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Direttore responsabile<br />

Adolfo Lippi c.p.<br />

Direttore amministrativo<br />

Giovanni Pelà<br />

Cattedra Gloria Crucis<br />

Comitato scientifico<br />

Fernando Taccone c. p. - Piero Coda -<br />

Antonio Livi - Denis Biju-Duval<br />

Adolfo Lippi c. p. - Gianni Sgreva c. p.<br />

A. Maria Lupo c. p.<br />

Segretari di redazione<br />

Mario Collu c. p. - Gianni Sgreva c. p.<br />

A. Maria Lupo c. p.<br />

Collaboratori<br />

Tito Amodei - Max Anselmi -<br />

Vincenzo Battaglia – G. Bicocchi -<br />

Luigi Borriello - Maurizio Buioni -<br />

Giuseppe Comparelli – F. Giorgini -<br />

G. Marco Salvati - Flavio Toniolo -<br />

Gianni Trumello - Tito Zecca<br />

Redazione:<br />

La Sapienza della Croce<br />

Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13<br />

00184 Roma<br />

Tel. (06) 77.27.14.74<br />

Fax 700.80.12<br />

e-mail:<br />

sapienzadellacroce@tiscali.it<br />

http./www.passionisti.it<br />

Abbonamento annuale<br />

Italia Euro 18,08, Estero $ 30<br />

Fuori Europa (via aerea) $ 38<br />

Singolo numero Euro 5,15<br />

C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma<br />

Finito di stampare il 30-12-2006<br />

Stampa<br />

Tipografia Città Nuova<br />

ISSN 1120-7825<br />

Autorizzazione del tribunale di Roma<br />

n. 512/85, del 13 novembre 1985<br />

Sped. in abbon. post. Comma 20/c art 2<br />

Legge 662/96 - Filiale di Roma<br />

343<br />

LA SAPIENZA DELLA CROCE<br />

Rivista trimestrale di cultura e spiritualità della <strong>Passio</strong>ne<br />

a cura dei <strong>Passio</strong>nisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis<br />

della Pontificia Università Lateranense<br />

ANNO XXI - N. 4<br />

OTTOBRE-DICEMBRE 2006<br />

SOMMARIO<br />

Editoriale 345-348<br />

Sacra Scrittura e teologia<br />

La Croce come rivelazione dell’amore di Dio<br />

del CARDINAL WALTER KASPER 349-358<br />

Il dramma in Dio<br />

Studio sulla soteriologia teodrammaica<br />

di H.V. v. Balthasar<br />

di GIUSEPPE DELLA MALVA 359-382<br />

La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas<br />

di GIAMPAOLO MANCA 383-414<br />

Pastorale e spiritualità<br />

Le XXI “spade” della Via Mariae<br />

Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale<br />

dall’infanzia alla croce (seconda parte)<br />

di ROBERTO A.M. BERTACCHINI 415-429<br />

Salvezza e culture<br />

Senza limite<br />

di ELISABETTA VALGIUSTI 431-434<br />

Rassegna della stampa<br />

La Congregazione <strong>Passio</strong>nista tra ascetismo,<br />

mistica e storia<br />

di TITO ZECCA C.P. 435-440<br />

Recensioni 441-447<br />

Schede bibliografiche 448-459<br />

Indice generale 460-462


344


Editoriale<br />

La povertà dell’essere padri e madri<br />

La povertà di Dio Padre<br />

di ADOLFO LIPPI C. P.<br />

Una Shekinah che accompagna Israele nel suo esilio fa pensare a un Dio<br />

esiliato. In effetti, se ci riflettiamo, vediamo che Dio è esiliato dalla sua stessa<br />

creazione, della quale altri – un nemico – si è impadronito. È esiliato più<br />

che mai oggi dalla mente e dal cuore dell’uomo secolarizzato, illuso di essere<br />

autosufficiente e geloso della sua autosufficienza.<br />

Un Ordine di frati mendicanti fa pensare a un Dio mendicante. Infatti<br />

apparve sulla terra – Emanuele – mentre i suoi genitori medicavano un alloggio<br />

e non lo trovavano. Mendicante non gratificato, deluso.<br />

Esilio e mendicità: dov’è il Dio onnipotente del quale si è sempre parlato?<br />

Chi si blocca in una certa teologia – quella dei nostri manuali – si risente.<br />

Ha paura per Dio. Probabilmente non è una paura per Dio, ma per se<br />

stessi: chi ci garantirà, magari nei nostri privilegi, se Dio non è onnipotente,<br />

ma esiliato e mendicante?<br />

Ma non è che Dio non sia di per sé onnipotente, come qualcuno ha creduto<br />

di dimostrare 1 . Onnipotente, Dio si fa povero diventando Padre e Madre.<br />

L’attributo di Dio che domina il Nuovo Testamento (ma che è presente,<br />

espresso o sottinteso, anche in tutto l’Antico Testamento) è quello di Padre,<br />

che, per l’epoca, comprende anche quello di Madre. Il pensiero sale a Dio per<br />

analogia, non tanto dall’essere in quanto essere, privo di ogni determinazione,<br />

ma dall’ente reale e, soprattutto dall’ente esistente e dall’ente più ricco di<br />

entità che noi conosciamo: il vivente, l’uomo. Un uomo può essere ricco e potente,<br />

ma se accetta di diventare padre, si impoverisce. Uno scapolo non deve<br />

confrontarsi continuamente con la moglie e con i figli. Questi possono essere<br />

insoddisfatti di lui. I figli, inoltre, possono nascere male, come la bambina<br />

down del romanzo di Veltroni 2 , si ammalano e vanno in crisi. Nell’adole-<br />

1 Cf specialmente H. JONAS, Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica,<br />

Il Melangolo, Genova, 1989.<br />

2 La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, 2006.<br />

ADOLFO LIPPI C. P. SAPCR 21 (2006) 345-348


346 Adolfo Lippi<br />

scenza e nella gioventù si ribellano. Se non si ribellano, non è detto che tutto<br />

vada bene. Ed esigono amore, non solo il mio, ma quello di ambedue i genitori<br />

concordi. Tutto questo sarà entusiasmante, in qualche momento di grazia,<br />

ma non è facile. In altri momenti, quale povertà!<br />

La paternità spirituale, poi, quanta sofferenza! Una sofferenza continua.<br />

La sofferenza di Paolo: l’ansia per tutte le chiese: chi si scandalizza che io non<br />

bruci? (2Cor 11, 28-29). Figliolini miei, che io di nuovo partorisco nel dolore<br />

(Gal 4, 19).<br />

Così è la paternità di Dio. Se c’è un luogo in cui l’uomo è toccato da Dio<br />

e tocca Dio (un autentico locus theologicus), questo è l’esercizio della paternità<br />

e della maternità, nella loro gratuità assoluta e incondizionata. Il figlio può essere<br />

un delinquente, può finire in carcere, ma è sempre figlio. Nelle povere madri<br />

dei carcerati, che arrivavano con i mezzi pubblici dalle periferie urbane, cariche<br />

di pesanti pacchi, madri che per i loro figli avevano perso tutto – onore, denaro,<br />

pace – e, visitandoli, portavano loro tutto, ho visto la più forte manifestazione<br />

della maternità che abbia conosciuto. Maternità e paternità gratuite e incondizionate,<br />

che incarnano ciò che Dio è nel suo mistero profondo. Padre-Madre,<br />

questo è il nome proprio di Dio, quello che meglio lo qualifica in quanto Dio.<br />

Dio è onnipotente e più che autosufficiente nella sua natura, ma poiché,<br />

esistenzialmente, è padre e madre più di ogni altro padre e madre, è povero,<br />

esiliato e mendicante. Aimer c’est s’abaisser, diceva Santa Teresa di Gesù<br />

Bambino. Non c’è amore senza kenosi e l’Ur-Kenose, la kenosi del Padre è<br />

certamente una della grandi intuizioni della teologia del nostro tempo. È una<br />

luce che è grazia teologica. Poiché la filosofia classica non conosceva la kenosi<br />

di Dio, non poteva ammettere che Dio potesse amare e, ancor meno, che<br />

fosse addirittura Amore 3 . L’Amore è Croce. La Croce è Amore. Poiché Dio<br />

Padre è, nel suo mistero profondo, Amore, per questo è Croce.<br />

Il Dio Crocifisso, inchiodato, immobilizzato dal Suo essere Amore, è il<br />

Padre che attende di essere riconosciuto come tale. Rischio della paternità e<br />

maternità, rischio di ogni Amore, rischio della kenosi. Rischio teologico più<br />

ancora che metafisico. Rischio trinitario 4 . Il Dio che si volge contro se stesso<br />

– osserva il Papa - è il Dio che volge il suo amore contro la sua giustizia, nel<br />

perdono 5 . Questo passaggio, però, non lo vuole compiere il Padre da solo, ma<br />

3 Cf BENEDETTO XVI, Deus caritas est, 9.<br />

4 Sulla categoria del rischio nella Trinità, cf H. U. V. BALTHASAR, Teodrammatica,<br />

5, Jaka Book, Milano, 1995, 209-210.<br />

5 Deus caritas est, 10.


La povertà dell’essere padri e madri. La povertà di Dio Padre 347<br />

il Padre col Figlio, che incorpora le creature con la loro libertà. Dio vuole essere<br />

aiutato da noi a far trionfare la sua misericordia sopra la sua giustizia.<br />

Pensiamo alla conversione che postula in ciascuno di noi la riflessione di Balthasar<br />

nel libretto Breve discorso sull’inferno 6 . Se in me (come nella Chiesa<br />

e in tutte le creature) crescerà il desiderio-preghiera che non ci sia per nessun<br />

altro una condanna definitiva e assoluta, ci sarà misericordia anche per me<br />

stesso. Quando in tutte le creature sarà avvenuto questo, anche in Dio il perdono<br />

avrà occupato tutto il posto dell’ira.<br />

Questo perdono significa per tanti martirio: non soltanto del corpo, ma<br />

anche dello Spirito, come fu per Gesù sulla croce. Non trattenere nulla per sé<br />

come si potrebbe fare anche quando si perde il corpo, quando si pensa: perdo<br />

il mio corpo, ma non il mio orgoglio, non cedo, non perdono. Prima che l’umanità<br />

possa arrivare a queste mete, c’è ancora un immenso dolore da sostenere.<br />

Ma questo non soltanto non vuol dire canonizzare il dolore, bensì piuttosto<br />

radiarlo dal mondo. Per radiare il dolore dalle creature - quel dolore che<br />

ci coinvolge tanto che una persona sensibile non può più godere pienamente<br />

di nulla pensando che c’è gente che soffre - l’intera umanità deve accogliere<br />

la sofferenza della paternità e della maternità, perché finisca la sofferenza della<br />

fatalità, quella che proviene dalla natura e quella che proviene dalla conflittualità<br />

fra uomini.<br />

La sofferenza della paternità e della maternità è la sofferenza che ha<br />

senso ed è libera. È la sofferenza che ha dignità. La paternità-maternità di Dio<br />

è il vero apriori della <strong>Passio</strong>ne di Gesù. Secondo il mistico Paolo della Croce,<br />

dal mare di Amore del Padre sgorga il mare di dolore del Figlio 7 . L’umanità<br />

strattonata tra la fuga da ogni sofferenza e il dolorismo fatalista è invitata<br />

dalla Parola di Dio ad abbracciare la sofferenza dell’Amore, perché sia radiata<br />

dal mondo la sofferenza della fatalità e della violenza.<br />

E paternità-maternità sono anche un diritto, il diritto più grande dell’uomo,<br />

il diritto a dare. Quanto chiasso si fa sui diritti a ricevere! Non si può<br />

negare che essi sono i diritti primari. Si ha diritto a essere figli prima che ad<br />

essere padri. Però sia l’uomo che il Dio trinitario non sono solo figlio. Mi colpì<br />

moltissimo il racconto fatto da Philippe Madre di quel lebbroso privo di<br />

mani che era triste e un medico gli disse: perché sei triste? Farò di tutto per<br />

farti dimenticare il tuo male. Ma il lebbroso rispose: non sono triste perché mi<br />

6 Queriniana, Brescia, 1988.<br />

7 Cf SAN PAOLO DELLA CROCE, Lettere ai laici, a cura di M. Anselmi, I, Cipi, Roma,<br />

2002, 279.


348 Adolfo Lippi<br />

mancano le mani, ma perché non si crede che anch’io ho tante cose da dare 8 .<br />

L’uomo non è pienamente sviluppato finché non arriva a poter dare, certamente<br />

non senza patire. Questa è la luce della Croce, svelamento del volto di<br />

Dio, ed è il messaggio che questa rivista cerca, non senza difficoltà, di trasmettere,<br />

attraverso studi che sembrano molto lontani fra loro, ma si ritrovano<br />

nella Croce. La Croce, non una bandiera da opporre ad altre bandiere come<br />

a volte si è fatto, oppure l’oggetto di una devozione sentimentale, ma la<br />

Croce di Cristo che è gloria della assoluta gratuità e, in quanto tale, gloria della<br />

Trinità.<br />

EDITORIAL<br />

By Adolfo Lippi<br />

The poverty involved on becoming parents<br />

The poverty of God the Father<br />

8 PH. MADRE, Guarire la ferita della vita, Gribaudi, Milano, 2005, 33.


Sacra Scrittura e Teologia 349<br />

La Croce come rivelazione dell’amore di Dio<br />

del CARDINAL WALTER KASPER<br />

Il 24 ottobre u. s., è stato aperto l’anno accademico della<br />

cattedra Gloria Crucis, della Pontificia Università Lateranense,<br />

cattedra dalla quale emana anche questa rivista, con una lezione<br />

inaugurale del cardinale teologo Walter Kasper. È stata<br />

una lectio magistralis straordinariamente comprensiva ed attuale,<br />

che ha messo in luce l’importanza capitale degli studi di teologia<br />

della croce oggi. Vi ha partecipato anche il rettore magnifico<br />

della stessa Università Monsignor Rino Fisichella. La lezione<br />

verrà pubblicata in un fascicolo a parte della collana Gloria<br />

Crucis. Riproduciamo qui l’ultima parte, riguardante la teologia<br />

cattolica della croce.<br />

1. La teologia cattolica della croce<br />

Sulla base di una rilettura della Scrittura e della Tradizione patristica stimolata<br />

dalla teologia ortodossa e da alcuni concetti fondamentali del pensiero<br />

di Lutero, anche l’odierna teologia cattolica ha sviluppato una teologia della<br />

croce. Tra i nomi da ricordare 1 , il più importante è sicuramente quello di H.<br />

U. von Balthasar 2 , a cui ritorneremo in seguito.<br />

Ma la prima domanda che ci dobbiamo porre è: dove si situa la teologia<br />

cattolica all’interno di questa discussione? La teologia della croce luterana è di<br />

stampo paolino; quella ortodossa viene solitamente descritta come giovannea.<br />

Quale è la caratteristica della teologia cattolica della croce?<br />

1 St. P. BRETON, E. PRZYWARA, K. RAHNER, H. KÜNG, J. GALOT, H. MÜHLEN, W. KA-<br />

SPER, Jesus der Christus, Mainz 1974, 196-199; 214-219; Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 241-245.<br />

2 H. U. VON BALTHASAR, Mysterium paschale, in: Mysal. III/2, 133-326; Theodramatik<br />

III, 297-309; IV, 191-243.<br />

CARDINAL WALTER KASPER SAPCR 21 (2006) 349-358


350 Cardinal Walter Kasper<br />

La tesi qui sostenuta, che verrà argomentata più sotto nel dettaglio, è<br />

che la teologia della croce cattolica sia primariamente sinottica e possa essere<br />

definita petrina, come si spiegherà tra breve. Questa argomentazione parte<br />

dalla croce storica e dalla sua interpretazione biblica; nella croce storica tenta<br />

di comprendere il Logos. In questo senso si tratta di una teologia “dal basso”,<br />

che non contrappone la kenosi al Logos, né comprende speculativamente<br />

il Logos come kenosi, ma lo ricerca nell’evento storico della kenosi e legge<br />

nella croce la rivelazione dell’amore divino.<br />

2. I fondamenti biblici del concetto di sostituzione vicaria<br />

La tesi appena formulata ci porta, come secondo passo, a ricercare i fondamenti<br />

biblici. L’esegeta Martin Hengel, di Tubinga, nel suo scritto “Pietro<br />

sottovalutato”, ha menzionato validi motivi che dimostrano sorprendentemente<br />

come la tradizione sinottica, attraverso Marco, discepolo di Pietro, risalga<br />

fino a quest’ultimo. Hengel sostiene addirittura che la teologia di Pietro<br />

possa essere equiparata a quella di Paolo 3 .<br />

Hengel ritiene anche che si possa ricondurre a Pietro l’interpretazione sinottica<br />

della croce, sulla base del concetto di sostituzione vicaria. Il concetto di<br />

sostituzione vicaria, già presente nella teologia veterotestamentaria del servo<br />

sofferente (cfr. Is 52,13-53,12), è fondamentale per la venuta di Gesù in mezzo<br />

agli uomini, ad iniziare dal battesimo nel Giordano (cfr. Mt 3,15), fino ai racconti<br />

della passione (cfr. Mc 10,45) e a quelli dell’ultima cena (cfr. Mc 14,24;<br />

Mt 26,28; Lc 22,19 s; 1 Cor 11,24), che interpretano l’evento della croce come<br />

morte vicaria “per gli altri”. Dalla tradizione sinottica, di stampo fortemente petrino,<br />

il concetto di morte vicaria passa poi alla tradizione paolina (cfr. 2 Cor<br />

5,21; Gal 3,13) e a quella giovannea (cfr. Gv 3,16; 10,11; 12,24 s; 15,13).<br />

Quello della sostituzione è dunque un concetto chiave in tutti i Vangeli<br />

e nell’intero Nuovo Testamento. Esso sembra risolvere il nostro problema,<br />

poiché può essere considerato il giusto punto di partenza biblico per una teologia<br />

della croce 4 .<br />

3 M. HENGEL, Der unterschätzte Petrus, Tübingen 2006.<br />

4 Anche W. PANNENBERG, a.a.O. 327, che rimane critico nei confronti della teologia<br />

della kenosi.


La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 351<br />

Questo concetto è espresso nel Nuovo Testamento con la formula “per<br />

voi”, “per noi”, “per molti” 5 , avente un triplice significato. Essa ci dice che<br />

Gesù ha dato la sua vita “al posto di” noi peccatori; noi come peccatori siamo<br />

assoggettati alla morte e non possiamo aiutarci da soli. In questa situazione,<br />

Dio è venuto in nostro soccorso ed ha assunto su di sé in modo vicario la maledizione<br />

del peccato, della morte, dell’abbandono di Dio. Il primo significato<br />

è dunque quello dell’intervento personale di Dio. Il secondo si riferisce al<br />

fatto che Gesù ha dato la sua vita “per noi” e “per molti”; è quello del sacrificio<br />

di Cristo per il nostro bene, in nostro favore. Infine la formula ci indica<br />

che Gesù ha compiuto tutto ciò “a causa” nostra, spinto da compassione verso<br />

di noi.<br />

Agire in modo vicario significa quindi che Dio interviene al posto del<br />

peccatore, operando uno “scambio”, per la sua generosa misericordia ed il suo<br />

infinito amore. Egli fa questo per noi e per il nostro bene, interviene per noi,<br />

muore al nostro posto affinché noi viviamo. Gesù prende il posto degli ultimi<br />

per farci posto presso Dio. La kenosi è la forma esistenziale dell’amore nella<br />

condizione del peccato 6 . Non si svuota nel niente; essa mira piuttosto a riportare<br />

il bene, a ripristinare l’ordine voluto da Dio 7 .<br />

L’idea della sostituzione vicaria è stata accolta anche all’interno del credo<br />

apostolico, dove recitiamo: “Propter nostram salutem descendit de caelis”.<br />

I Padri della Chiesa, portando avanti la riflessione, hanno accostato a<br />

questo concetto quello di commercium, ovvero di pio scambio. In modo conciso,<br />

si può dire che Dio è diventato uomo, è entrato pienamente nella condicio<br />

humana, affinché noi siamo divinizzati 8 .<br />

5 Cfr. H. RIESENFELD, Art. uJpevr, in: ThWNT VIII (1969) 510-518.<br />

6 K. H. MENKE, Art., Stellvertretung, V., in: LThK IX (2000) 955.<br />

7 L’espressione “Wieder-gut-machung” in tedesco (ripristinare il bene) viene intesa<br />

qui in un senso più ampio rispetto alla teoria della soddisfazione di Anselmo da Canterbury.<br />

Cfr. W. KASPER, Jesus der Christus, 260-263.<br />

8 Paolo 2 Cor 8, 9 ne getta le basi; formulato esplicitamente in IRENEO DI LIONE,<br />

Adv. haereses III, 19; fondamentale per la cristologia in ATANASIO, De incarn. 54. Cfr. H.<br />

U. VON BALTHASAR, Theodramatik III, 226-230; E.M. FABER, Art. «Commercium», in:<br />

LThK II (1994) 1274 s.


352 Cardinal Walter Kasper<br />

Il concetto di sostituzione vicaria è dunque un concetto teologico chiave<br />

9 , che esprime la legge di una struttura in processo di divenire. È la legge<br />

del chicco di grano che deve morire per produrre frutto (cfr. Gv 12,24). È la<br />

legge del lasciare tutto per raccogliere un guadagno centuplicato (cfr. Mc<br />

10,28). È soprattutto la legge dell’amore. Soltanto nel darsi all’altro e nell’esserci<br />

pienamente per l’altro, l’amore realizza se stesso. L’abbandonare per<br />

guadagnare (cfr. Mc 8,35; Mt 10,39; 16,25; Lc 9,34; 17,33; Gv 12,25) è la<br />

legge fondamentale dell’amore e dell’amicizia (cfr. Gv 15,13). Essa è la legge<br />

di Cristo: portare i pesi gli uni degli altri (cfr. Gal 6,2).<br />

È precisamente in questo ampio contesto che va compreso il grido di Gesù<br />

sulla croce: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34) 10 .<br />

Questo grido è espressione del profondo svuotamento di se stesso che compie<br />

Gesù e della sua totale solidarietà con noi. Egli assume davvero su di sé il peso<br />

dell’abbandono di Dio, dell’eclissi di Dio dal mondo. Tuttavia, questa citazione<br />

dell’inizio del Salmo 22 è, in linea con la tradizione ebraica, un riferimento<br />

all’intero salmo, il quale comincia, è vero, con il lamento per l’abbandono di<br />

Dio, ma si conclude con la riconfortante certezza che Dio rimane fedele al suo<br />

popolo. Per questo, il grido di abbandono lanciato da Gesù non può assolutamente<br />

essere letto in chiave atea. Esso non ci dice che Gesù ha per così dire rinunciato<br />

al suo essere Dio, ma esprime piuttosto il fatto che Dio ci soccorre e<br />

ci salva perfino nella notte d’eclissi più buia in cui l’uomo possa trovarsi, in cui<br />

noi, soprattutto al presente, ci troviamo. Anche in una simile situazione, egli è<br />

il Dio presente (cfr. Es 3,15), egli è il Dio con noi.<br />

Luca ha interpretato giustamente le dure parole dell’abbandono riportate<br />

in Marco, dicendo: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc<br />

23,46). Ed in Giovanni troviamo l’affermazione che corona trionfalmente il<br />

mistero della croce: “Tutto è compiuto!” (Gv 19,30).<br />

Anche le parole della kenosi nell’inno della lettera ai Filippesi (cfr. 2,7;<br />

2 Cor 8,9; Eb 2,9) vanno capite in questo senso 11 . Kenosi (in latino exinanitio)<br />

significa svuotamento, cessione, rinuncia, alienazione. Attraverso la pro-<br />

9 K.-H. MENKE, Stellvertretung Schlüsselbegriff christlichen Lebens und theologische<br />

Grundkate-gorie, Freiburg, Br. 2 1997; Art. Stellvertretung I-IV, in: LThK IX (2000)<br />

951-956; E. M. FABER, Der Selbsteinsatz Gottes, Würzburg 1995.<br />

10 Cfr. H. GESE, Psalm 22 und das Neue Testament, in: ZThK 65 (1968) 1-22.


La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 353<br />

pria auto-alienazione, Gesù, che era Dio nella forma (morϕhv), ha scelto di<br />

prendere il posto di noi peccatori, di noi che siamo assoggettati alla morte e<br />

quindi suoi servi. Ecco perché Gesù assume la forma (morϕhv) di servo. Ma<br />

lasciandosi crocifiggere non per necessità del destino ma per sua propria volontà<br />

e per obbedienza al Padre, egli sottrae alla morte il suo pungiglione (cfr.<br />

1 Cor 15,55) e ci libera dalla schiavitù, dandoci una nuova vita. L’auto-alienazione<br />

non si esaurisce dunque nel vuoto, nel nulla; al contrario, essa è la via<br />

verso l’innalzamento, tramite cui Gesù diventa Kyrios, ovvero Signore del<br />

mondo. La morte di Gesù è la morte della morte e la liberazione a nuova vita.<br />

La sua kenosi suggella così la vittoria della vita sulla morte, della libertà<br />

sulla necessità del destino, dell’amore sull’odio 12 .<br />

Agostino ci fornisce una giusta interpretazione di tutto questo quando<br />

scrive in modo conciso e pregnante: “Sic se exanivit: formam servi accipiens,<br />

non formam Dei ammitens, forma servi accessit, non forma Dei discessit”<br />

(Sermo IV, 5) 13 . Solo perché Dio, abbassandosi, si è reso presente e attivo, è<br />

possibile dire: “Ucciso dalla morte, egli uccide la morte” (Agostino, In Jo<br />

XII, 10 s.) 14 . “Mortem nostram moriendo destruxit” proclama la liturgia.<br />

Si capisce dunque perché per Paolo la croce costituisca il mistero della<br />

sapienza di Dio (cfr. 1 Cor 1,7-25; 2,6-10; 2 Cor 13,4) e la parola della croce<br />

sia l’essenza del messaggio salvifico (cfr. 1 Cor 1,18; 2,2). Negli scritti più<br />

tardi del Nuovo Testamento la croce assume addirittura una dimensione cosmica;<br />

attraverso la croce, tutto (ta; pavnta) viene riconciliato a Dio (cfr. Col<br />

1,20). L’Apocalisse giovannea ci presenta l’agnello immolato come luce del<br />

cosmo (cfr. Apc 21,23).<br />

Nel Nuovo Testamento la kenosi non è quindi contrapposta al Logos;<br />

sul Logos essa getta una nuova luce. A sua volta, il Logos non può essere interpretato<br />

in maniera speculativa e dialettica come kenosi. Piuttosto, è la ke-<br />

11 Cfr. E. KÄSEMANN, Kritische Analyse von Phil 2,5-11, in: Exegetische Versuche<br />

und Besinnungen, Vol.1, Göttingen 1960, 51-95; J. GNILKA, Der Philipperbrief, Freiburg<br />

i.Br. 1968, 112-131; R. SCHNACKENBURG, Mysal III/1, 309-322; H.U. VON BALTHASAR,<br />

Mysal III/2, 143-158.<br />

12 Cfr. W. KASPER, Jesus der Christus, 185 s.<br />

13 AGOSTINO, Sermone IV, 5.<br />

14 AGOSTINO, In Jo XII, 10 s.


354 Cardinal Walter Kasper<br />

nosi della croce a svelare pienamente il senso del Logos, che è l’amore. E l’amore<br />

è il senso dell’essere.<br />

Detto questo, ecco che abbiamo compiuto il primo passo verso una trattazione<br />

sistematica della teologia della croce.<br />

3. Una trattazione sistematica della cristologia della kenosi<br />

Il Nuovo Testamento ci dice che Dio stesso è all’opera sia nella kenosi<br />

di Gesù che nel suo innalzamento. Dio si rivela nel suo Figlio (cfr. Gv 3,16;<br />

1 Gv 4,9 s; Rom 5,8; 8,32). Nel Gesù terreno, nel Gesù crocifisso si manifesta<br />

la gloria di Dio (cfr. Gv 1,4, ecc.) ed il suo amore (cfr. Rom 5,8 s; 8,32;<br />

Gv 3,16 s., ecc.). Sulla croce ci viene dunque svelato Dio stesso come amore<br />

(cfr. 1 Gv 3,8.16).<br />

Nell’economia della salvezza, Dio non rivela “qualcosa” ma rivela se<br />

stesso (DV 2). Se la rivelazione è intesa come auto-rivelazione, allora la realtà<br />

di Dio non è “qualcosa” che si nasconde “dietro” la sua rivelazione: là, Dio<br />

stesso è presente. L’amore di Dio rivelatosi sulla croce rende visibile Dio stesso<br />

come amore. Sulla croce egli si rivela come colui la cui essenza è amore.<br />

Detto in maniera più astratta: nella Trinità economica rivelata dalla croce e<br />

dalla risurrezione, si rivela la Trinità immanente 15 .<br />

Per comprendere più profondamente la natura trinitaria di Dio, possiamo<br />

partire dalla natura dell’amore 16 . Precisamente da qui era partito anche<br />

Agostino 17 , senza però sviluppare oltre il suo pensiero. Per lui, come per la<br />

tradizione teologica classica, fondamentale è l’analisi dell’atto conoscitivo 18 .<br />

Nella teologia odierna possiamo costatare lo stesso interesse. Stimolato dalle<br />

analisi di Fichte, di Schelling, di Hegel e soprattutto dal personalismo dialogico<br />

di origine ebraica, come in Martin Buber e, in modo sostanzialmente più<br />

15 K. Rahner ha espresso l’assioma: “La Trinità economica è la Trinità immanente<br />

e viceversa” (Osservazioni sul trattato dogmatico “De Trinitate”, in: Schriften zur Theologie,<br />

Vol. IV, , Einsiedeln 1960, 115); Der dreifaltige Gott als transzendenter Urgrund der<br />

Heilsgeschichte, in: Mysal II (1967) 328. Su questa problematica cfr. W. KASPER, Der<br />

Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 333-337; H.U. VON BALTHASAR, Theodramatik III, 297-305.<br />

16 Cfr. W. KASPER, Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 241-245; sviluppato ulteriormente in G.<br />

GRESHAKE, Der dreieine Gott. Eine trinitarische Theologie, Freiburg i. Br. 1997.<br />

17 AGOSTINO, De Trinitate VIII,10: «Ecce tria sunt, amans et quod amatur et amor».<br />

18 Cfr. W. KASPER, Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 266 s.


La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 355<br />

radicale, in Emmanuel Lévinas, lo studio del fenomeno dell’amore occupa<br />

adesso un posto di primaria importanza.<br />

Oggi, il punto di partenza della riflessione teologica sulla Trinità è principalmente<br />

l’auto-comunicazione di Dio. Ma l’amore, che comunica se stesso<br />

per essere una cosa sola con l’altro, non significa fusione. Il vero amore<br />

non assorbe l’altro, né lo usa per la propria auto-conoscenza o auto-realizzazione.<br />

L’amore non ha una struttura dialettica, ma una struttura dialogica.<br />

Amore significa essere una cosa sola con l’altro, preservando l’identità di<br />

ognuno, e permettendo allo stesso tempo la realizzazione ed il compimento di<br />

ciascuno. Chi darà la propria vita, la riceverà. L’unità nell’amore comporta<br />

dunque il riconoscimento della differenza. L’amore sa distinguere e sa ritrarsi.<br />

L’amore fa un passo indietro; esso rende l’altro libero e ne riconosce l’alterità.<br />

La logica dell’amore è dunque quella del lasciarsi spazio reciprocamente:<br />

è quella, anche, della rinuncia. Amore e dolore, amore e morte, ecco<br />

due realtà strettamente legate, come ci dicono da sempre i grandi poeti.<br />

Possiamo allora interpretare l’affermazione che Dio è amore così: Dio<br />

è se stesso nell’essere totalmente per l’altro. Il Dio-amore può essere concepito<br />

soltanto come un’auto-differenziazione al suo interno. Pertanto, la dottrina<br />

trinitaria non contraddice il monoteismo, come più volte si sente dire. Essa<br />

esprime piuttosto il fatto che un Dio-amore può essere pensato soltanto in<br />

maniera trinitaria. La Trinità è il monoteismo concreto 19 .<br />

Di fronte alla realtà della sofferenza, la Trinità è l’unica forma di monoteismo<br />

che possa essere concepita e che possa esistere. Dalla croce in poi,<br />

pensare a Dio in modo trinitario significa pensare ad un Dio che al suo interno<br />

lascia spazio all’altro se stesso. Diversamente dal Dio onnipotente che<br />

molti si immaginano, Dio è assolutamente non violento. Dio, nella sua essenza,<br />

è colui che si apre totalmente e che si offre. Dio non opprime; egli si lascia<br />

addirittura cacciare dal mondo, e ci si mostra debole, impotente 20 . Dio è<br />

in se stesso kenotico. Balthasar parla della kenosi originaria e di una “divisione”<br />

all’interno di Dio 21 . Ma in questo suo essere kenotico, Dio non rinun-<br />

19 W. KASPER, Der Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 323; 354 ss, 373. Sull’attualità della questione<br />

di fronte al problema del monoteismo cfr. M. STRIET, Monotheismus und Kreuz, in.<br />

IkaZ Communio 32 (2003) 273-284.<br />

20 Secondo l’espressione molto citata di D. BONHOEFFER, Wiederstand und Ergebung,<br />

München 1970, 394.<br />

21 H. U. VON BALTHASAR, Mysal III, 152 s.


356 Cardinal Walter Kasper<br />

cia a se stesso, non si trasforma in qualcosa di diverso, non abbandona la propria<br />

divinità. In questa sua esistenza kenotica, Dio è Dio.<br />

Come la croce è la rivelazione dell’amore intratrinitario di Dio, così l’amore<br />

intratrinitario di Dio è la condizione interna che rende possibile la compassione<br />

di Dio fino alla morte in croce. Origene ha formulato chiaramente questo<br />

prerequisito: “Primus passus est, deinde descendit. Quae est ista, quam pro<br />

nobis passus est, passio? Caritatis est passio” (Homelia in Ez. VI, 8) 22 . La croce<br />

è dunque la forma più esterna dell’amore divino che si dà, è la forma più<br />

esterna dell’amore costitutivo di Dio, ovvero id quo maius cogitari nequit.<br />

Questa tesi comporta una vera e propria rivoluzione metafisica 23 . La relazione<br />

non è più concepita come una semplice realtà accidentale. Così come<br />

la vera realtà non corrisponde più semplicemente né alla Sostanza, che sussiste<br />

in sé e per sé, né al Soggetto che esiste in sé e per sé secondo il pensiero<br />

moderno. Adesso è nella relazione stessa che si fonda la sussistenza delle persone<br />

della Trinità. Dio è relazione, e nella relazione egli viene a noi. Nell’essere<br />

il Dio per noi e con noi, egli rivela la sua natura più profonda.<br />

Il tema della sofferenza di Dio, che è stato sempre così spinoso per la<br />

tradizione teologica, acquista allora una nuova dimensione. La sofferenza, ed<br />

in questo dobbiamo riconoscere che la teologia classica ha assolutamente ragione,<br />

non può essere sperimentata da Dio in modo passivo. Quando Dio soffre,<br />

lo fa in modo divino. La sofferenza divina non è espressione di una mancanza,<br />

ma di una libera volontà. Dio non è investito passivamente dal dolore<br />

della creatura, ma si lascia coinvolgere intenzionalmente. Per questo, l’onnipotenza<br />

di Dio non è in contraddizione con il suo amore; la sua onnipotenza<br />

si manifesta nell’amore, poiché è precisamente l’onnipotenza che rende possibile<br />

il ritirarsi senza rinunciare a se stessi. L’onnipotenza di Dio è l’onnipotenza<br />

del suo amore, che rivela ciò che è ed è ciò che è proprio nel lasciare<br />

spazio all’altro 24 .<br />

22 ORIGENE, Homelia in Ez. VI,8.<br />

23 Cfr. J. RATZINGER, Einführung in das Christentum, München 1968, 142-150; K.<br />

HEMMERLE, Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Einsiedeln 1976; W. KASPER, Der<br />

Gott Jesu <strong>Christi</strong>, 354; 377; G. GRESHAKE, a.a.O. 457-460.<br />

24 S. KIERKEGAARD, Die Tagebücher 1834-1855, München 1949, 239 f; K. BARTH,<br />

Kirchliche Dogmatik II/1, 597; Th. PRÖPPER, Art. Allmacht III, in: LThK I (1993) 416.


La Croce come rivelazione dell’amore di Dio 357<br />

Il Dio compassionevole, che si manifesta sulla croce, è la risposta alla<br />

questione della teodicea 25 : Dio è il Dio che soffre e che muore, e si fa vicino<br />

a coloro che sono oppressi, torturati, martirizzati. Dio è al loro fianco e soffre<br />

con loro. Questo non significa però che dobbiamo glorificare o divinizzare la<br />

sofferenza. Dio non divinizza la sofferenza, ma la redime, mutandola al suo<br />

interno. Non l’elimina, ma la trasforma in speranza. La croce è infatti la via<br />

verso la risurrezione e la trasfigurazione. Il dolore e la morte non hanno l’ultima<br />

parola. La cristologia della kenosi ci conduce oltre se stessa, verso la cristologia<br />

pasquale dell’innalzamento e della trasfigurazione. Come dice la<br />

Scrittura, “nella speranza noi siamo stati salvati” (Rom 8,20.24; 1 Pt 1,3).<br />

4. Uno sguardo alla spiritualità cristiana odierna<br />

Lo abbiamo appena detto: la teologia della kenosi non è una speculazione<br />

astratta. Essa costituisce la tela di fondo della riflessione sulla teodicea e sul<br />

significato esistenziale della sofferenza e della morte. Essa è inoltre di grande<br />

importanza per il dialogo ecumenico. Una considerazione a parte meriterebbe il<br />

suo ruolo all’interno del dialogo interculturale e interreligioso, soprattutto per<br />

l’incontro con la spiritualità buddista ed il suo concetto di nirvana 26 .<br />

In questo contesto, desidero fare solo alcune osservazioni conclusive sul<br />

significato che la teologia della kenosi riveste per una spiritualità cristiana<br />

odierna 27 . Vi sono molte figure di grande rilievo che hanno mostrato l’importanza<br />

della sostituzione vicaria e che, testimoniandola con la propria vita,<br />

costituiscono un esempio luminoso per la spiritualità odierna e per un rinnovamento<br />

missionario della Chiesa: Teresa di Lisieux, Charles de Foucauld,<br />

Edith Stein, Maximilian Kolbe, D. Bonhoeffer, Oscar Romero e molti altri.<br />

Ognuno a modo proprio, essi si sono immersi nel grido di dolore e di abbandono<br />

di Gesù ed hanno portato sulle proprie spalle, con solidarietà, il peso<br />

25 Critici su questa posizione di Balthasar: K. RAHNER, Schriften zur Theologie,<br />

Vol. 15, 1983, 211s; KARL RAHNER im Gespräch, ed. da P. Imhof und H. Biallowons, Vol.<br />

1, München 1982, 245 s.<br />

26 La teologia della croce in questo contesto in K. KITAMORI, Theologie des<br />

Schmerzes Gottes, Göttingen 1972.<br />

27 Cfr. H. SCHÜRMANN, Jesu ureigener Tod. Exegetische Besinnungen und Ausblick,<br />

Freiburg i. Br. 1975, 130-155.


358 Cardinal Walter Kasper<br />

dell’eclissi di Dio dal mondo. Per loro, l’esperienza della notte, del deserto,<br />

dell’ultimo posto non ha significato un cammino verso un niente privo di senso,<br />

ma si è trasformata in qualcosa di attivo, in una vita spesa per gli altri, affinché<br />

la luce di Dio risplendesse anche nel buio più opprimente.<br />

Anche per il cristiano di oggi non esiste un altro cammino. Nel mondo<br />

occidentale, egli normalmente non è esposto ad una brutale violenza anti-cristiana,<br />

ma è costretto a vivere in una società che non conosce Dio, o lo conosce<br />

così poco da non essere neppure in grado di sostenere un ateismo cosciente.<br />

A Dio si è ormai indifferenti. Il mondo è diventato un deserto, una<br />

notte in cui non si distingue più nulla, in cui non c’è più né un sotto né un sopra,<br />

in cui si è perso l’orientamento.<br />

In questa situazione, la Chiesa non può più atteggiarsi a potente istituzione,<br />

portando davanti a sé la croce come segno temporale di vittoria. Il cristiano,<br />

piuttosto, dovrà sperimentare l’impotenza della croce, dovrà condividere<br />

la sofferenza di altri. Ed è proprio ora, in questa notte d’eclissi, che egli<br />

dovrà preservare e testimoniare per gli altri la luce della fede, della speranza<br />

e dell’amore. Ecco la sfida del cristiano di oggi e di domani: una presenza attiva<br />

a favore degli altri.<br />

Maria è esempio e tipo di questa esistenza kenotica, lei, l’umile serva<br />

che ha dato spazio a Dio, dapprima nel suo cuore e poi nella sua carne. Maria<br />

ha portato avanti la speranza fino ai piedi della croce. E lo ha fatto per noi.<br />

Ha pronunciato il suo “fiat” al posto di tutta l’umanità. Maria è fulgido esempio<br />

di un’esistenza attiva “per” l’altro; ella è l’aurora di un nuovo mondo.<br />

THE CROSS AS A REVELATION OF GOD’S LOVE<br />

By Cardinal Walter Kasper<br />

On the 24 th October last the Chair of Gloria Crucis at the Pontifical Lateran<br />

University was inaugurated. It is from that Chair that this Review is published.<br />

There was an inaugural lecture delivered by the theologian Card. Walter Kasper.<br />

It was an amazingly comprehensive and up-to-date effort which brought to light<br />

the enormous importance of the theology of the Cross in our day. Mnsgr. Rino<br />

Fischella, the Rector Magnificus of the University, also took part. The lecture will<br />

be published in a separate fascicle of Gloria Crucis. Here we reproduce the last<br />

part of it, which treats on the Catholic theology of the Cross.


