Zygmunt Bauman, Homo consumens - Eddyburg
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<strong>Zygmunt</strong> <strong>Bauman</strong><br />
<strong>Homo</strong> <strong>consumens</strong><br />
Lo sciame inquieto dei consumatori<br />
e la miseria degli esclusi<br />
Presentazione di Mauro Magatti<br />
Erickson 2007
Lo sciame inquieto Dall'homo politicus all'homo <strong>consumens</strong><br />
Esistono molteplici e copiosi sintomi di un crescente disinteresse del pubblico nei riguardi delle<br />
procedure democratiche ufficialmente accreditate (in realtà, nei riguardi di tutte le principali e riconosciute<br />
pratiche democratiche): calo della partecipazione a elezioni e referendum, riduzione degli iscritti ai maggiori<br />
partiti, e una crescente ignoranza delle questioni politiche e delle persone che dichiarano il diritto e<br />
manifestano la volontà di metterle in luce e risolverle.<br />
________________________<br />
In Gran Bretagna i fatti parlano da soli. Ricordiamo che nel 1997 il New Labour è stato sostenuto solo dal<br />
31 % degli aventi voto e che la partecipazione a queste elezioni è stata la più bassa dal 1945. Come hanno<br />
concluso gli autori di uno studio del Nuffield College: «Le elezioni del 1997 hanno suscitato l'interesse<br />
più scarso che si ricordi a memoria d'uomo». Perfino la tanto pubblicizzata campagna pubblica intorno<br />
alla questione della devolution di Scozia e Galles non ha coinvolto l'opinione pubblica. La scarsa<br />
partecipazione a queste elezioni «storiche" del 1999 ha indicato chiaramente che i cittadini le hanno<br />
considerate più che altro come una messa in scena. La maggioranza degli elettori è rimasta a casa e solo il<br />
46% dei gallesi sono andati a votare. In Scozia, grazie a un'aggressiva campagna di incoraggiamento al<br />
voto, si è raggiunto il 59%. Mentre in Inghilterra nello stesso giorno si sono presentati alle urne solo il<br />
29% degli aventi diritto rispetto alle elezioni locali del 6 maggio. Le elezioni del Parlamento Europeo del<br />
giugno 1999 hanno segnato il punto<br />
Titolo originale: Exit homo politicus, enter homo comumem, traduzione di Marina de Carneri.
più basso: solo il 23% si è recato a votare. In un seggio di Sunderland ci sono stati 15 votanti su 1000 aventi diritto. 1<br />
Un recente sondaggio, condotto all'inizio della campagna elettorale del 2005, conclude che «a differenza<br />
di quel che si crede, 1'opinione pubblica britannica non è indifferente alla politica» 2 . Questa è la conclusione<br />
di un nuovo rapporto della Commissione Elettorale e della Hansard Society. Secondo il rapporto, il 77% delle<br />
persone intervistate da M O RI si dichiaravano interessate alle questioni nazionali. Il rapporto aggiunge,<br />
tuttavia, che solo il 27% ritiene che il voto possa influenzare le scelte politiche del Paese.<br />
Considerati i precedenti, bisogna ipotizzare che la reale partecipazione al voto oscilli tra il 77% e il 27%<br />
con una tendenza verso la percentuale inferiore. Dobbiamo anche considerare che non tutte le persone che si<br />
considerano interessate alle cosiddette «questioni nazionali» si recano di fatto al seggio per votare. Inoltre, in<br />
una società inondata di informazioni (Ignacio Ramonet osserva che negli ultimi 30 anni è stata prodotta più<br />
informazione che nei precedenti 5000 anni e che una copia del «Sunday Times» contiene più informazione di<br />
quanto una persona colta del XVIII secolo potesse accumulare nell' arco di una vita), 3 i titoli dei giornali servono<br />
più che altro a cancellare dalla memoria del lettore i titoli del giorno precedente. Le questioni che i<br />
giornali definiscono «di interesse pubblico» hanno una durata di vita pari a quella di una farfalla e scarsa<br />
probabilità di sopravvivere dalla data del sondaggio fino alla data delle elezioni. Quel che più conta, le due<br />
questioni - quella dell'interesse nazionale e quella della partecipazione al processo democratico - non si<br />
cristallizzano nella mente di un numero crescente di cittadini. La seconda non sembra collegata alla prima e<br />
forse è considerata politicamente irrilevante.<br />
Il sito Guardian Student del 23 marzo 2004 ci informa che i tre quarti (77%) degli studenti universitari<br />
del primo anno non hanno alcun interesse a prendere parte a proteste politiche e secondo lo Student Panel del<br />
«Lloyd TSB/Financial Mail on Sunday» il 67% non crede che le proteste studentesche siano efficaci.<br />
Secondo Jenny Little, redattrice della pagina<br />
1<br />
Frank Furedi, Consuming Democracy: Activism, Elitism and Political Apathy, www.geser.net/furedi.<br />
htrnl.<br />
2<br />
Vedi www.politics.co.uk dello marzo 2005.<br />
3<br />
Ignacio Ramonet, La tyrannie de la communication, Paris, Galilée, 1999, p. 184.
