinto la lingua <strong>nel</strong>la bocca di Tom,<br />

che non si era tirato indietro. Non c’era stato tempo per altro. Al<br />

primo richiamo di McConnally si erano separati. Ed erano rimasti<br />

un buon momento a guardarsi, mentre da fuori McConnally<br />

chiamava di nuovo Tom. Matt non era stato capace di trovare le<br />

parole. Aveva troppa confusione in testa, un bordello di pensieri.<br />

Aveva il gusto delle labbra di Tom sulle sue e la carezza della<br />

lingua di Tom gli bruciava ancora la bocca, giù, fin dentro il ventre,<br />

fino al culo, fino ai coglioni, fino al cazzo che quando pensava a<br />

quel bacio diventava di pietra, una pietra incandescente, da aver<br />

paura a sfiorarlo con la mano.<br />

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Tom aveva solo detto: - Quando torno. Se…<br />

Non aveva completato la frase. Era uscito.<br />

Matt aveva atteso per due mesi, il corpo che ardeva di un<br />

desiderio implacabile. Ogni volta che pensava a Tom, gli veniva<br />

duro, duro da impazzire, duro per ore e non bastava una sega a<br />

calmarlo un po’.<br />

Poi, due mesi dopo la partenza di Tom, era arrivata la<br />

notizia. Tom era morto, mentre ritornava, <strong>nel</strong>l’agguato degli indiani<br />

a Buffalo Springs.<br />

Allora Matt aveva capito che quello che provava non era<br />

solo desiderio. Era qualche cosa di molto più forte, perché la notizia<br />

gli aveva oscurato il sole e spento il fuoco. Per due mesi aveva<br />

vegetato, rivoltolandosi <strong>nel</strong> dolore come un maiale <strong>nel</strong>la propria<br />

merda. Non gli fregava più un cazzo di niente e non sapeva<br />

nemmeno lui perché continuava ad alzarsi il mattino. Poteva tirarsi<br />

un colpo, che era meglio. Finiva per farlo, certamente, se non<br />

arrivava Missouri Joe. Ma Missouri Joe era arrivato. Ed aveva<br />

raccontato di Tom. Allora era incominciata quella caccia.<br />

Tom, vivo, in fuga. Cortacarajos e la sua banda che lo<br />

seguivano. E lui, Matt, a seguire Cortacarajos per trovare Tom.<br />

Matt si voltò, prese le redini del cavallo e fece alcuni passi.<br />

Poi si girò e guardò ancora i due cadaveri.<br />

L’avvoltoio tornò a posarsi sul ventre dell’uomo più grosso,<br />

affondando il becco <strong>nel</strong>la carne ed estraendone le viscere. Altri<br />

avvoltoi stavano arrivando. Ben presto Matt non fu più in grado di<br />

vedere i cadaveri, ma dal becco di uno degli avvoltoi vide sporgere<br />

uno dei coglioni del morto più grosso. L’altro doveva essere <strong>nel</strong><br />

becco.<br />

Li avrebbero spolpati, completamente. Sarebbero rimaste<br />

solo le ossa, rosicchiate e poi sparse in giro dagli animali notturni.<br />

Cibo per avvoltoi. Non era una brutta fine. No. Una volta<br />

crepati, marcire sotto terra o essere digeriti dagli avvoltoi e poi<br />

cagati fuori, che cosa cambiava? I due erano crepati insieme e gli<br />

avvoltoi li divoravano insieme. Non era una brutta fine. Lui ci stava,<br />

se solo poteva ritrovare Tom. Poi Cortacarajos poteva prenderli e<br />

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fare il suo lavoretto. A lui non gliene fotteva più niente, se solo<br />

trovava Tom.<br />

Matt tornò a guardare Boca Caliente. Il buco del culo del<br />

Messico. E la sua unica speranza di trovare Tom. Salì a cavallo,<br />

fece una smorfia per il male al culo e scese verso la città. In pochi<br />

minuti arrivò alle prime case.<br />

Sulla collina il caldo era immondo, ma in quella città di<br />

merda era ancora peggio. Molto peggio.<br />

Matt si guardò intorno alla ricerca di un saloon in cui<br />

fermarsi. Il tempo di ottenere qualche informazione, il tempo di<br />

trovare Tom, il tempo di morire. Minuti, ore, giorni. Era lo stesso.<br />

Non gliene fotteva niente del tempo. C’era un solo tempo che<br />

contava, quello che mancava al momento in cui ritrovava Tom.<br />

Il saloon era come la città, squallido e pieno di gentaglia, ma<br />

per lui andava bene. Non guardò in faccia nessuno, chiese una<br />

camera, pagò e ci salì. La stanza era come il saloon, un buco di culo<br />

lurido, che puzzava di piscio, ma non gliene fotteva un cazzo.<br />

Aveva una voglia fottuta di dormire e a guardare il letto sentiva che<br />

le palpebre si abbassavano da sole, ma prima voleva sapere.<br />

Ridiscese <strong>nel</strong>la sala, che era piena di gente. Ripensò a quello<br />

che gli aveva detto il falegname, a Tapioca: - Se vuoi rimanere vivo<br />

un’ora a Boca Caliente, fatti i cazzi tuoi. Se ammazzano il tuo<br />

vicino, spostati, ma fregatene. Ne vedrai ammazzare, di gente, a<br />

Boca Caliente: è il posto ideale per regolare i conti. Non esiste<br />

neppure <strong>nel</strong>le carte, non c’è un alcalde, non ci sono soldati, guardie,<br />

nulla. Se qualcuno rompe i coglioni, lo impiccano, altra giustizia<br />

non c’è. Quindi se vuoi rimanere vivo un’ora, bocca chiusa e occhi<br />

chiusi. Per un’ora basta. Di più, solo Domineddio te lo può<br />

garantire.<br />

Matt ordinò da bere e da mangiare e rimase <strong>nel</strong> saloon,<br />

ascoltando la gente che chiacchierava, fino a che non sentì quello<br />

che voleva sentire. Cortacarajos era in città, con la sua banda.<br />

Quindi Tom era in città oppure Cortacarajos aveva perso le sue<br />

tracce. Ma Cortacarajos in città non ci rimaneva, se non era sicuro<br />

che Tom c’era.<br />

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pietra.<br />

Salì in camera e si stese sul letto. Piombò in un sonno di<br />

L’indomani mattina Matt indugiò a letto. Non era abituato a<br />

poltrire e tra tutti i posti in cui oziare un po’, quella camera lercia e<br />

puzzolente non era certo il migliore. Ma Matt aveva bisogno di<br />

pensare, di capire come muoversi. Ci aveva messo un mese a<br />

trovare le tracce di Cortacarajos ed un altro mese a raggiungerlo.<br />

Ora erano tutti e due <strong>nel</strong>la stesso buco del culo, sprofondati <strong>nel</strong>la<br />

stessa merda. Ed uno dei due ci lasciava le penne.<br />

Missouri Joe aveva detto che Tom era vivo, ma che si<br />

nascondeva perché un bandito messicano, Cortacarajos, era sulle<br />

sue tracce. Matt aveva sentito parlare di Cortacarajos una volta: era<br />

famoso, per il servizietto che faceva ai suoi nemici. Gli tagliava<br />

cazzo e coglioni e glieli metteva in bocca. Se poteva, tagliava<br />

quando erano ancora vivi, si divertiva di più.<br />

E Cortacarajos era dietro a Tom. Dietro con la sua banda, da<br />

mesi. Perché gli stava dietro, Missouri Joe non lo sapeva. Dov’era<br />

Tom, neppure quello sapeva. Missouri Joe non sapeva un cazzo,<br />

sapeva solo che Tom era vivo e che Cortacarajos lo cercava.<br />

Matt era partito subito, alla ricerca di Tom. Ma non aveva<br />

nessuna traccia: poteva solo cercare Cortacarajos: Cortacarajos<br />

dietro a Tom, Matt dietro a Cortacarajos. Adesso, finalmente, lui e<br />

quel figlio di puttana erano <strong>nel</strong>lo stesso posto.<br />

In quel lungo inseguimento, Matt aveva raccolto diverse<br />

informazioni. Sapeva perché Tom aveva cercato rifugio a Boca<br />

Caliente: Cortacarajos gli aveva bloccato le strade verso la<br />

California ed allora Tom si era diretto verso Boca Caliente, perché<br />

era il territorio del Diablo Loco, un nemico giurato di Cortacarajos.<br />

Cortacarajos non si permetteva di certo di entrare a Boca<br />

Caliente, se c’era il Diablo Loco, ma il Diablo era lontano con la<br />

sua banda e Cortacarajos aveva deciso di entrare <strong>nel</strong> territorio del<br />

suo rivale, ben sapendo che questo significava una sola cosa: la<br />

guerra. Quando il Diablo Loco arrivava e scopriva che Cortacarajos<br />

era stato lì, Cortacarajos diventava la preda e lui il cacciatore.<br />

Ma di questo a Matt non fregava un cazzo. Era del tutto<br />

insignificante. Perché quando il Diablo Loco arrivava, lui e Tom<br />

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erano morti. Se Tom non era già morto. Difficile, perché a Boca<br />

Caliente Cortacarajos non rimaneva un giorno più del necessario.<br />

Si era chiesto a lungo se non ammazzare Cortacarajos, una<br />

volta che l’aveva trovato. Ammazzarlo, anche se voleva dire farsi<br />

ammazzare dai suoi. Liberare il mondo da quella carogna e salvare<br />

Tom. Ma non era sicuro che la banda interrompeva la caccia, dopo<br />

la morte del capo. Se Cortacarajos era dietro a Tom da tanto tempo,<br />

voleva dire che ci teneva a prenderlo. E morto Cortacarajos, magari<br />

la banda riprendeva la caccia. E poi, lui voleva ritrovare Tom. Poi<br />

magari crepare, ma voleva ritrovarlo. Voleva stringerlo, voleva…<br />

Voleva fotterlo. Questo era quello che voleva. Non gliene fotteva<br />

niente di tutto il resto, il prima ed il dopo. Cortacarajos poteva<br />

tagliarglielo tre volte, il cazzo, se lui solo era riuscito a metterlo in<br />

culo a Tom. Perché questo voleva. Ed al pensiero aveva di nuovo il<br />

cazzo come una roccia. Il pensiero del corpo di Tom lo faceva<br />

impazzire. Voleva salvare Tom, ma più ancora voleva fottere Tom.<br />

E se poi Cortacarajos faceva il servizio a tutti e due, non gliene<br />

fotteva un cazzo.<br />

Doveva cercare Tom, ma come trovarlo? Tom si nascondeva<br />

e Boca Caliente non era il posto migliore per andare a chiedere<br />

notizie di uno. Non con Cortacarajos in giro, comunque. Che veniva<br />

a saperlo in quattro e quattr’otto.<br />

Non aveva molte idee, se non quelle che si era fatto mentre<br />

cercava di arrivare in quel posto di merda. Bene, se non aveva altre<br />

idee, tanto valeva mettere in pratica quelle che aveva.<br />

Scese a fare colazione. E vide il primo omicidio.<br />

Erano quattro che giocavano a carte, ad un tavolo. Fece in<br />

tempo a vedere uno, si sarebbe detto un messicano, che tirava fuori<br />

la pistola, sotto il tavolo, senza che l’altro, concentrato <strong>nel</strong>le sue<br />

carte, vedesse. Lo sparo lo fece trasalire. L’uomo, colpito in pancia,<br />

si portò le mani alla ferita e crollò a terra, scalciando.<br />

Tutti si erano girati a guardare, ma in un attimo ognuno<br />

aveva ripreso a farsi i cazzi suoi. Il ferito agonizzava, mentre il suo<br />

assassino, in piedi, si godeva la scena.<br />

- Questo è per mio fratello, English Paul.<br />

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L’uomo a terra continuava a contorcersi, su un fianco,<br />

mentre l’altro lo guardava. Poi si abbandonò disteso, la testa verso<br />

l’alto, ad aspettare la morte. Il suo assassino sparò ancora cinque<br />

colpi, tutti <strong>nel</strong> ventre. Ad ogni colpo English Paul sussultava, il viso<br />

stravolto in una smorfia.<br />

Poi il messicano se ne andò, senza che nessuno gli dicesse<br />

una parola, lasciando la sua vittima che non aveva ancora finito di<br />

tirare le cuoia. Matt guardò l’uomo un momento. Era un bell’uomo,<br />

anche se i lineamenti erano distorti dal dolore. Respirava ancora.<br />

Aveva perso un barile di sangue, ma non era morto. Due si<br />

occuparono di portarlo fuori. Lo mollarono <strong>nel</strong>la strada.<br />

Matt mangiò qualche cosa. Chiese qualche informazione<br />

sulla città. Poi uscì. English Paul respirava ancora. Matt passò oltre.<br />

Andò in giro, passò negli altri saloon, ognuno un cesso<br />

peggio dell’altro. Chiese di Tom. Sapeva benissimo che nessuno gli<br />

diceva niente. Ed infatti nessuno gli disse niente. Ma magari Tom<br />

veniva a sapere che qualcuno lo cercava, qualcuno che non era<br />

Cortacarajos. E magari capiva che era lui. Magari.<br />

Intanto cercava di capire che cosa poteva aver fatto Tom, per<br />

nascondersi, in quel buco di culo. Aveva preso una camera da<br />

qualche parte, in una locanda o magari da uno del paese? Si era<br />

chiuso dentro e si faceva portare da mangiare, senza più mettere il<br />

naso fuori? Ci voleva qualcuno di fidato e trovarlo a Boca Caliente<br />

era come trovare diamanti <strong>nel</strong>la merda. Vero è che in un posto in<br />

cui tutti si facevano i cazzi propri, c’era qualche possibilità in più di<br />

non essere scoperto subito, ma Cortacarajos aveva venti uomini e se<br />

faceva domande lui, la gente rispondeva, cazzo se rispondeva!<br />

Nessuno aveva voglia di finire con due buchi in pancia per<br />

mancanza di memoria.<br />

Una possibilità era la città vecchia, quella che gli spagnoli<br />

avevano costruito quando Boca Caliente era una tappa importante<br />

sulla via per la California e non un buco di culo tagliato fuori dal<br />

mondo. C’erano molti ruderi e quello poteva essere un posto per<br />

nascondersi. Girò per un po’, ma non vide nulla. A parte i buchi<br />

delle pallottole nei muri e due cadaveri abbandonati in un cortile.<br />

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Tornò al saloon solo la sera. Non aveva combinato niente.<br />

