Rocche e castelli - Emilia Romagna Turismo
Rocche e castelli - Emilia Romagna Turismo
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Provincia di Rimini<br />
Assessorato alla Cultura<br />
Assessorato al <strong>Turismo</strong>
Coriano<br />
Antiquarium del Castello
Provincia di Rimini<br />
Assessorato alla Cultura<br />
Assessorato al <strong>Turismo</strong><br />
Agenzia per il marketing di distretto<br />
Pier Giorgio Pasini<br />
<strong>Rocche</strong> e <strong>castelli</strong> malatestiani<br />
a Rimini e nel Riminese<br />
in collaborazione con
Colophon<br />
Coordinamento:<br />
Valerio Lessi<br />
Progetto grafico:<br />
Relè - Leonardo Sonnoli<br />
Fotografie tratte<br />
dall’Archivio fotografico<br />
della Provincia di Rimini<br />
Si ringraziano i fotografi:<br />
L. Bottaro<br />
P. Cuccurese<br />
P. Delucca<br />
S. Di Bartolo<br />
L. Fabbrini<br />
R. Gallini<br />
L. Liuzzi<br />
G. Mazzanti<br />
T. Mosconi<br />
Paritani<br />
V. Raggi<br />
E. Salvatori<br />
R. Sanchini<br />
F. Taccola<br />
R. Urbinati<br />
Stampa:<br />
Pazzini Stampatore Editore<br />
Villa Verucchio (Rimini)<br />
Prima edizione<br />
febbraio 2003
Introduzione ><br />
Itinerario 1 ><br />
Itinerario 2 ><br />
Itinerario 3 ><br />
Itinerario 4 ><br />
Itinerario 5 ><br />
Bibliografia ><br />
www ><br />
Indice<br />
5 Il territorio riminese<br />
8 Le difese dello stato malatestiano<br />
12 Il Castello di Rimini<br />
16 La culla dei Malatesti: Pennabilli e Verucchio<br />
19 La valle del Marecchia<br />
26 La valle del Conca<br />
34 Regge per le vacanze: Montefiore e Gradara<br />
40 Per chi vuole saperne di più<br />
Prima di partire vieni a visitarci<br />
www.turismo.provincia.rimini.it<br />
www.signoriadeimalatesta.it
In alto, la rupe di Pietracuta<br />
dall’alveo del Marecchia.<br />
In basso, panoramica della<br />
Valmarecchia con la rocca<br />
e il paese di Montebello.<br />
5<br />
Introduzione > Il territorio riminese<br />
Il territorio riminese è solo in parte pianeggiante. Già alle spalle<br />
della città si alza la collina del Covignano, e un po’ più lontano il<br />
Monte Titano. Oltre che un segnacolo caratteristico (“l’azzurra<br />
vision di San Marino” di pascoliana memoria) il Monte Titano è una<br />
presenza ben concreta e massiccia, una sorta di scolta avanzata<br />
degli Appennini, che a sud movimentano e frastagliano l’orizzonte e<br />
ad oriente lambiscono il mare col promontorio di Gabicce.<br />
Numerosi corsi d’acqua di carattere torrentizio, con i loro letti<br />
larghi e ghiaiosi, contribuiscono a rendere vario questo territorio<br />
ricco di rilievi. Due di questi sono importanti: il Marecchia, che ha<br />
le sue sorgenti in Toscana, all’Alpe della Luna, vicino a quelle del<br />
Tevere; e il Conca, che nasce nel Montefeltro, sulle pendici del<br />
monte Carpegna. Le valli e le conoidi di questi due fiumi, separati e<br />
anzi divaricati dal Monte Titano, formano il territorio riminese che<br />
da una parte sfuma lentamente nella Val Padana e dall’altra s’incunea<br />
fra l’Adriatico e l’Appennino, a contatto con le Marche e il<br />
Montefeltro. Ha confini incerti, spesso indefinibili; si dice di quelli<br />
che riguardano la storia, la cultura e la mentalità, non di quelli<br />
amministrativi, naturalmente, che hanno un andamento preciso<br />
quanto, tutto sommato, burocraticamente astratto. Chi si inoltra<br />
nella pianura lungo la via <strong>Emilia</strong> o la via Romea non incontra certo<br />
tracce di confini naturali; e chi si inoltra nella dolce valle del Conca<br />
o in quella tumultuosa del Marecchia faticherà ad avvertire il passaggio<br />
nel Montefeltro.<br />
Il Montefeltro tuttavia ha un suo ben preciso carattere e una<br />
sua specifica storia, dovuti tanto alla morfologia essenzialmente<br />
collinare e montuosa del terreno che all’appartenenza (almeno dal<br />
VI-VII secolo) ad una specifica diocesi, quella del Montefeltro<br />
appunto, la cui giurisdizione in epoca medievale si estendeva fino<br />
alle valli del Savio e del Foglia, occupando una posizione strategica<br />
per i collegamenti fra la pianura padana e la parte centrale e meridionale<br />
della penisola. Fin dall’alto Medio Evo questa è stata una<br />
zona di forti interessi particolaristici che ne hanno sempre reso<br />
impossibile una vera unificazione politica e amministrativa; così le<br />
varie comunità dell’interno hanno conservato a lungo forme di<br />
autonomia, aiutate anche dalla mancanza di un grande centro<br />
capace di sottometterle e organizzarle. È significativo, del resto,<br />
che la diocesi del Montefeltro non abbia avuto fino al XVII secolo<br />
una sede vescovile stabile (San Leo, San Marino, Talamello,<br />
Montetassi, Valle Sant’Anastasio, Pennabilli furono residenze<br />
temporanee del vescovo e talvolta della sua cancelleria e del suo<br />
tribunale). Una di queste comunità è riuscita a conservare la sua
In alto, la rocca malatestiana<br />
del Sasso a Verucchio. In<br />
basso, gioielli villanoviani nel<br />
Museo archeologico di<br />
Verucchio.<br />
6<br />
autonomia fino ad oggi grazie ad una serie di favorevoli circostanze:<br />
si tratta della Repubblica di San Marino, che appartiene alla diocesi<br />
del Montefeltro e che durante la sua lunga storia si è appoggiata<br />
più ad Urbino e alle Marche che a Rimini e alla <strong>Romagna</strong>.<br />
Specialmente la valle del Marecchia, con la sua strada che<br />
attraverso il facile passo di Viamaggio conduce in Toscana e quindi<br />
al Tirreno, ha rivestito una notevole importanza fin dall’antichità.<br />
Era frequentata già in epoca preistorica, come dimostra soprattutto<br />
l’abitato villanoviano di Verucchio, che nell’VIII secolo costituiva<br />
una tappa importante sulla “via dell’ambra”. Rafforzata dai<br />
Romani, fu poi contesa aspramente per la sua importanza strategica<br />
fra Goti e Longobardi e Bizantini: una situazione che, non a caso,<br />
si è drammaticamente riproposta durante l’ultima guerra mondiale<br />
con la “linea gotica”. Proprio le lotte fra Longobardi e Bizantini, e<br />
poi fra gli Imperatori franchi e tedeschi e il Papa, hanno favorito la<br />
formazione nell’alta e media valle di autonomie signorili, spesso<br />
contrapposte e in continua contesa per il possesso e il dominio del<br />
territorio. Che ha trovato una sua unità solo da quando la Chiesa,<br />
nominalmente proprietaria, è riuscita ad esercitare in maniera<br />
diretta la sua “alta sovranità”: in pratica dal 1631, anno della devoluzione,<br />
ossia della restituzione, del ducato d’Urbino. In quanto<br />
all’antica strada che percorre la valle, essa rimase interrotta e inefficiente<br />
proprio per l’asprezza delle lotte e degli interessi contrapposti<br />
delle varie potenze e dei vari signori, più che per l’asperità<br />
dei luoghi: nel tracciato attuale fu riaperta solo nel 1924!<br />
La ricchezza di torri, rocche e <strong>castelli</strong> che ancor oggi caratterizza<br />
le valli del Marecchia e del Conca è dovuta proprio alle contese<br />
dell’alto e del basso Medioevo, che costrinsero a fortificare tutti i<br />
villaggi e tutti i punti strategici, tanto quelli del fondovalle (mulini,<br />
guadi, ponti) quanto quelli d’altura. Già nell’VIII secolo la zona veniva<br />
definita come “regione o provincia dei <strong>castelli</strong>”. Costruite con la<br />
pietra locale, le fortificazioni si innestano al terreno scosceso come<br />
gemmazioni spontanee, ma senza alcun mimetismo: anzi ostentando<br />
il loro carattere di artificio minaccioso e spesso vantando una<br />
forza che non hanno. Animano un paesaggio che è molto vario e a<br />
volte estremamente pittoresco per il suo aspetto selvaggio, per l’alternanza<br />
dei crinali - che fanno da quinta ad aspre zone calanchive<br />
e a dolci pendii ricchi di vegetazione e di boschi - e soprattutto per<br />
la presenza di isolati massi calcarei, spesso di grandissime dimensioni,<br />
affioranti da argille scagliose: è il caso del Monte Titano, ma<br />
anche di Sasso Simone e del Simoncello, o, più vicino, della bellissima<br />
rupe di San Leo, per ricordare solo i maggiori.
