F. SOGLIANI, La cultura materiale e S. Vincenzo al Volturno ... - BibAr
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LA CULTURA MATERIALE<br />
A S. VINCENZO AL VOLTURNO<br />
PRIMI DATI PER UN REPERTORIO DEI<br />
MANUFATTI METALLICI<br />
di<br />
FRANCESCA <strong>SOGLIANI</strong> *<br />
<strong>La</strong> grande quantità di oggetti in met<strong>al</strong>lo proveniente da<br />
scavi di età post-classica ha suscitato di recente un’attenzione<br />
sempre maggiore, rivolta soprattutto <strong>al</strong>la loro fisionomia<br />
di indicatori archeologici e cronologici, strettamente<br />
legati ad attività di tipo economico-produttivo. Il v<strong>al</strong>ore intrinseco<br />
dei manufatti met<strong>al</strong>lici, piuttosto significativo in<br />
età <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e e mediev<strong>al</strong>e, risiede appunto nella lunga<br />
ed articolata catena di produzione che andava d<strong>al</strong>l’estrazione<br />
della materia prima, <strong>al</strong>le diverse fasi di lavorazione artigian<strong>al</strong>e<br />
del met<strong>al</strong>lo, infine <strong>al</strong>la distribuzione e commerci<strong>al</strong>izzazione<br />
dei manufatti. T<strong>al</strong>e sistema, complesso e costoso<br />
per quelle epoche, faceva sì che gli utensili in met<strong>al</strong>lo fossero<br />
tenuti in gran conto, in particolare in <strong>al</strong>cuni ambiti<br />
d’uso, come ad esempio nell’economia rur<strong>al</strong>e (BARUZZI<br />
1978); in t<strong>al</strong> senso un indizio di vera e propria “tesaurizzazione”<br />
di utensili in met<strong>al</strong>lo (attrezzi agricoli e armi) è costituito<br />
dai “pozzi-deposito” rinvenuti nell’area emiliana,<br />
datati, in base agli strumenti recuperati <strong>al</strong> loro interno, tra il<br />
V e il VII secolo (GELICHI-GIORDANI 1994).<br />
Il nuovo incremento dato poi <strong>al</strong>le indagini relative <strong>al</strong>le<br />
attività minerarie in età <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e e mediev<strong>al</strong>e, ha ampliato<br />
le conoscenze in questo ambito. Ad un interesse scientifico<br />
abbastanza recente, per lo meno nei metodi e nelle<br />
fin<strong>al</strong>ità, vanno ricondotte <strong>al</strong>cune ricerche su contesti archeologici<br />
mediev<strong>al</strong>i che hanno rivelato attività sia estrattive che<br />
produttive dei met<strong>al</strong>li, soprattutto in It<strong>al</strong>ia settentrion<strong>al</strong>e (DI<br />
GANGI 1997; DI GANGI 1999a e 1999b; DI GANGI 2000; DI<br />
GANGI c.s.) e in Toscana (FARINELLI-FRANCOVICH 1994; COR-<br />
TESE-FRANCOVICH 1995); inoltre un ulteriore e proficuo campo<br />
di ricerca si è rivelato quello relativo <strong>al</strong>lo studio delle<br />
tecnologie met<strong>al</strong>lurgiche pre-industri<strong>al</strong>i e <strong>al</strong>l’archeologia<br />
mineraria (Archeologia delle attività estrattive 1993).<br />
In particolare lo studio degli aspetti più strettamente<br />
tecnologici delle attività met<strong>al</strong>lurgiche ha consentito di evidenziare<br />
importanti cambiamenti nell’organizzazione produttiva<br />
del ferro, mi riferisco ad esempio <strong>al</strong>le indagini in<br />
area toscana sulle tecnologie idrauliche applicate <strong>al</strong>la siderurgia<br />
(CORTESE 1997), che hanno sottolineato come lo sviluppo<br />
degli impianti siderurgico-idraulici nel XIII e soprattutto<br />
nel XIV secolo abbia avuto notevoli ripercussioni nell’assetto<br />
economico delle aree in cui si andavano diffondendo<br />
ed abbia inoltre dato l’avvio <strong>al</strong>la re<strong>al</strong>izzazione di<br />
centri met<strong>al</strong>lurgici speci<strong>al</strong>izzati che andarono via via sostituendo<br />
i contesti produttivi minori, funzion<strong>al</strong>i prev<strong>al</strong>entemente<br />
ad una produzione di autoconsumo.<br />
Ancora, le indagini sulle diverse fasi del processo produttivo<br />
che giustifica l’oggetto di consumo, nel nostro caso<br />
i manufatti met<strong>al</strong>lici, hanno permesso in più casi la comprensione<br />
delle dinamiche socio-economiche sottese <strong>al</strong>le<br />
attività met<strong>al</strong>lurgiche, attraverso lo studio delle re<strong>al</strong>tà insediative,<br />
dei dati demografici ed inoltre delle caratteristiche<br />
gestion<strong>al</strong>i delle autorità laiche ed ecclesiastiche interessate<br />
<strong>al</strong>lo sfruttamento delle risorse minerarie (FARINELLI-FRAN-<br />
COVICH 1994). In buona sostanza, l’oggetto met<strong>al</strong>lico si è<br />
rivelato, ben oltre la sua ormai desueta collocazione tra gli<br />
“sm<strong>al</strong>l finds” <strong>al</strong>la fine delle relazioni di scavo, un impor-<br />
* Desidero ringraziare il Dott. Federico Marazzi per avermi invitato ad<br />
occuparmi dei reperti met<strong>al</strong>lici provenienti dagli scavi di S. <strong>Vincenzo</strong> <strong>al</strong><br />
<strong>Volturno</strong>. Questo contributo preliminare è parte di un più vasto impegno di<br />
studio riguardante la costruzione di un repertorio dei manufatti met<strong>al</strong>lici<br />
<strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>i e mediev<strong>al</strong>i provenienti da scavi it<strong>al</strong>iani.<br />
tantissimo “contenitore” di dati, in grado di offrire soluzioni<br />
a quesiti di ampio respiro. Si è visto come il criterio di<br />
v<strong>al</strong>utazione strettamente tipologico per i met<strong>al</strong>li non possa<br />
