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Direttore responsabile<br />
Adolfo Lippi c.p.<br />
Direttore amministrativo<br />
Giovanni Pelà<br />
Cattedra Gloria Crucis<br />
Comitato scientifico<br />
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Antonio Livi - Denis Biju-Duval<br />
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Segretari di redazione<br />
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Tito Amodei - Max Anselmi -<br />
Vincenzo Battaglia – G. Bicocchi -<br />
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G. Marco Salvati - Flavio Toniolo -<br />
Gianni Trumello - Tito Zecca<br />
Redazione:<br />
La Sapienza della Croce<br />
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00184 Roma<br />
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C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma<br />
Finito di stampare il 30-12-2006<br />
Stampa<br />
Tipografia Città Nuova<br />
ISSN 1120-7825<br />
Autorizzazione del tribunale di Roma<br />
n. 512/85, del 13 novembre 1985<br />
Sped. in abbon. post. Comma 20/c art 2<br />
Legge 662/96 - Filiale di Roma<br />
343<br />
LA SAPIENZA DELLA CROCE<br />
Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della <strong>Passio</strong>ne<br />
a cura dei <strong>Passio</strong>nisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis<br />
della Pontificia Università Lateranense<br />
ANNO XXI - N. 4<br />
OTTOBRE-DICEMBRE 2006<br />
SOMMARIO<br />
Editoriale 345-348<br />
Sacra Scrittura e teologia<br />
La Croce come rivelazione dell’amore di Dio<br />
del CARDINAL WALTER KASPER 349-358<br />
Il dramma in Dio<br />
Studio sulla soteriologia teodrammaica<br />
di H.V. v. Balthasar<br />
di GIUSEPPE DELLA MALVA 359-382<br />
La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas<br />
di GIAMPAOLO MANCA 383-414<br />
Pastorale e spiritualità<br />
Le XXI “spade” della Via Mariae<br />
Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale<br />
dall’infanzia alla croce (seconda parte)<br />
di ROBERTO A.M. BERTACCHINI 415-429<br />
Salvezza e culture<br />
Senza limite<br />
di ELISABETTA VALGIUSTI 431-434<br />
Rassegna della stampa<br />
La Congregazione <strong>Passio</strong>nista tra ascetismo,<br />
mistica e storia<br />
di TITO ZECCA C.P. 435-440<br />
Recensioni 441-447<br />
Schede bibliografiche 448-459<br />
Indice generale 460-462
344
Editoriale<br />
La povertà dell’essere padri e madri<br />
La povertà di Dio Padre<br />
di ADOLFO LIPPI C. P.<br />
Una Shekinah che accompagna Israele nel suo esilio fa pensare a un Dio<br />
esiliato. In effetti, se ci riflettiamo, vediamo che Dio è esiliato dalla sua stessa<br />
creazione, della quale altri – un nemico – si è impadronito. È esiliato più<br />
che mai oggi dalla mente e dal cuore dell’uomo secolarizzato, illuso di essere<br />
autosufficiente e geloso della sua autosufficienza.<br />
Un Ordine di frati mendicanti fa pensare a un Dio mendicante. Infatti<br />
apparve sulla terra – Emanuele – mentre i suoi genitori medicavano un alloggio<br />
e non lo trovavano. Mendicante non gratificato, deluso.<br />
Esilio e mendicità: dov’è il Dio onnipotente del quale si è sempre parlato?<br />
Chi si blocca in una certa teologia – quella dei nostri manuali – si risente.<br />
Ha paura per Dio. Probabilmente non è una paura per Dio, ma per se<br />
stessi: chi ci garantirà, magari nei nostri privilegi, se Dio non è onnipotente,<br />
ma esiliato e mendicante?<br />
Ma non è che Dio non sia di per sé onnipotente, come qualcuno ha creduto<br />
di dimostrare 1 . Onnipotente, Dio si fa povero diventando Padre e Madre.<br />
L’attributo di Dio che domina il Nuovo Testamento (ma che è presente,<br />
espresso o sottinteso, anche in tutto l’Antico Testamento) è quello di Padre,<br />
che, per l’epoca, comprende anche quello di Madre. Il pensiero sale a Dio per<br />
analogia, non tanto dall’essere in quanto essere, privo di ogni determinazione,<br />
ma dall’ente reale e, soprattutto dall’ente esistente e dall’ente più ricco di<br />
entità che noi conosciamo: il vivente, l’uomo. Un uomo può essere ricco e potente,<br />
ma se accetta di diventare padre, si impoverisce. Uno scapolo non deve<br />
confrontarsi continuamente con la moglie e con i figli. Questi possono essere<br />
insoddisfatti di lui. I figli, inoltre, possono nascere male, come la bambina<br />
down del romanzo di Veltroni 2 , si ammalano e vanno in crisi. Nell’adole-<br />
1 Cf specialmente H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica,<br />
Il Melangolo, Genova, 1989.<br />
2 La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, 2006.<br />
ADOLFO LIPPI C. P. SAPCR 21 (2006) 345-348
346 Adolfo Lippi<br />
scenza e nella gioventù si ribellano. Se non si ribellano, non è detto che tutto<br />
vada bene. Ed esigono amore, non solo il mio, ma quello di ambedue i genitori<br />
concordi. Tutto questo sarà entusiasmante, in qualche momento di grazia,<br />
ma non è facile. In altri momenti, quale povertà!<br />
La paternità spirituale, poi, quanta sofferenza! Una sofferenza continua.<br />
La sofferenza di Paolo: l’ansia per tutte le chiese: chi si scandalizza che io non<br />
bruci? (2Cor 11, 28-29). Figliolini miei, che io di nuovo partorisco nel dolore<br />
(Gal 4, 19).<br />
Così è la paternità di Dio. Se c’è un luogo in cui l’uomo è toccato da Dio<br />
e tocca Dio (un autentico locus theologicus), questo è l’esercizio della paternità<br />
e della maternità, nella loro gratuità assoluta e incondizionata. Il figlio può essere<br />
un delinquente, può finire in carcere, ma è sempre figlio. Nelle povere madri<br />
dei carcerati, che arrivavano con i mezzi pubblici dalle periferie urbane, cariche<br />
di pesanti pacchi, madri che per i loro figli avevano perso tutto – onore, denaro,<br />
pace – e, visitandoli, portavano loro tutto, ho visto la più forte manifestazione<br />
della maternità che abbia conosciuto. Maternità e paternità gratuite e incondizionate,<br />
che incarnano ciò che Dio è nel suo mistero profondo. Padre-Madre,<br />
questo è il nome proprio di Dio, quello che meglio lo qualifica in quanto Dio.<br />
Dio è onnipotente e più che autosufficiente nella sua natura, ma poiché,<br />
esistenzialmente, è padre e madre più di ogni altro padre e madre, è povero,<br />
esiliato e mendicante. Aimer c’est s’abaisser, diceva Santa Teresa di Gesù<br />
Bambino. Non c’è amore senza kenosi e l’Ur-Kenose, la kenosi del Padre è<br />
certamente una della grandi intuizioni della teologia del nostro tempo. È una<br />
luce che è grazia teologica. Poiché la filosofia classica non conosceva la kenosi<br />
di Dio, non poteva ammettere che Dio potesse amare e, ancor meno, che<br />
fosse addirittura Amore 3 . L’Amore è Croce. La Croce è Amore. Poiché Dio<br />
Padre è, nel suo mistero profondo, Amore, per questo è Croce.<br />
Il Dio Crocifisso, inchiodato, immobilizzato dal Suo essere Amore, è il<br />
Padre che attende di essere riconosciuto come tale. Rischio della paternità e<br />
maternità, rischio di ogni Amore, rischio della kenosi. Rischio teologico più<br />
ancora che metafisico. Rischio trinitario 4 . Il Dio che si volge contro se stesso<br />
– osserva il Papa - è il Dio che volge il suo amore contro la sua giustizia, nel<br />
perdono 5 . Questo passaggio, però, non lo vuole compiere il Padre da solo, ma<br />
3 Cf BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 9.<br />
4 Sulla categoria del rischio nella Trinità, cf H. U. V. BALTHASAR, Teodrammatica,<br />
5, Jaka Book, Milano, 1995, 209-210.<br />
5 Deus caritas est, 10.
La povertà dell’essere padri e madri. La povertà di Dio Padre 347<br />
il Padre col Figlio, che incorpora le creature con la loro libertà. Dio vuole essere<br />
aiutato da noi a far trionfare la sua misericordia sopra la sua giustizia.<br />
Pensiamo alla conversione che postula in ciascuno di noi la riflessione di Balthasar<br />
nel libretto Breve discorso sull’inferno 6 . Se in me (come nella Chiesa<br />
e in tutte le creature) crescerà il desiderio-preghiera che non ci sia per nessun<br />
altro una condanna definitiva e assoluta, ci sarà misericordia anche per me<br />
stesso. Quando in tutte le creature sarà avvenuto questo, anche in Dio il perdono<br />
avrà occupato tutto il posto dell’ira.<br />
Questo perdono significa per tanti martirio: non soltanto del corpo, ma<br />
anche dello Spirito, come fu per Gesù sulla croce. Non trattenere nulla per sé<br />
come si potrebbe fare anche quando si perde il corpo, quando si pensa: perdo<br />
il mio corpo, ma non il mio orgoglio, non cedo, non perdono. Prima che l’umanità<br />
possa arrivare a queste mete, c’è ancora un immenso dolore da sostenere.<br />
Ma questo non soltanto non vuol dire canonizzare il dolore, bensì piuttosto<br />
radiarlo dal mondo. Per radiare il dolore dalle creature - quel dolore che<br />
ci coinvolge tanto che una persona sensibile non può più godere pienamente<br />
di nulla pensando che c’è gente che soffre - l’intera umanità deve accogliere<br />
la sofferenza della paternità e della maternità, perché finisca la sofferenza della<br />
fatalità, quella che proviene dalla natura e quella che proviene dalla conflittualità<br />
fra uomini.<br />
La sofferenza della paternità e della maternità è la sofferenza che ha<br />
senso ed è libera. È la sofferenza che ha dignità. La paternità-maternità di Dio<br />
è il vero apriori della <strong>Passio</strong>ne di Gesù. Secondo il mistico Paolo della Croce,<br />
dal mare di Amore del Padre sgorga il mare di dolore del Figlio 7 . L’umanità<br />
strattonata tra la fuga da ogni sofferenza e il dolorismo fatalista è invitata<br />
dalla Parola di Dio ad abbracciare la sofferenza dell’Amore, perché sia radiata<br />
dal mondo la sofferenza della fatalità e della violenza.<br />
E paternità-maternità sono anche un diritto, il diritto più grande dell’uomo,<br />
il diritto a dare. Quanto chiasso si fa sui diritti a ricevere! Non si può<br />
negare che essi sono i diritti primari. Si ha diritto a essere figli prima che ad<br />
essere padri. Però sia l’uomo che il Dio trinitario non sono solo figlio. Mi colpì<br />
moltissimo il racconto fatto da Philippe Madre di quel lebbroso privo di<br />
mani che era triste e un medico gli disse: perché sei triste? Farò di tutto per<br />
farti dimenticare il tuo male. Ma il lebbroso rispose: non sono triste perché mi<br />
6 Queriniana, Brescia, 1988.<br />
7 Cf SAN PAOLO DELLA CROCE, Lettere ai laici, a cura di M. Anselmi, I, Cipi, Roma,<br />
2002, 279.
348 Adolfo Lippi<br />
mancano le mani, ma perché non si crede che anch’io ho tante cose da dare 8 .<br />
L’uomo non è pienamente sviluppato finché non arriva a poter dare, certamente<br />
non senza patire. Questa è la luce della Croce, svelamento del volto di<br />
Dio, ed è il messaggio che questa rivista cerca, non senza difficoltà, di trasmettere,<br />
attraverso studi che sembrano molto lontani fra loro, ma si ritrovano<br />
nella Croce. La Croce, non una bandiera da opporre ad altre bandiere come<br />
a volte si è fatto, oppure l’oggetto di una devozione sentimentale, ma la<br />
Croce di Cristo che è gloria della assoluta gratuità e, in quanto tale, gloria della<br />
Trinità.<br />
EDITORIAL<br />
By Adolfo Lippi<br />
The poverty involved on becoming parents<br />
The poverty of God the Father<br />
8 PH. MADRE, Guarire la ferita della vita, Gribaudi, Milano, 2005, 33.
Sacra Scrittura e Teologia 349<br />
La Croce come rivelazione dell’amore di Dio<br />
del CARDINAL WALTER KASPER<br />
Il 24 ottobre u. s., è stato aperto l’anno accademico della<br />
cattedra Gloria Crucis, della Pontificia Università Lateranense,<br />
cattedra dalla quale emana anche questa rivista, con una lezione<br />
inaugurale del cardinale teologo Walter Kasper. È stata<br />
una lectio magistralis straordinariamente comprensiva ed attuale,<br />
che ha messo in luce l’importanza capitale degli studi di teologia<br />
della croce oggi. Vi ha partecipato anche il rettore magnifico<br />
della stessa Università Monsignor Rino Fisichella. La lezione<br />
verrà pubblicata in un fascicolo a parte della collana Gloria<br />
Crucis. Riproduciamo qui l’ultima parte, riguardante la teologia<br />
cattolica della croce.<br />
1. La teologia cattolica della croce<br />
Sulla base di una rilettura della Scrittura e della Tradizione patristica stimolata<br />
dalla teologia ortodossa e da alcuni concetti fondamentali del pensiero<br />
di Lutero, anche l’odierna teologia cattolica ha sviluppato una teologia della<br />
croce. Tra i nomi da ricordare 1 , il più importante è sicuramente quello di H.<br />
U. von Balthasar 2 , a cui ritorneremo in seguito.<br />
Ma la prima domanda che ci dobbiamo porre è: dove si situa la teologia<br />
cattolica all’interno di questa discussione? La teologia della croce luterana è di<br />
stampo paolino; quella ortodossa viene solitamente descritta come giovannea.<br />
Quale è la caratteristica della teologia cattolica della croce?<br />
1 St. P. BRETON, E. PRZYWARA, K. RAHNER, H. KÜNG, J. GALOT, H. MÜHLEN, W. KA-<br />
SPER, Jesus der Christus, Mainz 1974, 196-199; 214-219; Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 241-245.<br />
2 H. U. VON BALTHASAR, Mysterium paschale, in: Mysal. III/2, 133-326; Theodramatik<br />
III, 297-309; IV, 191-243.<br />
CARDINAL WALTER KASPER SAPCR 21 (2006) 349-358
350 Cardinal Walter Kasper<br />
La tesi qui sostenuta, che verrà argomentata più sotto nel dettaglio, è<br />
che la teologia della croce cattolica sia primariamente sinottica e possa essere<br />
definita petrina, come si spiegherà tra breve. Questa argomentazione parte<br />
dalla croce storica e dalla sua interpretazione biblica; nella croce storica tenta<br />
di comprendere il Logos. In questo senso si tratta di una teologia “dal basso”,<br />
che non contrappone la kenosi al Logos, né comprende speculativamente<br />
il Logos come kenosi, ma lo ricerca nell’evento storico della kenosi e legge<br />
nella croce la rivelazione dell’amore divino.<br />
2. I fondamenti biblici del concetto di sostituzione vicaria<br />
La tesi appena formulata ci porta, come secondo passo, a ricercare i fondamenti<br />
biblici. L’esegeta Martin Hengel, di Tubinga, nel suo scritto “Pietro<br />
sottovalutato”, ha menzionato validi motivi che dimostrano sorprendentemente<br />
come la tradizione sinottica, attraverso Marco, discepolo di Pietro, risalga<br />
fino a quest’ultimo. Hengel sostiene addirittura che la teologia di Pietro<br />
possa essere equiparata a quella di Paolo 3 .<br />
Hengel ritiene anche che si possa ricondurre a Pietro l’interpretazione sinottica<br />
della croce, sulla base del concetto di sostituzione vicaria. Il concetto di<br />
sostituzione vicaria, già presente nella teologia veterotestamentaria del servo<br />
sofferente (cfr. Is 52,13-53,12), è fondamentale per la venuta di Gesù in mezzo<br />
agli uomini, ad iniziare dal battesimo nel Giordano (cfr. Mt 3,15), fino ai racconti<br />
della passione (cfr. Mc 10,45) e a quelli dell’ultima cena (cfr. Mc 14,24;<br />
Mt 26,28; Lc 22,19 s; 1 Cor 11,24), che interpretano l’evento della croce come<br />
morte vicaria “per gli altri”. Dalla tradizione sinottica, di stampo fortemente petrino,<br />
il concetto di morte vicaria passa poi alla tradizione paolina (cfr. 2 Cor<br />
5,21; Gal 3,13) e a quella giovannea (cfr. Gv 3,16; 10,11; 12,24 s; 15,13).<br />
Quello della sostituzione è dunque un concetto chiave in tutti i Vangeli<br />
e nell’intero Nuovo Testamento. Esso sembra risolvere il nostro problema,<br />
poiché può essere considerato il giusto punto di partenza biblico per una teologia<br />
della croce 4 .<br />
3 M. HENGEL, Der unterschätzte Petrus, Tübingen 2006.<br />
4 Anche W. PANNENBERG, a.a.O. 327, che rimane critico nei confronti della teologia<br />
della kenosi.
La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 351<br />
Questo concetto è espresso nel Nuovo Testamento con la formula “per<br />
voi”, “per noi”, “per molti” 5 , avente un triplice significato. Essa ci dice che<br />
Gesù ha dato la sua vita “al posto di” noi peccatori; noi come peccatori siamo<br />
assoggettati alla morte e non possiamo aiutarci da soli. In questa situazione,<br />
Dio è venuto in nostro soccorso ed ha assunto su di sé in modo vicario la maledizione<br />
del peccato, della morte, dell’abbandono di Dio. Il primo significato<br />
è dunque quello dell’intervento personale di Dio. Il secondo si riferisce al<br />
fatto che Gesù ha dato la sua vita “per noi” e “per molti”; è quello del sacrificio<br />
di Cristo per il nostro bene, in nostro favore. Infine la formula ci indica<br />
che Gesù ha compiuto tutto ciò “a causa” nostra, spinto da compassione verso<br />
di noi.<br />
Agire in modo vicario significa quindi che Dio interviene al posto del<br />
peccatore, operando uno “scambio”, per la sua generosa misericordia ed il suo<br />
infinito amore. Egli fa questo per noi e per il nostro bene, interviene per noi,<br />
muore al nostro posto affinché noi viviamo. Gesù prende il posto degli ultimi<br />
per farci posto presso Dio. La kenosi è la forma esistenziale dell’amore nella<br />
condizione del peccato 6 . Non si svuota nel niente; essa mira piuttosto a riportare<br />
il bene, a ripristinare l’ordine voluto da Dio 7 .<br />
L’idea della sostituzione vicaria è stata accolta anche all’interno del credo<br />
apostolico, dove recitiamo: “Propter nostram salutem descendit de caelis”.<br />
I Padri della Chiesa, portando avanti la riflessione, hanno accostato a<br />
questo concetto quello di commercium, ovvero di pio scambio. In modo conciso,<br />
si può dire che Dio è diventato uomo, è entrato pienamente nella condicio<br />
humana, affinché noi siamo divinizzati 8 .<br />
5 Cfr. H. RIESENFELD, Art. uJpevr, in: ThWNT VIII (1969) 510-518.<br />
6 K. H. MENKE, Art., Stellvertretung, V., in: LThK IX (2000) 955.<br />
7 L’espressione “Wieder-gut-machung” in tedesco (ripristinare il bene) viene intesa<br />
qui in un senso più ampio rispetto alla teoria della soddisfazione di Anselmo da Canterbury.<br />
Cfr. W. KASPER, Jesus der Christus, 260-263.<br />
8 Paolo 2 Cor 8, 9 ne getta le basi; formulato esplicitamente in IRENEO DI LIONE,<br />
Adv. haereses III, 19; fondamentale per la cristologia in ATANASIO, De incarn. 54. Cfr. H.<br />
U. VON BALTHASAR, Theodramatik III, 226-230; E.M. FABER, Art. «Commercium», in:<br />
LThK II (1994) 1274 s.
352 Cardinal Walter Kasper<br />
Il concetto di sostituzione vicaria è dunque un concetto teologico chiave<br />
9 , che esprime la legge di una struttura in processo di divenire. È la legge<br />
del chicco di grano che deve morire per produrre frutto (cfr. Gv 12,24). È la<br />
legge del lasciare tutto per raccogliere un guadagno centuplicato (cfr. Mc<br />
10,28). È soprattutto la legge dell’amore. Soltanto nel darsi all’altro e nell’esserci<br />
pienamente per l’altro, l’amore realizza se stesso. L’abbandonare per<br />
guadagnare (cfr. Mc 8,35; Mt 10,39; 16,25; Lc 9,34; 17,33; Gv 12,25) è la<br />
legge fondamentale dell’amore e dell’amicizia (cfr. Gv 15,13). Essa è la legge<br />
di Cristo: portare i pesi gli uni degli altri (cfr. Gal 6,2).<br />
È precisamente in questo ampio contesto che va compreso il grido di Gesù<br />
sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34) 10 .<br />
Questo grido è espressione del profondo svuotamento di se stesso che compie<br />
Gesù e della sua totale solidarietà con noi. Egli assume davvero su di sé il peso<br />
dell’abbandono di Dio, dell’eclissi di Dio dal mondo. Tuttavia, questa citazione<br />
dell’inizio del Salmo 22 è, in linea con la tradizione ebraica, un riferimento<br />
all’intero salmo, il quale comincia, è vero, con il lamento per l’abbandono di<br />
Dio, ma si conclude con la riconfortante certezza che Dio rimane fedele al suo<br />
popolo. Per questo, il grido di abbandono lanciato da Gesù non può assolutamente<br />
essere letto in chiave atea. Esso non ci dice che Gesù ha per così dire rinunciato<br />
al suo essere Dio, ma esprime piuttosto il fatto che Dio ci soccorre e<br />
ci salva perfino nella notte d’eclissi più buia in cui l’uomo possa trovarsi, in cui<br />
noi, soprattutto al presente, ci troviamo. Anche in una simile situazione, egli è<br />
il Dio presente (cfr. Es 3,15), egli è il Dio con noi.<br />
Luca ha interpretato giustamente le dure parole dell’abbandono riportate<br />
in Marco, dicendo: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc<br />
23,46). Ed in Giovanni troviamo l’affermazione che corona trionfalmente il<br />
mistero della croce: “Tutto è compiuto!” (Gv 19,30).<br />
Anche le parole della kenosi nell’inno della lettera ai Filippesi (cfr. 2,7;<br />
2 Cor 8,9; Eb 2,9) vanno capite in questo senso 11 . Kenosi (in latino exinanitio)<br />
significa svuotamento, cessione, rinuncia, alienazione. Attraverso la pro-<br />
9 K.-H. MENKE, Stellvertretung Schlüsselbegriff christlichen Lebens und theologische<br />
Grundkate-gorie, Freiburg, Br. 2 1997; Art. Stellvertretung I-IV, in: LThK IX (2000)<br />
951-956; E. M. FABER, Der Selbsteinsatz Gottes, Würzburg 1995.<br />
10 Cfr. H. GESE, Psalm 22 und das Neue Testament, in: ZThK 65 (1968) 1-22.
La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 353<br />
pria auto-alienazione, Gesù, che era Dio nella forma (morϕhv), ha scelto di<br />
prendere il posto di noi peccatori, di noi che siamo assoggettati alla morte e<br />
quindi suoi servi. Ecco perché Gesù assume la forma (morϕhv) di servo. Ma<br />
lasciandosi crocifiggere non per necessità del destino ma per sua propria volontà<br />
e per obbedienza al Padre, egli sottrae alla morte il suo pungiglione (cfr.<br />
1 Cor 15,55) e ci libera dalla schiavitù, dandoci una nuova vita. L’auto-alienazione<br />
non si esaurisce dunque nel vuoto, nel nulla; al contrario, essa è la via<br />
verso l’innalzamento, tramite cui Gesù diventa Kyrios, ovvero Signore del<br />
mondo. La morte di Gesù è la morte della morte e la liberazione a nuova vita.<br />
La sua kenosi suggella così la vittoria della vita sulla morte, della libertà<br />
sulla necessità del destino, dell’amore sull’odio 12 .<br />
Agostino ci fornisce una giusta interpretazione di tutto questo quando<br />
scrive in modo conciso e pregnante: “Sic se exanivit: formam servi accipiens,<br />
non formam Dei ammitens, forma servi accessit, non forma Dei discessit”<br />
(Sermo IV, 5) 13 . Solo perché Dio, abbassandosi, si è reso presente e attivo, è<br />
possibile dire: “Ucciso dalla morte, egli uccide la morte” (Agostino, In Jo<br />
XII, 10 s.) 14 . “Mortem nostram moriendo destruxit” proclama la liturgia.<br />
Si capisce dunque perché per Paolo la croce costituisca il mistero della<br />
sapienza di Dio (cfr. 1 Cor 1,7-25; 2,6-10; 2 Cor 13,4) e la parola della croce<br />
sia l’essenza del messaggio salvifico (cfr. 1 Cor 1,18; 2,2). Negli scritti più<br />
tardi del Nuovo Testamento la croce assume addirittura una dimensione cosmica;<br />
attraverso la croce, tutto (ta; pavnta) viene riconciliato a Dio (cfr. Col<br />
1,20). L’Apocalisse giovannea ci presenta l’agnello immolato come luce del<br />
cosmo (cfr. Apc 21,23).<br />
Nel Nuovo Testamento la kenosi non è quindi contrapposta al Logos;<br />
sul Logos essa getta una nuova luce. A sua volta, il Logos non può essere interpretato<br />
in maniera speculativa e dialettica come kenosi. Piuttosto, è la ke-<br />
11 Cfr. E. KÄSEMANN, Kritische Analyse von Phil 2,5-11, in: Exegetische Versuche<br />
und Besinnungen, Vol.1, Göttingen 1960, 51-95; J. GNILKA, Der Philipperbrief, Freiburg<br />
i.Br. 1968, 112-131; R. SCHNACKENBURG, Mysal III/1, 309-322; H.U. VON BALTHASAR,<br />
Mysal III/2, 143-158.<br />
12 Cfr. W. KASPER, Jesus der Christus, 185 s.<br />
13 AGOSTINO, Sermone IV, 5.<br />
14 AGOSTINO, In Jo XII, 10 s.
354 Cardinal Walter Kasper<br />
nosi della croce a svelare pienamente il senso del Logos, che è l’amore. E l’amore<br />
è il senso dell’essere.<br />
Detto questo, ecco che abbiamo compiuto il primo passo verso una trattazione<br />
sistematica della teologia della croce.<br />
3. Una trattazione sistematica della cristologia della kenosi<br />
Il Nuovo Testamento ci dice che Dio stesso è all’opera sia nella kenosi<br />
di Gesù che nel suo innalzamento. Dio si rivela nel suo Figlio (cfr. Gv 3,16;<br />
1 Gv 4,9 s; Rom 5,8; 8,32). Nel Gesù terreno, nel Gesù crocifisso si manifesta<br />
la gloria di Dio (cfr. Gv 1,4, ecc.) ed il suo amore (cfr. Rom 5,8 s; 8,32;<br />
Gv 3,16 s., ecc.). Sulla croce ci viene dunque svelato Dio stesso come amore<br />
(cfr. 1 Gv 3,8.16).<br />
Nell’economia della salvezza, Dio non rivela “qualcosa” ma rivela se<br />
stesso (DV 2). Se la rivelazione è intesa come auto-rivelazione, allora la realtà<br />
di Dio non è “qualcosa” che si nasconde “dietro” la sua rivelazione: là, Dio<br />
stesso è presente. L’amore di Dio rivelatosi sulla croce rende visibile Dio stesso<br />
come amore. Sulla croce egli si rivela come colui la cui essenza è amore.<br />
Detto in maniera più astratta: nella Trinità economica rivelata dalla croce e<br />
dalla risurrezione, si rivela la Trinità immanente 15 .<br />
Per comprendere più profondamente la natura trinitaria di Dio, possiamo<br />
partire dalla natura dell’amore 16 . Precisamente da qui era partito anche<br />
Agostino 17 , senza però sviluppare oltre il suo pensiero. Per lui, come per la<br />
tradizione teologica classica, fondamentale è l’analisi dell’atto conoscitivo 18 .<br />
Nella teologia odierna possiamo costatare lo stesso interesse. Stimolato dalle<br />
analisi di Fichte, di Schelling, di Hegel e soprattutto dal personalismo dialogico<br />
di origine ebraica, come in Martin Buber e, in modo sostanzialmente più<br />
15 K. Rahner ha espresso l’assioma: “La Trinità economica è la Trinità immanente<br />
e viceversa” (Osservazioni sul trattato dogmatico “De Trinitate”, in: Schriften zur Theologie,<br />
Vol. IV, , Einsiedeln 1960, 115); Der dreifaltige Gott als transzendenter Urgrund der<br />
Heilsgeschichte, in: Mysal II (1967) 328. Su questa problematica cfr. W. KASPER, Der<br />
Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 333-337; H.U. VON BALTHASAR, Theodramatik III, 297-305.<br />
16 Cfr. W. KASPER, Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 241-245; sviluppato ulteriormente in G.<br />
GRESHAKE, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg i. Br. 1997.<br />
17 AGOSTINO, De Trinitate VIII,10: «Ecce tria sunt, amans et quod amatur et amor».<br />
18 Cfr. W. KASPER, Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 266 s.
La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 355<br />
radicale, in Emmanuel Lévinas, lo studio del fenomeno dell’amore occupa<br />
adesso un posto di primaria importanza.<br />
Oggi, il punto di partenza della riflessione teologica sulla Trinità è principalmente<br />
l’auto-comunicazione di Dio. Ma l’amore, che comunica se stesso<br />
per essere una cosa sola con l’altro, non significa fusione. Il vero amore<br />
non assorbe l’altro, né lo usa per la propria auto-conoscenza o auto-realizzazione.<br />
L’amore non ha una struttura dialettica, ma una struttura dialogica.<br />
Amore significa essere una cosa sola con l’altro, preservando l’identità di<br />
ognuno, e permettendo allo stesso tempo la realizzazione ed il compimento di<br />
ciascuno. Chi darà la propria vita, la riceverà. L’unità nell’amore comporta<br />
dunque il riconoscimento della differenza. L’amore sa distinguere e sa ritrarsi.<br />
L’amore fa un passo indietro; esso rende l’altro libero e ne riconosce l’alterità.<br />
La logica dell’amore è dunque quella del lasciarsi spazio reciprocamente:<br />
è quella, anche, della rinuncia. Amore e dolore, amore e morte, ecco<br />
due realtà strettamente legate, come ci dicono da sempre i grandi poeti.<br />
Possiamo allora interpretare l’affermazione che Dio è amore così: Dio<br />
è se stesso nell’essere totalmente per l’altro. Il Dio-amore può essere concepito<br />
soltanto come un’auto-differenziazione al suo interno. Pertanto, la dottrina<br />
trinitaria non contraddice il monoteismo, come più volte si sente dire. Essa<br />
esprime piuttosto il fatto che un Dio-amore può essere pensato soltanto in<br />
maniera trinitaria. La Trinità è il monoteismo concreto 19 .<br />
Di fronte alla realtà della sofferenza, la Trinità è l’unica forma di monoteismo<br />
che possa essere concepita e che possa esistere. Dalla croce in poi,<br />
pensare a Dio in modo trinitario significa pensare ad un Dio che al suo interno<br />
lascia spazio all’altro se stesso. Diversamente dal Dio onnipotente che<br />
molti si immaginano, Dio è assolutamente non violento. Dio, nella sua essenza,<br />
è colui che si apre totalmente e che si offre. Dio non opprime; egli si lascia<br />
addirittura cacciare dal mondo, e ci si mostra debole, impotente 20 . Dio è<br />
in se stesso kenotico. Balthasar parla della kenosi originaria e di una “divisione”<br />
all’interno di Dio 21 . Ma in questo suo essere kenotico, Dio non rinun-<br />
19 W. KASPER, Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 323; 354 ss, 373. Sull’attualità della questione<br />
di fronte al problema del monoteismo cfr. M. STRIET, Monotheismus und Kreuz, in.<br />
IkaZ Communio 32 (2003) 273-284.<br />
20 Secondo l’espressione molto citata di D. BONHOEFFER, Wiederstand und Ergebung,<br />
München 1970, 394.<br />
21 H. U. VON BALTHASAR, Mysal III, 152 s.
356 Cardinal Walter Kasper<br />
cia a se stesso, non si trasforma in qualcosa di diverso, non abbandona la propria<br />
divinità. In questa sua esistenza kenotica, Dio è Dio.<br />
Come la croce è la rivelazione dell’amore intratrinitario di Dio, così l’amore<br />
intratrinitario di Dio è la condizione interna che rende possibile la compassione<br />
di Dio fino alla morte in croce. Origene ha formulato chiaramente questo<br />
prerequisito: “Primus passus est, deinde descendit. Quae est ista, quam pro<br />
nobis passus est, passio? Caritatis est passio” (Homelia in Ez. VI, 8) 22 . La croce<br />
è dunque la forma più esterna dell’amore divino che si dà, è la forma più<br />
esterna dell’amore costitutivo di Dio, ovvero id quo maius cogitari nequit.<br />
Questa tesi comporta una vera e propria rivoluzione metafisica 23 . La relazione<br />
non è più concepita come una semplice realtà accidentale. Così come<br />
la vera realtà non corrisponde più semplicemente né alla Sostanza, che sussiste<br />
in sé e per sé, né al Soggetto che esiste in sé e per sé secondo il pensiero<br />
moderno. Adesso è nella relazione stessa che si fonda la sussistenza delle persone<br />
della Trinità. Dio è relazione, e nella relazione egli viene a noi. Nell’essere<br />
il Dio per noi e con noi, egli rivela la sua natura più profonda.<br />
Il tema della sofferenza di Dio, che è stato sempre così spinoso per la<br />
tradizione teologica, acquista allora una nuova dimensione. La sofferenza, ed<br />
in questo dobbiamo riconoscere che la teologia classica ha assolutamente ragione,<br />
non può essere sperimentata da Dio in modo passivo. Quando Dio soffre,<br />
lo fa in modo divino. La sofferenza divina non è espressione di una mancanza,<br />
ma di una libera volontà. Dio non è investito passivamente dal dolore<br />
della creatura, ma si lascia coinvolgere intenzionalmente. Per questo, l’onnipotenza<br />
di Dio non è in contraddizione con il suo amore; la sua onnipotenza<br />
si manifesta nell’amore, poiché è precisamente l’onnipotenza che rende possibile<br />
il ritirarsi senza rinunciare a se stessi. L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza<br />
del suo amore, che rivela ciò che è ed è ciò che è proprio nel lasciare<br />
spazio all’altro 24 .<br />
22 ORIGENE, Homelia in Ez. VI,8.<br />
23 Cfr. J. RATZINGER, Einführung in das Christentum, München 1968, 142-150; K.<br />
HEMMERLE, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Einsiedeln 1976; W. KASPER, Der<br />
Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 354; 377; G. GRESHAKE, a.a.O. 457-460.<br />
24 S. KIERKEGAARD, Die Tagebücher 1834-1855, München 1949, 239 f; K. BARTH,<br />
Kirchliche Dogmatik II/1, 597; Th. PRÖPPER, Art. Allmacht III, in: LThK I (1993) 416.
La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 357<br />
Il Dio compassionevole, che si manifesta sulla croce, è la risposta alla<br />
questione della teodicea 25 : Dio è il Dio che soffre e che muore, e si fa vicino<br />
a coloro che sono oppressi, torturati, martirizzati. Dio è al loro fianco e soffre<br />
con loro. Questo non significa però che dobbiamo glorificare o divinizzare la<br />
sofferenza. Dio non divinizza la sofferenza, ma la redime, mutandola al suo<br />
interno. Non l’elimina, ma la trasforma in speranza. La croce è infatti la via<br />
verso la risurrezione e la trasfigurazione. Il dolore e la morte non hanno l’ultima<br />
parola. La cristologia della kenosi ci conduce oltre se stessa, verso la cristologia<br />
pasquale dell’innalzamento e della trasfigurazione. Come dice la<br />
Scrittura, “nella speranza noi siamo stati salvati” (Rom 8,20.24; 1 Pt 1,3).<br />
4. Uno sguardo alla spiritualità cristiana odierna<br />
Lo abbiamo appena detto: la teologia della kenosi non è una speculazione<br />
astratta. Essa costituisce la tela di fondo della riflessione sulla teodicea e sul<br />
significato esistenziale della sofferenza e della morte. Essa è inoltre di grande<br />
importanza per il dialogo ecumenico. Una considerazione a parte meriterebbe il<br />
suo ruolo all’interno del dialogo interculturale e interreligioso, soprattutto per<br />
l’incontro con la spiritualità buddista ed il suo concetto di nirvana 26 .<br />
In questo contesto, desidero fare solo alcune osservazioni conclusive sul<br />
significato che la teologia della kenosi riveste per una spiritualità cristiana<br />
odierna 27 . Vi sono molte figure di grande rilievo che hanno mostrato l’importanza<br />
della sostituzione vicaria e che, testimoniandola con la propria vita,<br />
costituiscono un esempio luminoso per la spiritualità odierna e per un rinnovamento<br />
missionario della Chiesa: Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld,<br />
Edith Stein, Maximilian Kolbe, D. Bonhoeffer, Oscar Romero e molti altri.<br />
Ognuno a modo proprio, essi si sono immersi nel grido di dolore e di abbandono<br />
di Gesù ed hanno portato sulle proprie spalle, con solidarietà, il peso<br />
25 Critici su questa posizione di Balthasar: K. RAHNER, Schriften zur Theologie,<br />
Vol. 15, 1983, 211s; KARL RAHNER im Gespräch, ed. da P. Imhof und H. Biallowons, Vol.<br />
1, München 1982, 245 s.<br />
26 La teologia della croce in questo contesto in K. KITAMORI, Theologie des<br />
Schmerzes Gottes, Göttingen 1972.<br />
27 Cfr. H. SCHÜRMANN, Jesu ureigener Tod. Exegetische Besinnungen und Ausblick,<br />
Freiburg i. Br. 1975, 130-155.
358 Cardinal Walter Kasper<br />
dell’eclissi di Dio dal mondo. Per loro, l’esperienza della notte, del deserto,<br />
dell’ultimo posto non ha significato un cammino verso un niente privo di senso,<br />
ma si è trasformata in qualcosa di attivo, in una vita spesa per gli altri, affinché<br />
la luce di Dio risplendesse anche nel buio più opprimente.<br />
Anche per il cristiano di oggi non esiste un altro cammino. Nel mondo<br />
occidentale, egli normalmente non è esposto ad una brutale violenza anti-cristiana,<br />
ma è costretto a vivere in una società che non conosce Dio, o lo conosce<br />
così poco da non essere neppure in grado di sostenere un ateismo cosciente.<br />
A Dio si è ormai indifferenti. Il mondo è diventato un deserto, una<br />
notte in cui non si distingue più nulla, in cui non c’è più né un sotto né un sopra,<br />
in cui si è perso l’orientamento.<br />
In questa situazione, la Chiesa non può più atteggiarsi a potente istituzione,<br />
portando davanti a sé la croce come segno temporale di vittoria. Il cristiano,<br />
piuttosto, dovrà sperimentare l’impotenza della croce, dovrà condividere<br />
la sofferenza di altri. Ed è proprio ora, in questa notte d’eclissi, che egli<br />
dovrà preservare e testimoniare per gli altri la luce della fede, della speranza<br />
e dell’amore. Ecco la sfida del cristiano di oggi e di domani: una presenza attiva<br />
a favore degli altri.<br />
Maria è esempio e tipo di questa esistenza kenotica, lei, l’umile serva<br />
che ha dato spazio a Dio, dapprima nel suo cuore e poi nella sua carne. Maria<br />
ha portato avanti la speranza fino ai piedi della croce. E lo ha fatto per noi.<br />
Ha pronunciato il suo “fiat” al posto di tutta l’umanità. Maria è fulgido esempio<br />
di un’esistenza attiva “per” l’altro; ella è l’aurora di un nuovo mondo.<br />
THE CROSS AS A REVELATION OF GOD’S LOVE<br />
By Cardinal Walter Kasper<br />
On the 24 th October last the Chair of Gloria Crucis at the Pontifical Lateran<br />
University was inaugurated. It is from that Chair that this Review is published.<br />
There was an inaugural lecture delivered by the theologian Card. Walter Kasper.<br />
It was an amazingly comprehensive and up-to-date effort which brought to light<br />
the enormous importance of the theology of the Cross in our day. Mnsgr. Rino<br />
Fischella, the Rector Magnificus of the University, also took part. The lecture will<br />
be published in a separate fascicle of Gloria Crucis. Here we reproduce the last<br />
part of it, which treats on the Catholic theology of the Cross.