8<br />
Introduzione > Le difese dello stato malatestiano<br />
Fin dall’epoca romana Rimini ha esercitato la sua influenza<br />
su un’ampia fascia di territorio, tanto nella parte pianeggiante<br />
verso la <strong>Romagna</strong>, che in quella collinare verso le Marche. Nel<br />
Medio Evo la Rimini comunale si trovò a contrastare con le varie<br />
proprietà della chiesa locale, della chiesa romana e della chiesa<br />
ravennate e inoltre con le molte concessioni fatte a monasteri e a<br />
ricchi privati da parte dell’Arcivescovo di Ravenna, dal Papa,<br />
dall’Imperatore. Dal XII secolo vide insidiata la sua supremazia<br />
sulla parte collinare dai Malatesti, che da Pennabilli e da<br />
Verucchio potevano controllare la media valle del Marecchia,<br />
nella parte alta dominata dai Carpegna e dai Montefeltro.<br />
In seguito ad una serie di lotte e di accordi, dal XIV secolo i<br />
Malatesti ebbero la signoria di Rimini, che ressero con la carica di<br />
vicari della Santa Sede dal 1355 alla fine del Quattrocento. Per<br />
quasi due secoli le vicende di Rimini si identificano con quelle dei<br />
Malatesti, che riuscirono ad allargare il loro dominio nelle Marche<br />
fino ad Ascoli Piceno, in Toscana fino a Borgo San Sepolcro, in<br />
<strong>Romagna</strong> fino a Cesena, ma non riuscirono mai a disfarsi dei loro<br />
più potenti e astuti vicini: i Montefeltro, che probabilmente come<br />
loro avevano avuto origine ritagliandosi dei possedimenti nei<br />
domini comitali dei Carpegna, feudatari di antica origine imperiale<br />
che dominavano il monte di Carpegna e gran parte della regione.<br />
La lotta fra Malatesti e Montefeltro assunse una particolare<br />
asprezza nei decenni centrali del Quattrocento, quando a capo<br />
delle due famiglie rivali si trovarono Sigismondo e Federico, e<br />
soprattutto quando quest’ultimo riuscì a far acquistare al genero<br />
Alessandro Sforza la città di Pesaro con il suo territorio (1445),<br />
fino a quel momento malatestiani (di un cugino di Sigismondo, l’inetto<br />
Galeazzo Malatesta). Questo acquisto, mentre permetteva<br />
un libero sbocco sul mare al territorio urbinate, divideva in due<br />
tronconi il dominio di Sigismondo, che allora si estendeva nelle<br />
Marche fino a Fano, a Senigallia e a Fossombrone.<br />
Nelle valli del Marecchia e del Conca si può trovare un’ampia<br />
esemplificazione riguardante l’architettura militare fra il XII e il XV<br />
secolo: borghi più o meno fortificati si alternano a vere e proprie<br />
rocche capaci di contenere piccole guarnigioni e a torri di vedetta<br />
isolate, o con semplici recinti, per sorvegliare il territorio e inviare<br />
segnalazioni. Le costruzioni che ci sono giunte però sono quasi<br />
tutte molto rimaneggiate o ridotte a ruderi malamente leggibili. Si<br />
tenga presente che, per quanto numerose, costituiscono solo la<br />
parte superstite, assai limitata, di un sistema che aveva raggiunto<br />
il massimo di efficienza e di grandezza nel settimo decennio del
9<br />
Quattrocento, quando il territorio risultava capillarmente fortificato;<br />
l’insicurezza dello stato, rispetto ai nemici esterni e interni,<br />
aveva costretto a munire ogni luogo di qualche importanza strategica,<br />
e non solo i confini, peraltro sempre incerti e spesso soggetti<br />
a improvvise modifiche, talora consistenti.<br />
I Malatesti hanno trasformato continuamente le loro fortificazioni<br />
per renderle più sicure e per adeguarle ai nuovi metodi di<br />
combattimento e di assedio. Il periodo di maggiori trasformazioni<br />
fu certamente quello della signoria di Sigismondo, anche perché<br />
coincise con l’uso più frequente e massiccio di un’arma nuova e<br />
terribile: l’artiglieria. Sigismondo, divenuto appena quindicenne<br />
signore di Rimini (1432), cominciò prestissimo a far restaurare e<br />
modificare le fortificazioni del territorio: “Fin dalla sua adolescenza<br />
ha perfezionato ciò che a pena un’intera generazione avrebbe<br />
potuto fare”, annotava con ammirazione nella sua Cronaca coeva<br />
Marco Battagli. I suoi interventi erano intesi a rendere le costruzioni<br />
militari veramente funzionali, non “belle”; o meglio cercò di<br />
conferire ad esse non una bellezza astratta, ma quella che deriva<br />
dall’essere tutte le parti adeguate al loro uso militare.<br />
Spirito pratico, particolarmente versato nell’arte della guerra,<br />
inventore di nuovi ordigni esplosivi (secondo Roberto<br />
Valturio), Sigismondo in persona ha avuto certamente una parte<br />
considerevole nell’ideazione e nell’ammodernamento delle strutture<br />
difensive del suo stato. Tuttavia chiese anche consigli, e nel<br />
1438 ottenne la supervisione di Filippo Brunelleschi per tutte le<br />
fabbriche in cui si stava allora lavorando, tanto nella parte romagnola<br />
che in quella marchigiana del territorio. Anche Leon<br />
Battista Alberti, nel marzo del 1454, visitò le fortificazioni malatestiane<br />
in compagnia di Matteo de’ Pasti: sicuramente fu a<br />
Senigallia (una città “rifondata” da Sigismondo e che si stava<br />
allora costruendo), ma probabilmente compì una vasta ricognizione<br />
in tutte le terre malatestiane.<br />
Le fortificazioni restaurate o rifatte da Sigismondo presentano<br />
costantemente muri a scarpa molto inclinati, una certa articolazione<br />
delle mura esterne, espanse irregolarmente, e infine torribastione<br />
interessanti non tanto per l’altezza, quanto per la pianta<br />
poligonale, preludio a quei bastioni rotondi che costituiranno l’innovazione<br />
più vistosa e moderna dal punto di vista concettuale<br />
dell’ultimo quarto del secolo. Altre parziali innovazioni si possono<br />
riscontrare nell’uso accorto di terrapieni nelle cinte difensive e<br />
addirittura nelle parti interne delle costruzioni; nella razionalizzazione<br />
dei percorsi, che permetteva una certa facilità di manovra ai
In alto, Mondaino, la rocca<br />
malatestiana, ora sede del<br />
Comune. In basso, medaglia<br />
con il ritratto di Sigismondo<br />
Pandolfo Malatesta (c. 1450).<br />
11<br />
difensori e successivi arroccamenti in caso di invasione.<br />
Tali innovazioni in genere non contraddicono la tradizione<br />
per quanto riguarda l’aspetto esteriore d’insieme delle fortificazioni:<br />
alte, massicce, squadrate, dall’aspetto reso pittoresco da<br />
torri, merli e beccatelli (un po’ come tutti i <strong>castelli</strong> padani), hanno<br />
un’imponenza tipicamente medievale e una capacità di suggestione<br />
straordinaria, questa in parte dovuta alla bellezza e all’asperità<br />
dei luoghi in cui sorgono. Luoghi scelti con grande cura, in<br />
modo da comporre una serie ininterrotta di baluardi che si fiancheggiano<br />
e che vigilano l’uno accanto all’altro, l’uno sull’altro,<br />
sempre a contatto visivo multiplo; quasi a costituire delle formidabili<br />
cinture difensive rivolte particolarmente contro il<br />
Montefeltro e San Marino.<br />
Naturalmente quasi tutti quei luoghi erano già stati fortificati<br />
precedentemente; ma a Sigismondo si deve, oltre che una razionalizzazione<br />
delle singole opere, un vero e proprio piano difensivo<br />
organico: per cui alcune vecchie rocche vennero trascurate o<br />
diminuite, e alcune altre ricostruite o ampliate, e collegate fra di<br />
loro in modo da formare un sistema. In questo senso l’organizzazione<br />
difensiva dello stato fu, si può dire, rifondata da Sigismondo;<br />
che non mancò di sottolinearlo nelle numerose epigrafi murate<br />
nelle varie rocche, vantandosi di averle costruite a fundamentis<br />
anche quando le aveva solo rimodernate.