degli studenti del «Financial Mail on Sunday»: «Gli studenti oggi devono occuparsi di molte cose - ottenere<br />
buoni voti, trovare un lavoro part-time per pagare le tasse scolastiche, procurarsi esperienze lavorative da<br />
esibire sul curriculum [e, aggiungo io, non essere sommersi dai debiti]. Non c'è da stupirsi se la politica non è<br />
una priorità per questa generazione, anche se di fatto non è mai stata più importante».<br />
In uno studio recente dedicato al fenomeno dell'apatia politica, Tom Deluca suggerisce che 1'apatia non<br />
è il problema, ma «piuttosto un segno della nostra libertà, potere e grado di responsabilità, un segno dell'<br />
efficienza con cui siamo amministrati [...] Insomma un indice della misura in cui si soffre». 4 L’apatia politica<br />
sarebbe «un destino politico prodotto da forze, strutture, istituzioni o manipolazioni da parte dell' élite su cui<br />
abbiamo scarso controllo e forse poca consapevolezza». Deluca analizza approfonditamente tutti questi<br />
fattori e tratteggia un fenomeno che chiama «1'altro lato dell' apatia politica», dove il primo lato sarebbe,<br />
secondo vari analisti, «un' espressione di soddisfazione per la situazione presente e per la facoltà di esercitare<br />
il diritto di libera scelta e più in generale come un buon segno per il funzionamento della democrazia di<br />
massa» (queste sono le conclusioni espresse da Bernard Berelson, Paul Lazarsfeld e William McPhee nel loro<br />
famoso studio del 1954, poi riconfermate da Samuel Huntington e infine indirettamente convalidate<br />
daAnthony Giddens nel suo elogio dell' «attivismo del consumatore»).<br />
Tuttavia, se vogliamo davvero comprendere il significato e le cause sociali dell' apatia politica dobbiamo<br />
andare al di là del «secondo aspetto» che Deluca dichiara essere stato trascurato e compreso solo<br />
superficialmente dagli analisti ufficiali. Per far ciò dobbiamo ricordare 1'evaporazione del potere politico<br />
centralizzato dello Stato verso la terra di nessuno dello spazio globale sovranazionale, il passaggio di gran<br />
parte delle politiche in passato amministrate dallo Stato a «politiche di vita» gestite e servite individualmente<br />
e l' «esternalizzazione» di una parte crescente di funzioni della vita che passano dallo Stato al mercato. La<br />
divaricazione tra potere dello Stato e politica e la conseguente privazione dello Stato ormai non più sovrano<br />
sia di potere che di iniziativa politica, insieme al controllo assunto dal mercato sui servizi più importanti,<br />
trasforma i cittadini in consumatori.<br />
4 Tom Deluca, Two Forms oJ Political Apathy, Philadelphia, TempIe University Press, 2005
Il vuoto lasciato dai cittadini in ritirata dall' agone politico, e considerato con molto favore da alcuni<br />
analisti, è invece riempito da un «attivismo» del consumatore che sembrerebbe indipendente e apolitico, ma<br />
che invece (a dispetto di quel che pensano alcuni osservatori già pronti a salutare il fenomeno come una svolta<br />
rivoluzionaria della partecipazione democratica) impegna una percentuale dell' elettorato inferiore a quella<br />
reclutata durante le campagne elettorali dai tradizionali partiti politici, i quali sono comunque in declino a<br />
causa dell'incapacità di rappresentare realmente gli interessi di chi li vota. Frank Furedi lancia un segnale<br />
d'allarme in questo senso quando dice che «1'attivismo dei consumatori prospera in condizioni di apatia e<br />
disimpegno sociale. Questi attivisti considerano le loro iniziative come un' alternativa più valida della<br />
democrazia parlamentare. Il loro atteggiamento nei confronti della partecipazione politica manifesta un forte<br />
ethos antidemocratico». Dobbiamo riconoscere che la critica dei movimenti dei consumatori alla democrazia<br />
rappresentativa è fondamentalmente antidemocratica. Essa si basa sull'idea che delle persone non elette dal<br />
popolo, ma animate da elevati fini morali, abbiano più diritto a rappresentare le istanze dei cittadini che non i<br />
politici regolarmente eletti attraverso un sistema imperfetto. Gli ambientalisti, che ricevono il loro mandato<br />
da gruppi di pressione autoselezionati, rappresentano un elettorato molto più ristretto di quello raccolto dai<br />
politici eletti. A quanto pare, la risposta dei movimenti dei consumatori al problema della rappresentanza<br />
politica è quella di evitare completamente la questione e procedere attraverso la costituzione di gruppi di<br />
pressione.<br />
Nel suo ben documentato studio intitolato L'attivismo del consumatore, Frank Furedi conclude che i<br />
movimenti dei consumatori sono un sintomo della crescente sfiducia nella politica: «[...] non c'è dubbio che la<br />
crescita dei movimenti dei consumatori va di pari passo con il declino delle forme tradizionali di impegno<br />
sociale e partecipazione politica». Inoltre, per citare Neal Lawson, «se non rimane più nient' altro da fare, è<br />
probabile che i cittadini abbandonino completamente l'idea di collettività e di società democratica per<br />
affidarsi al mercato [e, voglio aggiungere, alle proprie qualità e iniziative di consumatori] per dirimere le<br />
controversie». 5<br />
Tuttavia, un buon numero di osservatori, come Thomas Frank, redattore di Chicago del «Baffler», hanno<br />
