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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
Ferdinando Neri<br />
Rosa, Rosso & Neri<br />
Racconti erotici gay<br />
adatti ad un pubblico adulto<br />
Volume primo<br />
e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
FERDINANDO NERI nasce in Francia da padre aretino<br />
e madre francese. Quando Ferdinando ha tre anni, il<br />
padre decide, per motivi di lavoro, di lasciare la<br />
Francia e stabilirsi in Italia, prima in Toscana e poi<br />
in Piemonte, dove Ferdinando frequenta il liceo.<br />
Negli anni del liceo si innamora della fotografia e<br />
di un fotoreporter, che lavora per un grande<br />
quotidiano milanese.<br />
Ferdinando abbandona l’università ed ha inizio un<br />
periodo che definisce “di esplorazione”: esplorazione<br />
dell’America, che Ferdinando attraversa dal<br />
Canada all’Argentina, guadagnandosi da vivere con<br />
vari mestieri; esplorazione dei propri mezzi e dei<br />
propri desideri.<br />
Per mantenersi durante il viaggio, Ferdinando<br />
vende ad una rivista statunitense alcune fotografie<br />
di grizzly scattate <strong>nel</strong> parco di Jaspers: è il primo<br />
passo di una carriera come fotografo naturalistico,<br />
che lo porterà negli anni successivi a viaggiare<br />
molto, soprattutto in America ed in Australia.<br />
Ferdinando stabilisce la sua residenza a Milano, ma<br />
è spesso assente per lavoro.<br />
In diversi dei suoi viaggi Ferdinando tiene un<br />
diario, senza però pensare mai ad una<br />
pubblicazione. Scrivere gli piace e spesso trascrive<br />
storie che sente raccontare dalla gente del posto o<br />
ne inventa altre, a partire da episodi a cui assiste o<br />
che immagina. Nel 2005 pubblica il suo primo<br />
romanzo, I QUATTRO RE, ambientato in Francia ai<br />
tempi della rivoluzione. Altri suoi racconti<br />
appaiono su diversi siti Internet. Segue un secondo<br />
romanzo, CERRO DEL DIABLO (2006), ispirato ai<br />
disegni di Viste ed inserito <strong>nel</strong> sito del disegnatore<br />
(http://viste.supereva.it).<br />
Nel 2007 Ferdinando apre un proprio sito<br />
(http://xoomer.virgilio.it/ferdinandoneri) e completa<br />
un terzo romanzo, LA PROMESSA, ambientato tra i<br />
pirati dei Caraibi.<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA<br />
ROSA, ROSSO & NERI<br />
Racconti erotici gay destinati ad un publico adulto<br />
Copyright © 2007 Ferdinando Neri<br />
info: ferdinandoneri@yahoo.it<br />
Copyright © 2007 www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it<br />
Editing on line no profit<br />
info: redazione@isogni<strong>nel</strong>cassetto.it<br />
I edizione in e-<strong>book</strong>, febbraio 2007<br />
Questo e-<strong>book</strong> (autorizzato dall’autore) è gratuito e<br />
si <strong>scarica</strong> dal sito con un semplice click del mouse.<br />
Questo non significa che è però del tutto libero: il<br />
download è consentito tramite una licenza<br />
“Creative Commons” che completa il diritto<br />
d'autore, permettendo ai lettori di copiare,<br />
distribuire e riutilizzare l’opera a patto di citare<br />
sempre il nome dell'autore originario, l'indirizzo del<br />
sito originario (www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it) e di non<br />
utilizzarla per scopi commerciali.<br />
L’autore garantisce altresì l’originalità dei testi<br />
pubblicati e solleva lo staff di I <strong>Sogni</strong> <strong>nel</strong> <strong>Cassetto</strong><br />
(www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it) da qualunque corresponsabilità<br />
anche in merito ai contenuti.<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
Nei racconti che seguono ho sviluppato un unico tema: la<br />
relazione tra due uomini. Ogni racconto è diverso dagli altri per<br />
ambientazione, personaggi, vicenda, linguaggio, ma i testi sono<br />
legati gli uni agli altri da una rete di corrispondenze.<br />
Nello scrivere un racconto, come <strong>nel</strong> cucinare un piatto,<br />
l’autore può mescolare gli ingredienti in molti modi ed usare un<br />
condimento od un altro, ottenendo così risultati del tutto diversi. I<br />
lettori, in base ai propri gusti, possono apprezzare o meno il<br />
racconto: ciò che agli uni appare gradevole, ad altri può sembrare<br />
troppo piccante o invece insipido. Perciò i miei racconti sono<br />
spesso accompagnati da un codice di colori, affinché il lettore<br />
sappia che cosa aspettarsi: il rosa è il colore dei sentimenti, il rosso<br />
del sesso e dell’erotismo, il blu dell’avventura (più frequente nei<br />
miei romanzi che nei racconti) ed il nero quello della violenza e<br />
della morte.<br />
F.N.<br />
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Sommario<br />
VOLUME PRIMO<br />
Domande pericolose pag. 7<br />
(un racconto rosso)<br />
Bufera di novembre pag. 26<br />
(un racconto rosa)<br />
Cibo per avvoltoi pag. 47<br />
(un racconto rosso, nero, blu e anche rosa)<br />
Lo spazzolino lo fornisce la Qantas pag. 74<br />
(un racconto rosa, con un po’ di blu)<br />
VOLUME SECONDO<br />
Corso estivo pag. 7<br />
(un racconto rosso)<br />
Giornata d’autunno pag. 30<br />
(un racconto rosa)<br />
L’esecuzione pag. 43<br />
(un racconto nero)<br />
La pietra angolare pag. 57<br />
(un racconto rosso e rosa)<br />
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Domande pericolose<br />
Un racconto rosso<br />
Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco<br />
di calmarmi. Non è facile. Non è facile. Ho fatto una cazzata ed ora<br />
mi sento morire.<br />
E dire che questa mattina ero così contento all’idea che<br />
finalmente è arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed<br />
incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo è il momento più<br />
bello, quando mi si aprono davanti mesi e mesi di libertà assoluta.<br />
Eppure, quest’anno non è così, quest’anno ci sono altre cose<br />
per aria. E ci sono almeno tre giorni la settimana in cui a scuola<br />
sono sempre venuto volentieri. Non posso dirlo a nessuno,<br />
nemmeno a Dario, che pure è il mio migliore amico. Non mi<br />
capirebbe.<br />
A dire la verità, non mi capisco neanch’io. O forse mi<br />
capisco benissimo, ma non ho nessuna voglia di capirmi.<br />
Il professore di storia e filosofia non è un bell’uomo. Ha una<br />
faccia dura, alla Jean Reno dell’Impero dei lupi, il naso schiacciato,<br />
due occhi gelidi. Ha un fisico robusto, ma è sovrappeso. Patisce il<br />
caldo ed in questa stagione gli vedo spesso le macchie di sudore<br />
sulla camicia, sotto le ascelle.<br />
I miei compagni lo prendono in giro perché suda così tanto,<br />
ma lo fanno solo quando lui non sente, ovviamente, perché non è il<br />
tipo che si lascia prendere per il culo ed ho l’impressione che con<br />
un solo pugno potrebbe mandare K.O. anche Roberto, che è uno e<br />
87. Lo chiamano il buttafuori, perché è di modi spicci e sa farsi<br />
rispettare. Dicono che una volta abbia menato due ladruncoli che<br />
stavano aggredendo una vecchietta e ne abbia mandato uno<br />
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all’ospedale. Non so se è vero, ne dicono tante. Ma quell’uomo mi<br />
fa paura.<br />
Quando lo guardo, mi sento la gola asciutta. Non ho più un<br />
goccio di saliva. Mi mancano le forze ed ho paura, una paura fisica,<br />
come se lui potesse alzarsi dalla cattedra, avvicinarsi, mollarmi un<br />
pugno allo stomaco e poi…<br />
Poi il mio cervello si rifiuta di continuare, ma tutto il mio<br />
corpo è in tensione, l’uccello ha alzato la testa ed un desiderio<br />
feroce mi sale dentro. Desiderio di che cosa, non lo so. Desiderio e<br />
paura di quelle mani forti, che mi afferrano, mi strappano la<br />
maglietta, desiderio di vederlo spogliarsi, di… Non lo so, non<br />
voglio saperlo.<br />
Quando mi interroga, non lo guardo mai. Se lo guardassi,<br />
smetterei di ragionare. Rispondo sempre tenendo gli occhi bassi.<br />
Ma quando sono al posto, non gli stacco gli occhi di dosso. Sono in<br />
una buona posizione, defilata, seminascosto da Roberto, che mi<br />
copre alla vista degli altri. Fisso il professore tutto il tempo, tranne<br />
quando lui gira lo sguardo dalla mia parte. Allora abbasso gli occhi,<br />
subito. Non oso incontrare quegli occhi grigi. Ho l’impressione che<br />
mi leggerebbe dentro.<br />
Fino a dieci minuti fa, quando ho fatto la cazzata. Non so<br />
perché l’ho fatta. Forse perché la scuola sta per finire, c’è ancora<br />
un’unica lezione di storia. So solo che mentre lui stava spiegando e<br />
guardava ora da una parte, ora dall’altra, io mi sentivo teso,<br />
continuavo a dirmi che tra pochi giorni non lo rivedrò più. Ed<br />
allora, quando lui ha voltato la faccia <strong>nel</strong>la mia direzione, ho fatto<br />
una cosa assurda. Mi sono passato la lingua sulle labbra, prima<br />
sotto, poi sopra, lentamente, senza distogliere lo sguardo. L’ho<br />
fissato in quegli occhi grigi, di ghiaccio, che non mi perdevano di<br />
vista e che non si sono allontanati un attimo, anche se lui ha<br />
continuato a parlare.<br />
Quando mi sono reso conto di quello che avevo fatto, mi<br />
sono sentito male. Per fortuna è suonata la campana, a quella di<br />
inglese ho detto che non stavo bene e sono uscito. Adesso, qui da<br />
solo <strong>nel</strong> cesso, mi sento morire. Mi chiedo che cosa mi è passato per<br />
la mente. Sono stato pazzo. Poi mi dico che non se n’è neanche<br />
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accorto, ma è una cazzata, non mi ha tolto gli occhi di dosso<br />
nemmeno per un minuto. Ma probabilmente ha solo pensato che<br />
avessi le labbra secche, non può avere capito…<br />
Dio, in che casino mi sono cacciato. Mi tremano le gambe.<br />
Devo rientrare. Per fortuna questa mattina non lo vedo più.<br />
Giovedì non vengo a scuola. Non me la sento di averlo di nuovo<br />
un’ora davanti agli occhi.<br />
Fausto Andreis, professore di storia e filosofia, ha un’ora<br />
buca. Esce in cortile a fumare il suo sigaro. Lo faceva già prima del<br />
divieto di fumo nei locali pubblici, perché sa che l’aroma dei suoi<br />
toscani non è apprezzato da tutti.<br />
Fuma e pensa. Pensa che il ragazzo, Enzo Bondi, è una<br />
troietta. Non se l’aspettava. La timidezza assurda di cui Enzo ha<br />
sempre dato prova con lui (e solo con lui, perché con i colleghi<br />
Enzo è normalissimo) è una manfrina e nasconde solo una troia in<br />
calore? Gli è difficile crederlo. È dall’inizio dell’anno che è così. Se<br />
è stata tutta una manovra per risvegliare il suo interesse e farselo<br />
mettere in culo, che senso aveva trascinarla per un intero anno<br />
scolastico? Andreis non sa che cosa pensare. Quell’improvviso<br />
fissarlo negli occhi, quella lingua che indugiava sulle labbra…<br />
troppo esplicito per lasciare spazio a dubbi. È una provocazione,<br />
questo è evidente. Una provocazione che trova il terreno giusto.<br />
Fausto ha quarantaquattro anni e da tempo si è accorto che<br />
le donne lo interessano sempre di meno. Se il suo matrimonio è<br />
fallito non è solo per i suoi sigari. Se con sua moglie scopava poco,<br />
per non dire niente, non è perché gli mancasse l’appetito, che è<br />
sempre stato forte, quasi vorace. Se gira su internet e curiosa sui siti<br />
gay, non è per una delle sue ricerche storiche. Se legge i racconti<br />
porno gay, non è per conoscere le nuove tendenze della letteratura.<br />
Se…, se…, se…<br />
Fausto potrebbe continuare con i se a lungo, ma sarebbe un<br />
gioco fine a se stesso. Le idee le ha ormai chiare. Gli uomini lo<br />
*<br />
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interessano, soprattutto quelli giovani. Soprattutto quelli dell’età di<br />
Enzo Bondi. Quanti anni ha Bondi? Fa quarta, quindi è <strong>nel</strong>l’anno<br />
dei diciotto. Magari non li ha ancora compiuti e lui rischia di finire<br />
dentro, dato che è anche il suo insegnante.<br />
Alle domande, bisogna rispondere. Andreis entra in<br />
segreteria e va all’armadio. Tira fuori la cartella della IV B e cerca<br />
il fascicolo di Bondi. Sa benissimo che lo stanno guardando storto,<br />
gli insegnanti non devono entrare in segreteria fuori orario, gli<br />
insegnanti non devono prendere le cartelle personali dei ragazzi, c’è<br />
la legge sulla privacy. Possono andare tutti a farsi fottere, tanto<br />
Andreis sa anche benissimo che tutti sono un po’ in soggezione<br />
davanti a lui e nessuno gli dirà niente. Si rende conto che ha anche<br />
il sigaro in bocca, ancora peggio, ma tanto esce subito.<br />
Eccolo qui, Bondi, Enzo, nato … aprile, 17 aprile. I<br />
diciott’anni li ha. E adesso, che se ne fa il professor Andreis di<br />
questa bella informazione?<br />
Mentre esce di nuovo <strong>nel</strong> cortile, Andreis si interroga.<br />
Vuole davvero portarsi Bondi a letto? Non lo sa neanche lui.<br />
Lui, che certamente non è mai stato un indeciso, non sa varcare il<br />
Rubicone. Bondi lo attrae. È un bel ragazzo, un viso gradevole,<br />
occhi di un bell’azzurro intenso e folti capelli neri. È intelligente e<br />
questo non guasta, anche se a letto non è la cosa più importante. Se<br />
è una troia, è l’ideale per incominciare, può fargli da nave scuola.<br />
Fausto ride, ma ride amaro. Se davvero Bondi è una troia,<br />
sarà solo una scopata. Glielo ficca in culo, magari si fa fare anche<br />
un pompino e tutto finisce lì. Perché, che cosa si aspetta? Un grande<br />
amore? Fausto butta il sigaro a terra e lo spegne con il tacco. È<br />
nervoso, scocciato con se stesso per questa indecisione assurda.<br />
È ora di rientrare, per l’ultima ora di lezione. A mezzogiorno<br />
può uscire. O magari potrebbe fermarsi per fare le medie della<br />
seconda e della terza, tanto lì ha finito con le interrogazioni.<br />
Potrebbe uscire un po’ dopo, a casa non lo aspetta nessuno. E se<br />
uscisse quando suona ed escono anche i ragazzi? Che faccia farebbe<br />
Bondi?<br />
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La giornata è finita. Mi sono ripreso, anche se al pensiero di<br />
Andreis, mi viene ancora male. Oggi non rischio di incontrarlo, esce<br />
un’ora prima. So il suo orario a memoria ed i giorni in cui so che<br />
esce all’ultima ora, faccio in modo di scendere in fretta e poi<br />
aspettare che esca, tra gli altri. Non lo guardo mai in faccia, ma<br />
quando si allontana lo seguo con gli occhi.<br />
Scendo le scale ed improvvisamente mi sembra di affondare,<br />
barcollo. Lui è lì, ai piedi dell’ultima rampa. Guarda le scale. Mi<br />
guarda, con quegli occhi grigi che mi raggelano il sangue. Mi fermo<br />
di colpo. Luca, che è dietro di me, mi viene addosso e per poco non<br />
rotoliamo tutti e due.<br />
- Che cazzo ti è preso?<br />
- Scusa, ho dimenticato la penna in classe.<br />
Senza lanciare più uno sguardo in basso, mi volto e risalgo<br />
le scale. Faccio un po’ fatica, perché sono in tanti a scendere, e mi<br />
sembra di sentire <strong>nel</strong>la schiena gli occhi di Andreis. Mi sembra che<br />
mi perforino la maglietta.<br />
Arrivo alla classe, mi dirigo al mio banco e mi fermo. Non<br />
mi siedo, appoggio appena le mani sul banco, cercando di<br />
calmarmi. È meglio che non venga a scuola neanche domani, tanto<br />
non ho più interrogazioni. Non ce la farei ad incrociare Andreis<br />
un’altra volta.<br />
Mi sto calmando, ma sono ancora teso. Ho fatto una cazzata<br />
a salire in classe, adesso mi tocca scendere da solo e magari lui è<br />
ancora là.<br />
Solo quando la porta si apre, capisco perché sono venuto in<br />
classe. Non lo sapevo un attimo fa, ma ora lo so benissimo. Sono<br />
venuto in classe, perché Andreis mi potesse raggiungere. Ed eccolo<br />
entrare, con quel viso duro, quegli occhi grigi ed una smorfia che<br />
potrebbe essere un sorriso sulle labbra, ma non è un sorriso<br />
cordiale, è un ghigno malefico, in cui leggo disprezzo.<br />
*<br />
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Si avvicina a me ed io sento che le gambe non mi reggono.<br />
Mi appoggio al banco, ma la testa mi gira. Andreis non mi toglie gli<br />
occhi di dosso, ma il suo sguardo è cambiato, sembra perplesso.<br />
Con uno sforzo mi drizzo. Vorrei parlare, ma non sono in<br />
grado di spiccicare una parola.<br />
- Non so che cosa vuoi, ma io abito in via Peyron, al 18.<br />
Oggi sono a casa. Se hai qualche cosa da dirmi…<br />
Si volta e se ne va senza darmi il tempo di replicare. Ma non<br />
riuscirei a replicare nemmeno se ne andasse della mia vita. Mi<br />
siedo, incapace di rimanere in piedi.<br />
Voleva insultarlo, magari dargli della troia, voleva<br />
chiedergli che cazzo voleva da lui, voleva baciarlo, Fausto Andreis<br />
non sa che cosa voleva fare, ma il ragazzo era bianco come un<br />
cencio e non stava in piedi. Si può fingere di stare male, ma quel<br />
pallore non poteva essere finto.<br />
Fausto non sa che cosa pensare. Se quel ragazzo voleva<br />
attirare la sua attenzione, ce l’ha fatta, in pieno. E non solo la sua<br />
attenzione. Fausto è tanto eccitato che cerca di tirare indietro la<br />
pancia per nascondere l’erezione, ma non è facile: è sempre stato<br />
piuttosto dotato (troppo, si lamentava sua moglie) ed il palo che<br />
tende quei pantaloni estivi è troppo grosso per non essere<br />
chiaramente visibile.<br />
Fausto evita la sala insegnanti, dove sicuramente c’è ancora<br />
qualcuno, e si rifugia <strong>nel</strong> gabinetto degli uomini, dove rimane un<br />
buon momento, aspettando che la febbre del suo corpo si calmi.<br />
I minuti passano, ma non c’è niente da fare. È sempre stato<br />
così: tanto rapido ad accendersi, quanto lento a spegnersi.<br />
Quando l’eccitazione sale, c’è un solo modo per farla calare.<br />
Ed allora tanto vale non perdere altro tempo.<br />
*<br />
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Fausto apre la cinghia, abbassa la cerniera e lascia che i<br />
pantaloni calino da soli. Poi, con un gesto secco, si abbassa le<br />
mutande, facendole scendere oltre le grosse natiche. Guarda il cazzo<br />
che emerge dalla camicia, la cappella violacea gonfia di sangue.<br />
Fausto si sbottona la camicia e rimane un attimo così, la camicia<br />
tutta aperta, il cazzo massiccio teso verso l’alto, pantaloni e<br />
mutande calati. Se lo vedessero i colleghi o gli allievi!<br />
Ma non gliene fotte un cazzo di colleghi e studenti, ora. La<br />
porta è chiusa a chiave ed il desiderio preme, impaziente, feroce,<br />
sembra una mano che gli strizza i coglioni.<br />
Ora è la sua mano, grande e forte, che scende verso<br />
l’animale che gli batte contro il ventre, teso allo spasimo, lo afferra<br />
con decisione, il pollice davanti e le altre quattro dita dietro, chiuse<br />
intorno a quel palo di carne ardente.<br />
L’immagine di Enzo è davanti ai suoi occhi, la lingua di<br />
Enzo che passa sulle labbra, gli occhi di Enzo che lo fissano, il<br />
corpo di Enzo appoggiato al banco,<br />
Fausto immagina il ragazzo che si accascia sul banco, lui gli<br />
sfila i pantaloni con un gesto rapido ed ora ha di fronte a sé il bel<br />
culo del ragazzo.<br />
Vede il proprio cazzo premere contro l’apertura per entrare,<br />
lo vede forzare l’ingresso ed affondare <strong>nel</strong>la carne come una lama di<br />
coltello <strong>nel</strong> burro.<br />
- Prenditelo tutto, troia -, sibila tra i denti, mentre la sua<br />
mano chiusa intorno alla belva affamata scorre verso l’alto e verso<br />
il basso, incendiandogli i sensi.<br />
Sente i gemiti di Enzo, che mugola di piacere, di dolore, non<br />
lo sa, non gliene fotte un cazzo, sente solo il calore di quella carne<br />
in cui la sua spada affonda. E poi viene – ed è una fitta tanto acuta<br />
da mozzargli il fiato -, mentre il suo seme si scaglia in avanti,<br />
incontra il palmo della sinistra che Andreis ha messo in posizione,<br />
per evitare di inondare il gabinetto, e si spande sulla mano, ricade<br />
sul cazzo ancora teso allo spasimo.<br />
Andreis assapora a fondo le ultime gocce di piacere, poi<br />
rimane un momento fermo, gli occhi chiusi, la destra ancora stretta<br />
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intorno all’animale caldo, la sinistra contro la cappella, l’immagine<br />
di Enzo, di quel culo che non ha mai visto, negli occhi. Infine si<br />
riscuote, prende la carta igienica, si pulisce le mani, controlla che<br />
non ci siano schizzi in giro. Ce ne sono, diversi. Andreis li ripulisce,<br />
poi controlla i vestiti. Tutto a posto, per fortuna.<br />
Dà ancora un’occhiata, si pulisce bene la cappella con la<br />
carta igienica, si riveste, tira l’acqua ed esce. Si lava accuratamente<br />
le mani. Non c’è più nessuno in sala insegnanti. Meglio così.<br />
Fausto Andreis si dirige verso casa. Mentre entra si chiede<br />
se Enzo verrà <strong>nel</strong> pomeriggio. Il solo pensiero ha di nuovo un<br />
effetto dirompente, ma per fortuna non scende nessuno per le scale.<br />
Deve togliersi quel ragazzo dalla testa. O metterglielo in<br />
culo. Una delle due.<br />
Andreis sorride. Se può scegliere, preferisce la seconda.<br />
*<br />
Via Peyron, 18, una bella casa liberty. Si tratta bene il prof.<br />
La mia testa fa commenti idioti, come se non sapesse che<br />
cosa sta succedendo al mio corpo, come se lei vivesse in un altro<br />
pianeta. La mia testa osserva la via, una vecchia con il cane che<br />
passa, un bidone dell’immondizia più in là. La mia testa sta da<br />
un’altra parte, beata lei.<br />
Perché il mio corpo sta qui, da almeno dieci minuti, davanti<br />
a questo portone dove le mie gambe mi hanno portato senza che la<br />
mia testa volesse saperne niente. Ed il mio cuore sta correndo tanto<br />
veloce che da un momento all’altro se ne uscirà fuori, lasciandomi<br />
qui. Ed il mio uccello è una spranga di ferro.<br />
Non posso presentarmi così dal prof. Ed in che modo dovrei<br />
presentarmi? Che cosa sono venuto a fare, se non…<br />
Se la mia testa fosse qui con me, le chiederei di ragionare un<br />
attimo, di studiare una linea d’azione, un piano d’intervento,<br />
preferibilmente una ritirata strategica. Ma la mia testa continua a<br />
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farsi i cazzi suoi, ora sta osservando gli eleganti motivi decorativi<br />
del portone e, approfittando della disattenzione del cervello, la mia<br />
mano ha premuto il campa<strong>nel</strong>lo con il nome Andreis.<br />
C’è un attimo di lucidità, un attimo solo, ed il desiderio di<br />
fuga ha immediatamente la meglio. Mi volto, sto già per<br />
scomparire, ma il ronzio e lo scatto del portone che si apre mi<br />
inchiodano. Non ha risposto, non ha chiesto chi è. Ha<br />
semplicemente aperto. Sa benissimo chi è.<br />
So come si sente il condannato a morte quando gli dicono<br />
che la sua domanda di grazia è stata respinta. È esattamente quello<br />
che provo io e l’androne, immerso in una fresca penombra, è il<br />
corridoio del braccio della morte. Ma vallo a dire al mio uccello,<br />
che ormai è al secondo piano senza che io abbia ancora messo piede<br />
sul primo gradino.<br />
Salgo le scale. È il secondo piano, ma vorrei che fosse il<br />
centesimo. Ogni passo mi pesa, eppure le mie gambe salgono i<br />
gradini rapide, quasi di corsa. Invano cerco di rallentare. Ho paura.<br />
La porta è aperta. Non c’è nessuno sulla soglia, ma quello è<br />
sicuramente il suo appartamento.<br />
Il prof. appare. Non sorride, non saluta, non dice nulla. Fa<br />
appena un passo indietro per lasciarmi entrare, ma non si toglie.<br />
Sono entrato, ma non posso procedere, perché Andreis è davanti a<br />
me, blocca il passaggio. La sua mano chiude la porta alle mie<br />
spalle. Il suo corpo mi spinge contro l’uscio, preme su di me e le<br />
sua mani mi prendono la testa, la sua bocca è sulla mia, la sua<br />
lingua si infila tra le mie labbra, la mia bocca si apre da sola, mentre<br />
la testa incomincia a vorticare e mi dico che, se non avessi la porta<br />
dietro ed Andreis davanti, finirei di sicuro per terra.<br />
La pressione del corpo di Andreis su di me mi toglie il fiato<br />
o forse è la sua lingua che esplora la mia bocca a togliermi il<br />
respiro. Sento una <strong>scarica</strong> elettrica che mi percorre tutto, dalla bocca<br />
lungo la colonna vertebrale, fino ai piedi e poi risale davanti.<br />
Quando la <strong>scarica</strong> raggiunge il mio uccello, la tensione, ormai<br />
insostenibile, esplode, ed io vengo in un parossismo di piacere, che<br />
mi farebbe urlare se potessi farlo. Le mie mani si sono attaccate al<br />
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petto di Andreis e stringono, mentre <strong>scarica</strong> dopo <strong>scarica</strong>, il piacere<br />
sale ed io mi affloscio completamente.<br />
Quando Andreis si stacca da me e fa un passo indietro, forse<br />
stupito della mia reazione, vede immediatamente la macchia fresca<br />
sui pantaloni e scoppia a ridere.<br />
- Vai di fretta, tu, eh?<br />
Mi sento morire dalla vergogna ed allora faccio un passo<br />
avanti, lo stringo tra le braccia e lo bacio, lo bacio come lui ha fatto<br />
prima con me, spingendogli la lingua tra i denti, oltre i denti, fino ad<br />
incontrare la sua.<br />
Questa mossa Fausto Andreis non se l’aspettava. Ma è<br />
un’ottima mossa. Accoglie calorosamente la gradita ospite, la lascia<br />
muoversi come se fosse a casa sua, poi stacca la sua bocca da quella<br />
di Enzo, si abbassa un po’, gli passa le braccia sotto il culo e lo<br />
solleva, senza nessuno sforzo.<br />
Trionfante porta il suo prigioniero lungo tutto il corridoio<br />