produrre risultati conoscitivi soddisfacenti, proprio per il<br />
carattere intrinseco di sostanzi<strong>al</strong>e continuità form<strong>al</strong>e e funzion<strong>al</strong>e<br />
della maggior parte degli oggetti, più raramente<br />
condizionati da variazioni di mode e di gusti, anche se la<br />
ricerca su sc<strong>al</strong>a diacronica del livello ottim<strong>al</strong>e raggiunto<br />
d<strong>al</strong>la morfologia di <strong>al</strong>cuni manufatti, in considerazione della<br />
loro funzione, può portare a dei risultati interessanti. Ma,<br />
per certi aspetti, direi soprattutto economici, l’an<strong>al</strong>isi dei<br />
manufatti met<strong>al</strong>lici intesi come oggetto finito di un processo<br />
produttivo lungo ed articolato, consente di affrontare<br />
nuove interpretazioni di fenomeni economici, storici, soci<strong>al</strong>i,<br />
demografici e tecnologici, grazie anche ad una rilettura<br />
dei dati incrociati di fonti materi<strong>al</strong>i e documentarie. A<br />
monte quindi della commerci<strong>al</strong>izzazione, settore per<strong>al</strong>tro<br />
da approfondire ulteriormente, e dell’utilizzo dei prodotti<br />
finiti, un elemento di comprensione storica fondament<strong>al</strong>e è<br />
costituito d<strong>al</strong> coinvolgimento dei rappresentanti del “potere”,<br />
sia esso laico, religioso, politico o militare, della società<br />
<strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e e mediev<strong>al</strong>e nella conduzione di attività<br />
legate <strong>al</strong>la met<strong>al</strong>lurgia. <strong>La</strong> necessità di investire capit<strong>al</strong>i nello<br />
sfruttamento di risorse minerarie, di gestire il lavoro di persone<br />
speci<strong>al</strong>izzate e di controllare i territori interessati, innescava<br />
delle dinamiche complesse tra potere e società che<br />
in particolare il settore dell’archeologia mineraria sta contribuendo<br />
a chiarire o quantomeno ad approfondire.<br />
Il panorama produttivo che è possibile delineare <strong>al</strong>la<br />
luce degli studi condotti finora, sia su base archeologica<br />
che documentaria, e circoscritti purtuttavia <strong>al</strong>l’area centrosettentrion<strong>al</strong>e<br />
della penisola, mostra <strong>al</strong>cune sostanzi<strong>al</strong>i differenze<br />
tra il periodo <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e ed i secoli del pieno<br />
medioevo. Fino <strong>al</strong> IX-X secolo sembra prev<strong>al</strong>ere un modello<br />
relativamente semplificato, rappresentato da re<strong>al</strong>tà produttive,<br />
dipendenti dai luoghi di estrazione, legate a tecnologie<br />
poco sviluppate e funzion<strong>al</strong>i a parametri economici<br />
caratteristici dell’autoconsumo; in particolare la produzione<br />
del ferro, la cui disponibilità era attestata in numerosi<br />
distretti minerari diffusi nel territorio, era particolarmente<br />
parcellizzata, sia per quanto riguarda l’aspetto estrattivo che<br />
per quello siderurgico (CIMA 1986; CIMA 1988; BARUZZI<br />
1987; CORRETTI 1991; CUCINI 1989; CUCINI-TIZZONI 1992;<br />
ZIFFERERO 1989; FRANCOVICH 1991, pp. 84-86; DI GANGI<br />
1997).<br />
Già nel IX secolo, tuttavia, centri monastici come S.<br />
Colombano a Bobbio (BARUZZI 1987, p. 159), S. Giulia a<br />
Brescia (MANNONI-CUCCHIARA-RABBI 1992) e lo stesso S.<br />
<strong>Vincenzo</strong> <strong>al</strong> <strong>Volturno</strong> (DEL TREPPO 1968; MITCHELL 1994)<br />
nonché <strong>al</strong>cuni centri di signorie fondiarie toscane, furono<br />
interessati ad attività produttive met<strong>al</strong>lurgiche. In ogni caso<br />
la produzione di manufatti met<strong>al</strong>lici avveniva princip<strong>al</strong>mente<br />
attraverso due can<strong>al</strong>i: artigianato rur<strong>al</strong>e e contadino <strong>al</strong>le dipendenze<br />
di centri dominici e monastici, e artigiani speci<strong>al</strong>izzati<br />
che lavoravano nelle campagne o in città (DEGRASSI<br />
1996), la cui menzione nelle fonti documentarie aumenta<br />
considerevolmente d<strong>al</strong> X secolo in poi, fino ad inquadrarsi<br />
come re<strong>al</strong>tà socio-economica ben definita, legata anche a<br />
possessi fondiari, nell’XI, XII e XIII secolo, come attestano<br />
le presenze a Imola tra X e XII secolo (BARUZZI 1987), a<br />
Modena (LEICHT 1966, pp. 332-340) e a Pisa (HERLIHY 1973).<br />
Le trasformazioni della compagine socio economica nei<br />
secoli centr<strong>al</strong>i del Medioevo, ma si sottolinea ancora una<br />
volta come il fenomeno sia stato indagato con precisione<br />
soprattutto per l’area toscana, nel senso di un accentramento<br />
dei poteri di controllo territori<strong>al</strong>e nelle mani delle autorità<br />
laiche ed ecclesiastiche, furono in parte anche legate <strong>al</strong>l’interesse<br />
economico che lo sfruttamento delle risorse minerarie<br />
andava prospettando. Il controllo dei giacimenti del<br />
sottosuolo, in seguito <strong>al</strong>la crescita della domanda e del v<strong>al</strong>ore<br />
intrinseco dei met<strong>al</strong>li era diventato quindi uno strumento<br />
di potere economico da utilizzare <strong>al</strong> meglio <strong>al</strong>l’inter-<br />
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no delle politiche patrimoni<strong>al</strong>i sia delle signorie fondiarie<br />
