i nostri - Parrocchia S. Pio X
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“ARRIVANO<br />
I NOSTRI ”<br />
D i v e r s i ,<br />
d a c h i ?<br />
Distribuzione gratuita<br />
Bollettino periodico dei<br />
giovani da 8 a 98 anni<br />
S . P i o X - Balduina<br />
www.sanpiodecimo.it<br />
Numero 36<br />
Dicembre 2010<br />
A n n o V°<br />
IL DIVERSO SIAMO NOI<br />
DITEMI CHI È NORMALE<br />
VIVERE NON È FACILE<br />
LA FORZA DI UN RAGAZZO<br />
L’ ARTICOLO DI GAIA<br />
DAGAMA HOME<br />
RICORDO DI CHICCO<br />
ROOSEVELT & PISTORIUS<br />
IL TEATRO PER LORO<br />
IL CINEMA PER LORO<br />
DIALOGO AL BUIO<br />
I VALORI DELLA DISABILITÀ<br />
I SERVIZI SOCIALI<br />
DIVERSITÀ COME DISABILITA’<br />
SINDROME LENNOX-GASCAUT<br />
COOPERATIVA S.ONOFRIO<br />
CIFRE DISABILITA’<br />
FONDAZIONE DI LIEGRO<br />
UN AUTORE NON VEDENTE
ARRIVANO I NOSTRI<br />
Autorizzazione del Tribunale n°89<br />
del 6 marzo 2008<br />
DIRETTORE RESPONSABILE<br />
Giulia Bondolfi<br />
TERZA PAGINA<br />
don Paolo Tammi<br />
DIRETTORE EDITORIALE<br />
Marco Di Tillo<br />
COLLABORATORI:<br />
Lùcia e Miriam Aiello, Bianca<br />
Maria Alfieri, Renato Ammannati,<br />
Alessandra e Marco Angeli,<br />
Isabella Badalì, Paola Baroni,<br />
Giancarlo e Fabrizio Bianconi,<br />
Pier Luigi Blasi, Leonardo<br />
Cancelli, Alessandra Chianese,<br />
Monica Chiantore, Cesare<br />
Catarinozzi, Laura, Giuseppe e<br />
Rosa Del Coiro, Gabriella<br />
Ambrosio De Luca, Andrea e<br />
Bruno Di Tillo, Anna Garibaldi,<br />
Massimo Gatti, Paola Giorgetti,<br />
Pietro Gregori, Giampiero<br />
Guadagni, Luigi Guidi, Lucio,<br />
Rosella e Silvia Laurita Longo,<br />
Lydia Longobardi, Giuliana Lilli,<br />
don Nico Lugli, don Roberto<br />
Maccioni, Maria Pia Maglia,<br />
Luciano Milani, Cristian Molella,<br />
Alfonso Molinaro, Sandro Morici,<br />
Agnese Ortone, Vittorio Paletta,<br />
Alfredo Palieri, Gregorio<br />
Paparatti, Camilla Paris, Giorgia<br />
Pergolini, Maria Rossi, Eugenia<br />
Rugolo, Alessandro e Maria Lucia<br />
Saraceni, Elena Scurpa,<br />
Francesco Tani, Stefano<br />
Valariano, Gabriele, Roberto e<br />
Valerio Vecchione, Celina e<br />
Giuseppe Zingale.<br />
I numeri arretrati li trovate<br />
online sul sito della parrocchia<br />
www.sanpiodecimo.it<br />
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nostro giornale e per far<br />
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presso la segreteria<br />
parrocchiale.<br />
NUOVI<br />
COLLABORATORI<br />
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la segreteria parrochiale di<br />
via Friggeri<br />
Oppure può inviare una mail a:<br />
arrivanoi<strong>nostri</strong> @<br />
fastwebnet.it<br />
Stampato presso la<br />
Tipografia Medaglie d’Oro<br />
di via Appiano, 36<br />
DEDICATO A SIMONE,<br />
FEDERICO E LAURA.<br />
E SOPRATTUTTO<br />
AI LORO GENITORI<br />
Maria Rossi<br />
Avevo circa venti anni quando ho<br />
“scoperto” una realtà diversa. Non è<br />
strano come può sembrare. Ancora negli<br />
anni della mia infanzia e adolescenza le<br />
famiglie italiane non esternavano le<br />
realtà di handicap e le tenevano chiuse<br />
nel privato delle case. Al massimo avevo<br />
conosciuto Tonino e Pino, che avevano la<br />
sindrome di Down e che erano gli ultimi<br />
figli di due numerose famiglie di professionisti<br />
romani; erano dei quarantenni<br />
rimasti un po’ bambini che volevano bene<br />
a mio papà, che lo prendevano in giro, che gli dicevano “Filippo sei un po’<br />
scemo” (e detto da loro mi sembrava buffo) e che erano nati da genitori ormai<br />
anziani. A venti anni mi innamorai, come ci si innamora appunto a venti anni,<br />
di uno studente di medicina, voleva fare il neuropsichiatria, e con entusiasmo<br />
conobbi molti bambini e ragazzi cerebrolesi che seguivano il metodo Doman, un<br />
americano che – per dirla in modo semplice – sosteneva l’importanza degli<br />
stimoli fisici, sensoriali, ma anche affettivi, sui ragazzi con forti ritardi, ritardi<br />
dovuti a nascite difficili, a traumi in gravidanza o a tante altre cose.<br />
Nelle famiglie di questi bambini e ragazzi entravano allora stuoli di volontari<br />
per stimolare e – soprattutto – per circondare di affetto questi ragazzi.<br />
La medicina ufficiale era all’inizio piuttosto scettica, mentre oggi alcuni<br />
aspetti di quella terapia vengono accettati. Pensiamo a quanto in questi 40 anni<br />
musica, canzoni, parole, movimenti sono serviti a “svegliare” ragazzi e adulti<br />
in coma. Conobbi così, nei primi anni Settanta, tante famiglie e tanti ragazzi a<br />
Roma e in giro per l’Italia: Simone, Daniele, Elena, Giulia e tanti altri. Ma<br />
ancora più di loro mi entusiasmavano i genitori, coppie cementate dal dolore e<br />
dalle difficoltà o anche coppie scoppiate, perché davanti ai dolori non tutti<br />
reagiamo allo stesso modo; mamme giovanissime improvvisamente diventate<br />
adulte e mamme adulte messe davanti a prove che non immaginavano, padri<br />
assenti e padri invece decisi a combattere per i propri figli.<br />
Ma, finalmente, parlavamo dell’handicap e questi bambini uscivano fuori delle<br />
case, finivano vergogna e paura. Come insegnante di liceo, anni dopo, ebbi in<br />
classe Federico, un ragazzo cieco dalla nascita, sereno, perfettamente inserito.<br />
L’insegnante di sostegno gli era vicino quando in Braille scriveva i temi e poi<br />
me li ritrascriveva (errori compresi) perché io li correggessi; oppure nei<br />
compiti di latino portavo la versione di Cicerone, Tacito o Livio e Federico me<br />
la traduceva e scriveva in Braille. Federico ha preso la sua maturità scientifica<br />
venti anni fa e non so oggi cosa faccia, ma di lui ricordo battute e scherzi e<br />
quando con un viso raggiante mi venne vicino e mi disse: “Prof ha visto come è<br />
bella Luisa in 3E? Bionda, con gli occhi azzurri e… che fisico!” Ricordo che lo<br />
guardai un po’ perplessa e gli chiesi senza problemi “Scusa! Ma che ne sai?” e<br />
lui, per niente offeso, mi rispose ridendo “Prof! Ma si vede! Se non mi crede, lo<br />
chieda agli altri”….Certo essere ciechi dalla nascita è diverso dal diventarlo da<br />
adulti per malattia, trauma o altro e lui era veramente sereno.<br />
Oggi mi trovo in una realtà ancora diversa e ho scoperto quanti ragazzi con<br />
handicap “certificato” e quanti altri, con forme più lievi o con famiglie molto<br />
difficili e problematiche alle spalle, ci sono nella scuola italiana. Ho conosciuto<br />
insegnanti di sostegno motivati e in gambissima, operatori dei servizi sociali<br />
preparati e sensibili, psicologi e medici di valore. Ylenia, quando mi vede<br />
passare nel corridoio, mi viene incontro, salutandomi ed abbracciandomi a suo<br />
modo ed esprimendo la sua gioia. Ridendo, la professoressa di sostegno dice<br />
che Ylenia è sveglia e che ha capito benissimo chi è la “femmina dominante” in<br />
quella realtà… Anche oggi però, come quando avevo venti anni e ancora di più,<br />
penso ai loro genitori e alla loro sofferenza. Perché è legge di natura che un<br />
genitore se ne vada via prima di un figlio, perché oggi la medicina assicura a<br />
questi ragazzi salute e robustezza fisica e il dramma dei genitori è chiedersi<br />
cosa sarà di loro in futuro. Certamente sono più autonomi, perché la medicina,<br />
l’affetto, i maestri e i volontari li hanno resi più autosufficienti ma continuano<br />
ad avere un enorme bisogno degli altri. E spesso mi chiedo: siamo in grado<br />
come società di aiutarli, di continuare ad aiutarli, se non hanno fratelli o<br />
parenti generosi che si prendano cura di loro? Giorgio è vissuto nella sua casa<br />
fino a cinquanta anni, fino al suo ultimo giorno di vita la sua mamma si è<br />
abnegata e sacrificata per lui, lo ha cresciuto, amato e protetto.<br />
Quando lei è morta, Giorgio, che pure ha una rendita e un piccolo appartamento,<br />
è finito in un istituto, imbottito di calmanti. Allora penso che sicuramente<br />
abbiamo fatto molto in questi anni, ma non abbastanza.<br />
Non facciamo mai “abbastanza” per nessuno, ma in modo speciale non<br />
abbastanza per i tanti Laura, Federico, Simone…<br />
2
NORMALITÀ E DIVERSITÀ<br />
don Paolo Tammi<br />
Se c’è un diverso vuol dire che c’è un normale. Il normale, per essere tale, ha delle carattersitiche<br />
sicuramente riconoscibili. Il diverso dovrebbe essere quello che non procede secondo quelle<br />
direttive e dunque costituisce un’alternativa, una diversità. Qui cominciano i problemi. Qual’è la<br />
normalità? E qual’è la diversità? Non c’è dubbio che esistano una serie di caratteristiche<br />
abbastanza ordinarie che qualificano la possibilità di vivere nel mondo, in mezzo alla gente.<br />
Normale è essere puliti, normale è essere sostanzialmente sani, normale è avere un certo<br />
benessere, normale è parlare ed esprimersi bene. Tutto quanto esca da questi schemi definisce<br />
una non normalità, una diversità.<br />
Ho visto girando un po’ il mondo tante persone aspirare a questo tipo di normalità – se normalità<br />
è questa – e non riuscirci. Il benessere occidentale non è di tutti, come non lo è la salute, nè<br />
l’igiene. Ho visto però anche persone rifiutare questo tripo di normalità, che rischiava di<br />
diventare una malattia di “normosi”, e farlo in nome di un’idea, un’aspirazione, un desiderio che<br />
li proiettava in un mondo diverso, ideale. Per es. i barboni, si sa, spesso non sono poveri di<br />
natura, ma qualche volta hanno rifiutato certi schemi di vita comune. All’opposto – si fa per dire<br />
– i missionari sono andati via dal mondo “conosciuto” per condivieere le diversità di un mondo<br />
più a Sud, dove non arriva la giustizia degli uomini normali nè – spesso – la loro solidarietà.<br />
Il Vangelo dice, senza dubbi, che Gesù amava i pubblicani e i peccatori. Non li amava soltanto per<br />
una gratificazione personale, ma – stando con loro – ha mostrato il volto di Dio che sembra<br />
preferire certe diversità. Le prostitute ci dovrebbero precedere nel regno di Dio. Un ladro pentito<br />
è stato il primo ad entrare in paradiso. Un pubblicano è stato scelto come apostolo. Una donna<br />
da cui Gesù aveva scacciato sette demòni, Maria di Magdala, è diventata parte attiva del gruppo<br />
di lavoro del rabbì Gesù. Quanta diversità! L’odio che Gesù si attirava non era solo di tipo<br />
moralistico. Era anche cultuale, poiché queste persone non erano ritenute degne di stare nella<br />
comunità umana. Puzzavano di impuro, di alieno, di alterità. Un discorso speciale va fatto per i<br />
bambini. Tutti si allietano che Gesù amasse stare con i bambini e tutti sanno – citandolo maleil<br />
detto secondo cui occorre tornare bambini per entrare nel Regno di Dio. Ma pochi sanno che i<br />
bambini non erano coccolati allora come ora. Anche i bambini erano diversi. Erano una<br />
sottospecie umana, senza diritti e senza possibilità di ascolto. Il detto sui bambini è dunque un<br />
altro modo di dire la passione per la diversità da parte del Figlio di Dio. Una passione non<br />
ideologica, perché era la passione stessa di Dio, di un Dio sorprendente e capace di rompere le<br />
linee dure e rigide del vivere ordinario, e del vivere religioso in particolare.<br />
Significa qualcosa questo? Per i credenti, detti da Paolo “figli della luce e dedl giorno”, significa<br />
molto, moltissimo. Significa un modo diverso ( “diverso” è già il modo) di guardare i diversi.<br />
Significa autocomprendersi nella propria normalità, specie se di questo mondo occidentale con<br />
la sua cultura, le sue tradizioni, i suoi modi di essere, di vestirsi, di scherzare, di soffrire. Siamo<br />
in tutto e per tutto figli di questo mondo, che ci ha educato così, e sembra spesso ridicolo vedere<br />
gente che fa di tutto per mostrarsi alternativa, ricadendo in un conformismo peggio che ridicolo.<br />
Significa però anche e soprattutto non impastarsi e non affogarsi totalmente negli schemi di<br />
questo mondo. Fare, per esempio, le proprie fughe. Si può fuggire da conformismi, da lussi, da<br />
porcherie che fanno tutti mentre io decido di non farle. Si può vincere la propria paura. Una<br />
lingua diversa, una diversa cultura, un cibo diverso sono sfide per persone che hanno corteccia<br />
cerebrale a sufficienza per capire e vedere che si può rinunciare a qualcosa e gettarsi da un altro<br />
alto della strada e della vita. Significa voler bene a chi ha meno bene. Cercare chi non può<br />
ricompensarti, significa maturare<br />
la pazienza della comunicazione difficile, di quella che ti mette alla prova ogni giorno, quando si<br />
starebbe meglio con le solite relazioni e invece si rischia di più, nel tendere la mano a chi mai ne<br />
vede una tesa. Significa questo ed altro.<br />
Significa una contentezza particolare e nulla – credo – la esprime meglio del passo in cui Luca<br />
riprende un detto di Gesù: “ Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Vi dico che molti profeti<br />
e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete e non lo videro e udire ciò che voi udite, ma non<br />
lo udirono” (Lc 10,23).
