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Storie di uomini
GERARDO CREPALDI
Quante storie racchiude la vita di
ognuno; tante, e tutte con al loro
interno riflessioni, sentimenti,
sensazioni che fanno di ogni essere
umano un piccolo «libro»,
con tanti segreti da svelare.
Abbiamo aperto il libro del cavalier
Gerardo Crepaldi ottantadue
anni da Lugugnana di Portogruaro
per raccontare qualche pagina
ai lettori del nostro giornale.
A tutta prima il «personaggio» è
un po’ restio, perché ritiene la
sua una storia normale, come tante
di coloro che, come lui, hanno
dovuto fin da ragazzini imparare
a guadagnarsi il pane.
Dopo le elementari, a tredici
anni sono andato a bottega a
Portogruaro per imparare il mestiere
di meccanico, un mestiere
che mi piaceva molto e che poi è
stata la mia fortuna. A diciotto
anni attratto dalla divisa, mi
piaceva, mi arruolai nell’aviazione.
Destinazione Coridonia (Macerata)
per un corso di specia-
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lizzazione aeronautica superato
con successo, tanto da risultare
tra i primi del corso ed essere subito
destinato all’Aeroporto di Bologna-Borgo
Panigale. Avevo diciannove
anni, e mi pareva
davvero di toccare il cielo con un
dito. Scelsi poi il trasferimento a
Roma ben sapendo che da lì la
destinazione era poi l’Africa; il
13 settembre del 1940 un volo mi
portò a Bengasi.
La Mia Africa
Venni assegnato alla squadra speciale
S.R.E.R. (squadra recupero e
riutilizzazione) degli aerei caduti
o danneggiati durante i combattimenti.
Ci accadeva molto spesso
di dover operare lontano dalla
base, in condizioni
di estrema
pericolosità e
con mezzi che
se la dovevano
vedere con le
sabbie desertiche
che a volte avevano
la meglio,
allora smontavamo l’aereo sul posto
recuperando motore e parti
non danneggiate e riutilizzabili,
ed a dorso di cammello per decine
di chilometri tra dune sabbiose
raggiungevamo la base e cominciavamo
il lavoro di ricostruzione
e di riparazione. Era un lavoro
pesante e pericoloso perché spesso
venivamo fatti oggetto di attacchi
da terra e da aria e dovevamo difenderci
con ogni mezzo a disposizione,
io solitamente con la mitraglia
piazzata sul camion o a
dorso di cammello. Dopo le epiche
Quante storie racchiude la
vita di ognuno; tante, e tutte
con al loro interno riflessioni,
sentimenti, sensazioni
che fanno di ogni essere
umano un piccolo «libro»
avanzate, ad El Alamein cominciò
il «calvario» della ritirata tra
pericoli di campi minati ed imboscate
raggiungemmo dopo marce
forzate e con pericoli di ogni genere
il Golfo Sirtico (Tripolitania).
In Località Tauroga, una
notte, il campo venne attaccato
da alcuni Commandos, uomini
dell’intelligence inglesi travestiti
da arabi e pronti ad ogni evento.
Personalmente dovetti ingaggiare
un quasi corpo a corpo con tre di
loro che già avevano eliminato la
sentinella. Dopo aver evitato tre
colpi di pistola, giocando a rimpiattino
con uno di loro, riuscii
ad imbracciare un mitragliatore
recuperato tempo prima agli inglesi
che avevo personalmente riparato,
e con quello mi difesi;
uno dei tre, ferito, venne poi catturato,
gli altri due pur feriti riuscirono
a far perdere le loro tracce.
Il prigioniero era un capitano
Irlandese di 28 anni, al quale
diedi personalmente le prime cure
fasciandolo come
fu possibile e
facendo in modo
che poi venisse
ricoverato.
Per questo fatto
Crepaldi fu proposto
per una ricompensa
al valor
militare che non arrivò mai, a
causa del precipitare degli eventi
che impedì alla comunicazione di
giungere a Roma.
Il rientro
Nel febbraio del 1943, dopo due
anni e mezzo di peripezie di ogni
tipo, il rientro in Italia via Roma
e poi destinazione Aviano dove
con una quattordicenne, Luigia
Spagnol, che poi divenne la sua
compagna della vita aveva intrattenuto
una fitta corrispondenza
come matrina di guerra.
Al centro:
il Cavalier
Gerardo Crepaldi.
A sinistra:
ai tempi dell’Africa.