fino alla propria camera e lo lancia sul letto. Enzo ora ride e poi<br />
dice:<br />
- Anche lei non perde tempo, professore! Ugh!<br />
La frase finisce con un gemito, perché Fausto Andreis si<br />
butta su Enzo e Fausto Andreis non è un peso piuma, lo sa<br />
benissimo. Ora i loro due corpi aderiscono completamente e le loro<br />
bocche riprendono l’attività interrotta.<br />
È bello baciare un ragazzo, c’è <strong>nel</strong>la bocca di un uomo, <strong>nel</strong>le<br />
labbra, <strong>nel</strong>la leggera peluria sopra il labbro superiore, una ruvidezza<br />
che la rende molto diversa dalla bocca di una donna.<br />
Fausto si stacca dal corpo steso sotto di lui, si mette in<br />
ginocchio, le gambe a lato di quel corpo che ora vuole vedere. Le<br />
sue mani sfilano rapide la maglietta ed Enzo agevola il movimento<br />
alzando le braccia.<br />
*<br />
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Fausto osserva il petto di Enzo. Una carne morbida, qualche<br />
pelo appena intorno ai capezzoli. Sono belli quei capezzoli scuri,<br />
quelle curve appena segnate, quel gioco di muscoli che affiorano<br />
sotto la pelle. C’è la delicatezza dell’adolescenza e la forza della<br />
virilità, un miscuglio appetitoso.<br />
Fausto si siede sul ventre di Enzo e le sue mani<br />
incominciano ad accarezzare quel corpo che ora è prigioniero del<br />
suo. Scivolano sul torace, accarezzano con una certa brutalità i<br />
capezzoli, li stuzzicano. Sì, è bello poter toccare quella carne, anche<br />
in modo brusco, senza cautele.<br />
Enzo è bloccato dal peso di Fausto, ma è un prigioniero<br />
decisamente orientato verso il collaborazionismo spinto. Perché non<br />
solo non oppone resistenza, ma dopo un po’ le mani del ragazzo si<br />
sollevano e, incerte, raggiungono le braccia di Fausto, le<br />
percorrono, le accarezzano lievi.<br />
Fausto ride, un riso di gioia, e le sue mani slacciano la<br />
cintura dei pantaloni di Enzo. Poi, con un movimento brusco,<br />
Fausto scende a terra, sfila le scarpe del ragazzo, senza slacciarle e<br />
tira con violenza i pantaloni. Rimane solo l’ultima difesa, quelle<br />
mutande bagnate che non nascondono, ma quasi mettono in<br />
evidenza, il sesso ancora un po’ turgido.<br />
Fausto accarezza le gambe, gambe agili, ma forti, risale fino<br />
ai fianchi ed è quasi per caso che le sue dita si impigliano<br />
<strong>nel</strong>l’elastico delle mutande, è con dolcezza che le sfilano, lasciando<br />
emergere il desiderio di Enzo.<br />
È la prima volta che il professor Fausto Andreis spoglia un<br />
uomo ed è la prima volta che la sua mano avanza, prima<br />
leggermente incerta, poi decisa, verso un cazzo, la prima volta che<br />
ne accarezza uno, che scorre un dito sulla cappella, facendo<br />
sussultare Enzo, la prima volta che la mano ripercorre in senso<br />
inverso la strada fatta, che raggiunge la pelle umida e coperta di una<br />
leggera peluria dello scroto, che afferra la sacca, forse un po’ troppo<br />
bruscamente, a giudicare dal sussulto di Enzo.<br />
*<br />
17
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Voglio vederlo nudo, cazzo, voglio vederlo nudo! Dovessi<br />
morire qui, ora, subito, voglio vederlo nudo. Io sono nudo, non ho<br />
più nulla addosso – e che me ne farei di qualche cosa, adesso? E lui<br />
è vestito che potrebbe tranquillamente andare ad aprire la porta e<br />
dire: - Stavo leggendo un libro di storia.<br />
Sì, un libro di storia sulle scopate attraverso i secoli, perché<br />
ce l’ha duro che ancora un po’ gli buca i pantaloni. E deve avercelo<br />
grosso come non ne ho mai visto uno. Voglio vederlo nudo, non ce<br />
la faccio più, ma come faccio a dirlo al mio professore di storia e<br />
filosofia?<br />
Inutile che glielo dica. Meglio passare all’azione.<br />
Mi metto a sedere, mentre lui si tiene le mie palle in quella<br />
zampa da orso. Lui continua a sorridere ed io avanzo le dita fino al<br />
primo bottone della camicia. Il suo sorriso si allarga.<br />
Non è facile sbottonare questa camicia, le mani mi tremano<br />
un po’ e la sua faccia è vicinissima alla mia. Troppo vicina. Le<br />
nostre labbra si sfiorano, poi si appiccicano e siamo di nuovo distesi<br />
lui che mi avvolge, mi schiaccia, Dio, se pesa, Dio, se è bello<br />
sentire questo peso, la sua bocca, la sua lingua, Dio, che bello.<br />
Si rimette a sedere su di me e mi guarda. A giudicare da<br />
come mi guarda,…<br />
Comunque siamo più o meno al punto di prima, io nudo<br />
come un verme e lui, piccolo passo avanti, con due bottoni<br />
sbottonati, da cui emerge appena una bella quantità di pelo. Questa<br />
volta le mie mani (lo giuro, senza nessun ordine da parte del mio<br />
cervello) vanno per le spicce ed afferrano la cintura dei suoi<br />
pantaloni, la slacciano, poi esitano un momento e, con una certa<br />
fatica, cercano di sganciare il bottone della patta, ma non è facile,<br />
sia per la pressione della pancia, sia per un’altra, ben più forte,<br />
pressione. Le mie dita sfiorano, attraverso la stoffa, quel bel pane<br />
appena sfornato, ancora caldo caldo e la mia mente ha smesso di<br />
ragionare.<br />
Il professore mi dà una mano, slacciandosi quel benedetto<br />
bottone ed abbassando la cerniera. I pantaloni scivolano verso il<br />
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basso, ma la camicia si allarga, nascondendo quello che vorrei<br />
vedere.<br />
Impaziente, esasperato, riprendo a sbottonare la camicia,<br />
finché essa si apre completamente ed io rimango senza fiato.<br />
Ha un torace da lottatore, con diversi chili di troppo, forse,<br />
ma imponente. Ha una quantità di peli che farebbe morire di invidia<br />
la testa di Berlusconi e soprattutto, dalle mutande emerge, massiccia<br />
ed inquietante, una cappella violacea.<br />
Ho la bocca secca.<br />
Chissà che gusto ha? La domanda Fausto se la sta ponendo<br />
da un pezzo. Se un’ora fa gli avessero detto che si sarebbe chiesto<br />
che gusto ha il cazzo di un uomo, Andreis si sarebbe messo a ridere.<br />
Non si era mai posto una domanda del genere, prima di vedere nudo<br />
Enzo, ma quella piccola troia in calore che ora stringe tra le gambe<br />
gli fa scoprire nuovi appetiti.<br />
Voleva metterglielo in culo, sì, voleva metterglielo in culo,<br />
Ma c’è qualche problema.<br />
Il primo problema è che la piccola troia è in realtà un<br />
maialino, inequivocabilmente maschio, e che è esattamente questo<br />
che sta incendiandogli i sensi. Il corpo che ha davanti è diverso da<br />
quelli che ha sempre accarezzato, posseduto. È simile al suo, eppure<br />
completamente diverso.<br />
Il secondo problema è che Fausto Andreis, curioso di natura,<br />
è uno che cerca di soddisfare le proprie curiosità. Uno che quando si<br />
pone una domanda, si mette a cercare la risposta.<br />
Ed è così che Fausto Andreis si ritrova, senza essersi dato il<br />
tempo di pensare, a chinare la testa sul ventre glabro di Enzo, ad<br />
aprire la bocca e ad inghiottire un bocconcino di carne, non più (o<br />
non ancora) rigido e voluminoso, ma neppure a riposo.<br />
*<br />
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Che gusto ha? No, la prima sensazione è stata un’altra. Che<br />
odore ha? Un odore di seme, perché il ragazzo è venuto, un odore di<br />
giovane maschio. E questo è bello. E poi sì, che gusto ha? Ha gusto<br />
di sborro, una volta Fausto ha assaggiato il proprio, da ragazzo, poi<br />
non gli è mai più capitato, ma è un buon gusto. Ma soprattutto è<br />
caldo, morbido, anche se sempre meno morbido, diciamo ormai<br />
piuttosto rigido, ma ancora delicato, è un piacere farci passare sopra<br />
la lingua, accarezzare, succhiare, mordere.<br />
- Ahi!<br />
Fausto Andreis ride, vorrebbe dire ad Enzo che ora glielo<br />
mangerà, ma non c’è un’intimità sufficiente tra di loro. Come no,<br />
gli sta succhiando il cazzo e non c’è un’intimità sufficiente? No,<br />
non c’è, Fausto Andreis sa benissimo che l’intimità è una cosa, la<br />
scopata un’altra. Riprende a passare la lingua su quel bel boccone<br />
caldo, sempre più rigido. Bondi va di fretta, vero è che è appena<br />
venuto, ma magari viene di nuovo. E se gli viene in bocca? Che<br />
effetto farà, bere un po’ di sborro?<br />
Non è possibile, non è possibile. Non può essere: il<br />
professore mi sta facendo un pompino. Non è possibile. Non è<br />
possibile, ma è vero e questa lingua che mi accarezza l’uccello,<br />
questa lingua, cazzo, che meraviglia, cazzo, che meraviglia. Vorrei<br />
gridare dal piacere, ma non oso.<br />
Non oso che cosa? Ho paura di fare brutta figura? Sono qui<br />
nudo, lui me lo sta succhiando-leccando-avvolgendo ed io ho paura<br />
di fare brutta figura? Ahi! Mi ha morso di nuovo. E se… Ma che<br />
cazzo vado a pensare? Mica me lo mangia. Cazzo, se ci sa fare.<br />
Inghiotte, sputa fuori, lecca, succhia. Si direbbe che le stia provando<br />
tutte, come se volesse farmi passare in rassegna tutto il suo<br />
repertorio. E, cazzo!, è un signor repertorio. Ci sa fare con la lingua.<br />
È un esperto, il professor Andreis. Chi l’avrebbe mai detto?<br />
Professore di scoposofia.<br />
*<br />
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Cazzo, che bello, ha una lingua morbida come velluto. E<br />
quella bocca, quella bocca. Non ce la faccio più, non ce la faccio<br />
più, è troppo forte, è troppo forte. Non reggo più. Vorrei che non<br />
finisse mai, ma ormai non manca più molto.<br />
Sto per venire. Devo avvisarlo, non posso mica venirgli in<br />
bocca. Quasi grido:<br />
- Professore, sto per…<br />
Troppo tardi, è una <strong>scarica</strong> elettrica che mi percorre e mi fa<br />
vibrare, una scossa che mi brucia la carne. La bocca mi rimane<br />
spalancata, il fiato mi manca.<br />
E lui non toglie la bocca, inghiotte, sembra non voler<br />
perdere neppure una goccia.<br />
Ancora la sua lingua, ma ora non è più velluto, è carta<br />
vetrata.<br />
È troppo, non ce la faccio più.<br />
Non ce la faccio più.<br />
- Basta!<br />
La sua bocca mi lascia. Il professore Andreis, professore di<br />
scoposofia e scoposofo di prim’ordine – chissà se ha mai scritto un<br />
trattato? Potrebbe farlo, secondo me – mi guarda, in ginocchio su di<br />
me, e sorride. Un sorriso un po’ beffardo, ma non cattivo.<br />
Lentamente mi calmo, il cuore riprende un ritmo regolare.<br />
Sorrido anch’io.<br />
Vorrei chiedergli se gli è piaciuta la coca-cola che ha appena<br />
bevuto, ma il professore deve conoscerle bene, queste bevande. Il<br />
professore è un vero esperto, che mi sta insegnando un casino di<br />
cose. Altro che Cartesio, questa sì che è filosofia pura! Ed il<br />
professore è davvero un mago, in materia.<br />
*<br />
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L’esperto professor Fausto Andreis, che mai <strong>nel</strong>la sua vita<br />
ha gustato un simile boccone di carne e mai ha bevuto ad una fonte<br />
così gustosa, si sta dicendo che ha sprecato un sacco di anni, ma<br />
conta di rimediare.<br />
Quella troietta del Bondi sembra tutto contento, è venuto<br />
due volte. Andreis guarda quel corpo steso, completamente<br />
abbandonato, e si dice che è bello guardare quel ventre liscio, quel<br />
torace ben disegnato.<br />
Ma Andreis non intende continuare a guardare. Ormai la<br />
tensione è troppo violenta. Non è più in grado di reggere. Guarda il<br />
suo allievo, sorride, si solleva appena, afferra quel bel corpo e lo<br />
volta. Ha agito d’istinto, come in tutto questo pomeriggio assurdo.<br />
È giunta l’ora di attaccare il nemico alle spalle. Il nemico è disteso,<br />
non sembra intenzionato ad opporre resistenza. È un bel nemico.<br />
È bello guardarlo da dietro. Forse ancora più bello che da<br />
davanti. Quel bel culo stretto, non tondo come quello delle donne,<br />
quei fianchi ben modellati, sodi. Andreis li afferra e stringe con<br />
forza. È bello affondarci le mani, stringere la carne.<br />
Bondi non reagisce, non si divincola. Bene, la sua condanna<br />
a morte è firmata e l’arma dell’esecuzione è perfettamente pronta.<br />
Ma prima, anche se la tensione è ormai intollerabile, prima Andreis<br />
vuole accarezzare un po’ quel culo.<br />
È fantastico quel culo, non c’è niente di più bello di quel bel<br />
culo. Ed ora, quel bel culo sarà infilzato.<br />
Andreis si rende conto di essere ancora mezzo vestito, ma è<br />
proprio solo mezzo. I mocassini (se li era messi per andare ad aprire<br />
la porta) sono volati via da tempo, i pantaloni sono abbassati e basta<br />
un attimo per farli scivolare oltre le ginocchia, insieme alle<br />
mutande, e poi in qualche modo (piedi aiutando) sbatterli via. La<br />
camicia, già aperta, segue il resto. Ad Andreis piace starsene lì,<br />
tutto biotto, seduto su quel bel culo. Ma il contatto con quella carne<br />
calda accende il suo corpo ed ormai Andreis sa che è ora di entrare.<br />
Si solleva un po’ e divarica le gambe di Bondi, che non oppone<br />
resistenza. Quella troietta deve averne presi un bel po’, di cazzi, in<br />
culo.<br />
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Per un attimo Bondi pensa all’AIDS e si dà del coglione:<br />
non ha neanche un preservativo in casa. Ma a quel culo così caldo<br />
non intende proprio rinunciare.<br />
Lo accarezza, divarica le natiche, osserva l’apertura che tra<br />
poco allargherà con la sua arma spianata.<br />
Dalla sua frequentazione di siti gay (e soprattutto dalla<br />
lettura di racconti gay, come quelli di Ferdinando Neri), Andreis sa<br />
benissimo che occorre inumidire l’ingresso posteriore.<br />
Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben<br />
bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede più,<br />
perché Bondi è voltato (ma questo va bene, perché così mette in<br />
vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco,<br />
arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro.<br />
Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai è troppo tardi.<br />
E poi dev’esserci abituato. Bondi è una troia, basta vedere come<br />
gode. Che faccia farà Bondi, quando lui quando glielo metterà in<br />
culo?<br />
Perché mi ha voltato la faccia di lato? Vuole vedere che<br />
faccia fa uno a prenderselo in culo?<br />
Perché è quello che sta per succedere. Ora. Lo sapevo<br />
benissimo che sarebbe successo. È inutile che mi dica che non lo<br />
sapevo. Lo sapevo già quando mi sono passato la lingua sui denti,<br />
questa mattina. Questa mattina? Era solo questa mattina?<br />
Lo sapevo, ma ho paura. Meno male che lui è esperto,<br />
accidenti, se è esperto. Vero è che è un professore. Avrà letto il<br />
Kamasutra e… Ma il Kamasutra descrive anche le posizioni di due<br />
uomini? Ma che cazzo sto pensando?<br />
Ecco, ha tolto le dita. Non era male, la sensazione di quelle<br />
dita. Mi ha fatto male, entrando, ma non è stato così doloroso. Però,<br />
se adesso ci mette quel bastone… Di certo non mi ha voltato per il<br />
piacere della prospettiva.<br />
*<br />
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Lasciamolo fare, ci sa fare.<br />
Lo sento che mi preme sul culo. Non è male, questa<br />
sensazione di calore, non è male, questa pressione leggera. Chiudo<br />
gli occhi. Mi concentro sul calore, sulla pressione.<br />
Cazzo! Mi sta trapassando. Non è piacevole, no, per niente.<br />
- Piano!<br />
Si ferma. Mi sto abituando a questa presenza. Non è<br />
doloroso. O forse sì, forse un po’, ma solo un po’. E non è male,<br />
davvero, non è male. È la prima volta <strong>nel</strong>la mia vita che qualcuno<br />
me lo mette dentro.<br />
Cazzo! Sta avanzando. Mi fa di nuovo male. Si ferma. Non<br />
c’è che dire: è esperto il professor Andreis. Avanza ancora.<br />
Si ferma. Apro gli occhi. Con la coda dell’occhio vedo che<br />
mi sta guardando.<br />
Si ritrae leggermente, poi avanza. Prima procede piano e la<br />
mia carne si abitua a questo girarrosto che mi infilza. Fa male, fa un<br />
po’ male, ma è bello sentire dentro questa massa calda che solletica<br />
e spinge. È bello, sì, è bello, cazzo, se è bello!<br />
Spinge avanti e indietro, spinge con vigore, a tratti mi fa<br />
male, parecchio male, ma non dico nulla, non voglio che smetta, è<br />
bello sentirlo dentro, fa male, ma è bello.<br />
Spinge sempre più forte. Con le mani stringo il cuscino, mi<br />
fa male, decisamente male, mi sembra che mi voglia infilzare fino<br />
allo stomaco.<br />
Grugnisce, spinge ancora, più volte. Sta venendo.<br />
Si affloscia su di me. Quella spranga di ferro acquista<br />
dimensioni più umane. Il dolore si attenua. Ora averlo dentro, più<br />
piccolo, è bello. È proprio bello.<br />
Rimaniamo un buon momento così. È bello sentirlo su di<br />
me, il suo corpo che mi copre, il suo ansimare vicino al mio<br />
orecchio, il suo uccello dentro di me.<br />
Poi lo toglie. Mi spiace. Mi spiace sentirlo uscire da me. Mi<br />
ero abituato a quell’ospite, brutale, ma benvenuto.<br />
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Mi volta e mi guarda. Gli sorrido. È stato bello.<br />
Il professor Andreis guarda in faccia il suo allievo.<br />
Il ragazzo ha un’aria proprio beata.<br />
Certo che gli deve essere piaciuto. E nuovi pensieri frizzano<br />
<strong>nel</strong>la testa di Fausto Andreis. Nuovi pensieri, nuove domande. Una<br />
domanda, soprattutto. Una.<br />
Ma che effetto fa prenderselo in culo?<br />
*<br />
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Bufera di novembre<br />
Un racconto rosa<br />
Claudio fermò l’auto <strong>nel</strong>lo spiazzo vicino alle case della<br />
borgata. Scese e guardò il cielo. Era nuvoloso, ma le nuvole non<br />
avevano un aspetto minaccioso. Solo dalla parte della Serra c’erano<br />
nuvoloni neri, di tempesta.<br />
Le previsioni del tempo erano chiare: rapido peggioramento<br />
delle condizioni atmosferiche, perturbazione in arrivo da ovest e<br />
forti nevicate a partire dal tardo pomeriggio. Claudio aveva pensato<br />
di non muoversi, ma la giornata precedente era stata così serena.<br />
Claudio sentiva il bisogno di fare una bella camminata. Il<br />
colle del Vento era una buona meta. Partendo presto, sarebbe<br />
arrivato prima di mezzogiorno. Il tempo di mangiare due biscotti e<br />
giù. Per le tre al massimo sarebbe arrivato alla macchina e, prima<br />
della nevicata, sarebbe ritornato a casa, soddisfatto.<br />
Forse era un’imprudenza, andare da solo, a novembre, in<br />
una giornata di brutto tempo, ma conosceva il sentiero benissimo e<br />
sarebbe tornato presto. Non se la sentiva di stare a casa da solo.<br />
Aveva bisogno di respirare un po’ di aria fresca, di camminare tra<br />
gli alberi, sui pascoli. Prima che la neve invernale rendesse più<br />
difficile muoversi.<br />
A casa si sentiva irrequieto, insoddisfatto. La montagna gli<br />
restituiva un po’ di serenità.<br />
Mentre si infilava gli scarponi, si disse che non avrebbe<br />
dovuto lamentarsi, lo sapeva. Aveva un lavoro, stabile e ben pagato,<br />
e la recente promozione gli prospettava la possibilità di una bella<br />
carriera in banca: a soli ventisette anni, dopo otto anni di lavoro,<br />
aveva superato colleghi con anzianità ben maggiore. Il lavoro<br />
d’ufficio non gli dispiaceva. La salute era ottima, c’erano gli amici,<br />
molti interessi. Che cosa gli mancava?<br />
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Chiuse l’auto, infilò le chiavi <strong>nel</strong>la tasca della giacca a<br />
vento, controllando che ci fossero anche quelle di casa, richiuse la<br />
cerniera e si avviò.<br />
Sapeva benissimo che cosa gli mancava. Gli mancava<br />
l’amore, gli mancava il sesso. Due cose che aveva sempre<br />
considerato importanti e legate l’una all’altra. Un’idea romantica,<br />
stupida, ma era fatto così.<br />
A ventisette anni non aveva mai avuto un rapporto. Non<br />
aveva mai stretto qualcuno che amava tra le sue braccia.<br />
C’era stato qualche bacio, qualche abbraccio, ma le limitate<br />
esperienze con le coetanee alle superiori non avevano fatto che<br />
confermare ciò che già vagamente intuiva. Non gli importava nulla<br />
delle donne.<br />
Il ricordo di Eugenio emerse improvviso, doloroso come<br />
sempre. Eugenio era un amico di Antonio, veniva da un paese<br />
vicino a Novara. Loro tre avevano affittato un appartamento a<br />
Torino quando si erano iscritti all’università. Claudio aveva<br />
conosciuto Antonio al mare, l’anno prima, ed aveva accettato<br />
volentieri l’offerta di condividere un appartamento in città per il<br />
periodo universitario: nessuno dei suoi amici intendeva proseguire<br />
gli studi.<br />
Claudio si fermò, guardando fisso davanti a sé. Si disse che<br />
neanche lui aveva proseguito gli studi.<br />
Aveva cominciato a seguire i corsi. Tutto regolare. Aveva<br />
fatto conoscenza con l’amico di Antonio. Eugenio era un bel<br />
ragazzo, che dimostrava forse qualche anno in più dei suoi<br />
diciannove. Era già un uomo.<br />
Aveva fatto amicizia con Eugenio: avevano gusti comuni,<br />
più che con Antonio. Andavano al cinema, a teatro. Stavano<br />
benissimo insieme, scherzavano, certe volte ridevano fin quasi ad<br />
avere le lacrime agli occhi, Antonio diceva che erano due scemi.<br />
Ma spesso parlavano di argomenti seri, si infervoravano per la pace,<br />
si scontravano sulla politica. Anche quando erano su posizioni<br />
opposte, ognuno rispettava le scelte dell’altro. Stavano bene<br />
insieme. Maledettamente bene.<br />
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Claudio si era innamorato.<br />
Aveva diciannove anni ed aveva deciso di dire tutto ad<br />
Eugenio. Era sicuro di poter contare sull’affetto di Eugenio, sulla<br />
sua comprensione, se i suoi sentimenti non fossero stati ricambiati.<br />
Aveva cominciato a parlare. Aveva capito subito che le cose<br />
non stavano andando per il verso giusto, che la reazione di Eugenio<br />
era negativa, ma aveva deciso di continuare. Non voleva ritrattare,<br />
fingere.<br />
Ricordava benissimo quello che era seguito, l’insulto urlato,<br />
la rabbia di Eugenio nei suoi confronti, e, quando lui aveva cercato<br />
di calmarlo mettendogli una mano sul braccio, un’altra serie di<br />
insulti ed il pugno.<br />
Era fuggito, fuggito da quella casa, da Torino,<br />
dall’università. Aveva trovato un impiego in banca a Biella e si era<br />
gettato <strong>nel</strong> lavoro. Non aveva più sentito né Eugenio, né Antonio.<br />
La ferita gli faceva ancora male. Non era una sofferenza<br />
d’amore: l’amore per Eugenio era svanito da molto tempo, non era<br />
stata una passione travolgente o un amore eterno, solo un fuoco di<br />
paglia che la burrasca di quel giorno aveva spento. Quello che<br />
rimaneva era l’umiliazione, il disprezzo e l’orrore <strong>nel</strong>le parole di<br />
Eugenio. Risentiva ancora <strong>nel</strong>le orecchie gli insulti.<br />
Poi più nulla. Si era guardato bene dal manifestare il minimo<br />
interesse per un uomo e nessuno si era mai dimostrato interessato a<br />
lui. Salvo forse quella volta in Grecia, ma quel tedesco di mezza età<br />
non lo attraeva. Si vergognava di essere ancora vergine, ma non gli<br />
interessava scopare solo per potersi dire che aveva scopato. Se era<br />
solo per il bisogno, la mano destra era sufficiente. Il giorno in cui si<br />
fosse trovato a fare l’amore, perché era questo che voleva fare, non<br />
scopare, avrebbe barato un po’, cercato di non mostrarsi troppo<br />
ignorante. La sua teoria la sapeva. La pratica… avrebbe supplito<br />
all’inesperienza con la buona volontà e con un po’ di fortuna<br />
avrebbe evitato la brutta figura di farsi scoprire vergine a ventisette<br />
anni.<br />
Scemenze. La possibilità di incontrare l’uomo giusto era<br />
remotissima. E allora? Che cosa contava di fare? Di rimanere per<br />
tutta la vita così? Il lavoro gli piaceva, ma non era abbastanza. La<br />
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carriera non gli interessava più di tanto, anche se il riconoscimento<br />
degli altri gli dava soddisfazione.<br />
Ripensò agli ultimi giorni, alla comunicazione della<br />
promozione, ai complimenti, più o meno sinceri, dei colleghi.<br />
Respirò a pieni polmoni l’aria, molto fredda. Il cielo era velato, ma<br />
la montagna, con gli ultimi colori dell’autunno, era sempre<br />
splendida. Il grumo oscuro dentro di lui cominciava a sciogliersi.<br />
Il cielo si era rannuvolato. Forse avrebbe fatto meglio a<br />
tornare indietro.<br />
La perturbazione era arrivata prima del previsto, erano appena<br />
le undici e le nuvole stavano avvolgendo le montagne. Sì, sarebbe<br />
stato meglio rinunciare a proseguire. Ma mancavano solo duecento<br />
metri al colle. Continuava a dirsi avrebbe dovuto tornare indietro,<br />
ma andava avanti, mentre le nuvole diventavano sempre più spesse<br />
e la visibilità si riduceva ad ogni metro.<br />
Quando arrivò al colle, se ne accorse solo perché si trovò<br />
davanti la croce. Ormai non si vedeva a più di un metro di distanza.<br />
Si disse che aveva fatto una cazzata. Doveva tornare indietro.<br />
Subito. Fortunatamente il sentiero era ben tracciato e non c’era<br />
rischio di perdersi. Si infilò il berretto pesante ed i guanti e si avviò<br />
per il sentiero.<br />
Aveva fatto pochi passi quando cominciò a vedere il<br />
pulviscolo bianco. Non era neanche mezzogiorno e stava iniziando<br />
a nevicare. Bah, non doveva preoccuparsi, prima che la neve<br />
coprisse il sentiero, sarebbe arrivato all’auto. Accelerò il passo,<br />
badando bene a non perdere la traccia. Vedeva appena dove metteva<br />