D I V E R S O , D A C H I ?<br />
Giancarlo Bianconi<br />
Alla cassa del supermercato, in quel momento sta pagando il<br />
conto della spesa che aveva fatto un individuo di mezza età,<br />
abbigliato con sobria eleganza, dall’aspetto piuttosto distinto,<br />
molto serio ma... affetto da microsomia: basso cioè, di statura<br />
alquanto bassa: un nano, insomma per dirla in parole povere,<br />
assolutamente non deforme però, come di rado accade per<br />
questo tipo di limitazione. Pagato il conto, rimesso nel portamonete<br />
il resto appena ritirato con qualche difficoltà, sistemati<br />
nell’apposito sacchetto di plastica i prodotti appena pagati<br />
e il relativo scontrino, con aria molto dignitosa, sussiegosa si<br />
potrebbe dire, con la mano destra tenuto il suo bravo sacchetto<br />
di plastica che sfiora il pavimento, si dirige speditamente<br />
verso l’uscita e ne varca la soglia.<br />
In attesa del proprio turno alla cassa, che avrebbe richiesto<br />
parecchio tempo a motivo dei molti clienti in coda con i rispettivi<br />
carrelli colmi di prodotti prelevati dai vari scaffali, due sconosciuti,<br />
per ingannare il tempo probabilmente, iniziano a<br />
conversare fra di loro senza un argomento specifico... così del<br />
più e del meno. Ad un certo punto uno dei due esclama con<br />
tono compassionevole: «Che disgrazia, poveretto, eh! Ha<br />
visto?»<br />
«Chi?» con aria smarrita risponde l’altro colto di sorpresa, nel<br />
contempo volgendo con agitazione il capo a destra e a sinistra<br />
come in cerca di qualcuno.<br />
«Come chi? Ma quel nano che è appena uscito! Ma che non<br />
l’ha visto mentre stava pagando alla cassa?»<br />
«Aaah! S-ssì... sì, mi sembra di sì. Solo che non vi ho prestato<br />
molta attenzione. E comunque perché “poveretto”?».<br />
«Ma come “perché!” Ma che non l’ha visto lì, alla cassa, che a<br />
malapena arrivava con il mento sul piano d’appoggio dei soldi<br />
e da dove con quanta fatica ha ritiratoli resto?».<br />
«Come ripeto di solito non presto molta attenzione a quanto<br />
avviene in prossimità delle varie casse, ma solo perché abitualmente<br />
qui, al supermercato, vengo sempre molto di fretta<br />
e pertanto ciò che mi interessa è solo il numero delle persone<br />
che mi precedono alla cassa, ragion per cui mi è sfuggita<br />
la “singolarità”, diciamo così, di quel signore. E comunque<br />
proprio per il motivo che il particolare da lei accennato è completamente<br />
sfuggito alla mia osservazione mi sentirei di dire<br />
che forse mi sembra un po’ esagerato definire questo peculiare<br />
connotato come “disgrazia”, anche se, e con ciò convengo<br />
con lei, certamente non è una particolarità... come dire?... di<br />
grande comodità.»<br />
«E vorrei ben vedere che fosse pure comodo un handicap del<br />
genere! Allora le è proprio sfuggito il particolare che, a causa<br />
della sua statura, a momenti non riusciva neanche a prendere<br />
il resto che la cassiera gli aveva appoggiato sull’apposito<br />
supporto. Forse l’unico vantaggio è che sui mezzi pubblici non<br />
deve pagare il biglietto. Ma per il resto... Dio ce ne scampi e<br />
liberi!»<br />
«Ma lei ritiene davvero che quel signore possa avere della<br />
propria situazione un concetto così profondamente sconfortante?<br />
E a dire la verità, dalla rapida occhiata che mi è occorso<br />
di rivolgergli e per il fatto che la sua condizione non ha attirato<br />
in alcun modo la mia attenzione, mi sentirei di dire che<br />
quel signore non mi ha dato affatto l’impressione di essere<br />
frustrato o avvilito o comunque turbato per via della propria<br />
statura non proprio slanciata. Anzi, mi è sembrato molto tranquillo<br />
e sereno. »<br />
«Eh, sì, parla bene lei! Ma lei ha idea di cosa significhi avere<br />
una menomazione fisica di quel genere?»<br />
«Mi scusi, sa, ma mi riesce difficile comprendere la ragione<br />
per cui lei continui ad attribuire una valenza così negativa a<br />
un qualcosa che, viceversa, a ben guardare, è solamente una<br />
semplice diversità, e per giunta neanche tanto appariscente»<br />
«Eeeh, parla bene lei che è una persona normale! Lei parla<br />
così perché non sa cosa significhi in un mondo di normali vivere<br />
da diverso! Se fosse stato, però, al posto di quel signore,<br />
se fosse stato un diverso cioè, vorrei vedere se si sarebbe<br />
espresso in questi stessi termini.»<br />
«Ma diverso da chi, o... da che cosa?»<br />
«Diverso da tutti... da me, da lei da... tutti quelli che si trovano<br />
qui dentro in questo momento. Ma che non lo vede?»<br />
«Sì, ma sotto questo aspetto, allora, siamo tutti diversi uno<br />
dall’altro. Lei ha i capelli belli neri e alquanto lunghi, io li ho<br />
brizzolati e piuttosto corti; quella, già è una signora, e per di<br />
più è bionda, l’altra signora...»<br />
«Eeeh!... Li vedo, eh! non sono mica cecato!»<br />
«E allora cosa intende dire quando sostiene che quel signore,<br />
in quanto diverso, è afflitto da una disgrazia?»<br />
Il signore dai capelli lunghi e neri comincia a dare evidenti<br />
segni di disagio: si gratta di continua la cervice, e poi il naso,<br />
si tocca di continuo le basette, si stropiccia gli occhi, sospira<br />
e... insomma non riesce a trovare le parole per confutare le<br />
argomentazioni sostenute dal suo interlocutore.<br />
«Guardi, tanto per tentare di spiegarmi meglio, le farò un<br />
esempio limite: immagini per un momento che quel signore di<br />
cui stiamo parlando invece di essere un nano fosse stato… che<br />
so… un mongoloide come si dice oggi, poco elegantemente ne<br />
convengo. Okay? Bene! Lei pensa che la vita sarebbe stata la<br />
stessa per lui? Che poi mi fanno proprio ridere – si fa per dire,<br />
ovviamente - quelli che per riferirsi a una persona affetta da<br />
quel po’-po’ di handicap la definiscono diversamente abile,<br />
che è una vera e propria ipocrisia».<br />
«Ehmm! Se permette vorrei tentare di manifestarle il mio personale<br />
punto di vista in ordine a tutta la serie di punti controversi<br />
da lei posti testé in evidenza. Intanto comincerò con<br />
l’esporre un episodio di vita vissuta… da me. Qualche anno fa,<br />
il medico che l’aveva in cura, mi disse di avere necessità di far<br />
eseguire una ecografia a mia madre, prossima ormai alla fine,<br />
poverina, per tentare di aver quanto più possibile chiara la<br />
situazione del momento e poter così intervenire con una terapia<br />
che risultasse essere la più adeguata possibile. Ad eseguire<br />
l’ecografia, data l’assoluta inamovibilità di mia madre, è<br />
venuta a domicilio con la propria necessaria apparecchiatura,<br />
una dottoressa accompagnata dal fratello, più piccolo di lei,<br />
affetto dalla sindrome di Down, il quale, predisposta con<br />
molta destrezza l’apparecchiatura, è subito uscito dalla stanza.<br />
Al momento di iniziare l’esame l’apparecchio però ha subito<br />
mostrato chiari ed evidenti segni di non aver alcuna intenzione<br />
di funzionare. La dottoressa, allora, senza mostrare<br />
alcun disagio, ha chiamato il fratello il quale, dato per brevi<br />
secondi uno sguardo quasi torvo all’apparecchio recalcitrante,<br />
con una rapidissima serie di manovre, l’ha rimesso in condizione<br />
di funzionare. A me lì per lì mi si è gelato il sangue per<br />
lo sconforto perché l’ecografia era assolutamente necessaria<br />
per consentire al medico di prendere sollecitamente le opportune<br />
misure per non far soffrire mia madre che si stava<br />
lamentando. La dottoressa, terminata l’indagine, mi si è rivolta<br />
con tutta calma dicendo con molta naturalezza, come cosa<br />
cioè ormai abituale per lei: “mio fratello è preziosissimo per<br />
me, un genio proprio! Non esiste disfunzione dell’apparecchio<br />
che lui non sia, al momento, in grado di superare”. A questo<br />
punto le domando: quel ragazzo, secondo lei, è un minorato<br />
psichico, un povero disgraziato ovvero è una persona capace,<br />
anzi capacissima? Io - dico la verità – nel preciso momento<br />
del mancato funzionamento dell’apparecchio mi sono sentito<br />
un totalmente incapace e non semplicemente un diversamente<br />
abile. E ancora: alla luce di quanto ho appena riferito proverebbe<br />
ancora l’impulso di una risata ovvero di considerare<br />
ipocrita chi definisse quel ragazzo un diversamente abile?»<br />
«No, beh… che c’entra, io… intendevo dire…»<br />
Il disagio del signore è sempre più evidente, e reso manifesto<br />
dal nervoso movimento delle mani.<br />
«Io sono del pare – continua il primo – che occorre essere<br />
molto cauti di fronte a situazioni del genere e, soprattutto, più<br />
misericordiosi nei confronti di chi deve affrontare giorno dopo<br />
giorno prove del genere cui Nostro Signore li ha sottoposti.<br />
Non trova pure lei? Poi, certo, vi sono individui più profondamente<br />
colpiti da qualcuna di tali gravi forme di infermità, e per<br />
i quali, ovviamente, non si può più parlare di diversa abilità,<br />
ma, nel caso specifico, di vera e propria invalidità»<br />
«Sì, certo! Oh... finalmente! Ecco che è arrivato il nostro<br />
turno. Si accomodi prima lei visto che ha solo due cose da<br />
pagare mentre io ne ho molte di più.»<br />
«Oh, grazie, molto gentile!»<br />
«Si figuri! e poi no-no, non è gentilezza; più semplicemente,<br />
è nient’altro che un atto che, in linea con quanto detto sino ad<br />
ora, potrebbe definirsi “diversamente scortese”, non trova?».<br />
Un sorriso da parte di entrambi conclude la conversazione fra<br />
i due. Usciti, quindi, dal supermercato i due individui si<br />
s’incamminano per due strade diversamente uguali: e cioè<br />
uno da una parte e uno dalla parte diametralmente opposta.<br />
4<br />
VOLONTARI E FAMIGLIE<br />
IN RETE<br />
PER LA SALUTE MENTALE<br />
La Fondazione Don Luigi<br />
Di Liegro – Onlus - opera da<br />
più di dieci anni per promuovere<br />
l’impegno nella solidarietà<br />
e combattere l’emarginazione,<br />
di tipo sia economico<br />
che sociale. Tra le principali<br />
aree di intervento, c’è la<br />
“salute mentale”, con il<br />
Progetto “Volontari e Famiglie<br />
in Rete”. Il Progetto si pone,<br />
in particolare, l’obiettivo di<br />
favorire la crescita di una rete<br />
di relazioni di supporto verso<br />
e tra le persone con disagio<br />
psichico ed i loro familiari, sia<br />
per favorirne l’inserimento<br />
sociale, sia per permettere<br />
l’attuazione di un percorso<br />
terapeutico. A tal fine si opera<br />
contemporaneamente su<br />
diversi piani: la formazione a<br />
volontari e familiari (con<br />
incontri seminariali, tirocinio<br />
presso le strutture territoriali,<br />
esperienze di laboratorio teatrale,<br />
“focus group” sulla<br />
comunicazione, etc.), il<br />
sostegno alle famiglie di persone<br />
con disagio (con gruppi<br />
di auto aiuto per i familiari e<br />
uno sportello telefonico), la<br />
prevenzione (con interventi<br />
sul territorio e nelle scuole).<br />
Quest’iniziativa, effettuata<br />
con la collaborazione attiva<br />
dei Dipartimenti di Salute<br />
Mentale delle ASL di Roma, è<br />
ispirata dalle seguenti considerazioni:<br />
la mancanza di<br />
supporto sociale è fondamento<br />
di emarginazione e disagio<br />
mentale, il problema del<br />
benessere mentale e sociale<br />
richiede un’attiva partecipazione<br />
della società civile, in<br />
termini di ascolto, accoglienza<br />
e sostegno, l’attenzione alla<br />
“persona” e ai suoi “punti di<br />
forza” da parte di tutti, non<br />
solo operatori, ma anche<br />
familiari e volontari, costituisce<br />
il metodo di intervento.<br />
In questo modo si vuole non<br />
solo promuovere il progressivo<br />
superamento dell’isolamento<br />
e dello stigma che colpiscono<br />
le persone con disagio<br />
psichico e i loro familiari,<br />
ma anche contribuire alla crescita,<br />
nel tessuto sociale, di<br />
una sensibilità attenta a stabilire<br />
relazioni solidali con uno<br />
spirito di condivisione. Il<br />
Progetto, la cui quinta edizione<br />
inizierà il 15 gennaio<br />
p.v., ha visto la partecipazione<br />
di oltre 200 persone,<br />
molte delle quali continuano a<br />
partecipare come volontari<br />
alle attività presso i Servizi<br />
Sanitari o a frequentare i<br />
Gruppi di auto aiuto per familiari.<br />
Il Corso è aperto a chi ha<br />
già deciso di fare volontariato,<br />
ai familiari di persone con<br />
disagio mentale e a tutti<br />
coloro che intendono saperne<br />
di più rispetto al mondo della<br />
salute mentale.<br />
info@fondazionediliegro.it<br />
via Ostiense 106- Roma<br />
tel. 066792669<br />
www.fondazionediliegro.it
“AFRICA EXPRESS”<br />
DAGAMA HOME, UN POSTO DIVERSO<br />
Il tema di questo mese sulla diversità fisica o mentale mi spinge a parlare,<br />
in relazione a questa specifica rubrica, dell’esperienza, che ho personalmente<br />
vissuto nei miei cinque viaggi in Zambia presso la Missione Dagama Home<br />
di Luanshya.<br />
Come tutti ben sapete in questa comunità gestita dalle Suore Francescane,<br />
viene ospitato un folto gruppo di “bambini con disabilità fisica”, molti dei<br />
quali adottati a distanza da alcuni <strong>nostri</strong> <strong>Parrocchia</strong>ni.<br />
Il cartello posto al suo ingresso Missione precisa testualmente:<br />
“La nostra missione: fornire le cure al bambino e, attraverso l’educazione e<br />
la riabilitazione, consentire al bambino di divenire un membro integrato della<br />
società.”<br />
Sono stato a stretto contatto, per molti giorni ed a più riprese, con questi<br />
bambini e ragazzi ricevendo, ancora una volta la conferma che la c.d.<br />
diversità è un concetto del tutto insignificante.<br />
Occorrerebbe domandarsi: diverso da chi? e da cosa?<br />
I bambini ed i ragazzi di Dagama, infatti, sono una comunità che non si è mai<br />
posta questo tipo di domande né per loro stessi, né verso i numerosi ospiti<br />
stranieri che, nel corso dell’anno, vanno a trovarli condividendo con loro la<br />
vita quotidiana. Per essi, infatti, tutte queste persone altro non sono che<br />
amici con i quali giocare, ridere e scherzare e sopratutto parlare (seppur con<br />
la difficoltà della lingua).<br />
Se una diversità vogliamo proprio trovarla essa è proprio la lingua che in<br />
molti casi impedisce un vero e proprio scambio approfondito di pensieri,<br />
sensazioni e impressioni.<br />
Sulla c.d. “diversità fisica”, per quanto mi riguarda, significativo è stato il<br />
giorno in cui, alcuni di questi ragazzi mi hanno invitato a giocare al calcio con<br />
loro nel piccolo piazzale antistante l’edificio dove vivono.<br />
Tutto il gruppo, però, era composto da portatori di gravi handicap fisici.<br />
C’era chi era privo di una gamba e aveva bisogno delle stampelle per<br />
rimanere in piedi, chi aveva la parte inferiore delle gambe non cresciute e<br />
lunga meno della metà del dovuto, e chi, infine, non le aveva per niente e<br />
riusciva, a malapena, a trascinarsi sulle proprie ginocchia, mentre altri erano<br />
privi delle braccia. A nessuno, però, mancava la voglia di giocare con<br />
l’ospite italiano che era lì da loro.<br />
Confesso che alla loro richiesta sono rimasto interdetto ma, alla fine, mi sono<br />
lasciato coinvolgere ed ho accettato l’invito.<br />
Ben presto, ho capito di essere stato io il diverso, rispetto a loro, per<br />
essermi fatto inizialmente condizionare dalle apparenze e di aver pensato<br />
che quei ragazzi non avrebbero potuto divertirsi “normalmente” con me.<br />
Devo dire che, alla fine, mi sono divertito più io di loro visto che non mi era<br />
mai capitato di giocare al calcio con una banda scalmanata di ragazzini che<br />
si passavano la palla tra loro in tutti i modi possibili mentre io tentavo<br />
di attenermi alle regole base del gioco.<br />
Tra me e loro, alla fine, non c’era alcuna diversità ma eravamo tutti<br />
accomunati solo dal piacere di correre dietro ad un pallone.<br />
Ho capito, quindi, che la diversità, così come viene solitamente intesa, altro<br />
non è che la paura di confrontarsi con ciò che appare differente agli occhi e<br />
nella mente di chi si ferma alle apparenze.<br />
A Dagama, inoltre, ho anche avuto modo di incontrare un giovane con una<br />
5<br />
N O T I Z I E E C U R I O S I T À D A L<br />
C O N T I N E N T E N E R O<br />
a cura di Lucio Laurita Longo<br />
particolarità fisica che in Africa, molto più che nel resto del mondo, spesso,<br />
viene vista come una vera e propria diversità da evitare, da discriminare,<br />
emarginare in famiglia, a scuola e nel lavoro se non addirittura, in alcuni casi,<br />
da abbandonare a se stessa o eliminare fisicamente.<br />
Parlo degli albini africani, cioè di quelle persone che, per un difetto<br />
congenito derivante dalla mancanza di melanina sulla pelle, negli occhi e nei<br />
capelli, hanno un aspetto caratteristico con capelli bianchi, quasi candidi,<br />
occhi e pelle molto chiari e sono ipersensibili alla luce del sole.<br />
In Africa antiche superstizioni e credenze ritengono che gli albini siano<br />
portatori di sfortuna e di maledizioni tanto da far nascere, in taluni paesi<br />
quali la Tanzania, riti decisamente ignobili come quello di imporre alle donne<br />
in età fertile che li incontrano per strada, di sputare per terra per evitare di<br />
diventare sterili.<br />
In altri casi, invece, si ritiene che gli organi degli albini, specie i genitali, siano<br />
necessari per il compimento di vari riti propiziatori della fertilità degli<br />
uomini. Per questi motivi, specialmente in alcune zone rurali dove la vita<br />
quotidiana ancora è regolata da tali tipi di credenze e gli stregoni dettano<br />
legge, i crimini contro gli albini, come l’omicidio, o le mutilazioni degli<br />
organi, sono all’ordine del giorno.<br />
Sempre in Tanzania, paese ove il loro numero è proporzionalmente molto<br />
elevato (ultimamente sono circa 150.000 su una popolazione di circa 40<br />
milioni di abitanti), negli ultimi tre anni ne sono stati uccisi circa 50 ed il<br />
governo è dovuto ricorrere a drastici provvedimenti quali l’arresto immediato<br />
verso chi pratica riti magici che coinvolgono albini e addirittura comminando<br />
la pena di morte per chi commette reati gravi nei loro confronti. In<br />
pratica, in alcune parti dell’Africa, vige una sorte di razzismo alla rovescia per<br />
cui questi sono considerati “i neri bianchi” e quindi cittadini di serie B. In<br />
questo clima particolare e con questi presupposti, quando ho incontrato, a<br />
Dagama, quel giovane di circa 15/16 anni, abbandonato dalla famiglia<br />
proprio per il suo essere albino, ho cercato di capire come veniva<br />
considerato dagli altri ospiti della missione.<br />
Devo riconoscere di essere rimasto sorpreso, alla luce di quanto sapevo sulla<br />
questione, di come il giovane era trattato ed accettato dagli altri.<br />
In tutte le occasioni era sempre insieme ai suoi coetanei partecipando alle<br />
varie attività della scuola, dallo studio, ai giochi comuni, al mangiare a tutti<br />
gli altri momenti di vita quotidiana. Mai ho avuto l’impressione che venisse<br />
escluso o emarginato a causa del suo aspetto esteriore.<br />
Proprio perché albino il ragazzo aveva difficoltà alla vista ma mai gli<br />
è mancato l’aiuto di qualcuno per spostarsi all’interno della comunità.<br />
In pratica era un amico di tutti e come tale era trattato e lui trattava gli altri.<br />
Ho avuto la certezza, vedendo tutto ciò, che nessuno lo guardava con gli<br />
occhi ottusi della diversità e, cosa ancor più significativa, lui non si sentiva<br />
diverso da nessuno ma parte integrante della missione.<br />
Questi piccoli episodi, quindi, confermano ancora una volta che ritenere che<br />
possano esistere persone diverse solo perché differenti dagli altri, è frutto<br />
solo di ignoranza e grettezza d’animo con ciò dimenticando che, non più di<br />
un secolo fa chi ha teorizzato simili idee, si è reso responsabile di milioni di<br />
morti innocenti. Oggi, però, il secolo è un altro si spera che questo sia<br />
veramente “diverso”.<br />
L’ANGOLO DELLA CUCINA<br />
MATATA (frutti di mare alle arachidi)<br />
(Mozambico)<br />
INGREDIENTI (4 persone)<br />
1 Kg di frutti di mare a scelta 200 gr. di cipolle<br />
250 gr. di arachidi 50 gr. di olio di oliva<br />
250 gr. di spinaci 1 peperoncino piccante<br />
2 pomodori rossi maturi sale, 1/2 cucchiaino di pepe nero<br />
Tritate bene, separatamente, le arachidi e le cipolle.<br />
In un tegame basso fate saltare, nell’olio di oliva, le cipolle, insieme ai<br />
frutti di mare (privati del guscio), ai pomodori che avrete tagliato a<br />
pezzetti ed alle arachidi tritate.<br />
Aggiungete sale a piacere ed il peperoncino e cuocete il tutto a fuoco<br />
lento per circa mezz’ora, aggiungendo poi gli spinaci.<br />
Continuate la cottura fino a quando anche gli spinaci saranno cotti,<br />
spolverate il pepe e portate in tavola ancora caldo.