Ma aveva sentito di nuovo che Cortacarajos era in città.<br />

La mattina dopo, quando scese <strong>nel</strong> salone, lo vide subito. Un<br />

uomo di media statura, panciuto, il cappello calato sugli occhi, un<br />

sigaro tra le labbra, barba nera come la pece, la camicia aperta su un<br />

torace peloso come quello di una scimmia, mani grandi con dita<br />

tozze ed anche quelle pelose. Sapeva chi era, anche se non l’aveva<br />

ancora visto. E sapeva che lo aspettava.<br />

Gli altri erano sparsi per il salone, ma erano tutti pronti a<br />

tirar fuori la pistola e freddarlo al primo movimento.<br />

Va bene. Cortacarajos lo aspettava. Inutile far finta di niente.<br />

Si diresse verso di lui, con un’andatura rilassata, ma attento<br />

a tenere le mani bene in vista, lontano dalle pistole. Cortacarajos lo<br />

fissava tranquillo, un mezzo sorriso sulle labbra. Matt si fermò<br />

davanti a lui, dall’altra parte del tavolo. Fece una specie di sorriso e<br />

con molta calma si mise a sedere. Sollevò un po’ il cappello e disse,<br />

a metà tra il serio ed il faceto:<br />

- Buongiorno.<br />

Cortacarajos lo fissò un momento senza rispondere. La<br />

faccia non era come Matt se l’era immaginata. C’era molta ferocia,<br />

<strong>nel</strong> ghigno della bocca, negli occhi scuri. Ma c’era anche<br />

intelligenza. Era una belva astuta, non una bestia stupida.<br />

Cortacarajos si tolse il sigaro dalle labbra e sputò sul<br />

pavimento del saloon.<br />

- Senti, amico, non perdiamo tempo: sono due mesi che mi<br />

stai appiccicato al culo. Che cazzo vuoi da me?<br />

- Da te niente, assolutamente niente. Ma stiamo cercando<br />

tutti e due lo stesso figlio di puttana.<br />

Cortacarajos lo fissò. Tacque di nuovo un momento, prima<br />

di replicare:<br />

- Così anche tu staresti dietro a quel fottuto maiale?<br />

Matt annuì.<br />

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- Sì, ma non sapevo in quale buco di culo si era ficcato per<br />

nascondersi. Poi mi hanno detto che lo cercavi anche tu. E che eri<br />

sulle tue tracce. Così mi sono unito alla caccia. Conosco bene il<br />

bastardo e le sue abitudini. Ci conto per riuscire ad acchiapparlo,<br />

tanto più che lui si fida di me.<br />

Quell’allusione al fatto che lui conosceva Tom e che Tom si<br />

fidava di lui era l’unica carta che aveva per evitare che Cortacarajos<br />

gli facesse sparare subito. L’aveva giocata ed ora la mano passava<br />

al suo avversario. Che, se voleva, chiudeva la partita con un piccolo<br />

cenno ai suoi, di certo un segno convenuto, magari solo il buttare<br />

quel fottuto sigaro per terra. Cortacarajos non si mosse, non disse<br />

nulla. Rimasero a fissarsi un buon momento. Matt sapeva che non<br />

era ancora ora di alzarsi. Era pericoloso farlo. Doveva aspettare.<br />

Dopo un po’, Cortacarajos parlò:<br />

- Per me, se lo fai fuori tu, va bene. Ma ti avviso, se non me<br />

l’hai contata giusta, tu vivo da questa città non esci. Finisci come<br />

quell’altro, con un bel taglio rosso tra le gambe, cazzo e coglioni in<br />

bocca.<br />

Matt alzò le spalle.<br />

- Non me ne fotte niente. Io voglio solo fottere quel maiale.<br />

Poi puoi farmi quello che vuoi.<br />

Cortacarajos lo fissò e Matt ebbe l’impressione che gli<br />

leggesse dentro, che capisse che lui davvero voleva fottere Tom e<br />

poi non gli importava niente di crepare. Era vero. Fottere Tom,<br />

metterglielo in culo. All’idea gli era venuto duro, lì, davanti a<br />

quell’assassino pronto a tagliargli il cazzo ed i coglioni. Duro. Se lo<br />

ammazzava ora e glielo tagliava, era un bel trofeo.<br />

Cortacarajos sorrise, poi si alzò ed uscì senza dire una<br />

parola. I suoi uomini lo seguirono. Il saloon sembrò svuotarsi. Matt<br />

si rilassò. Era andata, per il momento, ma lì dentro c’era rimasto di<br />

sicuro qualcuno degli uomini di Cortacarajos. Se lui trovava Tom,<br />

lo trovava anche Cortacarajos. Per quello Cortacarajos non l’aveva<br />

fottuto subito.<br />

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Uscì e girò ancora tutta la mattina, ma girava a vuoto. Ogni<br />

tanto si sentiva uno sparo e Matt si chiedeva se non era Cortacarajos<br />

che aveva trovato Tom.<br />

Aveva girato per quattro ore ed ormai aveva individuato i<br />

due uomini che Cortacarajos gli aveva appiccicato al culo. Se<br />

trovava una pista, quei due doveva sganciarli, ma per il momento<br />

poteva portarseli dietro.<br />

Era rientrato al saloon da nemmeno dieci minuti e stava<br />

bevendo qualche cosa al banco, prima di mangiare un boccone,<br />

quando vennero a cercarlo.<br />

Erano due uomini che non aveva mai visto e con loro<br />

c’erano gli altri due che Cortacarajos gli aveva messo alle calcagna.<br />

- Cortacarajos ti vuole, muoviti.<br />

Non gli avevano chiesto se voleva andare dal capo o no. Non<br />

era previsto un rifiuto. E lui comunque non rifiutava. Perché se<br />

Cortacarajos lo chiamava, era perché aveva trovato Tom. Quindi in<br />

quel pomeriggio che incominciava, finivano la vita sua e quella di<br />

Tom.<br />

Matt annuì e seguì i quattro. Nessuno fiatò per tutto il<br />

percorso. Arrivarono alla città vecchia, tra gli edifici in pietra.<br />

Cortacarajos era là, il sigaro in bocca. Lo guardò negli occhi,<br />

un ghigno sulle labbra.<br />

- Bene, il tuo amico, quello che vuoi fottere, è lì dentro. Non<br />

sporgerti troppo per guardare. Il tuo amico sa tirare.<br />

Indicò oltre il muro che aveva alle spalle. Matt si sporse con<br />

cautela e vide un edificio in pietra che doveva essere stato molto<br />

grande, ma che in parte era crollato. Rimaneva solo un’ala, ad una<br />

certa distanza, con una porta ed una finestra sopra l’ingresso. Da<br />

dove erano loro alla porta c’era un corridoio, tra due cumuli di<br />

macerie: l’edificio era crollato, lasciando sgombro solo quel<br />

passaggio. Bisognava percorrere tutto il corridoio per raggiungere la<br />

porta al fondo e metterci il piede significava essere sotto tiro. In<br />

mezzo a quella specie di corridoio del cazzo c’era un cadavere. Uno<br />

che non era morto di vecchiaia.<br />

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- Adesso, visto che vuoi fotterlo, puoi andare da lui, ma tra<br />

un’ora, quando faccio suonare la campana, ce lo fai trovare senza<br />

armi, vivo o morto, come vuoi. Ci stai?<br />

Cortacarajos aveva scovato Tom. Ma non aveva voglia di<br />

farsi ammazzare dieci uomini per stanarlo, se solo poteva evitarlo.<br />

Certo, poteva aspettare la notte, al buio sarebbero riusciti ad arrivare<br />

alla porta ed entrare. Oppure poteva cercare di far saltare in aria la<br />

casa. Ma Cortacarajos non aveva tempo da perdere, il Diablo Loco<br />

poteva arrivare da un momento all’altro, facile che già sapeva che<br />

Cortacarajos si era permesso di entrare a Boca Caliente e quello era<br />

uno sfregio che non perdonava. Cortacarajos mandava Matt avanti,<br />

gli lasciava fottere Tom, così poi lui glielo consegnava.<br />

Cortacarajos lo fissava e Matt si chiese se davvero quel<br />

figlio di puttana gli leggeva in testa. Meglio di no. Perché lui Tom<br />

voleva fotterlo, ma manco morto glielo consegnava, Cortacarajos<br />

poteva fargli tutto quello che voleva.<br />

Matt annuì.<br />

- D’accordo.<br />

Cortacarajos sorrise.<br />

- Ora dammi le pistole.<br />

Matt si tolse il cinturone e gli voltò le spalle.<br />

Matt si avvicinò all’imboccatura del corridoio. Urlò:<br />

- Tom, sono io, Matt, vengo da te. Sono disarmato.<br />

Si avviò per il corridoio. Per un attimo pensò che forse se<br />

Tom gli sparava era meglio. Ma era una cazzata. E poi Tom non<br />

sparava. Perché doveva farlo?<br />

Superò il cadavere. Arrivò al fondo del corridoio. La porta<br />

era sbarrata da macerie diverse. Matt ripeté:<br />

- Sono io, Matt. Sto entrando.<br />

Sentì la voce di Tom:<br />

- Sali al piano di sopra, Matt.<br />

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Quella voce era come una frustata, una carezza che lacerava<br />

la pelle e faceva bruciare. Ce l’aveva di nuovo duro.<br />

Dentro era buio e gli ci volle un momento per vedere la<br />

scala, in un angolo, ingombra di macerie. Salì. C’era un altro<br />

cadavere, in mezzo alla scala. Quello che aveva deciso di esplorare<br />

quel posto, per vedere se Tom non si nascondeva lì. Aveva avuto<br />

fiuto, quel bastardo. Troppo. O non abbastanza.<br />

Arrivò al piano di sopra. Sì, non era facile arrivarci, neanche<br />

di notte. Era un buon posto per difendersi.<br />

La stanza era grande, molto di più di quello che Matt<br />

avrebbe detto, vedendo l’edificio da fuori. E dietro ce ne doveva<br />

essere anche un’altra, c’era una porta. Tom era vicino alla finestra,<br />

in parte ostruita da travi e dalla carcassa di un vecchio mobile. Tom<br />

guardava fuori, ma quando Matt entrò, voltò la testa.<br />

- Matt, che cazzo ci fai qui?<br />

Matt rimase a guardarlo un momento, incapace di sputar<br />

fuori una parola. Poi ghignò.<br />

- Sono venuto a scopare con te, prima che Cortacarajos ci fa<br />

il servizio.<br />

Tom lanciava occhiate fuori, ma quando Matt parlò, rimase<br />

muto a fissarlo. Non diceva nulla, ma non gli staccava gli occhi di<br />

dosso.<br />

- Non abbiamo molto tempo, Tom. Un’ora. È il tempo che<br />

mi ha dato Cortacarajos, poi attacca. Quel bastardo figlio di una<br />

troia crede che io ti consegnerò a lui.<br />

Matt si tolse la camicia, poi si sedette a terra e incominciò a<br />

sfilarsi gli stivali. Si rialzò e si calò anche i pantaloni. Ora era nudo,<br />

davanti a Tom, il cazzo duro, teso sulla pancia. Tom sembrava<br />

boccheggiare, come se gli mancava l’aria. Matt si avvicinò, gli<br />

prese la faccia tra le mani e lo baciò. Gli infilò la lingua a forza in<br />

bocca. Tom sembrava istupidito. Matt gli afferrò con le mani la<br />

camicia e la aprì, facendo saltare i bottoni.<br />

Tom si ritrasse, guardò ancora fuori dalla finestra, poi posò<br />

le pistole e si spogliò.<br />

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Nudi, uno davanti all’altro, si guardarono. Gli occhi di Matt<br />

passarono dal viso di Tom, a cui la barba scura di più giorni ed i<br />

capelli neri arruffati davano una bellezza feroce, alle spalle larghe<br />

ed al torace muscoloso coperto da una fine peluria, che formava una<br />

grande macchia scura al ventre. Guardò il cazzo robusto di Tom e<br />

rabbrividì al pensiero di ciò che sarebbe successo. Rialzò lo sguardo<br />

sul viso di Tom e vide che i suoi occhi avevano finito lo stesso<br />

percorso ed ora erano fissati sul suo cazzo teso.<br />

Matt fece un passo avanti, mise le mani sulle spalle di Tom e<br />

lo forzò ad inginocchiarsi davanti a lui. Senza delicatezza, quasi con<br />

rabbia, avvicinò la faccia dell’amico al cazzo.<br />

- Succhia, che poi te lo metto in culo.<br />

Tom scosse la testa. Non doveva aver mai succhiato il cazzo<br />

di un uomo. Non aveva tempo per convincerlo. Non era il momento<br />

per perdere tempo. Non avevano più un cazzo di tempo. Tom<br />

doveva muoversi a fare quello che Matt diceva. Meno di un’ora,<br />

erano tutti e due finiti. Matt voleva godersela, l’ultima ora della sua<br />

vita con un cazzo tra le gambe, prima che Cortacarajos faceva il suo<br />

lavoro di merda. Quel cazzo voleva un nido caldo e la bocca di Tom<br />

era il posto giusto, per incominciare.<br />

Matt avrebbe voluto accarezzare Tom, baciarlo ancora, ma<br />

non c’era tempo, non c’era un cazzo di tempo. Prese il collo di Tom<br />

con la destra, il pollice da una parte, le altre dita dall’altra, e strinse,<br />

una pressione abbastanza forte da costringere Tom ad aprire la<br />

bocca.<br />

- Succhia, stronzo, succhia. Non abbiamo tempo da perdere.<br />

Quando Tom aprì la bocca, Matt ci infilò dentro il cazzo.<br />

Non tutto, solo una parte. Tom deglutì, poi si mise a succhiare.<br />

Succhiava bene. A Matt sembrava che la lingua di Tom era una<br />

zanna di puma, che dilaniava, tanto era il piacere. Gli venne in<br />

bocca e si sentì morire.<br />

- Ora basta. A terra.<br />

Matt lo guardò. Aveva il cazzo duro anche lui, ora. Gli era<br />

piaciuto. Ma non si muoveva. Ed a Matt stava tornando duro, al<br />

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pensiero del culo di Tom. Voleva vederlo quel culo. Non lo aveva<br />

mai visto, nudo.<br />

Matt lo spinse a terra. Era più forte di Tom, aveva due<br />

braccia che erano tronchi d’albero e due mani che erano pale. E<br />

sapeva benissimo che Tom gli resisteva solo perché tutto avveniva<br />

troppo in fretta, tutto era troppo nuovo, ma lo voleva anche lui. Gli<br />

fu sopra. Lo costrinse a stendersi, ad allargare le gambe. Tom si<br />

dibatteva, ma sapevano tutti e due che lo volevano entrambi. Matt si<br />

fermò per guardare quel culo che voleva sfondare. Tom cercò di<br />

guizzare via. Matt gli strinse il collo con un braccio.<br />

- Piantala, stronzo. Lo vuoi come lo voglio io.<br />

Era vero, ma Tom era un maschio ed il suo corpo si ribellava<br />

a quella resa. Tom continuava ad agitarsi ed allora Matt strinse con<br />

più forza, fino a che Tom incominciò a respirare a fatica e smise di<br />

agitarsi.<br />

Allora gli sbatté la faccia contro il pavimento e la tenne<br />

ferma con la sinistra, mentre con la destra scivolava tra le cosce,<br />

alla ricerca del buco che stava per forzare. Quando trovò il buco,<br />

sentì che tutto il corpo si tendeva, come si tendeva il corpo di Tom.<br />

Si stese su Tom ed entrò, senza nessuna cautela, senza<br />

nessuna dolcezza. Il gemito di Tom, il sussulto della carne su cui<br />

premeva, moltiplicarono il suo piacere. Spinse con forza, con<br />

violenza. Voleva lasciare il segno in quella carne, voleva farla<br />

sanguinare. Lui era il padrone.<br />

Spinse a lungo, fino a che sentì tutto il suo corpo contrarsi e<br />

l’onda del piacere riempirlo e poi svuotarlo. Si abbandonò sul corpo<br />

di Tom.<br />

Rimasero un buon momento così. Matt era troppo sfinito per<br />

parlare.<br />

Poi sentì che ancora una volta, dallo spiedo che teneva<br />

infilzato <strong>nel</strong>la carne di Tom, saliva il desiderio. Riprese a spingere,<br />

con più delicatezza, ora, assaporando il piacere di quella guaina che<br />

accoglieva la sua sciabola, del calore che l’avvolgeva, del fremito<br />

del corpo di Tom.<br />

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Quando infine ebbe finito, in un parossismo di piacere, si<br />

abbandonò nuovamente sul corpo di Tom.<br />

Dopo un buon momento, Tom parlò:<br />

- Matt…<br />

Matt ritornò alla realtà. Aveva intuito la richiesta inespressa<br />

e rispose, senza esitare:<br />

- Sì, Tom.<br />

Con un sospiro estrasse il cazzo dal culo di Tom e si stese<br />

sul pavimento, a gambe larghe.<br />

Tom si stese su di lui, ma non entrò subito. Gli passò la<br />

lingua dietro l’orecchio e Matt guizzò, come se Cortacarajos gli<br />

stesse facendo il lavoretto.<br />

- Matt…<br />

Le mani di Tom sul suo corpo, le mani di Tom che lo<br />

accarezzavano, le mani di Tom che gli stringevano il culo, le mani<br />

di Tom che affondavano nei suoi capelli, le mani di Tom che gli<br />

graffiavano la pelle.<br />

Ce l’aveva di nuovo duro come una pietra. Bene, l’ultima<br />

volta, poi Cortacarajos faceva il suo lavoro. Ma non importava,<br />

davvero. Aveva ritrovato Tom, aveva scopato con lui, Cortacarajos<br />

poteva fare quello che cazzo voleva.<br />

Gli sfuggì un gemito quando Tom entrò. Anche lui non<br />

aveva avuto riguardo. Non c’era tempo per mille cose, che<br />

premevano dentro. Non c’era tempo per nulla, solo quello per<br />

scopare ancora una volta e poi crepare, senza cazzo e senza<br />

coglioni.<br />

Ma quel cazzo che gli scavava dentro, quella carne calda,<br />

accendeva tutto il suo corpo. Quello era tutto quello che aveva<br />

sempre desiderato, anche se non l’aveva capito prima. Sì, sempre,<br />

fin da prima di conoscere Tom, tutto quello che voleva, l’unica cosa<br />

che davvero voleva era che Tom lo fotteva. O forse non l’unica<br />

cosa, perché voleva anche, altrettanto, fottere Tom. E valeva la pena<br />

di crepare per quello. Di crepare e di tutto il resto.<br />

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Il dolore era piacere, un piacere che si tendeva incontenibile<br />