Rimini<br />
Castel Sismondo<br />
piazza Malatesta<br />
tel. 0541 29192 (Fondazione<br />
Cassa di Risparmio)<br />
fax 054128660<br />
www.fondcarim.it<br />
fondcarim@iol.it<br />
In alto, Rimini, Castel<br />
Sismondo (1437-1446). In<br />
basso, medaglia malatestiana<br />
con la veduta di Castel<br />
Sismondo (c.1450).<br />
12<br />
Itinerario 1 > Il Castello di Rimini<br />
Il capolavoro dell’architettura militare malatestiana è costituito<br />
dal castello di Rimini, fatto costruire da Sigismondo a partire<br />
dal 1437 e terminato, stando alle epigrafi che lo decorano, nel<br />
1446. Queste epigrafi, dal dettato solenne e dalle forme epigrafiche<br />
antiche, ci fanno sapere che il signore aveva voluto chiamare<br />
l’edificio, che dichiarava al solito di avere costruito a fundamentis,<br />
con il suo stesso nome: Castel Sismondo. La costruzione<br />
sfruttò molte parti delle preesistenti case malatestiane duecentesche,<br />
e anche le fortificazioni che il predecessore di Sigismondo<br />
(suo fratello Galeotto Roberto, detto il beato) aveva fatto costruire.<br />
Per Sigismondo questo castello era ben più del suo palazzo,<br />
della sua “reggia”: doveva rappresentare visivamente il suo potere,<br />
secondo un concetto ancora del tutto tradizionale; e lo fece<br />
infatti realizzare in forme tradizionali, cioè più espressionisticamente<br />
pittoresche che razionalmente armoniche, come dimostrava<br />
la mutevole prospettiva delle torri, la compattezza delle cortine<br />
merlate, l’uso costante di archi acuti e di inserti lapidei e ceramici,<br />
lo sfarzo delle dorature e degli intonaci colorati in verde e<br />
rosso (i colori araldici malatestiani) documentati dagli scrittori<br />
contemporanei; e anche la tortuosità dei percorsi interni, l’irrazionalità<br />
con cui erano disposti alcuni vani e forse la scarsezza di<br />
grandi sale di rappresentanza.<br />
Per avere un’idea della forma originaria del castello oggi<br />
occorre fare ricorso alle medaglie fuse da Matteo de’ Pasti per<br />
celebrarne la costruzione e ad un particolare dell’affresco dipinto<br />
da Piero della Francesca nel Tempio Malatestiano, che ne riproducono<br />
esattamente il progetto; e inoltre a una pagina del De Re<br />
Militari di Roberto Valturio dedicata alla descrizione e all’esaltazione<br />
di quest’opera e di Sigismondo. Il suo nucleo interno era<br />
caratterizzato da cinque torri che circondavano un alto cassero (il<br />
palatium); l’ampio fossato che delimitava il suo circuito esterno si<br />
estendeva sull’attuale piazza Malatesta fino alla parte posteriore<br />
del teatro ottocentesco.<br />
Ancora colpiscono specialmente la grande mole, l’aspetto<br />
poderoso e la conformazione irregolare dell’edificio, concepito<br />
come una serie di recinti fortificati attorno ad un nucleo abitativo.<br />
Alcune delle irregolarità si possono spiegare con la necessità o la<br />
convenienza di sfruttare strutture preesistenti, ma non tutte: per<br />
esempio la disposizione delle torri non può dipendere che in<br />
parte da ciò, e sarà da interpretare piuttosto come un tentativo -<br />
precoce e quindi un po’ incerto - di creare un sistema difensivo<br />
con punti di tiro e di osservazione che si dovevano fiancheggiare
In alto, cassa malatestiana<br />
(c. 1450) proveniente da<br />
Montegridolfo, conservata a<br />
Rimini nel Museo della Città.<br />
In basso, Rimini, l’interno di<br />
Castel Sismondo durante una<br />
esposizione malatestiana.<br />
15<br />
e sostenere vicendevolmente; una necessità particolarmente sentita<br />
da quando era entrata in uso l’artiglieria.<br />
Un inventario redatto subito dopo la morte di Sigismondo ci<br />
dà una qualche idea dell’arredo della parte residenziale del grande<br />
edificio: tavoli, panche e cofani, letti e armadi, arazzi e drappi<br />
furono annotati ed enumerati dal notaio che il 13 ottobre 1468<br />
attraversò ed inventariò diligentemente piccoli e grandi ambienti,<br />
dai nomi pittoreschi in parte derivati da caratteristiche decorazioni<br />
murali (camera delle grillande, del geneviere, della morte, del<br />
crocifisso). Nelle casse e negli armadi erano conservati libri e<br />
scritture, gioielli e indumenti di strane fogge e a volte di tessuti<br />
preziosi, coperte e biancheria. Nei magazzini erano conservate<br />
armi, bandiere, tende da campo e stendardi, finimenti per cavalli<br />
e collari per cani, strumenti per la caccia tradizionale (archi e frecce)<br />
e per la guerra moderna (spingarde e bombarde).<br />
Tutto è andato perduto. L’unico autentico mobile malatestiano<br />
superstite è una piccola cassa in legno di cipresso databile<br />
intorno alla metà del secolo, riccamente intagliata con lo stemma<br />
di Sigismondo fra motivi decorativi; è conservata nel Museo della<br />
Città, e proviene dal castello di Montegridolfo.<br />
Con la caduta dei Malatesti, alla fine del Quattrocento, Castel<br />
Sismondo perse il suo carattere di residenza principesca e fu adibito<br />
unicamente a scopi militari; con il tempo naturalmente le sue<br />
strutture dovettero essere adeguate alle necessità di difesa<br />
soprattutto dalle armi da fuoco, che nel giro di pochi decenni avevano<br />
fatto enormi progressi. Nel Seicento, dopo un radicale<br />
restauro e l’aggiunta di altre cannoniere, assunse in onore del<br />
papa regnante (Urbano VIII) il nome di Castel Urbano. Fu in seguito<br />
adibito a caserma e a magazzino, e infine a prigione.<br />
È destinato a centro culturale, e da anni vi opera un cantiere<br />
di restauro che ha permesso di individuare varie preesistenze;<br />
particolarmente rilevante è il ritrovamento di resti delle mura<br />
urbiche romane con una porta, inglobata proprio nelle fondazioni<br />
del Castello: si tratta probabilmente di una porta “montanara”<br />
tardoromana che in epoca medievale fu sostituita nello stesso<br />
punto, ma ad un livello più alto, dalla porta detta “del gattolo”,<br />
appartenuta al Vescovado fino a tutto il Duecento, cioè fino a<br />
quando cadde in mano ai Malatesti, che lì vicino avevano le loro<br />
case.