ANNALISA GUARDAMIGLI<br />
Coop.Sociale S.Onofrio<br />
intervista di Stefano Patassini<br />
La d.ssa Annalisa Guardamigli lavora da dieci anni come<br />
assistente nell’area della disabilità presso la<br />
Cooperativa Sociale ONLUS “S. Onofrio”<br />
(www.sonofrio.it) che presta i propri servizi dal 1981<br />
nel Comune di Roma promovendo integrazione e innovazione<br />
in campo sociale. Le abbiamo chiesto di rispondere<br />
a qualche domanda sul nostro tema.<br />
Qual è, dal tuo punto di vista, qui e oggi, il concetto di<br />
diversità, quali sono i modelli di normalità e del suo<br />
opposto?<br />
Evviva le differenze ! La diversità è una ricchezza, un valore<br />
aggiunto. Per fortuna non siamo tutti uguali, pensate che<br />
barba, un mondo di persone tutte identiche le une alle altre.<br />
Chi decide cosa è normale e cosa non lo è ed in base a quali<br />
parametri può farlo? Non è possibile ricondurre un essere umano ad un modello di qualsivoglia “ normalità<br />
“ ed oltre ad essere impossibile, secondo me, è molto pericoloso. La storia lo ha insegnato però<br />
nonostante questo siamo ancora portati a credere che ciò che è altro rispetto a noi per religione, aspetto,<br />
cultura, storia di vita, condizioni di salute e quant’altro non abbia uguale dignità, forse perché in<br />
fondo in fondo siamo spaventati da cose che non conosciamo. L’ignoto ci mette a disagio, se solo avessimo<br />
il coraggio di fare il primo passo verso l’altro scopriremmo universi meravigliosi! Io parlerei, invece,<br />
d’uguaglianza, di normalità come pari valore di ognuno e quindi d’identità dei diritti a prescindere<br />
dalle condizioni personali, sociali ecc.<br />
Come si percepisce chi è portatore di un’oggettiva diversità, fisica, psichica, rispetto alla<br />
società in cui si trovano a vivere ?<br />
Posso solamente immaginarlo, ma, pensando alle tante persone che ho conosciuto, credo che il cammino<br />
per loro e per le loro famiglie che condividono con loro, amore, fatica, gioie e dolori, sia molto<br />
faticoso. Nonostante la nostra Costituzione e la legislazione affermino pari diritti e opportunità, la vita<br />
quotidiana ci racconta episodi di diritti negati, di fatto, per risorse finanziarie insufficienti, un gradino di<br />
troppo, un ascensore fuori uso, una macchina parcheggiata male, o qualcuno che storce il naso nel dare<br />
la precedenza alla posta. Allora anche la persona più forte potrebbe lasciarsi andare ad un senso di frustrazione<br />
ed inadeguatezza. Mi viene in mente una poesia che ho letto tanti anni fa ma che porto sempre con me;<br />
l’ha scritta Alice Sturiale (“Il libro di Alice”, BUR Firenze 1996, a cura di Sturiale, Bigozzi, Bettarini) una ragazza<br />
adolescente: HANDICAP. Forse senza le quattro ruote è più facile. È più facile divertirsi. È più facile muoversi, è più<br />
facile anche conquistare i ragazzi. ma io credo che le quattro ruote servano a conoscere tutta quanta la vita e saperla<br />
affrontare e vincere. Questa grinta, questa energia tutta speciale noi poveri “normali“ proprio non la conosciamo<br />
eppure io l’ho riconosciuta in molte delle persone diversamente abili che ho conosciuto.<br />
Come, secondo te, la società attuale percepisce la diversità?<br />
Per fortuna la nostra società non è fatta solo di persone che percepiscono la diversità come un peso,<br />
un fastidio o ne sono addirittura spaventati. In molti lavorano per rendere effettiva l’uguaglianza di cui<br />
parlavamo prima: operatori sociali che lavorano per trovare sempre nuove strategie d’inclusione insegnanti<br />
e dirigenti scolastici attenti e preparati, volontari e persone che vivono la loro vita nel più profondo<br />
rispetto degli altri.<br />
È stato avviato un processo di superamento delle barriere tra diversi? Se sì, quali pensi siano<br />
state, negli ultimi decenni, le tappe fondamentali del percorso di normalizzazione, quali<br />
leggi, istituzioni, servizi sono state messe in atto?<br />
Sicuramente. Le grandi riforme degli ultimi anni settanta hanno aperto la strada al superamento delle<br />
barriere, e all’inclusione sociale: La chiusura dei manicomi Legge 180/78, la chiusura delle scuole speciali<br />
e l’integrazione scolastica sancite nella legge 517/77 e poi negli anni novanta la legge quadro sull’handicap<br />
104/92 che per la prima volta mette al centro la persona nella sua globalità, indipendentemente<br />
dal tipo di handicap in cui si trova e che stabilisce tutti i diritti delle persone diversamente abili<br />
dalla nascita e per tutto l’arco della vita: assistenza, istruzione, lavoro, mobilità. Anche la legge 68/99<br />
costituisce la normativa per l’inserimento lavorativo che sancisce la necessità di costruire percorsi individuali<br />
di crescita e sostegno verso il raggiungimento di un ruolo lavorativo, indispensabile per il raggiungimento<br />
della piena realizzazione di sé. Purtroppo oggi assistiamo ad importanti tagli di risorse economiche<br />
sul sociale che indubbiamente pesano: lunghe liste d’attesa per accedere ai servizi (assistenza<br />
domiciliare sociale e sanitaria, riabilitazione, centri diurni, case famiglia ecc…) anche la scuola subisce<br />
tagli che incidono sulla possibilità di una reale ed efficace integrazione. Vale forse la pena segnalare<br />
che il Comune di Roma sta costruendo in questi mesi il nuovo Piano Regolatore Sociale ed ha individuato<br />
5 forum tematici ovvero, spazi aperti ad operatori ed alla cittadinanza per fare proposte e rappresentare<br />
bisogni tra cui quello di Salute, disabilità e disagio psichico.<br />
Tu hai la percezione che sia solo una parte della società, più illuminata, più sensibile, più attiva,<br />
quella che spinge per l’integrazione e per il superamento delle diversità oppure il rispetto<br />
dei diritti e l’idea d’uguaglianza possono dirsi almeno maggioritarie nella società attuale?<br />
Sicuramente nella società attuale si può affermare che chi contraddice i principi d’integrazione e superamento<br />
delle diversità, almeno se ne vergogna! Mi sembra che, almeno formalmente, siano acquisiti<br />
in larghissima maggioranza i diritti delle persone disabili e la pari dignità. È certo che le reazioni sono<br />
differenti e vanno dall’indifferenza all’aggressività o all’esclusione ma credo siano reazioni più determinate<br />
dal timore, dal disagio e dalla non conoscenza. Forse è con questi ultimi ostacoli culturali che deve<br />
misurarsi l’impegno di quella minoranza attiva nel campo del “sociale”, operatori, amministratori, volontari<br />
e le stesse persone implicate nella disabilità.<br />
6<br />
CHE PALPITO VIENE<br />
SE ASCOLTI<br />
LA PREDICA!<br />
(Pensieri tratti dalle omelie<br />
di don Paolo)<br />
Miriam Aiello<br />
NATALE<br />
2009 Il popolo che<br />
camminava nelle tenebre vide<br />
una grande luce…<br />
Moltiplichiamo la gioia che viene<br />
dalla Luce, viviamo nella semplicità<br />
e nella sobrietà, cercando di<br />
discernere ciò che è essenziale da<br />
ciò che è superfluo, non finiamo<br />
mai di esprimere la nostra meraviglia,<br />
il nostro stupore di fronte a<br />
Gesù che è nato tra noi!<br />
2008 Dio con noi!<br />
Guerra, fame, ingiustizie non<br />
sono solo lontane da noi, in altri<br />
luoghi, in altri mondi, ma sono<br />
anche in noi. E’ in noi stessi che<br />
dobbiamo creare la pace, la giustizia,<br />
l’Amore!<br />
2007 E il Verbo si fece carne…<br />
Si è incarnato in casa mia, nel<br />
mio mondo, nel nostro mondo,<br />
così com’è, ma ci ha dato il potere<br />
di diventare figli di Dio, il potere<br />
della fede, il potere della speranza<br />
2006 Davanti al Presepe…<br />
Avviciniamoci al Presepe: donne,<br />
uomini, bambini e ragazzi, popoli<br />
di ogni provenienza…<br />
Noi donne imitiamo il sereno<br />
equilibrio di Maria<br />
Voi uomini la paterna presenza di<br />
Giuseppe<br />
Voi, bambini e ragazzi, Gesù<br />
bambino che non pretende ma<br />
attende. Noi tutti che, come i<br />
pastori, abbiamo programmato la<br />
nostra vita, aspettiamoci che una<br />
Luce faccia andare per aria i<br />
<strong>nostri</strong> programmi, se decidiamo di<br />
seguirla…<br />
Uniamoci tutti, popolo di Dio,<br />
senza distinzione alcuna, e<br />
cantiamo con gli Angeli: Gloria a<br />
Dio e pace agli uomini che Egli<br />
ama!<br />
2005 Vi annuncio una<br />
grande gioia!<br />
Hic Verbum caro factum est… e<br />
abitò tra noi, ma il mondo non lo<br />
riconobbe… Non rimaniamo nelle<br />
tenebre, mettiamoci sotto la<br />
“lampada abbronzante” della<br />
Luce di Dio! Anche una pietra<br />
nera come l’antracite, se illuminata<br />
dalla luce, si rischiara…Che il<br />
nostro Gesù non sia un Gesù<br />
natalizio o pasquale, ma un Gesù<br />
quotidiano!
I L D I V E R S O<br />
S I A M O N O I<br />
Paola Baroni<br />
In questi ultimi anni siamo stati sensibilizzati e finalmente<br />
coinvolti, chi più e chi meno, alla problematica inerente all’inserimento<br />
nella società di soggetti affetti da qualche patologia<br />
psicofisica grave e non.<br />
Ci siamo trovati di fronte a situazioni fino a qualche tempo fa<br />
solo marginalmente conosciute e delle quali poco se ne parlava,<br />
se si eccettua naturalmente i diretti interessati. Di diversità<br />
ne potremo enumerare un numero infinito, ognuno di noi è<br />
portatore di qualcosa di singolare e pertanto non uguale ad<br />
un’altra persona! Siamo diversi per mentalità, per educazione,<br />
per condizione sociale per diritti (ahi, nota dolente) e per<br />
doveri. Si potrebbe dire che ognuno di noi è una piccola isola<br />
in un mare enorme e tempestoso. Eppure c’è qualcosa che ci<br />
accomuna tutti: la speranza e il desiderio di vivere e di vivere<br />
meglio. Ma forse mi sbaglio, forse ci sono popoli che questo<br />
pensiero non riescono neanche a formularlo per quanto ne<br />
sono lontani. Nelle mie piccole esperienze, posso dire che il<br />
contatto con quello che si può definire un “diverso” mi ha sempre<br />
entusiasmato e incuriosito oltre misura. Fin da bambina mi<br />
piaceva moltissimo correre, in estate, nei campi insieme ai figli dei<br />
<strong>nostri</strong> contadini mentre raccoglievano il grano, e partecipare alla<br />
loro vita semplice, spontanea, spensierata e felice. Apprendevo il<br />
loro dialetto con gioia, malgrado sapessi di contrastare, disubbidendo,<br />
gli insegnamenti familiari; mi piacevano i cori in vernacolo<br />
laziale, i più allegri e divertenti che io ricordi, mi sentivo accettata<br />
con affetto e volevo bene a tutti indistintamente, dal ragazzino<br />
troppo vivace e furbetto, dalla donna che ci spartiva un pezzo di<br />
pane fatto da lei, al vecchietto stanco e un pò sbronzo che iniziava<br />
a cantare con voce ben intonata e piacevole. Erano diversi da me?<br />
No assolutamente no; perchè allora non potevo stare con loro?<br />
Perchè questa noiosa educazione del “non”? Ora, ripensando un pò<br />
alla mia vita passata, mi sembra di essere stata un tantino troppo<br />
polemica con i miei genitori, non accettavo nulla senza prima<br />
discuterne apertamente. Forse questo è stato però un bene, perchè<br />
ho seguitato a interessarmi dei così detti “diversi “anche da<br />
diciottenne volendo frequentare per forza il corso di “assistente<br />
sociale” e, trascurando così gli studi universitari (che ho definitivamente<br />
abbandonato in seguito).<br />
Non mi pento di questo,perchè le esperienze fatte “sul campo” mi<br />
hanno arricchito assai. C’era a... quei tempi (sic) l’ E.C.A. cioè<br />
l’ente comunale di assistenza , c‘era l’O.N.A.R.M.O. che tra le altre<br />
cose aveva fondato le “colonie estive” (si chiamavano ancora così)<br />
e noi si andava a reperire ragazzini che sarebbero rimasti a giocare<br />
tutta l’estate per la loro borgata, con le conseguenze immaginabili,<br />
se non avessero avuta questa opportunità.<br />
C’erano persone allo sbando, mutilati di guerra, e noi che eravamo<br />
giovanissime, andavamo a cercarli nelle loro baracche per assicurar<br />
loro un “sussidio” e litigando con gli addetti dell’ufficio competente<br />
fino ad ottenere un risultato positivo. Bellissimo periodo, ma<br />
per i miei troppo pericoloso. I “diversi”, la scuola popolare, di sera,<br />
per gli adulti! Venivano stanchi dal lavoro, ma fiduciosi che un<br />
diploma di scuola elementare avrebbe permesso di migliorare la<br />
loro vita e quella della loro famiglia, magari facendo o lo spazzino<br />
comunale o cose consimili. Erano gli anni cinquanta-sessanta.<br />
Mi ricordo che un paio di ragazzotti si assentavano qualche sera<br />
perchè andavano a “fà er fero pè campà”,(fare il ferro significava<br />
andare a rubare il ferro dove meglio si trovava e poi naturalmente<br />
rivenderlo). Per farsi perdonare, mi portavano allora qualche cosa<br />
tipo carciofi ecc. e si offendevano moltissimo quando dicevo:” - e<br />
adesso li riportate dove l’avete presi, capito? Non se rubba neanche<br />
un carciofo, mettetevelo nella zucca!-”<br />
Non erano diversi, erano meravigliosi! Alla fine del corso, neanche<br />
a dirlo, tutti promossi perchè avevano dato il meglio di sè con fati<br />
ca e buona volontà; l’ultima sera... vino dal fiasco e paste per tutti,<br />
peccato era finita ! La scuola elementare! Altro passo avanti per<br />
trovare altri “diversi”. La scuola negli anni sessanta è stata per me<br />
un salto notevole, in avanti o in dietro? Nella scuola privata dove<br />
i miei mi hanno collocato e sicuramente più idonea alla mentalità<br />
borghese di quei tempi, ho seguitato a indagare e cercare i diversi.<br />
Le famiglie degli alunni erano veramente deliziose, devo riconoscere<br />
che non si doveva lottare più, basta!<br />
Mi sono affezionata moltissimo a questi bambini educati gentili<br />
intelligenti alcuni dei quali però consciamente o inconsciamente<br />
cercavano da me affetto e compagnia. Piccoli cuccioli,con i loro pro-<br />
7<br />
blemi che non erano poi tanto piccoli, la separazione dei genitori, il<br />
vivere con la baby-sitter al rientro a casa, l’alzarsi prestissimo la<br />
mattina perchè passava il pullman della scuola a raccoglierli. (Il<br />
pulmann passava facendo giri enormi per tutte le zone di Roma).<br />
Negli anni sessanta cominciava infatti nelle famiglie così dette<br />
“bene” il cancro delle separazioni! Erano questi per me i “diversi?”<br />
Ma andando avanti e immergendomi con più responsabilità nella<br />
“scuola dell’obbligo” lavorando a fianco delle colleghe mi sono<br />
trovata a confrontarmi con delle realtà dolorosissime.<br />
Non ricordo l’anno in cui per legge furono immessi nella scuola<br />
bambini con gravi problemi fisici e psichici, ma ricordo benissimo<br />
che ci trovammo ad accoglierli senza che nessuno si fosse preoccupato<br />
di allestire strutture adeguate e fornirci personale<br />
specializzato di appoggio.<br />
I primi anni furono veramente di frontiera! L’immissione selvaggia<br />
e demagogica di bambini veramente gravi comportò sgomento fra<br />
genitori, insegnanti e alunni assolutamente tutti impreparati.<br />
Ricordo in particolare l’introduzione di un bambinetto di sette-otto<br />
anni, legato ad una carrozzina sia al al torace che alla vita e<br />
immesso a viva forza nell’aula senza che potesse reagire in alcun<br />
modo, non avendo la capacità di farlo sia da un punto di vista psicologico<br />
che fisico. Non riusciva infatti a guardare le persone perchè<br />
uno spasmo gli bloccava il collo, non poteva afferrare nulla perchè<br />
non piegava le dita, e malgrado ciò doveva rimanere in classe<br />
le quattro ore stabilite per legge. Eppure, passati due o tre giorni<br />
d’ambientamento, il bambino rimaneva abbastanza tranquillo standogli<br />
il più possibile molto vicino e riuscendo così in qualche modo<br />
a partecipare, a gioire nel trovarsi con altri bambini della sua età.<br />
Questo avveniva specialmente durante la sosta della mattina quando<br />
tutti, ma dico tutti i compagni lo facevano giocare con affetto e<br />
allegria trattandolo come un fratellino minore.<br />
Nelle due ore successive il bimbo piangeva quasi sempre e dava<br />
segni di stanchezza.<br />
Con lo psicologo, un medico e un fisioterapista si decise pertanto di<br />
fargli frequentare la nostra scuola per metà giornata, e di condurlo<br />
in un centro riabilitativo nelle due ore finali. Rimase con noi tutto<br />
l’anno e la mattina dimostrava (sempre nelle sue possibilità) una<br />
gran gioia di stare con noi, e quando andava via, salutato da tutti,<br />
riusciva a fare gridolini di gioia!<br />
Quanto possono rendere felici coloro i quali riescono a trovare un<br />
feeling con queste piccole anime martoriate nel corpo!<br />
Il nostro nuovo impegno umano, ci portò a conoscere centri di<br />
recupero come ad esempio il centro di neuropsichiatria infantile in<br />
via dei Sabelli. Con questo centro abbiamo lavorato naturalmente<br />
anche per casi molto meno gravi, ma non per questo meno impegnativi.<br />
La schizofrenia infantile ad esempio deve essere curata a<br />
stretto contatto con i medici specializzati; ma anche qui “i diversi”,<br />
con interventi mirati e con grandissimo affetto, ci hanno dato una<br />
gioia immensa nel vederli giorno dopo giorno, magari lungo il<br />
periodo dei cinque anni scolastici, diventare più consapevoli di sé,<br />
più ricettivi e affezionati ad una struttura che li aveva spaventati<br />
moltissimo all’inizio! Io sono convinta sinceramente che il così<br />
detto “diverso”, visto che tutti noi siamo persone a se stanti e con<br />
peculiarità specifiche, non esista affatto.<br />
Il “diverso” siamo noi.
