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testo - Cimitero La Villetta

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<strong>La</strong>voro di tesi svolto nell’ambito del progetto “Studio delle cause e dei processi di degrado dei<br />

materiali di finitura e ornamento delle architetture funerarie nell’Ottagono della <strong>Villetta</strong>”<br />

sviluppato dall’Università degli Studi di Parma su incarico del Comune di Parma


INDICE<br />

1. INTRODUZIONE .................................................................................................................4<br />

2. IL DEGRADO BIOLOGICO DEI MONUMENTI..............................................................7<br />

2.1 Fattori ecologici che influenzano il biodeterioramento .......................................................8<br />

2.2 Il biodeterioramento dei materiali lapidei..........................................................................11<br />

2.3 I processi di colonizzazione..............................................................................................13<br />

2.4 Metodi di prevenzione e controllo....................................................................................20<br />

3. OBIETTIVI ..........................................................................................................................23<br />

4. AREA DI STUDIO...............................................................................................................24<br />

4.1. Cenni storici e artistici sull’Ottagono della <strong>Villetta</strong>...........................................................24<br />

4.2. Litotipi prevalenti nei sepolcri dell’Ottagono...................................................................26<br />

4.3. Caratteri meteo-climatici della Città di Parma ..................................................................27<br />

5. MATERIALI E METODI ....................................................................................................28<br />

5.1 Identificazione delle comunità di biodeteriogeni...............................................................32<br />

5.2 Analisi dei dati..................................................................................................................34<br />

6. RISULTATI ..........................................................................................................................36<br />

7. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI.....................................................................................50<br />

Ringraziamenti...........................................................................................................................58<br />

Bibliografia ................................................................................................................................59<br />

3


1. INTRODUZIONE<br />

L’esiguità dei finanziamenti disponibili per il restauro di monumenti e opere d’arte<br />

impone di valutare con attenzione l’utilità degli interventi di recupero e di redigere<br />

graduatorie di priorità al fine di economizzare le risorse. Il presente lavoro di tesi nasce da<br />

una serie di considerazioni in merito all’opportunità di intervenire su manufatti inseriti in<br />

contesti ambientali interessati da biodeterioramento. Frequentemente, il costo affrontato<br />

per il restauro di un monumento si rivela di gran lunga superiore al beneficio ottenuto,<br />

non solo a causa della gravità del degrado ma, soprattutto, della natura del deterioramento<br />

(LEON, 2008). Gli interventi di restauro modificano fortemente gli equilibri instauratisi nel<br />

corso del tempo tra manufatto e ambiente circostante: dopo un breve periodo,<br />

immediatamente successivo al restauro, in cui l'opera si presenta prossima alla condizione<br />

inalterata, che frequentemente viene confusa con la condizione primigenia, i processi<br />

degradativi si riattivano e possono, anzi, manifestarsi in forma più acuta. L’eliminazione<br />

delle patine superficiali, per esempio, può favorire la ricolonizzazione biologica delle<br />

superfici lapidee, mentre l’eliminazione di alcune specie può facilitare lo sviluppo di altri<br />

taxa più aggressivi e/o resistenti (LONGEGA ET AL., 1997; PINNA & SALVADORI, 1999;<br />

BRACCI ET AL., 2002; NASCIMBENE & SALVADORI, 2008). L’efficacia degli interventi di<br />

rimozione degli agenti biodeteriogeni non dipende, peraltro, unicamente dalla natura del<br />

prodotto chimico o della tipologia di rimozione meccanica applicati, ma anche dallo stato<br />

complessivo di conservazione del manufatto in restauro, dalle condizioni ambientali, dalla<br />

natura dei litotipi ecc. (TIANO ET AL., 1995; CANEVA ET AL., 1996; NASCIMBENE &<br />

SALVADORI, 2008). Il pessimo stato qualitativo dell’aria nei grandi agglomerati urbani<br />

(tassi elevati di polveri fini, biossido di azoto ecc.) incide profondamente sulla<br />

conservazione e sulla resistenza dei substrati all’attacco dei biodeteriogeni. <strong>La</strong> tipologia del<br />

substrato rappresenta un fattore chiave per comprendere i trend di colonizzazione e<br />

valutare l’intrinseca debolezza del materiale ai processi di biodeterioramento<br />

(NASCIMBENE & SALVADORI, 2008). Con il termine bioricettività GUILLITTE (1995) ha<br />

introdotto e definito il concetto di “colonizzabilità” di un dato materiale, definibile sulla<br />

base delle proprietà fisico-chimiche e strutturali del substrato che possono favorire i<br />

processi di colonizzazione biologica (MILLER ET AL., 2006) (Figura 1.1). È possibile<br />

distinguere una bioricettività primaria, secondaria e terziaria. <strong>La</strong> bioricettività primaria è<br />

riconoscibile per un materiale non ancora alterato; in seguito all’azione di fattori esogeni e<br />

4


iodeteriogeni, la bioricettività diventa secondaria; le alterazioni indotte dall’attività<br />

umana, rappresentata ad esempio da specifici interventi di restauro, induce una<br />

bioricettività di tipo terziario.<br />

Figura 1.1 Esempio di diverso grado di colonizzazione lichenica e muscinale su substrato<br />

lapideo, tomba Barili dall’Asta (a sinistra, scheda n. 3) e tomba Bianchedi (a destra, scheda n. 7).<br />