notato la crescita spettacolare del<br />
5 Neal Lawson, Dare More Democracy, London, The Compass, 2006, p. 18.
«populismo di mercato» negli Stati Uniti a partire dagli anni Novanta. 6 Il mercato, così si dice, trasmette più<br />
fedelmente l'essenza della democrazia, cioè il diritto di scegliere. In quanto manifestazione della libertà di<br />
scelta, possiamo confidare nel fatto che il mercato potrà soddisfare le richieste dei cittadini. Di conseguenza,<br />
ogni interferenza nelle leggi di mercato sarebbe un attacco alla democrazia e un passo verso la tirannia. I<br />
mercati sono «naturalmente» democratici e per funzionare al meglio non devono essere intralciati da<br />
interferenze politiche e da regolamentazioni di provenienza esterna (cioè politica). In contro tendenza rispetto<br />
al principio che ha guidato l'epoca moderna, cioè l'espansione della partecipazione politica, il «populismo di<br />
mercato» proclama la politica il nemico numero uno della democrazia e considera invece il mercato come lo<br />
strumento democratico più affidabile (se non addirittura l'unico possibile).<br />
Quel che i populisti del mercato non vogliono vedere sono le devastanti conseguenze di un' attività di<br />
mercato senza regole e senza freni, cioè il fatto che i mercati sono i primi produttori di iniquità sociale.<br />
Questo, per vasti strati di persone che stanno alla base della piramide sociale, significa, guarda caso, la<br />
negazione dei «diritti del consumatore», cioè di reali possibilità di scelta che pure sono concesse<br />
formalmente. Per tutti gli altri significa la prospettiva di una vita precaria e di un futuro incerto. È stato<br />
proprio per combattere questi effetti negativi che la democrazia è stata inventata, e che, nel momento del suo<br />
maggiore fulgore, è quasi arrivata a sconfiggere.<br />
I populisti di mercato sono anche convenientemente in simbiosi con le verità dell'economia<br />
nell'individuazione dei nemici della libertà di consumo. Questi nemici stanno tutti nella sfera della politica,<br />
mentre le colpe del mercato vengono assolte ancor prima di essere confessate. È vero che il mercato non è<br />
l'unico fattore capace di manipolare e limitare anticipatamente le scelte umane - anche la politica agisce in<br />
modo analogo. Ma nel processo di riconversione degli umani in consumatori con la conseguente erosione di<br />
tutte le altre qualità e relazioni (e quindi con l'impossibilità di prevenire o compensare i danni subiti nell'unica<br />
sfera in cui sono chiamati a operare) il mercato è diventato un maestro di esclusione sociale.<br />
6 Thomas Frank, Marché de droit divine capitalisme sauvage et populisme de marché, Marseille, Agone,<br />
2003.
Quella della produzione di consumatori è l'industria più dannosa che si possa trovare. Il controllo della<br />
qualità è rigido e spietato, gli aspiranti vengono respinti senza ricorso e hanno scarse possibilità di<br />
riabilitazione, mentre le schiere dei condannati - i consumatori scadenti o invalidi - si gonfiano con ogni<br />
successivo avanzamento del mercato. Per quanto riguarda la misura di incertezza a cui sono esposti i<br />
giocatori, il mercato non ha rivali. Mentre la democrazia, ricordiamolo, fu varata da gente che voleva trovare<br />
un rimedio agli orrori della precarietà e mantenuta in corso da altri che volevano inserirsi nei ranghi dei<br />
fortunati della prima ora.<br />
Consapevoli di questo tipo di critica, vari osservatori fanno notare che, oltre ai movimenti dei<br />
consumatori, si possono trovare altri strumenti per supplire all'inefficienza e inaffidabilità della politica di<br />
Stato gestita dai partiti politici: la rinascita della democrazia sarebbe affidata a internet.<br />
Molti studiosi hanno salutato internet e il world wide web con grande entusiasmo considerandoli come<br />
l'alternativa e il rimedio contro la debolezza della democrazia politica. E non c'è da meravigliarsi, dato che il<br />
cyberspazio è diventato l'habitat naturale degli aspiranti (e attuali) membri delle classi intellettuali, per i<br />
quali, citando Thomas Frank, «la politica diventa prima di tutto un esercizio di autoterapia individuale e un'<br />
occasione di autorealizzazione, non lo strumento per la costruzione di un movimento». Si tratta cioè più che<br />
altro di un modo per informare il mondo delle loro<br />
virtù, come dimostrano i messaggi iconoclastici che si leggono spesso sui finestrini delle automobili o la<br />
tanto ostentata predilezione per il consumo «etico». Presentare internet come un nuovo e perfezionato<br />
strumento della politica, la navigazione nel world wide web come una forma di impegno politico e la rapidità<br />
dell'informazione telematica come progressi della democrazia è solo un modo per giustificare lo stile di vita<br />
di queste classi sociali e liberarsi dalla responsabilità di un impegno politico reale.<br />
Come tutti gli altri prodotti di mercato, anche la quantità di informazione che circola in internet è molto<br />
al di sopra della capacità di assorbimento e di utilizzazione del consumatore. Quanto sia difficile, per non<br />
dire impossibile, assorbire un volume così grande e inutile di informazioni lo si può capire per esempio da<br />
ciò che dice Eriksen: «[...] più della metà<br />
degli articoli pubblicati nelle riviste di scienze sociali non sono mai citati». Tali articoli non sono mai citati<br />