DIVERSITÀ<br />
COME DISABILITÀ<br />
Enza Marciello<br />
La disabilità è l’incapacità di svolgere le<br />
normali attività della vita quotidiana a seguito<br />
di una menomazione.<br />
La menomazione è il danno biologico che una<br />
persona riporta a seguito di una malattia<br />
congenita o meno.<br />
L’handicap è lo svantaggio sociale che deriva<br />
dall’avere una disabilità. (definizioni OMS)<br />
Esistono diversi tipi di disabilità: fisica, psichica<br />
e neurosensoriale; tra le disabilità neurosensoriali<br />
ci sono la cecità e la sordità, e di<br />
quest’ultima intendo parlare, poiché la conosco<br />
molto da vicino: mio figlio, infatti, nato<br />
perfettamente sano, ha perso l’udito all’età di<br />
due anni e tre mesi.<br />
Oggi è un ragazzo meraviglioso, bello, intelligente,<br />
solare ed io ne ringrazio il Signore ogni<br />
giorno, ma…non sente. Non sente la mia voce<br />
nè l’eco della sua, non sente la bellezza della<br />
musica nè i suoni della natura, eppure riesce<br />
a coglierli in un modo tutto suo; e, anche<br />
senza un senso, ascolta la voce della vita.<br />
Cos’è la sordità?<br />
E’ la perdita dell’udito e, conseguentemente,<br />
della parola poiché si impara a parlare per<br />
ripetizione di ciò che si è sentito. Essa<br />
comporta: disabilità nella comunicazione;<br />
menomazione auricolare e del linguaggio e<br />
della parola; handicap occupazionale e dell’integrazione<br />
sociale.<br />
Se il bambino nasce con una forte perdita uditiva<br />
o perde la capacità di sentire nei primi<br />
anni di vita, essenziali per l’apprendimento<br />
del linguaggio, è un bambino sordo.<br />
Prima era “sordomuto” e ogni forma di vita<br />
sociale era sottolineata dall’uso della lingua<br />
dei segni.<br />
Oggi della persona che non sente si dice “non<br />
udente”perché tecnologie strumentali e sedute<br />
di logopedia le consentono di imparare a<br />
parlare anche se con un timbro di voce diverso<br />
e più o meno bene , secondo il grado di<br />
sordità e la tempestività d’intervento.<br />
Se crediamo che, parafrasando Aristotele,<br />
l’uomo è un essere sociale, che è l’unico degli<br />
esseri viventi a possedere la parola e che questa<br />
diventa fondamento stesso dello stare<br />
insieme, allora il sordo è svantaggiato soprattutto<br />
nella dimensione sociale.<br />
Si fa fatica a capire la sua parola e non sempre<br />
ci si impegna in uno scambio interlocutorio<br />
a tutti gli effetti, immersi come si è nell’odierno<br />
mondo digitalizzato dove il tempo<br />
corre veloce.<br />
I ritmi sono frenetici e un sordo richiede<br />
tempo !<br />
Eppure è sufficiente parlare un po’ più lentamente,<br />
standogli di fronte, in modo che possa<br />
leggere le parole sulle labbra; usare termini<br />
semplici poiché il suo vocabolario orale non è<br />
molto ricco; avere la sensibilità e<br />
l’accortezza, quando si è in gruppo, di spiegargli<br />
l’argomento di cui si sta parlando, permettendogli,<br />
forse,di dire la sua; … e poi, solo<br />
buona volontà di scoprire ed apprezzare la<br />
sua ricchezza interiore e le sue potenzialità,<br />
in un reale incontro tra individui, accettandone<br />
la differenza.<br />
Poiché la differenza, anziché un limite, può<br />
divenire ricchezza, come tante volte ho constatato<br />
con mio figlio.<br />
“Quando Einstein, alla domanda del passaporto,<br />
risponde”razza umana”, non ignora le differenze,<br />
ma le omette in un orizzonte più<br />
ampio, che le include e le supera.<br />
E’ questo il paesaggio che si deve aprire: sia<br />
a chi fa della differenza una discriminazione,<br />
sia a chi, per evitare una discriminazione,<br />
nega la differenza.” (da Nati due volte di<br />
Giuseppe Pontiggia).<br />
UNA FAMIGLIA CON LA F MAIUSCOLA<br />
Stefano Patassini<br />
Una coppia di amici da decenni ormai nell’Associazione Gruppo Amico accetta di chiacchierare<br />
con noi sui temi proposti dal nostro giornale. Ci ospitano nella loro casa completamente<br />
accessibile e, mentre papà Carlo aiuta il loro figlio di otto anni nei propri compiti di scuola,<br />
mamma Giovanna, muovendosi agilmente per la cucina “demotica” sulla sua sedia a<br />
rotelle, prepara the e caffè per tutti. In questo clima di normale quotidianità la prima domanda<br />
della nostra intervista trova le sue risposte naturali:<br />
1) Qual è dal vostro punto di vista, il concetto di diversità, quali sono i modelli di<br />
normalità?<br />
Giovanna: …ma la normalità non esiste, oppure è soggettiva! Tutto è diverso, ognuno è differente…<br />
Certo, possiamo dire che una certa “normalità” è determinata dai numeri, dal fatto,<br />
cioè, che alcune caratteristiche fisiche sono presenti nella popolazione in maggior numero e<br />
impongono, in qualche senso, un modo maggioritario di muoversi, agire, lavorare, operare…<br />
Carlo: secondo me, nell’attuale società è largamente diffusa l’idea di avere esclusivamente<br />
diritti che vanno affermati ad ogni costo; chi ostacola i diritti individuali diventa, qui e oggi,<br />
il “diverso”.<br />
2) Come si percepiscono, secondo voi coloro che sono portatori di una oggettiva e<br />
visibile diversità fisica o psichica rispetto alla società in cui vivono?<br />
Giovanna: le diverse caratteristiche fisiche fanno scattare ancora il pregiudizio, un concetto<br />
radicato a priori: si dà per scontata la difficoltà o, addirittura la mancanza di capacità di<br />
ragionare, di scegliere, di essere “dentro” le situazioni. Chi si trova ad avere un modo diverso<br />
di muoversi si scontra ancora con questa forma mentale e da ciò, soprattutto, deriva il<br />
senso frustrante di essere percepiti come “diversi”.<br />
3) E come la società attuale percepisce le diversità?<br />
Carlo: come ho detto, la società attuale vede nella diversità un ostacolo all’affermazione<br />
della propria volontà; e vede colui che ostacola come il “diverso”…<br />
4) È stato avviato un processo di superamento delle barriere tra diversi? Se sì,<br />
quali pensate siano state le tappe più importanti di un percorso di “normalizzazione”,<br />
di uguaglianza?<br />
Giovanna: sicuramente può dirsi avviato un processo di superamento delle barriere architettoniche;<br />
così come l’inserimento di bambini con disabilità nelle scuole e un certo protagonismo<br />
di persone con disabilità nello sport, nella politica (meno, molto meno, nello spettacolo…)<br />
hanno avviato un percorso di integrazione. Penso che i progressi si siano avuti a partire<br />
da quando le persone con disabilità fisiche e molti familiari di persone con disabilità psichiche<br />
si siano stancate di sentirsi discriminati. È questo sentimento di ingiustizia che ha<br />
spinto fuori da istituti ghettizzanti e dal chiuso delle famiglie le persone con disabilità e le ha<br />
rese protagoniste di un inizio di cambiamento. Queste spinte hanno permesso, negli ultimi<br />
decenni, di giungere a leggi, Carte, Dichiarazioni progredite; ma si tratta ancora di cambiamenti<br />
formali, di facciata…<br />
6) Ma dei risultati sono stati raggiunti?<br />
Giovanna: …ma sì, io stessa, nella mia vita, vedo dei profondi miglioramenti, tanto più che<br />
provengo dalla realtà di un piccolo paese del sud… Con la maturità e con il trasferimento a<br />
Roma, ho trovato un processo avviato nel quale mi sono inserita!<br />
Carlo: in un certo senso, la società ha subito la volontà di cambiamento, la spinta all’emancipazione<br />
delle persone disabili… Un po’ quello che è accaduto nello scorso secolo con altre<br />
“categorie” di persone discriminate, i neri, le donne…<br />
7) Quali possono essere gli obiettivi futuri?<br />
Giovanna: guarda, qui l’obiettivo principale è non tornare indietro perché molti progressi<br />
“sulla carta” rischiano di essere annullati dalla mancanza di risorse… Comunque, come dicevo,<br />
alcuni pur importanti risultati sono “formali”: le barriere mentali e culturali che si oppongono<br />
ad una piena integrazione si supereranno con la conoscenza, con la condivisione, con<br />
la cultura, con il rispetto.<br />
8) Secondo voi, la persona con disabilità è protagonista dei cambiamenti e dei<br />
progressi ottenuti o da perseguire nella propria realtà?<br />
Giovanna: sì, nel caso della diversità fisica. Credo che, nel caso della disabilità psichica, non<br />
sia possibile completamente: sarebbe augurabile accompagnare le persone con disabilità psichica<br />
nelle scelte e nei progressi, ascoltare e sostenere nel modo giusto i loro familiari<br />
9) Quale ritenete sia il ruolo del volontariato nel processo di cambiamento e<br />
integrazione a vantaggio di “chi è diverso”?<br />
Carlo: il volontariato e l’associazionismo hanno un ruolo fondamentale: sono stati e sono<br />
ancora l’unica spinta grossa al cambiamento, il fattore che ha avviato il pur minimo processo<br />
di integrazione.<br />
Giovanna: sono d’accordo, nella società attuale si passa dal pietismo in cui sfocia il pur<br />
giusto valore della “delicatezza” verso chi è svantaggiato, tipico delle generazioni precedenti,<br />
all’indifferenza dei più giovani, un’indifferenza, un’apatia che pare dominante e rivolta<br />
verso tutto e tutti, anche verso chi è portatore di una diversità. Quindi, le persone animate<br />
dalla volontà “buona” le anime “belle”, chi si dedichi anche solo un po’ agli altri, sono fondamentali<br />
oggi.<br />
8
LA FORZA DI UN<br />
RAGAZZO<br />
Marco Di Tillo<br />
Un pomeriggio di maggio di sei anni<br />
fa mio nipote Marco, non ancora<br />
sedicenne, stava percorrendo la via<br />
Tuscolana con il suo motorino, nel<br />
tratto davanti alla chiesa di S.Maria<br />
Ausiliatrice. Improvvisamente un<br />
automobile parcheggiata a spina di<br />
pesce ha fatto manovra all’indietro<br />
per uscire dal parcheggio e Marco si<br />
è dovuto spostare verso sinistra con<br />
una veloce sterzata. Così facendo è<br />
entrato però nella corsia opposta ed<br />
è stato immediatamente investito da una moto di grossa cilindrata<br />
che sopraggiungeva a velocita sostenuta. Marco è caduto in<br />
terra, le ruote della moto gli sono montate sul petto e lo hanno trascinato<br />
per un lungo tratto di strada e infine lo hanno sbattuto contro<br />
il marciapiede laterale. Trasportato subito all’ospedale<br />
S.Giovanni le sue condizioni erano sembrate assolutamente disperate.<br />
E’ stato operato d’urgenza e dopo ore di camera operatoria i<br />
medici sono riusciti a salvargli la vita ma il suo polmone sinistro<br />
aveva ormai perso le funzioni, il braccio sinistro si era spezzato, la<br />
testa aveva subito lesioni traumatiche e, la cosa più grave di tutte,<br />
la sua colonna vertebrale aveva subito un danno senza ritorno.<br />
Marco non avrebbe più avuto l’uso delle gambe.<br />
Dopo quella prima operazione mio nipote fu portato nel reparto di<br />
terapia intensiva. Dopo qualche giorno le sue condizioni peggiorarono<br />
e fu di nuovo operato ai polmoni. Ce la fece anche quella volta<br />
ma restò in ospedale diversi mesi, in un altalena di condizioni che<br />
prima miglioravano e poi di nuovo andavano peggio, mentre i genitori,<br />
i parenti, gli amici, i professori si alternavano straziati davanti<br />
al vetro della sala dov’era ricoverato.<br />
Poi finalmente uscì e tornò a casa. Ci tornò seduto su una sedia a<br />
rotelle, sapendo perfettamente che per lui non ci sarebbe stato mai<br />
più modo di camminare. Non è facile pensare questo per un ragazzo<br />
di sedici anni che fino a poco tempo prima aveva una vita normale,<br />
correva, giocava a calcio e faceva le semplici cose che tutti<br />
i ragazzi fanno ogni giorno.<br />
C’erano i presupposti per lasciarsi andare, per piombare nel baratro<br />
della disperazione, per restarsene giornate intere stesi sul letto<br />
a guardare il soffitto e non aver più voglia di fare niente. Ma le cose<br />
non andarono così. Marco reagì. Si rimboccò le maniche e affrontò<br />
la situazione in cui si era purtroppo venuto a trovare. Sapeva che<br />
era quello il solo modo per poter vivere. Una vita diversa certo. Ma<br />
una vita vera. L’unica comunque che avrebbe potuto fare. E decise<br />
di farla bene.<br />
Lo aiutò in questo il lunghissimo periodo trascorso nella struttura<br />
della Fondazione S.Lucia, uno dei migliori centri italiani specializzati<br />
nella riabilitazione neuromotoria. Lì incontro eccezionali medici<br />
e fisioterapisti preparati e soprattutto incontrò altri giovani<br />
come lui che le circostanze della vita avevano anch’essi sistemati<br />
per sempre su una sedia a rotelle.<br />
Iniziò a fare sport. E cominciò con il nuoto. Una vasca al giorno. Poi<br />
due. Poi tre. Andava piuttosto bene. L’allenatore della squadra<br />
volle inserirlo nel team titolare e, ualà, Marco vinse i campionati<br />
italiani per paraplegici sia a livello individuale che nella staffetta.<br />
Ma il nuoto non gli bastava. L’anno seguente iniziò anche a giocare<br />
a basket. Anche qui grandi risultati, inserimento in prima squadra,<br />
ottimo piazzamento in campionato e partecipazione addirittura<br />
alla Coppa dei Campioni. Insomma Marco ha riempito le sue settimane<br />
di un sacco di sport attivo e a livelli importanti !<br />
E nella vita di tutti i giorni ha ottenuto parallelamente altri grandi<br />