e quando Tom venne dentro di lui, riempiendogli il culo, Matt<br />

venne per la quarta volta, con un verso che era quasi un guaito.<br />

Si alzarono. Tom controllò la situazione fuori dalla finestra.<br />

Non doveva mancare molto. Matt lo baciò sulla bocca, un bacio<br />

lungo, che li lasciò senza fiato. Ce l’avevano tutti e due duro.<br />

fuori.<br />

- Scusami, Tom.<br />

- Di che?<br />

- Per prima.<br />

Tom rise. Poi il sorriso svanì, mentre guardava di nuovo<br />

- Perché hai fatto questa cazzata, Matt? Perché cazzo sei<br />

venuto qui a farti castrare ed ammazzare?<br />

Matt sorrise.<br />

- Non l’hai capito?<br />

Tom annuì. Aveva capito. Faceva anche lui lo stesso, se si<br />

trovava <strong>nel</strong>la sua situazione.<br />

Matt aggiunse:<br />

- Controlla fuori. Non credo che manchi molto, ormai.<br />

Poi si chinò davanti a Tom e prese in bocca il cazzo di Tom.<br />

Non aveva mai succhiato un cazzo. Il cazzo di Tom era il primo. E<br />

l’ultimo. Ed andava bene così, perché non gliene fotteva un cazzo di<br />

tutti gli altri cazzi del mondo, c’era un solo cazzo che gli importava<br />

e quello ora ce l’aveva in bocca e prima che il coltello di<br />

Cortacarajos entrava in azione, quel cazzo gli riempiva la bocca,<br />

come gli aveva riempito il culo.<br />

Era bello duro, grosso, forte ed era un piacere leccarlo,<br />

succhiarlo, inghiottirlo fino a che gli bloccava il respiro.<br />

Sentì un leggero gemito e lo sborro gli inondò la bocca. Lo<br />

inghiottì, ma non lasciò subito quella carne che ancora gli colmava<br />

la bocca.<br />

- Ora basta, Matt.<br />

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Matt si staccò, a malincuore, e rimase a guardare la cappella<br />

bagnata a due dita dalla propria bocca.<br />

- Matt, hai detto a Cortacarjos che mi ammazzavi?<br />

- Sì, per quello mi ha fatto entrare.<br />

- Bene, allora se mi ammazzi, potrai salvarti, tanto io ormai<br />

sono fottuto. Almeno così te la cavi tu. Quel figlio di puttana non ha<br />

niente contro di te.<br />

Matt rise. Una risata roca.<br />

- Tom, sei una testa di cazzo. Piantala di dire stronzate e<br />

dammi una pistola. Hai munizioni?<br />

- Quelle sì, un casino. Sapevo che prima o poi arrivavamo a<br />

questo punto. Ma Matt, davvero, prima di sera sarò morto ed<br />

allora…<br />

- Piantala, stronzo!<br />

Si avvicinò a lui e lo baciò sulla bocca, togliendogli la parola<br />

ed il fiato. Era bello vedere che a Tom quei baci facevano lo stesso<br />

effetto che facevano a lui. Ma non era più tempo di baci, ora,<br />

l’inferno stava per incominciare. Il paradiso era stato breve, un’ora<br />

appena, ma valeva tutto l’inferno, anche se durava cent’anni, valeva<br />

la pena.<br />

L’inferno si scatenò in quel momento. A Matt sembrava che<br />

cinquanta uomini si erano messi a sparare tutti insieme. E c’erano<br />

urla di dolore, bestemmie, esclamazioni soffocate, grida d’aiuto.<br />

Che cazzo succedeva? Non stavano sparando contro di loro, perché<br />

contro i mobili accatastati non arrivavano proiettili. E poi perché<br />

urlare? Matt guardò <strong>nel</strong> corridoio sotto di loro. Nessuno. Ma al<br />

fondo del corridoio c’erano due uomini stesi a terra. Un altro entrò<br />

<strong>nel</strong> corridoio di corsa, ma non fece molta strada: Tom era un ottimo<br />

tiratore. Lo sparo non si sentì, perché era come se tutta la città si era<br />

messa a sparare.<br />

- Che cazzo succede, Tom?<br />

- Credo che… sì, dev’essere arrivato il Diablo Loco.<br />

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Matt non disse niente, ma la sua testa correva. Correva<br />

dietro i se e gli allora, i ma ed i forse e tutte quelle altre puttanate<br />

che prima ti aprono il cuore e poi te lo chiudono e poi di nuovo te lo<br />

aprono, peggio che una fisarmonica. Se il Diablo Loco stava<br />

facendo fuori Cortacarajos ed i suoi, allora loro due non rischiavano<br />

più di finire come cibo per avvoltoi con un bello squarcio tra le<br />

gambe e cazzo e coglioni in bocca. Ma se il Diablo Loco pensava<br />

che era colpa di Tom se Cortacarajos era venuto lì, allora erano<br />

cazzi, perché il Diablo Loco era il re, lì in quel posto di merda, sì, re<br />

di merda, ma loro due erano fottuti e magari il Diablo Loco gli<br />

faceva rimpiangere pure Cortacarajos. Se lo chiamavano diavolo<br />

pazzo, qualche motivo c’era. E lui non ci teneva a scoprirlo, non<br />

sulla sua pelle e su quella di Tom. Ma perché il Diablo Loco doveva<br />

prendersela con Tom? Che cazzo c’entrava Tom? Ma se il Diablo<br />

Loco ce l’aveva anche lui con Tom?<br />

Era assurdo continuare a pensare e ficcarsi chiodi <strong>nel</strong>la testa<br />

e poi cercare di tirarli fuori. Come finiva la storia, tra poco lo<br />

sapevano. E tanto non dipendeva da loro. Quella storia lì, il finale<br />

non lo scrivevano loro. Almeno una cosa però poteva chiederla a<br />

Tom.<br />

- Di’ un po’, Tom, non è che anche il Diablo Loco ce l’ha<br />

con te?<br />

- Manco lo conosco, quello. Non è che tutti i figli di puttana<br />

dalla California al Messico ce l’hanno con me!<br />

Tom rise, ma sulla sua faccia Matt leggeva gli stessi punti<br />

interrogativi che aveva in testa. E <strong>nel</strong> suo sorriso, accanto alla paura<br />

ed alla speranza, una certezza, la stessa che aveva in testa lui. E tutti<br />

i se ed i ma, i forse e gli allora potevano andare a prenderselo in<br />

culo.<br />

La sparatoria stava rallentando. Qualcuno doveva aver vinto<br />

e qualcuno doveva aver perso. Molti che dieci minuti prima erano<br />

sulle loro gambe e convinti di cenare quella sera, adesso non<br />

avevano più bisogno di cena. Ancora due colpi. Qualcuno forse non<br />

era ancora convinto che era il momento di andare all’inferno, ma si<br />

sbagliava, perché quel qualcuno faceva parte anche lui della<br />

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carovana che scendeva a farsi fottere da Satana. E loro due, anche<br />

loro si univano alla carovana? Tra poco lo sapevano.<br />

Uno sparo ancora. Più niente. Silenzio.<br />

La città era ripiombata <strong>nel</strong> silenzio e se non era per quei due<br />

cadaveri in più, al fondo del corridoio, ed il terzo un po’ più avanti,<br />

si poteva pensare che era stata tutta una loro fantasia. Ma quei<br />

cadaveri erano molto reali.<br />

Alcuni uomini si affacciarono con cautela oltre gli spigoli al<br />

fondo del corridoio. Si chinarono e raccolsero i corpi dei due morti.<br />

Poi altri due si spinsero <strong>nel</strong> corridoio a prendere il morto fresco e<br />

quello già un po’ stagionato. Matt e Tom li tenevano sotto tiro, ma i<br />

due non badavano a loro. L’unica cosa che volevano erano quelli<br />

che avevano fottuto prima.<br />

Matt si chiese se quelli intendevano salire su da loro, perché<br />

in quel caso erano cazzi. Ma quelli lanciarono appena un’occhiata<br />

verso la finestra e se ne andarono con i cadaveri. Sapeva che cosa<br />

voleva dire. Che di loro non gliene fotteva un cazzo. E che<br />

Cortacarajos e la sua banda ormai erano pronti a diventare cibo per<br />

avvoltoi.<br />

- Credi che è vero?<br />

Che cosa, lo sapevano tutti e due benissimo, non occorreva<br />

dirlo. Tom sembrava non crederci e Matt non sapeva che cosa<br />

rispondere. Certo che era vero, era vero che il Diablo Loco era<br />

arrivato ed aveva fatto fuori la banda di Cortacarajos. Quei cadaveri<br />

che ora scomparivano oltre l’angolo erano perfettamente reali.<br />

Ma la domanda di Tom era un’altra: era vero che loro due<br />

non avevano più nulla da temere? Non poteva saperlo, ma qualche<br />

cosa gli diceva di sì.<br />

Rimasero a lungo fermi <strong>nel</strong>la stanza, attenti ad ogni rumore.<br />

Ma non si sentiva nulla di particolare. Non c’era più traccia dei<br />

cadaveri, salvo un po’ di sangue per terra.<br />

- Uscire ora, non conviene. Aspettiamo il buio.<br />

- Sì, aspettiamo il buio.<br />

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Ci fu un momento di silenzio. Continuavano a guardare<br />

fuori. A Matt sembrava incredibile. Non era possibile che tutto era<br />

finito così.<br />

Tutto era finito. Sì, forse. Ed una domanda gli passò per il<br />

cervello. Tutto era finito, ma come cazzo era incominciato?<br />

Lo chiese:<br />

- Tom, perché quel figlio di puttana ti stava dietro? Perché<br />

non sei tornato? Perché?<br />

visita.<br />

Tom ghignò.<br />

- Va bene, abbiamo tempo, tanto. Se nessuno viene a farci<br />

- Se qualcuno viene a farci visita, gli offriamo un rinfresco.<br />

Non se ne va a stomaco vuoto.<br />

Si sedettero, uno vicino all’altro, ma in modo da poter tenere<br />

d’occhio la finestra.<br />

Tom incominciò a narrare. L’agguato degli indiani, a cui era<br />

scampato quasi per caso, perché si era allontanato per vedere se<br />

c’erano minacce sul percorso. A quel punto c’era poco da fare:<br />

erano morti tutti. Lui aveva ripreso la strada da solo, per tornare a<br />

casa, per tornare da Matt, perché anche lui provava quello che<br />

provava Matt. Sulla via del ritorno aveva incontrato una donna che<br />

Cortacarajos voleva e che lui aveva salvato dalle grinfie di quel<br />

figlio di puttana, di nuovo, quasi per caso, perché ci si era trovato e<br />

non aveva voltato la testa dall’altra parte per far finta di non vedere.<br />

La rabbia di Cortacarajos, il lungo inseguimento, tutto il resto Matt<br />

poteva immaginarlo da solo. E poi non è che gliene fregava molto,<br />

ora che Tom era lì, di fianco a lui. Perché l’unica cosa che contava<br />

era proprio quella: che Tom ora era lì, con lui e che se ne andavano<br />

insieme da quel buco del culo di posto, per l’inferno o per la<br />

California, era quasi lo stesso, se era insieme.<br />

Poi fu il turno di Tom di chiedere e Matt incominciò a<br />

raccontare. La sua storia si diceva in fretta. Per il dolore, la<br />

disperazione, spese poche parole, ma in qualche modo cercò di dire<br />

anche quello. Poi la scoperta che Tom era vivo e la caccia a tre. Ora<br />

erano rimasti loro due, a quanto pareva.<br />

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Quando Matt ebbe finito, bevvero. Faceva un caldo fottuto<br />

ed avevano sete. Ma Tom aveva da bere e da mangiare. Si era<br />

preparato a rimanere nascosto per qualche giorno, sperando che il<br />

Diablo Loco arrivava prima che Cortacarajos lo trovava. Aveva<br />

fatto bene i calcoli.<br />

Appena bevve, Matt incominciò a sudare come un maiale.<br />

Era fradicio.<br />

Bevve ancora.<br />

Ora c’era silenzio, silenzio fuori, silenzio tra loro due. Un<br />

lungo silenzio. Matt di cose da dire ne aveva, ma non trovava le<br />

parole. Come faceva a dire a Tom che…<br />

Ma in fondo non servivano parole. Poteva dirglielo<br />

<strong>nel</strong>l’unico modo che conosceva. Lo abbracciò. Lo strinse a sé. Lo<br />

baciò. Tom lanciò un’ultima occhiata fuori dalla finestra e si<br />

abbracciarono. Smisero di sorvegliare il corridoio, perdendosi<br />

completamente <strong>nel</strong> gioco dei loro corpi. Si baciarono e le loro mani<br />

percorrevano i loro corpi, stringendo ed accarezzando. Poi Tom si<br />

staccò e guardò Matt.<br />

- Sei bellissimo.<br />

Matt rise, ma la voce gli venne fuori roca di desiderio,<br />

quando rispose:<br />

- Anche tu sei bellissimo.<br />

Era vero, non aveva mai visto niente di più bello di Tom.<br />

Si lanciò su di lui e caddero tutti e due a terra. Rotolarono a<br />

terra, cercando di avere la meglio l’uno sull’altro. Ognuno dei due<br />

sembrava voler schiacciare l’altro, ma nessuno cedeva.<br />

Fu Tom alla fine ad avere la meglio, a riuscire a bloccare<br />

Matt sul pavimento, a pancia in giù, piegandogli un braccio dietro la<br />

schiena.<br />

Ma a quel punto ce l’avevano tutti e due duro e caldo come<br />

la canna di una pistola che ha appena sparato.<br />

La canna di Tom entrò dentro Matt e le spinte gagliarde di<br />

Tom spensero ogni volontà di resistenza. Matt sentì un capogiro di<br />

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dolore e di piacere che dal culo gli riempiva le viscere, salendo fino<br />

alla testa. Lasciò che Tom gli arpionasse la testa con la mano, gli<br />

tirasse i capelli, incapace di reagire, incapace di fare altro che<br />

abbandonarsi al dolore vorticoso ed al piacere intollerabile che gli<br />

esplodevano <strong>nel</strong> culo. Il peso del corpo di Tom e le sue spinte feroci<br />

lo premevano contro il pavimento e quando Tom gli morse la nuca,<br />

Matt lanciò un urlo, ma era un urlo di puro piacere, perché il dolore<br />

che gli scoppiava <strong>nel</strong> culo, la stretta dei denti di Tom, tutto si era<br />

moltiplicato in un unico immenso piacere che lo travolgeva, gli<br />

annebbiava la vista e gli toglieva il fiato, un piacere che sgorgava<br />

incontenibile dal suo cazzo teso, un piacere che si moltiplicava<br />

mille volte <strong>nel</strong> suo culo invaso da un liquido caldo.<br />

Ebbe la sensazione di svenire e per un attimo perse davvero<br />

coscienza di dov’era e di che cosa succedeva.<br />

Ritornò in sé e sentì il peso del corpo di Tom su di sé, la<br />

picca ancora saldamente piantata <strong>nel</strong> proprio culo. Lo disarcionò<br />

con un colpo di reni, facendolo scivolare via. Tom finì disteso, la<br />

schiena a terra, ma non reagì. In un attimo Matt gli fu addosso, si<br />

sedette su di lui. Lo guardò, come un uccello guarda il serpente che<br />

lo affascina.<br />

Con la mano accarezzò il cazzo ancora turgido. Lo<br />

accarezzò con forza, lo strinse, lo schiaffeggiò, poi si chinò a<br />

morderlo, poi riprese a tormentarlo con le dita, fino a che l’asta fu<br />

di nuovo in posizione. Allora si sollevò un po’, in modo da avere il<br />

culo esattamente sopra il cazzo di Tom, prese in mano il frutto e si<br />

abbassò fino a che sentì la pressione contro il buco del culo. Allora,<br />

con un colpo deciso, si sedette, infilzandosi su quel palo di carne.<br />

Il dolore cancellò ogni piacere, ma fu solo un attimo. Matt si<br />

risollevò, fino a che il cazzo di Tom non fu completamente fuori,<br />

poi ripeté l’operazione con maggiore violenza.<br />

Poi incominciò ad alzarsi e ad abbassarsi. Era bello quel<br />

cazzo che gli seviziava il culo, cazzo, se era bello.<br />

Tom sorrideva e lo lasciava fare. Poi il sorriso si tese e di<br />

nuovo vennero insieme.<br />

Matt scivolò a terra, esausto. Tom si stese su di lui.<br />

Rimasero a lungo così, intontiti, ebbri, sazi.<br />

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Quando si alzarono, incominciava a diventare buio. Bevvero<br />

ancora, a lungo, mangiarono un po’ di pane e di carne secca. Matt<br />

aveva una fame da lupi, non mangiava dal mattino. Matt pensò che<br />

era bello guardare Tom che beveva, che mangiava. Era bello<br />

guardare Tom che faceva qualunque cosa.<br />

Poi Tom si alzò per pisciare, ma non si voltò. Allora Matt si<br />

alzò anche lui e si mise a pisciare di fronte a Tom. I due getti si<br />

mescolavano e formavano un’unica pozza. Era bello guardare Tom<br />

che pisciava,<br />

Si rivestirono ed a Matt spiacque vedere scomparire nei<br />

vestiti quel corpo che desiderava.<br />

Guardarono nuovamente fuori. Nessuno.<br />

Scesero lungo la scala ed attesero <strong>nel</strong> locale al piano terreno.<br />