perché non sono mai stati letti da nessuno salvo dai redattori della rivista stessa. Come dice Eriksen, c'è da<br />
chiedersi
in che percentuale il contenuto di questi articoli riesca a lasciare una traccia nel pensiero delle scienze<br />
politiche e sociali.<br />
Secondo Eriksen c'è in giro troppa informazione: «Una strategia di sopravvivenza fondamentale nella<br />
società dell'informazione consiste nel sapersi proteggere dal 990/0 delle informazioni ricevute e<br />
indesiderate». Possiamo tranquillamente dire che la linea che separa il messaggio significativo dal suo<br />
opposto, cioè dal rumore di sottofondo, è quasi scomparsa. Nella battaglia all'ultimo sangue per catturare<br />
l'attenzione dei possibili consumatori, i produttori e i fornitori di beni e servizi si contendono le briciole di<br />
attenzione disponibile tra un consumo e l'altro e cercano di riempirle di ulteriori messaggi pubblicitari. La<br />
speranza è che una parte di coloro che cercano informazioni reali inciampino in quelle offerte a fini<br />
pubblicitari e si lascino fuorviare rispetto alloro proposito iniziale. Trasformare il rumore di sottofondo in un<br />
messaggio significativo è un processo aleatorio. L’enfasi posta dall' industria delle pubbliche relazioni su<br />
quelli che vengono considerati «desiderabili oggetti di attenzione» (come la pubblicità di un nuovo film o<br />
libro, di una trasmissione televisiva con molti sponsor, o l'inaugurazione di una mostra) serve a separare<br />
questi da tutti gli altri messaggi non produttivi e quindi non redditizi e a condensare per pochi minuti o pochi<br />
giorni l'attenzione frammentata, ma insaziabile, del pubblico sempre in cerca di nuovi oggetti del desiderio.<br />
Per questa ragione, l'aspro verdetto di Jodi Dean è calzante: le moderne tecnologie della comunicazione<br />
sono «profondamente depoliticizzanti» e «oggi la comunicazione funziona in modo feticistico e serve a<br />
mascherare una fondamentale inibizione a livello dell' azione politica». 7 Il feticcio tecnologico diventa un<br />
sostituto dell'impegno politico dandoci l'impressione di essere, dopo tutto, cittadini partecipi e informati. Non<br />
dobbiamo più fare la nostra parte e assumerci le nostre responsabilità politiche, visto che la tecnologia lo fa<br />
per noi, come se l'universalizzazione di una particolare tecnologia bastasse a produrre un ordine democratico<br />
e giusto.<br />
La realtà è molto diversa dall'immagine allegra e fiduciosa proiettata dai «feticisti della<br />
comunicazione». Il continuo flusso di informazione a cui siamo sottoposti non è un affluente del fiume della<br />
democrazia, ma un<br />
7 Jodi Dean, Communicative capitalism: Circulation and the fòreclosure oJ politics, "Cultural Politics»<br />
March 2005, pp. 51-73.
vortice che cattura contenuti rigurgitandoli in laghi artificiali maestosi e giganteschi, ma stagnanti e stantii.<br />
Più è grande questo flusso, maggiore è il rischio che il fiume della democrazia si inaridisca.<br />
I canali mondiali dell'informazione nutrono la moderna «cultura liquida» sostituendo l'imparare con il<br />
dimenticare. Fagocitano tutti i segni di dissenso e protesta permettendo alla moderna cultura liquida di<br />
procedere senza rischi e senza scosse producendo soundbites e immagini invece di discussioni e pensieri<br />
reali. Questi flussi di informazioni telematiche non sono facilmente utilizzabili a fini democratici: Bush e<br />
Blair hanno potuto mentire liberamente sulle ragioni dell' entrata in guerra nonostante l'abbondanza di siti<br />
web che smascheravano i loro motivi.<br />
La politica «reale» e il dissenso politico vengono neutralizzati, sterilizzati e resi irrilevanti nel momento<br />
in cui entrano nei magazzini elettronici. Coloro che si agitano in queste acque paludose possono anche<br />
congratularsi con se stessi per la propria forza e vitalità, ma nessuno nei corridoi del potere si interessa a loro.<br />
Anzi, le più sofisticate tecnologie dell'informazione servono appunto a disinnescare i potenziali;problemi e<br />
smantellare preventivamente le barricate dell' opposizione.<br />
La politica reale e quella virtuale viaggiano in direzioni opposte e la distanza fra di esse si sta allargando,<br />
con grande vantaggio per ciascuna delle due. L’età dei simulacri non ha cancellato la differenza tra realtà e<br />
apparenza, tra l'autentico e il reale, ha solo scavato un abisso tra i due che è sempre più difficile attraversare.<br />
Per il momento, non esiste un metodo alternativo alla democrazia e alla partecipazione democratica e in<br />
ogni caso il mercato e i movimenti dei consumatori non possono sostituirli perché sono essi stessi i sintomi<br />
della caduta dell'impegno politico e della fiducia nell' azione politica e nell' autorità dello Stato nella vita<br />
pubblica. Sono un segno di resa da parte dei cittadini.<br />
Il segreto di un sistema sociale duraturo, cioè in grado di riprodursi, è la capacità di proiettare i suoi<br />
«prerequisiti funzionali» nei comportamenti dei suoi membri. In altre parole, la socializzazione efficace è<br />
quella che obbliga/induce/persuade gli individui a desiderare di fare quel che il sistema, di fatto, ha bisogno<br />
che essi facciano per continuare a esistere. Questo si ottiene in modo diretto o indiretto: in modo diretto<br />