risultati. Ha un lavoro come programmatore di software e un automobile<br />
personale con comandi al volante che lo rende oggi indipendente<br />
di andare dove vuole insieme ai suoi amici e alla sua<br />
fidanzata.<br />
Marco ha appena compiuto 20 anni. E’ un bel ragazzo, simpatico e<br />
spiritoso. Non corre più sui prati ma sicuramente è in grado di<br />
insegnare moltissimo a tutti i suoi coetanei che, pur in migliori<br />
condizioni fisiche, sono invece assolutamente privi di forza e di<br />
interessi e vivono vite senza senso, trascinandosi mollemente<br />
nelle loro giornate ripetitive, vuote e del tutto inutili.<br />
9<br />
DA RAGAZZO VEDENTE<br />
A SCRITTORE NON VEDENTE.<br />
INTERVISTA A DAVIDE PIGLIACELLI<br />
Stefano Valariano<br />
“Io ti conosco dalle scuole superiori, Davide, ma i<br />
<strong>nostri</strong> lettori non sanno come è cominciato tutto”.<br />
“Beh, ho perso la vista in pochi mesi quando avevo dieci<br />
anni. E’ dura da accettare in tenera età, quando si vuole<br />
scoprire il mondo, quando il buio non piace a nessun bambino.<br />
Il peggio però è arrivato con le numerose ed estenuanti<br />
visite negli ospedali, insieme ai molti ricoveri.<br />
Spesso le terapie erano inutili e brutali”.<br />
“Io so che, nonostante tutto, hai superato la prova.<br />
Oggi sei laureato interprete e perfino scrittore, come<br />
hai fatto?<br />
“Il primo anno di buio è stato terribile e l’isolamento psicologico<br />
molto deprimente. Mi sono affidato alla fede cristiana<br />
e ho rivalutato la mia posizione. Ovviamente ci sono<br />
stati anni, durante i quali ho avuto anche forti scoraggiamenti,<br />
perfino di recente, ma ne sono uscito. Preciso che<br />
la lotta continua ogni singolo giorno”.<br />
“Noi eravamo a scuola insieme. La cosa a suo tempo<br />
mi fece pensare. Perché non hai frequentato istituti<br />
per non vedenti?”.<br />
“L’ho fatto un anno fa per dei corsi di alcuni mesi, giusto<br />
per essere più autonomo, ma l’ho sempre presa come una<br />
questione di dignità. Ovviamente non sminuisco chi ha<br />
fatto scelte diverse. Io ho accettato la sfida lanciata tanto<br />
brutalmente dalla vita. Ho voluto dimostrare di non essere<br />
inferiore ai così detti sani e ho vinto”.<br />
“Ma tutte le vittorie prevedono delle perdite. Dico<br />
bene?”.<br />
“Purtroppo sì. Ho ricevuto molte ferite da chi credevo<br />
amico, visto che il più delle volte mi sono ritrovato solo. A<br />
volte succede ancora, ma è come con la pelle: più sfregi<br />
riceve, più si fa dura”.<br />
“Alla maturità sei uscito con 90 centesimi e<br />
all’Università con 108. Ti sai difendere!”.<br />
“Diciamo che la vita mi ha gettato in acqua da piccolo pensando<br />
che affogassi, ma non aveva considerato la possibilità<br />
che imparassi a nuotare”.<br />
“Che messaggio vuoi lasciare ai <strong>nostri</strong> amici lettori?”.<br />
“Resistere! Perfino la guerra deve finire, così come alla<br />
notte dovrà sempre seguire il giorno. Ho imparato che il<br />
più delle storie della gente sono di sofferenza. Voglio dire<br />
solo che Dio sa trarre il bene perfino dal male. Trasformate<br />
il dolore e la frustrazione nel carburante emotivo per mettere<br />
in moto i vostri sogni e puntate sempre in alto. Non<br />
accontentatevi di piccole vittorie se potete. Riuscirete solo<br />
se crederete, specialmente quando tutti vi danno del<br />
matto. Napoleone era considerato da giovane un indisciplinato<br />
senza futuro, eppure è diventato imperatore. La scrittrice<br />
di Harry Potter era una ragazza madre senza lavoro,<br />
eppure ora è più facoltosa delle regina d’Inghilterra. Gesù<br />
Cristo era povero e incompreso dai più, eppure oggi è il più<br />
osannato al mondo e ha perfino spaccato la storia, tanto<br />
che anche gli atei devono dire: avanti Cristo e dopo<br />
Cristo”.<br />
www.myspace.com/davidepigliacelli
STEFANO<br />
E LA SINDROME<br />
DI LENNOX-<br />
GASTAUT<br />
Cesare<br />
Catarinozzi<br />
Molti dei miei primi articoli giornalistici furono dedicati a<br />
coloro che allora si chiamavano “subnormali”.<br />
Li scrissi su giornali di diversa tendenza, perché tale problema<br />
non è né di destra né di sinistra. Mi interessava soprattutto<br />
combattere il pregiudizio. Molto tempo dopo, a scuola, fui<br />
per sette anni insegnante di sostegno.<br />
Ricordo tutti i miei allievi di quel tempo, ma qui vorrei ricordare<br />
in particolare Stefano, afflitto dalla sindrome di Lennox-<br />
Gastaut. Veniva accompagnato dalla madre, che non si allontanava<br />
mai da lui, neanche a scuola. Per seguirlo eravamo<br />
addirittura in due insegnanti di sostegno contemporaneamente.<br />
Lo inserivamo in gruppi di coetanei ed egli nominava sempre<br />
i suoi nonni, nonno Checco e nonno Dario, nonché Babbo<br />
Natale. A volte era un po’ violento e noi due insegnanti avevamo<br />
il nostro bel da fare per controllarlo.<br />
<br />
Chissà che cosa voleva dire con quella domanda. Ma sapevamo<br />
che con la sua malattia sarebbe stato sempre peggio, ben<br />
lo sapeva suo padre medico. Il morbo di Lennox-Gastaut è una<br />
sindrome epilettica che comincia dall’infanzia, poco nota, individuata<br />
nel 1966. Comporta sempre rallentamento dello sviluppo<br />
intellettuale e comparsa di disturbi della personalità.<br />
Rappresenta il 3% delle epilessie dell’infanzia ed è prevalente<br />
nel sesso maschile. Esordisce solitamente prima degli otto<br />
anni, pur essendo riportati casi con età di esordio dopo i 10<br />
anni. Molti pazienti hanno una storia familiare di epilessia o di<br />
convulsioni febbrili. Può insorgere in bambini fino ad allora<br />
sani o in soggetti già affetti da un ritardo dello sviluppo psicomotorio.<br />
Le crisi provocano spesso una caduta a terra brutale,<br />
culminante in movimenti automatici del corpo.<br />
Talora c’è perdita di coscienza parziale o completa.<br />
L’evoluzione, come già accennato, è cronica con progressive<br />
fasi di peggioramento.<br />
Insegnai, nei limiti possibili, la fiaba di “Giovannino senza<br />
paura”, tratta dalle “Fiabe Italiane” di Italo Calvino. Certo non<br />
sapeva ripeterla ma, quando io nominavo l’orco, egli pronunciava<br />
subito la frase “Butto giù?” caratteristica di quel mostro.<br />
Dispiace dirlo, ma c’erano anche colleghi che dicevano: <br />
Purtroppo il veleno del pregiudizio colpiva anche persone<br />
come loro, laureate o diplomate. La preside, una donna sensibile,<br />
prendeva le sue parti contro i colleghi che lo rifiutavano.<br />
Era una preside atea, che mi diceva a volte: Ma, come ripeto, molto sensibile.<br />
Stefano aveva un’audiocassetta di Massimo Ranieri ed aveva<br />
imparato a cantare, a modo suo, alcune canzoni napoletane,<br />
nonché “Caro amico ti scrivo” di Lucio Dalla, che piaceva<br />
molto anche al sottoscritto, infatti cercavo di cantarla con lui.<br />
La madre ogni tanto faceva dei regali a me ed alla mia collega,<br />
ho ancora l’elefantino che si mette davanti la porta di casa<br />
per scacciare le negatività. La sofferenza dei genitori era palpabile<br />
e tutta la famiglia, compresi nonno Checco e nonno<br />
Dario, faceva a gara per regalargli momenti lieti.<br />
Ebbi come partner di sostegno il primo anno Cristina, molto<br />
estroversa, il secondo la giovanissima insegnante di ginnastica<br />
Anna, il terzo Sebastiano, un collega che cercava di raccontargli<br />
storie con protagonista nonno Checco.<br />
Io applicai con Stefano un po’ di musicoterapia appresa alla<br />
Pro Civitate Cristiana di Assisi. Barattoli di coca cola con sassolini<br />
dentro, che si trasformavamo in marracas, piccoli brani<br />
suonati da me con la diamonica o la fisarmonica, semplici<br />
esercizi con il metallofono.Caro Stefano, sono passati molti<br />
anni da allora, come sarai adesso? Di sicuro sei peggiorato e<br />
non so neanche se sei ancora in vita (il morbo di Lennox-<br />
Gastaut può portare a morte prematura). Ma, come facevo da<br />
giovane giornalista, ti prometto che cercherò sempre di<br />
abbattere le barriere del pregiudizio.<br />
10<br />
NOTA CRITICA AD UN EUFEMISMO<br />
Luciano Milani<br />
La redazione del nostro periodico ha assegnato al tema da trattare<br />
nel numero di dicembre 2010 il titolo “Diversi da chi”.<br />
Da sempre questo modo di dire viene da me percepito con un<br />
certo fastidio. La moda dei <strong>nostri</strong> linguisti di inventare neologismi<br />
ed espressioni neologiche tendenti a far scomparire o a<br />
modificare situazioni poco felici con la sola forza delle parole<br />
non l’ho mai condivisa.<br />
Così, l’espressione “Diversi da chi”, che vorrebbe far scomparire<br />
la presenza della disabilità da molti <strong>nostri</strong> sfortunati fratelli,<br />
indicandoli con quella espressione quasi avesse la forza di un<br />
mantra, mi appare come un tentativo di occultare la dura realtà<br />
attraverso uno specioso eufemismo. Il vezzo di voler fare apparire<br />
con la semplice “mutatio nominis” più importante un’attività<br />
di per sé stessa umile viene spesso attuato in più ambiti<br />
della nostra società.Mi fanno sorridere per esempio espressioni<br />
come queste: “Operatore ecologico”, per indicare il tradizionale<br />
netturbino; “paramedico”, per indicare un ausiliario nel settore<br />
della sanità. Qualche anno fa rimasi curiosamente sorpreso da<br />
un episodio che mi accadde in un piccolo centro della nostra<br />
provincia. Dovendo trascrivere la professione di un giovane per<br />
la redazione di un documento, alla mia richiesta, l’interpellato<br />
mi rispose prontamente: “Assistente di cattedra”. Memore del<br />
gergo in uso presso l’Università nel tempo remoto in cui io l’ho<br />
frequentata, fui preso dalla curiosità di domandargli presso<br />
quale facoltà e con quale docente lavorasse. Il giovane,che era<br />
molto sveglio e senza complessi, comprese al volo l’equivoco e<br />
con un sorriso serafico mi spiegò che egli lavorava in un Istituto<br />
Tecnico Commerciale di Roma e le sue mansioni erano quelle di<br />
un passa libri, attività che un tempo era espletata dal vecchio<br />
bidello. Ora, i <strong>nostri</strong> lettori mi chiederanno perché questo lungo<br />
preambolo. Risponderò che, se con l’espressione si vuol far credere<br />
ai <strong>nostri</strong> fratelli handicappati che sono identici in tutto e<br />
per tutto (e quindi anche fisicamente) agli altri individui perfettamente<br />
sani, ritengo l’espressione carica di un certo cinismo.<br />
Sono sempre stato e sono tuttora dell’avviso che, con tatto<br />
estremo e grande carità, i fratelli portatori di handicap vadano<br />
sempre convinti delle loro capacità fisicamente ridotte, e ciò in<br />
ossequio al messaggio giovanneo: “La verità vi fa liberi”. La<br />
vera uguaglianza del disabile a tutti gli altri esseri umani sta<br />
nella fratellanza che accomuna tutti gli uomini, figli dell’unico<br />
Dio e tutti redenti dal sangue del suo unigenito Figlio, incarnatosi<br />
nel seno della Vergine santissima, crocifisso, morto e risorto.<br />
E proprio in virtù di tale fratellanza tutti dobbiamo adoperarci<br />
per alleviare le loro sofferenze, accompagnandoli nel duro<br />
cammino della vita. La nostra opera in tal senso deve essere<br />
espletata con grande impegno,in tutti gli ambiti, politico, sociale,<br />
sanitario. Ma è proprio di questi giorni la drastica riduzione<br />
del cinque per mille operata nella legge di stabilità dal nostro<br />
Parlamento. Eppure lo stesso presidente della Repubblica aveva<br />
definito qualche giorno prima l’attività di volontariato a favore<br />
degli invalidi “straordinariamente vasta e ricca di valori” e il<br />
Papa aveva ammonito che “senza volontariato l’assistenza a<br />
questi <strong>nostri</strong> fratelli meno fortunati di noi “non può durare a<br />
lungo”. Avverso i corifei della morte, che in questo nostro tempo<br />
hanno intensificato la battaglia contro i portatori di gravissimi<br />
handicap, riproponendo con rinnovato accanimento e sia pure in<br />
modo surrettizio l’eutanasia, dobbiamo ingaggiare la più dura<br />
battaglia. I politici che hanno il senso cristiano della sacralità<br />
della vita, devono fare ogni sforzo affinché dalle istituzioni legislative<br />
ed esecutive siano approvati e quindi posti in atto provvedimenti<br />
che favoriscano completa assistenza, sia nelle strutture<br />
pubbliche che in quelle private, nonché nelle stesse famiglie,<br />
a questi <strong>nostri</strong> fratelli, che secondo una recente statistica<br />
del CENSIS, hanno raggiunto la considerevole cifra di quattro<br />
milioni e centomila unità. I medici cristiani prestino generosamente<br />
la loro opera preziosa perché le sofferenze di questi fratelli<br />
siano alleviate. E noi cristiani qualunque, offriamo il nostro<br />
contributo, con attività di gioioso volontariato e con l’aiuto<br />
finanziario che le nostre tasche ci permettono.<br />
A certi Fazio-si conduttori televisivi, a certi sicofanti radiofonici,<br />
a taluni spocchiosi imbonitori giornalistici opponiamo la nostra<br />
unanime e vibrante reazione. E, nell’apprestare il nostro<br />
soccorso, ci conforti la raccomandazione di San Paolo ai Galati:<br />
“Fratelli, portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la<br />
legge di Cristo” (Galati, 6-2).
