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Èla mattina presto di un giorno come un altro, appena
dopo l’alba. C’è aria di bonaccia. Lo sguardo
incontra solo mare, si perde contro il cielo.
Solcando l’acqua di quel mare troppo aperto, è
forte allora l’impressione di non sapere bene dove
andare, se esista un porto – e quale – in cui approdare.
Forse perché la nave sembra troppo lenta, inadeguata
ad affrontare tanto mare, a toccare davvero
qualche terra.
Il tempo appare stanco e un po’ indolente, come
se il viaggio non dovesse mai finire.
La stessa scia di questa nave, che mostra di
volersi allontanare – senza però dissolversi mai
più – non si direbbe modellata sul momento.
Forse perché si lascia andare come uno strascico
di sposa, forse perché ogni giorno è sempre
uguale, ma pare proprio che sia lì chissà da
quando. Un’autostrada, oppure una rotaia, su
cui far scivolare la nave più sicura.
E infatti lei procede risoluta, fende le acque con
vigore, ben più veloce di quanto dia a vedere.
***
Poi tutto sembra ancora rallentare quando si avvistano
le coste, che finalmente annunciano l’arrivo.
Niente burrasche in corso, né tantomeno temporali.
La pressione è alta e livellata, dal mare di Levan-
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