359 359<br />

Il dramma in Dio<br />

Studio sulla soteriologia teodrammatica<br />

di H. U. v. Balthasar 1<br />

di GIUSEPPE DELLA MALVA<br />

Il prof. Giuseppe della Malva ci offre qui una presentazione<br />

rigorosa del pensiero di Balthasar sull’assunzione del dramma<br />

dell’uomo da parte di Dio nel Cristo. Il precedente articolo<br />

contenente una parte della lectio magistralis di Walter Kasper alla<br />

cattedra Gloria Crucis mostra quanto questo aspetto sia importante<br />

per una concezione veramente cattolica della Theologia<br />

Crucis. Inoltre, il pensiero di Balthasar, per quanto sia sempre<br />

più studiato di anno in anno (la nostra rivista ha dedicato ad esso<br />

un buon numero di articoli), attende ancora di essere pienamente<br />

condiviso nella Chiesa. A questo servono certamente studi<br />

come il presente, che lo riesprimono e lo ripropongono in modo<br />

da farne un pensiero che circola e nutre la vita della Chiesa, come<br />

lo stesso Balthasar si augurava che avvenisse, magari anche<br />

con nuovi arricchimenti.<br />

1 Per le citazioni delle opere di Balthasar saranno usate, in questo testo, le seguenti<br />

sigle:<br />

GL = Gloria. Una estetica teologica, Queriniana, Brescia, 1 (1994); 2 (1985); 3 (1986);<br />

4 (1986); 5 (1978); 6 (1991); 7 (1991);<br />

TD = Teodrammatica, Queriniana, Brescia, 1 (1987); 2 (1992); 3 (1992); 4 (1999); 5<br />

(1995);<br />

TL = Teologica, Queriniana, Brescia, 1 (1997); 2 (1990); 3 (1992); SI = Lo Spirito e l’Istituxione,<br />

Morcelliana, Brescia, 1979; MP = Teologia dei tre giorni, Queriniana,<br />

Brescia, 1990 (Titolo originale Mysterium paschale); TS = Teologia della storia,<br />

Morcelliana, Brescia, 1964.<br />

GIUSEPPE DELLA MALVA. SAPCR 21 (2006) 359-382


360 Giuseppe della Malva<br />

1. Le radici del Theo-drama: la libertà infinita come amore trinitario<br />

1.1. Dall’excursus storico–soteriologico alla fondazione trinitario-immanente<br />

Il nodo del teodramma, in cui Dio investe il suo impegno supremo: assoluta<br />

libertà “in-contro-come libertà creata”, sta nell’evento della croce, il quale<br />

tuttavia può essere considerato solo su sfondo trinitario, al punto che una soteriologia<br />

non è praticabile se non partendo di qui 2 . Ciò ora è detto consuntivamente<br />

a mo’ di assioma, ma von Balthasar vi giunge attraverso un lungo excursus<br />

storico, proposto, sotto forma di “pars destruens”, come percorso propedeutico<br />

a una corretta ermeneutica della nozione di “vicarietà” cristologica. Questa,<br />

nella comprensione dell’autore, non s’identifica tout-court con nessuno dei modelli<br />

soteriologici sorti lungo la storia della teologia - epoca patristica, medioevo,<br />

età moderna - inabili a rendere pienamente ragione del pro nobis neotestamentario,<br />

«nodo più intimo del gioco d’insieme tra Dio e l’uomo» 3 , e delle cinque<br />

categorie bibliche ad esso sottese: dedizione, scambio di posto, riscatto dal<br />

male, introduzione alla vita divina trinitaria e amore misericordioso di Dio 4 .<br />

Nei Padri della chiesa 5 la disputa cristologica condiziona fortemente la riflessione<br />

soteriologica: se questa infatti nello “scambio dei posti” fornisce a<br />

quella, contro le coeve eresie, la garanzia della piena divinità, come della totale<br />

2 Cf. TD4, 296-297.<br />

3 TD4, 221. Questo “per noi” è, a parere dell’autore, la matrice di tutto l’intellectus<br />

fidei, il «punto fontale della cristologia della Chiesa primitiva» (SI, 344), «l’avamposto<br />

dogmatico» (TD3, 104) a cui «sta appesa tutta la fede cristiana» (ID., L’uomo e la vita<br />

eterna, op. cit., 39), perché ne è «la parola primordiale... la radice da cui si è sviluppato<br />

tutto l’albero del Credo e della dogmatica. Per noi Gesù si è incarnato, per noi e per i nostri<br />

peccati è morto e risorto: e, se ha potuto far questo, era fin dal principio “veramente<br />

Figlio di Dio” (Mc 15,39)» (ID., Il Rosario, Milano 1978, 63).<br />

4 Cf. TD4, 221-224. La disamina constata il cedimento della storia della soteriologia<br />

rispetto a tre pericoli fondamentali: «1. che un aspetto venga innalzato a dominante al<br />

punto che gli altri debbano scontare del loro peso; 2. che il peso pieno dell’affermazione<br />

capitale (cui mirano tutti i cinque aspetti) venga sostituito da un equivalente per la ragione<br />

che quello sarebbe troppo legato al suo tempo e questo più conforme allo spirito di un’altra<br />

epoca, ma senza possedere la carica dell’affermazione biblica; 3. che non sopportando<br />

la tensione esistente tra più aspetti, la si attenui o la si elimini a favore di una sintesi apparente»<br />

(TD4, 224).<br />

5 Cf. TD4, 225-235.


Il dramma in Dio 361<br />

umanità del mediatore del Patto, quella, dovendo affermare la perfetta impeccabilità<br />

del Redentore, deve altresì porre un limite all’admirabile commercium che<br />

ardisce asserire: «Holon en heautoi eme pheron meta tou emou» 6 . Riandando ai<br />

testi patristici, non sarà difficile rilevare che «La formula “me tutto e tutto il mio”<br />

consegue dappertutto la stessa circoscrizione alle conseguenze e ai castighi del<br />

peccato, mentre il peccato stesso non viene portato» 7 né il peccatore rappresentato<br />

davanti a Dio dal Salvatore in azione sul teatro del mondo.<br />

La delimitazione dello “scambio dei posti”, inconsapevole nei Padri, si<br />

fa cosciente e persino indispensabile nelle teologie medievali 8 di Anselmo e<br />

di Tommaso, accomunate dal rilievo accordato alla satisfactio (variante del<br />

terzo tema biblico). Ciò è evidente nella pionieristica “soteriologia sistematica”<br />

del primo 9 , dove, non il contatto con il peccato degli altri - il Salvatore<br />

muore innocente - ma la volontarietà e il “divino valore” danno un “sovrappeso”<br />

redentivo alla morte di Gesù, il quale «Meno che mai allora... è il “portatore<br />

dei peccati del mondo”» 10 .<br />

Allo stesso modo nell’Aquinate - che pur introduce tutti i possibili motivi<br />

della Scrittura e dei padri, compreso lo scambio dei posti, e tratta dettagliatamente<br />

le passiones assunte da Gesù, il quale quasi sibi adscribit tutti i<br />

peccati dell’umanità - «manca ogni intimo contatto tra Gesù e la realtà dei<br />

peccati come tale» 11 .<br />

L’età moderna 12 , preoccupata di superare un linguaggio soteriologico<br />

ritenuto ormai incomprensibile e al contempo la diastasi tra Cristo e gli altri<br />

6 «Mi ha portato tutto in sé con tutto il mio» (PG 36, 109C, cit. in TD4, 232). La<br />

frase di Gregorio di Nazianzo - del quale è più nota la classica «Quod non assumptum non<br />

sanatum», divenuta poi magisteriale (cf. DS 291) - è perfettamente rappresentativa del<br />

commercium patristico, che sostiene «lo scambio di “egli come Dio-uomo e di noi come<br />

uomini-Dio”» (TD4, 227).<br />

7 TD4, 234.<br />

8 Cf. TD4, 235-245.<br />

9 Cf. TD4, 235. Pur cogliendolo nei «suoi difetti» (TD4, 240), Balthasar scagiona<br />

Anselmo dall’«insensata polemica» che lo accusa di «giuridismo» (cf. TD4, 235. 237;<br />

TD2, 148; TD3, 224-225; GL2, 225-226) e «di aver escogitato un Dio Padre crudele»<br />

(TD4, 239), mentre lo elogia per il «transito, nella teologia, da una visuale estetica a una<br />

drammatica» (TD4, 238). Una monografia su Anselmo è in GL2, 190-234.<br />

10 Cf. TD4, 240.<br />

11 TD4, 243.<br />

12 Cf. TD4, 245-293.


362 Giuseppe della Malva<br />

uomini, si ramifica in due strade che sembrano contraddirsi: la solidarietà –<br />

che in genere traspone il piano ontico del commercium patristico all’anodino<br />

livello socio-psicologico 13 – e la sostituzione, eccessivamente radicalizzata<br />

nella luterana dialettica del “sub contrario” 14 o nell’idea di “pena sostitutiva”,<br />

avanzata da autori sia protestanti che cattolici 15 . Un’analisi a sé infine è dedicata<br />

alla teoria del capro espiatorio di Girard, ripresa e corretta poi da<br />

Schwager, la quale, benché imponente, non evidenzia il peso del peccato né<br />

il significato rivelativo della croce di Gesù 16 .<br />

Senza puntare ad un sistema staurologico 17 , Balthasar ritiene che tutte<br />

le riduzioni storiche del polivalente pro nobis neotestamentario - in sintesi:<br />

disattenzione alle ultime necessarie conseguenze della donazione del Figlio<br />

13 Cf. TD4, 252; ID., Se non diventerete come questo bambino. Quattro meditazioni<br />

cristologiche, Casale 1992, 57. Tra i vari nomi ascritti a questa categoria spiccano quelli<br />

di H. Kessler, J. Alfaro, H. Küng, Schillebeeckx, Ch. Duquoc, K. Rahner. A quest’ultimo<br />

Balthasar dedica un ampio excursus (cf. TD4, 252-263), al quale dobbiamo qui accennare,<br />

spinti non certo dall’intenzione di addentrarci nella polemica o d’interpretare<br />

una già interpretata lettura di Rahner, ma dalla necessità di evidenziare la peculiarità dell’impianto<br />

soteriologico balthasariano, ottenuta anche nel distacco da quello. Dell’autore<br />

del Grundkurs Balthasar contesta i presupposti - quello esegetico che, negando nella coscienza<br />

di Gesù l’interpretazione della propria morte in chiave sacrificale-espiativa, relativizza<br />

anche l’“hyper” eucaristico; quello speculativo che, escludendo nell’immutabile<br />

Dio l’opposto movimento ira-riconciliazione (cf. TD4, 254-255), elimina il «decisivo<br />

momento drammatico» (TD4, 263; cf. ID., Tu coroni l’anno con la tua grazia, Milano<br />

1990, 57) - e la conclusione: l’attribuzione teologica del “pro nobis” cristologico (cf.<br />

TD4, 255). Questa, rifiutando un’«impensabile sostituzione vicaria», non spiegherebbe<br />

della «morte esemplare» di Gesù - pur fondata sull’“unio hypostatica” (cf. TD4, 255-256)<br />

- «l’assoluta singolarità» (TD4, 259; vedi complementariamente: GL7, 148-149) né l’accadere<br />

nel dolore e nell’abbandono di Dio (cf. TD4, 255; ID., Cordula. Ovverosia il caso<br />

serio, Queriniana, Brescia, 1993, 102) e, dovendo porre «un accento antiocheno di tendenza<br />

estremistica» in direzione della «totale dedizione dell’uomo Gesù a Dio», condurrebbe<br />

antropologia e cristologia ad «una formale identità» (cf. TD4, 260-261).<br />

14 Il «rigetto di una vera teologica a favore di una continua dialettica della contraddizione»<br />

rende, in ordine al «Dio nudo» (TL2, 302) che scopre, inafferrabile il contenuto<br />

rivelativo; in ordine all’uomo, «caratterizzato dallo stesso simul di Cristo», impraticabile<br />

la giustizia personale relativa all’imitazione del Cristo-exemplum (Cf. TD4, 267-268). Su<br />

Lutero vedi: TL2, 294-302.<br />

15 Cf. TD4, 269-276. Per l’area protestante si citano K. Barth, Pannenberg e J.<br />

Moltmann; per quella cattolica Blondel, Daniélou e Martelet.<br />

16 Cf. TD4, 276-291; ID., Crucifixus etiam pro nobis, Communio 49 (1980) 23.<br />

17 Perentoriamente: «la croce rompe ogni sistema» (TD4, 297).


Il dramma in Dio 363<br />

(Padri) o alla realtà del peccato che persiste pure davanti al merito di Cristo<br />

(Anselmo); mancata conciliazione della vicarietà innocente con l’amore di<br />

Dio (Lutero) o del caricamento dei peccati da parte dell’uomo con l’iniziativa<br />

di Dio (Girard, Schwager, Pannenberg) oppure ancora della gratia sola con<br />

la libertà creaturale non cancellata dal peccato - vadano superate nella categoria<br />

di Stellvertretung. Secondo l’autore, infatti, soltanto questa «dura parola»<br />

18 che alcuni vorrebbero evitare, forma l’«indispensabile concetto» 19 di<br />

“vicarietà” in grado di attingere pienamente il significato che tutto il Nuovo<br />

Testamento 20 - in una specie di continuità eccedente rispetto all’Antico 21 - attribuisce<br />

al “per noi” cristologico.<br />

Il pensiero si erige su base trinitario-immanente. Benché, infatti, una<br />

«piena dottrina della Trinità possa svolgersi solo a partire da una teologia della<br />

croce» 22 - ovvero dalla storica «kenosi di Dio» 23 - quella dovrà porsi ne-<br />

18 ID., La mia opera ed Epilogo, Milano 1994, 155.<br />

19 TD3, 113.<br />

20 In riferimento all’idea che «Gesù Cristo ha sofferto per noi... è dimostrato con<br />

sicurezza che il pensiero dell’espiazione vicaria di questo dolore, che si esprime in questa<br />

formula, è prepaolino» (ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 19) e che pertanto non fu<br />

«per primo Paolo, bensì già la più antica riflessione gerosolimitana sullo scandalo della<br />

croce a ricevere tutta la luce dall’idea di rappresentanza vicaria» (SI, 344). Ecco perché,<br />

così inteso, di necessità «il “pro nobis”... attraversa tutti gli strati del Nuovo Testamento»<br />

(ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 21. Il corsivo è nostro).<br />

21 La continuità è data dal sorgere e dal persistere della categoria, che garantisce, a<br />

livello biblico, la precomprensione del senso di “rappresentanza vicaria”. È importante<br />

notare, infatti, che il «nucleo più antico della cristologia, dal quale si svilupperà l’intera<br />

dogmatica, senza dubbio si è formato in riferimento ai canti del servo di Dio isaiano, la<br />

cui sofferenza era stata intesa come una prestazione espiatoria in rappresentanza vicaria<br />

per i “molti”, e che a loro volta questi canti del servo di Dio non emergono ex abrupto<br />

nell’Antico Testamento, ma hanno affondato le loro radici molteplici nelle offerte di rappresentanza<br />

vicaria da parte delle grandi figure di fondatori» (SI, 345): Abramo, Mosé, i<br />

profeti. L’eccedenza sta invece nella pregnanza teologica di cui il Nuovo Testamento carica<br />

la categoria stessa, rispetto alla quale, ultimamente, l’Antico Testamento risulta<br />

«frammentario, incoativo»; i suoi, tutt’al più, sono «accenni e presentimenti di una misteriosa<br />

rappresentanza (anzitutto nell’elezione di uno al posto dell’altro e per lui), ma persino<br />

nei canti del “servo di Dio” l’intero processo (per quanto riguarda il soggetto) resta indeterminato<br />

e viene cantato in un’atmosfera di sogno, di presagio, di profezia: tutto attende<br />

l’atto reale, che eliminerà i limiti di quanto è particolare e proprio di un determinato<br />

popolo» (SI, 346). Cf. GL6, 349-351.<br />

22 TD4, 297.<br />

23 TD4, 302.


364 Giuseppe della Malva<br />

cessariamente come intimo presupposto di questa, profilandosi, nello stesso<br />

tempo, alternativa agli “extrema vitanda” di K. Rahner e di J. Moltmann 24 .<br />

Ciò le riuscirà se prenderà l’abbrivo da «una teologia negativa che esclude da<br />

Dio qualsiasi esperienza e sofferenza intramondana e tuttavia avvia in Dio le<br />

condizioni della possibilità per una tale esperienza e sofferenza... fino all’assunzione<br />

dell’abbandono di Dio efficamente sostitutivo» 25 . Dio, in tal caso,<br />

non potrà apparirle che «eterna e assoluta autodedizione», già in se stesso<br />

dunque «amore assoluto, a partire dal quale soltanto si chiarisce la autodedizione<br />

libera verso il mondo» 26 fino alla croce, ma senza bisogno, per il suo<br />

autodivenire, né del mondo né della croce.<br />

1.2. La libertà infinita come eterna e assoluta autodedizione<br />

Insieme ad un Bulgakov depurato dai suoi presupposti sofiologici, Balthasar<br />

individua la «verità teologica... mediatrice tra i due estremi inconciliabili»<br />

27 di una rigida immutabilità di Dio e una mutabilità alienante, nell’ardito<br />

concetto, riferibile con linguaggio analogico all’«“evento” eterno delle<br />

processioni divine» 28 , di «Kenosi primordiale» 29 . Questa, nell’intratrinitario<br />

«“altruismo” (Selbstlosigkeit) delle persone divine quali pure relazioni» d’a-<br />

24 Balthasar è convinto che «bisogna trovare una strada per interpretare una Trinità<br />

immanente che sia a tal punto il fondamento del processo del mondo (fino alla crocifissione)<br />

che essa possa né apparire, vedi Rahner, come un processo formale di automediazione di<br />

Dio, né, vedi Moltmann, come irretita nel processo del mondo» (TD4, 300). Oltre che «nel<br />

vortice della “teologia del processo” di Whitehead» (TD4, 299), Moltmann finirebbe, secondo<br />

il nostro autore, nell’«“ambiguità” di Hegel secondo cui non si dà Trinità senza morte<br />

e dolore e croce» (TD5, 194), la quale ultima «diventa non soltanto il luogo privilegiato<br />

(in ultima analisi unicamente valido) dell’autorivelazione della Trinità, ma addirittura il luogo<br />

del suo vero adempimento» (TD4, 299). Il pericolo di Rahner, invece, è ravvisato in questo<br />

caso nell’“e viceversa” del Grundaxiom («la Trinità “economica” è la Trinità “immanente”<br />

e viceversa»: K. RAHNER, La Trinità, Brescia 1998, 30, dove tutta la frase è in corsivo),<br />

in conseguenza del quale «la Trinità immanente ed eterna di Dio rischia di risolversi<br />

nella economica» (TD3, 468), stante che «La Trinità economica non può essere affermata<br />

semplicemente identica alla Trinità immanente, per quanto le leggi della prima derivino dalla<br />

seconda» (TD3, 148). Sul Grundaxiom vedi anche: TD4, 298-299.<br />

25 TD4, 302.<br />

26 Cf. TD4, 301. Il corsivo è nostro.<br />

27 Cf. MP, 45-46.<br />

28 MP, 22.<br />

29 TD4, 308.


Il dramma in Dio 365<br />

more 30 , s’identifica con «l’autoespressione del Padre nella generazione del<br />

Figlio», mediante la quale egli, per pura “libertas” 31 , «si disappropria radicalmente<br />

della sua divinità e la transappropria al Figlio» 32 .<br />

A tale dinamico, eterno 33 movimento di donazione coincidente con<br />

«l’imprepensabilmente generante» 34 Padre stesso - che «senza trattenersi nulla»<br />

dunque «non perisce dentro il dono» 35 - corrisponde la libera risposta del<br />

Figlio come “imprepensabile autoaccoglimento” 36 ed «eterno rendimento di<br />

grazie (eucharistia) alla sorgente paterna... così disinteressato e senza calcolo<br />

alcuno quale era la dedizione prima del Padre» 37 .<br />

Ed emergendo da entrambi, «quale loro “noi” sussistente, respira il comune<br />

“Spirito” che a un tempo tenendo aperta la differenza (come essenza dell’amore)<br />

la suggella e, quale l’unico Spirito di entrambi, le serve da ponte» 38 .<br />

Ora - si afferma - «la prima “kenosi” intradivina... abbraccia da ogni lato le altre»<br />

39 , da quella rese radicalmente possibili: la creazione, l’alleanza 40 , la croce-<br />

30 GL7, 195. Il concetto di “altruismo”, quale «ultimo presupposto della kenosi»<br />

(MP, 45), è attinto alla moderna teologia russa - lo attesta lo studio cui Balthasar allude<br />

(GORODETSKY N., The humiliated Christ in modern Russian thought, London 1938,<br />

cit. in MP, 45) - particolarmente da Solowjew - al quale è dedicata un’ampia ed elogiativa<br />

monografia in GL3, 260-324 - Tarejew, oltre che dal già menzionato Bulgakov.<br />

31 Cf. TL2, 141.<br />

32 TD4, 301. Cf. TL2, 153.<br />

33 «Il dramma trinitario ha una durata eterna: mai il Padre è stato senza il Figlio,<br />

mai il Padre e il Figlio sono stati senza lo Spirito» (TD4, 304).<br />

34 TL2, 118. «Il Padre, che non può essere appunto pensato (arianamente) come<br />

esistente “prima” di questa autodonazione, è questo movimento di donazione» (TD4, 301;<br />

il corsivo è nostro. Cf. TD4, 302-303; TD2, 243; TD5, 80).<br />

35 TD4, 303. L’espressione si avvicina a quella del Laterano IV, secondo cui il Padre<br />

generando «non ha dato la sua sostanza al Figlio in modo da non averla più lui» (DS 805,<br />

cit. in TL2, 118; TL3, 185). In ciò Balthasar si distanzia anche dai Kenotici tedeschi del XIX<br />

secolo, i quali spingono a pensare che «l’essenza di Dio sia in sé (univocamente) “kenotica”»<br />

(MP, 40) e quindi costretta all’«autolimitazione» (MP, 42-43; cf. TD5, 190-191).<br />

36 Cf. TD5, 79.<br />

37 TD4, 301.<br />

38 TD4, 301-302; il corsivo è nostro. Cf. TD4, 308.<br />

39 TD4, 301.<br />

40 Creazione e patto «possono essere chiamati una nuova “kenosi”» (TD4, 305), o<br />

«“autodelimitazione” del Dio trinitario»: la prima «in forza della libertà donata alle creature»;<br />

il secondo, «più profonda autodelimitazione», per il fatto che «da parte di Dio, è per<br />

principio incancellabile, faccia pure Israele quel che vuole» (TD4, 308). Alla kenosi dell’al-


366 Giuseppe della Malva<br />

eucaristia. Difatti, unicamente nella trinitaria differenza delle Ipostasi, che configura<br />

Dio come amore 41 e in cui «è assolutamente bene che esista l’altro» 42 , risiede<br />

la possibilità di una libertà creata 43 gratuitamente posta 44 , di una sua eventuale<br />

«peccaminosa distanza» 45 e di un suo recupero. Più precisamente, è all’interno<br />

della “generatio” o “processio” del Figlio 46 – “il Tutt’Altro” 47 in Dio - «posizione<br />

di una distanza infinita assoluta» 48 , che trovano inclusione il mondo 49 -<br />

e di esso “archetipicamente” la finitezza, il tempo, la morte 50 - la sua libertà e<br />

leanza, tuttavia, si concede poca attenzione - in altri contesti è addirittura omessa (cf. per es.:<br />

MP, 45; GL7, 195; TD2, 250 nota 121, dove è presentato Bulgakov) - a favore di un rilievo<br />

accordato alla prima e alla terza kenosi economica e al loro imprescindibile legame.<br />

41 «Dio senza la differenza delle Ipostasi non può più essere quel Dio che la rivelazione<br />

conosce: il Dio dell’amore» (TL2, 69). Cf. TD5, 71.<br />

42 TD5, 70.<br />

43 Cf. TD4, 310; SC, 315-316. TL2, 271: «Il luogo metafisico-ontologico della<br />

creatura è ormai la diastasi delle persone divine nell’unità della divina natura». Significativa<br />

e sintetica inoltre è una citazione di A. Gerken, che apre il capitolo «Mondo dalla Trinità»<br />

in: L’ultimo atto: «La possibilità della creazione riposa nella realtà della Trinità. Un<br />

Dio non trinitario non potrebbe essere creatore» (A. GERKEN, Theologie des Wortes,<br />

Düsseldorf 1963, 81, cit. in TD5, 53).<br />

44 «Chi penetra nei misteri di Dio sa sempre meglio che il mondo come tutto è<br />

creato “inutilmente”, ossia per libero amore infondato, e che proprio questo gli conferisce<br />

il suo solo plausibile senso» (TD2, 246).<br />

45 TD4, 310.<br />

46 Cf. TD4, 303. 305. Il riferimento biblico alla creazione nel Figlio è individuato<br />

particolarmente nell’inno di Col 1 (cf. per es.: TD2, 248).<br />

47 «Le divine Persone sono a vicenda (nell’identità della loro essenza) il Tutt’Altro<br />

nel senso che in Dio non si può dare nessun concetto astratto di persona che valga per tutti»<br />

(TD5, 72, nota 14).<br />

48 TD4, 301.<br />

49 Cf. TD4, 303. 305. 308; TD5, 211. Laconicamente: «L’infinita distanza tra Dio e<br />

mondo ha radice in quella tra Dio e Dio» (TD2, 252).<br />

50 La kenosi primordiale è il luogo teologico in cui l’autore riconosce «le idee archetipe»<br />

(TD5, 78) della finitezza, qui assimilata alla dimensione spaziale - riconducibile intratrinitariamente,<br />

in forza del positivo mutuo “lasciar essere” delle divine Ipostasi (cf. TD5,<br />

73-78), a quella vitale “distanza” relazionale che è un tutt’uno con la “vicinanza” della “circumincessio”<br />

(cf. TD5, 80) - del tempo - in Dio coincidenza di «essere eterno o assoluto e<br />

divenire» (TD5, 58; cf. TL1, 1) - e della morte - «incondizionata autodedizione di ogni divina<br />

Ipostasi alle altre» (TL2, 70), simile ad una «super-morte, che si trova come aspetto di<br />

ogni amore e che fonderà all’interno della creazione tutto ciò che in essa potrà essere una<br />

morte buona: dal dimenticarsi per la creatura amata fino a quel supremo amore che “dà la<br />

vita per i suoi amici” (TD5, 72; cf. TD5, 207-210). È chiaro che soprattutto quest’ultimo


Il dramma in Dio 367<br />

«tutte le distanze che possono aggiungersi all’interno del mondo finito fino a non<br />

escludere il peccato» 51 . Questo, scoprendo qui, parallelamente al teodramma, le<br />

sue radici, si svela come “perversione” della libertà umana, la quale, posta all’interno<br />

dell’eucarestia del Figlio 52 e partecipe della sua autonomia, dice “no”<br />

alla gratitudine, alla dedizione 53 e all’amore 54 , in una contraddittoria 55 , menzognera<br />

56 «volontà di autonomia intesa a non ricevere né a dare» 57 . Esso, insoffri-<br />

punto - se non altro per l’audacia della terminologia usata (“morte”, “buona morte”, “supermorte”<br />

in Dio) - presta il fianco, su terreno dogmatico, a numerose critiche, come quella di<br />

K. Rahner che accusa tali riflessioni di “neocalcedonismo” e a cui il teologo svizzero risponde<br />

tenendo fede alla «formula “Uno della Trinità ha patito”... sempre riconosciuta come<br />

ortodossa (DS 401, 432)» (TD5, 13) e con l’intera sua dottrina trinitaria. In generale, al<br />

di là di ogni possibile osservazione, Balthasar ritiene che solo una fondazione trinitario-immanente<br />

scongiuri il pericolo del mito, trappola per le pur suggestive moderne teologie del<br />

“dolore in Dio”, dove «il modello, in riferimento al quale la morte e il dolore si leggono in<br />

Dio, è sempre la morte e il dolore fuori di Dio nel mondo» (TD5, 197).<br />

51 TD4, 301.<br />

52 Cf. TD4, 308-309.<br />

53 «Questo mistero è oscuro: è l’autochiusura dell’essere e perciò la sua non verità.<br />

È il rifiuto di quell’autodedizione, in cui amore e verità sono una cosa sola: e questo rifiuto<br />

è peccato» (TL1, 235. Il corsivo è nostro).<br />

54 Cf. TD4, 305-306; SI, 362. GL6, 186: «l’essenza caratteristica della colpa teologica...<br />

consiste nell’inconcepibile rifiuto di una risposta di amore all’inconcepibile offerta<br />

di un amore eterno» (il corsivo è nostro).<br />

55 «In questo no insorge nella creatura la contraddizione contro il carattere di analogia<br />

e d’immagine che essa deve necessariamente avere in forza della sua localizzazione<br />

all’interno delle relazioni trinitarie» (TD4, 306; il corsivo è nostro). L’uomo, infatti, in<br />

quanto alterità rispetto a Dio-Trinità ne è “immagine”: «Inaequalitates (tra Dio e il mondo,<br />

che è l’altro di Dio) oriuntur ex aequalitates (dalla differenza tra il Padre e il Figlio, il<br />

quale non è un’altra cosa da Dio, ma, come lo Spirito, l’Altro in Dio)» (TL2, 32), cosicché,<br />

paradossalmente, «proprio in quanto sei il non-Dio, sei simile a Dio» (ID., Il cuore<br />

del mondo, Casale 1998, 11). Sull’uomo come imago Trinitatis, vedi: TD3, 483-486;<br />

TL2, 25-49, dove si rigetta una dialettica di tipo hegeliano - che fa, sì, di tutto una “imago<br />

Trinitatis”, ma dissolve la positività dell’altro nel momento oppositivo, in vista di una<br />

superiore sintesi - a favore di una dialogica - quella di F. Rosenzweig, M. Buber, F. Ebner<br />

- in cui «l’altro è il positivo». Ecco perché, essendo trinitario, «Dio dice tu a ciascuno di<br />

noi» [ID., L’uomo e la vita eterna, in Communio 115 (1991), 39] e per noi «Dare del tu alla<br />

libertà assoluta è inevitabile» (TD2, 273).<br />

56 Già intuito con l’approccio orizzontale, solo ora diventa palmare che «l’essenza<br />

del peccato è la menzogna» (ID., La preghiera contemplativa in ID., Nella preghiera di<br />

Dio, Milano 1997, 193) la quale, tuttavia, avrà la sua massima manifestazione dinanzi alla<br />

massima rivelazione di Dio: la croce di Cristo.<br />

57 TD4, 306.


368 Giuseppe della Malva<br />

bile per Dio e ad un tempo possibile proprio in forza della trinitaria “assenza di<br />

calcolo” con cui l’amore divino si autodona inerme alla libertà creata 58 , rimane<br />

comunque, nel flusso infinito della distensione eucaristica del Figlio, un prevedibile<br />

59 «punto di contorsione, al di sopra di cui l’onda dell’amore» trinitario «è<br />

sempre più avanti» 60 . Ciò significa, in ordine all’interesse che ci muove, che se<br />

il «no della creatura risuona nel “posto” della differenza intradivina», allora «il<br />

Figlio, che facendosi uomo entra in questa “tenebra” della negazione, non ha bisogno...<br />

di cambiare, come “luce” e “vita” del mondo, il “posto” suo proprio<br />

quando, brillando nelle tenebre, intraprende la loro “sostituzione vicaria”» 61 .<br />

58 Se l’amore di Dio che non calcola è radicalmente vulnerabile (cf. TD4, 306; TD5,<br />

181-183) dinanzi alla libertà creata che può scegliere di «indugiare e mantenersi entro il calcolo<br />

della sua egoistica autonomia» (TD4, 305), ciò non comporta «nessuna incapacità di<br />

Dio, nessuna incertezza circa una sua possibilità a convincere l’uomo recalcitrante, ma indica<br />

la nessuna potenza giacente nella sua onnipotenza, impotenza che... è perfettamente identica<br />

alla sua potenza: superiorità sulla costrizione di dover intervenire dispoticamente o perfino<br />

violentemente» (TD4, 308-309). Altrove si è detto che in Dio la potenza è solo per il<br />

bene (cf. TD4, 138-139) - si noti il contrasto con la “potenza del male” umana (cf. supra 22)<br />

- e che in lui esiste una “latenza” che non coarta la libertà finita, ma in una “segreta presenza<br />

e accompagnamento” (cf. TD2, 256-268), fa sì che questa abbia a «realizzarsi anzitutto<br />

come vera decisione (pro o contro il suo in-essere in Dio)» (TD2, 297; cf. TD4, 139).<br />

59 Una previsione del peccato, estrema conseguenza della libertà finita, si dà già nella<br />

creazione di questa (cf. MP, 45; GL7, 195; TD4, 63), irreversibile “engagement” di Dio<br />

(cf. TD1, 121), che pertanto «“include nel conto” anche la croce» (MP, 45; cf. ID., Editoriale,<br />

Communio 94 (1987) 2-3). Ora, «l’“idea” di creazione fino alla croce» (TD5, 431),<br />

che tuttavia - si badi - non può hegelianamente «essere scoperta, svelata e monopolizzata<br />

come legge universale del creato» (ID., La verità è sinfonica, Milano 1974, 51) - nell’«assoluta<br />

libera posizione del Figlio come Dio da parte del Padre divino giace... a un tempo, come<br />

realizzabile e come già inclusa nella vita divina e, in quanto inclusa, già “superata” nell’assoluta<br />

gratutità e vitalità trinitaria» (TD5, 431).<br />

60 TD4, 307.<br />

61 TD4, 310; il corsivo è nostro. Si eviti di concludere che il “dramma primordiale”<br />

abbia in sé qualcosa di “giocoso” (cf. TD4, 304; TD5, 209) o che la libertà creata non sia<br />

presa sul serio (cf. TD4, 308). Il peccato infatti è «amara e oscura» realtà di separazione da<br />

Dio; reale «l’abbandono di Gesù da parte del Padre» nell’“ora” della croce, ma entrambi<br />

possono verificarsi solo all’interno dell’«insuperabile “separazione” di Dio da se stesso» o<br />

nell’«assoluta distanza intratrinitaria tra l’ipostasi che dona e l’ipostasi che riceve la divinità»<br />

(cf. TD4, 302. 310). Inoltre, tale prospettiva, che l’autore ritiene propriamente “cattolica”,<br />

«trascende sia una dialettica del capovolgimento sia una coincidentia oppositorum. Essa<br />

dice piuttosto inclusione: della natura nella grazia, del peccato nell’amore perdonante, di<br />

tutti gli scopi in una gratuità suprema» (ID., Cattolico, Milano 1976, 37).


Il dramma in Dio 369<br />

Molteplici, in definitiva, nella prospettiva dell’autore, i guadagni di una<br />

trinitaria che a ritroso, partendo dalla croce, perviene all’idea di Ur-kenose.<br />

Reperita, infatti, nella Trinità immanente - già in se stessa amore - l’ultimo<br />

presupposto dello “scambio dei posti” o “sostituzione vicaria”, le cinque categorie<br />

sottese al “pro nobis” neotestamentario trovano convergenza ed ordine<br />

62 , mentre è evitata ogni unilateralità dei sistemi storico-teologici; «viene...<br />

a cadere in pezzi la vecchia concezione dell’immutabilità di Dio» 63 , il quale<br />

peraltro sfugge a una «fusione mitologico-tragica nel senso di una teologia<br />

del processo moltmanniana o hegeliana» 64 alienante 65 ; si chiarisce infine che<br />

l’ultima kenosi economica è «non soltanto cristologica, ma interamente trinitaria»<br />

66 , mentre si individua l’“unus de Trinitate” che solo può assumere finitezza,<br />

tempo e morte unitamente al pro nobis (eucaristico e) di croce: il Figlio<br />

che, «nel “tropos” della prontezza disponibile» 67 o «modus dell’accoglimento»<br />

68 e «nella risposta all’autodonazione paterna, si mantiene sempre pronto<br />

ad accogliere ogni pensabile forma di prodigalità quanto a se stesso... nella<br />

premessa che debbano sorgere delle creature libere» 69 in lui. Nessun titanismo<br />

dunque né alcuna costrizione a tanto: «lo smarrimento dell’uomo nella<br />

sperduta finitezza fa» solamente «uscire in luce il centro, finora nascosto, del<br />

62 «Il motivo (secondo) del commercium si basa ora completamente sul primo,<br />

quello della donazione nella perdizione del Figlio in quanto questa è la rappresentazione<br />

economica dell’autodedizione trinitaria nell’amore del Padre (motivo quinto). Questo<br />

inalveamento trinitario rende pure accessibile il terzo tema scritturistico (salvezza come<br />

riscatto liberatorio) che dev’essere trattato unitamente al motivo dello scambio, come infine<br />

anche il quarto (introduzione nella vita trinitaria) che emerge immediatamente dai<br />

precedenti» (TD4, 309).<br />

63 P. ALTHAUS, Kenosis, in RGG III, 1245-1246, cit. in MP, 44.<br />

64 TD4, 310.<br />

65 L’argomento è oggetto di reiterata considerazione nelle opere di Balthasar, al<br />

quale importa liberare il campo soteriologico da ogni possibile fraintendimento speculativo<br />

in ordine alla “kenosi” del Verbo: «la rinuncia alla “forma di Dio” e l’assunzione della<br />

“forma di servo”, con tutte le sue conseguenze, non introducono nella vita trinitaria di Dio<br />

nessuna autoalienazione. Dio è sufficientemente divino per divenire in un senso vero e<br />

non solo apparente, attraverso l’incarnazione, la morte e la risurrezione, ciò che egli è già<br />

da sempre in quanto Dio» (MP, 185; il corsivo è nostro). In altri termini, «è impossibile<br />

disgiungere cristologia dinamica e cristologia ontologica» (MP, 185. Il corsivo è nostro).<br />

66 TD4, 308.<br />

67 TD2, 252.<br />

68 TD4, 303.<br />

69 TD4, 307; cf. TL2, 145.


370 Giuseppe della Malva<br />

piano di Dio a riguardo del mondo: la possibilità della libertà infinita di perseguire<br />

lo smarrito fino allo smarrimento più profondo: il Verbo del Padre, il<br />

Figlio si fa carne» 70 .<br />

Duplice “conditio sine qua non” di una salvezza intesa in termini di vicarietà<br />

è, da una parte, che il Salvatore sia il filosoficamente inescogitabile<br />

“universale concretum” che unisce in sé senza immistione il contingente-fattuale<br />

e il necessario-universale, includendovi l’esistenza degli uomini di tutti<br />

i tempi e, dall’altra, che la carne che egli assume sia la “caro peccati”, segnata<br />

dal triplice limite di finitezza, tempo e morte. La morte che egli assume dovrà<br />

a sua volta connotarsi, come per ogni uomo, quale contraddizione suprema,<br />

destino incombente, esperienza di gettatezza e luogo di solitudine. Esigenze<br />

di brevità ci negano la possibilità di sviluppare in questa sede tutti gli<br />

argomenti accennati 71 . Ci limiteremo dunque a portare ad emersione solamente<br />

i gradi di significato che stratificano il concetto di solitudine applicato<br />

alla morte di Gesù.<br />

2. Il centro del centro del Theo-drama: l’assunzione della morte<br />

2.1. L’assunzione della morte come solitudine<br />

Occorre precisare subito che la solitudine di cui qui si tratta è quella del<br />

peccato. Essa inevitabilmente pervade, come l’approccio antropologico ha già<br />

rilevato, la forma storica del morire umano. Il “Verbum caro” la assume nella<br />

sua morte in modo assolutamente unico e irripetibile (come abbandono di<br />

Dio), poiché va ad estirparne la radice, il peccato, del quale svela e vicariamente<br />

patisce l’estrema inconciliabilità con l’amore di Dio (come “ira di<br />

Dio”) e del quale attraversa tutta l’abissalità (fino alla “seconda morte”). Que-<br />

70 TD2, 260. Il corsivo è nostro.<br />

71 Per un maggiore approfondimento rimando al secondo capitolo della mia tesi,<br />

precisamente al punto 2 (“Il centro del Theo-drama: il Verbum caro”) e alla prima parte<br />

del punto 3 (“Il centro del centro del Theo-drama: l’assunzione della morte”), dove peraltro,<br />

quali ponti tra l’universale concretum e l’assunzione del trinomio finitezza-tempomorte,<br />

sono sviluppate le equazioni cristologiche di missione come persona, di obbedienza<br />

come libertà e di libertà come amore, onde scongiurare l’equivoco di una qualsiasi forma<br />

di eteronomia nell’azione salvifica del Figlio.