Verucchio<br />
Rocca Malatestiana<br />
(di proprietà comunale)<br />
via Rocca, 42<br />
tel. 0541 670552<br />
fax 0541 673266<br />
per prenotazioni<br />
tel. 0541 670222<br />
iat.verucchio@iper.net<br />
www.verucchio.net/<br />
malatesta.htm<br />
• apertura: tutto l’anno<br />
Nella pagina accanto,<br />
Verucchio, la rocca<br />
malatestiana del Sasso.<br />
16<br />
Itinerario 2 > La culla dei Malatesti:<br />
Pennabilli e Verucchio<br />
Nel territorio riminese, e particolarmente nella valle del<br />
Marecchia e del Conca, dalle colline di Rimini al promontorio di<br />
Gabicce, i Malatesti sono documentati come possessori di fondi a<br />
partire dal XII secolo. Ma la loro storia rimane incerta fino a quando<br />
non diventano cittadini riminesi, un secolo dopo. A Rimini, già<br />
verso il 1220, è Malatesta dalla Penna ad emergere come capo<br />
della famiglia e, alla sua morte, verso il 1247, il figlio Malatesta da<br />
Verucchio. Penna (Pennabilli) e Verucchio si contendono appunto<br />
l’onore di aver dato i natali ai Malatesti. Nei secoli scorsi l’erudizione<br />
locale, basandosi anche su falsi diplomi, ha davvero versato<br />
fiumi d’inchiostro per dirimere la questione, certo non di fondamentale<br />
importanza. Probabilmente Verucchio rappresenta<br />
solo una tappa di avvicinamento alla città della sempre più potente<br />
e sempre più ricca famiglia. Comunque sia, è nella media valle<br />
del Marecchia che va collocata la loro “culla”, a meno che non si<br />
debba ulteriormente risalire la valle fino alla Toscana (dove sembra<br />
vi sia una qualche traccia più antica, ma ancora molto incerta,<br />
come ha recentemente suggerito Currado Curradi).<br />
Pennabilli e Verucchio hanno una conformazione simile: si<br />
distendono su selle attraversate da una strada e dominano il<br />
Marecchia con due rocche ciascuna. Di quelle pennesi rimangono<br />
ruderi quasi informi, con tracce di cisterne, a coronamento del<br />
Roccione e della Rupe (così si chiamano le due cime, a cui facevano<br />
capo due distinti abitati, Penna e Billi, unificati nel XIV secolo).<br />
Sul Roccione i resti di un bastione poligonale fanno pensare a una<br />
costruzione malatestiana del Quattrocento; ai ruderi della fortificazione<br />
della Rupe si appoggia in parte il monastero delle suore<br />
Agostiniane, costruito all’inizio del XVI secolo con le pietre della<br />
rocca distrutta. Nell’abitato esistono ancora avanzi delle mura di<br />
cinta e due porte rimaneggiate, con stemmi malatestiani e feltreschi:<br />
testimonianza del passaggio del luogo dai Malatesti ai<br />
Montefeltro, avvenuto definitivamente nel 1462, l’anno precedente<br />
la disfatta di Sigismondo Malatesta ad opera delle milizie<br />
papali comandate da Federico da Montefeltro.<br />
Più fortunata, in un certo senso, è stata Verucchio; anche qui<br />
in una delle sue rocche (detta “del Passerello”), pressoché<br />
distrutta, si è insediato un convento di suore; ma l’altra, detta<br />
“del Sasso”, domina ancora, ben salda e visibile, il paese e il territorio;<br />
per quanto rimaneggiata da adattamenti e restauri è, con<br />
quelle di Montebello, San Leo e Santarcangelo, una delle più<br />
interessanti di tutta la valle. Sigismondo la fortificò nel 1449,<br />
come avvertono due belle iscrizioni, aggiungendole una grande
18<br />
scarpa e riorganizzando le costruzioni attorno al massiccio cassero<br />
centrale. Alcuni scavi hanno rivelato capaci sotterranei e imponenti<br />
strutture forse del XII secolo, comunque di molto anteriori<br />
all’intervento di Sigismondo. Più antica è anche la bella torre quadrata<br />
in pietra, dal paramento straordinariamente accurato, in<br />
parte piena. Recentemente (1975) è stato inopinatamente ricostruito<br />
un antico sentiero che, protetto dal mastio, scende ripidissimo<br />
dal fianco della rupe: costituiva un collegamento di emergenza<br />
con il territorio. Le sale di questa rocca hanno subito molti<br />
rimaneggiamenti e trasformazioni per adeguarle alle esigenze<br />
della piccola corte di Zenobio de Medici, di Ippolita Comnena, di<br />
Leonello e di Alberto Pio da Carpi, che ebbero in feudo Verucchio<br />
dal 1518 al 1580, e alle esigenze di un piccolo teatro costruito al<br />
suo interno nel XVIII secolo.<br />
Come Pennabilli anche Verucchio fu perduta da Sigismondo<br />
nel 1462 dopo un estenuante assedio. La “rocca del Sasso”, ben<br />
munita e difesa da truppe fedeli e affezionate al loro signore, non<br />
voleva arrendersi a Federico da Montefeltro, che fu costretto a<br />
ricorrere ad uno degli stratagemmi in cui era maestro: una lettera<br />
con la falsa firma di Malatesta Novello che preannunciava l’arrivo<br />
di rinforzi; i rinforzi arrivarono infatti, e troppo tardi il castellano si<br />
accorse che erano costituiti da soldati feltreschi opportunamente<br />
camuffati.<br />
Da Verucchio si dominano perfettamente il fiume e tutta la<br />
pianura fino a Rimini, si sorveglia una buona parte del territorio<br />
di San Marino, si comunica direttamente con la rocca di<br />
Scorticata (oggi Torriana) che le sta di fronte e con quelle della<br />
pianura riminese: questa posizione veramente strategica per il<br />
controllo del territorio spiega la cura con cui Sigismondo ne ha<br />
riformato e potenziato le difese, che ora costituiscono pacifici e<br />
veramente straordinari balconi su uno dei paesaggi più pittoreschi<br />
e incantevoli del mondo, “misto di valli, di monti, di terre, di<br />
ville, e di mare”, come nel 1705 scriveva l’archiatra di Clemente<br />
XI, mons. Gian Maria Lancisi.
San Leo<br />
Fortezza rinascimentale<br />
(di proprietà demaniale)<br />
via Btg. Cacciatori<br />
tel. 0541 926967-0541 916306<br />
• apertura: tutto l’anno<br />
19<br />
Itinerario 3 > La valle del Marecchia<br />
Il territorio fra Pennabilli e Verucchio è molto interessante<br />
per le testimonianze di storia e d’arte che ancora conserva.<br />
Subito ai piedi di Pennabilli, fra la moderna strada e il Marecchia,<br />
c’è la pieve di San Pietro in Messa, romanica (XII secolo), tutta in<br />
pietra, con un interno a tre navate e una bella facciata. Nel 1200<br />
Giovanni Malatesta donò alcuni terreni a questa pieve.<br />
Di là dal fiume si potrà visitare l’affascinante paese di<br />
Petrella Guidi, ora quasi disabitato ma quasi intatto nella sua<br />
struttura medievale, dominato da una rocca in rovina con una<br />
grande torre costruita dai Tiberti fra il XII e il XIII secolo. Sui muri<br />
di questa torre resiste ancora in molti punti l’originale intonaco<br />
candido, a testimoniare che le antiche fortificazioni erano intonacate<br />
e dipinte, e si rendevano ben visibili nel paesaggio anche per<br />
i loro colori, che in genere rispecchiavano quelli araldici della<br />
famiglia che li possedeva. Sulla porta delle mura conserva uno<br />
stemma malatestiano (di Galeotto) affiancato da uno stemma<br />
degli Oliva, che lo tennero con la protezione dei Malatesti fino<br />
all’inizio del Quattrocento, e uno stemma della Chiesa (le chiavi<br />
incrociate).<br />
Procedendo oltre Petrella per la piccola strada si raggiunge,<br />
al di là del crinale, Sant’Agata Feltria, nella valle del Savio, con<br />
una bella rocca malatestiana costruita su un roccione (il “Sasso<br />
del lupo”), modificata da Federico da Montefeltro, cui si deve<br />
l’aggiunta di un bastione progettato da Francesco di Giorgio<br />
Martini, e soprelevata dai Fregoso, che ne furono gli ultimi feudatari.<br />
Chi da Pennabilli scende per la vallata del Marecchia, dopo<br />
Novafeltria vedrà sulla destra il monte di Maioletto, coronato dai<br />
resti di una rocca malatestiana di cui rimangono solo una cortina<br />
e due bastioni poligonali a scarpa, distrutta nel 1639 da un fulmine<br />
che colpì il magazzino delle polveri da sparo. Maiolo, il borgo<br />
fortificato che sorgeva sotto la sua protezione sul fianco del<br />
monte, variamente conteso dai Faggiolani, dal Vescovo del<br />
Montefeltro, dalla Chiesa, dai Malatesti e dai Montefeltro, è stato<br />
completamente distrutto da una frana il 29 maggio 1700: la ferita<br />
provocata dalla frana è ancora ben visibile sul fianco del monte.<br />
Poco più avanti, dalla strada ormai pianeggiante che segue il<br />
largo letto del fiume si gode una stupenda veduta di San Leo,<br />
costruita su una rupe calcarea dai fianchi scoscesi, dominata da<br />