DIVERSA-<br />
MENTE<br />
Massimo<br />
Gatti<br />
Tutti uguali, tutti diversi, questa è l’unica<br />
certezza. Uguali davanti alla legge, uguali per<br />
dignità, uguali per diritti e per doveri, uguali<br />
davanti alla morte, uguali davanti a Dio.<br />
Profondamente diversi, l’uno dall’altro, da<br />
come eravamo ieri, da come saremo domani,<br />
diversi per talenti in diversa maniera e quantità<br />
distribuiti, diversi nel colore e nella forma del<br />
corpo, diversi perché figli di mondi ed idee<br />
diverse, diversi per capacità fisiche e mentali,<br />
diversi, per fortuna.<br />
Pensa un mondo di identici, tutti sani, tutti belli<br />
e buoni, tutti bravi e capaci di fare tutto in<br />
egual misura e con lo stesso risultato: nulla da<br />
imparare da nessuno, tutti valgono te per qualsiasi<br />
cosa.<br />
Esci per strada, incontri uno che è alto come te,<br />
stessa corporatura, stessa pelle, stessi capelli,<br />
arriva un taxi e corri per salirci su e precederlo,<br />
ma quello corre tale e quale quanto te e arrivate<br />
insieme, è furbo quanto te ed ha la tua stessa<br />
scusa, insomma tra eguali non c’è differenza,<br />
dunque a che serve il confronto se non a ribadire<br />
il concetto che siamo tutti perfettamente inesorabilmente<br />
fatalmente disastrosamente identici?<br />
Forse a risparmiare sul taxi smezzando la<br />
spesa, ma ci hai mai pensato veramente a cosa<br />
porterebbe essere tutti perfettamente uguali<br />
anche fosse nella perfezione? nulla da confrontare,<br />
nulla per distinguersi, nulla da imparare<br />
da qualcuno, tutti uguali, sempre, tra noi e<br />
soprattutto a noi stessi, senza alcun progresso.<br />
E se fossimo appena un po’ meno fortunati e<br />
uguali fossimo sì, ma nella mediocrità, tutti<br />
bassi, o scarsi in matematica, o lenti nel correre,<br />
magari anche bruttarelli e malaticci, come<br />
ne usciremmo, dalla nostra mediocrità intendo?<br />
D’accordo, mal comune mezzo gaudio, saremmo<br />
bassini anche nella frustrazione di essere<br />
scarsi in tutto forse, ma come potremmo anche<br />
solo sperare di diventare non dico più alti, ma di<br />
migliorare in matematica od imparare a correre<br />
come lepri, magari dietro qualcuno più veloce di<br />
noi?<br />
Che bello invece uscire di casa e doversi mettere<br />
in punta di piedi perché quello davanti non ti<br />
fa vedere il taxi che arriva e poi bruciarlo sullo<br />
scatto e salirci sopra prima di lui che è lento<br />
come una cucuzza, ma anche prendere la tua<br />
ragazza bassina perduta per i fianchi e sollevarla<br />
per darle un bacio! come siamo belli così<br />
diversi, così unici, così pieni di cose diverse da<br />
poter imparare tutto da chiunque.<br />
Basta non fare classifiche, siamo su questo<br />
mondo in ordine di apparizione o forse alfabetico<br />
o magari random: un posto ciascuno, inutile<br />
affannarsi, non ci sono posti liberi, sono tutti<br />
occupati da altri come te, ma diversi a volte<br />
anni luce da te, e tanto più sono diversi, tanto<br />
più potrai imparare da loro cose che non conosci<br />
e che non imparerai mai guardandoti allo<br />
specchio o peggio ancora facendo degli altri<br />
uno specchio nel quale compiacerti.<br />
Siamo tutti diversamente abili, fortunatamente,<br />
qualcuno è solo diversamente educato, cerchiamo<br />
di comprendere che la diversità è miglior<br />
risorsa che il genere umano possiede, ed utilizziamola<br />
non per discriminare ma per<br />
crescere.<br />
DITEMI CHI È NORMALE !<br />
Isabella Badalì<br />
“Io sono come un pianoforte con un tasto rotto<br />
L’accordo dissonante di un’orchestra di ubriachi<br />
E giorno e notte si assomigliano<br />
Nella poca luce che trafigge i vetri opachi<br />
Me la faccio ancora sotto perché ho paura<br />
Per la società dei sani siamo<br />
sempre stati spazzatura<br />
Puzza di piscio e segatura<br />
Questa è malattia mentale e non esiste cura”<br />
Queste sono le parole che cantava Simone<br />
Cristicchi (nella foto, ndr) al Festival di Sanremo.<br />
Una canzone che ha smosso le coscienze delle<br />
persone, perché è facile far finta di niente, è facile<br />
credere che il mondo sia perfetto, è facile circondarsi<br />
di una falsa realtà che ci fa sentire sicuri.<br />
La chiusura dei manicomi è stata una grande<br />
rinvicita, perché il più delle volte i malati mentali in queste strutture perdevano la loro<br />
identità, non erano più persone, non avevano più sentimenti, più libertà e vivevano<br />
nell’emarginazione più totale. I loro giorni passavano lenti, scanditi dagli orari della<br />
terapia o nel migliore dei casi di qualche attività di gruppo. L’uscita di queste persone<br />
da queste strutture ha generato però non pochi problemi, le famiglie dei malati<br />
hanno dovuto farsi carico di un peso insostenibile e difficile da gestire; non erano preparati,<br />
non conoscevano la malattia mentale. Queste persone incutevano paura, timore<br />
e in Italia non esistevano strutture in grado di supportare le famiglie e i malati.<br />
Ancora oggi dopo tanti anni quello dello stigma è un elemento fondamentale che vive<br />
sulle spalle di queste persone. Si ha ancora paura che persone affette da patologie<br />
mentali possano essere pericolose, violente e quindi si tende sempre a tenerle ai margini<br />
della società. Non è così.<br />
La patologia mentale purtroppo è quasi sempre una patologia cronica, che il paziente<br />
se la porta dietro per tutta la vita e proprio per questo queste persone dovrebbero<br />
essere aiutate a reinserirsi nella società. Ho avuto molte esperienze vicino a persone<br />
malate di mente, con patologie gravi come la schizofrenia e tutte mi hanno regalato<br />
una sensibilità che è difficile invece trovare nelle persone che si definiscono “normali”!<br />
Si, normali, ma qual è la normalità? La normalità è vivere una vita con le regole<br />
che ci detta la società, è avere un funzionamento sociale adeguato, avere un posto<br />
all’interno di una comunità. E allora mi chiedo: chi dice che le persone affette da patologie<br />
mentali questo funzionamento non possano averlo? Per la mia esperienza di tre<br />
anni in una clinica psichiatrica posso dire che questi traguardi si possono raggiungere.<br />
È inutile dire che raggiungere un traguardo del genere sia semplice, se è già così<br />
difficile per una persona “normale”. Lo stigma della malattia mentale è la cosa che più<br />
deteriora il funzionamento sociale di queste persone, che vengono viste come pericolose,<br />
violente e non riesco a trovare l’aiuto necessario per inserirsi nella società.<br />
La malattia mentale è come ogni qualsiasi altra patologia, bisognerebbe iniziare a<br />
mettersi nei panni di queste persone, nella vita di queste persone perché solo così<br />
potremmo veramente vedere così si prova a sentirsi dei malati mentali, a sentire gli<br />
sguardi timorosi e scostanti della gente, a non essere accettato. Inoltre, è importante<br />
valutare anche il ruolo delle famiglie di queste persone che hanno addosso un carico<br />
psicologico non indifferente. La malattia mentale è sempre stata tenuta nascosta,<br />
le persone non conoscono le dinamiche di questi stati, e se una cosa non si conosce<br />
forse mette più paura di quanto invece lo possa essere. Un grande aiuto potrebbe<br />
venire dalle istituzioni con programmi di informazione che possano pian piano sminuire<br />
questo senso inopportuno e insensato di timore e di emarginazione.<br />
I malati mentali per la loro riabilitazione hanno assoluto bisogno di essere accettati,<br />
ascoltati… e questi sono i desideri di qualsiasi persona al mondo. L’intento di queste<br />
poche righe è solo quello di far riflettere sulla malattia mentale. Tra “noi” e “loro” non<br />
c’è alcuna diversità, sono solo persone che hanno bisogno di un aiuto, un aiuto che<br />
deve venire da tutti noi, dalle famiglie, dalle istituzioni e da tutti noi che dal nostro<br />
supporto potranno ricevere senza alcun dubbio giovamenti e magari migliorare anche<br />
se di poco la loro vita.<br />
SORRISI<br />
Gregorio Paparatti<br />
Perché i gorilla hanno le narici enormi?<br />
Perchè hanno dita enormi!<br />
11<br />
*<br />
- Mi sono reso conto –dice un tale- che<br />
ogni male ha il suo lato buono.<br />
- Lei è un ottimista?<br />
- No,un farmacista.<br />
*<br />
Una signora al marito: “Ogni sera quando<br />
torni dall’ufficio ti chiedo com’è andata la<br />
giornata e tu mi racconti tutto,invece tu<br />
non mi domandi mai com’è andata con la<br />
casa, i bambini, la spese”.<br />
“Scusami cara, hai ragione. Come è<br />
andata oggi la tua giornata?”<br />
“Spaventosa!!! Ti prego non farmene parlare!
RICORDO DI CHICCO<br />
Lydia Longobardi<br />
Quella mattina di ottobre di tanti anni fa<br />
entrai in classe tutta felice. Finalmente insegnavo<br />
in una scuola pubblica, potevo giudicare<br />
secondo il mio criterio gli alunni senza<br />
dover sopportare le ingerenze del preside<br />
padrone dell’istituto privato in cui ero stata<br />
per vari anni. I ragazzi erano nei banchi e<br />
ridacchiavano fissando lo sguardo verso un<br />
compagno che solo, stava in piedi vicino alla<br />
finestra e mi voltava le spalle.<br />
Salii sulla cattedra ed il ragazzo si voltò verso<br />
di me. Rimasi colpita più che altro dal suo<br />
sguardo triste e impaurito. Appariva fisicamente<br />
diverso dai compagni e venne avanti<br />
camminando lentamente con i piedi rivolti<br />
verso l’esterno alla maniera di Charlot.<br />
La classe cominciò a ridere, io mi irrigidii e<br />
battendo la mano sulla cattedra ottenni il<br />
silenzio. Chiesi al ragazzo il suo nome e quello<br />
con fatica sillabò: Francesco detto Chicco.<br />
I banchi erano tutti occupati , solo in fondo<br />
c’era un posto libero. Feci spostare un giovane<br />
alto dal primo all’ultimo banco e posi<br />
davanti Chicco. Poi mi presentai come la<br />
nuova insegnante di lettere alla terza media F.<br />
Il cuore mi batteva forte mentre pensavo a<br />
come avrei potuto inserire Francesco in quella<br />
classe maldisposta aconsiderare il compagno<br />
come uno di loro. Con la scusa di andarmi a<br />
prendere un libro in sala professori feci uscire<br />
Francesco e subito dopo avvertii la classe che<br />
se avessi visto qualcuno di loro ridere del<br />
compagno e prenderlo in giro, sarei stata<br />
molto ma molto severa. Dovevano invece trattarlo<br />
con simpatia ed aiutarlo a stare con loro.<br />
Non fu facile. I giorni passavano ed io imparai<br />
a studiare quel volto ansioso che mi dimostrava<br />
il suo affetto per la premura che gli usavo<br />
interrogandolo ogni giorno con pazienza.<br />
Notai quanto fosse sensibile alle belle poesie e<br />
quando con il programma affrontai lo studio di<br />
Leopardi mi accorsi che si commuoveva alle<br />
spiegazioni. Imparò spontaneamente a<br />
memoria vari canti e scrisse una relazione in<br />
classe sul poeta, che mi stupì per la profondità<br />
delle osservazioni. Certo la dizione di<br />
Chicco era faticosa e lenta ma le parole erano<br />
appropriate ed esatte.I compagni piano piano<br />
cominciarono a parlargli e talora a scherzare<br />
con lui.<br />
I più vivaci erano dolci con lui e la classe lo<br />
adottò affettuosamente. A giugno decisi di<br />
dargli fiducia e di portarlo agli esami di licenza<br />
media con un sette in italiano. Fu interrogato<br />
dal presidente della commissione, un preside<br />
intelligente e ricco di umanità che lo trattò<br />
come gli altri ragazzi. Lo fece parlare del suo<br />
amato Leopardi e lo ascoltò con interesse.<br />
Meritò ampiamente il suo sette e la sufficienza<br />
in tutte le materie. Fui molto contenta ma<br />
l’anno dopo, superato un concorso, passai ad<br />
insegnare al liceo e lo persi di vista.<br />
Dopo venticinque anni, l’anno scorso, in una<br />
chiesa di Roma, mentre mi avviavo verso<br />
l’altare per fare la Comunione, vidi avanti a<br />
me una persona che camminava in modo strano,<br />
sembrava proprio Francesco.<br />
Lo toccai sulla spalla, si voltò, mi riconobbe e<br />
mi abbracciò. Dopo la S.Messa abbiamo parlato.<br />
Mi ha raccontato che aveva proseguito gli<br />
studi con volontà ed ha aggiunto che malgrado<br />
tuttio si era laureato ed ora faceva il bibliotecario.<br />
Mi sono commossa per il ricordo che<br />
aveva serbato di me.<br />
Chicco, diverso da chi?<br />
DIVERSITÀ, UNA SCOPERTA POSITIVA<br />
Gaia Costantini<br />
Mi chiamo Gaia Costantini e ho 39 anni. Non ho mai cercato di nascondere<br />
la mia diversità, anzi l’ho portata dentro di me tentando in tutti i<br />
modi di farla emergere nonostante tutto.<br />
E ho scoperto che posso fare tutto ciò che desidero come :<br />
Viaggiare, Conoscere e Sperimentare, Avere quella ricchezza in più che<br />
ti consente di assaporare la vita come se fosse un cibo prelibato o qualcosa<br />
di straordinario che mi porta verso il futuro, mai verso il passato.<br />
Ritengo che la diversità sia uno strumento che ci fa scoprire le nostre<br />
capacità nascoste. Vorrei che la diversità di ognuno fosse uno stimolo a<br />
fare il meglio che possiamo, e non un freno che limita le nostre potenzialità.<br />
Molto spesso, purtroppo, siamo di fronte a modelli sociali che<br />
non considerano la diversità come valore, anzi non la considerano affatto,<br />
come se non esistesse. Basta vedere i programmi televisivi più<br />
famosi, o i cartelloni pubblicitari per le strade per ritrovarsi immersi in<br />
un mondo effimero e falso che non ci appartiene, in cui l’unica cosa che<br />
conta è il successo facile. È questo il mondo che vogliamo ?<br />
O piuttosto il mondo reale è più duro e difficile? Ma senz’altro più vero?<br />
In questo senso la diversità è stata per me una scoperta positiva e mi<br />
auguro che lo sia per tutti.<br />
12<br />
ROOSEVELT,<br />
PISTORIUS E GLI SPARTANI<br />
Alfredo Palieri<br />
Al centro C.P.O. di Ostia, i paraplegici tirano con l’arco, compiono<br />
esercizi ginnici, si addestrano nella<br />
grande palestra sotto il costante e<br />
affettuoso controllo di medici,<br />
infermieri e suore.<br />
Nella sala giochi fanno interminabili<br />
partite a biliardino e, uscendo<br />
nella strada antistante, spingono e<br />
manovrano le loro carrozzelle. Alla<br />
domenica la grande sala di attesa si<br />
trasforma in Cappella e viene celebrata<br />
la Santa Messa. E’ commovente<br />
vedere le carrozzelle che<br />
avanzano una dopo l’altra verso<br />
l’altare dove il sacerdote distribuisce<br />
l’Eucarestia. E’ il loro un quotidiano<br />
esempio di come si può reagire<br />
a problematiche psico-fisiche<br />
non indifferenti. Ci sono grandi<br />
uomini che lo fanno, come loro,<br />
vedi il grande Pistorius, il velocista<br />
che corre con le gambe artificiali.<br />
Ad Ancona ricordano ancora un celebre campione di nuoto del Circolo<br />
Stamira che aveva un solo braccio ! Tante persone, pur avendo gravi problemi<br />
fisici, si impongono di continuare lo stesso la loro attività lavorativa<br />
e pubblica. Ricordate il presidente statunitense Franklin Delano<br />
Roosevelt e la sua sedia a rotelle? (disegno nel riquadro, ndr). Sanno<br />
reagire con fede e abnegazione anche coloro che assistono i malati fisici<br />
e mentali. I genitori, i fratelli, gli amici, il personale curante. A loro va<br />
tutta la mia solidarietà, il mio affetto, la mia stima. La diversità può<br />
essere soprattutto mentale. Gli stadi avanzati di Alzheimer ci fanno capire<br />
quanto prezioso sia il “ben dell’intelletto” finchè ce l’abbiamo e quanto<br />
poco ce ne rendiamo conto.<br />
Il mio Carlo si prende cura di ragazzi con qualche problema mentale,<br />
portandoli a fare grandi passeggiate in montagna. Salendo verso lo<br />
Zodiaco c’è una villetta dove sono ospitati appunto altri ragazzi con problemi<br />
che si possono spesso incontrare in giro per i prati circostanti in<br />
compagnia di assistenti ed operatori. Come cambiano le cose nella storia<br />
dell’uomo e per fortuna! I nazisti sopprimevano i diversi (e pure gli<br />
Spartani!), noi invece abbiamo tutto un proliferare di associazioni, enti<br />
e persone che con generosa abnegazione si dedicano a questa categoria<br />
di persone. Gesù guariva nel fisico e nel morale sia i malati che si rivolgevano<br />
a Lui con fiducia e sia anche il cieco che non chiedeva nessun<br />
miracolo, rassegnato alla sua cecità. Gesù guarisce il cieco di sua spontanea<br />
iniziativa per immetterlo in una nuova realtà a costo anche di<br />
dover sopportare le critiche. Noi non possiamo compiere miracoli ma è<br />
da Gesù che dobbiamo prendere lo spirito di amore e comprensione<br />
verso i diversi nel fisico spingendoli a saper reagire alle loro difficoltà.