Il dramma in Dio 371<br />

sti elementi, riordinati, vanno ora osservati da vicino, affinché il concetto di<br />

“vicarietà” cristologica elaborato da von Balthasar sia mostrato in tutta la ricchezza<br />

teologica che egli stesso vi riconosce.<br />

2.1.1 L’ira di Dio e il peccato<br />

Perché la redenzione non scada a dottrina anodinamente epica, né sia fatta<br />

coincidere con una astorica volontà di salvezza del Padre che nella pasqua del<br />

Figlio impartirebbe un “insegnamento simbolico” all’umanità, è necessario, a<br />

parere del nostro autore, non lasciar cadere l’«idea veterotestamentaria della<br />

“collera di Dio” e le molte idee corollarie» come «residui arcaici storico-religiosi<br />

che il Nuovo Testamento ha definitivamente smitologizzati» 72 .<br />

Piuttosto, recuperare questi elementi, che il Nuovo Patto non attenua ma<br />

rilegge cristologicamente in chiave espiativa 73 , è invece ineludibile presupposto<br />

per un equilibrato realismo soteriologico. Quest’ultimo, forte del mai<br />

dimenticato approccio trinitario alla croce, saprà certamente non assolutizzare<br />

ira e amore 74 , ma anche non contrapporli, giacché proprio della loro unità<br />

75 testimonia la rivelazione neotestamentaria.<br />

In questa unità l’ira di Dio trova la sua sola possibile spiegazione teologica.<br />

Essa è «l’altra faccia dell’amore» 76 divino che, in “engagement” con<br />

72 TD3, 111. Il corsivo è nostro.<br />

73 Numerosi, al riguardo, i passi riportati, peraltro in stretta concatenazione: 2Cor<br />

5,18; Col 1,20; Rm 3,25; Rm 5,8; Rm 8,32; 1Gv 4,10; Gv 3,16; Gal 3,20, solo per citarne<br />

alcuni (cf. TD3, 112-113; GL7, 187).<br />

74 GL7, 188: «si farà attenzione ai due estremi: interpretare la passione di Cristo<br />

come un’esplosione punitiva dell’ira di Dio contro la vittima innocente (spiegazione verso<br />

cui andò la Riforma) o vedere in essa una semplice manifestazione di sovrabbondanza<br />

dell’amore di Dio». L’equilibrio va cercato, quindi, in uno sguardo trinitario: non «si può<br />

parlare di una “ira” di Dio che si scaricherebbe sul portatore del peccato del mondo lasciando<br />

così il posto ad un amore riconciliato... piuttosto si potrebbe parlare di un “permesso”<br />

del Padre al Figlio di spingersi nell’amore fino a questa follia» (ID., La semplicità<br />

del cristiano, op. cit., 58).<br />

75 «Precisamente l’amore estremo che si manifesta nel cuore di Dio mostra la decisività<br />

assoluta della sua opposizione contro tutto ciò che viola l’amore; e precisamente la<br />

forma trinitaria di questa rivelazione dell’amore in Gesù Cristo ci permette di vedere l’unità<br />

di amore ed ira come necessaria» (TD4, 317. Il corsivo è nostro).<br />

76 MP, 128.


372 Giuseppe della Malva<br />

la libertà finita già nella creazione 77 e poi nel patto 78 , non può assistere indifferente<br />

all’autodistruttiva scelta dell’uomo di alienarsi da Dio. In questo<br />

senso ha ragione M. Barth: «l’ira di Dio è la temperatura del suo amore» 79 .<br />

Più in profondità, la collera in Dio coincide con l’inevitabile rigetto del<br />

male, di quanto cioè si oppone radicalmente al suo amore. Stante, infatti, la<br />

contraddizione assoluta tra il male e l’amore santo divino 80 , «un Dio che<br />

amasse soltanto e non odiasse il male... si contraddirebbe» 81 . In quest’altro<br />

senso allora si deve convenire con A. J. Heschel: questo pathos in Dio è identico<br />

al suo ethos 82 .<br />

Con più precisione, l’ira di Dio ha per oggetto il peccato. Questo, infatti,<br />

già in se stesso pura contraddizione 83 , è menzogna e dunque in nessun modo<br />

integrabile con la verità di Dio 84 , della quale è «distorsione immediata» 85 .<br />

Ora, se «la verità è la spiegazione dell’amore di Dio mediante Gesù, allora la<br />

menzogna è la categorica, incondizionata negazione di questa verità» 86 . Il<br />

77 «Già nella creazione Dio Padre si è legato, poiché ha rimesso agli esseri creati le<br />

loro energie e leggi come loro proprie; legato ancor più, in quanto ha elargito loro autentica<br />

libertà, che includeva la possibilità di volgersi in avversione a Dio, di accendere in lui<br />

il fuoco della sua “collera”, che egli stesso non poteva spegnere con una pura “parola di<br />

potenza dall’alto”, senza contraddirsi. La creatura libera trae Dio entro l’elemento tragico»<br />

(SI, 47-48).<br />

78 Dio «che nella sua grazia si è piegato fino all’uomo ed ha concluso con lui un<br />

patto - da parte di Dio indissolubile - è costretto, per la sua stessa fedeltà e veracità, a “incollerirsi”,<br />

invece di volgere le spalle, con una superiore non divina indifferenza, alla devastazione<br />

della sua opera e “lasciare che ciò che è storto sia diritto”. Egli deve piuttosto<br />

trattare con tutta serietà il partner del patto e, con il giudizio, il castigo, la pena, riportarlo<br />

a quel diritto che lo sviato non può restaurare» in ogni caso (MP, 110).<br />

79 BARTH M., cit. in TD2, 152.<br />

80 Cf. MP, 128.<br />

81 TD4, 316.<br />

82 Cf. TD4, 320.<br />

83 «Il male è contrapposto non solo al bene, ma anche a se stesso» (citaz. di S. Basilio<br />

in: ID., Il chicco di grano. Aforismi, op. cit., 39).<br />

84 «La negatività dell’odio e della menzogna non può in nessun modo venire integrata<br />

nella verità come un necessario momento di transito. Rispetto a tale negatività c’è<br />

da parte della verità solamente l’assoluto rifiuto, il giudizio... La diabolica contra-dizione<br />

non è assimilabile nella logica di Dio» (TL2, 282).<br />

85 TL1, 235.<br />

86 TL2, 281.


Il dramma in Dio 373<br />

peccato quindi, alla radice, è insensato 87 «odio della verità che è Cristo» 88 e<br />

in ciò “Mysterium Iniquitatis” dal fondo imperscrutabile. Tuttavia, «con il<br />

concetto di “odio”, in quanto antitesi dichiarata e aggressiva dell’amore, di<br />

quell’amore che caratterizza Dio nella sua dedizione trinitaria ed economica<br />

(cfr. 1Gv 4,16), ci accostiamo il più possibile al centro del suo mistero» 89 e<br />

della biblica “ira di Dio”. Per l’uno e per l’altra, infatti - peccato e collera divina<br />

- d’ora in poi non valgono più analisi astratte: tutto si addensa nell’evento<br />

cristologico.<br />

Qui si concreta e si estremizza quella che l’autore chiama la «specifica<br />

legge teodrammatica di ritmo dell’intensificazione», secondo cui «il sempre<br />

più dell’impegno di Dio evoca e provoca il sempre più della contraddizione<br />

antidivina» 90 . Tale opposizione non ha fondatezza logica e, pur pervadendo<br />

l’intero corso della storia 91 , non può acutizzarsi che laddove l’amore trinitario<br />

rivela, in Cristo, la sua infondata gratuità: l’«amore di Dio, che invia la<br />

Luce-Parola nel mondo provoca l’odio... Viene dunque svelato nel Figlio l’amore<br />

assoluto e immotivato, amore che nel suo non-accoglimento da parte<br />

della tenebra fa apparire questa tenebra come “immotivata” ([Gv] 15,25: senza<br />

ragione), come abissale» 92 .<br />

L’“escalation” tra misericordia e colpa 93 , debordando nell’escatologia<br />

che Cristo inaugura 94 , non può che condurre l’amore di Dio ad un definitiva<br />

adirata condanna del peccato. In termini giovannei: al libero autoaccecamen-<br />

87 «Di fronte al Logos, in cui abita ogni senso e fondamento, l’odio della menzogna<br />

può essere soltanto abissale e insensato» (TL2, 278).<br />

88 TL2, 278.<br />

89 TD5, 173.<br />

90 TD4, 51. Si tratta, in sostanza, di quel “duplice crescendo teodrammatico” che<br />

già prima abbiamo osservato (cf. supra, 23-25), ma che solo ora si svela in tutta la sua<br />

profondità e nel suo parossismo: «Il dramma tra l’uomo e Dio raggiunge qui la sua akme,<br />

poiché la perversa libertà finita getta tutta la sua colpa su Dio come sull’unico imputato e<br />

capro espiatorio, e Dio se ne lascia totalmente colpire non solo nell’umanità di Cristo ma<br />

nella sua stessa missione trinitaria» (TD4, 312).<br />

91 La «legge teodrammatica di fondo della storia del mondo» sostiene che «il<br />

quanto più della rivelazione dell’amore divino (irrazionale) provoca un quanto più (irrazionale<br />

Gv 15,25) di odio umano» (TD4, 315. Il corsivo è nostro).<br />

92 TD5, 172.<br />

93 TD4, 318.<br />

94 Cf. TD4, 315; TD3, 106-107.


374 Giuseppe della Malva<br />

to 95 corrisponde la tenebra ed «è la tenebra ciò che costringe la Luce a farsi<br />

giudizio» 96 .<br />

2.1.2 Il giudizio e la croce<br />

Per sviluppare - peraltro solo in parte 97 - ciò che il titolo impone e le riflessioni<br />

successive, è necessario reintrodurre qui il termine “obbedienza”,<br />

capitale nella cristologia balthasariana. Quanto sopraesposto sopporta una rilettura<br />

e un approfondimento a partire da questo concetto.<br />

Si può dire, infatti, che il “ritmo drammatico” non si gioca che tra la crescente<br />

universale peccaminosa disobbedienza e la misericordia di Dio che,<br />

mediante uomini da lui stesso scelti, appronta una “scala dell’obbedienza” 98<br />

alla discesa dell’“uomo mediatore”. Da questa scala e sopra lo stesso mediatore<br />

scende anche l’ira di Dio e il suo giudizio 99 .<br />

La domanda che chiede della possibilità di quest’ultima affermazione<br />

passa attraverso un’altra: chi è fatto erede di questa «mediazione più che profetica»<br />

100 ? Più precisamente: «chi può caricarsi del peso di quest’ira in modo da<br />

placarla?». La risposta immediata è: non certo «il peccatore, poiché appunto la<br />

95 «Poiché l’essenza del “mondo” secondo l’“accezione” giovannea è di opporsi»<br />

alla rivelazione di Dio in Cristo, «cresce l’opposizione del mondo nella stessa misura in<br />

cui crescono l’offerta dell’amore e le sue prove: alla gratuità dell’amore corrisponde la<br />

gratuità dell’odio (15,25) e dell’accecamento (12,40s)». Quella che Gesù ha di fronte non<br />

«è semplicemente gente che non vede ma che è capace di vedere e che decisamente si inibisce<br />

la vista» (cf. Gv 9,41) (GL7, 341).<br />

96 TD5, 171.<br />

97 «Noi qui non possiamo che dare una risposta parziale alla questione dei rapporti<br />

tra croce e giudizio; per una soluzione soddisfacente occorrerebbe trattare anche della<br />

dottrina della giustificazione. Occorrerebbe mostrare come il giusto possa essere giustamente<br />

condannato perché possano essere giustificati l’ingiusto e il peccatore. Qui tratteremo<br />

espressamente solo la prima parte dell’affermazione, quella che esprime il dramma<br />

centrale della rivelazione» (MP, 110).<br />

98 Cf. GL6, 184-252. «Dove l’uomo ha completamente fallito, la storia del patto di<br />

Dio diventa una storia di Dio con se stesso. Non si poteva assolutamente prevedere in<br />

qual modo questa storia si sarebbe conclusa. Dio vuole costruirsi una scala di uomini prescelti,<br />

destinata a farlo discendere sino alla tenebra senza Dio. Una scala fatta di obbedienza»<br />

(GL6, 191).<br />

99 Cf. TD4, 321.<br />

100 TD4, 322.


Il dramma in Dio 375<br />

eccita finché è peccatore», ma «colui che è senza peccato» 101 . Deve, infatti,<br />

«subentrare per lui» - in “rappresentanza” cioè del peccatore 102 - «un uomo che<br />

nello stesso tempo incorpori davanti a Dio il peso del peccato e l’innocenza dell’amore<br />

affinché la misericordia di Dio non debba staccarsi dalla sua inseparabile<br />

giustizia» 103 . Ora, «nessuno che sia puro uomo - comunque caricato di missioni<br />

immense - può “portare via i peccati del mondo”: è necessaria a tanto una<br />

persona divina» 104 , poiché «allo stesso modo che solo Dio può perdonare i peccati,<br />

così solo Dio può “portare i peccati”» 105 . Solamente l’Uomo-Dio, Cristo<br />

Gesù, può garantire la bilateralità del patto, infranto dalla disobbedienza umana,<br />

la consumazione della collera di Dio e la justitia Dei 106 .<br />

Ciò però non avviene per incanto 107 . Ben diversa, infatti, è «la rappresentanza<br />

vicaria “magica”, consueta in tante religioni» e «la rappresentanza<br />

vicaria “personale”, che si attua per libero amore» 108 nel Figlio fatto uomo.<br />

Questa, a differenza della prima, non rimane periferica all’umano da riscattare.<br />

E ciò perché l’amore e solo «l’amore è capace di comprendere il destino<br />

altrui, di accompagnarvisi, vivendolo come se fosse il proprio, di identificarsi<br />

con esso, nel caso limite, così da avere la disposizione volontaria ad assumere<br />

il destino d’altri al posto del proprio (o come il proprio)» 109 . Dal momento,<br />

poi, che «la realtà del peccato non può venir mutata in irrealtà da un<br />

decreto esterno di Dio» 110 , va presupposto che in Cristo, dall’interno, «sia<br />

stato attraversato tutto l’abisso del no umano contro l’amore di Dio», fino all’assunzione<br />

vicaria del giudizio di questo su quello, fino all’esperienza del<br />

«peirasmos del rifiuto stesso senza tuttavia aver peccato (Ebr 4,15)» 111 . De-<br />

101 GL7, 189; cf. ID., Il cristiano e l’angoscia, Milano 1987, 63-64.<br />

102 Cf. GL7, 189-190; ID., Gesù e il perdono, Communio 77 (1984) 12-13.<br />

103 ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 29.<br />

104 TD3, 470.<br />

105 TD2, 117-118.<br />

106 Cf. MP, 111.<br />

107 «La passione di Cristo non è... un processo magico, attraverso il quale un Dio<br />

collerico, che esige giustizia, sarebbe trasformato nel suo sentimento e atteggiamento in<br />

un Dio di misericordia e grazia (come talvolta imposta la cosa una dottrina esteriorizzata<br />

della soddisfazione, fraintendendo Anselmo), “poiché Dio ha tanto amato il mondo da dare<br />

il suo Figlio unigenito” [Gv 3, 16]» (SI, 344). Cf. ID., Cattolico, op. cit., 42.<br />

108 SI, 349.<br />

109 SI, 348.<br />

110 ID., Gli stati di vita del cristiano, Milano 1984, 113.<br />

111 MP, 126.


376 Giuseppe della Malva<br />

ve accadere insomma che Dio in Cristo si faccia «in una sola persona “soggetto<br />

e oggetto” del giudizio» 112 . Come e dove tutto questo sia reso propriamente<br />

possibile lo dicono la passione e la croce di Gesù.<br />

Nella passione il Figlio può «condurre alla sua fine escatologica l’ira<br />

terribile, divinamente fondata, che attraversa tutto l’Antico Testamento» 113 e<br />

svuotare “il calice della vertigine” 114 in forza della sua «pronta disponibilità<br />

a bere il “calice” della collera [di Dio], cioè a lasciar sfogare interamente su<br />

di sé la furia di tutto il potere del peccato. Qui l’odio del peccato è superato<br />

dall’amorosa obbedienza; l’impazienza del peccato contro Dio è superata dalla<br />

pazienza del Figlio di Dio. Essa, per così dire, afferra dal basso il peccato<br />

e lo solleva dai cardini» 115 .<br />

Più precisamente - secondo quanto Paolo 116 e gli evangelisti 117 attestano<br />

concordi - è la «croce... soprattutto giudizio divino sul “peccato” (2Cor<br />

5,21)» 118 , del quale ormai è sancita l’ultima condanna 119 . Qui «ha luogo la<br />

krisis sul mondo nella sua totalità (Gv 12,31), come evento giudiziale assolutamente<br />

oggettivo» perché «viene svelato nella maniera più completa il peccato<br />

del mondo» 120 nella sua irriducibile incompatibilità con l’amore di Dio.<br />

Il giudizio della croce denuncia appunto questo: l’impossibilità di una sintesi<br />

tra il peccato, «definitivamente concentrato nel Figlio crocifisso» 121 e lì mas-<br />

112 MP, 111.<br />

113 MP, 129.<br />

114 Cf. TD4, 313-327.<br />

115 SI, 350. Il corsivo è nostro.<br />

116 Paolo «presuppone... il giudizio della croce, dove Dio, in quanto è l’uomo Cristo,<br />

prende su di sé tutto il peccato di “Adamo” (Rm 5,12-21) per “essere consegnato”<br />

(Rm 4,25) come concretizzazione “corporale del peccato e dell’inimicizia” (2Cor 5,21;<br />

Ef 2,14) al “giudizio di condanna da parte di Dio” (Rm 8,3) e, in quanto vita di Dio morta<br />

nell’abbandono da parte di Dio e seppellita, per essere risuscitata da Dio “per la nostra<br />

giustificazione” (Rm 4,25)» (MP, 112. Il corsivo è nostro).<br />

117 «Resta che gli evangelisti - in modi diversi ma convergenti - intendono la croce<br />

come giudizio. E precisamente come il giudizio escatologico. Non solo come ricostituzione<br />

della giustizia (salvifica) di Dio (dikaiosuvnh qeou~), ma come krisis» (GL7, 206).<br />

118 MP, 109.<br />

119 Cf. GL7, 206.<br />

120 MP, 113.<br />

121 TD5, 223.


Il dramma in Dio 377<br />

simamente svelato nella sua menzognera 122 e contraddittoria 123 essenza, e<br />

l’amore (adirato) di Dio che Gesù stesso incarna 124 .<br />

Ora, di questo giudizio l’«aspetto più importante sta qui nel fatto che il<br />

Giudice appare come il Crocifisso» 125 : il Figlio, «operando realmente la sostituzione<br />

vicaria, sperimenta su di sé il necessario e giusto giudizio di Dio sul<br />

male» 126 , la “distanza” mediante cui il primo respinge il secondo e l’angoscia<br />

dovuta a chi, per amore, si espone all’uno e all’altro insieme.<br />

2.1.3 L’angoscia vicaria<br />

Derivando principalmente dal fatto che dell’“ora” del “giudizio” 127 Gesù<br />

ha «voluto sperimentare per amore esclusivamente il suo carattere giudiziario<br />

rinunciando a tutto ciò che potesse consolarlo, confortarlo o addolcire il dolore,<br />

per essere nella kenosi puro spazio all’urto del peccato del mondo» 128 , l’angoscia<br />

del Redentore, di consistenza chiaramente non psicologica ma teologica 129 ,<br />

è espressione della serietà con cui egli viene caricato del peccato:<br />

«L’oscuramento avvenuto nella passione non è un regresso nella sua coscienza,<br />

ma l’ultimo e necessario passo verso il pieno adempimento della<br />

sua missione. Poiché se non si trattava di trascinare esteriormente un<br />

grave peso ma veramente di “portare i peccati”, allora bisognava espe-<br />

122 ID., Il Rosario, op. cit., 56: «nel corpo del Figlio... il peccato, che è sempre<br />

menzogna e apparenza, mostra il suo vero volto».<br />

123 TL2, 284: «la contraddizione non può venir dominata dallo stesso sofferente,<br />

non può essere portata a sintesi, non è una sola verità».<br />

124 ID., Il Rosario, op. cit., 71: «nel Crocifisso si trovano insieme: l’ira di Dio, che<br />

non vuole scendere a patti con il peccato, ma può solo ripudiarlo e bruciarlo, e l’amore di<br />

Dio, che comincia a rivelarsi proprio al posto di questa inesorabilità».<br />

125 ID., I giudizi divini nell’Apocalisse, Communio 79 (1985) 21.<br />

126 ID., Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 34.<br />

127 Va ribadito che questa “ora” coincide con «l’ingresso del peccato del mondo nell’esistenza<br />

personale, corporale-psichica del nostro rappresentante e mediatore» (MP, 94).<br />

128 GL7, 203.<br />

129 «L’ora piomba su Gesù che l’attende e lo getta a terra. Che Egli poi cada in<br />

un’angoscia mortale fino a sudare sangue, non è un fatto psicologico, ma teologico» (ID.,<br />

Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 35). L’autore ritiene che precisamente<br />

questo “livello dogmatico” superi il kierkegaardiano concetto di “angoscia” (cf. ID., Il<br />

cristiano e l’angoscia, op. cit., 56).


378 Giuseppe della Malva<br />

rimentare interiormente che cosa è il peccato veramente, cioè agli occhi<br />

di Dio: “perdita della gloria di Dio” (Rm 3,23), della possibilità di accedere<br />

a Lui con la fede, la speranza e la carità, quello stare davanti a<br />

Dio che la Scrittura descrive con l’espressione “stare davanti al giudizio<br />

dell’ira” (Rm 3,5 e altrove). L’esperienza di questo giudizio dell’ira<br />

ha in sé qualcosa di definitivo, eterno a causa del nascondimento della<br />

speranza e dell’amore» 130 .<br />

La speranza qui sottratta è quella della resurrezione, quella che, irresponsabilmente<br />

anticipata in un’ipotesi teologica alla passione 131 , vanificherebbe<br />

giocosamente 132 la stessa idea di sostituzione vicaria, dal momento che<br />

il «peccatore può sperare, il “peccato” no; ma Cristo, per amore nostro, Dio<br />

“lo trattò da peccato” (2Cor 5,21)» 133 . In forza di questa sostituzione, prendendo<br />

«il posto dell’uomo peccatore, e togliendo... la distinzione fra la colpa<br />

altrui e la propria innocenza» 134 , oltre ogni biblica separazione tra angoscia<br />

dei buoni e angoscia dei malvagi 135 , «oltre... ogni possibile pretesa particola-<br />

130 ID., Crucifixus etiam pro nobis, op. cit., 25; cf. TD2, 280. L’autore altrove precisa<br />

che non «si può tuttavia affermare che l’angoscia propria della croce arrivi a mettere<br />

in dubbio in qualche modo la fede, la speranza e la carità nella loro assolutezza, che disperi<br />

della loro efficacia, che divenga l’opposto di queste tre... Quantunque soggettivamente<br />

possa condurre molto vicino a questo limite, non lo oltrepassa mai. Poiché oggettivamente<br />

è essa stessa un modus della fede, dell’amore e della speranza, una fase del loro<br />

compimento, un processo vitale loro interno» (ID., Il cristiano e l’angoscia, op. cit., 51).<br />

131 TL2, 211: «l’idea di una “trascendentale speranza di resurrezione”, prima che<br />

venga esaurita la profondità della colpa del mondo portata sulla croce, sembra una irresponsabile<br />

anticipazione». Il riferimento polemico qui è ancora alla teologia di K. Rahner.<br />

132 In Gesù «la coscienza dell’inutilità delle sue fatiche (cfr. Mt 11,16s.)... non può<br />

essere vanificata dalla prospettiva di un happy end “al terzo giorno”» (TL2, 212; cf. MP,<br />

98-99).<br />

133 ID., Il Credo, op. cit., 44.<br />

134 TS, 52; cf. SC, 342.<br />

135 «Tutte le angosce dell’Antico e del Nuovo Testamento sono qui riassunte e superate<br />

all’infinito, poiché la persona che in questa natura umana si angoscia è lo stesso<br />

Dio infinito. Si tratta in primo luogo della sofferenza di colui che è infinitamente puro, infinitamente<br />

giusto (che è al contempo Dio), di fronte a tutto ciò che Dio detesta e che solo<br />

al Puro (che al contempo è Dio) appare in tutta la sua orripilanza, è in secondo luogo la<br />

sofferenza vicaria di questo puro per tutti gli impuri, vale a dire la sofferenza di quell’angoscia<br />

che di diritto ogni peccatore dovrebbe subire davanti al tribunale di Dio giudice»<br />

(ID., Il cristiano e l’angoscia, op. cit., 37. Il corsivo è nostro).


Il dramma in Dio 379<br />

re d’aver ragione», nella «sua attivissima disponibilità a prender le parti di<br />

ognuno secondo il volere del Padre» 136 , Gesù si rivela veramente «il servo di<br />

Dio sofferente in vece di altri» 137 :<br />

«L’angoscia» di Gesù «è un com-patire con i peccatori, tale che la perdita<br />

reale di Dio (poena damni) che li minaccia è stata assunta dall’amore<br />

di Dio fattosi uomo nella forma di un timor gehennalis: poiché i peccati<br />

del mondo vengono “caricati” su di lui, Gesù non distingue più se stesso<br />

o il proprio destino da quello dei peccatori... e sperimenta perciò l’angoscia<br />

e il terrore che essi avrebbero dovuto giustamente provare» 138 .<br />

Decisivo comunque «è che tutto questo venga “caricato” da Dio. Non<br />

soltanto l’elemento ostile a Dio contenuto nel carico diventa nausea assoluta<br />

in chi ama Dio ed è da lui nutrito (Mt 4,4; Gv 4,34), ma la stessa disponibilità<br />

di quest’elemento antidivino ad opera di Dio genera in lui l’angoscia assoluta»<br />

139 . L’ipotesi, qui legittima, che soggettivamente Cristo abbia potuto vivere<br />

la sua passione come “castigo”, benché oggettivamente non lo fosse affatto<br />

140 , mira solamente a spiegare l’insuperabilità del suo “dolore sostitutivo”<br />

141 e della sua estraniante angoscia vicaria:<br />

«L’incomprensibile combinazione tra peccato del mondo e volontà di<br />

Dio - peccato del mondo che si è condensato nell’assoluto sdegno di<br />

Dio, ira di Dio che ha preso corpo nel peccato del mondo e si è dimostrata<br />

perfettamente in questo giustificata - rende impossibile nella vittima<br />

ogni rapporto con Dio e con il mondo» 142 .<br />

136 ID., Cattolico, op. cit., 43-44.<br />

137 ID., Dove ha il suo nido la fedeltà?, Communio 26 (1976) 18.<br />

138 MP, 97.<br />

139 GL7, 191.<br />

140 «Vanno qui accuratamente evitate false conseguenze: non si potrà dire cioè che<br />

Cristo venga “punito” da Dio al posto del peccatore. E nemmeno che Egli si senta “dannato<br />

e maledetto” da Dio e mandato all’“inferno”; infatti quello che noi ci immaginiamo come<br />

condizione infernale sussiste in forza di un odio per Dio. Non avrebbe alcun senso attribuire<br />

al Crocifisso anche solo un qualsiasi risentimento nei confronti del Padre. E tuttavia la sofferenza<br />

prolungata e totale (Durchleiden) di ciò che spettava invece al peccatore; la separazione<br />

da Dio, forse la perfetta e definitiva separazione: questo è senz’altro possibile come<br />

esperienza del Figlio di Dio» (ID., Gesù ci conosce? Noi conosciamo Gesù?, op. cit., 37).<br />

141 Cf. TD4, 314.<br />

142 GL7, 191.


380 Giuseppe della Malva<br />

In sostanza, l’angoscia nella quale «il portatore dei peccati» sperimenta<br />

«tutto il suo fare e soffrire come l’assoluta insensatezza», come «pura inutilità»<br />

143 , deriva precisamente da questo suo duplice incompatibile legame: col<br />

peccato 144 e con la volontà di Dio 145 , alla quale comunque il Figlio, nello Spirito,<br />

anche ora obbedisce 146 , come ha sempre fatto:<br />

«La sorgente, di cui il Figlio vive eternamente, sembra inaridita e quindi<br />

tutto quello che il Figlio ha fatto per mandato del Padre perde il suo significato;<br />

è stato inutile. Non è affatto il suo fallimento terreno, alla fine<br />

della vita, che dà questa sensazione al Figlio, ma, molto più a fondo, il dover<br />

sopportare nel proprio intimo il contrasto inconciliabile tra il peccato,<br />

che egli ha in sé, e la volontà di salvezza del Padre amoroso. Come incarnazione<br />

del peccato, egli non può trovare alcun appoggio in Dio, si è<br />

identificato con quello che Dio respinge eternamente lontano da sé» 147 .<br />

Vincendo la massima tentazione - quella di non credere più all’amore di<br />

Dio 148 - l’angoscia per l’irragionevolezza dell’abbandono del Padre, dal Fi-<br />

143 TL2, 305.<br />

144 «Ricevendo come carico ciò che per Dio è l’assolutamente inutile, egli stesso<br />

diventa l’universalmente inutilizzabile (apodokimasqhvnai: essere dichiarato inutilizzabile:<br />

Mc 8,31; Lc 9,22. 17,25)» (GL7, 204. Il corsivo è nostro).<br />

145 «Poiché il Figlio non riceve più risposta dal Padre tutto gli deve apparire come<br />

puramente inutile, insensato, anche la sua assoluta obbedienza (“nelle tue mani... ”), con<br />

cui egli senza accorgersi di ciò che fa sostiene in sé la contraddizione del peccato e la supera<br />

scavalcandola da sotto» (TL2, 286).<br />

146 È ancora lo Spirito, nell’inversione trinitaria, che possibilita questa situazione<br />

che «rientrava essa pure nella deliberazione trinitaria... adesso il Figlio è completamente<br />

l’uomo carico di peccato e lo Spirito Santo gli presenta la volontà del Padre solo come<br />

l’opposizione manifesta tra ciò che è semplicemente imposto e ciò che è puramente intollerabile»<br />

(ID., Il Rosario, op. cit., 50).<br />

147 ID., Il Rosario, op. cit., 69-70. In corsivo abbiamo posto i termini dogmaticamente<br />

più problematici, oggetto di riflessione nella parte critica della tesi.<br />

148 «Nella tentazione del deserto, tutte le tentazioni del mondo - di una vita facile,<br />

attraente per l’uomo - si opponevano alla volontà del Padre e questi poteva vincere in lui,<br />

perché stava davanti all’anima sua come colui che è infinitamente più grande e degno di<br />

adorazione. Ma adesso la tentazione è un’altra. La scelta non è tra il Padre e il mondo, ma<br />

tra due immagini del Padre e cioè quella del Dio, conosciuto da sempre e prima dell’oscuramento<br />

interiore come onnipotente e infinitamente buono, che poteva seguire una strada


Il dramma in Dio 381<br />

glio sperimentata vicariamente e specularmente al «senza ragione del peccato<br />

umano» 149 , è dunque già spazio soteriologico:<br />

«Sulla croce, il Figlio abbandonato dal Padre ha espiato, in linea di principio,<br />

per tutti i peccati di tutti gli uomini e ha subito e sofferto fino in<br />

fondo, in rappresentanza vicaria, la derelizione di tutti i peccatori da<br />

parte di Dio. Il non voler comprendere l’amore di Dio, da parte degli uomini,<br />

è pienamente ripreso e assorbito entro l’incomprensione, da parte<br />

del Figlio, del perché il Padre lo abbia abbandonato» 150 .<br />

Ed è in questo abbandono, in cui vige l’“assoluta solitudine” 151 , che il<br />

nostro autore ritiene necessario spingere l’indagine teologica, onde portare ad<br />

emersione gli ultimi strati dell’azione vicaria compiuta dal Verbo fatto carne.<br />

(continua)<br />

GOD AND DRAMA<br />

A study of the theo-dramatic soteriology in Urs von Balthasar<br />

By Giuseppe della Malva<br />

Professor Giuseppe della Malva gives us a thorough presentation of the<br />

thinking of Balthasar regarding God’s assumption in Christ of the<br />

drama of man. The preceding article, containing a part of Walter<br />

Kasper’s Lectio Magistralis to the Chair of Gloria Crucis, serves to<br />

highlight the importance of this aspect for a truly Catholic<br />

understanding of the theology of the Cross. Furthermore, the thinking<br />

completamente diversa per giungere alla stessa meta, e questo Dio spietato della giustizia,<br />

come appare adesso al Figlio il Padre, visto e sperimentato attraverso il cuore dei peccatori.<br />

Il sole dell’amore è sparito dietro le nuvole e si avverte solo il brontolio del temporale<br />

divino» (ID., Il Rosario, op. cit., 49-50).<br />

149 TD4, 309.<br />

150 SI, 363. Paradossale incontro del peccato come “contraddizione” e del “giudizio”<br />

come condanna (del peccato), la tenebra della croce, «in quanto movimento di definitivo<br />

rigetto, viene vissuta dal sofferente in rappresentazione vicaria, e il suo “perché” detto<br />

a Dio può solo rimanere senza risposta» (TL2, 285).<br />

151 Cf. GL7, 191.


382 Giuseppe della Malva<br />

of Balthasar, ever more studied year after year (our Review has<br />

devoted a goodly number of articles to the same) is waiting to be fully<br />

shared within the Church. Studies such as the present one are certainly<br />

useful in this sense, as they re-express and re-propose the subject so as<br />

to make it a thinking which will circulate throughout the Church and<br />

nourish its life, just as Balthasar himself had wished, even perhaps with<br />

added enrichment.


La Metafisica del Dono<br />

nel pensiero di E. Lévinas<br />

di GIAMPAOLO MANCA 1<br />

Il pensiero di Lévinas attira l’attenzione di molti studiosi<br />

del nostro tempo. Anche la nostra rivista gli ha dedicato vari<br />

articoli. Il presente studio viene offerto da uno studioso di<br />

etica e teologia morale. È certamente importante che un moralista<br />

verifichi la valenza di una filosofia che si propone soprattutto<br />

come etica. In un prossimo articolo lo farà confrontando<br />

il pensiero di Lévinas con i problemi che si dibattono oggi sulla<br />

bioetica. In questo articolo l’autore espone magistralmente<br />

le basi del pensiero di Lévinas sulla donazione originaria e sulla<br />

metafisica del dono, titolo, questo, di una sua recente pubblicazione.<br />

Nella sua opera Metafisica del Dono, Giampaolo Manca, affronta, lungo<br />

tutto il pensiero del filosofo francese E. Lévinas (1905-1995), la riflessione<br />

sulla donazione dell’Altro e sulla risposta donante del soggetto (responsabilità<br />

etica). Nel presente articolo l’autore espone in maniera sintetica il pensiero<br />

sulla donazione originaria (donation originelle) presentata dal filosofo<br />

francese, che parlando della relazione con il Prossimo (Autrui, ovvero Altri)<br />

usa molto spesso il verbo donner (donare, dare). Di qui la possibilità di individuare<br />

nel pensiero levinassiano una vera e propria Metafisica del dono, che<br />

può costituire un contributo altamente efficace per il rinnovamento del dialogo<br />

tra filosofia e teologia e, soprattutto, per un “approfondimento ermeneutico”<br />

dei fondamenti etici della Teologia Morale.<br />

1 Dottore in Teologia Morale, laureato in Filosofia con specializzazione in Antropologia<br />

Filosofica, ha pubblicato recentemente l’opera Metafisica del dono, Chirico Editore,<br />

Napoli 2006.<br />

GIAMPAOLO MANCA SAPCR 21 (2006) 383-414<br />

383


384 Giampaolo Manca<br />

1. La soggettività relazionale nel pensiero di E. Lévinas<br />

Sappiamo ormai bene che E. Lévinas ha proposto una relazione del soggetto<br />

con l’Altro (il prossimo), di tipo assimetrico, per cui si realizza una situazione<br />

in cui il primo si spoglia (si denuda) della sua identità “originariamente”<br />

all’insegna dell’egoismo, ovvero del potere e della violenza, per volgersi alla<br />

responsabilità infinita (etica) grazie alla relazione etica con l’alterità dell’altro<br />

che mi sta di fronte. La denudazione non è una limitazione, ma la “rottura del<br />

sistema egoistico ed egocentrico”; rottura che fa cessare il movimento egoistico<br />

del Medesimo (soggetto violento), interrompendo il “per sé” (il conatus essendi),<br />

per farlo diventare per-Altri, o preferibilemnte dono-per-Altri.<br />

Di fronte ad Altri, l’Io conserva tutta la forza, ma ricevendo l’appello<br />

etico nella relazione sociale, si “vergogna” di questa sua tendenza all’egoismo<br />

e all’usurpazione, risvegliandosi così nella sua responsabilità 2 . Nell’irruzione<br />

del Volto d’Altri l’Io si scopre ingiustificato e sempre ingiustificabile<br />

nel suo egoismo, si sente colpevole; ma in forza dell’Alterità, si trasfigura come<br />

“vero soggetto” che è tale nella responsabilità e nell’ospitalità accogliente<br />

di Altri. Il soggetto mette in discussione il proprio potere, per imparare continuamente<br />

a saperlo deporre: «La mia libertà è così messa in causa da un<br />

Maestro che può investirla. Allora, la verità, esercizio sovrano della libertà,<br />

diventa possibile» (TI, 104 [105]).<br />

Essere responsabili significa essere buoni, poiché il soggetto non fa più<br />

calcoli, ma si pone oltre le “strategie violente” del potere, adottate per il conseguimento<br />

del proprio inter-ess-amento. Ora, nella responsabilità l’attenzione<br />

è centrata sull’Altro e sui suoi “bisogni” che causano indigenza e miseria.<br />

Nella responsabilità etica avviene il superamento dell’essere da parte dell’Infinito,<br />

ovvero la «rottura dell’inlacerabile essenza dell’essere» (DMT, 209<br />

[244]), e l’alterità si rivela come senso autentico dell’uomo, liberato dalla violenza<br />

del perseverare nel proprio essere; in questo modo il soggetto diventa<br />

“sempre più soggetto”, “sempre più uomo”, e, allo stesso tempo, l’Altro diventa<br />

“sempre più Altro”, “sempre più uomo”.<br />

2 Cfr. EDE, 244 [202].<br />

In questo riferimento bibliografico all’opera di Lévinas (Scoprire l’esistenza…), e nei<br />

seguenti riferimenti, abbiamo utilizzato una sigla che rimanda all’opera. L’elenco delle sigle<br />

(con relativa opera indicata nell’edizione francese e nell’edizione italiana da noi utilizzate) lo<br />

abbiamo posto alla fine del presente articolo. I due numeri dopo la sigla indicano il numero<br />

delle pagine; quello tra parentesi quadra si riferisce all’edizione in italiano da noi utilizzata.


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 385<br />

Nella relazione sociale si verifica un vero e proprio rovesciamento rispetto<br />

alla metafisica ontologica. Infatti, nell’ontologia l’io è preoccupato di<br />

sé e ciò che lo pone a disagio è la bontà – debolezza dell’uomo che non riesce<br />

nella piena affermazione di sé; nell’etica, invece, l’io si preoccupa dell’Altro<br />

in quanto Altri, che implora aiuto e la consapevolezza della mancanza di bontà<br />

diviene la sua vergogna (“pienezza d’essere”). L’Anteriorità della responsabilità<br />

rispetto alla libertà rappresenta la Bontà del Bene, elezione del soggetto<br />

da parte del Bene (Infinito) che si annuncia nell’Altro, prima di ogni mia<br />

scelta, perché il Bene elegge per primo. In tal modo l’Etica diventa la Filosofia<br />

Prima, la Meta-fisica, e l’ontologia assume una posizione secondaria in<br />

quanto riceve il senso dalla relazione etica (La Metafisica).<br />

Di qui l’affermazione “sconvolgente” del nostro filosofo: il piano etico<br />

“preesiste” 3 al piano ontologico, la responsabilità viene prima della libertà:<br />

«Essere responsabile nella bontà è essere responsabilità al di qua o al di<br />

fuori della libertà. L’etica si insinua in me prima della libertà. Prima della<br />

bipolarità del Bene e del Male, l’io si trova compromesso con il Bene<br />

nella passività del sopportare. L’io si è compromesso con il Bene prima<br />

di averlo scelto» (DMT, 206 [241]).<br />

L’affermazione levinassiana sulla “preesistenza dell’etica sull’ontologia”<br />

si pone certamente all’insegna della novità, per cui abbiamo «l’ etica come<br />

filosofia prima», poiché «l’etica è prima dell’ontologia», «essa è più ontologica<br />

dell’ontologia, più sublime dell’ontologia» (DVI, 143 [114]): l’etica<br />

coincide con la metafisica, metafisica dell’alterità, che noi chiamiamo anche<br />

metafisica del dono, in quanto Altri è donazione originaria, per cui Altri “investe”<br />

il soggetto del dinamismo del dono. Grazie alla preesistenza della dimensione<br />

etica, l’ontologia acquista il giusto senso, il senso del dono.<br />

Il soggetto presentato da Lévinas è posto oltre l’ontologia, esso non è<br />

detto (asserzione teoretica)¸ ma assoluto dire: si esprime, parla 4 . L’elezione o<br />

con-pro-missione con il Bene, che fa nascere la Bontà (responsabilità-per-altri),<br />

è l’altezza più grande, dinamismo vitale che porta all’Altro, che fonda l’identità<br />

del soggetto al di là di un ritorno su di sé; al di là della tendenza al dominio<br />

e all’egoismo che “uccide”. Elezione per l’esodo di un eccomi-per-gli-<br />

3 Cfr. TI, 220 [206].<br />

4 Cfr. AE, 35 [23].


386 Giampaolo Manca<br />

Altri come risposta e-norme 5 , fuori cioè dalla norma dell’essere. Il per-Altri<br />

diviene così un consegnarsi all’Altro, un essere soggetto nel senso di soggezione-ad-Altri,<br />

«sostituzione di ostaggio» (AE, 196 [155]).<br />

La responsabilità, come risposta originaria o preliminare rispetto alla libertà,<br />

cioè senza impegni assunti preliminarmente, «è la fraternità umana<br />

stessa anteriore alla libertà» (AE, 184 [145]). La passività del sop-portare indica<br />

la novità della risemantizzazione della categoria ontologica di sub-stantia;<br />

questa ora significa sopportare la gravità dell’Altro, perché il soggetto è<br />

sub-jectum all’Altro, al di là di una decisione personale. Di qui la conclusione<br />

che «La distinzione tra libero e non-libero non è l’ultima distinzione che<br />

distingue l’umano dal non-umano, e nemmeno il senso dal non-senso» (DMT,<br />

206 [241]). Di qui le affermazioni del filosofo, per il quale Altri investe e giustifica<br />

la mia libertà 6 . Tale investitura si riferisce all’autonomia relazionale<br />

della persona, la cui libertà non è violenza perché investita da Altri, che non<br />

viene totalizzato. L’investitura non annulla l’autonomia, ma ne è la giustificazione,<br />

per cui essa diviene piena di senso e di promesse. Riprendendo Cartesio,<br />

l’alterità è l’idea dell’Infinito, che emerge come evento dell’eteronomia-nell’autonomia,<br />

in una unità-asimmetrica e in una armonia-plurale: l’eteronomia<br />

giustifica la libertà rendendola responsabile di Altri di fronte ad un<br />

appello che io non ho deciso di sentire. La significazione della relazione con<br />

altri, relazione del faccia-a-faccia si ribella ad ogni intellettualismo ontologico,<br />

poiché chiama il soggetto-in-relazione a pensare una Trascendenza al di là<br />

dell’immanenza, ovvero l’eteronomia della responsabilità che “i greci” non<br />

ci hanno insegnato 7 .<br />

Altri, in quanto eteronomia, dona all’autonomia (alla libertà) senso e<br />

compito 8 . Il soggetto esce dalla sua solitudine per vivere il rapporto con Altri,<br />

dinanzi al quale si scopre come il potente, mentre Altri si rivela il debole; di qui<br />

la necessità che io gli offra il mio soccorso 9 . Nella scoperta della mia indegnità<br />

nasce la verità etica, che, innanzitutto, è accogliere la donazione di Altri, pre-<br />

5 Cfr. AE, 283 [228], c.n.<br />

6 Cfr. TI, 281 [257]. Si veda anche: TI, 83-89 [84-89] e 214-215 [202].<br />

7 Cfr. DVI, 48 [41]; qui, nella nota 19, il filosofo precisa: «A meno che essi non ce<br />

l’abbiano suggerito sia nel Démone di Socrate sia nell’entrata attraverso la porta, dell’intelletto<br />

agente in Aristotele».<br />

8 Cfr. EDE, 244-245 [202-203].<br />

9 Nella relazione sociale sono in rapporto anche con Dio, perché «Dio comanda solo<br />

attraverso gli uomini per i quali bisogna agire» (EDE, 246 [204]).


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 387<br />

stargli aiuto, rispettandolo nel suo “mistero”. La coscienza morale è, per Lévinas,<br />

l’accoglienza di Altri, e nasce, solo «quando la libertà, invece di autogiustificarsi,<br />

si sente arbitraria e violenta [cattiva coscienza ]» (TI, 83 [83]).<br />

La filosofia è considerata dal nostro filosofo «esposizione della mia libertà<br />

al giudizio dell’Altro» (EDE, 247 [204]) e in virtù di ciò, Altri è il criterio<br />

supremo da cui dipendono la giustizia e la verità. Di qui la conclusione<br />

che la filosofia, in quanto amore per la verità “sempre futura”, poiché sempre<br />

nuova nella relazione con Altri, si rivela come saggezza dell’amore (AE, 53,<br />

nota 1 [37, nota 5]).<br />

Una figura importante di cui Lévinas si serve per descrivere la soggettività<br />

è quella della prossimità (relazionale), intesa come la significazione<br />

stessa della soggettività convocata dall’Infinito. La prossimità relazionale<br />

non rientra nell’ordine del movimento della conoscenza, non è relativa ad un<br />

sapere a priori 10 . A partire dalla prossimità l’ordine ontologico assume «il<br />

proprio giusto senso» (AE, 33 [21]), proprio perché l’essere è compreso a partire<br />

dal terzo escluso 11 .<br />

Dal pensiero di Lévinas emerge chiaramente che la competenza del riconoscimento<br />

di Altri non è un atto esclusivo del soggetto, ma si tratta di una<br />

competenza propria della persona umana come partecipazione/comunicazione<br />

che avviene nella società con Altri: il soggetto relazionato con l’Altro è il<br />

luogo ermeneutico dell’agire etico (res-ponsabile) dell’uomo-per-l’uomo, nel<br />

cammino storico verso la piena realizzazione, verso il Vero Bene della persona<br />

e della comunità. Di qui il “principio di individuazione” del soggetto umano.<br />

Un nuovo principio al di là dell’ontologia, al di là dei principi ontologici<br />

(aristotelico-tomisti) di materia e forma: «La responsabilità è un’individuazione,<br />

un principio di individuazione. Riguardo al famoso problema “l’uomo<br />

è individuo per mezzo della materia o per mezzo della forma?”, io sostengo<br />

l’individuazione per mezzo della responsabilità per Altri» (EN, 118 [143]).<br />

Di fondamentale interesse per noi è l’affermazione che evidenzia come<br />

l’umano possa essere riconosciuto solo al di là dell’atteggiamento di potere,<br />

da intendersi, aggiungiamo noi, anche come potere di conoscere la dimensio-<br />

10 Cfr. AE, 102-103 [79].<br />

11 Cfr. AE, 30 [19].<br />

Per la metafisica ontologica classica «l’essere è, e il non essere non è», e tertium<br />

non datur. Nella proposta metafisica di Lévinas ritroviamo che questo “terzo”, veramente<br />

non datur nell’ontologia, “si dona” propriamente nell’etica, poiché è l’altrimenti che<br />

essere (Cfr. TI, 259 [238]).