una rocca pressoché imprendibile riformata da Francesco di<br />
Giorgio Martini per Federico da Montefeltro. San Leo, l’antico<br />
Mons Feretri, è in un certo senso la capitale ‘storica’ del Montefel-
Torriana<br />
Rocca Malatestiana<br />
via Castello, 15<br />
tel. 0541 675232<br />
ristoranteduetorri@libero.it<br />
• apertura: visitabile la<br />
struttura e la zona<br />
panoramica circostante<br />
Montebello<br />
Rocca dei Guidi di Bagno<br />
(di proprietà privata)<br />
castello di Montebello<br />
tel./fax 0541 675180<br />
• apertura: tutto l’anno<br />
In alto, la fortezza di San Leo.<br />
In basso, la torre cilindrica e<br />
la chiesetta di Madonna di<br />
Saiano.<br />
21<br />
tro, a cui ha dato il nome, e forse il luogo d’origine della casata<br />
dei Montefeltro, che per tutto il Trecento e il Quattrocento l’hanno<br />
contesa ai Malatesti. Certo si tratta di un luogo di grande<br />
importanza strategica per il dominio dell’entroterra, e per questo<br />
fu al centro di lunghi scontri fra Longobardi e Bizantini. Va ricordato<br />
che proprio a San Leo si è conclusa la lotta di Berengario II<br />
contro l’imperatore Ottone I, che il 26 dicembre del 963, dopo un<br />
lunghissimo assedio, riuscì a conquistare la città e a catturarlo.<br />
Oltre e più che nella rocca, a San Leo i segni del più genuino<br />
Medio Evo vanno ricercati nella Pieve e nella Cattedrale, splendidi<br />
esempi di architettura romanica.<br />
Sulla strada che affianca il fiume Marecchia (la strada<br />
Marecchiese) sorvegliano la parte riminese e romagnola della<br />
valle due rupi pittoresche: quelle di Pietracuta e di Saiano.<br />
Quest’ultima si presenta come uno scoglio alto nel greto del<br />
fiume; vi sorgono una antica chiesa dedicata alla Madonna, con<br />
un presbiterio a trifoglio (in cui sono affreschi rinascimentali, purtroppo<br />
lacunosi) che ricorda le “celle tricore” bizantine, e una<br />
grande torre dal bel paramento in conci d’arenaria, cilindrica<br />
come i campanili ravennati. Le torri cilindriche non sono rare nel<br />
Montefeltro e, nonostante si rifacciano ad una tipologia romana e<br />
bizantina, non sembrano essere più antiche del XIII secolo. Ne<br />
esistono nei comuni di Pennabilli (Maciano), di Casteldelci<br />
(Torre di Monte), di Badia Tedalda (Cicognaia), di Montegrimano<br />
(Ca’ Manente), di Sestino (Monte Romano), di Borgopace (Torre<br />
di San Martino).<br />
Ma quasi a segnare con un vero “termine” il confine tra il<br />
Montefeltro e la <strong>Romagna</strong>, poco più avanti si trova un altro sbarramento<br />
fortificato: è costituito dalle colline di Verucchio e di<br />
Scorticata (ora Torriana) sulle opposte sponde della valle, attrezzate<br />
proprio per rendere invalicabile il passaggio e per inviare a<br />
Rimini informazioni (con fuochi e fumi) sul vastissimo territorio<br />
che riescono a sorvegliare, tanto verso il mare che verso le colline<br />
romagnole e marchigiane e San Marino. La torre di Scorticata,<br />
dipendente dalla rocca sottostante, riusciva a comunicare tramite<br />
la vicina rocca di Montebello fino a San Giovanni in Galilea, attivando<br />
tutta una catena di rocche e <strong>castelli</strong> fra le valli dell’Uso e<br />
del Rubicone e Rimini.<br />
Sarà bene attraversare il Marecchia a Ponte Verucchio per<br />
salire fino a Torriana e a Montebello, che è un grazioso paese con<br />
una rocca interessante, più volte rimaneggiata (dei marchesi di<br />
Bagno), che vale la pena visitare per le sue strutture e per i
In alto, l’ingresso al castello<br />
di Torriana. In basso, un<br />
camminamento sugli spalti<br />
del castello di Montebello.<br />
22<br />
magnifici scorci paesaggistici sulla valle del Marecchia e sulla<br />
valle dell’Uso che offre dagli spalti. Poi si potrà discendere la<br />
valle rimanendo sulla sinistra del fiume, in un paesaggio che<br />
diviene subito dolce. Si incontrerà a sinistra Poggioberni con il<br />
Palazzo Marcosanti, che domina la strada da una breve altura: in<br />
origine era una fattoria fortificata dei Malatesti, e conserva ancora<br />
una parte della struttura trecentesca. Si vedano la bella scarpata<br />
e i portali ogivali in pietra e in cotto, al centro del corpo principale<br />
regolarizzato nel Seicento, e la grande corte.<br />
Un po’ più a valle e ormai completamente in pianura, si scorge<br />
la bellissima torre duecentesca dei Battagli (una delle famiglie<br />
importanti del Medioevo riminese), coronata da merli ghibellini.<br />
La torre difendeva una fattoria fortificata (detta “tomba”), cioè un<br />
recinto murato con le abitazioni dei contadini, le stalle e soprattutto<br />
i magazzini per la custodia dei raccolti e il ricovero degli<br />
attrezzi; naturalmente sorgeva al centro di un vasto possedimento<br />
agrario.<br />
A pochi chilometri è Santarcangelo, costruita su una collina<br />
fra il Marecchia e l’Uso; per la sua edilizia modesta, le sue stradine<br />
pittoresche che si inerpicano sul colle e si aprono in silenziose<br />
piazzette, è una delle cittadine meglio conservate e più piacevoli<br />
della zona. Il nucleo antico è ancora in gran parte racchiuso dalla<br />
cinta muraria quattrocentesca, restaurata e in parte rifatta nel<br />
1447 da Sigismondo, che vi fece apporre delle epigrafi marmoree;<br />
a lui spetta anche la costruzione della rocca, sorta ad un’estremità<br />
del colle accanto ad una grande torre voluta da Carlo<br />
Malatesta nel 1386. Questa torre era altissima, anzi una delle<br />
meraviglie d’Italia per la sua altezza, secondo gli scrittori del<br />
tempo. Continuava a meravigliare per la sua imponenza e bellezza<br />
anche mezzo secolo dopo; ma ormai gli assedi si facevano più<br />
con le bombarde di bronzo che con le catapulte di legno, e<br />
Sigismondo non esitò a farla abbassare: ne utilizzò la parte inferiore<br />
come mastio angolare per una nuova rocca (in parte costruita<br />
col materiale ottenuto dalla demolizione) di forma quadrangolare<br />
con torrioni poligonali, in grado di ospitare una buona guarnigione:<br />
come comportava l’irrequietezza, l’insofferenza dei santarcangiolesi<br />
nei confronti della signoria malatestiana, e la necessità<br />
di sorvegliare continuamente il corso inferiore del Marecchia e<br />
dell’Uso e la via <strong>Emilia</strong> in prossimità di Rimini.<br />
Anche questa rocca, che purtroppo ha completamente perduto<br />
il suo coronamento di beccatelli e di merli, è ornata da iscrizioni<br />
in bei caratteri epigrafici antichi e in latino, secondo una
Santarcangelo di <strong>Romagna</strong><br />
Rocca Malatestiana<br />
(di proprietà privata)<br />
via Rocca Malatestiana, 4<br />
tel./fax 0541 620832<br />
tel. 081 5751828<br />
sig.ma@flashnet.it<br />
marcolon@unina.it<br />
• apertura: in estate su<br />
prenotazione<br />
Nella pagina accanto,<br />
la rocca malatestiana di<br />
Santarcangelo.<br />
24<br />
moda umanistica che proprio allora cominciava ad affermarsi. Dal<br />
cortile, con un pittoresco acciottolato sotto cui esiste una cisterna<br />
medievale ancora funzionante, si può accedere al mastio, che è la<br />
base della grande torre trecentesca di Carlo Malatesta, con una<br />
parte delle sue antiche scale a chiocciola nascoste nelle enormi<br />
murature: esse permettevano comunicazioni indipendenti ai vari<br />
piani (ne sono superstiti quattro). In una sala di questa torre<br />
all’alba del 10 ottobre 1432 morì, ad appena ventun anni,<br />
Galeotto Roberto Malatesta, detto il beato, nipote e successore<br />
di Carlo e fratello di Sigismondo e Malatesta Novello. Alcuni fantasiosi<br />
scrittori ottocenteschi hanno ambientato qui le vicende<br />
che portarono al “delitto d’onore” di Gianciotto, cioè all’uccisione<br />
di Paolo il bello e di Francesca da Rimini.<br />
Il paesaggio che si gode dalla terrazza del mastio, su cui<br />
svettava fino a poco tempo fa un cipressetto pittoresco quanto<br />
dannosissimo per la coesione della muratura, è magnifico: la<br />
valle del Marecchia si apre ampia fino alle colline e a San Marino<br />
da una parte, fino a Cesena e al mare dall’altra. Vicino al fiume<br />
l’attento osservatore potrà scorgere la Pieve, una basilica bizantina<br />
ad unica navata sorta nel VI secolo accanto all’abitato romano:<br />
è la pieve più antica e meglio conservata di tutta la <strong>Romagna</strong>.