Spesso nel pianificare un restauro si tende a privilegiare l'aspetto estetico di un manufatto<br />

o quello fruitivo dei siti in cui l’opera si inserisce, a scapito del valore storicodocumentario<br />

e ambientale-naturalistico complessivo. Si tende, quindi, a considerare ogni<br />

elemento biologico, in origine estraneo all’opera, intrinsecamente indesiderabile. Gli<br />

interventi di manutenzione che si progettano e si finanziano, di fatto, prevedono la<br />

completa eliminazione di tutte le componenti biotiche. Recentemente NIMIS (2001), a<br />

compimento di un lungo processo di approfondimento tecnico-scientifico in merito alle<br />

relazioni esistenti tra comunità licheniche e patrimonio storico-monumentale, ha proposto<br />

una nuova idea di ecosistema definito statue ecosystem, idea che riconosce l’intrinseco valore<br />

ecosistemico e conservazionistico delle comunità instauratesi sui manufatti e dei manufatti<br />

stessi (Figura 1.2).<br />

5


Figura 1.2 Esempio di statue ecosystem,<br />

cippo monumentale (scheda n. 14); a destra<br />

particolari di comunità licheniche e<br />

muscinali.<br />

<strong>La</strong> componente biotica arricchisce il valore culturale dell’opera, che sia essa una statua, un<br />

manufatto architettonico ecc. e del sito ove risiede. Qualsiasi intervento di recupero che<br />

imponga la riduzione della diversità biologica su di un manufatto deve prevedere,<br />

pertanto, l’attenta valutazione preliminare dell’importanza biologico-naturalistica delle<br />

specie rilevate, in modo da indirizzare l’intervento anche sul valore ecosistemico della<br />

flora, oltre che sulla gravità del danno da essa causato (NIMIS ET AL., 1992; MAGAUDDA,<br />

1994). Tale approccio dovrebbe prevedere, qualora la valutazione del rischio non<br />

avvalorasse la perdita del valore biologico-ecosistemico associato all’opera, la scelta di non<br />

intervenire e garantire, quindi, l’integrità del manufatto, rimandando il restauro in attesa di<br />

tecniche e strumenti più sicuri.<br />

6


2. IL DEGRADO BIOLOGICO DEI MONUMENTI<br />

Per biodeterioramento si indicano i fenomeni di alterazione e di degrado di un determinato<br />

substrato (di origine naturale o artificiale) innescato da organismi viventi, i biodeteriogeni,<br />

che sono in grado di colonizzarlo (FERNANDEZ, 2008). Sono due i processi prevalenti<br />

attraverso cui il biodeterioramento si manifesta: processi di tipo fisico o meccanico, che<br />

determinano decoesionamento, rottura e disgregazione del substrato, o di tipo chimico,<br />

che inducono, invece, una trasformazione attiva del substrato per degradazione e/o<br />

decomposizione (Figura 2.1). Normalmente non è possibile procedere ad una<br />

separazione netta tra i due meccanismi, capaci di stimolare, attraverso processi retroattivi<br />

positivi, l’attività dei biodeteriogeni stessi.<br />

2.1 Esempi dei principali processi di biodeterioramento, sia fisici che chimici, rilevati sulla<br />

tomba Allegri (scheda n. 1); sono evidenti fenomeni di decoesionamento e trasformazione attiva<br />

del substrato.<br />

L’interesse suscitato dai biodeteriogeni è motivato, prevalentemente, dal significativo<br />

danno estetico che sono in grado di apportare alle superfici colonizzate, danno che si<br />

manifesta sotto forma di patine, macchie ecc. (PINNA & SALVADORI, 2004). Le alterazioni<br />

non strutturali, non compromettendo la sopravvivenza dell’opera, possono essere<br />

considerate meno pericolose (sebbene siano spesso accompagnate da danni di tipo<br />

7


strutturale), in quanto si limitano a interferire con la leggibilità e la fruizione estetica<br />

dell’opera, aspetti però che rappresentano il carattere imprescindibile di un’opera artistica.<br />

I biodeteriogeni possono utilizzare il substrato come sorgente nutrizionale o<br />

semplicemente come supporto (Figura 2.2). Nel primo caso si tratta di organismi<br />

eterotrofi (batteri eterotrofi e funghi), che necessitano di un substrato organico o,<br />

perlomeno, di una superficie su cui si depositi del materiale organico da utilizzare come<br />

sorgente di energia. Nel secondo di organismi autotrofi (batteri autotrofi, alghe, licheni,<br />

muschi e piante vascolari) in grado di accrescersi su substrati inorganici; essi sono<br />

organismi capaci di utilizzare la radiazione luminosa per trasformare acqua e anidride<br />

carbonica in zuccheri mediante il processo di fotosintesi clorofilliana. Gli autotrofi<br />

possono dare origine a comunità pioniere, il cui sviluppo consente, in fasi successive di<br />

colonizzazione, la comparsa degli organismi eterotrofi.<br />

Figura 2.2 Esempi di biodeteriogeni: a sinistra è visibile una colonia algale che utilizza il substrato<br />

unicamente come supporto (tomba Clerici, scheda n. 8); a destra è riportata una estesa colonia<br />

lichenica che utilizza il substrato come sorgente nutrizionale (tomba Beghini, scheda n. 6).<br />