Non si sentiva nessun rumore, se non, lontano, un battito continuo,<br />

forse di tamburi.<br />

Quando fu completamente buio, uscirono, ognuno con una<br />

pistola in mano.<br />

Non c’era nessuno <strong>nel</strong>la via, né dietro l’angolo. Da una delle<br />

vie videro un chiarore in lontananza, verso la piazza della città, e si<br />

diressero in quella direzione. Di lì proveniva anche il suono che<br />

avevano sentito: erano certamente tamburi, diversi tamburi che<br />

venivano suonati tutti insieme.<br />

Misero via le pistole, ma rimasero tesi, pronti a scattare al<br />

minimo segnale. Incontrarono due tipi che si dirigevano anche loro<br />

verso la piazza, ma che non li guardarono neppure. A Boca Caliente<br />

ognuno si faceva i cazzi propri. Poi videro altri tizi.<br />

Man mano che si avvicinavano alla piazza, il rumore<br />

diventava sempre più forte ed incontravano sempre più gente. Gli<br />

uomini di Boca Caliente stavano tutti andando in piazza ed anche le<br />

puttane, le uniche donne della cittadina, si muovevano <strong>nel</strong>la stessa<br />

direzione.<br />

Ci doveva essere uno spettacolo e Matt aveva un’idea del<br />

tipo di spettacolo. Probabile che a darlo era il Diablo Loco, con la<br />

collaborazione, non proprio volontaria, di Cortacarajos.<br />

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Non si sbagliava.<br />

Quando arrivarono in piazza, videro alcuni falò accesi che<br />

illuminavano lo spazio. Col caldo che faceva, i falò non erano<br />

proprio il massimo, ma l’illuminazione pubblica a Boca Caliente<br />

nessuno sapeva che cos’era e quello era l’unico modo per far vedere<br />

bene lo spettacolo.<br />

Lo spettacolo si teneva proprio in mezzo alla piazza e<br />

doveva essere uno spettacolo interessante, perché la folla si<br />

accalcava tutt’intorno.<br />

La gente si muoveva, curiosa di vedere i diversi attori di<br />

quella commedia divertente. Approfittando del continuo<br />

rimescolarsi del pubblico, anche Tom e Matt riuscirono ad infilarsi<br />

e ad arrivare in prima fila<br />

C’era una serie di pali piantati <strong>nel</strong> terreno, che ne<br />

sostenevano altri, messi di traverso; dai pali sospesi pendevano, a<br />

testa in giù, gli uomini di Cortacarajos. Erano in parecchi, almeno<br />

una ventina e Matt pensò che se non arrivava il Diablo Loco, con<br />

quelli loro due non avevano nemmeno una possibilità su mille di<br />

portare a casa la pelle (e di tenersi cazzo e coglioni dove Iddio li<br />

aveva attaccati). Ma ormai non facevano più paura a nessuno.<br />

Alcuni erano crepati. Altri respiravano ancora. Tutti erano<br />

nudi e al ventre avevano un taglio. Il Diablo Loco aveva fatto a quei<br />

figli di puttana il servizio che Cortacarajos faceva fare ai suoi<br />

nemici.<br />

Cortacarajos era ancora vivo. Il torace si sollevava e si<br />

abbassava ancora. Una striscia di sangue gli colava dal ventre per<br />

tutto il torace, fino al collo. Ed il sudore faceva luccicare il corpo<br />

alla luce del fuoco.<br />

Ed ora, alla luce dei falò, tutti gli spettatori ammiravano lo<br />

spettacolo e ridevano, ingiuriavano Cortacarajos ed i suoi uomini,<br />

ma non si avvicinavano. Al centro della piazza, c’erano solo i<br />

vincitori.<br />

Il Diablo Loco ed i suoi uomini ridevano ed alcuni ballavano<br />

intorno ai falò, mentre altri battevano sui tamburi. Ogni tanto<br />

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qualcuno pisciava in faccia agli uomini appesi, preferibilmente su<br />

quelli che ancora respiravano. Dava più soddisfazione.<br />

Matt e Tom non parteciparono alla festa. Non gliene fregava<br />

un cazzo.<br />

Rimasero un buon momento, Matt aveva bisogno di<br />

guardare, per essere sicuro che era davvero così, che era fuori<br />

dall’incubo e che il giorno che era ormai finito era stato un inizio e<br />

non la fine.<br />

- Vuoi rimanere ancora, Matt?<br />

Matt scosse la testa. Ne aveva abbastanza. Si allontanarono.<br />

Raggiunsero la locanda di Matt. Matt pensò che ne era<br />

venuto via quel mattino, ma gli sembrava che era un secolo. Disse<br />

al proprietario che il suo amico dormiva con lui. Il tizio non aveva<br />

nulla da obiettare (e quando mai, a Boca Caliente), ma si fece<br />

pagare un extra.<br />

Erano stanchi e storditi. Si abbracciarono e Tom si<br />

addormentò come un sasso. Nelle notti precedenti aveva dormito<br />

poco e male. Matt rimase sveglio più a lungo, ancora incredulo, poi<br />

si lasciò andare al sonno.<br />

Il mattino lasciarono presto la camera. Matt prese il suo<br />

cavallo ed andarono alla scuderia dove Tom aveva lasciato il suo.<br />

Quando furono tutti e due a cavallo, Matt si sentì, di colpo,<br />

follemente felice. Stava lasciando quel posto di merda, con Tom,<br />

verso la California, verso il suo paese.<br />

Uscirono dalla città e si diressero verso le colline su cui<br />

correva la pista per la California.<br />

C’erano alcuni avvoltoi in cielo, che planavano su un punto<br />

preciso, non lontano dalla strada. Matt sapeva che cos’era.<br />

Non si stupì di vedere i corpi gettati di fianco alla strada, per<br />

ricordare a chi magari aveva poca memoria, che Boca Caliente era il<br />

regno del Diablo Loco e che nessuna banda doveva permettersi di<br />

entrarci. A terra c’erano altri avvoltoi, un sacco. Stavano già<br />

spolpando alcuni corpi, ma ad altri non si avvicinavano, perché non<br />

erano ancora crepati.<br />

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Non si fermarono. Quel che c’era da vedere, lo avevano già<br />

visto la sera prima. E Matt aveva solo voglia di andarsene. Per i<br />

suoi gusti, a Boca Caliente era rimasto già troppo. Ma ne era valsa<br />

la pena, certo che ne era valsa la pena.<br />

- Andiamocene da questo posto di merda, Tom. Vicino alla<br />

frontiera conosco un angolo di paradiso, in cui possiamo fermarci<br />

un po’. Sono solo un centinaio di miglia.<br />

- Un centinaio di miglia? Cazzo, Matt. I cavalli scoppiano se<br />

non facciamo qualche sosta ed a stare in sella per cento miglia di<br />

fila avrò il culo in fiamme.<br />

Matt rise.<br />

- Qualche sosta la facciamo, ma breve. I cavalli riposano<br />

quando siamo arrivati. Anche una settimana li lasciamo riposare.<br />

Non abbiamo mica fretta di tornare a casa.<br />

Matt fece una pausa, poi aggiunse:<br />

- Ma il culo, mi sa che quello tra una settimana ce l’avrai<br />

molto più in fiamme che se la passavi a cavallo, la settimana, te lo<br />

garantisco.<br />

Tom rise, spronò il cavallo e, passando di fianco a Matt, gli<br />

colpì con le redini il culo.<br />

- Vedremo a chi farà più male!<br />

E si lanciò al galoppo, inseguito da Matt.<br />

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Lo spazzolino lo fornisce la Qantas<br />

Un racconto rosa, con un po’ di blu<br />

Nel salire le scale Antonio sentì che gli mancava il fiato.<br />

Continuava per abitudine a salire a piedi, ma ormai doveva fermarsi<br />

sul pianerottolo tra il secondo ed il terzo piano per riprendere fiato.<br />

Come al solito sentiva il peso che lo opprimeva, la stretta<br />

intollerabile che gli chiudeva lo stomaco. Pensò che tra poco<br />

sarebbe passata.<br />

Come ogni giorno <strong>nel</strong>l'ultimo mese, eseguì meccanicamente<br />

i gesti abituali: appese il giaccone all'attaccapanni, si tolse le scarpe<br />

e si infilò le pantofole. Poi prese la bottiglia ed il bicchiere ed andò<br />

a sedersi in poltrona. Cominciò a versarsi da bere. Bevve un sorso<br />

di whisky, poi un secondo. Al secondo bicchiere il senso di<br />

oppressione cominciò ad allentarsi ed una piacevole sensazione di<br />

calore scacciò il freddo invernale.<br />

Si versò il terzo bicchiere e guardò il liquore. Aveva un bel<br />

colore ambrato.<br />

Prima di bere, si chiese dove sarebbe finito. Sarebbe passato<br />

a farsi di ero? Poteva essere una bella idea, per uno che in tutta la<br />

sua vita aveva fumato sì e no due spi<strong>nel</strong>li.<br />

D'altronde fino a qualche mese prima beveva solo quando<br />

mangiava al ristorante o era a cena da amici e mai superalcolici,<br />

solo vino. Aveva imparato in fretta, maledettamente in fretta.<br />

Qualche mese prima. Nove mesi, o sei, a seconda di dove si<br />

cominciava a contare. Dove cominciava la fine. La botta era stata<br />

nove mesi prima, ma quella non sarebbe stata sufficiente.<br />

Il colpo, quello finale, era stato sei mesi prima, ma lui non<br />

aveva iniziato subito a bere. Per alcuni mesi aveva pensato che ce<br />

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l'avrebbe fatta. No, non aveva pensato a niente. Aveva solo cercato<br />

di tirare avanti in qualche modo. Ma non ce l'aveva fatta.<br />

Prima aveva provato con i sonniferi, per potere almeno<br />

dormire. Per non svegliarsi alle due, perfettamente lucido, e<br />

rimanere a letto senza più riuscire a riprendere sonno. Prima di<br />

arrendersi ai sonniferi aveva provato con la valeriana, i prodotti<br />

naturali ed altre cazzate. Ma non era più in grado di reggere ed<br />

allora era passato ai sonniferi. Per la notte andavano bene: sei-sette<br />

ore di sonno le garantivano.<br />

Ma poi c’era il giorno. Le crisi di angoscia, violentissime ed<br />

improvvise. Un’oppressione al petto, una sofferenza che non<br />

riusciva a tollerare. E, in almeno tre occasioni, le lacrime,<br />

inarrestabili.<br />

Allora aveva incominciato a prendere qualche tranquillante,<br />

che gli assicurava una gradevole indifferenza. Ma non bastava<br />

ancora.<br />

Così aveva preso a bere. All'inizio era stato il bicchierino<br />

serale, per scaldarsi un po' l'anima. Poi il bicchiere era diventato la<br />

mezza bottiglia serale. Poi i liquori. Ormai già mentre ritornava a<br />

casa pensava alla bottiglia.<br />

Per il momento era arrivato lì.<br />

No, non solo lì, aveva fatto un sacco di strada: aveva<br />

cominciato ad arrivare in ritardo sul lavoro, a litigare con i colleghi,<br />

a lavorare male. Oggi, in piena chiusura d'anno, aveva mandato a<br />

fare in culo il suo capo e si era licenziato. Splendida conclusione.<br />

Nove mesi era durata la sua discesa agli inferi, nove mesi, come una<br />

gravidanza. Sarebbe arrivato presto al fondo. Soltanto gli mancava<br />

il coraggio o la voglia di accelerare i tempi.<br />

Nove mesi prima era un uomo felice, che aveva tutto: un<br />

buon lavoro, diversi amici, una vita ricca di esperienze, un amore.<br />

Già, un amore, un amore grande, di quelli che ti tolgono il fiato, che<br />

ti riempiono ogni minuto. Un amore perfetto.<br />

Nove mesi prima.<br />

Lui e Marco erano riusciti a distruggersi proprio bene. Un<br />

gran bel risultato. Complimenti vivissimi a tutti e due. E presto ci<br />

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sarebbero stati due cadaveri. Uno c'era già. No, non c'era più<br />

nemmeno quello, c'era stato, insomma. L'altro… era solo questione<br />

di tempo. Di poco tempo. Meno era, meglio era, perché di<br />

trascinarsi così, Antonio non aveva più voglia. Sperava davvero che<br />

mancasse poco tempo.<br />

Anche il suo tempo con Marco era durato poco. Un anno e<br />

tre mesi, ma in realtà solo sei mesi. Solo sei mesi. Più che<br />

abbastanza per impedirgli di riprendere a vivere.<br />

Quella sera a casa di Daniela e Lucio. I cari amici<br />

impiccioni. Ricordava benissimo l'invito. Un carissimo amico di<br />

Lucio che tornava da un lungo periodo trascorso in Africa, per<br />

lavoro, ci sarebbero stati solo loro quattro, Marco non amava vedere<br />

tanta gente. Era appena arrivato. Un'avvertenza soltanto: non<br />

parlargli del lavoro e dell'Africa. Dopo essere stato via quasi due<br />

anni, non ne voleva sapere.<br />

Si era chiesto se era un altro tentativo per sistemarlo.<br />

Daniela e Lucio ce l'avevano con questa idea: l'uomo giusto per lui.<br />

A loro due, innamorati e felicemente coniugati, quella vita da<br />

singolo pareva monca. Certo anche a lui sarebbe piaciuto vivere un<br />

amore, ma era molto scettico, le sue esperienze precedenti non<br />

erano state proprio entusiasmanti: gli uomini che incontrava, o<br />

almeno quelli che gli piacevano, erano interessati solo ad un mordi<br />

e fuggi. O ad una relazione molto vaga, che significava soltanto:<br />

“Quando ci vediamo, ci possiamo risparmiare i preliminari e<br />

passare subito al sodo” oppure “Se non trovo nessun altro, ti<br />

chiamo”.<br />

Era arrivato senza grandi aspettative, senza neppure molta<br />

curiosità: gli sarebbe piaciuto chiedere a Marco dell'Africa, ma non<br />

poteva farlo.<br />

Marco era già lì. Gli aveva subito fatto un'impressione forte:<br />

fisicamente era perfetto, esattamente il suo tipo. Due dita più alto di<br />

lui, solido, possente, la pelle bruciata dal sole, gli occhi scuri, i<br />

capelli cortissimi neri, la barba corta. Gli c'era voluto un attimo per<br />

rimettersi. Aveva sentito tutta la sua inadeguatezza. E come sempre<br />

in questi casi il suo primo impulso era stato quello di fuggire.<br />

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Aveva lasciato che Daniela e Lucio conducessero la<br />