388 Giampaolo Manca<br />

ne biologica a livelli sempre “più profondi”. Ecco l’affermazione di Lévinas:<br />

«L’umano si offre soltanto ad una relazione che non è un potere» (EN, 23<br />

[40]); e questo perché l’umanità si offre al di là dell’interpretazione dei dati<br />

puramente ontici, biologici, genetici, anche se non affatto trascurabili: l’umanità<br />

si dona come ascolto e parola 12 ! Lévinas parla anche di epifania di Altri,<br />

ma per vivere tale epifania e il relativo “ascolto del volto”, è necessaria una<br />

vista “altra”; o meglio, è necessario “l’occhio che ascolta”: «La luce si presenta<br />

[…] nella luce che non è tematica, ma risuona per l’“occhio che ascolta” di una<br />

risonanza unica nel suo genere, della risonanza del silenzio» (AE, 54 [38]) 13 .<br />

Essendo la dimensione etica relazionale-partecipativa, dobbiamo dire<br />

che Io “conosco me stesso ri-conoscendo l’Altro”. Si tratta dell’esperienza dell’incontro,<br />

come passaggio/esperienza 14 , esodo dal Même verso Autrui, un<br />

esodo ermeneutico all’insegna dell’ascolto che conduce “continuamente” a<br />

ciò che “dà senso”. Grazie all’incontro/relazione con l’Altro, il quale manifesta<br />

la sua alterità, traccia dell’Infinito, mi riconosco differente radicalmente da<br />

ogni altro uomo, cioè mi ri-conosco persona, irriducibile ad un concetto teoretico.<br />

C’è una solidarietà profonda tra me, gli altri e il creato: se c’è violenza<br />

sull’Altro, “morte” dell’Altro, nasce necessariamente la morte del proprio Sé.<br />

Dalla responsabilità nasce la giustizia all’insegna del dono. Una Giustizia non<br />

meramente distributiva (suum cuique tribuere), ma caratterizzata dall’uno-perl’Altro<br />

(justitia est secundum ad alterum). 15 . La giustizia consiste nell’anteporre<br />

gli obblighi verso l’Altro agli obblighi verso se stessi, nell’anteporre<br />

l’Altro allo Stesso 16 . È a partire dalla “metafisica del dono” che si acquisisce<br />

competenza nella capacità di “rispondere (re-sponsabilità) ai bisogni” dell’Altro;<br />

la vita vera dell’Altro è la mia vita; così nel cammino storico all’insegna<br />

del dono io divento sempre “più uomo”. L’essere-per-Altri (passività più passiva<br />

di ogni passività) permette, quindi, che si realizzi il sorgere del senso (produzione<br />

di senso) dell’umano, l’Uno-per-Altri, la bontà o carità 17 o «amore<br />

12 Cfr. EN, 22 [40].<br />

13 All’ “occhio che ascolta” si contrappone la visione “chiara e distinta” dell’interpretazione<br />

dei dati scientifici (occhio che vede!), ovvero il permanere nell’ambito dell’ontologia,<br />

che per Lévinas, da Aristotele in poi, l’ontologia è divenuta una scienza del<br />

tutto immanente.<br />

14 Cfr. DL, 253-281 [227-249].<br />

15 Cfr. G. PIANA, “Figure di un’etica della responsabilità”, Hermeneutica 2001. Domande<br />

di etica, Vago di Lovagno: Morcelliana, 2001, 125-151.<br />

16 Cfr. EDE, 237-238 [196].<br />

17 Cfr. EN, 221 [252-253].


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 389<br />

senza concupiscenza» (EN, 241 [273]). Scrive ancora Lévonas: «Nella relazione<br />

personale di me all’altro, l’“evento” etico, carità e misericordia, generosità<br />

e obbedienza, conduce al di là o innalza al di sopra dell’essere» (EN, 221<br />

[252], c.n.).<br />

Per Lévinas la parola responsabilità esprime quanto si vuole comunicare<br />

con i termini biblici ebraici h’essed e rah’amim (misericordia) 18 . In Umanesimo<br />

dell’altro uomo, quando parla di “misericordia”, Lévinas fa esplicito<br />

riferimento al termine ebraico “Rachamìm”: «Pensiamo al terminebiblico “Rachamìn”<br />

[Rachamìm] che si traduce misericordia, ma che contiene un riferimento<br />

alla parola “Rachèm” – utero: si tratta di una misericordia che è come una<br />

commozione di viscere materne» (HAH, 94, note 6 [145, nota 10]).<br />

L’Altrimenti che essere, il senso per l’ontologia, è l’eccomi, risposta alla<br />

parola del volto, suono udibile solo nella sua eco, “semplicità complessa”<br />

di un aver ricevuto (non si sa da dove!) l’ordine di cui non sono autore. È il<br />

rivelarsi dell’Infinito che si contrappone «all’apparire indiscreto e vittorioso<br />

del fenomeno» (EDE, 291 [242]); non si tratta di un trionfo dell’Infinito, ma<br />

di una epifania umile 19 .<br />

2. La donazione originaria “di” Altri nella relazione metafisica<br />

Lévinas valorizza evidentemente l’autonomia del soggetto dinanzi all’eteronomia<br />

di Altri, nella proposta di una rinnovata armonia (conciliazione)<br />

tra autonomia ed eteronomia: il soggetto nella relazione sociale è anch’esso<br />

La tradizione cattolica (si veda, per es., Tommaso d’Aquino) parla della carità come<br />

forma di tutte le virtù. In Lévinas l’amore a-Dio (l’Uno-per-l’Altro), che è anche amore<br />

da-Dio (volto d’Altri) o amore di-Dio (relazione etica), crea continuamente il rispetto<br />

per l’Altro, fino a morire-per-l’Altro. La responsabilità, l’Uno per l’Altro, è liberazione<br />

della libertà che diviene «amore che sa donare» (Cfr. T. LONGHITANO, Il dono che redime.<br />

Il legame tra l’antropologia filosofica e la teologia mistica, Dissertazione dottorale, Roma:<br />

2003, 29).<br />

18 Cfr. “Giustizia, amore e responsabilità. Un dialogo tra Emmanuel Lévinas e Paul<br />

Ricœur”, in E. LÉVINAS, G. MARCEL, P. RICŒUR, Il pensiero dell’altro, Roma: Edizioni Lavoro,<br />

1999, 79.<br />

19 Lévinas riprende la verità umile-incarnata del Dio di Kierkegaard (Cfr. NP, 99-<br />

115 [81-93]). Si veda anche: G. MODICA, Lévinas interprete di Kiergegaard, in AA.VV.,<br />

La persona e i nomi dell’essere. Scritti in onore di Virgilio Melchiorre, vol. II, Milano: Vita<br />

e Pensiero, 2002, 1157-1176, ivi 1164.


390 Giampaolo Manca<br />

inizio e tramite dell’autonomia (autonomia relazionale), ispirato da Altri (eteronomia).<br />

Quest’aspetto esprime un aspetto interessante di Altri che si dona<br />

al soggetto. Così scrive il filosofo:<br />

«Possibilità di trovare, anacronisticamente [fuori dal tempo sincronico<br />

della teoretica, fuori dalla presenza] l’ordine nell’obbedienza stessa e di<br />

ricevere l’ordine a partire da se stesso – questo capovolgimento dell’eteronomia<br />

in autonomia è la modalità in cui l’infinito avviene, modalità<br />

che la metafora dell’iscrizione della legge nella coscienza esprime in<br />

modo rimarchevole, conciliante (in un’ambivalenza la cui diacronia è la<br />

significazione stessa e che, nel presente, è ambiguità) l’autonomia e l’eteronomia»<br />

(AE, 232 [186], c.n.).<br />

L’obbedienza è la modalità del risveglio del soggetto nel suo vivere perl’Altro,<br />

che è già nel-medesimo, ovvero già donato al soggetto, per cui Altri<br />

batte nel cuore del medesimo 20 . Ovviamente “non è un altro medesimo”,<br />

“l’Altro non è un altro Stesso” 21 ; anche in questa dimensione formale, l’Altro<br />

è scandalo che inscrive un’inquietudine 22 , per cui il soggetto è risvegliato<br />

dall’Altro come se questi bussasse alle sue pareti: «L’Altro nel Medesimo<br />

è la mia sostituzione all’altro secondo la responsabilità, per la quale, insostituibile,<br />

sono convocato» (AE, 181 [143]).<br />

Il verbo “battere”, riprende il verbo ebraico pa’am, che significa agitare,<br />

urtare, e anche il battere del cuore (battito cardiaco). Da pa’am deriva il sostantivo<br />

pa’om, ossia battito, pulsazione; e da pa’am deriva anche il sostantivo<br />

pa’amon, ossia colpo della campana 23 . Di qui le considerazioni filosofiche<br />

che l’Altro “risuona” nel soggetto come “battito del cuore e nel cuore”.<br />

È interessante rilevare che il cuore nella cultura semitica indica la sede<br />

delle decisioni, pertanto la sede dell’opzione fondamentale per-Dio e per-Altri.<br />

Si potrebbe anche dire che l’Alterità-nel-Medesimo si configura come opzione<br />

antropologica consegnata nella relazione sociale dall’Uno-all’Altro, op-<br />

20 «Battito dell’Altro nello stesso, il quale, precisamente, agita il riposo. (Ricordo<br />

che in ebraico il colpo e [il battito del] campana hanno la stessa etimologia: il verbo agitare!)»<br />

(DMT, 159 [192]).<br />

21 Cfr. DVI, 130 [104] e DMT, 132 [166].<br />

22 Cfr. DMT, 148 [181].<br />

23 Per l’etimologia ebraica del verbo battere ci siamo riferiti ad una nota J. Rolland<br />

presente in DMT, 159, nota 1 [192, nota 32].


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 391<br />

zione che è dimensione integrante del “contenuto” della stessa soggettività.<br />

La scelta fondamentale risuona nel cuore della soggettività etica (relazionale),<br />

nell’interiorità più profonda dell’uomo; opzione antropologica che inquieta<br />

continuamente il soggetto, senza concedergli sosta per il riposo.<br />

L’idea dell’Infinito si trova nel soggetto, come dimensione relazionale/sociale,<br />

che genera una pre-comprensione antropologica all’insegna dell’accoglienza<br />

(del dono) e della responsabilità o contro-dono, è ospitalità 24 ,<br />

soggettività fondata nell’alterità 25 .<br />

Rileviamo che l’espressione “contro-dono” non deve essere equivocato,<br />

in quanto per noi indica la risposta (re-sponsabilità) che, in quanto personale,<br />

pertanto sempre segnata dall’alterità, è sempre “al di là”, e sempre sovrabbondante,<br />

e-norme, a-simmetrica. Questo è il senso che diamo alla parola<br />

contro nell’espressione contro-dono, in sintonia col pensiero levinassiano.<br />

Nella luce dell’alterità anche le cose assumono un nuovo significato: esse<br />

non si situano più nella prospettiva dell’uso, poiché «un Altro è associato alla<br />

mia relazione con esse. Designando una cosa la designo ad Altri» (TI, 230<br />

[214]). Le cose vengono così situate nella prospettiva d’Altri; anch’esse divengono<br />

dono-per-l’Altro. È l’Alterità a far sì che le cose siano offribili: staccate<br />

dall’egoismo dell’uso, partecipano anch’esse della mia libertà investita!<br />

La responsabilità non è propriamente la decisione di una scelta libera<br />

(incondizionata), altrimenti si resterebbe ancora nel primato del Soggetto<br />

chiuso nell’autonomia, ma è la vera possibilità di affermazione e realizzazione<br />

del soggetto relazionato; la responsabilità viene da un “al di là” della mia<br />

libertà, da un “passato immemorabile”, vera dia-cronia o an-archia. La “responsabilità<br />

infinita” (etica), non è altro che l’anteriorità della “Bontà del Bene”,<br />

ossia il «il Bene prima dell’essere […] che assegna il soggetto […] all’approssimarsi<br />

all’altro, all’approssimarsi al prossimo» (AE, 195 [154-155]).<br />

È qui che comincia il Sé, non nell’auto-posizione sovrana di una libertà illimitata.<br />

Esso comincia nel fatto che «nessuno può sostituirsi a me che mi sostituisco<br />

a tutti […] L’io della responsabilità è io e non un altro» (AE, 200-<br />

201 [159]).<br />

Il soggetto è posto in quanto è deposto, in quanto svuotato dei suoi poteri<br />

violenti, che tendono a ridurre tutto ciò che limita la sua libertà. Per il filosofo<br />

tale svuotamento coincide con la bontà:<br />

24 «Possedere l’idea dell’infinito significa aver già accolto Altri» (TI, 94 [92]). Si<br />

veda anche: TI, 12 [25].<br />

25 Cfr. TI, 11 [24].


392 Giampaolo Manca<br />

«Io responsabile non finisco più di svuotarmi di me stesso. Incremento<br />

Infinito nel suo esaurimento in cui il soggetto non è semplicemente una<br />

presa di coscienza di questo dispendio, ma ne è il luogo e l’avvenimento<br />

e, se così si può dire, la bontà» (DVI, 120 [97], c.n.) 26 .<br />

26 Scrive ancora Lévinas: «La relazione con Altri mi mette in questione, mi svuota<br />

di me stesso e lo fa incessantemente, permettendomi di scoprire così sempre nuove risorse»<br />

(EDE, 269-270 [222], c.n.). Si veda anche: TI, 274 [250].<br />

Pensando al termine svuotamento, non può non venirci alla mente la kénosis<br />

(ksˇnwsij) di cui parla s. Paolo in Fil 2,7. La parola Kénosis ha interessato enormemente<br />

Lévinas, che dichiara di accettare assolutamente, procurandogli spesso delle obiezioni negli<br />

ambienti ebraici (Cfr. TRI, 56 [49]). Lévinas ha dedicato un articolo alla kénosis dal titolo<br />

“Judaïsme et Kénose” (1985), che ora si trova in HN, 133-151 [131-149]. Si veda anche:<br />

lo studio di M. FAESSLER, Humilité du signe et Kénose de Dieu, in J. GREISCH, J. ROL-<br />

LAND (ed.), Emmanuel Lévinas. L’éthique comme philosophie première, Paris: Les Éditions<br />

du Cerf, 1993, 239-257.<br />

Per la comprensione della nozione di kénosis nel nostro pensatore, ci sembra molto<br />

importante il seguente testo: «L’essere è attraverso l’etica. L’uomo, dunque, risponde<br />

dell’universo. Egli fa e disfa i mondi [= l’oggettività di essere Altri], li innalza e li abbassa.<br />

Il regno di Dio dipende da me. Dio ha subordinato la sua efficacia – la sua associazione<br />

al reale e la presenza stessa del reale – al mio merito e demerito; ma proprio questo<br />

Dio regna attraverso la mediazione di un ordine etico, laddove un essere risponde di un<br />

altro. Il mondo è non perché persevera nell’essere, non perché essere sarebbe la sua propria<br />

ragion d’essere, ma perché, attraverso l’operare dell’uomo può essere giustificato nel<br />

proprio essere. L’umano è la possibilità di essere-per-l’altro. È la giustificazione di ogni<br />

esistere […] Più importante dell’onnipotenza di Dio è la subordinazione di tale potenza<br />

al consenso etico dell’uomo. Ed è qui uno dei significati primari della Kenosi» (HN, 145<br />

[143], ultimo c.n.).<br />

Anche l’uso della parola umiltà esprime l’accoglienza da parte di Lévinas del significato<br />

della parola Kénosis (Cfr. TRI, 57 [49]). La parola “umiltà” (humilité) è usata da<br />

Lévinas per tradurre il termine ebraico ‘anawah, che caratterizza Mosé in Numeri, 12, 3<br />

(Cfr. TRI, 57 [49]). La Kénosis, come l’annuncia l’ebraismo (cfr. Salmo 91,15), è – dice<br />

Lévinas – «l’umiltà di Dio nella sua associazione alla miseria dei miserabili!» (TRI, 59<br />

[51], c.n.).<br />

Lévinas parla dell’umiltà di Dio (ksˇnwsij) nel contesto di un discorso sulla preghiera.<br />

Riportiamo l’intero paragrafo per una adeguata comprensione del nozione: «La vera<br />

preghiera non potrebbe mai essere preghiera per sé. Si prega in verità sempre per gli altri<br />

o per Israele, le cui sofferenze nella persecuzione significano attacco alla gloria di Dio<br />

manifestata nella Rivelazione e nelle sofferenze di Israele. Ma ecco la cosa più sorprendente:<br />

l’uomo pieno di sconforto, straziato dal dolore, può pregare per sé. Ma la sofferenza<br />

del particolare è sempre sofferenza di Dio che, secondo il Salmo 91,15, “è con lui nello<br />

sconforto”. Il senso della vera preghiera per sé è una preghiera per un Dio che soffre;


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 393<br />

La libertà è trasformata in responsabilità-per-l’Altro, fino alla sostituzione,<br />

figura questa che esprime il senso ultimo della responsabilità 27 , nel suo<br />

divenire eccomi-per-Altri, rispondente di tutto e di tutti. La sostituzione non<br />

consiste nel mettersi al posto dell’altro uomo, per vivere i suoi sentimenti, per<br />

cui l’uno diventa l’altro, ma è portare conforto ad Altri¸ segnato dalla debolezza<br />

e dalla essenziale finitezza; questo comporta il sacrificio del proprio inter-essa-mento,<br />

per sopportare il peso della sofferenza dell’Altro nella responsabilità<br />

28 .<br />

Ciò che caratterizza ancora la relazione etica, la responsabilità, è l’offerta<br />

del mondo ad Altri 29 , della «diaconia che costituisce la soggettività del<br />

soggetto, tutta intera tensione verso l’altro» (NP, 113 [92]), in una sola parola,<br />

donare e questo poiché<br />

«Il donare è in qualche modo il movimento originale della vita spirituale<br />

[…] La vita spirituale è essenzialmente vita morale e il suo luogo prediletto<br />

è l'economico […] l'Altro è sempre il povero, la povertà lo definisce<br />

in quanto altro, e la relazione con l'altro resterà sempre offerta e dono,<br />

mai avvicinamento “a mani vuote”» (DL, 93-94 [87], secondo c.n.).<br />

ecco il versetto sulla kenosi, come l’annuncia l’ebraismo: l’umiltà di Dio nella sua associazione<br />

alla miseria dei miserabili! E si possono, forse, invertire i termini di questa teologia<br />

della sofferenza e intendere Dio a partire dalla sofferenza che, nella mia sofferenza,<br />

arriva a Lui. Si può dire che Colui che soffre nella mia sofferenza – anche se è quella che<br />

io stesso ho meritato a causa del mio peccato – è Dio […] Le preghiere degli uomini che<br />

soffrono devono alleviare questa tortura o questa “<strong>Passio</strong>ne” di Dio. È questa la kenosi?<br />

Penso che, in ogni caso, sia qualcosa che le si avvicina! La mia formulazione “Dio che<br />

viene all’idea” esprime la vita di Dio. Discesa di Dio! Esprimendoci in tedesco va ancor<br />

meglio: wenn Gott fällt uns ein (“quando Dio ci viene alla mente”). Questo si ricollega a<br />

quel che dicevamo un momento fa sulla prossimità. È probabilmente per questo che il Vaticano<br />

II invita ebrei e cristiani a informarsi reciprocamente sulle loro dottrine. Come se<br />

da questa conversazione dovessimo aspettarci frutti più cospicui di quelli che potrebbe riservarci<br />

la lotta degli uni per la conversione degli altri!» (TRI, 58-60 [50-52]). Si veda anche:<br />

HN, 149-150 [147-148].<br />

27 Cfr. DVI, 129-130 [104]; EN, 65 [86]; TRI, 57 [49].<br />

28 «Sostituirsi è portare conforto associandosi a questa debolezza ed essenziale finitezza<br />

d’altri, sopportarne il peso sacrificando il proprio inter-essamento e la propria<br />

compiacenza-a-essere, che si trasformano in responsabilità per altri». (E. LÉVINAS, “Responsabilità<br />

e sostituzione. Dialogo con Emmanuel Lévinas”, in A. PONZIO, Responsabilità<br />

e alterità in Emmanuel Lévinas, Milano: Jaca Book, 1994, 161).<br />

29 Cfr. TI, 189 [177].


394 Giampaolo Manca<br />

La risposta del donare, per cui la metafisica levinassiana è a buon diritto<br />

metafisica del dono, si pone di fronte ad una donazione originaria, che è<br />

quello di Altri; pertanto, a questo punto, possiamo dire che la responsabilità<br />

si configura come contro-dono. Il dono è far circolare un bene verso l’Altro<br />

con gratuità, ovvero senza garanzia di restituzione, di contropartita, al di là,<br />

pertanto, della razionalità del per-sé 30 . Si dona all’Altro perchè l’Altro sia libero<br />

di donare, escludendo un obbligo della restituzione, evidenziando che<br />

non c’è mai garanzia che l’Altro doni se stesso – si potrebbe pensare al dittatore,<br />

al carnefice, al tiranno: «la restituzione non è assicurata, e il dono dunque<br />

è a rischio, se si dà per ricevere […] Anche la restituzione è un dono» 31 .<br />

Il rivelarsi di Altri non è né abbandono, né perdita. Altri non si sottrae,<br />

ma neppure “dà” la sua interiorità perché sia totalizzata, con-tenuta, com-presa.<br />

La relazione sociale con Altri consiste nel “non-dare” l’alterità, poiché dona<br />

la sua alterità. Cioè, Altri “non-dà” la sua alterità perché venga com-presa,<br />

ma si dona come totalmente Altro, non tematizzabile: Altri dona il suo<br />

non-darsi (es gibt), per questo altri dona veramente se stesso 32 . L’incontro<br />

con l’Altro è così interpretato dal filosofo come donazione, o meglio come<br />

donation originelle: «La trascendenza non è una visione d’Altri ma una donazione<br />

originaria» (TI, 189 [177], c. n ).<br />

Altri si dona al soggetto, e quest’ultimo contro-dona ad Altri: donazione<br />

asimmetrica in piena gratuità: gratuità integrale» (AE, 17 [9]), gratuità dell’amore,<br />

verità che libera l’uomo, «gratuità etica: senza reciprocità» (VI, 44).<br />

L’uno-per-l’Altro, esposizione ad Altri, ha il senso del «“prendersi cura del bisogno<br />

dell’altro”, delle sue infelicità e delle sue colpe, cioè come donare»<br />

(AE, 119 [92]). Il volto d’Altri (la Trascendenza della persona), va riconosciuto<br />

da una “voce”, piuttosto che nel contesto di una visione sensibile: il<br />

volto è parola, ovvero una voce che è appello, invocazione di vita.<br />

Fondamentali, per l’ermeneutica dell’alterità della persona umana, sono<br />

le affermazioni del filosofo concernenti il ri-conoscimento dello sguardo esigente<br />

e supplicante dell’Altro, che chiede di donare al Maestro. Così scrive<br />

Lévinas:<br />

30 Cfr. J.T. GODBOUT, Lo spirito del dono, cit., 307.<br />

31 J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Torino: Bollati Boringhieri, 1998, 79-80.<br />

32 Nei testi levinassiani per esprimere il dono l’autore usa il verbo donner, che in<br />

italiano può tradursi in “dare” o “donare”. La realtà del dono di Altri è espressa anche mediante<br />

un altro verbo importante, se présenter (“presentarsi”), che, alla luce del pensiero<br />

levinassiano, è possibile interpretare sempre nel senso del donarsi.


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 395<br />

«Questo sguardo che supplica ed esige […] si riconosce donando (proprio<br />

come si “mettono in questione le cose donando”) – questo sguardo<br />

è appunto l’epifania del volto come volto. La nudità del volto è indigenza.<br />

Riconoscere significa riconoscere una fame. Riconoscere Altri<br />

significa donare. Ma significa donare al maestro, al signore, a chi si avvicina<br />

come “voi” in una dimensione di maestosità» (TI, 73 [73], c.n.).<br />

Il soggetto nella relazione sociale, è ricondotto alla sua realtà ultima, si<br />

risveglia alla profondità del suo essere uomo come possibilità vera di donoad-Altri:<br />

«Riconoscere altri significa […] instaurare, con il dono, la comunità<br />

e l’universalità» (TI, 74 [74], c.n.). Riconoscere per offrire il proprio essere,<br />

nel senso del servizio: «Io sono per l’altro in una relazione di diaconia: sono<br />

al servizio dell’altro» (DMT, 188 [223]). In altre parole, la responsabilità<br />

si esprime concretamente nella bontà 33 , l’eccomi del servizio, che costituisce<br />

la meraviglia del donare: essere buoni significa donare 34 .<br />

Il corpo è la possibilità stessa del donare 35 , «perché la soggettività è<br />

sensibilità […] e la materia è il luogo stesso del per l’altro» (AE, 124 [96]).<br />

La soggettività incarnata (di carne e di sangue nella materia, esposizione all’Altro)<br />

è donatrice di ogni senso perché donazione originaria, perché Unoper-l’Altro<br />

36 ; relazione a senso unico, perché non ritorna al punto di partenza.<br />

L’uno-per-l’Altro è andare incontro all’Altro senza preoccuparsi del suo<br />

movimento verso di me, perché io compio sempre un passo in più verso di lui,<br />

una risposta sempre in più attraverso la responsabilità 37 . La risposta di Altri<br />

non la conosco e non mi interessa: se si donasse per ricevere, il dono sarebbe<br />

a rischio! Non sono sicuro della risposta dell’Altro, perché c’è assenza di obbligo,<br />

ovvero assenza di contratto, di costrizione e ciò comporta la non-garanzia<br />

della risposta: «La libertà e la non garanzia sono le due facce dello stes-<br />

33 Cfr. TI, 200 [187]. «Il concetto d’Altri non ha certo alcun nuovo contenuto rispetto<br />

al concetto di io; ma l’essere-per-altri non è un rapporto tra concetti la cui comprensione<br />

coinciderebbe, né la concezione di un concetto da parte di un io, ma la mia bontà.<br />

Il fatto che, esistendo per altri, esisto diversamente che non esistendo per me, costituisce<br />

proprio la moralità» (TI, 292-293 [268]).<br />

34 Cfr. NP, 50 [48]. Scrive B. Johnstone: «To be good is to give» (B. JOHNSTONE,<br />

“The Gift: Derrida, Marion and Moral Theology”, Studia Moralia, 42(2004)411-432, ivi<br />

432). 35 Cfr. AE, 111 [86], c.n. Si veda anche: AE, 127, 173 [99, 137].<br />

36 Cfr. AE, 126 [98].<br />

37 Cfr. AE, 134 [105].


396 Giampaolo Manca<br />

so fenomeno» 38 . Il donatore dona non perché utilitaristicamente riceva lui<br />

personalmente, ma perché scopre che il donatario (Altri) è già dono-per-ilsoggetto.<br />

Se Altri non è accolto come dono “che chiama al dono”, si genera<br />

la violenza.<br />

La donazione autentica deve esser un donare fino in fondo, cioè capacità<br />

di strapparsi il pane dalla propria bocca 39 :<br />

«Passività dell’essere per l’altro che è possibile solo nella forma della<br />

donazione del pane stesso che io mangio. Ma per questo bisogna preliminarmente<br />

godere del proprio pane, non tanto per avere il merito di<br />

darlo, ma per dare il proprio cuore – darsi donando» (AE, 116 [90]).<br />

Il dono, poiché è uno «strappare da sé», è «un offrirsi che è sofferenza»<br />

o «la sofferenza nell’offrirsi» (AE, 92 [69]), un soffrire malgrado sé: l’Unoper-l’Altro<br />

attraverso il dolore 40 , in una relazione di prossimità/sostituzione.<br />

Pertanto, la responsabilità infinità è «donare-fino-alla-fine», è «gravità dell’amore<br />

del prossimo», fino al «dono ultimo di morire per Altri» (DVI, 247<br />

[190]). Il dono della vita è il segno vivo della capacità dell’uomo di uscire dal<br />

proprio inter-ess-amento, mettendo in questione l’egoistica persistenza nel<br />

proprio essere: «il superamento nell’umano dello sforzo animale della vita,<br />

puramente vita – del conatus essendi della vita» (EN, 213 [242]).<br />

“Dare il superfluo” 41 non è donare, perché la responsabilità che si esprime<br />

nella forma della donazione significa «l’essere-strappato-da-sé-per-un-al-<br />

38 J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, Torino: Bollati Boringhieri, 80. Si veda<br />

anche: Ibid., 21.<br />

Scrive ancora Godbout: «Non c’è mai garanzia di restituzione. È questa una prima<br />

caratteristica fondamentale che distingue il dono dagli altri sistemi sociali. Che cosa implica<br />

questa assenza di garanzia che viene dalla libertà del donatore e di chi riceve? Ciò<br />

presuppone una grande fiducia negli altri. Il dono è il sistema di circolazione delle cose<br />

che richiede la maggior fiducia negli altri. Infatti esso presuppone che, anche se si fa il gesto<br />

del dono al fine di ricevere, gli altri, anch’essi liberi, lo faranno volontariamente, senza<br />

alcun obbligo. Dunque, anche so lo si fa per ricevere, c’è già una differenza importante<br />

tra un sistema di dono e un altro sistema. È la fiducia negli altri che, sola, assicura la<br />

restituzione» (J.T. GODBOUT, Il linguaggio del dono, cit., 22).<br />

39 «Dare fino in fondo è infatti dare il pane strappato dalla propria bocca» (DMT,<br />

221 [256]).<br />

40 Cfr. AE, 119 [92].<br />

41 «Il dare offre non la super-flussione del superfluo, ma il pane-strappato-dallapropria-bocca»<br />

(AE, 123-124 [96]).


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 397<br />

tro-nel-dare-all’altro-il-pane-della-propria-bocca, o il poter-dare-la-propriaanima-per-un-altro»<br />

(AE, 126 [98]).<br />

Nei lavori successivi a Totalité et Infini, il filosofo individua il percorso<br />

per ritrovare l’alterità nel cuore stesso del soggetto; per un passaggio dall’eteronomia<br />

all’autonomia relazionale. L’alterità viene dalla diacronia dell’eccomi,<br />

come Altro-nel-medesimo, cioè viene dalla passività dell’Uno-per-l’Altro:<br />

«La passività è il luogo – o più precisamente il non-luogo – del Bene, il<br />

suo far eccezione alla regola dell’essere, sempre scoperto nel logos, il<br />

suo eccettuarsi dal presente […] L’invisibile della Bibbia è l’idea del<br />

Bene al di là dell’essere. Essere obbligato alla responsabilità, questo<br />

non è incominciato mai» (HAH, 78 [121]).<br />

In questo modo, l’Altro è nel Medesimo, e quest’ultimo – senza assimilare<br />

l’Altro – vive l’inquietudine, l’evasione dall’essere totalizzante, vive il<br />

Desiderio di Altri, per poi ritornare all’Essere e donargli il senso della donazione<br />

originaria.<br />

La donazione originaria di Altri è un “attacco non-violento” portato<br />

«alla vita che vive o gode della vita» (AE, 119 [93]), perchè Altri sconvolge<br />

il godimento; il soggetto prende consapevolezza della propria interiorità egoistica<br />

ed egocentrica, vive l’esperienza di poter «interrompere il per sé» (AE,<br />

94 [71]), al fine di «nutrire la fame dell’altro del proprio digiuno» (AE, 94<br />

[71], c.n.). Il dono del soggetto è offrirsi ad Altri¸ come risposta alla stessa<br />

“logica sovrabbondante” 42 del dono di Altri. Anche il corpo del soggetto è<br />

concretamente offerto ad Altri in una relazione caratterizzata dall’imperativo<br />

del servizio; l’Uno deve donare ad Altri 43 .<br />

42 P. Ricœur definisce il dono “logica della sovrabbondanza” o “retorica dell’eccesso”.<br />

Così scrive il filosofo: «È possibile ora introdurre la logica del dono. Abbiamo opposto,<br />

fin dalle prime parole di questa esposizione, la logica della sovrabbondanza alla logica<br />

dell’equivalenza, che, diremo più avanti, è quella degli scambi e delle distribuzioni<br />

giuste. Logica di sovrabbondanza vuol dire: dare più di quel che è dovuto, più di quel che<br />

è atteso, rivendicato, giustamente preteso. Dare senza esigere un ritorno. A questa dissimmetria<br />

tra dare e ricevere si oppone l’equilibrio dello scambio» (P. RICŒUR, “Giustizia e<br />

amore: l’economia del dono”, in D. JERVOLINO, Ricœur. L’amore difficile, Roma: Edizioni<br />

Studium, 1995, 135-153, ivi 139). Si veda anche: P. RICŒUR, Amore e giustizia, Brescia:<br />

Morcelliana, 2000, 35-45.<br />

43 Scrive Lévinas: «Il paradosso di questa responsabilità è dato dal fatto che io mi<br />

trovo obbligato senza che questo obbligo abbia avuto origine in me» AE, 28 [17]). E ancora:<br />

«Obbedienza stra-ordinaria – servizio senza servitù – alla dirittura del viso dell’al-


398 Giampaolo Manca<br />

L’io relazionato significa l’astriction 44 al donare, a piene mani, alla corporeità<br />

45 . Nella relazione sociale, infatti, nasce un vero e proprio “vincolo<br />

morale” (astriction) vissuto nella concretezza vitale della donazione. La soggettività<br />

è tale per il vincolo dell’essere offerto ad Altri, una “obbligazione<br />

etica” 46 che scaturisce dall’essere presi prima da Altri, che dopo aver compreso<br />

Altri. Certo, il soggetto può sottrarsi alla responsabilità originale, perché<br />

è libero, e può esserlo in modo assoluto (autonomia assoluta), con la “caduta”<br />

nella soggettività violenta, incapace di donare. L’obbligazione etica<br />

della donazione significa «essere-stato-offerto-senza-ritegno» (AE, 120 [93]),<br />

prima, cioè, dei limiti trovati con la razionalità teoretica/speculativa.<br />

Il per-Altri “della” 47 donazione esprime la dimensione dell’al di là dell’ontologia<br />

e pertanto anche la dimensione della fede; perché, donare, al di là<br />

delle certezze razionali, esprime la fede in una promessa di bene di cui è portatrice<br />

la relazione sociale, che dice l’umano dell’uomo, in quanto Altri è dono-per-me<br />

che mi fa uscire dal per sé, dall’autonomia assoluta e dalle mie certezze<br />

totalizzanti.<br />

La relazione etica, fondata sulla fede del faccia-a-faccia, costituisce l’originario<br />

“spossessamento” della realtà biologica pura e semplice, «la messa<br />

in comune originaria», «una prima donazione» (TI, 189 [177]), l’offerta di me<br />

stesso e del mondo ad Altri, perché Altri sia e sia veramente. Di qui la meravigliosa<br />

scoperta che «la trascendenza non è una visione d’Altri ma una donazione<br />

originaria» (TI, 189 [177]).<br />

L’incontro con Altri “si produce” fondamentalmente come accoglienza<br />

e come offerta del mondo nel linguaggio. Scrive Lévinas: «La “visione” del<br />

volto non si separa da questa offerta costituita dal linguaggio. Vedere il volto<br />

significa parlare del mondo. La trascendenza non è un’ottica ma il primo gesto<br />

etico» (TI, 189 [177]). Pertanto, il linguaggio, esprime la donazione ori-<br />

tro uomo, il cui imperativo irrecusabile non deriva dalla minaccia e la cui autorità incomparabile<br />

comanda attraverso una sofferenza e si dice precisamente parola di Dio. È qui che<br />

probabilmente Dio viene all’idea! Risposta da mantenere in questa obbligazione. Essa non<br />

è mai esaustiva e non annulla mai la responsabilità» (TRI, 62 [53-54]).<br />

44 Astriction deriva dal verbo astringere, che significa – oltre che stringere e chiudere<br />

– legare, vincolare, obbligare.<br />

45 Cfr. DMT, 220 [256].<br />

46 È importante distinguere l’obbligazione etica dalla necessità, poiché l’obbigazione<br />

ha la sua significazione nel riferirsi alla libertà umana, che detiene sempre la facoltà<br />

di non-rispondere.<br />

47 Da intendersi come genitivo soggettivo.


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 399<br />

ginaria, apre la prospettiva dell’orizzonte del senso per l’uomo. La Trascendenza,<br />

che la tradizione biblico-giudaica riconosce alla persona umana, esprime<br />

le caratteristiche stesse del soggetto autonomo-relazionato che si pone<br />

nella prospettiva eterocentrico-oblativa. In sintonia con tale tradizione, Lévinas<br />

non considera la persona umana alla stregua degli altri enti, come oggetto<br />

da utilizzare per i propri benefici, ma con essa ogni uomo è chiamato a vivere<br />

il “dialogo della responsabilità”, perché possa avere senso la libertà del<br />

soggetto responsabile. La Trascendenza indica pertanto non una “sostanza al<br />

di là del mondo” 48 , ma una relazione, il primo gesto etico.<br />

Nella terza sezione di Totalité et Infini, Lévinas analizza il rapporto tra<br />

volto e ragione, presentando affermazioni molto interessanti ai fini della Metafisica<br />

del dono. Così scrive il filosofo: «il volto instaura la ragione […] il<br />

volto è l’evidenza che rende possibile l’evidenza» (TI, 178 [209]); «nell’accoglienza<br />

del volto, la volontà si apre alla ragione» (TI, 241 [224]).<br />

Abbiamo visto sopra che il volto è da ricondurre alla donazione originaria<br />

e, pertanto, dobbiamo rilevare che l’instaurazione della ragione si ha<br />

con la donazione; il volto è anche dire, è linguaggio che da Altri giunge all’Uno,<br />

è tradizione 49 , tradizione del dono nella relazione sociale: linguaggio<br />

del dono!<br />

«Il dire è il fatto che davanti al volto io non resto semplicemente là a<br />

contemplarlo, gli rispondo. Il dire è un modo di salutare altri, ma salutare<br />

altri significa già rispondere di lui. Davanti a qualcuno è difficile tacere<br />

[…] rispondere a lui è già rispondere di lui» (EI, 82-83 [102-103]).<br />

Lévinas precisa ancor meglio che cos’è la ragione, affermando che «il<br />

linguaggio non solo serve la ragione, ma è la ragione» (TI, 182 [212-213]). Il<br />

volto instaura la ragione anche perché fonda il dialogo, caratterizzato dalla bipolarità<br />

Soggetto-Altri:<br />

«È, nella sua bipolarità insormontabile, il fenomeno originale della ragione.<br />

Gli interlocutori come singolarità, irriducibili ai concetti che co-<br />

48 «Con la nozione di trascendenza Lévinas non intende indicare la caratteristica di<br />

una sostanza che sta al di là del mondo – secondo il senso metafisico classico di trascendenza<br />

– bensì un’originale relazione processuale tra due termini, di natura etica, in cui il<br />

soggetto è implicato pur senza esserne all’origine» (G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas,<br />

cit., 145).<br />

49 Cfr. AE, 263 [211].


400 Giampaolo Manca<br />

stituiscono comunicando il loro mondo o facendo appello alla giustificazione<br />

d’Altri, presiedono alla comunicazione. La ragione presuppone<br />

questa singolarità o queste particolarità, non a titoli di individui offerti<br />

alla concettualizzazione o che si spogliano della loro particolarità per ritrovarsi<br />

identici, ma appunto come interlocutori, esseri insostituibili,<br />

unici nel loro genere, volti. La differenza tra le due tesi: “la ragione crea<br />

i rapporti tra l’Io e l’Altro” e “l’ammaestramento dell’Io da parte dell’Altro<br />

crea la ragione” non è puramente teorica» (TI, 282 [258]).<br />

Il Medesimo e l’Altro presiedono a quella comunicazione importante<br />

che costituisce la «genesi della mente umana» 50 .<br />

Il dialogo è all’insegna della non-violenza, perchè Altri, infatti, è la nonviolenza<br />

per eccellenza, che instaura la libertà del Medesimo e la investe in<br />

responsabilità infinita. L’alterità «mette fine alla violenza e alla contingenza<br />

e, anche in questo senso, instaura la ragione»( TI, 223 [209]), la ragione della<br />

pace, perché «l’Altro non è per la ragione uno scandalo, ma il primo insegnamento<br />

razionale, la condizione di ogni insegnamento» (TI, 177 [208]), la<br />

promessa del Bene infinito per l’uomo. Nella relazione sociale «risiede il carattere<br />

razionale della relazione etica e del linguaggio» (TI, 222 [208]).<br />

L’irrazionalità è costituita dall’Io che vuole esercitare il suo potere, che<br />

fa rientrare tutto nel sistema, incapace di porsi in ascolto di Altri, ma solo capace<br />

di monologo che porta alla libertà arbitraria e violenta. Ricevere, accogliere<br />

Altri, significa essere istruito 51 , superamento incessante di sé o tempo.<br />

Solo a partire dalla relazione sociale (etica) si apre il campo della Ragione<br />

e della verità, perché «il volto è l’evidenza che rende possibile ogni evidenza,<br />

al pari della veracità divina che sostiene il razionalismo cartesiano»<br />

(TI, 224 [209]) 52 .<br />

50 A questo proposito scrive C. Taylor: «La genesi della mente umana non è “monologica”,<br />

ossia non è qualcosa che ciascuno di noi sviluppa per conto proprio, ma dialogica»<br />

(C. TAYLOR, Il disagio della modernità, Bari: Editori Laterza 2002, 39).<br />

51 «Un essere che riceve l’idea dell’infinito – che riceve, in quanto non la può trarre<br />

da sé – è un essere istruito in modo non maieutico, un essere il cui esistere stesso consiste<br />

in questa incessante ricezione dell’insegnamento, in questo incessante superamento<br />

di sé (o tempo). Pensare significa avere l’idea dell’infinito o essere istruito» (TI, 223<br />

[209]). 52 Scrive ancora Lévinas: «Il pensiero comincia con la possibilità di concepire una<br />

libertà esterna alla mia. Pensare una libertà esterna alla mia è il primo pensiero […] La<br />

condizione del pensiero è una coscienza morale» (EN, 27 [45]).