2.1 Fattori ecologici che influenzano il biodeterioramento<br />

Si definiscono fattori ecologici quei fattori fisici, chimici o biologici che possono influire<br />

sulla vita di un organismo. In particolare, alcuni fattori, detti limitanti, possono limitare,<br />

appunto, o inibire la crescita di un organismo qualora la loro disponibilità non rientri in<br />

un ben definito intervallo di tolleranza (ODUM, 1971).<br />

Il biodeterioramento dei monumenti è influenzato da fattori come le caratteristiche<br />

petrografiche e fisico-chimiche dei materiali lapidei, dei depositi e della sostanza organica<br />

presenti sulle loro superfici, i livelli di inquinamento dell’aria, la disponibilità di radiazione<br />

fotosinteticamente attiva, la temperatura e il contenuto d’acqua nel substrato. Alcuni di<br />

8


questi fattori variano con l’esposizione, l’inclinazione e altri parametri topografici, mentre<br />

altri sono strettamente legati alle condizioni climatiche (CANEVA ET AL., 1995). L’acqua<br />

costituisce tra il 70% e il 90% del peso di un organismo metabolicamente attivo (8-12%<br />

nelle forme quiescenti come semi, spore ecc.) ed è indispensabile per sostenere le attività<br />

metaboliche e i meccanismi di termoregolazione. Dal punto di vista ecologico, gli<br />

organismi si distinguono, per decrescente bisogno di acqua, in acquatici, igrofili, mesofili e<br />

xerofili; gli organismi poichiloidrici possono sopravvivere anche in presenza di valori<br />

bassissimi d’acqua, in quanto sono in grado di sospendere le funzioni metaboliche senza<br />

danneggiarsi per poi riprenderle quando si ripresentano le condizioni favorevoli. Il valore<br />

del pH del substrato è un fattore determinante nel modulare i processi di colonizzazione,<br />

perché ogni reazione enzimatica biologica si realizza ad un valore di pH ottimale e, quindi,<br />

a seconda dello specifico corredo enzimatico, ogni singola entità presenterà un optimum<br />

diverso. In funzione della preferenza manifestata dalle specie a substrati caratterizzati da<br />

pH diversi sono suddivisibili in tre grandi categorie: specie neutrofile, acidofile o alcalinofile<br />

(basifile). <strong>La</strong> radiazione luminosa viene sfruttata dagli organismi fotosintetizzanti, i<br />

produttori primari, grazie ai meccanismi fotosintetici che permettono di trasformare<br />

l’energia luminosa in energia di legame chimico. A seconda del grado di radiazione<br />

necessario per attivare i processi fotosintetici e, quindi, le proprie funzioni metaboliche,<br />

gli organismi autotrofi sono distinti in eliofili, se necessitano un elevato irraggiamento o<br />

sciafili, se prediligono valori più bassi. Le variazioni giornaliere, mensili, stagionali o<br />

annuali di temperatura esercitano, in primo luogo, effetti diretti sulla disponibilità<br />

dell’acqua nel mezzo naturale e, quindi, sul grado di idratazione delle strutture biologiche.<br />

Al di sotto degli 0 °C, l’acqua si trova sotto forma di cristalli. Il passaggio dallo stato<br />

liquido a quello solido provoca la rottura delle strutture cellulari e la conseguente morte<br />

della cellula stessa. A temperature elevate, superiori ai 40-50 °C si incentiva il processo di<br />

evapotraspirazione che comporta una perdita netta d’acqua che può condurre alla<br />

completa disidratazione dell’organismo. Poiché ogni enzima, oltre all’optimun di pH, è<br />

caratterizzato anche da un valore di temperatura ottimale al quale svolgere i processi, ogni<br />

organismo, a seconda del proprio corredo enzimatico, presenterà un optimum termico. <strong>La</strong><br />

maggior parte degli organismi cresce in un intervallo ottimale compreso tra 20 e i 30 °C;<br />

quelli con metabolismo attivo tra 0 e 10 °C sono detti psicrofili, mentre quelli adattati a<br />

valori di temperatura tra 35 e 60 °C sono chiamati termofili (CANEVA & CESCHIN, 2005).<br />

9


L’atmosfera è composta per il 78% circa da azoto (N), da ossigeno (O2) per il 21% circa,<br />

da argon (Ar) per meno dell’1% e da una quantità bassissima di anidride carbonica (CO2)<br />

pari all’0,038‰ (circa 380 ppm). Gli organismi manifestano un diverso grado di affinità<br />

nei confronti della disponibilità di O2; si riconoscono, infatti, organismi aerobi che<br />

necessitano per sopravvivere di O2 alle normali concentrazioni, organismi microaerofili che<br />

prediligono concentrazioni tra il 5 e il 20%, e organismi anaerobi che vengono inibiti dalla<br />

presenza di O2 in concentrazioni superiori al 5% e, pertanto, vivono in ambienti<br />

tendenzialmente ipossici o anossici, ad esempio in substrati perennemente imbibiti<br />

d’acqua, nei suoli o terreni profondi ecc. (CANEVA & CESCHIN, 2005).<br />

Per sostanza inquinante si intende un elemento o composto che, “immesso direttamente<br />

o indirettamente nell’aria, può avere effetti nocivi sulla salute umana o sull’ambiente nel<br />

suo complesso” (Agenzia Europea dell’Ambiente, EEA). Per l’EEA le sostanze<br />

inquinanti possono avere sia un’origine naturale (dalle esalazioni vulcaniche e dall’attività<br />

fumarolica in genere, alla decomposizione di natura batterica di materiale organico e alla<br />

formazione di ossidi di azoto e di ozono per scariche elettriche in atmosfera), sia<br />

un’origine antropica (rilascio di elementi come scarto delle attività produttive). Al di sopra<br />

di determinate soglie di concentrazione o disponibilità, la presenza di una determinata<br />

sostanza tossica può inibire la crescita di alcuni biodeteriogeni: tra gli organismi più<br />

sensibili vanno ricordati briofite e licheni (NASH, 1996; WRIGHT & WELBOURNE, 2002).<br />