che degli enti monastici (FARINELLI-FRANCOVICH 1994). L’esito<br />
di questo processo sembra identificarsi in una maggiore<br />
definizione organizzativa del sistema produttivo che, ad<br />
esempio nella re<strong>al</strong>tà toscana, viene a coincidere con il definitivo<br />
sviluppo del fenomeno dell’incastellamento nelle aree<br />
minerarie, e più in gener<strong>al</strong>e conduce di pari passo ad una<br />
razion<strong>al</strong>izzazione delle attività siderurgiche e <strong>al</strong>lo sviluppo<br />
di nuove tecnologie, affermatesi soprattutto nel XIII-XIV<br />
secolo (FRANCOVICH-WICKHAM 1994).<br />
Tornando ora <strong>al</strong> prodotto fin<strong>al</strong>e, cioè <strong>al</strong>l’oggetto d’uso,<br />
l’incidenza dei reperti in met<strong>al</strong>lo, sia di ferro che di met<strong>al</strong>li<br />
più nobili come il rame e l’argento, <strong>al</strong>l’interno del <strong>materi<strong>al</strong>e</strong><br />
archeologico proveniente dagli scavi di S. <strong>Vincenzo</strong> <strong>al</strong><br />
<strong>Volturno</strong> ha suggerito di affrontarne lo studio in maniera<br />
sistematica e glob<strong>al</strong>e, <strong>al</strong> fine di produrre un repertorio di<br />
oggetti in met<strong>al</strong>lo basato su materi<strong>al</strong>i provenienti da contesto,<br />
nel qu<strong>al</strong>e debbano confluire inoltre le indagini sugli<br />
aspetti della produzione, dell’uso e della circolazione di t<strong>al</strong>i<br />
manufatti su sc<strong>al</strong>a diacronica e sincronica, nonché i dati<br />
scaturiti d<strong>al</strong>le an<strong>al</strong>isi archeometriche e dagli interventi di<br />
restauro in programma.<br />
Il presente contributo vuole servire sostanzi<strong>al</strong>mente da<br />
presentazione del programma di ricerca in atto, offrendo a<br />
t<strong>al</strong>e proposito <strong>al</strong>cuni dati preliminari, desunti da una prima<br />
schedatura di <strong>al</strong>cuni reperti, funzion<strong>al</strong>e a stabilire i criteri<br />
di metodo da impiegare nello studio di questa categoria di<br />
oggetti.<br />
Il sistema di classificazione che si è ritenuto più utile<br />
adottare consiste in una prima suddivisione degli oggetti<br />
sulla base della materia prima utilizzata; <strong>al</strong>l’interno di questi<br />
gruppi (oggetti in ferro; in bronzo; in argento) sono state<br />
identificate le diverse categorie funzion<strong>al</strong>i ulteriormente<br />
definite, ove il numero di oggetti lo ha consentito, da seriazioni<br />
tipologiche agganciate <strong>al</strong>la stratigrafia archeologica<br />
di provenienza. L’approccio logico utilizzato, che dovrà<br />
essere necessariamente corredato d<strong>al</strong>le an<strong>al</strong>isi quantitative<br />
da applicare ai diversi parametri relativi agli oggetti met<strong>al</strong>lici,<br />
è sembrato il più snello ed in particolare il più aperto<br />
<strong>al</strong>le successive e continue integrazioni di dati, ineludibili in<br />
un intervento di indagine archeologica in progress come<br />
quello attivo nel sito in questione. L’elaborazione di una<br />
suddivisione strettamente tipologica del <strong>materi<strong>al</strong>e</strong> si sarebbe<br />
rivelata troppo rigida, data l’assenza di <strong>al</strong>cune classi di<br />
oggetti o ancora la disparità numerica di gruppi di manufatti<br />
rispetto ad <strong>al</strong>tri, così come una ripartizione su base esclusivamente<br />
funzion<strong>al</strong>e avrebbe incontrato difficoltà di tipo<br />
esegetico, data “plurifunzion<strong>al</strong>ità” ricorrente per <strong>al</strong>cuni degli<br />
oggetti in met<strong>al</strong>lo.<br />
<strong>La</strong> maggior parte degli oggetti è in ferro e presenta delle<br />
caratteristiche tipologiche che ne sottolineano la funzion<strong>al</strong>ità<br />
d’uso piuttosto che un’attenzione specifica verso<br />
aspetti di tipo ornament<strong>al</strong>e, se si escludono gli eccezion<strong>al</strong>i<br />
elementi appartenenti ad una cintura per spada e a finimenti<br />
equini lavorati in agemina d’argento, databili ad età carolingia<br />
e con confronti in area germanica e ad oggetti simili,<br />
probabilmente imitanti i precedenti, rinvenuti nell’area artigian<strong>al</strong>e<br />
del monastero (room B), relativi a contesti di IX<br />
secolo (MITCHELL 1994).<br />
Le categorie funzion<strong>al</strong>i che è stato possibile <strong>al</strong> momento<br />
individuare sono piuttosto numerose e quantitativamente<br />
ben testimoniate: 1) chiodi; 2) <strong>materi<strong>al</strong>e</strong> da carpenteria; 3)<br />
<strong>materi<strong>al</strong>e</strong> per l’arredamento interno degli ambienti; 4) utensili<br />
domestici; 5) utensili artigian<strong>al</strong>i e attrezzi agricoli; 6)<br />
equipaggiamento e ornamenti person<strong>al</strong>i; 6) armi; 7) ferri da<br />
cav<strong>al</strong>lo e chiodi da ferratura; 8) varia.<br />
In linea gener<strong>al</strong>e, una percentu<strong>al</strong>e inferiore di manufatti<br />
proviene dai livelli delle fasi 1 e 2, relative ad età tardoantica<br />
e comunque <strong>al</strong> periodo precedente la costruzione del<br />
primo monastero, databile agli inizi dell’VIII secolo; mentre<br />
la maggior parte degli oggetti proviene dai depositi mediev<strong>al</strong>i<br />
(fasi 3-7: sec. VIII-XI). In particolare <strong>al</strong>cuni conte-<br />
sti relativi <strong>al</strong>le fasi 5c (livelli di distruzione connessi <strong>al</strong> sacco<br />