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 401<br />

3. La verità come circolarità asimmetrica di dono e contro-dono<br />

Nella relazione etica, l’Altro, poiché si esprime 53 , è sempre da ascoltare,<br />

attraverso un “esodo ermeneutico dall’essere”, tale da permettere di accogliere<br />

la rivelazione di Altri. Nel contesto ontologico, la persona si riduce ad<br />

un concetto adeguato alla ragione, ad un oggetto di comprensione, ovvero<br />

“persona concettualizzata” secondo schematismi rigidi di un pensiero deduttivo;<br />

si tratta dunque della persona senza mistero, ovvero non è più persona.<br />

La stessa cosa si deve affermare per Dio e il suo mistero. Lévinas non nega la<br />

fiducia nella ragione, bensì afferma che la ragione nasce nella relazione soggetto-Altri<br />

54 , in cui si ritrova il vero orizzonte di senso, che esprime la Trascendenza<br />

di Altri e dello stesso soggetto.<br />

L’esperienza dell’alterità, che costituisce «l’esperienza per eccellenza»<br />

(TI, 10 [23]), è la verità:<br />

«Nella verità il pensatore è in rapporto con una realtà che è distinta da<br />

sé, altra da sé […]. La verità indicherebbe allora la meta finale di un<br />

movimento che parte da un mondo intimo e familiare, per quanto non<br />

ancora del tutto esplorato, verso l’estraneo, verso un là, come ha detto<br />

Platone. Più che un’esteriorità, la verità implicherebbe la trascendenza.<br />

La filosofia si occuperebbe dell’assolutamente altro, sarebbe l’eteronomia<br />

stessa […]. Per questo la filosofia si identifica con la metafisica e<br />

la metafisica s’interroga sul divino» (EDE, 229-230 [189-190]).<br />

Alla verità Lévinas riconosce la dimensione eteronoma, che scaturisce<br />

dal fatto che necessariamente implica l’assolutamente altro, l’eteronomia in<br />

quanto tale. Di ciò si è sempre occupata la metafisica, ma non è stata in grado<br />

di coglierla. La verità è epifania a distanza, in un rapporto di “relazione”<br />

nella “separazione”:<br />

«La verità presuppone un essere autonomo nella separazione – la ricerca<br />

di una verità è appunto una relazione che non si fonda sulla privazione<br />

del bisogno. Cercare e ottenere la verità significa essere in rapporto,<br />

non perché si è definiti da altro da sé, ma perché, in un certo senso<br />

non si manca di niente» (TI, 55 [59]).<br />

53 Cfr. TI, 61 [64].<br />

54 Cfr. TI, 282 [258].


402 Giampaolo Manca<br />

La ricerca della verità è relazione, rapporto con l’esteriorità, e l’esteriorità,<br />

cioè la Trascendenza, è la verità, fondata sul linguaggio:<br />

«La verità sorge là dove un essere separato dall’altro non vi si immerge<br />

ma gli parla. Il linguaggio che non tocca l’altro, foss’anche di tangenza,<br />

raggiunge l’altro interpellandolo o comandandolo, o obbedendogli con<br />

tutta la correttezza di queste relazioni. Separazione ed interiorità, verità<br />

e linguaggio – costituiscono le categorie dell’idea dell’infinito o della<br />

metafisica» (TI, 56-57 [60]).<br />

La verità è modalità della relazione tra il Medesimo e l’Altro, dove l’uno<br />

è dono per l’Altro, in quell’astriction che realizza la circolarità del donocontro-dono.<br />

La verità è il dis-corso del dono nella relazione Medesimo-Altri:<br />

è il discorso filosofico, la sapienza dell’amore 55 .<br />

Lévinas si oppone a quella conoscenza fondata sull’ontologia tradizionale<br />

che si configura come assolutizzazione della deduzione teoretica (empirismo,<br />

funzionalismo, ontologismo, biologismo, ecc.), per cui il Nostro decide<br />

di passare ad una conoscenza all’insegna dell’inter-leggere da intendersi<br />

come contemplazione dis-inter-essata 56 . La verità è intesa come rispetto di<br />

Altri che va incontro all’intelletto, interpellandolo; e l’opera dell’intelletto è<br />

aspirazione all’esteriorità, che è Desiderio; ma non è conoscenza oggettiva, è<br />

discorso, è capacità di accogliere la donazione originaria dell’Altro in quanto<br />

Altri, rispondendo ai suoi bisogni, perché viva in modo pieno; e ciò dà senso<br />

anche alle relazioni che il soggetto instaura con il Mondo 57 . Nella relazione<br />

sociale inizia il linguaggio, che è ascolto dell’Altro, e la nota caratteristica del<br />

linguaggio è l’interpellanza, il vocativo: «La società è il luogo della verità. Il<br />

rapporto morale con il Maestro che mi giudica, sottende la libertà della mia<br />

adesione al vero. Così inizia il linguaggio» (TI, 104 [100]).<br />

Il linguaggio manifesta la singolarità dell’uomo come essere parlante,<br />

perché risponde, è responsabile 58 . Il linguaggio può essere parlato solo ed<br />

esclusivamente se il soggetto si de-pone al di là di ogni sistema totalizzante<br />

(orizzonte di identificazione); l’interlocutore, affinché ci possa essere il linguaggio<br />

del dono, non deve essere posto sul mio stesso piano: «L’interlocu-<br />

55 Cfr. TI, 66 [68].<br />

56 Cfr. ECFP, 67 [47].<br />

57 Cfr. HS, 77 [59].<br />

58 Cfr. EN, 38 [54].


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 403<br />

tore non è un Tu, è un Lei» (TI, 104 [100]), e «la mia libertà è così messa in<br />

causa da un Maestro che può investirla. Allora, la verità, esercizio sovrano<br />

della libertà, diventa possibile» (TI, 104 [101]). La verità, quindi, non è da intendersi<br />

nel senso di svelamento (come in Heidegger) 59 , ma come manifestazione<br />

kath’autò, nel senso che Altri parla, si dice al soggetto, si dice a noi 60 .<br />

La donazione originaria di Altri “ispira” il soggetto, lo muove a parlare<br />

e «la mia risposta […] produce la sua verità» (TI, 324 [299]). Cosi il soggetto<br />

diviene “profeta”, perché parla in nome della donazione originaria, dell’Infinito,<br />

testimonianza viva di promessa di Bene per il soggetto e per Altri,<br />

al di là di ogni violenza, nella res-ponsabilità 61 . La “ri-velazione” di Altri è<br />

significare o avere un senso: presentarsi significando è parlare. Il significato<br />

è l’irruzione dell’esteriorità e il discorso è «una relazione originaria con l’essere<br />

esterno». Tale relazione (discorso/dialogo) «è la produzione di senso»<br />

(TI, 61 [64], c.n.) nel fuori-contesto della donazione di Altri. O meglio, la produzione<br />

del senso è data dalla circolarità ermeneutica dono/contro-dono. Si<br />

tratta della sporgenza della verità sull’essere, definita da Lévinas con una metafora:<br />

curvatura dello spazio intersoggettivo 62 .<br />

Lévinas riprende la soggettività trascendentale proposta da Kant, ma<br />

ne propone un “rivisitazione”, ovvero la presenta come soggettività al servizio<br />

dell’“oggettività dell’essere”. Tale oggettività però non è certo da intendere<br />

nel senso dell’essere come fenomenalità. Pertanto, il soggetto-in-relazione<br />

si pone in ascolto del volto d’altri, donazione originaria, che attende<br />

“risposta”. L’oggettività coincide così con il linguaggio che nasce nella relazione<br />

sociale:<br />

59 «Riconoscere la verità come svelamento significa rapportarla all’orizzonte di colui<br />

che svela […] L’essere svelato è relativamente a noi e non Kath’auto» (TI, 59 [62-63]).<br />

60 Così scrive Lévinas: «La manifestazione kath’auto consiste per l’essere nel dirsi<br />

a noi, indipendentemente da qualsiasi posizione che noi potremmo aver preso nei suoi<br />

confronti, nell’esprimersi […] l’essere non si situa nella luce di un altro ma si presenta da<br />

sé nella manifestazione che deve soltanto annunciarlo […] L’esperienza assoluta non è<br />

svelamento ma rivelazione» (TI, 60-61 [64]).<br />

61 La giustizia è risposta ai bisogni veri dell’altro uomo in quanto Altri: justitia est<br />

secundum ad alterum.<br />

62 Scrive il filosofo: «Questa sporgenza della verità sull’essere e sulla sua idea che<br />

noi suggeriamo con la metafora della “curvatura dello spazio intersoggettivo”, significa<br />

l’intenzione divina di ogni verità. Questa “curvatura dello spazio” è, forse, la presenza<br />

stessa di Dio» (TI, 324 [300]).


404 Giampaolo Manca<br />

«L’oggettività non è ciò che resta di un utensile o di un cibo, separati<br />

dal mondo in cui entra in gioco il loro essere. Essa si pone in un discorso,<br />

in un intra-ttenimento che propone il mondo. Questa proposizione<br />

è tenuta tra due punti che non fanno sistema, cosmo o totalità. L’oggettività<br />

dell’oggetto e il suo significato provengono dal linguaggio»<br />

(TI, 97 [95]).<br />

Il significato oggettivo delle cose ha la propria origine al di là dell’oggettività<br />

dell’oggetto, cioè in Altri, indipendente dai movimenti del soggetto.<br />

Altri è interlocutore nella bipolarità della diversità, irriducibile ad una<br />

forma, ad un tema.<br />

4. Il “giusto senso” donato all’ontologia. Dall’etica alla giustizia: il terzo<br />

Il problema della giustizia dell’essere trova la sua genesi nell’esistenza<br />

degli Altri del mio prossimo. Infatti, se ci fossi soltanto io e il mio prossimo<br />

non ci sarebbero problemi, in quanto gli dovrei tutto in assoluta gratuità. Di<br />

conseguenza, non sarebbe necessaria la tematizzazione e la riflessione, perché<br />

non ci sarebbe nessuna comparazione e nessun calcolo da effettuare. Ma<br />

questa assoluta gratuità viene turbata a partire dall’entrata in scena del “terzo”,<br />

ovvero degli Altri di Altri o degli Altri prossimi.<br />

Di qui la nascita del problema della giustizia, le cui esigenze implicano<br />

tematizzazione, sincronia, oggettivazione, presenza, intenzionalità ecc. – ovvero,<br />

la presenza dell’essere (ontologia), che però ha ricevuto e sempre riceve<br />

il vero senso dall’etica, ove il non comparabile – il mio prossimo e il prossimo<br />

del prossimo – diventa ora comparabile: è necessaria una sinossi a partire<br />

dall’altro dell’essere, per cui la “filosofia dell’essere” diviene non una “filosofia<br />

della violenza”, ma una “filosofia del dono”, in cui la ragione è capace<br />

«di fermare la violenza per raggiungere l’ordine [ontologia] della pace»<br />

(AE, 33 [22]). Rileviamo che “ci piace” interpretare «l’ordine della pace» come<br />

l’ontologia rinnovata dalla significazione della donazione originaria. Il<br />

per-Altri è pertanto responsabilità per l’Altro e per il Terzo, è giustizia.<br />

Non una condanna dell’essere, quindi, ma addirittura una rinnovata visione<br />

di esso: a partire dalla prossimità etica (relazione sociale non totalizzante)<br />

l’essere assume il giusto senso, perché è capito a partire dall’altro dell’essere:<br />

«Il modo di pensare qui proposto non consiste nel misconoscere l’essere<br />

e neppure nel trattarlo, secondo una pretesa ridicola e sdegnosa, co-


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 405<br />

me cedimento di un ordine o di un disordine superiore. Ma è a partire<br />

dalla prossimità che l’essere assume, al contrario, il proprio giusto senso»<br />

(AE, 19 [21], c.n.).<br />

La donation originelle produce la giustizia perché il volto d’Altri si rivela<br />

immediatamente «volto unico e in rapporto con dei volti» (AE, 246<br />

[198]).<br />

La “logica dell’equivalenza” (reciprocità/giustizia/essere), per essere<br />

veramente tale, deve portare in sé la traccia della bontà, ossia la traccia di<br />

quell’al-di-là-dell’essenza che permette non un calcolo ideale, dove gli individui<br />

sono strumenti di una collettività che deve funzionare negando l’individualità,<br />

ma un “calcolo” che, pur essendo tale, è investito dal dono dell’alterità<br />

e ciò permette di investire di bontà gli Altri, il Terzo, ovvero «La giustizia<br />

inizia con Altri» (EDE, 241 [199], c.n.). In tal modo si eleva la giustizia<br />

al di sopra della semplice delimitazione sospettosa del mio e del tuo (giustizia<br />

distributiva: uniquique suum) e si orienta in un altro senso, risposta all’Altro,<br />

verso il Bene dell’Altro e del Terzo (justitia est secundum ad alterum),<br />

nel quale io sono debitore di tutti.<br />

Se non ci fosse la bontà (l’Uno-per-l’Altro), la giustizia si ridurrebbe<br />

sempre all’utilitarismo, la cui regola è quella del do ut des (certezza del contraccambio<br />

in forza di un contratto) e dell’uniquique suum, che è il tema dell’essere<br />

come potere e violenza (ingiustizia) e non dell’essere come giustizia.<br />

La relazione con il terzo non fa altro che “tradire” la mia relazione anarchica<br />

con l’Infinito, in una incessante testimonianza della relazione asimmetrica.<br />

Essa legittima il servizio responsabile dello Stato e della politica, che si<br />

occupano di regolare i rapporti nel rispetto e nell’accoglienza della dignità di<br />

tutti e di ciascuno (bene comune). Li legittima perché trova loro una fondazione<br />

«pre-etica che impedisce la degenerazione in una mera tecnica dell’equilibrio<br />

sociale» 63 . Tutto ciò ha una notevole implicazione per il soggetto<br />

stesso, in quanto bisogna ammettere che nella molteplicità ci sono anch’io,<br />

perché anch’io sono tra gli Altri del mio prossimo: «io sono altri per gli altri»<br />

(AE, 247 [198]). La giustizia (dimensione ontologica), è “oggettivazione”<br />

della mia relazione con l’Alterità, vivendo la responsabilità verso gli al-<br />

63 A. PEPERZAK, “Introduzione a Altrimenti che essere”, in ECFP, [136].<br />

Una politica e uno Stato ispirati dal Bene sono ciò che effettivamente garantiscono<br />

la giustizia (cfr. ibid. [135-136]). Essa nasce a partire dal terzo, ovvero a partire dall’Altro<br />

in quanto è “multiplo” (Cfr. B. BORSATO, L’alterità come etica, cit., 132).


406 Giampaolo Manca<br />

tri e verso me stesso, mediante un progetto antropologico all’insegna del dono-ad-Altri.<br />

5. La metafisica del dono per l’ontologia della pace<br />

Abbiamo rilevato come, secondo Lévinas, la relazione sociale costituisce<br />

la vera metafisica, perché<br />

«Essa è rivolta all’“altrove”, e all’“altrimenti”, e all’“altro” […] essa<br />

appare infatti come un movimento che parte da un mondo che a noi ci<br />

è familiare […] da una casa “nostra” e nella quale abitiamo, e va verso<br />

una casa “non-nostra” ed estranea, verso un laggiù» (TI, 21 [31]).<br />

L’incontro con l’Altro uomo, assolutamente Altro rispetto a me, annuncia<br />

l’Infinito, annuncia il comandamento etico dell’amore 64 : «Questo infinito,<br />

più forte dell’omicidio, ci resiste già nel suo volto, è il suo volto, è l’espressione<br />

originaria, è la prima parola: “non uccidere”» (TI, 217 [204]) e<br />

questo perché di fronte all’Altro io scopro il mio potere violento e, allo stesso<br />

tempo, la chiamata al bene che Altri mi rivolge e che è il mio stesso bene.<br />

L’espressione del volto non sfida la mia debolezza di potere, ma il mio “potere<br />

di potere”: «un potere su ciò che sfugge al potere. Ancora potere, dato che<br />

il volto si esprime nel sensibile; ma già impotenza, dato che il volto fa a pezzi<br />

il sensibile» (TI, 216 [203]). La resistenza di ciò che non ha resistenza, è<br />

resistenza etica dell’epifania del volto, la cui prima parola è il comandamento<br />

della vita.<br />

64 «Volto, al di là del visibile che si offre allo sguardo, al potere della rappresentazione<br />

che già sfigura altri e non vi ritrova che una forma plastica. Significazione del volto,<br />

nudità senza difesa, rettitudine di una esposizione alla morte, mortalità e, nello stesso<br />

tempo, significazione di un comando, un comandamento: “Non ucciderai!”. Obbligo di rispondere<br />

dell’unico, e per questo di amare: amore al di là di ogni sensibilità, pensiero dell’unico:<br />

Amore di Dio nell’amore del prossimo. Tale significazione etica originaria del<br />

volto significherebbe in questo modo, senza alcuna metafora o figura, in senso rigorosamente<br />

proprio, la trascendenza di un Dio che non è oggettività, nel volto in cui parla, che<br />

non “prende corpo”, ma che si avvicina esattamente attraverso questo rinvio al prossimo,<br />

obbligando gli uomini gli uni verso gli Altri, rispondendo ognuno della vita di tutti» (HN,<br />

201-202 [201-202]).


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 407<br />

L’intento prioritario del nostro filosofo non è quello di costruire una nuova<br />

etica, bensì quello di «cercarne il senso» 65 , di qui la ricerca ermeneutica al<br />

fine di individuare i «principi primi dell’etica» 66 . L’etica è la filosofia prima che<br />

cerca, non dei contenuti dogmatici o moralistici, ma le condizioni di possibilità<br />

dell’etica stessa: «L’etica è il campo che designa il paradosso di un infinito in<br />

rapporto col finito senza smentirsi in questo rapporto» (AE, 232 [186]).<br />

Il vero “esistere” del soggetto consiste nell’accogliere l’idea dell’Infinito,<br />

ovvero nell’essere incessantemente istruito dalla donazione di Altri, superando<br />

il potere del per-sé. Di qui l’affermazione levinassiana sul “pensare razionale”:<br />

«pensare significa avere l’idea dell’Infinito o essere istruito. Il pensiero<br />

razionale si riferisce a questo insegnamento» (TI, 223 [209]).<br />

La relazione sociale introduce in me ciò che non era in me e questa azione<br />

pone fine alla violenza, instaura la Ragione, che consente il passaggio dall’ontologia<br />

della violenza all’ontologia della pace, perché alla Ragione «si attribuisce<br />

la virtù di fermare la violenza per raggiungere l’ordine della pace»<br />

(AE, 33 [22]). L’insegnamento della donazione originaria è «elezione da parte<br />

del Bene che, per l’appunto, non è azione, ma la non-violenza stessa»<br />

(HAH, 77 [120]), «non-violenza per eccellenza», che libera la mia libertà finita<br />

instaurandola in responsabilità infinita:<br />

«Il volto in cui si presenta l’Altro – assolutamente altro – non nega il Medesimo,<br />

non gli fa violenza come l’opinione o l’autorità o il sovrannaturale<br />

taumaturgico. Resta a misura di chi accoglie, resta terrestre. Questa presentazione<br />

è la non-violenza per eccellenza, infatti invece di ledere la mia<br />

libertà la chiama alla responsabilità e la instaura. Non-violenza, mantiene<br />

però la pluralità del Medesimo e dell’Altro. È pace» (TI, 220 [206]).<br />

La pace è accoglienza della diversità dell’Altro (dono gratuito) che mi<br />

ri-crea, per una comunità generata al donarsi, poiché Altri non fa altro che<br />

donarsi a me per primo e, allo stesso tempo, Altri mi ordina di servirlo:«diaconia<br />

prima di ogni dialogo» (EI, 94 [111]) e il donare si identifica pienamente<br />

con lo «spirito umano» (EI, 93 [110]). La donazione ad Altri della dia-<br />

65 «Il mio compito non consiste nel costruire un’etica; tento soltanto di cercarne il<br />

senso […] Si può senza dubbio costruire un’etica in funzione di ciò che ho detto, ma non<br />

è questo il mio tema specifico» (EI, 85 [105]).<br />

66 G. MURA, “La ‘provocazione’ etica di Emmanuel Lévinas”, introduzione all’edizione<br />

italiana di EI, [5-6]).


408 Giampaolo Manca<br />

conia esprime il senso vero dell’Infinito, testimonianza (traccia, gloria) dell’Infinito<br />

67 , il disinteressamento dell’eccomi:<br />

«Accusativo meraviglioso: eccomi sotto il vostro sguardo, obbligato,<br />

vostro servitore […]. Il discorso religioso preliminare ad ogni discorso<br />

religioso non è il dialogo. È l'eccomi detto al prossimo a cui sono consegnato<br />

e in cui si annuncia la pace, cioè la mia responsabilità per altri»<br />

(DVI, 98 [123]).<br />

Tutto ciò non significa rinunciare alla propria diversità, bensì si tratta di<br />

una chiamata ad arricchirsi della diversità dell’Altro. La pace è l’unità delle<br />

diversità, l’unità della pluralità:<br />

«L’unità della pluralità è la pace e non la coerenza di elementi che costituiscono<br />

la pluralità. La pace non può quindi identificarsi con la fine dei<br />

combattimenti che cessano per mancanza di combattenti, per la sconfitta<br />

degli uni e la vittoria degli Altri, cioè con i cimiteri e gli imperi universali<br />

futuri. La pace deve essere la mia pace, in una relazione che parte da<br />

un io e va verso l’Altro, nel desiderio e nella bontà in cui l’io contemporaneamente<br />

si mantiene ed esiste senza egoismo» (TI, 342 [314]).<br />

Altri fa irruzione, appare al soggetto nella prossimità etica che permette<br />

il dischiudersi del senso nel compimento dell’umanità del soggetto stesso,<br />

che esce dalla chiusura egoistico-centrica, dalla cecità e dalla sordità nei confronti<br />

dell’Altro uomo, poiché «l’umano è la possibilità di essere-per-l’altro»<br />

(HN, 145 [143]). Di qui la conclusione che «la pace con l’altro è prima di tutto<br />

mio affare. La non-indifferenza, il dire, la responsabilità, l’approssimarsi,<br />

è la liberazione dell’unico responsabile – di me» (AE, 217 [174]).<br />

Per Lévinas la relazione sociale fondata sulla donazione è la sola che<br />

può assicurare un futuro di pace, poiché essa si offre al soggetto prima della<br />

sua stessa libertà, o meglio instaura la libertà, perché noi siamo com-pro-messi<br />

con il Bene prima che esso venga scelto; com-pro-missione nella “passività”<br />

dell’accogliere e del donare 68 .<br />

67 Cfr. DVI, 98 [122].<br />

68 Lévinas non ha affatto «la certezza» che la donation originelle «possa trionfare»,<br />

poiché «vi possono essere periodi in cui l’umano si estingue completamente» (EN, 124<br />

[148-149]).


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 409<br />

La com-pro-missione con il Bene (Altri), però, si vive esclusivamente<br />

nella «fede del faccia a faccia» 69 , che costituisce la risposta in cui è inscritta<br />

la promessa del Bene tanto per il singolo quanto per la comunità; promessa<br />

già testimoniata da coloro che ci hanno preceduto, che hanno amato fino a<br />

morire per-l’altro. La fede è la struttura originaria della coscienza morale, coincidente<br />

con la relazione sociale; quest’ultima mostra come è superficiale ed<br />

inopportuna ogni opposizione tra fede e ragione. La fede nell’Altro, promessa<br />

di bene per il soggetto e la comunità, genera un sapere non violento, un sapere<br />

che “non uccide”, ma genera la vita: è questa, per Lévinas, la sapienza<br />

dell’Amore.<br />

Il soggetto responsabile vive pienamente la sua umanità grazie alla relazione<br />

sociale, per cui si passa dall’“autonomia totalizzante” all’autonomia relazionale<br />

del soggetto, che per il dono dell’alterità dell’Altro si trascende,<br />

compie quell’esodo di liberazione dalla schiavitù nell’inter-ess-amento del<br />

per-sé, alla responsabilità della “sostituzione” all’Altro (diaconia/dono): «Trascendersi,<br />

uscire da casa propria al punto di uscire da sé, è sostituirsi all’altro:<br />

[…] espiare per l’altro» (AE, 279 [225], c.n.). L’essere è così ricreato come<br />

“luogo” della Donazione e della Vita per l’Altro e per il Soggetto stesso.<br />

La relazione Soggetto-Altro costituisce il centro/vertice per il dono del<br />

senso alla dimensione ontica e per la moralità della persona; in questo modo il<br />

soggetto è radicalmente salvato (HAH, 97 [150]) dall’alterità dell’Altro, e non<br />

dall’essere. Di fatto è proposto un “nuovo orizzonte di senso”, in una ri-nnovata<br />

circolarità ermeneutica Soggetto-Altro, per cui il Nostro parla di una «Sinngebung<br />

etica» (» (EDE, 188 [154]), ovvero Sinngebung relazionale: essa si<br />

“produce” solo nella relazione sociale, luogo dell’accoglienza e del rispetto dell’Altro.<br />

In Lévinas l’idea dell’Infinito, ovvero l’Alterità relazionale (Trascendenza)<br />

– rivelantesi nella relazione etica –, rappresenta la donazione di senso,<br />

la significazione e quindi la direzione vera cui tende tutto l’agire dell’uomo, un<br />

agire che è promessa di realizzazione personale anche per il Soggetto, promessa<br />

di realizzazione vera per l’intera comunità. Per questi motivi Ph. Nemo afferma<br />

che «Emmanuel Lévinas è il filosofo dell’etica, senza dubbio il solo moralista<br />

del pensiero contemporaneo» 70 . La «vera essenza dell’uomo» è signifi-<br />

69 E. LÉVINAS, G. MARCEL, P. RICŒUR, Il pensiero dell’altro, cit., 65.<br />

70 PH. NEMO, Premessa al dialogo, in EI, 7 [41].<br />

Così scrive G. Mura, esperto del pensiero di Lévinas: «Lévinas è considerato oggi<br />

come uno dei più grandi, forse il solo, moralista del secolo, non perché abbia elaborato<br />

una qualche filosofia morale, ma perché ha evidenziato quelli che si potrebbero chiamare


410 Giampaolo Manca<br />

cata dal ri-conoscimento dell’alterità dell’Altro, farlo vivere come Altro da me<br />

– attualizzazione della creatio ex nihilo –, realizzando una opzione per la Vita,<br />

“infinitamente diversa dalla violenza” del mio egocentrico narcisismo, che nega<br />

l’esistenza dell’Altro. Il vero senso donato all’uomo nella donation originelle<br />

della relazione sociale è produrre la verità dell’Altro 71 , con la responsabilità<br />

infinita, nel donare la Vita all’essere, in una parola, Pace.<br />

Conclusione<br />

Il pensiero di Lévinas fa emergere che la donazione originariia di Altri e<br />

il dono di sé ad Altri, in quanto promessa di realizzazione piena per il soggetto<br />

e per la comunità, costituisce la struttura originaria della persona: l’uomo è donazione,<br />

e in quanto donazione originaria è persona. Lui solo prende consapevolezza,<br />

nella relazione etica, di essere tale donazione, poiché capace di cogliere<br />

la significazione di Altri e di Sé, per poi donare il senso all’essere<br />

Riteniamo di poter dire che la coscienza non inventa il Bene e neppure lo<br />

ritrova nei dati, ma lo riceve in dono dall’Altro, nella relazione etica, in cui la<br />

vita meta-fisica dischiude il senso della vita e “crea” la coscienza. Il dono del<br />

senso, viene altresì testimoniato nella stessa comunità umana e passa continuamente<br />

dall’Uno all’Altro, rinnovandosi e arricchendosi: il senso del dono e il<br />

dono del senso è tradizione, che per noi cristiani si arricchisce con la pienezza<br />

del dono del Cristo, il quale si è “svuotato” (ksˇnwsij) per la vita di Altri 72 .<br />

Accogliendo la proposta levinassiana, siamo ora maggiormente convinti<br />

del fatto che soprattutto la Teologia Morale debba imparare continuamente<br />

a ripartire dal contesto relazionale in cui si rivela il discorso del per-Altri, ov-<br />

i «principi primi» dell’etica, i principi che rendono etica ogni etica, che sono propri, in<br />

modo categorico, dell’etica in quanto tale» (G. MURA, “La ‘provocazione’ etica di Emmanuel<br />

Lévinas”, Introduzione all’edizione italiana di EI, [33-34], ivi [5-6]).<br />

71 Cfr. TI, 324 [299].<br />

72 «Il dare [nel senso di donare] si situa, dunque, non solo al livello creazionale dell’essere<br />

e dell’esistere, ma costituisce anche l’anima dell’evento salvifico della croce. Dopo<br />

la radicale donazione di sé, fatta da Cristo sulla croce, ogni dare cristiano diventa una<br />

proiezione storica del passaggio pasquale del Figlio di Dio nella sua umanità mortale.<br />

Comprendendo la risposta la risposta del Padre al dono del Figlio, la Pasqua di Gesù è<br />

completa con la risurrezione e con il dono definitivo dello Spirito» (A. WODKA, “L'oblatività<br />

neotestamentaria e il discorso etico-morale. II: il dono del dare (2 Cor 8-9)”, Studia<br />

Moralia, 37(1999)5-33, ivi 31, c.n.


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 411<br />

vero del dono di sé fino allo “svuotamento”. Purtroppo, la Teologia Morale,<br />

nei secoli, è stata intaccata – e forse lo è ancora – da elementi di un intellettualismo<br />

disincarnato, che hanno portato alla proposta di un soggetto separato<br />

e solipsistico e ad una impostazione fortemente deduttiva e poco induttiva<br />

della morale. Il sapere autentico, in cui s’inscrive anche il “sapere” della Teologia<br />

Morale, riconosce il suo debito alla relazione etica, che produce la verità<br />

per la Vita, verità che può essere vissuta. Così scrive G. Angelini:<br />

«La stessa idea di verità nella sua accezione più radicale rimanda alla figura<br />

del senso, della proporzione dunque del reale con il desiderio di vivere<br />

che è costitutivo dell’uomo. Sicché verità per eccellenza è soltanto<br />

quella della quale appunto l’uomo può vivere» 73 .<br />

Ci pare di poter interpretare la con-pro-missione con il Bene, che proviene<br />

da un passato anarchico, come la promessa della Vita umanamente realizzata<br />

(vita buona), che ci giunge attraverso la relazione etica fondata sulla<br />

fede del faccia-a-faccia, in quanto essa non si fonda su teorie scientifiche, anche<br />

se tiene conto di quanto afferma la scienza; anzi, ribadiamo che i dati<br />

scientifici ri-cevono il senso anche dalla precomprensione antropologica. Il<br />

bene per la persona, in tutte le fasi della sua esistenza (dal concepimento alla<br />

morte), in cui riconosciamo l’appello alla vita piena, personale, è sempre “bene<br />

creduto” ed in quanto creduto può dirsi veramente “Il Bene per l’embrione<br />

umano”. Esso è al di là del piano ontico, e proprio perché “ho fede” in esso,<br />

io vivo la responsabilità-per-l’Altro e non il contrario; cioè, non cerco conoscenze<br />

scientifiche per decidere in favore della vita dell’altro, scelgo il suo<br />

futuro, che si annuncia nella relazione etica. La coscienza morale, in quanto<br />

fede del faccia a faccia è dunque coscienza credente, che muove la responsabilità<br />

del soggetto verso l’Altro con i gesti più grandi di accoglienza voluti per<br />

fede, perché «volere si può soltanto a prezzo di riconoscere nell’atto stesso la<br />

via promettente che sola consentirà a me di trovarmi» 74 .<br />

Il linguaggio del dono, come risposta ad Altri, dischiude la prospettiva<br />

del sensato nella e per la comunità. Questo perché<br />

«La funzione originale della parola non sta nel designare un oggetto allo<br />

scopo di comunicare con altri, in un gioco di nessuna importanza, ma<br />

73 G. ANGELINI, Teologia Morale fondamentale, Milano: Glossa, 1999, 569.<br />

74 G. ANGELINI, Teologia Morale fondamentale, cit., 569.


412 Giampaolo Manca<br />

nell’assumere per qualcuno una responsabilità presso qualcuno. Parlare<br />

vuol dire impegnare gl’interessi degli uomini. Essenza del linguaggio<br />

sarebbe la responsabilità» (QLT, 46 [51].).<br />

La Trascendenza, che noi riconosciamo nella persona, esprime le caratteristiche<br />

del soggetto autonomo-relazionato, che si pone nella prospettiva<br />

eterocentrico-oblativa; tale riconoscimento impone che la persona (dal concepimento<br />

alla morte) non sia considerata puro “oggetto”, puro e semplice materiale<br />

biologico (come l’embrione) da sfruttare per benefici personali o di<br />

gruppo, ma lasciato “essere” nella sua diversità. La Trascendenza, riconosciuta<br />

in seno all’opzione antropologica – che ha in sé l’opzione di fede –, indica,<br />

pertanto, non una «sostanza al di là del mondo» 75 , ma il primo gesto etico per<br />

la giustizia che dona la Vita.<br />

Elenco delle opere di Lévinas in italiano<br />

citate con relative abbreviazioni<br />

AE Autrement qu’être ou au-delà de l’essence, Paris: Kluwer Academic,<br />

1996 (1974) [Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Milano: Jaca<br />

Book, 1983].<br />

DL Difficile liberté. Essais sur le judaïsme, Paris: Albin Michel, 1995<br />

(1963); second édition revue 1976)[Difficile libertà. Saggi sul giudaismo,<br />

Milano: Jaca Book, 2004].<br />

DMT Dieu, la mort et le temps, Paris: Grasset, 1995 (1993) [Dio, la morte<br />

e il tempo, Milano: Jaca Book, 1996].<br />

DVI De Dieu qui vient à l’idée, Paris: Vrin, 1992 (1982); seconde édition<br />

revue et augmenteé, 1986 [Di Dio che viene all’idea (conforme alla<br />

prima edizione): Milano: Jaca Book, 1986].<br />

EDE En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Paris: Vrin,<br />

1984 (1949) [Scoprire l’esistenza con Husserl e Heidegger, Milano:<br />

Raffaello Cortina editore, 1998].<br />

ECFP Etique comme philosophie premiére, Paris: Payot & Rivages, 1998<br />

(1982 [Etica come filosofia Prima, in Lévinas E. –PEPERZAK A., Etica<br />

come filosofia prima, Milano, Guerini e Associati, 1989, 47-59].<br />

75 G. FERRETTI, La filosofia di Lévinas, cit., 145.


La Metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas 413<br />

EI Étique et Infini. Dialogues avec Philippe Nemo, Paris: Librairie Arthème<br />

Fayard et Radio-France, 1984 (19821)» [Etica e Infinito. Dialoghi<br />

con Philppe Nemo, Roma: Città Nuova, 1984].<br />

EN Entre nous. Essais sur le penser-à-l’autre, Paris: Grasset, 1993 (1991)<br />

[Tra noi. Saggio sul pensare all’altro, Milano: Jaca Book Melangolo,<br />

1998].<br />

HAH Humanisme de l’autre homme, Montpellier: Fata Morgana, 1994<br />

(1972) [Umanesimo dell’altro uomo, Genova: Il melangolo, 1985].<br />

HN A l’heure des nations, Paris: Minuit, 1988 [Nell’ora delle Nazioni,<br />

Milano: Jaca Book, 2000].<br />

HS Hors sujet, Montpellier: Fata Morgana, 19941 [Fuori dal soggetto,<br />

Genova: Marietti, 1992].<br />

NP Noms propres, Montpellier: Fata Morgana, 1987 (19751); [Nomi propri,<br />

Casale Monferrato: Marietti, 1984].<br />

QLT Quatre lectures talmudiques, Paris: Les éditions de Minuit, 1968<br />

[Quattro letture talmudiche, Genova: Il melangolo, 2000].<br />

TI Totalité et Infini. Essai sur l’extériorité, Paris: Kluwer Academic,<br />

1990 (1961) [Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Milano: Jaca<br />

Book, 1990].<br />

TRI Transcendance et intelligibilité. Suivi d’un entretien, Genevre: Labor<br />

et Fides, 1996 (1984) [Trascendenza e intelligibilità, Genova: Marietti,<br />

1984].<br />

VI Il volto infinito. Dialoghi (1992-1993).<br />

A cura di A. Biancofiore, Bari: Palomar, 1999<br />

THE METAPHYSICS OF GIFT IN THE THOUGHT OF E. LÉVINAS<br />

By Giampaolo Manca<br />

The thought of Lévinas is drawing the attention of many scholars of our<br />

time. Even our Review has devoted various articles to the same. The<br />

present study is authored by a scholar of ethics and moral theology. It<br />

is certainly important that a moralist should verify the validity of a<br />

philosophy which above all else is proposed as a study in Ethics. In a


414 Giampaolo Manca<br />

coming article he will do just this as he confronts the thought of<br />

Lévinas with those problems debated today regarding bio-ethics. In the<br />

present article the author masterfully expounds on the basis of Lévinas’<br />

thought regarding original donation and the metaphysics of donation,<br />

which forms the title of a recent publication.


Pastorale e Spiritualità 415<br />

Le XXI “spade” della via Mariae<br />

Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale<br />

dall’infanzia alla croce<br />

di ROBERTO A. M. BERTACCHINI<br />

Seconda parte dell’articolo pubblicato in SapCr XXI (2006), 291-312.<br />

La vita di Nazareth<br />

Qui è la «colomba» nascosta nella roccia, di cui parla il Cantico dei<br />

cantici. 1 A Nazareth Maria vive costantemente con Gesù, in intimità col Verbo<br />

di Dio (XIII asse della sua via). E c’è un salto di qualità rispetto alla corrente<br />

comprensione della vita cristiana. Non si tratta di pregare un’ora al giorno,<br />

e neppure sei o sette. È qualcosa di totalmente diverso. Paolo ne accenna<br />

quando dice: pregate incessantemente. 2 Nei primi secoli del monachesimo vi<br />

furono gli acemeti, il cui ideale era quello di rinunciare anche al sonno, pur di<br />

non interrompere la preghiera. Ma gli acemeti forse non avevano capito proprio<br />

al 100%, perché il salmista dice: anche nel sonno il mio cuore mi istruisce.<br />

3 Gesù qualche volta pregava anche di notte, altre si alzava prestissimo<br />

per pregare; ma normalmente dormiva anche lui. E altrettanto Maria. Tuttavia<br />

anche quando lei dormiva, Gesù le dormiva a poca distanza, sotto lo stesso<br />

tetto. Mt 18, 20 dice: «dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in<br />

1 Cfr CT 2,14. Dal punto di vista della via Mariae Nazareth è importante per alcuni<br />

tratti che emergono da Luca, e anche per qualche altro del tutto plausibile derivabile<br />

da qualche mistica, ecc.<br />

2 1Tess 5, 17.<br />

3 «Invano vi alzate di buon mattino,/ tardi andate a riposare/ e mangiate pane di sudore:/<br />

il Signore ne darà ai suoi amici nel sonno» [Ψ 127, 2]; «anche di notte il mio cuore<br />

mi istruisce» [Ψ 16,7]. Alla lettera sarebbe durante le notti i miei reni mi hanno corretto:<br />

ciò che si può intendere anche in senso metaforico. Infatti i reni purificano, e le purificazioni<br />

spirituali avvengono nelle notti interiori, dove si operano le separazioni dalle<br />

scorie degli affetti e dei giudizi disordinati.<br />

ROBERTO A.M. BERTACCHINI SAPCR 21 (2006) 415-429


416 Roberto A.M. Bertacchini<br />

mezzo a essi». Ciò significa che vivere insieme a Gesù, in intimità con Gesù,<br />

è possibile anche oggi, sotto opportune condizioni. Ma per ora non entro nel<br />

merito di cosa significhi essere riuniti nel nome di Gesù, che è cosa un po’ diversa<br />

da come talvolta s’intende.<br />

Questa intimità ha due note di fondo, senza le quali non si comprenderebbe<br />

la comunione spirituale dell’anima col suo Dio. La prima è la tenerezza.<br />

Quella di una mamma verso il suo piccolo sembra scontata. Invece nella vita<br />

spirituale nulla è ovvio. E, soprattutto, non è scontato trattare Dio con delicatezza<br />

e con tenerezza. Baciare Gesù era facile, baciarne l’anima molto meno.<br />

Ed è qui la delicatezza e il tatto della Vergine, che quando a Gesù lava i piedini<br />

è consapevole che sta adorando il Verbo di Dio, annichilitosi in un bimbetto.<br />

La seconda nota è che Maria si fa cibo di Dio. Lo fa durante la gestazione, dando<br />

a Gesù il proprio sangue; lo fa poi allattandolo; e lo continuerà a fare in Egitto<br />

digiunando per dare a Gesù il necessario. Non si può far crescere Dio in noi<br />

e in mezzo a noi, senza sacrifici e senza tenerezza e delicatezza. Dio tratta Abramo<br />

da amico, perché ne vede la maturità umana e la solidità di cuore e di pensiero.<br />

E altrettanto troviamo in Maria, dove l’ossequio verso il Signore si fonde<br />

nel calore di un affetto delicato e sempre rispettoso.<br />

Questo asse della via Mariae, 4 bisogna ammettere che anche nei santi<br />

lo si ritrova a fatica, almeno come chiara trasparenza mariana. 5 Forse in Madre<br />

Teresa, che in effetti era spinta a trattare i poveri con un affetto orientato<br />

dalla consapevolezza della presenza in loro di Gesù, e anche dalla sensibilità<br />

che partecipa della sofferenza dell’altro, sentendola in sé, e rispondendo consolando.<br />

Probabilmente in Cusmano, che ben comprese la differenza tra beneficenza<br />

e carità cristiana: se il povero non è accolto nella Chiesa come in<br />

una famiglia, e col calore della famiglia, non ci siamo proprio. E per questo<br />

egli arrivava a praticare e chiedere un eroismo che era vero ossequio, perché<br />

ai poveri si dava un trattamento migliore che a se stessi. Macrina fu un’altra<br />

grande, ma visse nel sec. IV, e il popolo cristiano per lo più oggi neppure ne<br />

ricorda il nome.<br />

4 È ancora il primo: quello della douleia sacra, che ora si precisa nel modo.<br />

5 Ciò dipende infatti molto dalla cultura. Il Dizionario Enciclopedico di Spiritualità<br />

(E. ANCILLI ed.), omette la voce ossequio, ritenendo dunque il concetto marginale. Negli<br />

scritti di Loyola il senso dell’ossequio è molto forte, così anche l’invito a una preghiera<br />

intima e affettiva. Tuttavia il riferimento a un archetipo mariano non è evidente. Inversamente<br />

in una spiritualità fortemente mariana, come quella della Lubich, ricorre il tema<br />

della volontà di Dio, ma non l’ossequio come asse ascetico.