QUANDO IL TEATRO ABBATTE LE<br />
BARRIERE DELLE DIVERSITÀ<br />
E NON È FINZIONE<br />
Celina Mastrandrea<br />
L’idea di un numero del “nostro” giornale dedicato alla<br />
disabilità è l’occasione per interrogarsi su quale veramente<br />
sia il grado di civiltà che la nostra società ha conquistato,<br />
quale il modello di uomo che vogliamo lasciare in eredità<br />
a chi verrà dopo di noi.<br />
Al dì là di quanto i media vorrebbero lasciarci credere, non<br />
esiste solo l’esaperato modello ispirato a bellezza, successo,<br />
ricchezza, c’è un modello meno appariscente e silenzioso,<br />
ma più rassicurante e vero, che guarda ai valori più alti<br />
e che passa spesso dalla strada del dolore, dell’impegno,<br />
della solidarietà, della condivisione. Si parla tanto oggi di<br />
diversità, di integrazione, di bisogni speciali, si sono coniate<br />
nuove terminologie, affinate tecnologie e tecniche sempre<br />
più sofisticate per la riduzione del deficit, promulgate<br />
leggi e norme a sostegno dei più deboli; sicuramente oltre<br />
tutto ciò è possibile rintracciare l’impegno di tanti per un<br />
sempre più largo riconoscimento di diritti per troppo tempo<br />
negati.<br />
E questo è progresso e civiltà. Lavoro ormai da anni con chi<br />
vive la disabilità, ho avuto l’opportunità di incrociare queste<br />
realtà ad un certo momento del mio percorso di docente;<br />
ne sono rimasta stupita e appassionata al punto di<br />
maturare una scelta definitiva e vivere l’eperienza di insegnante<br />
di sostegno come “privilegio”, perchè certa di<br />
incontrare così ogni giorno, al di là delle quotidiane difficoltà,<br />
persone speciali che mi hanno dato la felice opportunità<br />
di vedere nel “prisma” della vita colori e sfumature che<br />
troppo spesso ci sfuggono. E si è acceso in me quello stesso<br />
stupore e meraviglia che provo ogni volta che posso<br />
ammirare i colori sfumati dell’arcobaleno che tutti attrae<br />
con quelle tinte sfumate e tenui che si fanno sempre più<br />
decise e forti sotto un unico raggio di sole! Che meraviglia<br />
poter scoprire il bello oltre le apparenze e sperimentare<br />
che la vita sempre è più forte di ogni ostacolo!<br />
Ho incontrato persone speciali che, se pure carenti di qualcosa<br />
nel fisico o nella mente, mi hanno comunque comunicato<br />
con i fatti più che con le parole che la vita vale sempre<br />
la pena viverla.<br />
Ho scoperto in tanti la voglia di andare sempre avanti, oltre<br />
qualunque ostacolo. E magari sorridendo! Ma più che alle<br />
mie personali considerazioni, vorrei dare spazio ad<br />
un’esperienza particolare che da anni nella nostra città è<br />
esperienza concreta di integrazione. Un’esperienza che<br />
pone il limite oltre se stesso consentendo possibilità fino a<br />
ieri impensbili!<br />
Mi riferisco al Laboratorio integrato “Piero Gabrielli”, una<br />
comunità accogliente ed inclusiva nella quale ogni ragazzo,<br />
con e senza disabilità, ha la possibilità di realizzare esperienze<br />
di crescita individuale e culturale. Una realtà che<br />
porta avanti un progetto rivolto agli allievi inseriti in diverse<br />
scuole di Roma e che ha l’obiettivo di promuovere un<br />
percorso di integrazione tra i ragazzi con e senza disabilità<br />
attraverso lo strumento teatrale, coinvolgendo professionalità<br />
e istituzioni diverse.<br />
Qualche sera fa al Teatro India ho assistito allo spettacolo<br />
”IL CAMPETTO”, uno spettacolo davvero insolito, assoluta-<br />
13<br />
mente diverso da ogni altro perchè oltre la “scena” vive<br />
una realtà straordianariamente coinvolgente, capace di<br />
accendere le emozioni più sopite. “Il Campetto”, ce lo presenta<br />
così lo stesso Gandini, è il racconto di un conflitto tra<br />
un circo di disabili, un gruppo di studenti appassionati di<br />
basket e un nucleo familiare di extracomunitari, per ottenere<br />
l’uso di un campetto in un quartiere periferico. Gli<br />
adulti, invece di cercare una soluzione al conflitto, accentuano<br />
lo scontro per perseguire un proprio tornaconto: il<br />
commerciante extracomunitario vorrebbe impiantarci un<br />
chiosco abusivo, il preside del liceo un parcheggio privato<br />
e la direttrice del circo un teatro tenda permanente.<br />
La disputa non avrà nessun vincitore perché sotto al campetto<br />
verrà scoperta una necropoli etrusca del V° secolo<br />
a.C., e quindi, la “Sovrintendenza agli Scavi della Regione”<br />
bloccherà ogni utilizzo dell’area. La realtà che questo scontro<br />
sociale si lascerà alle spalle, sarà sicuramente peggiore<br />
di quella che si sarebbe potuta costruire, con un po’ di<br />
tolleranza e comprensione da parte di tutti.Un finale inaspettato<br />
renderà i ragazzi protagonisti del loro futuro. Fin<br />
qui la storia, forse una come tante..., ma oltre questa... il<br />
capolavoro! Veder muovere e vivere sulla scena e da veri<br />
professionisti persone con deficit fisici, motori, cognitivi in<br />
un’armonia, sintonia, sicronia eccellenti insieme ad altri<br />
ragazzi, attori insieme, che magari non mostrano alcun<br />
deficit, ma che sicuramente vivono la difficoltà del crescere<br />
in una società che sembra non considerarli abbastanza,<br />
se non magari solo come possibili “consumatori”, trascurandone<br />
così i diritti tanto quanto quelli dei loro compagni<br />
meno dotati...<br />
“Il Campetto” ancora un capolavoro del Teatro Gabrielli,<br />
dopo i tanti degli anni precedenti (l’ultimo, lo scorso anno,<br />
“Il Pedone Rosso”), nato da un’idea di Eraldo Affinati, e<br />
realizzato sotto la guida maestra del regista professionista<br />
Roberto Gandini, per far divertire, lavorare e vivere insieme<br />
ragazzi con e senza handicap. Già, questo è lo scopo del<br />
Laboratorio Teatrale Integrato “Piero Gabrielli”: integrato<br />
proprio perché il fine ultimo è quello di creare uno spazio<br />
in cui le differenze possano convivere e diventare una ricchezza.<br />
“Questo è possibile forse soltanto in teatro, dove ci<br />
si spoglia della propria identità per diventare altri, per trasformarsi<br />
tutti insieme e abitare un universo di fantasia”.<br />
L’iniziativa, realizzata dal Teatro di Roma, dal Comune di<br />
Roma e dall’Ufficio Scolastico regionale per il Lazio-C.S.A.<br />
di Roma, è ormai un progetto permanente che sperimenta<br />
e diffonde un modello di laboratorio integrato trasferibile a<br />
livelli e in ambiti diversi. Dal 1995, il Laboratorio porta il<br />
nome di chi, nel 1981, ne fu ideatore: Piero Gabrielli.<br />
Presidente di “Mille bambini a via Margutta”,<br />
(un’associazione impegnata nell’informazione per la prevenzione<br />
dell’handicap) e per anni organizzatore e promotore<br />
di musica, teatro, riviste letterarie. Da anni il<br />
Laboratorio “Piero Gabrielli” mette in scena spettacoli straordinari,<br />
grazie al lavoro di una équipe artistica, tecnica e<br />
di esperti della pedagogia e dell’handicap di particolare<br />
livello culturale e professionale.<br />
Il Laboratorio è stato riconosciuto progetto eccellente<br />
dall’Unione Europea, Non è facile sintetizzare gli obiettivi<br />
di tale attività ma sicuramente va detto quanto importate<br />
sia tra l’altro dare a tutti i componenti del gruppo la possibilità<br />
di far emergere le proprie potenzialità e sviluppare le<br />
proprie abilità comunicative e cognitive mediante<br />
un’attività che non pone in una situazione di confronto<br />
competitivo, ma che dà a ciascuno, nella libertà dei ruoli<br />
differenziati, il modo di esprimere se stessi.<br />
E lasciando la parola allo stesso Gandini:”... noi della<br />
Piccola Compagnia del Piero Gabrielli, che presi uno per<br />
uno siamo un “tripudio di diversità”, quando siamo in<br />
scena diventiamo una cosa sola”.<br />
Un’esperienza così contribuisce sicuramente al superamento<br />
di preconcetti personali e pregiudizi sociali nei confronti<br />
della disabilità e alla valorizzazione di ogni forma di<br />
diversità, permettendo allo spettatore di lasciarsi portare<br />
dentro una realtà (è lì ho scoperto la vera magia del teatro!)<br />
che prima gli era forse assolutamente indifferente o di<br />
cui si coglie superficialmente solo la problematicità e non,<br />
concedetemelo, la bellezza!
FESTIVAL DEL<br />
CINEMA NUOVO<br />
Cortometraggi<br />
interpretati da disabili.<br />
Romeo Della Bella<br />
Direttore del Festival<br />
A ottobre 2010 si è tenuta<br />
la VII edizione del<br />
Festival del Cinema<br />
Nuovo di Gallarate<br />
(Milano), concorso internazionale<br />
per cortometraggi,<br />
aperto a filmati<br />
interpretati da disabili.<br />
La nostra esperienza e i<br />
riscontri che abbiamo da numerosissimi Centri ci convincono<br />
che fare cinema può favorire l’intenzionalità<br />
psico-sociale più profonda del nostro impegno: il<br />
benessere dei <strong>nostri</strong> giovani (quello possibile!).<br />
Essi godono nel momento dell’impegno costruttivo<br />
del film e, ancor di più, nel relax del rivedersi. È una<br />
possibilità che la tecnologia offre per stare insieme,<br />
per divertirsi. Si ritiene utile ribadire la peculiarità<br />
della nostra proposta. Altri (anche registi illustri!)<br />
hanno proposto film sul problema della disabilità, con<br />
molta profondità e suggestione, svolgendo un’opera<br />
altamente meritevole di sensibilizzazione e di approfondimento.<br />
Altri hanno presentato portatori di handicap<br />
protagonisti nel rappresentare se stessi, evidenziando<br />
le loro capacità e prospettando anche possibilità<br />
progettuali per alcuni di loro. Altri ci hanno presentato<br />
magnifici documentari su varie attività<br />
espressive.<br />
Noi non vogliamo percorrere queste strade, anche se<br />
le apprezziamo e condividiamo. Noi vogliamo valorizzare<br />
esperienze cinematografiche che i <strong>nostri</strong> giovani<br />
attuano nelle loro piccole Comunità. E nei ruoli più<br />
vari: in storie comiche, romantiche, poliziesche,<br />
avventurose...: vere fiction! Alla VII edizione si sono<br />
iscritti in più di 100! E da tutto il mondo. Per lo più<br />
non opere di professionisti, ma fiori multicolori che<br />
nascono dalle esperienze continuative del proprio<br />
gruppo. Solo gli operatori sociali/educatori conoscono<br />
bene i loro giovani, così da saper scegliere, per<br />
ognuno di loro, personaggi e ruoli appropriati.<br />
Nei cortometraggi del nostro Festival non sono desiderate<br />
le compresenze dei cosiddetti “normali”, o<br />
almeno, che non siano prevaricanti, che rimangano<br />
sullo sfondo. Gli operatori ed altri esperti daranno<br />
naturalmente il loro contributo nell’integrare la<br />
trama, nella regia, nel montaggio, nel creare un intelligente<br />
rapporto tra immagine-musica, ecc.<br />
Ma i protagonisti dello spettacolo devono essere solo<br />
“loro”.I <strong>nostri</strong> giovani sono stati catalogati come handicappati,<br />
portatori di handicap, disabili. Ora si usa<br />
anche “diversabili”. Ma anche questa denominazione<br />
ci lascia perplessi. L’accentuazione è sempre sulle<br />
“abilità”. Molti dei <strong>nostri</strong> giovani non sono purtroppo<br />
neanche “diversamente abili” per quanto riguarda le<br />
“capacità”, così come vengono intese abitualmente.<br />
Sono persone vive, sensibili, autentiche: le loro emozioni<br />
sono vere! Questi filmati, se ben condotti, mettono<br />
in evidenza questa vitalità dei “<strong>nostri</strong>” che<br />
diventano, così, ambasciatori di se stessi, della loro<br />
ricchezza interiore. Anche l’attività cinematografica,<br />
se ben gestita, può produrre quei processi benefici di<br />
autostima e gratificazione che si possono innescare<br />
attraverso ogni attività creativa. Basta riuscire a<br />
canalizzare le molte positività di questi giovani che<br />
spesso non vengono valorizzate. Anche loro hanno<br />
capacità di rischio, vitalità, voglia di immedesimarsi in<br />
ruoli diversi, gusto di sognare. Godiamoci queste<br />
creazioni, consapevoli che questi filmati si apprezzano<br />
del tutto solo all’interno del gruppo che li ha<br />
prodotti.<br />
Ci auguriamo che anche nelle serate del Festival del<br />
Cinema Nuovo (e nei numerosi remakes che seguono<br />
il Festival) le persone che assistono alle proiezioni<br />
escano dalla sala con il sorriso sul volto e nel cuore,<br />
accorgendosi finalmente che la disabilità non è solo<br />
problema. Così il Festival del Cinema Nuovo esalta il<br />
senso della festa ed esplicita il suo valore culturale<br />
più profondo.<br />
DANIELA LUTRI - Servizi sociali ASL RM/E<br />
intervista di Stefano Patassini<br />
Qual è la sua esperienza professionale?<br />
Lavoro come assistente sociale presso i Servizi Sociali della ASL RME da circa 30 anni e mi sono<br />
occupata di problematiche legate alla famiglia, alla salute mentale e alla disabilità. Da circa un<br />
mese mi sto avvicinando al settore delle cure domiciliari, in particolare per persone anziane.<br />
Qual è, dal suo punto di vista, qui e oggi, il concetto di diversità,<br />
quali sono i modelli di normalità e del suo opposto?<br />
Da tutta la mia esperienza lavorativa, ma anche facendo riferimento alla mia esperienza di vita,<br />
credo che sia molto difficile poter stabilire il limite tra la normalità e la diversità, nel senso che<br />
ci sono infiniti modi diversi di essere tra le persone e ognuno di noi si porta dietro il bagaglio di<br />
esperienze più o meno dolorose, più o meno piacevoli con cui cerca di convivere. I <strong>nostri</strong> pregiudizi<br />
ci fanno catalogare le persone, in realtà ogni persona è una storia a sé. Esistono delle<br />
persone che hanno un bagaglio di sofferenza molto grosso, persone che per motivi diversi non<br />
sono riuscite a sviluppare la propria personalità in modo armonico ed equilibrato, ognuna di queste<br />
persone è diversa dalle altre, così come per ognuno di noi, ed è un dovere della società porre<br />
in essere tutti gli strumenti per permettere a queste persone di raggiungere il miglior livello possibile<br />
di qualità di vita.<br />
Come, secondo lei, la società attuale percepisce la diversità?<br />
La società attuale sta vivendo un momento di forte regressione rispetto alla necessità di inclusione<br />
e piena partecipazione delle persone con difficoltà, basti pensare che in alcune realtà si sta<br />
rimettendo in discussione il diritto dei bambini con disabilità all’inserimento nelle scuole di tutti,<br />
i servizi sociali e sanitari che si occupano del disagio sociale sono sempre più poveri di risorse e<br />
di mezzi, si aprono strutture residenziali come le RSA che ripropongono forme istituzionalizzanti.<br />
Questi sono degli esempi che ci indicano che la società attuale tende a riproporre forme segreganti<br />
per le persone che considera “diverse” in quanto portatrici di problemi.<br />
È stato avviato un processo di superamento delle barriere tra “diversi”? Se sì,<br />
quali pensa siano state, negli ultimi decenni, le tappe fondamentali del percorso di normalizzazione,<br />
sia pur incerto, complesso, contorto?<br />
Dagli anni ’70 in poi sono stati avviati degli importanti processi di inclusione sociale: la legge<br />
Basaglia per la chiusura dei manicomi, la riforma sanitaria che garantiva l’universalità del diritto<br />
alle cure, la legge quadro sui diritti delle persone con disabilità e per ultima la legge di riforma<br />
dell’assistenza. Purtroppo l’Italia è il paese dalle belle leggi, che rimangono tali in quanto<br />
vengono attuate solo molto parzialmente e questo determina il progressivo decadimento anche<br />
dei principi che sostenevano le leggi stesse. Pensiamo alla legge di chiusura dei manicomi: prevedeva,<br />
accanto alla chiusura dei manicomi, l’istituzione di una serie di servizi a sostegno della<br />
salute mentale; la realizzazione molto parziale di questa legge ha comportato a volte uno stato<br />
di abbandono delle persone con problemi mentali e delle loro famiglie al punto che alcuni reclamano<br />
la riapertura dei manicomi stessi o comunque forme di istituzionalizzazione.<br />
Cosa le leggi, le istituzioni, i servizi stanno mettendo in atto per<br />
attenuare o addirittura superare le differenze?<br />
In alcuni settori comunque, nonostante le difficoltà menzionate, ci sono stati dei forti progressi<br />
nell’integrazione sociale, pensiamo alla realizzazione di case famiglia e gruppi appartamenti per<br />
persone con disagio di diversa natura, sono ad oggi strutture ben inserite nel contesto sociale e<br />
impegnate in un processo di empowerment delle persone di cui si occupano. Nella sola città di<br />
Roma abbiamo circa 50 case famiglia per persone con disabilità. E sicuramente queste strutture<br />
contribuiscono a creare una cultura di integrazione sociale, per il semplice fatto che vivono sul<br />
territorio e in una dimensione di piccole realtà familiari. Anche i servizi di assistenza domiciliare<br />
hanno contribuito ad abbattere delle barriere di isolamento e separazione: permettono, infatti,<br />
il mantenimento di persone con difficoltà nel loro domicilio e nel loro nucleo familiare e spesso<br />
contribuiscono al loro inserimento sociale. Purtroppo oggi le liste d’attesa sono troppo lunghe e<br />
numerose.<br />
Chi è portatore di una differenza, di una diversa abilità, di un handicap, è protagonista<br />
di cambiamenti e progressi nella propria realtà?<br />
Tutte le persone, quindi anche quelle con disabilità, sono portatrici sia di bisogni che di risorse e<br />
possono quindi contribuire per la costruzione di una società sempre più aperta, accogliente, dove<br />
c’è attenzione soprattutto ai più bisognosi.<br />
Si ha la percezione che sia solo una parte della società, più illuminata, più<br />
sensibile, più attiva, quella che spinge per l’integrazione e per il superamento delle<br />
diversità oppure il rispetto dei diritti e l’idea di uguaglianza possono dirsi almeno maggioritarie<br />
nella società attuale?<br />
Purtroppo mi sembra che l’epoca dei diritti non sia assolutamente in espansione, anzi il fatto che<br />
si stia attraversando un momento di gravi crisi economica, finanziaria, occupazionale con la conseguente<br />
carenza di risorse per il welfare sta determinando un passaggio verso un’epoca in cui<br />
i servizi sono molto carenti e assolutamente insufficienti nell’affrontare le situazioni difficili e in<br />
una congiuntura simile le persone tendano a cercare di salvaguardare il proprio orticello. Basti<br />
pensare alla scarsa partecipazione nei luoghi di rappresentanza sociale tipo le Consulte, ma<br />
anche un po’ alla diminuzione di tutte le forme di partecipazione sociale.<br />
Quale è il ruolo svolto dal volontariato nel processo di cambiamento<br />