Tendenzialmente, la presenza di inquinanti e la loro deposizione sui manufatti<br />

favoriscono l’acidificazione dei substrati, facilitando la diffusione di organismi acidofili e<br />

l’attivazione di processi degradativi superficiali, con effetti retroattivi positivi sulla<br />

biorecettività dei materiali stessi.<br />

Infine, tra i fattori meteo-climatici, il clima nel suo complesso, definito come la<br />

combinazione di diversi fattori quali temperatura, piovosità, nuvolosità, insolazione,<br />

ventosità, è in grado di modulare l’intensità dei processi di micro-colonizzazione. I venti,<br />

in particolare, possono stimolare lo sviluppo di biodeteriogeni, influenzando le<br />

temperature delle superfici dei manufatti, veicolando spore, semi, inquinanti o altro<br />

particolato biologico, oltre ad influenzare la direzione di caduta della pioggia e, quindi,<br />

indirettamente, la disponibilità idrica.<br />

10


2.2 Il biodeterioramento dei materiali lapidei<br />

I materiali lapidei impiegati nei beni architettonici, archeologici e monumentali possono<br />

essere naturali (rocce) o artificiali (ottenuti per processi di trasformazione delle rocce). A<br />

seconda dello loro origine le rocce si dividono in tre gruppi: magmatiche (granito, diorite,<br />

basalto...), sedimentarie (arenaria, calcare, gesso, travertino…) e metamorfiche (ad<br />

esempio, marmo). I materiali lapidei artificiali sono rappresentati da stucchi, malte,<br />

intonaci, affreschi e dai prodotti ceramici usati in architettura (laterizi, conci ecc.). Le due<br />

categorie (naturali e artificiali) presentano spesso importanti analogie di tipo strutturale e<br />

composizionale e, pertanto, manifestano fenomeni di biodeterioramento del tutto<br />

confrontabili (PINNA & SALVADORI, 2005). Lo studio dei processi di degrado ha<br />

permesso di delineare numerose similitudini con i naturali processi di pedogenesi rilevabili<br />

in natura. Fin dal momento della cavatura o della fabbricazione del materiale lapideo, esso<br />

viene colonizzato da organismi, la cui presenza specialmente nelle prime fasi di<br />

colonizzazione non è evidente, che danno luogo a comunità del tutto simili a quelle<br />

riscontrabili nei suoli (ORIAL, 2002).<br />

Figura 2.3 Manufatti collocati in ambienti non confinati e interessati da notevole<br />

biodeterioramento: a sinistra, una cappella in muratura rivestita in arenaria (tomba Beghini,<br />

scheda n. 6); a destra una tomba in calcare ammonitico (tomba Serpagli, scheda n. 19)<br />

Tra i materiali utilizzati in architettura, i lapidei sono quelli che con più facilità vanno<br />

incontro a degrado biologico poiché, nella maggior parte dei casi, costituiscono strutture<br />

11


che sono collocate direttamente in contesti ambientali o elementi di rivestimento in<br />

ambienti non confinati (Figura 2.3).<br />

Nelle raccomandazioni NORMAL 1/88, redatte dalla Commissione Normal (Normativa<br />

materiali lapidei), la quale ha operato ed opera attualmente sotto il patrocinio del CNR –<br />

Opere d’arte di Milano e Roma e dell’Istituto centrale per il Restauro, allo scopo di<br />

stabilire metodi unificati per lo studio delle alterazioni dei materiali lapidei e per il<br />

controllo e l’efficacia dei trattamenti conservativi di manufatti di interesse storico-artistico,<br />

sono indicati tre tipi di alterazioni della pietra, principalmente di tipo estetico, dovute a<br />

cause biologiche:<br />

la patina biologica è uno “strato sottile, morbido e omogeneo, aderente alla superficie<br />

e di evidente natura biologica, di colore variabile, per lo più verde; è costituita<br />

prevalentemente da microrganismi cui possono aderire polvere, terriccio, ecc.”;<br />

l’incrostazione è un “deposito stratiforme, compatto e generalmente aderente al<br />

substrato, composto da sostanze inorganiche o da strutture di natura biologica”<br />

(colonie fungine, come le muffe);<br />

la presenza di vegetazione è definita come “insediamenti parietali di licheni, muschi e<br />

piante”.<br />

Il degrado fisico è dovuto alla pressione esercitata dagli apparati di ancoraggio al substrato<br />

(rizine, rizoidi o radici); il danno provocato dai macrorganismi è maggiore di quello<br />

causato dai microrganismi, date le maggiori dimensioni e quindi le maggiori pressioni.<br />