raccogliendo il consenso attorno al sistema all'insegna dello «Stato» o della «nazione», attraverso una<br />
campagna
permanente di «mobilitazione spirituale», «educazione civica», «difesa dei valori», «indottrinamento<br />
ideologico» e a volte «lavaggio del cervello» (questo è stato fatto nella fase della piena modernità, cioè nella<br />
«società dei produttori»). D'altra parte, agendo in maniera indiretta, è possibile addestrare gli individui a<br />
seguire certi comportamenti e ad affrontare i problemi seguendo certi protocolli. Quando questi modelli sono<br />
stati osservati e assorbiti fino a diventare comportamenti automatici, gradualmente i modelli alternativi e le<br />
capacità necessarie per metterli in pratica spariscono. Questa è la fase della modernità liquida, cioè della<br />
società dei consumatori.<br />
Nella società dei produttoti i «requisiti sistemici» e i comportamenti individuali erano tenuti insieme<br />
dalla svalutazione del momento presente e dalla rinuncia al godimento (cioè alla jouissance, un termine<br />
francese virtualmente intraducibile in inglese). Di conseguenza, si viveva all'insegna della procrastinazione,<br />
della gratificazione ritardata, del sacrificio del presente in nome di non meglio precisati benefici futuri e del<br />
sacrificio del singolo a beneficio della collettività (la società, lo Stato, la nazione, la classe sociale, il genere,<br />
oppure anche un generico «noi»). Nella società dei produttori, ciò che è «a lungo termine» aveva priorità su<br />
ciò che è «a breve termine» e i bisogni del «tutto» avevano la priorità su quelli delle sue «parti». Inoltre, la<br />
gioia e la soddisfazione derivanti dai valori «eterni» e «sovrapersonali» venivano considerate superiori ai<br />
capricci individuali che sono falsi, artificiali, illusori e in fin dei conti degradanti. Così la felicità della<br />
maggioranza era più importante e autentica delle possibili sofferenze della minoranza.<br />
Con il senno di poi, noi abitanti della modernità liquida siamo portati a considerare quei metodi di<br />
riproduzione sistemica assurdamente dispendiosi, abominevolmente oppressivi e avversi alle naturali<br />
inclinazioni umane. Freud fu uno dei primi pensatori a notarlo, ma poiché visse agli<br />
albori della società industriale di massa non fu in grado, nonostante la sua grande immaginazione, di<br />
concepire un' alternativa alla repressione degli istinti e fece l'errore di considerarla la condizione necessaria<br />
allo sviluppo della civiltà in quanto tale. 8<br />
8 Tutte le citazioni seguenti vengono da Sigmund Fteud, The Future o/ an lllusion e Civilization and lts Discontents, nella traduzione di James Snachey (The<br />
Penguin Freud Library, voI. 12, Civilization, Society and Religion), London, Penguin, 1991, pp. 179-341. In italiano si vedano le Opere complete pubblicate da<br />
Bollati Boringhieri
Freud riteneva che la rinuncia pulsionale non potesse essere volontariamente abbracciata e che la<br />
maggior parte degli uomini obbedisse ai precetti morali «solo sotto la minaccia di una coercizione esterna».<br />
Di conseguenza «è allarmante pensare alla mole di coercizione necessaria per promuovere e instillare scelte<br />
di civiltà» come ad esempio l'etica del lavoro (cioè una completa condanna dell' ozio e l'elogio del lavoro fine<br />
a se stesso, indipendentemente dai benefici materiali), o il principio della coabitazione pacifica suggerito dal<br />
comandamento di amare il prossimo come se stessi (Qual è il senso di un precetto pronunciato con tale<br />
solennità», si chiede Freud, «se non è ragionevole metterlo in pratica?»). Freud continua il suo ragionamento<br />
in termini ben noti che non abbiamo bisogno di ripetere qui: la civiltà si basa sulla repressione e quindi è<br />
inevitabile che si verifichino continui tentativi di ribellione. Il dissenso e la rivolta non possono essere<br />
eliminati perché la civiltà è fondata sulla coercizione e la coercizione è rivoltante.<br />
Il fondamento della civiltà è la sostituzione del potere dell'individuo con il potere della comunità.<br />
L’essenza della civiltà è il fatto che i membri di una comunità rinuncino alle possibilità di gratificazione senza<br />
restrizioni che avrebbero in quanto individui singoli.<br />
Excursus. L’individuo e la comunità, ovvero il dilemma dell'uovo o la gallina<br />
Lasciamo da parte l'obiezione che l'esistenza di un individuo che non sia già membro di una comunità è<br />
un mito quanto lo è per Hobbes lo stadio presociale della guerra di tutti contro tutti, oppure è un dispositivo<br />
retorico come il parricidio originario per il tardo Freud. Il punto è che in qualsiasi maniera lo si voglia<br />
formulare, l'esortazione a mettere gli interessi della comunità in primo piano rispetto agli impulsi e alle<br />
inclinazioni degli individui, e a preferire il soddisfacimento ritardato a quello immediato nel campo dell' etica<br />
del lavoro, non sono cose che possano essere facilmente accettate dai più. Per questo, la civiltà (e con essa la<br />
coabitazione pacifica e i suoi benefici) deve basarsi sulla coercizione, o almeno sulla minaccia della<br />
coercizione. Volenti o nolenti, dobbiamo ubbidire al principio di realtà a spese del principio di piacere, se<br />
vogliamo mantenere la civile coabitazione umana.