359 359<br />
Il dramma in Dio<br />
Studio sulla soteriologia teodrammatica<br />
di H. U. v. Balthasar 1<br />
di GIUSEPPE DELLA MALVA<br />
Il prof. Giuseppe della Malva ci offre qui una presentazione<br />
rigorosa del pensiero di Balthasar sull’assunzione del dramma<br />
dell’uomo da parte di Dio nel Cristo. Il precedente articolo<br />
contenente una parte della lectio magistralis di Walter Kasper alla<br />
cattedra Gloria Crucis mostra quanto questo aspetto sia importante<br />
per una concezione veramente cattolica della Theologia<br />
Crucis. Inoltre, il pensiero di Balthasar, per quanto sia sempre<br />
più studiato di anno in anno (la nostra rivista ha dedicato ad esso<br />
un buon numero di articoli), attende ancora di essere pienamente<br />
condiviso nella Chiesa. A questo servono certamente studi<br />
come il presente, che lo riesprimono e lo ripropongono in modo<br />
da farne un pensiero che circola e nutre la vita della Chiesa, come<br />
lo stesso Balthasar si augurava che avvenisse, magari anche<br />
con nuovi arricchimenti.<br />
1 Per le citazioni delle opere di Balthasar saranno usate, in questo testo, le seguenti<br />
sigle:<br />
GL = Gloria. Una estetica teologica, Queriniana, Brescia, 1 (1994); 2 (1985); 3 (1986);<br />
4 (1986); 5 (1978); 6 (1991); 7 (1991);<br />
TD = Teodrammatica, Queriniana, Brescia, 1 (1987); 2 (1992); 3 (1992); 4 (1999); 5<br />
(1995);<br />
TL = Teologica, Queriniana, Brescia, 1 (1997); 2 (1990); 3 (1992); SI = Lo Spirito e l’Istituxione,<br />
Morcelliana, Brescia, 1979; MP = Teologia dei tre giorni, Queriniana,<br />
Brescia, 1990 (Titolo originale Mysterium paschale); TS = Teologia della storia,<br />
Morcelliana, Brescia, 1964.<br />
GIUSEPPE DELLA MALVA. SAPCR 21 (2006) 359-382
360 Giuseppe della Malva<br />
1. Le radici del Theo-drama: la libertà infinita come amore trinitario<br />
1.1. Dall’excursus storico–soteriologico alla fondazione trinitario-immanente<br />
Il nodo del teodramma, in cui Dio investe il suo impegno supremo: assoluta<br />
libertà “in-contro-come libertà creata”, sta nell’evento della croce, il quale<br />
tuttavia può essere considerato solo su sfondo trinitario, al punto che una soteriologia<br />
non è praticabile se non partendo di qui 2 . Ciò ora è detto consuntivamente<br />
a mo’ di assioma, ma von Balthasar vi giunge attraverso un lungo excursus<br />
storico, proposto, sotto forma di “pars destruens”, come percorso propedeutico<br />
a una corretta ermeneutica della nozione di “vicarietà” cristologica. Questa,<br />
nella comprensione dell’autore, non s’identifica tout-court con nessuno dei modelli<br />
soteriologici sorti lungo la storia della teologia - epoca patristica, medioevo,<br />
età moderna - inabili a rendere pienamente ragione del pro nobis neotestamentario,<br />
«nodo più intimo del gioco d’insieme tra Dio e l’uomo» 3 , e delle cinque<br />
categorie bibliche ad esso sottese: dedizione, scambio di posto, riscatto dal<br />
male, introduzione alla vita divina trinitaria e amore misericordioso di Dio 4 .<br />
Nei Padri della chiesa 5 la disputa cristologica condiziona fortemente la riflessione<br />
soteriologica: se questa infatti nello “scambio dei posti” fornisce a<br />
quella, contro le coeve eresie, la garanzia della piena divinità, come della totale<br />
2 Cf. TD4, 296-297.<br />
3 TD4, 221. Questo “per noi” è, a parere dell’autore, la matrice di tutto l’intellectus<br />
fidei, il «punto fontale della cristologia della Chiesa primitiva» (SI, 344), «l’avamposto<br />
dogmatico» (TD3, 104) a cui «sta appesa tutta la fede cristiana» (ID., L’uomo e la vita<br />
eterna, op. cit., 39), perché ne è «la parola primordiale... la radice da cui si è sviluppato<br />
tutto l’albero del Credo e della dogmatica. Per noi Gesù si è incarnato, per noi e per i nostri<br />
peccati è morto e risorto: e, se ha potuto far questo, era fin dal principio “veramente<br />
Figlio di Dio” (Mc 15,39)» (ID., Il Rosario, Milano 1978, 63).<br />
4 Cf. TD4, 221-224. La disamina constata il cedimento della storia della soteriologia<br />
rispetto a tre pericoli fondamentali: «1. che un aspetto venga innalzato a dominante al<br />
punto che gli altri debbano scontare del loro peso; 2. che il peso pieno dell’affermazione<br />
capitale (cui mirano tutti i cinque aspetti) venga sostituito da un equivalente per la ragione<br />
che quello sarebbe troppo legato al suo tempo e questo più conforme allo spirito di un’altra<br />
epoca, ma senza possedere la carica dell’affermazione biblica; 3. che non sopportando<br />
la tensione esistente tra più aspetti, la si attenui o la si elimini a favore di una sintesi apparente»<br />
(TD4, 224).<br />
5 Cf. TD4, 225-235.
Il dramma in Dio 361<br />
umanità del mediatore del Patto, quella, dovendo affermare la perfetta impeccabilità<br />
del Redentore, deve altresì porre un limite all’admirabile commercium che<br />
ardisce asserire: «Holon en heautoi eme pheron meta tou emou» 6 . Riandando ai<br />
testi patristici, non sarà difficile rilevare che «La formula “me tutto e tutto il mio”<br />
consegue dappertutto la stessa circoscrizione alle conseguenze e ai castighi del<br />
peccato, mentre il peccato stesso non viene portato» 7 né il peccatore rappresentato<br />
davanti a Dio dal Salvatore in azione sul teatro del mondo.<br />
La delimitazione dello “scambio dei posti”, inconsapevole nei Padri, si<br />
fa cosciente e persino indispensabile nelle teologie medievali 8 di Anselmo e<br />
di Tommaso, accomunate dal rilievo accordato alla satisfactio (variante del<br />
terzo tema biblico). Ciò è evidente nella pionieristica “soteriologia sistematica”<br />
del primo 9 , dove, non il contatto con il peccato degli altri - il Salvatore<br />
muore innocente - ma la volontarietà e il “divino valore” danno un “sovrappeso”<br />
redentivo alla morte di Gesù, il quale «Meno che mai allora... è il “portatore<br />
dei peccati del mondo”» 10 .<br />
Allo stesso modo nell’Aquinate - che pur introduce tutti i possibili motivi<br />
della Scrittura e dei padri, compreso lo scambio dei posti, e tratta dettagliatamente<br />
le passiones assunte da Gesù, il quale quasi sibi adscribit tutti i<br />
peccati dell’umanità - «manca ogni intimo contatto tra Gesù e la realtà dei<br />
peccati come tale» 11 .<br />
L’età moderna 12 , preoccupata di superare un linguaggio soteriologico<br />
ritenuto ormai incomprensibile e al contempo la diastasi tra Cristo e gli altri<br />
6 «Mi ha portato tutto in sé con tutto il mio» (PG 36, 109C, cit. in TD4, 232). La<br />
frase di Gregorio di Nazianzo - del quale è più nota la classica «Quod non assumptum non<br />
sanatum», divenuta poi magisteriale (cf. DS 291) - è perfettamente rappresentativa del<br />
commercium patristico, che sostiene «lo scambio di “egli come Dio-uomo e di noi come<br />
uomini-Dio”» (TD4, 227).<br />
7 TD4, 234.<br />
8 Cf. TD4, 235-245.<br />
9 Cf. TD4, 235. Pur cogliendolo nei «suoi difetti» (TD4, 240), Balthasar scagiona<br />
Anselmo dall’«insensata polemica» che lo accusa di «giuridismo» (cf. TD4, 235. 237;<br />
TD2, 148; TD3, 224-225; GL2, 225-226) e «di aver escogitato un Dio Padre crudele»<br />
(TD4, 239), mentre lo elogia per il «transito, nella teologia, da una visuale estetica a una<br />
drammatica» (TD4, 238). Una monografia su Anselmo è in GL2, 190-234.<br />
10 Cf. TD4, 240.<br />
11 TD4, 243.<br />
12 Cf. TD4, 245-293.
362 Giuseppe della Malva<br />
uomini, si ramifica in due strade che sembrano contraddirsi: la solidarietà –<br />
che in genere traspone il piano ontico del commercium patristico all’anodino<br />
livello socio-psicologico 13 – e la sostituzione, eccessivamente radicalizzata<br />
nella luterana dialettica del “sub contrario” 14 o nell’idea di “pena sostitutiva”,<br />
avanzata da autori sia protestanti che cattolici 15 . Un’analisi a sé infine è dedicata<br />
alla teoria del capro espiatorio di Girard, ripresa e corretta poi da<br />
Schwager, la quale, benché imponente, non evidenzia il peso del peccato né<br />
il significato rivelativo della croce di Gesù 16 .<br />
Senza puntare ad un sistema staurologico 17 , Balthasar ritiene che tutte<br />
le riduzioni storiche del polivalente pro nobis neotestamentario - in sintesi:<br />
disattenzione alle ultime necessarie conseguenze della donazione del Figlio<br />
13 Cf. TD4, 252; ID., Se non diventerete come questo bambino. Quattro meditazioni<br />
cristologiche, Casale 1992, 57. Tra i vari nomi ascritti a questa categoria spiccano quelli<br />
di H. Kessler, J. Alfaro, H. Küng, Schillebeeckx, Ch. Duquoc, K. Rahner. A quest’ultimo<br />
Balthasar dedica un ampio excursus (cf. TD4, 252-263), al quale dobbiamo qui accennare,<br />
spinti non certo dall’intenzione di addentrarci nella polemica o d’interpretare<br />
una già interpretata lettura di Rahner, ma dalla necessità di evidenziare la peculiarità dell’impianto<br />
soteriologico balthasariano, ottenuta anche nel distacco da quello. Dell’autore<br />
del Grundkurs Balthasar contesta i presupposti - quello esegetico che, negando nella coscienza<br />
di Gesù l’interpretazione della propria morte in chiave sacrificale-espiativa, relativizza<br />
anche l’“hyper” eucaristico; quello speculativo che, escludendo nell’immutabile<br />
Dio l’opposto movimento ira-riconciliazione (cf. TD4, 254-255), elimina il «decisivo<br />
momento drammatico» (TD4, 263; cf. ID., Tu coroni l’anno con la tua grazia, Milano<br />
1990, 57) - e la conclusione: l’attribuzione teologica del “pro nobis” cristologico (cf.<br />
TD4, 255). Questa, rifiutando un’«impensabile sostituzione vicaria», non spiegherebbe<br />
della «morte esemplare» di Gesù - pur fondata sull’“unio hypostatica” (cf. TD4, 255-256)<br />
- «l’assoluta singolarità» (TD4, 259; vedi complementariamente: GL7, 148-149) né l’accadere<br />
nel dolore e nell’abbandono di Dio (cf. TD4, 255; ID., Cordula. Ovverosia il caso<br />
serio, Queriniana, Brescia, 1993, 102) e, dovendo porre «un accento antiocheno di tendenza<br />
estremistica» in direzione della «totale dedizione dell’uomo Gesù a Dio», condurrebbe<br />
antropologia e cristologia ad «una formale identità» (cf. TD4, 260-261).<br />
14 Il «rigetto di una vera teologica a favore di una continua dialettica della contraddizione»<br />
rende, in ordine al «Dio nudo» (TL2, 302) che scopre, inafferrabile il contenuto<br />
rivelativo; in ordine all’uomo, «caratterizzato dallo stesso simul di Cristo», impraticabile<br />
la giustizia personale relativa all’imitazione del Cristo-exemplum (Cf. TD4, 267-268). Su<br />
Lutero vedi: TL2, 294-302.<br />
15 Cf. TD4, 269-276. Per l’area protestante si citano K. Barth, Pannenberg e J.<br />
Moltmann; per quella cattolica Blondel, Daniélou e Martelet.<br />
16 Cf. TD4, 276-291; ID., Crucifixus etiam pro nobis, Communio 49 (1980) 23.<br />
17 Perentoriamente: «la croce rompe ogni sistema» (TD4, 297).
Il dramma in Dio 363<br />
(Padri) o alla realtà del peccato che persiste pure davanti al merito di Cristo<br />
(Anselmo); mancata conciliazione della vicarietà innocente con l’amore di<br />
Dio (Lutero) o del caricamento dei peccati da parte dell’uomo con l’iniziativa<br />
di Dio (Girard, Schwager, Pannenberg) oppure ancora della gratia sola con<br />
la libertà creaturale non cancellata dal peccato - vadano superate nella categoria<br />
di Stellvertretung. Secondo l’autore, infatti, soltanto questa «dura parola»<br />
18 che alcuni vorrebbero evitare, forma l’«indispensabile concetto» 19 di<br />
“vicarietà” in grado di attingere pienamente il significato che tutto il Nuovo<br />
Testamento 20 - in una specie di continuità eccedente rispetto all’Antico 21 - attribuisce<br />
al “per noi” cristologico.<br />
Il pensiero si erige su base trinitario-immanente. Benché, infatti, una<br />
«piena dottrina della Trinità possa svolgersi solo a partire da una teologia della<br />
croce» 22 - ovvero dalla storica «kenosi di Dio» 23 - quella dovrà porsi ne-<br />
18 ID., La mia opera ed Epilogo, Milano 1994, 155.<br />
19 TD3, 113.<br />
20 In riferimento all’idea che «Gesù Cristo ha sofferto per noi... è dimostrato con<br />
sicurezza che il pensiero dell’espiazione vicaria di questo dolore, che si esprime in questa<br />
formula, è prepaolino» (ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 19) e che pertanto non fu<br />
«per primo Paolo, bensì già la più antica riflessione gerosolimitana sullo scandalo della<br />
croce a ricevere tutta la luce dall’idea di rappresentanza vicaria» (SI, 344). Ecco perché,<br />
così inteso, di necessità «il “pro nobis”... attraversa tutti gli strati del Nuovo Testamento»<br />
(ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 21. Il corsivo è nostro).<br />
21 La continuità è data dal sorgere e dal persistere della categoria, che garantisce, a<br />
livello biblico, la precomprensione del senso di “rappresentanza vicaria”. È importante<br />
notare, infatti, che il «nucleo più antico della cristologia, dal quale si svilupperà l’intera<br />
dogmatica, senza dubbio si è formato in riferimento ai canti del servo di Dio isaiano, la<br />
cui sofferenza era stata intesa come una prestazione espiatoria in rappresentanza vicaria<br />
per i “molti”, e che a loro volta questi canti del servo di Dio non emergono ex abrupto<br />
nell’Antico Testamento, ma hanno affondato le loro radici molteplici nelle offerte di rappresentanza<br />
vicaria da parte delle grandi figure di fondatori» (SI, 345): Abramo, Mosé, i<br />
profeti. L’eccedenza sta invece nella pregnanza teologica di cui il Nuovo Testamento carica<br />
la categoria stessa, rispetto alla quale, ultimamente, l’Antico Testamento risulta<br />
«frammentario, incoativo»; i suoi, tutt’al più, sono «accenni e presentimenti di una misteriosa<br />
rappresentanza (anzitutto nell’elezione di uno al posto dell’altro e per lui), ma persino<br />
nei canti del “servo di Dio” l’intero processo (per quanto riguarda il soggetto) resta indeterminato<br />
e viene cantato in un’atmosfera di sogno, di presagio, di profezia: tutto attende<br />
l’atto reale, che eliminerà i limiti di quanto è particolare e proprio di un determinato<br />
popolo» (SI, 346). Cf. GL6, 349-351.<br />
22 TD4, 297.<br />
23 TD4, 302.
364 Giuseppe della Malva<br />
cessariamente come intimo presupposto di questa, profilandosi, nello stesso<br />
tempo, alternativa agli “extrema vitanda” di K. Rahner e di J. Moltmann 24 .<br />
Ciò le riuscirà se prenderà l’abbrivo da «una teologia negativa che esclude da<br />
Dio qualsiasi esperienza e sofferenza intramondana e tuttavia avvia in Dio le<br />
condizioni della possibilità per una tale esperienza e sofferenza... fino all’assunzione<br />
dell’abbandono di Dio efficamente sostitutivo» 25 . Dio, in tal caso,<br />
non potrà apparirle che «eterna e assoluta autodedizione», già in se stesso<br />
dunque «amore assoluto, a partire dal quale soltanto si chiarisce la autodedizione<br />
libera verso il mondo» 26 fino alla croce, ma senza bisogno, per il suo<br />
autodivenire, né del mondo né della croce.<br />
1.2. La libertà infinita come eterna e assoluta autodedizione<br />
Insieme ad un Bulgakov depurato dai suoi presupposti sofiologici, Balthasar<br />
individua la «verità teologica... mediatrice tra i due estremi inconciliabili»<br />
27 di una rigida immutabilità di Dio e una mutabilità alienante, nell’ardito<br />
concetto, riferibile con linguaggio analogico all’«“evento” eterno delle<br />
processioni divine» 28 , di «Kenosi primordiale» 29 . Questa, nell’intratrinitario<br />
«“altruismo” (Selbstlosigkeit) delle persone divine quali pure relazioni» d’a-<br />
24 Balthasar è convinto che «bisogna trovare una strada per interpretare una Trinità<br />
immanente che sia a tal punto il fondamento del processo del mondo (fino alla crocifissione)<br />
che essa possa né apparire, vedi Rahner, come un processo formale di automediazione di<br />
Dio, né, vedi Moltmann, come irretita nel processo del mondo» (TD4, 300). Oltre che «nel<br />
vortice della “teologia del processo” di Whitehead» (TD4, 299), Moltmann finirebbe, secondo<br />
il nostro autore, nell’«“ambiguità” di Hegel secondo cui non si dà Trinità senza morte<br />
e dolore e croce» (TD5, 194), la quale ultima «diventa non soltanto il luogo privilegiato<br />
(in ultima analisi unicamente valido) dell’autorivelazione della Trinità, ma addirittura il luogo<br />
del suo vero adempimento» (TD4, 299). Il pericolo di Rahner, invece, è ravvisato in questo<br />
caso nell’“e viceversa” del Grundaxiom («la Trinità “economica” è la Trinità “immanente”<br />
e viceversa»: K. RAHNER, La Trinità, Brescia 1998, 30, dove tutta la frase è in corsivo),<br />
in conseguenza del quale «la Trinità immanente ed eterna di Dio rischia di risolversi<br />
nella economica» (TD3, 468), stante che «La Trinità economica non può essere affermata<br />
semplicemente identica alla Trinità immanente, per quanto le leggi della prima derivino dalla<br />
seconda» (TD3, 148). Sul Grundaxiom vedi anche: TD4, 298-299.<br />
25 TD4, 302.<br />
26 Cf. TD4, 301. Il corsivo è nostro.<br />
27 Cf. MP, 45-46.<br />
28 MP, 22.<br />
29 TD4, 308.
Il dramma in Dio 365<br />
more 30 , s’identifica con «l’autoespressione del Padre nella generazione del<br />
Figlio», mediante la quale egli, per pura “libertas” 31 , «si disappropria radicalmente<br />
della sua divinità e la transappropria al Figlio» 32 .<br />
A tale dinamico, eterno 33 movimento di donazione coincidente con<br />
«l’imprepensabilmente generante» 34 Padre stesso - che «senza trattenersi nulla»<br />
dunque «non perisce dentro il dono» 35 - corrisponde la libera risposta del<br />
Figlio come “imprepensabile autoaccoglimento” 36 ed «eterno rendimento di<br />
grazie (eucharistia) alla sorgente paterna... così disinteressato e senza calcolo<br />
alcuno quale era la dedizione prima del Padre» 37 .<br />
Ed emergendo da entrambi, «quale loro “noi” sussistente, respira il comune<br />
“Spirito” che a un tempo tenendo aperta la differenza (come essenza dell’amore)<br />
la suggella e, quale l’unico Spirito di entrambi, le serve da ponte» 38 .<br />
Ora - si afferma - «la prima “kenosi” intradivina... abbraccia da ogni lato le altre»<br />
39 , da quella rese radicalmente possibili: la creazione, l’alleanza 40 , la croce-<br />
30 GL7, 195. Il concetto di “altruismo”, quale «ultimo presupposto della kenosi»<br />
(MP, 45), è attinto alla moderna teologia russa - lo attesta lo studio cui Balthasar allude<br />
(GORODETSKY N., The humiliated Christ in modern Russian thought, London 1938,<br />
cit. in MP, 45) - particolarmente da Solowjew - al quale è dedicata un’ampia ed elogiativa<br />
monografia in GL3, 260-324 - Tarejew, oltre che dal già menzionato Bulgakov.<br />
31 Cf. TL2, 141.<br />
32 TD4, 301. Cf. TL2, 153.<br />
33 «Il dramma trinitario ha una durata eterna: mai il Padre è stato senza il Figlio,<br />
mai il Padre e il Figlio sono stati senza lo Spirito» (TD4, 304).<br />
34 TL2, 118. «Il Padre, che non può essere appunto pensato (arianamente) come<br />
esistente “prima” di questa autodonazione, è questo movimento di donazione» (TD4, 301;<br />
il corsivo è nostro. Cf. TD4, 302-303; TD2, 243; TD5, 80).<br />
35 TD4, 303. L’espressione si avvicina a quella del Laterano IV, secondo cui il Padre<br />
generando «non ha dato la sua sostanza al Figlio in modo da non averla più lui» (DS 805,<br />
cit. in TL2, 118; TL3, 185). In ciò Balthasar si distanzia anche dai Kenotici tedeschi del XIX<br />
secolo, i quali spingono a pensare che «l’essenza di Dio sia in sé (univocamente) “kenotica”»<br />
(MP, 40) e quindi costretta all’«autolimitazione» (MP, 42-43; cf. TD5, 190-191).<br />
36 Cf. TD5, 79.<br />
37 TD4, 301.<br />
38 TD4, 301-302; il corsivo è nostro. Cf. TD4, 308.<br />
39 TD4, 301.<br />
40 Creazione e patto «possono essere chiamati una nuova “kenosi”» (TD4, 305), o<br />
«“autodelimitazione” del Dio trinitario»: la prima «in forza della libertà donata alle creature»;<br />
il secondo, «più profonda autodelimitazione», per il fatto che «da parte di Dio, è per<br />
principio incancellabile, faccia pure Israele quel che vuole» (TD4, 308). Alla kenosi dell’al-
366 Giuseppe della Malva<br />
eucaristia. Difatti, unicamente nella trinitaria differenza delle Ipostasi, che configura<br />
Dio come amore 41 e in cui «è assolutamente bene che esista l’altro» 42 , risiede<br />
la possibilità di una libertà creata 43 gratuitamente posta 44 , di una sua eventuale<br />
«peccaminosa distanza» 45 e di un suo recupero. Più precisamente, è all’interno<br />
della “generatio” o “processio” del Figlio 46 – “il Tutt’Altro” 47 in Dio - «posizione<br />
di una distanza infinita assoluta» 48 , che trovano inclusione il mondo 49 -<br />
e di esso “archetipicamente” la finitezza, il tempo, la morte 50 - la sua libertà e<br />
leanza, tuttavia, si concede poca attenzione - in altri contesti è addirittura omessa (cf. per es.:<br />
MP, 45; GL7, 195; TD2, 250 nota 121, dove è presentato Bulgakov) - a favore di un rilievo<br />
accordato alla prima e alla terza kenosi economica e al loro imprescindibile legame.<br />
41 «Dio senza la differenza delle Ipostasi non può più essere quel Dio che la rivelazione<br />
conosce: il Dio dell’amore» (TL2, 69). Cf. TD5, 71.<br />
42 TD5, 70.<br />
43 Cf. TD4, 310; SC, 315-316. TL2, 271: «Il luogo metafisico-ontologico della<br />
creatura è ormai la diastasi delle persone divine nell’unità della divina natura». Significativa<br />
e sintetica inoltre è una citazione di A. Gerken, che apre il capitolo «Mondo dalla Trinità»<br />
in: L’ultimo atto: «La possibilità della creazione riposa nella realtà della Trinità. Un<br />
Dio non trinitario non potrebbe essere creatore» (A. GERKEN, Theologie des Wortes,<br />
Düsseldorf 1963, 81, cit. in TD5, 53).<br />
44 «Chi penetra nei misteri di Dio sa sempre meglio che il mondo come tutto è<br />
creato “inutilmente”, ossia per libero amore infondato, e che proprio questo gli conferisce<br />
il suo solo plausibile senso» (TD2, 246).<br />
45 TD4, 310.<br />
46 Cf. TD4, 303. 305. Il riferimento biblico alla creazione nel Figlio è individuato<br />
particolarmente nell’inno di Col 1 (cf. per es.: TD2, 248).<br />
47 «Le divine Persone sono a vicenda (nell’identità della loro essenza) il Tutt’Altro<br />
nel senso che in Dio non si può dare nessun concetto astratto di persona che valga per tutti»<br />
(TD5, 72, nota 14).<br />
48 TD4, 301.<br />
49 Cf. TD4, 303. 305. 308; TD5, 211. Laconicamente: «L’infinita distanza tra Dio e<br />
mondo ha radice in quella tra Dio e Dio» (TD2, 252).<br />
50 La kenosi primordiale è il luogo teologico in cui l’autore riconosce «le idee archetipe»<br />
(TD5, 78) della finitezza, qui assimilata alla dimensione spaziale - riconducibile intratrinitariamente,<br />
in forza del positivo mutuo “lasciar essere” delle divine Ipostasi (cf. TD5,<br />
73-78), a quella vitale “distanza” relazionale che è un tutt’uno con la “vicinanza” della “circumincessio”<br />
(cf. TD5, 80) - del tempo - in Dio coincidenza di «essere eterno o assoluto e<br />
divenire» (TD5, 58; cf. TL1, 1) - e della morte - «incondizionata autodedizione di ogni divina<br />
Ipostasi alle altre» (TL2, 70), simile ad una «super-morte, che si trova come aspetto di<br />
ogni amore e che fonderà all’interno della creazione tutto ciò che in essa potrà essere una<br />
morte buona: dal dimenticarsi per la creatura amata fino a quel supremo amore che “dà la<br />
vita per i suoi amici” (TD5, 72; cf. TD5, 207-210). È chiaro che soprattutto quest’ultimo
Il dramma in Dio 367<br />
«tutte le distanze che possono aggiungersi all’interno del mondo finito fino a non<br />
escludere il peccato» 51 . Questo, scoprendo qui, parallelamente al teodramma, le<br />
sue radici, si svela come “perversione” della libertà umana, la quale, posta all’interno<br />
dell’eucarestia del Figlio 52 e partecipe della sua autonomia, dice “no”<br />
alla gratitudine, alla dedizione 53 e all’amore 54 , in una contraddittoria 55 , menzognera<br />
56 «volontà di autonomia intesa a non ricevere né a dare» 57 . Esso, insoffri-<br />
punto - se non altro per l’audacia della terminologia usata (“morte”, “buona morte”, “supermorte”<br />
in Dio) - presta il fianco, su terreno dogmatico, a numerose critiche, come quella di<br />
K. Rahner che accusa tali riflessioni di “neocalcedonismo” e a cui il teologo svizzero risponde<br />
tenendo fede alla «formula “Uno della Trinità ha patito”... sempre riconosciuta come<br />
ortodossa (DS 401, 432)» (TD5, 13) e con l’intera sua dottrina trinitaria. In generale, al<br />
di là di ogni possibile osservazione, Balthasar ritiene che solo una fondazione trinitario-immanente<br />
scongiuri il pericolo del mito, trappola per le pur suggestive moderne teologie del<br />
“dolore in Dio”, dove «il modello, in riferimento al quale la morte e il dolore si leggono in<br />
Dio, è sempre la morte e il dolore fuori di Dio nel mondo» (TD5, 197).<br />
51 TD4, 301.<br />
52 Cf. TD4, 308-309.<br />
53 «Questo mistero è oscuro: è l’autochiusura dell’essere e perciò la sua non verità.<br />
È il rifiuto di quell’autodedizione, in cui amore e verità sono una cosa sola: e questo rifiuto<br />
è peccato» (TL1, 235. Il corsivo è nostro).<br />
54 Cf. TD4, 305-306; SI, 362. GL6, 186: «l’essenza caratteristica della colpa teologica...<br />
consiste nell’inconcepibile rifiuto di una risposta di amore all’inconcepibile offerta<br />
di un amore eterno» (il corsivo è nostro).<br />
55 «In questo no insorge nella creatura la contraddizione contro il carattere di analogia<br />
e d’immagine che essa deve necessariamente avere in forza della sua localizzazione<br />
all’interno delle relazioni trinitarie» (TD4, 306; il corsivo è nostro). L’uomo, infatti, in<br />
quanto alterità rispetto a Dio-Trinità ne è “immagine”: «Inaequalitates (tra Dio e il mondo,<br />
che è l’altro di Dio) oriuntur ex aequalitates (dalla differenza tra il Padre e il Figlio, il<br />
quale non è un’altra cosa da Dio, ma, come lo Spirito, l’Altro in Dio)» (TL2, 32), cosicché,<br />
paradossalmente, «proprio in quanto sei il non-Dio, sei simile a Dio» (ID., Il cuore<br />
del mondo, Casale 1998, 11). Sull’uomo come imago Trinitatis, vedi: TD3, 483-486;<br />
TL2, 25-49, dove si rigetta una dialettica di tipo hegeliano - che fa, sì, di tutto una “imago<br />
Trinitatis”, ma dissolve la positività dell’altro nel momento oppositivo, in vista di una<br />
superiore sintesi - a favore di una dialogica - quella di F. Rosenzweig, M. Buber, F. Ebner<br />
- in cui «l’altro è il positivo». Ecco perché, essendo trinitario, «Dio dice tu a ciascuno di<br />
noi» [ID., L’uomo e la vita eterna, in Communio 115 (1991), 39] e per noi «Dare del tu alla<br />
libertà assoluta è inevitabile» (TD2, 273).<br />
56 Già intuito con l’approccio orizzontale, solo ora diventa palmare che «l’essenza<br />
del peccato è la menzogna» (ID., La preghiera contemplativa in ID., Nella preghiera di<br />
Dio, Milano 1997, 193) la quale, tuttavia, avrà la sua massima manifestazione dinanzi alla<br />
massima rivelazione di Dio: la croce di Cristo.<br />
57 TD4, 306.
368 Giuseppe della Malva<br />
bile per Dio e ad un tempo possibile proprio in forza della trinitaria “assenza di<br />
calcolo” con cui l’amore divino si autodona inerme alla libertà creata 58 , rimane<br />
comunque, nel flusso infinito della distensione eucaristica del Figlio, un prevedibile<br />
59 «punto di contorsione, al di sopra di cui l’onda dell’amore» trinitario «è<br />
sempre più avanti» 60 . Ciò significa, in ordine all’interesse che ci muove, che se<br />
il «no della creatura risuona nel “posto” della differenza intradivina», allora «il<br />
Figlio, che facendosi uomo entra in questa “tenebra” della negazione, non ha bisogno...<br />
di cambiare, come “luce” e “vita” del mondo, il “posto” suo proprio<br />
quando, brillando nelle tenebre, intraprende la loro “sostituzione vicaria”» 61 .<br />
58 Se l’amore di Dio che non calcola è radicalmente vulnerabile (cf. TD4, 306; TD5,<br />
181-183) dinanzi alla libertà creata che può scegliere di «indugiare e mantenersi entro il calcolo<br />
della sua egoistica autonomia» (TD4, 305), ciò non comporta «nessuna incapacità di<br />
Dio, nessuna incertezza circa una sua possibilità a convincere l’uomo recalcitrante, ma indica<br />
la nessuna potenza giacente nella sua onnipotenza, impotenza che... è perfettamente identica<br />
alla sua potenza: superiorità sulla costrizione di dover intervenire dispoticamente o perfino<br />
violentemente» (TD4, 308-309). Altrove si è detto che in Dio la potenza è solo per il<br />
bene (cf. TD4, 138-139) - si noti il contrasto con la “potenza del male” umana (cf. supra 22)<br />
- e che in lui esiste una “latenza” che non coarta la libertà finita, ma in una “segreta presenza<br />
e accompagnamento” (cf. TD2, 256-268), fa sì che questa abbia a «realizzarsi anzitutto<br />
come vera decisione (pro o contro il suo in-essere in Dio)» (TD2, 297; cf. TD4, 139).<br />
59 Una previsione del peccato, estrema conseguenza della libertà finita, si dà già nella<br />
creazione di questa (cf. MP, 45; GL7, 195; TD4, 63), irreversibile “engagement” di Dio<br />
(cf. TD1, 121), che pertanto «“include nel conto” anche la croce» (MP, 45; cf. ID., Editoriale,<br />
Communio 94 (1987) 2-3). Ora, «l’“idea” di creazione fino alla croce» (TD5, 431),<br />
che tuttavia - si badi - non può hegelianamente «essere scoperta, svelata e monopolizzata<br />
come legge universale del creato» (ID., La verità è sinfonica, Milano 1974, 51) - nell’«assoluta<br />
libera posizione del Figlio come Dio da parte del Padre divino giace... a un tempo, come<br />
realizzabile e come già inclusa nella vita divina e, in quanto inclusa, già “superata” nell’assoluta<br />
gratutità e vitalità trinitaria» (TD5, 431).<br />
60 TD4, 307.<br />
61 TD4, 310; il corsivo è nostro. Si eviti di concludere che il “dramma primordiale”<br />
abbia in sé qualcosa di “giocoso” (cf. TD4, 304; TD5, 209) o che la libertà creata non sia<br />
presa sul serio (cf. TD4, 308). Il peccato infatti è «amara e oscura» realtà di separazione da<br />
Dio; reale «l’abbandono di Gesù da parte del Padre» nell’“ora” della croce, ma entrambi<br />
possono verificarsi solo all’interno dell’«insuperabile “separazione” di Dio da se stesso» o<br />
nell’«assoluta distanza intratrinitaria tra l’ipostasi che dona e l’ipostasi che riceve la divinità»<br />
(cf. TD4, 302. 310). Inoltre, tale prospettiva, che l’autore ritiene propriamente “cattolica”,<br />
«trascende sia una dialettica del capovolgimento sia una coincidentia oppositorum. Essa<br />
dice piuttosto inclusione: della natura nella grazia, del peccato nell’amore perdonante, di<br />
tutti gli scopi in una gratuità suprema» (ID., Cattolico, Milano 1976, 37).
Il dramma in Dio 369<br />
Molteplici, in definitiva, nella prospettiva dell’autore, i guadagni di una<br />
trinitaria che a ritroso, partendo dalla croce, perviene all’idea di Ur-kenose.<br />
Reperita, infatti, nella Trinità immanente - già in se stessa amore - l’ultimo<br />
presupposto dello “scambio dei posti” o “sostituzione vicaria”, le cinque categorie<br />
sottese al “pro nobis” neotestamentario trovano convergenza ed ordine<br />
62 , mentre è evitata ogni unilateralità dei sistemi storico-teologici; «viene...<br />
a cadere in pezzi la vecchia concezione dell’immutabilità di Dio» 63 , il quale<br />
peraltro sfugge a una «fusione mitologico-tragica nel senso di una teologia<br />
del processo moltmanniana o hegeliana» 64 alienante 65 ; si chiarisce infine che<br />
l’ultima kenosi economica è «non soltanto cristologica, ma interamente trinitaria»<br />
66 , mentre si individua l’“unus de Trinitate” che solo può assumere finitezza,<br />
tempo e morte unitamente al pro nobis (eucaristico e) di croce: il Figlio<br />
che, «nel “tropos” della prontezza disponibile» 67 o «modus dell’accoglimento»<br />
68 e «nella risposta all’autodonazione paterna, si mantiene sempre pronto<br />
ad accogliere ogni pensabile forma di prodigalità quanto a se stesso... nella<br />
premessa che debbano sorgere delle creature libere» 69 in lui. Nessun titanismo<br />
dunque né alcuna costrizione a tanto: «lo smarrimento dell’uomo nella<br />
sperduta finitezza fa» solamente «uscire in luce il centro, finora nascosto, del<br />
62 «Il motivo (secondo) del commercium si basa ora completamente sul primo,<br />
quello della donazione nella perdizione del Figlio in quanto questa è la rappresentazione<br />
economica dell’autodedizione trinitaria nell’amore del Padre (motivo quinto). Questo<br />
inalveamento trinitario rende pure accessibile il terzo tema scritturistico (salvezza come<br />
riscatto liberatorio) che dev’essere trattato unitamente al motivo dello scambio, come infine<br />
anche il quarto (introduzione nella vita trinitaria) che emerge immediatamente dai<br />
precedenti» (TD4, 309).<br />
63 P. ALTHAUS, Kenosis, in RGG III, 1245-1246, cit. in MP, 44.<br />
64 TD4, 310.<br />
65 L’argomento è oggetto di reiterata considerazione nelle opere di Balthasar, al<br />
quale importa liberare il campo soteriologico da ogni possibile fraintendimento speculativo<br />
in ordine alla “kenosi” del Verbo: «la rinuncia alla “forma di Dio” e l’assunzione della<br />
“forma di servo”, con tutte le sue conseguenze, non introducono nella vita trinitaria di Dio<br />
nessuna autoalienazione. Dio è sufficientemente divino per divenire in un senso vero e<br />
non solo apparente, attraverso l’incarnazione, la morte e la risurrezione, ciò che egli è già<br />
da sempre in quanto Dio» (MP, 185; il corsivo è nostro). In altri termini, «è impossibile<br />
disgiungere cristologia dinamica e cristologia ontologica» (MP, 185. Il corsivo è nostro).<br />
66 TD4, 308.<br />
67 TD2, 252.<br />
68 TD4, 303.<br />
69 TD4, 307; cf. TL2, 145.
370 Giuseppe della Malva<br />
piano di Dio a riguardo del mondo: la possibilità della libertà infinita di perseguire<br />
lo smarrito fino allo smarrimento più profondo: il Verbo del Padre, il<br />
Figlio si fa carne» 70 .<br />
Duplice “conditio sine qua non” di una salvezza intesa in termini di vicarietà<br />
è, da una parte, che il Salvatore sia il filosoficamente inescogitabile<br />
“universale concretum” che unisce in sé senza immistione il contingente-fattuale<br />
e il necessario-universale, includendovi l’esistenza degli uomini di tutti<br />
i tempi e, dall’altra, che la carne che egli assume sia la “caro peccati”, segnata<br />
dal triplice limite di finitezza, tempo e morte. La morte che egli assume dovrà<br />
a sua volta connotarsi, come per ogni uomo, quale contraddizione suprema,<br />
destino incombente, esperienza di gettatezza e luogo di solitudine. Esigenze<br />
di brevità ci negano la possibilità di sviluppare in questa sede tutti gli<br />
argomenti accennati 71 . Ci limiteremo dunque a portare ad emersione solamente<br />
i gradi di significato che stratificano il concetto di solitudine applicato<br />
alla morte di Gesù.<br />
2. Il centro del centro del Theo-drama: l’assunzione della morte<br />
2.1. L’assunzione della morte come solitudine<br />
Occorre precisare subito che la solitudine di cui qui si tratta è quella del<br />
peccato. Essa inevitabilmente pervade, come l’approccio antropologico ha già<br />
rilevato, la forma storica del morire umano. Il “Verbum caro” la assume nella<br />
sua morte in modo assolutamente unico e irripetibile (come abbandono di<br />
Dio), poiché va ad estirparne la radice, il peccato, del quale svela e vicariamente<br />
patisce l’estrema inconciliabilità con l’amore di Dio (come “ira di<br />
Dio”) e del quale attraversa tutta l’abissalità (fino alla “seconda morte”). Que-<br />
70 TD2, 260. Il corsivo è nostro.<br />
71 Per un maggiore approfondimento rimando al secondo capitolo della mia tesi,<br />
precisamente al punto 2 (“Il centro del Theo-drama: il Verbum caro”) e alla prima parte<br />
del punto 3 (“Il centro del centro del Theo-drama: l’assunzione della morte”), dove peraltro,<br />
quali ponti tra l’universale concretum e l’assunzione del trinomio finitezza-tempomorte,<br />
sono sviluppate le equazioni cristologiche di missione come persona, di obbedienza<br />
come libertà e di libertà come amore, onde scongiurare l’equivoco di una qualsiasi forma<br />
di eteronomia nell’azione salvifica del Figlio.