arabo del 10 ottobre 881), 6 (metà X- metà XI sec.) e 6b<br />
(demolizioni e rifacimenti nell’area di S. <strong>Vincenzo</strong> Maggiore;<br />
attività collegate <strong>al</strong>le ricostruzioni dell’abate Giovanni<br />
V: metà XI secolo) si sono rivelati soprattutto significativi<br />
per quanto riguarda gli aspetti quantitativi e qu<strong>al</strong>itativi degli<br />
oggetti in met<strong>al</strong>lo.<br />
Un numero considerevole di chiodi proviene princip<strong>al</strong>mente<br />
da contesti della fase 6, databile tra la metà del X e la<br />
metà dell’XI secolo. Le caratteristiche form<strong>al</strong>i e dimension<strong>al</strong>i<br />
sono state <strong>al</strong>la base di un tentativo di distinzione funzion<strong>al</strong>e<br />
di questi oggetti in chiodi da mobilio, chiodi da carpenteria<br />
e chiodi da muratura. È stata più volte sottolineata<br />
la difficoltà di indagini an<strong>al</strong>itiche su questo tipo di manufatti,<br />
spesso semplicemente solo elencati nei repertori di<br />
oggetti met<strong>al</strong>lici, difficoltà determinata da caratteristiche<br />
form<strong>al</strong>i e funzion<strong>al</strong>i sostanzi<strong>al</strong>mente omogenee per periodi<br />
cronologici anche molto estesi (si può ricordare l’an<strong>al</strong>isi<br />
dettagliata condotta sui materi<strong>al</strong>i provenienti d<strong>al</strong>la villa di<br />
Settefinestre che, grazie anche <strong>al</strong>le conoscenze approfondite<br />
sulle tecniche edilizie romane ha consentito l’individuazione<br />
di tipi morfologici di chiodi, legati a funzion<strong>al</strong>ità specifiche:<br />
Settefinestre, 1985, III, pp. 39-49). Tuttavia la notevole<br />
quantità di chiodi rinvenuti in <strong>al</strong>cuni scavi – e l’esempio<br />
di S. <strong>Vincenzo</strong> può essere emblematico a questo proposito<br />
– ha permesso di proporre considerazioni di qu<strong>al</strong>che<br />
rilievo. Si vuole ricordare qui il rinvenimento di un consistente<br />
numero di chiodi nelle stratigrafie mediev<strong>al</strong>i del castello<br />
di Mont<strong>al</strong>do di Mondovì (TO); si tratta di ben 801<br />
chiodi, di cui 328 integri e 473 frammentari, per i qu<strong>al</strong>i è<br />
stata operata una suddivisione per fasi cronologiche, che ha<br />
consentito di notare un incremento del numero tot<strong>al</strong>e di<br />
oggetti nelle ultime fasi di occupazione del castello (XVI<br />
secolo), tanto da far pensare ad una precisa evoluzione delle<br />
tecniche costruttive, tra XIII e XVI secolo, nel senso della<br />
affermazione delle tecniche dell’inchiodatura a discapito<br />
di quelle ad incastro, attestate precedentemente (CHAPELOT-<br />
FOSSIER 1980, pp. 267-280, 292-313). Inoltre, le osservazioni<br />
sui parametri dimension<strong>al</strong>i dei chiodi hanno fatto ipotizzare<br />
specificità di utilizzo diversificate; in particolare, i<br />
chiodi caratterizzati da una lunghezza tra i 6,5 e i 7,5 cm., i<br />
più numerosi, sono stati messi in relazione con il fissaggio<br />
delle travature lignee di solai e pavimenti (CORTELAZZO-<br />
LEBOLE DI GANGI 1991, pp. 217-219). Altri rinvenimenti<br />
abbastanza consistenti di chiodi in scavi mediev<strong>al</strong>i it<strong>al</strong>iani,<br />
utili per istituire dei confronti, sono S. S<strong>al</strong>vatore a Vaiano<br />
(FI) (FRANCOVICH-VANNINI 1976), Roma, Crypta B<strong>al</strong>bi<br />
(D’ERCOLE 1985; SFLIGIOTTI 1990), Brucato (PIPONNIER 1984),<br />
Otranto (HIKS-HIKS 1992), mentre un caso francese sicuramente<br />
da menzionare è lo scavo di Rougiers, in cui i chiodi<br />
provenienti dai contesti di XIII-XIV secolo sono stati suddivisi<br />
in quattro gruppi e precisamente: 1) chiodi da ferratura;<br />
2) chiodi a testa piatta e sottile, con gambo quadrato,<br />
lungo e sottile, molto numerosi e di piccole dimensioni; 3)<br />
chiodi da carpenteria, di notevoli dimensioni, a testa piramid<strong>al</strong>e<br />
o piatta, ritrovati in grande quantità negli <strong>al</strong>loggi<br />
signorili; 4) chiodi di forma inusu<strong>al</strong>e, a testa piatta o bombata,<br />
approssimativamente circolare (DEMIANS D’ARCHIMBAUD 1980,<br />
pp. 480-481).<br />
Ad attività connesse <strong>al</strong>la carpenteria e <strong>al</strong>le costruzioni<br />
in muratura sono da riferire una serie di oggetti rinvenuti<br />
prev<strong>al</strong>entemente nei livelli della fase 5c e soprattutto 6; si<br />
tratta di ganci, cardini, cerniere anelli e coppiglie che venivano<br />
utilizzati in massima parte per essere conficcati nel<br />
legno o negli elementi di murature o per fungere da collegamento<br />
tra diversi elementi. Anche per questi oggetti, forse<br />
ancor più che per i chiodi, precise distinzioni cronologiche<br />
ancorché funzion<strong>al</strong>i sono molto difficili, nonostante la<br />
frequenza di attestazioni nei contesti di scavo di età mediev<strong>al</strong>e.<br />
Ai manufatti met<strong>al</strong>lici utilizzati nell’arredamento interno<br />
degli ambienti sono da porre in relazione anche gli elemen-<br />
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Figg. 1-2 – S. <strong>Vincenzo</strong> <strong>al</strong> <strong>Volturno</strong>. 1.Utensili artigian<strong>al</strong>i; chiave. 2. Orecchino a cestello (retro).<br />
ti di serratura tra i qu<strong>al</strong>i ben attestate sono le chiavi in ferro,<br />
provenienti sia d<strong>al</strong>le fasi pre-monastiche che da quelle<br />