i piedi e cominciava a sentirsi inquieto.<br />
I fiocchi sembravano moltiplicarsi e si era alzato un vento<br />
gelido, che gli sbatteva la neve in faccia. Meno male che era ben<br />
coperto. Cercava di camminare in fretta, ma i fiocchi che<br />
turbinavano sempre più fitti e la nebbia gli impedivano di vedere e<br />
doveva badare a non perdere il sentiero. Perdersi a fine novembre in<br />
montagna… Preferì non completare il pensiero.<br />
Scese senza fermarsi, solo un momento per bere dal thermos<br />
una tazza di tè caldo. La sensazione di calore fu piacevole e disperse<br />
la preoccupazione.<br />
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Doveva aver fatto un bel pezzo di strada, quando notò che la<br />
neve cominciava a fermarsi, a formare uno strato sottile.<br />
Distinguere il sentiero diventava più difficile, in quella nebbia.<br />
Merda! Ora cominciava ad avere paura. Ma c’era poco da fare.<br />
Andare avanti, andare avanti. Non poteva fare altro. Doveva cercare<br />
di arrivare all’auto prima che la neve coprisse del tutto il sentiero.<br />
L’auto era a meno di tre chilometri dal paese. Anche se non<br />
fosse riuscito a farla partire, se la strada fosse stata bloccata, al<br />
paese sarebbe potuto arrivare a piedi. Stava dicendo una cazzata,<br />
non sarebbe venuta tanta neve da bloccare la strada. Forti nevicate,<br />
avevano detto. Forti nevicate, ma entro due ore sarebbe arrivato<br />
all’auto. Non poteva esserci già tanta neve da impedirgli di passare.<br />
Guardò l’ora. Mezzogiorno e trenta. Aveva ancora un bel pezzo di<br />
strada. Avrebbe fatto meglio a tornare indietro subito, quando aveva<br />
visto le nuvole addensarsi.<br />
Pochi minuti dopo si accorse di aver perso il sentiero. Sentì<br />
un tuffo al cuore. Si voltò e seguì rapidamente all’indietro le proprie<br />
tracce: almeno questo vantaggio la neve l’aveva. Ritrovò facilmente<br />
il punto in cui era uscito dal sentiero e riprese a scendere, cercando<br />
di fare più attenzione.<br />
Lo strato di neve stava acquistando spessore e solo poche<br />
chiazze di terreno rimanevano scoperte. Claudio si fermò un attimo<br />
e respirò a fondo l’aria fredda. Doveva calmarsi. Non era pauroso,<br />
ma ora sentiva l’angoscia prenderlo. Sapeva che stava rischiando,<br />
rischiando grosso. Se avesse perso il sentiero, se non fosse riuscito<br />
ad arrivare all’auto, non aveva nessuna possibilità di uscirne vivo.<br />
C’erano alcune baite non molto lontano, ma non erano lungo il<br />
sentiero e non sarebbe mai riuscito a trovarle in quelle condizioni.<br />
C’era una borgata disabitata più in basso, ai margini del bosco, lì<br />
sarebbe stato al riparo dalla neve, ma doveva arrivarci. Ci voleva<br />
ancora almeno un’ora. Si mise le ghette e bevve un’altra tazza di tè.<br />
Era meno calda della precedente, ma gli fece bene.<br />
Riprese a camminare, ma la neve lo accecava ed il terreno<br />
era ormai uno strato bianco compatto, da cui spuntavano solo i<br />
ciuffi d’erba. Non riusciva più a vedere il sentiero. Non lo vedeva<br />
più. Si fermò di nuovo. Cercò di ragionare, di pensare alla<br />
conformazione della valle. Doveva scendere. Non c’erano grandi<br />
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dirupi, se non dal lato destro. Se si fosse tenuto sulla sinistra,<br />
sarebbe riuscito a scendere.<br />
Lasciare il sentiero era una cazzata, avrebbe potuto cadere,<br />
rompersi una gamba e non se la sarebbe cavata mai più. Che<br />
cos’altro poteva fare? Non era più sul sentiero.<br />
Cercò il sentiero, tornò anche indietro, ad un certo punto<br />
trovò una traccia, ma si accorse che si spostava troppo verso destra,<br />
era pericoloso. No, la cosa migliore era scendere, scendere<br />
direttamente.<br />
Cercò di scendere lungo la linea di massima pendenza. Per<br />
un bel momento tutto filò liscio e Claudio cominciò a sentirsi un po’<br />
meno agitato. Poi la pendenza divenne più forte. Non c’erano<br />
arbusti a cui aggrapparsi, niente. Claudio non sapeva che cosa ci<br />
fosse oltre la nebbia che aveva davanti agli occhi. Scese con<br />
cautela, ma ad un certo punto inciampò su un sasso nascosto dalla<br />
neve e cadde disteso.<br />
Non si era fatto niente, per fortuna non si era fatto niente. Si<br />
rialzò. Si scrollò la neve di dosso, passando la mano inguantata<br />
sulla giacca e sui pantaloni. Doveva cercare di mantenersi asciutto.<br />
Riprese a scendere, ma il pendio diventava sempre più<br />
ripido. Non poteva continuare così, c’era il rischio di finire in un<br />
precipizio. Risalì un po’, poi cominciò a spostarsi verso sinistra, ma<br />
la pendenza sembrava aumentare. Allora cambiò direzione.<br />
Procedette per un buon momento verso destra. La pendenza<br />
diminuiva. Si sentì sollevato. Fece ancora alcuni passi in quota, poi<br />
riprese a scendere. Scese un buon momento e nuovamente la<br />
coscienza di aver percorso un buon tratto gli restituì un po’ di<br />
tranquillità. Stava scendendo bene. La nebbia era sempre fittissima<br />
e la neve turbinava, spinta da un vento gelido, ma stava scendendo.<br />
Non sarebbe arrivato all’auto, ma prima o poi avrebbe raggiunto la<br />
strada e di lì sarebbe arrivato al paese.<br />
Di colpo, il terreno divenne roccioso. Rocce grandi, su cui<br />
era difficile muoversi. La neve le aveva ricoperte in buona parte,<br />
nascondendo le cavità tra una roccia e l’altra. Claudio si muoveva<br />
con grande circospezione: se avesse infilato il piede in un buco<br />
nascosto, avrebbe potuto rompersi la gamba. Per due volte poco<br />
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mancò che cadesse. Era troppo pericoloso. Cercò di tornare indietro,<br />
ma perse subito le proprie tracce. Ritornò sui suoi passi, ma non<br />
riusciva a trovare le orme lasciate sulla neve. Dopo diversi tentativi,<br />
ci rinunciò e riprese a muoversi, con estrema cautela. Cadde due<br />
volte, ma riuscì a non farsi male. Una terza volta cadde malamente e<br />
prese una storta. Niente di grave, solo un po’ di dolore. E si era<br />
bagnato completamente la giacca ed i pantaloni. Zoppicando riprese<br />
a scendere. Cercò di spostarsi verso destra, per uscire dalla pietraia.<br />
Dopo alcuni minuti ritrovò il terreno sotto i piedi e si sentì meglio.<br />
Riprese a scendere.<br />
Scese un quarto d’ora. Cominciava ad avere freddo, ma non<br />
doveva mancare ancora molto. Doveva aver percorso parecchia<br />
strada. Erano… guardò l’ora: le tre. Accidenti, già le tre! Certo che<br />
a scendere in quel modo ci metteva molto più tempo. Avrebbe<br />
dovuto già essere arrivato all’auto, ma aveva perso un sacco di<br />
tempo. Bah, se erano le tre, doveva essere già piuttosto in basso.<br />
Riprese a camminare, ma dopo pochi passi, di colpo, si trovò<br />
sull’orlo del precipizio.<br />
Se ne rese conto vedendo che il terreno scompariva. Sentì<br />
una contrazione alle viscere.<br />
Lentamente, cercò di tornare indietro. Ritrovò le proprie<br />
tracce, che la neve stava coprendo rapidamente. Quando raggiunse<br />
la pietraia, riprese a scendere, cercando di tenersi sul bordo. Sentiva<br />
la stanchezza ed il freddo invaderlo. Si rese conto che c’era sempre<br />
meno luce. No, non era possibile che stesse diventando notte.<br />
Guardò l’orologio. Le cinque. Sentì un tuffo al cuore. Tra poco<br />
sarebbe diventato buio.<br />
Scese ancora, ma ormai sprofondava <strong>nel</strong>la neve, ogni passo<br />
gli costava fatica. Si rendeva conto che non ce l’avrebbe fatta.<br />
Continuò a camminare e di colpo gli apparve davanti un<br />
abete. Per un attimo un senso di sollievo lo invase. Era ai margini<br />
del bosco. Poi si disse che non cambiava nulla. Avrebbe dovuto<br />
attraversare tutto il bosco e non ce l’avrebbe mai fatta. Ormai c’era<br />
tanta neve, che non avrebbe riconosciuto nemmeno la strada. Era<br />
finita.<br />
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Riprese a camminare, ma le gambe non lo reggevano più.<br />
Era sempre più buio. Aveva freddo. Non sentiva più le mani ed i<br />
piedi. Agitò le braccia furiosamente, per fare affluire un po’ di<br />
sangue alle dita gelate. Prese ancora una tazza di tè, ma era appena<br />
tiepido. Riprese a camminare.<br />
Sprofondava. Ogni passo era un’agonia. Sarebbe morto.<br />
Stava morendo.<br />
Non ce la faceva più, non riusciva più a procedere.<br />
Cadde una prima volta in ginocchio. Si rialzò, fece ancora<br />
pochi passi, ricadde. Rimase un buon momento in ginocchio <strong>nel</strong>la<br />
neve. Era finita.<br />
Un dolore acuto, una disperazione selvaggia lo spinsero ad<br />
alzarsi. Gridò:<br />
- No, no, no!<br />
Fece due passi e cadde in ginocchio. Lottò per rialzarsi, ma<br />
neppure la volontà lo sorreggeva. Disse ancora, piano:<br />
-No!<br />
Poi cadde in avanti, il viso <strong>nel</strong>la neve.<br />
Gli parve che qualcuno lo chiamasse, che lo sollevasse e lo<br />
prendesse in braccio, lo trasportasse. Il freddo lasciò lentamente il<br />
posto ad una sensazione di calore, le dita delle mani e dei piedi gli<br />
facevano male, molto male, poi il dolore arretrò ed un senso di pace<br />
infinita lo invase.<br />
C’era una luce bianca davanti ai suoi occhi. Una luce<br />
accecante. Li richiuse, poi li riaprì, cercando di abituarsi. Man mano<br />
che emergeva dal torpore che lo avvolgeva, Claudio riacquistava il<br />
ricordo di quanto era successo. Si disse che era vivo. Vivo? Sì, era<br />
vivo, disteso in un letto. L’avevano portato in ospedale? L’avevano<br />
trovato, prima che morisse congelato!<br />
Ora che gli occhi si erano abituati alla luce, poté guardarsi<br />
intorno. Era in una stanza, piuttosto piccola. C’era un uomo grande<br />
e grosso, con una spessa barba nera, che si stava avvicinando al<br />
letto.<br />
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- Ti sei svegliato? Come stai?<br />
Claudio lo guardò. Aveva una faccia larga, in gran parte<br />
coperta dal barbone nero, che portava corto, due occhi di un azzurro<br />
intensissimo ed un largo sorriso che dava fiducia. Doveva avere più<br />
o meno la sua età, forse qualche anno in più, sì, doveva essere sulla<br />
trentina. L’uomo gli aveva chiesto come stava. Mosse un po’ le<br />
gambe e le braccia. Bene, stava bene.<br />
- Sto bene. Dove sono?<br />
Il sorriso dell’uomo si allargò.<br />
- Nella mia residenza estiva. Una vecchia casa di caccia, ora<br />
capanno per i guardaparco, dove passo molto tempo in estate, ma<br />
vengo anche in inverno.<br />
- Sei un guardaparco?<br />
L’uomo annuì.<br />
- Sì. E tu, che ci facevi da queste parti?<br />
- Ho fatto un’escursione e quando è cominciato a nevicare<br />
ho perso il sentiero.<br />
Il pensiero del giorno prima ritornò, ancora angoscioso.<br />
- Credevo di morire. Sarei morto, se non mi avessi salvato<br />
tu. Come hai fatto a trovarmi?<br />
- Ho sentito la tua voce. Hai urlato, allora sono uscito e ti ho<br />
chiamato. Non rispondevi, ma non è stato difficile trovarti.<br />
- Ricordo di essere crollato <strong>nel</strong>la neve, poi non so più nulla.<br />
- Deliravi, quando ti ho portato qui. Ti ho messo vicino al<br />
fuoco, ti ho tolto gli abiti: erano fradici. Ho cominciato a strofinarti<br />
le dita delle mani e dei piedi: temevo potesse esserci un<br />
congelamento. Per fortuna non c’era ancora niente di serio, anche se<br />
ti sei lamentato parecchio, doveva farti molto male. Poi ti ho fatto<br />
bere un tè caldo ed infine, quando mi sembrava che fossi a posto, ti<br />
ho messo a letto. Ti sei addormentato subito, sembravi un<br />
angioletto, beato e sorridente. Hai dormito circa dodici ore.<br />
- Dodici ore? Stai scherzando!?<br />
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L’uomo sorrise di nuovo e scosse il capo.<br />
- No, no. Dodici ore ed anche qualche cosa di più. Si vede<br />
che ne avevi bisogno.<br />
Claudio si riscosse.<br />
- Beh, è meglio che mi alzi, adesso.<br />
Aveva bisogno di svuotare la vescica. Fece per alzarsi, ma si<br />
rese conto di essere nudo. Cercò <strong>nel</strong>la camera e vide i suoi abiti sul<br />
dorso di una sedia. L’uomo aveva seguito il suo sguardo.<br />
- I tuoi abiti sono asciutti e li ho messi lì. La biancheria è<br />
ancora bagnata.<br />
Claudio non capì. Come mai proprio la biancheria era ancora<br />
bagnata? Non poteva essere entrata la neve fino alle mutande. E poi<br />
sarebbero dovute asciugare prima.<br />
L’uomo colse la perplessità di Claudio.<br />
- Ieri sera l’ho lavata.<br />
Claudio si sentì in imbarazzo. Che idea aveva avuto<br />
quell’uomo, di lavargli la biancheria?<br />
- Ma non era il caso.<br />
Una breve risata accolse le parole di Claudio.<br />
- Certo che era il caso, l’avevi conciata proprio bene.<br />
Claudio lo guardò, colto da un sospetto, ed il suo imbarazzo<br />
aumentò.<br />
L’uomo capì e gli sorrise con dolcezza.<br />
- È normale, in una situazione come quella in cui ti sei<br />
trovato. Uno non si rende neanche conto che si sta sporcando.<br />
Comunque, se vuoi alzarti, posso darti della vecchia biancheria di<br />
un mio collega che non viene più da queste parti. Qui c’è un po’ di<br />
tutto, come vestiario: i ricambi possono sempre servire.<br />
L’uomo si alzò e tirò fuori da un baule un paio di mutande<br />
ed una canottiera logori, ma puliti, che Claudio si infilò. Poi finì di<br />
rivestirsi con i propri abiti.<br />
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- C’è un gabinetto?<br />
- Non proprio, ma puoi usare il secchio in quello sgabuzzino.<br />
Poi lo svuoto.<br />
Claudio si sentiva in imbarazzo, ma fece quel che gli aveva<br />
detto l’uomo.<br />
Ritornò <strong>nel</strong>la stanza, si avvicinò alla finestra e guardò fuori.<br />
La neve arrivava al davanzale e stava ancora nevicando, anche se<br />
assai di meno, e si vedeva il bosco: la nebbia si era diradata.<br />
- Ma quanto è nevicato?<br />
- Circa un metro.<br />
- Allora non si può scendere?<br />
- No, di certo, fino a che non si rassoda un po’. Adesso<br />
sarebbe pericoloso, anche se la strada non è molto lunga. Ho il<br />
radiotelefono, se vuoi parlare con qualcuno. Io ho avvisato i tuoi,<br />
ieri sera.<br />
- I miei? Ma come…?<br />
Claudio non capiva.<br />
- Dopo averti messo a letto, ho aperto il tuo portafogli ed ho<br />
comunicato al mio collega guardaparco che ti avevo trovato qui e<br />
che stavi bene. Ha cercato a casa tua, ma non c’era nessuno.<br />
- Vivo da solo.<br />
- Poi ha cercato ancora ed in qualche modo è arrivato ai tuoi.<br />
Li ha avvisati che sei qui e che stai bene. Vuoi parlargli?<br />
Claudio pensò un momento. Sua madre era senz’altro<br />
preoccupata.<br />
- Se è possibile…<br />
- Certo che lo è. La rete è sempre attiva, anche la domenica.<br />
L’uomo contattò qualcuno a valle e Claudio poté parlare con<br />
la madre e dirle che stava benissimo. La pregò di telefonare alla<br />
banca l’indomani mattina, lunedì, e di avvisare che era bloccato e<br />
che sperava di scendere in giornata. Mentre riattaccava si disse che<br />
era un buon modo per festeggiare la promozione.<br />
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- Bene, adesso possiamo fare colazione. Caffelatte con due<br />
biscotti va bene?<br />
Claudio si rese conto che non aveva mangiato niente dal<br />
mattino del giorno prima. D’improvviso ebbe coscienza di una<br />
voragine <strong>nel</strong> suo stomaco.<br />
- Altroché! Ho una fame da lupi.<br />
- Qui c’è da mangiare. Tengo sempre qualche provvista:<br />
pasta, miele, biscotti, scatolame vario. E quando vengo su mi porto<br />
dietro pane e formaggio. Anche se nevica tre giorni, siamo a posto.<br />
L’uomo cominciò a preparare, poi riprese a parlare.<br />
- Non ti ho neanche detto il mio nome. Mi chiamo Primo.<br />
Faccio il guardaparco, come sai.<br />
- Io sono Claudio, lavoro in un banca a Biella.<br />
- Ho lavorato anch’io in banca, ma ho retto tre mesi. Non<br />
sono tagliato per quella vita. Ho bisogno di stare all’aria aperta, ho<br />
bisogno dei boschi, dell’acqua, della neve.<br />
Sorrise di nuovo.<br />
Claudio si sentì a disagio. Anche lui si chiedeva se la vita<br />
che faceva aveva senso e si sentiva pienamente se stesso solo in<br />
montagna, tra i boschi e le vette. La vita in città gli pesava. Non<br />
solo quello. C’erano anche altre cose che gli pesavano. C’era un<br />
vuoto, di cui aveva paura.<br />
Quando Primo gli mise di fronte la tazza di caffelatte<br />
fumante, un pacco di biscotti ed un vasetto di miele, Claudio si rese<br />
conto di essersi perso <strong>nel</strong>le sue riflessioni. Primo non aveva detto<br />
nulla e Claudio gli fu grato di non aver interrotto le sue<br />
fantasticherie.<br />
Claudio si servì abbondantemente di biscotti e miele. Poi si<br />
rese conto che stava spazzolando tutto e si fermò. La risata di Primo<br />
lo fece sobbalzare.<br />
- Mangia, mangia, ti ho detto che ce n’è in abbondanza. E tu<br />
devi recuperare le forze.<br />
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Dopo la colazione Claudio gli chiese del suo lavoro e Primo<br />
raccontò. Era un uomo sereno, soddisfatto della sua vita.<br />
- Ti va di uscire? Ormai nevica poco.<br />
Claudio annuì.<br />
- Ma ce la facciamo? Si sprofonda.<br />
- Ci mettiamo le racchette. Per muoversi solo qui intorno,<br />
sono sufficienti. Domani, se non nevica più, le usiamo per scendere.<br />
Primo scostò la tenda che copriva una scaffalatura e tirò<br />
fuori due paia di racchette. Aprì la porta. Davanti alla porta la neve<br />
era molto più bassa: Primo doveva aver spalato quella mattina,<br />
prima che Claudio si svegliasse. Il casotto era ai margini del bosco.<br />
La finestra da cui Claudio aveva guardato fuori dava sul bosco.<br />
Un’altra, con le ante chiuse, dava invece su un ampio prato, che<br />
scendeva verso una borgata.<br />
Primo fece alcuni passi e svuotò il secchio, poi si diresse<br />
verso il bosco. C’era un punto in cui la neve formava un<br />
avvallamento.<br />
- Ti ho trovato qui.<br />
Claudio pensò che aveva avuto una fortuna incredibile. Tra<br />
tutti i posti in cui avrebbe potuto crollare, gli era successo proprio a<br />
due passi dal casotto.<br />
Ora che si vedeva, Claudio cercò di ricostruire il suo<br />
itinerario. Con l’aiuto di Primo non fu difficile capire la strada che<br />
aveva percorso e la massa di errori di valutazione che aveva<br />
commesso. Si disse che aveva davvero avuto una fortuna<br />
inverosimile.<br />
Nel corso della giornata uscirono altre due volte. Claudio<br />
provava un senso di benessere, di fianco a Primo. Parlavano, ma<br />
rimanevano anche a lungo in silenzio, immersi nei propri pensieri.<br />
A mezzogiorno non mangiarono molto, ma la sera Primo preparò<br />
una vera e propria cena. Si muoveva ai for<strong>nel</strong>li con la stessa<br />
tranquilla sicurezza con cui usava le racchette, spalava la neve o<br />
svuotava il secchio. Tutto era semplice e naturale, tutto veniva<br />
svolto con attenzione, ma senza tensione.<br />
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Stava diventando buio. Primo accese una luce a gas. Non<br />
nevicava più, ma la neve arrivava a metà della finestra.<br />
Dopo cena, Primo lavò i piatti. Claudio si offrì di aiutarlo,<br />
ma Primo gli disse sorridendo che era suo ospite e che non gli<br />
avrebbe permesso di lavorare.<br />
Verso le dieci, Primo uscì di nuovo a spalare la neve, poi<br />
rientrò.<br />
- Bene, ora a nanna. Vatti a mettere sotto le coperte, mentre<br />
io finisco di sistemare.<br />
Claudio si spogliò, tenendosi però la canottiera e le mutande.<br />
Nel letto faceva caldo e la stanza era ben riscaldata, ma la<br />
temperatura sarebbe scesa. E poi si vergognava un po’, anche se era<br />
ridicolo: Primo l’aveva spogliato, lavato e messo a letto la sera<br />
prima.<br />
Stava togliendosi le calze, quando si rese conto che <strong>nel</strong>la<br />
stanza c’era un solo letto.<br />
- Ma, tu dove dormi…<br />
- Ti faccio vedere dopo.<br />
Quando Claudio fu steso sotto le coperte, Primo accese una<br />
candela e spense la lampada a gas. Poi si avvicinò, stese un’altra<br />
coperta sul pavimento, ai piedi del letto, e si coricò.<br />
- Per terra?<br />
- Certo, come ieri sera. Si dorme benissimo.<br />
- Ma neanche per idea. Io dormo <strong>nel</strong> tuo letto e tu per terra!<br />
No. Qui c’è posto per due!<br />
- No, non c’è posto per due. Non per dormire, almeno.<br />
Claudio insistette.<br />
- Ci stiamo, ci stiamo benissimo. Mi sposto. Vieni qui.<br />
- Claudio, in quel letto in due non ci si sta, non per dormire.<br />
- Vieni, facciamo la prova.<br />
- D’accordo, così vedi.<br />
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Primo si tolse la camicia, la canottiera ed i pantaloni,<br />
rimanendo in mutande. Aveva un ampio torace, con due chiazze di<br />
peli neri intorno ai capezzoli ed una striscia scura che scendeva<br />
verso il ventre.<br />
Claudio si sentì turbato ed abbassò lo sguardo.<br />
- Adesso vedi.<br />
Primo sollevò le coperte, mentre Claudio si spostava e si<br />
stese prono. Era vicino al bordo, ma lo spazio che rimaneva era<br />
pochissimo e Claudio riusciva a stare soltanto su un fianco, proprio<br />
sull’altro bordo. Primo aveva spalle troppo larghe, un torace troppo<br />
possente. Claudio avrebbe dovuto dormire <strong>nel</strong>la direzione opposta,<br />
con i piedi vicino alla faccia di Primo, ma non aveva senso.<br />
- Visto?<br />
- No, ci stiamo.<br />
A Claudio l’idea che Primo dormisse per terra per lasciargli<br />
il letto non andava.<br />
- Finisci fuori dal letto non appena ti addormenti.<br />
- No, al massimo mi appoggio un po’ su di te.<br />
Primo lo guardò. Claudio non sapeva che cosa c’era in<br />
quello sguardo. Cominciava a sentirsi a disagio.<br />
- Proviamo.<br />
Claudio appoggiò la testa sul braccio di Primo.<br />
- No, così non va bene, mi schiacci il braccio, stai scomodo<br />
tu e mi vengono le formiche. Poggia la testa qui.<br />
Con un gesto indicò il torace, mentre alzava il braccio.<br />
Claudio appoggiò la testa sul petto di Primo. Una sensazione<br />
di calore lo avvolse. Primo gli appoggiò il braccio sulla schiena e lo<br />
avvicinò ancora. Ora il corpo di Claudio aderiva a quello di Primo.<br />
Il suo corpo stava reagendo, con una rapidità ed una<br />
violenza che rendevano inutile qualunque sotterfugio. Claudio<br />
pensò ad Eugenio, ma non aveva paura. C’era in Primo un<br />
equilibrio, una pace interiore, che escludevano reazioni violente.<br />
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Claudio però si sentiva imbarazzato, anche se non avrebbe voluto<br />
staccarsi per tutto l’oro del mondo.<br />
- Come va?<br />
La voce di Primo era sempre la stessa, anche se con ogni<br />
probabilità avvertiva la pressione contro la sua coscia, non poteva<br />
non avvertirla.<br />
Claudio alzò gli occhi su di lui, ma Primo teneva la testa sul<br />
cuscino e Claudio non poteva vederlo bene.<br />
- Io bene. E tu?<br />
- Io sto comodissimo. Occupo tutto il letto, io.<br />
Claudio aveva una mano sul torace di Primo. Senza riflettere<br />
cominciò ad accarezzargli l’area intorno al capezzolo destro. Poi si<br />
rese conto di quanto stava facendo e si bloccò, paralizzato. Si<br />
irrigidì, spaventato e confuso.<br />
- Che ti succede?<br />
- Perché?<br />
- Sei diventato un blocco di pietra.<br />
- Scusa… temevo di darti fastidio.<br />
- Non mi davi fastidio, per niente. Era piacevolissimo.<br />
Claudio sentiva il sangue pulsargli alle tempie e la bocca<br />
asciutta. Aveva paura.<br />
La mano di Claudio riprese ad accarezzare il capezzolo, poi<br />
scese lungo il torace. Anche Primo era eccitato, l’erezione era ben<br />
visibile sotto la stoffa.<br />
- Primo…<br />
Primo si sollevò un po’, costringendo anche Claudio ad<br />
alzare il capo ed a guardarlo in faccia.<br />
- Se tu lo vuoi, Claudio, io lo voglio.<br />
A Claudio sembrò di svenire. Sussurrò:<br />
- Lo voglio.<br />
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Primo gli sorrise, si appoggiò nuovamente sul cuscino, con<br />
le braccia potenti spostò il corpo di Claudio sul suo, con la testa a<br />
livello con la propria e con una mano sulla nuca di Claudio portò le<br />
loro bocche ad unirsi.<br />
Claudio sentì le mani di Primo che lo accarezzavano e prima<br />
di abbandonarsi a quell’abbraccio, sentì il bisogno di dirgli:<br />
- È la prima volta, Primo.<br />
Primo lo accarezzò e non disse nulla. Non servivano parole.<br />
Scesero con le racchette a Grange, il paese dove viveva<br />
Primo, <strong>nel</strong> pomeriggio del giorno seguente, dopo una notte ed una<br />
giornata in cui i loro corpi si erano cercati più volte. Mentre<br />
guardava la figura massiccia di Primo, Claudio si chiedeva che cosa<br />
provava. Essersi innamorato in nemmeno due giorni gli sembrava<br />
ridicolo. Eppure non era sicuramente solo interesse a livello fisico.<br />
Primo esercitava su di lui un’attrazione fortissima, che andava<br />
molto oltre il piacere sconfinato che aveva provato la sera prima e<br />
quel mattino.<br />
A Grange la strada era stata sgomberata dallo spartineve, ma<br />
la borgata dove Claudio aveva lasciato la sua auto era ancora<br />
bloccata. Primo si offrì di riaccompagnarlo a casa.<br />
Quando furono arrivati sotto casa sua, Claudio si sentì<br />
perduto. Non sapeva che cosa dire, non voleva imporsi a Primo.<br />
Mentre sprofondava <strong>nel</strong>le sabbie mobili dei dubbi, Primo gli parlò,<br />
con la massima tranquillità.<br />