Freud vede questo meccanismo in tutti i tipi di relazioni umane (poi indicate retrospettivamente come<br />
«civiltà») e lo presenta come una legge universale della vita sociale. Tuttavia, a prescindere dalla questione se<br />
la civiltà richieda oppure no la repressione degli istinti, dobbiamo riconoscere che la questione stessa non<br />
poteva che essere formulata all' alba dell' età moderna, cioè solo dopo la disintegrazione dell' ancien régime.<br />
È stata la disintegrazione di quel regime e delle sue istituzioni fondate sulla monotona ripetizione di diritti e<br />
doveri consuetudinari (Rechts- e Pflichts-Gewohnheiten) a mettere in luce l'artificiosità delle nozioni di<br />
ordine
prodotto da questa situazione e diagnosticato come disgregazione e impotenza della «comunità».<br />
La «nazione», questa invenzione moderna, è stata concepita sul modello della comunità: doveva essere<br />
un nuovo tipo di comunità, una comunità scritta tutta in maiuscolo e fatta su misura della nuova rete di scambi<br />
e rapporti umani. Gli sviluppi incerti, oscillanti e sempre a rischio di regressione che più tardi sono stati<br />
definiti «processo di civilizzazione», non erano altro che il tentativo di regolamentare e ri-strutturare i<br />
comportamenti umani sfuggiti alla pressione omologante delle istituzioni premoderne. In apparenza, quel<br />
processo mirava agli individui: la nuova capacità di selfcontrol (e di auto inibizione) degli individui si<br />
sostituiva agli antichi meccanismi di coercizione esterna e controllo sociale non più attivi. Ma il vero<br />
obiettivo era il reclutamento della capacità di auto controllo degli individui al fine di ricostituire una comunità<br />
a un livello più alto. Se il fantasma del defunto Impero Romano aveva presieduto alla costruzione dell'Europa<br />
feudale, il fantasma della comunità perduta si innalzava sulla costituzione delle nazioni moderne. La<br />
fondazione di una nazione aveva bisogno di patriottismo e di una disposizione (appresa e indotta) al sacrificio<br />
dei propri interessi a favore di quelli della comunità. Come ha detto Ernest Renan: la nazione è (o meglio può<br />
esistere solo se è) il plebiscito quotidiano di tutti i suoi membri.<br />
Nel tentativo di interpretare storicamente il modello trans-storico di civiltà proposto da Freud, Norbert<br />
Elias ha definito la nascita dell'io moderno (cioè la consapevolezza di una propria verità interiore e la<br />
necessità di esprimerla) come un' internalizzazione di coercizioni esterne. La formazione degli Stati nazionali<br />
si è sviluppata nello spazio intermedio fra i poteri panottici sovraindividuali e la capacità dei singoli di<br />
adattarsi a questi poteri. Il nuovo concetto di libertà di scelta (inclusa la scelta della propria identità<br />
personale), che deriva da un allentamento senza precedenti dei tradizionali legami sociali, presuppone in<br />
realtà, paradossalmente, la soppressione della possibilità di scegliere o meno, che minaccerebbe lo<br />
Stato-nazione inteso come una comunità.<br />
L'obbligo di scegliere come libertà di scelta<br />
Nonostante i suoi meriti di natura pratica, il potere di stile «panottico», basato sul «governare,<br />
disciplinare e punire» e sulla manipolazione
sistematica dei comportamenti, si è rivelato dispendioso, complicato e altamente conflittuale. Inoltre, era<br />
scomodo per i governanti stessi poiché imponeva rigidi limiti alla loro libertà di azione. Tuttavia, non era<br />
l'unica strategia attraverso cui la stabilità sistemica, cioè «l'ordine sociale», poteva essere assicurato. Dopo<br />
aver teorizzato la «civiltà» come sistema centralizzato di coercizione e indottrinamento (più tardi ridotto,<br />
sotto l'influenza di Michel Foucault, al suo aspetto coercitivo), ai sociologi non è restato altro che salutare<br />
l'avvento della «condizione postmoderna» (che coincideva con il trinceramento della società dei<br />
consumatori) come l'effetto di un processo di imbarbarimento. Quello che è in realtà è successo è stato<br />
l'emergere di un metodo alternativo (e meno grossolano, dispendioso e violento) di manipolazione<br />
comportamentale. Si è fatto strada un altro tipo di processo di civilizzazione, un modo più efficace e<br />
conveniente per raggiungere l'obiettivo.<br />
Questo metodo, tipico della società dei consumatori all'epoca della modernità liquida, non solleva alcun<br />
dissenso o ribellione e presenta l'obbligo di scegliere come libertà di scelta. In questo modo, viene superata<br />
l'opposizione tra principio di realtà principio di piacere. La sottomissione alle dure ingiunzioni della realtà<br />
può essere sentita come un esercizio di libertà e un atto di autoaffermazione. La punizione, quando arriva, non<br />
si mostra qual è, ma si manifesta come 1'effetto di un passo falso o di un' opportunità mancata. Così, invece di<br />
mostrare i limiti della libertà individuale, li maschera ancora più efficacemente'sbandierando invece la<br />
capacità di scelta del singolo come l'unico fattore determinante nella conquista della felicità.<br />
La «totalità» alla quale l'individuo dovrebbe giurare fedeltà e obbedienza non si manifesta più come<br />
obbligo al sacrificio per la nazione e indefettibile sottomissione al dovere, ma come una continua e invariabile<br />
celebrazione dello stare insieme e dell' appartenere, come in occasione della coppa del mondo di calcio o dei<br />
tornei di cricket. In questa maniera, arrendersi alla «totalità» non è più uno sgradevole e oneroso dovere, ma<br />