Le XXI “spade” della via Mariae 417<br />

Per i dodici anni di Gesù, 6 la famigliola sale al Tempio con particolare<br />

gioia e solennità: Gesù diverrà maggiorenne e gli saranno riconosciuti i diritti<br />

e doveri di un israelita adulto. Tra essi anche quello della emancipazione,<br />

ossia del non dover render conto ai genitori delle sue azioni. È per questo che<br />

resterà nel Tempio a loro insaputa. Ma quando Maria si accorge di averlo perso,<br />

per lei è un colpo: è la dodicesima spada. Spiegare in cosa consista non è<br />

tanto semplice, perché in quel momento Maria fu presa da molte emozioni e<br />

pensieri. Ci fu l’ansia della mamma che non sa dov’è suo figlio, e non le sembra<br />

una cosa normale. Dunque si interroga: perché? Ho fatto qualcosa che non<br />

dovevo? C’è la moglie che vede il marito preoccupato. Infine c’è la «Sposa»<br />

cui viene a mancare lo «Sposo». Ed è propriamente questa la spada: Dio si<br />

sottrae all’intimità con l’anima, senza preavviso e senza apparente motivo. E<br />

in un attimo l’anima passa dalla pienezza all’esser vuota, svuotata del suo Tesoro.<br />

È un buco tanto più terribile quanto maggiore sia la precedente autocomunicazione<br />

divina, la precedente intimità.<br />

La risposta di Maria a questa spada è complessa: per prima cosa torna<br />

indietro. Non è Dio che deve andare da lei, ma lei da Dio. Così si spoglia del<br />

suo essere mamma, ossia propriamente della sua autorità materna. Era stata<br />

necessaria per far crescere Gesù, ma adesso vi è una discontinuità, e Maria<br />

l’accetta. È un momento di buio e di confusione, cui accenna anche il Vaticano<br />

II nella parte finale della Lumen gentium, parlando di peregrinatio fidei (n.<br />

58). «Perché Gesù non mi ha detto?»: questo tormento si fa esame di coscienza,<br />

alla ricerca inutile – e ancor più dolorosa – di qualche sbaglio (non<br />

certo di Gesù). E così è costretta a rivivere più penosamente la propria inadeguatezza.<br />

Non avrebbe mai voluto separarsi da quel Figlio, ma comprende<br />

che quella sarebbe stata solo la prima di molte altre e più dolorose separazioni.<br />

Forse già intuisce, nella sua lungimiranza, che nella sua missione non potrà<br />

seguire il messia. Madre e poi, in un certo senso, messa da parte, come serva<br />

inutile. E Maria di nuovo scende: sono una serva inutile. Uno spasimo. Ma<br />

quando Gesù insegnerà ai suoi discepoli: dopo aver fatto tutto questo, dite:<br />

«Siamo solo servi inutili», 7 pensava alla sua mamma, e indicava la via per<br />

imitarla.<br />

6 Secondo la Valtorta, Hillel riconobbe in Gesù il messia. È dunque plausibile che<br />

si fosse realizzata da poco la profezia della soppressione del regno di Giuda. Dato che essa<br />

avvenne nel 6 d.C., fu probabilmente poco dopo quell’evento che Gesù si rivelò ai dottori<br />

del Tempio, e comunque prima della morte di Hillel (10 d.C.).<br />

7 Lc 17, 10.


418 Roberto A.M. Bertacchini<br />

L’assenza di Gesù – ossia un’assenza non preavvisata – è per Maria la<br />

degradazione da madre di Dio a moglie di Giuseppe. E Maria ingoia e scende,<br />

scende senza fermarsi fino all’abisso. E si sente indegna anche di essere<br />

moglie. Ritiene giusto tutto, il ripudio del Figlio, ed anche quello eventuale<br />

del marito. 8 Serva inutile… e giustamente messa da parte. Don Milani visse<br />

qualcosa di simile, per quasi tutta la vita. De Lubac, gesuita, si trovò più o meno<br />

in questa situazione: il superiore della comunità gli ordinava di andare in<br />

un’altra, distante molte ore di viaggio. E, arrivato lì, gli si ordinava di tornare<br />

indietro. Visse su un treno per oltre un mese. A Padre Pio per anni fu proibito<br />

avere contatti con le persone… Messi da parte. Servi inutili. E Maria come<br />

risponde? Accettando pienamente la «degradazione» a moglie: «Tuo padre<br />

e io, angosciati, ti cercavamo…». 9 S. Paolo, dopo aver ricevuto la visione<br />

che gli cambierà la vita, torna a Tarso a fare il suo mestiere, e vi resterà<br />

sinché Barnaba non si ricorderà di lui e se lo andrà a prendere. 10 Per chi vive<br />

al centro del Vortice divino, esser messo da parte è un colpo tanto più profondo<br />

quanto più intensa sia la fusione in Dio. Sentirsi ripudiati da Dio è semplicemente<br />

terribile. Ma è in quest’inferno che l’anima matura alla virtù della<br />

soavità. E questo (XIV) è l’asse più noto della spiritualità mariana, ancorché<br />

talvolta non ben compreso.<br />

Quella di Maria è infatti una soavità radicale, che si sviluppa a partire da<br />

una piallatura radicale: resa perfetta dalle cose che patì. 11 Non si può comprendere<br />

il senso della piallatura, se non si scende nella vergogna che l’anima<br />

prova. 12 Chi non conosce il disonore non può capire. Ma anche chi lo conosce,<br />

8 Secondo Hillel, si poteva essere ripudiate per molto meno, anche solo per aver cucinato<br />

male… Cfr R. PENNA, L’ ambiente storico-culturale delle origini cristiane, Bologna<br />

1991, p. 42.<br />

9 Lc 2, 48.<br />

10 Cfr Atti 9, 30; 11, 25.<br />

11 Cfr Ebr 5, 8s.<br />

12 La vergogna è il muro di separazione più tremendo. Gesù in croce vive una vergogna<br />

cosmica. Il Padre che non lo riconosce e che ratifica il giudizio dei sacerdoti, è un<br />

«padre» che ripudia il figlio. E Gesù-ripudiato è un Gesù ricoperto della vergogna del ripudio.<br />

Ne segue che nel grido di abbandono Gesù manifesta la propria vergogna. Vergogna<br />

di figlio ripudiato; vergogna di uomo disonorato; vergogna di israelita scomunicato;<br />

vergogna di messia fallito; vergogna di Dio dedivinizzato. Non c’è vergogna umana che<br />

possa paragonarsi alla sua. Persino il santo che improvvisamente si ritrova peccatore, perché<br />

misteriosamente Dio gli sottrae la sua Grazia, e che dall’abisso della vergogna continua<br />

a lodare e a benedire Dio, non prova che in modo infinitamente pallido la vergogna


Le XXI “spade” della via Mariae 419<br />

solo alla lontana comprende cosa significhi sentirsi disonorati da Dio. La vita<br />

diventa un deserto, senza nessuna attrattiva. Tutto è amaro, anche la lode umana,<br />

che si accoglie con sobrietà per non esser scortesi, ma che dentro suona irridente,<br />

inutile, vuota. Il Ripudio divino è la Grande Medicina che trasforma l’anima<br />

docile in sacramento stabile dello Spirito Santo. Maria fu sempre tale sacramento<br />

ma, come Gesù, anche lei cresceva in età sapienza e grazia. 13 Luca,<br />

sobrio nella sua narrazione, ci lascia una traccia del cataclisma che segnò l’anima<br />

della Vergine. Infatti dice che Gesù restò loro sottomesso. 14 Nella stessa vita<br />

dei santi è raro trovare qualcosa del genere. Una delle poche eccezioni potrebbe<br />

essere (forse) Padre Pio. La soavità di Maria prima e dopo la maggiore<br />

età di Gesù sembra la stessa, ma non è più la stessa; e infatti Luca annota: serbava<br />

tutte queste cose nel suo cuore. 15 Maria stava diventando in modo sempre<br />

più profondo sacramento del Padre, che fa sorgere il suo sole sui giusti e sugli<br />

ingiusti. 16 Quando Dio si sottrae in modo violento all’anima, è per renderla quel<br />

sole che egli è, 17 nella notte infinita del peccato. Ecco perché la soavità non è<br />

più la stessa. Perché si è inserita una distanza radicale tra l’anima e il mondo.<br />

S. Agostino in una pagina accenna alla sua solitudine di Vescovo, pur circondato<br />

da tanti amici e da una comunità che lo amava. Eppure avverte che ben pochi<br />

riescono a scendere nell’intimo del suo cuore. La sottomissione di Gesù è<br />

dunque la risposta all’oblazione perfetta di Maria.<br />

di Gesù. Occorre entrare nel mistero della vergogna di Dio, per comprenderne non solo e<br />

non tanto la piccolezza, quanto l’infinità dell’Amore. Per comprendere la via cristiana e il<br />

rapporto fra via, verità e vita. Tutto è infatti chiuso nel sigillo della vergogna. Il sigillo battesimale,<br />

come il sigillo apocalittico non è altro che la vergogna (oggi ne abbiamo perso<br />

un po’ il senso, ma è possibile risalirvi attraverso due tracce: la teologia della discesa agli<br />

inferi e la storiografia della Chiesa antica: emblematico è ad es. il «duello» tra Ambrogio<br />

e la Chiesa di Milano che lo vuole Vescovo). Solo chi vive in modo immacolato la vergogna,<br />

ossia senza giudizio e senza ribellione, grato a Dio della condivisione intima del<br />

destino dei più disgraziati che gli viene concessa, e per i quali sente sgorgare spontaneo<br />

un affetto profondo e senza alterità, solo questi ha realmente fatto propria la via cristiana.<br />

Questi vive realmente la pasqua, il passaggio dalla regione della dissimilitudine al paradiso<br />

della somiglianza. Perché è la vergogna che blocca l’affetto e crea alterità. È la condivisione<br />

della vergogna che ristabilisce l’affetto e la Comunione. Maria fu completamente<br />

avvolta dalla vergogna del Figlio.<br />

13 Lc 2, 52.<br />

14 Lc 2, 51a.<br />

15 Lc 2, 51b.<br />

16 Cfr Mt 5, 45.<br />

17 Cfr Mt 13, 43.


420 Roberto A.M. Bertacchini<br />

A Nazareth Gesù lavorò con Giuseppe, 18 fino alla morte di questi, che<br />

si immagina avvenuta quando Gesù era adulto, nella pienezza della sua forza<br />

fisica. Per Maria fu un dolore, come lo è sempre il distacco da una persona<br />

cara. Ma insieme a esso vi fu la doppia consolazione di saperlo nel seno di<br />

Abramo, 19 e che gli fossero risparmiate le sofferenze connesse alle successive<br />

vicende messianiche. Dopo la morte di Giuseppe, Gesù divenne formalmente<br />

capofamiglia; tuttavia nelle attese dei compaesani Maria conservò sul<br />

Figlio un ascendente, che divenne per lei la tredicesima spada. Gesù era ormai<br />

in età di sposarsi, tutti vedevano che era bravo nel lavoro, onesto, pio. Sarebbe<br />

stato un buon marito… Di fatto andò più o meno così: qualche ebrea<br />

che gli aveva messo gli occhi addosso lo fece capire alla madre, e qualche padre<br />

non ebbe bisogno di imbeccate. Così Gesù era invitato alle feste dove sarebbe<br />

stato possibile scambiare qualche parola con la figlia. Qualche volta andò<br />

per cortesia, ma la cosa non ebbe seguito. Qualche volta declinò l’invito.<br />

Questo comportamento lasciava perplessi, e iniziarono le pressioni su Maria.<br />

In questi casi è facile opporre un rifiuto, se esiste qualche altra candidata<br />

che sia preferita. Ma questo non era il caso e, per non offendere le «pretendenti»,<br />

alla fine fu necessario lasciar trasparire la verità: Gesù non aveva<br />

alcuna intenzione di sposarsi. E a quel punto le pressioni su Maria cambiarono<br />

registro: tuo figlio è tanto religioso, ma la legge e i rabbini invitano tutti a<br />

sposarsi. Devi fargli capire che sta sbagliando, sei sua madre, alla fine… Il<br />

consenso sociale si coagula contro Gesù, e Maria non riesce a fare breccia per<br />

sgretolarlo. Non può. Se lo facesse dovrebbe mettere i nazareni gli uni contro<br />

gli altri, produrre divisione, creare inimicizie. E Maria non ci pensa proprio.<br />

Invece comprende che quel dissenso sociale si ripeterà durante la missione<br />

pubblica. L’accusa di essere una madre debole e troppo accondiscendente è<br />

poca cosa rispetto ai giudizi che sente serpeggiare, e che saranno quelli che<br />

ritroveremo accentuati durante la predicazione. Non dicono ancora che Gesù<br />

è un demonio, ma che è un tipo strano sì, che è senza criterio, sì.<br />

Loro non sanno che stanno giudicando il Verbo di Dio, ma Maria lo sa.<br />

Perciò percepisce con chiarezza l’oggettività del peccato e la sua gravità; e<br />

vede benissimo che vi sono due mentalità destinate a scontrarsi: quella di Dio,<br />

e quella del «buon senso» umano, per non dir peggio. Il miracolo farà brec-<br />

18 Non abbiamo fonti che parlano della vita nascosta di Gesù a Nazareth. Al massimo<br />

si trova qualcosa nelle visioni di qualche mistica (belle alcune pagine della Valtorta).<br />

La parte che segue è dunque particolarmente una ricostruzione senza pretese storiche.<br />

19 Cfr Lc 16, 22.


Le XXI “spade” della via Mariae 421<br />

cia nelle persone semplici, di buon cuore. Ma né il miracolo né la predicazione<br />

potranno scalfire la mentalità mondana, nella sua forma più radicale e patologica.<br />

Ecco il senso della spada, che si coglie solo alla luce della lungimiranza<br />

della Vergine. Tutto quello che riesce a fare è di trattenere dalla parte di<br />

Gesù una parte della parentela più stretta (ma non i capifamiglia). E lo fa<br />

orientando chi poté alla conoscenza della spiritualità essena, o forse anche alla<br />

sequela del Battista, appena ebbe notizia dell’inizio della sua predicazione.<br />

Coloro che si avvicinarono a questa forma di religiosità ebraica non ebbero<br />

bisogno di lunghi discorsi per comprendere l’atteggiamento di Gesù: vedevano<br />

infatti che a Qumran in molti erano celibi, o che lo era il Battista e qualche<br />

suo seguace. Dove vede che c’è ascolto, Maria si limita a raccontare qualcosa<br />

della propria esperienza al Tempio, e degli insegnamenti ricevuti, dei loro<br />

effetti sulla sua anima. In questo modo chi ne raccoglie le parole resta libero,<br />

e decide secondo coscienza.<br />

Ma, tra i pretendenti, vi era anche qualche buon partito, che aveva creduto<br />

bene incentivare Gesù dandogli lavoro, e pagandolo con generosità. E,<br />

in queste cose, lo smacco brucia e sovente si tramuta in atteggiamenti contrari.<br />

Il lavoro divenne più scarso, e alla fine Gesù dovette accettare qualche<br />

commissione che lo tratteneva anche a lungo lontano da Nazareth. Così, in<br />

quei frangenti, alla lontananza di quel Figlio si sommavano nel cuore di Maria<br />

le querele dei delusi: eh, se si fosse sposato adesso avrebbe questo e quest’altro,<br />

e non doveva certo lasciarti sola… Una vera tortura, a cui ella rispondeva<br />

con la soavità del silenzio. E questo è un altro asse (XV) della via<br />

Mariae. 20 Notiamo, infatti, che il silenzio ha molte forme. Può essere duro,<br />

severo, addolorato, o anche soave. Maria ingoia amaro e tace dolce. E lo può<br />

fare, perché pensa: hanno ragione. Tuttavia nel riconoscere le ragioni di chi<br />

accusa suo Figlio, mai si schiera dalla loro parte fino a mettersi contro Gesù:<br />

pensa che hanno ragione, ma non lo dice. Dicendolo li avrebbe confermati<br />

nella loro prospettiva parziale, e non può. Dà loro ragione nel proprio intimo<br />

per difenderli e intercedere per loro, come aveva fatto con Giuseppe; ma tace<br />

per difendere Gesù senza doverli attaccare. E così vive l’impotenza di Dio davanti<br />

al peccato. Ossia la pazienza di Dio Padre. Una pazienza che è assoluta,<br />

proprio perché assoluta la riprovazione sociale: i capi sono tutti contro di<br />

20 Maria incassa, restando soave ai figli. La sua maternità non è solo soavità, ma<br />

anche franchezza che ammonisce, incoraggiamento, consolazione, ecc. Ma dal punto di<br />

vista ascetico l’elemento primo è l’accoglienza eroica dello sgradevole, che farà di lei la<br />

madre dei peccatori.


422 Roberto A.M. Bertacchini<br />

lei. E saranno tutti contro Gesù, durante la sua missione. 21 Non per caso è ancora<br />

Luca che ci narra della chiusura di Nazareth, che poi si propagò anche<br />

altrove, probabilmente attraverso la rete farisaica.<br />

Dal punto di vista della via Mariae, anche tutto questo pesa, perché la<br />

Vergine fu la prima a comprendere come stavano le cose, e ben si guardò dall’impancarsi<br />

in una funzione non sua: piuttosto sta un passo indietro. Maria<br />

spesso comprende che nell’occhio altrui vi è qualche bruscolo, ma per prima<br />

cosa pensa: Gesù ci vede meglio di me. E dunque non prende iniziative, ma cerca<br />

di rafforzare l’azione di Gesù, o di portare le persone a contatto con lui. Dare<br />

un nome a questo atteggiamento spirituale non è facile: è certamente sequela;<br />

è cristocentrismo; è anche equilibrio, che procede da una corretta comprensione<br />

della propria missione in rapporto a quelle altrui. E come Maria non prevarica<br />

Gesù, similmente non prevaricherà Pietro, né Giovanni o altri. Si potrebbe<br />

quasi dire che Maria è maestra nello star ferma. È un paradosso, come si<br />

vede dalla visita a Elisabetta, dalla fuga in Egitto, ecc. Ma è la sua anima che<br />

spontaneamente è inclinata a ritirarsi, a far spazio, al passo indietro. E questo lo<br />

vedremo meglio appresso, considerando l’episodio di Cana, dove per una volta<br />

ella esercita una certa autorità. Ma a modo suo, con tenerezza materna.<br />

Tuttavia Maria comprende la missione di Gesù soprattutto nella prospettiva<br />

fallimentare determinata dal convergente volere dello Spirito e della libertà<br />

peccatrice e inaccogliente la grazia. E questa comprensione si traduce<br />

nella radicalità della sua immolazione. Come Gesù, ella prega, soffre, ama,<br />

spera. L’eroismo della speranza mariana non si comprende se non in tale prospettiva<br />

tragica. Maria spera e si affida, ma trafitta. Ella comprende che vi è<br />

una sola giustizia: quella che rende giusti. E che per rendere giusti i peccatori<br />

ostinati una sola via è possibile: l’immolazione alla loro follia. 22 Infatti non<br />

credono all’amore. 23 E chi non crede all’amore, neppure può accogliere<br />

un’ammonizione, un consiglio: e meno che mai un’ispirazione angelica. Ha bisogno<br />

del sangue, della tragedia consumata per svegliarsi dal suo delirio, per<br />

rimanere toccato interiormente e convertirsi. Maria lo sa. E anche la Chiesa<br />

21 Con rare eccezioni: Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea e forse Gamaliele, che però<br />

non si mise di traverso, come farà invece dopo la Risurrezione, e con peso (cfr Atti 5,<br />

34ss). Egli cioè non fu contro, ma neppure a favore.<br />

22 Invece il nostro cuore vorrebbe il lieto fine, e talvolta una giustizia che non è tutta<br />

sbagliata, ma che ha il fiato corto della scarsa magnanimità, quando non l’asma della<br />

grettezza.<br />

23 Cfr 2Tess 2, 10 e per opposizione 1Gv 4, 16.


Le XXI “spade” della via Mariae 423<br />

apostolica lo aveva altrettanto ben compreso. Da qui l’efficacia della sua penetrazione<br />

evangelizzatrice. 24<br />

La missione pubblica<br />

In questo tempo la tredicesima ferita, soprattutto in qualche circostanza,<br />

si farà più pesante: la missione pubblica fu occasione di trepidazione, di<br />

sofferenze, di gioie, e anche di altre spade, concentrate particolarmente nella<br />

passione. Tuttavia il Nuovo Testamento ci lascia già prima altre tracce della<br />

via Mariae, che è utile raccogliere. Del distacco da Nazareth non parla, ma è<br />

implicito. Non fu il primo, e non ebbe l’inaspettato della dodicesima spada,<br />

ma fu comunque non meno lacerante. Questa volta al perdere Dio per Dio,<br />

nell’accettazione della Sua volontà, si aggiunge la trepidazione della precarietà<br />

e la certezza che la missione sarà per il Figlio più occasione di pianto che<br />

di gioia, come egli stesso dirà (altri è colui che semina… altri chi miete). 25 Si<br />

aggiunge il senso di una definitività dolorosa, di una discontinuità: comunque<br />

non sarà più come prima. Gesù non sarà più tutto per lei, e lei non potrà più<br />

essere tutta per Gesù, almeno in quel modo in cui lo era stata nell’intimità della<br />

sua vita nascosta. Ci saranno i discepoli, e ci saranno gli avversari. E qui la<br />

dodicesima e la tredicesima spada si fondono, si uniscono nel rinnovare più<br />

acutamente la ferita dell’Amore impotente, cui ella risponde – come sempre –<br />

rifugiandosi nella propria douleia sacra: la schiava compiace e basta. Maria<br />

vorrebbe, ma non può. Vorrebbe essergli vicino, e deve rimanere a Nazareth;<br />

vorrebbe poterlo sostenere economicamente, ma è povera; vorrebbe dargli appoggio<br />

sociale, ma la sua rete di relazioni è insignificante; vorrebbe dargli appoggio<br />

politico, ma a Gerusalemme ci sono i Romani e lei è solo una povera<br />

e disprezzata ebrea. Deve lasciare il Verbo-di-Dio-incarnato nella sua solitudine<br />

umano-divina. Una solitudine che le torna addosso trafiggendola di rimbalzo,<br />

sicché lasciandolo si sforza di reprimere il pianto e di sorridere, ma c’è<br />

un tremore lieve che non può soffocare. Gesù ne resta ferito, e insieme sente<br />

24 Attualizzando dobbiamo riconoscere che mai abbiamo avuto tanti martiri cristiani<br />

come nel sec. XX (si pensi al genocidio armeno, che ne fu solo una parte). Eppure<br />

il loro sangue non ha ottenuto ciò che ottenne il sangue antico. Perché? Certo non è lo stesso<br />

essere in grazia, ed essere fonte di grazia. I primi martiri erano sale della terra, ossia<br />

fonte di grazia. Ma qui si aprirebbero questioni di teologia pastorale troppo complesse per<br />

poter essere anche solo accennate.<br />

25 Cfr Ψ 126, 5s; Gv 4, 36ss.


424 Roberto A.M. Bertacchini<br />

tutto l’amore della mamma, di quella mamma che deve lasciare per noi… Ma<br />

nelle troppo lunghe ore di quella casa vuota, Maria contemplò il mistero del<br />

Padre, e del suo troppo vuoto paradiso, che Gesù voleva riempire (vado a preparare<br />

dei posti per voi… dirà alla fine). 26 Sente in sé la ferita di quel vuoto,<br />

tanto più immenso, e aumenta ancora l’affetto della propria preghiera.<br />

Delle tentazioni nel deserto ci parla la Fonte Q, ripresa da Luca e Matteo.<br />

Ma alle tentazioni non erano presenti i discepoli. Che Gesù ne abbia raccontato<br />

in un momento di intimità è possibile, ma improbabile per due motivi:<br />

sul piano letterario manca Gesù narratore. Perché? Sul piano spirituale,<br />

Gesù che narra una propria vittoria sembra un Gesù che si vanta: non è da lui.<br />

Infine la Fonte Q è ripresa da Luca e Matteo secondo due piccole varianti. Ciò<br />

lascia pensare a una tradizione orale, che tuttavia dovette avere una fonte autorevolissima,<br />

per essere accolta subito dalla Chiesa. Uno scenario plausibile<br />

è che Maria abbia misticamente sentito nella preghiera ciò che Gesù viveva, 27<br />

ragion per cui sarebbe la redazione lucana quella più fedele alla catechesi mariana.<br />

28 E prima ella sente la fame del suo digiuno, e poi il confronto terribile<br />

con Satana. E questa fu la quattordicesima spada. Due sono le sue note<br />

principali: la perfidia, e la predizione della croce, ossia del fallimento della<br />

predicazione messianica.<br />

Una perfidia che già si annuncia nei «se»: se sei Figlio di Dio = «Io non<br />

ti credo e ti sfido». Già questo è brutto, perché tenta di far leva sull’orgoglio.<br />

Poi c’è la seconda parte: dì a questa pietra che diventi pane = usa del tuo potere<br />

divino a tuo favore. E Gesù vince rifiutando la sfida e contrattaccando:<br />

sei tu che hai fame, perché denutrito della Parola di Dio. A questo punto Satana<br />

attacca il messia: vuoi essere il Re della terra? Ti aiuto: adorami! Cioè:<br />

metti la tua missione più in alto di Dio. Questo è un punto che per lo più sfugge.<br />

29 Invece Gesù risponde: piuttosto di alterare l’ordine soprannaturale, preferisco<br />

perdere. Il terzo assalto è infine il più tremendo, perché questa volta<br />

Satana usa la stessa parola di Dio, facendosi teologo: sta scritto… Natural-<br />

26 Cfr Gv 14, 2s.<br />

27 Nei mistici si trovano cose di questo genere. Per es. sono noti fenomeni di bilocazione,<br />

o anche di conoscenza interiore dei pensieri altrui. Se questi doni si ritrovano in<br />

alcuni santi, pensare che Maria non ne abbia partecipato è arduo.<br />

28 Cfr Lc 4, 1-13.<br />

29 È ciò che in un certo senso capitò a Mosè, quando uccise l’egiziano: aveva colto<br />

il senso generale della propria chiamata, ma non ancora l’ordine delle cose, che si chiarirà<br />

nell’esperienza mistica.


Le XXI “spade” della via Mariae 425<br />

mente non riesce a ingannare Gesù, ma la sconfitta ne aumenta il livore in una<br />

minaccia che è appena accennata nella redazione lucana: si allontanò fino al<br />

tempo opportuno. 30 E qui Maria per la prima volta ha veramente paura. 31 C’è<br />

la paura della mamma per il figlio, c’è la paura di fronte a una minaccia cosmica,<br />

irreversibile; e – soprattutto – c’è la paura indotta dall’interferenza di<br />

satana sull’attenzione di Gesù. 32<br />

Molto acutamente il prologo giovanneo – anche questo probabile sedimento<br />

delle catechesi mariane – esordisce dicendo che il Verbo era pròs tòn<br />

theón. E cioè la sua attenzione era rivolta al Padre. Satana tenta esattamente<br />

questo: di distogliere l’attenzione di Gesù dalla persona del Padre. È uno<br />

schermo opaco, che Gesù supera con la fede. Ma Maria, seguendo misticamente<br />

l’attenzione di Gesù, si trova improvvisamente davanti a un orrore inaspettato:<br />

l’oscuramento del contatto interiore col Padre. E questo per un verso<br />

la spaventa nel presentimento della battaglia finale, ma soprattutto per la<br />

chiara percezione dell’orrore infernale. È dunque qualcosa di diverso dall’esperienza<br />

della perdita di Gesù nel tempio, dove era mancato questo elemento.<br />

Ma siccome l’attenzione di Maria è misticamente fusa con quella di Gesù<br />

– XVI asse della sua spiritualità –, il superamento dello scoglio avviene già<br />

con la risposta: Non tenterai il Signore Dio tuo, dove l’attenzione torna tranquilla<br />

pròs tòn theón.<br />

Alle nozze di Cana abbiamo altri elementi chiari. E il primo è la fusione<br />

tra carità umana e interesse messianico per l’avvento del Regno. Questo<br />

asse (XVII) della spiritualità mariana non sempre è intimamente capito e vissuto,<br />

perché non sempre si coglie in Maria la virtù della vigilanza. Secondo<br />

la Valtorta, quando Maria allattava Gesù, avvenne che una donna che aveva<br />

da poco partorito non potesse allattare, e il suo bimbo stesse morendo. Maria<br />

non ci pensò due volte e lo allattò lei. In quel caso vi era un’urgenza, e il Regno<br />

lo si predicava più coi fatti che con le parole. Gesù era appena nato, e bi-<br />

30 Lc 4, 13.<br />

31 Non ebbe paura quando vide Giuseppe rabbuiarsi? Timore senz’altro, ma paura<br />

forse no. In Maria solo il diabolico produce propriamente paura. E in quel caso esso restò<br />

probabilmente schermato dalla lotta di Giuseppe, che ella ben vide, e a causa della quale<br />

egli si meritò l’epiteto di giusto.<br />

32 L’arte contemplativa sale sempre a Dio. Dare attenzione a Gesù era per Maria essere<br />

in una fortezza protetta, inattaccabile. Ma nel momento in cui l’attenzione di Gesù<br />

deve confrontarsi con Satana, Maria, dando attenzione all’attenzione di Gesù si trova davanti<br />

l’avversario. Ecco il punto.


426 Roberto A.M. Bertacchini<br />

sognava accontentarsi. Ma nel momento in cui ha inizio la missione, subito<br />

Maria cambia registro. Soprattutto nel Vangelo di Marco questo avverbio ricorre<br />

molte volte, e dovrebbe far riflettere sul suo valore ascetico (prontezza<br />

e tempestività). C’è un problema e Maria lo vede: manca il vino, forse anche<br />

perché i commensali sono più di quelli previsti. E, in simili casi, la soluzione<br />

più ovvia e semplice sarebbe stata di chiederne in prestito da qualche vicino.<br />

Invece Maria si rivolge a Gesù. Se non avessimo le battute giovannee del dialogo,<br />

potremmo pensare che è un modo di dargli onore e responsabilità, come<br />

si sarebbe fatto col maestro di banchetto, che poi avrebbe provveduto. Ma<br />

Gesù risponde: «Cosa a me e a te o donna?». Il latino e il greco hanno due dativi<br />

di vantaggio, come se vi fosse un verbo sottinteso: cosa interessa a me e<br />

a te? Dunque Gesù riconosce che vi è un interesse comune, che appunto è<br />

quello del Regno; e infatti, a sottolineare quanto ben avesse capito sua Madre,<br />

aggiunge: «Non è ancora venuta la mia ora». 33 Gli era chiaro che gli stava<br />

chiedendo di comportarsi da Dio, di togliersi le frasche di dosso e rivelarsi.<br />

Gesù la scoraggia? Difficile dirlo, perché può essere che nel rispondere<br />

le abbia sorriso, e Maria abbia compreso che si trattava solo di una schermaglia,<br />

di una provocazione per lasciare a lei l’iniziativa. E a questo punto Maria<br />

si rivolge ai diakonoi, e invece di dare un ordine dice loro: ciò che vi dirà<br />

fatelo. 34 L’imperativo c’è, e pure in greco. Ma la costruzione della frase ha il<br />

senso di un invito, perché Gesù avrebbe anche potuto non dire nulla. Quindi<br />

Maria invece di dare un comando in senso proprio, orienta i diakonoi nella loro<br />

missione: essere al servizio del messia, in attesa della sua parola, pronti a<br />

darle compimento. Torna l’asse pedagogico-transitivo che già si è visto, ma<br />

precisato in senso ecclesiale. Maria orienta i diakonoi del banchetto, ma Giovanni<br />

riporta l’episodio perché siano i diaconi della Chiesa a imparare, come<br />

lui imparò da Maria. D’altra parte l’episodio conferma la grande intimità spirituale<br />

e sintonia tra Maria e Gesù. Quell’intimità e sintonia che va molto oltre<br />

la conoscenza dei prodigi divini, e che si era sviluppata in un crescendo<br />

continuo, dalle estasi nel Tempio prima, alla vita di Nazareth poi. Ma ad essa<br />

già si è accennato.<br />

La quindicesima spada arriva a Nazareth. Luca è molto fine, perché dopo<br />

aver parlato delle tentazioni, annota sobriamente: «la sua fama si sparse»<br />

ed egli insegnava «glorificato da tutti». 35 Gesù è dunque un uomo di succes-<br />

33 Gv 2, 4.<br />

34 Gv 2, 5.<br />

35 Lc 4, 14s.


Le XXI “spade” della via Mariae 427<br />

so, ma questo lo si liquida in due righe: non è qui il Vangelo. Esso comincia<br />

invece nell’insuccesso, ossia con la predicazione a Nazareth. E qui, sicuramente<br />

alla presenza anche di Maria, Gesù dice: nessuno è profeta in patria. 36<br />

Questa la spada, anch’essa complessa, che la ferisce con raffinatezza, e che<br />

proprio attraverso Luca possiamo ricostruire almeno in parte. Si è detto che<br />

Gesù a Nazareth non era ben visto dai notabili, ma questo prima dell’inizio<br />

della sua missione. In verità, quando ritorna, la fama dei prodigi compiuti altrove<br />

lo aveva preceduto, tanto che sarà motivo di rimprovero. 37 Si poteva<br />

dunque almeno sperare che le mutate circostanze avrebbero indotto un diverso<br />

atteggiamento dei suoi compaesani. In cuor suo questo Maria orante chiedeva<br />

al Padre: ma tale grazia non fu accordata, e ciò la ferì certo in molti modi.<br />

Dobbiamo infatti pensare che la preghiera di Maria fosse ordinariamente<br />

accolta, e che dunque ella si sia fatta scrupolo di non aver chiesto nel modo<br />

giusto, o la cosa giusta. 38 Il rifiuto è sempre un trauma, e per Maria il no del<br />

Padre lo era in modo per noi difficile anche da immaginare, perché il nostro<br />

amor di Dio è purtroppo ben lontano dal suo.<br />

In più, la fama di Gesù è occasione di un maggior indurimento dei nazareni,<br />

tanto che pensano di ucciderlo. Maria sente tutto questo in sé, e comprende<br />

che tale durezza la separa da Gesù, al di là di ciò che entrambi avrebbero<br />

desiderato: toglie lei a lui e lui a lei. Comunque egli avrebbe lasciato Nazareth,<br />

ma forse il giorno seguente o anche dopo. Invece è costretto a partire<br />

senza neppure il viatico della mamma. E qui è tentata di rispondere all’indurimento<br />

con durezza, ma capisce che avrebbe solo danneggiato il Signore, e<br />

si trattiene. Continua ad amare e servire i compaesani nel sangue di tale ferita.<br />

Tuttavia, come detto, la spada trafiggente è nelle parole di Gesù, che in effetti<br />

sono per lei, sono risposta alla sua domanda sulla preghiera inesaudita.<br />

L’intenzione del Figlio è di rassicurarla: non è colpa tua. Ma al tempo stesso<br />

le dischiudono scenari inaspettati. Nessuno è profeta in patria… la prima co-<br />

36 Lc 4, 24.<br />

37 Lo si deduce da Lc 4, 23: Gesù esplicita il rimprovero che legge nei cuori degli<br />

astanti.<br />

38 «Non avete, perché non chiedete. Chiedete e non ricevete, perché chiedete male»<br />

[Gc 4, 3s]. Indubbiamente spesso la preghiera fallisce per le ragioni addotte dall’Apostolo;<br />

ed è certo che il Padre desideri farci toccare la sua vicinanza, esaudendo i nostri<br />

desideri. Ma talvolta proprio lo Spirito spinge a chiedere ciò che non può essere concesso,<br />

almeno a breve termine. E Dio si compiace massimamente di una tale preghiera, che<br />

è assolutamente perfetta, perché pura espressione di giustizia ubbidiente. È qui che si condivide<br />

con Dio la tragedia del peccato, del no umano a Dio.


428 Roberto A.M. Bertacchini<br />

sa che Maria intuisce è la tragedia, è la spada di Simeone che si arroventa nel<br />

suo cuore. E qui può essere utile una riflessione.<br />

La «patria» connota sempre una socialità «locale», limitata. È un noi<br />

contrapposto a un loro. E che nessuno possa essere profeta in patria, deriva<br />

dal fatto che la profezia è sempre un invito a uscire dalla località verso l’universale.<br />

Maria comprende il messaggio di Gesù, e vi aderisce aprendo il proprio<br />

cuore alla cattolicità. Ma questo asse (XVIII) della sua spiritualità ha come<br />

contrappunto il rifiuto della grettezza locale, che è rifiuto di un figlio (Gesù<br />

nazareno), di un amico (Gesù uomo), del messia (Gesù figlio di Davide),<br />

di Dio (Gesù Verbo). Maria capisce che Nazareth è solo l’emblema di mille e<br />

mille chiusure che nella Storia si opporranno a Gesù. E con tale spada nel<br />

cuore va oltre, secondo l’invito del Figlio. È in questo andare oltre assoluto<br />

che Maria anticipa la presenza in terra della Gerusalemme celeste. La spada<br />

ha tagliato il cordone ombelicale di un’appartenenza (al popolo eletto) che ancora<br />

coesisteva all’appartenere a Dio, e fin qui ne era stato il mezzo. Ma adesso<br />

Dio le chiede di più, e Maria sanguinante aderisce.<br />

Marco, con molto garbo, ci dà traccia anche di un altro episodio che certo<br />

ferì a fondo la Vergine. Gesù guarisce un lebbroso toccandolo, poi lo invita<br />

a presentarsi al sacerdote, tacendo però ad altri l’episodio. Viceversa questi<br />

strepitò la notizia a tutti, e Marco annota che così facendo costrinse Gesù<br />

a rimanere in luoghi deserti, senza entrare nei villaggi. Luca ricordando l’episodio<br />

sottolinea che Gesù nel deserto pregava; ma l’intenzione narrativa di<br />

Marco è ben diversa: egli allude al fatto che toccare un lebbroso rendeva impuri,<br />

per cui, saputolo, i notabili scansavano Gesù e gli impedivano di entrare<br />

in città, mentre il popolo accorreva comunque a lui. La notizia arrivò presto<br />

anche a Maria, perché il fatto secondo Marco e Matteo avvenne in Galilea.<br />

E Maria sentì in sé, rinnovata in Gesù, la ferita del proprio allontanamento<br />

dal Tempio. Prima giudicata impura la madre, adesso il Verbo di Dio.<br />

Cosa avrà pensato nel suo cuore? Gesù poteva guarire il lebbroso anche senza<br />

toccarlo, ma guarirlo non gli basta: sente affetto per questo intoccabile, e<br />

lo tocca in un atto di solidarietà umanissimo e divino. Il contatto: questo sacramento<br />

così importante dell’affetto, che in Gesù è sacramento dello Spirito<br />

Santo. Il Signore sapeva bene che così facendo trasgrediva la legge, ma lo<br />

slancio prevale sul calcolo della ragione.<br />

Maria vede dunque in Gesù la propria stessa trasgressività, e riflette che<br />

tanta libertà derivava anche dal modo in cui da bambino lo aveva educato. Mai<br />

gli aveva creato sensi di colpa dandogli l’impressione di ritenerlo impuro per<br />

qualche motivo. Se era impolverato lo lavava, e dunque proprio la polvere del-


Le XXI “spade” della via Mariae 429<br />

la strada era occasione del contatto affettuoso. Lo stesso il contatto di Gesù col<br />

lebbroso. L’idea di Maria era che la purezza fosse una questione interiore, come<br />

le avevano confermato gli angeli in molte visioni. E quest’idea aveva trasmesso<br />

a Gesù bambino. Adesso si accorge che vi sono due mondi destinati a<br />

scontrarsi, due modi di intendere la religiosità ebraica del tutto diversi. E in questo<br />

scontro Gesù è formalmente dalla parte del torto. Nella sua chiaroveggenza<br />

Maria comprende molto bene il punto: la purezza è negli occhi di chi guarda<br />

e mai così adamantina come negli occhi di Dio. Ma l’idea corrente è diversa.<br />

Così Maria è costretta ad accettare il conflitto apostolico nella sua radicalità<br />

e strutturalità. Non cercherà mai lo scontro, ma aderisce al giudizio di Gesù:<br />

«non sono venuto a portare la pace, ma la spada». 39 E accettare il conflitto è accettare<br />

la lacerazione permanente del cuore, asse intimo della sua spiritualità. 40<br />

Altra ferita non da poco sarà sapere Gesù deriso, e persino accusato di essere<br />

un demonio. 41 Qualsiasi madre si sentirebbe trafitta, ma Maria era ben consapevole<br />

madre del Verbo: siamo a un altro livello. Non sente solo irrispettosità,<br />

o l’anticarità che diffama: sente l’empietà che chiama demonio Dio, il satanismo<br />

che disconosce in Dio l’Amore. Sente cioè la presenza del nemico dell’uomo<br />

che sta conducendo la sua battaglia contro Dio, e che non smetterà nel<br />

suo dannato intento. Non si prenderà pause di sorta, ma in ogni modo studierà<br />

di penetrare nei cuori fino alla guerra conclusiva. Questa ferita è un rinnovarsi<br />

attualizzato della quattordicesima spada: la perfidia; ed è alla luce di questa ferita<br />

che occorrerà considerare a fondo la maternità spirituale di Maria.<br />

THE XXI “SWORDS” OF THE VIA MARIAE<br />

A NEW READING OF ITS SPIRITUAL ITINERARY<br />

By Roberto A. M. Bertacchini<br />

(continua)<br />

This is the second part of the article begun in SapCr 21 (2006), 291-312.<br />

39 Mt 10, 34; e Lc 12, 51 precisa che tale spada è la divisione.<br />

40 Se si vuole è l'asse degli assi, ossia qualcosa di così profondo da essere in rapporto<br />

a ogni singola spada. Per questo si può considerare fuori categoria, anche se - propriamente<br />

- è ancora l'asse sacerdotale che torna.<br />

41 Cfr Mt 9, 24 e Mc 3, 22.


430 Roberto A.M. Bertacchini


Salvezza e culture 431<br />

Senza limite<br />

di ELISABETTA VALGIUSTI<br />

Borat: insegnamenti culturali dell’America a beneficio<br />

del glorioso popolo del Kazakhstan. Questo è il titolo del film<br />

comico di Sacha Baron Cohen uscito recentemente nelle sale<br />

americane e inglesi. È un film provocatorio che suscita allo stesso<br />

tempo ilarità e irritazione tanto è oltraggioso e provocatorio.<br />

È una satira divertentissima ma estremamente dolorosa. Borat-<br />

Cohen è un clown innocente e perfido. Il film è uno shock irresistibile<br />

ma molto, molto sconsigliabile.<br />

Questo genere di film, indirizzato specialmente ai giovanissimi,<br />

ci chiama a prendere coscienza della cultura in cui viviamo<br />

e a domandarci seriamente come reagire.<br />

Il film Borat è uscito nelle sale americane a novembre ottenendo un risultato<br />

strepitoso al botteghino. Il film ha suscitato molte polemiche riguardanti l’estrema<br />

volgarità del linguaggio e delle scene, l’ utilizzo ignobile del Kazakhstan<br />

come presunta patria di Borat, il ridicolizzare vari stereotipi americani.<br />

Cominciamo da Borat. È un giornalista televisivo del Kazakhstan che<br />

all’inizio del film ci illustra con grande orgoglio il villaggio in cui vive, la sua<br />

famiglia, i vicini, i costumi del luogo. È una descrizione raccapricciante, vergognosa,<br />

che provoca un’ilarità demenziale nonostante la repulsione che si<br />

prova. Una repulsione di tipo culturale perché ci si vergogna a ridere di una<br />

situazione tanto disgraziata e bifolca tanto più se associata all’idea di un paese,<br />

un popolo, che in ogni caso Borat definisce grandioso.<br />

Lo stesso Borat è un’assurdità indescrivibile. Si esprime con un linguaggio<br />

oltre ogni decenza, fa il verso agli occidentali nei vestiti e nei modi,<br />

si crede uno che conosce il mondo. Infatti, sta partendo per un viaggio di lavoro<br />

con il suo orribile produttore Azamat, destinazione New York. Scopo del<br />

viaggio è realizzare un documentario per far conoscere la cultura americana<br />

ai connazionali nella speranza che li stimoli a un cambiamento.<br />

A New York, Borat si comporta come un selvaggio seminando scandalo<br />

ovunque. È anti-semita, sessista, razzista, scurrile, feticista, logorroico, esibizionista.<br />

ELISABETTA VALGIUSTI SAPCR 21 (2006) 431-434


432 Elisabetta Valgiusti<br />

Riesce a intervistare alcune personalità creando situazioni vergognose.<br />

Scandalizza le rappresentanti di un’associazione femminista con una frase del<br />

tipo “ In Kazakhstan teniamo le donne dentro le gabbie e diciamo: Dio, uomo,<br />

cavallo, cane. E poi donna e ratto.” Si può immaginare la reazione delle donne.<br />

La cosa straordinaria è che Borat è l’unico attore del film. Quasi tutti gli<br />

altri personaggi sono persone vere che gli hanno concesso un’intervista o lo hanno<br />

invitato credendolo effettivamente un giornalista con la sua troupe al seguito.<br />

Quindi, il film utilizza in buona parte l’effetto della candid-camera per creare situazioni<br />

paradossali in cui inserire misfatti indescrivibili. Borat provoca scene di<br />

delirio socio-culturale sfruttando ad arte pregiudizi di ogni genere che suscitano<br />

consensi o conflitti ma il tutto rimane oltraggioso. Per lo spettatore può diventare<br />

faticoso da sopportare. Ma altrettanto difficilmente può evitare di essere travolto<br />

dalla comicità irrefrenabile di battute, situazioni, facce, azioni.<br />

Borat è Sacha Baron Cohen, famoso attore inglese del programma comico<br />

Da Ali G Show, pluri-premiato (Bafta Awards and Mtv), amatissimo in<br />

Inghilterra.<br />

Cohen non è semplicemente un protagonista ma è il film in sé. Durante<br />

le riprese, più volte Cohen ha affrontato situazioni rischiose continuando a<br />

comportarsi come se lui fosse veramente Borat. Riferiscono sia successo anche<br />

con alcuni agenti federali insospettiti dal trambusto che il passaggio della<br />

troupe provocava.<br />

Torniamo alla trama. A New York, Borat riceve la notizia della morte della<br />

moglie. È felicissimo. Decide di continuare il viaggio fino a Los Angeles per<br />

conoscere Pamela, la donna più bella del mondo, un’attrice di cui si è innamorato<br />

vedendola in televisione. Il viaggio via terra per Los Angeles diventa una<br />

galleria di stereotipi americani da stravolgere, una descrizione impietosa e violentemente<br />

sbilanciata delle differenze culturali americane. Borat incontra gente<br />

di ogni genere, partecipa a un rodeo, a una celebrazione religiosa, a una cena<br />

in una casa borghese dove invita una prostituta a raggiungerlo, si fa ospitare<br />

nel camper di un gruppo di alcoolisti, balla con un gruppo di giovani di colore.<br />

Dappertutto, crea sconcerto e incidenti, perde tutto (compresa la gallina che teneva<br />

in valigia), fino a raggiungere la mitica Pamela a Los Angeles.<br />

Pamela è una vera star. Borat decide di farle la proposta di matrimonio<br />

secondo lo stile classico del Kazakhstan. Così, si reca al negozio dove sa che<br />

Pamela incontrerà i suoi fans e tenta con la forza di infilarla in un sacco e rapirla.<br />

Pamela fugge come nei film che è solita interpretare e Borat la insegue<br />

ma viene bloccato e malmenato dalle guardie del corpo di Pamela.<br />

Quell’idiota di Borat sembra finalmente prendere coscienza: non ha capito<br />

niente dell’America. Decide che è tempo di tornare a casa ma è molto triste.<br />

Prima di partire va a salutare la prostituta che aveva conosciuto e con la


Senza limite 433<br />

quale si era comportato come un vero gentleman. In Kazakhstan viene accolto<br />

con grandi feste insieme alla nuova moglie americana. Non si possono<br />

riportare alcuni dettagli di questa ultima vicenda tanto sono allucinanti.<br />

È con grande titubanza che abbiamo osato scrivere di questo film. Effettivamente,<br />

il film sconfina continuamente nell’oltraggio ma è talmente folle<br />

ed esilarante, il gioco è talmente scoperto e trasgressivo, che non si può non<br />

ridere e riderne. Non possiamo invitarvi ad andarlo a vedere perché potreste<br />

esserne disgustati ma è un fenomeno che va commentato.<br />

Sappiamo che il cinema internazionale è ormai un prodotto rivolto quasi<br />

esclusivamente ai giovanissimi. Quindi, funzionano film dai contenuti fiabeschi,<br />

avventurosi, fumettistici, horror, violenti. Negli ultimi anni, anche la commedia<br />

volgare ha riscosso notevole successo raggiungendo anche il pubblico<br />

più adulto. Borat è l’apoteosi di questo genere ma supera ogni limite, è molto<br />

sovversivo perché stravolge tutte le categorie del politicamente/socialmente/<br />

culturalmente corretto e, allo stesso tempo, si rende interessante perché annulla<br />

le barriere tanto è eccessivo, liberando da qualsiasi pregiudizio, da qualsiasi valutazione.<br />

Lo scopo di Borat è far ridere e, quindi, spiazzare all’infinito le convenzioni<br />

prendendosi gioco di tutto senza risparmiare niente e nessuno. Borat è<br />

una maschera impietosa e violenta che pretende il tuo riso e sa come ottenerlo.<br />

Purtroppo, il divertimento non basta a dare una struttura consistente al film che<br />

a tratti rivela tutti i suoi limiti, specialmente la ripetitività e la meccanicità degli<br />

avvenimenti. Inoltre, diventa noioso il continuo accumulo di anti-americanismo<br />

che sfrutta tutti i cliché noti e questo aspetto rivela una tendenza ideologica<br />

che stona un po’ con l’idiozia di Borat ma che gli torna utile in chiave satirica.<br />

L’ignoranza innocente e il buon cuore dello straniero kazacheno sono<br />

strumenti usati per mitigare l’amoralità del linguaggio e di certi atteggiamenti.<br />

Comunque, Borat è un esempio pessimo per i giovanissimi<br />

Borat-Cohen potrebbe essere uno che non si è fatto scrupoli per arrivare<br />

al successo ma è un genio creativo che va osservato nella sua evoluzione<br />

artistica sperando che trovi una chiave più dignitosa per le sue interpretazioni<br />

comiche.<br />

Va detto che Cohen è intellettualmente molto brillante. Così ha risposto<br />

alle più o meno presunte critiche del governo del Kazakhstan: “ Mi sono sentito<br />

in una strana situazione quando il governo del Kazakhstan mi ha dichiarato<br />

il suo nemico pubblico numero uno. Come si fa a credere che esista un paese<br />

dove gli omosessuali indossano cappelli blu e le donne vivono in gabbia…?”.<br />

Riguardo alle accuse di anti-semitismo, risponde :“ Borat funziona come<br />

uno strumento, essendo lui un anti-semita, fa sì che la gente abbassi la<br />

guardia e renda palese il suo pregiudizio, cioè se è anti-semitismo o se è accettazione<br />

dell’antisemitismo…”.