- Claudio, a me farebbe piacere continuare a vederti. Forse è<br />
presto per dirlo, ma non parlo di vedersi una volta ogni tanto. Se ti<br />
va bene, bene. Se no, ci salutiamo qui e ti dico solo che è stato<br />
molto bello.<br />
Claudio tirò il fiato. Com’era facile!<br />
- Anch’io vorrei vederti spesso, molto spesso. Ad esempio<br />
<strong>nel</strong>le prossime due ore, se non devi tornare subito a Grange.<br />
Primo rise, la sua risata vitale.<br />
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- Va benissimo.<br />
Claudio lasciò a Primo le chiavi dell’auto e Primo si occupò<br />
di recuperarla quando sgombrarono la strada, due giorni dopo.<br />
Gliela portò la sera stessa e si fermò a dormire da lui. Claudio aveva<br />
paura che lo vedessero, ma l’idea di poter passare tutta la notte con<br />
Primo era troppo bella. L’indomani entrambi dovevano lavorare e<br />
Claudio prestò l’auto a Primo, in modo che potesse tornare a<br />
Grange.<br />
Giocarono con l’auto una settimana, prestandosela e<br />
riprendendosela, poi la smisero. Non avevano bisogno di pretesti.<br />
I pochi giorni di novembre volarono via e dicembre arrivò in<br />
fretta alla fine. Si erano visti quasi tutti i giorni e in quelle rare<br />
occasioni in cui non avevano potuto incontrarsi, Claudio si era<br />
sentito smarrito. Gli amici lo accusavo di essere diventato asociale,<br />
di avere qualche amorazzo, ma che l’amorazzo fosse l’uomo<br />
barbuto che intravidero in due o tre occasioni, non passò per la<br />
mente di nessuno.<br />
Claudio era intenzionato a festeggiare capodanno con Primo,<br />
ma Primo non era tagliato per baldorie in piazza o grandi feste a<br />
casa di sconosciuti. Suggerì a Claudio di andare a divertirsi, senza<br />
preoccuparsi per lui.<br />
- Non mi preoccupo per te, mi preoccupo per me. Vorrei<br />
cominciare bene l’anno, perciò vorrei passare capodanno con te.<br />
- Che cosa vuoi fare?<br />
- Io ho esaurito le mie proposte. Tocca a te farne una.<br />
Primo sorrise, o ghignò.<br />
- Andiamo al capanno.<br />
- Al capanno? Ma saranno 20 sotto zero. E poi sarà sepolto<br />
dalla neve.<br />
- No, ce n’è di meno di quando ti sei perso. E quanto al<br />
freddo, accendiamo la stufa.<br />
Claudio era dubbioso, ma l’idea di ritornare dove aveva<br />
incontrato Primo lo allettava. Accettò.<br />
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Salirono al capanno con le racchette, <strong>nel</strong> pomeriggio del<br />
trentuno. Claudio si stupì vedendo delle orme.<br />
- Qualcuno è salito. Chi può essere?<br />
- Non ne ho idea.<br />
Lo stupore aumentò quando arrivarono in vista del capanno.<br />
Le orme si dirigevano esattamente alla porta, dove la neve era stata<br />
spalata.<br />
- Ma qualcuno è andato al capanno! Sono tracce fresche!<br />
Chi può essere?<br />
- Forse qualche mio collega.<br />
- Ma non mi avevi detto che sei l’unico ad usarlo?<br />
- Vatti a sapere. Magari vogliono festeggiare.<br />
Claudio si sentì smarrito. Al capanno, con altra gente! Stare<br />
al capanno aveva senso soltanto se significava stare da soli con<br />
Primo.<br />
Il capanno era chiuso e dentro non c’era nessuno. Ma<br />
qualcuno era passato: il tavolo aveva una coperta pulita e soprattutto<br />
la stanza non era fredda: qualcuno aveva acceso la stufa in giornata<br />
ed anche se ora era spenta, la temperatura era gradevole.<br />
- Bene, adesso riaccendo la stufa, così siamo a posto.<br />
- Ma…<br />
Claudio intuì.<br />
- Sei venuto su tu!<br />
- Sì, sono salito ieri sera, ho acceso la stufa e l’ho tenuta<br />
tutta la notte, in modo che l’ambiente si scaldasse. Questa mattina<br />
ho cambiato le lenzuola, ho messo la tovaglia e sono sceso.<br />
- Per questo mi hai detto che ieri sera eri occupato,<br />
manigoldo!?<br />
Primo sorrise, senza rispondere.<br />
Primo cucinò la cena. Non era un cenone da capodanno, ma<br />
Claudio si disse che non era mai stato tanto felice.<br />
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La stufa andava a tutto vapore e <strong>nel</strong>la stanza faceva caldo.<br />
- Forse puoi anche ridurre il tiraggio.<br />
Primo scosse la testa.<br />
- No, questa sera facciamo festa, dev’essere caldo.<br />
Lo guardò un attimo e, con un sorriso malizioso, aggiunse:<br />
- Questa sera ti faccio la festa.<br />
Claudio ebbe la sensazione che gli mancasse il fiato. Sapeva<br />
a che cosa alludeva Primo. A quello che non avevano fatto <strong>nel</strong> loro<br />
primo incontro, perché Claudio aveva paura. Non era stato<br />
necessario dire niente: Primo aveva capito e non aveva domandato o<br />
detto nulla, si era offerto, ma non aveva richiesto che Claudio<br />
facesse altrettanto. Poi, <strong>nel</strong> mese che era seguito, Claudio si era reso<br />
conto di desiderare, con una forza sempre maggiore, ciò che <strong>nel</strong>lo<br />
stesso tempo lo spaventava. Voleva che Primo lo possedesse, ma,<br />
nonostante la sfacciataggine completa di cui entrambi davano prova<br />
nei loro giochi d’amore, si vergognava a chiedere. Primo aveva<br />
capito.<br />
Fu a mezzanotte e Claudio, malgrado il dolore che aveva<br />
accompagnato il piacere, fu felice, felice di appartenere a Primo.<br />
La primavera e l’estate non modificarono il loro legame.<br />
Sciolsero alcune paure residue di Claudio, la sua ansia di non essere<br />
all’altezza, la paura che per Primo non fosse un sentimento<br />
profondo come quello che provava lui.<br />
Claudio cominciò ad informarsi sulle possibilità di avere un<br />
trasferimento a Sant’Anna, pochi chilometri sotto Grange, dove<br />
c’era anche la sede del parco. Si prese anche il bando di concorso<br />
per personale tecnico del parco, appena uscito. Ma prima di agire,<br />
doveva parlare con Primo.<br />
Provava una vaga inquietudine. Primo sembrava soddisfatto<br />
del loro rapporto così com’era. Non era un rischio?<br />
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Forse, ma Claudio voleva correrlo. Glielo disse una sera che<br />
mangiava da lui, a metà settembre, due giorni prima che scadessero<br />
i termini per il concorso.<br />
- Che cosa ne diresti se mi trasferissi a Grange o a<br />
Sant’Anna? Ti andrebbe bene?<br />
Aveva aggiunto Sant’Anna, timoroso di una reazione<br />
negativa.<br />
Primo lo fissò, senza rispondere.<br />
Claudio era in imbarazzo. Balbettò:<br />
- Era solo un’idea…<br />
- Claudio, tocca a te scegliere, ma se vuoi sapere se mi<br />
piacerebbe, la risposta è no.<br />
Claudio sentì una fitta.<br />
Primo riprese:<br />
- Io vorrei che tu venissi a stare qui, in questa casa. Vorrei<br />
dormire accanto a te, poterti stringere la notte, borbottare quando ti<br />
sciogli dal mio abbraccio per andare a pisciare, aspettare che tu<br />
abbia finito e ritorni a letto, per stringerti di nuovo. Vorrei fare<br />
colazione con te tutti i giorni, o magari lasciarti la colazione pronta,<br />
se mi devo alzare prima. Vorrei che mi portassi la colazione a letto<br />
la domenica. Vorrei vederti leggere su quel divano. Vorrei cucinare<br />
per te o rientrare a casa e scoprire che hai preparato per cena un<br />
piatto nuovo. Vorrei litigare con te perché hai dimenticato di<br />
comprare il sale. Vorrei poterti afferrare quando torni a casa,<br />
strapparti un bacio a forza, calarti i pantaloni mentre protesti… il<br />
resto puoi immaginarlo. Vorrei vivere con te, non abitare <strong>nel</strong>le<br />
vicinanze.<br />
Claudio non riuscì a rispondere subito. Sentiva che se avesse<br />
cercato di parlare, gli sarebbero venute le lacrime agli occhi.<br />
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Cibo per avvoltoi<br />
Un racconto rosso, nero, blu ed anche rosa<br />
(con un nota sul congiuntivo 1 )<br />
a Necrobear 2<br />
Matt scese dal cavallo. Era esausto, il culo gli faceva un<br />
male cane e gli sembrava che i suoi coglioni fossero pieni di<br />
formiche rosse intente a cibarsi. Erano tre giorni che cavalcava,<br />
fermandosi solo quel tanto che era necessario per far riposare un po’<br />
il cavallo e dormire un paio d’ore.<br />
Adesso però era arrivato in vista di Boca Caliente. La<br />
cittadina era ben visibile dalla collina desolata su cui Matt si<br />
trovava. Case basse, molte di mattoni di fango. Altre in pietra,<br />
testimonianza di un passato grandioso ormai calcinato dal sole ed<br />
inghiottito dal deserto. Polvere e squallore. Un calore opprimente.<br />
Era inzuppato di sudore ed il sole continuava ad arrostirlo,<br />
anche se ormai stava quasi per scomparire all’orizzonte. In quel<br />
buco del culo di posto, di nuvole non dovevano venircene mai. E<br />
chi ci sarebbe mai venuto, potendo scegliere, in quel buco del culo?<br />
1 Amo i congiuntivi e di rado li tradisco. Non tutti i miei personaggi condividono i miei<br />
gusti: molti sono vissuti in epoche ed ambienti in cui l’istruzione era poco diffusa. Daniel<br />
Dessart (ne I Quattro re) e molti pirati del mio successivo romanzo non hanno studiato alla<br />
Sorbona, né a Salamanca o ad Oxford. Quando faccio parlare questi personaggi, cerco di<br />
rendere il loro linguaggio, non sempre grammaticalmente corretto. In alcuni racconti, pur<br />
usando la terza persona, sposo il punto di vista ed adotto il linguaggio del personaggio,<br />
come avviene in questo caso. Matt, per l’epoca in cui vive e per la sua condizione sociale,<br />
sa leggere e scrivere, ma non va oltre. Perciò <strong>nel</strong> suo pensiero l’uso dei modi e dei tempi<br />
non è certo elegante (non lo è il suo linguaggio, mai) e spesso nemmeno corretto.<br />
2 La città di Boca Caliente, i due corpi che Matt vede all’arrivo e English Paul<br />
sono invenzioni di un autore che si firma Necrobear e compaiono <strong>nel</strong> racconto Belly to<br />
Belly, Chest to Chest. Per questo dedico a Necrobear il racconto.<br />
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Boca Caliente era un posto di merda, pieno di criminali di<br />
tutte le taglie. E di cacciatori di taglie. Eppure l’ultima possibilità di<br />
trovare Tom era lì, in quel buco del culo.<br />
Sempre che Tom fosse ancora vivo.<br />
I ricordi premevano per uscire dalle loro tane ed affollargli<br />
la testa, ma lui non li voleva, quei lupi fottuti, che ti spolpano vivo<br />
un uomo e non lasciano che brandelli di sofferenza. Si guardò<br />
intorno, per scacciare le immagini che venivano da dentro, e vide<br />
due avvoltoi in volo. Stavano planando, abbassandosi sempre di più.<br />
Ci doveva essere qualche preda, non lontano. Una carogna. Un<br />
animale. O un uomo.<br />
Maledisse gli avvoltoi, risalì a cavallo e si diresse <strong>nel</strong>la<br />
direzione in cui i due fottuti uccellacci stavano scomparendo tra le<br />
rocce.<br />
Quando arrivò sul posto, vide che il suo presentimento non<br />
era sbagliato: un avvoltoio stava affondando il suo becco in un<br />
corpo umano. L’altro stava per posarsi, ma l’arrivo di Matt lo<br />
indusse a fermarsi più lontano.<br />
Con un colpo di speroni spronò il cavallo e si avvicinò.<br />
L’avvoltoio volò via, ma non si allontanò: aspettava che<br />
l’intruso se ne andasse per riprendere la sua opera. Matt smontò e<br />
raggiunse il cadavere.<br />
Non ce n’era uno solo: erano due corpi, nudi. Ma nessuno<br />
dei due era Tom. Uccisi da poco, perché non puzzavano ancora,<br />
malgrado quel sole fottuto che gli arrostiva la testa e lo faceva<br />
zampillare come una fontana.<br />
Due uomini, piuttosto corpulenti. Giacevano uno di traverso<br />
sull’altro, petto contro petto, ventre contro ventre. Quello di sopra<br />
era di schiena ed aveva i fori di quattro proiettili. L’avvoltoio non lo<br />
aveva toccato.<br />
Il corpo disteso sotto l’altro era ancora più grosso e, a<br />
giudicare da quanto si vedeva, molto peloso. Aveva grandi coglioni<br />
coperti da una fitta peluria ed una formidabile erezione. Sul ventre<br />
c’era il foro di un proiettile ed una lacerazione provocata dal becco<br />
dell’avvoltoio.<br />
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Con la punta dello stivale, Matt spostò il cadavere che stava<br />
sopra, facendolo ricadere di schiena, a fianco del compagno. Ora<br />
poteva vederli bene entrambi.<br />
Il più grosso dei due aveva parecchi fori di pallottole. Matt ne<br />
contò sette, distribuiti tra il ventre ed il torace. Anche l’altro aveva<br />
diversi fori. Dalle ferite era colato parecchio sangue. Dovevano<br />
averli giustiziati lentamente, un colpo per volta. Eppure tutti e due<br />
avevano il cazzo duro.<br />
Gli avvoltoi li avrebbero divorati. Sentì un brivido<br />
percorrergli la schiena. Sì, gli avvoltoi… Forse da qualche parte…<br />
Forse di Tom c’erano rimaste solo le ossa. Merda!<br />
Guardò ancora i due cadaveri. Quegli uomini erano stati<br />
amanti. Ne era sicuro. Non avrebbe potuto dire da dove gli veniva<br />
tanta sicurezza e non c’era nulla che la giustificasse. Ma ne era<br />
certo. Erano stati amanti. Ed erano morti insieme. Tutti e due con il<br />
cazzo duro, di fronte alla morte. Questo era bello. Anche lui ci stava<br />
a crepare, se era con Tom. Anche se loro non avevano mai scopato.<br />
Aveva capito troppo tardi. Quel fottuto giorno di febbraio,<br />
sei mesi prima, quando Tom era partito. Al momento di salutarsi lo<br />
aveva afferrato un desiderio feroce di abbracciarlo. Lo aveva fatto e,<br />
senza neppure capire che cosa faceva, lo aveva baciato sulla bocca.<br />
Non aveva mai baciato nessuno. Si bacia forse una puttana in un<br />
bordello? Si bacia l’uomo che ti fotte quando sei ancora un ragazzo<br />
o il compagno con cui ti diverti un po’, in un mondo in cui c’è una<br />
donna ogni dieci uomini e quelle che non sono puttane è peggio che<br />
se avessero la fica cucita? Aveva baciato Tom e Tom aveva<br />
ricambiato quel bacio. Aveva spinto la lingua <strong>nel</strong>la bocca di Tom,<br />
che non si era tirato indietro. Non c’era stato tempo per altro. Al<br />
primo richiamo di McConnally si erano separati. Ed erano rimasti<br />
un buon momento a guardarsi, mentre da fuori McConnally<br />
chiamava di nuovo Tom. Matt non era stato capace di trovare le<br />
parole. Aveva troppa confusione in testa, un bordello di pensieri.<br />
Aveva il gusto delle labbra di Tom sulle sue e la carezza della<br />
lingua di Tom gli bruciava ancora la bocca, giù, fin dentro il ventre,<br />
fino al culo, fino ai coglioni, fino al cazzo che quando pensava a<br />
quel bacio diventava di pietra, una pietra incandescente, da aver<br />
paura a sfiorarlo con la mano.<br />
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Tom aveva solo detto: - Quando torno. Se…<br />
Non aveva completato la frase. Era uscito.<br />
Matt aveva atteso per due mesi, il corpo che ardeva di un<br />
desiderio implacabile. Ogni volta che pensava a Tom, gli veniva<br />
duro, duro da impazzire, duro per ore e non bastava una sega a<br />
calmarlo un po’.<br />
Poi, due mesi dopo la partenza di Tom, era arrivata la<br />
notizia. Tom era morto, mentre ritornava, <strong>nel</strong>l’agguato degli indiani<br />
a Buffalo Springs.<br />
Allora Matt aveva capito che quello che provava non era<br />
solo desiderio. Era qualche cosa di molto più forte, perché la notizia<br />
gli aveva oscurato il sole e spento il fuoco. Per due mesi aveva<br />
vegetato, rivoltolandosi <strong>nel</strong> dolore come un maiale <strong>nel</strong>la propria<br />
merda. Non gli fregava più un cazzo di niente e non sapeva<br />
nemmeno lui perché continuava ad alzarsi il mattino. Poteva tirarsi<br />
un colpo, che era meglio. Finiva per farlo, certamente, se non<br />
arrivava Missouri Joe. Ma Missouri Joe era arrivato. Ed aveva<br />
raccontato di Tom. Allora era incominciata quella caccia.<br />
Tom, vivo, in fuga. Cortacarajos e la sua banda che lo<br />
seguivano. E lui, Matt, a seguire Cortacarajos per trovare Tom.<br />
Matt si voltò, prese le redini del cavallo e fece alcuni passi.<br />
Poi si girò e guardò ancora i due cadaveri.<br />
L’avvoltoio tornò a posarsi sul ventre dell’uomo più grosso,<br />
affondando il becco <strong>nel</strong>la carne ed estraendone le viscere. Altri<br />
avvoltoi stavano arrivando. Ben presto Matt non fu più in grado di<br />
vedere i cadaveri, ma dal becco di uno degli avvoltoi vide sporgere<br />
uno dei coglioni del morto più grosso. L’altro doveva essere <strong>nel</strong><br />
becco.<br />
Li avrebbero spolpati, completamente. Sarebbero rimaste<br />
solo le ossa, rosicchiate e poi sparse in giro dagli animali notturni.<br />
Cibo per avvoltoi. Non era una brutta fine. No. Una volta<br />
crepati, marcire sotto terra o essere digeriti dagli avvoltoi e poi<br />
cagati fuori, che cosa cambiava? I due erano crepati insieme e gli<br />
avvoltoi li divoravano insieme. Non era una brutta fine. Lui ci stava,<br />
se solo poteva ritrovare Tom. Poi Cortacarajos poteva prenderli e<br />
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fare il suo lavoretto. A lui non gliene fotteva più niente, se solo<br />
trovava Tom.<br />
Matt tornò a guardare Boca Caliente. Il buco del culo del<br />
Messico. E la sua unica speranza di trovare Tom. Salì a cavallo,<br />
fece una smorfia per il male al culo e scese verso la città. In pochi<br />
minuti arrivò alle prime case.<br />
Sulla collina il caldo era immondo, ma in quella città di<br />
merda era ancora peggio. Molto peggio.<br />
Matt si guardò intorno alla ricerca di un saloon in cui<br />
fermarsi. Il tempo di ottenere qualche informazione, il tempo di<br />
trovare Tom, il tempo di morire. Minuti, ore, giorni. Era lo stesso.<br />
Non gliene fotteva niente del tempo. C’era un solo tempo che<br />
contava, quello che mancava al momento in cui ritrovava Tom.<br />
Il saloon era come la città, squallido e pieno di gentaglia, ma<br />
per lui andava bene. Non guardò in faccia nessuno, chiese una<br />
camera, pagò e ci salì. La stanza era come il saloon, un buco di culo<br />
lurido, che puzzava di piscio, ma non gliene fotteva un cazzo.<br />
Aveva una voglia fottuta di dormire e a guardare il letto sentiva che<br />
le palpebre si abbassavano da sole, ma prima voleva sapere.<br />
Ridiscese <strong>nel</strong>la sala, che era piena di gente. Ripensò a quello<br />
che gli aveva detto il falegname, a Tapioca: - Se vuoi rimanere vivo<br />
un’ora a Boca Caliente, fatti i cazzi tuoi. Se ammazzano il tuo<br />
vicino, spostati, ma fregatene. Ne vedrai ammazzare, di gente, a<br />
Boca Caliente: è il posto ideale per regolare i conti. Non esiste<br />
neppure <strong>nel</strong>le carte, non c’è un alcalde, non ci sono soldati, guardie,<br />
nulla. Se qualcuno rompe i coglioni, lo impiccano, altra giustizia<br />
non c’è. Quindi se vuoi rimanere vivo un’ora, bocca chiusa e occhi<br />
chiusi. Per un’ora basta. Di più, solo Domineddio te lo può<br />
garantire.<br />
Matt ordinò da bere e da mangiare e rimase <strong>nel</strong> saloon,<br />
ascoltando la gente che chiacchierava, fino a che non sentì quello<br />
che voleva sentire. Cortacarajos era in città, con la sua banda.<br />
Quindi Tom era in città oppure Cortacarajos aveva perso le sue<br />
tracce. Ma Cortacarajos in città non ci rimaneva, se non era sicuro<br />
che Tom c’era.<br />
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pietra.<br />
Salì in camera e si stese sul letto. Piombò in un sonno di<br />
L’indomani mattina Matt indugiò a letto. Non era abituato a<br />
poltrire e tra tutti i posti in cui oziare un po’, quella camera lercia e<br />
puzzolente non era certo il migliore. Ma Matt aveva bisogno di<br />
pensare, di capire come muoversi. Ci aveva messo un mese a<br />
trovare le tracce di Cortacarajos ed un altro mese a raggiungerlo.<br />
Ora erano tutti e due <strong>nel</strong>la stesso buco del culo, sprofondati <strong>nel</strong>la<br />
stessa merda. Ed uno dei due ci lasciava le penne.<br />
Missouri Joe aveva detto che Tom era vivo, ma che si<br />
nascondeva perché un bandito messicano, Cortacarajos, era sulle<br />
sue tracce. Matt aveva sentito parlare di Cortacarajos una volta: era<br />
famoso, per il servizietto che faceva ai suoi nemici. Gli tagliava<br />
cazzo e coglioni e glieli metteva in bocca. Se poteva, tagliava<br />
quando erano ancora vivi, si divertiva di più.<br />
E Cortacarajos era dietro a Tom. Dietro con la sua banda, da<br />
mesi. Perché gli stava dietro, Missouri Joe non lo sapeva. Dov’era<br />
Tom, neppure quello sapeva. Missouri Joe non sapeva un cazzo,<br />
sapeva solo che Tom era vivo e che Cortacarajos lo cercava.<br />
Matt era partito subito, alla ricerca di Tom. Ma non aveva<br />
nessuna traccia: poteva solo cercare Cortacarajos: Cortacarajos<br />
dietro a Tom, Matt dietro a Cortacarajos. Adesso, finalmente, lui e<br />
quel figlio di puttana erano <strong>nel</strong>lo stesso posto.<br />
In quel lungo inseguimento, Matt aveva raccolto diverse<br />
informazioni. Sapeva perché Tom aveva cercato rifugio a Boca<br />
Caliente: Cortacarajos gli aveva bloccato le strade verso la<br />
California ed allora Tom si era diretto verso Boca Caliente, perché<br />
era il territorio del Diablo Loco, un nemico giurato di Cortacarajos.<br />
Cortacarajos non si permetteva di certo di entrare a Boca<br />
Caliente, se c’era il Diablo Loco, ma il Diablo era lontano con la<br />
sua banda e Cortacarajos aveva deciso di entrare <strong>nel</strong> territorio del<br />
suo rivale, ben sapendo che questo significava una sola cosa: la<br />
guerra. Quando il Diablo Loco arrivava e scopriva che Cortacarajos<br />
era stato lì, Cortacarajos diventava la preda e lui il cacciatore.<br />
Ma di questo a Matt non fregava un cazzo. Era del tutto<br />
insignificante. Perché quando il Diablo Loco arrivava, lui e Tom<br />
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erano morti. Se Tom non era già morto. Difficile, perché a Boca<br />
Caliente Cortacarajos non rimaneva un giorno più del necessario.<br />
Si era chiesto a lungo se non ammazzare Cortacarajos, una<br />
volta che l’aveva trovato. Ammazzarlo, anche se voleva dire farsi<br />
ammazzare dai suoi. Liberare il mondo da quella carogna e salvare<br />
Tom. Ma non era sicuro che la banda interrompeva la caccia, dopo<br />
la morte del capo. Se Cortacarajos era dietro a Tom da tanto tempo,<br />
voleva dire che ci teneva a prenderlo. E morto Cortacarajos, magari<br />
la banda riprendeva la caccia. E poi, lui voleva ritrovare Tom. Poi<br />
magari crepare, ma voleva ritrovarlo. Voleva stringerlo, voleva…<br />
Voleva fotterlo. Questo era quello che voleva. Non gliene fotteva<br />
niente di tutto il resto, il prima ed il dopo. Cortacarajos poteva<br />
tagliarglielo tre volte, il cazzo, se lui solo era riuscito a metterlo in<br />
culo a Tom. Perché questo voleva. Ed al pensiero aveva di nuovo il<br />
cazzo come una roccia. Il pensiero del corpo di Tom lo faceva<br />
impazzire. Voleva salvare Tom, ma più ancora voleva fottere Tom.<br />
E se poi Cortacarajos faceva il servizio a tutti e due, non gliene<br />
fotteva un cazzo.<br />
Doveva cercare Tom, ma come trovarlo? Tom si nascondeva<br />
e Boca Caliente non era il posto migliore per andare a chiedere<br />
notizie di uno. Non con Cortacarajos in giro, comunque. Che veniva<br />
a saperlo in quattro e quattr’otto.<br />
Non aveva molte idee, se non quelle che si era fatto mentre<br />
cercava di arrivare in quel posto di merda. Bene, se non aveva altre<br />
idee, tanto valeva mettere in pratica quelle che aveva.<br />
Scese a fare colazione. E vide il primo omicidio.<br />
Erano quattro che giocavano a carte, ad un tavolo. Fece in<br />
tempo a vedere uno, si sarebbe detto un messicano, che tirava fuori<br />
la pistola, sotto il tavolo, senza che l’altro, concentrato <strong>nel</strong>le sue<br />
carte, vedesse. Lo sparo lo fece trasalire. L’uomo, colpito in pancia,<br />
si portò le mani alla ferita e crollò a terra, scalciando.<br />
Tutti si erano girati a guardare, ma in un attimo ognuno<br />
aveva ripreso a farsi i cazzi suoi. Il ferito agonizzava, mentre il suo<br />
assassino, in piedi, si godeva la scena.<br />
- Questo è per mio fratello, English Paul.<br />
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L’uomo a terra continuava a contorcersi, su un fianco,<br />
mentre l’altro lo guardava. Poi si abbandonò disteso, la testa verso<br />
l’alto, ad aspettare la morte. Il suo assassino sparò ancora cinque<br />
colpi, tutti <strong>nel</strong> ventre. Ad ogni colpo English Paul sussultava, il viso<br />
stravolto in una smorfia.<br />
Poi il messicano se ne andò, senza che nessuno gli dicesse<br />
una parola, lasciando la sua vittima che non aveva ancora finito di<br />
tirare le cuoia. Matt guardò l’uomo un momento. Era un bell’uomo,<br />
anche se i lineamenti erano distorti dal dolore. Respirava ancora.<br />
Aveva perso un barile di sangue, ma non era morto. Due si<br />
occuparono di portarlo fuori. Lo mollarono <strong>nel</strong>la strada.<br />
Matt mangiò qualche cosa. Chiese qualche informazione<br />
sulla città. Poi uscì. English Paul respirava ancora. Matt passò oltre.<br />
Andò in giro, passò negli altri saloon, ognuno un cesso<br />
peggio dell’altro. Chiese di Tom. Sapeva benissimo che nessuno gli<br />
diceva niente. Ed infatti nessuno gli disse niente. Ma magari Tom<br />
veniva a sapere che qualcuno lo cercava, qualcuno che non era<br />
Cortacarajos. E magari capiva che era lui. Magari.<br />
Intanto cercava di capire che cosa poteva aver fatto Tom, per<br />
nascondersi, in quel buco di culo. Aveva preso una camera da<br />
qualche parte, in una locanda o magari da uno del paese? Si era<br />
chiuso dentro e si faceva portare da mangiare, senza più mettere il<br />