successive. Tra i diversi esemplari sono presenti <strong>al</strong>cune<br />
chiavi riconducibili a tipologie ben attestate in epoca romana,<br />
con presa piena ed appiattita, cannello pieno a sezione<br />
quadrata e ingegno a due denti rivolti verso l’<strong>al</strong>to,<br />
funzion<strong>al</strong>e <strong>al</strong>l’apertura di una serratura di piccole e del tipo<br />
a “T”, con presa ad anello circolare, lungo fusto pieno e<br />
ingegno a due denti ricurvi verso la presa. Più numerosi<br />
sono gli esemplari di età <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e e mediev<strong>al</strong>e, tra<br />
cui sono presenti sia le chiavi “forate”, con cannello cilindrico<br />
cavo internamente, formato d<strong>al</strong>la lamina di met<strong>al</strong>lo<br />
ribattuta e arrotolata che prosegue nella parte termin<strong>al</strong>e<br />
con l’ingegno, sagomato in diverse fogge che le chiavi<br />
“maschie”, con cannello pieno, forgiato e battuto su una<br />
barra di ferro, con prese circolari o a losanga e ingegni<br />
piuttosto semplici (<strong>SOGLIANI</strong> 1995). Alla stessa categoria<br />
appartengono <strong>al</strong>tri elementi: <strong>al</strong>cuni chiavistelli funzion<strong>al</strong>i<br />
<strong>al</strong>la chiusura di porte e una piastra di serratura di forma<br />
circolare costituita da una lamina molto sottile con foro<br />
ov<strong>al</strong>e per l’inserimento della chiave, rinvenuta in un contesto<br />
di IX secolo. Particolarmente interessante si presenta<br />
l’an<strong>al</strong>isi di questo tipo di manufatti per la ricostruzione sia<br />
degli elementi struttur<strong>al</strong>i in legno delle case mediev<strong>al</strong>i (porte<br />
ed infissi), che dell’arredamento interno delle abitazioni<br />
(bauli, cassette, scrigni, armadi), <strong>al</strong>trimenti poco documentata<br />
a causa della deperibilità stessa del <strong>materi<strong>al</strong>e</strong>. Un<br />
esempio in questa direzione possono essere gli studi sull’arredamento<br />
mediev<strong>al</strong>e della Provenza (citati in DEMIANS<br />
D’ARCHIMBAUD 1980, p. 656, nota 274) basati sui documenti<br />
degli archivi notarili, dai qu<strong>al</strong>i si evince l’arricchimento<br />
quantitativo degli elementi di mobilia <strong>al</strong>l’interno<br />
della casa nel XIV e XV secolo, rispetto <strong>al</strong>l’arredamento<br />
scarno ed essenzi<strong>al</strong>e del XIII secolo, riscontrato con le<br />
stesse caratteristiche anche in regioni del Mediterraneo,<br />
come ad esempio la Sicilia (BRESC-BAUTIER 1976). All’interno<br />
degli ambienti l’illuminazione doveva essere assicurata<br />
anche da lucerne in vetro sospese da catenelle in bronzo<br />
(HODGES 1993), come attesta la presenza di t<strong>al</strong>i elementi,<br />
finemente lavorati, in contesti <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>i dello scavo.<br />
Un <strong>al</strong>tro gruppo di manufatti comprende gli utensili<br />
d’uso domestico tra i qu<strong>al</strong>i sono ben attestati in diversi contesti<br />
i coltelli del tipo whittle-tang, cioè caratterizzati da<br />
un codolo sottile, solid<strong>al</strong>e con la lama, originariamente inserito<br />
in un manico di osso o di legno; un solo esemplare,<br />
rinvenuto nell’area delle officine, appartiene <strong>al</strong> tipo sc<strong>al</strong>etang,<br />
cioè con il codolo piatto, attraversato da rivettini funzion<strong>al</strong>i<br />
<strong>al</strong> fissaggio del rivestimento del codolo stesso.<br />
I coltelli rappresentano una delle categorie di manufatti<br />
met<strong>al</strong>lici meglio rappresentate negli scavi di abitati<br />
(<strong>SOGLIANI</strong> 1995), caratterizzata tuttavia da una non facile<br />
classificazione d’uso, data la molteplicità funzion<strong>al</strong>e dei<br />
coltelli, adoperati oltre che per la cucina e la tavola, anche<br />
per la caccia, per il combattimento e per <strong>al</strong>cune attività<br />
artigian<strong>al</strong>i. Risulta inoltre piuttosto difficile stabilire<br />
un’evoluzione cronologica per i coltelli, poiché sia le forme<br />
che le dimensioni non subiscono delle trasformazioni<br />
significative attraverso i secoli, tuttavia, in base <strong>al</strong>l’an<strong>al</strong>isi<br />
di <strong>al</strong>cune seriazioni tipologiche datate archeologicamente,<br />
non solo it<strong>al</strong>iane (MAURER-BAUER 1961; DEMIANS<br />
D’ARCHIMBAUD 1980; COWGILL-NEERGAARD-GRIFFITHS<br />
1987; CORTELAZZO-LEBOLE DI GANGI 1991), sembrerebbe<br />
possibile attribuire il tipo whittle-tang <strong>al</strong> primo periodo<br />
mediev<strong>al</strong>e (XII-prima metà XIV secolo), sottolineando<br />
però come esso risulti anche il tipo più comune fino <strong>al</strong>l’inizio<br />
del XV secolo, mentre il tipo sc<strong>al</strong>e-tang sembra<br />
fare la sua comparsa nella prima metà del XIV secolo, affermandosi<br />
molto rapidamente. Il motivo di questo cambiamento,<br />
o se si vuole di questa innovazione, è probabilmente<br />
da ricercare in un’evoluzione qu<strong>al</strong>itativa nel tipo di<br />
rivestimento dei manici.<br />
Tra gli utensili d’uso sono anche presenti un paio di<br />
cesoie, provenienti da un contesto <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e, conformi<br />
agli esemplari più antichi relativi a t<strong>al</strong>e manufatto, costituiti<br />
appunto da due lame appuntite, più o meno lunghe e gener<strong>al</strong>mente<br />