I processi di alterazione chimica sono indotti dai processi di assimilazione messi in atto<br />

dai biodeteriogeni, che utilizzano il materiale come fonte nutrizionale, o dagli effetti<br />

riconducibili ai prodotti metabolici intermedi o di rifiuto che gli organismi biodeteriogeni<br />

stessi sono in grado di rilasciare sui materiali colonizzati. Nel primo caso si possono<br />

originare fenomeni di scambio ionico che possono trasformare la composizione chimica<br />

del minerale trasformandolo in un altro composto. I meccanismi di escrezione, invece,<br />

possono attivare dei processi di disgregazione che facilitano, ad esempio, la penetrazione<br />

nei substrati degli organismi endolitici che vivono al di sotto della loro superficie. Il<br />

degrado chimico di origine biologica può essere mediato dalla produzione di:<br />

- acidi organici e inorganici, i quali hanno effetto litico (acidolisi); i processi<br />

respiratori, attraverso la produzione di CO2, generano acido carbonico il quale<br />

12


dissolve i carbonati di calcio e magnesio presenti nelle pietre calcaree, nelle malte<br />

ecc. formando bicarbonati, molto più solubili;<br />

- sostanze chelanti, in grado di legare un atomo di idrogeno o di metallo<br />

(complessolisi);<br />

- alcali, come ammoniaca e carbonato di sodio, che possono provocare fenomeni di<br />

dissoluzione (alcalinolisi) oppure, variando il pH, favorire l’instaurarsi di<br />

microrganismi basifili;<br />

- pigmenti, i quali provocano principalmente danni estetici.<br />

2.3 I processi di colonizzazione<br />

I numerosissimi tipi di alterazioni provocate dai biodeteriogeni possono essere<br />

sommariamente divise in alterazioni tipiche e atipiche: le prime sono quelle<br />

immediatamente riconducibili a una tipologia di organismi o alla combinazione di alcune<br />

tipologie, come, ad esempio, le patine colorate dovute alle alghe o i talli crostosi dei<br />

licheni (Figura 2.4); le seconde comprendono una serie di fenomeni di degrado in cui<br />

diverse tipologie di organismi interagiscono con processi di tipo fisico-chimico non<br />

facilmente individuabili. Tra queste ultime vi sono la polvere rosa, la cui natura si ipotizza<br />

essere algale, e le croste nere, più o meno spesse, costituite da due strati, uno di pietra<br />

alterata e l’altro di aspetto diverso a seconda del tipo di organismo che le causa (batteri,<br />

alghe, licheni, muschi) (GIACOBINI ET AL., 1987).<br />

Figura 2.4 Esempio di alterazione tipica: patine licheniche sulla lapide della tomba Missorini,<br />

scheda n. 10; a destra, particolare.<br />

13


I lapidei sono più o meno soggetti a degrado a seconda della loro natura chimica, struttura<br />

fisica e origine geologica. <strong>La</strong> presenza di minerali deteriorabili, come feldspati, minerali<br />

argillosi e ferruginosi, li rende fonte di sali minerali per i microrganismi; i lapidei artificiali<br />

possono essere arricchiti di leganti e pigmenti che influenzano la vulnerabilità da parte dei<br />

biodeteriogeni. <strong>La</strong> porosità e la rugosità superficiale influiscono sull’attecchimento e la<br />

crescita degli organismi: quanto più una superficie è scabra, tanto più vi si depositano<br />

acqua e sostanze organiche, che favoriscono l’instaurarsi di organismi, pertanto anche la<br />

lavorazione (lisciatura, levigatura, bugnato, bocciardatura…) determina situazioni più o<br />

meno soggette ad attacco biologico (TIANO ET AL., 1995; NASCIMBENE & SALVADORI,<br />

2008); i materiali artificiali, essendo solitamente più porosi, trattengono più acqua e sono<br />

quindi un substrato più favorevole per gli organismi.<br />

In realtà un substrato lapideo posto in un con<strong>testo</strong> ambientale non costituisce, di per sé,<br />

una situazione favorevole alla colonizzazione biologica. <strong>La</strong> temperatura su superfici<br />

irraggiate può raggiungere valori anche di molto superiori ai 50 °C e su superfici verticali<br />

vi è la quasi totale (sia in termini temporali che spaziali) assenza di acqua. I primi<br />

colonizzatori sono rappresentati, perciò, da organismi pionieri fotoautotrofi, come<br />

cianobatteri, alghe e licheni, ma anche da altri gruppi microbici oligotrofi o poichilotrofi,<br />

come alcuni funghi, e da batteri chemiolitotrofi (cioè che utilizzano come fonte di energia<br />

l’ossidazione di composti inorganici). L’ambiente endolitico è invece più ospitale (la<br />

ritenzione idrica è maggiore, l’irraggiamento minore, l’azione eolica limitata ecc.) per una<br />

serie di organismi, quali cianobatteri, alghe verdi, funghi e licheni. Di seguito vengono<br />

sinteticamente illustrati i gruppi prevalenti di biodeteriogeni.<br />

Batteri<br />

I batteri sono organismi procarioti, con cellule di diametro tra 0,1 e 1,5 μm e lunghezza<br />

massima di 10-15 μm; date le dimensioni, non esercitano un’azione di tipo meccanico ma<br />

attaccano la pietra per via chimica; a seconda del trofismo si distinguono i batteri più<br />

importanti per il degrado dei lapidei in solfo-ossidanti, nitrificanti, idrogenobatteri,<br />