434 Elisabetta Valgiusti<br />

Cohen è un ebreo osservante, si è laureato in storia a Cambridge. Non<br />

si sa molto di lui che rilascia interviste solo interpretando il suo personaggio.<br />

Molte polemiche sul film sono state probabilmente stimolate anche da<br />

notizie combinate ad arte sui vari siti internet dedicati al film e riprese dai<br />

giornali. È evidente che siano vere alcune proteste del governo del Kazakhstan,<br />

di associazioni ebree, etc.<br />

Riportiamo qualche notizia sperando siano vere:<br />

Dariga Nazarbayeva, donna politica e figlia del Presidente del Kazakhstan<br />

Nursultan Nazarbayev, ha affermato: “ Non dovremmo temere l’umorismo<br />

e non dovremmo tentare di tenere sotto controllo qualsiasi cosa (riferendosi<br />

alla chiusura forzata del primo sito web del film operato dal governo).<br />

Il centro europeo di ricerche che si occupa della discriminazione degli<br />

zingari Rom e Sinti, ha denunciato il film per diffamazione e per incitamento<br />

alla violenza contro il gruppo etnico.<br />

Due gruppi di uomini ripresi nel film hanno presentato una denuncia<br />

contro il film per frode, recessione dal contratto, falsificazione del diritto comune,<br />

appropriazione di sembianze, danno emotivo.<br />

Una signora che aveva invitato a cena Borat e permesso le riprese della<br />

cena ha chiesto come risarcimento-danni una percentuale sugli incassi.<br />

La troupe del film era composta di otto persone che si sono anche occupate<br />

della sicurezza di Cohen che spesso è stato aggredito oltre che arrestato.<br />

Il film non aveva una sceneggiatura ma una serie di scene scritte da Peter<br />

Baynahm, Anthony Hines, Dan Hazer, che Borat-Cohen ha stravolto via<br />

facendo con le sue improvvisazioni. Il regista Larry Charles ha precedenti<br />

esperienze di serie televisive comiche.<br />

Segnaliamo l’attore Ken Davitian nel ruolo del produttore Azamat e Pamela<br />

Anderson nel ruolo di se stessa, cioè la regina della serie televisiva Baywatch.<br />

SALVATION AND CULTURE WITHOUT LIMITS<br />

By Elisabetta Valgiusti<br />

Borat: America’s cultural teaching in benefit of the glorious people of Kazakhstan.<br />

This is the title of a comedy film by Sacha Baron-Cohen recently screened in the<br />

United Kingdom and the United States. Outrageous and provocative, it is a<br />

challenging film which provokes at one and the same time both hilarity and irritation.<br />

It is a highly amusing satire yet it’s extremely sad. Borat-Cohen is a clown who is both<br />

innocent and treacherous. The film is an almost irresistible hit yet definitely not<br />

recommendable. This genre of film, directed principally toward the lower rung of<br />

youth, seeks to draw attention to the culture within which we live and questions the<br />

way we react to it.


Rassegna stampa 435<br />

La Congregazione <strong>Passio</strong>nista<br />

tra ascetismo, mistica e storia<br />

di TITO ZECCA C.P.<br />

In concomitanza con la celebrazione del 45° capitolo generale della<br />

Congregazione della <strong>Passio</strong>ne, tenutosi in Roma nell’ottobre del 2006, è uscita<br />

la seconda edizione della sintesi storica dell’istituto passionista curata da<br />

Fabiano Giorgini 1 . Il titolo del libro è:<br />

F. GIORGINI, La Congregazione della <strong>Passio</strong>ne di Gesù, Sguardo storico<br />

della spiritualità, organizzazione, sviluppo.<br />

E mentre scorriamo questo volume ci viene spontaneo e senza forzature<br />

abbinare questa lettura ad altre due recenti pubblicazioni. La prima opera è<br />

di un giovanissimo scrittore, Roberto Saviano. Il suo libro si intitola Gomorra.<br />

Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio della camorra 2 ,<br />

giunto in pochi mesi alla VII edizione. Sono poco più di trecento pagine dove<br />

con una documentazione ineccepibile ed una prosa ardente ed incalzante,<br />

Saviano denuncia, punto per punto, le varie “province” di questo impero del<br />

male, non a caso chiamato Gomorra dall’A., ispirandosi al prete don Giuseppe<br />

Diana che con coraggio, pagato con la vita, aveva denunciato questa<br />

metastasi del malaffare che sembra estendersi senza più freni. Ed altrettanto<br />

spontaneamente associavamo queste terre dominate dal “Sistema” (così si<br />

autorefenziano i malavitosi camorristi) alle antiche maremme, percorse in<br />

lungo e largo da Paolo della Croce con i suoi primi compagni e tanti altri missionari<br />

passionisti. L’altra è un’opera cinematografica che sorprendentemente<br />

ha incontrato interesse e attenzione dal grosso pubblico in tutta Europa. Si<br />

1 F. GIORGINI, La Congregazione della <strong>Passio</strong>ne di Gesù. Sguardo storico della<br />

spiritualità. Organizzazione. Sviluppo, Curia Generale dei <strong>Passio</strong>nisti, Roma 2006, pp.<br />

266, s.i.p.<br />

2 R. SAVIANO, Gomorra. Viaggio nell’impero economico e nel sogno di dominio<br />

della camorra, Milano Mondadori 2006.<br />

TITO ZECCA C.P. SAPCR 21 (2006) 435-440


436 Tito Zecca<br />

tratta del film di Philip Gröning, Il grande silenzio 3 . Racconta in poco meno<br />

di due ore la vita quotidiana e stagionale dei monaci della Grande Chartreuse.<br />

Senza nessun artificio ed effetti speciali il regista ha vissuto in pieno la vita<br />

monastica per svariati mesi. Ci scorre così davanti agli occhi la vita di silenzio,<br />

di preghiera, di lavoro, senza omettere salutari momenti ricreativi, di<br />

qualche decina di monaci che hanno scelto di isolarsi dal mondo per entrare<br />

nel cuore del mondo, compiendo così il disegno del Padre che vuole appunto<br />

fare di Cristo il cuore del mondo. Solo pochissime parole alla conclusione del<br />

film ne affidano il messaggio, pronunciate da un vegliardo ormai cieco pieno<br />

di sapienza e con il cuore pieno di misericordia verso il mondo che non sa cosa<br />

perde allontanandosi da Dio. La vita diventata rito liturgico, il rito diventato<br />

vita appagante e rasserenante.<br />

Mi viene spontaneo collocare la vicenda carismatica ed istituzionale nata<br />

con Paolo della Croce tra le aride maremme della malavita e il deserto fiorito<br />

della vita contemplativa. E non posso non rilevare che in questo paradosso<br />

tra dimensione contemplativa ed espressione apostolica, ambedue esigenti<br />

dedizione assoluta, si svolge tutta intera la storia della congregazione della<br />

<strong>Passio</strong>ne.<br />

La prima edizione di questo volume risale al 1986. Già in questa pubblicazione<br />

l’A., storico della congregazione con all’attivo una nutrita serie di<br />

pubblicazioni, rivolgendosi in modo particolare ai giovani in formazione, si<br />

riprometteva di far conoscere, quasi a volo d’uccello, la storia della fondazione<br />

avviata da Paolo Dànei della Croce nel 1720. Egli desiderava anche informare<br />

a grandi linee sui contenuti della sua ricca spiritualità delineando nello<br />

stesso tempo la formazione spirituale ed intellettuale data ai membri dell’istituto<br />

e voleva infine tracciare nei suoi principi fondamentali e nella esplicazione<br />

concreta il servizio apostolico compiuto dall’istituto dal Settecento ai<br />

nostri giorni.<br />

Non è facile, in poco meno di trecento pagine, riproporre in sintesi esaustiva<br />

una storia quasi tre volte centenaria. La congregazione passionista non<br />

ha avuto una espansione geografica e soprattutto numerica tale da competere<br />

con altri ordini e congregazioni, plurisecolari se non millenari. Sono poco più<br />

3 P. GRÖNING, Il grande silenzio. Ripetizione, ritmo, silenzio, ed. in DVD, Metacinema<br />

Multimedia san Paolo Srl, 2006.


La Congregazione <strong>Passio</strong>nista tra ascetismo, mistica e storia 437<br />

di 2.200 i membri attuali della congregazione. Le case dei passionisti assommano<br />

attualmente a 381, sparse in 58 nazioni 4 . La quantità numerica comunque<br />

non certo gioca di vantaggio sulla qualità della vita di consacrazione che<br />

i passionisti lungo questi secoli hanno realizzato con ottimi esiti. «Tenendo<br />

presente, scrive il Giorgini, i criteri indicati dal fondatore per il discernimento<br />

delle vocazioni e per la loro formazione, si può capire come molti religiosi<br />

e religiose hanno raggiunto un’elevata conformazione con Cristo Crocifisso<br />

espressa nella realtà di una vita santa, o molto esemplare, a gloria di Dio<br />

ed a beneficio della Chiesa. L’osservanza regolare, “sempre animata ed accompagnata<br />

dallo spirito interiore del cuore”, è secondo il fondatore, “un<br />

mezzo efficacissimo e tutto adatto per acquistare la perfezione cristiana nello<br />

stato di vita che i nostri hanno eletto”» 5 . I santi canonizzati che la congregazione<br />

annovera sono 4 6 , i beati 35 7 ; 16 sono i venerabili e 15 i servi di Dio<br />

dei quali è in corso il processo canonico. Una percentuale davvero cospicua<br />

di santità riconosciuta e proposta che, restando fedele al carisma originario, si<br />

è articolata secondo particolari carismi e specifiche culture locali.<br />

La vera espansione dell’istituto, fuori dall’ambito dell’antico Stato Pontificio,<br />

è iniziata solo dalla fine degli anni ’40 dell’800, per merito e responsabilità<br />

di uno dei più insigni superiori generali, p. Antonio Testa che diresse<br />

l’istituto dal 1838 al 1862. Egli trovò nel beato Domenico Bàrberi un collaboratore<br />

convinto ed entusiasta. Il Bàrberi aprì ai passionisti la strada verso il<br />

Nord-Europa, specialmente in Belgio, Regno Unito e Irlanda. Il beato Domenico,<br />

ricordiamolo, accolse John Henry Newman nel seno della Chiesa Cat-<br />

4 Cfr. Relazione sullo stato della Congregazione del Superiore generale P. Ottaviano<br />

D’Egidio, presentata al 45° Capitolo generale 1-22 ottobre 2006, Segreteria Generale<br />

C.P. p. 19 (anche nel sito web www.passiochristi.org).<br />

5 F. GIORGINI, op. cit., p.247.<br />

6 Paolo della Croce (+1775); Gabriele dell’Addolorata (+1862), Vincenzo M.<br />

Strambi (+1824), Innocenzo Canoura Arnau (+1934). Per i particolari vincoli con la congregazione<br />

vengono annoverate nell’albo dei santi passionisti anche Gemma Galgani<br />

(+1903) e Maria Goretti (+1902).<br />

7 Domenico Bàrberi (+1849), Carlo Houben (+1893), Isidoro de Loor (+ 1916),<br />

Bernardo Silvestrelli (+ 1911) e Lorenzo Salvi (+ 1856); sono 28 i martiri: Niceforo Diez<br />

Tejerina e 26 compagni uccisi per la fede nella persecuzione spagnola (+ 1936) e il bulgaro<br />

mons. E. Bossilkov fucilato nel 1952 durante la persecuzione comunista-stalinista;<br />

non omettendo i due giovanissimi emuli di Gabriele dell’Addolorata, ossia Grimoaldo<br />

Santamaria (+ 1902) e Pio Campidelli (+ 1889).


438 Tito Zecca<br />

tolica. Qualche anno dopo la congregazione impiantava le sue tende dell’immenso<br />

continente nord-americano.<br />

L’espansione dell’istituto fuori dell’ambito italiano ha posto per lunghi<br />

decenni gravi problemi di identità dello stesso. Si può riscontrare, ed il volume<br />

del Giorgini ce lo indica in modo adeguato, il travaglio affrontato dai superiori,<br />

dai capitoli generali e dalla legislazione conseguente per riuscire a<br />

conciliare la fedeltà al carisma originario con le diversificazioni culturali locali<br />

e le mutate esigenze dei tempi. Insomma per realizzare concretamente<br />

quello che con felice espressione il concilio Vaticano II ha espresso con la formula<br />

della “accomodata renovatio”: rinnovamento del carisma originale attualizzandolo<br />

nel tempo presente.<br />

Per chi ha conoscenza della storia della vita religiosa non è certo una<br />

novità sapere che i passionisti per molto tempo sono stati individuati più per<br />

l’austerità della vita regolare che per il loro apostolato specifico, ossia la predicazione,<br />

in particolare degli esercizi spirituali, delle missioni ai fedeli (missioni<br />

parrocchiali o al popolo) e le altre varie forme di predicazione sempre<br />

di tipo catechetico-popolare (tridui, novene, ottavari, ecc.). Le case conventuali<br />

dei passionisti si chiamavano “ritiri”; il distacco anche fisico dall’abitato<br />

stimolava molto la vita contemplativa fin quasi al limite della vita claustrale.<br />

La tradizione di una intensa vita contemplativa ricalcata sulla spiritualità<br />

del deserto, ma soprattutto ispirata al movimento francescano nelle sue<br />

varie riforme, risaliva al fondatore ed ai suoi primi compagni. Le scelte fondamentali<br />

di Paolo della Croce, di austero stampo ascetico, erano comunque<br />

modulate secondo lo spirito intensamente apostolico attraverso il quale la<br />

nuova fondazione trovava la sua specifica collocazione nel concerto della vita<br />

consacrata. Collocazione che trovava nel riconoscimento del magistero<br />

pontificio il suo sigillo supremo. Benedetto XIV, Lambertini, approvando le<br />

Regole composte da Paolo della Croce nel 1741, infatti, riconosceva la loro<br />

specificità apostolica, anzi missionaria, nella loro dedizione ai poveri più abbandonati,<br />

agli emarginati delle maremme, privi di qualsiasi assistenza e cura<br />

spirituale. La predicazione della <strong>Passio</strong>ne di Gesù era finalizzata appunto a<br />

fornire a un gregge senza pastore, perso nella caligine e nei luoghi oscuri della<br />

disperazione, un segno di speranza e di fiducia. I passionisti, insomma rientravano<br />

nella plurisecolare forma di vita apostolica che si ravvisa negli “uomini<br />

della penitenza” che non finalizzavano la stessa per una ricerca assoluta<br />

e solitaria di Dio al modo anacoretico o cenobitico monastico ma per una adeguata<br />

e persuasiva testimonianza dell’evangelo vissuto, prima che annunzia-


La Congregazione <strong>Passio</strong>nista tra ascetismo, mistica e storia 439<br />

to, “sine glossa” e “ad litteram” alla maniera apostolica 8 . I passionisti, in altri<br />

termini, riprendevano in piena crisi illuministica che scompaginava le antiche<br />

certezze della “christianitas” post-tridentina, la collaudata formula del<br />

predicatore itinerante che ha attraversato i secoli e che ebbe la massima fioritura<br />

nell’età di mezzo. Formula che assumeva la penitenza come atteggiamento<br />

culturale radicale, basata innanzitutto sul valore della povertà, intesa<br />

come pietra di paragone della cultura penitenziale e veicolava, la stessa dalla<br />

predicazione popolare. “Nella <strong>Passio</strong>ne di Gesù c’è tutto” è l’imperativo categorico<br />

totalizzante di Paolo della Croce e della sua fondazione. La vita stessa<br />

del predicatore penitente si identificava come passione per la <strong>Passio</strong>ne; la<br />

sua attività apostolica era tutta orientata a far sì che la stessa passione per la<br />

<strong>Passio</strong>ne si accendesse nei suoi ascoltatori, perchè “la <strong>Passio</strong>ne di Gesù è la<br />

più grande e stupenda opera del divino Amore”. Nella predicazione itinerante,<br />

vuoi negli esercizi spirituali “chiusi” come pure nella predicazione delle<br />

missioni al popolo, una delle finalità dalle quali si misurava il buon risultato<br />

dello zelo apostolico si concentrava nell’ “insegnare a meditare”; in altri termini;<br />

quello che era stato proposto nelle predicazioni appassionate che spesso<br />

toccavano i “novissimi”, e soprattutto la riproposizione della dolorosa <strong>Passio</strong>ne<br />

del Redentore come argomenti atti a scuotere il torpore della mancanza<br />

di pratica sacramentale, doveva essere oggetto di diuturna meditazione, per<br />

far sì che la predicazione penitente producesse frutti ricchi e duraturi. La fioritura<br />

di santità laicale germinata in seguito alla predicazione e soprattutto alla<br />

“direzione spirituale” che conta tra i passionisti uomini di grande preparazione<br />

e di insigne vita interiore ne sono la dimostrazione concreta.<br />

Attorno alle due fondazioni paulocruciane, la Congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />

e le monache passioniste di clausura, lungo l’arco di questi tre secoli di<br />

storia sono sorte varie istituzioni, quali la confraternita laicale della <strong>Passio</strong>ne<br />

e decine di congregazioni maschili e femminili di vita apostolica o di forte impronta<br />

ascetica 9 . Vari gruppi, movimenti ed associazioni laicali si ritrovano<br />

nella spiritualità passionista; come pure Istituti secolari canonicamente riconosciuti.<br />

Scorrendo le vicende in cui nasce e si afferma la congregazione apostolica<br />

10 , non prive di forti contrasti e difficoltà di ogni genere, analizzando la<br />

8 Cfr lo stimolante e documentato studio dell'antropologa I. MAGLI, Gli uomini della<br />

penitenza, Franco Muzzio editore 1995.<br />

9 F. GIORGINI, op. cit., pp.223-247, passim.<br />

10 Id, ivi, pp.13-36, passim; e pp. 173-211 (cammino storico).


440 Tito Zecca<br />

struttura organica della congregazione 11 , i suoi elementi di spiritualità e di<br />

formazione 12 , esaminando le forme “classiche” della sua forma di predicazione<br />

non si può non costatare che le sue strutture fondamentali attuali e la<br />

sua formula di evangelizzazione non hanno perso molto dello smalto iniziale.<br />

Non mancano certo inquietudini e problematiche legate principalmente alla<br />

scarsezza delle vocazioni specialmente nelle aree della congregazione toccate<br />

dal secolarismo; come pure non ci si nasconde che una mera fedeltà alla lettera<br />

e non allo spirito del carisma e della istituzione che lo ha veicolato in varie<br />

forme storicamente incarnate, con esiti più o meno positivi, porterebbe ad<br />

una sclerosi irreversibile dell’organismo che ha prodotto frutti di santità e di<br />

apostolato altamente qualificati. E sono noti i rischi delle derive ideologiche<br />

che vorrebbero utilizzare come supporto carismatico di forte impronta teologica<br />

quale quello radicato nella staurologia, progetti ed utopie di stampo meramente<br />

politico e sociologico. Per questo da vari anni, specialmente nell’ultimo<br />

capitolo generale celebrato nel mese di ottobre di quest anno, i responsabili<br />

ed i rappresentanti della congregazione si sono interrogati sul tema della<br />

“ristrutturazione”, proponendo un coraggioso itinerario che porti la famiglia<br />

passionista ad una sempre più adeguata fedeltà al carisma nel momento<br />

storico attuale.<br />

Il volume del Giorgini che abbiamo il piacere di presentare ai nostri lettori<br />

è un utile strumento di conoscenza e, perchè no? di lavoro, per vivere, attualizzandola<br />

nella nostra temperie così convulsa ed articolata, la grande<br />

“passione per la <strong>Passio</strong>ne” così come è nata dal cuore del mistico della <strong>Passio</strong>ne,<br />

san Paolo della Croce e di tanti suoi figli e discepoli.<br />

11 Id, ivi, pp. 37-68, passim.<br />

12 Id, ivi, pp.69-130, passim.


Recensioni 441<br />

GIULIANA BUTTINI, La parola continua nel segno dei tempi. Messaggi di Gesù.<br />

volume I (anni 1972-1975). Prefazione di P. Antonio M. Artola, C.P., Roma 2006,<br />

pp. 292.<br />

È un libro che raccoglie “locuzioni” interiori che la signora Giuliana Buttini<br />

ha sentito nel suo spirito da parte di Gesù, Parola eterna del Padre celeste, per<br />

mezzo della quale tutto è stato creato e tutto è stato redento. Non sono quindi meditazioni<br />

nel senso ordinario della parola anche se, per alcuni aspetti, i pensieri<br />

espressi si avvicinano alla meditazione del mistero di Gesù, uomo – Dio, salvatore<br />

del genere umano, e contemplazione del mistero della vita umana e della sua<br />

avventura nel cammino del tempo (“il tempo va e voi nel tempo andate” p. 236),<br />

dell’esperienza del dolore fisico e psicologico che l’accompagna in una misura<br />

tanto forte. Le locuzioni hanno avuto prima di tutto la funzione di portare la signora<br />

Giuliana e il suo marito Luigi ad una scoperta rinnovata della fede cristiana<br />

ed a trovarla verità di vita nel momento in cui più l’oscurità travagliava il loro<br />

spirito per la morte dell’unico figlio: “Vi ho prestato un ragazzo Angelo, come per<br />

un onore, a voi lo avevo affidato e lo ritroverete tutto vostro. Allora ve lo donerò,<br />

non sarà più un prestito. Allora ognuno di voi apparterrà all’altro” (p. 28).<br />

Sono parole di conforto per scoprire il dolore, anche quello causato dalla<br />

morte fisica, come “grazia” ricevuta dal Padre; come via per comprendere meglio<br />

il dolore fisico e spirituale di Gesù nella passione e sulla croce: “tu che conosci<br />

l’amore verso tuo figlio, prima come dedizione e pazienza, dopo con lancinante<br />

dolore, puoi comprendere anche il Mio dolore sul Calvario vedendo quanti figli<br />

perdevo” (p. 31). La Parola, Cristo, vuole rafforzare nel credente la fede nella vita<br />

eterna mentre contempla il fluire del tempo e si sente la sofferenza per la separazione<br />

dalle persone amate: “La vita esiste oltre la vita che passa…Tu hai la<br />

creatura più amata in Luce di Gloria” (p. 32). Giuliana viene assicurata che il figlio<br />

è vivo in Dio e prega per i genitori: “quello che in terra si amò, torna alla<br />

mente anche oltre e soprattutto le creature amate e lasciate a piangere sono sempre<br />

nella mente e nella visione dei veri vivi” (p.162). Le locuzioni vogliono anche<br />

educare a comprendere il mistero del dolore di Gesù sulla croce: “In quel dolore<br />

vidi ogni creatura in corpo e spirito, vidi le azioni di ogni creatura soffrii e gioii<br />

per esse!”(p.40). Condividere la croce di Gesù è il modo che Gesù stesso dona per<br />

incontrare il suo volto beatificante: “a voi ho dato il peso della Mia Croce perché<br />

voi riportandola a Me ritrovaste il Mio volto… Vi aspetto là donde Mi renderete<br />

la Croce” (p.90). Lo scrivere per la signora Giuliana è stato un atto di obbedienza<br />

a Gesù per essere come un piccolo canale della grazia divina. Chi legge vi troverà<br />

parole che susciteranno nel suo spirito una risonanza che l’aiuterà a scoprire la<br />

presenza misteriosa ma reale della Parola eterna, Cristo Gesù ed a scoprire “quel<br />

filo invisibile che lega gli uni agli altri: l’Amore!”(p. 71). Questa straordinaria


442<br />

presenza di Gesù nello spirito di Giuliana deve servire per renderla capace di aiutare<br />

altre persone ad avvicinarsi a Gesù: “In terra, quando portai l’amore e la redenzione,<br />

venni per i peccatori, ora, attraverso voi vengo per i peccatori. Tendete<br />

così le mani ai fratelli che non mi conoscono perché a Me vengano” (p. 256). Forse<br />

può creare meraviglia trovare l’intervento di vari angeli e santi come mediazione<br />

privilegiata di cui Gesù si serve per fare udire la sua voce a Giuliana. Per<br />

comprendere l’insieme di queste manifestazioni mistiche occorre leggere con attenzione<br />

la presentazione e la prefazione che ne fa il p. Artola all’inizio del volume<br />

e poi anche l’appendice nel paragrafo “Il Gesù dei Messaggi”. Queste introduzioni<br />

e spiegazioni aiutano a porre l’opera di Giuliana nella sua giusta luce spirituale<br />

e nell’alveo della tradizione cattolica in cui troviamo, tra le altre mistiche,<br />

B. Caterina Emmerick, Maddalena de’ Pazzi, Maria Valtorta che, a loro modo,<br />

hanno compiuto un lavoro simile manifestando le locuzioni interiori che sentivano<br />

e che erano vita spirituale loro comunicata perché fosse di aiuto ad altre persone<br />

che cercano Gesù che dice: “Tutti vi ho visto sulla Croce…ad uno ad uno vi ho<br />

visti, bene conosco ognuno di voi” (p. 236).<br />

P. Fabiano Giorgini C.P.<br />

PALMITESSA NICOLA, Evangelizzatore della giustizia. Padre Annibale, oggi, supplemento<br />

al n. 3 di ADIF, luglio-set. 2006, pp 48, Curia Generale dei Rogazionisti,<br />

Roma, Nuova Serie, n. 20.<br />

“Non vi è chi non deplora lo stato convulsivo in cui si trova ai nostri giorni<br />

quella classe di operai e di contadini, cui fu dato a considerare la loro disagiata condizione<br />

nelle attuali universali miserie, e a cui una falsa scuola ha insegnato che<br />

debbono insorgere contro i possidenti e contro i governanti, per afferrare il vello<br />

d’oro, ed essere felici”. Così scriveva, sul periodico “Dio e il prossimo” (Messina,<br />

dic. 1920) il Santo del Rogate, molto noto, appunto, per la passione per le vocazioni<br />

sacerdotali e religiose alla base del suo apostolato e della fondazione degli Istituti<br />

religiosi che ne hanno preso nome e programma. Molto noto, anche, Padre Annibale,<br />

per l’istituzione di laboratori di artigianato, orfanotrofi femminili e maschili, il<br />

“Pane di S. Antonio”, l’eroico prodigarsi in generale per il degradato quartiere<br />

“Avignone” di Messina e, in particolare , in occasione del devastante terremoto che<br />

colpì la città nel 1908 (vedi la succinta “Cronologia. Vita e opere”).<br />

Ma il valore specifico, il valore aggiunto di questo agile, chiaro, succoso contributo<br />

(che si aggiunge ad altri, sui vari aspetti della vita, della spiritualità, delle<br />

opere di Padre Annibale, canonizzato nel 2004), sta, come benissimo dice il titolo


443<br />

suffragato dall’esposizione nella definizione di evangelizzatore della giustizia. Anzitutto<br />

la fondazione biblica della santità come giustizia verso Dio e verso il prossimo<br />

e, di conseguenza, la scrupolosa, esatta, diligente (“giureconsulto di Dio”) osservanza<br />

personale. Poi, le ripetute ammonizioni agli uomini di Chiesa e ai suoi religiosi,<br />

ai governanti, ai proprietari e datori di lavoro, perché attraverso la promozione<br />

della giustizia evangelica predicata dalla Chiesa, si elimino le cause che portano,<br />

inevitabilmente a sofferenze ingiustificate e comprensibili e violente rimostranze.<br />

Comprensibili, ma fonte di ulteriori sciagure se manipolate da “false scuole”<br />

che predicano la sovversione, come tragicamente la storia insegna. Altra cosa, segno<br />

dei tempi, su cui forse valeva la pena qualche osservazione critica, l’invito a,<br />

per così dire, stare contenti del proprio stato perché “le dita della mano…non sono<br />

uguali”. Ma a questo si potrà rimediare in una auspicabile più distesa trattazione.<br />

Salvatore Spera<br />

CEDARMAS ANTONELLA, Per la cruna del mondo. CARLO CAMUCIO E MOISÉ VITA<br />

CAFSUTO, due pellegrini nella Terra Santa del Settecento, FRANCO ANGELI (“Temi<br />

di Storia ’77”. Istituto Pio Pascini Miscellanea), Milano 2006, pp 388, cm 16x23,<br />

€ 27,00.<br />

Una gran bella cornice, ben costruita a incastro e indubbiamente arricchente<br />

per la ricchezza degli elementi assemblati per ricostruire tutti gli elementi<br />

enunciati nell’intestazione: il periodo, i luoghi, i viaggi e le relative motivazioni<br />

più o meno religiose e culturali, politiche e commerciali. E, dunque: il pellegrinaggio<br />

come esperienza del sacro, ma anche curiosità e interessi; la Palestina ottomana<br />

nel Settecento, un periodo di declino già annunziato ma con strutture abbastanza<br />

solide per dominare ebrei e cristiani; la Custodia di Terra Santa per soccorrere<br />

i cristiani e, analogamente, le Comunità ebraiche per gli Ebrei; il pellegrinaggio<br />

cristiano in “Terra Santa” (con un flashback su Cinque e Seicento quando<br />

il flusso era più ricco) e in parallelo, l’aliyyah ebraica nella “Terra Promessa”.<br />

Hisce positis, si arriva a Carlo Camucio, arcidiacono di Carnia, un pellegrino<br />

cristiano che già si era recato a Roma per il Giubileo e a Roma avrebbe, poi,<br />

soggiornato nel corso di una carriera ecclesiastica che lo avrebbe visto, in una vita<br />

itinerante, vescovo di Capodistria, arcivescovo di Tarso e Patriarca di Antiochia.<br />

Dopo un utile paragrafo: “Aspetti della società friulana nel Settecento” e il<br />

detto profilo biografico, siamo rapidamente ragguagliati su un brogliaccio (più<br />

che diario) dove emerge la motivazione religiosa (già evidenziata nelle memorie,<br />

riportate, del precedente pellegrinaggio a Roma e Loreto del 1750) del viaggio in


444<br />

Terra Santa del 1752-53, tra annotazioni di spese, disagi di viaggio, piccoli episodi<br />

e disturbi per “la maniera di cucinare svedese, ch’è peggio della tedesca” durante<br />

il lungo viaggio da Livorno ad Alessandria. E poi: donne-guida, lettere di<br />

raccomandazione, liturgie…<br />

Più ricco, più vivace il diario del gioielliere ebreo fiorentino, anche lui molto<br />

religioso e osservante ma “curioso” di popoli e costumi e con l’occhio sempre<br />

attento dell’uomo di affari, rispettoso delle altre religioni, in ottimi rapporti con i<br />

Francescani della Custodia. Il diario, elaborato successivamente al viaggio<br />

(1773-35), è in italiano, una delle numerose lingue che “l’uomo di mondo” praticava<br />

agevolamente.<br />

Salvatore Spera<br />

WALTER VELTRONI, La scoperta dell’alba, Rizzoli, Milano, 2006, pp. 155, € 16,00.<br />

Recensire un’opera di narrativa non essendo un critico letterario, ma un<br />

teologo, può essere visto come una presunzione. Ma ognuno fa quello che può.<br />

Allora si potrebbe parlare delle risonanze che un’opera di narrativa suscita in un<br />

teologo. C’è stato chi ha detto che c’è più teologia in tanti romanzi che in certi<br />

trattati di teologia. A questo pensavo scrivendo questa recensione.<br />

Il romanzo di Veltroni – un politico militante della sinistra italiana – si colloca<br />

senza rimpianti nel pieno dell’affluent society: la società italiana del XXI secolo,<br />

dove si comunica normalmente via Internet e il giovane fa le sue vacanze in<br />

America. Non appare affatto il proletariato. Peraltro, alla retrocessione dei problemi<br />

economici fa riscontro la crescita dell’insicurezza, della paura e l’ingigantimento<br />

dei problemi affettivi. Paura non solo dei terroristi – ben presenti nell’Italia<br />

degli anni ’70 del secolo scorso -, ma paura che le strutture su cui riposa l’equilibrio<br />

affettivo si sgretolino da un istante all’altro. E, infatti, l’irreparabile succede.<br />

Il papà del protagonista scompare nel nulla proprio quando ha raggiunto il<br />

vertice della realizzazione di sé.<br />

Nasce Stella, una figlia con la sindrome di Down: è interessante vedere come<br />

si è tranquillamente ingiusti di fronte a queste povertà verso le quali probabilmente<br />

c’era poca sensibilità in passato e non c’è una sensibilità adeguata neanche<br />

oggi. C’era qualche ragione nella scomparsa inspiegabile del padre? Forse<br />

un’altra donna da godere? No, ma soltanto l’afferrarsi alla sopravvivenza di un<br />

uomo che sta sperimentando come la scalata al potere e all’avere l’ha ridotto a<br />

una paura invincibile e al rifiuto verso se stesso, suo e forse dei suoi. Anche nel<br />

cuore del figlio che lo ha tanto cercato, lui piomba nella tenebra.


445<br />

In mezzo a questo fallire delle persone affermate c’è la presenza dei piccoli,<br />

unica portatrice di speranza, della bambina down e soprattutto di Lorenzo, il<br />

figlio del protagonista. Nel cuore di Lorenzo, a otto anni e fino ai venti, nasce un<br />

seme: quello che lo fa uscire dalla tirannia di ciò che è ritenuto socialmente gratificante<br />

e gli fa scegliere la sorellina down e l’aiuto dei genitori. Diventa papà<br />

del papà impaurito dal si (si fa così, si pensa così), come accade realmente oggi<br />

abbastanza spesso. Restringe la propria vita per attuare questo programma, un<br />

tempo si diceva: abbracciare la rinuncia. Alla fine anche il papà, che ha scoperto<br />

la vergogna in cui è precipitato il proprio padre, può correre verso Stella, in vacanza<br />

in California. Non c’è altra via di vita.<br />

È il baluginio di una rivelazione per l’uomo del nostro tempo? Un tempo<br />

che abbatte i confini fra ebrei e cristiani, fra cattolici e protestanti, fra credenti e<br />

atei, fra Occidente e Oriente? Un tempo che, abbattendo i confini, svela il limite<br />

di ciascuna incarnazione del seme messo da Dio nel cuore dell’uomo, seme che<br />

vuole svilupparsi al di là degli impedimenti? È questa la scoperta dell’alba? Il bene<br />

è lì come tocco di un Dio che non si conosce, come traccia di un Dio sempre<br />

nascosto e innominabile. Il bambino con il suo diritto all’affetto, la famiglia che<br />

si dissolve e riappare. La carità (Deus caritas) come caratteristica dell’essere-caro.<br />

Prese un bambino e lo pose nel mezzo (Mt 18, 3).<br />

Poi c’è il fare memoria: i diari, la possibilità di vivere tante vite oltre la propria,<br />

al di là della propria, una possibilità che noi religiosi avevamo sperimentato<br />

nella lettura delle biografie e dei processi canonici dei nostri santi. La possibilità di<br />

varcare la barriera dell’alterità – in modo virtuale perché poi si possa varcare in modo<br />

reale -, uscendo dal narcisismo individualista. Essere un altro e permettere all’altro<br />

di rivivere in me, diacronicamente e sicronicamente. E c’è anche l’esperienza<br />

del rivivere quel momento traumatico della propria infanzia e capire.<br />

E, finalmente, c’è l’esperienza dell’alba, che si ripete ogni mattina: le albe<br />

che sono “anticipazioni di Dio, silenzio e grandezza, pausa e attesa, inizio e fine,<br />

tradizione e cambiamento” (p.11).<br />

(Adolfo Lippi)<br />

FUMAGALLI BEONIO-BROCCHIERI MARIATERESA, Cristiani in armi. Da Sant’Agostino<br />

a Papa Wojtyla, Laterza (“I Robinson. Letture”), Roma-Bari, pp XIII+211,<br />

cm 14x21, rilegato con sopracoperta, € 16,00.<br />

La lucidissima Prefazione del card. Jean-Louis Tauran al corposo Enchiridion<br />

della pace (2 vol, EDB 2004) ricorda una Chiesa “che cammina insieme con<br />

l’umanità” e i cristiani “operatori di pace” e lontani da un pacifismo naif consa-


446<br />

pevoli che “gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia<br />

della guerra fino alla venuta di Cristo” (GS 78). La pace è sempre possibile,<br />

(e lo si afferma chiaramente in una teologia della pace lentamente e faticosamente<br />

elaborata e in una pedagogia della pace elaborata e proposta. Ma la realtà<br />

storica (né pessimisti disperati né ottimisti ingenui, ma realisti operativi) che ci<br />

mette continuamente di fronte al terrorismo, ai conflitti irrisolti, ai rigurgiti etnici,<br />

alle violenze dei prepotenti e dei tiranni, ci ricordano senza mai cessare di annunciare<br />

a tutti il “vangelo della pace”, che non siamo ancora nel “Regno dei cieli”.<br />

Le 18 pagine di bibliografia ignorano quest’opera. Peccato!<br />

Lo sapevano anche i grandi utopisti, da Erasmo a More a Campanella, che<br />

l’esperta studiosa di filosofia medievale non trascura di citare in una rapida rassegna<br />

(“non è un libro sulla guerra, ma sulle idee”) che si sofferma volentieri sulla<br />

“guerra santa” e la “guerra giusta”, che è incontrovertibile quanto dice Agostino:<br />

“La volontà deve tendere alla pace mentre la necessità spinge alla guerra” e che<br />

“Talvolta è necessario che gli uomini buoni intraprendano la guerra contro gli uomini<br />

violenti”. Dopodiché tutti vogliamo, appunto, la pace e ricorriamo alla guerra<br />

solo come drammatica “estrema ratio”, il volume è utilissimo come contributo alla<br />

dialettica, al dibattito che sempre c’è stato e giustamente continua sullo spazio, l’equilibrio<br />

realisticamente possibile. Ma è proprio qui che ci sembra di ravvisare una<br />

tendenza utopistica della studiosa regolarmente severa nel giudicare le scelte per la<br />

guerra, anche quando erano una, appunto drammatica, necessità.<br />

Non si può non condividere l’auspicio di Paolo VI: “Mai più la guerra” ma<br />

non ha senso concludere che “solo con il pontificato di Giovanni XXIII, la terminologia<br />

bellicosa del “perfetto cristiano”, del crociato e del cavaliere della fede<br />

viene felicemente abbandonata”. Allo stesso modo che quello cristiano non è<br />

“prevalente pessimismo” ma realismo.<br />

Salvatore Spera<br />

ARRUGA LORENZO, Mozart da vicino, Rizzoli (“La Scala”), 2006, pp 176, cm<br />

16x23, rilegato con sopracoperta, allegato CD, € 24,00.<br />

Un libro che si distacca decisamente al di sopra di molta produzione occasionale<br />

(il 250° dalla nascita), scritto con amore e competenza, capace davvero di<br />

avvicinarci al mistero del genio di Mozart, di introdurci nel suo meraviglioso<br />

mondo musicale, a mano a mano che si snoda la sua vicenda biografica così intimamente<br />

legata a una stupefacente produzione tutta di valore assoluto, eppure<br />

obbediente a una dinamica artistica interna. Molto utilizzato il prezioso, vivace,


447<br />

a tratti impertinente Epistolario che racconta dei viaggi numerosi, faticosi, che<br />

portavano a conoscere il mondo dorato dei nobili e potenti, dei musicisti, dei teatri,<br />

ma anche “triste destino” di dire continuamente addio anche a persone care.<br />

Mozart, allo stesso tempo sincero e vigile, comunica con il padre e con la sorella,<br />

descrive luoghi e persone, ci trasmette le sue impressioni sulla vita artistica<br />

(esclusivamente e totalmente musicale), lascia trasparire la soddisfazione per i<br />

successi, la delusione per le incomprensioni, le piccinerie, i soprusi, si lascia andare<br />

anche ai sogni di una vita matrimoniale tranquilla. Ma c’è anche una sfrenata<br />

esaltazione del corpo in lui così sensibile alla bellezza femminile di cui sa<br />

esplorare astuzie e rischi. Da Ponte incomparabile librettista, ma anche descrivere,<br />

con la musica, con gli strumenti, con la voce, rapimenti, estasi, abbandoni e<br />

languori. Il tutto in un sapientissimo intreccio dove la musica, praticamente tutta<br />

la musica, la tradizione letteraria, la vita di società sono trasfigurate dal suo genio<br />

musicale dove non è irrilevante il suo animo, la sua indole, la sua esperienza,<br />

dalla “capretta” M. Anna Thekle, a Aloyaya Weber, alla moglie Constanza.<br />

Le numerose attestazioni di fede cattolica, possibilmente non al di sopra di<br />

un tradizionalismo stereotipo, non sono, comunque prive di valore ed esse pure alla<br />

base di una musica che se non volessimo definire religiosa o addirittura liturgica,<br />

è capace di esprimere il sublime, il trascendente, insomma: il divino. Tutto questo<br />

e molto altro (compresi efficaci, rapidi schizzi di storia delle idee e della cultura)<br />

in un libro che ci fa gustare Mozart dal di dentro del suo ineffabile mistero.<br />