e integrazione a vantaggio di chi è “diverso”?<br />
Credo che il ruolo del volontariato sia di fondamentale importanza nello sviluppo di una cultura<br />
di integrazione sociale di tutte le forme di disagio, tanto più oggi che siamo in una situazione di<br />
carenza dei servizi e in presenza, contemporaneamente, di situazioni personali, familiari e sociali<br />
di notevole complessità. Sono molto numerose le situazioni multiproblematiche (es.nuclei familiari<br />
in cui è presente un anziano non autosufficiente con un figlio con disagio mentale e tossicodipendente)<br />
in cui è necessario, per ottenere buoni risultati, l’intervento in sinergia servizi pubblici,<br />
privato no profit, volontariato, e quante altre forme espressive della società civile.<br />
14
DIALOGO AL BUIO<br />
QUANDO IL “NORMALE” ENTRA<br />
NEI PANNI DEL “DIVERSO”<br />
Sandro Morici<br />
In un bel pomeriggio autunnale io, mia<br />
moglie Lidia e mia figlia Roberta siamo<br />
seduti attorno a un tavolo e, tra un aperitivo<br />
e un gustoso stuzzichino, stiamo<br />
conversando con Francesca. Lei è cieca<br />
ed ha appena finito di accompagnarci in<br />
una sorta di escursione guidata nell’oscurità.<br />
Sì, proprio in un buio assoluto,<br />
non nel buio parziale delle nostre<br />
case dove inevitabilmente filtra qualche<br />
seppur fievole fonte di luce, ma nel buio più profondo e incolore, anzi nero,<br />
che più nero non si può. Qui la vista è spenta, mentre tutti gli altri sensi sono<br />
accesi in un tentativo di compensazione intersensoriale. Stiamo infatti vivendo<br />
un’esperienza unica, straordinaria, presso l’Istituto dei ciechi di Milano,<br />
che prende il nome di “Dialogo al buio” e il cui motto è: “Non occorre guardare<br />
per vedere lontano”. “Dialogo al buio” è un pacchetto di esperienze<br />
varie, tra cui c’è il “percorso al buio”, il “tratto nero” in cui si consuma una<br />
cena in piena oscurità per riscoprire il gusto di antichi sapori e la musica dal<br />
vivo della vecchia Milano, e infine il “teatro al buio” in cui si assiste ad uno<br />
spettacolo totalmente concentrati sulle voci dei protagonisti (ciechi), sui<br />
suoni, sulle più flebili vibrazioni per decodificare situazioni decisamente non<br />
comuni.<br />
Dialogo al buio è un modo per superare certe barriere, nel momento in cui i<br />
ruoli si invertono e le parti si ribaltano: all’inizio del percorso, appena ci si<br />
trova immersi nel nulla e si è fortemente spaesati, la guida cieca ti accoglie<br />
amabilmente, ti porge il classico bastone bianco e ti aiuta ad attivare sfere<br />
cognitive e dimensioni sensoriali (quali l’olfatto, il tatto, l’udito) che normalmente<br />
sono poco sollecitati, soprattutto nell’attuale società basata sull’immagine<br />
e sul “tocco e fuga”. Ecco allora la sorpresa, direi il paradosso: chi<br />
non vede è guida sicura e chi vede, non ci vede! Lungo il percorso la guida<br />
non vedente ti fa svelare l’ignoto e quindi richiede fiducia: diventa amica, le<br />
sei riconoscente. Oltre la barriera scopri allora una persona, c’è una vita che<br />
incondizionatamente ha i tuoi stessi valori e pari dignità. E questo fa seriamente<br />
riflettere.<br />
Di “Dialogo al buio” io e i miei abbiamo scelto il percorso al buio: dopo i primi<br />
momenti di stupore, il “vuoto” comincia a prendere forma, a riempirsi di<br />
suoni, di voci, di odori, di cose, di persone che si sentono respirare vicino. Nel<br />
primo tratto abbiamo la sensazione di trovarci nei pressi di un fiume. Rumore<br />
di acqua che scorre e una delicata brezza sulla fronte. Ci muoviamo tra ciotoli<br />
e fogliame di un canneto. Dopo aver attraversato un ponticello, annaspando,<br />
ci siamo trovati in un ambiente piuttosto vasto. Cerco conforto chiamando<br />
per nome mia moglie e mia figlia. “Dove sei?” “Boh, qui non vedo<br />
niente” (!) Man mano, col tatto, e con attenzione cerebrale riconosciamo una<br />
serie di oggetti poggiati su qualche superficie: un apparecchio telefonico, un<br />
plastico dell’Italia, una bici, un mappamondo. “Ecco, sì, adesso lo vedo” (!)<br />
E infatti in quel buio sono le mani che vedono, le orecchie che vedono, tutto<br />
il corpo che vede. Successivamente ci siamo trasferiti in uno spazio che<br />
appare più aperto: c’è un rumore di onde che si infrangono sulla battigia. Si<br />
avverte un profumo di mare.<br />
C’è un vento forte che fa scompigliare i capelli. Avanzando ancora si ha la<br />
sensazione di essere su una barca, che ondeggia parecchio e istintivamente<br />
cerchiamo degli appoggi. Poi si scende, si attraversa una sorta di corridoio e<br />
infine si sbuca in un ambiente riscaldato. Siamo alla fine del percorso. La<br />
guida ci invita a sedere a un tavolo. Un cameriere (o qualcuno facente funzione)<br />
si avvicina e chiede: “Da bere, alcolico o analcolico? E i rustici, dolci o<br />
salati?” Intanto il sottofondo è pervaso da una musica deliziosa suonata da<br />
un pianista, anch’esso cieco. È un momento rilassante, siamo un po’ più<br />
“padroni” della situazione e desideriamo conversare con Francesca, la nostra<br />
brava guida. Sentiamo il bisogno di far decantare le emozioni. E invece non<br />
è finita… Dopo esserci scambiati i nomi e un po’ di impressioni, Francesca ci<br />
parla di sé: ha 28 anni, cieca da 5 per una malattia incurabile. La sua vita,<br />
fino ad allora gioiosa come può essere quella di una ragazza di quell’età,<br />
viene sconvolta.<br />
Deve scegliere tra la disperazione, la totale dipendenza dagli altri, la lotta.<br />
Decide per quest’ultima opzione, reagendo con forza, con coraggio, con<br />
pazienza, quasi con ostinazione. Oggi Francesca, che ha preso anche una laurea,<br />
appare come una persona serena, che punta all’essenziale, che mostra<br />
fiducia nel futuro - ha un posto di lavoro all’Istituto -, che ostenta ottimismo.<br />
Mentre lei parla, il cuore si commuove: quanto è diversa Francesca da me,<br />
che sono costantemente preda dell’ansia e della tensione di fare mille cose<br />
più o meno effimere nel quotidiano, sempre un po’ arrabbiato con me stesso<br />
e con gli altri? È vero, siamo ugualmente diversi: lei però ha combattuto e<br />
continua ad affrontare una dura sfida, ma… è vincente !<br />
15<br />
I VALORI DELLA DISABILITÀ<br />
Tito Rochira<br />
È un giorno maledettamente caldo… quel caldo che soltanto in<br />
Africa avverti così denso che ti sembra possa essere tagliato<br />
con un coltello. Una strada sterrata e polverosa percorsa da un<br />
piccolo convoglio militare che deve raggiungere un ceck point<br />
per incontrarsi con altri commilitoni; tutto pare tranquillo…si<br />
avanza con le dovute cautele, nulla che faccia presagire<br />
l’inferno che sta per scatenarsi… un fuoco violento si abbatte sul<br />
piccolo reparto. Il giovane comandante si preoccupa di salvaguardare<br />
la vita dei suoi uomini e per far ciò si espone al fuoco<br />
nemico: un colpo lo attinge e perde conoscenza…..nell’ospedale<br />
dove viene ricoverato apprenderà che non potrà più camminare……la<br />
sua forza d’animo è tale che affronterà la sua nuova<br />
condizione con serenità e con maggiore volontà di vivere la sua<br />
vita in una nuova “normalita’”. In seguito sarà insignito della<br />
medaglia d’oro al valor militare, continuerà la sua carriera,<br />
verrà eletto al Parlamento e dalla sua vicenda verrà tratto un<br />
film. Ora siamo in un autodromo durante una gara di formula<br />
uno….. all’improvviso una vettura perde aderenza, si gira più<br />
volte su se stessa e da dietro un bolide non riesce a schivarla.<br />
Lo schianto è terrificante… si ha la sensazione che sia avvenuto<br />
il peggio. ..infatti il giovane pilota investito ha riportato tali<br />
traumi per cui è stato sottoposto all’amputazione di ambedue le<br />
gambe….fine della sua carriera e delle sue speranze… ma non è<br />
stato cosi….. lo abbiamo ritrovato, con l’ausilio di protesi, a fare<br />
il collaudatore e confrontarsi con la sua nuova “normalita”!!. C’è<br />
ancora un piccolo uomo, immobilizzato da una rara malattia,<br />
costretto a vivere con l’aiuto di terzi per ogni incombenza,<br />
impedito anche ad articolare le parole per via naturale ( lo fà<br />
soltanto con l’aiuto di strumenti meccanici che gli consentono<br />
d’esprimersi) e, nonostante tutto, è diventato un grande astrofisico,<br />
professore presso una delle più prestigiose Università, si<br />
è sposato e i suoi studi e le sue intuizioni sulla esistenza dei<br />
buchi neri nello spazio hanno determinato la misura dell’universo<br />
quale mai in precedenza era avvenuto. E si potrebbe continuare<br />
all’infinito per dimostrare che quella che chiamiamo disabilità<br />
non pone limiti alla volontà di superarla: le difficoltà rafforzano<br />
il carattere e il desiderio di impegno di chi le subisce.<br />
Il problema vero è la visione che se ne ha all’esterno. La scarsa<br />
conoscenza di questo mondo variegato e delle problematiche<br />
correlate ha indotto coloro che, comunque, in qualche misura<br />
se ne sono interessati, a considerarlo un aspetto marginale<br />
della complessa societa’ in cui viviamo; in effetti se consideriamo<br />
l’inerzia del passato e alcuni interventi riparatori da parte<br />
dello stato e degli enti preposti ci rendiamo conto che, con tutte<br />
le buone intenzioni, sono sempre stati atti marginali e formali,<br />
rivolti a una comunità di bisognosi. Di certo la disabilità comporta<br />
grandi dolori per chi la sopporta e per i congiunti ma proprio<br />
dai profondi recessi di tale situazione nasce la consapevolezza<br />
che la vita è milizia (come diceva Cicerone) ovvero lotta<br />
e sofferenza: elementi atti a trovare la forza per superare le<br />
avversità. Comunque la vita, in qualsiasi condizione sia affrontata,<br />
è talmente unica e irrepetibile che merita di essere vissuta<br />
e nessuno esprime meglio questa sensazione come quei<br />
ragazzi affetti da sindromi diverse che manifestano con la loro<br />
semplicità e ingenuità la gioia di vivere, partecipi con una<br />
purezza ignota ai normali, agli eventi in cui vengono coinvolti.<br />
Tutto però sarebbe più gravoso se non esistesse il meraviglioso<br />
mondo del volontariato in cui religiosità, laicità, opinioni diverse<br />
non si avversano, al limite si confrontano con rispetto, ma<br />
certamente si integrano al solo fine di dare sollievo al prossimo<br />
sofferente. Una piccola cellula di questo ampio mondo è il<br />
nostro “Gruppo Amico” una piccola associazione che conta circa<br />
100 membri sorta 20 anni or sono, che esplica la sua attività<br />
presso la <strong>Parrocchia</strong> “S.<strong>Pio</strong> X” alla Balduina mediante numerosi<br />
laboratori (musica e canto, disegno,cucina,cineforum), riunioni<br />
ludiche, gite, pizzate, visite con guida a monumenti e musei,<br />
organizzazione di feste per Natale e Capodanno e di una vacanza<br />
annuale estiva in diverse località italiane; sarebbe bello e<br />
auspicabile se le nostre esperienze venissero a confrontarsi con<br />
quelle di altri Gruppi che agiscono nella <strong>Parrocchia</strong>. Ci è caro<br />
chiudere questi brevi appunti in rapporto al mondo in cui viviamo<br />
carente di valori, materialista ed egoista, con un auspicio che<br />
richiama con le parole finali del nostro musical: “Ad amare noi<br />
ritorneremo”.
L E T T E RE I N R E D A Z I O N E<br />
60 ANNI DI MATRIMONIO PER ALFREDO E MATILDE<br />
Il giorno 19 novembre Alfredo Palieri, collaboratore di “Arrivano<br />
i Nostri” e nostro simpaticissimo “giovane” parrocchiano,<br />
festeggia i 60 anni di matrimonio con la sua amata Matilde<br />
Miccinelli. La redazione si associa agli auguri dei figli Pierluigi e<br />
Elena con Anna Maria e Roberto e dei nipoti Enrico e Marco.<br />
(Nella foto inviataci gentilmente dalla figlia, Alfredo e Matilde,<br />
festeggiati dai loro parenti, sono al centro, seduti sul divano)<br />
PENSIERO BUFFO<br />
(poesia di un disabile)<br />
Sergio Scura<br />
Spendi l’amore<br />
a piene mani,<br />
è l’unico tesoro che<br />
si moltiplica per divisione<br />
RICORDI<br />
In una classe era stato inserito un bambino molto sfortunato affetto da<br />
una malattìa incurabile caratterizzata da eccessiva fragilità capillare per<br />
cui si doveva evitare al ragazzo l’urto non solo con oggetti solidi, ma con<br />
qualsiasi corpo estraneo che gli procurava immediatamente vistosi<br />
ematomi con conseguente emorragia.<br />
Nei frequenti ricoveri in ospedale il ragazzo era oggetto di studio e pertanto<br />
al corrente della gravita della malattia che non gli avrebbe consentito<br />
di vivere oltre l’età dello sviluppo. Al suono della campana per<br />
l’uscita, onde evitare qualche spintone, rimaneva nel banco in attesa<br />
che qualcuno lo prelevasse per accompagnarlo all’ingresso o addirittura<br />
a casa, dove avrebbe trovato una sorella, perché la mamma lavorava<br />
come domestica tutto il giorno per mantenere la famiglia abbandonata<br />
dal padre.<br />
Quanta pietà destava questa situazione! Da parte mia cercavo in tutti i<br />
modi di non far pesare al ragazzo la sua triste condizione ed ero<br />
sempre pronta ad ascoltarlo quando desiderava ripetere la lezione<br />
oppure mostrare il compito eseguito a fatica per la difficoltà di<br />
stringere la penna fra le dita.<br />
Sapevo bene dai professori che lo avevano in cura che la frequenza della<br />
scuola serviva al ragazzo come terapia di distrazione nonostante fosse<br />
dotato di grande intelligenza e desiderio di apprendere. La mia comprensione<br />
per lui aveva sensibilizzato tutti i compagni.<br />
Tutte le volte che lo trattenevano in ospedale mi mandava messaggi<br />
chiedendomi di andarlo a trovare. Non so descrivere la felicità che gli<br />
procuravo quando gli portavo qualche libro, oppure gli assegnavo il compito<br />
che gli avrei corretto nella visita successiva. In ospedale era diventato<br />
la mascotte dei medici e di tutti i malati del reparto. A fine anno<br />
scolastico, poiché le sue condizioni andavano peggiorando, per non privarlo<br />
del suo desiderio di sostenere l’esame di licenza, con il permesso<br />
del Provveditore avevamo previsto il trasferimento della commissione<br />
esaminatrice in ospedale. Ma purtroppo non fu possibile per lo stato di<br />
gravita del ragazzo in quel periodo. Questa dolorosa esperienza<br />
sicuramente ha contribuito alla mia vocazione di volontaria in ospedale.<br />
Elena Scurpa<br />
è l’unico dono che puoi<br />
dividere e aumentare<br />
Spargilo ai quattro venti,<br />
vuotati le tasche e domani<br />
ne avrai più di prima.<br />
È il mio positivismo<br />
o solo un pensiero buffo ?<br />
LA “MIA SIGNORA”<br />
Si avvicina il Natale e quest’anno ho un cruccio. Abito nello stesso condominio<br />
sin da bambina: all’ingresso si è sempre fatto il Presepe e l’albero di<br />
Natale, talvolta ad opera di condomini volenterosi o del portiere di turno.<br />
Negli ultimi anni una signora, che pur abita qui da diverso tempo, ha manifestato<br />
il suo disappunto riguardo al Presepe. Ne sono scaturite discussioni<br />
che, il Natale scorso, hanno visto protagonista anche me. Per chiarezza la<br />
signora è cattolica ma non ha più fede: da qui il fastidio di dover passare di<br />
fronte alla Natività ogni volta che entra e esce da casa, rivendicando la par<br />
condicio per le festività di tutte le altre religioni. Per cercare di chiarire le<br />
scrissi una lettera, accompagnata da un libro e da una medaglietta miracolosa<br />
della Madonna. Ricevetti a mia volta una busta con la risposta e con la<br />
medaglietta che non era stata gradita: rimasi di stucco. Mi è capitato sovente<br />
di regalarne, curando prima che fossero benedette, ma non avevo mai<br />
incontrato un rifiuto. Anche persone poco credenti, nonostante la prima reazione<br />
di stupore, avevano sempre avuto un atteggiamento aperto, alla fine<br />
piacevolmente sorpreso. Che la persona della Madonna potesse essere così<br />
avversata proprio non me l’aspettavo, tanto meno in quel frangente. Decisi<br />
di non dare seguito alla faccenda. Nel mio cammino spirituale ho imparato<br />
che esistono situazioni che definisco “pratiche incagliate”; parole e gesti di<br />
fede trovano un muro di gomma, vedi che proprio rimbalzano verso di te<br />
senza fare alcuna breccia, anzi pare alzarsi una barriera ancora maggiore.<br />
Allora ho imparato ad avere pazienza, lasciar perdere: il tutto è troppo complicato<br />
e va sottoposto ai “piani alti”. Così cerco di ricordarmi della signora<br />
nelle mie preghiere, allargando a tutto il condominio, visto che per antonomasia<br />
è luogo di proverbiali scontri. Durante l’anno trascorso ho pensato<br />
diverse volte a come poter affrontare la “questione Presepe 2010”: tenere<br />
duro e mantenere la tradizione, poggiandosi anche su valutazioni di maggioranza<br />
condominiale che con la fede centrano poco? o lasciar perdere, perché<br />
il cristianesimo non si impone ma si propone con amore, e una reazione<br />
tanto ostile non è giusto che scaturisca da una piccola e tenera immagine<br />
familiare. Ho impiegato un pò di tempo per mettere a fuoco la soluzione, ed<br />
alla fine, per parte mia perchè non so gli altri condomini, ho optato per la<br />
seconda. Tendere una mano, avere carità verso chi non crede, sperando che<br />
il gesto le sciolga un po’ il cuore; ho annullato al contempo lo scrupolo di non<br />
difendere a sufficienza la Sacra Famiglia, reputando così di farLe un servizio<br />
migliore. Sì, anche perché nel frattempo mi è venuta in mente una splendida<br />
idea per far sì che cadano le scaglie che accecano l’anima della “mia<br />
signora”. Terminata la lettura dell’articolo, vi prego, aiutatemi: magari chiudendo<br />
gli occhi, fate salire dal cuore anche una sola Ave Maria per questa<br />
donna di cui non conoscete nemmeno il viso. Forse, tra qualche Natale,<br />
tornerà a sorridere di fronte alla mangiatoia, come faceva la sua anima da<br />
bambina. Grazie, che Dio la benedica e benedica anche voi.<br />
Alessandra Angeli<br />
Tema del prossimo<br />
numero è:<br />
“BAMBINI”<br />
Bambini di strada, bambini<br />
santi, bambini<br />
abbandonati, bambini<br />
tristi, bambini viziati,<br />
bambini che non sono<br />
mai nati, bambini adottati,<br />
bambini in affidamento, bambini troppo impegnati,<br />
bambini iperprotetti, bambini malati, bambini in guerra,<br />
bambini attori, bambini chierichetti, bambini del futuro,<br />
bambini del passato, bambini a scuola, bambini con problemi,<br />
bambini lenti, bambini iperattivi, etc...etc..etc...<br />
INVIARE ARTICOLI ENTRO IL 15 GENNAIO<br />
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