Coriano<br />
Antiquarium del Castello<br />
tel. 0541 657113<br />
• apertura: tutto l’anno<br />
In alto, due vedute del<br />
castello di Coriano. In basso,<br />
a sinistra, la torre civica di<br />
Montecolombo; a destra,<br />
la chiesa della Pace di Trarivi.<br />
26<br />
Itinerario 4 > La valle del Conca<br />
Da Rimini è conveniente raggiungere la valle del Conca<br />
direttamente all’inizio della sua parte collinare, attraversando di<br />
sbieco il territorio riminese fino a Morciano di <strong>Romagna</strong>. Basta<br />
prendere la strada di Coriano, che scivola dolcemente fra colline<br />
coltivate con una cura straordinaria, come fossero giardini:<br />
campi, vigne, oliveti si alternano sui declivi morbidi, animati da<br />
sparse abitazioni coloniche, da chiesette, da salici e da pioppi<br />
piantati sulle rive di torrenti che incidono profondamente il terreno.<br />
A Coriano si troveranno i resti di un castello con mura a scarpa<br />
e cortine con beccatelli, e una porta con tracce ben visibili<br />
dell’antico ponte levatoio, coronata dallo stemma in pietra dei<br />
Sassatelli di Imola (che ebbero in feudo Coriano dal 1528 al 1580).<br />
L’accesso interno al recinto fortificato, di forma poligonale, è più<br />
antico ed è costituito da un’arcaica torre portaia alta e diritta, che<br />
conserva ancora qualche merlo. Il castello è stato in buona parte<br />
restaurato di recente; al suo interno è stato realizzato un<br />
Antiquarium che raccoglie reperti, oggetti e frammenti di ceramica,<br />
ritrovati durante il restauro.<br />
Appena superata Coriano una strada secondaria sprofonda<br />
sulla sinistra nella valletta del rio di Mordano, fino al ponte<br />
Scaricalasino, e riemerge ripida fino alla frazione di Castelleale: si<br />
trattava della fattoria fortificata del vescovo Leale Malatesta, che<br />
vi morì nel 1400. A ben guardare nelle mura esterne del piccolo<br />
agglomerato si scorgeranno mura e archi trecenteschi, antiche<br />
finestre con stipiti in pietra, avanzi di una cinta e di una torre con<br />
porta a sesto acuto; nel lato a monte esistono ancora consistenti<br />
resti della porta carraia, affiancata da un’altra, più piccola, pedonale,<br />
entrambe di eleganti forme ogivali. Il vescovo Leale lasciò<br />
alla Cattedrale di Rimini un bell’ostensorio, poi trasformato in reliquiario<br />
(“della sacra Spina”), sul cui piede è ritratto in atteggiamento<br />
devoto davanti a San Giorgio, patrono della cavalleria.<br />
Sulla collina opposta esiste un insediamento analogo a quello di<br />
Castelleale, e forse più antico, circondato da mura fatiscenti<br />
nascoste dalla vegetazione e con l’unico ingresso dominato da<br />
un’alta torre, crollata per metà in anni recenti: Agello.<br />
Oltre Castelleale si raggiunge San Clemente, anch’essa con<br />
resti di fortificazioni, e poi si comincia a scendere nella valle del<br />
Conca, che si raggiunge a Morciano: percorrendo la discesa tortuosa<br />
si vedono sull’altro versante della valle Saludecio,<br />
Montefiore e Gemmano, paesi fortificati che coronano alture ricche<br />
di vegetazione. Da Morciano è opportuno risalire la valle
In alto, veduta di Gemmano<br />
e, in basso, di Morciano.<br />
29<br />
almeno per raggiungere Montescudo e Montecolombo, due paesi<br />
ben muniti sulla sinistra del fiume, che (con Gemmano) sono stati<br />
semidistrutti durante l’ultima guerra.<br />
A Montescudo sono degne di attenzione le grandi mura della<br />
rocca, con scarpate molto grandi e molto inclinate che rendevano<br />
praticamente impossibile ogni assalto. Sul bastione meridionale<br />
si vede ancora una targa marmorea con un’iscrizione latina dal<br />
dettato solenne, scolpita con la consueta cura formale per la<br />
disposizione e il carattere delle lettere. In essa Sigismondo afferma<br />
di aver costruito dalle fondamenta la grande rocca come<br />
“scudo” per la città di Rimini nel 1460. Montescudo, dominando<br />
tutta la media valle del Conca e quella del torrente Marano, e<br />
fronteggiando direttamente le fortificazioni nemiche di San<br />
Marino, costituiva davvero l’elemento chiave di tutto il sistema<br />
difensivo malatestiano e un vero e proprio scudo a difesa della<br />
stessa città di Rimini, che gli è congiunta da una comoda strada di<br />
crinale lunga appena una ventina di chilometri (senza particolari<br />
opere difensive).<br />
Il 31 marzo 1954, durante il restauro delle mura orientali di<br />
Montescudo, sono state trovate ventidue medaglie con l’effigie di<br />
Sigismondo. Si tratta di alcune di quelle, famose e veramente stupende,<br />
fuse in bronzo da Matteo de’ Pasti negli anni centrali del<br />
Quattrocento. Ne sono stati trovati diversi esemplari anche altrove,<br />
sempre nei muri di costruzioni malatestiane; sappiamo che il<br />
signore di Rimini le faceva nascondere nelle murature affinché la<br />
memoria del suo nome e del suo volto sopravvivesse anche alla<br />
distruzione delle sue architetture, come la memoria e l’effigie<br />
degli imperatori romani erano sopravvissute, grazie alle loro<br />
monete, alla distruzione dei loro pur grandiosi edifici. Certamente<br />
una tale “preoccupazione” non poteva essere compresa dalla<br />
gente comune, che fantasticò su tali depositi e li interpretò come<br />
tesori: varie leggende di tesori nascosti nei muri delle rocche<br />
malatestiane fiorirono ancor vivente Sigismondo; e a Montefiore<br />
se ne favoleggia ancora.<br />
Il versante opposto della valle è dominato soprattutto da<br />
Gemmano, le cui fortificazioni sono state distrutte, e da<br />
Montefiore (di cui si parlerà più avanti), che si raggiungono agevolmente<br />
da Morciano. Da Morciano parte anche la strada che<br />
permette di arrivare a Saludecio e, travalicando il crinale con<br />
Mondaino e Montegridolfo, scende nella valle - quasi tutta marchigiana<br />
- del Foglia.<br />
Ancora una volta ci troviamo in località di confine di grande
Mondaino<br />
Rocca Malatestiana<br />
piazza Maggiore, 1<br />
tel. 0541 981674<br />
fax 0541 982060<br />
infomondaino@mondaino.com<br />
www.mondaino.com<br />
• apertura: tutto l’anno<br />
In alto, la piazza<br />
ottocentesca di Mondaino<br />
davanti alla Rocca<br />
Malatestiana. In basso, un<br />
affresco quattrocentesco in<br />
San Rocco di Montegridolfo.<br />
30<br />
valore strategico, quindi accuratamente fortificate. A Saludecio,<br />
che ha sempre gravitato nell’orbita riminese e malatestiana, ma<br />
che ha avuto propri domicelli (gli Ondidei, uccisi da una famiglia<br />
rivale nel 1344, forse su istigazione degli stessi Malatesti), rimangono<br />
pochi resti dell’antica rocca, incorporati nell’ottocentesco<br />
Palazzo Comunale, la cui ala esterna è decorata da uno stemma<br />
malatestiano trecentesco.<br />
A Mondaino, che dopo la sconfitta malatestiana ha lungamente<br />
gravitato su Fano, tanto le mura di cinta che la porta settentrionale<br />
e la rocca (ora palazzo comunale), su un grande basamento<br />
a scarpa, formano un nucleo molto pittoresco, anche per<br />
l’inserzione fra di esse di una scenografica piazza ottocentesca,<br />
semicircolare e porticata. Recentemente è stata rintracciata e in<br />
parte scavata una lunga e ripida galleria sotterranea che dalla<br />
rocca doveva portare al fiume: costituiva forse una via di fuga, o<br />
un passaggio segreto per inviare messaggeri. Nella letteratura<br />
riguardante le fortificazioni si parla spesso di passaggi segreti,<br />
ma questo è l’unico, per ora, documentato da un ritrovamento.<br />
Saludecio e Mondaino, come gli altri paesi della zona, nella<br />
prima metà del Trecento furono teatro di lotte tutte interne alla<br />
famiglia malatestiana, fra i cugini Ferrantino Novello, Galeotto e<br />
Malatesta Guastafamiglia; il primo figlio di Ferrantino e nipote di<br />
Malatestino dall’occhio, i secondi figli di Pandolfo I (che di<br />
Malatestino era fratello). Tali lotte si risolsero con la sconfitta di<br />
Ferrantino, che si era alleato con i Montefeltro e che aveva costituito<br />
una specie di signoria personale sulle colline romagnole<br />
verso Urbino. Un paese intero fu vittima di queste lotte:<br />
Montegridolfo, distrutto nel 1337 da Ferrantino e ricostruito cinque<br />
anni dopo da Galeotto e Malatesta secondo un piano urbanistico<br />
ben preciso, ancora sostanzialmente intatto: sul rilievo terrapienato<br />
e regolarizzato da alte mura a scarpa, le modeste costruzioni<br />
sorgono allineate con cura fra tre strade parallele; l’accesso<br />
al paese avviene attraverso un’unica porta-torre con ponte levatoio,<br />
ora modificata. Dalla parte opposta dell’abitato sorgeva una<br />
piccola rocca, di cui restano avanzi parzialmente inglobati in un<br />
palazzo (ora trasformato in albergo): forse si trattava di quella che<br />
era stata generosamente donata nel 1503 da Cesare Borgia, detto<br />
il Valentino, al suo amatissimo “boia” don Micheletto. Tutto il<br />
paese è stato di recente restaurato con molta cura.<br />
Appena fuori dall’antico abitato sorge la chiesetta di San<br />
Rocco, con affreschi del XV e XVI secolo raffiguranti la Madonna<br />
con il Bambino e i santi Sebastiano e Rocco, e una pala seicente-
In alto, a sinistra, Porta<br />
Marina e campanile di<br />
Saludecio; a destra,<br />
particolare di un affresco<br />
quattrocentesco della chiesa<br />
dell’Ospedale, a Montefiore.<br />
In basso, a sinistra, veduta<br />
aerea di Montegridolfo;<br />
a destra la chiesa della Scuola<br />
a San Giovanni in Marignano.<br />
33<br />
sca che ne ripete il soggetto (di Guido Cagnacci). Nella valle del<br />
Conca di trovano altri affreschi dell’ultimo quarto del<br />
Quattrocento di notevole pregio: una Vergine con il Bambino in<br />
trono fra angeli musicanti è a Mondaino (ora nel Municipio, proveniente<br />
dal convento delle Clarisse); e una frammentaria decorazione<br />
con la raffigurazione del Giudizio Universale e del Paradiso<br />
è nella chiesetta dell’Ospedale di Santa Maria della Misericordia<br />
di Montefiore.<br />
Ridiscese le colline fino a Morciano, si può proseguire verso il<br />
mare per la strada che costeggia l’alveo del Conca. Ben presto si<br />
incontrerà un’altra importante ‘terra’ malatestiana, San Giovanni<br />
in Marignano, di fondazione benedettina, con mura e torre di<br />
accesso tre-quattrocentesche (e numerose “fosse da grano”<br />
recentemente riscoperte e restaurate). Tutta la zona pianeggiante<br />
compresa fra il Conca, il Ventena e il Tavollo, da Morciano al mare,<br />
durante l’alto Medio Evo era paludosa, e fu bonificata dai<br />
Benedettini, che vi si erano insediati con numerose abbazie e<br />
grandi possedimenti in parte già della chiesa ravennate.<br />
La strada si conclude a Cattolica (la cui vecchia chiesa di<br />
Sant’Apollinare era dei Benedettini di Classe), che pochi chilometri<br />
separano dal grande castello di Gradara, in territorio pesarese.