conversazione, un po' in imbarazzo, cercando di non guardare<br />

troppo Marco, anche se era un piacere per gli occhi. Poi, quando era<br />

stato sicuro che Marco non era minimamente interessato a lui,<br />

lentamente si era sciolto.<br />

A tavola, dopo un inizio stentato, si era parlato di viaggi, poi<br />

di montagna. Si erano trovati in sintonia e la serata era proseguita<br />

senza intoppi. Dopo cena, in salotto, Daniela aveva tirato fuori il<br />

volontariato di Antonio in LILA.<br />

- Fai il servizio telefonico, no?<br />

- Sì, anche altro, a dir la verità. Il notiziario e la formazione.<br />

Marco era apparso subito interessato, voleva saperne di più.<br />

Faceva domande. Intelligenti, pertinenti, precise. Antonio si era<br />

trovato costretto a raccontare tutto dell'attività sua e<br />

dell’associazione. Dei corsi di formazione, del telefono, dei gruppi<br />

di supervisione. Antonio detestava monopolizzare la conversazione,<br />

ma arginare Marco non era facile e non voleva essere scortese. E<br />

poi Daniela spalleggiava Marco in modo spudorato.<br />

Lucio aveva citato L'intruso, che aveva letto proprio su<br />

consiglio di Antonio. E così erano passati ai libri. Marco era uno<br />

che leggeva. Molto. Poesia, prosa, storia. Antonio amava poco la<br />

poesia, ma era anche lui un gran lettore e si erano scoperti alcune<br />

grandi passioni in comune. Anche alcuni punti di vista opposti: su<br />

Céline avevano discusso infervorati per venti minuti, Antonio<br />

all’attacco e Marco in difesa. Lo aveva messo con le spalle al muro.<br />

Era arrivata l'una ed era ora di andarsene. Daniela era<br />

chiaramente affaticata, d'altronde era ormai al settimo mese.<br />

Approfittando di una pausa, Antonio si era alzato:<br />

- Bene, è meglio che vada a casa.<br />

Allora anche Marco si era alzato.<br />

- Sì, vado anch'io.<br />

Ad Antonio non spiacque l’idea di scendere insieme a<br />

Marco, gli era piaciuto parlare con lui. Il ritrovarsi soli faceva<br />

riemergere le sue insicurezze, ma a scendere le scale non avrebbero<br />

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impiegato molto tempo: se non avessero trovato più niente da dirsi,<br />

si sarebbero lasciati subito.<br />

Sulla porta, Daniela era intervenuta.<br />

- Magari gli dai tu un passaggio, tanto è vicino. Abita in via<br />

Piazzi.<br />

Antonio aveva pensato che Daniela avrebbe potuto farsi i<br />

fatti suoi. Mentre scendevano le scale, aveva sentito il bisogno di<br />

prendere le distanze, di far capire a Marco che l’idea del passaggio<br />

era tutta di Daniela:<br />

- Non occorre che tu mi dia un passaggio. In un quarto d'ora<br />

sono a casa. Vengo a piedi proprio perché abito vicino.<br />

- Ti accompagno. Se non ti spiace ho voglia di parlare<br />

ancora con te.<br />

Marco era stato diretto e lo aveva spiazzato: sarebbe<br />

successo altre volte, <strong>nel</strong> loro rapporto. Non era uno che le mandava<br />

a dire le cose: quello che aveva in testa, lo diceva chiaramente.<br />

Appena erano stati in auto però, Marco gli aveva fatto<br />

un'altra proposta.<br />

- Hai voglia di venire un momento da me? Tanto domani è<br />

domenica.<br />

Antonio sapeva che cosa lo aspettava. Ed aveva esitato.<br />

Marco gli era piaciuto, moltissimo, troppo per una scopata e basta,<br />

toccata e fuga. Marco doveva aver colto la sua esitazione, ma era<br />

rimasto in silenzio, lasciandogli la decisione. Ed Antonio aveva<br />

acconsentito. Quasi deluso. Avrebbe preferito continuare a parlare.<br />

O forse non l'avrebbe preferito, ma si sarebbe sentito più sicuro.<br />

- Va bene, dove abiti?<br />

- Piazza Carlina.<br />

- È tutto da un'altra parte.<br />

- Non è così lontano. Tranquillo, in ogni caso non ti lascio<br />

andare a casa a piedi.<br />

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Antonio si era chiesto che cosa significasse "in ogni caso".<br />

Gli era sembrata buffa, come idea. Voleva dire che anche se non<br />

avessero scopato, Marco lo avrebbe riaccompagnato? Troppo<br />

buono. Non era il caso che si scomodasse, esistevano anche i taxi,<br />

poteva permettersene uno.<br />

E comunque era ben disposto a guadagnarsi il passaggio a<br />

casa. Entro certi limiti, almeno: era aperto di idee, ma non<br />

disponibile proprio a tutto.<br />

Erano scesi davanti alla casa. Una casa d'epoca, risistemata<br />

in anni recenti. Come piaceva ad Antonio. Anche l'appartamento, al<br />

terzo piano, gli piacque subito. Arredato con molto buon gusto,<br />

forse un po' freddo. Ma Marco non ci viveva stabilmente, negli<br />

ultimi due anni doveva averci passato ben poco tempo. Ed adesso<br />

era appena ritornato.<br />

- Ci sediamo in salotto o, considerando l'ora, mi risparmi i<br />

preliminari e passiamo subito in camera da letto?<br />

Marco sorrideva, con quel sorriso che gli illuminava il volto<br />

severo. Era un sorriso bellissimo. E Marco era bellissimo. Ma ad<br />

Antonio quell'approccio non era piaciuto. Si era rassegnato alla<br />

solita scopata senza un domani. Aveva ironizzato:<br />

- Mi pareva che avessi detto che volevi parlare.<br />

- In camera da letto si parla benissimo.<br />

Avevano parlato pochissimo, ma nessuno dei due ne aveva<br />

sentito il bisogno. A letto Marco era esattamente tutto quanto<br />

piaceva ad Antonio: tenero e forte, fantasioso ed attento. Nonché<br />

prudente, ma con uno che faceva volontariato in LILA non avrebbe<br />

potuto essere altrimenti.<br />

Quando si erano infine messi a dormire, verso mattina,<br />

Antonio pensò che se non altro, anche se finiva lì, era stata la più<br />

bella scopata della sua vita.<br />

Certamente finiva lì. Pazienza. L'importante era non<br />

aspettarsi troppo e non recriminare. L'esperienza glielo aveva<br />

insegnato. E a forza di nasate, aveva imparato. Aveva ancora<br />

qualche livido, ma non si faceva più illusioni.<br />

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Il giorno dopo si erano svegliati alle due, quando il telefono<br />

aveva squillato. Antonio aveva sentito Marco scoppiare a ridere.<br />

- Sì, hai indovinato, vuoi che te lo passi?<br />

Quell'impicciona di Daniela lo aveva cercato a casa e, non<br />

avendolo trovato, aveva cercato Marco. Gli aveva chiesto se<br />

Antonio era ancora lì.<br />

Prese il ricevitore e scambiò un paio di battute ironiche con<br />

Daniela. Quando lei gli disse che Marco era l’uomo giusto per lui,<br />

Antonio rispose che non era così facile accalappiarlo. Ma in cuor<br />

suo desiderava solo essere accalappiato da Marco.<br />

Adesso che erano svegli, Antonio non sapeva bene come<br />

muoversi. Avrebbe voluto rimanere con Marco, ma temeva che la<br />

sua presenza non fosse gradita: detestava fare la figura di quello che<br />

non ha capito, che si ostina a rimanere quando non è più ben<br />

accetto. D’altra parte, alzare i tacchi subito gli sembrava brutto,<br />

senza un segnale da parte di Marco: non voleva che Marco pensasse<br />

che lui era interessato solo al letto. Se c’era lo spazio per un<br />

proseguimento, lui ne era ben felice.<br />

La voce di Marco aveva sciolto il dubbio, per il momento.<br />

- Siediti in poltrona, mentre io preparo da mangiare.<br />

- Ti do una mano.<br />

Marco aveva scosso energicamente la testa, sorridendo.<br />

- No-no, in cucina non accetto collaborazioni! Al massimo ti<br />

permetto di fare il cameriere.<br />

- Va bene, mi sembra di capire che sei un buon cuoco.<br />

- Me la cavo.<br />

Aveva aiutato Marco a preparare un pranzo per due, o,<br />

volendo essere precisi, aveva guardato Marco preparare un pranzo<br />

per due. Un pranzo eccellente. Marco era davvero un buon cuoco.<br />

Ad Antonio venne voglia di chiedergli se in Africa si faceva da<br />

mangiare da solo, ma sapeva che non doveva toccare l’argomento e<br />

non disse nulla.<br />

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Dopo pranzo Antonio voleva darsi una sciacquata ai denti.<br />

Allora Marco gli aveva dato uno spazzolino nuovo.<br />

- Te ne do uno verde, il mio è rosso, così non li<br />

confonderemo.<br />

Antonio si era detto che quell’indicativo futuro poteva aprire<br />

qualche prospettiva. Ad ogni buon conto, era meglio non farsi<br />

troppe illusioni.<br />

Dopo che si era lavato i denti, era tornato in salotto. Marco<br />

era sul divano. Aveva proteso le braccia e gli aveva detto:<br />

- Vieni qui, così parliamo. Voglio conoscerti meglio.<br />

Lo aveva fatto stendere, con la testa in grembo a lui, ed<br />

avevano parlato. Erano entrambi curiosi di scoprire qualche cosa di<br />

più dell'altro, ma sul lavoro Marco aveva subito messo le mani<br />

avanti:<br />

- Chiedimi quello che vuoi, ma, per favore, non chiedermi<br />

mai nulla del mio lavoro. Ho le mie ragioni per non volerne parlare.<br />

Avevano parlato dei loro studi, delle loro famiglie, delle loro<br />

esperienze di vita. Avevano anche parlato di rapporti, ma su questo<br />

punto Antonio si era mosso con cautela. Aveva espresso quello che<br />

aveva in testa, ma cercando di non dare a Marco l’impressione di<br />

avere richieste o aspettative nei suoi confronti.<br />

Sul tardo pomeriggio Marco aveva proposto di andare al<br />

cinema. Ad Antonio era sembrata una buona mossa. Al cinema, poi<br />

ognuno per conto proprio: un buon modo per separarsi con<br />

naturalezza. Magari scambiandosi i numeri di telefono ed una vaga<br />

promessa di risentirsi. Antonio sapeva che non avrebbe telefonato.<br />

Non perché non fosse interessato a Marco: lo era, già troppo. Ma<br />

non credeva che Marco fosse davvero interessato a lui.<br />

La scelta del film era stata facile: anche qui c'era un buon<br />

ventaglio di gusti comuni, pur escludendo entrambi la maggioranza<br />

delle pellicole in circolazione.<br />

All'uscita Antonio aveva tirato un sospiro interiore, aveva<br />

guardato Marco e, rassegnato all'i<strong>nel</strong>uttabile, si era lanciato:<br />

- Bene, adesso andrei a casa.<br />

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Marco non aveva dissimulato il suo turbamento.<br />

- A casa? Non vieni da me?<br />

Antonio era rimasto spiazzato: così Marco dava per scontato<br />

che avrebbero passato la serata – e la notte - insieme. Gli faceva<br />

piacere, molto. Ed era d’accordo.<br />

- Ma domani vado a lavorare. Devo cambiarmi. Non posso<br />

mica rimanere con la biancheria di ieri fino a domani sera.<br />

- Hai ragione, non ci avevo pensato. Allora ti accompagno a<br />

casa, così prendi la tua roba e ti trasferisci da me.<br />

Antonio lo aveva guardato, sorridendo. Contento, molto<br />

contento, ma anche spaventato, molto spaventato. "Ti trasferisci da<br />

me" era molto, più di quello che si aspettava, più di quello che era<br />

sicuro di voler concedere.<br />

- Vai sul sicuro.<br />

Marco lo aveva spiazzato di nuovo. Davanti al cinema, con<br />

tutta la gente che usciva, gli aveva detto:<br />

- Sì, mi piaci troppo e credo di voler passare con te ogni tuo<br />

minuto libero nei prossimi tre mesi. E non solo a letto.<br />

Antonio si era trovato ancora più spaventato, ma felice.<br />

- È un po' presto, no? Mi conosci da ventiquattr'ore.<br />

- Sì, a me sono bastate. A te no, l'ho capito, ma dammi un<br />

po' di tempo.<br />

Aveva deciso di darglielo ed era stata un'altra notte<br />

fantastica. Il giorno dopo però Antonio era stravolto. Non poteva<br />

mettersi a dormire alle tre e alzarsi alle sette.<br />

Si era detto che avrebbe potuto prendere qualche giorno di<br />

ferie. Visti i problemi che c'erano stati quel<strong>l'e</strong>state con suo padre,<br />

non aveva fatto grandi viaggi e gli rimanevano parecchie ferie<br />

dell'anno prima. Comunque doveva prenderle entro marzo: aveva<br />

perfino pensato di fare un breve viaggio a febbraio, approfittando<br />

delle offerte di bassa stagione. Ma non voleva imporre la sua<br />

presenza a Marco, che non gli aveva chiesto nulla. Non sapeva bene<br />

che cosa fare.<br />

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Era uscito dal lavoro, assorto <strong>nel</strong>le sue riflessioni, senza<br />

guardarsi intorno. E, di colpo, si era trovato di fronte Marco: era<br />

venuto ad aspettarlo. Marco era scoppiato a ridere.<br />

- Dio, che faccia! Questa sera si va a dormire con le galline.<br />

Scusami. Devo pensare che tu non sei in vacanza. Sono un po'<br />

egoista.<br />

- Magari mi prendo qualche giorno di ferie, così il mattino<br />

posso dormire.<br />

- Se puoi, sarebbe splendido. Qualche giorno ogni tanto, uno<br />

o due per settimana, per riuscire a stare insieme di più. Il tempo non<br />

è molto.<br />

Il tempo non era molto davvero. Il tempo era volato.<br />

Antonio sapeva che Marco sarebbe rimasto solo qualche mese,<br />

l'aveva detto a casa di Daniela.<br />

Antonio aveva diradato i suoi impegni, rinunciato a vedere<br />

molti amici, ridotto al minimo il volontariato. Aveva preso giorni di<br />

ferie per spezzare le settimane e poi, a marzo, prima che Marco<br />

partisse, due settimane intere.<br />

Avevano trascorso una settimana a camminare lungo la costa<br />

ligure, tra Portofino e Tellaro. Antonio aveva vissuto quei giorni<br />

sospeso in una felicità tanto perfetta da apparire irreale. Stordito dal<br />

caldo, dal vento, dal cielo terso, dall’azzurro del mare, dal verde<br />

inteso della macchia, dalle forme solenni degli ulivi, aveva la<br />

sensazione di muoversi in un paradiso terrestre. Era stato davvero<br />

felice.<br />

Felice e spaventato. Sapeva di amare Marco con un'intensità<br />

che lo rendeva vulnerabile. E sapeva che la sua felicità era a<br />

termine: sarebbe stato scacciato dal suo Eden. Marco aveva detto tre<br />

mesi. Ed erano stati tre mesi.<br />

Tre mesi, il paradiso era durato tanto. Ed era arrivato il<br />

momento in cui Marco doveva partire. Per dove, Antonio non lo<br />

sapeva. Marco gli aveva già detto che del suo lavoro non intendeva<br />

parlare.<br />

- Non potrò telefonarti. E ti scriverò in modo irregolare, per<br />

un periodo lungo probabilmente non ti manderò nessuna notizia.<br />

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Scrivimi, anche se non ti rispondo. Per favore. Ti risponderò dopo,<br />