naso fuori? Ci voleva qualcuno di fidato e trovarlo a Boca Caliente<br />
era come trovare diamanti <strong>nel</strong>la merda. Vero è che in un posto in<br />
cui tutti si facevano i cazzi propri, c’era qualche possibilità in più di<br />
non essere scoperto subito, ma Cortacarajos aveva venti uomini e se<br />
faceva domande lui, la gente rispondeva, cazzo se rispondeva!<br />
Nessuno aveva voglia di finire con due buchi in pancia per<br />
mancanza di memoria.<br />
Una possibilità era la città vecchia, quella che gli spagnoli<br />
avevano costruito quando Boca Caliente era una tappa importante<br />
sulla via per la California e non un buco di culo tagliato fuori dal<br />
mondo. C’erano molti ruderi e quello poteva essere un posto per<br />
nascondersi. Girò per un po’, ma non vide nulla. A parte i buchi<br />
delle pallottole nei muri e due cadaveri abbandonati in un cortile.<br />
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Tornò al saloon solo la sera. Non aveva combinato niente.<br />
Ma aveva sentito di nuovo che Cortacarajos era in città.<br />
La mattina dopo, quando scese <strong>nel</strong> salone, lo vide subito. Un<br />
uomo di media statura, panciuto, il cappello calato sugli occhi, un<br />
sigaro tra le labbra, barba nera come la pece, la camicia aperta su un<br />
torace peloso come quello di una scimmia, mani grandi con dita<br />
tozze ed anche quelle pelose. Sapeva chi era, anche se non l’aveva<br />
ancora visto. E sapeva che lo aspettava.<br />
Gli altri erano sparsi per il salone, ma erano tutti pronti a<br />
tirar fuori la pistola e freddarlo al primo movimento.<br />
Va bene. Cortacarajos lo aspettava. Inutile far finta di niente.<br />
Si diresse verso di lui, con un’andatura rilassata, ma attento<br />
a tenere le mani bene in vista, lontano dalle pistole. Cortacarajos lo<br />
fissava tranquillo, un mezzo sorriso sulle labbra. Matt si fermò<br />
davanti a lui, dall’altra parte del tavolo. Fece una specie di sorriso e<br />
con molta calma si mise a sedere. Sollevò un po’ il cappello e disse,<br />
a metà tra il serio ed il faceto:<br />
- Buongiorno.<br />
Cortacarajos lo fissò un momento senza rispondere. La<br />
faccia non era come Matt se l’era immaginata. C’era molta ferocia,<br />
<strong>nel</strong> ghigno della bocca, negli occhi scuri. Ma c’era anche<br />
intelligenza. Era una belva astuta, non una bestia stupida.<br />
Cortacarajos si tolse il sigaro dalle labbra e sputò sul<br />
pavimento del saloon.<br />
- Senti, amico, non perdiamo tempo: sono due mesi che mi<br />
stai appiccicato al culo. Che cazzo vuoi da me?<br />
- Da te niente, assolutamente niente. Ma stiamo cercando<br />
tutti e due lo stesso figlio di puttana.<br />
Cortacarajos lo fissò. Tacque di nuovo un momento, prima<br />
di replicare:<br />
- Così anche tu staresti dietro a quel fottuto maiale?<br />
Matt annuì.<br />
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- Sì, ma non sapevo in quale buco di culo si era ficcato per<br />
nascondersi. Poi mi hanno detto che lo cercavi anche tu. E che eri<br />
sulle tue tracce. Così mi sono unito alla caccia. Conosco bene il<br />
bastardo e le sue abitudini. Ci conto per riuscire ad acchiapparlo,<br />
tanto più che lui si fida di me.<br />
Quell’allusione al fatto che lui conosceva Tom e che Tom si<br />
fidava di lui era l’unica carta che aveva per evitare che Cortacarajos<br />
gli facesse sparare subito. L’aveva giocata ed ora la mano passava<br />
al suo avversario. Che, se voleva, chiudeva la partita con un piccolo<br />
cenno ai suoi, di certo un segno convenuto, magari solo il buttare<br />
quel fottuto sigaro per terra. Cortacarajos non si mosse, non disse<br />
nulla. Rimasero a fissarsi un buon momento. Matt sapeva che non<br />
era ancora ora di alzarsi. Era pericoloso farlo. Doveva aspettare.<br />
Dopo un po’, Cortacarajos parlò:<br />
- Per me, se lo fai fuori tu, va bene. Ma ti avviso, se non me<br />
l’hai contata giusta, tu vivo da questa città non esci. Finisci come<br />
quell’altro, con un bel taglio rosso tra le gambe, cazzo e coglioni in<br />
bocca.<br />
Matt alzò le spalle.<br />
- Non me ne fotte niente. Io voglio solo fottere quel maiale.<br />
Poi puoi farmi quello che vuoi.<br />
Cortacarajos lo fissò e Matt ebbe l’impressione che gli<br />
leggesse dentro, che capisse che lui davvero voleva fottere Tom e<br />
poi non gli importava niente di crepare. Era vero. Fottere Tom,<br />
metterglielo in culo. All’idea gli era venuto duro, lì, davanti a<br />
quell’assassino pronto a tagliargli il cazzo ed i coglioni. Duro. Se lo<br />
ammazzava ora e glielo tagliava, era un bel trofeo.<br />
Cortacarajos sorrise, poi si alzò ed uscì senza dire una<br />
parola. I suoi uomini lo seguirono. Il saloon sembrò svuotarsi. Matt<br />
si rilassò. Era andata, per il momento, ma lì dentro c’era rimasto di<br />
sicuro qualcuno degli uomini di Cortacarajos. Se lui trovava Tom,<br />
lo trovava anche Cortacarajos. Per quello Cortacarajos non l’aveva<br />
fottuto subito.<br />
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Uscì e girò ancora tutta la mattina, ma girava a vuoto. Ogni<br />
tanto si sentiva uno sparo e Matt si chiedeva se non era Cortacarajos<br />
che aveva trovato Tom.<br />
Aveva girato per quattro ore ed ormai aveva individuato i<br />
due uomini che Cortacarajos gli aveva appiccicato al culo. Se<br />
trovava una pista, quei due doveva sganciarli, ma per il momento<br />
poteva portarseli dietro.<br />
Era rientrato al saloon da nemmeno dieci minuti e stava<br />
bevendo qualche cosa al banco, prima di mangiare un boccone,<br />
quando vennero a cercarlo.<br />
Erano due uomini che non aveva mai visto e con loro<br />
c’erano gli altri due che Cortacarajos gli aveva messo alle calcagna.<br />
- Cortacarajos ti vuole, muoviti.<br />
Non gli avevano chiesto se voleva andare dal capo o no. Non<br />
era previsto un rifiuto. E lui comunque non rifiutava. Perché se<br />
Cortacarajos lo chiamava, era perché aveva trovato Tom. Quindi in<br />
quel pomeriggio che incominciava, finivano la vita sua e quella di<br />
Tom.<br />
Matt annuì e seguì i quattro. Nessuno fiatò per tutto il<br />
percorso. Arrivarono alla città vecchia, tra gli edifici in pietra.<br />
Cortacarajos era là, il sigaro in bocca. Lo guardò negli occhi,<br />
un ghigno sulle labbra.<br />
- Bene, il tuo amico, quello che vuoi fottere, è lì dentro. Non<br />
sporgerti troppo per guardare. Il tuo amico sa tirare.<br />
Indicò oltre il muro che aveva alle spalle. Matt si sporse con<br />
cautela e vide un edificio in pietra che doveva essere stato molto<br />
grande, ma che in parte era crollato. Rimaneva solo un’ala, ad una<br />
certa distanza, con una porta ed una finestra sopra l’ingresso. Da<br />
dove erano loro alla porta c’era un corridoio, tra due cumuli di<br />
macerie: l’edificio era crollato, lasciando sgombro solo quel<br />
passaggio. Bisognava percorrere tutto il corridoio per raggiungere la<br />
porta al fondo e metterci il piede significava essere sotto tiro. In<br />
mezzo a quella specie di corridoio del cazzo c’era un cadavere. Uno<br />
che non era morto di vecchiaia.<br />
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- Adesso, visto che vuoi fotterlo, puoi andare da lui, ma tra<br />
un’ora, quando faccio suonare la campana, ce lo fai trovare senza<br />
armi, vivo o morto, come vuoi. Ci stai?<br />
Cortacarajos aveva scovato Tom. Ma non aveva voglia di<br />
farsi ammazzare dieci uomini per stanarlo, se solo poteva evitarlo.<br />
Certo, poteva aspettare la notte, al buio sarebbero riusciti ad arrivare<br />
alla porta ed entrare. Oppure poteva cercare di far saltare in aria la<br />
casa. Ma Cortacarajos non aveva tempo da perdere, il Diablo Loco<br />
poteva arrivare da un momento all’altro, facile che già sapeva che<br />
Cortacarajos si era permesso di entrare a Boca Caliente e quello era<br />
uno sfregio che non perdonava. Cortacarajos mandava Matt avanti,<br />
gli lasciava fottere Tom, così poi lui glielo consegnava.<br />
Cortacarajos lo fissava e Matt si chiese se davvero quel<br />
figlio di puttana gli leggeva in testa. Meglio di no. Perché lui Tom<br />
voleva fotterlo, ma manco morto glielo consegnava, Cortacarajos<br />
poteva fargli tutto quello che voleva.<br />
Matt annuì.<br />
- D’accordo.<br />
Cortacarajos sorrise.<br />
- Ora dammi le pistole.<br />
Matt si tolse il cinturone e gli voltò le spalle.<br />
Matt si avvicinò all’imboccatura del corridoio. Urlò:<br />
- Tom, sono io, Matt, vengo da te. Sono disarmato.<br />
Si avviò per il corridoio. Per un attimo pensò che forse se<br />
Tom gli sparava era meglio. Ma era una cazzata. E poi Tom non<br />
sparava. Perché doveva farlo?<br />
Superò il cadavere. Arrivò al fondo del corridoio. La porta<br />
era sbarrata da macerie diverse. Matt ripeté:<br />
- Sono io, Matt. Sto entrando.<br />
Sentì la voce di Tom:<br />
- Sali al piano di sopra, Matt.<br />
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Quella voce era come una frustata, una carezza che lacerava<br />
la pelle e faceva bruciare. Ce l’aveva di nuovo duro.<br />
Dentro era buio e gli ci volle un momento per vedere la<br />
scala, in un angolo, ingombra di macerie. Salì. C’era un altro<br />
cadavere, in mezzo alla scala. Quello che aveva deciso di esplorare<br />
quel posto, per vedere se Tom non si nascondeva lì. Aveva avuto<br />
fiuto, quel bastardo. Troppo. O non abbastanza.<br />
Arrivò al piano di sopra. Sì, non era facile arrivarci, neanche<br />
di notte. Era un buon posto per difendersi.<br />
La stanza era grande, molto di più di quello che Matt<br />
avrebbe detto, vedendo l’edificio da fuori. E dietro ce ne doveva<br />
essere anche un’altra, c’era una porta. Tom era vicino alla finestra,<br />
in parte ostruita da travi e dalla carcassa di un vecchio mobile. Tom<br />
guardava fuori, ma quando Matt entrò, voltò la testa.<br />
- Matt, che cazzo ci fai qui?<br />
Matt rimase a guardarlo un momento, incapace di sputar<br />
fuori una parola. Poi ghignò.<br />
- Sono venuto a scopare con te, prima che Cortacarajos ci fa<br />
il servizio.<br />
Tom lanciava occhiate fuori, ma quando Matt parlò, rimase<br />
muto a fissarlo. Non diceva nulla, ma non gli staccava gli occhi di<br />
dosso.<br />
- Non abbiamo molto tempo, Tom. Un’ora. È il tempo che<br />
mi ha dato Cortacarajos, poi attacca. Quel bastardo figlio di una<br />
troia crede che io ti consegnerò a lui.<br />
Matt si tolse la camicia, poi si sedette a terra e incominciò a<br />
sfilarsi gli stivali. Si rialzò e si calò anche i pantaloni. Ora era nudo,<br />
davanti a Tom, il cazzo duro, teso sulla pancia. Tom sembrava<br />
boccheggiare, come se gli mancava l’aria. Matt si avvicinò, gli<br />
prese la faccia tra le mani e lo baciò. Gli infilò la lingua a forza in<br />
bocca. Tom sembrava istupidito. Matt gli afferrò con le mani la<br />
camicia e la aprì, facendo saltare i bottoni.<br />
Tom si ritrasse, guardò ancora fuori dalla finestra, poi posò<br />
le pistole e si spogliò.<br />
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Nudi, uno davanti all’altro, si guardarono. Gli occhi di Matt<br />
passarono dal viso di Tom, a cui la barba scura di più giorni ed i<br />
capelli neri arruffati davano una bellezza feroce, alle spalle larghe<br />
ed al torace muscoloso coperto da una fine peluria, che formava una<br />
grande macchia scura al ventre. Guardò il cazzo robusto di Tom e<br />
rabbrividì al pensiero di ciò che sarebbe successo. Rialzò lo sguardo<br />
sul viso di Tom e vide che i suoi occhi avevano finito lo stesso<br />
percorso ed ora erano fissati sul suo cazzo teso.<br />
Matt fece un passo avanti, mise le mani sulle spalle di Tom e<br />
lo forzò ad inginocchiarsi davanti a lui. Senza delicatezza, quasi con<br />
rabbia, avvicinò la faccia dell’amico al cazzo.<br />
- Succhia, che poi te lo metto in culo.<br />
Tom scosse la testa. Non doveva aver mai succhiato il cazzo<br />
di un uomo. Non aveva tempo per convincerlo. Non era il momento<br />
per perdere tempo. Non avevano più un cazzo di tempo. Tom<br />
doveva muoversi a fare quello che Matt diceva. Meno di un’ora,<br />
erano tutti e due finiti. Matt voleva godersela, l’ultima ora della sua<br />
vita con un cazzo tra le gambe, prima che Cortacarajos faceva il suo<br />
lavoro di merda. Quel cazzo voleva un nido caldo e la bocca di Tom<br />
era il posto giusto, per incominciare.<br />
Matt avrebbe voluto accarezzare Tom, baciarlo ancora, ma<br />
non c’era tempo, non c’era un cazzo di tempo. Prese il collo di Tom<br />
con la destra, il pollice da una parte, le altre dita dall’altra, e strinse,<br />
una pressione abbastanza forte da costringere Tom ad aprire la<br />
bocca.<br />
- Succhia, stronzo, succhia. Non abbiamo tempo da perdere.<br />
Quando Tom aprì la bocca, Matt ci infilò dentro il cazzo.<br />
Non tutto, solo una parte. Tom deglutì, poi si mise a succhiare.<br />
Succhiava bene. A Matt sembrava che la lingua di Tom era una<br />
zanna di puma, che dilaniava, tanto era il piacere. Gli venne in<br />
bocca e si sentì morire.<br />
- Ora basta. A terra.<br />
Matt lo guardò. Aveva il cazzo duro anche lui, ora. Gli era<br />
piaciuto. Ma non si muoveva. Ed a Matt stava tornando duro, al<br />
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pensiero del culo di Tom. Voleva vederlo quel culo. Non lo aveva<br />
mai visto, nudo.<br />
Matt lo spinse a terra. Era più forte di Tom, aveva due<br />
braccia che erano tronchi d’albero e due mani che erano pale. E<br />
sapeva benissimo che Tom gli resisteva solo perché tutto avveniva<br />
troppo in fretta, tutto era troppo nuovo, ma lo voleva anche lui. Gli<br />
fu sopra. Lo costrinse a stendersi, ad allargare le gambe. Tom si<br />
dibatteva, ma sapevano tutti e due che lo volevano entrambi. Matt si<br />
fermò per guardare quel culo che voleva sfondare. Tom cercò di<br />
guizzare via. Matt gli strinse il collo con un braccio.<br />
- Piantala, stronzo. Lo vuoi come lo voglio io.<br />
Era vero, ma Tom era un maschio ed il suo corpo si ribellava<br />
a quella resa. Tom continuava ad agitarsi ed allora Matt strinse con<br />
più forza, fino a che Tom incominciò a respirare a fatica e smise di<br />
agitarsi.<br />
Allora gli sbatté la faccia contro il pavimento e la tenne<br />
ferma con la sinistra, mentre con la destra scivolava tra le cosce,<br />
alla ricerca del buco che stava per forzare. Quando trovò il buco,<br />
sentì che tutto il corpo si tendeva, come si tendeva il corpo di Tom.<br />
Si stese su Tom ed entrò, senza nessuna cautela, senza<br />
nessuna dolcezza. Il gemito di Tom, il sussulto della carne su cui<br />
premeva, moltiplicarono il suo piacere. Spinse con forza, con<br />
violenza. Voleva lasciare il segno in quella carne, voleva farla<br />
sanguinare. Lui era il padrone.<br />
Spinse a lungo, fino a che sentì tutto il suo corpo contrarsi e<br />
l’onda del piacere riempirlo e poi svuotarlo. Si abbandonò sul corpo<br />
di Tom.<br />
Rimasero un buon momento così. Matt era troppo sfinito per<br />
parlare.<br />
Poi sentì che ancora una volta, dallo spiedo che teneva<br />
infilzato <strong>nel</strong>la carne di Tom, saliva il desiderio. Riprese a spingere,<br />
con più delicatezza, ora, assaporando il piacere di quella guaina che<br />
accoglieva la sua sciabola, del calore che l’avvolgeva, del fremito<br />
del corpo di Tom.<br />
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Quando infine ebbe finito, in un parossismo di piacere, si<br />
abbandonò nuovamente sul corpo di Tom.<br />
Dopo un buon momento, Tom parlò:<br />
- Matt…<br />
Matt ritornò alla realtà. Aveva intuito la richiesta inespressa<br />
e rispose, senza esitare:<br />
- Sì, Tom.<br />
Con un sospiro estrasse il cazzo dal culo di Tom e si stese<br />
sul pavimento, a gambe larghe.<br />
Tom si stese su di lui, ma non entrò subito. Gli passò la<br />
lingua dietro l’orecchio e Matt guizzò, come se Cortacarajos gli<br />
stesse facendo il lavoretto.<br />
- Matt…<br />
Le mani di Tom sul suo corpo, le mani di Tom che lo<br />
accarezzavano, le mani di Tom che gli stringevano il culo, le mani<br />
di Tom che affondavano nei suoi capelli, le mani di Tom che gli<br />
graffiavano la pelle.<br />
Ce l’aveva di nuovo duro come una pietra. Bene, l’ultima<br />
volta, poi Cortacarajos faceva il suo lavoro. Ma non importava,<br />
davvero. Aveva ritrovato Tom, aveva scopato con lui, Cortacarajos<br />
poteva fare quello che cazzo voleva.<br />
Gli sfuggì un gemito quando Tom entrò. Anche lui non<br />
aveva avuto riguardo. Non c’era tempo per mille cose, che<br />
premevano dentro. Non c’era tempo per nulla, solo quello per<br />
scopare ancora una volta e poi crepare, senza cazzo e senza<br />
coglioni.<br />
Ma quel cazzo che gli scavava dentro, quella carne calda,<br />
accendeva tutto il suo corpo. Quello era tutto quello che aveva<br />
sempre desiderato, anche se non l’aveva capito prima. Sì, sempre,<br />
fin da prima di conoscere Tom, tutto quello che voleva, l’unica cosa<br />
che davvero voleva era che Tom lo fotteva. O forse non l’unica<br />
cosa, perché voleva anche, altrettanto, fottere Tom. E valeva la pena<br />
di crepare per quello. Di crepare e di tutto il resto.<br />
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Il dolore era piacere, un piacere che si tendeva incontenibile<br />
e quando Tom venne dentro di lui, riempiendogli il culo, Matt<br />
venne per la quarta volta, con un verso che era quasi un guaito.<br />
Si alzarono. Tom controllò la situazione fuori dalla finestra.<br />
Non doveva mancare molto. Matt lo baciò sulla bocca, un bacio<br />
lungo, che li lasciò senza fiato. Ce l’avevano tutti e due duro.<br />
fuori.<br />
- Scusami, Tom.<br />
- Di che?<br />
- Per prima.<br />
Tom rise. Poi il sorriso svanì, mentre guardava di nuovo<br />
- Perché hai fatto questa cazzata, Matt? Perché cazzo sei<br />
venuto qui a farti castrare ed ammazzare?<br />
Matt sorrise.<br />
- Non l’hai capito?<br />
Tom annuì. Aveva capito. Faceva anche lui lo stesso, se si<br />
trovava <strong>nel</strong>la sua situazione.<br />
Matt aggiunse:<br />
- Controlla fuori. Non credo che manchi molto, ormai.<br />
Poi si chinò davanti a Tom e prese in bocca il cazzo di Tom.<br />
Non aveva mai succhiato un cazzo. Il cazzo di Tom era il primo. E<br />
l’ultimo. Ed andava bene così, perché non gliene fotteva un cazzo di<br />
tutti gli altri cazzi del mondo, c’era un solo cazzo che gli importava<br />
e quello ora ce l’aveva in bocca e prima che il coltello di<br />
Cortacarajos entrava in azione, quel cazzo gli riempiva la bocca,<br />
come gli aveva riempito il culo.<br />
Era bello duro, grosso, forte ed era un piacere leccarlo,<br />
succhiarlo, inghiottirlo fino a che gli bloccava il respiro.<br />
Sentì un leggero gemito e lo sborro gli inondò la bocca. Lo<br />
inghiottì, ma non lasciò subito quella carne che ancora gli colmava<br />
la bocca.<br />
- Ora basta, Matt.<br />
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Matt si staccò, a malincuore, e rimase a guardare la cappella<br />
bagnata a due dita dalla propria bocca.<br />
- Matt, hai detto a Cortacarjos che mi ammazzavi?<br />
- Sì, per quello mi ha fatto entrare.<br />
- Bene, allora se mi ammazzi, potrai salvarti, tanto io ormai<br />
sono fottuto. Almeno così te la cavi tu. Quel figlio di puttana non ha<br />
niente contro di te.<br />
Matt rise. Una risata roca.<br />
- Tom, sei una testa di cazzo. Piantala di dire stronzate e<br />
dammi una pistola. Hai munizioni?<br />
- Quelle sì, un casino. Sapevo che prima o poi arrivavamo a<br />
questo punto. Ma Matt, davvero, prima di sera sarò morto ed<br />
allora…<br />
- Piantala, stronzo!<br />
Si avvicinò a lui e lo baciò sulla bocca, togliendogli la parola<br />
ed il fiato. Era bello vedere che a Tom quei baci facevano lo stesso<br />
effetto che facevano a lui. Ma non era più tempo di baci, ora,<br />
l’inferno stava per incominciare. Il paradiso era stato breve, un’ora<br />
appena, ma valeva tutto l’inferno, anche se durava cent’anni, valeva<br />
la pena.<br />
L’inferno si scatenò in quel momento. A Matt sembrava che<br />
cinquanta uomini si erano messi a sparare tutti insieme. E c’erano<br />
urla di dolore, bestemmie, esclamazioni soffocate, grida d’aiuto.<br />
Che cazzo succedeva? Non stavano sparando contro di loro, perché<br />
contro i mobili accatastati non arrivavano proiettili. E poi perché<br />
urlare? Matt guardò <strong>nel</strong> corridoio sotto di loro. Nessuno. Ma al<br />
fondo del corridoio c’erano due uomini stesi a terra. Un altro entrò<br />
<strong>nel</strong> corridoio di corsa, ma non fece molta strada: Tom era un ottimo<br />
tiratore. Lo sparo non si sentì, perché era come se tutta la città si era<br />
messa a sparare.<br />
- Che cazzo succede, Tom?<br />
- Credo che… sì, dev’essere arrivato il Diablo Loco.<br />
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Matt non disse niente, ma la sua testa correva. Correva<br />
dietro i se e gli allora, i ma ed i forse e tutte quelle altre puttanate<br />
che prima ti aprono il cuore e poi te lo chiudono e poi di nuovo te lo<br />
aprono, peggio che una fisarmonica. Se il Diablo Loco stava<br />
facendo fuori Cortacarajos ed i suoi, allora loro due non rischiavano<br />
più di finire come cibo per avvoltoi con un bello squarcio tra le<br />
gambe e cazzo e coglioni in bocca. Ma se il Diablo Loco pensava<br />
che era colpa di Tom se Cortacarajos era venuto lì, allora erano<br />
cazzi, perché il Diablo Loco era il re, lì in quel posto di merda, sì, re<br />
di merda, ma loro due erano fottuti e magari il Diablo Loco gli<br />
faceva rimpiangere pure Cortacarajos. Se lo chiamavano diavolo<br />
pazzo, qualche motivo c’era. E lui non ci teneva a scoprirlo, non<br />
sulla sua pelle e su quella di Tom. Ma perché il Diablo Loco doveva<br />
prendersela con Tom? Che cazzo c’entrava Tom? Ma se il Diablo<br />
Loco ce l’aveva anche lui con Tom?<br />
Era assurdo continuare a pensare e ficcarsi chiodi <strong>nel</strong>la testa<br />
e poi cercare di tirarli fuori. Come finiva la storia, tra poco lo<br />
sapevano. E tanto non dipendeva da loro. Quella storia lì, il finale<br />
non lo scrivevano loro. Almeno una cosa però poteva chiederla a<br />
Tom.<br />
- Di’ un po’, Tom, non è che anche il Diablo Loco ce l’ha<br />
con te?<br />
- Manco lo conosco, quello. Non è che tutti i figli di puttana<br />
dalla California al Messico ce l’hanno con me!<br />
Tom rise, ma sulla sua faccia Matt leggeva gli stessi punti<br />
interrogativi che aveva in testa. E <strong>nel</strong> suo sorriso, accanto alla paura<br />
ed alla speranza, una certezza, la stessa che aveva in testa lui. E tutti<br />
i se ed i ma, i forse e gli allora potevano andare a prenderselo in<br />
culo.<br />
La sparatoria stava rallentando. Qualcuno doveva aver vinto<br />
e qualcuno doveva aver perso. Molti che dieci minuti prima erano<br />
sulle loro gambe e convinti di cenare quella sera, adesso non<br />
avevano più bisogno di cena. Ancora due colpi. Qualcuno forse non<br />
era ancora convinto che era il momento di andare all’inferno, ma si<br />
sbagliava, perché quel qualcuno faceva parte anche lui della<br />
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carovana che scendeva a farsi fottere da Satana. E loro due, anche<br />
loro si univano alla carovana? Tra poco lo sapevano.<br />
Uno sparo ancora. Più niente. Silenzio.<br />
La città era ripiombata <strong>nel</strong> silenzio e se non era per quei due<br />
cadaveri in più, al fondo del corridoio, ed il terzo un po’ più avanti,<br />
si poteva pensare che era stata tutta una loro fantasia. Ma quei<br />
cadaveri erano molto reali.<br />
Alcuni uomini si affacciarono con cautela oltre gli spigoli al<br />
fondo del corridoio. Si chinarono e raccolsero i corpi dei due morti.<br />
Poi altri due si spinsero <strong>nel</strong> corridoio a prendere il morto fresco e<br />
quello già un po’ stagionato. Matt e Tom li tenevano sotto tiro, ma i<br />
due non badavano a loro. L’unica cosa che volevano erano quelli<br />
che avevano fottuto prima.<br />
Matt si chiese se quelli intendevano salire su da loro, perché<br />
in quel caso erano cazzi. Ma quelli lanciarono appena un’occhiata<br />
verso la finestra e se ne andarono con i cadaveri. Sapeva che cosa<br />
voleva dire. Che di loro non gliene fotteva un cazzo. E che<br />
Cortacarajos e la sua banda ormai erano pronti a diventare cibo per<br />
avvoltoi.<br />
- Credi che è vero?<br />
Che cosa, lo sapevano tutti e due benissimo, non occorreva<br />
dirlo. Tom sembrava non crederci e Matt non sapeva che cosa<br />
rispondere. Certo che era vero, era vero che il Diablo Loco era<br />
arrivato ed aveva fatto fuori la banda di Cortacarajos. Quei cadaveri<br />
che ora scomparivano oltre l’angolo erano perfettamente reali.<br />
Ma la domanda di Tom era un’altra: era vero che loro due<br />
non avevano più nulla da temere? Non poteva saperlo, ma qualche<br />
cosa gli diceva di sì.<br />
Rimasero a lungo fermi <strong>nel</strong>la stanza, attenti ad ogni rumore.<br />
Ma non si sentiva nulla di particolare. Non c’era più traccia dei<br />
cadaveri, salvo un po’ di sangue per terra.<br />
- Uscire ora, non conviene. Aspettiamo il buio.<br />
- Sì, aspettiamo il buio.<br />
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Ci fu un momento di silenzio. Continuavano a guardare<br />
fuori. A Matt sembrava incredibile. Non era possibile che tutto era<br />
finito così.<br />
Tutto era finito. Sì, forse. Ed una domanda gli passò per il<br />
cervello. Tutto era finito, ma come cazzo era incominciato?<br />
Lo chiese:<br />
- Tom, perché quel figlio di puttana ti stava dietro? Perché<br />