Montefiore Conca<br />
Rocca Malatestiana<br />
(di proprietà comunale)<br />
via Roma tel. 0541 980035<br />
fax 0541 980206<br />
montefiore@libero.it<br />
• apertura: Pasqua - ottobre<br />
In alto, vera da pozzo del<br />
Trecento nel cortile della<br />
rocca di Montefiore. In basso,<br />
“Battaglia di cavalieri”,<br />
affresco di Jacopo Avanzi<br />
(c. 1370) nella rocca di<br />
Montefiore.<br />
34<br />
Itinerario 5 > Regge per le vacanze:<br />
Montefiore e Gradara<br />
Nella seconda metà del Trecento, consolidata la loro signoria<br />
e ottenuta la carica ufficiale di “vicari”, i Malatesti modificarono<br />
alcune rocche per renderle adatte ad ospitare la loro corte che,<br />
per ricchezza e raffinatezza, ormai gareggiava con le grandi corti<br />
dell’Italia centrale. Gradara soprattutto e Montefiore furono<br />
appunto, oltre che rocche pressoché imprendibili, sontuose residenze<br />
temporanee, di villeggiatura diremmo oggi, specialmente<br />
nei periodi più favorevoli alla caccia. Si dà anche il caso di edifici<br />
costruiti proprio come “delizie”, e trasformati poi in fortezze: per<br />
esempio la villa delle Caminate a tre miglia da Fano, fatta costruire<br />
da Galeotto nel 1365 e decorata da Pace da Faenza, purtroppo<br />
totalmente distrutta.<br />
Montefiore è ben visibile tanto da Rimini che da tutta la pianura<br />
riminese. Domina la media valle del Conca e quella del<br />
Ventena, e fa parte della catena più salda e coerente di tutto il<br />
sistema difensivo malatestiano; per comprenderne l’importanza<br />
strategica basta considerarlo in relazione, cioè in contrasto, con<br />
le rocche feltresche di Tavoleto e di Sassofeltrio. Forse è il più<br />
caratteristico dei <strong>castelli</strong> malatestiani per la sua forma prismatica<br />
e per il risalto che vi ha la rocca, dall’aspetto anomalo, quasi surreale,<br />
per essere liscia e sfaccettata, compatta e cristallina; non<br />
c’è da meravigliarsi che sia rimasta negli occhi, e forse nei taccuini<br />
di viaggio, di Giovanni Bellini, che ebbe a riprodurla nello sfondo<br />
di almeno due suoi dipinti. Purtroppo la visione ravvicinata è<br />
un po’ deludente per gli ampi rifacimenti che l’edificio accusa,<br />
condotti nel dopoguerra con una insensibilità rara, e che hanno<br />
stravolto e cancellato molti elementi originali capaci di fornire<br />
indizi utili per la sua comprensione e per una più sicura ricostruzione<br />
(ideale, s’intende).<br />
Già nel Duecento l’edificio doveva avere una notevole mole e<br />
un buon assetto funzionale, con una torre a cui si affiancava,<br />
appena distaccato, un palazzo residenziale; entrambi erano protetti<br />
da un recinto murato, che racchiudeva al centro un cortile<br />
con cisterna, modellato sul cocuzzolo della collina. Al secolo successivo<br />
risalgono ampliamenti consistenti e le mura che circondano<br />
tutto il paese e formano un grande recinto difensivo in cui è<br />
inclusa anche la rocca. Abbiamo notizie di vari restauri e di modifiche,<br />
dovuti a Sigismondo, ma prima ancora a Malatesta Ungaro,<br />
che predilesse questo edificio e lo fece decorare con un bellissimo<br />
stemma lapideo col “cimiero” tuttora esistente e con dipinti in<br />
parte miracolosamente superstiti. Nella grande “camera<br />
dell’Imperatore” (che era affiancata ad una “sala del trono” e ad
Gradara<br />
Rocca<br />
(di proprietà demaniale)<br />
piazza Alberta Porta Natale<br />
tel. 0541 964181<br />
fax 0541 969085<br />
• apertura: tutto l’anno<br />
In alto, dalla rocca di<br />
Montefiore, veduta del borgo<br />
con la chiesa parrocchiale.<br />
In basso, il castello di<br />
Gradara.<br />
36<br />
una “sala del Papa”) esistono alcuni “ritratti” di antichi eroi e due<br />
scene frammentarie di battaglia, affrescate da Jacopo Avanzi<br />
intorno al 1370. Si tratta degli unici resti di decorazioni pittoriche<br />
appartenenti a edifici privati malatestiani. Affreschi e pitture sono<br />
documentati in molte altre residenze e <strong>castelli</strong> malatestiani: a<br />
Pesaro, a Montelevecchie, a San Costanzo di Fano, a Brescia, a<br />
Rimini, a Gradara, ma non ne rimane traccia. Prima di uscire da<br />
Montefiore si notino le costruzioni che formano un semicerchio ai<br />
piedi della rocca, e la chiesa parrocchiale con un bel portale gotico<br />
e un Crocifisso riminese del Trecento. Sulla porta del paese,<br />
nel Medioevo munita di ponte levatoio, è murata una targa lapidea<br />
con gli stemmi del pontefice Pio II Piccolomini e del cardinal<br />
legato Niccolò Forteguerri: è opera di un certo Giacomo, lapicida<br />
ferrarese, e nel 1464 (dopo la sconfitta di Sigismondo Malatesta)<br />
andò a sostituire uno stemma malatestiano.<br />
Gradara è un altro grande castello che univa alla funzione<br />
difensiva quella di sontuosa residenza. Si trattava - come per<br />
Montefiore - di un bene allodiale dei Malatesti, cioè di una vera<br />
proprietà derivata da acquisto, non da concessione pontificia. In<br />
quanto a manufatto difensivo va considerato in rapporto diretto<br />
con Rimini e in sistema con le rocche di Gabicce, Casteldimezzo e<br />
Fiorenzuola, sulle colline del litorale, e di Tavullia nell’interno.<br />
Malatesta Guastafamiglia nel 1364 assegnava per testamento<br />
Montefiore e Gradara rispettivamente a Malatesta Ungaro e a<br />
Pandolfo, suoi figli. Pandolfo è l’amico del Petrarca e il padre di<br />
quel Malatesta dei sonetti che nel 1429 morì proprio nella rocca<br />
di Gradara. Di Pandolfo si conosce l’interesse per la pittura, oltre<br />
che per la poesia (mandò un pittore dal Petrarca perché gli facesse<br />
segretamente il ritratto); di Malatesta si sa che reclutò artisti a<br />
Firenze (fra questi era il giovane Lorenzo Ghiberti) per decorare la<br />
sua residenza pesarese. Probabilmente le decorazioni ad affresco<br />
con eroi dell’antichità e battaglie antiche documentate tanto nel<br />
castello di Gradara quanto nel palazzo pesarese, erano in gran<br />
parte dovute a Pandolfo; e forse non erano molto diverse da quelle<br />
fatte dipingere a Montefiore dall’Ungaro.<br />
Nella rocca di Gradara esistono ancora affreschi del<br />
Quattrocento, con eroi e con battaglie, ma sono dovuti alla committenza<br />
degli Sforza, che ebbero il castello dal 1463. Già all’entrata<br />
del paese si vedono sull’antica porta gli stemmi di<br />
Alessandro Sforza (insieme a quello di Guidobaldo II Della<br />
Rovere e di Vittoria Farnese), mentre sulla porta della vera e propria<br />
rocca trionfa una bella iscrizione di Giovanni Sforza, comme-
38<br />
morativa di un importante restauro del 1494. Sicuramente il<br />