ferrobatteri, denitrificanti. Le alterazioni prodotte dai batteri sono le stesse rilevabili per<br />

cause chimiche, cioè croste nere, polverizzazione, esfoliazione e non è possibile<br />

distinguerne univocamente l’origine.<br />

14


Funghi<br />

I funghi, in quanto eterotrofi, crescono sui residui organici presenti sulla superficie<br />

lapidea; provocano macchie legate al rilascio di pigmenti, distacchi di parti di intonaco o di<br />

roccia per via della penetrazione del micelio, acidificazione del substrato dovuta al rilascio<br />

di acidi, i quali possono essere responsabili delle pellicole a ossalato.<br />

Cianobatteri e alghe<br />

Le alghe verdi e i cianobatteri (anche detti alghe azzurre) sono organismi fotoautotrofi, a<br />

organizzazione da primitiva a più o meno complessa che, pur appartenendo a gruppi<br />

sistematici assai distanti tra loro, per motivi storici e per alcune analogie vengono trattati<br />

insieme nell’analisi dei biodeteriogeni. Le alghe verdi e, ancor di più, i cianobatteri sono<br />

organismi pionieri nella colonizzazione della pietra, in quanto necessitano solo di luce,<br />

acqua, pochi composti inorganici e preferiscono un substrato con pH compreso tra 7 e 8.<br />

I cianobatteri sono circondati da una spessa guaina mucillaginosa, colorata, capace di<br />

trattenere a lungo l’acqua e sono in grado di attivare o disattivare il loro metabolismo;<br />

pertanto possono sopravvivere anche in condizioni ambientali sfavorevoli, come un lungo<br />

periodo di siccità. Tra le peculiarità metaboliche di questo gruppo ricordiamo la capacità<br />

di fissare azoto molecolare atmosferico (N2); tale possibilità permette di colonizzare<br />

ambienti assai sfavorevoli in termini trofici.<br />

Figura 2.5 Colonizzazione di alghe epilitiche su travertino (a sinistra, tomba Nicoli, scheda n. 11) e<br />

su gneiss granitico (a destra, tomba Clerici, scheda n. 8).<br />

Alghe verdi e azzurre possono essere distinte in epilitiche ed endolitiche a seconda che<br />

crescano sopra o sotto la superficie della pietra; le endolitiche si dividono ancora in<br />

casmoendolitiche (che vivono in fessure preesistenti della roccia), criptoendolitiche (che<br />

15


colonizzano cavità interne della roccia) e euendolitiche (che penetrano attivamente nel<br />

substrato). Le forme più comuni sono rappresentate dalle alghe epilitiche, che si<br />

manifestano come colorazioni a strisce verdi, rosse, marroni, strati gelatinosi, patine verdi,<br />

pellicole pulverulente verdastre, straterelli iridescenti viscidi, chiazze nere, strati compatti<br />

di povere nera, patine nere, sollevamento e arricciamento degli strati superficiali sotto<br />

forma di minute lamelle, strati neri di qualche millimetro di spessore, di consistenza<br />

morbida o calcificata, a superficie ondulata (GIACOBINI ET AL., 1987) (Figura 2.5). Il<br />

colore varia a seconda della composizione della biocenosi e del suo sviluppo. <strong>La</strong> capacità<br />

di trattenere acqua a diretto contatto con il substrato permette agli strati algali di<br />

aumentare notevolmente il danno provocato, promuovendo il deposito di polvere, terra,<br />

residui organici, spore ecc., in modo da favorire la crescita di altri organismi.<br />

Licheni<br />

I licheni sono il risultato della simbiosi tra un fungo superiore (micobionte) ed un’alga (alghe<br />

eucariote o cianoficee) (fotobionte), presente all’interno del suo corpo vegetativo (tallo). Al<br />

lichene possono essere associati anche batteri e funghi saprofiti o parassiti. Il micobionte<br />

è troficamente dipendente dal fotobionte e, in cambio del nutrimento, gli assicura<br />

un’adeguata illuminazione, gli scambi gassosi e ne controlla il rinnovamento, trascinando<br />

le sue cellule nelle zone di attiva crescita. Il prodotto della simbiosi dipende dal tipo di<br />

simbionti coinvolti, capaci di originare un’unità morfologica e funzionale, in grado di<br />

colonizzare nicchie ecologiche altrimenti non colonizzabili (VENTURELLI & VIRLI, 1995).<br />

I licheni si dividono in microlicheni (talli crostosi) e macrolicheni (talli fogliosi e fruticosi); i<br />

licheni sassicoli, cioè che crescono sulla pietra, sono principalmente crostosi: le specie<br />

crostose aderiscono al substrato con tutte le ife della superficie inferiore, mentre le altre<br />

forme aderiscono con i loro organi di ancoraggio chiamati rizine. I talli crostosi possono<br />

essere epilitici o endolitici, a seconda che crescano al di sopra o al di sotto della superficie<br />

della pietra (Figura 2.6). Tramite diversi metodi combinati (sezioni lucide e sottili,<br />

diffrazione X, microscopia elettronica a scansione e microsonda X) si possono valutare gli<br />

effetti del degrado all’interfaccia roccia-lichene.<br />

16


Figura 2.6 Licheni crostosi: Diploicia canescens (in alto a sinistra, tomba Fornaciari, scheda n. 4),<br />