abbastanza larghe, che proseguono con due bracci<br />
a sezione rettangolare o quadrata, collegati fra loro da<br />
una molla circolare, che doveva garantire la flessibilità degli<br />
stessi e, di conseguenza, delle lame. Questa conformazione,<br />
presente su manufatti di età <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e e mediev<strong>al</strong>e,<br />
sembra perdurare fino <strong>al</strong> tardo medioevo (Roma,<br />
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Crypta B<strong>al</strong>bi: secolo XVII, D’ERCOLE 1985), probabilmente<br />
per la facilità di re<strong>al</strong>izzazione e l’immediatezza d’uso, sebbene,<br />
d<strong>al</strong> XIV secolo in poi, risultino maggiormente attestate<br />
le forbici vere e proprie, formate da due lame distinte,<br />
unite da un perno a vite centr<strong>al</strong>e e con prese ad anello,<br />
anche se t<strong>al</strong>e dato non sembra però essere confermato dai<br />
rinvenimenti del villaggio abbandonato di Rougiers, dove<br />
appare insolita la tot<strong>al</strong>e assenza di cesoie nei primi livelli<br />
d’occupazione, nei qu<strong>al</strong>i sono invece testimoniate 33 paia<br />
di forbici, in uso quindi già d<strong>al</strong>l’inizio del XIII secolo<br />
(DEMIANS D’ARCHIMBAUD 1980, pp. 461-464). Per quanto<br />
riguarda la funzion<strong>al</strong>ità delle cesoie, va rilevato che una<br />
maggiore azione di leva e quindi una pressione più forte era<br />
proporzion<strong>al</strong>e <strong>al</strong>la lunghezza dei bracci, mentre la continuità<br />
e la precisione dell’azione di taglio era assicurata da<br />
una maggiore lunghezza delle lame. T<strong>al</strong>i caratteristiche form<strong>al</strong>i<br />
permettono, anche se in maniera a volte approssimativa,<br />
di stabilire funzion<strong>al</strong>ità differenziate per questi strumenti:<br />
in effetti, se cesoie di dimensioni ridotte, che consentono<br />
quindi un tipo di taglio breve e discontinuo, possono essere<br />
usate per tagliare fili o per rifiniture, cesoie di più grandi<br />
dimensioni, sono da porre in relazione con attività artigian<strong>al</strong>i<br />
collegate <strong>al</strong>l’industria tessile (cesoie da sartoria) o laniera<br />
(cesoie per tosatura delle pecore) o ancora utilizzate<br />
dai barbieri per tagliare i capelli e per la tonsura. Non infrequente<br />
doveva essere anche l’uso domestico di t<strong>al</strong>i manufatti.<br />
Tra i manufatti collegati ad attività artigian<strong>al</strong>i, <strong>al</strong>cuni<br />
punteruoli sembrano attestare la lavorazione del cuoio<br />
(WATERER 1956; WATERER 1968; DEMIANS D’ARCHIMBAUD<br />
1980; ADKINS-ADKINS 1985; HALBOUT-PILET-VAUDOUR 1987;<br />
<strong>SOGLIANI</strong> 1995, p. 43, Cat. 123-137) o di met<strong>al</strong>li teneri o più<br />
semplici attività di riparazione di oggetti d’uso quotidiano;<br />
questi oggetti sono evidentemente accomunati da una sostanzi<strong>al</strong>e<br />
continuità di tipo morfologico, che è propria degli<br />
strumenti da lavoro, in quanto espressione di tecniche tramandatesi<br />
d<strong>al</strong>l’antichità ai nostri giorni.<br />
Più rari nei contesti di scavo relativi <strong>al</strong> complesso monastico<br />
sembrano per ora gli utensili in ferro connessi con<br />
le attività agricole. Da una sepoltura della fase 1b (V-VI<br />
sec.) nella chiesa sud proviene una scure di piccole dimensioni,<br />
caratterizzata da una lama di forma trapezoid<strong>al</strong>e e<br />
superficie di taglio arrotondata che trova confronti sia con<br />
materi<strong>al</strong>i inglesi di IX-X secolo (MORRIS 1983) che con<br />
materi<strong>al</strong>i più tardi (secc. XII-XIV) da Zignago (scure con<br />
lama triangolare, GAMBARO 1990, p. 395, fig. 49), d<strong>al</strong>la<br />
Crypta B<strong>al</strong>bi (SFLIGIOTTI 1990, p. 526, n. 662), d<strong>al</strong> castello<br />
di Schiedberg (MEYER 1977, p. 104 E 91-92) e da contesti<br />
francesi (HALBOUT-PILET-VAUDOUR 1987, p. 90: epoca g<strong>al</strong>lo-romana,<br />
pp. 205-206: età mediev<strong>al</strong>e). Le scuri presentano<br />
<strong>al</strong>cuni problemi interpretativi legati ad una certa ambiguità<br />
funzion<strong>al</strong>e per cui furono usate sia come armi, e secondariamente<br />
come oggetto caratterizzante il corredo funerario<br />
maschile, che come attrezzo base dell’attività di<br />
carpenteria; t<strong>al</strong>e ambiguità sembra in parte potersi chiarire<br />
in base <strong>al</strong>le diversità tipologiche che contraddistinguono t<strong>al</strong>i<br />
manufatti, in parte in base ai contesti di rinvenimento. Sicuramente<br />
come armi da lancio e da combattimento vanno<br />
interpretate le scuri tipo francisca, con lama stretta e <strong>al</strong>lungata<br />
e profilo ricurvo, di tradizione franco-<strong>al</strong>amanna e le<br />
scuri a barba, con lama rettangolare, di tradizione germanica,<br />
rinvenute tra gli elementi di corredo delle sepolture <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>i<br />
(PARENTI 1994a; <strong>SOGLIANI</strong> 1995, p. 45 e n. 19).<br />
<strong>La</strong> scure è però anche lo strumento base nell’attrezzatura<br />
del boscaiolo e del carpentiere, usata per abbattere <strong>al</strong>beri,<br />
per tagliare rami e per squadrare tavole (WILSON 1968;<br />
WILSON 1976; BINDING 1987; MILNE 1992; PARENTI 1994b).<br />
Non casu<strong>al</strong>e, come già notato in BARUZZI 1978, è la costante<br />