non sei tornato? Perché?<br />
visita.<br />
Tom ghignò.<br />
- Va bene, abbiamo tempo, tanto. Se nessuno viene a farci<br />
- Se qualcuno viene a farci visita, gli offriamo un rinfresco.<br />
Non se ne va a stomaco vuoto.<br />
Si sedettero, uno vicino all’altro, ma in modo da poter tenere<br />
d’occhio la finestra.<br />
Tom incominciò a narrare. L’agguato degli indiani, a cui era<br />
scampato quasi per caso, perché si era allontanato per vedere se<br />
c’erano minacce sul percorso. A quel punto c’era poco da fare:<br />
erano morti tutti. Lui aveva ripreso la strada da solo, per tornare a<br />
casa, per tornare da Matt, perché anche lui provava quello che<br />
provava Matt. Sulla via del ritorno aveva incontrato una donna che<br />
Cortacarajos voleva e che lui aveva salvato dalle grinfie di quel<br />
figlio di puttana, di nuovo, quasi per caso, perché ci si era trovato e<br />
non aveva voltato la testa dall’altra parte per far finta di non vedere.<br />
La rabbia di Cortacarajos, il lungo inseguimento, tutto il resto Matt<br />
poteva immaginarlo da solo. E poi non è che gliene fregava molto,<br />
ora che Tom era lì, di fianco a lui. Perché l’unica cosa che contava<br />
era proprio quella: che Tom ora era lì, con lui e che se ne andavano<br />
insieme da quel buco del culo di posto, per l’inferno o per la<br />
California, era quasi lo stesso, se era insieme.<br />
Poi fu il turno di Tom di chiedere e Matt incominciò a<br />
raccontare. La sua storia si diceva in fretta. Per il dolore, la<br />
disperazione, spese poche parole, ma in qualche modo cercò di dire<br />
anche quello. Poi la scoperta che Tom era vivo e la caccia a tre. Ora<br />
erano rimasti loro due, a quanto pareva.<br />
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Quando Matt ebbe finito, bevvero. Faceva un caldo fottuto<br />
ed avevano sete. Ma Tom aveva da bere e da mangiare. Si era<br />
preparato a rimanere nascosto per qualche giorno, sperando che il<br />
Diablo Loco arrivava prima che Cortacarajos lo trovava. Aveva<br />
fatto bene i calcoli.<br />
Appena bevve, Matt incominciò a sudare come un maiale.<br />
Era fradicio.<br />
Bevve ancora.<br />
Ora c’era silenzio, silenzio fuori, silenzio tra loro due. Un<br />
lungo silenzio. Matt di cose da dire ne aveva, ma non trovava le<br />
parole. Come faceva a dire a Tom che…<br />
Ma in fondo non servivano parole. Poteva dirglielo<br />
<strong>nel</strong>l’unico modo che conosceva. Lo abbracciò. Lo strinse a sé. Lo<br />
baciò. Tom lanciò un’ultima occhiata fuori dalla finestra e si<br />
abbracciarono. Smisero di sorvegliare il corridoio, perdendosi<br />
completamente <strong>nel</strong> gioco dei loro corpi. Si baciarono e le loro mani<br />
percorrevano i loro corpi, stringendo ed accarezzando. Poi Tom si<br />
staccò e guardò Matt.<br />
- Sei bellissimo.<br />
Matt rise, ma la voce gli venne fuori roca di desiderio,<br />
quando rispose:<br />
- Anche tu sei bellissimo.<br />
Era vero, non aveva mai visto niente di più bello di Tom.<br />
Si lanciò su di lui e caddero tutti e due a terra. Rotolarono a<br />
terra, cercando di avere la meglio l’uno sull’altro. Ognuno dei due<br />
sembrava voler schiacciare l’altro, ma nessuno cedeva.<br />
Fu Tom alla fine ad avere la meglio, a riuscire a bloccare<br />
Matt sul pavimento, a pancia in giù, piegandogli un braccio dietro la<br />
schiena.<br />
Ma a quel punto ce l’avevano tutti e due duro e caldo come<br />
la canna di una pistola che ha appena sparato.<br />
La canna di Tom entrò dentro Matt e le spinte gagliarde di<br />
Tom spensero ogni volontà di resistenza. Matt sentì un capogiro di<br />
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dolore e di piacere che dal culo gli riempiva le viscere, salendo fino<br />
alla testa. Lasciò che Tom gli arpionasse la testa con la mano, gli<br />
tirasse i capelli, incapace di reagire, incapace di fare altro che<br />
abbandonarsi al dolore vorticoso ed al piacere intollerabile che gli<br />
esplodevano <strong>nel</strong> culo. Il peso del corpo di Tom e le sue spinte feroci<br />
lo premevano contro il pavimento e quando Tom gli morse la nuca,<br />
Matt lanciò un urlo, ma era un urlo di puro piacere, perché il dolore<br />
che gli scoppiava <strong>nel</strong> culo, la stretta dei denti di Tom, tutto si era<br />
moltiplicato in un unico immenso piacere che lo travolgeva, gli<br />
annebbiava la vista e gli toglieva il fiato, un piacere che sgorgava<br />
incontenibile dal suo cazzo teso, un piacere che si moltiplicava<br />
mille volte <strong>nel</strong> suo culo invaso da un liquido caldo.<br />
Ebbe la sensazione di svenire e per un attimo perse davvero<br />
coscienza di dov’era e di che cosa succedeva.<br />
Ritornò in sé e sentì il peso del corpo di Tom su di sé, la<br />
picca ancora saldamente piantata <strong>nel</strong> proprio culo. Lo disarcionò<br />
con un colpo di reni, facendolo scivolare via. Tom finì disteso, la<br />
schiena a terra, ma non reagì. In un attimo Matt gli fu addosso, si<br />
sedette su di lui. Lo guardò, come un uccello guarda il serpente che<br />
lo affascina.<br />
Con la mano accarezzò il cazzo ancora turgido. Lo<br />
accarezzò con forza, lo strinse, lo schiaffeggiò, poi si chinò a<br />
morderlo, poi riprese a tormentarlo con le dita, fino a che l’asta fu<br />
di nuovo in posizione. Allora si sollevò un po’, in modo da avere il<br />
culo esattamente sopra il cazzo di Tom, prese in mano il frutto e si<br />
abbassò fino a che sentì la pressione contro il buco del culo. Allora,<br />
con un colpo deciso, si sedette, infilzandosi su quel palo di carne.<br />
Il dolore cancellò ogni piacere, ma fu solo un attimo. Matt si<br />
risollevò, fino a che il cazzo di Tom non fu completamente fuori,<br />
poi ripeté l’operazione con maggiore violenza.<br />
Poi incominciò ad alzarsi e ad abbassarsi. Era bello quel<br />
cazzo che gli seviziava il culo, cazzo, se era bello.<br />
Tom sorrideva e lo lasciava fare. Poi il sorriso si tese e di<br />
nuovo vennero insieme.<br />
Matt scivolò a terra, esausto. Tom si stese su di lui.<br />
Rimasero a lungo così, intontiti, ebbri, sazi.<br />
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Quando si alzarono, incominciava a diventare buio. Bevvero<br />
ancora, a lungo, mangiarono un po’ di pane e di carne secca. Matt<br />
aveva una fame da lupi, non mangiava dal mattino. Matt pensò che<br />
era bello guardare Tom che beveva, che mangiava. Era bello<br />
guardare Tom che faceva qualunque cosa.<br />
Poi Tom si alzò per pisciare, ma non si voltò. Allora Matt si<br />
alzò anche lui e si mise a pisciare di fronte a Tom. I due getti si<br />
mescolavano e formavano un’unica pozza. Era bello guardare Tom<br />
che pisciava,<br />
Si rivestirono ed a Matt spiacque vedere scomparire nei<br />
vestiti quel corpo che desiderava.<br />
Guardarono nuovamente fuori. Nessuno.<br />
Scesero lungo la scala ed attesero <strong>nel</strong> locale al piano terreno.<br />
Non si sentiva nessun rumore, se non, lontano, un battito continuo,<br />
forse di tamburi.<br />
Quando fu completamente buio, uscirono, ognuno con una<br />
pistola in mano.<br />
Non c’era nessuno <strong>nel</strong>la via, né dietro l’angolo. Da una delle<br />
vie videro un chiarore in lontananza, verso la piazza della città, e si<br />
diressero in quella direzione. Di lì proveniva anche il suono che<br />
avevano sentito: erano certamente tamburi, diversi tamburi che<br />
venivano suonati tutti insieme.<br />
Misero via le pistole, ma rimasero tesi, pronti a scattare al<br />
minimo segnale. Incontrarono due tipi che si dirigevano anche loro<br />
verso la piazza, ma che non li guardarono neppure. A Boca Caliente<br />
ognuno si faceva i cazzi propri. Poi videro altri tizi.<br />
Man mano che si avvicinavano alla piazza, il rumore<br />
diventava sempre più forte ed incontravano sempre più gente. Gli<br />
uomini di Boca Caliente stavano tutti andando in piazza ed anche le<br />
puttane, le uniche donne della cittadina, si muovevano <strong>nel</strong>la stessa<br />
direzione.<br />
Ci doveva essere uno spettacolo e Matt aveva un’idea del<br />
tipo di spettacolo. Probabile che a darlo era il Diablo Loco, con la<br />
collaborazione, non proprio volontaria, di Cortacarajos.<br />
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Non si sbagliava.<br />
Quando arrivarono in piazza, videro alcuni falò accesi che<br />
illuminavano lo spazio. Col caldo che faceva, i falò non erano<br />
proprio il massimo, ma l’illuminazione pubblica a Boca Caliente<br />
nessuno sapeva che cos’era e quello era l’unico modo per far vedere<br />
bene lo spettacolo.<br />
Lo spettacolo si teneva proprio in mezzo alla piazza e<br />
doveva essere uno spettacolo interessante, perché la folla si<br />
accalcava tutt’intorno.<br />
La gente si muoveva, curiosa di vedere i diversi attori di<br />
quella commedia divertente. Approfittando del continuo<br />
rimescolarsi del pubblico, anche Tom e Matt riuscirono ad infilarsi<br />
e ad arrivare in prima fila<br />
C’era una serie di pali piantati <strong>nel</strong> terreno, che ne<br />
sostenevano altri, messi di traverso; dai pali sospesi pendevano, a<br />
testa in giù, gli uomini di Cortacarajos. Erano in parecchi, almeno<br />
una ventina e Matt pensò che se non arrivava il Diablo Loco, con<br />
quelli loro due non avevano nemmeno una possibilità su mille di<br />
portare a casa la pelle (e di tenersi cazzo e coglioni dove Iddio li<br />
aveva attaccati). Ma ormai non facevano più paura a nessuno.<br />
Alcuni erano crepati. Altri respiravano ancora. Tutti erano<br />
nudi e al ventre avevano un taglio. Il Diablo Loco aveva fatto a quei<br />
figli di puttana il servizio che Cortacarajos faceva fare ai suoi<br />
nemici.<br />
Cortacarajos era ancora vivo. Il torace si sollevava e si<br />
abbassava ancora. Una striscia di sangue gli colava dal ventre per<br />
tutto il torace, fino al collo. Ed il sudore faceva luccicare il corpo<br />
alla luce del fuoco.<br />
Ed ora, alla luce dei falò, tutti gli spettatori ammiravano lo<br />
spettacolo e ridevano, ingiuriavano Cortacarajos ed i suoi uomini,<br />
ma non si avvicinavano. Al centro della piazza, c’erano solo i<br />
vincitori.<br />
Il Diablo Loco ed i suoi uomini ridevano ed alcuni ballavano<br />
intorno ai falò, mentre altri battevano sui tamburi. Ogni tanto<br />
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qualcuno pisciava in faccia agli uomini appesi, preferibilmente su<br />
quelli che ancora respiravano. Dava più soddisfazione.<br />
Matt e Tom non parteciparono alla festa. Non gliene fregava<br />
un cazzo.<br />
Rimasero un buon momento, Matt aveva bisogno di<br />
guardare, per essere sicuro che era davvero così, che era fuori<br />
dall’incubo e che il giorno che era ormai finito era stato un inizio e<br />
non la fine.<br />
- Vuoi rimanere ancora, Matt?<br />
Matt scosse la testa. Ne aveva abbastanza. Si allontanarono.<br />
Raggiunsero la locanda di Matt. Matt pensò che ne era<br />
venuto via quel mattino, ma gli sembrava che era un secolo. Disse<br />
al proprietario che il suo amico dormiva con lui. Il tizio non aveva<br />
nulla da obiettare (e quando mai, a Boca Caliente), ma si fece<br />
pagare un extra.<br />
Erano stanchi e storditi. Si abbracciarono e Tom si<br />
addormentò come un sasso. Nelle notti precedenti aveva dormito<br />
poco e male. Matt rimase sveglio più a lungo, ancora incredulo, poi<br />
si lasciò andare al sonno.<br />
Il mattino lasciarono presto la camera. Matt prese il suo<br />
cavallo ed andarono alla scuderia dove Tom aveva lasciato il suo.<br />
Quando furono tutti e due a cavallo, Matt si sentì, di colpo,<br />
follemente felice. Stava lasciando quel posto di merda, con Tom,<br />
verso la California, verso il suo paese.<br />
Uscirono dalla città e si diressero verso le colline su cui<br />
correva la pista per la California.<br />
C’erano alcuni avvoltoi in cielo, che planavano su un punto<br />
preciso, non lontano dalla strada. Matt sapeva che cos’era.<br />
Non si stupì di vedere i corpi gettati di fianco alla strada, per<br />
ricordare a chi magari aveva poca memoria, che Boca Caliente era il<br />
regno del Diablo Loco e che nessuna banda doveva permettersi di<br />
entrarci. A terra c’erano altri avvoltoi, un sacco. Stavano già<br />
spolpando alcuni corpi, ma ad altri non si avvicinavano, perché non<br />
erano ancora crepati.<br />
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Non si fermarono. Quel che c’era da vedere, lo avevano già<br />
visto la sera prima. E Matt aveva solo voglia di andarsene. Per i<br />
suoi gusti, a Boca Caliente era rimasto già troppo. Ma ne era valsa<br />
la pena, certo che ne era valsa la pena.<br />
- Andiamocene da questo posto di merda, Tom. Vicino alla<br />
frontiera conosco un angolo di paradiso, in cui possiamo fermarci<br />
un po’. Sono solo un centinaio di miglia.<br />
- Un centinaio di miglia? Cazzo, Matt. I cavalli scoppiano se<br />
non facciamo qualche sosta ed a stare in sella per cento miglia di<br />
fila avrò il culo in fiamme.<br />
Matt rise.<br />
- Qualche sosta la facciamo, ma breve. I cavalli riposano<br />
quando siamo arrivati. Anche una settimana li lasciamo riposare.<br />
Non abbiamo mica fretta di tornare a casa.<br />
Matt fece una pausa, poi aggiunse:<br />
- Ma il culo, mi sa che quello tra una settimana ce l’avrai<br />
molto più in fiamme che se la passavi a cavallo, la settimana, te lo<br />
garantisco.<br />
Tom rise, spronò il cavallo e, passando di fianco a Matt, gli<br />
colpì con le redini il culo.<br />
- Vedremo a chi farà più male!<br />
E si lanciò al galoppo, inseguito da Matt.<br />
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Lo spazzolino lo fornisce la Qantas<br />
Un racconto rosa, con un po’ di blu<br />
Nel salire le scale Antonio sentì che gli mancava il fiato.<br />
Continuava per abitudine a salire a piedi, ma ormai doveva fermarsi<br />
sul pianerottolo tra il secondo ed il terzo piano per riprendere fiato.<br />
Come al solito sentiva il peso che lo opprimeva, la stretta<br />
intollerabile che gli chiudeva lo stomaco. Pensò che tra poco<br />
sarebbe passata.<br />
Come ogni giorno <strong>nel</strong>l'ultimo mese, eseguì meccanicamente<br />
i gesti abituali: appese il giaccone all'attaccapanni, si tolse le scarpe<br />
e si infilò le pantofole. Poi prese la bottiglia ed il bicchiere ed andò<br />
a sedersi in poltrona. Cominciò a versarsi da bere. Bevve un sorso<br />
di whisky, poi un secondo. Al secondo bicchiere il senso di<br />
oppressione cominciò ad allentarsi ed una piacevole sensazione di<br />
calore scacciò il freddo invernale.<br />
Si versò il terzo bicchiere e guardò il liquore. Aveva un bel<br />
colore ambrato.<br />
Prima di bere, si chiese dove sarebbe finito. Sarebbe passato<br />
a farsi di ero? Poteva essere una bella idea, per uno che in tutta la<br />
sua vita aveva fumato sì e no due spi<strong>nel</strong>li.<br />
D'altronde fino a qualche mese prima beveva solo quando<br />
mangiava al ristorante o era a cena da amici e mai superalcolici,<br />
solo vino. Aveva imparato in fretta, maledettamente in fretta.<br />
Qualche mese prima. Nove mesi, o sei, a seconda di dove si<br />
cominciava a contare. Dove cominciava la fine. La botta era stata<br />
nove mesi prima, ma quella non sarebbe stata sufficiente.<br />
Il colpo, quello finale, era stato sei mesi prima, ma lui non<br />
aveva iniziato subito a bere. Per alcuni mesi aveva pensato che ce<br />
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l'avrebbe fatta. No, non aveva pensato a niente. Aveva solo cercato<br />
di tirare avanti in qualche modo. Ma non ce l'aveva fatta.<br />
Prima aveva provato con i sonniferi, per potere almeno<br />
dormire. Per non svegliarsi alle due, perfettamente lucido, e<br />
rimanere a letto senza più riuscire a riprendere sonno. Prima di<br />
arrendersi ai sonniferi aveva provato con la valeriana, i prodotti<br />
naturali ed altre cazzate. Ma non era più in grado di reggere ed<br />
allora era passato ai sonniferi. Per la notte andavano bene: sei-sette<br />
ore di sonno le garantivano.<br />
Ma poi c’era il giorno. Le crisi di angoscia, violentissime ed<br />
improvvise. Un’oppressione al petto, una sofferenza che non<br />
riusciva a tollerare. E, in almeno tre occasioni, le lacrime,<br />
inarrestabili.<br />
Allora aveva incominciato a prendere qualche tranquillante,<br />
che gli assicurava una gradevole indifferenza. Ma non bastava<br />
ancora.<br />
Così aveva preso a bere. All'inizio era stato il bicchierino<br />
serale, per scaldarsi un po' l'anima. Poi il bicchiere era diventato la<br />
mezza bottiglia serale. Poi i liquori. Ormai già mentre ritornava a<br />
casa pensava alla bottiglia.<br />
Per il momento era arrivato lì.<br />
No, non solo lì, aveva fatto un sacco di strada: aveva<br />
cominciato ad arrivare in ritardo sul lavoro, a litigare con i colleghi,<br />
a lavorare male. Oggi, in piena chiusura d'anno, aveva mandato a<br />
fare in culo il suo capo e si era licenziato. Splendida conclusione.<br />
Nove mesi era durata la sua discesa agli inferi, nove mesi, come una<br />
gravidanza. Sarebbe arrivato presto al fondo. Soltanto gli mancava<br />
il coraggio o la voglia di accelerare i tempi.<br />
Nove mesi prima era un uomo felice, che aveva tutto: un<br />
buon lavoro, diversi amici, una vita ricca di esperienze, un amore.<br />
Già, un amore, un amore grande, di quelli che ti tolgono il fiato, che<br />
ti riempiono ogni minuto. Un amore perfetto.<br />
Nove mesi prima.<br />
Lui e Marco erano riusciti a distruggersi proprio bene. Un<br />
gran bel risultato. Complimenti vivissimi a tutti e due. E presto ci<br />
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sarebbero stati due cadaveri. Uno c'era già. No, non c'era più<br />
nemmeno quello, c'era stato, insomma. L'altro… era solo questione<br />
di tempo. Di poco tempo. Meno era, meglio era, perché di<br />
trascinarsi così, Antonio non aveva più voglia. Sperava davvero che<br />
mancasse poco tempo.<br />
Anche il suo tempo con Marco era durato poco. Un anno e<br />
tre mesi, ma in realtà solo sei mesi. Solo sei mesi. Più che<br />
abbastanza per impedirgli di riprendere a vivere.<br />
Quella sera a casa di Daniela e Lucio. I cari amici<br />
impiccioni. Ricordava benissimo l'invito. Un carissimo amico di<br />
Lucio che tornava da un lungo periodo trascorso in Africa, per<br />
lavoro, ci sarebbero stati solo loro quattro, Marco non amava vedere<br />
tanta gente. Era appena arrivato. Un'avvertenza soltanto: non<br />
parlargli del lavoro e dell'Africa. Dopo essere stato via quasi due<br />
anni, non ne voleva sapere.<br />
Si era chiesto se era un altro tentativo per sistemarlo.<br />
Daniela e Lucio ce l'avevano con questa idea: l'uomo giusto per lui.<br />
A loro due, innamorati e felicemente coniugati, quella vita da<br />
singolo pareva monca. Certo anche a lui sarebbe piaciuto vivere un<br />
amore, ma era molto scettico, le sue esperienze precedenti non<br />
erano state proprio entusiasmanti: gli uomini che incontrava, o<br />
almeno quelli che gli piacevano, erano interessati solo ad un mordi<br />
e fuggi. O ad una relazione molto vaga, che significava soltanto:<br />
“Quando ci vediamo, ci possiamo risparmiare i preliminari e<br />
passare subito al sodo” oppure “Se non trovo nessun altro, ti<br />
chiamo”.<br />
Era arrivato senza grandi aspettative, senza neppure molta<br />
curiosità: gli sarebbe piaciuto chiedere a Marco dell'Africa, ma non<br />
poteva farlo.<br />
Marco era già lì. Gli aveva subito fatto un'impressione forte:<br />
fisicamente era perfetto, esattamente il suo tipo. Due dita più alto di<br />
lui, solido, possente, la pelle bruciata dal sole, gli occhi scuri, i<br />
capelli cortissimi neri, la barba corta. Gli c'era voluto un attimo per<br />
rimettersi. Aveva sentito tutta la sua inadeguatezza. E come sempre<br />
in questi casi il suo primo impulso era stato quello di fuggire.<br />
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Aveva lasciato che Daniela e Lucio conducessero la<br />
conversazione, un po' in imbarazzo, cercando di non guardare<br />
troppo Marco, anche se era un piacere per gli occhi. Poi, quando era<br />
stato sicuro che Marco non era minimamente interessato a lui,<br />
lentamente si era sciolto.<br />
A tavola, dopo un inizio stentato, si era parlato di viaggi, poi<br />
di montagna. Si erano trovati in sintonia e la serata era proseguita<br />
senza intoppi. Dopo cena, in salotto, Daniela aveva tirato fuori il<br />
volontariato di Antonio in LILA.<br />
- Fai il servizio telefonico, no?<br />
- Sì, anche altro, a dir la verità. Il notiziario e la formazione.<br />
Marco era apparso subito interessato, voleva saperne di più.<br />
Faceva domande. Intelligenti, pertinenti, precise. Antonio si era<br />
trovato costretto a raccontare tutto dell'attività sua e<br />
dell’associazione. Dei corsi di formazione, del telefono, dei gruppi<br />
di supervisione. Antonio detestava monopolizzare la conversazione,<br />
ma arginare Marco non era facile e non voleva essere scortese. E<br />
poi Daniela spalleggiava Marco in modo spudorato.<br />
Lucio aveva citato L'intruso, che aveva letto proprio su<br />
consiglio di Antonio. E così erano passati ai libri. Marco era uno<br />
che leggeva. Molto. Poesia, prosa, storia. Antonio amava poco la<br />
poesia, ma era anche lui un gran lettore e si erano scoperti alcune<br />
grandi passioni in comune. Anche alcuni punti di vista opposti: su<br />
Céline avevano discusso infervorati per venti minuti, Antonio<br />
all’attacco e Marco in difesa. Lo aveva messo con le spalle al muro.<br />
Era arrivata l'una ed era ora di andarsene. Daniela era<br />
chiaramente affaticata, d'altronde era ormai al settimo mese.<br />
Approfittando di una pausa, Antonio si era alzato:<br />
- Bene, è meglio che vada a casa.<br />
Allora anche Marco si era alzato.<br />
- Sì, vado anch'io.<br />
Ad Antonio non spiacque l’idea di scendere insieme a<br />
Marco, gli era piaciuto parlare con lui. Il ritrovarsi soli faceva<br />
riemergere le sue insicurezze, ma a scendere le scale non avrebbero<br />
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impiegato molto tempo: se non avessero trovato più niente da dirsi,<br />
si sarebbero lasciati subito.<br />
Sulla porta, Daniela era intervenuta.<br />
- Magari gli dai tu un passaggio, tanto è vicino. Abita in via<br />
Piazzi.<br />
Antonio aveva pensato che Daniela avrebbe potuto farsi i<br />
fatti suoi. Mentre scendevano le scale, aveva sentito il bisogno di<br />
prendere le distanze, di far capire a Marco che l’idea del passaggio<br />
era tutta di Daniela:<br />
- Non occorre che tu mi dia un passaggio. In un quarto d'ora<br />
sono a casa. Vengo a piedi proprio perché abito vicino.<br />
- Ti accompagno. Se non ti spiace ho voglia di parlare<br />
ancora con te.<br />
Marco era stato diretto e lo aveva spiazzato: sarebbe<br />
successo altre volte, <strong>nel</strong> loro rapporto. Non era uno che le mandava<br />
a dire le cose: quello che aveva in testa, lo diceva chiaramente.<br />
Appena erano stati in auto però, Marco gli aveva fatto<br />
un'altra proposta.<br />
- Hai voglia di venire un momento da me? Tanto domani è<br />
domenica.<br />
Antonio sapeva che cosa lo aspettava. Ed aveva esitato.<br />
Marco gli era piaciuto, moltissimo, troppo per una scopata e basta,<br />
toccata e fuga. Marco doveva aver colto la sua esitazione, ma era<br />
rimasto in silenzio, lasciandogli la decisione. Ed Antonio aveva<br />
acconsentito. Quasi deluso. Avrebbe preferito continuare a parlare.<br />
O forse non l'avrebbe preferito, ma si sarebbe sentito più sicuro.<br />
- Va bene, dove abiti?<br />
- Piazza Carlina.<br />
- È tutto da un'altra parte.<br />
- Non è così lontano. Tranquillo, in ogni caso non ti lascio<br />
andare a casa a piedi.<br />
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Antonio si era chiesto che cosa significasse "in ogni caso".<br />
Gli era sembrata buffa, come idea. Voleva dire che anche se non<br />
avessero scopato, Marco lo avrebbe riaccompagnato? Troppo<br />
buono. Non era il caso che si scomodasse, esistevano anche i taxi,<br />
poteva permettersene uno.<br />
E comunque era ben disposto a guadagnarsi il passaggio a<br />
casa. Entro certi limiti, almeno: era aperto di idee, ma non<br />
disponibile proprio a tutto.<br />
Erano scesi davanti alla casa. Una casa d'epoca, risistemata<br />
in anni recenti. Come piaceva ad Antonio. Anche l'appartamento, al<br />
terzo piano, gli piacque subito. Arredato con molto buon gusto,<br />
forse un po' freddo. Ma Marco non ci viveva stabilmente, negli<br />
ultimi due anni doveva averci passato ben poco tempo. Ed adesso<br />
era appena ritornato.<br />
- Ci sediamo in salotto o, considerando l'ora, mi risparmi i<br />
preliminari e passiamo subito in camera da letto?<br />
Marco sorrideva, con quel sorriso che gli illuminava il volto<br />
severo. Era un sorriso bellissimo. E Marco era bellissimo. Ma ad<br />
Antonio quell'approccio non era piaciuto. Si era rassegnato alla<br />
solita scopata senza un domani. Aveva ironizzato:<br />
- Mi pareva che avessi detto che volevi parlare.<br />
- In camera da letto si parla benissimo.<br />
Avevano parlato pochissimo, ma nessuno dei due ne aveva<br />
sentito il bisogno. A letto Marco era esattamente tutto quanto<br />
piaceva ad Antonio: tenero e forte, fantasioso ed attento. Nonché<br />
prudente, ma con uno che faceva volontariato in LILA non avrebbe<br />
potuto essere altrimenti.<br />
Quando si erano infine messi a dormire, verso mattina,<br />
Antonio pensò che se non altro, anche se finiva lì, era stata la più<br />
