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Effetti Collaterali<br />

Per chi viaggia in <strong>di</strong>rezione<br />

ostinata e contraria Benedetta Nocentini<br />

Coltivando tran<strong>qui</strong>lla<br />

l’orrib<strong>il</strong>e varietà<br />

<strong>del</strong>le proprie su<strong>per</strong>bie<br />

la maggioranza sta<br />

come una malattia<br />

come una sfortuna<br />

come un’anestesia<br />

come un’abitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>per</strong> chi viaggia<br />

in <strong>di</strong>rezione ostinata e contraria<br />

De Andrè<br />

Da sempre sono cantati, da sempre sono citati, da sempre se ne stanno lì, in quell’angolo d’ignoto,<br />

in quella parte ombrosa <strong>del</strong> mondo.. quella parte che tutti quelli che vedono la luce non riescono<br />

a scorgere.. e soffrono.. e piangono.. e amano. Vite come le altre. Uomini, donne e bambini segnati<br />

in un modo o nell’altro dalla vita, dagli eventi. Eventi passati come vento, vento che accarezza la<br />

loro pelle, vento che accarezza i loro capelli. E se ne va. E loro restano lì, come alberi al vento, e si<br />

piegano e piangono, e scalpitano e gridano, con la voce <strong>di</strong> un muto.<br />

E vorrebbero essere guardati e non solo visti, vorrebbero essere ascoltati e non solo u<strong>di</strong>ti, vorrebbero<br />

essere capiti e non solo immaginati. E vorrebbero tutto ciò che spetterebbe ad una vita umana,<br />

e vorrebbero non più essere chiamati prostitute, clochards, drogati e non vorrebbero più essere<br />

descritti da altri sim<strong>il</strong>i e fut<strong>il</strong>i accostamenti <strong>di</strong> lettere che forse anche la lingua italiana ha <strong>di</strong>menticato<br />

<strong>di</strong> coniare, tra i suoi latini e i suoi volgari. I soli, gli abbandonati, i <strong>di</strong>menticati, tormentati da<br />

quel vento che lascia <strong>di</strong>etro se soltanto un’infinita voglia <strong>di</strong> pace, combattono, e stringono i denti,<br />

e non reagiscono, e sono schiacciati da un macigno troppo grande che forse non riusciranno ad<br />

alzare mai. Un macigno fatto <strong>di</strong> buio, <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> emarginazione. E forse è proprio quella la<br />

loro pace. La fuga. La fuga dal mondo, dalla gente - che qualcuno definiva “c<strong>il</strong>iegi malati in ogni<br />

stagione” - dalla folla, così imbevuta <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zi e <strong>di</strong> luoghi comuni, folla <strong>di</strong> giusti e <strong>di</strong> improbi,<br />

folla <strong>di</strong> egoisti e <strong>di</strong> protervi. Folla che parla <strong>di</strong> loro, che ragiona <strong>di</strong> loro e li <strong>di</strong>mentica, e li nasconde,<br />

celati <strong>di</strong>etro l’in<strong>di</strong>fferenza, la r<strong>il</strong>uttanza <strong>di</strong> un presente in cui non c’è più posto <strong>per</strong> nessuno.<br />

Vite uniche che affrontano la loro unicità guardandola <strong>di</strong>ritta negli occhi, vite che costruiscono <strong>il</strong><br />

loro presente dettatogli dalla follia <strong>del</strong>la loro <strong>di</strong>versità. E<br />

si vedono <strong>per</strong> le strade, fuori, nel mondo, così occupato e<br />

impegnato nelle sue attività, nel suo eterno sfaccendare,<br />

e non si vedono. Isolati e collocati agli antipo<strong>di</strong> <strong>di</strong> una<br />

società <strong>di</strong> ruffiani, <strong>di</strong> egoisti, <strong>di</strong> lacché, <strong>di</strong> venduti, <strong>di</strong> manichini<br />

<strong>di</strong> cartone senza un’anima e senza un cuore, se<br />

ne stanno i <strong>di</strong>versi. Cullati, circondati, avvolti, soffocati<br />

da una fitta coltre <strong>di</strong> nebbia che li nasconde dalla verità<br />

<strong>di</strong> un mondo troppo cru<strong>del</strong>e... sognano <strong>il</strong> loro mondo.<br />

l’atipico - 33

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