presenza di attrezzi per il taglio e la lavorazione del legno<br />
(asce, accette, scuri, seghe) sia nei documenti scritti<br />
che nelle rappresentazioni iconografiche e tra i rinvenimenti<br />
archeologici, soprattutto se messa in relazione con la re<strong>al</strong>tà<br />
fisica del paesaggio mediev<strong>al</strong>e e più propriamente <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e,<br />
costituita in gran parte da aree non coltivate e da<br />
boschi (ANDREOLLI-MONTANARI 1988); occorre ricordare inoltre<br />
come l’edilizia abitativa <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e sia stata, soprattutto<br />
in <strong>al</strong>cune aree, caratterizzata da materi<strong>al</strong>i da costruzione<br />
prev<strong>al</strong>entemente lignei. Da un livello di età <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e<br />
proviene poi un’ascia-piccone, con doppia lama a<br />
tagli ortogon<strong>al</strong>i, tipo ben testimoniato da confronti databili<br />
d<strong>al</strong>l’età imperi<strong>al</strong>e a quella <strong>al</strong>tomediev<strong>al</strong>e (DE MARCHI 1999,<br />
p. 327; STAFFA-PELLEGRINI 1993, p. 52) tra gli utensili agricoli<br />
impiegati per la potatura delle viti e il dissodamento<br />
dei terreni sotto i filari.<br />
Anche gli oggetti di ornamento person<strong>al</strong>e sono rappresentati<br />
da manufatti in ferro, in particolare da fibbie di cintura<br />
di diverse fogge e dimensioni, quadrate, semiov<strong>al</strong>i,<br />
ov<strong>al</strong>i, in un caso particolarmente pregiato con decorazioni<br />
in agemina d’argento. <strong>La</strong> creazione di una seriazione tipologica<br />
per le fibbie, ancorata a scansioni cronologiche e<br />
funzion<strong>al</strong>i, presenta ancora delle difficoltà in parte per l’utilizzo<br />
non sempre univoco dei tipi, in parte per l’assenza di<br />
an<strong>al</strong>isi specifiche su questa categoria. A tutt’oggi la suddivisione<br />
più ricca ed articolata sembra essere quella proposta<br />
per le fibbie provenienti d<strong>al</strong>lo scavo di Rougiers (DEMIANS<br />
D’ARCHIMBAUD 1980, pp. 481-487), per le qu<strong>al</strong>i è stato identificato<br />
un modello evolutivo in base <strong>al</strong>lo sviluppo degli<br />
aspetti tecnologici della produzione e <strong>al</strong> cambiamento dei<br />
gusti e dei bisogni della società rur<strong>al</strong>e che utilizzava quegli<br />
oggetti. A questa seriazione si collegano anche gli studi sui<br />
manufatti rinvenuti nel Castello di Mont<strong>al</strong>do di Mondovì<br />
(CORTELAZZO-LEBOLE DI GANGI 1991, pp. 223-225), nei siti<br />
di Mont<strong>al</strong>e e Gorzano (<strong>SOGLIANI</strong> 1995, pp. 51-52, Cat. 215-<br />
165) e a Gerace (LEBOLE DI GANGI 1993). A questa categoria<br />
di oggetti sono da riferire anche <strong>al</strong>cuni monili in argento,<br />
nella fattispecie orecchini del tipo a cerchio semplice e<br />
con pendaglio a globetto o del tipo a poliedro datati ad età<br />
tardoantica e due esemplari di orecchini a cestello con cestello<br />
emisferico a giorno con chiusura anteriore a stella,<br />
occupata da una semisfera centr<strong>al</strong>e a sb<strong>al</strong>zo, decorata con<br />
un filo godronato e con sferette met<strong>al</strong>liche disposte a triangolo<br />
sul contorno. Il tipo è da porre in relazione ad esemplari<br />
dell’ultimo terzo del sec. VI-prima metà sec. VII (POS-<br />
SENTI 1994, pp. 38-40: gruppo II, tipo 2b, tav. XLI,3), in<br />
particolare ad imitazioni argentee diffuse in It<strong>al</strong>ia centr<strong>al</strong>e<br />
e meridion<strong>al</strong>e.<br />
Le armi rinvenute nello scavo di San <strong>Vincenzo</strong> sono<br />
rappresentate quasi esclusivamente da un consistente numero<br />
di cuspidi di freccia, rinvenute prev<strong>al</strong>entemente dai<br />
livelli relativi <strong>al</strong>le fasi 5c e 6b, in strati di bruciato connessi<br />
con l’incendio provocato d<strong>al</strong>l’attacco arabo dell’881. Si tratta<br />
di cuspidi di freccia da arco riconducibili sostanzi<strong>al</strong>mente<br />
a due uniche tipologie: a forma foliata e a forma bipiramid<strong>al</strong>e<br />
<strong>al</strong>lungata. <strong>La</strong> notevole frequenza nei contesti di scavo<br />
mediev<strong>al</strong>i, in It<strong>al</strong>ia ed in Europa, di rinvenimenti di cuspidi<br />
di freccia, ha reso possibile la costruzione di sequenze<br />
tipologiche su base cronologica, che hanno evidenziato il<br />
processo evolutivo dei tipi di armamento (arco e b<strong>al</strong>estra) e<br />
delle tecniche difensive (<strong>SOGLIANI</strong> 1995). Alla tipologia più<br />
antica, databile <strong>al</strong> VI-VII secolo, ma con esempi anche di<br />
V, appartengono le punte di forma foliata romboid<strong>al</strong>e di San<br />
<strong>Vincenzo</strong>, a profilo appiattito, con bordi taglienti e corta<br />
gorbia avvolta; per la loro forma, t<strong>al</strong>i punte rivelano la loro<br />
efficacia nella velocità di getto e nella potenza di taglio. Il<br />
secondo tipo di cuspide, c.d. di tipo saraceno, presenta una<br />
forma bipiramid<strong>al</strong>e, più o meno <strong>al</strong>lungata, a sezione quadrata<br />
e si configura con una forza d’impatto molto più significativa<br />
rispetto <strong>al</strong>le cuspidi precedenti, più leggere, ben<br />
attestate, anche in contesti funerari, in ambito longobardo.<br />