Salvatore Spera


Schede bibliografiche 448<br />

TEOLOGICO (38)<br />

TEMA: IL CAMMINO VERSO I MORTI (Sabato Santo). BALTHASAR H.<br />

URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp.131-163.<br />

1. Riflessioni teologiche<br />

preliminari.<br />

I vangeli descrivono benissimo la<br />

vicenda di Gesù fino alla morte,<br />

mentre sono parchi nel descrivere il<br />

tempo che va dalla sepoltura alla resurrezione.<br />

Che Gesù sia realmente<br />

morto, proprio perché realmente uomo,<br />

è fuori di ogni dubbio. Come fu<br />

solidale con i viventi, altrettanto lo<br />

fu con i morti e a questa solidarietà<br />

bisogna lasciare tutta la sua ampiezza<br />

e la sua problematicità. Spesso al<br />

Gesù morto venivano attribuite varie<br />

azioni, mentre in realtà egli condivide<br />

la passività di tutti i morti. Neanche<br />

il: “discese agli inferi”, in questo<br />

caso è del tutto buono, in quanto esso<br />

esprime un’attività. L’espressione<br />

entra nel credo solo dopo l’interpretazione<br />

di Rufino (359) ad Aquileia.<br />

Occorre qui riflettere bene per cercare<br />

di capire in che misura si possa interpretare<br />

questo “discese”. Il termine<br />

katabàinein è stato formato in<br />

corrispondenza precisa al termine<br />

ananbàinein, usato per esprimere il<br />

ritorno al Padre. In ambedue i casi<br />

l’uso del termine deriva dal senso<br />

naturale dell’uomo, per cui il cielo<br />

sta sopra e la tenebra e i morti stanno<br />

sotto; perciò il descendit non<br />

esprime una attività quanto una soli-<br />

darietà con i morti. Quello di Gesù è<br />

un cammino verso i morti: “Egli andò<br />

presso le anime in carcere e predicò<br />

ad esse la lieta novella” (1 Pt<br />

3,19). Tale “percorso” è in parallelismo<br />

con la resurrezione che inaugura<br />

il cammino verso il cielo (1 Pt<br />

3,22). Tali azioni sono vissute da Gesù<br />

in forma passiva; è Dio l’agente,<br />

il soggetto attivo. Non c’è alcuna<br />

difficoltà che impedisca di intendere<br />

questo “andare presso le anime in<br />

carcere” come un essere presso di<br />

esse e considerare il “predicare” come<br />

l’annuncio della redenzione attivamente<br />

patita sulla croce dal Gesù<br />

vivente e non già come una nuova<br />

attività, distinta dalla prima. L’essere<br />

solidale con i morti porta nel loro regno<br />

la salvezza conclusa sulla croce<br />

e la “predicazione” non è altro se<br />

non l’effetto nell’al di là di ciò che è<br />

avvenuto nella storia.<br />

2. Il Nuovo Testamento<br />

L’A.T. non conosce comunicazione<br />

tra Dio e il regno dei morti, ma sa<br />

che Dio ha potere anche su questo regno,<br />

perciò può parlare di un Dio che<br />

fa scendere nello sheol e richiama da<br />

esso. Per il NT non è la discesa verso<br />

morti che è importante, ma l’ascesa.<br />

L’essere ridestato dai morti compare


circa 50 volte in tutto il NT. Il centro<br />

è che Dio non ha lasciato Gesù nell’Ade,<br />

ma lo ha ridestato. Il fatto di<br />

discendere e di risalire trovano compimento<br />

in Ef. 4, 8 dove il salire è citato<br />

per primo e solo dopo, come presupposto<br />

si cita l’essere disceso negli<br />

inferi della terra. Nel salire però egli<br />

porta con sé prigionieri e cioè le stesse<br />

potenze, oramai prive di forza, che<br />

prima tenevano prigionieri gli uomini,<br />

tra le quali è inclusa anche la morte,<br />

l’ultimo nemico (1 Cor. 15, 26). La<br />

morte è sempre legata al peccato, perciò<br />

non si ha il diritto di distinguere<br />

tra morte fisica e quella spirituale. La<br />

parabola di Mc. 3, 24-27 in cui si dice<br />

che chi incatena è il più forte ed il<br />

padrone della casa, si attua quando<br />

Gesù scende nel cuore del potere di<br />

Satana: la morte. Senza l’exusia di<br />

Cristo di sciogliere dalle doglie della<br />

morte non ci potrebbe essere l’exusia<br />

della Chiesa di sciogliere dal peccato.<br />

In Ap. 1,18 non si parla né di lotta né<br />

di discesa ma di potere assoluto che si<br />

basa sul fatto che il Signore era morto<br />

ed ora vive per l’eternità, ha così<br />

vinto la morte e ne ha fatto un “passato”<br />

per se e per tutti. Allo stesso<br />

modo Mt. 27,51-53 riferisce il risultato<br />

di questa vittoria in modo figurato<br />

e visibile con lo scuotimento della<br />

terra tale che i sepolcri si aprono e i<br />

morti risorgono. Sulla croce è già stata<br />

distrutta la potenza dell’Ade, ma la<br />

sepoltura di Cristo ed il suo “essere<br />

con i morti” sono ancora necessari,<br />

perché nel giorno di Pasqua possa avvenire,<br />

con il Cristo primogenito, la<br />

449<br />

risurrezione comune. Perciò non si<br />

può affermare che tra la morte e la resurrezione<br />

non resti lo spazio per uno<br />

stato particolare, perché in essa Gesù<br />

passa un tempo reale, condividendo<br />

la passività con tutti morti.<br />

3. Solidarietà nella morte.<br />

Tale solidarietà è espressa con<br />

l’accurato racconto della sepoltura e<br />

cura del cadavere e tutto ciò implica<br />

che Egli è presso i morti.<br />

a. Lo sheol: l’essere tra i morti<br />

non redenti implica che Gesù è “sceso”<br />

nello sheol, che è l’Ade, di cui<br />

Egli possiede le chiavi. In questo stato<br />

i morti sono nelle tenebre, nella<br />

polvere, nel silenzio e non c’è possibilità<br />

di ritorno. In esso non c’è né<br />

attività né conoscenza di ciò che avviene<br />

sulla terra e si è privati di ogni<br />

forza e vitalità. Essi sono nel “paese”<br />

dell’oblio.<br />

b. Come stato: l’AT pone l’accento<br />

più sullo stato dei morti che<br />

sul luogo e non fa meraviglia quindi<br />

se nella teologia cristiana stato e luoghi<br />

stiano l’uno accanto all’altro.<br />

L’Ade è da intendersi uno stato, più<br />

che un luogo.<br />

c. Solidarietà: questa solidarietà<br />

è lo scopo del descensu. Il fine per<br />

cui Cristo va nell’Ade, secondo<br />

Tommaso non dipende da una insufficiente<br />

sofferenza sulla croce, ma<br />

dall’assunzione di tutti i defectus dei<br />

peccatori, perciò Cristo dovette fermarsi<br />

nell’Ade per tutto il tempo che<br />

il suo corpo restò nel sepolcro, per


450<br />

espiare tutta la pena imposta ai peccatori.<br />

Le doglie della morte, nelle<br />

quali anche Cristo cade, saranno eliminate<br />

solo quando il Padre lo farà<br />

risorgere. In tutto ciò Egli condivide<br />

fino in fondo la logica dell’umano<br />

morire.<br />

d. Indeterminatezza dello sheol:<br />

sotto questa solidarietà si nasconde<br />

un difficile problema teologico la cui<br />

dialettica non può essere risolta dal<br />

nostro pensiero limitato dalla categoria<br />

del tempo. Il problema è: la pena<br />

inflitta all’umanità precristiana, a<br />

causa del peccato originale è definitiva<br />

e consiste nella privazione della<br />

visione di Dio. Ma i giusti che vissero<br />

nella speranza e nella fede non<br />

sperimentano tutta la foga della dannazione,<br />

in quanto attendono con fede<br />

la salvezza e perciò chi vive realmente<br />

tutta la forza della dannazione<br />

è proprio Cristo che, prese su di sé<br />

tutto l’abisso dell’inferno per liberarci<br />

dalla discesa in esso, ed è proprio<br />

dal punto più profondo della<br />

perdizione che Cristo risana ogni uomo<br />

e tutta la creazione e da qui il Padre<br />

lo ridesta dalla morte.<br />

4. L’essere morto del Figlio<br />

Cristo, risparmiando ai morti, tutta<br />

l’esperienza della morte come<br />

poena damni, prese su di sé tutta<br />

questa esperienza, sostituendosi ad<br />

essi. Perciò egli è l’unico che andando<br />

al di là della comune esperienza<br />

della morte ha misurato le profondità<br />

dell’abisso.<br />

a. L’esperienza della seconda<br />

morte: è Nicolò Cusano che ha ammesso<br />

la passione del sabato santo e<br />

l’ha considerata come appartenente<br />

alla passione espiatrice. In questa<br />

seconda morte l’anima del Figlio discende<br />

nell’inferno dove ha la visione<br />

profonda e totale della morte come<br />

assenzalontananza da Dio.<br />

Quando il Padre lo risuscita lo strappa<br />

dal più profondo inferno ove la<br />

sofferenza del Cristo è pari a quella<br />

dei dannati che più dannati non potevano<br />

essere. Egli è il solo che attraverso<br />

una morte così penetrò nella<br />

gloria.<br />

b. L’esperienza del peccato in<br />

quanto tale: in questa seconda morte<br />

Cristo fa l’esperienza del puro<br />

peccato in quanto tale, non del peccato<br />

personale, ma quello astratto da<br />

questa realtà, contemplato nella sua<br />

nuda realtà in quanto peccato. In<br />

questo stato il peccato è amorfo e<br />

forma quello che potrebbe essere<br />

chiamato il secondo caos. Egli vive e<br />

contempla la profondità dello sheol e<br />

la radicalità dell’inferno come assoluto<br />

svuotamento di vita. Qui l’inferno<br />

è contemplato dal redentore nel<br />

suo “in sé” per diventare, nella sua<br />

perdizione assoluta, un “per Lui”;<br />

ciò su cui, nella risurrezione, riceve<br />

il potere e le chiavi.<br />

c. Evento trinitario: l’essere con<br />

i morti del Figlio è l’atto estremo di<br />

obbedienza al Padre che lo invia per<br />

salvare l’uomo, allora deve inviarlo,<br />

per conseguenza anche nell’inferno<br />

ed Egli può essere lì solo come mor-


to. Qui il Figlio deve osservare quanto<br />

di deforme e di caotico c’è nell’ambito<br />

della creazione per riportarlo, in quanto<br />

Redentore sotto il suo possesso. Cristo<br />

ha percorso le profondità dell’inferno<br />

perché non legato dal peccato ed è<br />

quindi libero tra i morti. Il suo sprofondare<br />

nell’Ade, sperimentandone la<br />

profondità, è una presa di possesso e<br />

un crearne la via d’uscita che risorgendo<br />

comunica a tutti.<br />

5. La salvezza nell’abisso.<br />

In quanto trinitario, il cammino<br />

verso i morti è necessariamente salvifico.<br />

Non si può dire che Cristo non<br />

ha portato la salvezza nel vero inferno<br />

ma solo nel limbo, il che è un apriori<br />

scolastico. Prima di Cristo c’era solo<br />

l’Ade da cui egli libera i morti con la<br />

solidarietà con essi, i quali ora possono<br />

prendere la loro decisione sotto<br />

l’influsso dell’orientamento fondamentale<br />

della loro vita e ciò vale sia<br />

451<br />

per i morti prima di Cristo che per<br />

quelli dopo.<br />

a. Il purgatorio: dal punto di vista<br />

teologico esso non può avere origine<br />

che il sabato santo, in cui il Cristo<br />

solidale con i morti, introduce la<br />

misericordia davanti al fuoco dell’ira<br />

divina.<br />

b. Lo “scioglimento dei vincoli”:<br />

l’opera del Cristo nell’Ade è la visione<br />

totale del puro peccato e lo<br />

sperimentare in esso la morte pura.<br />

Egli però, non essendo legato al peccato,<br />

“passa” attraverso di esso. C’è<br />

qui una forte tendenza ad anticipare<br />

il frutto della Pasqua al sabato santo,<br />

come fa l’iconografia Orientale che<br />

nel descensus, vede il Cristo come<br />

colui che rompe i vincoli e sfonda le<br />

porte dell’inferno, mentre l’atteggiamento<br />

giusto del sabato santo è l’accompagnare<br />

da lontano il CristoDio<br />

morto con i morti.<br />

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.


452<br />

TEOLOGICO (39)<br />

TEMA:IL CAMMINO VERSO IL PADRE (Pasqua) Parte Prima. BAL-<br />

THASAR H. URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp. 165-<br />

201.<br />

1. L’affermazione teologica<br />

fondamentale.<br />

La croce e sepoltura appaiono<br />

nella loro importanza a partire dalla<br />

resurrezione. In essa il Padre porta a<br />

compimento la sua opera inviando lo<br />

Spirito a Gesù e nel mondo. Ciò è un<br />

avvenimento sovrastorico e storico<br />

che fonda la fede e tuttavia ci sfugge.<br />

a. Unicità dell’affermazione.<br />

aa. La filologia impone di far dire<br />

ai testi ciò che essi vogliono dire e<br />

la loro valutazione nei nostri riguardi<br />

è posteriore. Tutta la Chiesa crede<br />

nella resurrezione e la testimonianza<br />

più antica è contenuta in 1 Cor 15,3-<br />

5, dove si professa la morte, sepoltura<br />

e risurrezione di Cristo, e dove<br />

quest’ultima, è un atto specifico di<br />

Dio e non la sola presa di coscienza<br />

del significato della croce.<br />

bb. Che un morto riabbia la vita<br />

non è ignoto al mondo biblico, ma<br />

questa risurrezione non ha analogia<br />

con nessun altra, in quanto qui si intende<br />

il passaggio di Gesù da una<br />

forma di vita che ha lasciato la morte<br />

dietro di sé una volta per sempre.<br />

Questo è il passaggio da un eone al<br />

nuovo eone, che ci sfugge pur essendo<br />

un fatto della storia che ha un’apertura<br />

sulla storia, ma che alla fine<br />

la trascende. Per capire ciò la scrittura<br />

ci fornisce tre categorie di comprensione.<br />

1) La rappresentazione crescente<br />

del Dio vivente dell’AT che si manifesta<br />

come tale proprio in questa resurrezione.<br />

2) L’orizzonte aperto dell’apocalittica<br />

giudaica precristiana che parla<br />

della resurrezione dei morti alla fine<br />

dei tempi. L’idea di Gesù primogenito<br />

dei morti è un’idea inaudita sia<br />

per i giudei che per i pagani.<br />

3) La pretesa di Gesù di essere occasione<br />

decisiva di salvezza o perdizione<br />

eterna. Questo gli apostoli lo<br />

hanno capito solo dopo l’incontro con<br />

il risorto, è tale incontro, al quale erano<br />

impreparati che li porta ad usare<br />

analogie ed immagini per annunciare<br />

la resurrezione. Analogie che loro<br />

stessi correggono o abbandonano perché<br />

incapaci di tradurre anche minimamente<br />

quell’evento. La prima percezione<br />

che hanno avuto è che Dio<br />

stava dalla parte di Gesù e che lo giustificava<br />

e con lui giustificava anche<br />

quanti credevano in lui.<br />

b. La forma trinitaria dell’affermazione.<br />

La resurrezione è opera del Padre<br />

e in rapporto con essa sta l’effusione<br />

dello Spirito e solo perché il Padre


ha effuso nel nostro cuore lo Spirito<br />

del Figlio suo che l’evento salvifico<br />

della risurrezione acquista per noi un<br />

significato esistentivo. Solo se si riconosce<br />

la matrice trinitaria dell’evento<br />

si può parlare poi in maniera<br />

adeguata del pro nobis e del pro<br />

mundo. Al Padre è sempre ascritta<br />

l’iniziativa della risurrezione, il quale<br />

porta a compimento la sua azione<br />

creatrice del mondo proprio attraverso<br />

la risurrezione del Figlio dai morti.<br />

Questa matrice trinitaria risuona<br />

come un ritornello in tutte le affermazioni<br />

kerigmatiche. In tutto ciò<br />

Egli si mostra come il Dio vivente e<br />

fedele che vivifica i morti. In questa<br />

resurrezione Dio manifesta definitivamente<br />

la doxa che pervade tutto<br />

l’AT. Il Padre mostrando il Figlio<br />

glorificato e giustificato, manifesta<br />

se stesso, non a tutti, ma solo ad alcuni<br />

testimoni, perché Dio non si<br />

manifesta mai nel suo mistero essenziale.<br />

Nelle manifestazioni del risorto<br />

è Dio che si auto manifesta in lui,<br />

è il Figlio che manifesta la gloria del<br />

Padre e viceversa ed è proprio per<br />

questo che il risorto nell’apparire da<br />

una parte si dona e dall’altra si sottrae.<br />

Non c’è dunque rivelazione definitiva<br />

della trinità prima del compimento<br />

del mistero pasquale, preparata<br />

dall’opposizione delle volontà<br />

nell’orto degli ulivi e dall’esperienza<br />

di abbandono sulla croce.<br />

c. Autotestimonianza del risorto.<br />

Attenendoci all’affermazione teologica<br />

fondamentale ne abbiamo mo-<br />

453<br />

strato l’unicità e l’assenza di analogie,<br />

quindi abbiamo considerato la<br />

sua forma teologica trinitaria ed ora la<br />

consideriamo nel suo contenuto concreto<br />

di esperienza narrativa degli incontri<br />

con uno che era morto ed è stato<br />

visto vivo.<br />

aa. Queste “dimostrazioni” del risorto<br />

non sono catalogabili come visioni<br />

né soggettive né oggettive e si<br />

pongono al di qua di ogni questione<br />

esegetica. Qui si tratta prima di tutto<br />

di un incontro tra persone che si riconoscono;<br />

è Lui il risorto che prende<br />

l’iniziativa e che si mostra e che chiama<br />

per nome: “Maria!” (Gv 20,16).<br />

bb. L’incontro con il risorto fa scaturire<br />

convincimento, conversione<br />

confessione dei peccati. Qui i discepoli<br />

sono consapevoli, non solo di essere<br />

da Lui conosciuti, ma piuttosto penetrati<br />

fino in fondo. Conosciuti da<br />

Lui molto meglio di quanto si conoscano<br />

essi stessi. Dai testi non possiamo<br />

dedurre che la causa di Gesù potesse<br />

andare avanti dopo la sua morte,<br />

anzi, perciò dobbiamo dedurre che<br />

qualcosa di straordinario deve essere<br />

davvero accaduto e non poteva certo<br />

essere la testimonianza delle donne a<br />

far ripartire i discepoli. Agli undici deve<br />

essere capitato qualcosa di simile a<br />

quanto successo a Paolo a Damasco,<br />

uno “stramazzare” a terra davanti al<br />

risorto, alla sua penetrazione che raggiunge<br />

la profondità dell’umanità del<br />

discepolo che provoca la conversione<br />

di tutto l’atteggiamento interiore dell’uomo.<br />

Anche le più dure parole di<br />

giudizio nel risorto sono sempre paro-


454<br />

le di salvezza e di perdono come è dimostrato<br />

in Emmaus e nella storia di<br />

Tommaso.<br />

cc. È a partire dall’esperienza del<br />

crocifisso come vivente che gli apostoli<br />

giungono alla confessione della<br />

divinità del risorto in quanto percepiscono<br />

il lui, la presenza del Dio vivente,<br />

colui che fa scendere all’Ade e<br />

risalire (1 Sam 2,6). Da ciò l’attribuzione<br />

al risorto dei titoli divini all’idea<br />

dell’esaltazione del servo a<br />

Kyrios e messia.<br />

dd. Gli evangelisti affermano concordemente<br />

che a partire dalla Pasqua<br />

si è svelato ai discepoli il senso della<br />

vita precedente di Gesù, nonché la<br />

globalità delle scritture. Ciò che è decisivo<br />

non è che alcune parti dell’AT<br />

vengono interpretate in modo nuovo<br />

ma bensì che tutto l’AT venga portato<br />

ad una sintesi superiore che non è<br />

raggiungibile soltanto da esso. L’esperienza<br />

con il risorto getta una luce<br />

particolare su tutta la scrittura, tale<br />

esperienza si impone loro da sé. Non<br />

come esperienza irrazionale da razionalizzare<br />

per forza ma piuttosto come<br />

centro magnetico che ordinava attorno<br />

a sé tutti i frammenti di significato<br />

delle scritture.<br />

ee. Che la manifestazione di Gesù<br />

sia inseparabile dalla sua scomparsa e<br />

dalla sua partenza, rappresenta l’altra<br />

faccia del tema della Pasqua: quello<br />

della missione. Gesù è colui che mette<br />

i testimoni sulla via verso i fratelli,<br />

loro che sono stati gratificati dalla sua<br />

visione e che hanno ricevuto il suo<br />

Spirito, ora sono inviati verso gli altri,<br />

affinché credano e siano salvati. L’invio<br />

dei testimoni in Mt. è caratterizzato<br />

da quattro “tutti” che indicano le<br />

dimensioni del potere del Cristo Messia.<br />

A Lui è stato dato tutto il potere,<br />

nei cieli e sulla terra, il ché stabilisce<br />

il fondamento della missione, perciò<br />

li invia a tutti i popoli, stabilendone<br />

l’estensione nello spazio e nel tempo;<br />

invitandoli a conservare tutto ciò che<br />

ha insegnato loro che rappresenta la<br />

cattolicità del compito ricevuto, mentre<br />

la garanzia dell’esito di tale missione<br />

è data dalla sua presenza, tutti i<br />

giorni fino alla fine del mondo. Una<br />

tale missione si può avere solo dopo<br />

la Pasqua. Le apparizioni del risorto<br />

hanno lo scopo principale nello<br />

“smuovere” i discepoli verso la missione.<br />

Gesù spira su di loro lo Spirito<br />

che deve “spingerli” verso le vie del<br />

mondo. Ma senza un reale incontro<br />

con il risorto: il CrocifissoVivo, una<br />

missione di tali proporzioni sarebbe<br />

stata non solo impossibile ma anche<br />

impensabile.<br />

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.


TEOLOGICO (40)<br />

TEMA: IL CAMMINO VERSO IL PADRE (Pasqua) Parte Seconda.<br />

BALTHASAR H. URS., Teologia dei tre giorni, Queriniana, Brescia 2003, pp.<br />

201-237.<br />

2. La situazione esegetica<br />

a. Aporia e tentativi di soluzione:<br />

la resurrezione è un fatto storico e metastorico,<br />

di cui il risorto stesso è la<br />

via: non c’è un cammino previo a cui<br />

far riferimento. Nella storia si costata<br />

solo il sepolcro vuoto, il non esserci<br />

più! La resurrezione non è quindi dimostrabile,<br />

ciò che può essere dimostrato<br />

è solo la convinzione dei testimoni,<br />

che partendo dal nuovo eone, è<br />

in qualche modo una dimostrazione<br />

anche se non scientifica. La storia ci<br />

dice che i discepoli, di fronte alla morte<br />

di Gesù non avevano certezze sulla<br />

sua resurrezione, anzi per loro la causa<br />

di Gesù era morta e sepolta con lui.<br />

Perciò è lecito pensare che deve essere<br />

intervenuto qualcosa che li ha fatti<br />

cambiare prospettiva e li ha spinti a<br />

fondare la Chiesa. I testi si offrono a<br />

noi pur con varie difficoltà, come un<br />

raggio di luce che passa attraverso<br />

uno spettro, i vari testi portano un loro<br />

colore proprio e fanno intravedere<br />

seppur in qualche modo il bianco che<br />

certamente c’è. Qualcosa di straordinario<br />

è certamente avvenuto, ma<br />

quando si cerca di esprimerlo non si<br />

hanno né immagini né categorie adeguate<br />

per farlo. Però Lui, il crocifisso<br />

morto non c’è e chi l’ha visto, ha sperimentato<br />

il crocifisso Vivo.<br />

455<br />

b. Opzioni dell’esegesi: come abbiamo<br />

detto, i testi della resurrezione<br />

portano con sé varie difficoltà esegetiche<br />

che qui accenneremo soltanto. Il<br />

primo è dato dalla conclusione di Mc<br />

16,8 in cui le donne fuggono dal sepolcro<br />

piene di paura. Si potrebbe<br />

pensare che la pagina conclusiva sia<br />

stata perduta o che Marco abbia voluto<br />

davvero concludere così perché<br />

non considera le apparizioni come<br />

parte della storia umana di Gesù ma a<br />

parte… però qui le donne non dissero<br />

nulla dell’incontro con l’angelo per<br />

paura… L’altro problema è dato dai<br />

luoghi delle apparizione del risorto in<br />

cui si cita Gerusalemme e la Galilea.<br />

Marco manda i discepoli in Galilea e<br />

così Matteo, anche se inserisce un’apparizione<br />

alle donne vicino al sepolcro.<br />

Gv mantiene il binomio Gerusalemme-Galilea,<br />

accogliendo l’apparizione<br />

alla Maddalena come in Mt. ed<br />

inserendo l’apparizione ai dodici in<br />

Gerusalemme come Lc, (il quale è<br />

l’unico che situa tutte le apparizioni<br />

in Gerusalemme), pur lasciando l’annuncio<br />

dell’angelo di recarsi in Galilea.<br />

È difficile dire se le due tradizioni<br />

hanno origini indipendenti e sono<br />

state riunite poi sotto l’ipotesi di un<br />

viaggio-fuga dei discepoli. La questione<br />

del sepolcro vuoto invece si<br />

pone in modo diverso, esso non è ci-


456<br />

tato come dimostrazione della resurrezione,<br />

ma come qualcosa che provoca<br />

confusione e smarrimento, è<br />

quindi un segno ambiguo che prepara<br />

le apparizioni di Pasqua e viene interpretato<br />

solo da esse. Congiunta a questa<br />

vi è la questione sul numero e la<br />

modalità delle apparizioni degli angeli<br />

al sepolcro. I testi poi offrono anche<br />

seri problemi sull’interpretazione della<br />

formula kerigmatica fondamentale<br />

che dichiara che Cristo è stato risuscitato<br />

il terzo giorno secondo le scritture.<br />

È l’interpretazione del terzo giorno<br />

che appare difficile e controversa.<br />

Il testo di riferimento potrebbe essere<br />

Os 6,1: “al terzo giorno risorgeremo<br />

e vivremo al suo cospetto”. La cosa<br />

più naturale pare sia che il terzo giorno<br />

si basi sul fatto storico e quindi o<br />

sulla scoperta del sepolcro vuoto o<br />

sulla prima apparizione. Allo stesso<br />

modo anche l’ascensione ha i suoi<br />

problemi, in quanto è solo Lc che la<br />

cita nei suoi due scritti come avvenuta<br />

davanti ai discepoli dopo i 40 giorni.<br />

Qui il problema sta nell’accogliere<br />

una ascensione staccata o procrastinata<br />

dalla resurrezione, o meglio sul<br />

come interpretare il tempo delle apparizioni<br />

posto tra i due grandi eventi: la<br />

resurrezione dai morti ed il ritorno al<br />

Padre.<br />

3. Il dispiegarsi simbolico<br />

degli aspetti teologici.<br />

a. La necessità della simbolizzazione:<br />

l’automanifestazione di eventi<br />

trascendenti di fronte a testimoni<br />

nello spazio e nel tempo, richiede un<br />

campo di libertà non solo a colui che<br />

si rivela bensì un campo di libertà lasciato<br />

all’interpretazione del fatto in<br />

parole ed immagini umane. Le parole<br />

e le immagini restano sempre affermazioni<br />

limite nel tentativo di comunicare<br />

qualcosa che però supera<br />

questo eone e si pone già nel nuovo.<br />

Dentro questa libertà i testimoni<br />

hanno operato le loro scelte interpretative<br />

per cui è inutile il tentativo di<br />

armonizzare ad ogni costo i loro<br />

scritti, piuttosto vanno visti come legittime<br />

scomposizioni dell’unità inesprimibile,<br />

come avviene per la luce<br />

quando penetra nello spettro. Se da<br />

una parte non bisogna cadere nella<br />

mitizzazione, come gli apocrifi, dall’altra<br />

non si deve neppure pretendere<br />

un’uniformità espressiva, perché<br />

resurrezione e ascensione sono per<br />

noi, in questo mondo temporale e<br />

mortale, escatologiche.<br />

b. L’evento della resurrezione:<br />

giustamente, per l’atto della resurrezione<br />

non si danno testimoni, come<br />

del resto per l’atto dell’incarnazione.Tuttavia<br />

questi atti sono eventi<br />

fondamentali di salvezza che Dio<br />

non opera del tutto senza l’uomo che<br />

è chiamato a dare sempre la sua adesione.<br />

Il sì di Maria all’annunciazione<br />

è fondamentale tanto quanto il sì<br />

della Maddalena a non trattenere Gesù,<br />

che non essendo ancora salito al<br />

Padre, si trova a “metà strada” tra<br />

l’inferno e il paradiso (resurrectio in<br />

fieri). Il sì delle tre Marie, citati nei


acconti della resurrezione simboleggiano<br />

l’adesione della Chiesa<br />

amante.<br />

c. Lo stato del risorto: come abbiamo<br />

detto sopra, lo stato del risorto<br />

è assolutamente unico in quanto<br />

nell’abbassamento profondo e nella<br />

totale glorificazione egli sperimenta<br />

l’unità degli opposti, assoluto abbandono<br />

da Dio e sua piena unione. In<br />

ambedue i casi si tratta dell’obbedienza<br />

della divinità del Figlio come<br />

rappresentazione dell’amore trinitario<br />

in sé e per il mondo. Questo<br />

evento unico sta a significare la svolta<br />

degli eoni e la fondazione del nuovo<br />

mondo mediante la morte dell’antico.<br />

La motivazione fondamentale<br />

delle apparizioni del risorto è la sua<br />

spontanea autocomunicazione ai discepoli.<br />

Tale autocomunicazione,<br />

provoca qualcosa di sconcertante nei<br />

testimoni che è definito da essi in varie<br />

forme: gioia, stupore incredulo,<br />

paura, angoscia, ardere del cuore<br />

ecc. In ciò si manifesta non solo la libertà<br />

del risorto di darsi, ma anche la<br />

libertà dell’uomo di reagire come<br />

può. In tutto ciò egli è il Signore e, in<br />

quanto tale, si dona e si sottrae. È colui<br />

che chiama i suoi per nome, che<br />

li costringe ad adorarlo (Mt 28,9.17)<br />

e come nei giorni precedenti siede a<br />

tavola con loro (Lc 24,41ss.), ma<br />

non si ferma con essi.<br />

d. Fondazione della Chiesa:<br />

aa. Le apparizioni sfociano per<br />

natura loro in missioni: è non tratte-<br />

457<br />

nendolo ma portando l’annuncio ai<br />

fratelli che Maria sperimenta la Pasqua.<br />

Tutte le narrazioni pare che gareggino<br />

nel sottolineare proprio la<br />

priorità della testimonianza. In Mt. li<br />

invia in forza del potere ricevuto su<br />

tutte le cose e su tutti i tempi; in Gv<br />

l’invio è radicato nella trinità: “Come<br />

il Padre ha mandato me così io mando<br />

voi” (20,21). A loro, raccolti attorno<br />

al risorto, viene svelata la totalità<br />

della scrittura fissandola nella “memoria”<br />

della Chiesa. Alla scrittura<br />

subito si aggiungono i sacramenti, in<br />

primis in Gv dove assieme allo Spirito<br />

è donato il potere di rimettere i<br />

peccati, in Mt poi quello di battezzare<br />

tutte le genti e attraverso il banchetto<br />

il far “questo in memoria di<br />

me” annunciando così la sua morte e<br />

la sua resurrezione. Il banchetto rimane<br />

al di là, del punto che segna il<br />

trapasso, da un eone all’altro ed è il<br />

punto di comunione intima tra il risorto<br />

e i suoi, ha con sé un tono di riconciliazione<br />

che sfocia nell’unità<br />

profonda tra i partecipanti.<br />

bb. L’aspetto maschile e gerarchico<br />

della Chiesa, trova il suo contrappeso<br />

nell’accentuato ruolo delle donne<br />

durante le scene della passione e<br />

della resurrezione. Qui non è in gioco<br />

tanto la priorità maschile o femminile,<br />

quanto l’equilibrio tra Chiesa<br />

come sposa di Cristo e come istituzione<br />

gerarchica. In tutti i racconti a<br />

Pietro viene data una certa priorità.<br />

Solo Paolo non riporta le apparizioni<br />

alle donne e cita solo quelle agli uomini.


458<br />

cc. Con il problema di una Chiesa<br />

maschile o femminile è congiunta<br />

in Gv l’allegoria dettagliata sul rapporto<br />

tra Chiesa istituzione (Pietro) e<br />

Chiesa della carità (il discepolo prediletto).<br />

Solo chi accoglie i due apostoli<br />

come simboli reali di queste<br />

due facce della Chiesa, comprende<br />

l’intenzione dell’evangelista. Questi<br />

due poli ci presentano una Chiesa<br />

degli inizi armonica tra l’impegno<br />

della carità e la necessaria tensione<br />

istituzionale.<br />

dd. Tutta la fondazione della Chiesa<br />

è congiunta alla missione dello<br />

Spirito. Il suo carattere pneumatico la<br />

rende diversa rispetto ad ogni altra<br />

istituzione umana e la sua visibilità<br />

non può mai essere separata dal suo<br />

carattere essenzialmente pneumatico.<br />

Questo appare chiaro dalla stessa Parola<br />

che le è stata affidata che è Parola<br />

dello Spirito “che dimora in voi”<br />

(Gv 14,17) che vi istruisce e vi ricorda<br />

(Gv 14,16) e vi introduce ad ogni<br />

verità (Gv 16,13). Il carattere pneumatico<br />

della Chiesa non permette<br />

nessuna garanzia di ciò che è visibile<br />

e tangibile né nella magia sacramentaria<br />

dei cattolici né nella magia scritturistica<br />

dei protestanti. La Chiesa è<br />

fondata sulla nuova Alleanza, che non<br />

è l’Alleanza della lettera ma dello<br />

Spirito.<br />

e. Esistenza del mistero pasquale:<br />

la Chiesa non è stata fondata fine<br />

a se stessa ma è inviata al mondo sul<br />

quale il Signore a ricevuto ogni potere.<br />

Essa è inviata senza alcun limi-<br />

te di spazio e di tempo come afferma<br />

la conclusione di Matteo. Non la<br />

Chiesa, ma il mondo è stato riconciliato<br />

con il Padre attraverso la morte<br />

e la risurrezione del Figlio e tuttavia<br />

la riconciliazione avvenuta ha bisogno<br />

del ministero ecclesiale al servizio<br />

di questa riconciliazione. Per<br />

Paolo tutto ciò è chiaro: “Noi fungiamo<br />

da ambasciatori di Cristo… riconciliatevi<br />

con Dio.” (2 Cor 5,20). In<br />

Cristo si compie l’antica Alleanza,<br />

così che in lui si raggiunge la pienezza<br />

della riconciliazione con Dio. Cristo,<br />

in quanto Dio e uomo è l’Alleanza<br />

incarnata nella sua pienezza, e<br />

quindi la nuova ed eterna alleanza, e<br />

quanti vivono in lui, attraverso la donazione<br />

della propria esistenza nella<br />

fede, divengono partecipi di questa<br />

giustizia di Dio e della pace che in essa<br />

regna tra Dio e il mondo. Resta però<br />

il problema di come l’uomo, che<br />

vive nel vecchio eone possa accogliere<br />

il risorto e rispondere alla sua chiamata.<br />

Cristo, attraverso il suo abbandono<br />

totale alla croce e all’inferno è<br />

divenuto vincitore del mondo, ma io<br />

sono ancora nel mondo. Attraverso la<br />

sua chiamata, con la quale mi inserisce<br />

nel suo destino totale, io sono<br />

chiamato a morire al mondo, esser sepolto<br />

con Cristo e risorgere con lui<br />

(Rm 6,2ss.), devo cercare ciò che sta<br />

in alto, ma che per me rimane ancora<br />

nascosto. Questa anticipazione di ciò<br />

che può solo essere sperato nella fede<br />

ed atteso con pazienza, stende il cristiano<br />

sulla croce delle traverse incrociatesi<br />

del vecchio e del nuovo eone,


ponendolo tra un già e un non ancora.<br />

Egli vive diviso tra il possesso anticipato<br />

della cittadinanza celeste e l’esigenza<br />

di introdurre, ciò che là è già<br />

stato realizzato, in un mondo che per<br />

natura, corrotta dal peccato, si erge<br />

contro l’irruzione del Regno escatologico.<br />

Paolo concepisce la sua esistenza<br />

di testimone come una corsa in<br />

vista del raggiungimento della salvezza,<br />

dove questa non sta a significare<br />

solo la salvezza dell’anima, liberazione<br />

individuale, ma anche realizzazione<br />

della speranza escatologica<br />

di giustizia, umanizzazione dell’uomo<br />

(fino alla piena maturità di Cristo)<br />

e pace della creazione tutta. Questa<br />

seconda faccia della riconciliazione<br />

con Dio è sempre stata trascurata da<br />

quando si è smesso di comprendersi<br />

in maniera escatologia. La Gaudium<br />

et Spes ha intrapreso il difficile compito<br />

di sintesi di quanto fin qui abbia-<br />

459<br />

mo detto, ponendo proprio il Cristo<br />

risorto come suo centro unificatore<br />

tra il già e il non ancora in cui il cristiano<br />

è chiamato a dare la sua testimonianza.<br />

La Chiesa e i cristiani non<br />

hanno dunque un posto determinato<br />

nel triduo pasquale, il loro posto non<br />

è né davanti né dietro la Croce, ma da<br />

ambedue le parti e sono continuamente<br />

rimandati da un luogo all’altro.<br />

Questa però non è un’altalena, perché<br />

Cristo è il centro di ambedue le parti<br />

e l’esistenza cristiana ed ecclesiale è<br />

esistenza espropriata in Lui. Infatti:<br />

“Nessuno di noi vive per se stesso e<br />

nessuno muore per se stesso… Sia<br />

che viviamo sia che moriamo, siamo<br />

quindi del Signore. Per questo infatti<br />

Cristo è morto ed è risorto a nuova<br />

vita, per regnare come Signore sui vivi<br />

e sui morti” (Rom 14,7ss.).<br />

Fr. Maximus a S.R.P. Cp.


460<br />

INDICE GENERALE<br />

EDITORIALI<br />

La prima Enciclica di Benedetto XVI: la rivelazione di Dio come amore e il<br />

compito della carità<br />

(Adolfo Lippi) 3<br />

La povertà dell’essere padri e madri. La povertà di Dio Padre.<br />

(Adolfo Lippi) 345<br />

SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA<br />

Kenosi di Dio e mistero della Chiesa nella teologia di Pavel A. Florenskij<br />

(Lubomir Zak) 13<br />

Eucaristia e Croce (Seconda parte)<br />

(Roberto A. Maria Bertacchini) 39<br />

La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale (Prima parte)<br />

(Maurizio Buioni c.p.) 55<br />

Il cuore di Cristo sorgente inesauribile di vita per l’umanità (Prima parte)<br />

(Sr Maria Lupo c.p.) 109<br />

La morte dell’uomo alla luce del Mistero Pasquale (Seconda parte)<br />

(Maurizio Buoni c.p.) 121<br />

Il cuore di Cristo sorgente inesauribile di vita per l’umanità (Seconda parte)<br />

(Sr Maria Lupo c.p.) 227<br />

Il Dio Kenotico di un non cristiano.<br />

Pensare Dio - Pensare Israele - Pensare l’uomo in dialogo con Lévinas<br />

(Adolfo Lippi c.p.) 241<br />

La croce come rivelazione dell’Amore di Dio.<br />

(Card. Walter Kasper) 349<br />

Il dramma in Dio. Studio sulla soteriologia teodrammatica di H.U. v. Balthasar<br />

(Giuseppe della Malva) (Prima parte) 359<br />

La metafisica del Dono nel pensiero di E. Lévinas<br />

(Giampaolo Manca) 383<br />

PASTORALE E SPIRITUALITÀ<br />

Un duplice centenario: I Venerabili Fortunato de Gruttis e Giovanni Bruni<br />

(Tito Zecca c.p.) 75


I programmi di ristrutturazione degli istituti religiosi:<br />

il carisma e le scelte profetiche<br />

(Adolfo Lippi c.p.) 147<br />

Il contributo teologico e spirituale di Candido Costa al carisma passionista<br />

nella linea del Cantico dei Cantici (Prima parte)<br />

(Max Anselmi c.p.) 165<br />

Il contributo teologico e spirituale di Candido Costa al carisma passionista<br />

nella linea del Cantico dei Cantici (Seconda parte)<br />

(Max Anselmi c.p.) 267<br />

Un papa controverso: Clemente XIV<br />

Alcune riflessioni nel terzo centenario della nascita<br />

(Tito Zecca c.p.) 279<br />

Le XXI spade della “Via Mariae”<br />

Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce<br />

(Prima parte)<br />

(Roberto A. M. Bertacchini) 291<br />

Le XXI spade della “Via Mariae”.<br />

Una rilettura inedita del suo itinerario spirituale dall’infanzia alla croce.<br />

(Seconda parte)<br />

(Roberto A. M. Bertacchini) 415<br />

SALVEZZA E CULTURE<br />

461<br />

Una croce di Somaini<br />

(Tito Amodei) 85<br />

Una partita senza anima<br />

(Elisabetta Valgiusti) 91<br />

La divina commedia, celebrazione del mistero pasquale<br />

(Mario Campanari) 179<br />

Quanti crocifissi nell’arte del ’900<br />

(Tito Amodei) 193<br />

Immagini dalla Certosa<br />

(Elisabetta Valgiusti) 201<br />

Breton, Cárdenas e un Crocifisso<br />

(Tito Amodei) 315<br />

Un codice a casaccio<br />

(Elisabetta Valgiusti) 321<br />

Senza limiti<br />

(Elisabetta Valgiusti) 431


462<br />

RECENSIONI<br />

M. Cempanari, Sant’Angelo sul Monte Fogliano. Dal “Cenobio” benedettino al<br />

“Ritiro” passionista di Vetralla, 95. M. Cempanari, Le sculture della Scala Santa.<br />

Storia, Illustrazioni, Schede, 97.Y. Congar, Diario del Concilio I-II, 98. M.<br />

Catto (ed), La direzione spirituale tra medioevo e età moderna. Percorsi di ricerca<br />

e contesti specifici, 100. E. Massa, Una cristianità nell’Alba del Rinascimento.<br />

Paolo Giustiniani e il “Libellus ad Leonem X” (1513), 100. J. Ratzinger, Nuove<br />

irruzioni dello Spirito. I movimenti nella Chiesa, 207. Ph. Madre, Dio guarisce…<br />

oggi, 208. P. Sequeri, Musica e mistica. Percorsi nella storia occidentale delle<br />

pratiche estetiche e religiose, 210. E. Citterio, La vita spirituale, i suoi segreti,<br />

211. J.M. Déguignet, Memorie di un contadino, 212. R. Beretta, Storia dei preti<br />

uccisi dai partigiani, 213. G. Canobbio, Dio può soffrire?, 215. Maryrologium<br />

Romanum. Ex Decreto Sacrosanti Concilii Vaticani II. H. Miztal, Le cause di canonizzazione.<br />

Storia e procedura, 327. C.C. Canta, Sfondare la notte. Religiosità,<br />

modernità e cultura nel pellegrinaggio notturno alla Madonna del Divino Amore,<br />

328. S. Scave, Senza tradirsi, senza tradire. Silone e Tasca dal comunismo al socialismo<br />

cristiano 1900-1940, 329. K. Gibran, Gesù il figlio dell’uomo. Le sue<br />

parole e i suoi atti come narrati e ricordati da coloro che lo conobbero, 330. R.<br />

Levin Varnhagen, Nel mio cuore un altro paese. Una donna ebrea ai tempi di<br />

Goethe, 331. F.T. Madden, Le crociate. Una storia nuova, 332. J. Ratzinger, Il<br />

cammino pasquale. Id. La bellezza della Chiesa. Id. Nuove irruzioni dello Spirito:<br />

i movimenti nella Chiesa, 333. G. Buttini, La Parola continua nel segno dei<br />

tempi, Messaggi di Gesù, 441. N. Palmitessa, Evangelizzatore della giustizia,<br />

442. A. Cedarmas, Per la cruna del mondo, 443. W. Veltroni, La scoperta dell’Alba,<br />

444. M. Fumagalli, Cristiani in armi. Da Sant’Agostino a Papa Wojtyla,<br />

445. L. Arruga, Mozart da vicino, 446.<br />

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE<br />

(a cura di F. Maximus a S.R.P. cp.)<br />

D. SENIOR, La <strong>Passio</strong>ne di Gesù nel Vangelo di Matteo. (scheda 5) 103-106<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 1) 219-221<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 2) 222-224<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 3) 335-337<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 4) 338-341<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 5) 448-451<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 6) 452-454<br />

H. U. V. BALTHASAR, Teologia dei tre giorni. (scheda 7) 455-459

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