quando potrò.<br />

Antonio aveva sentito il terreno mancargli sotto i piedi.<br />

Quelle parole gli ricordavano i troppi commiati degli amori senza<br />

domani. D'altronde Marco aveva sempre parlato di tre mesi, fin<br />

dalla prima volta. I tre mesi erano passati.<br />

Antonio non aveva detto nulla, aveva annuito ed era rimasto<br />

a guardare Marco.<br />

Marco aveva capito. Ed aveva parlato chiaro.<br />

- Non è un addio. Ti amo, Antonio, ti amo. Non voglio<br />

perderti. Per te sono disposto a lottare e questo non l'ho mai detto a<br />

nessuno. Tu continua a scrivermi. Per favore.<br />

Non sapeva quanto sarebbe stato via. Meno di un anno.<br />

Non aveva voluto che Antonio lo accompagnasse<br />

all'aeroporto.<br />

Erano stati nove mesi. Nove mesi. Inizialmente Antonio, per<br />

quanto sofferente per la separazione, era stato contento di avere un<br />

po' di tempo per riflettere. Aveva ripreso la propria vita quotidiana<br />

quasi volentieri, senza la tensione di quell'amore violento, di quella<br />

vita provvisoria.<br />

Aveva scoperto in fretta che la sua vita quotidiana non<br />

esisteva più e che tutto quello che le aveva dato senso e pienezza,<br />

era diventato insufficiente.<br />

I nove mesi erano stati nove mesi di attesa, nove mesi<br />

sospeso in un limbo, nove mesi di delirio.<br />

Il delirio erano le lettere. Le lettere di Marco. Arrivavano<br />

tutte da Tangeri. Dove Antonio mandava le sue. Nessuno gli aveva<br />

mai scritto lettere come quelle.<br />

Ogni lettera era diversa. La prima lo aveva spiazzato subito.<br />

To vuo decir ke ti so mo sol, ma lun-a, ma vid, da aqua ka<br />

kalm da sede, do fog ke bruc, do pan ko sfam. Te kier, te am, te<br />

desio. Te desio ko mo kor, ko me man, ko ma te-ta, ko mo kaz, ko<br />

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ma alm. Desio to korp, to kor, to kul, te man, te kaz, ta leng-a, desio<br />

ta alm, ta alm, do fog ke sta in ti e ke mi bruc.<br />

Alle prime righe Antonio si era chiesto in che lingua fosse<br />

stata scritta quella lettera e perché Marco avesse scritto così. La<br />

spiegazione era <strong>nel</strong>le righe successive.<br />

Vorrei una lingua nuova, parole non logorate dall'uso, per<br />

dirti quello che ho dentro. Parole nuove, ma trovo solo un<br />

grammelot alla Fo per esprimere sentimenti che non ho mai<br />

provato. Come hai fatto, Antonio, ad accendere questo fuoco?...<br />

Quelle parole esprimevano ciò che Antonio provava e che si<br />

sarebbe vergognato a scrivere, perché aveva pudore dei suoi<br />

sentimenti.<br />

La lettera seguente arrivò scritta in rosso.<br />

Sei <strong>nel</strong> mio sangue. In queste gocce che scendono c'è il tuo<br />

nome. In ogni goccia il tuo nome...<br />

Antonio avrebbe voluto che fosse il cattivo gusto di un<br />

inchiostro rosso, ma sapeva che non era così. Si era detto che era<br />

comunque di cattivo gusto, ma sapeva di dirselo per tenere a bada<br />

ciò che ad ogni lettera cresceva dentro di lui.<br />

Poi arrivò una lettera particolarmente voluminosa: una<br />

dozzina di fogli scritti fitti fitti.<br />

Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio,<br />

Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio,<br />

Antonio, Antonio, Antonio, ...<br />

Alla fine dell'ultimo foglio, poche righe:<br />

Ho passato la notte a scrivere il tuo nome. Forse la più<br />

bella notte della mia vita, dopo quella trascorsa a guardarti<br />

dormire accanto a me. La nostra terza insieme. Tu eri stanco,<br />

riposavi. Io non ho chiuso occhio.<br />

Le lettere di Marco non erano in risposta alle sue, né in<br />

relazione una con l'altra. Ognuna partiva per conto suo, con una sua<br />

traiettoria imprevedibile. Con una sicurezza che sbigottiva Antonio.<br />

In una Marco gli raccontava come aveva vissuto il loro primo<br />

incontro.<br />

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Quando sei entrato <strong>nel</strong>la stanza non mi hai fatto nessuna<br />

impressione particolare. Eri vestito male, non con cattivo gusto, ma<br />

si vedeva che non badi molto a quello che ti metti addosso. A tavola<br />

parlavi poco, ho pensato che non avessi niente da dire, che fossi<br />

una nullità. Avevo capito di esserti piaciuto, ma non me ne<br />

importava un bel niente. Questo ti ha dato un buon vantaggio.<br />

Nell'Arte della guerra Sun Tzu dice che bisogna nascondere<br />

l'ordine sotto l'apparenza del disordine, il coraggio sotto<br />

l'apparenza della paura, la forza sotto la debolezza. Secondo me<br />

devi averlo letto. Io non sono stato in guardia e quando hai<br />

cominciato a parlare, ogni osservazione era un punto a tuo favore.<br />

Quando ci siamo alzati da tavola, avevo già deciso che ti avrei<br />

portato a letto ed ero convinto che ci saresti stato: ho sempre avuto<br />

un buon successo con gli uomini. Quando abbiamo cominciato a<br />

parlare di AIDS e della LILA, mi sei piaciuto moltissimo, ma più<br />

andavamo avanti, meno ero sicuro di riuscire a portarti a letto, non<br />

sapevo se avevo le carte giuste per giocare quella mano. Su Céline<br />

mi sono sentito in svantaggio, maledettamente in svantaggio.<br />

Quando siamo scesi, ero preoccupato. Se non fossi riuscito<br />

a bloccarti, non sapevo come e quando avrei potuto rivederti.<br />

Potevo chiedere a Lucio di combinare di nuovo, ma non avrebbe<br />

potuto essere subito. Che sollievo quando tu ci sei stato!<br />

Scopare non era quello che mi interessava di più, a quel<br />

punto. Ti ho portato subito a letto solo perché mi sentivo più sicuro,<br />

contavo di fare bella figura. Dopo, quando ti sei addormentato, ti<br />

ho guardato. E mi sono chiesto se non era meglio mandarti via.<br />

Non sono abituato a mentirmi. Mi sono detto che se non volevo<br />

rischiare, era meglio chiudere subito. E mi sono detto che volevo<br />

rischiare.<br />

Il pomeriggio mi sei sembrato disponibile ed ho cominciato<br />

a sentirmi più sicuro. Ma avevo paura. Quando all'uscita dal<br />

cinema mi hai detto che volevi andare a casa è stato un brutto<br />

colpo. Ho ancora paura. Non accetterei di perderti. Credevo di<br />

avere già amato. Ho capito che non era vero.<br />

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Una lettera era un testo teatrale ispirato alla Dodicesima<br />

notte che avevano visto insieme. Nello spettacolo c'era un attore<br />

bellissimo, che impersonava il capitano Antonio, e Marco lo aveva<br />

preso in giro perché lui l'aveva fissato con un'attenzione eccessiva.<br />

Nel testo di Marco, un vero e proprio copione, c'era un Orsino-<br />

Marco ed il capitano Antonio in gara per l'amore di un Sebastiano-<br />

Antonio.<br />

Il testo finiva con una piccola vendetta personale di Marco.<br />

ORSINO (alle guardie, indicando Antonio): Conducete<br />

quest'uomo sulla pubblica piazza e squartatelo.<br />

SEBASTIANO: Ti prego, mio amore. Risparmiagli la vita.<br />

Mi ha salvato dalle acque, mi ha protetto, ha meritato il mio affetto<br />

e la tua riconoscenza.<br />

ORSINO: Ogni tua parola aggiunge fuoco al mio odio per<br />

lui. Eseguite la sentenza.<br />

ANTONIO (mentre viene trascinato via): Sebastiano, non<br />

m'importa della vita, poiché ti ho perduto!<br />

Diverse lettere contenevano fantasie erotiche e recavano una<br />

scritta, in alto a sinistra:<br />

Lettera da tenere con la mano sinistra<br />

Sei steso sul letto. Dormi. Io entro piano. Mi sporgo su di te<br />

e ti guardo. Il lenzuolo ti copre. Vedo soltanto la testa che emerge, i<br />

capelli neri. Mi fermo. Non voglio svegliarti...<br />

Cominciavano come storie di vita quotidiana oppure come<br />

racconti d'azione, ma finivano a luci rosse. Antonio si vergognava a<br />

leggerle, ma il suo corpo non si vergognava per nulla e reagiva con<br />

intensità. Presto aveva cominciato ad utilizzarle deliberatamente per<br />

lo scopo con cui erano state prodotte, rileggendole quando la lunga<br />

astinenza acuiva il suo desiderio.<br />

Una volta la busta conteneva solo un foglio bianco, un po'<br />

macchiato e rovinato. Antonio ci aveva messo un buon momento<br />

prima di capire che c'era qualche cosa scritto. Guardando controluce<br />

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aveva decifrato un Ti amo ed aveva capito il tipo di inchiostro<br />

usato.<br />

Antonio aveva cercato di comprendere, di inserire ognuna di<br />

quelle lettere <strong>nel</strong> ritratto che si era costruito di Marco. Alcuni<br />

elementi avevano trovato la loro collocazione senza fatica: la<br />

profondità dei sentimenti e la capacità di esprimerli direttamente, la<br />

fantasia e la franchezza estrema <strong>nel</strong>la sessualità, la sicurezza<br />

rispetto al proprio corpo, l'ironia, una certa gelosia controllata<br />

dall'intelligenza, erano tutte caratteristiche che aveva scoperto ed<br />

imparato ad amare. La fragilità e l'insicurezza che a volte<br />

trasparivano erano state una scoperta inattesa ed inizialmente gli<br />

erano sembrate una nota fuori posto, ma poi aveva capito che<br />

facevano parte della sensibilità di Marco, erano un aspetto del suo<br />

essere attento agli altri. La violenza dell'amore che aveva ispirato lo<br />

aveva preso di sorpresa, lo aveva spaventato, lo aveva soggiogato.<br />

Aveva paura dei propri sentimenti, che sentiva crescere. Ed<br />

aveva paura di non riuscire a trasmetterli. Scrivendo, si sentiva<br />

analfabeta, cercava un suo linguaggio che non trovava. La sua<br />

esistenza quotidiana, il lavoro, gli interessi, le attività, tutto ciò di<br />

cui parlava a Marco <strong>nel</strong>le sue lettere gli sembrava banale. L'aveva<br />

scritto a Marco e Marco gli aveva risposto. Una delle rare volte in<br />

cui la lettera di Marco era una risposta.<br />

Ogni tua lettera è un dono prezioso. Ogni lettera è un po' di<br />

te. Quando la ricevo la apro e la divoro, ingordo. Poi me la rileggo<br />

con cura, assaporandola. Dici che non è poesia, ma solo zavorra.<br />

Ho bisogno di zavorra per non perdermi <strong>nel</strong>lo spazio: senza questa<br />

zavorra vagherei infelice e sperduto <strong>nel</strong> vuoto. In alto, negli spazi<br />

immensi, è freddo e buio. Il tuo calore, la tua luce mi tengono<br />

ancorato a terra.<br />

Poi c'era stato il silenzio, un lunghissimo silenzio. Quasi tre<br />

mesi senza lettere. Antonio aveva continuato a scrivere. Si era detto<br />

che non doveva preoccuparsi, che Marco l'aveva avvisato. Ma<br />

Antonio aveva cominciato a provare paura, una paura che era<br />

cresciuta, fino a diventare intollerabile. Non si era arreso, con<br />

quell'ostinazione che da sempre lo caratterizzava. Per darsi forza<br />

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continuava a rileggere le lettere precedenti. Aveva finito per<br />

impararle a memoria. Ogni tanto se ne ripeteva interi brani. Più di<br />

una volta era andato in piazza Carlina e si era messo a guardare<br />

l'appartamento di Marco. Era rimasto ore a guardarlo, ripetendosi<br />

brani delle lettere. Una notte era arrivata la polizia, chiamata da un<br />

vicino insospettito, e non era stato facile spiegare.<br />

Cercava di difendersi, ma soffriva, come mai gli era<br />

accaduto.<br />

E finalmente una lettera era arrivata.<br />

Sono ricco. Diciotto lettere di Antonio. Diciotto perle sulla<br />

scrivania. Le guardo. Non le ho aperte. Guardo sulle buste la<br />

scrittura che conosco benissimo. Con i polpastrelli sfioro il mio<br />

nome ripetuto diciotto volte. Valuto lo spessore delle lettere. Due<br />

hanno almeno tre fogli, forse quattro. La mia ricchezza è infinita.<br />

Sono Bill Gates, Paperon de' Paperoni. Rimando il piacere, per<br />

godere di più. Pregusto la gioia di leggerle. Una dopo l'altra, una<br />

per volta. Piano, come un naufrago che giunto a terra vorrebbe<br />

bere l'intera fonte, ma sa che non può, perché l'ucciderebbe. Non<br />

reggerei alla gioia di tutte queste pagine di Antonio.<br />

Leggerle, sapendo che dopo ce n'è un'altra e poi ancora<br />

un'altra e poi ancora. Leggerle sapendo che se in una c'è un<br />

dubbio, c'è ancora lo spazio per vederlo dissiparsi. Un po' di paura,<br />

in fondo. Un po' di ansia perché forse l'ultima lettera potrebbe<br />

essere un po' più fredda. Molta paura. Quella ho bisogno di<br />

leggerla subito. Come quando si legge un libro e si va alla fine a<br />

vedere se il personaggio che ci piace riesce ad arrivare in porto<br />

sano e salvo. Le altre, una per volta, Antonio, la tua voce, un po'<br />

per volta. Vorrei leggerle una al giorno, per potermi svegliare ogni<br />

giorno con il pensiero che c'è una lettera di Antonio che mi aspetta.<br />

Ma non ce la farò. Voglio farle durare. Antonio, non riesco a dirti<br />

quanto mi hai dato.<br />

Grazie, grazie per aver creduto in me.<br />

Quando, dopo tre mesi di attesa, Antonio aveva aperto<br />

quella lettera, era stato sul punto di piangere.<br />

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Marco era tornato in inverno, quasi un anno dopo il loro<br />

primo incontro. Antonio aveva paura di quel ritrovarsi, paura di non<br />

riuscire a ricreare quell'intesa perfetta che c’era stata tra di loro. Ma<br />

avevano ripreso da dove si erano lasciati, come se il tempo non<br />

fosse passato.<br />

No, avevano ripreso da un livello superiore, perché in lui, ed<br />

anche in Marco, su questo non aveva dubbi, quell'assenza aveva<br />

stretto il legame. Quelle lettere li avevano segnati, entrambi: ora<br />

Antonio conosceva Marco come nessun altro e Marco sapeva di<br />

essersi messo a nudo davanti ad Antonio.<br />

A nudo, senza difese. Ma non completamente: in nessuna<br />

lettera, mai, Marco aveva fatto un qualsiasi accenno al proprio<br />

lavoro. Nudo, ma con le mani ben nascoste dietro la schiena.<br />

Proprio la confidenza completa rendeva più inquietante quella<br />

riserva totale sul lavoro. Antonio si poneva le domande che non si<br />

era posto prima, quando quel lavoro era soltanto una realtà<br />

spiacevole e fastidiosa, che gli avrebbe portato via Marco.<br />

Di nuovo tre mesi, gli ultimi tre mesi di paradiso. Antonio si<br />

era trasferito a casa di Marco. In via Piazzi andava solo ogni tanto a<br />

bagnare i fiori, ritirare la posta e controllare i messaggi <strong>nel</strong>la<br />