Il dramma in Dio 371<br />
sti elementi, riordinati, vanno ora osservati da vicino, affinché il concetto di<br />
“vicarietà” cristologica elaborato da von Balthasar sia mostrato in tutta la ricchezza<br />
teologica che egli stesso vi riconosce.<br />
2.1.1 L’ira di Dio e il peccato<br />
Perché la redenzione non scada a dottrina anodinamente epica, né sia fatta<br />
coincidere con una astorica volontà di salvezza del Padre che nella pasqua del<br />
Figlio impartirebbe un “insegnamento simbolico” all’umanità, è necessario, a<br />
parere del nostro autore, non lasciar cadere l’«idea veterotestamentaria della<br />
“collera di Dio” e le molte idee corollarie» come «residui arcaici storico-religiosi<br />
che il Nuovo Testamento ha definitivamente smitologizzati» 72 .<br />
Piuttosto, recuperare questi elementi, che il Nuovo Patto non attenua ma<br />
rilegge cristologicamente in chiave espiativa 73 , è invece ineludibile presupposto<br />
per un equilibrato realismo soteriologico. Quest’ultimo, forte del mai<br />
dimenticato approccio trinitario alla croce, saprà certamente non assolutizzare<br />
ira e amore 74 , ma anche non contrapporli, giacché proprio della loro unità<br />
75 testimonia la rivelazione neotestamentaria.<br />
In questa unità l’ira di Dio trova la sua sola possibile spiegazione teologica.<br />
Essa è «l’altra faccia dell’amore» 76 divino che, in “engagement” con<br />
72 TD3, 111. Il corsivo è nostro.<br />
73 Numerosi, al riguardo, i passi riportati, peraltro in stretta concatenazione: 2Cor<br />
5,18; Col 1,20; Rm 3,25; Rm 5,8; Rm 8,32; 1Gv 4,10; Gv 3,16; Gal 3,20, solo per citarne<br />
alcuni (cf. TD3, 112-113; GL7, 187).<br />
74 GL7, 188: «si farà attenzione ai due estremi: interpretare la passione di Cristo<br />
come un’esplosione punitiva dell’ira di Dio contro la vittima innocente (spiegazione verso<br />
cui andò la Riforma) o vedere in essa una semplice manifestazione di sovrabbondanza<br />
dell’amore di Dio». L’equilibrio va cercato, quindi, in uno sguardo trinitario: non «si può<br />
parlare di una “ira” di Dio che si scaricherebbe sul portatore del peccato del mondo lasciando<br />
così il posto ad un amore riconciliato... piuttosto si potrebbe parlare di un “permesso”<br />
del Padre al Figlio di spingersi nell’amore fino a questa follia» (ID., La semplicità<br />
del cristiano, op. cit., 58).<br />
75 «Precisamente l’amore estremo che si manifesta nel cuore di Dio mostra la decisività<br />
assoluta della sua opposizione contro tutto ciò che viola l’amore; e precisamente la<br />
forma trinitaria di questa rivelazione dell’amore in Gesù Cristo ci permette di vedere l’unità<br />
di amore ed ira come necessaria» (TD4, 317. Il corsivo è nostro).<br />
76 MP, 128.
372 Giuseppe della Malva<br />
la libertà finita già nella creazione 77 e poi nel patto 78 , non può assistere indifferente<br />
all’autodistruttiva scelta dell’uomo di alienarsi da Dio. In questo<br />
senso ha ragione M. Barth: «l’ira di Dio è la temperatura del suo amore» 79 .<br />
Più in profondità, la collera in Dio coincide con l’inevitabile rigetto del<br />
male, di quanto cioè si oppone radicalmente al suo amore. Stante, infatti, la<br />
contraddizione assoluta tra il male e l’amore santo divino 80 , «un Dio che<br />
amasse soltanto e non odiasse il male... si contraddirebbe» 81 . In quest’altro<br />
senso allora si deve convenire con A. J. Heschel: questo pathos in Dio è identico<br />
al suo ethos 82 .<br />
Con più precisione, l’ira di Dio ha per oggetto il peccato. Questo, infatti,<br />
già in se stesso pura contraddizione 83 , è menzogna e dunque in nessun modo<br />
integrabile con la verità di Dio 84 , della quale è «distorsione immediata» 85 .<br />
Ora, se «la verità è la spiegazione dell’amore di Dio mediante Gesù, allora la<br />
menzogna è la categorica, incondizionata negazione di questa verità» 86 . Il<br />
77 «Già nella creazione Dio Padre si è legato, poiché ha rimesso agli esseri creati le<br />
loro energie e leggi come loro proprie; legato ancor più, in quanto ha elargito loro autentica<br />
libertà, che includeva la possibilità di volgersi in avversione a Dio, di accendere in lui<br />
il fuoco della sua “collera”, che egli stesso non poteva spegnere con una pura “parola di<br />
potenza dall’alto”, senza contraddirsi. La creatura libera trae Dio entro l’elemento tragico»<br />
(SI, 47-48).<br />
78 Dio «che nella sua grazia si è piegato fino all’uomo ed ha concluso con lui un<br />
patto - da parte di Dio indissolubile - è costretto, per la sua stessa fedeltà e veracità, a “incollerirsi”,<br />
invece di volgere le spalle, con una superiore non divina indifferenza, alla devastazione<br />
della sua opera e “lasciare che ciò che è storto sia diritto”. Egli deve piuttosto<br />
trattare con tutta serietà il partner del patto e, con il giudizio, il castigo, la pena, riportarlo<br />
a quel diritto che lo sviato non può restaurare» in ogni caso (MP, 110).<br />
79 BARTH M., cit. in TD2, 152.<br />
80 Cf. MP, 128.<br />
81 TD4, 316.<br />
82 Cf. TD4, 320.<br />
83 «Il male è contrapposto non solo al bene, ma anche a se stesso» (citaz. di S. Basilio<br />
in: ID., Il chicco di grano. Aforismi, op. cit., 39).<br />
84 «La negatività dell’odio e della menzogna non può in nessun modo venire integrata<br />
nella verità come un necessario momento di transito. Rispetto a tale negatività c’è<br />
da parte della verità solamente l’assoluto rifiuto, il giudizio... La diabolica contra-dizione<br />
non è assimilabile nella logica di Dio» (TL2, 282).<br />
85 TL1, 235.<br />
86 TL2, 281.
Il dramma in Dio 373<br />
peccato quindi, alla radice, è insensato 87 «odio della verità che è Cristo» 88 e<br />
in ciò “Mysterium Iniquitatis” dal fondo imperscrutabile. Tuttavia, «con il<br />
concetto di “odio”, in quanto antitesi dichiarata e aggressiva dell’amore, di<br />
quell’amore che caratterizza Dio nella sua dedizione trinitaria ed economica<br />
(cfr. 1Gv 4,16), ci accostiamo il più possibile al centro del suo mistero» 89 e<br />
della biblica “ira di Dio”. Per l’uno e per l’altra, infatti - peccato e collera divina<br />
- d’ora in poi non valgono più analisi astratte: tutto si addensa nell’evento<br />
cristologico.<br />
Qui si concreta e si estremizza quella che l’autore chiama la «specifica<br />
legge teodrammatica di ritmo dell’intensificazione», secondo cui «il sempre<br />
più dell’impegno di Dio evoca e provoca il sempre più della contraddizione<br />
antidivina» 90 . Tale opposizione non ha fondatezza logica e, pur pervadendo<br />
l’intero corso della storia 91 , non può acutizzarsi che laddove l’amore trinitario<br />
rivela, in Cristo, la sua infondata gratuità: l’«amore di Dio, che invia la<br />
Luce-Parola nel mondo provoca l’odio... Viene dunque svelato nel Figlio l’amore<br />
assoluto e immotivato, amore che nel suo non-accoglimento da parte<br />
della tenebra fa apparire questa tenebra come “immotivata” ([Gv] 15,25: senza<br />
ragione), come abissale» 92 .<br />
L’“escalation” tra misericordia e colpa 93 , debordando nell’escatologia<br />
che Cristo inaugura 94 , non può che condurre l’amore di Dio ad un definitiva<br />
adirata condanna del peccato. In termini giovannei: al libero autoaccecamen-<br />
87 «Di fronte al Logos, in cui abita ogni senso e fondamento, l’odio della menzogna<br />
può essere soltanto abissale e insensato» (TL2, 278).<br />
88 TL2, 278.<br />
89 TD5, 173.<br />
90 TD4, 51. Si tratta, in sostanza, di quel “duplice crescendo teodrammatico” che<br />
già prima abbiamo osservato (cf. supra, 23-25), ma che solo ora si svela in tutta la sua<br />
profondità e nel suo parossismo: «Il dramma tra l’uomo e Dio raggiunge qui la sua akme,<br />
poiché la perversa libertà finita getta tutta la sua colpa su Dio come sull’unico imputato e<br />
capro espiatorio, e Dio se ne lascia totalmente colpire non solo nell’umanità di Cristo ma<br />
nella sua stessa missione trinitaria» (TD4, 312).<br />
91 La «legge teodrammatica di fondo della storia del mondo» sostiene che «il<br />
quanto più della rivelazione dell’amore divino (irrazionale) provoca un quanto più (irrazionale<br />
Gv 15,25) di odio umano» (TD4, 315. Il corsivo è nostro).<br />
92 TD5, 172.<br />
93 TD4, 318.<br />
94 Cf. TD4, 315; TD3, 106-107.
374 Giuseppe della Malva<br />
to 95 corrisponde la tenebra ed «è la tenebra ciò che costringe la Luce a farsi<br />
giudizio» 96 .<br />
2.1.2 Il giudizio e la croce<br />
Per sviluppare - peraltro solo in parte 97 - ciò che il titolo impone e le riflessioni<br />
successive, è necessario reintrodurre qui il termine “obbedienza”,<br />
capitale nella cristologia balthasariana. Quanto sopraesposto sopporta una rilettura<br />
e un approfondimento a partire da questo concetto.<br />
Si può dire, infatti, che il “ritmo drammatico” non si gioca che tra la crescente<br />
universale peccaminosa disobbedienza e la misericordia di Dio che,<br />
mediante uomini da lui stesso scelti, appronta una “scala dell’obbedienza” 98<br />
alla discesa dell’“uomo mediatore”. Da questa scala e sopra lo stesso mediatore<br />
scende anche l’ira di Dio e il suo giudizio 99 .<br />
La domanda che chiede della possibilità di quest’ultima affermazione<br />
passa attraverso un’altra: chi è fatto erede di questa «mediazione più che profetica»<br />
100 ? Più precisamente: «chi può caricarsi del peso di quest’ira in modo da<br />
placarla?». La risposta immediata è: non certo «il peccatore, poiché appunto la<br />
95 «Poiché l’essenza del “mondo” secondo l’“accezione” giovannea è di opporsi»<br />
alla rivelazione di Dio in Cristo, «cresce l’opposizione del mondo nella stessa misura in<br />
cui crescono l’offerta dell’amore e le sue prove: alla gratuità dell’amore corrisponde la<br />
gratuità dell’odio (15,25) e dell’accecamento (12,40s)». Quella che Gesù ha di fronte non<br />
«è semplicemente gente che non vede ma che è capace di vedere e che decisamente si inibisce<br />
la vista» (cf. Gv 9,41) (GL7, 341).<br />
96 TD5, 171.<br />
97 «Noi qui non possiamo che dare una risposta parziale alla questione dei rapporti<br />
tra croce e giudizio; per una soluzione soddisfacente occorrerebbe trattare anche della<br />
dottrina della giustificazione. Occorrerebbe mostrare come il giusto possa essere giustamente<br />
condannato perché possano essere giustificati l’ingiusto e il peccatore. Qui tratteremo<br />
espressamente solo la prima parte dell’affermazione, quella che esprime il dramma<br />
centrale della rivelazione» (MP, 110).<br />
98 Cf. GL6, 184-252. «Dove l’uomo ha completamente fallito, la storia del patto di<br />
Dio diventa una storia di Dio con se stesso. Non si poteva assolutamente prevedere in<br />
qual modo questa storia si sarebbe conclusa. Dio vuole costruirsi una scala di uomini prescelti,<br />
destinata a farlo discendere sino alla tenebra senza Dio. Una scala fatta di obbedienza»<br />
(GL6, 191).<br />
99 Cf. TD4, 321.<br />
100 TD4, 322.
Il dramma in Dio 375<br />
eccita finché è peccatore», ma «colui che è senza peccato» 101 . Deve, infatti,<br />
«subentrare per lui» - in “rappresentanza” cioè del peccatore 102 - «un uomo che<br />
nello stesso tempo incorpori davanti a Dio il peso del peccato e l’innocenza dell’amore<br />
affinché la misericordia di Dio non debba staccarsi dalla sua inseparabile<br />
giustizia» 103 . Ora, «nessuno che sia puro uomo - comunque caricato di missioni<br />
immense - può “portare via i peccati del mondo”: è necessaria a tanto una<br />
persona divina» 104 , poiché «allo stesso modo che solo Dio può perdonare i peccati,<br />
così solo Dio può “portare i peccati”» 105 . Solamente l’Uomo-Dio, Cristo<br />
Gesù, può garantire la bilateralità del patto, infranto dalla disobbedienza umana,<br />
la consumazione della collera di Dio e la justitia Dei 106 .<br />
Ciò però non avviene per incanto 107 . Ben diversa, infatti, è «la rappresentanza<br />
vicaria “magica”, consueta in tante religioni» e «la rappresentanza<br />
vicaria “personale”, che si attua per libero amore» 108 nel Figlio fatto uomo.<br />
Questa, a differenza della prima, non rimane periferica all’umano da riscattare.<br />
E ciò perché l’amore e solo «l’amore è capace di comprendere il destino<br />
altrui, di accompagnarvisi, vivendolo come se fosse il proprio, di identificarsi<br />
con esso, nel caso limite, così da avere la disposizione volontaria ad assumere<br />
il destino d’altri al posto del proprio (o come il proprio)» 109 . Dal momento,<br />
poi, che «la realtà del peccato non può venir mutata in irrealtà da un<br />
decreto esterno di Dio» 110 , va presupposto che in Cristo, dall’interno, «sia<br />
stato attraversato tutto l’abisso del no umano contro l’amore di Dio», fino all’assunzione<br />
vicaria del giudizio di questo su quello, fino all’esperienza del<br />
«peirasmos del rifiuto stesso senza tuttavia aver peccato (Ebr 4,15)» 111 . De-<br />
101 GL7, 189; cf. ID., Il cristiano e l’angoscia, Milano 1987, 63-64.<br />
102 Cf. GL7, 189-190; ID., Gesù e il perdono, Communio 77 (1984) 12-13.<br />
103 ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 29.<br />
104 TD3, 470.<br />
105 TD2, 117-118.<br />
106 Cf. MP, 111.<br />
107 «La passione di Cristo non è... un processo magico, attraverso il quale un Dio<br />
collerico, che esige giustizia, sarebbe trasformato nel suo sentimento e atteggiamento in<br />
un Dio di misericordia e grazia (come talvolta imposta la cosa una dottrina esteriorizzata<br />
della soddisfazione, fraintendendo Anselmo), “poiché Dio ha tanto amato il mondo da dare<br />
il suo Figlio unigenito” [Gv 3, 16]» (SI, 344). Cf. ID., Cattolico, op. cit., 42.<br />
108 SI, 349.<br />
109 SI, 348.<br />
110 ID., Gli stati di vita del cristiano, Milano 1984, 113.<br />
111 MP, 126.
376 Giuseppe della Malva<br />
ve accadere insomma che Dio in Cristo si faccia «in una sola persona “soggetto<br />
e oggetto” del giudizio» 112 . Come e dove tutto questo sia reso propriamente<br />
possibile lo dicono la passione e la croce di Gesù.<br />
Nella passione il Figlio può «condurre alla sua fine escatologica l’ira<br />
terribile, divinamente fondata, che attraversa tutto l’Antico Testamento» 113 e<br />
svuotare “il calice della vertigine” 114 in forza della sua «pronta disponibilità<br />
a bere il “calice” della collera [di Dio], cioè a lasciar sfogare interamente su<br />
di sé la furia di tutto il potere del peccato. Qui l’odio del peccato è superato<br />
dall’amorosa obbedienza; l’impazienza del peccato contro Dio è superata dalla<br />
pazienza del Figlio di Dio. Essa, per così dire, afferra dal basso il peccato<br />
e lo solleva dai cardini» 115 .<br />
Più precisamente - secondo quanto Paolo 116 e gli evangelisti 117 attestano<br />
concordi - è la «croce... soprattutto giudizio divino sul “peccato” (2Cor<br />
5,21)» 118 , del quale ormai è sancita l’ultima condanna 119 . Qui «ha luogo la<br />
krisis sul mondo nella sua totalità (Gv 12,31), come evento giudiziale assolutamente<br />
oggettivo» perché «viene svelato nella maniera più completa il peccato<br />
del mondo» 120 nella sua irriducibile incompatibilità con l’amore di Dio.<br />
Il giudizio della croce denuncia appunto questo: l’impossibilità di una sintesi<br />
tra il peccato, «definitivamente concentrato nel Figlio crocifisso» 121 e lì mas-<br />
112 MP, 111.<br />
113 MP, 129.<br />
114 Cf. TD4, 313-327.<br />
115 SI, 350. Il corsivo è nostro.<br />
116 Paolo «presuppone... il giudizio della croce, dove Dio, in quanto è l’uomo Cristo,<br />
prende su di sé tutto il peccato di “Adamo” (Rm 5,12-21) per “essere consegnato”<br />
(Rm 4,25) come concretizzazione “corporale del peccato e dell’inimicizia” (2Cor 5,21;<br />
Ef 2,14) al “giudizio di condanna da parte di Dio” (Rm 8,3) e, in quanto vita di Dio morta<br />
nell’abbandono da parte di Dio e seppellita, per essere risuscitata da Dio “per la nostra<br />
giustificazione” (Rm 4,25)» (MP, 112. Il corsivo è nostro).<br />
117 «Resta che gli evangelisti - in modi diversi ma convergenti - intendono la croce<br />
come giudizio. E precisamente come il giudizio escatologico. Non solo come ricostituzione<br />
della giustizia (salvifica) di Dio (dikaiosuvnh qeou~), ma come krisis» (GL7, 206).<br />
118 MP, 109.<br />
119 Cf. GL7, 206.<br />
120 MP, 113.<br />
121 TD5, 223.
Il dramma in Dio 377<br />
simamente svelato nella sua menzognera 122 e contraddittoria 123 essenza, e<br />
l’amore (adirato) di Dio che Gesù stesso incarna 124 .<br />
Ora, di questo giudizio l’«aspetto più importante sta qui nel fatto che il<br />
Giudice appare come il Crocifisso» 125 : il Figlio, «operando realmente la sostituzione<br />
vicaria, sperimenta su di sé il necessario e giusto giudizio di Dio sul<br />
male» 126 , la “distanza” mediante cui il primo respinge il secondo e l’angoscia<br />
dovuta a chi, per amore, si espone all’uno e all’altro insieme.<br />
2.1.3 L’angoscia vicaria<br />
Derivando principalmente dal fatto che dell’“ora” del “giudizio” 127 Gesù<br />
ha «voluto sperimentare per amore esclusivamente il suo carattere giudiziario<br />
rinunciando a tutto ciò che potesse consolarlo, confortarlo o addolcire il dolore,<br />
per essere nella kenosi puro spazio all’urto del peccato del mondo» 128 , l’angoscia<br />
del Redentore, di consistenza chiaramente non psicologica ma teologica 129 ,<br />
è espressione della serietà con cui egli viene caricato del peccato:<br />
«L’oscuramento avvenuto nella passione non è un regresso nella sua coscienza,<br />
ma l’ultimo e necessario passo verso il pieno adempimento della<br />
sua missione. Poiché se non si trattava di trascinare esteriormente un<br />
grave peso ma veramente di “portare i peccati”, allora bisognava espe-<br />
122 ID., Il Rosario, op. cit., 56: «nel corpo del Figlio... il peccato, che è sempre<br />
menzogna e apparenza, mostra il suo vero volto».<br />
123 TL2, 284: «la contraddizione non può venir dominata dallo stesso sofferente,<br />
non può essere portata a sintesi, non è una sola verità».<br />
124 ID., Il Rosario, op. cit., 71: «nel Crocifisso si trovano insieme: l’ira di Dio, che<br />
non vuole scendere a patti con il peccato, ma può solo ripudiarlo e bruciarlo, e l’amore di<br />
Dio, che comincia a rivelarsi proprio al posto di questa inesorabilità».<br />
125 ID., I giudizi divini nell’Apocalisse, Communio 79 (1985) 21.<br />
126 ID., Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 34.<br />
127 Va ribadito che questa “ora” coincide con «l’ingresso del peccato del mondo nell’esistenza<br />
personale, corporale-psichica del nostro rappresentante e mediatore» (MP, 94).<br />
128 GL7, 203.<br />
129 «L’ora piomba su Gesù che l’attende e lo getta a terra. Che Egli poi cada in<br />
un’angoscia mortale fino a sudare sangue, non è un fatto psicologico, ma teologico» (ID.,<br />
Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 35). L’autore ritiene che precisamente<br />
questo “livello dogmatico” superi il kierkegaardiano concetto di “angoscia” (cf. ID., Il<br />
cristiano e l’angoscia, op. cit., 56).
378 Giuseppe della Malva<br />
rimentare interiormente che cosa è il peccato veramente, cioè agli occhi<br />
di Dio: “perdita della gloria di Dio” (Rm 3,23), della possibilità di accedere<br />
a Lui con la fede, la speranza e la carità, quello stare davanti a<br />
Dio che la Scrittura descrive con l’espressione “stare davanti al giudizio<br />
dell’ira” (Rm 3,5 e altrove). L’esperienza di questo giudizio dell’ira<br />
ha in sé qualcosa di definitivo, eterno a causa del nascondimento della<br />
speranza e dell’amore» 130 .<br />
La speranza qui sottratta è quella della resurrezione, quella che, irresponsabilmente<br />
anticipata in un’ipotesi teologica alla passione 131 , vanificherebbe<br />
giocosamente 132 la stessa idea di sostituzione vicaria, dal momento che<br />
il «peccatore può sperare, il “peccato” no; ma Cristo, per amore nostro, Dio<br />
“lo trattò da peccato” (2Cor 5,21)» 133 . In forza di questa sostituzione, prendendo<br />
«il posto dell’uomo peccatore, e togliendo... la distinzione fra la colpa<br />
altrui e la propria innocenza» 134 , oltre ogni biblica separazione tra angoscia<br />
dei buoni e angoscia dei malvagi 135 , «oltre... ogni possibile pretesa particola-<br />
130 ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 25; cf. TD2, 280. L’autore altrove precisa<br />
che non «si può tuttavia affermare che l’angoscia propria della croce arrivi a mettere<br />
in dubbio in qualche modo la fede, la speranza e la carità nella loro assolutezza, che disperi<br />
della loro efficacia, che divenga l’opposto di queste tre... Quantunque soggettivamente<br />
possa condurre molto vicino a questo limite, non lo oltrepassa mai. Poiché oggettivamente<br />
è essa stessa un modus della fede, dell’amore e della speranza, una fase del loro<br />
compimento, un processo vitale loro interno» (ID., Il cristiano e l’angoscia, op. cit., 51).<br />
131 TL2, 211: «l’idea di una “trascendentale speranza di resurrezione”, prima che<br />
venga esaurita la profondità della colpa del mondo portata sulla croce, sembra una irresponsabile<br />
anticipazione». Il riferimento polemico qui è ancora alla teologia di K. Rahner.<br />
132 In Gesù «la coscienza dell’inutilità delle sue fatiche (cfr. Mt 11,16s.)... non può<br />
essere vanificata dalla prospettiva di un happy end “al terzo giorno”» (TL2, 212; cf. MP,<br />
98-99).<br />
133 ID., Il Credo, op. cit., 44.<br />
134 TS, 52; cf. SC, 342.<br />
135 «Tutte le angosce dell’Antico e del Nuovo Testamento sono qui riassunte e superate<br />
all’infinito, poiché la persona che in questa natura umana si angoscia è lo stesso<br />
Dio infinito. Si tratta in primo luogo della sofferenza di colui che è infinitamente puro, infinitamente<br />
giusto (che è al contempo Dio), di fronte a tutto ciò che Dio detesta e che solo<br />
al Puro (che al contempo è Dio) appare in tutta la sua orripilanza, è in secondo luogo la<br />
sofferenza vicaria di questo puro per tutti gli impuri, vale a dire la sofferenza di quell’angoscia<br />
che di diritto ogni peccatore dovrebbe subire davanti al tribunale di Dio giudice»<br />
(ID., Il cristiano e l’angoscia, op. cit., 37. Il corsivo è nostro).
Il dramma in Dio 379<br />
re d’aver ragione», nella «sua attivissima disponibilità a prender le parti di<br />
ognuno secondo il volere del Padre» 136 , Gesù si rivela veramente «il servo di<br />
Dio sofferente in vece di altri» 137 :<br />
«L’angoscia» di Gesù «è un com-patire con i peccatori, tale che la perdita<br />
reale di Dio (poena damni) che li minaccia è stata assunta dall’amore<br />
di Dio fattosi uomo nella forma di un timor gehennalis: poiché i peccati<br />
del mondo vengono “caricati” su di lui, Gesù non distingue più se stesso<br />
o il proprio destino da quello dei peccatori... e sperimenta perciò l’angoscia<br />
e il terrore che essi avrebbero dovuto giustamente provare» 138 .<br />
Decisivo comunque «è che tutto questo venga “caricato” da Dio. Non<br />
soltanto l’elemento ostile a Dio contenuto nel carico diventa nausea assoluta<br />
in chi ama Dio ed è da lui nutrito (Mt 4,4; Gv 4,34), ma la stessa disponibilità<br />
di quest’elemento antidivino ad opera di Dio genera in lui l’angoscia assoluta»<br />
139 . L’ipotesi, qui legittima, che soggettivamente Cristo abbia potuto vivere<br />
la sua passione come “castigo”, benché oggettivamente non lo fosse affatto<br />
140 , mira solamente a spiegare l’insuperabilità del suo “dolore sostitutivo”<br />
141 e della sua estraniante angoscia vicaria:<br />
«L’incomprensibile combinazione tra peccato del mondo e volontà di<br />
Dio - peccato del mondo che si è condensato nell’assoluto sdegno di<br />
Dio, ira di Dio che ha preso corpo nel peccato del mondo e si è dimostrata<br />
perfettamente in questo giustificata - rende impossibile nella vittima<br />
ogni rapporto con Dio e con il mondo» 142 .<br />
136 ID., Cattolico, op. cit., 43-44.<br />
137 ID., Dove ha il suo nido la fedeltà?, Communio 26 (1976) 18.<br />
138 MP, 97.<br />
139 GL7, 191.<br />
140 «Vanno qui accuratamente evitate false conseguenze: non si potrà dire cioè che<br />
Cristo venga “punito” da Dio al posto del peccatore. E nemmeno che Egli si senta “dannato<br />
e maledetto” da Dio e mandato all’“inferno”; infatti quello che noi ci immaginiamo come<br />
condizione infernale sussiste in forza di un odio per Dio. Non avrebbe alcun senso attribuire<br />
al Crocifisso anche solo un qualsiasi risentimento nei confronti del Padre. E tuttavia la sofferenza<br />
prolungata e totale (Durchleiden) di ciò che spettava invece al peccatore; la separazione<br />
da Dio, forse la perfetta e definitiva separazione: questo è senz’altro possibile come<br />
esperienza del Figlio di Dio» (ID., Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 37).<br />
141 Cf. TD4, 314.<br />
142 GL7, 191.
380 Giuseppe della Malva<br />
In sostanza, l’angoscia nella quale «il portatore dei peccati» sperimenta<br />
«tutto il suo fare e soffrire come l’assoluta insensatezza», come «pura inutilità»<br />
143 , deriva precisamente da questo suo duplice incompatibile legame: col<br />
peccato 144 e con la volontà di Dio 145 , alla quale comunque il Figlio, nello Spirito,<br />
anche ora obbedisce 146 , come ha sempre fatto:<br />
«La sorgente, di cui il Figlio vive eternamente, sembra inaridita e quindi<br />
tutto quello che il Figlio ha fatto per mandato del Padre perde il suo significato;<br />
è stato inutile. Non è affatto il suo fallimento terreno, alla fine<br />
della vita, che dà questa sensazione al Figlio, ma, molto più a fondo, il dover<br />
sopportare nel proprio intimo il contrasto inconciliabile tra il peccato,<br />
che egli ha in sé, e la volontà di salvezza del Padre amoroso. Come incarnazione<br />
del peccato, egli non può trovare alcun appoggio in Dio, si è<br />
identificato con quello che Dio respinge eternamente lontano da sé» 147 .<br />
Vincendo la massima tentazione - quella di non credere più all’amore di<br />
Dio 148 - l’angoscia per l’irragionevolezza dell’abbandono del Padre, dal Fi-<br />
143 TL2, 305.<br />
144 «Ricevendo come carico ciò che per Dio è l’assolutamente inutile, egli stesso<br />
diventa l’universalmente inutilizzabile (apodokimasqhvnai: essere dichiarato inutilizzabile:<br />
Mc 8,31; Lc 9,22. 17,25)» (GL7, 204. Il corsivo è nostro).<br />
145 «Poiché il Figlio non riceve più risposta dal Padre tutto gli deve apparire come<br />
puramente inutile, insensato, anche la sua assoluta obbedienza (“nelle tue mani... ”), con<br />
cui egli senza accorgersi di ciò che fa sostiene in sé la contraddizione del peccato e la supera<br />
scavalcandola da sotto» (TL2, 286).<br />
146 È ancora lo Spirito, nell’inversione trinitaria, che possibilita questa situazione<br />
che «rientrava essa pure nella deliberazione trinitaria... adesso il Figlio è completamente<br />
l’uomo carico di peccato e lo Spirito Santo gli presenta la volontà del Padre solo come<br />
l’opposizione manifesta tra ciò che è semplicemente imposto e ciò che è puramente intollerabile»<br />
(ID., Il Rosario, op. cit., 50).<br />
147 ID., Il Rosario, op. cit., 69-70. In corsivo abbiamo posto i termini dogmaticamente<br />
più problematici, oggetto di riflessione nella parte critica della tesi.<br />
148 «Nella tentazione del deserto, tutte le tentazioni del mondo - di una vita facile,<br />
attraente per l’uomo - si opponevano alla volontà del Padre e questi poteva vincere in lui,<br />
perché stava davanti all’anima sua come colui che è infinitamente più grande e degno di<br />
adorazione. Ma adesso la tentazione è un’altra. La scelta non è tra il Padre e il mondo, ma<br />
tra due immagini del Padre e cioè quella del Dio, conosciuto da sempre e prima dell’oscuramento<br />
interiore come onnipotente e infinitamente buono, che poteva seguire una strada
Il dramma in Dio 381<br />
glio sperimentata vicariamente e specularmente al «senza ragione del peccato<br />
umano» 149 , è dunque già spazio soteriologico:<br />
«Sulla croce, il Figlio abbandonato dal Padre ha espiato, in linea di principio,<br />
per tutti i peccati di tutti gli uomini e ha subito e sofferto fino in<br />
fondo, in rappresentanza vicaria, la derelizione di tutti i peccatori da<br />
parte di Dio. Il non voler comprendere l’amore di Dio, da parte degli uomini,<br />
è pienamente ripreso e assorbito entro l’incomprensione, da parte<br />
del Figlio, del perché il Padre lo abbia abbandonato» 150 .<br />
Ed è in questo abbandono, in cui vige l’“assoluta solitudine” 151 , che il<br />
nostro autore ritiene necessario spingere l’indagine teologica, onde portare ad<br />
emersione gli ultimi strati dell’azione vicaria compiuta dal Verbo fatto carne.<br />
(continua)<br />
GOD AND DRAMA<br />
A study of the theo-dramatic soteriology in Urs von Balthasar<br />
By Giuseppe della Malva<br />
Professor Giuseppe della Malva gives us a thorough presentation of the<br />
thinking of Balthasar regarding God’s assumption in Christ of the<br />
drama of man. The preceding article, containing a part of Walter<br />
Kasper’s Lectio Magistralis to the Chair of Gloria Crucis, serves to<br />
highlight the importance of this aspect for a truly Catholic<br />
understanding of the theology of the Cross. Furthermore, the thinking<br />
completamente diversa per giungere alla stessa meta, e questo Dio spietato della giustizia,<br />
come appare adesso al Figlio il Padre, visto e sperimentato attraverso il cuore dei peccatori.<br />
Il sole dell’amore è sparito dietro le nuvole e si avverte solo il brontolio del temporale<br />
divino» (ID., Il Rosario, op. cit., 49-50).<br />
149 TD4, 309.<br />
150 SI, 363. Paradossale incontro del peccato come “contraddizione” e del “giudizio”<br />
come condanna (del peccato), la tenebra della croce, «in quanto movimento di definitivo<br />
rigetto, viene vissuta dal sofferente in rappresentazione vicaria, e il suo “perché” detto<br />
a Dio può solo rimanere senza risposta» (TL2, 285).<br />
151 Cf. GL7, 191.
382 Giuseppe della Malva<br />
of Balthasar, ever more studied year after year (our Review has<br />
devoted a goodly number of articles to the same) is waiting to be fully<br />
shared within the Church. Studies such as the present one are certainly<br />
useful in this sense, as they re-express and re-propose the subject so as<br />
to make it a thinking which will circulate throughout the Church and<br />
nourish its life, just as Balthasar himself had wished, even perhaps with<br />
added enrichment.
La Metafisica del Dono<br />
nel pensiero di E. Lévinas<br />
di GIAMPAOLO MANCA 1<br />
Il pensiero di Lévinas attira l’attenzione di molti studiosi<br />
del nostro tempo. Anche la nostra rivista gli ha dedicato vari<br />
articoli. Il presente studio viene offerto da uno studioso di<br />
etica e teologia morale. È certamente importante che un moralista<br />
verifichi la valenza di una filosofia che si propone soprattutto<br />
come etica. In un prossimo articolo lo farà confrontando<br />
il pensiero di Lévinas con i problemi che si dibattono oggi sulla<br />
bioetica. In questo articolo l’autore espone magistralmente<br />
le basi del pensiero di Lévinas sulla donazione originaria e sulla<br />
metafisica del dono, titolo, questo, di una sua recente pubblicazione.<br />
Nella sua opera Metafisica del Dono, Giampaolo Manca, affronta, lungo<br />
tutto il pensiero del filosofo francese E. Lévinas (1905-1995), la riflessione<br />
sulla donazione dell’Altro e sulla risposta donante del soggetto (responsabilità<br />
etica). Nel presente articolo l’autore espone in maniera sintetica il pensiero<br />
sulla donazione originaria (donation originelle) presentata dal filosofo<br />
francese, che parlando della relazione con il Prossimo (Autrui, ovvero Altri)<br />
usa molto spesso il verbo donner (donare, dare). Di qui la possibilità di individuare<br />
nel pensiero levinassiano una vera e propria Metafisica del dono, che<br />
può costituire un contributo altamente efficace per il rinnovamento del dialogo<br />
tra filosofia e teologia e, soprattutto, per un “approfondimento ermeneutico”<br />
dei fondamenti etici della Teologia Morale.<br />
1 Dottore in Teologia Morale, laureato in Filosofia con specializzazione in Antropologia<br />
Filosofica, ha pubblicato recentemente l’opera Metafisica del dono, Chirico Editore,<br />
Napoli 2006.<br />
GIAMPAOLO MANCA SAPCR 21 (2006) 383-414<br />
383
384 Giampaolo Manca<br />
1. La soggettività relazionale nel pensiero di E. Lévinas<br />
Sappiamo ormai bene che E. Lévinas ha proposto una relazione del soggetto<br />
con l’Altro (il prossimo), di tipo assimetrico, per cui si realizza una situazione<br />
in cui il primo si spoglia (si denuda) della sua identità “originariamente”<br />
all’insegna dell’egoismo, ovvero del potere e della violenza, per volgersi alla<br />
responsabilità infinita (etica) grazie alla relazione etica con l’alterità dell’altro<br />
che mi sta di fronte. La denudazione non è una limitazione, ma la “rottura del<br />
sistema egoistico ed egocentrico”; rottura che fa cessare il movimento egoistico<br />
del Medesimo (soggetto violento), interrompendo il “per sé” (il conatus essendi),<br />
per farlo diventare per-Altri, o preferibilemnte dono-per-Altri.<br />
Di fronte ad Altri, l’Io conserva tutta la forza, ma ricevendo l’appello<br />
etico nella relazione sociale, si “vergogna” di questa sua tendenza all’egoismo<br />
e all’usurpazione, risvegliandosi così nella sua responsabilità 2 . Nell’irruzione<br />
del Volto d’Altri l’Io si scopre ingiustificato e sempre ingiustificabile<br />
nel suo egoismo, si sente colpevole; ma in forza dell’Alterità, si trasfigura come<br />
“vero soggetto” che è tale nella responsabilità e nell’ospitalità accogliente<br />
di Altri. Il soggetto mette in discussione il proprio potere, per imparare continuamente<br />
a saperlo deporre: «La mia libertà è così messa in causa da un<br />
Maestro che può investirla. Allora, la verità, esercizio sovrano della libertà,<br />
diventa possibile» (TI, 104 [105]).<br />
Essere responsabili significa essere buoni, poiché il soggetto non fa più<br />
calcoli, ma si pone oltre le “strategie violente” del potere, adottate per il conseguimento<br />
del proprio inter-ess-amento. Ora, nella responsabilità l’attenzione<br />
è centrata sull’Altro e sui suoi “bisogni” che causano indigenza e miseria.<br />
Nella responsabilità etica avviene il superamento dell’essere da parte dell’Infinito,<br />
ovvero la «rottura dell’inlacerabile essenza dell’essere» (DMT, 209<br />
[244]), e l’alterità si rivela come senso autentico dell’uomo, liberato dalla violenza<br />
del perseverare nel proprio essere; in questo modo il soggetto diventa<br />
“sempre più soggetto”, “sempre più uomo”, e, allo stesso tempo, l’Altro diventa<br />
“sempre più Altro”, “sempre più uomo”.<br />
2 Cfr. EDE, 244 [202].<br />
In questo riferimento bibliografico all’opera di Lévinas (Scoprire l’esistenza…), e nei<br />
seguenti riferimenti, abbiamo utilizzato una sigla che rimanda all’opera. L’elenco delle sigle<br />
(con relativa opera indicata nell’edizione francese e nell’edizione italiana da noi utilizzate) lo<br />
abbiamo posto alla fine del presente articolo. I due numeri dopo la sigla indicano il numero<br />
delle pagine; quello tra parentesi quadra si riferisce all’edizione in italiano da noi utilizzata.
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 385<br />
Nella relazione sociale si verifica un vero e proprio rovesciamento rispetto<br />
alla metafisica ontologica. Infatti, nell’ontologia l’io è preoccupato di<br />
sé e ciò che lo pone a disagio è la bontà – debolezza dell’uomo che non riesce<br />
nella piena affermazione di sé; nell’etica, invece, l’io si preoccupa dell’Altro<br />
in quanto Altri, che implora aiuto e la consapevolezza della mancanza di bontà<br />
diviene la sua vergogna (“pienezza d’essere”). L’Anteriorità della responsabilità<br />
rispetto alla libertà rappresenta la Bontà del Bene, elezione del soggetto<br />
da parte del Bene (Infinito) che si annuncia nell’Altro, prima di ogni mia<br />
scelta, perché il Bene elegge per primo. In tal modo l’Etica diventa la Filosofia<br />
Prima, la Meta-fisica, e l’ontologia assume una posizione secondaria in<br />
quanto riceve il senso dalla relazione etica (La Metafisica).<br />
Di qui l’affermazione “sconvolgente” del nostro filosofo: il piano etico<br />
“preesiste” 3 al piano ontologico, la responsabilità viene prima della libertà:<br />
«Essere responsabile nella bontà è essere responsabilità al di qua o al di<br />
fuori della libertà. L’etica si insinua in me prima della libertà. Prima della<br />
bipolarità del Bene e del Male, l’io si trova compromesso con il Bene<br />
nella passività del sopportare. L’io si è compromesso con il Bene prima<br />
di averlo scelto» (DMT, 206 [241]).<br />
L’affermazione levinassiana sulla “preesistenza dell’etica sull’ontologia”<br />
si pone certamente all’insegna della novità, per cui abbiamo «l’ etica come<br />
filosofia prima», poiché «l’etica è prima dell’ontologia», «essa è più ontologica<br />
dell’ontologia, più sublime dell’ontologia» (DVI, 143 [114]): l’etica<br />
coincide con la metafisica, metafisica dell’alterità, che noi chiamiamo anche<br />
metafisica del dono, in quanto Altri è donazione originaria, per cui Altri “investe”<br />
il soggetto del dinamismo del dono. Grazie alla preesistenza della dimensione<br />
etica, l’ontologia acquista il giusto senso, il senso del dono.<br />
Il soggetto presentato da Lévinas è posto oltre l’ontologia, esso non è<br />
detto (asserzione teoretica)¸ ma assoluto dire: si esprime, parla 4 . L’elezione o<br />
con-pro-missione con il Bene, che fa nascere la Bontà (responsabilità-per-altri),<br />
è l’altezza più grande, dinamismo vitale che porta all’Altro, che fonda l’identità<br />
del soggetto al di là di un ritorno su di sé; al di là della tendenza al dominio<br />
e all’egoismo che “uccide”. Elezione per l’esodo di un eccomi-per-gli-<br />
3 Cfr. TI, 220 [206].<br />
4 Cfr. AE, 35 [23].
386 Giampaolo Manca<br />
Altri come risposta e-norme 5 , fuori cioè dalla norma dell’essere. Il per-Altri<br />
diviene così un consegnarsi all’Altro, un essere soggetto nel senso di soggezione-ad-Altri,<br />
«sostituzione di ostaggio» (AE, 196 [155]).<br />
La responsabilità, come risposta originaria o preliminare rispetto alla libertà,<br />
cioè senza impegni assunti preliminarmente, «è la fraternità umana<br />
stessa anteriore alla libertà» (AE, 184 [145]). La passività del sop-portare indica<br />
la novità della risemantizzazione della categoria ontologica di sub-stantia;<br />
questa ora significa sopportare la gravità dell’Altro, perché il soggetto è<br />
sub-jectum all’Altro, al di là di una decisione personale. Di qui la conclusione<br />
che «La distinzione tra libero e non-libero non è l’ultima distinzione che<br />
distingue l’umano dal non-umano, e nemmeno il senso dal non-senso» (DMT,<br />
206 [241]). Di qui le affermazioni del filosofo, per il quale Altri investe e giustifica<br />
la mia libertà 6 . Tale investitura si riferisce all’autonomia relazionale<br />
della persona, la cui libertà non è violenza perché investita da Altri, che non<br />
viene totalizzato. L’investitura non annulla l’autonomia, ma ne è la giustificazione,<br />
per cui essa diviene piena di senso e di promesse. Riprendendo Cartesio,<br />
l’alterità è l’idea dell’Infinito, che emerge come evento dell’eteronomia-nell’autonomia,<br />
in una unità-asimmetrica e in una armonia-plurale: l’eteronomia<br />
giustifica la libertà rendendola responsabile di Altri di fronte ad un<br />
appello che io non ho deciso di sentire. La significazione della relazione con<br />
altri, relazione del faccia-a-faccia si ribella ad ogni intellettualismo ontologico,<br />
poiché chiama il soggetto-in-relazione a pensare una Trascendenza al di là<br />
dell’immanenza, ovvero l’eteronomia della responsabilità che “i greci” non<br />
ci hanno insegnato 7 .<br />
Altri, in quanto eteronomia, dona all’autonomia (alla libertà) senso e<br />
compito 8 . Il soggetto esce dalla sua solitudine per vivere il rapporto con Altri,<br />
dinanzi al quale si scopre come il potente, mentre Altri si rivela il debole; di qui<br />
la necessità che io gli offra il mio soccorso 9 . Nella scoperta della mia indegnità<br />
nasce la verità etica, che, innanzitutto, è accogliere la donazione di Altri, pre-<br />
5 Cfr. AE, 283 [228], c.n.<br />
6 Cfr. TI, 281 [257]. Si veda anche: TI, 83-89 [84-89] e 214-215 [202].<br />
7 Cfr. DVI, 48 [41]; qui, nella nota 19, il filosofo precisa: «A meno che essi non ce<br />
l’abbiano suggerito sia nel Démone di Socrate sia nell’entrata attraverso la porta, dell’intelletto<br />
agente in Aristotele».<br />
8 Cfr. EDE, 244-245 [202-203].<br />
9 Nella relazione sociale sono in rapporto anche con Dio, perché «Dio comanda solo<br />
attraverso gli uomini per i quali bisogna agire» (EDE, 246 [204]).
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 387<br />
stargli aiuto, rispettandolo nel suo “mistero”. La coscienza morale è, per Lévinas,<br />
l’accoglienza di Altri, e nasce, solo «quando la libertà, invece di autogiustificarsi,<br />
si sente arbitraria e violenta [cattiva coscienza ]» (TI, 83 [83]).<br />
La filosofia è considerata dal nostro filosofo «esposizione della mia libertà<br />
al giudizio dell’Altro» (EDE, 247 [204]) e in virtù di ciò, Altri è il criterio<br />
supremo da cui dipendono la giustizia e la verità. Di qui la conclusione<br />
che la filosofia, in quanto amore per la verità “sempre futura”, poiché sempre<br />
nuova nella relazione con Altri, si rivela come saggezza dell’amore (AE, 53,<br />
nota 1 [37, nota 5]).<br />
Una figura importante di cui Lévinas si serve per descrivere la soggettività<br />
è quella della prossimità (relazionale), intesa come la significazione<br />
stessa della soggettività convocata dall’Infinito. La prossimità relazionale<br />
non rientra nell’ordine del movimento della conoscenza, non è relativa ad un<br />
sapere a priori 10 . A partire dalla prossimità l’ordine ontologico assume «il<br />
proprio giusto senso» (AE, 33 [21]), proprio perché l’essere è compreso a partire<br />
dal terzo escluso 11 .<br />
Dal pensiero di Lévinas emerge chiaramente che la competenza del riconoscimento<br />
di Altri non è un atto esclusivo del soggetto, ma si tratta di una<br />
competenza propria della persona umana come partecipazione/comunicazione<br />
che avviene nella società con Altri: il soggetto relazionato con l’Altro è il<br />
luogo ermeneutico dell’agire etico (res-ponsabile) dell’uomo-per-l’uomo, nel<br />
cammino storico verso la piena realizzazione, verso il Vero Bene della persona<br />
e della comunità. Di qui il “principio di individuazione” del soggetto umano.<br />
Un nuovo principio al di là dell’ontologia, al di là dei principi ontologici<br />
(aristotelico-tomisti) di materia e forma: «La responsabilità è un’individuazione,<br />
un principio di individuazione. Riguardo al famoso problema “l’uomo<br />
è individuo per mezzo della materia o per mezzo della forma?”, io sostengo<br />
l’individuazione per mezzo della responsabilità per Altri» (EN, 118 [143]).<br />
Di fondamentale interesse per noi è l’affermazione che evidenzia come<br />
l’umano possa essere riconosciuto solo al di là dell’atteggiamento di potere,<br />
da intendersi, aggiungiamo noi, anche come potere di conoscere la dimensio-<br />
10 Cfr. AE, 102-103 [79].<br />
11 Cfr. AE, 30 [19].<br />
Per la metafisica ontologica classica «l’essere è, e il non essere non è», e tertium<br />
non datur. Nella proposta metafisica di Lévinas ritroviamo che questo “terzo”, veramente<br />
non datur nell’ontologia, “si dona” propriamente nell’etica, poiché è l’altrimenti che<br />
essere (Cfr. TI, 259 [238]).