Verrucaria nigrescens (in alto a destra, tomba Piastra, scheda n. 34), Lecanora crenulata (in basso a<br />

sinistra, tomba Baroni, scheda n. 25) e Caloplaca ochracea (in basso a destra, tomba Battistini,<br />

scheda n. 23).<br />

I licheni possono degradare il substrato con meccanismi:<br />

biogeofisici, i quali comportano la disintegrazione delle rocce e sono dovuti alla<br />

penetrazione delle rizine o delle ife nella roccia, oppure sono indotti dalle<br />

espansioni e dalle contrazioni del tallo. <strong>La</strong> penetrazione varia a seconda della<br />

composizione della roccia, del tipo di tallo e della specie lichenica; minerali come<br />

il plagioclasio sono penetrati e disintegrati completamente, mentre per altri, come il<br />

quarzo e il feldspato, la penetrazione avviene soltanto negli spazi intergranulari;<br />

alcuni licheni endolitici possono raggiungere i 15 mm di profondità di<br />

penetrazione. I movimenti di espansione e contrazione, dovuti a sostanze<br />

gelatinose o mucillaginose contenute nei licheni capaci di aumentare o diminuire il<br />

proprio volume a seconda del contenuto d’acqua, provocano sollevamenti nella<br />

parte marginale del tallo, che causano un effetto pitting con pori di diametro<br />

compreso tra 1 e 1,5 mm. Inoltre, spesso i licheni placodiomorfi (con tallo crostoso<br />

17


lobato ai margini, a forma di rosetta più o meno regolare) e fogliosi si staccano dal<br />

substrato nella zona corrispondente alla parte centrale del tallo portando con sé<br />

alcuni millimetri di materiale lapideo;<br />

biogeochimici, i quali comportano la decomposizione o la trasformazione del<br />

substrato ed avvengono per la produzione di CO2, acido ossalico e sostanze<br />

licheniche con proprietà complessati. <strong>La</strong> CO2 prodotta con la respirazione, in<br />

ambiente acquoso si trasforma in acido carbonico, il quale è in grado di<br />

solubilizzare i carbonati di calcio e magnesio presenti in rocce calcaree,<br />

trasformandone i carbonati in bicarbonati. L’acido ossalico è secreto dal<br />

micobionte, ha proprietà complessanti nei confronti dei cationi ed è pertanto<br />

responsabile della formazione degli ossalati, i quali sono differenti a seconda della<br />

natura del substrato e dei cationi presenti in esso. <strong>La</strong> cristallizzazione degli ossalati<br />

può avvenire all’interfaccia roccia lichene, all’interno del tallo o sulla superficie del<br />

cortex superiore (strato corticale formato da ife più o meno agglutinate). I depositi<br />

cristallini nei licheni sono osservabili con la diffrazione X ed il SEM; l’ossalato di<br />

calcio nei licheni è presente in due diverse fasi cristalline: la whewellite<br />

(CaC2O4·H20), forma monoidrata con cristalli monoclini ad abito tabulare, e la<br />

weddelite (CaC2O4·(2+x)H20), forma diidrata caratterizzata da cristalli tetragonali.<br />

Entrambi i minerali sono presenti nelle pellicole ad ossalato, estese ed omogenee,<br />

di colore variabile dal giallo al bruno, molto diffuse sui monumenti.<br />

Per quanto riguarda il danno estetico, le colonizzazioni licheniche si presentano come<br />

piccole chiazze, rilevate o piane, a struttura puntiforme con consistenza polverosa o<br />

compatta, piccole o grandi strutture fogliose, lobate ai margini, di vario colore, talli a guisa<br />

di croste, variabili per forma, colore, dimensione, consistenza, capacità di penetrazione<br />

(GIACOBINI ET AL., 1987); inoltre, tra le sostanze prodotte dai licheni, vi sono molti<br />

pigmenti che possono macchiare il substrato. I licheni epilitici, oltre ad avere un’azione<br />

deteriogena, possono compiere una funzione bioprotettiva sul substrato, fungendo da<br />

barriera agli attacchi di tipo fisico e chimico.<br />

Muschi<br />

I muschi appartengono alla divisione delle Bryophyta; sono organismi fotoautotrofi, non<br />

vascolari, evolutivamente collegati alle alghe verdi. Poiché il tallo, generalmente di piccole<br />

18


dimensioni, manca di veri e propri tessuti per il trasporto dell’acqua e delle sostanze<br />

nutritizie, lo stato funzionale dei muschi è fortemente legato alla presenza d’acqua libera.<br />

Per di più, il trasferimento dei gameti maschili dalle strutture riproduttive maschili<br />

(anteridi) a quelle femminili (archegoni) può avvenire solo attraverso il mezzo acquoso<br />