bella scopata della sua vita.<br />
Certamente finiva lì. Pazienza. L'importante era non<br />
aspettarsi troppo e non recriminare. L'esperienza glielo aveva<br />
insegnato. E a forza di nasate, aveva imparato. Aveva ancora<br />
qualche livido, ma non si faceva più illusioni.<br />
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Il giorno dopo si erano svegliati alle due, quando il telefono<br />
aveva squillato. Antonio aveva sentito Marco scoppiare a ridere.<br />
- Sì, hai indovinato, vuoi che te lo passi?<br />
Quell'impicciona di Daniela lo aveva cercato a casa e, non<br />
avendolo trovato, aveva cercato Marco. Gli aveva chiesto se<br />
Antonio era ancora lì.<br />
Prese il ricevitore e scambiò un paio di battute ironiche con<br />
Daniela. Quando lei gli disse che Marco era l’uomo giusto per lui,<br />
Antonio rispose che non era così facile accalappiarlo. Ma in cuor<br />
suo desiderava solo essere accalappiato da Marco.<br />
Adesso che erano svegli, Antonio non sapeva bene come<br />
muoversi. Avrebbe voluto rimanere con Marco, ma temeva che la<br />
sua presenza non fosse gradita: detestava fare la figura di quello che<br />
non ha capito, che si ostina a rimanere quando non è più ben<br />
accetto. D’altra parte, alzare i tacchi subito gli sembrava brutto,<br />
senza un segnale da parte di Marco: non voleva che Marco pensasse<br />
che lui era interessato solo al letto. Se c’era lo spazio per un<br />
proseguimento, lui ne era ben felice.<br />
La voce di Marco aveva sciolto il dubbio, per il momento.<br />
- Siediti in poltrona, mentre io preparo da mangiare.<br />
- Ti do una mano.<br />
Marco aveva scosso energicamente la testa, sorridendo.<br />
- No-no, in cucina non accetto collaborazioni! Al massimo ti<br />
permetto di fare il cameriere.<br />
- Va bene, mi sembra di capire che sei un buon cuoco.<br />
- Me la cavo.<br />
Aveva aiutato Marco a preparare un pranzo per due, o,<br />
volendo essere precisi, aveva guardato Marco preparare un pranzo<br />
per due. Un pranzo eccellente. Marco era davvero un buon cuoco.<br />
Ad Antonio venne voglia di chiedergli se in Africa si faceva da<br />
mangiare da solo, ma sapeva che non doveva toccare l’argomento e<br />
non disse nulla.<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
Dopo pranzo Antonio voleva darsi una sciacquata ai denti.<br />
Allora Marco gli aveva dato uno spazzolino nuovo.<br />
- Te ne do uno verde, il mio è rosso, così non li<br />
confonderemo.<br />
Antonio si era detto che quell’indicativo futuro poteva aprire<br />
qualche prospettiva. Ad ogni buon conto, era meglio non farsi<br />
troppe illusioni.<br />
Dopo che si era lavato i denti, era tornato in salotto. Marco<br />
era sul divano. Aveva proteso le braccia e gli aveva detto:<br />
- Vieni qui, così parliamo. Voglio conoscerti meglio.<br />
Lo aveva fatto stendere, con la testa in grembo a lui, ed<br />
avevano parlato. Erano entrambi curiosi di scoprire qualche cosa di<br />
più dell'altro, ma sul lavoro Marco aveva subito messo le mani<br />
avanti:<br />
- Chiedimi quello che vuoi, ma, per favore, non chiedermi<br />
mai nulla del mio lavoro. Ho le mie ragioni per non volerne parlare.<br />
Avevano parlato dei loro studi, delle loro famiglie, delle loro<br />
esperienze di vita. Avevano anche parlato di rapporti, ma su questo<br />
punto Antonio si era mosso con cautela. Aveva espresso quello che<br />
aveva in testa, ma cercando di non dare a Marco l’impressione di<br />
avere richieste o aspettative nei suoi confronti.<br />
Sul tardo pomeriggio Marco aveva proposto di andare al<br />
cinema. Ad Antonio era sembrata una buona mossa. Al cinema, poi<br />
ognuno per conto proprio: un buon modo per separarsi con<br />
naturalezza. Magari scambiandosi i numeri di telefono ed una vaga<br />
promessa di risentirsi. Antonio sapeva che non avrebbe telefonato.<br />
Non perché non fosse interessato a Marco: lo era, già troppo. Ma<br />
non credeva che Marco fosse davvero interessato a lui.<br />
La scelta del film era stata facile: anche qui c'era un buon<br />
ventaglio di gusti comuni, pur escludendo entrambi la maggioranza<br />
delle pellicole in circolazione.<br />
All'uscita Antonio aveva tirato un sospiro interiore, aveva<br />
guardato Marco e, rassegnato all'i<strong>nel</strong>uttabile, si era lanciato:<br />
- Bene, adesso andrei a casa.<br />
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Marco non aveva dissimulato il suo turbamento.<br />
- A casa? Non vieni da me?<br />
Antonio era rimasto spiazzato: così Marco dava per scontato<br />
che avrebbero passato la serata – e la notte - insieme. Gli faceva<br />
piacere, molto. Ed era d’accordo.<br />
- Ma domani vado a lavorare. Devo cambiarmi. Non posso<br />
mica rimanere con la biancheria di ieri fino a domani sera.<br />
- Hai ragione, non ci avevo pensato. Allora ti accompagno a<br />
casa, così prendi la tua roba e ti trasferisci da me.<br />
Antonio lo aveva guardato, sorridendo. Contento, molto<br />
contento, ma anche spaventato, molto spaventato. "Ti trasferisci da<br />
me" era molto, più di quello che si aspettava, più di quello che era<br />
sicuro di voler concedere.<br />
- Vai sul sicuro.<br />
Marco lo aveva spiazzato di nuovo. Davanti al cinema, con<br />
tutta la gente che usciva, gli aveva detto:<br />
- Sì, mi piaci troppo e credo di voler passare con te ogni tuo<br />
minuto libero nei prossimi tre mesi. E non solo a letto.<br />
Antonio si era trovato ancora più spaventato, ma felice.<br />
- È un po' presto, no? Mi conosci da ventiquattr'ore.<br />
- Sì, a me sono bastate. A te no, l'ho capito, ma dammi un<br />
po' di tempo.<br />
Aveva deciso di darglielo ed era stata un'altra notte<br />
fantastica. Il giorno dopo però Antonio era stravolto. Non poteva<br />
mettersi a dormire alle tre e alzarsi alle sette.<br />
Si era detto che avrebbe potuto prendere qualche giorno di<br />
ferie. Visti i problemi che c'erano stati quel<strong>l'e</strong>state con suo padre,<br />
non aveva fatto grandi viaggi e gli rimanevano parecchie ferie<br />
dell'anno prima. Comunque doveva prenderle entro marzo: aveva<br />
perfino pensato di fare un breve viaggio a febbraio, approfittando<br />
delle offerte di bassa stagione. Ma non voleva imporre la sua<br />
presenza a Marco, che non gli aveva chiesto nulla. Non sapeva bene<br />
che cosa fare.<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
Era uscito dal lavoro, assorto <strong>nel</strong>le sue riflessioni, senza<br />
guardarsi intorno. E, di colpo, si era trovato di fronte Marco: era<br />
venuto ad aspettarlo. Marco era scoppiato a ridere.<br />
- Dio, che faccia! Questa sera si va a dormire con le galline.<br />
Scusami. Devo pensare che tu non sei in vacanza. Sono un po'<br />
egoista.<br />
- Magari mi prendo qualche giorno di ferie, così il mattino<br />
posso dormire.<br />
- Se puoi, sarebbe splendido. Qualche giorno ogni tanto, uno<br />
o due per settimana, per riuscire a stare insieme di più. Il tempo non<br />
è molto.<br />
Il tempo non era molto davvero. Il tempo era volato.<br />
Antonio sapeva che Marco sarebbe rimasto solo qualche mese,<br />
l'aveva detto a casa di Daniela.<br />
Antonio aveva diradato i suoi impegni, rinunciato a vedere<br />
molti amici, ridotto al minimo il volontariato. Aveva preso giorni di<br />
ferie per spezzare le settimane e poi, a marzo, prima che Marco<br />
partisse, due settimane intere.<br />
Avevano trascorso una settimana a camminare lungo la costa<br />
ligure, tra Portofino e Tellaro. Antonio aveva vissuto quei giorni<br />
sospeso in una felicità tanto perfetta da apparire irreale. Stordito dal<br />
caldo, dal vento, dal cielo terso, dall’azzurro del mare, dal verde<br />
inteso della macchia, dalle forme solenni degli ulivi, aveva la<br />
sensazione di muoversi in un paradiso terrestre. Era stato davvero<br />
felice.<br />
Felice e spaventato. Sapeva di amare Marco con un'intensità<br />
che lo rendeva vulnerabile. E sapeva che la sua felicità era a<br />
termine: sarebbe stato scacciato dal suo Eden. Marco aveva detto tre<br />
mesi. Ed erano stati tre mesi.<br />
Tre mesi, il paradiso era durato tanto. Ed era arrivato il<br />
momento in cui Marco doveva partire. Per dove, Antonio non lo<br />
sapeva. Marco gli aveva già detto che del suo lavoro non intendeva<br />
parlare.<br />
- Non potrò telefonarti. E ti scriverò in modo irregolare, per<br />
un periodo lungo probabilmente non ti manderò nessuna notizia.<br />
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Scrivimi, anche se non ti rispondo. Per favore. Ti risponderò dopo,<br />
quando potrò.<br />
Antonio aveva sentito il terreno mancargli sotto i piedi.<br />
Quelle parole gli ricordavano i troppi commiati degli amori senza<br />
domani. D'altronde Marco aveva sempre parlato di tre mesi, fin<br />
dalla prima volta. I tre mesi erano passati.<br />
Antonio non aveva detto nulla, aveva annuito ed era rimasto<br />
a guardare Marco.<br />
Marco aveva capito. Ed aveva parlato chiaro.<br />
- Non è un addio. Ti amo, Antonio, ti amo. Non voglio<br />
perderti. Per te sono disposto a lottare e questo non l'ho mai detto a<br />
nessuno. Tu continua a scrivermi. Per favore.<br />
Non sapeva quanto sarebbe stato via. Meno di un anno.<br />
Non aveva voluto che Antonio lo accompagnasse<br />
all'aeroporto.<br />
Erano stati nove mesi. Nove mesi. Inizialmente Antonio, per<br />
quanto sofferente per la separazione, era stato contento di avere un<br />
po' di tempo per riflettere. Aveva ripreso la propria vita quotidiana<br />
quasi volentieri, senza la tensione di quell'amore violento, di quella<br />
vita provvisoria.<br />
Aveva scoperto in fretta che la sua vita quotidiana non<br />
esisteva più e che tutto quello che le aveva dato senso e pienezza,<br />
era diventato insufficiente.<br />
I nove mesi erano stati nove mesi di attesa, nove mesi<br />
sospeso in un limbo, nove mesi di delirio.<br />
Il delirio erano le lettere. Le lettere di Marco. Arrivavano<br />
tutte da Tangeri. Dove Antonio mandava le sue. Nessuno gli aveva<br />
mai scritto lettere come quelle.<br />
Ogni lettera era diversa. La prima lo aveva spiazzato subito.<br />
To vuo decir ke ti so mo sol, ma lun-a, ma vid, da aqua ka<br />
kalm da sede, do fog ke bruc, do pan ko sfam. Te kier, te am, te<br />
desio. Te desio ko mo kor, ko me man, ko ma te-ta, ko mo kaz, ko<br />
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ma alm. Desio to korp, to kor, to kul, te man, te kaz, ta leng-a, desio<br />
ta alm, ta alm, do fog ke sta in ti e ke mi bruc.<br />
Alle prime righe Antonio si era chiesto in che lingua fosse<br />
stata scritta quella lettera e perché Marco avesse scritto così. La<br />
spiegazione era <strong>nel</strong>le righe successive.<br />
Vorrei una lingua nuova, parole non logorate dall'uso, per<br />
dirti quello che ho dentro. Parole nuove, ma trovo solo un<br />
grammelot alla Fo per esprimere sentimenti che non ho mai<br />
provato. Come hai fatto, Antonio, ad accendere questo fuoco?...<br />
Quelle parole esprimevano ciò che Antonio provava e che si<br />
sarebbe vergognato a scrivere, perché aveva pudore dei suoi<br />
sentimenti.<br />
La lettera seguente arrivò scritta in rosso.<br />
Sei <strong>nel</strong> mio sangue. In queste gocce che scendono c'è il tuo<br />
nome. In ogni goccia il tuo nome...<br />
Antonio avrebbe voluto che fosse il cattivo gusto di un<br />
inchiostro rosso, ma sapeva che non era così. Si era detto che era<br />
comunque di cattivo gusto, ma sapeva di dirselo per tenere a bada<br />
ciò che ad ogni lettera cresceva dentro di lui.<br />
Poi arrivò una lettera particolarmente voluminosa: una<br />
dozzina di fogli scritti fitti fitti.<br />
Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio,<br />
Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio, Antonio,<br />
Antonio, Antonio, Antonio, ...<br />
Alla fine dell'ultimo foglio, poche righe:<br />
Ho passato la notte a scrivere il tuo nome. Forse la più<br />
bella notte della mia vita, dopo quella trascorsa a guardarti<br />
dormire accanto a me. La nostra terza insieme. Tu eri stanco,<br />
riposavi. Io non ho chiuso occhio.<br />
Le lettere di Marco non erano in risposta alle sue, né in<br />
relazione una con l'altra. Ognuna partiva per conto suo, con una sua<br />
traiettoria imprevedibile. Con una sicurezza che sbigottiva Antonio.<br />
In una Marco gli raccontava come aveva vissuto il loro primo<br />
incontro.<br />
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Quando sei entrato <strong>nel</strong>la stanza non mi hai fatto nessuna<br />
impressione particolare. Eri vestito male, non con cattivo gusto, ma<br />
si vedeva che non badi molto a quello che ti metti addosso. A tavola<br />
parlavi poco, ho pensato che non avessi niente da dire, che fossi<br />
una nullità. Avevo capito di esserti piaciuto, ma non me ne<br />
importava un bel niente. Questo ti ha dato un buon vantaggio.<br />
Nell'Arte della guerra Sun Tzu dice che bisogna nascondere<br />
l'ordine sotto l'apparenza del disordine, il coraggio sotto<br />
l'apparenza della paura, la forza sotto la debolezza. Secondo me<br />
devi averlo letto. Io non sono stato in guardia e quando hai<br />
cominciato a parlare, ogni osservazione era un punto a tuo favore.<br />
Quando ci siamo alzati da tavola, avevo già deciso che ti avrei<br />
portato a letto ed ero convinto che ci saresti stato: ho sempre avuto<br />
un buon successo con gli uomini. Quando abbiamo cominciato a<br />
parlare di AIDS e della LILA, mi sei piaciuto moltissimo, ma più<br />
andavamo avanti, meno ero sicuro di riuscire a portarti a letto, non<br />
sapevo se avevo le carte giuste per giocare quella mano. Su Céline<br />
mi sono sentito in svantaggio, maledettamente in svantaggio.<br />
Quando siamo scesi, ero preoccupato. Se non fossi riuscito<br />
a bloccarti, non sapevo come e quando avrei potuto rivederti.<br />
Potevo chiedere a Lucio di combinare di nuovo, ma non avrebbe<br />
potuto essere subito. Che sollievo quando tu ci sei stato!<br />
Scopare non era quello che mi interessava di più, a quel<br />
punto. Ti ho portato subito a letto solo perché mi sentivo più sicuro,<br />
contavo di fare bella figura. Dopo, quando ti sei addormentato, ti<br />
ho guardato. E mi sono chiesto se non era meglio mandarti via.<br />
Non sono abituato a mentirmi. Mi sono detto che se non volevo<br />
rischiare, era meglio chiudere subito. E mi sono detto che volevo<br />
rischiare.<br />
Il pomeriggio mi sei sembrato disponibile ed ho cominciato<br />
a sentirmi più sicuro. Ma avevo paura. Quando all'uscita dal<br />
cinema mi hai detto che volevi andare a casa è stato un brutto<br />
colpo. Ho ancora paura. Non accetterei di perderti. Credevo di<br />
avere già amato. Ho capito che non era vero.<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
Una lettera era un testo teatrale ispirato alla Dodicesima<br />
notte che avevano visto insieme. Nello spettacolo c'era un attore<br />
bellissimo, che impersonava il capitano Antonio, e Marco lo aveva<br />
preso in giro perché lui l'aveva fissato con un'attenzione eccessiva.<br />
Nel testo di Marco, un vero e proprio copione, c'era un Orsino-<br />
Marco ed il capitano Antonio in gara per l'amore di un Sebastiano-<br />
Antonio.<br />
Il testo finiva con una piccola vendetta personale di Marco.<br />
ORSINO (alle guardie, indicando Antonio): Conducete<br />
quest'uomo sulla pubblica piazza e squartatelo.<br />
SEBASTIANO: Ti prego, mio amore. Risparmiagli la vita.<br />
Mi ha salvato dalle acque, mi ha protetto, ha meritato il mio affetto<br />
e la tua riconoscenza.<br />
ORSINO: Ogni tua parola aggiunge fuoco al mio odio per<br />
lui. Eseguite la sentenza.<br />
ANTONIO (mentre viene trascinato via): Sebastiano, non<br />
m'importa della vita, poiché ti ho perduto!<br />
Diverse lettere contenevano fantasie erotiche e recavano una<br />
scritta, in alto a sinistra:<br />
Lettera da tenere con la mano sinistra<br />
Sei steso sul letto. Dormi. Io entro piano. Mi sporgo su di te<br />
e ti guardo. Il lenzuolo ti copre. Vedo soltanto la testa che emerge, i<br />
capelli neri. Mi fermo. Non voglio svegliarti...<br />
Cominciavano come storie di vita quotidiana oppure come<br />
racconti d'azione, ma finivano a luci rosse. Antonio si vergognava a<br />
leggerle, ma il suo corpo non si vergognava per nulla e reagiva con<br />
intensità. Presto aveva cominciato ad utilizzarle deliberatamente per<br />
lo scopo con cui erano state prodotte, rileggendole quando la lunga<br />
astinenza acuiva il suo desiderio.<br />
Una volta la busta conteneva solo un foglio bianco, un po'<br />
macchiato e rovinato. Antonio ci aveva messo un buon momento<br />
prima di capire che c'era qualche cosa scritto. Guardando controluce<br />
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aveva decifrato un Ti amo ed aveva capito il tipo di inchiostro<br />
usato.<br />
Antonio aveva cercato di comprendere, di inserire ognuna di<br />
quelle lettere <strong>nel</strong> ritratto che si era costruito di Marco. Alcuni<br />
elementi avevano trovato la loro collocazione senza fatica: la<br />
profondità dei sentimenti e la capacità di esprimerli direttamente, la<br />
fantasia e la franchezza estrema <strong>nel</strong>la sessualità, la sicurezza<br />
rispetto al proprio corpo, l'ironia, una certa gelosia controllata<br />
dall'intelligenza, erano tutte caratteristiche che aveva scoperto ed<br />
imparato ad amare. La fragilità e l'insicurezza che a volte<br />
trasparivano erano state una scoperta inattesa ed inizialmente gli<br />
erano sembrate una nota fuori posto, ma poi aveva capito che<br />
facevano parte della sensibilità di Marco, erano un aspetto del suo<br />
essere attento agli altri. La violenza dell'amore che aveva ispirato lo<br />
aveva preso di sorpresa, lo aveva spaventato, lo aveva soggiogato.<br />
Aveva paura dei propri sentimenti, che sentiva crescere. Ed<br />
aveva paura di non riuscire a trasmetterli. Scrivendo, si sentiva<br />
analfabeta, cercava un suo linguaggio che non trovava. La sua<br />
esistenza quotidiana, il lavoro, gli interessi, le attività, tutto ciò di<br />
cui parlava a Marco <strong>nel</strong>le sue lettere gli sembrava banale. L'aveva<br />
scritto a Marco e Marco gli aveva risposto. Una delle rare volte in<br />
cui la lettera di Marco era una risposta.<br />
Ogni tua lettera è un dono prezioso. Ogni lettera è un po' di<br />
te. Quando la ricevo la apro e la divoro, ingordo. Poi me la rileggo<br />
con cura, assaporandola. Dici che non è poesia, ma solo zavorra.<br />
Ho bisogno di zavorra per non perdermi <strong>nel</strong>lo spazio: senza questa<br />
zavorra vagherei infelice e sperduto <strong>nel</strong> vuoto. In alto, negli spazi<br />
immensi, è freddo e buio. Il tuo calore, la tua luce mi tengono<br />
ancorato a terra.<br />
Poi c'era stato il silenzio, un lunghissimo silenzio. Quasi tre<br />
mesi senza lettere. Antonio aveva continuato a scrivere. Si era detto<br />
che non doveva preoccuparsi, che Marco l'aveva avvisato. Ma<br />
Antonio aveva cominciato a provare paura, una paura che era<br />
cresciuta, fino a diventare intollerabile. Non si era arreso, con<br />
quell'ostinazione che da sempre lo caratterizzava. Per darsi forza<br />
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e-<strong>book</strong> www.isogni<strong>nel</strong>cassetto.it Rosa, Rosso & Neri – Ferdinando Neri<br />
continuava a rileggere le lettere precedenti. Aveva finito per<br />
impararle a memoria. Ogni tanto se ne ripeteva interi brani. Più di<br />
una volta era andato in piazza Carlina e si era messo a guardare<br />
l'appartamento di Marco. Era rimasto ore a guardarlo, ripetendosi<br />
brani delle lettere. Una notte era arrivata la polizia, chiamata da un<br />
vicino insospettito, e non era stato facile spiegare.<br />
Cercava di difendersi, ma soffriva, come mai gli era<br />
accaduto.<br />
E finalmente una lettera era arrivata.<br />
Sono ricco. Diciotto lettere di Antonio. Diciotto perle sulla<br />
scrivania. Le guardo. Non le ho aperte. Guardo sulle buste la<br />
scrittura che conosco benissimo. Con i polpastrelli sfioro il mio<br />
nome ripetuto diciotto volte. Valuto lo spessore delle lettere. Due<br />
hanno almeno tre fogli, forse quattro. La mia ricchezza è infinita.<br />
Sono Bill Gates, Paperon de' Paperoni. Rimando il piacere, per<br />
godere di più. Pregusto la gioia di leggerle. Una dopo l'altra, una<br />
per volta. Piano, come un naufrago che giunto a terra vorrebbe<br />
bere l'intera fonte, ma sa che non può, perché l'ucciderebbe. Non<br />
reggerei alla gioia di tutte queste pagine di Antonio.<br />
Leggerle, sapendo che dopo ce n'è un'altra e poi ancora<br />
un'altra e poi ancora. Leggerle sapendo che se in una c'è un<br />
dubbio, c'è ancora lo spazio per vederlo dissiparsi. Un po' di paura,<br />
in fondo. Un po' di ansia perché forse l'ultima lettera potrebbe<br />
essere un po' più fredda. Molta paura. Quella ho bisogno di<br />
leggerla subito. Come quando si legge un libro e si va alla fine a<br />
vedere se il personaggio che ci piace riesce ad arrivare in porto<br />
sano e salvo. Le altre, una per volta, Antonio, la tua voce, un po'<br />
per volta. Vorrei leggerle una al giorno, per potermi svegliare ogni<br />
giorno con il pensiero che c'è una lettera di Antonio che mi aspetta.<br />
Ma non ce la farò. Voglio farle durare. Antonio, non riesco a dirti<br />
quanto mi hai dato.<br />
Grazie, grazie per aver creduto in me.<br />
Quando, dopo tre mesi di attesa, Antonio aveva aperto<br />
quella lettera, era stato sul punto di piangere.<br />
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Marco era tornato in inverno, quasi un anno dopo il loro<br />
primo incontro. Antonio aveva paura di quel ritrovarsi, paura di non<br />
riuscire a ricreare quell'intesa perfetta che c’era stata tra di loro. Ma<br />
avevano ripreso da dove si erano lasciati, come se il tempo non<br />
fosse passato.<br />
No, avevano ripreso da un livello superiore, perché in lui, ed<br />
anche in Marco, su questo non aveva dubbi, quell'assenza aveva<br />
stretto il legame. Quelle lettere li avevano segnati, entrambi: ora<br />
Antonio conosceva Marco come nessun altro e Marco sapeva di<br />
essersi messo a nudo davanti ad Antonio.<br />
A nudo, senza difese. Ma non completamente: in nessuna<br />
lettera, mai, Marco aveva fatto un qualsiasi accenno al proprio<br />
lavoro. Nudo, ma con le mani ben nascoste dietro la schiena.<br />
Proprio la confidenza completa rendeva più inquietante quella<br />
riserva totale sul lavoro. Antonio si poneva le domande che non si<br />
era posto prima, quando quel lavoro era soltanto una realtà<br />
spiacevole e fastidiosa, che gli avrebbe portato via Marco.<br />
Di nuovo tre mesi, gli ultimi tre mesi di paradiso. Antonio si<br />
era trasferito a casa di Marco. In via Piazzi andava solo ogni tanto a<br />
bagnare i fiori, ritirare la posta e controllare i messaggi <strong>nel</strong>la<br />
segreteria telefonica. Più spesso era Marco a svolgere quei compiti,<br />
mentre lui era al lavoro: non volevano rinunciare al tempo che era<br />
loro concesso.<br />
E poi di nuovo l'avvicinarsi della partenza. Tre giorni prima,<br />
Marco gli aveva detto:<br />
- Perché non rimani qui mentre io sono via?<br />
- Qui, da te?<br />
- Da noi.<br />
Antonio sapeva il significato di quell’invito. Non se n’era<br />
stupito. Sapeva che cosa provava lui e che cosa provava Marco.<br />
- È una proposta di matrimonio?<br />
Marco aveva riso, ma gli occhi erano seri:<br />
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- Forse sì.<br />
- Verrò, ma al tuo ritorno.<br />
Quella sera Marco sarebbe partito. Per dove, Antonio non<br />
sapeva. E questo non sapere ora gli pesava. Come l'anno precedente<br />
Antonio aveva preso alcuni giorni di ferie per stargli vicino. Ma un<br />
dubbio lo rodeva.<br />
Marco aveva colto l’inquietudine di Antonio, aveva capito<br />
che non era solo la sofferenza del distacco imminente. Sapeva<br />
leggere in lui.<br />
- Fuori il rospo, che cosa c'è? Tornerò, Antonio, ora dovresti<br />
saperlo.<br />
- Lo so, non è questo.<br />
- Allora?<br />
- Marco, so che non vuoi parlare del tuo lavoro.<br />
Aveva colto il leggero irrigidirsi di Marco.<br />
- No, e ti sono molto grato perché in tutto questo tempo hai<br />
rispettato pienamente la mia richiesta e non hai toccato questo tasto.<br />
Il tono era stato freddo, quasi ufficiale. La frase costruita.<br />
Quello era un altro Marco, che nulla aveva a che fare con il Marco<br />
che lui aveva imparato a conoscere a fondo. Ma esisteva anche<br />
quell’altro Marco.<br />
- È un modo per mettermi in guardia?<br />
- Se hai bisogno di essere messo in guardia, sì, lo è.<br />
Rimasero un momento in silenzio. Di fronte al tono duro<br />
usato da Marco, Antonio si chiese se non fosse meglio lasciar<br />
perdere.<br />
Eppure c’era qualche cosa che aveva bisogno di sapere.<br />
- Non voglio sapere che lavoro fai, sono affari tuoi. Solo... a<br />
volte mi chiedo...<br />
e due.<br />
- Non ti fare domande e non ne fare a me. È meglio per tutti<br />
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Marco era un muro, un muro che gli sbarrava la strada. Ed in<br />
quella durezza Antonio avvertiva tensione e paura. Marco voleva<br />
sfuggire a quella conversazione, alla domanda che Antonio voleva<br />
porgli. Ed Antonio avvertiva sempre più forte il bisogno di sapere.<br />
Aveva proseguito, incerto.<br />
- È una parte di te che mi manca. Un segreto enorme che mi<br />
fa paura. Vorrei sapere...<br />
Non sapeva come continuare.<br />
- Saperlo potrebbe essere la fine del nostro rapporto. Vuoi<br />