388 Giampaolo Manca<br />
ne biologica a livelli sempre “più profondi”. Ecco l’affermazione di Lévinas:<br />
«L’umano si offre soltanto ad una relazione che non è un potere» (EN, 23<br />
[40]); e questo perché l’umanità si offre al di là dell’interpretazione dei dati<br />
puramente ontici, biologici, genetici, anche se non affatto trascurabili: l’umanità<br />
si dona come ascolto e parola 12 ! Lévinas parla anche di epifania di Altri,<br />
ma per vivere tale epifania e il relativo “ascolto del volto”, è necessaria una<br />
vista “altra”; o meglio, è necessario “l’occhio che ascolta”: «La luce si presenta<br />
[…] nella luce che non è tematica, ma risuona per l’“occhio che ascolta” di una<br />
risonanza unica nel suo genere, della risonanza del silenzio» (AE, 54 [38]) 13 .<br />
Essendo la dimensione etica relazionale-partecipativa, dobbiamo dire<br />
che Io “conosco me stesso ri-conoscendo l’Altro”. Si tratta dell’esperienza dell’incontro,<br />
come passaggio/esperienza 14 , esodo dal Même verso Autrui, un<br />
esodo ermeneutico all’insegna dell’ascolto che conduce “continuamente” a<br />
ciò che “dà senso”. Grazie all’incontro/relazione con l’Altro, il quale manifesta<br />
la sua alterità, traccia dell’Infinito, mi riconosco differente radicalmente da<br />
ogni altro uomo, cioè mi ri-conosco persona, irriducibile ad un concetto teoretico.<br />
C’è una solidarietà profonda tra me, gli altri e il creato: se c’è violenza<br />
sull’Altro, “morte” dell’Altro, nasce necessariamente la morte del proprio Sé.<br />
Dalla responsabilità nasce la giustizia all’insegna del dono. Una Giustizia non<br />
meramente distributiva (suum cuique tribuere), ma caratterizzata dall’uno-perl’Altro<br />
(justitia est secundum ad alterum). 15 . La giustizia consiste nell’anteporre<br />
gli obblighi verso l’Altro agli obblighi verso se stessi, nell’anteporre<br />
l’Altro allo Stesso 16 . È a partire dalla “metafisica del dono” che si acquisisce<br />
competenza nella capacità di “rispondere (re-sponsabilità) ai bisogni” dell’Altro;<br />
la vita vera dell’Altro è la mia vita; così nel cammino storico all’insegna<br />
del dono io divento sempre “più uomo”. L’essere-per-Altri (passività più passiva<br />
di ogni passività) permette, quindi, che si realizzi il sorgere del senso (produzione<br />
di senso) dell’umano, l’Uno-per-Altri, la bontà o carità 17 o «amore<br />
12 Cfr. EN, 22 [40].<br />
13 All’ “occhio che ascolta” si contrappone la visione “chiara e distinta” dell’interpretazione<br />
dei dati scientifici (occhio che vede!), ovvero il permanere nell’ambito dell’ontologia,<br />
che per Lévinas, da Aristotele in poi, l’ontologia è divenuta una scienza del<br />
tutto immanente.<br />
14 Cfr. DL, 253-281 [227-249].<br />
15 Cfr. G. PIANA, “Figure di un’etica della responsabilità”, Hermeneutica 2001. Domande<br />
di etica, Vago di Lovagno: Morcelliana, 2001, 125-151.<br />
16 Cfr. EDE, 237-238 [196].<br />
17 Cfr. EN, 221 [252-253].
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 389<br />
senza concupiscenza» (EN, 241 [273]). Scrive ancora Lévonas: «Nella relazione<br />
personale di me all’altro, l’“evento” etico, carità e misericordia, generosità<br />
e obbedienza, conduce al di là o innalza al di sopra dell’essere» (EN, 221<br />
[252], c.n.).<br />
Per Lévinas la parola responsabilità esprime quanto si vuole comunicare<br />
con i termini biblici ebraici h’essed e rah’amim (misericordia) 18 . In Umanesimo<br />
dell’altro uomo, quando parla di “misericordia”, Lévinas fa esplicito<br />
riferimento al termine ebraico “Rachamìm”: «Pensiamo al terminebiblico “Rachamìn”<br />
[Rachamìm] che si traduce misericordia, ma che contiene un riferimento<br />
alla parola “Rachèm” – utero: si tratta di una misericordia che è come una<br />
commozione di viscere materne» (HAH, 94, note 6 [145, nota 10]).<br />
L’Altrimenti che essere, il senso per l’ontologia, è l’eccomi, risposta alla<br />
parola del volto, suono udibile solo nella sua eco, “semplicità complessa”<br />
di un aver ricevuto (non si sa da dove!) l’ordine di cui non sono autore. È il<br />
rivelarsi dell’Infinito che si contrappone «all’apparire indiscreto e vittorioso<br />
del fenomeno» (EDE, 291 [242]); non si tratta di un trionfo dell’Infinito, ma<br />
di una epifania umile 19 .<br />
2. La donazione originaria “di” Altri nella relazione metafisica<br />
Lévinas valorizza evidentemente l’autonomia del soggetto dinanzi all’eteronomia<br />
di Altri, nella proposta di una rinnovata armonia (conciliazione)<br />
tra autonomia ed eteronomia: il soggetto nella relazione sociale è anch’esso<br />
La tradizione cattolica (si veda, per es., Tommaso d’Aquino) parla della carità come<br />
forma di tutte le virtù. In Lévinas l’amore a-Dio (l’Uno-per-l’Altro), che è anche amore<br />
da-Dio (volto d’Altri) o amore di-Dio (relazione etica), crea continuamente il rispetto<br />
per l’Altro, fino a morire-per-l’Altro. La responsabilità, l’Uno per l’Altro, è liberazione<br />
della libertà che diviene «amore che sa donare» (Cfr. T. LONGHITANO, Il dono che redime.<br />
Il legame tra l’antropologia filosofica e la teologia mistica, Dissertazione dottorale, Roma:<br />
2003, 29).<br />
18 Cfr. “Giustizia, amore e responsabilità. Un dialogo tra Emmanuel Lévinas e Paul<br />
Ricœur”, in E. LÉVINAS, G. MARCEL, P. RICŒUR, Il pensiero dell’altro, Roma: Edizioni Lavoro,<br />
1999, 79.<br />
19 Lévinas riprende la verità umile-incarnata del Dio di Kierkegaard (Cfr. NP, 99-<br />
115 [81-93]). Si veda anche: G. MODICA, Lévinas interprete di Kiergegaard, in AA.VV.,<br />
La persona e i nomi dell’essere. Scritti in onore di Virgilio Melchiorre, vol. II, Milano: Vita<br />
e Pensiero, 2002, 1157-1176, ivi 1164.
390 Giampaolo Manca<br />
inizio e tramite dell’autonomia (autonomia relazionale), ispirato da Altri (eteronomia).<br />
Quest’aspetto esprime un aspetto interessante di Altri che si dona<br />
al soggetto. Così scrive il filosofo:<br />
«Possibilità di trovare, anacronisticamente [fuori dal tempo sincronico<br />
della teoretica, fuori dalla presenza] l’ordine nell’obbedienza stessa e di<br />
ricevere l’ordine a partire da se stesso – questo capovolgimento dell’eteronomia<br />
in autonomia è la modalità in cui l’infinito avviene, modalità<br />
che la metafora dell’iscrizione della legge nella coscienza esprime in<br />
modo rimarchevole, conciliante (in un’ambivalenza la cui diacronia è la<br />
significazione stessa e che, nel presente, è ambiguità) l’autonomia e l’eteronomia»<br />
(AE, 232 [186], c.n.).<br />
L’obbedienza è la modalità del risveglio del soggetto nel suo vivere perl’Altro,<br />
che è già nel-medesimo, ovvero già donato al soggetto, per cui Altri<br />
batte nel cuore del medesimo 20 . Ovviamente “non è un altro medesimo”,<br />
“l’Altro non è un altro Stesso” 21 ; anche in questa dimensione formale, l’Altro<br />
è scandalo che inscrive un’inquietudine 22 , per cui il soggetto è risvegliato<br />
dall’Altro come se questi bussasse alle sue pareti: «L’Altro nel Medesimo<br />
è la mia sostituzione all’altro secondo la responsabilità, per la quale, insostituibile,<br />
sono convocato» (AE, 181 [143]).<br />
Il verbo “battere”, riprende il verbo ebraico pa’am, che significa agitare,<br />
urtare, e anche il battere del cuore (battito cardiaco). Da pa’am deriva il sostantivo<br />
pa’om, ossia battito, pulsazione; e da pa’am deriva anche il sostantivo<br />
pa’amon, ossia colpo della campana 23 . Di qui le considerazioni filosofiche<br />
che l’Altro “risuona” nel soggetto come “battito del cuore e nel cuore”.<br />
È interessante rilevare che il cuore nella cultura semitica indica la sede<br />
delle decisioni, pertanto la sede dell’opzione fondamentale per-Dio e per-Altri.<br />
Si potrebbe anche dire che l’Alterità-nel-Medesimo si configura come opzione<br />
antropologica consegnata nella relazione sociale dall’Uno-all’Altro, op-<br />
20 «Battito dell’Altro nello stesso, il quale, precisamente, agita il riposo. (Ricordo<br />
che in ebraico il colpo e [il battito del] campana hanno la stessa etimologia: il verbo agitare!)»<br />
(DMT, 159 [192]).<br />
21 Cfr. DVI, 130 [104] e DMT, 132 [166].<br />
22 Cfr. DMT, 148 [181].<br />
23 Per l’etimologia ebraica del verbo battere ci siamo riferiti ad una nota J. Rolland<br />
presente in DMT, 159, nota 1 [192, nota 32].
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 391<br />
zione che è dimensione integrante del “contenuto” della stessa soggettività.<br />
La scelta fondamentale risuona nel cuore della soggettività etica (relazionale),<br />
nell’interiorità più profonda dell’uomo; opzione antropologica che inquieta<br />
continuamente il soggetto, senza concedergli sosta per il riposo.<br />
L’idea dell’Infinito si trova nel soggetto, come dimensione relazionale/sociale,<br />
che genera una pre-comprensione antropologica all’insegna dell’accoglienza<br />
(del dono) e della responsabilità o contro-dono, è ospitalità 24 ,<br />
soggettività fondata nell’alterità 25 .<br />
Rileviamo che l’espressione “contro-dono” non deve essere equivocato,<br />
in quanto per noi indica la risposta (re-sponsabilità) che, in quanto personale,<br />
pertanto sempre segnata dall’alterità, è sempre “al di là”, e sempre sovrabbondante,<br />
e-norme, a-simmetrica. Questo è il senso che diamo alla parola<br />
contro nell’espressione contro-dono, in sintonia col pensiero levinassiano.<br />
Nella luce dell’alterità anche le cose assumono un nuovo significato: esse<br />
non si situano più nella prospettiva dell’uso, poiché «un Altro è associato alla<br />
mia relazione con esse. Designando una cosa la designo ad Altri» (TI, 230<br />
[214]). Le cose vengono così situate nella prospettiva d’Altri; anch’esse divengono<br />
dono-per-l’Altro. È l’Alterità a far sì che le cose siano offribili: staccate<br />
dall’egoismo dell’uso, partecipano anch’esse della mia libertà investita!<br />
La responsabilità non è propriamente la decisione di una scelta libera<br />
(incondizionata), altrimenti si resterebbe ancora nel primato del Soggetto<br />
chiuso nell’autonomia, ma è la vera possibilità di affermazione e realizzazione<br />
del soggetto relazionato; la responsabilità viene da un “al di là” della mia<br />
libertà, da un “passato immemorabile”, vera dia-cronia o an-archia. La “responsabilità<br />
infinita” (etica), non è altro che l’anteriorità della “Bontà del Bene”,<br />
ossia il «il Bene prima dell’essere […] che assegna il soggetto […] all’approssimarsi<br />
all’altro, all’approssimarsi al prossimo» (AE, 195 [154-155]).<br />
È qui che comincia il Sé, non nell’auto-posizione sovrana di una libertà illimitata.<br />
Esso comincia nel fatto che «nessuno può sostituirsi a me che mi sostituisco<br />
a tutti […] L’io della responsabilità è io e non un altro» (AE, 200-<br />
201 [159]).<br />
Il soggetto è posto in quanto è deposto, in quanto svuotato dei suoi poteri<br />
violenti, che tendono a ridurre tutto ciò che limita la sua libertà. Per il filosofo<br />
tale svuotamento coincide con la bontà:<br />
24 «Possedere l’idea dell’infinito significa aver già accolto Altri» (TI, 94 [92]). Si<br />
veda anche: TI, 12 [25].<br />
25 Cfr. TI, 11 [24].
392 Giampaolo Manca<br />
«Io responsabile non finisco più di svuotarmi di me stesso. Incremento<br />
Infinito nel suo esaurimento in cui il soggetto non è semplicemente una<br />
presa di coscienza di questo dispendio, ma ne è il luogo e l’avvenimento<br />
e, se così si può dire, la bontà» (DVI, 120 [97], c.n.) 26 .<br />
26 Scrive ancora Lévinas: «La relazione con Altri mi mette in questione, mi svuota<br />
di me stesso e lo fa incessantemente, permettendomi di scoprire così sempre nuove risorse»<br />
(EDE, 269-270 [222], c.n.). Si veda anche: TI, 274 [250].<br />
Pensando al termine svuotamento, non può non venirci alla mente la kénosis<br />
(ksˇnwsij) di cui parla s. Paolo in Fil 2,7. La parola Kénosis ha interessato enormemente<br />
Lévinas, che dichiara di accettare assolutamente, procurandogli spesso delle obiezioni negli<br />
ambienti ebraici (Cfr. TRI, 56 [49]). Lévinas ha dedicato un articolo alla kénosis dal titolo<br />
“Judaïsme et Kénose” (1985), che ora si trova in HN, 133-151 [131-149]. Si veda anche:<br />
lo studio di M. FAESSLER, Humilité du signe et Kénose de Dieu, in J. GREISCH, J. ROL-<br />
LAND (ed.), Emmanuel Lévinas. L’éthique comme philosophie première, Paris: Les Éditions<br />
du Cerf, 1993, 239-257.<br />
Per la comprensione della nozione di kénosis nel nostro pensatore, ci sembra molto<br />
importante il seguente testo: «L’essere è attraverso l’etica. L’uomo, dunque, risponde<br />
dell’universo. Egli fa e disfa i mondi [= l’oggettività di essere Altri], li innalza e li abbassa.<br />
Il regno di Dio dipende da me. Dio ha subordinato la sua efficacia – la sua associazione<br />
al reale e la presenza stessa del reale – al mio merito e demerito; ma proprio questo<br />
Dio regna attraverso la mediazione di un ordine etico, laddove un essere risponde di un<br />
altro. Il mondo è non perché persevera nell’essere, non perché essere sarebbe la sua propria<br />
ragion d’essere, ma perché, attraverso l’operare dell’uomo può essere giustificato nel<br />
proprio essere. L’umano è la possibilità di essere-per-l’altro. È la giustificazione di ogni<br />
esistere […] Più importante dell’onnipotenza di Dio è la subordinazione di tale potenza<br />
al consenso etico dell’uomo. Ed è qui uno dei significati primari della Kenosi» (HN, 145<br />
[143], ultimo c.n.).<br />
Anche l’uso della parola umiltà esprime l’accoglienza da parte di Lévinas del significato<br />
della parola Kénosis (Cfr. TRI, 57 [49]). La parola “umiltà” (humilité) è usata da<br />
Lévinas per tradurre il termine ebraico ‘anawah, che caratterizza Mosé in Numeri, 12, 3<br />
(Cfr. TRI, 57 [49]). La Kénosis, come l’annuncia l’ebraismo (cfr. Salmo 91,15), è – dice<br />
Lévinas – «l’umiltà di Dio nella sua associazione alla miseria dei miserabili!» (TRI, 59<br />
[51], c.n.).<br />
Lévinas parla dell’umiltà di Dio (ksˇnwsij) nel contesto di un discorso sulla preghiera.<br />
Riportiamo l’intero paragrafo per una adeguata comprensione del nozione: «La vera<br />
preghiera non potrebbe mai essere preghiera per sé. Si prega in verità sempre per gli altri<br />
o per Israele, le cui sofferenze nella persecuzione significano attacco alla gloria di Dio<br />
manifestata nella Rivelazione e nelle sofferenze di Israele. Ma ecco la cosa più sorprendente:<br />
l’uomo pieno di sconforto, straziato dal dolore, può pregare per sé. Ma la sofferenza<br />
del particolare è sempre sofferenza di Dio che, secondo il Salmo 91,15, “è con lui nello<br />
sconforto”. Il senso della vera preghiera per sé è una preghiera per un Dio che soffre;
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 393<br />
La libertà è trasformata in responsabilità-per-l’Altro, fino alla sostituzione,<br />
figura questa che esprime il senso ultimo della responsabilità 27 , nel suo<br />
divenire eccomi-per-Altri, rispondente di tutto e di tutti. La sostituzione non<br />
consiste nel mettersi al posto dell’altro uomo, per vivere i suoi sentimenti, per<br />
cui l’uno diventa l’altro, ma è portare conforto ad Altri¸ segnato dalla debolezza<br />
e dalla essenziale finitezza; questo comporta il sacrificio del proprio inter-essa-mento,<br />
per sopportare il peso della sofferenza dell’Altro nella responsabilità<br />
28 .<br />
Ciò che caratterizza ancora la relazione etica, la responsabilità, è l’offerta<br />
del mondo ad Altri 29 , della «diaconia che costituisce la soggettività del<br />
soggetto, tutta intera tensione verso l’altro» (NP, 113 [92]), in una sola parola,<br />
donare e questo poiché<br />
«Il donare è in qualche modo il movimento originale della vita spirituale<br />
[…] La vita spirituale è essenzialmente vita morale e il suo luogo prediletto<br />
è l'economico […] l'Altro è sempre il povero, la povertà lo definisce<br />
in quanto altro, e la relazione con l'altro resterà sempre offerta e dono,<br />
mai avvicinamento “a mani vuote”» (DL, 93-94 [87], secondo c.n.).<br />
ecco il versetto sulla kenosi, come l’annuncia l’ebraismo: l’umiltà di Dio nella sua associazione<br />
alla miseria dei miserabili! E si possono, forse, invertire i termini di questa teologia<br />
della sofferenza e intendere Dio a partire dalla sofferenza che, nella mia sofferenza,<br />
arriva a Lui. Si può dire che Colui che soffre nella mia sofferenza – anche se è quella che<br />
io stesso ho meritato a causa del mio peccato – è Dio […] Le preghiere degli uomini che<br />
soffrono devono alleviare questa tortura o questa “<strong>Passio</strong>ne” di Dio. È questa la kenosi?<br />
Penso che, in ogni caso, sia qualcosa che le si avvicina! La mia formulazione “Dio che<br />
viene all’idea” esprime la vita di Dio. Discesa di Dio! Esprimendoci in tedesco va ancor<br />
meglio: wenn Gott fällt uns ein (“quando Dio ci viene alla mente”). Questo si ricollega a<br />
quel che dicevamo un momento fa sulla prossimità. È probabilmente per questo che il Vaticano<br />
II invita ebrei e cristiani a informarsi reciprocamente sulle loro dottrine. Come se<br />
da questa conversazione dovessimo aspettarci frutti più cospicui di quelli che potrebbe riservarci<br />
la lotta degli uni per la conversione degli altri!» (TRI, 58-60 [50-52]). Si veda anche:<br />
HN, 149-150 [147-148].<br />
27 Cfr. DVI, 129-130 [104]; EN, 65 [86]; TRI, 57 [49].<br />
28 «Sostituirsi è portare conforto associandosi a questa debolezza ed essenziale finitezza<br />
d’altri, sopportarne il peso sacrificando il proprio inter-essamento e la propria<br />
compiacenza-a-essere, che si trasformano in responsabilità per altri». (E. LÉVINAS, “Responsabilità<br />
e sostituzione. Dialogo con Emmanuel Lévinas”, in A. PONZIO, Responsabilità<br />
e alterità in Emmanuel Lévinas, Milano: Jaca Book, 1994, 161).<br />
29 Cfr. TI, 189 [177].
394 Giampaolo Manca<br />
La risposta del donare, per cui la metafisica levinassiana è a buon diritto<br />
metafisica del dono, si pone di fronte ad una donazione originaria, che è<br />
quello di Altri; pertanto, a questo punto, possiamo dire che la responsabilità<br />
si configura come contro-dono. Il dono è far circolare un bene verso l’Altro<br />
con gratuità, ovvero senza garanzia di restituzione, di contropartita, al di là,<br />
pertanto, della razionalità del per-sé 30 . Si dona all’Altro perchè l’Altro sia libero<br />
di donare, escludendo un obbligo della restituzione, evidenziando che<br />
non c’è mai garanzia che l’Altro doni se stesso – si potrebbe pensare al dittatore,<br />
al carnefice, al tiranno: «la restituzione non è assicurata, e il dono dunque<br />
è a rischio, se si dà per ricevere […] Anche la restituzione è un dono» 31 .<br />
Il rivelarsi di Altri non è né abbandono, né perdita. Altri non si sottrae,<br />
ma neppure “dà” la sua interiorità perché sia totalizzata, con-tenuta, com-presa.<br />
La relazione sociale con Altri consiste nel “non-dare” l’alterità, poiché dona<br />
la sua alterità. Cioè, Altri “non-dà” la sua alterità perché venga com-presa,<br />
ma si dona come totalmente Altro, non tematizzabile: Altri dona il suo<br />
non-darsi (es gibt), per questo altri dona veramente se stesso 32 . L’incontro<br />
con l’Altro è così interpretato dal filosofo come donazione, o meglio come<br />
donation originelle: «La trascendenza non è una visione d’Altri ma una donazione<br />
originaria» (TI, 189 [177], c. n ).<br />
Altri si dona al soggetto, e quest’ultimo contro-dona ad Altri: donazione<br />
asimmetrica in piena gratuità: gratuità integrale» (AE, 17 [9]), gratuità dell’amore,<br />
verità che libera l’uomo, «gratuità etica: senza reciprocità» (VI, 44).<br />
L’uno-per-l’Altro, esposizione ad Altri, ha il senso del «“prendersi cura del bisogno<br />
dell’altro”, delle sue infelicità e delle sue colpe, cioè come donare»<br />
(AE, 119 [92]). Il volto d’Altri (la Trascendenza della persona), va riconosciuto<br />
da una “voce”, piuttosto che nel contesto di una visione sensibile: il<br />
volto è parola, ovvero una voce che è appello, invocazione di vita.<br />
Fondamentali, per l’ermeneutica dell’alterità della persona umana, sono<br />
le affermazioni del filosofo concernenti il ri-conoscimento dello sguardo esigente<br />
e supplicante dell’Altro, che chiede di donare al Maestro. Così scrive<br />
Lévinas:<br />
30 Cfr. J.T. GODBOUT, Lo spirito del dono, cit., 307.<br />
31 J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Torino: Bollati Boringhieri, 1998, 79-80.<br />
32 Nei testi levinassiani per esprimere il dono l’autore usa il verbo donner, che in<br />
italiano può tradursi in “dare” o “donare”. La realtà del dono di Altri è espressa anche mediante<br />
un altro verbo importante, se présenter (“presentarsi”), che, alla luce del pensiero<br />
levinassiano, è possibile interpretare sempre nel senso del donarsi.
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 395<br />
«Questo sguardo che supplica ed esige […] si riconosce donando (proprio<br />
come si “mettono in questione le cose donando”) – questo sguardo<br />
è appunto l’epifania del volto come volto. La nudità del volto è indigenza.<br />
Riconoscere significa riconoscere una fame. Riconoscere Altri<br />
significa donare. Ma significa donare al maestro, al signore, a chi si avvicina<br />
come “voi” in una dimensione di maestosità» (TI, 73 [73], c.n.).<br />
Il soggetto nella relazione sociale, è ricondotto alla sua realtà ultima, si<br />
risveglia alla profondità del suo essere uomo come possibilità vera di donoad-Altri:<br />
«Riconoscere altri significa […] instaurare, con il dono, la comunità<br />
e l’universalità» (TI, 74 [74], c.n.). Riconoscere per offrire il proprio essere,<br />
nel senso del servizio: «Io sono per l’altro in una relazione di diaconia: sono<br />
al servizio dell’altro» (DMT, 188 [223]). In altre parole, la responsabilità<br />
si esprime concretamente nella bontà 33 , l’eccomi del servizio, che costituisce<br />
la meraviglia del donare: essere buoni significa donare 34 .<br />
Il corpo è la possibilità stessa del donare 35 , «perché la soggettività è<br />
sensibilità […] e la materia è il luogo stesso del per l’altro» (AE, 124 [96]).<br />
La soggettività incarnata (di carne e di sangue nella materia, esposizione all’Altro)<br />
è donatrice di ogni senso perché donazione originaria, perché Unoper-l’Altro<br />
36 ; relazione a senso unico, perché non ritorna al punto di partenza.<br />
L’uno-per-l’Altro è andare incontro all’Altro senza preoccuparsi del suo<br />
movimento verso di me, perché io compio sempre un passo in più verso di lui,<br />
una risposta sempre in più attraverso la responsabilità 37 . La risposta di Altri<br />
non la conosco e non mi interessa: se si donasse per ricevere, il dono sarebbe<br />
a rischio! Non sono sicuro della risposta dell’Altro, perché c’è assenza di obbligo,<br />
ovvero assenza di contratto, di costrizione e ciò comporta la non-garanzia<br />
della risposta: «La libertà e la non garanzia sono le due facce dello stes-<br />
33 Cfr. TI, 200 [187]. «Il concetto d’Altri non ha certo alcun nuovo contenuto rispetto<br />
al concetto di io; ma l’essere-per-altri non è un rapporto tra concetti la cui comprensione<br />
coinciderebbe, né la concezione di un concetto da parte di un io, ma la mia bontà.<br />
Il fatto che, esistendo per altri, esisto diversamente che non esistendo per me, costituisce<br />
proprio la moralità» (TI, 292-293 [268]).<br />
34 Cfr. NP, 50 [48]. Scrive B. Johnstone: «To be good is to give» (B. JOHNSTONE,<br />
“The Gift: Derrida, Marion and Moral Theology”, Studia Moralia, 42(2004)411-432, ivi<br />
432). 35 Cfr. AE, 111 [86], c.n. Si veda anche: AE, 127, 173 [99, 137].<br />
36 Cfr. AE, 126 [98].<br />
37 Cfr. AE, 134 [105].
396 Giampaolo Manca<br />
so fenomeno» 38 . Il donatore dona non perché utilitaristicamente riceva lui<br />
personalmente, ma perché scopre che il donatario (Altri) è già dono-per-ilsoggetto.<br />
Se Altri non è accolto come dono “che chiama al dono”, si genera<br />
la violenza.<br />
La donazione autentica deve esser un donare fino in fondo, cioè capacità<br />
di strapparsi il pane dalla propria bocca 39 :<br />
«Passività dell’essere per l’altro che è possibile solo nella forma della<br />
donazione del pane stesso che io mangio. Ma per questo bisogna preliminarmente<br />
godere del proprio pane, non tanto per avere il merito di<br />
darlo, ma per dare il proprio cuore – darsi donando» (AE, 116 [90]).<br />
Il dono, poiché è uno «strappare da sé», è «un offrirsi che è sofferenza»<br />
o «la sofferenza nell’offrirsi» (AE, 92 [69]), un soffrire malgrado sé: l’Unoper-l’Altro<br />
attraverso il dolore 40 , in una relazione di prossimità/sostituzione.<br />
Pertanto, la responsabilità infinità è «donare-fino-alla-fine», è «gravità dell’amore<br />
del prossimo», fino al «dono ultimo di morire per Altri» (DVI, 247<br />
[190]). Il dono della vita è il segno vivo della capacità dell’uomo di uscire dal<br />
proprio inter-ess-amento, mettendo in questione l’egoistica persistenza nel<br />
proprio essere: «il superamento nell’umano dello sforzo animale della vita,<br />
puramente vita – del conatus essendi della vita» (EN, 213 [242]).<br />
“Dare il superfluo” 41 non è donare, perché la responsabilità che si esprime<br />
nella forma della donazione significa «l’essere-strappato-da-sé-per-un-al-<br />
38 J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Torino: Bollati Boringhieri, 80. Si veda<br />
anche: Ibid., 21.<br />
Scrive ancora Godbout: «Non c’è mai garanzia di restituzione. È questa una prima<br />
caratteristica fondamentale che distingue il dono dagli altri sistemi sociali. Che cosa implica<br />
questa assenza di garanzia che viene dalla libertà del donatore e di chi riceve? Ciò<br />
presuppone una grande fiducia negli altri. Il dono è il sistema di circolazione delle cose<br />
che richiede la maggior fiducia negli altri. Infatti esso presuppone che, anche se si fa il gesto<br />
del dono al fine di ricevere, gli altri, anch’essi liberi, lo faranno volontariamente, senza<br />
alcun obbligo. Dunque, anche so lo si fa per ricevere, c’è già una differenza importante<br />
tra un sistema di dono e un altro sistema. È la fiducia negli altri che, sola, assicura la<br />
restituzione» (J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, cit., 22).<br />
39 «Dare fino in fondo è infatti dare il pane strappato dalla propria bocca» (DMT,<br />
221 [256]).<br />
40 Cfr. AE, 119 [92].<br />
41 «Il dare offre non la super-flussione del superfluo, ma il pane-strappato-dallapropria-bocca»<br />
(AE, 123-124 [96]).
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 397<br />
tro-nel-dare-all’altro-il-pane-della-propria-bocca, o il poter-dare-la-propriaanima-per-un-altro»<br />
(AE, 126 [98]).<br />
Nei lavori successivi a Totalité et Infini, il filosofo individua il percorso<br />
per ritrovare l’alterità nel cuore stesso del soggetto; per un passaggio dall’eteronomia<br />
all’autonomia relazionale. L’alterità viene dalla diacronia dell’eccomi,<br />
come Altro-nel-medesimo, cioè viene dalla passività dell’Uno-per-l’Altro:<br />
«La passività è il luogo – o più precisamente il non-luogo – del Bene, il<br />
suo far eccezione alla regola dell’essere, sempre scoperto nel logos, il<br />
suo eccettuarsi dal presente […] L’invisibile della Bibbia è l’idea del<br />
Bene al di là dell’essere. Essere obbligato alla responsabilità, questo<br />
non è incominciato mai» (HAH, 78 [121]).<br />
In questo modo, l’Altro è nel Medesimo, e quest’ultimo – senza assimilare<br />
l’Altro – vive l’inquietudine, l’evasione dall’essere totalizzante, vive il<br />
Desiderio di Altri, per poi ritornare all’Essere e donargli il senso della donazione<br />
originaria.<br />
La donazione originaria di Altri è un “attacco non-violento” portato<br />
«alla vita che vive o gode della vita» (AE, 119 [93]), perchè Altri sconvolge<br />
il godimento; il soggetto prende consapevolezza della propria interiorità egoistica<br />
ed egocentrica, vive l’esperienza di poter «interrompere il per sé» (AE,<br />
94 [71]), al fine di «nutrire la fame dell’altro del proprio digiuno» (AE, 94<br />
[71], c.n.). Il dono del soggetto è offrirsi ad Altri¸ come risposta alla stessa<br />
“logica sovrabbondante” 42 del dono di Altri. Anche il corpo del soggetto è<br />
concretamente offerto ad Altri in una relazione caratterizzata dall’imperativo<br />
del servizio; l’Uno deve donare ad Altri 43 .<br />
42 P. Ricœur definisce il dono “logica della sovrabbondanza” o “retorica dell’eccesso”.<br />
Così scrive il filosofo: «È possibile ora introdurre la logica del dono. Abbiamo opposto,<br />
fin dalle prime parole di questa esposizione, la logica della sovrabbondanza alla logica<br />
dell’equivalenza, che, diremo più avanti, è quella degli scambi e delle distribuzioni<br />
giuste. Logica di sovrabbondanza vuol dire: dare più di quel che è dovuto, più di quel che<br />
è atteso, rivendicato, giustamente preteso. Dare senza esigere un ritorno. A questa dissimmetria<br />
tra dare e ricevere si oppone l’equilibrio dello scambio» (P. RICŒUR, “Giustizia e<br />
amore: l’economia del dono”, in D. JERVOLINO, Ricœur. L’amore difficile, Roma: Edizioni<br />
Studium, 1995, 135-153, ivi 139). Si veda anche: P. RICŒUR, Amore e giustizia, Brescia:<br />
Morcelliana, 2000, 35-45.<br />
43 Scrive Lévinas: «Il paradosso di questa responsabilità è dato dal fatto che io mi<br />
trovo obbligato senza che questo obbligo abbia avuto origine in me» AE, 28 [17]). E ancora:<br />
«Obbedienza stra-ordinaria – servizio senza servitù – alla dirittura del viso dell’al-
398 Giampaolo Manca<br />
L’io relazionato significa l’astriction 44 al donare, a piene mani, alla corporeità<br />
45 . Nella relazione sociale, infatti, nasce un vero e proprio “vincolo<br />
morale” (astriction) vissuto nella concretezza vitale della donazione. La soggettività<br />
è tale per il vincolo dell’essere offerto ad Altri, una “obbligazione<br />
etica” 46 che scaturisce dall’essere presi prima da Altri, che dopo aver compreso<br />
Altri. Certo, il soggetto può sottrarsi alla responsabilità originale, perché<br />
è libero, e può esserlo in modo assoluto (autonomia assoluta), con la “caduta”<br />
nella soggettività violenta, incapace di donare. L’obbligazione etica<br />
della donazione significa «essere-stato-offerto-senza-ritegno» (AE, 120 [93]),<br />
prima, cioè, dei limiti trovati con la razionalità teoretica/speculativa.<br />
Il per-Altri “della” 47 donazione esprime la dimensione dell’al di là dell’ontologia<br />
e pertanto anche la dimensione della fede; perché, donare, al di là<br />
delle certezze razionali, esprime la fede in una promessa di bene di cui è portatrice<br />
la relazione sociale, che dice l’umano dell’uomo, in quanto Altri è dono-per-me<br />
che mi fa uscire dal per sé, dall’autonomia assoluta e dalle mie certezze<br />
totalizzanti.<br />
La relazione etica, fondata sulla fede del faccia-a-faccia, costituisce l’originario<br />
“spossessamento” della realtà biologica pura e semplice, «la messa<br />
in comune originaria», «una prima donazione» (TI, 189 [177]), l’offerta di me<br />
stesso e del mondo ad Altri, perché Altri sia e sia veramente. Di qui la meravigliosa<br />
scoperta che «la trascendenza non è una visione d’Altri ma una donazione<br />
originaria» (TI, 189 [177]).<br />
L’incontro con Altri “si produce” fondamentalmente come accoglienza<br />
e come offerta del mondo nel linguaggio. Scrive Lévinas: «La “visione” del<br />
volto non si separa da questa offerta costituita dal linguaggio. Vedere il volto<br />
significa parlare del mondo. La trascendenza non è un’ottica ma il primo gesto<br />
etico» (TI, 189 [177]). Pertanto, il linguaggio, esprime la donazione ori-<br />
tro uomo, il cui imperativo irrecusabile non deriva dalla minaccia e la cui autorità incomparabile<br />
comanda attraverso una sofferenza e si dice precisamente parola di Dio. È qui che<br />
probabilmente Dio viene all’idea! Risposta da mantenere in questa obbligazione. Essa non<br />
è mai esaustiva e non annulla mai la responsabilità» (TRI, 62 [53-54]).<br />
44 Astriction deriva dal verbo astringere, che significa – oltre che stringere e chiudere<br />
– legare, vincolare, obbligare.<br />
45 Cfr. DMT, 220 [256].<br />
46 È importante distinguere l’obbligazione etica dalla necessità, poiché l’obbigazione<br />
ha la sua significazione nel riferirsi alla libertà umana, che detiene sempre la facoltà<br />
di non-rispondere.<br />
47 Da intendersi come genitivo soggettivo.
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 399<br />
ginaria, apre la prospettiva dell’orizzonte del senso per l’uomo. La Trascendenza,<br />
che la tradizione biblico-giudaica riconosce alla persona umana, esprime<br />
le caratteristiche stesse del soggetto autonomo-relazionato che si pone<br />
nella prospettiva eterocentrico-oblativa. In sintonia con tale tradizione, Lévinas<br />
non considera la persona umana alla stregua degli altri enti, come oggetto<br />
da utilizzare per i propri benefici, ma con essa ogni uomo è chiamato a vivere<br />
il “dialogo della responsabilità”, perché possa avere senso la libertà del<br />
soggetto responsabile. La Trascendenza indica pertanto non una “sostanza al<br />
di là del mondo” 48 , ma una relazione, il primo gesto etico.<br />
Nella terza sezione di Totalité et Infini, Lévinas analizza il rapporto tra<br />
volto e ragione, presentando affermazioni molto interessanti ai fini della Metafisica<br />
del dono. Così scrive il filosofo: «il volto instaura la ragione […] il<br />
volto è l’evidenza che rende possibile l’evidenza» (TI, 178 [209]); «nell’accoglienza<br />
del volto, la volontà si apre alla ragione» (TI, 241 [224]).<br />
Abbiamo visto sopra che il volto è da ricondurre alla donazione originaria<br />
e, pertanto, dobbiamo rilevare che l’instaurazione della ragione si ha<br />
con la donazione; il volto è anche dire, è linguaggio che da Altri giunge all’Uno,<br />
è tradizione 49 , tradizione del dono nella relazione sociale: linguaggio<br />
del dono!<br />
«Il dire è il fatto che davanti al volto io non resto semplicemente là a<br />
contemplarlo, gli rispondo. Il dire è un modo di salutare altri, ma salutare<br />
altri significa già rispondere di lui. Davanti a qualcuno è difficile tacere<br />
[…] rispondere a lui è già rispondere di lui» (EI, 82-83 [102-103]).<br />
Lévinas precisa ancor meglio che cos’è la ragione, affermando che «il<br />
linguaggio non solo serve la ragione, ma è la ragione» (TI, 182 [212-213]). Il<br />
volto instaura la ragione anche perché fonda il dialogo, caratterizzato dalla bipolarità<br />
Soggetto-Altri:<br />
«È, nella sua bipolarità insormontabile, il fenomeno originale della ragione.<br />
Gli interlocutori come singolarità, irriducibili ai concetti che co-<br />
48 «Con la nozione di trascendenza Lévinas non intende indicare la caratteristica di<br />
una sostanza che sta al di là del mondo – secondo il senso metafisico classico di trascendenza<br />
– bensì un’originale relazione processuale tra due termini, di natura etica, in cui il<br />
soggetto è implicato pur senza esserne all’origine» (G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas,<br />
cit., 145).<br />
49 Cfr. AE, 263 [211].
400 Giampaolo Manca<br />
stituiscono comunicando il loro mondo o facendo appello alla giustificazione<br />
d’Altri, presiedono alla comunicazione. La ragione presuppone<br />
questa singolarità o queste particolarità, non a titoli di individui offerti<br />
alla concettualizzazione o che si spogliano della loro particolarità per ritrovarsi<br />
identici, ma appunto come interlocutori, esseri insostituibili,<br />
unici nel loro genere, volti. La differenza tra le due tesi: “la ragione crea<br />
i rapporti tra l’Io e l’Altro” e “l’ammaestramento dell’Io da parte dell’Altro<br />
crea la ragione” non è puramente teorica» (TI, 282 [258]).<br />
Il Medesimo e l’Altro presiedono a quella comunicazione importante<br />
che costituisce la «genesi della mente umana» 50 .<br />
Il dialogo è all’insegna della non-violenza, perchè Altri, infatti, è la nonviolenza<br />
per eccellenza, che instaura la libertà del Medesimo e la investe in<br />
responsabilità infinita. L’alterità «mette fine alla violenza e alla contingenza<br />
e, anche in questo senso, instaura la ragione»( TI, 223 [209]), la ragione della<br />
pace, perché «l’Altro non è per la ragione uno scandalo, ma il primo insegnamento<br />
razionale, la condizione di ogni insegnamento» (TI, 177 [208]), la<br />
promessa del Bene infinito per l’uomo. Nella relazione sociale «risiede il carattere<br />
razionale della relazione etica e del linguaggio» (TI, 222 [208]).<br />
L’irrazionalità è costituita dall’Io che vuole esercitare il suo potere, che<br />
fa rientrare tutto nel sistema, incapace di porsi in ascolto di Altri, ma solo capace<br />
di monologo che porta alla libertà arbitraria e violenta. Ricevere, accogliere<br />
Altri, significa essere istruito 51 , superamento incessante di sé o tempo.<br />
Solo a partire dalla relazione sociale (etica) si apre il campo della Ragione<br />
e della verità, perché «il volto è l’evidenza che rende possibile ogni evidenza,<br />
al pari della veracità divina che sostiene il razionalismo cartesiano»<br />
(TI, 224 [209]) 52 .<br />
50 A questo proposito scrive C. Taylor: «La genesi della mente umana non è “monologica”,<br />
ossia non è qualcosa che ciascuno di noi sviluppa per conto proprio, ma dialogica»<br />
(C. TAYLOR, Il disagio della modernità, Bari: Editori Laterza 2002, 39).<br />
51 «Un essere che riceve l’idea dell’infinito – che riceve, in quanto non la può trarre<br />
da sé – è un essere istruito in modo non maieutico, un essere il cui esistere stesso consiste<br />
in questa incessante ricezione dell’insegnamento, in questo incessante superamento<br />
di sé (o tempo). Pensare significa avere l’idea dell’infinito o essere istruito» (TI, 223<br />
[209]). 52 Scrive ancora Lévinas: «Il pensiero comincia con la possibilità di concepire una<br />
libertà esterna alla mia. Pensare una libertà esterna alla mia è il primo pensiero […] La<br />
condizione del pensiero è una coscienza morale» (EN, 27 [45]).