un tuffo nel piacere e nel divertimento.<br />
Come giustamente osservava Bachtin, i carnevali sono esplosioni di divertimento che interrompono<br />
l'insipidità della vita quotidiana, degli intervalli in cui l'ordinaria gerarchia di valori è sospesa e rovesciata e i<br />
comportamenti che normalmente sono proibiti vengono ostentati spudoratamente. Se, durante gli antichi<br />
carnevali, si assaporavano le libertà individuali negate,
oggi si tende ad annegare l'angoscia dell'individualità abbandonandosi al «grande tutto» e immergendosi nel<br />
mare dell'indistinguibile. La funzione (e il potere deduttivo) del carnevale nella modernità liquida è quella di<br />
risuscitare per un istante il perduto senso di comunanza. Questi carnevali sono celebrazioni in cui le persone,<br />
tenendosi per mano, invocano lo spirito della defunta comunità. Una parte non insignificante del loro appeal<br />
è che il fantasma farà solo una veloce apparizione e si congederà rapidamente alla fine del rito.<br />
Ciò non significa che la condotta quotidiana delle persone sia diventata disordinata e imprevedibile.<br />
Significa invece che l'affidabilità e la regolarità delle azioni individuali può essere ottenuta tranquillamente<br />
senza bisogno di disciplina, coercizione e sorveglianza.<br />
Lo sciame<br />
Nella società dei consumi della modernità liquida, lo sciame tende a sostituire il gruppo con i suoi<br />
leader, le gerarchie e l'ordine di beccata. Lo sciame può fare a meno di tutti questi meccanismi e<br />
accorgimenti. Gli sciami non hanno bisogno di imparare l'arte della sopravvivenza. Essi si radunano e<br />
si disperdono a seconda dell' occasione, spinti da cause effimere e attratti da obiettivi mutevoli. Il potere di<br />
seduzione di obiettivi mutevoli è generalmente sufficiente a coordinare i loro movimenti rendendo superfluo<br />
ogni ordine dall' alto. In verità, gli sciami non hanno un «altro», ma solo una direzione di fuga che in se stessa<br />
determina la posizione dei leader e dei seguaci per la durata di quella traiettoria, o almeno per una sua parte.<br />
Gli sciami non sono squadre: non conoscono la divisione del lavoro. A differenza dei gruppi veri e<br />
propri non sono più dell'unità delle loro parti - sono particelle autopropellenti. Possiamo paragonarli alle<br />
immagini di Warhol: repliche di un originale assente o impossibile da rintracciare. Interpretando Durkheim,<br />
possiamo dire che abbiano una solidarietà puramente meccanica: ogni elemento ripete singolarmente i<br />
movimenti degli altri dall'inizio alla fine (e nel caso dei consumatori, il lavoro così eseguito è quello del<br />
consumo).<br />
In uno sciame non ci sono specialisti; nessuno ha particolari risorse o capacità da esercitare o da<br />
insegnare agli altri. Ogni elemento deve saper
fare tutto il lavoro da solo. Nello sciame non c'è né scambio, né cooperazione, né complementarità, solo<br />
prossimità fisica e una generale direzione di movimento. Per gli umani, il conforto della vita nello sciame<br />
deriva dalla fede nei numeri, l'idea che la direzione del volo è giusta perché un così gran numero di persone la<br />
segue, e che di certo tutte queste persone non potrebbero essere ingannate. La sicurezza dello sciame è un<br />
efficace sostituto dell'autorità dei leader.<br />
Gli sciami, a differenza dei gruppi, non conoscono eretici e ribelli, solo «disfattisti»,_«pasticcioni» o<br />
«pecore nere». Gli elementi che fuori escono dal perimetro dello sciame sono semplicemente «perduti», o si<br />
sono «smarriti». Devono arrangiarsi per conto loro, anche se non potranno sopravvivere a lungo perché è<br />
difficile e rischioso trovare una meta realistica da soli, al di fuori dello sciame.<br />
Le società di consumatori tendono verso la disgregazione dei gruppi a vantaggio della formazione di<br />
sciami perché il consumo è un’ attività solitaria (è perfino l’archetipo della solitudine) anche quando avviene<br />
in compagnia. Essa non stimola la formazione di legami durevoli, ma solo di legami che durano il tempo dell'<br />
atto di consumo. Questi legami possono mantenere unito lo sciame per la durata del volo (cioè, fino al<br />
prossimo cambio di obiettivo), ma rimangono del tutto occasionali e superficiali; non hanno alcuna influenza<br />
sui movimenti futuri dello sciame e non proiettano alcuna luce sul passato dei suoi componenti.<br />
Quel che in passato ha tenuto uniti i membri di un nucleo familiare attorno a un focolare e ha reso il<br />
focolare lo strumento di integrazione e affermazione della famiglia è stato in larga parte l'aspetto produttivo<br />
del consumo: la famiglia che si siede a tavola per cena è l'ultima fase (quella distributiva) di un lungo<br />
processo produttivo che è cominciato in cucina o anche prima, nell' appezzamento familiare o nella bottega.<br />
Ciò che univa il gruppo familiare era la collaborazione in un unico processo produttivo, non il godimento<br />
comune dei suoi frutti. Possiamo immaginare che l'imprevista conseguenza dell'invenzione del fast food, del<br />
cibo da asporto e delle cosiddette TV dinners (o forse, meglio, la loro funzione latente e la vera causa della<br />
loro crescente popolarità) è quella di rendere obsoleti i pasti familiari attorno a una tavola, ponendo fine al<br />
momento del consumo condiviso, ma anche quella di indicare simbolicamente l'irrilevanza dei legami umani<br />
nella società dei consumatori della modernità liquida.