segreteria telefonica. Più spesso era Marco a svolgere quei compiti,<br />

mentre lui era al lavoro: non volevano rinunciare al tempo che era<br />

loro concesso.<br />

E poi di nuovo l'avvicinarsi della partenza. Tre giorni prima,<br />

Marco gli aveva detto:<br />

- Perché non rimani qui mentre io sono via?<br />

- Qui, da te?<br />

- Da noi.<br />

Antonio sapeva il significato di quell’invito. Non se n’era<br />

stupito. Sapeva che cosa provava lui e che cosa provava Marco.<br />

- È una proposta di matrimonio?<br />

Marco aveva riso, ma gli occhi erano seri:<br />

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- Forse sì.<br />

- Verrò, ma al tuo ritorno.<br />

Quella sera Marco sarebbe partito. Per dove, Antonio non<br />

sapeva. E questo non sapere ora gli pesava. Come l'anno precedente<br />

Antonio aveva preso alcuni giorni di ferie per stargli vicino. Ma un<br />

dubbio lo rodeva.<br />

Marco aveva colto l’inquietudine di Antonio, aveva capito<br />

che non era solo la sofferenza del distacco imminente. Sapeva<br />

leggere in lui.<br />

- Fuori il rospo, che cosa c'è? Tornerò, Antonio, ora dovresti<br />

saperlo.<br />

- Lo so, non è questo.<br />

- Allora?<br />

- Marco, so che non vuoi parlare del tuo lavoro.<br />

Aveva colto il leggero irrigidirsi di Marco.<br />

- No, e ti sono molto grato perché in tutto questo tempo hai<br />

rispettato pienamente la mia richiesta e non hai toccato questo tasto.<br />

Il tono era stato freddo, quasi ufficiale. La frase costruita.<br />

Quello era un altro Marco, che nulla aveva a che fare con il Marco<br />

che lui aveva imparato a conoscere a fondo. Ma esisteva anche<br />

quell’altro Marco.<br />

- È un modo per mettermi in guardia?<br />

- Se hai bisogno di essere messo in guardia, sì, lo è.<br />

Rimasero un momento in silenzio. Di fronte al tono duro<br />

usato da Marco, Antonio si chiese se non fosse meglio lasciar<br />

perdere.<br />

Eppure c’era qualche cosa che aveva bisogno di sapere.<br />

- Non voglio sapere che lavoro fai, sono affari tuoi. Solo... a<br />

volte mi chiedo...<br />

e due.<br />

- Non ti fare domande e non ne fare a me. È meglio per tutti<br />

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Marco era un muro, un muro che gli sbarrava la strada. Ed in<br />

quella durezza Antonio avvertiva tensione e paura. Marco voleva<br />

sfuggire a quella conversazione, alla domanda che Antonio voleva<br />

porgli. Ed Antonio avvertiva sempre più forte il bisogno di sapere.<br />

Aveva proseguito, incerto.<br />

- È una parte di te che mi manca. Un segreto enorme che mi<br />

fa paura. Vorrei sapere...<br />

Non sapeva come continuare.<br />

- Saperlo potrebbe essere la fine del nostro rapporto. Vuoi<br />

saperlo anche a questo prezzo?<br />

Antonio aveva avuto l’impressione che il terreno gli<br />

mancasse sotto i piedi. Quel prezzo non era disposto a pagarlo.<br />

Scosse la testa.<br />

no.<br />

- No, a questo prezzo no. No, se non sei tu che vuoi dirmelo,<br />

Marco taceva, inquieto, a disagio. Ora era lui ad avvertire il<br />

bisogno di affrontare l’argomento. Anche lui si rendeva conto di<br />

quanto anomalo fosse il proprio silenzio. Poi parlò:<br />

- Tu cosa credi che faccia? Ti sarai fatto delle ipotesi, no?<br />

- Non lo so, prima ho pensato che tu facessi l'ingegnere, il<br />

tecnico, magari di qualche multinazionale. Che so... poi ho pensato<br />

che fossi una spia, un guerrigliero per qualche causa persa.<br />

La sua paura era un'altra e Marco l'aveva capito.<br />

- Di' quello che pensi, non barare.<br />

Antonio aveva cercato le parole giuste.<br />

- Mi chiedo se non fai qualche cosa... qualche cosa che non<br />

è giusto.<br />

Marco si era seduto davanti a lui e lo aveva fissato.<br />

- Il bene ed il male.<br />

Era quello? Sì, era quello.<br />

- Sì, il bene ed il male.<br />

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Marco si era alzato di scatto e si era avvicinato alla finestra.<br />

Aveva guardato fuori.<br />

- Proprio di uno con una coscienza dovevo innamorarmi?<br />

Una coscienza è roba vecchia, Antonio, non ce l’ha più nessuno.<br />

Antonio non aveva replicato. Aveva paura. Marco aveva<br />

ripreso:<br />

- Perché se facessi qualche cosa di male, che tu giudichi<br />

male, allora non potresti più stare con me.<br />

- No, non è questo.<br />

- Se fossi un falsario, un ladro, non mi potresti amare.<br />

Marco parlava con freddezza, ma Antonio non si era lasciato<br />

ingannare. Soltanto, ora aveva ancora più paura, perché anche<br />

Marco aveva paura.<br />

- No, ti amerei lo stesso, questo lo so, ma soffrirei e<br />

cercherei di farti cambiare vita.<br />

C'era stato un lungo silenzio. Se Antonio avesse potuto,<br />

avrebbe cancellato tutto quello che si erano detti.<br />

Infine Marco aveva parlato.<br />

- Hai ragione. Te lo devo dire.<br />

Ora Antonio non avrebbe più voluto.<br />

- No, se non vuoi davvero.<br />

- Lo voglio. Non posso tacere, non ha senso, non con te.<br />

Faccio il soldato in una compagnia privata.<br />

Il mondo gli era crollato addosso senza preavviso. Senza<br />

neanche il tempo di prendere fiato.<br />

- Vuoi dire che...<br />

- Che faccio parte di truppe che vengono arruolate <strong>nel</strong>le<br />

diverse guerre che si combattono qua e là <strong>nel</strong> mondo. Sono un<br />

ufficiale. Mi occupo di addestramento e di azioni. Combatto.<br />

- Combattere, ammazzare.<br />

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Antonio non sapeva che cosa aveva dentro. Stupore,<br />

disperazione, rabbia, smarrimento. Avvertiva un dolore sordo, che<br />

non era in grado di analizzare.<br />

- Si ammazzano comunque. Spesso il nostro intervento<br />

permette di mettere fine prima alla guerra.<br />

- O di cominciarne una. O di fare un colpo di stato. Senza<br />

chiederti chi ha ragione e chi ha torto.<br />

- Quasi sempre le due parti si equivalgono. E valgono poco.<br />

Antonio si era alzato di scatto ed aveva urlato.<br />

- Marco, come fai, tu, ad ammazzare, per soldi?<br />

Era fuggito.<br />

Era andato a casa e si era accasciato sulla poltrona. Il<br />

telefono aveva squillato, ma Antonio non aveva risposto. Aveva<br />

staccato la segreteria ed era uscito. Era rimasto fuori tutto il giorno.<br />

Era stato dai suoi, aveva girato. Era tornato a sera, quando sapeva<br />

che Marco non era più a Torino. Febbricitante ed esausto si era<br />

steso sul letto, cercando invano di dormire.<br />

Il rimorso di quella telefonata che non aveva raccolto, di<br />

quel dialogo che aveva rifiutato, lo aveva accompagnato, giorno<br />

dopo giorno.<br />

Marco era partito.<br />

Era calato il silenzio. In quel silenzio aveva di nuovo cercato<br />

di rimettere insieme i pezzi, di ricostruire l'immagine di Marco. Ma<br />

non quadrava. Non riusciva a capire come Marco potesse essere un<br />

mercenario. Perché anche se Marco non aveva usato quella parola,<br />

di questo si trattava.<br />

Era passato oltre un mese. Senza una lettera, senza una<br />

parola. Allora Antonio aveva scritto. Al solito indirizzo di Tangeri.<br />

Senza avere la più pallida idea se quell'indirizzo fosse ancora<br />

valido. Un'unica, breve lettera, che aveva riscritto venti volte e poi<br />

scarabocchiato di corsa ed imbucato subito, per non darsi il tempo<br />

di tornare indietro.<br />

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So di avere sbagliato. Non avevo il diritto di fuggire senza<br />

ascoltarti. Ero sconvolto. Dimmi che possiamo parlarne, quando<br />

torni, quando vuoi. Ti amo, come non ho mai amato. Non voglio<br />

rinunciare a te. Anch'io sono disposto a lottare per non perderti, ad<br />

ogni costo. Ti amo.<br />

Non c'era stata risposta.<br />

Tre mesi dopo la partenza di Marco era arrivata una lettera<br />

da Tangeri. La grafia sulla busta era la solita di tutte le lettere. Non<br />

era la grafia di Marco, ma di qualcun altro, che evidentemente<br />

scriveva gli indirizzi per gli uomini della compagnia.<br />

Antonio aveva guardato la lettera che aveva aspettato invano<br />

per tre mesi. Si era sentito sommergere dalla gioia. Se Marco gli<br />

rispondeva, non era finita. La sua vita poteva riacquistare un senso.<br />

Dopo essersi tolto le scarpe ed infilato le pantofole, si era<br />

seduto in poltrona, ma le mani gli tremavano tanto, che non era<br />

riuscito ad aprire la busta. Aveva paura, una paura infinita.<br />

Alla fine aveva aperto. La gioia che lo aveva invaso quando<br />

aveva visto la busta, si era dissolta immediatamente. La lettera<br />

all'interno non era stata scritta da Marco. La firma non era di Marco.<br />

Era una lettera molto breve.<br />

Gentile signor Abate<br />

le scrivo per comunicarle che Marco Torri è morto tre<br />

giorni fa. Per motivi che lei capirà, non posso darle informazioni<br />

sul luogo e le circostanze. Marco mi aveva pregato, se gli fosse<br />

successo qualche cosa, di avvisarla. Credo che avesse un<br />

presentimento. Il suo corpo è stato cremato dove è morto e le sue<br />

ceneri disperse al vento, come aveva richiesto.<br />

La lettera era firmata. Solo un nome, nessun cognome,<br />

nessun indirizzo, nessuna tomba. Marco era morto. In qualche parte<br />

dell'Africa, probabilmente, su una mina, sì, era plausibile. O magari<br />

in uno scontro a fuoco. O... Marco era morto. Marco era morto. Si<br />

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era alzato, era andato alla finestra. Era tornato a sedersi. Aveva<br />

guardato la busta vuota. Aveva riletto l'indirizzo, come se sperasse<br />

che la lettera non fosse indirizzata a lui. Si era seduto a guardare <strong>nel</strong><br />

vuoto. Marco era morto.<br />

Sei mesi prima, poco meno.<br />

Il pomeriggio del suo primo giorno di disoccupato uscì per<br />

andare a fare la spesa. Prese whisky e champagne. Già, champagne.<br />

Avrebbe festeggiato. Festeggiato la disoccupazione ed il secondo<br />

anniversario del suo incontro con Marco.<br />

Rientrando a casa, vide la lettera sul cassettone dell'ingresso.<br />

La fissò, senza capire. Era uscito venti minuti prima, non c'era nulla<br />

sul cassettone. Ne era sicuro. Non era ubriaco. Non più, dal mattino,<br />

o non ancora: lo sarebbe stato tra poco. La lettera non aveva un<br />

destinatario. L'aprì. Solo tre righe. Non conosceva la scrittura.<br />

Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri, trovati domani<br />

alle tre al bar Il Gelatiere, corso Einaudi angolo corso De Gasperi.<br />

Siediti ad un tavolo vicino alla strada.<br />

Guardò la lettera senza capire. Che cosa c'era ancora da<br />

sapere su Marco Torri? Che cosa c'era da sapere su un morto? Pensò<br />

che doveva farsi un bicchierino. Portò sul tavolo del ti<strong>nel</strong>lo la borsa<br />

con le bottiglie. Le guardò. Il resto avvenne quasi automaticamente.<br />

Aprì le tre bottiglie di whisky, le prese una ad una e le vuotò <strong>nel</strong><br />

lavandino. Sapeva che aveva finito. Non sapeva che cosa sarebbe<br />

successo, ma con i liquori aveva finito. La bottiglia di champagne<br />

seguì la stessa sorte, ma stappandola Antonio pensò che festeggiava<br />

una fine. Non sapeva di che cosa.<br />

Quella notte quasi non dormì.<br />

Arrivò al bar un po' in anticipo e si sedette ad un tavolo di<br />

fianco alla grande vetrina. Il cameriere si avvicinò.<br />

- Il signor Abate?<br />

- Sì?<br />

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Marco rimase stupito a sentirsi chiamare per nome. Anche<br />

se qualche volta veniva a prendere un gelato, non era un cliente<br />

abituale e non aveva mai lasciato il suo nome.<br />

- È arrivato tardi, il signore non ha potuto aspettarla, ma ha<br />

lasciato questo per lei.<br />

Avrebbe voluto dire che era puntualissimo, ma non aveva<br />

senso. Prese la grossa busta gialla che gli porgeva il cameriere.<br />

L'aprì. Un biglietto ed un'altra busta. Il biglietto conteneva poche<br />

righe, stampate:<br />

Prendi il passaporto. Alla frontiera australiana hanno tutti i<br />

dati, con l'autorizzazione che serve come visto. Non portare<br />

nient'altro. Lo spazzolino lo fornisce la Qantas.<br />

Sussultò. Lo spazzolino lo fornisce la Qantas. Marco<br />

scherzava spesso sulla sua attenzione un po' maniacale alla pulizia<br />

dei denti.<br />

Dentro la seconda busta un biglietto aereo. Torino-<br />

Francoforte-Singapore-Sidney. Sola andata. A nome suo. Partenza<br />

quattro ore dopo.<br />

Era assurdo. Non sarebbe partito. Non aveva nessun senso.<br />

Mollare tutto con un biglietto di sola andata.<br />

Lo spazzolino lo fornisce la Qantas.<br />

Non aveva senso. Se lo disse mentre tornava a casa, lo ripeté<br />

mentre sbarrava le imposte dalla parte interna, come quando partiva<br />

per le vacanze. Non aveva senso, anche se tanto non aveva più un<br />

lavoro. Non occorreva neanche chiedere a Dario di venire a bagnare<br />

le piante. Le aveva lasciate morire tutte. Lui, che era così orgoglioso<br />

del suo pollice verde. Non aveva senso. Telefonò ai suoi genitori,<br />

dicendo che sarebbe stato via per alcuni giorni.<br />

Non aveva senso, si sarebbe ritrovato in Australia senza un<br />

soldo, senza sapere che cosa fare, sarebbe stato un suicidio, faceva<br />

bene a non andarci. Questo se lo disse mentre scendeva dal taxi che<br />

lo aveva portato all'aeroporto di Caselle e controllava a quale banco<br />

doveva dirigersi. Torino-Francoforte era Lufthansa, quindi zona C.<br />

L'impiegata prese il biglietto.<br />

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- Metta pure il suo bagaglio sul nastro.<br />