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 401<br />
3. La verità come circolarità asimmetrica di dono e contro-dono<br />
Nella relazione etica, l’Altro, poiché si esprime 53 , è sempre da ascoltare,<br />
attraverso un “esodo ermeneutico dall’essere”, tale da permettere di accogliere<br />
la rivelazione di Altri. Nel contesto ontologico, la persona si riduce ad<br />
un concetto adeguato alla ragione, ad un oggetto di comprensione, ovvero<br />
“persona concettualizzata” secondo schematismi rigidi di un pensiero deduttivo;<br />
si tratta dunque della persona senza mistero, ovvero non è più persona.<br />
La stessa cosa si deve affermare per Dio e il suo mistero. Lévinas non nega la<br />
fiducia nella ragione, bensì afferma che la ragione nasce nella relazione soggetto-Altri<br />
54 , in cui si ritrova il vero orizzonte di senso, che esprime la Trascendenza<br />
di Altri e dello stesso soggetto.<br />
L’esperienza dell’alterità, che costituisce «l’esperienza per eccellenza»<br />
(TI, 10 [23]), è la verità:<br />
«Nella verità il pensatore è in rapporto con una realtà che è distinta da<br />
sé, altra da sé […]. La verità indicherebbe allora la meta finale di un<br />
movimento che parte da un mondo intimo e familiare, per quanto non<br />
ancora del tutto esplorato, verso l’estraneo, verso un là, come ha detto<br />
Platone. Più che un’esteriorità, la verità implicherebbe la trascendenza.<br />
La filosofia si occuperebbe dell’assolutamente altro, sarebbe l’eteronomia<br />
stessa […]. Per questo la filosofia si identifica con la metafisica e<br />
la metafisica s’interroga sul divino» (EDE, 229-230 [189-190]).<br />
Alla verità Lévinas riconosce la dimensione eteronoma, che scaturisce<br />
dal fatto che necessariamente implica l’assolutamente altro, l’eteronomia in<br />
quanto tale. Di ciò si è sempre occupata la metafisica, ma non è stata in grado<br />
di coglierla. La verità è epifania a distanza, in un rapporto di “relazione”<br />
nella “separazione”:<br />
«La verità presuppone un essere autonomo nella separazione – la ricerca<br />
di una verità è appunto una relazione che non si fonda sulla privazione<br />
del bisogno. Cercare e ottenere la verità significa essere in rapporto,<br />
non perché si è definiti da altro da sé, ma perché, in un certo senso<br />
non si manca di niente» (TI, 55 [59]).<br />
53 Cfr. TI, 61 [64].<br />
54 Cfr. TI, 282 [258].
402 Giampaolo Manca<br />
La ricerca della verità è relazione, rapporto con l’esteriorità, e l’esteriorità,<br />
cioè la Trascendenza, è la verità, fondata sul linguaggio:<br />
«La verità sorge là dove un essere separato dall’altro non vi si immerge<br />
ma gli parla. Il linguaggio che non tocca l’altro, foss’anche di tangenza,<br />
raggiunge l’altro interpellandolo o comandandolo, o obbedendogli con<br />
tutta la correttezza di queste relazioni. Separazione ed interiorità, verità<br />
e linguaggio – costituiscono le categorie dell’idea dell’infinito o della<br />
metafisica» (TI, 56-57 [60]).<br />
La verità è modalità della relazione tra il Medesimo e l’Altro, dove l’uno<br />
è dono per l’Altro, in quell’astriction che realizza la circolarità del donocontro-dono.<br />
La verità è il dis-corso del dono nella relazione Medesimo-Altri:<br />
è il discorso filosofico, la sapienza dell’amore 55 .<br />
Lévinas si oppone a quella conoscenza fondata sull’ontologia tradizionale<br />
che si configura come assolutizzazione della deduzione teoretica (empirismo,<br />
funzionalismo, ontologismo, biologismo, ecc.), per cui il Nostro decide<br />
di passare ad una conoscenza all’insegna dell’inter-leggere da intendersi<br />
come contemplazione dis-inter-essata 56 . La verità è intesa come rispetto di<br />
Altri che va incontro all’intelletto, interpellandolo; e l’opera dell’intelletto è<br />
aspirazione all’esteriorità, che è Desiderio; ma non è conoscenza oggettiva, è<br />
discorso, è capacità di accogliere la donazione originaria dell’Altro in quanto<br />
Altri, rispondendo ai suoi bisogni, perché viva in modo pieno; e ciò dà senso<br />
anche alle relazioni che il soggetto instaura con il Mondo 57 . Nella relazione<br />
sociale inizia il linguaggio, che è ascolto dell’Altro, e la nota caratteristica del<br />
linguaggio è l’interpellanza, il vocativo: «La società è il luogo della verità. Il<br />
rapporto morale con il Maestro che mi giudica, sottende la libertà della mia<br />
adesione al vero. Così inizia il linguaggio» (TI, 104 [100]).<br />
Il linguaggio manifesta la singolarità dell’uomo come essere parlante,<br />
perché risponde, è responsabile 58 . Il linguaggio può essere parlato solo ed<br />
esclusivamente se il soggetto si de-pone al di là di ogni sistema totalizzante<br />
(orizzonte di identificazione); l’interlocutore, affinché ci possa essere il linguaggio<br />
del dono, non deve essere posto sul mio stesso piano: «L’interlocu-<br />
55 Cfr. TI, 66 [68].<br />
56 Cfr. ECFP, 67 [47].<br />
57 Cfr. HS, 77 [59].<br />
58 Cfr. EN, 38 [54].
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 403<br />
tore non è un Tu, è un Lei» (TI, 104 [100]), e «la mia libertà è così messa in<br />
causa da un Maestro che può investirla. Allora, la verità, esercizio sovrano<br />
della libertà, diventa possibile» (TI, 104 [101]). La verità, quindi, non è da intendersi<br />
nel senso di svelamento (come in Heidegger) 59 , ma come manifestazione<br />
kath’autò, nel senso che Altri parla, si dice al soggetto, si dice a noi 60 .<br />
La donazione originaria di Altri “ispira” il soggetto, lo muove a parlare<br />
e «la mia risposta […] produce la sua verità» (TI, 324 [299]). Cosi il soggetto<br />
diviene “profeta”, perché parla in nome della donazione originaria, dell’Infinito,<br />
testimonianza viva di promessa di Bene per il soggetto e per Altri,<br />
al di là di ogni violenza, nella res-ponsabilità 61 . La “ri-velazione” di Altri è<br />
significare o avere un senso: presentarsi significando è parlare. Il significato<br />
è l’irruzione dell’esteriorità e il discorso è «una relazione originaria con l’essere<br />
esterno». Tale relazione (discorso/dialogo) «è la produzione di senso»<br />
(TI, 61 [64], c.n.) nel fuori-contesto della donazione di Altri. O meglio, la produzione<br />
del senso è data dalla circolarità ermeneutica dono/contro-dono. Si<br />
tratta della sporgenza della verità sull’essere, definita da Lévinas con una metafora:<br />
curvatura dello spazio intersoggettivo 62 .<br />
Lévinas riprende la soggettività trascendentale proposta da Kant, ma<br />
ne propone un “rivisitazione”, ovvero la presenta come soggettività al servizio<br />
dell’“oggettività dell’essere”. Tale oggettività però non è certo da intendere<br />
nel senso dell’essere come fenomenalità. Pertanto, il soggetto-in-relazione<br />
si pone in ascolto del volto d’altri, donazione originaria, che attende<br />
“risposta”. L’oggettività coincide così con il linguaggio che nasce nella relazione<br />
sociale:<br />
59 «Riconoscere la verità come svelamento significa rapportarla all’orizzonte di colui<br />
che svela […] L’essere svelato è relativamente a noi e non Kath’auto» (TI, 59 [62-63]).<br />
60 Così scrive Lévinas: «La manifestazione kath’auto consiste per l’essere nel dirsi<br />
a noi, indipendentemente da qualsiasi posizione che noi potremmo aver preso nei suoi<br />
confronti, nell’esprimersi […] l’essere non si situa nella luce di un altro ma si presenta da<br />
sé nella manifestazione che deve soltanto annunciarlo […] L’esperienza assoluta non è<br />
svelamento ma rivelazione» (TI, 60-61 [64]).<br />
61 La giustizia è risposta ai bisogni veri dell’altro uomo in quanto Altri: justitia est<br />
secundum ad alterum.<br />
62 Scrive il filosofo: «Questa sporgenza della verità sull’essere e sulla sua idea che<br />
noi suggeriamo con la metafora della “curvatura dello spazio intersoggettivo”, significa<br />
l’intenzione divina di ogni verità. Questa “curvatura dello spazio” è, forse, la presenza<br />
stessa di Dio» (TI, 324 [300]).
404 Giampaolo Manca<br />
«L’oggettività non è ciò che resta di un utensile o di un cibo, separati<br />
dal mondo in cui entra in gioco il loro essere. Essa si pone in un discorso,<br />
in un intra-ttenimento che propone il mondo. Questa proposizione<br />
è tenuta tra due punti che non fanno sistema, cosmo o totalità. L’oggettività<br />
dell’oggetto e il suo significato provengono dal linguaggio»<br />
(TI, 97 [95]).<br />
Il significato oggettivo delle cose ha la propria origine al di là dell’oggettività<br />
dell’oggetto, cioè in Altri, indipendente dai movimenti del soggetto.<br />
Altri è interlocutore nella bipolarità della diversità, irriducibile ad una<br />
forma, ad un tema.<br />
4. Il “giusto senso” donato all’ontologia. Dall’etica alla giustizia: il terzo<br />
Il problema della giustizia dell’essere trova la sua genesi nell’esistenza<br />
degli Altri del mio prossimo. Infatti, se ci fossi soltanto io e il mio prossimo<br />
non ci sarebbero problemi, in quanto gli dovrei tutto in assoluta gratuità. Di<br />
conseguenza, non sarebbe necessaria la tematizzazione e la riflessione, perché<br />
non ci sarebbe nessuna comparazione e nessun calcolo da effettuare. Ma<br />
questa assoluta gratuità viene turbata a partire dall’entrata in scena del “terzo”,<br />
ovvero degli Altri di Altri o degli Altri prossimi.<br />
Di qui la nascita del problema della giustizia, le cui esigenze implicano<br />
tematizzazione, sincronia, oggettivazione, presenza, intenzionalità ecc. – ovvero,<br />
la presenza dell’essere (ontologia), che però ha ricevuto e sempre riceve<br />
il vero senso dall’etica, ove il non comparabile – il mio prossimo e il prossimo<br />
del prossimo – diventa ora comparabile: è necessaria una sinossi a partire<br />
dall’altro dell’essere, per cui la “filosofia dell’essere” diviene non una “filosofia<br />
della violenza”, ma una “filosofia del dono”, in cui la ragione è capace<br />
«di fermare la violenza per raggiungere l’ordine [ontologia] della pace»<br />
(AE, 33 [22]). Rileviamo che “ci piace” interpretare «l’ordine della pace» come<br />
l’ontologia rinnovata dalla significazione della donazione originaria. Il<br />
per-Altri è pertanto responsabilità per l’Altro e per il Terzo, è giustizia.<br />
Non una condanna dell’essere, quindi, ma addirittura una rinnovata visione<br />
di esso: a partire dalla prossimità etica (relazione sociale non totalizzante)<br />
l’essere assume il giusto senso, perché è capito a partire dall’altro dell’essere:<br />
«Il modo di pensare qui proposto non consiste nel misconoscere l’essere<br />
e neppure nel trattarlo, secondo una pretesa ridicola e sdegnosa, co-
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 405<br />
me cedimento di un ordine o di un disordine superiore. Ma è a partire<br />
dalla prossimità che l’essere assume, al contrario, il proprio giusto senso»<br />
(AE, 19 [21], c.n.).<br />
La donation originelle produce la giustizia perché il volto d’Altri si rivela<br />
immediatamente «volto unico e in rapporto con dei volti» (AE, 246<br />
[198]).<br />
La “logica dell’equivalenza” (reciprocità/giustizia/essere), per essere<br />
veramente tale, deve portare in sé la traccia della bontà, ossia la traccia di<br />
quell’al-di-là-dell’essenza che permette non un calcolo ideale, dove gli individui<br />
sono strumenti di una collettività che deve funzionare negando l’individualità,<br />
ma un “calcolo” che, pur essendo tale, è investito dal dono dell’alterità<br />
e ciò permette di investire di bontà gli Altri, il Terzo, ovvero «La giustizia<br />
inizia con Altri» (EDE, 241 [199], c.n.). In tal modo si eleva la giustizia<br />
al di sopra della semplice delimitazione sospettosa del mio e del tuo (giustizia<br />
distributiva: uniquique suum) e si orienta in un altro senso, risposta all’Altro,<br />
verso il Bene dell’Altro e del Terzo (justitia est secundum ad alterum),<br />
nel quale io sono debitore di tutti.<br />
Se non ci fosse la bontà (l’Uno-per-l’Altro), la giustizia si ridurrebbe<br />
sempre all’utilitarismo, la cui regola è quella del do ut des (certezza del contraccambio<br />
in forza di un contratto) e dell’uniquique suum, che è il tema dell’essere<br />
come potere e violenza (ingiustizia) e non dell’essere come giustizia.<br />
La relazione con il terzo non fa altro che “tradire” la mia relazione anarchica<br />
con l’Infinito, in una incessante testimonianza della relazione asimmetrica.<br />
Essa legittima il servizio responsabile dello Stato e della politica, che si<br />
occupano di regolare i rapporti nel rispetto e nell’accoglienza della dignità di<br />
tutti e di ciascuno (bene comune). Li legittima perché trova loro una fondazione<br />
«pre-etica che impedisce la degenerazione in una mera tecnica dell’equilibrio<br />
sociale» 63 . Tutto ciò ha una notevole implicazione per il soggetto<br />
stesso, in quanto bisogna ammettere che nella molteplicità ci sono anch’io,<br />
perché anch’io sono tra gli Altri del mio prossimo: «io sono altri per gli altri»<br />
(AE, 247 [198]). La giustizia (dimensione ontologica), è “oggettivazione”<br />
della mia relazione con l’Alterità, vivendo la responsabilità verso gli al-<br />
63 A. PEPERZAK, “Introduzione a Altrimenti che essere”, in ECFP, [136].<br />
Una politica e uno Stato ispirati dal Bene sono ciò che effettivamente garantiscono<br />
la giustizia (cfr. ibid. [135-136]). Essa nasce a partire dal terzo, ovvero a partire dall’Altro<br />
in quanto è “multiplo” (Cfr. B. BORSATO, L’alterità come etica, cit., 132).
406 Giampaolo Manca<br />
tri e verso me stesso, mediante un progetto antropologico all’insegna del dono-ad-Altri.<br />
5. La metafisica del dono per l’ontologia della pace<br />
Abbiamo rilevato come, secondo Lévinas, la relazione sociale costituisce<br />
la vera metafisica, perché<br />
«Essa è rivolta all’“altrove”, e all’“altrimenti”, e all’“altro” […] essa<br />
appare infatti come un movimento che parte da un mondo che a noi ci<br />
è familiare […] da una casa “nostra” e nella quale abitiamo, e va verso<br />
una casa “non-nostra” ed estranea, verso un laggiù» (TI, 21 [31]).<br />
L’incontro con l’Altro uomo, assolutamente Altro rispetto a me, annuncia<br />
l’Infinito, annuncia il comandamento etico dell’amore 64 : «Questo infinito,<br />
più forte dell’omicidio, ci resiste già nel suo volto, è il suo volto, è l’espressione<br />
originaria, è la prima parola: “non uccidere”» (TI, 217 [204]) e<br />
questo perché di fronte all’Altro io scopro il mio potere violento e, allo stesso<br />
tempo, la chiamata al bene che Altri mi rivolge e che è il mio stesso bene.<br />
L’espressione del volto non sfida la mia debolezza di potere, ma il mio “potere<br />
di potere”: «un potere su ciò che sfugge al potere. Ancora potere, dato che<br />
il volto si esprime nel sensibile; ma già impotenza, dato che il volto fa a pezzi<br />
il sensibile» (TI, 216 [203]). La resistenza di ciò che non ha resistenza, è<br />
resistenza etica dell’epifania del volto, la cui prima parola è il comandamento<br />
della vita.<br />
64 «Volto, al di là del visibile che si offre allo sguardo, al potere della rappresentazione<br />
che già sfigura altri e non vi ritrova che una forma plastica. Significazione del volto,<br />
nudità senza difesa, rettitudine di una esposizione alla morte, mortalità e, nello stesso<br />
tempo, significazione di un comando, un comandamento: “Non ucciderai!”. Obbligo di rispondere<br />
dell’unico, e per questo di amare: amore al di là di ogni sensibilità, pensiero dell’unico:<br />
Amore di Dio nell’amore del prossimo. Tale significazione etica originaria del<br />
volto significherebbe in questo modo, senza alcuna metafora o figura, in senso rigorosamente<br />
proprio, la trascendenza di un Dio che non è oggettività, nel volto in cui parla, che<br />
non “prende corpo”, ma che si avvicina esattamente attraverso questo rinvio al prossimo,<br />
obbligando gli uomini gli uni verso gli Altri, rispondendo ognuno della vita di tutti» (HN,<br />
201-202 [201-202]).
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 407<br />
L’intento prioritario del nostro filosofo non è quello di costruire una nuova<br />
etica, bensì quello di «cercarne il senso» 65 , di qui la ricerca ermeneutica al<br />
fine di individuare i «principi primi dell’etica» 66 . L’etica è la filosofia prima che<br />
cerca, non dei contenuti dogmatici o moralistici, ma le condizioni di possibilità<br />
dell’etica stessa: «L’etica è il campo che designa il paradosso di un infinito in<br />
rapporto col finito senza smentirsi in questo rapporto» (AE, 232 [186]).<br />
Il vero “esistere” del soggetto consiste nell’accogliere l’idea dell’Infinito,<br />
ovvero nell’essere incessantemente istruito dalla donazione di Altri, superando<br />
il potere del per-sé. Di qui l’affermazione levinassiana sul “pensare razionale”:<br />
«pensare significa avere l’idea dell’Infinito o essere istruito. Il pensiero<br />
razionale si riferisce a questo insegnamento» (TI, 223 [209]).<br />
La relazione sociale introduce in me ciò che non era in me e questa azione<br />
pone fine alla violenza, instaura la Ragione, che consente il passaggio dall’ontologia<br />
della violenza all’ontologia della pace, perché alla Ragione «si attribuisce<br />
la virtù di fermare la violenza per raggiungere l’ordine della pace»<br />
(AE, 33 [22]). L’insegnamento della donazione originaria è «elezione da parte<br />
del Bene che, per l’appunto, non è azione, ma la non-violenza stessa»<br />
(HAH, 77 [120]), «non-violenza per eccellenza», che libera la mia libertà finita<br />
instaurandola in responsabilità infinita:<br />
«Il volto in cui si presenta l’Altro – assolutamente altro – non nega il Medesimo,<br />
non gli fa violenza come l’opinione o l’autorità o il sovrannaturale<br />
taumaturgico. Resta a misura di chi accoglie, resta terrestre. Questa presentazione<br />
è la non-violenza per eccellenza, infatti invece di ledere la mia<br />
libertà la chiama alla responsabilità e la instaura. Non-violenza, mantiene<br />
però la pluralità del Medesimo e dell’Altro. È pace» (TI, 220 [206]).<br />
La pace è accoglienza della diversità dell’Altro (dono gratuito) che mi<br />
ri-crea, per una comunità generata al donarsi, poiché Altri non fa altro che<br />
donarsi a me per primo e, allo stesso tempo, Altri mi ordina di servirlo:«diaconia<br />
prima di ogni dialogo» (EI, 94 [111]) e il donare si identifica pienamente<br />
con lo «spirito umano» (EI, 93 [110]). La donazione ad Altri della dia-<br />
65 «Il mio compito non consiste nel costruire un’etica; tento soltanto di cercarne il<br />
senso […] Si può senza dubbio costruire un’etica in funzione di ciò che ho detto, ma non<br />
è questo il mio tema specifico» (EI, 85 [105]).<br />
66 G. MURA, “La ‘provocazione’ etica di Emmanuel Lévinas”, introduzione all’edizione<br />
italiana di EI, [5-6]).
408 Giampaolo Manca<br />
conia esprime il senso vero dell’Infinito, testimonianza (traccia, gloria) dell’Infinito<br />
67 , il disinteressamento dell’eccomi:<br />
«Accusativo meraviglioso: eccomi sotto il vostro sguardo, obbligato,<br />
vostro servitore […]. Il discorso religioso preliminare ad ogni discorso<br />
religioso non è il dialogo. È l'eccomi detto al prossimo a cui sono consegnato<br />
e in cui si annuncia la pace, cioè la mia responsabilità per altri»<br />
(DVI, 98 [123]).<br />
Tutto ciò non significa rinunciare alla propria diversità, bensì si tratta di<br />
una chiamata ad arricchirsi della diversità dell’Altro. La pace è l’unità delle<br />
diversità, l’unità della pluralità:<br />
«L’unità della pluralità è la pace e non la coerenza di elementi che costituiscono<br />
la pluralità. La pace non può quindi identificarsi con la fine dei<br />
combattimenti che cessano per mancanza di combattenti, per la sconfitta<br />
degli uni e la vittoria degli Altri, cioè con i cimiteri e gli imperi universali<br />
futuri. La pace deve essere la mia pace, in una relazione che parte da<br />
un io e va verso l’Altro, nel desiderio e nella bontà in cui l’io contemporaneamente<br />
si mantiene ed esiste senza egoismo» (TI, 342 [314]).<br />
Altri fa irruzione, appare al soggetto nella prossimità etica che permette<br />
il dischiudersi del senso nel compimento dell’umanità del soggetto stesso,<br />
che esce dalla chiusura egoistico-centrica, dalla cecità e dalla sordità nei confronti<br />
dell’Altro uomo, poiché «l’umano è la possibilità di essere-per-l’altro»<br />
(HN, 145 [143]). Di qui la conclusione che «la pace con l’altro è prima di tutto<br />
mio affare. La non-indifferenza, il dire, la responsabilità, l’approssimarsi,<br />
è la liberazione dell’unico responsabile – di me» (AE, 217 [174]).<br />
Per Lévinas la relazione sociale fondata sulla donazione è la sola che<br />
può assicurare un futuro di pace, poiché essa si offre al soggetto prima della<br />
sua stessa libertà, o meglio instaura la libertà, perché noi siamo com-pro-messi<br />
con il Bene prima che esso venga scelto; com-pro-missione nella “passività”<br />
dell’accogliere e del donare 68 .<br />
67 Cfr. DVI, 98 [122].<br />
68 Lévinas non ha affatto «la certezza» che la donation originelle «possa trionfare»,<br />
poiché «vi possono essere periodi in cui l’umano si estingue completamente» (EN, 124<br />
[148-149]).
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 409<br />
La com-pro-missione con il Bene (Altri), però, si vive esclusivamente<br />
nella «fede del faccia a faccia» 69 , che costituisce la risposta in cui è inscritta<br />
la promessa del Bene tanto per il singolo quanto per la comunità; promessa<br />
già testimoniata da coloro che ci hanno preceduto, che hanno amato fino a<br />
morire per-l’altro. La fede è la struttura originaria della coscienza morale, coincidente<br />
con la relazione sociale; quest’ultima mostra come è superficiale ed<br />
inopportuna ogni opposizione tra fede e ragione. La fede nell’Altro, promessa<br />
di bene per il soggetto e la comunità, genera un sapere non violento, un sapere<br />
che “non uccide”, ma genera la vita: è questa, per Lévinas, la sapienza<br />
dell’Amore.<br />
Il soggetto responsabile vive pienamente la sua umanità grazie alla relazione<br />
sociale, per cui si passa dall’“autonomia totalizzante” all’autonomia relazionale<br />
del soggetto, che per il dono dell’alterità dell’Altro si trascende,<br />
compie quell’esodo di liberazione dalla schiavitù nell’inter-ess-amento del<br />
per-sé, alla responsabilità della “sostituzione” all’Altro (diaconia/dono): «Trascendersi,<br />
uscire da casa propria al punto di uscire da sé, è sostituirsi all’altro:<br />
[…] espiare per l’altro» (AE, 279 [225], c.n.). L’essere è così ricreato come<br />
“luogo” della Donazione e della Vita per l’Altro e per il Soggetto stesso.<br />
La relazione Soggetto-Altro costituisce il centro/vertice per il dono del<br />
senso alla dimensione ontica e per la moralità della persona; in questo modo il<br />
soggetto è radicalmente salvato (HAH, 97 [150]) dall’alterità dell’Altro, e non<br />
dall’essere. Di fatto è proposto un “nuovo orizzonte di senso”, in una ri-nnovata<br />
circolarità ermeneutica Soggetto-Altro, per cui il Nostro parla di una «Sinngebung<br />
etica» (» (EDE, 188 [154]), ovvero Sinngebung relazionale: essa si<br />
“produce” solo nella relazione sociale, luogo dell’accoglienza e del rispetto dell’Altro.<br />
In Lévinas l’idea dell’Infinito, ovvero l’Alterità relazionale (Trascendenza)<br />
– rivelantesi nella relazione etica –, rappresenta la donazione di senso,<br />
la significazione e quindi la direzione vera cui tende tutto l’agire dell’uomo, un<br />
agire che è promessa di realizzazione personale anche per il Soggetto, promessa<br />
di realizzazione vera per l’intera comunità. Per questi motivi Ph. Nemo afferma<br />
che «Emmanuel Lévinas è il filosofo dell’etica, senza dubbio il solo moralista<br />
del pensiero contemporaneo» 70 . La «vera essenza dell’uomo» è signifi-<br />
69 E. LÉVINAS, G. MARCEL, P. RICŒUR, Il pensiero dell’altro, cit., 65.<br />
70 PH. NEMO, Premessa al dialogo, in EI, 7 [41].<br />
Così scrive G. Mura, esperto del pensiero di Lévinas: «Lévinas è considerato oggi<br />
come uno dei più grandi, forse il solo, moralista del secolo, non perché abbia elaborato<br />
una qualche filosofia morale, ma perché ha evidenziato quelli che si potrebbero chiamare
410 Giampaolo Manca<br />
cata dal ri-conoscimento dell’alterità dell’Altro, farlo vivere come Altro da me<br />
– attualizzazione della creatio ex nihilo –, realizzando una opzione per la Vita,<br />
“infinitamente diversa dalla violenza” del mio egocentrico narcisismo, che nega<br />
l’esistenza dell’Altro. Il vero senso donato all’uomo nella donation originelle<br />
della relazione sociale è produrre la verità dell’Altro 71 , con la responsabilità<br />
infinita, nel donare la Vita all’essere, in una parola, Pace.<br />
Conclusione<br />
Il pensiero di Lévinas fa emergere che la donazione originariia di Altri e<br />
il dono di sé ad Altri, in quanto promessa di realizzazione piena per il soggetto<br />
e per la comunità, costituisce la struttura originaria della persona: l’uomo è donazione,<br />
e in quanto donazione originaria è persona. Lui solo prende consapevolezza,<br />
nella relazione etica, di essere tale donazione, poiché capace di cogliere<br />
la significazione di Altri e di Sé, per poi donare il senso all’essere<br />
Riteniamo di poter dire che la coscienza non inventa il Bene e neppure lo<br />
ritrova nei dati, ma lo riceve in dono dall’Altro, nella relazione etica, in cui la<br />
vita meta-fisica dischiude il senso della vita e “crea” la coscienza. Il dono del<br />
senso, viene altresì testimoniato nella stessa comunità umana e passa continuamente<br />
dall’Uno all’Altro, rinnovandosi e arricchendosi: il senso del dono e il<br />
dono del senso è tradizione, che per noi cristiani si arricchisce con la pienezza<br />
del dono del Cristo, il quale si è “svuotato” (ksˇnwsij) per la vita di Altri 72 .<br />
Accogliendo la proposta levinassiana, siamo ora maggiormente convinti<br />
del fatto che soprattutto la Teologia Morale debba imparare continuamente<br />
a ripartire dal contesto relazionale in cui si rivela il discorso del per-Altri, ov-<br />
i «principi primi» dell’etica, i principi che rendono etica ogni etica, che sono propri, in<br />
modo categorico, dell’etica in quanto tale» (G. MURA, “La ‘provocazione’ etica di Emmanuel<br />
Lévinas”, Introduzione all’edizione italiana di EI, [33-34], ivi [5-6]).<br />
71 Cfr. TI, 324 [299].<br />
72 «Il dare [nel senso di donare] si situa, dunque, non solo al livello creazionale dell’essere<br />
e dell’esistere, ma costituisce anche l’anima dell’evento salvifico della croce. Dopo<br />
la radicale donazione di sé, fatta da Cristo sulla croce, ogni dare cristiano diventa una<br />
proiezione storica del passaggio pasquale del Figlio di Dio nella sua umanità mortale.<br />
Comprendendo la risposta la risposta del Padre al dono del Figlio, la Pasqua di Gesù è<br />
completa con la risurrezione e con il dono definitivo dello Spirito» (A. WODKA, “L'oblatività<br />
neotestamentaria e il discorso etico-morale. II: il dono del dare (2 Cor 8-9)”, Studia<br />
Moralia, 37(1999)5-33, ivi 31, c.n.
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 411<br />
vero del dono di sé fino allo “svuotamento”. Purtroppo, la Teologia Morale,<br />
nei secoli, è stata intaccata – e forse lo è ancora – da elementi di un intellettualismo<br />
disincarnato, che hanno portato alla proposta di un soggetto separato<br />
e solipsistico e ad una impostazione fortemente deduttiva e poco induttiva<br />
della morale. Il sapere autentico, in cui s’inscrive anche il “sapere” della Teologia<br />
Morale, riconosce il suo debito alla relazione etica, che produce la verità<br />
per la Vita, verità che può essere vissuta. Così scrive G. Angelini:<br />
«La stessa idea di verità nella sua accezione più radicale rimanda alla figura<br />
del senso, della proporzione dunque del reale con il desiderio di vivere<br />
che è costitutivo dell’uomo. Sicché verità per eccellenza è soltanto<br />
quella della quale appunto l’uomo può vivere» 73 .<br />
Ci pare di poter interpretare la con-pro-missione con il Bene, che proviene<br />
da un passato anarchico, come la promessa della Vita umanamente realizzata<br />
(vita buona), che ci giunge attraverso la relazione etica fondata sulla<br />
fede del faccia-a-faccia, in quanto essa non si fonda su teorie scientifiche, anche<br />
se tiene conto di quanto afferma la scienza; anzi, ribadiamo che i dati<br />
scientifici ri-cevono il senso anche dalla precomprensione antropologica. Il<br />
bene per la persona, in tutte le fasi della sua esistenza (dal concepimento alla<br />
morte), in cui riconosciamo l’appello alla vita piena, personale, è sempre “bene<br />
creduto” ed in quanto creduto può dirsi veramente “Il Bene per l’embrione<br />
umano”. Esso è al di là del piano ontico, e proprio perché “ho fede” in esso,<br />
io vivo la responsabilità-per-l’Altro e non il contrario; cioè, non cerco conoscenze<br />
scientifiche per decidere in favore della vita dell’altro, scelgo il suo<br />
futuro, che si annuncia nella relazione etica. La coscienza morale, in quanto<br />
fede del faccia a faccia è dunque coscienza credente, che muove la responsabilità<br />
del soggetto verso l’Altro con i gesti più grandi di accoglienza voluti per<br />
fede, perché «volere si può soltanto a prezzo di riconoscere nell’atto stesso la<br />
via promettente che sola consentirà a me di trovarmi» 74 .<br />
Il linguaggio del dono, come risposta ad Altri, dischiude la prospettiva<br />
del sensato nella e per la comunità. Questo perché<br />
«La funzione originale della parola non sta nel designare un oggetto allo<br />
scopo di comunicare con altri, in un gioco di nessuna importanza, ma<br />
73 G. ANGELINI, Teologia Morale fondamentale, Milano: Glossa, 1999, 569.<br />
74 G. ANGELINI, Teologia Morale fondamentale, cit., 569.
412 Giampaolo Manca<br />
nell’assumere per qualcuno una responsabilità presso qualcuno. Parlare<br />
vuol dire impegnare gl’interessi degli uomini. Essenza del linguaggio<br />
sarebbe la responsabilità» (QLT, 46 [51].).<br />
La Trascendenza, che noi riconosciamo nella persona, esprime le caratteristiche<br />
del soggetto autonomo-relazionato, che si pone nella prospettiva<br />
eterocentrico-oblativa; tale riconoscimento impone che la persona (dal concepimento<br />
alla morte) non sia considerata puro “oggetto”, puro e semplice materiale<br />
biologico (come l’embrione) da sfruttare per benefici personali o di<br />
gruppo, ma lasciato “essere” nella sua diversità. La Trascendenza, riconosciuta<br />
in seno all’opzione antropologica – che ha in sé l’opzione di fede –, indica,<br />
pertanto, non una «sostanza al di là del mondo» 75 , ma il primo gesto etico per<br />
la giustizia che dona la Vita.<br />
Elenco delle opere di Lévinas in italiano<br />
citate con relative abbreviazioni<br />
AE Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Paris: Kluwer Academic,<br />
1996 (1974) [Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano: Jaca<br />
Book, 1983].<br />
DL Difficile liberté. Essais sur le judaïsme, Paris: Albin Michel, 1995<br />
(1963); second édition revue 1976)[Difficile libertà. Saggi sul giudaismo,<br />
Milano: Jaca Book, 2004].<br />
DMT Dieu, la mort et le temps, Paris: Grasset, 1995 (1993) [Dio, la morte<br />
e il tempo, Milano: Jaca Book, 1996].<br />
DVI De Dieu qui vient à l’idée, Paris: Vrin, 1992 (1982); seconde édition<br />
revue et augmenteé, 1986 [Di Dio che viene all’idea (conforme alla<br />
prima edizione): Milano: Jaca Book, 1986].<br />
EDE En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Paris: Vrin,<br />
1984 (1949) [Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Milano:<br />
Raffaello Cortina editore, 1998].<br />
ECFP Etique comme philosophie premiére, Paris: Payot & Rivages, 1998<br />
(1982 [Etica come filosofia Prima, in Lévinas E. –PEPERZAK A., Etica<br />
come filosofia prima, Milano, Guerini e Associati, 1989, 47-59].<br />
75 G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas, cit., 145.
La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 413<br />
EI Étique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Paris: Librairie Arthème<br />
Fayard et Radio-France, 1984 (19821)» [Etica e Infinito. Dialoghi<br />
con Philppe Nemo, Roma: Città Nuova, 1984].<br />
EN Entre nous. Essais sur le penser-à-l’autre, Paris: Grasset, 1993 (1991)<br />
[Tra noi. Saggio sul pensare all’altro, Milano: Jaca Book Melangolo,<br />
1998].<br />
HAH Humanisme de l’autre homme, Montpellier: Fata Morgana, 1994<br />
(1972) [Umanesimo dell’altro uomo, Genova: Il melangolo, 1985].<br />
HN A l’heure des nations, Paris: Minuit, 1988 [Nell’ora delle Nazioni,<br />
Milano: Jaca Book, 2000].<br />
HS Hors sujet, Montpellier: Fata Morgana, 19941 [Fuori dal soggetto,<br />
Genova: Marietti, 1992].<br />
NP Noms propres, Montpellier: Fata Morgana, 1987 (19751); [Nomi propri,<br />
Casale Monferrato: Marietti, 1984].<br />
QLT Quatre lectures talmudiques, Paris: Les éditions de Minuit, 1968<br />
[Quattro letture talmudiche, Genova: Il melangolo, 2000].<br />
TI Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Paris: Kluwer Academic,<br />
1990 (1961) [Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano: Jaca<br />
Book, 1990].<br />
TRI Transcendance et intelligibilité. Suivi d’un entretien, Genevre: Labor<br />
et Fides, 1996 (1984) [Trascendenza e intelligibilità, Genova: Marietti,<br />
1984].<br />
VI Il volto infinito. Dialoghi (1992-1993).<br />
A cura di A. Biancofiore, Bari: Palomar, 1999<br />
THE METAPHYSICS OF GIFT IN THE THOUGHT OF E. LÉVINAS<br />
By Giampaolo Manca<br />
The thought of Lévinas is drawing the attention of many scholars of our<br />
time. Even our Review has devoted various articles to the same. The<br />
present study is authored by a scholar of ethics and moral theology. It<br />
is certainly important that a moralist should verify the validity of a<br />
philosophy which above all else is proposed as a study in Ethics. In a
414 Giampaolo Manca<br />
coming article he will do just this as he confronts the thought of<br />
Lévinas with those problems debated today regarding bio-ethics. In the<br />
present article the author masterfully expounds on the basis of Lévinas’<br />
thought regarding original donation and the metaphysics of donation,<br />
which forms the title of a recent publication.
Pastorale e Spiritualità 415<br />
Le XXI “spade” della via Mariae<br />
Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale<br />
dall’infanzia alla croce<br />
di ROBERTO A. M. BERTACCHINI<br />
Seconda parte dell’articolo pubblicato in SapCr XXI (2006), 291-312.<br />
La vita di Nazareth<br />
Qui è la «colomba» nascosta nella roccia, di cui parla il Cantico dei<br />
cantici. 1 A Nazareth Maria vive costantemente con Gesù, in intimità col Verbo<br />
di Dio (XIII asse della sua via). E c’è un salto di qualità rispetto alla corrente<br />
comprensione della vita cristiana. Non si tratta di pregare un’ora al giorno,<br />
e neppure sei o sette. È qualcosa di totalmente diverso. Paolo ne accenna<br />
quando dice: pregate incessantemente. 2 Nei primi secoli del monachesimo vi<br />
furono gli acemeti, il cui ideale era quello di rinunciare anche al sonno, pur di<br />
non interrompere la preghiera. Ma gli acemeti forse non avevano capito proprio<br />
al 100%, perché il salmista dice: anche nel sonno il mio cuore mi istruisce.<br />
3 Gesù qualche volta pregava anche di notte, altre si alzava prestissimo<br />
per pregare; ma normalmente dormiva anche lui. E altrettanto Maria. Tuttavia<br />
anche quando lei dormiva, Gesù le dormiva a poca distanza, sotto lo stesso<br />
tetto. Mt 18, 20 dice: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in<br />
1 Cfr CT 2,14. Dal punto di vista della via Mariae Nazareth è importante per alcuni<br />
tratti che emergono da Luca, e anche per qualche altro del tutto plausibile derivabile<br />
da qualche mistica, ecc.<br />
2 1Tess 5, 17.<br />
3 «Invano vi alzate di buon mattino,/ tardi andate a riposare/ e mangiate pane di sudore:/<br />
il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» [Ψ 127, 2]; «anche di notte il mio cuore<br />
mi istruisce» [Ψ 16,7]. Alla lettera sarebbe durante le notti i miei reni mi hanno corretto:<br />
ciò che si può intendere anche in senso metaforico. Infatti i reni purificano, e le purificazioni<br />
spirituali avvengono nelle notti interiori, dove si operano le separazioni dalle<br />
scorie degli affetti e dei giudizi disordinati.<br />
ROBERTO A.M. BERTACCHINI SAPCR 21 (2006) 415-429
416 Roberto A.M. Bertacchini<br />
mezzo a essi». Ciò significa che vivere insieme a Gesù, in intimità con Gesù,<br />
è possibile anche oggi, sotto opportune condizioni. Ma per ora non entro nel<br />
merito di cosa significhi essere riuniti nel nome di Gesù, che è cosa un po’ diversa<br />
da come talvolta s’intende.<br />
Questa intimità ha due note di fondo, senza le quali non si comprenderebbe<br />
la comunione spirituale dell’anima col suo Dio. La prima è la tenerezza.<br />
Quella di una mamma verso il suo piccolo sembra scontata. Invece nella vita<br />
spirituale nulla è ovvio. E, soprattutto, non è scontato trattare Dio con delicatezza<br />
e con tenerezza. Baciare Gesù era facile, baciarne l’anima molto meno.<br />
Ed è qui la delicatezza e il tatto della Vergine, che quando a Gesù lava i piedini<br />
è consapevole che sta adorando il Verbo di Dio, annichilitosi in un bimbetto.<br />
La seconda nota è che Maria si fa cibo di Dio. Lo fa durante la gestazione, dando<br />
a Gesù il proprio sangue; lo fa poi allattandolo; e lo continuerà a fare in Egitto<br />
digiunando per dare a Gesù il necessario. Non si può far crescere Dio in noi<br />
e in mezzo a noi, senza sacrifici e senza tenerezza e delicatezza. Dio tratta Abramo<br />
da amico, perché ne vede la maturità umana e la solidità di cuore e di pensiero.<br />
E altrettanto troviamo in Maria, dove l’ossequio verso il Signore si fonde<br />
nel calore di un affetto delicato e sempre rispettoso.<br />
Questo asse della via Mariae, 4 bisogna ammettere che anche nei santi<br />
lo si ritrova a fatica, almeno come chiara trasparenza mariana. 5 Forse in Madre<br />
Teresa, che in effetti era spinta a trattare i poveri con un affetto orientato<br />
dalla consapevolezza della presenza in loro di Gesù, e anche dalla sensibilità<br />
che partecipa della sofferenza dell’altro, sentendola in sé, e rispondendo consolando.<br />
Probabilmente in Cusmano, che ben comprese la differenza tra beneficenza<br />
e carità cristiana: se il povero non è accolto nella Chiesa come in<br />
una famiglia, e col calore della famiglia, non ci siamo proprio. E per questo<br />
egli arrivava a praticare e chiedere un eroismo che era vero ossequio, perché<br />
ai poveri si dava un trattamento migliore che a se stessi. Macrina fu un’altra<br />
grande, ma visse nel sec. IV, e il popolo cristiano per lo più oggi neppure ne<br />
ricorda il nome.<br />
4 È ancora il primo: quello della douleia sacra, che ora si precisa nel modo.<br />
5 Ciò dipende infatti molto dalla cultura. Il Dizionario Enciclopedico di Spiritualità<br />
(E. ANCILLI ed.), omette la voce ossequio, ritenendo dunque il concetto marginale. Negli<br />
scritti di Loyola il senso dell’ossequio è molto forte, così anche l’invito a una preghiera<br />
intima e affettiva. Tuttavia il riferimento a un archetipo mariano non è evidente. Inversamente<br />
in una spiritualità fortemente mariana, come quella della Lubich, ricorre il tema<br />
della volontà di Dio, ma non l’ossequio come asse ascetico.