Un solo esemplare di punta di lancia proviene da un recupero<br />
fuori contesto nell’area del monastero; si tratta di una<br />
punta di grandi dimensioni, lanceolata, con sezione a losanga,<br />
provvista di due <strong>al</strong>ettoni triangolari <strong>al</strong>la base e di un<br />
lungo cannone conico. I confronti più significativi sembra-<br />
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no relativi <strong>al</strong>l’area nord europea (Francia, HALBOUT, PILET,<br />
VAUDOUR 1986, p, 222; Norvegia) con datazioni tra il VII e<br />
l’XI secolo.<br />
Un’ultima osservazione sugli elementi di ferratura per<br />
sottolineare come, tra i materi<strong>al</strong>i rinvenuti, siano ben attestate<br />
le due tipologie ricorrenti nei ferri da cav<strong>al</strong>lo ed i relativi<br />
chiodi e cioè i ferri a bordo festonato, associati sempre<br />
ai chiodi c.d. “a chiave di violino”, ed i ferri a bordo lineare,<br />
associati ai chiodi con testa quadrata. Il primo tipo è<br />
frequentemente attestato in contesti mediev<strong>al</strong>i fino <strong>al</strong>l’XI-<br />
XII secolo, con qu<strong>al</strong>che esempio anche nel XIII secolo, per<br />
venire poi soppiantato, d<strong>al</strong> XIII secolo e soprattutto nel XIV<br />
sec. dai ferri a profilo lineare. <strong>La</strong> tecnica della festonatura è<br />
stata in parte interpretata con la particolare forma delle accecature,<br />
funzion<strong>al</strong>i <strong>al</strong>l’<strong>al</strong>loggio dei chiodi “a chiave di violino”<br />
e in parte associata ad una tecnica di forgiatura ancora<br />
rudiment<strong>al</strong>e (HALBOUT-PILET-VAUDOUR 1987, pp. 236-<br />
238; CORTELAZZO-LEBOLE DI GANGI 1991, pp. 219-221;<br />
<strong>SOGLIANI</strong> 1995, pp. 49-50).<br />
Poche ulteriori osservazioni si possono aggiungere a<br />
conclusione. Sicuramente la quantità dei reperti che lo scavo<br />
ha restituito e continua a restituire testimonia un’uso frequente<br />
degli oggetti met<strong>al</strong>lici <strong>al</strong>l’interno del complesso<br />
monastico, in particolare degli oggetti in ferro che molto<br />
probabilmente dovevano essere prodotti in loco, anche se<br />
non è ancora venuta in luce nessuna struttura adibita appositamente<br />
<strong>al</strong>la lavorazione di questo miner<strong>al</strong>e nelle aree produttive<br />
del monastero, in cui è invece attestata la lavorazione<br />
del bronzo, del vetro e degli sm<strong>al</strong>ti per l’età carolingia<br />
(HODGES 1991; FRANCIS-MORAN 1997; MORAN 1999). È probabile<br />
che la re<strong>al</strong>izzazione degli oggetti in ferro d’uso comune<br />
fosse demandata a strutture produttive ubicate in aree<br />
esterne <strong>al</strong> monastero, comunque sempre sotto il suo diretto<br />
controllo, mentre <strong>al</strong>la finitura di oggetti di particolare pregio<br />
potrebbe essere stato destinato uno degli ambienti del<br />
complesso delle officine (room B), provvisto di un piccolo<br />
forno, da cui provengono <strong>al</strong>cuni elementi relativi <strong>al</strong>l’equipaggiamento<br />
del cav<strong>al</strong>iere e del cav<strong>al</strong>lo in ferro decorato in<br />
argento (MITCHELL 1994). In particolare la preponderanza<br />
numerica fino ad ora registrata per i reperti met<strong>al</strong>lici di IX<br />
secolo rinvenuti nei livelli relativi <strong>al</strong>la demolizione del monastero<br />
pre-carolingio (fase 6) sembrerebbe potersi collegare<br />
<strong>al</strong>l’ambizioso programma di ristrutturazione del monastero<br />
voluto d<strong>al</strong>l’Abate Giosuè agli inizi del IX secolo e<br />
portato avanti dai suoi successori, che prevedeva un ingente<br />
numero di nuove costruzioni tra le qu<strong>al</strong>i la nuova chiesa abbazi<strong>al</strong>e<br />
di San <strong>Vincenzo</strong> Maggiore. Nuove opere edilizie,<br />
nuovi spazi e nuove e più elevate funzioni collettive <strong>al</strong>l’interno<br />
della “città monastica” dovevano quindi giustificare<br />
un maggiore utilizzo anche degli oggetti in met<strong>al</strong>lo sia a fini<br />
utilitaristici (tutto l’insieme di utensili da carpenteria o per<br />
le diverse attività artigian<strong>al</strong>i) che d’uso liturgico o ornament<strong>al</strong>i,<br />
questi ultimi destinati a personaggi di rango sia laici<br />
che ecclesiastici che dovevano frequentare il monastero.<br />
Lo studio in corso sui reperti met<strong>al</strong>lici non consente<br />
tuttavia di utilizzare ancora parametri quantitativi v<strong>al</strong>idi per<br />
una ricostruzione diacronica del quadro produttivo relativo<br />
a queste categorie di oggetti, per il qu<strong>al</strong>e <strong>al</strong> momento gli<br />
unici dati a disposizione sono quelli delle fasi di VIII-IX<br />
secolo. Si sono pertanto presentate in questa sede solo <strong>al</strong>cune<br />
note preliminari per evidenziare il grado di rappresentatività<br />
dei manufatti met<strong>al</strong>lici <strong>al</strong>l’interno del ricco panorama<br />
consegnato <strong>al</strong>la conoscenza d<strong>al</strong>la <strong>cultura</strong> <strong>materi<strong>al</strong>e</strong> del monastero<br />
di San <strong>Vincenzo</strong>.<br />
APPENDICE<br />
Nel presente contributo ho tenuto conto anche del cat<strong>al</strong>ogo<br />
dei reperti in ferro provenienti dagli scavi 1980-1986, curato da<br />
S. Tremlett e pubblicato nel volume a cura di J. Mitchell, C.M.<br />
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