- Non ho bagaglio.<br />

- Bagaglio a mano?<br />

- No, niente.<br />

Lo guardò perplessa. Non doveva capitare spesso che<br />

qualcuno partisse per l'Australia con un biglietto di sola andata e<br />

neppure una ventiquattr'ore come bagaglio. Non aveva senso.<br />

Antonio disse:<br />

- Tanto lo spazzolino lo fornisce la Qantas.<br />

L'impiegata sorrise, ma era un sorriso poco convinto.<br />

Una notte in aereo, in cui non dormì per nulla. Un giorno tra<br />

volo e sosta in aeroporto a Singapore. Un'altra notte in aereo.<br />

Cercava di non pensare a nulla. Se vuoi sapere qualche cosa di<br />

Marco Torri. La stanchezza di due notti insonni ebbe infine la<br />

meglio e riuscì a dormire alcune ore. Il mattino dopo era a Sidney.<br />

Scese, passò il controllo doganale e si trovò <strong>nel</strong>l'aeroporto. C'erano<br />

due o tre persone che aspettavano i passeggeri con i cartellini, ma il<br />

suo nome non era scritto su nessuno. Era idiota aspettarselo. Si<br />

chiese se sarebbe rimasto senza biglietto di ritorno, senza soldi,<br />

senza nulla, in quel di Sidney. Aveva la carta di credito, in qualche<br />

modo sarebbe riuscito a rientrare.<br />

Poi sentì una voce alle sue spalle, una voce con un leggero<br />

accento straniero.<br />

- L'aspettavo, signor Abate. Da questa parte.<br />

L'uomo lo accompagnò al parcheggio e lo fece salire<br />

sull'auto. Antonio non chiese nulla. Aveva paura di chiedere.<br />

L'uomo non aprì bocca fino a che non si fermò in città, davanti ad<br />

un albergo.<br />

- L'albergo è già pagato. Compresi pranzo e cena. La<br />

chiameranno domani mattina alle otto. Si trovi all'ingresso alle nove<br />

in punto. Cerchi di riposare.<br />

Annuì. Salì in camera. Si spogliò, si fece la doccia e si mise<br />

a letto. Quando viaggiava cercava sempre di ingranare con il fuso,<br />

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aspettando la sera prima di mettersi a dormire. Ora non gliene<br />

importava niente. Non appena si stese si addormentò. Si svegliò <strong>nel</strong><br />

pomeriggio. Per un attimo si chiese dove si trovava, poi capì. Scese<br />

e fece un giro per il quartiere, attento solo a non perdere<br />

l'orientamento. Faceva molto caldo, per lui che arrivava<br />

dall'inverno. Aveva lasciato i vestiti pesanti in camera, ma avrebbe<br />

dovuto almeno togliersi la canottiera. La camicia l'aveva addosso da<br />

tre giorni. Mutande e calze pure. E aveva le scarpe invernali.<br />

Ottimo.<br />

Tornò in camera, si fece una seconda doccia e si stese sul<br />

letto, ma non chiuse occhio fino al primo mattino.<br />

Scese a colazione con un cerchio alla testa. Tornò in camera<br />

a lavarsi i denti, con lo spazzolino della Qantas, e alle nove scese al<br />

banco. L'addetto gli sorrise.<br />

- Il suo taxi è pronto. Qui c'è il suo biglietto aereo.<br />

Ebbe paura che fosse un biglietto di ritorno. Aprì subito la<br />

busta. Era un biglietto per Cairns. Avrebbe voluto chiedere dov'era<br />

Cairns, ma in fondo era irrilevante. Trovare un biglietto di ritorno<br />

sarebbe stato divertente. Scusate tanto, abbiamo scherzato. E non<br />

avrebbe avuto nessuna idea di che cosa fare. Immaginava il dialogo<br />

con Dario, che in questo periodo cercava di fargli da angelo<br />

custode: - Ti ho cercato ieri, che cosa hai fatto? - Oh, niente, sono<br />

andato in Australia. Volevo vedere i canguri.<br />

Salì sul taxi. L'autista mise subito in moto. Sapeva già dove<br />

andare. Non disse una parola. Meglio così: Antonio non aveva<br />

voglia di fare conversazione. L'inglese degli australiani doveva<br />

essere tremendo.<br />

A Cairns si ripeté la scena del giorno prima. Comunque si<br />

mettesse, gli arrivavano sempre alle spalle.<br />

L'albergo era un posto piacevole, ma avrebbe lasciato anche<br />

quello, l'indomani, alle sette.<br />

Il caldo era intollerabile. Pensò che avrebbe fatto meglio a<br />

comprarsi un po' di biancheria, con la carta di credito. Non poteva<br />

continuare con la roba di quattro giorni prima. Controllò <strong>nel</strong>la tasca<br />

che portava a tracolla e scoprì che non aveva più né passaporto, né<br />

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carta di credito. La carta di credito era la sua unica possibilità di<br />

comprare un biglietto di ritorno, di cavarsela. Certo, avrebbe potuto<br />

rivolgersi alla polizia, ma avrebbe avuto difficoltà a spiegare molte<br />

cose. Bene, sarebbe rimasto con la roba addosso. Cercava solo di<br />

non pensare. Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri.<br />

La notte dormì, anche se di un sonno agitato.<br />

Si svegliò il mattino. I suoi abiti erano spariti. Al loro posto<br />

una maglietta, un paio di pantaloni ed uno di mutande, un<br />

fazzoletto, un paio di scarpe leggere. Il tutto perfettamente di<br />

misura, molto sobrio, di puro cotone. Chi aveva preso quei vestiti lo<br />

conosceva bene. Altre conclusioni, Antonio non ne voleva trarre.<br />

Dopo colazione passarono a prenderlo su un fuoristrada.<br />

Viaggiarono due ore su una strada asfaltata, poi presero una sterrata.<br />

Era ormai mezzogiorno quando Antonio si decise a chiedere.<br />

- È lontano?<br />

Era il suo primo ed unico tentativo di far parlare uno dei<br />

suoi autisti. Il risultato non fu propriamente brillante.<br />

- È più in là.<br />

Lasciò perdere. D'altronde, non si era aspettato molto.<br />

Verso l'una arrivarono in una piccola baia. L'auto si fermò.<br />

C'era un sentiero che dalla strada scendeva fino ad una casetta di<br />

legno in riva al mare.<br />

- La casa là sotto.<br />

L'uomo non disse altro. Antonio evitò di salutare, scese<br />

dall'auto e si diresse verso la casa. La casa era chiusa. Davanti<br />

all'ingresso c'era un portico, con un tavolo. Sul tavolo un bicchiere<br />

con un liquido. Tra due pali del portico un'amaca.<br />

Sapeva di dover bere e sapeva che bevendo si sarebbe<br />

addormentato. Volevano che si mettesse <strong>nel</strong>le loro mani,<br />

consenziente.<br />

- Speriamo solo che non sia alcolico - pensò.<br />

Sapeva che lo stavano guardando. Non esitò. Prese il<br />

bicchiere e bevve, fino in fondo. Si sarebbe detto un banale succo di<br />

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ananas. Forse con un retrogusto un po' amaro. Se fosse stato un<br />

buon veleno, sarebbe stata la cosa migliore. Si sdraiò sull'amaca e si<br />

sentì presto scivolare <strong>nel</strong> sonno. Se vuoi sapere qualche cosa di<br />

Marco Torri.<br />

Si svegliò <strong>nel</strong>la cuccetta di un’imbarcazione, che dondolava<br />

appena. Il mare doveva essere calmo. Si alzò e salì in coperta.<br />

Nessuno, ovviamente. Il battello era ancorato a poche decine di<br />

metri da un'isola. Sull'isola una figura in piedi. Vicino ad una<br />

palma.<br />

Si spogliò e scese <strong>nel</strong>l'acqua, che gli arrivava fino al collo.<br />

Camminò verso la riva. La figura gli voltava la schiena. Rimaneva<br />

immobile, come se guardasse un punto lontano all'orizzonte.<br />

Antonio uscì dall'acqua e si avvicinò. Il corpo nudo che si offriva ai<br />

suoi sguardi gli era noto in ogni dettaglio. Ora però era cambiato.<br />

La gamba sinistra finiva sotto il ginocchio. Sotto, una protesi. La<br />

mano sinistra era stesa ed aperta, a mostrare bene le due dita<br />

mozzate alla prima falange ed il mignolo mancante. Come a dire<br />

che quello era quanto c'era. Prendere o lasciare.<br />

Antonio fissò quel corpo, incapace di dare un senso a tutto<br />

ciò che emergeva dentro di lui.<br />

Poi si voltò, fece tre passi e si sedette sulla spiaggia a<br />

guardare il mare dalla parte opposta.<br />

L'uomo chinò la testa, chiuse gli occhi un momento, poi<br />

venne a sedersi vicino a lui, leggermente più indietro, e parlò,<br />

fissando il mare.<br />

- Ti ho seguito da lontano. Speravo che tu mi dimenticassi, ti<br />

trovassi un'altra storia, riprendessi a vivere. Per questo quando ho<br />

avuto l'incidente ti ho fatto scrivere che ero morto. Non so se volevo<br />

che mi dimenticassi. Non lo volevo per niente. Ti avrei maledetto se<br />

mi avessi dimenticato. Io non avrei potuto dimenticarti. Io non ti<br />

avrei dimenticato. Se tu mi avessi dimenticato, sarei stato libero…<br />

Invece ti ho visto scivolare verso il fondo. Prima<br />

impercettibilmente, poi sempre più rapidamente. Non ti potevo<br />

lasciar precipitare. Tra te e l'orlo del precipizio mi sarei messo io, a<br />

costo di farmi schiacciare... Sono intervenuto. Una messinscena<br />

grottesca. Probabilmente è quello che pensi. Non potevo vederti in<br />

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Italia. Non era ad armi pari. Neanche qui, ma almeno se te ne vai, io<br />

resto. Con un pugno di mosche, ma resto… Ho smesso, per forza.<br />

Avrei potuto ancora fare delle cose, soprattutto l'addestramento.<br />

Non avrei potuto. L'avevi reso impossibile tu. Disoccupato per<br />

colpa tua… Un lavoro come quello lo fai se non ti poni problemi, se<br />

non ti chiedi nulla. Quando cominci a chiederti se è giusto o<br />

sbagliato quello che stai facendo, non puoi tirare avanti a lungo, non<br />

sei più concentrato e se non sei più concentrato, crepi… Quando<br />

sono partito ti ho cancellato. Non <strong>nel</strong> senso di cercare di<br />

dimenticarti. Quello non era possibile. Quello non sarà mai<br />

possibile. Ti ho messo da parte, con cura, in un angolo, come si fa<br />

con un oggetto pericoloso. Ho evitato di aprire lo sportello. Ed ho<br />

creduto di farcela. Ce l'avevo fatta. In fondo la tua fuga, il tuo<br />

silenzio <strong>nel</strong>l'ultimo giorno erano stati un colpo tale. Ti ho<br />

telefonato. Tutto il giorno. Sono andato a casa tua. Tre volte. Tutto<br />

potevo accettare, ma non che tu non mi ascoltassi. Non ne avevi il<br />

diritto, Antonio.<br />

La voce si incrinò. Antonio avrebbe voluto dirgli che aveva<br />

ragione, ma non era in grado di parlare. Si sentiva schiacciato da un<br />

peso enorme, che gli premeva sul petto, e faceva fatica a respirare.<br />

- Non avevo mai permesso a nessuno di farmi tanto male.<br />

Ma l'avevo superato, rimosso, messo in un angolo, per il ritorno.<br />

Perché sarei ritornato e ti avrei cercato. Ti avrei preso alla<br />

sprovvista ed avremmo fatto i conti. Non so che cosa avremmo<br />

fatto… Poi è arrivata la tua lettera. Cristo! Sei stato bravo. Senza<br />

tante parole. Ti sono bastate poche righe. Hai fatto piazza pulita. Di<br />

tutto. Sono piombato in crisi. Più nulla funzionava. Sapevo<br />

benissimo che prima o poi sarei saltato. E sono saltato. Quando<br />

correvo sapevo che non dovevo passare di lì. E ci sono passato. Ma<br />

quando sono passato ho pensato alla tua lettera e che forse c'era<br />

ancora uno spazio per noi due. Ed ho cercato di non farmi troppo<br />

male. All'ospedale mi sono maledetto per non essermi fatto<br />

ammazzare.<br />

Antonio non parlava, fissava l'orizzonte ed ascoltava. Gli<br />

sembrava di non provare nulla, un vuoto assoluto.<br />

- Ti aspettavo. Pensavo a che cosa avresti fatto scendendo.<br />

Mi dicevo che ormai dovevi essere sveglio, la dose era minima.<br />

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Aspettavo. Poi ti ho sentito arrivare. Mi dicevo: - Adesso mi prende<br />

tra le braccia, mi stringe forte, ci rotoliamo per terra e facciamo<br />

l'amore… Quando ti ho steso sulla cuccetta ho pensato di spogliarti<br />

e di prenderti, mentre dormivi. In fondo quando hai bevuto, sapevi<br />

benissimo che il rischio c'era. Se l'avessi fatto, almeno... Quando<br />

sono arrivato a Sidney, sono andato in qualche locale. Volevo<br />

vedere se riscuotevo ancora successo. È stato incredibile. Manco<br />

fossi Brad Pitt. Si vede che così ho un'aria vissuta. Mi ronzavano<br />

intorno come mosconi. Ho contato quelli che si avvicinavano e ho<br />

detto che al decimo approccio ci sarei andato a letto, anche se era<br />

Frankenstein. Al decimo approccio sono uscito senza nemmeno dire<br />

bye al tipo che si era avvicinato. Gli altri tentativi sono andati allo<br />

stesso modo. Guardavo il bicchiere e pensavo che tu stavi bevendo.<br />

Speravo che smettessi e desideravo che continuassi. Desideravo<br />

essere autorizzato ad intervenire.<br />

Ci fu una nuova pausa.<br />

- Della gamba non m'importa nulla. Per sentirmi dire che mi<br />

ami ancora, che lo spazio c'è ancora, darei anche l'altra. Anche su<br />

una sedia a rotelle. Anche crepare subito dopo, senza aver fatto in<br />

tempo a toccarti con un dito.<br />

Ancora una pausa. Antonio non sapeva perché continuava a<br />

tacere, perché lasciava che sprofondasse <strong>nel</strong>l'abisso. Lo guardava<br />

rotolare verso il fondo e non stendeva una mano. Si chiese se voleva<br />

assicurarsi che soffrisse abbastanza. La voce che gli giungeva era<br />

scherzosa, ora, ma la fatica era troppo evidente.<br />

- Ho un'ottima assicurazione. Posso vivere di rendita per<br />

circa centoquarant'anni, con un viaggio l'anno in Italia per vedere i<br />

miei. Oppure in Italia tutto l'anno ed un viaggio per vedere il<br />

mondo. Come preferisci. Certo se dobbiamo dividere in due,<br />

potremo vivere solo settant'anni. Dovremo accontentarci…<br />

Potremmo partire e girare l'Australia in auto. È un paese bellissimo.<br />

Ti compro un altro spazzolino da denti, quelli della Qantas fanno<br />

schifo.<br />

Dopo una pausa più lunga l'uomo si alzò e si rivolse verso di<br />

lui. C'era molta stanchezza <strong>nel</strong>la voce, ora.<br />

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- Se non mi vuoi, puoi tornare alla barca. Ti riporto alla<br />

casa, ritrovi abiti, documenti e tutto e dopodomani sarai a Torino.<br />

Cristo, Antonio, di' qualcosa. Non ce la faccio più ad aspettare.<br />

Non c'era stata un'interruzione tra una frase e l'altra, nulla.<br />

La voce non era salita di tono, ma la carica d'angoscia di quelle<br />

ultime parole lo riscosse, sciolse il torpore che lo inchiodava. Trovò<br />

la forza di alzarsi, con lo sguardo ancora incollato ad un orizzonte<br />

che aveva smesso di vedere, poi, con fatica, si girò verso l'uomo che<br />

gli stava a fianco, tenendo gli occhi verso il basso. Lentamente alzò<br />

lo sguardo e per la prima volta guardò Marco. Ritrovò il volto che<br />

conosceva, solo il dolore infinito negli occhi era nuovo, non l'aveva<br />

mai visto, non voleva vederlo più. Con le dita cercò i lineamenti di<br />

quel viso e guardò quel dolore che retrocedeva, che diventava un<br />

interrogativo. Quando sfiorò le labbra le vide aprirsi in un mezzo<br />

sorriso. L'immagine cominciò ad annebbiarsi, mentre le lacrime gli<br />

scendevano dagli occhi. Sentì la propria voce:<br />

- Ti so mo sol, ma lun-a, ma vid, da aqua ka kalm da sede,<br />

do fog ke bruc, do pan ko sfam…<br />

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