Le XXI “spade” della via Mariae 417<br />
Per i dodici anni di Gesù, 6 la famigliola sale al Tempio con particolare<br />
gioia e solennità: Gesù diverrà maggiorenne e gli saranno riconosciuti i diritti<br />
e doveri di un israelita adulto. Tra essi anche quello della emancipazione,<br />
ossia del non dover render conto ai genitori delle sue azioni. È per questo che<br />
resterà nel Tempio a loro insaputa. Ma quando Maria si accorge di averlo perso,<br />
per lei è un colpo: è la dodicesima spada. Spiegare in cosa consista non è<br />
tanto semplice, perché in quel momento Maria fu presa da molte emozioni e<br />
pensieri. Ci fu l’ansia della mamma che non sa dov’è suo figlio, e non le sembra<br />
una cosa normale. Dunque si interroga: perché? Ho fatto qualcosa che non<br />
dovevo? C’è la moglie che vede il marito preoccupato. Infine c’è la «Sposa»<br />
cui viene a mancare lo «Sposo». Ed è propriamente questa la spada: Dio si<br />
sottrae all’intimità con l’anima, senza preavviso e senza apparente motivo. E<br />
in un attimo l’anima passa dalla pienezza all’esser vuota, svuotata del suo Tesoro.<br />
È un buco tanto più terribile quanto maggiore sia la precedente autocomunicazione<br />
divina, la precedente intimità.<br />
La risposta di Maria a questa spada è complessa: per prima cosa torna<br />
indietro. Non è Dio che deve andare da lei, ma lei da Dio. Così si spoglia del<br />
suo essere mamma, ossia propriamente della sua autorità materna. Era stata<br />
necessaria per far crescere Gesù, ma adesso vi è una discontinuità, e Maria<br />
l’accetta. È un momento di buio e di confusione, cui accenna anche il Vaticano<br />
II nella parte finale della Lumen gentium, parlando di peregrinatio fidei (n.<br />
58). «Perché Gesù non mi ha detto?»: questo tormento si fa esame di coscienza,<br />
alla ricerca inutile – e ancor più dolorosa – di qualche sbaglio (non<br />
certo di Gesù). E così è costretta a rivivere più penosamente la propria inadeguatezza.<br />
Non avrebbe mai voluto separarsi da quel Figlio, ma comprende<br />
che quella sarebbe stata solo la prima di molte altre e più dolorose separazioni.<br />
Forse già intuisce, nella sua lungimiranza, che nella sua missione non potrà<br />
seguire il messia. Madre e poi, in un certo senso, messa da parte, come serva<br />
inutile. E Maria di nuovo scende: sono una serva inutile. Uno spasimo. Ma<br />
quando Gesù insegnerà ai suoi discepoli: dopo aver fatto tutto questo, dite:<br />
«Siamo solo servi inutili», 7 pensava alla sua mamma, e indicava la via per<br />
imitarla.<br />
6 Secondo la Valtorta, Hillel riconobbe in Gesù il messia. È dunque plausibile che<br />
si fosse realizzata da poco la profezia della soppressione del regno di Giuda. Dato che essa<br />
avvenne nel 6 d.C., fu probabilmente poco dopo quell’evento che Gesù si rivelò ai dottori<br />
del Tempio, e comunque prima della morte di Hillel (10 d.C.).<br />
7 Lc 17, 10.
418 Roberto A.M. Bertacchini<br />
L’assenza di Gesù – ossia un’assenza non preavvisata – è per Maria la<br />
degradazione da madre di Dio a moglie di Giuseppe. E Maria ingoia e scende,<br />
scende senza fermarsi fino all’abisso. E si sente indegna anche di essere<br />
moglie. Ritiene giusto tutto, il ripudio del Figlio, ed anche quello eventuale<br />
del marito. 8 Serva inutile… e giustamente messa da parte. Don Milani visse<br />
qualcosa di simile, per quasi tutta la vita. De Lubac, gesuita, si trovò più o meno<br />
in questa situazione: il superiore della comunità gli ordinava di andare in<br />
un’altra, distante molte ore di viaggio. E, arrivato lì, gli si ordinava di tornare<br />
indietro. Visse su un treno per oltre un mese. A Padre Pio per anni fu proibito<br />
avere contatti con le persone… Messi da parte. Servi inutili. E Maria come<br />
risponde? Accettando pienamente la «degradazione» a moglie: «Tuo padre<br />
e io, angosciati, ti cercavamo…». 9 S. Paolo, dopo aver ricevuto la visione<br />
che gli cambierà la vita, torna a Tarso a fare il suo mestiere, e vi resterà<br />
sinché Barnaba non si ricorderà di lui e se lo andrà a prendere. 10 Per chi vive<br />
al centro del Vortice divino, esser messo da parte è un colpo tanto più profondo<br />
quanto più intensa sia la fusione in Dio. Sentirsi ripudiati da Dio è semplicemente<br />
terribile. Ma è in quest’inferno che l’anima matura alla virtù della<br />
soavità. E questo (XIV) è l’asse più noto della spiritualità mariana, ancorché<br />
talvolta non ben compreso.<br />
Quella di Maria è infatti una soavità radicale, che si sviluppa a partire da<br />
una piallatura radicale: resa perfetta dalle cose che patì. 11 Non si può comprendere<br />
il senso della piallatura, se non si scende nella vergogna che l’anima<br />
prova. 12 Chi non conosce il disonore non può capire. Ma anche chi lo conosce,<br />
8 Secondo Hillel, si poteva essere ripudiate per molto meno, anche solo per aver cucinato<br />
male… Cfr R. PENNA, L’ ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bologna<br />
1991, p. 42.<br />
9 Lc 2, 48.<br />
10 Cfr Atti 9, 30; 11, 25.<br />
11 Cfr Ebr 5, 8s.<br />
12 La vergogna è il muro di separazione più tremendo. Gesù in croce vive una vergogna<br />
cosmica. Il Padre che non lo riconosce e che ratifica il giudizio dei sacerdoti, è un<br />
«padre» che ripudia il figlio. E Gesù-ripudiato è un Gesù ricoperto della vergogna del ripudio.<br />
Ne segue che nel grido di abbandono Gesù manifesta la propria vergogna. Vergogna<br />
di figlio ripudiato; vergogna di uomo disonorato; vergogna di israelita scomunicato;<br />
vergogna di messia fallito; vergogna di Dio dedivinizzato. Non c’è vergogna umana che<br />
possa paragonarsi alla sua. Persino il santo che improvvisamente si ritrova peccatore, perché<br />
misteriosamente Dio gli sottrae la sua Grazia, e che dall’abisso della vergogna continua<br />
a lodare e a benedire Dio, non prova che in modo infinitamente pallido la vergogna
Le XXI “spade” della via Mariae 419<br />
solo alla lontana comprende cosa significhi sentirsi disonorati da Dio. La vita<br />
diventa un deserto, senza nessuna attrattiva. Tutto è amaro, anche la lode umana,<br />
che si accoglie con sobrietà per non esser scortesi, ma che dentro suona irridente,<br />
inutile, vuota. Il Ripudio divino è la Grande Medicina che trasforma l’anima<br />
docile in sacramento stabile dello Spirito Santo. Maria fu sempre tale sacramento<br />
ma, come Gesù, anche lei cresceva in età sapienza e grazia. 13 Luca,<br />
sobrio nella sua narrazione, ci lascia una traccia del cataclisma che segnò l’anima<br />
della Vergine. Infatti dice che Gesù restò loro sottomesso. 14 Nella stessa vita<br />
dei santi è raro trovare qualcosa del genere. Una delle poche eccezioni potrebbe<br />
essere (forse) Padre Pio. La soavità di Maria prima e dopo la maggiore<br />
età di Gesù sembra la stessa, ma non è più la stessa; e infatti Luca annota: serbava<br />
tutte queste cose nel suo cuore. 15 Maria stava diventando in modo sempre<br />
più profondo sacramento del Padre, che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli<br />
ingiusti. 16 Quando Dio si sottrae in modo violento all’anima, è per renderla quel<br />
sole che egli è, 17 nella notte infinita del peccato. Ecco perché la soavità non è<br />
più la stessa. Perché si è inserita una distanza radicale tra l’anima e il mondo.<br />
S. Agostino in una pagina accenna alla sua solitudine di Vescovo, pur circondato<br />
da tanti amici e da una comunità che lo amava. Eppure avverte che ben pochi<br />
riescono a scendere nell’intimo del suo cuore. La sottomissione di Gesù è<br />
dunque la risposta all’oblazione perfetta di Maria.<br />
di Gesù. Occorre entrare nel mistero della vergogna di Dio, per comprenderne non solo e<br />
non tanto la piccolezza, quanto l’infinità dell’Amore. Per comprendere la via cristiana e il<br />
rapporto fra via, verità e vita. Tutto è infatti chiuso nel sigillo della vergogna. Il sigillo battesimale,<br />
come il sigillo apocalittico non è altro che la vergogna (oggi ne abbiamo perso<br />
un po’ il senso, ma è possibile risalirvi attraverso due tracce: la teologia della discesa agli<br />
inferi e la storiografia della Chiesa antica: emblematico è ad es. il «duello» tra Ambrogio<br />
e la Chiesa di Milano che lo vuole Vescovo). Solo chi vive in modo immacolato la vergogna,<br />
ossia senza giudizio e senza ribellione, grato a Dio della condivisione intima del<br />
destino dei più disgraziati che gli viene concessa, e per i quali sente sgorgare spontaneo<br />
un affetto profondo e senza alterità, solo questi ha realmente fatto propria la via cristiana.<br />
Questi vive realmente la pasqua, il passaggio dalla regione della dissimilitudine al paradiso<br />
della somiglianza. Perché è la vergogna che blocca l’affetto e crea alterità. È la condivisione<br />
della vergogna che ristabilisce l’affetto e la Comunione. Maria fu completamente<br />
avvolta dalla vergogna del Figlio.<br />
13 Lc 2, 52.<br />
14 Lc 2, 51a.<br />
15 Lc 2, 51b.<br />
16 Cfr Mt 5, 45.<br />
17 Cfr Mt 13, 43.
420 Roberto A.M. Bertacchini<br />
A Nazareth Gesù lavorò con Giuseppe, 18 fino alla morte di questi, che<br />
si immagina avvenuta quando Gesù era adulto, nella pienezza della sua forza<br />
fisica. Per Maria fu un dolore, come lo è sempre il distacco da una persona<br />
cara. Ma insieme a esso vi fu la doppia consolazione di saperlo nel seno di<br />
Abramo, 19 e che gli fossero risparmiate le sofferenze connesse alle successive<br />
vicende messianiche. Dopo la morte di Giuseppe, Gesù divenne formalmente<br />
capofamiglia; tuttavia nelle attese dei compaesani Maria conservò sul<br />
Figlio un ascendente, che divenne per lei la tredicesima spada. Gesù era ormai<br />
in età di sposarsi, tutti vedevano che era bravo nel lavoro, onesto, pio. Sarebbe<br />
stato un buon marito… Di fatto andò più o meno così: qualche ebrea<br />
che gli aveva messo gli occhi addosso lo fece capire alla madre, e qualche padre<br />
non ebbe bisogno di imbeccate. Così Gesù era invitato alle feste dove sarebbe<br />
stato possibile scambiare qualche parola con la figlia. Qualche volta andò<br />
per cortesia, ma la cosa non ebbe seguito. Qualche volta declinò l’invito.<br />
Questo comportamento lasciava perplessi, e iniziarono le pressioni su Maria.<br />
In questi casi è facile opporre un rifiuto, se esiste qualche altra candidata<br />
che sia preferita. Ma questo non era il caso e, per non offendere le «pretendenti»,<br />
alla fine fu necessario lasciar trasparire la verità: Gesù non aveva<br />
alcuna intenzione di sposarsi. E a quel punto le pressioni su Maria cambiarono<br />
registro: tuo figlio è tanto religioso, ma la legge e i rabbini invitano tutti a<br />
sposarsi. Devi fargli capire che sta sbagliando, sei sua madre, alla fine… Il<br />
consenso sociale si coagula contro Gesù, e Maria non riesce a fare breccia per<br />
sgretolarlo. Non può. Se lo facesse dovrebbe mettere i nazareni gli uni contro<br />
gli altri, produrre divisione, creare inimicizie. E Maria non ci pensa proprio.<br />
Invece comprende che quel dissenso sociale si ripeterà durante la missione<br />
pubblica. L’accusa di essere una madre debole e troppo accondiscendente è<br />
poca cosa rispetto ai giudizi che sente serpeggiare, e che saranno quelli che<br />
ritroveremo accentuati durante la predicazione. Non dicono ancora che Gesù<br />
è un demonio, ma che è un tipo strano sì, che è senza criterio, sì.<br />
Loro non sanno che stanno giudicando il Verbo di Dio, ma Maria lo sa.<br />
Perciò percepisce con chiarezza l’oggettività del peccato e la sua gravità; e<br />
vede benissimo che vi sono due mentalità destinate a scontrarsi: quella di Dio,<br />
e quella del «buon senso» umano, per non dir peggio. Il miracolo farà brec-<br />
18 Non abbiamo fonti che parlano della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Al massimo<br />
si trova qualcosa nelle visioni di qualche mistica (belle alcune pagine della Valtorta).<br />
La parte che segue è dunque particolarmente una ricostruzione senza pretese storiche.<br />
19 Cfr Lc 16, 22.
Le XXI “spade” della via Mariae 421<br />
cia nelle persone semplici, di buon cuore. Ma né il miracolo né la predicazione<br />
potranno scalfire la mentalità mondana, nella sua forma più radicale e patologica.<br />
Ecco il senso della spada, che si coglie solo alla luce della lungimiranza<br />
della Vergine. Tutto quello che riesce a fare è di trattenere dalla parte di<br />
Gesù una parte della parentela più stretta (ma non i capifamiglia). E lo fa<br />
orientando chi poté alla conoscenza della spiritualità essena, o forse anche alla<br />
sequela del Battista, appena ebbe notizia dell’inizio della sua predicazione.<br />
Coloro che si avvicinarono a questa forma di religiosità ebraica non ebbero<br />
bisogno di lunghi discorsi per comprendere l’atteggiamento di Gesù: vedevano<br />
infatti che a Qumran in molti erano celibi, o che lo era il Battista e qualche<br />
suo seguace. Dove vede che c’è ascolto, Maria si limita a raccontare qualcosa<br />
della propria esperienza al Tempio, e degli insegnamenti ricevuti, dei loro<br />
effetti sulla sua anima. In questo modo chi ne raccoglie le parole resta libero,<br />
e decide secondo coscienza.<br />
Ma, tra i pretendenti, vi era anche qualche buon partito, che aveva creduto<br />
bene incentivare Gesù dandogli lavoro, e pagandolo con generosità. E,<br />
in queste cose, lo smacco brucia e sovente si tramuta in atteggiamenti contrari.<br />
Il lavoro divenne più scarso, e alla fine Gesù dovette accettare qualche<br />
commissione che lo tratteneva anche a lungo lontano da Nazareth. Così, in<br />
quei frangenti, alla lontananza di quel Figlio si sommavano nel cuore di Maria<br />
le querele dei delusi: eh, se si fosse sposato adesso avrebbe questo e quest’altro,<br />
e non doveva certo lasciarti sola… Una vera tortura, a cui ella rispondeva<br />
con la soavità del silenzio. E questo è un altro asse (XV) della via<br />
Mariae. 20 Notiamo, infatti, che il silenzio ha molte forme. Può essere duro,<br />
severo, addolorato, o anche soave. Maria ingoia amaro e tace dolce. E lo può<br />
fare, perché pensa: hanno ragione. Tuttavia nel riconoscere le ragioni di chi<br />
accusa suo Figlio, mai si schiera dalla loro parte fino a mettersi contro Gesù:<br />
pensa che hanno ragione, ma non lo dice. Dicendolo li avrebbe confermati<br />
nella loro prospettiva parziale, e non può. Dà loro ragione nel proprio intimo<br />
per difenderli e intercedere per loro, come aveva fatto con Giuseppe; ma tace<br />
per difendere Gesù senza doverli attaccare. E così vive l’impotenza di Dio davanti<br />
al peccato. Ossia la pazienza di Dio Padre. Una pazienza che è assoluta,<br />
proprio perché assoluta la riprovazione sociale: i capi sono tutti contro di<br />
20 Maria incassa, restando soave ai figli. La sua maternità non è solo soavità, ma<br />
anche franchezza che ammonisce, incoraggiamento, consolazione, ecc. Ma dal punto di<br />
vista ascetico l’elemento primo è l’accoglienza eroica dello sgradevole, che farà di lei la<br />
madre dei peccatori.
422 Roberto A.M. Bertacchini<br />
lei. E saranno tutti contro Gesù, durante la sua missione. 21 Non per caso è ancora<br />
Luca che ci narra della chiusura di Nazareth, che poi si propagò anche<br />
altrove, probabilmente attraverso la rete farisaica.<br />
Dal punto di vista della via Mariae, anche tutto questo pesa, perché la<br />
Vergine fu la prima a comprendere come stavano le cose, e ben si guardò dall’impancarsi<br />
in una funzione non sua: piuttosto sta un passo indietro. Maria<br />
spesso comprende che nell’occhio altrui vi è qualche bruscolo, ma per prima<br />
cosa pensa: Gesù ci vede meglio di me. E dunque non prende iniziative, ma cerca<br />
di rafforzare l’azione di Gesù, o di portare le persone a contatto con lui. Dare<br />
un nome a questo atteggiamento spirituale non è facile: è certamente sequela;<br />
è cristocentrismo; è anche equilibrio, che procede da una corretta comprensione<br />
della propria missione in rapporto a quelle altrui. E come Maria non prevarica<br />
Gesù, similmente non prevaricherà Pietro, né Giovanni o altri. Si potrebbe<br />
quasi dire che Maria è maestra nello star ferma. È un paradosso, come si<br />
vede dalla visita a Elisabetta, dalla fuga in Egitto, ecc. Ma è la sua anima che<br />
spontaneamente è inclinata a ritirarsi, a far spazio, al passo indietro. E questo lo<br />
vedremo meglio appresso, considerando l’episodio di Cana, dove per una volta<br />
ella esercita una certa autorità. Ma a modo suo, con tenerezza materna.<br />
Tuttavia Maria comprende la missione di Gesù soprattutto nella prospettiva<br />
fallimentare determinata dal convergente volere dello Spirito e della libertà<br />
peccatrice e inaccogliente la grazia. E questa comprensione si traduce<br />
nella radicalità della sua immolazione. Come Gesù, ella prega, soffre, ama,<br />
spera. L’eroismo della speranza mariana non si comprende se non in tale prospettiva<br />
tragica. Maria spera e si affida, ma trafitta. Ella comprende che vi è<br />
una sola giustizia: quella che rende giusti. E che per rendere giusti i peccatori<br />
ostinati una sola via è possibile: l’immolazione alla loro follia. 22 Infatti non<br />
credono all’amore. 23 E chi non crede all’amore, neppure può accogliere<br />
un’ammonizione, un consiglio: e meno che mai un’ispirazione angelica. Ha bisogno<br />
del sangue, della tragedia consumata per svegliarsi dal suo delirio, per<br />
rimanere toccato interiormente e convertirsi. Maria lo sa. E anche la Chiesa<br />
21 Con rare eccezioni: Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e forse Gamaliele, che però<br />
non si mise di traverso, come farà invece dopo la Risurrezione, e con peso (cfr Atti 5,<br />
34ss). Egli cioè non fu contro, ma neppure a favore.<br />
22 Invece il nostro cuore vorrebbe il lieto fine, e talvolta una giustizia che non è tutta<br />
sbagliata, ma che ha il fiato corto della scarsa magnanimità, quando non l’asma della<br />
grettezza.<br />
23 Cfr 2Tess 2, 10 e per opposizione 1Gv 4, 16.
Le XXI “spade” della via Mariae 423<br />
apostolica lo aveva altrettanto ben compreso. Da qui l’efficacia della sua penetrazione<br />
evangelizzatrice. 24<br />
La missione pubblica<br />
In questo tempo la tredicesima ferita, soprattutto in qualche circostanza,<br />
si farà più pesante: la missione pubblica fu occasione di trepidazione, di<br />
sofferenze, di gioie, e anche di altre spade, concentrate particolarmente nella<br />
passione. Tuttavia il Nuovo Testamento ci lascia già prima altre tracce della<br />
via Mariae, che è utile raccogliere. Del distacco da Nazareth non parla, ma è<br />
implicito. Non fu il primo, e non ebbe l’inaspettato della dodicesima spada,<br />
ma fu comunque non meno lacerante. Questa volta al perdere Dio per Dio,<br />
nell’accettazione della Sua volontà, si aggiunge la trepidazione della precarietà<br />
e la certezza che la missione sarà per il Figlio più occasione di pianto che<br />
di gioia, come egli stesso dirà (altri è colui che semina… altri chi miete). 25 Si<br />
aggiunge il senso di una definitività dolorosa, di una discontinuità: comunque<br />
non sarà più come prima. Gesù non sarà più tutto per lei, e lei non potrà più<br />
essere tutta per Gesù, almeno in quel modo in cui lo era stata nell’intimità della<br />
sua vita nascosta. Ci saranno i discepoli, e ci saranno gli avversari. E qui la<br />
dodicesima e la tredicesima spada si fondono, si uniscono nel rinnovare più<br />
acutamente la ferita dell’Amore impotente, cui ella risponde – come sempre –<br />
rifugiandosi nella propria douleia sacra: la schiava compiace e basta. Maria<br />
vorrebbe, ma non può. Vorrebbe essergli vicino, e deve rimanere a Nazareth;<br />
vorrebbe poterlo sostenere economicamente, ma è povera; vorrebbe dargli appoggio<br />
sociale, ma la sua rete di relazioni è insignificante; vorrebbe dargli appoggio<br />
politico, ma a Gerusalemme ci sono i Romani e lei è solo una povera<br />
e disprezzata ebrea. Deve lasciare il Verbo-di-Dio-incarnato nella sua solitudine<br />
umano-divina. Una solitudine che le torna addosso trafiggendola di rimbalzo,<br />
sicché lasciandolo si sforza di reprimere il pianto e di sorridere, ma c’è<br />
un tremore lieve che non può soffocare. Gesù ne resta ferito, e insieme sente<br />
24 Attualizzando dobbiamo riconoscere che mai abbiamo avuto tanti martiri cristiani<br />
come nel sec. XX (si pensi al genocidio armeno, che ne fu solo una parte). Eppure<br />
il loro sangue non ha ottenuto ciò che ottenne il sangue antico. Perché? Certo non è lo stesso<br />
essere in grazia, ed essere fonte di grazia. I primi martiri erano sale della terra, ossia<br />
fonte di grazia. Ma qui si aprirebbero questioni di teologia pastorale troppo complesse per<br />
poter essere anche solo accennate.<br />
25 Cfr Ψ 126, 5s; Gv 4, 36ss.
424 Roberto A.M. Bertacchini<br />
tutto l’amore della mamma, di quella mamma che deve lasciare per noi… Ma<br />
nelle troppo lunghe ore di quella casa vuota, Maria contemplò il mistero del<br />
Padre, e del suo troppo vuoto paradiso, che Gesù voleva riempire (vado a preparare<br />
dei posti per voi… dirà alla fine). 26 Sente in sé la ferita di quel vuoto,<br />
tanto più immenso, e aumenta ancora l’affetto della propria preghiera.<br />
Delle tentazioni nel deserto ci parla la Fonte Q, ripresa da Luca e Matteo.<br />
Ma alle tentazioni non erano presenti i discepoli. Che Gesù ne abbia raccontato<br />
in un momento di intimità è possibile, ma improbabile per due motivi:<br />
sul piano letterario manca Gesù narratore. Perché? Sul piano spirituale,<br />
Gesù che narra una propria vittoria sembra un Gesù che si vanta: non è da lui.<br />
Infine la Fonte Q è ripresa da Luca e Matteo secondo due piccole varianti. Ciò<br />
lascia pensare a una tradizione orale, che tuttavia dovette avere una fonte autorevolissima,<br />
per essere accolta subito dalla Chiesa. Uno scenario plausibile<br />
è che Maria abbia misticamente sentito nella preghiera ciò che Gesù viveva, 27<br />
ragion per cui sarebbe la redazione lucana quella più fedele alla catechesi mariana.<br />
28 E prima ella sente la fame del suo digiuno, e poi il confronto terribile<br />
con Satana. E questa fu la quattordicesima spada. Due sono le sue note<br />
principali: la perfidia, e la predizione della croce, ossia del fallimento della<br />
predicazione messianica.<br />
Una perfidia che già si annuncia nei «se»: se sei Figlio di Dio = «Io non<br />
ti credo e ti sfido». Già questo è brutto, perché tenta di far leva sull’orgoglio.<br />
Poi c’è la seconda parte: dì a questa pietra che diventi pane = usa del tuo potere<br />
divino a tuo favore. E Gesù vince rifiutando la sfida e contrattaccando:<br />
sei tu che hai fame, perché denutrito della Parola di Dio. A questo punto Satana<br />
attacca il messia: vuoi essere il Re della terra? Ti aiuto: adorami! Cioè:<br />
metti la tua missione più in alto di Dio. Questo è un punto che per lo più sfugge.<br />
29 Invece Gesù risponde: piuttosto di alterare l’ordine soprannaturale, preferisco<br />
perdere. Il terzo assalto è infine il più tremendo, perché questa volta<br />
Satana usa la stessa parola di Dio, facendosi teologo: sta scritto… Natural-<br />
26 Cfr Gv 14, 2s.<br />
27 Nei mistici si trovano cose di questo genere. Per es. sono noti fenomeni di bilocazione,<br />
o anche di conoscenza interiore dei pensieri altrui. Se questi doni si ritrovano in<br />
alcuni santi, pensare che Maria non ne abbia partecipato è arduo.<br />
28 Cfr Lc 4, 1-13.<br />
29 È ciò che in un certo senso capitò a Mosè, quando uccise l’egiziano: aveva colto<br />
il senso generale della propria chiamata, ma non ancora l’ordine delle cose, che si chiarirà<br />
nell’esperienza mistica.
Le XXI “spade” della via Mariae 425<br />
mente non riesce a ingannare Gesù, ma la sconfitta ne aumenta il livore in una<br />
minaccia che è appena accennata nella redazione lucana: si allontanò fino al<br />
tempo opportuno. 30 E qui Maria per la prima volta ha veramente paura. 31 C’è<br />
la paura della mamma per il figlio, c’è la paura di fronte a una minaccia cosmica,<br />
irreversibile; e – soprattutto – c’è la paura indotta dall’interferenza di<br />
satana sull’attenzione di Gesù. 32<br />
Molto acutamente il prologo giovanneo – anche questo probabile sedimento<br />
delle catechesi mariane – esordisce dicendo che il Verbo era pròs tòn<br />
theón. E cioè la sua attenzione era rivolta al Padre. Satana tenta esattamente<br />
questo: di distogliere l’attenzione di Gesù dalla persona del Padre. È uno<br />
schermo opaco, che Gesù supera con la fede. Ma Maria, seguendo misticamente<br />
l’attenzione di Gesù, si trova improvvisamente davanti a un orrore inaspettato:<br />
l’oscuramento del contatto interiore col Padre. E questo per un verso<br />
la spaventa nel presentimento della battaglia finale, ma soprattutto per la<br />
chiara percezione dell’orrore infernale. È dunque qualcosa di diverso dall’esperienza<br />
della perdita di Gesù nel tempio, dove era mancato questo elemento.<br />
Ma siccome l’attenzione di Maria è misticamente fusa con quella di Gesù<br />
– XVI asse della sua spiritualità –, il superamento dello scoglio avviene già<br />
con la risposta: Non tenterai il Signore Dio tuo, dove l’attenzione torna tranquilla<br />
pròs tòn theón.<br />
Alle nozze di Cana abbiamo altri elementi chiari. E il primo è la fusione<br />
tra carità umana e interesse messianico per l’avvento del Regno. Questo<br />
asse (XVII) della spiritualità mariana non sempre è intimamente capito e vissuto,<br />
perché non sempre si coglie in Maria la virtù della vigilanza. Secondo<br />
la Valtorta, quando Maria allattava Gesù, avvenne che una donna che aveva<br />
da poco partorito non potesse allattare, e il suo bimbo stesse morendo. Maria<br />
non ci pensò due volte e lo allattò lei. In quel caso vi era un’urgenza, e il Regno<br />
lo si predicava più coi fatti che con le parole. Gesù era appena nato, e bi-<br />
30 Lc 4, 13.<br />
31 Non ebbe paura quando vide Giuseppe rabbuiarsi? Timore senz’altro, ma paura<br />
forse no. In Maria solo il diabolico produce propriamente paura. E in quel caso esso restò<br />
probabilmente schermato dalla lotta di Giuseppe, che ella ben vide, e a causa della quale<br />
egli si meritò l’epiteto di giusto.<br />
32 L’arte contemplativa sale sempre a Dio. Dare attenzione a Gesù era per Maria essere<br />
in una fortezza protetta, inattaccabile. Ma nel momento in cui l’attenzione di Gesù<br />
deve confrontarsi con Satana, Maria, dando attenzione all’attenzione di Gesù si trova davanti<br />
l’avversario. Ecco il punto.
426 Roberto A.M. Bertacchini<br />
sognava accontentarsi. Ma nel momento in cui ha inizio la missione, subito<br />
Maria cambia registro. Soprattutto nel Vangelo di Marco questo avverbio ricorre<br />
molte volte, e dovrebbe far riflettere sul suo valore ascetico (prontezza<br />
e tempestività). C’è un problema e Maria lo vede: manca il vino, forse anche<br />
perché i commensali sono più di quelli previsti. E, in simili casi, la soluzione<br />
più ovvia e semplice sarebbe stata di chiederne in prestito da qualche vicino.<br />
Invece Maria si rivolge a Gesù. Se non avessimo le battute giovannee del dialogo,<br />
potremmo pensare che è un modo di dargli onore e responsabilità, come<br />
si sarebbe fatto col maestro di banchetto, che poi avrebbe provveduto. Ma<br />
Gesù risponde: «Cosa a me e a te o donna?». Il latino e il greco hanno due dativi<br />
di vantaggio, come se vi fosse un verbo sottinteso: cosa interessa a me e<br />
a te? Dunque Gesù riconosce che vi è un interesse comune, che appunto è<br />
quello del Regno; e infatti, a sottolineare quanto ben avesse capito sua Madre,<br />
aggiunge: «Non è ancora venuta la mia ora». 33 Gli era chiaro che gli stava<br />
chiedendo di comportarsi da Dio, di togliersi le frasche di dosso e rivelarsi.<br />
Gesù la scoraggia? Difficile dirlo, perché può essere che nel rispondere<br />
le abbia sorriso, e Maria abbia compreso che si trattava solo di una schermaglia,<br />
di una provocazione per lasciare a lei l’iniziativa. E a questo punto Maria<br />
si rivolge ai diakonoi, e invece di dare un ordine dice loro: ciò che vi dirà<br />
fatelo. 34 L’imperativo c’è, e pure in greco. Ma la costruzione della frase ha il<br />
senso di un invito, perché Gesù avrebbe anche potuto non dire nulla. Quindi<br />
Maria invece di dare un comando in senso proprio, orienta i diakonoi nella loro<br />
missione: essere al servizio del messia, in attesa della sua parola, pronti a<br />
darle compimento. Torna l’asse pedagogico-transitivo che già si è visto, ma<br />
precisato in senso ecclesiale. Maria orienta i diakonoi del banchetto, ma Giovanni<br />
riporta l’episodio perché siano i diaconi della Chiesa a imparare, come<br />
lui imparò da Maria. D’altra parte l’episodio conferma la grande intimità spirituale<br />
e sintonia tra Maria e Gesù. Quell’intimità e sintonia che va molto oltre<br />
la conoscenza dei prodigi divini, e che si era sviluppata in un crescendo<br />
continuo, dalle estasi nel Tempio prima, alla vita di Nazareth poi. Ma ad essa<br />
già si è accennato.<br />
La quindicesima spada arriva a Nazareth. Luca è molto fine, perché dopo<br />
aver parlato delle tentazioni, annota sobriamente: «la sua fama si sparse»<br />
ed egli insegnava «glorificato da tutti». 35 Gesù è dunque un uomo di succes-<br />
33 Gv 2, 4.<br />
34 Gv 2, 5.<br />
35 Lc 4, 14s.
Le XXI “spade” della via Mariae 427<br />
so, ma questo lo si liquida in due righe: non è qui il Vangelo. Esso comincia<br />
invece nell’insuccesso, ossia con la predicazione a Nazareth. E qui, sicuramente<br />
alla presenza anche di Maria, Gesù dice: nessuno è profeta in patria. 36<br />
Questa la spada, anch’essa complessa, che la ferisce con raffinatezza, e che<br />
proprio attraverso Luca possiamo ricostruire almeno in parte. Si è detto che<br />
Gesù a Nazareth non era ben visto dai notabili, ma questo prima dell’inizio<br />
della sua missione. In verità, quando ritorna, la fama dei prodigi compiuti altrove<br />
lo aveva preceduto, tanto che sarà motivo di rimprovero. 37 Si poteva<br />
dunque almeno sperare che le mutate circostanze avrebbero indotto un diverso<br />
atteggiamento dei suoi compaesani. In cuor suo questo Maria orante chiedeva<br />
al Padre: ma tale grazia non fu accordata, e ciò la ferì certo in molti modi.<br />
Dobbiamo infatti pensare che la preghiera di Maria fosse ordinariamente<br />
accolta, e che dunque ella si sia fatta scrupolo di non aver chiesto nel modo<br />
giusto, o la cosa giusta. 38 Il rifiuto è sempre un trauma, e per Maria il no del<br />
Padre lo era in modo per noi difficile anche da immaginare, perché il nostro<br />
amor di Dio è purtroppo ben lontano dal suo.<br />
In più, la fama di Gesù è occasione di un maggior indurimento dei nazareni,<br />
tanto che pensano di ucciderlo. Maria sente tutto questo in sé, e comprende<br />
che tale durezza la separa da Gesù, al di là di ciò che entrambi avrebbero<br />
desiderato: toglie lei a lui e lui a lei. Comunque egli avrebbe lasciato Nazareth,<br />
ma forse il giorno seguente o anche dopo. Invece è costretto a partire<br />
senza neppure il viatico della mamma. E qui è tentata di rispondere all’indurimento<br />
con durezza, ma capisce che avrebbe solo danneggiato il Signore, e<br />
si trattiene. Continua ad amare e servire i compaesani nel sangue di tale ferita.<br />
Tuttavia, come detto, la spada trafiggente è nelle parole di Gesù, che in effetti<br />
sono per lei, sono risposta alla sua domanda sulla preghiera inesaudita.<br />
L’intenzione del Figlio è di rassicurarla: non è colpa tua. Ma al tempo stesso<br />
le dischiudono scenari inaspettati. Nessuno è profeta in patria… la prima co-<br />
36 Lc 4, 24.<br />
37 Lo si deduce da Lc 4, 23: Gesù esplicita il rimprovero che legge nei cuori degli<br />
astanti.<br />
38 «Non avete, perché non chiedete. Chiedete e non ricevete, perché chiedete male»<br />
[Gc 4, 3s]. Indubbiamente spesso la preghiera fallisce per le ragioni addotte dall’Apostolo;<br />
ed è certo che il Padre desideri farci toccare la sua vicinanza, esaudendo i nostri<br />
desideri. Ma talvolta proprio lo Spirito spinge a chiedere ciò che non può essere concesso,<br />
almeno a breve termine. E Dio si compiace massimamente di una tale preghiera, che<br />
è assolutamente perfetta, perché pura espressione di giustizia ubbidiente. È qui che si condivide<br />
con Dio la tragedia del peccato, del no umano a Dio.
428 Roberto A.M. Bertacchini<br />
sa che Maria intuisce è la tragedia, è la spada di Simeone che si arroventa nel<br />
suo cuore. E qui può essere utile una riflessione.<br />
La «patria» connota sempre una socialità «locale», limitata. È un noi<br />
contrapposto a un loro. E che nessuno possa essere profeta in patria, deriva<br />
dal fatto che la profezia è sempre un invito a uscire dalla località verso l’universale.<br />
Maria comprende il messaggio di Gesù, e vi aderisce aprendo il proprio<br />
cuore alla cattolicità. Ma questo asse (XVIII) della sua spiritualità ha come<br />
contrappunto il rifiuto della grettezza locale, che è rifiuto di un figlio (Gesù<br />
nazareno), di un amico (Gesù uomo), del messia (Gesù figlio di Davide),<br />
di Dio (Gesù Verbo). Maria capisce che Nazareth è solo l’emblema di mille e<br />
mille chiusure che nella Storia si opporranno a Gesù. E con tale spada nel<br />
cuore va oltre, secondo l’invito del Figlio. È in questo andare oltre assoluto<br />
che Maria anticipa la presenza in terra della Gerusalemme celeste. La spada<br />
ha tagliato il cordone ombelicale di un’appartenenza (al popolo eletto) che ancora<br />
coesisteva all’appartenere a Dio, e fin qui ne era stato il mezzo. Ma adesso<br />
Dio le chiede di più, e Maria sanguinante aderisce.<br />
Marco, con molto garbo, ci dà traccia anche di un altro episodio che certo<br />
ferì a fondo la Vergine. Gesù guarisce un lebbroso toccandolo, poi lo invita<br />
a presentarsi al sacerdote, tacendo però ad altri l’episodio. Viceversa questi<br />
strepitò la notizia a tutti, e Marco annota che così facendo costrinse Gesù<br />
a rimanere in luoghi deserti, senza entrare nei villaggi. Luca ricordando l’episodio<br />
sottolinea che Gesù nel deserto pregava; ma l’intenzione narrativa di<br />
Marco è ben diversa: egli allude al fatto che toccare un lebbroso rendeva impuri,<br />
per cui, saputolo, i notabili scansavano Gesù e gli impedivano di entrare<br />
in città, mentre il popolo accorreva comunque a lui. La notizia arrivò presto<br />
anche a Maria, perché il fatto secondo Marco e Matteo avvenne in Galilea.<br />
E Maria sentì in sé, rinnovata in Gesù, la ferita del proprio allontanamento<br />
dal Tempio. Prima giudicata impura la madre, adesso il Verbo di Dio.<br />
Cosa avrà pensato nel suo cuore? Gesù poteva guarire il lebbroso anche senza<br />
toccarlo, ma guarirlo non gli basta: sente affetto per questo intoccabile, e<br />
lo tocca in un atto di solidarietà umanissimo e divino. Il contatto: questo sacramento<br />
così importante dell’affetto, che in Gesù è sacramento dello Spirito<br />
Santo. Il Signore sapeva bene che così facendo trasgrediva la legge, ma lo<br />
slancio prevale sul calcolo della ragione.<br />
Maria vede dunque in Gesù la propria stessa trasgressività, e riflette che<br />
tanta libertà derivava anche dal modo in cui da bambino lo aveva educato. Mai<br />
gli aveva creato sensi di colpa dandogli l’impressione di ritenerlo impuro per<br />
qualche motivo. Se era impolverato lo lavava, e dunque proprio la polvere del-
Le XXI “spade” della via Mariae 429<br />
la strada era occasione del contatto affettuoso. Lo stesso il contatto di Gesù col<br />
lebbroso. L’idea di Maria era che la purezza fosse una questione interiore, come<br />
le avevano confermato gli angeli in molte visioni. E quest’idea aveva trasmesso<br />
a Gesù bambino. Adesso si accorge che vi sono due mondi destinati a<br />
scontrarsi, due modi di intendere la religiosità ebraica del tutto diversi. E in questo<br />
scontro Gesù è formalmente dalla parte del torto. Nella sua chiaroveggenza<br />
Maria comprende molto bene il punto: la purezza è negli occhi di chi guarda<br />
e mai così adamantina come negli occhi di Dio. Ma l’idea corrente è diversa.<br />
Così Maria è costretta ad accettare il conflitto apostolico nella sua radicalità<br />
e strutturalità. Non cercherà mai lo scontro, ma aderisce al giudizio di Gesù:<br />
«non sono venuto a portare la pace, ma la spada». 39 E accettare il conflitto è accettare<br />
la lacerazione permanente del cuore, asse intimo della sua spiritualità. 40<br />
Altra ferita non da poco sarà sapere Gesù deriso, e persino accusato di essere<br />
un demonio. 41 Qualsiasi madre si sentirebbe trafitta, ma Maria era ben consapevole<br />
madre del Verbo: siamo a un altro livello. Non sente solo irrispettosità,<br />
o l’anticarità che diffama: sente l’empietà che chiama demonio Dio, il satanismo<br />
che disconosce in Dio l’Amore. Sente cioè la presenza del nemico dell’uomo<br />
che sta conducendo la sua battaglia contro Dio, e che non smetterà nel<br />
suo dannato intento. Non si prenderà pause di sorta, ma in ogni modo studierà<br />
di penetrare nei cuori fino alla guerra conclusiva. Questa ferita è un rinnovarsi<br />
attualizzato della quattordicesima spada: la perfidia; ed è alla luce di questa ferita<br />
che occorrerà considerare a fondo la maternità spirituale di Maria.<br />
THE XXI “SWORDS” OF THE VIA MARIAE<br />
A NEW READING OF ITS SPIRITUAL ITINERARY<br />
By Roberto A. M. Bertacchini<br />
(continua)<br />
This is the second part of the article begun in SapCr 21 (2006), 291-312.<br />
39 Mt 10, 34; e Lc 12, 51 precisa che tale spada è la divisione.<br />
40 Se si vuole è l'asse degli assi, ossia qualcosa di così profondo da essere in rapporto<br />
a ogni singola spada. Per questo si può considerare fuori categoria, anche se - propriamente<br />
- è ancora l'asse sacerdotale che torna.<br />
41 Cfr Mt 9, 24 e Mc 3, 22.
430 Roberto A.M. Bertacchini
Salvezza e culture 431<br />
Senza limite<br />
di ELISABETTA VALGIUSTI<br />
Borat: insegnamenti culturali dell’America a beneficio<br />
del glorioso popolo del Kazakhstan. Questo è il titolo del film<br />
comico di Sacha Baron Cohen uscito recentemente nelle sale<br />
americane e inglesi. È un film provocatorio che suscita allo stesso<br />
tempo ilarità e irritazione tanto è oltraggioso e provocatorio.<br />
È una satira divertentissima ma estremamente dolorosa. Borat-<br />
Cohen è un clown innocente e perfido. Il film è uno shock irresistibile<br />
ma molto, molto sconsigliabile.<br />
Questo genere di film, indirizzato specialmente ai giovanissimi,<br />
ci chiama a prendere coscienza della cultura in cui viviamo<br />
e a domandarci seriamente come reagire.<br />
Il film Borat è uscito nelle sale americane a novembre ottenendo un risultato<br />
strepitoso al botteghino. Il film ha suscitato molte polemiche riguardanti l’estrema<br />
volgarità del linguaggio e delle scene, l’ utilizzo ignobile del Kazakhstan<br />
come presunta patria di Borat, il ridicolizzare vari stereotipi americani.<br />
Cominciamo da Borat. È un giornalista televisivo del Kazakhstan che<br />
all’inizio del film ci illustra con grande orgoglio il villaggio in cui vive, la sua<br />
famiglia, i vicini, i costumi del luogo. È una descrizione raccapricciante, vergognosa,<br />
che provoca un’ilarità demenziale nonostante la repulsione che si<br />
prova. Una repulsione di tipo culturale perché ci si vergogna a ridere di una<br />
situazione tanto disgraziata e bifolca tanto più se associata all’idea di un paese,<br />
un popolo, che in ogni caso Borat definisce grandioso.<br />
Lo stesso Borat è un’assurdità indescrivibile. Si esprime con un linguaggio<br />
oltre ogni decenza, fa il verso agli occidentali nei vestiti e nei modi,<br />
si crede uno che conosce il mondo. Infatti, sta partendo per un viaggio di lavoro<br />
con il suo orribile produttore Azamat, destinazione New York. Scopo del<br />
viaggio è realizzare un documentario per far conoscere la cultura americana<br />
ai connazionali nella speranza che li stimoli a un cambiamento.<br />
A New York, Borat si comporta come un selvaggio seminando scandalo<br />
ovunque. È anti-semita, sessista, razzista, scurrile, feticista, logorroico, esibizionista.<br />
ELISABETTA VALGIUSTI SAPCR 21 (2006) 431-434
432 Elisabetta Valgiusti<br />
Riesce a intervistare alcune personalità creando situazioni vergognose.<br />
Scandalizza le rappresentanti di un’associazione femminista con una frase del<br />
tipo “ In Kazakhstan teniamo le donne dentro le gabbie e diciamo: Dio, uomo,<br />
cavallo, cane. E poi donna e ratto.” Si può immaginare la reazione delle donne.<br />
La cosa straordinaria è che Borat è l’unico attore del film. Quasi tutti gli<br />
altri personaggi sono persone vere che gli hanno concesso un’intervista o lo hanno<br />
invitato credendolo effettivamente un giornalista con la sua troupe al seguito.<br />
Quindi, il film utilizza in buona parte l’effetto della candid-camera per creare situazioni<br />
paradossali in cui inserire misfatti indescrivibili. Borat provoca scene di<br />
delirio socio-culturale sfruttando ad arte pregiudizi di ogni genere che suscitano<br />
consensi o conflitti ma il tutto rimane oltraggioso. Per lo spettatore può diventare<br />
faticoso da sopportare. Ma altrettanto difficilmente può evitare di essere travolto<br />
dalla comicità irrefrenabile di battute, situazioni, facce, azioni.<br />
Borat è Sacha Baron Cohen, famoso attore inglese del programma comico<br />
Da Ali G Show, pluri-premiato (Bafta Awards and Mtv), amatissimo in<br />
Inghilterra.<br />
Cohen non è semplicemente un protagonista ma è il film in sé. Durante<br />
le riprese, più volte Cohen ha affrontato situazioni rischiose continuando a<br />
comportarsi come se lui fosse veramente Borat. Riferiscono sia successo anche<br />
con alcuni agenti federali insospettiti dal trambusto che il passaggio della<br />
troupe provocava.<br />
Torniamo alla trama. A New York, Borat riceve la notizia della morte della<br />
moglie. È felicissimo. Decide di continuare il viaggio fino a Los Angeles per<br />
conoscere Pamela, la donna più bella del mondo, un’attrice di cui si è innamorato<br />
vedendola in televisione. Il viaggio via terra per Los Angeles diventa una<br />
galleria di stereotipi americani da stravolgere, una descrizione impietosa e violentemente<br />
sbilanciata delle differenze culturali americane. Borat incontra gente<br />
di ogni genere, partecipa a un rodeo, a una celebrazione religiosa, a una cena<br />
in una casa borghese dove invita una prostituta a raggiungerlo, si fa ospitare<br />
nel camper di un gruppo di alcoolisti, balla con un gruppo di giovani di colore.<br />
Dappertutto, crea sconcerto e incidenti, perde tutto (compresa la gallina che teneva<br />
in valigia), fino a raggiungere la mitica Pamela a Los Angeles.<br />
Pamela è una vera star. Borat decide di farle la proposta di matrimonio<br />
secondo lo stile classico del Kazakhstan. Così, si reca al negozio dove sa che<br />
Pamela incontrerà i suoi fans e tenta con la forza di infilarla in un sacco e rapirla.<br />
Pamela fugge come nei film che è solita interpretare e Borat la insegue<br />
ma viene bloccato e malmenato dalle guardie del corpo di Pamela.<br />
Quell’idiota di Borat sembra finalmente prendere coscienza: non ha capito<br />
niente dell’America. Decide che è tempo di tornare a casa ma è molto triste.<br />
Prima di partire va a salutare la prostituta che aveva conosciuto e con la
Senza limite 433<br />
quale si era comportato come un vero gentleman. In Kazakhstan viene accolto<br />
con grandi feste insieme alla nuova moglie americana. Non si possono<br />
riportare alcuni dettagli di questa ultima vicenda tanto sono allucinanti.<br />
È con grande titubanza che abbiamo osato scrivere di questo film. Effettivamente,<br />
il film sconfina continuamente nell’oltraggio ma è talmente folle<br />
ed esilarante, il gioco è talmente scoperto e trasgressivo, che non si può non<br />
ridere e riderne. Non possiamo invitarvi ad andarlo a vedere perché potreste<br />
esserne disgustati ma è un fenomeno che va commentato.<br />
Sappiamo che il cinema internazionale è ormai un prodotto rivolto quasi<br />
esclusivamente ai giovanissimi. Quindi, funzionano film dai contenuti fiabeschi,<br />
avventurosi, fumettistici, horror, violenti. Negli ultimi anni, anche la commedia<br />
volgare ha riscosso notevole successo raggiungendo anche il pubblico<br />
più adulto. Borat è l’apoteosi di questo genere ma supera ogni limite, è molto<br />
sovversivo perché stravolge tutte le categorie del politicamente/socialmente/<br />
culturalmente corretto e, allo stesso tempo, si rende interessante perché annulla<br />
le barriere tanto è eccessivo, liberando da qualsiasi pregiudizio, da qualsiasi valutazione.<br />
Lo scopo di Borat è far ridere e, quindi, spiazzare all’infinito le convenzioni<br />
prendendosi gioco di tutto senza risparmiare niente e nessuno. Borat è<br />
una maschera impietosa e violenta che pretende il tuo riso e sa come ottenerlo.<br />
Purtroppo, il divertimento non basta a dare una struttura consistente al film che<br />
a tratti rivela tutti i suoi limiti, specialmente la ripetitività e la meccanicità degli<br />
avvenimenti. Inoltre, diventa noioso il continuo accumulo di anti-americanismo<br />
che sfrutta tutti i cliché noti e questo aspetto rivela una tendenza ideologica<br />
che stona un po’ con l’idiozia di Borat ma che gli torna utile in chiave satirica.<br />
L’ignoranza innocente e il buon cuore dello straniero kazacheno sono<br />
strumenti usati per mitigare l’amoralità del linguaggio e di certi atteggiamenti.<br />
Comunque, Borat è un esempio pessimo per i giovanissimi<br />
Borat-Cohen potrebbe essere uno che non si è fatto scrupoli per arrivare<br />
al successo ma è un genio creativo che va osservato nella sua evoluzione<br />
artistica sperando che trovi una chiave più dignitosa per le sue interpretazioni<br />
comiche.<br />
Va detto che Cohen è intellettualmente molto brillante. Così ha risposto<br />
alle più o meno presunte critiche del governo del Kazakhstan: “ Mi sono sentito<br />
in una strana situazione quando il governo del Kazakhstan mi ha dichiarato<br />
il suo nemico pubblico numero uno. Come si fa a credere che esista un paese<br />
dove gli omosessuali indossano cappelli blu e le donne vivono in gabbia…?”.<br />
Riguardo alle accuse di anti-semitismo, risponde :“ Borat funziona come<br />
uno strumento, essendo lui un anti-semita, fa sì che la gente abbassi la<br />
guardia e renda palese il suo pregiudizio, cioè se è anti-semitismo o se è accettazione<br />
dell’antisemitismo…”.