saperlo anche a questo prezzo?<br />
Antonio aveva avuto l’impressione che il terreno gli<br />
mancasse sotto i piedi. Quel prezzo non era disposto a pagarlo.<br />
Scosse la testa.<br />
no.<br />
- No, a questo prezzo no. No, se non sei tu che vuoi dirmelo,<br />
Marco taceva, inquieto, a disagio. Ora era lui ad avvertire il<br />
bisogno di affrontare l’argomento. Anche lui si rendeva conto di<br />
quanto anomalo fosse il proprio silenzio. Poi parlò:<br />
- Tu cosa credi che faccia? Ti sarai fatto delle ipotesi, no?<br />
- Non lo so, prima ho pensato che tu facessi l'ingegnere, il<br />
tecnico, magari di qualche multinazionale. Che so... poi ho pensato<br />
che fossi una spia, un guerrigliero per qualche causa persa.<br />
La sua paura era un'altra e Marco l'aveva capito.<br />
- Di' quello che pensi, non barare.<br />
Antonio aveva cercato le parole giuste.<br />
- Mi chiedo se non fai qualche cosa... qualche cosa che non<br />
è giusto.<br />
Marco si era seduto davanti a lui e lo aveva fissato.<br />
- Il bene ed il male.<br />
Era quello? Sì, era quello.<br />
- Sì, il bene ed il male.<br />
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Marco si era alzato di scatto e si era avvicinato alla finestra.<br />
Aveva guardato fuori.<br />
- Proprio di uno con una coscienza dovevo innamorarmi?<br />
Una coscienza è roba vecchia, Antonio, non ce l’ha più nessuno.<br />
Antonio non aveva replicato. Aveva paura. Marco aveva<br />
ripreso:<br />
- Perché se facessi qualche cosa di male, che tu giudichi<br />
male, allora non potresti più stare con me.<br />
- No, non è questo.<br />
- Se fossi un falsario, un ladro, non mi potresti amare.<br />
Marco parlava con freddezza, ma Antonio non si era lasciato<br />
ingannare. Soltanto, ora aveva ancora più paura, perché anche<br />
Marco aveva paura.<br />
- No, ti amerei lo stesso, questo lo so, ma soffrirei e<br />
cercherei di farti cambiare vita.<br />
C'era stato un lungo silenzio. Se Antonio avesse potuto,<br />
avrebbe cancellato tutto quello che si erano detti.<br />
Infine Marco aveva parlato.<br />
- Hai ragione. Te lo devo dire.<br />
Ora Antonio non avrebbe più voluto.<br />
- No, se non vuoi davvero.<br />
- Lo voglio. Non posso tacere, non ha senso, non con te.<br />
Faccio il soldato in una compagnia privata.<br />
Il mondo gli era crollato addosso senza preavviso. Senza<br />
neanche il tempo di prendere fiato.<br />
- Vuoi dire che...<br />
- Che faccio parte di truppe che vengono arruolate <strong>nel</strong>le<br />
diverse guerre che si combattono qua e là <strong>nel</strong> mondo. Sono un<br />
ufficiale. Mi occupo di addestramento e di azioni. Combatto.<br />
- Combattere, ammazzare.<br />
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Antonio non sapeva che cosa aveva dentro. Stupore,<br />
disperazione, rabbia, smarrimento. Avvertiva un dolore sordo, che<br />
non era in grado di analizzare.<br />
- Si ammazzano comunque. Spesso il nostro intervento<br />
permette di mettere fine prima alla guerra.<br />
- O di cominciarne una. O di fare un colpo di stato. Senza<br />
chiederti chi ha ragione e chi ha torto.<br />
- Quasi sempre le due parti si equivalgono. E valgono poco.<br />
Antonio si era alzato di scatto ed aveva urlato.<br />
- Marco, come fai, tu, ad ammazzare, per soldi?<br />
Era fuggito.<br />
Era andato a casa e si era accasciato sulla poltrona. Il<br />
telefono aveva squillato, ma Antonio non aveva risposto. Aveva<br />
staccato la segreteria ed era uscito. Era rimasto fuori tutto il giorno.<br />
Era stato dai suoi, aveva girato. Era tornato a sera, quando sapeva<br />
che Marco non era più a Torino. Febbricitante ed esausto si era<br />
steso sul letto, cercando invano di dormire.<br />
Il rimorso di quella telefonata che non aveva raccolto, di<br />
quel dialogo che aveva rifiutato, lo aveva accompagnato, giorno<br />
dopo giorno.<br />
Marco era partito.<br />
Era calato il silenzio. In quel silenzio aveva di nuovo cercato<br />
di rimettere insieme i pezzi, di ricostruire l'immagine di Marco. Ma<br />
non quadrava. Non riusciva a capire come Marco potesse essere un<br />
mercenario. Perché anche se Marco non aveva usato quella parola,<br />
di questo si trattava.<br />
Era passato oltre un mese. Senza una lettera, senza una<br />
parola. Allora Antonio aveva scritto. Al solito indirizzo di Tangeri.<br />
Senza avere la più pallida idea se quell'indirizzo fosse ancora<br />
valido. Un'unica, breve lettera, che aveva riscritto venti volte e poi<br />
scarabocchiato di corsa ed imbucato subito, per non darsi il tempo<br />
di tornare indietro.<br />
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So di avere sbagliato. Non avevo il diritto di fuggire senza<br />
ascoltarti. Ero sconvolto. Dimmi che possiamo parlarne, quando<br />
torni, quando vuoi. Ti amo, come non ho mai amato. Non voglio<br />
rinunciare a te. Anch'io sono disposto a lottare per non perderti, ad<br />
ogni costo. Ti amo.<br />
Non c'era stata risposta.<br />
Tre mesi dopo la partenza di Marco era arrivata una lettera<br />
da Tangeri. La grafia sulla busta era la solita di tutte le lettere. Non<br />
era la grafia di Marco, ma di qualcun altro, che evidentemente<br />
scriveva gli indirizzi per gli uomini della compagnia.<br />
Antonio aveva guardato la lettera che aveva aspettato invano<br />
per tre mesi. Si era sentito sommergere dalla gioia. Se Marco gli<br />
rispondeva, non era finita. La sua vita poteva riacquistare un senso.<br />
Dopo essersi tolto le scarpe ed infilato le pantofole, si era<br />
seduto in poltrona, ma le mani gli tremavano tanto, che non era<br />
riuscito ad aprire la busta. Aveva paura, una paura infinita.<br />
Alla fine aveva aperto. La gioia che lo aveva invaso quando<br />
aveva visto la busta, si era dissolta immediatamente. La lettera<br />
all'interno non era stata scritta da Marco. La firma non era di Marco.<br />
Era una lettera molto breve.<br />
Gentile signor Abate<br />
le scrivo per comunicarle che Marco Torri è morto tre<br />
giorni fa. Per motivi che lei capirà, non posso darle informazioni<br />
sul luogo e le circostanze. Marco mi aveva pregato, se gli fosse<br />
successo qualche cosa, di avvisarla. Credo che avesse un<br />
presentimento. Il suo corpo è stato cremato dove è morto e le sue<br />
ceneri disperse al vento, come aveva richiesto.<br />
La lettera era firmata. Solo un nome, nessun cognome,<br />
nessun indirizzo, nessuna tomba. Marco era morto. In qualche parte<br />
dell'Africa, probabilmente, su una mina, sì, era plausibile. O magari<br />
in uno scontro a fuoco. O... Marco era morto. Marco era morto. Si<br />
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era alzato, era andato alla finestra. Era tornato a sedersi. Aveva<br />
guardato la busta vuota. Aveva riletto l'indirizzo, come se sperasse<br />
che la lettera non fosse indirizzata a lui. Si era seduto a guardare <strong>nel</strong><br />
vuoto. Marco era morto.<br />
Sei mesi prima, poco meno.<br />
Il pomeriggio del suo primo giorno di disoccupato uscì per<br />
andare a fare la spesa. Prese whisky e champagne. Già, champagne.<br />
Avrebbe festeggiato. Festeggiato la disoccupazione ed il secondo<br />
anniversario del suo incontro con Marco.<br />
Rientrando a casa, vide la lettera sul cassettone dell'ingresso.<br />
La fissò, senza capire. Era uscito venti minuti prima, non c'era nulla<br />
sul cassettone. Ne era sicuro. Non era ubriaco. Non più, dal mattino,<br />
o non ancora: lo sarebbe stato tra poco. La lettera non aveva un<br />
destinatario. L'aprì. Solo tre righe. Non conosceva la scrittura.<br />
Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri, trovati domani<br />
alle tre al bar Il Gelatiere, corso Einaudi angolo corso De Gasperi.<br />
Siediti ad un tavolo vicino alla strada.<br />
Guardò la lettera senza capire. Che cosa c'era ancora da<br />
sapere su Marco Torri? Che cosa c'era da sapere su un morto? Pensò<br />
che doveva farsi un bicchierino. Portò sul tavolo del ti<strong>nel</strong>lo la borsa<br />
con le bottiglie. Le guardò. Il resto avvenne quasi automaticamente.<br />
Aprì le tre bottiglie di whisky, le prese una ad una e le vuotò <strong>nel</strong><br />
lavandino. Sapeva che aveva finito. Non sapeva che cosa sarebbe<br />
successo, ma con i liquori aveva finito. La bottiglia di champagne<br />
seguì la stessa sorte, ma stappandola Antonio pensò che festeggiava<br />
una fine. Non sapeva di che cosa.<br />
Quella notte quasi non dormì.<br />
Arrivò al bar un po' in anticipo e si sedette ad un tavolo di<br />
fianco alla grande vetrina. Il cameriere si avvicinò.<br />
- Il signor Abate?<br />
- Sì?<br />
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Marco rimase stupito a sentirsi chiamare per nome. Anche<br />
se qualche volta veniva a prendere un gelato, non era un cliente<br />
abituale e non aveva mai lasciato il suo nome.<br />
- È arrivato tardi, il signore non ha potuto aspettarla, ma ha<br />
lasciato questo per lei.<br />
Avrebbe voluto dire che era puntualissimo, ma non aveva<br />
senso. Prese la grossa busta gialla che gli porgeva il cameriere.<br />
L'aprì. Un biglietto ed un'altra busta. Il biglietto conteneva poche<br />
righe, stampate:<br />
Prendi il passaporto. Alla frontiera australiana hanno tutti i<br />
dati, con l'autorizzazione che serve come visto. Non portare<br />
nient'altro. Lo spazzolino lo fornisce la Qantas.<br />
Sussultò. Lo spazzolino lo fornisce la Qantas. Marco<br />
scherzava spesso sulla sua attenzione un po' maniacale alla pulizia<br />
dei denti.<br />
Dentro la seconda busta un biglietto aereo. Torino-<br />
Francoforte-Singapore-Sidney. Sola andata. A nome suo. Partenza<br />
quattro ore dopo.<br />
Era assurdo. Non sarebbe partito. Non aveva nessun senso.<br />
Mollare tutto con un biglietto di sola andata.<br />
Lo spazzolino lo fornisce la Qantas.<br />
Non aveva senso. Se lo disse mentre tornava a casa, lo ripeté<br />
mentre sbarrava le imposte dalla parte interna, come quando partiva<br />
per le vacanze. Non aveva senso, anche se tanto non aveva più un<br />
lavoro. Non occorreva neanche chiedere a Dario di venire a bagnare<br />
le piante. Le aveva lasciate morire tutte. Lui, che era così orgoglioso<br />
del suo pollice verde. Non aveva senso. Telefonò ai suoi genitori,<br />
dicendo che sarebbe stato via per alcuni giorni.<br />
Non aveva senso, si sarebbe ritrovato in Australia senza un<br />
soldo, senza sapere che cosa fare, sarebbe stato un suicidio, faceva<br />
bene a non andarci. Questo se lo disse mentre scendeva dal taxi che<br />
lo aveva portato all'aeroporto di Caselle e controllava a quale banco<br />
doveva dirigersi. Torino-Francoforte era Lufthansa, quindi zona C.<br />
L'impiegata prese il biglietto.<br />
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- Metta pure il suo bagaglio sul nastro.<br />
- Non ho bagaglio.<br />
- Bagaglio a mano?<br />
- No, niente.<br />
Lo guardò perplessa. Non doveva capitare spesso che<br />
qualcuno partisse per l'Australia con un biglietto di sola andata e<br />
neppure una ventiquattr'ore come bagaglio. Non aveva senso.<br />
Antonio disse:<br />
- Tanto lo spazzolino lo fornisce la Qantas.<br />
L'impiegata sorrise, ma era un sorriso poco convinto.<br />
Una notte in aereo, in cui non dormì per nulla. Un giorno tra<br />
volo e sosta in aeroporto a Singapore. Un'altra notte in aereo.<br />
Cercava di non pensare a nulla. Se vuoi sapere qualche cosa di<br />
Marco Torri. La stanchezza di due notti insonni ebbe infine la<br />
meglio e riuscì a dormire alcune ore. Il mattino dopo era a Sidney.<br />
Scese, passò il controllo doganale e si trovò <strong>nel</strong>l'aeroporto. C'erano<br />
due o tre persone che aspettavano i passeggeri con i cartellini, ma il<br />
suo nome non era scritto su nessuno. Era idiota aspettarselo. Si<br />
chiese se sarebbe rimasto senza biglietto di ritorno, senza soldi,<br />
senza nulla, in quel di Sidney. Aveva la carta di credito, in qualche<br />
modo sarebbe riuscito a rientrare.<br />
Poi sentì una voce alle sue spalle, una voce con un leggero<br />
accento straniero.<br />
- L'aspettavo, signor Abate. Da questa parte.<br />
L'uomo lo accompagnò al parcheggio e lo fece salire<br />
sull'auto. Antonio non chiese nulla. Aveva paura di chiedere.<br />
L'uomo non aprì bocca fino a che non si fermò in città, davanti ad<br />
un albergo.<br />
- L'albergo è già pagato. Compresi pranzo e cena. La<br />
chiameranno domani mattina alle otto. Si trovi all'ingresso alle nove<br />
in punto. Cerchi di riposare.<br />
Annuì. Salì in camera. Si spogliò, si fece la doccia e si mise<br />
a letto. Quando viaggiava cercava sempre di ingranare con il fuso,<br />
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aspettando la sera prima di mettersi a dormire. Ora non gliene<br />
importava niente. Non appena si stese si addormentò. Si svegliò <strong>nel</strong><br />
pomeriggio. Per un attimo si chiese dove si trovava, poi capì. Scese<br />
e fece un giro per il quartiere, attento solo a non perdere<br />
l'orientamento. Faceva molto caldo, per lui che arrivava<br />
dall'inverno. Aveva lasciato i vestiti pesanti in camera, ma avrebbe<br />
dovuto almeno togliersi la canottiera. La camicia l'aveva addosso da<br />
tre giorni. Mutande e calze pure. E aveva le scarpe invernali.<br />
Ottimo.<br />
Tornò in camera, si fece una seconda doccia e si stese sul<br />
letto, ma non chiuse occhio fino al primo mattino.<br />
Scese a colazione con un cerchio alla testa. Tornò in camera<br />
a lavarsi i denti, con lo spazzolino della Qantas, e alle nove scese al<br />
banco. L'addetto gli sorrise.<br />
- Il suo taxi è pronto. Qui c'è il suo biglietto aereo.<br />
Ebbe paura che fosse un biglietto di ritorno. Aprì subito la<br />
busta. Era un biglietto per Cairns. Avrebbe voluto chiedere dov'era<br />
Cairns, ma in fondo era irrilevante. Trovare un biglietto di ritorno<br />
sarebbe stato divertente. Scusate tanto, abbiamo scherzato. E non<br />
avrebbe avuto nessuna idea di che cosa fare. Immaginava il dialogo<br />
con Dario, che in questo periodo cercava di fargli da angelo<br />
custode: - Ti ho cercato ieri, che cosa hai fatto? - Oh, niente, sono<br />
andato in Australia. Volevo vedere i canguri.<br />
Salì sul taxi. L'autista mise subito in moto. Sapeva già dove<br />
andare. Non disse una parola. Meglio così: Antonio non aveva<br />
voglia di fare conversazione. L'inglese degli australiani doveva<br />
essere tremendo.<br />
A Cairns si ripeté la scena del giorno prima. Comunque si<br />
mettesse, gli arrivavano sempre alle spalle.<br />
L'albergo era un posto piacevole, ma avrebbe lasciato anche<br />
quello, l'indomani, alle sette.<br />
Il caldo era intollerabile. Pensò che avrebbe fatto meglio a<br />
comprarsi un po' di biancheria, con la carta di credito. Non poteva<br />
continuare con la roba di quattro giorni prima. Controllò <strong>nel</strong>la tasca<br />
che portava a tracolla e scoprì che non aveva più né passaporto, né<br />
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carta di credito. La carta di credito era la sua unica possibilità di<br />
comprare un biglietto di ritorno, di cavarsela. Certo, avrebbe potuto<br />
rivolgersi alla polizia, ma avrebbe avuto difficoltà a spiegare molte<br />
cose. Bene, sarebbe rimasto con la roba addosso. Cercava solo di<br />
non pensare. Se vuoi sapere qualche cosa di Marco Torri.<br />
La notte dormì, anche se di un sonno agitato.<br />
Si svegliò il mattino. I suoi abiti erano spariti. Al loro posto<br />
una maglietta, un paio di pantaloni ed uno di mutande, un<br />
fazzoletto, un paio di scarpe leggere. Il tutto perfettamente di<br />
misura, molto sobrio, di puro cotone. Chi aveva preso quei vestiti lo<br />
conosceva bene. Altre conclusioni, Antonio non ne voleva trarre.<br />
Dopo colazione passarono a prenderlo su un fuoristrada.<br />
Viaggiarono due ore su una strada asfaltata, poi presero una sterrata.<br />
Era ormai mezzogiorno quando Antonio si decise a chiedere.<br />
- È lontano?<br />
Era il suo primo ed unico tentativo di far parlare uno dei<br />
suoi autisti. Il risultato non fu propriamente brillante.<br />
- È più in là.<br />
Lasciò perdere. D'altronde, non si era aspettato molto.<br />
Verso l'una arrivarono in una piccola baia. L'auto si fermò.<br />
C'era un sentiero che dalla strada scendeva fino ad una casetta di<br />
legno in riva al mare.<br />
- La casa là sotto.<br />
L'uomo non disse altro. Antonio evitò di salutare, scese<br />
dall'auto e si diresse verso la casa. La casa era chiusa. Davanti<br />
all'ingresso c'era un portico, con un tavolo. Sul tavolo un bicchiere<br />
con un liquido. Tra due pali del portico un'amaca.<br />
Sapeva di dover bere e sapeva che bevendo si sarebbe<br />
addormentato. Volevano che si mettesse <strong>nel</strong>le loro mani,<br />
consenziente.<br />
- Speriamo solo che non sia alcolico - pensò.<br />
Sapeva che lo stavano guardando. Non esitò. Prese il<br />
bicchiere e bevve, fino in fondo. Si sarebbe detto un banale succo di<br />
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ananas. Forse con un retrogusto un po' amaro. Se fosse stato un<br />
buon veleno, sarebbe stata la cosa migliore. Si sdraiò sull'amaca e si<br />
sentì presto scivolare <strong>nel</strong> sonno. Se vuoi sapere qualche cosa di<br />
Marco Torri.<br />
Si svegliò <strong>nel</strong>la cuccetta di un’imbarcazione, che dondolava<br />
appena. Il mare doveva essere calmo. Si alzò e salì in coperta.<br />
Nessuno, ovviamente. Il battello era ancorato a poche decine di<br />
metri da un'isola. Sull'isola una figura in piedi. Vicino ad una<br />
palma.<br />
Si spogliò e scese <strong>nel</strong>l'acqua, che gli arrivava fino al collo.<br />
Camminò verso la riva. La figura gli voltava la schiena. Rimaneva<br />
immobile, come se guardasse un punto lontano all'orizzonte.<br />
Antonio uscì dall'acqua e si avvicinò. Il corpo nudo che si offriva ai<br />
suoi sguardi gli era noto in ogni dettaglio. Ora però era cambiato.<br />
La gamba sinistra finiva sotto il ginocchio. Sotto, una protesi. La<br />
mano sinistra era stesa ed aperta, a mostrare bene le due dita<br />
mozzate alla prima falange ed il mignolo mancante. Come a dire<br />
che quello era quanto c'era. Prendere o lasciare.<br />
Antonio fissò quel corpo, incapace di dare un senso a tutto<br />
ciò che emergeva dentro di lui.<br />
Poi si voltò, fece tre passi e si sedette sulla spiaggia a<br />
guardare il mare dalla parte opposta.<br />
L'uomo chinò la testa, chiuse gli occhi un momento, poi<br />
venne a sedersi vicino a lui, leggermente più indietro, e parlò,<br />
fissando il mare.<br />
- Ti ho seguito da lontano. Speravo che tu mi dimenticassi, ti<br />
trovassi un'altra storia, riprendessi a vivere. Per questo quando ho<br />
avuto l'incidente ti ho fatto scrivere che ero morto. Non so se volevo<br />
che mi dimenticassi. Non lo volevo per niente. Ti avrei maledetto se<br />
mi avessi dimenticato. Io non avrei potuto dimenticarti. Io non ti<br />
avrei dimenticato. Se tu mi avessi dimenticato, sarei stato libero…<br />
Invece ti ho visto scivolare verso il fondo. Prima<br />
impercettibilmente, poi sempre più rapidamente. Non ti potevo<br />
lasciar precipitare. Tra te e l'orlo del precipizio mi sarei messo io, a<br />
costo di farmi schiacciare... Sono intervenuto. Una messinscena<br />
grottesca. Probabilmente è quello che pensi. Non potevo vederti in<br />
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Italia. Non era ad armi pari. Neanche qui, ma almeno se te ne vai, io<br />
resto. Con un pugno di mosche, ma resto… Ho smesso, per forza.<br />
Avrei potuto ancora fare delle cose, soprattutto l'addestramento.<br />
Non avrei potuto. L'avevi reso impossibile tu. Disoccupato per<br />
colpa tua… Un lavoro come quello lo fai se non ti poni problemi, se<br />
non ti chiedi nulla. Quando cominci a chiederti se è giusto o<br />
sbagliato quello che stai facendo, non puoi tirare avanti a lungo, non<br />
sei più concentrato e se non sei più concentrato, crepi… Quando<br />
sono partito ti ho cancellato. Non <strong>nel</strong> senso di cercare di<br />
dimenticarti. Quello non era possibile. Quello non sarà mai<br />
possibile. Ti ho messo da parte, con cura, in un angolo, come si fa<br />
con un oggetto pericoloso. Ho evitato di aprire lo sportello. Ed ho<br />
creduto di farcela. Ce l'avevo fatta. In fondo la tua fuga, il tuo<br />
silenzio <strong>nel</strong>l'ultimo giorno erano stati un colpo tale. Ti ho<br />
telefonato. Tutto il giorno. Sono andato a casa tua. Tre volte. Tutto<br />
potevo accettare, ma non che tu non mi ascoltassi. Non ne avevi il<br />
diritto, Antonio.<br />
La voce si incrinò. Antonio avrebbe voluto dirgli che aveva<br />
ragione, ma non era in grado di parlare. Si sentiva schiacciato da un<br />
peso enorme, che gli premeva sul petto, e faceva fatica a respirare.<br />
- Non avevo mai permesso a nessuno di farmi tanto male.<br />
Ma l'avevo superato, rimosso, messo in un angolo, per il ritorno.<br />
Perché sarei ritornato e ti avrei cercato. Ti avrei preso alla<br />
sprovvista ed avremmo fatto i conti. Non so che cosa avremmo<br />
fatto… Poi è arrivata la tua lettera. Cristo! Sei stato bravo. Senza<br />
tante parole. Ti sono bastate poche righe. Hai fatto piazza pulita. Di<br />
tutto. Sono piombato in crisi. Più nulla funzionava. Sapevo<br />
benissimo che prima o poi sarei saltato. E sono saltato. Quando<br />
correvo sapevo che non dovevo passare di lì. E ci sono passato. Ma<br />
quando sono passato ho pensato alla tua lettera e che forse c'era<br />
ancora uno spazio per noi due. Ed ho cercato di non farmi troppo<br />
male. All'ospedale mi sono maledetto per non essermi fatto<br />
ammazzare.<br />
Antonio non parlava, fissava l'orizzonte ed ascoltava. Gli<br />
sembrava di non provare nulla, un vuoto assoluto.<br />
- Ti aspettavo. Pensavo a che cosa avresti fatto scendendo.<br />
Mi dicevo che ormai dovevi essere sveglio, la dose era minima.<br />
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Aspettavo. Poi ti ho sentito arrivare. Mi dicevo: - Adesso mi prende<br />
tra le braccia, mi stringe forte, ci rotoliamo per terra e facciamo<br />
l'amore… Quando ti ho steso sulla cuccetta ho pensato di spogliarti<br />
e di prenderti, mentre dormivi. In fondo quando hai bevuto, sapevi<br />
benissimo che il rischio c'era. Se l'avessi fatto, almeno... Quando<br />
sono arrivato a Sidney, sono andato in qualche locale. Volevo<br />
vedere se riscuotevo ancora successo. È stato incredibile. Manco<br />
fossi Brad Pitt. Si vede che così ho un'aria vissuta. Mi ronzavano<br />
intorno come mosconi. Ho contato quelli che si avvicinavano e ho<br />
detto che al decimo approccio ci sarei andato a letto, anche se era<br />
Frankenstein. Al decimo approccio sono uscito senza nemmeno dire<br />
bye al tipo che si era avvicinato. Gli altri tentativi sono andati allo<br />
stesso modo. Guardavo il bicchiere e pensavo che tu stavi bevendo.<br />
Speravo che smettessi e desideravo che continuassi. Desideravo<br />
essere autorizzato ad intervenire.<br />
Ci fu una nuova pausa.<br />
- Della gamba non m'importa nulla. Per sentirmi dire che mi<br />
ami ancora, che lo spazio c'è ancora, darei anche l'altra. Anche su<br />
una sedia a rotelle. Anche crepare subito dopo, senza aver fatto in<br />
tempo a toccarti con un dito.<br />
Ancora una pausa. Antonio non sapeva perché continuava a<br />
tacere, perché lasciava che sprofondasse <strong>nel</strong>l'abisso. Lo guardava<br />
rotolare verso il fondo e non stendeva una mano. Si chiese se voleva<br />
assicurarsi che soffrisse abbastanza. La voce che gli giungeva era<br />
scherzosa, ora, ma la fatica era troppo evidente.<br />
- Ho un'ottima assicurazione. Posso vivere di rendita per<br />
circa centoquarant'anni, con un viaggio l'anno in Italia per vedere i<br />
miei. Oppure in Italia tutto l'anno ed un viaggio per vedere il<br />
mondo. Come preferisci. Certo se dobbiamo dividere in due,<br />
potremo vivere solo settant'anni. Dovremo accontentarci…<br />
Potremmo partire e girare l'Australia in auto. È un paese bellissimo.<br />
Ti compro un altro spazzolino da denti, quelli della Qantas fanno<br />
schifo.<br />
Dopo una pausa più lunga l'uomo si alzò e si rivolse verso di<br />
lui. C'era molta stanchezza <strong>nel</strong>la voce, ora.<br />
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- Se non mi vuoi, puoi tornare alla barca. Ti riporto alla<br />
casa, ritrovi abiti, documenti e tutto e dopodomani sarai a Torino.<br />
Cristo, Antonio, di' qualcosa. Non ce la faccio più ad aspettare.<br />
Non c'era stata un'interruzione tra una frase e l'altra, nulla.<br />
La voce non era salita di tono, ma la carica d'angoscia di quelle<br />
ultime parole lo riscosse, sciolse il torpore che lo inchiodava. Trovò<br />
la forza di alzarsi, con lo sguardo ancora incollato ad un orizzonte<br />
che aveva smesso di vedere, poi, con fatica, si girò verso l'uomo che<br />
gli stava a fianco, tenendo gli occhi verso il basso. Lentamente alzò<br />
lo sguardo e per la prima volta guardò Marco. Ritrovò il volto che<br />
conosceva, solo il dolore infinito negli occhi era nuovo, non l'aveva<br />
mai visto, non voleva vederlo più. Con le dita cercò i lineamenti di<br />
quel viso e guardò quel dolore che retrocedeva, che diventava un<br />
interrogativo. Quando sfiorò le labbra le vide aprirsi in un mezzo<br />
sorriso. L'immagine cominciò ad annebbiarsi, mentre le lacrime gli<br />
scendevano dagli occhi. Sentì la propria voce:<br />
- Ti so mo sol, ma lun-a, ma vid, da aqua ka kalm da sede,<br />
do fog ke bruc, do pan ko sfam…<br />
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