La società dei consumatori aspira alla gratificazione dei desideri più di qualsiasi altro tipo di società del<br />
passato, ma tale gratificazione deve rimanere una promessa. Il desiderio deve rimanere insoddisfatto perché<br />
finché il cliente non è soddisfatto sentirà il bisogno di acquistare qualcosa di nuovo e diverso. I «lavoratori<br />
tradizionali» del passato, che erano facilmente soddisfatti e non desideravano lavorare più di quel che era<br />
necessario per mantenere il loro normale stile di vita, erano una minaccia per la nascente società dei consumi.<br />
Allo stesso modo, i «consumatori tradizionali» di oggi, ove fossero immuni dalla seduzione del consumo,<br />
sarebbero la fine del mercato, dell'industria e della società dei consumi. Una visione più sobria e realistica<br />
della possibilità di soddisfazione dei desideri, unita alla disponibilità sul mercato dei beni veramente<br />
necessari a prezzo ragionevole, sono i nemici della società consumistica. Sono la non-soddisfazione dei<br />
desideri e la fede nella infinita perfettibilità delle merci a guidare la società dei consumi.<br />
La società dei consumi si fonda sull'insoddisfazione permanente, cioè sull'infelicità. Una strategia per<br />
ottenere una permanente insoddisfazione è quella di denigrare la merce che è appena stata messa sul mercato<br />
dopo averla promossa come la migliore possibile. Un altro modo, più efficace e più subdolo, è quello dì<br />
soddisfare così completamente ogni desiderio che non possa nascere l'impulso a desiderare qualcosa di<br />
diverso: il desiderio si trasforma in bisogno e diventa un' esigenza compulsiva e una dipendenza. E funziona,<br />
come dimostra il diffuso bisogno di fare shopping per trovare sollievo contro l'angoscia e il dolore.<br />
In realtà, questo comportamento non è solo permesso, è anche vigorosamente incoraggiato perché la<br />
società dei consumatori ha bisogno, per funzionare adeguatamente, di ricoprire con un velo di ipocrisia la<br />
differenza tra le convinzioni popolari e la realtà della vita dei consumatori. Se bisogna ovviare alla<br />
non-soddisfazione di un desiderio con un altro desiderio, le promesse fatte devono essere costantemente<br />
infrante e le speranze devono essere frustrate. Ogni promessa deve essere falsa o quanto meno esagerata,<br />
altrimenti il desiderio rischia di affievolirsi. Senza la continua frustrazione dei desideri, la domanda dei<br />
consumatori potrebbe esaurirsi e i mercati perderebbero vigore. L’abbondanza totale delle promesse<br />
neutralizza la frustrazione causata dal carattere eccessivo di ciascuna di esse presa singolarmente e pone un<br />
freno al montare della frustrazione prima che questo raggiunga il livello di guardia.
Oltre ad essere un' economia basata sull' eccesso e sullo spreco, il consumismo è anche un' economia<br />
dell' inganno. Solo che l'inganno, e con"esso reccesso e lo spreco, non si manifestano come sintomi di<br />
qualcosa che non funziona, ma al contrario come segni di buona salute e ricchezza e come una promessa per<br />
il futuro.<br />
La continua obsolescenza delle merci si riflette nella marea montante delle speranze deluse. E così deve<br />
essere perché la società dei consumi si fonda sulla frustrazione delle attese. Ma nuove speranze e desideri<br />
devono continuamente entrare a sostituire e superare quelli vecchi, e per far ciò la strada tra il negozio e il<br />
secchio della spazzatura deve essere sempre più breve e veloce.<br />
Ma c'è un'altra cosa che distingue la società dei consumi da tutte le altre: le strategie per mantenere i<br />
modelli di comportamento e gestire la tensione (tanto per citare i prerequisiti di un «sistema<br />
autoequilibrante» enunciati da Talcott Parson). La società dei consumi ha sviluppato una straordinaria<br />
capacità di assorbire e riciclare a suo beneficio il dissenso che provoca (come ogni altro tipo di società).<br />
Valga ad esempio il caso di un processo che Thomas Mathiesen ha denominato come «tacito tacitamento»<br />
(della protesta e del dissenso) attraverso lo stratagemma dell'assorbimento: «[...] gli atteggiamenti e i<br />
comportamenti che hanno un' origine trascendente [cioè che minacciano di far esplodere o implodere il<br />
sistema] sono integrati nel sistema in modo da continuare a servirlo. In questa maniera, vengono resi<br />
inoffensivi». 9 Da parte mia vorrei aggiungere: e vengono anche trasformati in strumenti per la riproduzione<br />
del sistema stesso.<br />
9 Thomas Mamiesen, Silently Silenced: Essays on the Creation ofAcquiescence inModern Sociery, Winchesrer, Warerside Press, 2004, p. 15.