434 Elisabetta Valgiusti<br />
Cohen è un ebreo osservante, si è laureato in storia a Cambridge. Non<br />
si sa molto di lui che rilascia interviste solo interpretando il suo personaggio.<br />
Molte polemiche sul film sono state probabilmente stimolate anche da<br />
notizie combinate ad arte sui vari siti internet dedicati al film e riprese dai<br />
giornali. È evidente che siano vere alcune proteste del governo del Kazakhstan,<br />
di associazioni ebree, etc.<br />
Riportiamo qualche notizia sperando siano vere:<br />
Dariga Nazarbayeva, donna politica e figlia del Presidente del Kazakhstan<br />
Nursultan Nazarbayev, ha affermato: “ Non dovremmo temere l’umorismo<br />
e non dovremmo tentare di tenere sotto controllo qualsiasi cosa (riferendosi<br />
alla chiusura forzata del primo sito web del film operato dal governo).<br />
Il centro europeo di ricerche che si occupa della discriminazione degli<br />
zingari Rom e Sinti, ha denunciato il film per diffamazione e per incitamento<br />
alla violenza contro il gruppo etnico.<br />
Due gruppi di uomini ripresi nel film hanno presentato una denuncia<br />
contro il film per frode, recessione dal contratto, falsificazione del diritto comune,<br />
appropriazione di sembianze, danno emotivo.<br />
Una signora che aveva invitato a cena Borat e permesso le riprese della<br />
cena ha chiesto come risarcimento-danni una percentuale sugli incassi.<br />
La troupe del film era composta di otto persone che si sono anche occupate<br />
della sicurezza di Cohen che spesso è stato aggredito oltre che arrestato.<br />
Il film non aveva una sceneggiatura ma una serie di scene scritte da Peter<br />
Baynahm, Anthony Hines, Dan Hazer, che Borat-Cohen ha stravolto via<br />
facendo con le sue improvvisazioni. Il regista Larry Charles ha precedenti<br />
esperienze di serie televisive comiche.<br />
Segnaliamo l’attore Ken Davitian nel ruolo del produttore Azamat e Pamela<br />
Anderson nel ruolo di se stessa, cioè la regina della serie televisiva Baywatch.<br />
SALVATION AND CULTURE WITHOUT LIMITS<br />
By Elisabetta Valgiusti<br />
Borat: America’s cultural teaching in benefit of the glorious people of Kazakhstan.<br />
This is the title of a comedy film by Sacha Baron-Cohen recently screened in the<br />
United Kingdom and the United States. Outrageous and provocative, it is a<br />
challenging film which provokes at one and the same time both hilarity and irritation.<br />
It is a highly amusing satire yet it’s extremely sad. Borat-Cohen is a clown who is both<br />
innocent and treacherous. The film is an almost irresistible hit yet definitely not<br />
recommendable. This genre of film, directed principally toward the lower rung of<br />
youth, seeks to draw attention to the culture within which we live and questions the<br />
way we react to it.
Rassegna stampa 435<br />
La Congregazione <strong>Passio</strong>nista<br />
tra ascetismo, mistica e storia<br />
di TITO ZECCA C.P.<br />
In concomitanza con la celebrazione del 45° capitolo generale della<br />
Congregazione della <strong>Passio</strong>ne, tenutosi in Roma nell’ottobre del 2006, è uscita<br />
la seconda edizione della sintesi storica dell’istituto passionista curata da<br />
Fabiano Giorgini 1 . Il titolo del libro è:<br />
F. GIORGINI, La Congregazione della <strong>Passio</strong>ne di Gesù, Sguardo storico<br />
della spiritualità, organizzazione, sviluppo.<br />
E mentre scorriamo questo volume ci viene spontaneo e senza forzature<br />
abbinare questa lettura ad altre due recenti pubblicazioni. La prima opera è<br />
di un giovanissimo scrittore, Roberto Saviano. Il suo libro si intitola Gomorra.<br />
Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra 2 ,<br />
giunto in pochi mesi alla VII edizione. Sono poco più di trecento pagine dove<br />
con una documentazione ineccepibile ed una prosa ardente ed incalzante,<br />
Saviano denuncia, punto per punto, le varie “province” di questo impero del<br />
male, non a caso chiamato Gomorra dall’A., ispirandosi al prete don Giuseppe<br />
Diana che con coraggio, pagato con la vita, aveva denunciato questa<br />
metastasi del malaffare che sembra estendersi senza più freni. Ed altrettanto<br />
spontaneamente associavamo queste terre dominate dal “Sistema” (così si<br />
autorefenziano i malavitosi camorristi) alle antiche maremme, percorse in<br />
lungo e largo da Paolo della Croce con i suoi primi compagni e tanti altri missionari<br />
passionisti. L’altra è un’opera cinematografica che sorprendentemente<br />
ha incontrato interesse e attenzione dal grosso pubblico in tutta Europa. Si<br />
1 F. GIORGINI, La Congregazione della <strong>Passio</strong>ne di Gesù. Sguardo storico della<br />
spiritualità. Organizzazione. Sviluppo, Curia Generale dei <strong>Passio</strong>nisti, Roma 2006, pp.<br />
266, s.i.p.<br />
2 R. SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio<br />
della camorra, Milano Mondadori 2006.<br />
TITO ZECCA C.P. SAPCR 21 (2006) 435-440
436 Tito Zecca<br />
tratta del film di Philip Gröning, Il grande silenzio 3 . Racconta in poco meno<br />
di due ore la vita quotidiana e stagionale dei monaci della Grande Chartreuse.<br />
Senza nessun artificio ed effetti speciali il regista ha vissuto in pieno la vita<br />
monastica per svariati mesi. Ci scorre così davanti agli occhi la vita di silenzio,<br />
di preghiera, di lavoro, senza omettere salutari momenti ricreativi, di<br />
qualche decina di monaci che hanno scelto di isolarsi dal mondo per entrare<br />
nel cuore del mondo, compiendo così il disegno del Padre che vuole appunto<br />
fare di Cristo il cuore del mondo. Solo pochissime parole alla conclusione del<br />
film ne affidano il messaggio, pronunciate da un vegliardo ormai cieco pieno<br />
di sapienza e con il cuore pieno di misericordia verso il mondo che non sa cosa<br />
perde allontanandosi da Dio. La vita diventata rito liturgico, il rito diventato<br />
vita appagante e rasserenante.<br />
Mi viene spontaneo collocare la vicenda carismatica ed istituzionale nata<br />
con Paolo della Croce tra le aride maremme della malavita e il deserto fiorito<br />
della vita contemplativa. E non posso non rilevare che in questo paradosso<br />
tra dimensione contemplativa ed espressione apostolica, ambedue esigenti<br />
dedizione assoluta, si svolge tutta intera la storia della congregazione della<br />
<strong>Passio</strong>ne.<br />
La prima edizione di questo volume risale al 1986. Già in questa pubblicazione<br />
l’A., storico della congregazione con all’attivo una nutrita serie di<br />
pubblicazioni, rivolgendosi in modo particolare ai giovani in formazione, si<br />
riprometteva di far conoscere, quasi a volo d’uccello, la storia della fondazione<br />
avviata da Paolo Dànei della Croce nel 1720. Egli desiderava anche informare<br />
a grandi linee sui contenuti della sua ricca spiritualità delineando nello<br />
stesso tempo la formazione spirituale ed intellettuale data ai membri dell’istituto<br />
e voleva infine tracciare nei suoi principi fondamentali e nella esplicazione<br />
concreta il servizio apostolico compiuto dall’istituto dal Settecento ai<br />
nostri giorni.<br />
Non è facile, in poco meno di trecento pagine, riproporre in sintesi esaustiva<br />
una storia quasi tre volte centenaria. La congregazione passionista non<br />
ha avuto una espansione geografica e soprattutto numerica tale da competere<br />
con altri ordini e congregazioni, plurisecolari se non millenari. Sono poco più<br />
3 P. GRÖNING, Il grande silenzio. Ripetizione, ritmo, silenzio, ed. in DVD, Metacinema<br />
Multimedia san Paolo Srl, 2006.
La Congregazione <strong>Passio</strong>nista tra ascetismo, mistica e storia 437<br />
di 2.200 i membri attuali della congregazione. Le case dei passionisti assommano<br />
attualmente a 381, sparse in 58 nazioni 4 . La quantità numerica comunque<br />
non certo gioca di vantaggio sulla qualità della vita di consacrazione che<br />
i passionisti lungo questi secoli hanno realizzato con ottimi esiti. «Tenendo<br />
presente, scrive il Giorgini, i criteri indicati dal fondatore per il discernimento<br />
delle vocazioni e per la loro formazione, si può capire come molti religiosi<br />
e religiose hanno raggiunto un’elevata conformazione con Cristo Crocifisso<br />
espressa nella realtà di una vita santa, o molto esemplare, a gloria di Dio<br />
ed a beneficio della Chiesa. L’osservanza regolare, “sempre animata ed accompagnata<br />
dallo spirito interiore del cuore”, è secondo il fondatore, “un<br />
mezzo efficacissimo e tutto adatto per acquistare la perfezione cristiana nello<br />
stato di vita che i nostri hanno eletto”» 5 . I santi canonizzati che la congregazione<br />
annovera sono 4 6 , i beati 35 7 ; 16 sono i venerabili e 15 i servi di Dio<br />
dei quali è in corso il processo canonico. Una percentuale davvero cospicua<br />
di santità riconosciuta e proposta che, restando fedele al carisma originario, si<br />
è articolata secondo particolari carismi e specifiche culture locali.<br />
La vera espansione dell’istituto, fuori dall’ambito dell’antico Stato Pontificio,<br />
è iniziata solo dalla fine degli anni ’40 dell’800, per merito e responsabilità<br />
di uno dei più insigni superiori generali, p. Antonio Testa che diresse<br />
l’istituto dal 1838 al 1862. Egli trovò nel beato Domenico Bàrberi un collaboratore<br />
convinto ed entusiasta. Il Bàrberi aprì ai passionisti la strada verso il<br />
Nord-Europa, specialmente in Belgio, Regno Unito e Irlanda. Il beato Domenico,<br />
ricordiamolo, accolse John Henry Newman nel seno della Chiesa Cat-<br />
4 Cfr. Relazione sullo stato della Congregazione del Superiore generale P. Ottaviano<br />
D’Egidio, presentata al 45° Capitolo generale 1-22 ottobre 2006, Segreteria Generale<br />
C.P. p. 19 (anche nel sito web www.passiochristi.org).<br />
5 F. GIORGINI, op. cit., p.247.<br />
6 Paolo della Croce (+1775); Gabriele dell’Addolorata (+1862), Vincenzo M.<br />
Strambi (+1824), Innocenzo Canoura Arnau (+1934). Per i particolari vincoli con la congregazione<br />
vengono annoverate nell’albo dei santi passionisti anche Gemma Galgani<br />
(+1903) e Maria Goretti (+1902).<br />
7 Domenico Bàrberi (+1849), Carlo Houben (+1893), Isidoro de Loor (+ 1916),<br />
Bernardo Silvestrelli (+ 1911) e Lorenzo Salvi (+ 1856); sono 28 i martiri: Niceforo Diez<br />
Tejerina e 26 compagni uccisi per la fede nella persecuzione spagnola (+ 1936) e il bulgaro<br />
mons. E. Bossilkov fucilato nel 1952 durante la persecuzione comunista-stalinista;<br />
non omettendo i due giovanissimi emuli di Gabriele dell’Addolorata, ossia Grimoaldo<br />
Santamaria (+ 1902) e Pio Campidelli (+ 1889).
438 Tito Zecca<br />
tolica. Qualche anno dopo la congregazione impiantava le sue tende dell’immenso<br />
continente nord-americano.<br />
L’espansione dell’istituto fuori dell’ambito italiano ha posto per lunghi<br />
decenni gravi problemi di identità dello stesso. Si può riscontrare, ed il volume<br />
del Giorgini ce lo indica in modo adeguato, il travaglio affrontato dai superiori,<br />
dai capitoli generali e dalla legislazione conseguente per riuscire a<br />
conciliare la fedeltà al carisma originario con le diversificazioni culturali locali<br />
e le mutate esigenze dei tempi. Insomma per realizzare concretamente<br />
quello che con felice espressione il concilio Vaticano II ha espresso con la formula<br />
della “accomodata renovatio”: rinnovamento del carisma originale attualizzandolo<br />
nel tempo presente.<br />
Per chi ha conoscenza della storia della vita religiosa non è certo una<br />
novità sapere che i passionisti per molto tempo sono stati individuati più per<br />
l’austerità della vita regolare che per il loro apostolato specifico, ossia la predicazione,<br />
in particolare degli esercizi spirituali, delle missioni ai fedeli (missioni<br />
parrocchiali o al popolo) e le altre varie forme di predicazione sempre<br />
di tipo catechetico-popolare (tridui, novene, ottavari, ecc.). Le case conventuali<br />
dei passionisti si chiamavano “ritiri”; il distacco anche fisico dall’abitato<br />
stimolava molto la vita contemplativa fin quasi al limite della vita claustrale.<br />
La tradizione di una intensa vita contemplativa ricalcata sulla spiritualità<br />
del deserto, ma soprattutto ispirata al movimento francescano nelle sue<br />
varie riforme, risaliva al fondatore ed ai suoi primi compagni. Le scelte fondamentali<br />
di Paolo della Croce, di austero stampo ascetico, erano comunque<br />
modulate secondo lo spirito intensamente apostolico attraverso il quale la<br />
nuova fondazione trovava la sua specifica collocazione nel concerto della vita<br />
consacrata. Collocazione che trovava nel riconoscimento del magistero<br />
pontificio il suo sigillo supremo. Benedetto XIV, Lambertini, approvando le<br />
Regole composte da Paolo della Croce nel 1741, infatti, riconosceva la loro<br />
specificità apostolica, anzi missionaria, nella loro dedizione ai poveri più abbandonati,<br />
agli emarginati delle maremme, privi di qualsiasi assistenza e cura<br />
spirituale. La predicazione della <strong>Passio</strong>ne di Gesù era finalizzata appunto a<br />
fornire a un gregge senza pastore, perso nella caligine e nei luoghi oscuri della<br />
disperazione, un segno di speranza e di fiducia. I passionisti, insomma rientravano<br />
nella plurisecolare forma di vita apostolica che si ravvisa negli “uomini<br />
della penitenza” che non finalizzavano la stessa per una ricerca assoluta<br />
e solitaria di Dio al modo anacoretico o cenobitico monastico ma per una adeguata<br />
e persuasiva testimonianza dell’evangelo vissuto, prima che annunzia-
La Congregazione <strong>Passio</strong>nista tra ascetismo, mistica e storia 439<br />
to, “sine glossa” e “ad litteram” alla maniera apostolica 8 . I passionisti, in altri<br />
termini, riprendevano in piena crisi illuministica che scompaginava le antiche<br />
certezze della “christianitas” post-tridentina, la collaudata formula del<br />
predicatore itinerante che ha attraversato i secoli e che ebbe la massima fioritura<br />
nell’età di mezzo. Formula che assumeva la penitenza come atteggiamento<br />
culturale radicale, basata innanzitutto sul valore della povertà, intesa<br />
come pietra di paragone della cultura penitenziale e veicolava, la stessa dalla<br />
predicazione popolare. “Nella <strong>Passio</strong>ne di Gesù c’è tutto” è l’imperativo categorico<br />
totalizzante di Paolo della Croce e della sua fondazione. La vita stessa<br />
del predicatore penitente si identificava come passione per la <strong>Passio</strong>ne; la<br />
sua attività apostolica era tutta orientata a far sì che la stessa passione per la<br />
<strong>Passio</strong>ne si accendesse nei suoi ascoltatori, perchè “la <strong>Passio</strong>ne di Gesù è la<br />
più grande e stupenda opera del divino Amore”. Nella predicazione itinerante,<br />
vuoi negli esercizi spirituali “chiusi” come pure nella predicazione delle<br />
missioni al popolo, una delle finalità dalle quali si misurava il buon risultato<br />
dello zelo apostolico si concentrava nell’ “insegnare a meditare”; in altri termini;<br />
quello che era stato proposto nelle predicazioni appassionate che spesso<br />
toccavano i “novissimi”, e soprattutto la riproposizione della dolorosa <strong>Passio</strong>ne<br />
del Redentore come argomenti atti a scuotere il torpore della mancanza<br />
di pratica sacramentale, doveva essere oggetto di diuturna meditazione, per<br />
far sì che la predicazione penitente producesse frutti ricchi e duraturi. La fioritura<br />
di santità laicale germinata in seguito alla predicazione e soprattutto alla<br />
“direzione spirituale” che conta tra i passionisti uomini di grande preparazione<br />
e di insigne vita interiore ne sono la dimostrazione concreta.<br />
Attorno alle due fondazioni paulocruciane, la Congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />
e le monache passioniste di clausura, lungo l’arco di questi tre secoli di<br />
storia sono sorte varie istituzioni, quali la confraternita laicale della <strong>Passio</strong>ne<br />
e decine di congregazioni maschili e femminili di vita apostolica o di forte impronta<br />
ascetica 9 . Vari gruppi, movimenti ed associazioni laicali si ritrovano<br />
nella spiritualità passionista; come pure Istituti secolari canonicamente riconosciuti.<br />
Scorrendo le vicende in cui nasce e si afferma la congregazione apostolica<br />
10 , non prive di forti contrasti e difficoltà di ogni genere, analizzando la<br />
8 Cfr lo stimolante e documentato studio dell'antropologa I. MAGLI, Gli uomini della<br />
penitenza, Franco Muzzio editore 1995.<br />
9 F. GIORGINI, op. cit., pp.223-247, passim.<br />
10 Id, ivi, pp.13-36, passim; e pp. 173-211 (cammino storico).
440 Tito Zecca<br />
struttura organica della congregazione 11 , i suoi elementi di spiritualità e di<br />
formazione 12 , esaminando le forme “classiche” della sua forma di predicazione<br />
non si può non costatare che le sue strutture fondamentali attuali e la<br />
sua formula di evangelizzazione non hanno perso molto dello smalto iniziale.<br />
Non mancano certo inquietudini e problematiche legate principalmente alla<br />
scarsezza delle vocazioni specialmente nelle aree della congregazione toccate<br />
dal secolarismo; come pure non ci si nasconde che una mera fedeltà alla lettera<br />
e non allo spirito del carisma e della istituzione che lo ha veicolato in varie<br />
forme storicamente incarnate, con esiti più o meno positivi, porterebbe ad<br />
una sclerosi irreversibile dell’organismo che ha prodotto frutti di santità e di<br />
apostolato altamente qualificati. E sono noti i rischi delle derive ideologiche<br />
che vorrebbero utilizzare come supporto carismatico di forte impronta teologica<br />
quale quello radicato nella staurologia, progetti ed utopie di stampo meramente<br />
politico e sociologico. Per questo da vari anni, specialmente nell’ultimo<br />
capitolo generale celebrato nel mese di ottobre di quest anno, i responsabili<br />
ed i rappresentanti della congregazione si sono interrogati sul tema della<br />
“ristrutturazione”, proponendo un coraggioso itinerario che porti la famiglia<br />
passionista ad una sempre più adeguata fedeltà al carisma nel momento<br />
storico attuale.<br />
Il volume del Giorgini che abbiamo il piacere di presentare ai nostri lettori<br />
è un utile strumento di conoscenza e, perchè no? di lavoro, per vivere, attualizzandola<br />
nella nostra temperie così convulsa ed articolata, la grande<br />
“passione per la <strong>Passio</strong>ne” così come è nata dal cuore del mistico della <strong>Passio</strong>ne,<br />
san Paolo della Croce e di tanti suoi figli e discepoli.<br />
11 Id, ivi, pp. 37-68, passim.<br />
12 Id, ivi, pp.69-130, passim.
Recensioni 441<br />
GIULIANA BUTTINI, La parola continua nel segno dei tempi. Messaggi di Gesù.<br />
volume I (anni 1972-1975). Prefazione di P. Antonio M. Artola, C.P., Roma 2006,<br />
pp. 292.<br />
È un libro che raccoglie “locuzioni” interiori che la signora Giuliana Buttini<br />
ha sentito nel suo spirito da parte di Gesù, Parola eterna del Padre celeste, per<br />
mezzo della quale tutto è stato creato e tutto è stato redento. Non sono quindi meditazioni<br />
nel senso ordinario della parola anche se, per alcuni aspetti, i pensieri<br />
espressi si avvicinano alla meditazione del mistero di Gesù, uomo – Dio, salvatore<br />
del genere umano, e contemplazione del mistero della vita umana e della sua<br />
avventura nel cammino del tempo (“il tempo va e voi nel tempo andate” p. 236),<br />
dell’esperienza del dolore fisico e psicologico che l’accompagna in una misura<br />
tanto forte. Le locuzioni hanno avuto prima di tutto la funzione di portare la signora<br />
Giuliana e il suo marito Luigi ad una scoperta rinnovata della fede cristiana<br />
ed a trovarla verità di vita nel momento in cui più l’oscurità travagliava il loro<br />
spirito per la morte dell’unico figlio: “Vi ho prestato un ragazzo Angelo, come per<br />
un onore, a voi lo avevo affidato e lo ritroverete tutto vostro. Allora ve lo donerò,<br />
non sarà più un prestito. Allora ognuno di voi apparterrà all’altro” (p. 28).<br />
Sono parole di conforto per scoprire il dolore, anche quello causato dalla<br />
morte fisica, come “grazia” ricevuta dal Padre; come via per comprendere meglio<br />
il dolore fisico e spirituale di Gesù nella passione e sulla croce: “tu che conosci<br />
l’amore verso tuo figlio, prima come dedizione e pazienza, dopo con lancinante<br />
dolore, puoi comprendere anche il Mio dolore sul Calvario vedendo quanti figli<br />
perdevo” (p. 31). La Parola, Cristo, vuole rafforzare nel credente la fede nella vita<br />
eterna mentre contempla il fluire del tempo e si sente la sofferenza per la separazione<br />
dalle persone amate: “La vita esiste oltre la vita che passa…Tu hai la<br />
creatura più amata in Luce di Gloria” (p. 32). Giuliana viene assicurata che il figlio<br />
è vivo in Dio e prega per i genitori: “quello che in terra si amò, torna alla<br />
mente anche oltre e soprattutto le creature amate e lasciate a piangere sono sempre<br />
nella mente e nella visione dei veri vivi” (p.162). Le locuzioni vogliono anche<br />
educare a comprendere il mistero del dolore di Gesù sulla croce: “In quel dolore<br />
vidi ogni creatura in corpo e spirito, vidi le azioni di ogni creatura soffrii e gioii<br />
per esse!”(p.40). Condividere la croce di Gesù è il modo che Gesù stesso dona per<br />
incontrare il suo volto beatificante: “a voi ho dato il peso della Mia Croce perché<br />
voi riportandola a Me ritrovaste il Mio volto… Vi aspetto là donde Mi renderete<br />
la Croce” (p.90). Lo scrivere per la signora Giuliana è stato un atto di obbedienza<br />
a Gesù per essere come un piccolo canale della grazia divina. Chi legge vi troverà<br />
parole che susciteranno nel suo spirito una risonanza che l’aiuterà a scoprire la<br />
presenza misteriosa ma reale della Parola eterna, Cristo Gesù ed a scoprire “quel<br />
filo invisibile che lega gli uni agli altri: l’Amore!”(p. 71). Questa straordinaria
442<br />
presenza di Gesù nello spirito di Giuliana deve servire per renderla capace di aiutare<br />
altre persone ad avvicinarsi a Gesù: “In terra, quando portai l’amore e la redenzione,<br />
venni per i peccatori, ora, attraverso voi vengo per i peccatori. Tendete<br />
così le mani ai fratelli che non mi conoscono perché a Me vengano” (p. 256). Forse<br />
può creare meraviglia trovare l’intervento di vari angeli e santi come mediazione<br />
privilegiata di cui Gesù si serve per fare udire la sua voce a Giuliana. Per<br />
comprendere l’insieme di queste manifestazioni mistiche occorre leggere con attenzione<br />
la presentazione e la prefazione che ne fa il p. Artola all’inizio del volume<br />
e poi anche l’appendice nel paragrafo “Il Gesù dei Messaggi”. Queste introduzioni<br />
e spiegazioni aiutano a porre l’opera di Giuliana nella sua giusta luce spirituale<br />
e nell’alveo della tradizione cattolica in cui troviamo, tra le altre mistiche,<br />
B. Caterina Emmerick, Maddalena de’ Pazzi, Maria Valtorta che, a loro modo,<br />
hanno compiuto un lavoro simile manifestando le locuzioni interiori che sentivano<br />
e che erano vita spirituale loro comunicata perché fosse di aiuto ad altre persone<br />
che cercano Gesù che dice: “Tutti vi ho visto sulla Croce…ad uno ad uno vi ho<br />
visti, bene conosco ognuno di voi” (p. 236).<br />
P. Fabiano Giorgini C.P.<br />
PALMITESSA NICOLA, Evangelizzatore della giustizia. Padre Annibale, oggi, supplemento<br />
al n. 3 di ADIF, luglio-set. 2006, pp 48, Curia Generale dei Rogazionisti,<br />
Roma, Nuova Serie, n. 20.<br />
“Non vi è chi non deplora lo stato convulsivo in cui si trova ai nostri giorni<br />
quella classe di operai e di contadini, cui fu dato a considerare la loro disagiata condizione<br />
nelle attuali universali miserie, e a cui una falsa scuola ha insegnato che<br />
debbono insorgere contro i possidenti e contro i governanti, per afferrare il vello<br />
d’oro, ed essere felici”. Così scriveva, sul periodico “Dio e il prossimo” (Messina,<br />
dic. 1920) il Santo del Rogate, molto noto, appunto, per la passione per le vocazioni<br />
sacerdotali e religiose alla base del suo apostolato e della fondazione degli Istituti<br />
religiosi che ne hanno preso nome e programma. Molto noto, anche, Padre Annibale,<br />
per l’istituzione di laboratori di artigianato, orfanotrofi femminili e maschili, il<br />
“Pane di S. Antonio”, l’eroico prodigarsi in generale per il degradato quartiere<br />
“Avignone” di Messina e, in particolare , in occasione del devastante terremoto che<br />
colpì la città nel 1908 (vedi la succinta “Cronologia. Vita e opere”).<br />
Ma il valore specifico, il valore aggiunto di questo agile, chiaro, succoso contributo<br />
(che si aggiunge ad altri, sui vari aspetti della vita, della spiritualità, delle<br />
opere di Padre Annibale, canonizzato nel 2004), sta, come benissimo dice il titolo
443<br />
suffragato dall’esposizione nella definizione di evangelizzatore della giustizia. Anzitutto<br />
la fondazione biblica della santità come giustizia verso Dio e verso il prossimo<br />
e, di conseguenza, la scrupolosa, esatta, diligente (“giureconsulto di Dio”) osservanza<br />
personale. Poi, le ripetute ammonizioni agli uomini di Chiesa e ai suoi religiosi,<br />
ai governanti, ai proprietari e datori di lavoro, perché attraverso la promozione<br />
della giustizia evangelica predicata dalla Chiesa, si elimino le cause che portano,<br />
inevitabilmente a sofferenze ingiustificate e comprensibili e violente rimostranze.<br />
Comprensibili, ma fonte di ulteriori sciagure se manipolate da “false scuole”<br />
che predicano la sovversione, come tragicamente la storia insegna. Altra cosa, segno<br />
dei tempi, su cui forse valeva la pena qualche osservazione critica, l’invito a,<br />
per così dire, stare contenti del proprio stato perché “le dita della mano…non sono<br />
uguali”. Ma a questo si potrà rimediare in una auspicabile più distesa trattazione.<br />
Salvatore Spera<br />
CEDARMAS ANTONELLA, Per la cruna del mondo. CARLO CAMUCIO E MOISÉ VITA<br />
CAFSUTO, due pellegrini nella Terra Santa del Settecento, FRANCO ANGELI (“Temi<br />
di Storia ’77”. Istituto Pio Pascini Miscellanea), Milano 2006, pp 388, cm 16x23,<br />
€ 27,00.<br />
Una gran bella cornice, ben costruita a incastro e indubbiamente arricchente<br />
per la ricchezza degli elementi assemblati per ricostruire tutti gli elementi<br />
enunciati nell’intestazione: il periodo, i luoghi, i viaggi e le relative motivazioni<br />
più o meno religiose e culturali, politiche e commerciali. E, dunque: il pellegrinaggio<br />
come esperienza del sacro, ma anche curiosità e interessi; la Palestina ottomana<br />
nel Settecento, un periodo di declino già annunziato ma con strutture abbastanza<br />
solide per dominare ebrei e cristiani; la Custodia di Terra Santa per soccorrere<br />
i cristiani e, analogamente, le Comunità ebraiche per gli Ebrei; il pellegrinaggio<br />
cristiano in “Terra Santa” (con un flashback su Cinque e Seicento quando<br />
il flusso era più ricco) e in parallelo, l’aliyyah ebraica nella “Terra Promessa”.<br />
Hisce positis, si arriva a Carlo Camucio, arcidiacono di Carnia, un pellegrino<br />
cristiano che già si era recato a Roma per il Giubileo e a Roma avrebbe, poi,<br />
soggiornato nel corso di una carriera ecclesiastica che lo avrebbe visto, in una vita<br />
itinerante, vescovo di Capodistria, arcivescovo di Tarso e Patriarca di Antiochia.<br />
Dopo un utile paragrafo: “Aspetti della società friulana nel Settecento” e il<br />
detto profilo biografico, siamo rapidamente ragguagliati su un brogliaccio (più<br />
che diario) dove emerge la motivazione religiosa (già evidenziata nelle memorie,<br />
riportate, del precedente pellegrinaggio a Roma e Loreto del 1750) del viaggio in
444<br />
Terra Santa del 1752-53, tra annotazioni di spese, disagi di viaggio, piccoli episodi<br />
e disturbi per “la maniera di cucinare svedese, ch’è peggio della tedesca” durante<br />
il lungo viaggio da Livorno ad Alessandria. E poi: donne-guida, lettere di<br />
raccomandazione, liturgie…<br />
Più ricco, più vivace il diario del gioielliere ebreo fiorentino, anche lui molto<br />
religioso e osservante ma “curioso” di popoli e costumi e con l’occhio sempre<br />
attento dell’uomo di affari, rispettoso delle altre religioni, in ottimi rapporti con i<br />
Francescani della Custodia. Il diario, elaborato successivamente al viaggio<br />
(1773-35), è in italiano, una delle numerose lingue che “l’uomo di mondo” praticava<br />
agevolamente.<br />
Salvatore Spera<br />
WALTER VELTRONI, La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, 2006, pp. 155, € 16,00.<br />
Recensire un’opera di narrativa non essendo un critico letterario, ma un<br />
teologo, può essere visto come una presunzione. Ma ognuno fa quello che può.<br />
Allora si potrebbe parlare delle risonanze che un’opera di narrativa suscita in un<br />
teologo. C’è stato chi ha detto che c’è più teologia in tanti romanzi che in certi<br />
trattati di teologia. A questo pensavo scrivendo questa recensione.<br />
Il romanzo di Veltroni – un politico militante della sinistra italiana – si colloca<br />
senza rimpianti nel pieno dell’affluent society: la società italiana del XXI secolo,<br />
dove si comunica normalmente via Internet e il giovane fa le sue vacanze in<br />
America. Non appare affatto il proletariato. Peraltro, alla retrocessione dei problemi<br />
economici fa riscontro la crescita dell’insicurezza, della paura e l’ingigantimento<br />
dei problemi affettivi. Paura non solo dei terroristi – ben presenti nell’Italia<br />
degli anni ’70 del secolo scorso -, ma paura che le strutture su cui riposa l’equilibrio<br />
affettivo si sgretolino da un istante all’altro. E, infatti, l’irreparabile succede.<br />
Il papà del protagonista scompare nel nulla proprio quando ha raggiunto il<br />
vertice della realizzazione di sé.<br />
Nasce Stella, una figlia con la sindrome di Down: è interessante vedere come<br />
si è tranquillamente ingiusti di fronte a queste povertà verso le quali probabilmente<br />
c’era poca sensibilità in passato e non c’è una sensibilità adeguata neanche<br />
oggi. C’era qualche ragione nella scomparsa inspiegabile del padre? Forse<br />
un’altra donna da godere? No, ma soltanto l’afferrarsi alla sopravvivenza di un<br />
uomo che sta sperimentando come la scalata al potere e all’avere l’ha ridotto a<br />
una paura invincibile e al rifiuto verso se stesso, suo e forse dei suoi. Anche nel<br />
cuore del figlio che lo ha tanto cercato, lui piomba nella tenebra.