castello ne aveva bisogno: anche se Sigismondo Malatesta aveva<br />
già risarcito i danni provocati dal pesante assedio di Francesco<br />
Sforza, che nel 1446 aveva inutilmente tentato di sottrarglela per<br />
darla al fratello Alessandro, appena divenuto signore di Pesaro<br />
(1445) con la connivenza, e anzi la complicità, di Federico da<br />
Montefeltro.<br />
Nell’insieme tanto il paese, interamente fasciato da mura<br />
merlate, che la rocca sono in buono stato di conservazione e presentano<br />
molte parti genuine, nonostante i numerosi restauri subiti<br />
(pesanti, anche se necessari, quelli condotti negli anni venti del<br />
nostro secolo). Alla rocca si accede tramite un ponte levatoio,<br />
dopo aver superato una serie di protezioni successive; il cortile<br />
interno, quadrangolare, è ornato su tre lati da portico e loggia<br />
(del primo Trecento e del tardo Quattrocento), con stemmi di<br />
Pandolfo Malatesta e di Giovanni Sforza; in un angolo il mastio,<br />
un tempo isolato, risalta nudo e poderoso e mostra di essere la<br />
parte più antica di tutto il complesso. Verso la metà del<br />
Settecento sotto al suo pavimento, là dove oggi è allestita una<br />
pittoresca sala di tortura, fu trovato il corpo in piedi di un guerriero<br />
armato di tutto punto: forse condannato, trecento anni prima,<br />
a morire soffocato sotto un cumulo di terra. Il mastio fu sicuramente<br />
usato come prigione e come tribunale: l’iscrizione all’esterno<br />
della finestrella della sala bassa lo indica come “antidoto alla<br />
disonestà”.<br />
Dalla corte si accede direttamente alla cappella, con una<br />
bella pala in maiolica bianca e azzurra di Andrea della Robbia raffigurante<br />
la Madonna con il Bambino e quattro santi (nella predella<br />
l’Annunciazione fra San Francesco che riceve le stimmate e<br />
Santa Maria Egiziaca che riceve la comunione da un angelo); e,<br />
attraverso una scala cinquecentesca, al piano superiore, dove si<br />
possono visitare sale con un eclettico mobilio d’antiquariato e<br />
con decorazioni medievaleggianti completamente e spesso fastidiosamente<br />
false, databili ai primi decenni del Novecento. È completamente<br />
falsa anche la cosiddetta camera di Francesca, che<br />
negli anni venti è stata provvista di tutti gli ingredienti (letto e leggio,<br />
cortine e botola, passaggio segreto, balcone eccetera) per<br />
“ambientare” e rendere verosimile la tragedia dei “due cognati”<br />
che, se pur accadde, accadde altrove. Evidentemente siamo di<br />
fronte all’espressione di un gusto tardo romantico, decadente,<br />
più incline al romanzo d’appendice che al rispetto per le testimonianze<br />
storiche. Ma per fortuna la struttura della rocca è, nella
39<br />
sostanza, autentica, come autentiche e affascinanti sono alcune<br />
delle sue decorazioni rinascimentali ad affresco: quelle del camerino<br />
di Lucrezia Borgia (che per qualche anno fu la moglie di<br />
Giovanni Sforza), della sala dei putti e del loggiato, in cui è conservato<br />
anche qualche frammento scultoreo. Comunque il fascino<br />
vero della costruzione sta nella sua complessità, nella stratificazione<br />
delle sue parti, nella grandiosità della sua struttura, nel rapporto<br />
con il paese fortificato e con il paesaggio circostante.<br />
Gradara, “distesa sulla cresta della collina con una sorta di<br />
armata e vigile mollezza, come una fiera in riposo ma pronta a<br />
slanciarsi” (Luigi Michelini Tocci), guarda verso oriente e verso<br />
nord, verso il mare e verso la <strong>Romagna</strong>: che si apre alla pianura<br />
subito dopo il promontorio di Gabicce, con la Cattolica fondata<br />
nel 1273 fra il Ventena e il Tavollo quasi a rimpiazzare l’antica,<br />
anzi la mitica “Conca città profondata” e per creare un limite visibile<br />
al territorio riminese. Terra malatestiana e marchigiana,<br />
Gradara respira il vento del mare e le ultime nebbie padane, in cui<br />
risuonano le voci e le musiche, e stingono i colori e le maniere<br />
delle grandi corti settentrionali, estensi e gonzaghesche e viscontee.<br />
Più che in tutti gli altri <strong>castelli</strong> malatestiani in essa circola<br />
ancora aria di cavalleria cortese e crudele, mescolata al ricordo<br />
delle ultime prodezze dello sventato e coraggioso Sigismondo,<br />
prima del declino.
40<br />
Bibliografia > Per chi vuole saperne di più<br />
Autori vari<br />
Sigismondo Pandolfo<br />
Malatesta e il suo tempo<br />
Mostra storica (Rimini), Neri<br />
Pozza editore, Vicenza 1970<br />
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Alfa ed., Bologna 1972<br />
G. Franceschini<br />
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Dall’Oglio, Milano 1973<br />
F.V. Lombardi<br />
Le torri del Montefeltro e<br />
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Bruno Ghigi ed., Rimini 1981<br />
Autori vari<br />
Natura e cultura<br />
nella valle del Conca<br />
Biblioteca comunale<br />
di Cattolica e Cassa<br />
di Risparmio di Rimini,<br />
Rimini 1982<br />
P. G. Pasini<br />
I Malatesti e l’arte<br />
Silvana ed., Milano 1983<br />
A. Vasina<br />
Comuni e signorie<br />
in <strong>Emilia</strong> e in <strong>Romagna</strong><br />
UTET, Torino 1986<br />
Autori vari<br />
<strong>Rocche</strong> fortilizi <strong>castelli</strong><br />
in <strong>Emilia</strong> <strong>Romagna</strong> Marche<br />
Silvana ed., Milano 1988<br />
Autori vari<br />
Maricla, otto lezioni<br />
per conoscere il fiume<br />
Marecchia e la sua valle<br />
Maggioli ed., Rimini 1989<br />
Autori vari<br />
Storia illustrata di Rimini, I-III,<br />
Nuova Editoriale Aiep,<br />
Milano 1990<br />
Autori vari<br />
<strong>Rocche</strong> e bombarde fra Marche<br />
e <strong>Romagna</strong> nel XV secolo<br />
a c. di M. Mauro, Ravenna 1995<br />
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Alle origini dei Malatesti<br />
in “<strong>Romagna</strong> arte e storia”,<br />
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P. G. Pasini<br />
Arte in Valconca, I-II,<br />
Silvana ed., Milano 1996-1997<br />
G. Rimondini, D. Palloni,<br />
Il castello e la rocca di<br />
Mondaino<br />
Rimini 1998<br />
Medioevo romantico, paesi<br />
e <strong>castelli</strong> tra <strong>Romagna</strong> e<br />
Marche nei disegni di<br />
Romolo Liverani<br />
Rimini 1999<br />
Volando sul Marecchia<br />
fotografie di L. Liuzzi<br />
e V. Raggi, Ramberti ed.,<br />
Rimini 2000
turismo@provincia.rimini.it<br />
www.turismo.provincia.rimini.it<br />
I - 47900 Rimini, piazza Malatesta 28<br />
tel. 0541 716371 - fax 0541 783808<br />
Provincia di Rimini<br />
Assessorato alla Cultura<br />
Assessorato al <strong>Turismo</strong>