445<br />
In mezzo a questo fallire delle persone affermate c’è la presenza dei piccoli,<br />
unica portatrice di speranza, della bambina down e soprattutto di Lorenzo, il<br />
figlio del protagonista. Nel cuore di Lorenzo, a otto anni e fino ai venti, nasce un<br />
seme: quello che lo fa uscire dalla tirannia di ciò che è ritenuto socialmente gratificante<br />
e gli fa scegliere la sorellina down e l’aiuto dei genitori. Diventa papà<br />
del papà impaurito dal si (si fa così, si pensa così), come accade realmente oggi<br />
abbastanza spesso. Restringe la propria vita per attuare questo programma, un<br />
tempo si diceva: abbracciare la rinuncia. Alla fine anche il papà, che ha scoperto<br />
la vergogna in cui è precipitato il proprio padre, può correre verso Stella, in vacanza<br />
in California. Non c’è altra via di vita.<br />
È il baluginio di una rivelazione per l’uomo del nostro tempo? Un tempo<br />
che abbatte i confini fra ebrei e cristiani, fra cattolici e protestanti, fra credenti e<br />
atei, fra Occidente e Oriente? Un tempo che, abbattendo i confini, svela il limite<br />
di ciascuna incarnazione del seme messo da Dio nel cuore dell’uomo, seme che<br />
vuole svilupparsi al di là degli impedimenti? È questa la scoperta dell’alba? Il bene<br />
è lì come tocco di un Dio che non si conosce, come traccia di un Dio sempre<br />
nascosto e innominabile. Il bambino con il suo diritto all’affetto, la famiglia che<br />
si dissolve e riappare. La carità (Deus caritas) come caratteristica dell’essere-caro.<br />
Prese un bambino e lo pose nel mezzo (Mt 18, 3).<br />
Poi c’è il fare memoria: i diari, la possibilità di vivere tante vite oltre la propria,<br />
al di là della propria, una possibilità che noi religiosi avevamo sperimentato<br />
nella lettura delle biografie e dei processi canonici dei nostri santi. La possibilità di<br />
varcare la barriera dell’alterità – in modo virtuale perché poi si possa varcare in modo<br />
reale -, uscendo dal narcisismo individualista. Essere un altro e permettere all’altro<br />
di rivivere in me, diacronicamente e sicronicamente. E c’è anche l’esperienza<br />
del rivivere quel momento traumatico della propria infanzia e capire.<br />
E, finalmente, c’è l’esperienza dell’alba, che si ripete ogni mattina: le albe<br />
che sono “anticipazioni di Dio, silenzio e grandezza, pausa e attesa, inizio e fine,<br />
tradizione e cambiamento” (p.11).<br />
(Adolfo Lippi)<br />
FUMAGALLI BEONIO-BROCCHIERI MARIATERESA, Cristiani in armi. Da Sant’Agostino<br />
a Papa Wojtyla, Laterza (“I Robinson. Letture”), Roma-Bari, pp XIII+211,<br />
cm 14x21, rilegato con sopracoperta, € 16,00.<br />
La lucidissima Prefazione del card. Jean-Louis Tauran al corposo Enchiridion<br />
della pace (2 vol, EDB 2004) ricorda una Chiesa “che cammina insieme con<br />
l’umanità” e i cristiani “operatori di pace” e lontani da un pacifismo naif consa-
446<br />
pevoli che “gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia<br />
della guerra fino alla venuta di Cristo” (GS 78). La pace è sempre possibile,<br />
(e lo si afferma chiaramente in una teologia della pace lentamente e faticosamente<br />
elaborata e in una pedagogia della pace elaborata e proposta. Ma la realtà<br />
storica (né pessimisti disperati né ottimisti ingenui, ma realisti operativi) che ci<br />
mette continuamente di fronte al terrorismo, ai conflitti irrisolti, ai rigurgiti etnici,<br />
alle violenze dei prepotenti e dei tiranni, ci ricordano senza mai cessare di annunciare<br />
a tutti il “vangelo della pace”, che non siamo ancora nel “Regno dei cieli”.<br />
Le 18 pagine di bibliografia ignorano quest’opera. Peccato!<br />
Lo sapevano anche i grandi utopisti, da Erasmo a More a Campanella, che<br />
l’esperta studiosa di filosofia medievale non trascura di citare in una rapida rassegna<br />
(“non è un libro sulla guerra, ma sulle idee”) che si sofferma volentieri sulla<br />
“guerra santa” e la “guerra giusta”, che è incontrovertibile quanto dice Agostino:<br />
“La volontà deve tendere alla pace mentre la necessità spinge alla guerra” e che<br />
“Talvolta è necessario che gli uomini buoni intraprendano la guerra contro gli uomini<br />
violenti”. Dopodiché tutti vogliamo, appunto, la pace e ricorriamo alla guerra<br />
solo come drammatica “estrema ratio”, il volume è utilissimo come contributo alla<br />
dialettica, al dibattito che sempre c’è stato e giustamente continua sullo spazio, l’equilibrio<br />
realisticamente possibile. Ma è proprio qui che ci sembra di ravvisare una<br />
tendenza utopistica della studiosa regolarmente severa nel giudicare le scelte per la<br />
guerra, anche quando erano una, appunto drammatica, necessità.<br />
Non si può non condividere l’auspicio di Paolo VI: “Mai più la guerra” ma<br />
non ha senso concludere che “solo con il pontificato di Giovanni XXIII, la terminologia<br />
bellicosa del “perfetto cristiano”, del crociato e del cavaliere della fede<br />
viene felicemente abbandonata”. Allo stesso modo che quello cristiano non è<br />
“prevalente pessimismo” ma realismo.<br />
Salvatore Spera<br />
ARRUGA LORENZO, Mozart da vicino, Rizzoli (“La Scala”), 2006, pp 176, cm<br />
16x23, rilegato con sopracoperta, allegato CD, € 24,00.<br />
Un libro che si distacca decisamente al di sopra di molta produzione occasionale<br />
(il 250° dalla nascita), scritto con amore e competenza, capace davvero di<br />
avvicinarci al mistero del genio di Mozart, di introdurci nel suo meraviglioso<br />
mondo musicale, a mano a mano che si snoda la sua vicenda biografica così intimamente<br />
legata a una stupefacente produzione tutta di valore assoluto, eppure<br />
obbediente a una dinamica artistica interna. Molto utilizzato il prezioso, vivace,
447<br />
a tratti impertinente Epistolario che racconta dei viaggi numerosi, faticosi, che<br />
portavano a conoscere il mondo dorato dei nobili e potenti, dei musicisti, dei teatri,<br />
ma anche “triste destino” di dire continuamente addio anche a persone care.<br />
Mozart, allo stesso tempo sincero e vigile, comunica con il padre e con la sorella,<br />
descrive luoghi e persone, ci trasmette le sue impressioni sulla vita artistica<br />
(esclusivamente e totalmente musicale), lascia trasparire la soddisfazione per i<br />
successi, la delusione per le incomprensioni, le piccinerie, i soprusi, si lascia andare<br />
anche ai sogni di una vita matrimoniale tranquilla. Ma c’è anche una sfrenata<br />
esaltazione del corpo in lui così sensibile alla bellezza femminile di cui sa<br />
esplorare astuzie e rischi. Da Ponte incomparabile librettista, ma anche descrivere,<br />
con la musica, con gli strumenti, con la voce, rapimenti, estasi, abbandoni e<br />
languori. Il tutto in un sapientissimo intreccio dove la musica, praticamente tutta<br />
la musica, la tradizione letteraria, la vita di società sono trasfigurate dal suo genio<br />
musicale dove non è irrilevante il suo animo, la sua indole, la sua esperienza,<br />
dalla “capretta” M. Anna Thekle, a Aloyaya Weber, alla moglie Constanza.<br />
Le numerose attestazioni di fede cattolica, possibilmente non al di sopra di<br />
un tradizionalismo stereotipo, non sono, comunque prive di valore ed esse pure alla<br />
base di una musica che se non volessimo definire religiosa o addirittura liturgica,<br />
è capace di esprimere il sublime, il trascendente, insomma: il divino. Tutto questo<br />
e molto altro (compresi efficaci, rapidi schizzi di storia delle idee e della cultura)<br />
in un libro che ci fa gustare Mozart dal di dentro del suo ineffabile mistero.<br />
Salvatore Spera
Schede bibliografiche 448<br />
TEOLOGICO (38)<br />
TEMA: IL CAMMINO VERSO I MORTI (Sabato Santo). BALTHASAR H.<br />
URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp.131-163.<br />
1. Riflessioni teologiche<br />
preliminari.<br />
I vangeli descrivono benissimo la<br />
vicenda di Gesù fino alla morte,<br />
mentre sono parchi nel descrivere il<br />
tempo che va dalla sepoltura alla resurrezione.<br />
Che Gesù sia realmente<br />
morto, proprio perché realmente uomo,<br />
è fuori di ogni dubbio. Come fu<br />
solidale con i viventi, altrettanto lo<br />
fu con i morti e a questa solidarietà<br />
bisogna lasciare tutta la sua ampiezza<br />
e la sua problematicità. Spesso al<br />
Gesù morto venivano attribuite varie<br />
azioni, mentre in realtà egli condivide<br />
la passività di tutti i morti. Neanche<br />
il: “discese agli inferi”, in questo<br />
caso è del tutto buono, in quanto esso<br />
esprime un’attività. L’espressione<br />
entra nel credo solo dopo l’interpretazione<br />
di Rufino (359) ad Aquileia.<br />
Occorre qui riflettere bene per cercare<br />
di capire in che misura si possa interpretare<br />
questo “discese”. Il termine<br />
katabàinein è stato formato in<br />
corrispondenza precisa al termine<br />
ananbàinein, usato per esprimere il<br />
ritorno al Padre. In ambedue i casi<br />
l’uso del termine deriva dal senso<br />
naturale dell’uomo, per cui il cielo<br />
sta sopra e la tenebra e i morti stanno<br />
sotto; perciò il descendit non<br />
esprime una attività quanto una soli-<br />
darietà con i morti. Quello di Gesù è<br />
un cammino verso i morti: “Egli andò<br />
presso le anime in carcere e predicò<br />
ad esse la lieta novella” (1 Pt<br />
3,19). Tale “percorso” è in parallelismo<br />
con la resurrezione che inaugura<br />
il cammino verso il cielo (1 Pt<br />
3,22). Tali azioni sono vissute da Gesù<br />
in forma passiva; è Dio l’agente,<br />
il soggetto attivo. Non c’è alcuna<br />
difficoltà che impedisca di intendere<br />
questo “andare presso le anime in<br />
carcere” come un essere presso di<br />
esse e considerare il “predicare” come<br />
l’annuncio della redenzione attivamente<br />
patita sulla croce dal Gesù<br />
vivente e non già come una nuova<br />
attività, distinta dalla prima. L’essere<br />
solidale con i morti porta nel loro regno<br />
la salvezza conclusa sulla croce<br />
e la “predicazione” non è altro se<br />
non l’effetto nell’al di là di ciò che è<br />
avvenuto nella storia.<br />
2. Il Nuovo Testamento<br />
L’A.T. non conosce comunicazione<br />
tra Dio e il regno dei morti, ma sa<br />
che Dio ha potere anche su questo regno,<br />
perciò può parlare di un Dio che<br />
fa scendere nello sheol e richiama da<br />
esso. Per il NT non è la discesa verso<br />
morti che è importante, ma l’ascesa.<br />
L’essere ridestato dai morti compare
circa 50 volte in tutto il NT. Il centro<br />
è che Dio non ha lasciato Gesù nell’Ade,<br />
ma lo ha ridestato. Il fatto di<br />
discendere e di risalire trovano compimento<br />
in Ef. 4, 8 dove il salire è citato<br />
per primo e solo dopo, come presupposto<br />
si cita l’essere disceso negli<br />
inferi della terra. Nel salire però egli<br />
porta con sé prigionieri e cioè le stesse<br />
potenze, oramai prive di forza, che<br />
prima tenevano prigionieri gli uomini,<br />
tra le quali è inclusa anche la morte,<br />
l’ultimo nemico (1 Cor. 15, 26). La<br />
morte è sempre legata al peccato, perciò<br />
non si ha il diritto di distinguere<br />
tra morte fisica e quella spirituale. La<br />
parabola di Mc. 3, 24-27 in cui si dice<br />
che chi incatena è il più forte ed il<br />
padrone della casa, si attua quando<br />
Gesù scende nel cuore del potere di<br />
Satana: la morte. Senza l’exusia di<br />
Cristo di sciogliere dalle doglie della<br />
morte non ci potrebbe essere l’exusia<br />
della Chiesa di sciogliere dal peccato.<br />
In Ap. 1,18 non si parla né di lotta né<br />
di discesa ma di potere assoluto che si<br />
basa sul fatto che il Signore era morto<br />
ed ora vive per l’eternità, ha così<br />
vinto la morte e ne ha fatto un “passato”<br />
per se e per tutti. Allo stesso<br />
modo Mt. 27,51-53 riferisce il risultato<br />
di questa vittoria in modo figurato<br />
e visibile con lo scuotimento della<br />
terra tale che i sepolcri si aprono e i<br />
morti risorgono. Sulla croce è già stata<br />
distrutta la potenza dell’Ade, ma la<br />
sepoltura di Cristo ed il suo “essere<br />
con i morti” sono ancora necessari,<br />
perché nel giorno di Pasqua possa avvenire,<br />
con il Cristo primogenito, la<br />
449<br />
risurrezione comune. Perciò non si<br />
può affermare che tra la morte e la resurrezione<br />
non resti lo spazio per uno<br />
stato particolare, perché in essa Gesù<br />
passa un tempo reale, condividendo<br />
la passività con tutti morti.<br />
3. Solidarietà nella morte.<br />
Tale solidarietà è espressa con<br />
l’accurato racconto della sepoltura e<br />
cura del cadavere e tutto ciò implica<br />
che Egli è presso i morti.<br />
a. Lo sheol: l’essere tra i morti<br />
non redenti implica che Gesù è “sceso”<br />
nello sheol, che è l’Ade, di cui<br />
Egli possiede le chiavi. In questo stato<br />
i morti sono nelle tenebre, nella<br />
polvere, nel silenzio e non c’è possibilità<br />
di ritorno. In esso non c’è né<br />
attività né conoscenza di ciò che avviene<br />
sulla terra e si è privati di ogni<br />
forza e vitalità. Essi sono nel “paese”<br />
dell’oblio.<br />
b. Come stato: l’AT pone l’accento<br />
più sullo stato dei morti che<br />
sul luogo e non fa meraviglia quindi<br />
se nella teologia cristiana stato e luoghi<br />
stiano l’uno accanto all’altro.<br />
L’Ade è da intendersi uno stato, più<br />
che un luogo.<br />
c. Solidarietà: questa solidarietà<br />
è lo scopo del descensu. Il fine per<br />
cui Cristo va nell’Ade, secondo<br />
Tommaso non dipende da una insufficiente<br />
sofferenza sulla croce, ma<br />
dall’assunzione di tutti i defectus dei<br />
peccatori, perciò Cristo dovette fermarsi<br />
nell’Ade per tutto il tempo che<br />
il suo corpo restò nel sepolcro, per
450<br />
espiare tutta la pena imposta ai peccatori.<br />
Le doglie della morte, nelle<br />
quali anche Cristo cade, saranno eliminate<br />
solo quando il Padre lo farà<br />
risorgere. In tutto ciò Egli condivide<br />
fino in fondo la logica dell’umano<br />
morire.<br />
d. Indeterminatezza dello sheol:<br />
sotto questa solidarietà si nasconde<br />
un difficile problema teologico la cui<br />
dialettica non può essere risolta dal<br />
nostro pensiero limitato dalla categoria<br />
del tempo. Il problema è: la pena<br />
inflitta all’umanità precristiana, a<br />
causa del peccato originale è definitiva<br />
e consiste nella privazione della<br />
visione di Dio. Ma i giusti che vissero<br />
nella speranza e nella fede non<br />
sperimentano tutta la foga della dannazione,<br />
in quanto attendono con fede<br />
la salvezza e perciò chi vive realmente<br />
tutta la forza della dannazione<br />
è proprio Cristo che, prese su di sé<br />
tutto l’abisso dell’inferno per liberarci<br />
dalla discesa in esso, ed è proprio<br />
dal punto più profondo della<br />
perdizione che Cristo risana ogni uomo<br />
e tutta la creazione e da qui il Padre<br />
lo ridesta dalla morte.<br />
4. L’essere morto del Figlio<br />
Cristo, risparmiando ai morti, tutta<br />
l’esperienza della morte come<br />
poena damni, prese su di sé tutta<br />
questa esperienza, sostituendosi ad<br />
essi. Perciò egli è l’unico che andando<br />
al di là della comune esperienza<br />
della morte ha misurato le profondità<br />
dell’abisso.<br />
a. L’esperienza della seconda<br />
morte: è Nicolò Cusano che ha ammesso<br />
la passione del sabato santo e<br />
l’ha considerata come appartenente<br />
alla passione espiatrice. In questa<br />
seconda morte l’anima del Figlio discende<br />
nell’inferno dove ha la visione<br />
profonda e totale della morte come<br />
assenzalontananza da Dio.<br />
Quando il Padre lo risuscita lo strappa<br />
dal più profondo inferno ove la<br />
sofferenza del Cristo è pari a quella<br />
dei dannati che più dannati non potevano<br />
essere. Egli è il solo che attraverso<br />
una morte così penetrò nella<br />
gloria.<br />
b. L’esperienza del peccato in<br />
quanto tale: in questa seconda morte<br />
Cristo fa l’esperienza del puro<br />
peccato in quanto tale, non del peccato<br />
personale, ma quello astratto da<br />
questa realtà, contemplato nella sua<br />
nuda realtà in quanto peccato. In<br />
questo stato il peccato è amorfo e<br />
forma quello che potrebbe essere<br />
chiamato il secondo caos. Egli vive e<br />
contempla la profondità dello sheol e<br />
la radicalità dell’inferno come assoluto<br />
svuotamento di vita. Qui l’inferno<br />
è contemplato dal redentore nel<br />
suo “in sé” per diventare, nella sua<br />
perdizione assoluta, un “per Lui”;<br />
ciò su cui, nella risurrezione, riceve<br />
il potere e le chiavi.<br />
c. Evento trinitario: l’essere con<br />
i morti del Figlio è l’atto estremo di<br />
obbedienza al Padre che lo invia per<br />
salvare l’uomo, allora deve inviarlo,<br />
per conseguenza anche nell’inferno<br />
ed Egli può essere lì solo come mor-
to. Qui il Figlio deve osservare quanto<br />
di deforme e di caotico c’è nell’ambito<br />
della creazione per riportarlo, in quanto<br />
Redentore sotto il suo possesso. Cristo<br />
ha percorso le profondità dell’inferno<br />
perché non legato dal peccato ed è<br />
quindi libero tra i morti. Il suo sprofondare<br />
nell’Ade, sperimentandone la<br />
profondità, è una presa di possesso e<br />
un crearne la via d’uscita che risorgendo<br />
comunica a tutti.<br />
5. La salvezza nell’abisso.<br />
In quanto trinitario, il cammino<br />
verso i morti è necessariamente salvifico.<br />
Non si può dire che Cristo non<br />
ha portato la salvezza nel vero inferno<br />
ma solo nel limbo, il che è un apriori<br />
scolastico. Prima di Cristo c’era solo<br />
l’Ade da cui egli libera i morti con la<br />
solidarietà con essi, i quali ora possono<br />
prendere la loro decisione sotto<br />
l’influsso dell’orientamento fondamentale<br />
della loro vita e ciò vale sia<br />
451<br />
per i morti prima di Cristo che per<br />
quelli dopo.<br />
a. Il purgatorio: dal punto di vista<br />
teologico esso non può avere origine<br />
che il sabato santo, in cui il Cristo<br />
solidale con i morti, introduce la<br />
misericordia davanti al fuoco dell’ira<br />
divina.<br />
b. Lo “scioglimento dei vincoli”:<br />
l’opera del Cristo nell’Ade è la visione<br />
totale del puro peccato e lo<br />
sperimentare in esso la morte pura.<br />
Egli però, non essendo legato al peccato,<br />
“passa” attraverso di esso. C’è<br />
qui una forte tendenza ad anticipare<br />
il frutto della Pasqua al sabato santo,<br />
come fa l’iconografia Orientale che<br />
nel descensus, vede il Cristo come<br />
colui che rompe i vincoli e sfonda le<br />
porte dell’inferno, mentre l’atteggiamento<br />
giusto del sabato santo è l’accompagnare<br />
da lontano il CristoDio<br />
morto con i morti.<br />
Fr. Maximus a S.R.P. Cp.
452<br />
TEOLOGICO (39)<br />
TEMA:IL CAMMINO VERSO IL PADRE (Pasqua) Parte Prima. BAL-<br />
THASAR H. URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp. 165-<br />
201.<br />
1. L’affermazione teologica<br />
fondamentale.<br />
La croce e sepoltura appaiono<br />
nella loro importanza a partire dalla<br />
resurrezione. In essa il Padre porta a<br />
compimento la sua opera inviando lo<br />
Spirito a Gesù e nel mondo. Ciò è un<br />
avvenimento sovrastorico e storico<br />
che fonda la fede e tuttavia ci sfugge.<br />
a. Unicità dell’affermazione.<br />
aa. La filologia impone di far dire<br />
ai testi ciò che essi vogliono dire e<br />
la loro valutazione nei nostri riguardi<br />
è posteriore. Tutta la Chiesa crede<br />
nella resurrezione e la testimonianza<br />
più antica è contenuta in 1 Cor 15,3-<br />
5, dove si professa la morte, sepoltura<br />
e risurrezione di Cristo, e dove<br />
quest’ultima, è un atto specifico di<br />
Dio e non la sola presa di coscienza<br />
del significato della croce.<br />
bb. Che un morto riabbia la vita<br />
non è ignoto al mondo biblico, ma<br />
questa risurrezione non ha analogia<br />
con nessun altra, in quanto qui si intende<br />
il passaggio di Gesù da una<br />
forma di vita che ha lasciato la morte<br />
dietro di sé una volta per sempre.<br />
Questo è il passaggio da un eone al<br />
nuovo eone, che ci sfugge pur essendo<br />
un fatto della storia che ha un’apertura<br />
sulla storia, ma che alla fine<br />
la trascende. Per capire ciò la scrittura<br />
ci fornisce tre categorie di comprensione.<br />
1) La rappresentazione crescente<br />
del Dio vivente dell’AT che si manifesta<br />
come tale proprio in questa resurrezione.<br />
2) L’orizzonte aperto dell’apocalittica<br />
giudaica precristiana che parla<br />
della resurrezione dei morti alla fine<br />
dei tempi. L’idea di Gesù primogenito<br />
dei morti è un’idea inaudita sia<br />
per i giudei che per i pagani.<br />
3) La pretesa di Gesù di essere occasione<br />
decisiva di salvezza o perdizione<br />
eterna. Questo gli apostoli lo<br />
hanno capito solo dopo l’incontro con<br />
il risorto, è tale incontro, al quale erano<br />
impreparati che li porta ad usare<br />
analogie ed immagini per annunciare<br />
la resurrezione. Analogie che loro<br />
stessi correggono o abbandonano perché<br />
incapaci di tradurre anche minimamente<br />
quell’evento. La prima percezione<br />
che hanno avuto è che Dio<br />
stava dalla parte di Gesù e che lo giustificava<br />
e con lui giustificava anche<br />
quanti credevano in lui.<br />
b. La forma trinitaria dell’affermazione.<br />
La resurrezione è opera del Padre<br />
e in rapporto con essa sta l’effusione<br />
dello Spirito e solo perché il Padre
ha effuso nel nostro cuore lo Spirito<br />
del Figlio suo che l’evento salvifico<br />
della risurrezione acquista per noi un<br />
significato esistentivo. Solo se si riconosce<br />
la matrice trinitaria dell’evento<br />
si può parlare poi in maniera<br />
adeguata del pro nobis e del pro<br />
mundo. Al Padre è sempre ascritta<br />
l’iniziativa della risurrezione, il quale<br />
porta a compimento la sua azione<br />
creatrice del mondo proprio attraverso<br />
la risurrezione del Figlio dai morti.<br />
Questa matrice trinitaria risuona<br />
come un ritornello in tutte le affermazioni<br />
kerigmatiche. In tutto ciò<br />
Egli si mostra come il Dio vivente e<br />
fedele che vivifica i morti. In questa<br />
resurrezione Dio manifesta definitivamente<br />
la doxa che pervade tutto<br />
l’AT. Il Padre mostrando il Figlio<br />
glorificato e giustificato, manifesta<br />
se stesso, non a tutti, ma solo ad alcuni<br />
testimoni, perché Dio non si<br />
manifesta mai nel suo mistero essenziale.<br />
Nelle manifestazioni del risorto<br />
è Dio che si auto manifesta in lui,<br />
è il Figlio che manifesta la gloria del<br />
Padre e viceversa ed è proprio per<br />
questo che il risorto nell’apparire da<br />
una parte si dona e dall’altra si sottrae.<br />
Non c’è dunque rivelazione definitiva<br />
della trinità prima del compimento<br />
del mistero pasquale, preparata<br />
dall’opposizione delle volontà<br />
nell’orto degli ulivi e dall’esperienza<br />
di abbandono sulla croce.<br />
c. Autotestimonianza del risorto.<br />
Attenendoci all’affermazione teologica<br />
fondamentale ne abbiamo mo-<br />
453<br />
strato l’unicità e l’assenza di analogie,<br />
quindi abbiamo considerato la<br />
sua forma teologica trinitaria ed ora la<br />
consideriamo nel suo contenuto concreto<br />
di esperienza narrativa degli incontri<br />
con uno che era morto ed è stato<br />
visto vivo.<br />
aa. Queste “dimostrazioni” del risorto<br />
non sono catalogabili come visioni<br />
né soggettive né oggettive e si<br />
pongono al di qua di ogni questione<br />
esegetica. Qui si tratta prima di tutto<br />
di un incontro tra persone che si riconoscono;<br />
è Lui il risorto che prende<br />
l’iniziativa e che si mostra e che chiama<br />
per nome: “Maria!” (Gv 20,16).<br />
bb. L’incontro con il risorto fa scaturire<br />
convincimento, conversione<br />
confessione dei peccati. Qui i discepoli<br />
sono consapevoli, non solo di essere<br />
da Lui conosciuti, ma piuttosto penetrati<br />
fino in fondo. Conosciuti da<br />
Lui molto meglio di quanto si conoscano<br />
essi stessi. Dai testi non possiamo<br />
dedurre che la causa di Gesù potesse<br />
andare avanti dopo la sua morte,<br />
anzi, perciò dobbiamo dedurre che<br />
qualcosa di straordinario deve essere<br />
davvero accaduto e non poteva certo<br />
essere la testimonianza delle donne a<br />
far ripartire i discepoli. Agli undici deve<br />
essere capitato qualcosa di simile a<br />
quanto successo a Paolo a Damasco,<br />
uno “stramazzare” a terra davanti al<br />
risorto, alla sua penetrazione che raggiunge<br />
la profondità dell’umanità del<br />
discepolo che provoca la conversione<br />
di tutto l’atteggiamento interiore dell’uomo.<br />
Anche le più dure parole di<br />
giudizio nel risorto sono sempre paro-
454<br />
le di salvezza e di perdono come è dimostrato<br />
in Emmaus e nella storia di<br />
Tommaso.<br />
cc. È a partire dall’esperienza del<br />
crocifisso come vivente che gli apostoli<br />
giungono alla confessione della<br />
divinità del risorto in quanto percepiscono<br />
il lui, la presenza del Dio vivente,<br />
colui che fa scendere all’Ade e<br />
risalire (1 Sam 2,6). Da ciò l’attribuzione<br />
al risorto dei titoli divini all’idea<br />
dell’esaltazione del servo a<br />
Kyrios e messia.<br />
dd. Gli evangelisti affermano concordemente<br />
che a partire dalla Pasqua<br />
si è svelato ai discepoli il senso della<br />
vita precedente di Gesù, nonché la<br />
globalità delle scritture. Ciò che è decisivo<br />
non è che alcune parti dell’AT<br />
vengono interpretate in modo nuovo<br />
ma bensì che tutto l’AT venga portato<br />
ad una sintesi superiore che non è<br />
raggiungibile soltanto da esso. L’esperienza<br />
con il risorto getta una luce<br />
particolare su tutta la scrittura, tale<br />
esperienza si impone loro da sé. Non<br />
come esperienza irrazionale da razionalizzare<br />
per forza ma piuttosto come<br />
centro magnetico che ordinava attorno<br />
a sé tutti i frammenti di significato<br />
delle scritture.<br />
ee. Che la manifestazione di Gesù<br />
sia inseparabile dalla sua scomparsa e<br />
dalla sua partenza, rappresenta l’altra<br />
faccia del tema della Pasqua: quello<br />
della missione. Gesù è colui che mette<br />
i testimoni sulla via verso i fratelli,<br />
loro che sono stati gratificati dalla sua<br />
visione e che hanno ricevuto il suo<br />
Spirito, ora sono inviati verso gli altri,<br />
affinché credano e siano salvati. L’invio<br />
dei testimoni in Mt. è caratterizzato<br />
da quattro “tutti” che indicano le<br />
dimensioni del potere del Cristo Messia.<br />
A Lui è stato dato tutto il potere,<br />
nei cieli e sulla terra, il ché stabilisce<br />
il fondamento della missione, perciò<br />
li invia a tutti i popoli, stabilendone<br />
l’estensione nello spazio e nel tempo;<br />
invitandoli a conservare tutto ciò che<br />
ha insegnato loro che rappresenta la<br />
cattolicità del compito ricevuto, mentre<br />
la garanzia dell’esito di tale missione<br />
è data dalla sua presenza, tutti i<br />
giorni fino alla fine del mondo. Una<br />
tale missione si può avere solo dopo<br />
la Pasqua. Le apparizioni del risorto<br />
hanno lo scopo principale nello<br />
“smuovere” i discepoli verso la missione.<br />
Gesù spira su di loro lo Spirito<br />
che deve “spingerli” verso le vie del<br />
mondo. Ma senza un reale incontro<br />
con il risorto: il CrocifissoVivo, una<br />
missione di tali proporzioni sarebbe<br />
stata non solo impossibile ma anche<br />
impensabile.<br />
Fr. Maximus a S.R.P. Cp.
TEOLOGICO (40)<br />
TEMA: IL CAMMINO VERSO IL PADRE (Pasqua) Parte Seconda.<br />
BALTHASAR H. URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp.<br />
201-237.<br />
2. La situazione esegetica<br />
a. Aporia e tentativi di soluzione:<br />
la resurrezione è un fatto storico e metastorico,<br />
di cui il risorto stesso è la<br />
via: non c’è un cammino previo a cui<br />
far riferimento. Nella storia si costata<br />
solo il sepolcro vuoto, il non esserci<br />
più! La resurrezione non è quindi dimostrabile,<br />
ciò che può essere dimostrato<br />
è solo la convinzione dei testimoni,<br />
che partendo dal nuovo eone, è<br />
in qualche modo una dimostrazione<br />
anche se non scientifica. La storia ci<br />
dice che i discepoli, di fronte alla morte<br />
di Gesù non avevano certezze sulla<br />
sua resurrezione, anzi per loro la causa<br />
di Gesù era morta e sepolta con lui.<br />
Perciò è lecito pensare che deve essere<br />
intervenuto qualcosa che li ha fatti<br />
cambiare prospettiva e li ha spinti a<br />
fondare la Chiesa. I testi si offrono a<br />
noi pur con varie difficoltà, come un<br />
raggio di luce che passa attraverso<br />
uno spettro, i vari testi portano un loro<br />
colore proprio e fanno intravedere<br />
seppur in qualche modo il bianco che<br />
certamente c’è. Qualcosa di straordinario<br />
è certamente avvenuto, ma<br />
quando si cerca di esprimerlo non si<br />
hanno né immagini né categorie adeguate<br />
per farlo. Però Lui, il crocifisso<br />
morto non c’è e chi l’ha visto, ha sperimentato<br />
il crocifisso Vivo.<br />
455<br />
b. Opzioni dell’esegesi: come abbiamo<br />
detto, i testi della resurrezione<br />
portano con sé varie difficoltà esegetiche<br />
che qui accenneremo soltanto. Il<br />
primo è dato dalla conclusione di Mc<br />
16,8 in cui le donne fuggono dal sepolcro<br />
piene di paura. Si potrebbe<br />
pensare che la pagina conclusiva sia<br />
stata perduta o che Marco abbia voluto<br />
davvero concludere così perché<br />
non considera le apparizioni come<br />
parte della storia umana di Gesù ma a<br />
parte… però qui le donne non dissero<br />
nulla dell’incontro con l’angelo per<br />
paura… L’altro problema è dato dai<br />
luoghi delle apparizione del risorto in<br />
cui si cita Gerusalemme e la Galilea.<br />
Marco manda i discepoli in Galilea e<br />
così Matteo, anche se inserisce un’apparizione<br />
alle donne vicino al sepolcro.<br />
Gv mantiene il binomio Gerusalemme-Galilea,<br />
accogliendo l’apparizione<br />
alla Maddalena come in Mt. ed<br />
inserendo l’apparizione ai dodici in<br />
Gerusalemme come Lc, (il quale è<br />
l’unico che situa tutte le apparizioni<br />
in Gerusalemme), pur lasciando l’annuncio<br />
dell’angelo di recarsi in Galilea.<br />
È difficile dire se le due tradizioni<br />
hanno origini indipendenti e sono<br />
state riunite poi sotto l’ipotesi di un<br />
viaggio-fuga dei discepoli. La questione<br />
del sepolcro vuoto invece si<br />
pone in modo diverso, esso non è ci-
456<br />
tato come dimostrazione della resurrezione,<br />
ma come qualcosa che provoca<br />
confusione e smarrimento, è<br />
quindi un segno ambiguo che prepara<br />
le apparizioni di Pasqua e viene interpretato<br />
solo da esse. Congiunta a questa<br />
vi è la questione sul numero e la<br />
modalità delle apparizioni degli angeli<br />
al sepolcro. I testi poi offrono anche<br />
seri problemi sull’interpretazione della<br />
formula kerigmatica fondamentale<br />
che dichiara che Cristo è stato risuscitato<br />
il terzo giorno secondo le scritture.<br />
È l’interpretazione del terzo giorno<br />
che appare difficile e controversa.<br />
Il testo di riferimento potrebbe essere<br />
Os 6,1: “al terzo giorno risorgeremo<br />
e vivremo al suo cospetto”. La cosa<br />
più naturale pare sia che il terzo giorno<br />
si basi sul fatto storico e quindi o<br />
sulla scoperta del sepolcro vuoto o<br />
sulla prima apparizione. Allo stesso<br />
modo anche l’ascensione ha i suoi<br />
problemi, in quanto è solo Lc che la<br />
cita nei suoi due scritti come avvenuta<br />
davanti ai discepoli dopo i 40 giorni.<br />
Qui il problema sta nell’accogliere<br />
una ascensione staccata o procrastinata<br />
dalla resurrezione, o meglio sul<br />
come interpretare il tempo delle apparizioni<br />
posto tra i due grandi eventi: la<br />
resurrezione dai morti ed il ritorno al<br />
Padre.<br />
3. Il dispiegarsi simbolico<br />
degli aspetti teologici.<br />
a. La necessità della simbolizzazione:<br />
l’automanifestazione di eventi<br />
trascendenti di fronte a testimoni<br />
nello spazio e nel tempo, richiede un<br />
campo di libertà non solo a colui che<br />
si rivela bensì un campo di libertà lasciato<br />
all’interpretazione del fatto in<br />
parole ed immagini umane. Le parole<br />
e le immagini restano sempre affermazioni<br />
limite nel tentativo di comunicare<br />
qualcosa che però supera<br />
questo eone e si pone già nel nuovo.<br />
Dentro questa libertà i testimoni<br />
hanno operato le loro scelte interpretative<br />
per cui è inutile il tentativo di<br />
armonizzare ad ogni costo i loro<br />
scritti, piuttosto vanno visti come legittime<br />
scomposizioni dell’unità inesprimibile,<br />
come avviene per la luce<br />
quando penetra nello spettro. Se da<br />
una parte non bisogna cadere nella<br />
mitizzazione, come gli apocrifi, dall’altra<br />
non si deve neppure pretendere<br />
un’uniformità espressiva, perché<br />
resurrezione e ascensione sono per<br />
noi, in questo mondo temporale e<br />
mortale, escatologiche.<br />
b. L’evento della resurrezione:<br />
giustamente, per l’atto della resurrezione<br />
non si danno testimoni, come<br />
del resto per l’atto dell’incarnazione.Tuttavia<br />
questi atti sono eventi<br />
fondamentali di salvezza che Dio<br />
non opera del tutto senza l’uomo che<br />
è chiamato a dare sempre la sua adesione.<br />
Il sì di Maria all’annunciazione<br />
è fondamentale tanto quanto il sì<br />
della Maddalena a non trattenere Gesù,<br />
che non essendo ancora salito al<br />
Padre, si trova a “metà strada” tra<br />
l’inferno e il paradiso (resurrectio in<br />
fieri). Il sì delle tre Marie, citati nei
acconti della resurrezione simboleggiano<br />
l’adesione della Chiesa<br />
amante.<br />
c. Lo stato del risorto: come abbiamo<br />
detto sopra, lo stato del risorto<br />
è assolutamente unico in quanto<br />
nell’abbassamento profondo e nella<br />
totale glorificazione egli sperimenta<br />
l’unità degli opposti, assoluto abbandono<br />
da Dio e sua piena unione. In<br />
ambedue i casi si tratta dell’obbedienza<br />
della divinità del Figlio come<br />
rappresentazione dell’amore trinitario<br />
in sé e per il mondo. Questo<br />
evento unico sta a significare la svolta<br />
degli eoni e la fondazione del nuovo<br />
mondo mediante la morte dell’antico.<br />
La motivazione fondamentale<br />
delle apparizioni del risorto è la sua<br />
spontanea autocomunicazione ai discepoli.<br />
Tale autocomunicazione,<br />
provoca qualcosa di sconcertante nei<br />
testimoni che è definito da essi in varie<br />
forme: gioia, stupore incredulo,<br />
paura, angoscia, ardere del cuore<br />
ecc. In ciò si manifesta non solo la libertà<br />
del risorto di darsi, ma anche la<br />
libertà dell’uomo di reagire come<br />
può. In tutto ciò egli è il Signore e, in<br />
quanto tale, si dona e si sottrae. È colui<br />
che chiama i suoi per nome, che<br />
li costringe ad adorarlo (Mt 28,9.17)<br />
e come nei giorni precedenti siede a<br />
tavola con loro (Lc 24,41ss.), ma<br />
non si ferma con essi.<br />
d. Fondazione della Chiesa:<br />
aa. Le apparizioni sfociano per<br />
natura loro in missioni: è non tratte-<br />
457<br />
nendolo ma portando l’annuncio ai<br />
fratelli che Maria sperimenta la Pasqua.<br />
Tutte le narrazioni pare che gareggino<br />
nel sottolineare proprio la<br />
priorità della testimonianza. In Mt. li<br />
invia in forza del potere ricevuto su<br />
tutte le cose e su tutti i tempi; in Gv<br />
l’invio è radicato nella trinità: “Come<br />
il Padre ha mandato me così io mando<br />
voi” (20,21). A loro, raccolti attorno<br />
al risorto, viene svelata la totalità<br />
della scrittura fissandola nella “memoria”<br />
della Chiesa. Alla scrittura<br />
subito si aggiungono i sacramenti, in<br />
primis in Gv dove assieme allo Spirito<br />
è donato il potere di rimettere i<br />
peccati, in Mt poi quello di battezzare<br />
tutte le genti e attraverso il banchetto<br />
il far “questo in memoria di<br />
me” annunciando così la sua morte e<br />
la sua resurrezione. Il banchetto rimane<br />
al di là, del punto che segna il<br />
trapasso, da un eone all’altro ed è il<br />
punto di comunione intima tra il risorto<br />
e i suoi, ha con sé un tono di riconciliazione<br />
che sfocia nell’unità<br />
profonda tra i partecipanti.<br />
bb. L’aspetto maschile e gerarchico<br />
della Chiesa, trova il suo contrappeso<br />
nell’accentuato ruolo delle donne<br />
durante le scene della passione e<br />
della resurrezione. Qui non è in gioco<br />
tanto la priorità maschile o femminile,<br />
quanto l’equilibrio tra Chiesa<br />
come sposa di Cristo e come istituzione<br />
gerarchica. In tutti i racconti a<br />
Pietro viene data una certa priorità.<br />
Solo Paolo non riporta le apparizioni<br />
alle donne e cita solo quelle agli uomini.
458<br />
cc. Con il problema di una Chiesa<br />
maschile o femminile è congiunta<br />
in Gv l’allegoria dettagliata sul rapporto<br />
tra Chiesa istituzione (Pietro) e<br />
Chiesa della carità (il discepolo prediletto).<br />
Solo chi accoglie i due apostoli<br />
come simboli reali di queste<br />
due facce della Chiesa, comprende<br />
l’intenzione dell’evangelista. Questi<br />
due poli ci presentano una Chiesa<br />
degli inizi armonica tra l’impegno<br />
della carità e la necessaria tensione<br />
istituzionale.<br />
dd. Tutta la fondazione della Chiesa<br />
è congiunta alla missione dello<br />
Spirito. Il suo carattere pneumatico la<br />
rende diversa rispetto ad ogni altra<br />
istituzione umana e la sua visibilità<br />
non può mai essere separata dal suo<br />
carattere essenzialmente pneumatico.<br />
Questo appare chiaro dalla stessa Parola<br />
che le è stata affidata che è Parola<br />
dello Spirito “che dimora in voi”<br />
(Gv 14,17) che vi istruisce e vi ricorda<br />
(Gv 14,16) e vi introduce ad ogni<br />
verità (Gv 16,13). Il carattere pneumatico<br />
della Chiesa non permette<br />
nessuna garanzia di ciò che è visibile<br />
e tangibile né nella magia sacramentaria<br />
dei cattolici né nella magia scritturistica<br />
dei protestanti. La Chiesa è<br />
fondata sulla nuova Alleanza, che non<br />
è l’Alleanza della lettera ma dello<br />
Spirito.<br />
e. Esistenza del mistero pasquale:<br />
la Chiesa non è stata fondata fine<br />
a se stessa ma è inviata al mondo sul<br />
quale il Signore a ricevuto ogni potere.<br />
Essa è inviata senza alcun limi-<br />
te di spazio e di tempo come afferma<br />
la conclusione di Matteo. Non la<br />
Chiesa, ma il mondo è stato riconciliato<br />
con il Padre attraverso la morte<br />
e la risurrezione del Figlio e tuttavia<br />
la riconciliazione avvenuta ha bisogno<br />
del ministero ecclesiale al servizio<br />
di questa riconciliazione. Per<br />
Paolo tutto ciò è chiaro: “Noi fungiamo<br />
da ambasciatori di Cristo… riconciliatevi<br />
con Dio.” (2 Cor 5,20). In<br />
Cristo si compie l’antica Alleanza,<br />
così che in lui si raggiunge la pienezza<br />
della riconciliazione con Dio. Cristo,<br />
in quanto Dio e uomo è l’Alleanza<br />
incarnata nella sua pienezza, e<br />
quindi la nuova ed eterna alleanza, e<br />
quanti vivono in lui, attraverso la donazione<br />
della propria esistenza nella<br />
fede, divengono partecipi di questa<br />
giustizia di Dio e della pace che in essa<br />
regna tra Dio e il mondo. Resta però<br />
il problema di come l’uomo, che<br />
vive nel vecchio eone possa accogliere<br />
il risorto e rispondere alla sua chiamata.<br />
Cristo, attraverso il suo abbandono<br />
totale alla croce e all’inferno è<br />
divenuto vincitore del mondo, ma io<br />
sono ancora nel mondo. Attraverso la<br />
sua chiamata, con la quale mi inserisce<br />
nel suo destino totale, io sono<br />
chiamato a morire al mondo, esser sepolto<br />
con Cristo e risorgere con lui<br />
(Rm 6,2ss.), devo cercare ciò che sta<br />
in alto, ma che per me rimane ancora<br />
nascosto. Questa anticipazione di ciò<br />
che può solo essere sperato nella fede<br />
ed atteso con pazienza, stende il cristiano<br />
sulla croce delle traverse incrociatesi<br />
del vecchio e del nuovo eone,
ponendolo tra un già e un non ancora.<br />
Egli vive diviso tra il possesso anticipato<br />
della cittadinanza celeste e l’esigenza<br />
di introdurre, ciò che là è già<br />
stato realizzato, in un mondo che per<br />
natura, corrotta dal peccato, si erge<br />
contro l’irruzione del Regno escatologico.<br />
Paolo concepisce la sua esistenza<br />
di testimone come una corsa in<br />
vista del raggiungimento della salvezza,<br />
dove questa non sta a significare<br />
solo la salvezza dell’anima, liberazione<br />
individuale, ma anche realizzazione<br />
della speranza escatologica<br />
di giustizia, umanizzazione dell’uomo<br />
(fino alla piena maturità di Cristo)<br />
e pace della creazione tutta. Questa<br />
seconda faccia della riconciliazione<br />
con Dio è sempre stata trascurata da<br />
quando si è smesso di comprendersi<br />
in maniera escatologia. La Gaudium<br />
et Spes ha intrapreso il difficile compito<br />
di sintesi di quanto fin qui abbia-<br />
459<br />
mo detto, ponendo proprio il Cristo<br />
risorto come suo centro unificatore<br />
tra il già e il non ancora in cui il cristiano<br />
è chiamato a dare la sua testimonianza.<br />
La Chiesa e i cristiani non<br />
hanno dunque un posto determinato<br />
nel triduo pasquale, il loro posto non<br />
è né davanti né dietro la Croce, ma da<br />
ambedue le parti e sono continuamente<br />
rimandati da un luogo all’altro.<br />
Questa però non è un’altalena, perché<br />
Cristo è il centro di ambedue le parti<br />
e l’esistenza cristiana ed ecclesiale è<br />
esistenza espropriata in Lui. Infatti:<br />
“Nessuno di noi vive per se stesso e<br />
nessuno muore per se stesso… Sia<br />
che viviamo sia che moriamo, siamo<br />
quindi del Signore. Per questo infatti<br />
Cristo è morto ed è risorto a nuova<br />
vita, per regnare come Signore sui vivi<br />
e sui morti” (Rom 14,7ss.).<br />
Fr. Maximus a S.R.P. Cp.
460<br />
INDICE GENERALE<br />
EDITORIALI<br />
La prima Enciclica di Benedetto XVI: la rivelazione di Dio come amore e il<br />
compito della carità<br />
(Adolfo Lippi) 3<br />
La povertà dell’essere padri e madri. La povertà di Dio Padre.<br />
(Adolfo Lippi) 345<br />
SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA<br />
Kenosi di Dio e mistero della Chiesa nella teologia di Pavel A. Florenskij<br />
(Lubomir Zak) 13<br />
Eucaristia e Croce (Seconda parte)<br />
(Roberto A. Maria Bertacchini) 39<br />
La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale (Prima parte)<br />
(Maurizio Buioni c.p.) 55<br />
Il cuore di Cristo sorgente inesauribile di vita per l’umanità (Prima parte)<br />
(Sr Maria Lupo c.p.) 109<br />
La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale (Seconda parte)<br />
(Maurizio Buoni c.p.) 121<br />
Il cuore di Cristo sorgente inesauribile di vita per l’umanità (Seconda parte)<br />
(Sr Maria Lupo c.p.) 227<br />
Il Dio Kenotico di un non cristiano.<br />
Pensare Dio - Pensare Israele - Pensare l’uomo in dialogo con Lévinas<br />
(Adolfo Lippi c.p.) 241<br />
La croce come rivelazione dell’Amore di Dio.<br />
(Card. Walter Kasper) 349<br />
Il dramma in Dio. Studio sulla soteriologia teodrammatica di H.U. v. Balthasar<br />
(Giuseppe della Malva) (Prima parte) 359<br />
La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas<br />
(Giampaolo Manca) 383<br />
PASTORALE E SPIRITUALITÀ<br />
Un duplice centenario: I Venerabili Fortunato de Gruttis e Giovanni Bruni<br />
(Tito Zecca c.p.) 75
I programmi di ristrutturazione degli istituti religiosi:<br />
il carisma e le scelte profetiche<br />
(Adolfo Lippi c.p.) 147<br />
Il contributo teologico e spirituale di Candido Costa al carisma passionista<br />
nella linea del Cantico dei Cantici (Prima parte)<br />
(Max Anselmi c.p.) 165<br />
Il contributo teologico e spirituale di Candido Costa al carisma passionista<br />
nella linea del Cantico dei Cantici (Seconda parte)<br />
(Max Anselmi c.p.) 267<br />
Un papa controverso: Clemente XIV<br />
Alcune riflessioni nel terzo centenario della nascita<br />
(Tito Zecca c.p.) 279<br />
Le XXI spade della “Via Mariae”<br />
Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce<br />
(Prima parte)<br />
(Roberto A. M. Bertacchini) 291<br />
Le XXI spade della “Via Mariae”.<br />
Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce.<br />
(Seconda parte)<br />
(Roberto A. M. Bertacchini) 415<br />
SALVEZZA E CULTURE<br />
461<br />
Una croce di Somaini<br />
(Tito Amodei) 85<br />
Una partita senza anima<br />
(Elisabetta Valgiusti) 91<br />
La divina commedia, celebrazione del mistero pasquale<br />
(Mario Campanari) 179<br />
Quanti crocifissi nell’arte del ’900<br />
(Tito Amodei) 193<br />
Immagini dalla Certosa<br />
(Elisabetta Valgiusti) 201<br />
Breton, Cárdenas e un Crocifisso<br />
(Tito Amodei) 315<br />
Un codice a casaccio<br />
(Elisabetta Valgiusti) 321<br />
Senza limiti<br />
(Elisabetta Valgiusti) 431
462<br />
RECENSIONI<br />
M. Cempanari, Sant’Angelo sul Monte Fogliano. Dal “Cenobio” benedettino al<br />
“Ritiro” passionista di Vetralla, 95. M. Cempanari, Le sculture della Scala Santa.<br />
Storia, Illustrazioni, Schede, 97.Y. Congar, Diario del Concilio I-II, 98. M.<br />
Catto (ed), La direzione spirituale tra medioevo e età moderna. Percorsi di ricerca<br />
e contesti specifici, 100. E. Massa, Una cristianità nell’Alba del Rinascimento.<br />
Paolo Giustiniani e il “Libellus ad Leonem X” (1513), 100. J. Ratzinger, Nuove<br />
irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, 207. Ph. Madre, Dio guarisce…<br />
oggi, 208. P. Sequeri, Musica e mistica. Percorsi nella storia occidentale delle<br />
pratiche estetiche e religiose, 210. E. Citterio, La vita spirituale, i suoi segreti,<br />
211. J.M. Déguignet, Memorie di un contadino, 212. R. Beretta, Storia dei preti<br />
uccisi dai partigiani, 213. G. Canobbio, Dio può soffrire?, 215. Maryrologium<br />
Romanum. Ex Decreto Sacrosanti Concilii Vaticani II. H. Miztal, Le cause di canonizzazione.<br />
Storia e procedura, 327. C.C. Canta, Sfondare la notte. Religiosità,<br />
modernità e cultura nel pellegrinaggio notturno alla Madonna del Divino Amore,<br />
328. S. Scave, Senza tradirsi, senza tradire. Silone e Tasca dal comunismo al socialismo<br />
cristiano 1900-1940, 329. K. Gibran, Gesù il figlio dell’uomo. Le sue<br />
parole e i suoi atti come narrati e ricordati da coloro che lo conobbero, 330. R.<br />
Levin Varnhagen, Nel mio cuore un altro paese. Una donna ebrea ai tempi di<br />
Goethe, 331. F.T. Madden, Le crociate. Una storia nuova, 332. J. Ratzinger, Il<br />
cammino pasquale. Id. La bellezza della Chiesa. Id. Nuove irruzioni dello Spirito:<br />
i movimenti nella Chiesa, 333. G. Buttini, La Parola continua nel segno dei<br />
tempi, Messaggi di Gesù, 441. N. Palmitessa, Evangelizzatore della giustizia,<br />
442. A. Cedarmas, Per la cruna del mondo, 443. W. Veltroni, La scoperta dell’Alba,<br />
444. M. Fumagalli, Cristiani in armi. Da Sant’Agostino a Papa Wojtyla,<br />
445. L. Arruga, Mozart da vicino, 446.<br />
SCHEDE BIBLIOGRAFICHE<br />
(a cura di F. Maximus a S.R.P. cp.)<br />
D. SENIOR, La <strong>Passio</strong>ne di Gesù nel Vangelo di Matteo. (scheda 5) 103-106<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 1) 219-221<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 2) 222-224<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 3) 335-337<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 4) 338-341<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 5) 448-451<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 6) 452-454<br />
H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 7) 455-459