(pioggia, rugiada ecc.). Ciò spiega la predilezione di questi organismi per gli ambienti<br />

umidi.<br />

Figura 2.7 Muschi: Grimmia pulvinata (a sinistra, tomba Camorali, scheda n. 21), Bryum<br />

capillare e Tortula muralis (a destra, cippo monumentale, scheda n. 14).<br />

I muschi riescono a penetrare in profondità fino a 5 mm nei substrati lapidei tramite<br />

l’azione meccanica delle strutture rizoidali; queste si addentrano più facilmente in substrati<br />

interessati da fenomeni di degrado, ad esempio su rocce sottoposte a processi di gelo e<br />

disgelo dell’acqua. Le briofite sono, dunque, più frequenti su materiali lapidei collocati in<br />

ambienti naturali e caratterizzati da una significativa porosità, come i calcari e i tufi. In<br />

contesti monumentali, è facile rilevare la presenza dei muschi sugli elementi che<br />

costituiscono fontane, ninfei, peschiere, cioè gli elementi artistici legati in qualche modo<br />

direttamente all’acqua. Molti muschi, essendo in grado di trattenere il bicarbonato di<br />

calcio presente nelle acque, il quale sedimenta, svolgono un importante ruolo nella<br />

formazione di rocce sedimentarie organogene carbonatiche, di aspetto spugnoso, come i<br />

tufi calcarei e i travertini. Sui monumenti si presentano come piccoli ciuffi o strati erbosi<br />

(attacco iniziale) o cuscinetti di colore verde marrone (attacco in stato avanzato)<br />

(GIACOBINI ET AL., 1987).<br />

Piante superiori<br />

Le piante superiori che crescono in aree monumentali o archeologiche, oltre a<br />

pregiudicare la visibilità a la fruizione dei monumenti (GIACOBINI ET AL., 1987), possono<br />

provocare un danno chimico o meccanico alle strutture. Il danno chimico è dovuto alla<br />

19


produzione di acido carbonico durante i processi respiratori, all’acidità degli apici radicali<br />

e all’acidità e alle proprietà chelanti degli essudati. Il danno meccanico è legato all’azione<br />

dell’apparato radicale e al peso della pianta ed è direttamente proporzionale alle<br />

dimensioni della pianta. <strong>La</strong> presenza di piante nelle vicinanze di un monumento può<br />

modificare positivamente il microclima: l’ombreggiamento prodotto da alberi e arbusti<br />

limita le escursioni termiche e i movimenti d’acqua sulle superfici, le barriere frangivento<br />

proteggono dall’erosione eolica e le foglie possono intrappolare agenti inquinanti<br />

atmosferici presenti nell’aria. Per contro, l’umidità trattenuta dalle piante, favorisce lo<br />

sviluppo di alghe e muschi.<br />

Animali<br />

Il danno di origine animale più frequentemente osservato su monumenti collocati in<br />

ambienti aperti o semi-confinati sono le deiezioni di uccelli adattatisi all’ambiente urbano<br />

(passeri, piccioni, storni, gabbiani ecc.) (MAGAUDDA, 1994). Gli escrementi di questi<br />

animali, oltre a comportare un problema estetico e igienico, contengono acidi che<br />

corrodono la superficie e apportano sostanze nutritive, sfruttate da nuovi organismi<br />

colonizzatori.<br />

2.4 Metodi di prevenzione e controllo<br />

<strong>La</strong> prevenzione del biodeterioramento di un manufatto include tutte le misure volte a<br />

evitare lo sviluppo di biodeteriogeni potenzialmente dannosi per il materiale. I metodi di<br />

prevenzione sono anche detti metodi indiretti perché non agiscono direttamente<br />

sull’organismo bensì sulle cause della sua crescita, modificando le condizioni ambientali o<br />

le caratteristiche fisico-chimiche del substrato, in modo da renderle sfavorevoli allo<br />

sviluppo dei biodeteriogeni. Si opera su uno dei fattori limitanti, in modo da portarlo al di<br />

sopra o al di sotto del range di tolleranza della specie; per quanto riguarda monumenti in<br />

pietra, non sempre è possibile in quanto questi sono posti nella maggior parte dei casi<br />

all’aperto ove è chiaramente impossibile limitare in modo efficace anche un solo fattore<br />

limitante senza l’attuazione di complessi interventi di prevenzione nella maggior parte dei<br />

casi eccessivamente dispendiosi.<br />

20


I biodeteriogeni si sviluppano in corrispondenza di accumuli di nutrienti e/o nelle zone in<br />

cui si abbia ristagno d’acqua. Il primo tra gli interventi possibili è, perciò, eliminare<br />

mediante interventi di manutenzione periodica gli accumuli di detriti ed eliminare le<br />

percolazioni, le infiltrazioni e risalite capillari d’acqua, ad esempio, con sistemi di<br />

drenaggio o coperture di protezione. Qualora si possano garantire condizioni climatiche<br />

stabili, al termine di un intervento di restauro, al fine di inibire la ricrescita di organismi,<br />

possono essere applicati dei biocidi.<br />

Il controllo del biodeterioramento include operazioni atte a eliminare il degrado ad opera<br />

degli organismi e, se possibile, a ritardarne la ricomparsa; questi metodi sono detti metodi<br />

diretti in quanto agiscono con sistemi meccanici, fisici e chimici direttamente sui<br />

biodeteriogeni. Si deve intervenire in maniera diretta sull’organismo biologico soltanto<br />

quando siano falliti i tentativi di intervento indiretto, il quale è più efficace e duraturo. <strong>La</strong><br />

crescita di organismi indesiderati si verificherà nuovamente, dopo un intervento, se<br />

permangono le condizioni ambientali a essi favorevoli.<br />

L’attiva eliminazione dei biodeteriogeni deve essere preceduta da un’approfondita<br />

valutazione dei rischi per la conservazione dell’opera stessa, della biodiversità a essa<br />

associata e del suo valore storico-ambientale, che può dipendere in parte dagli elementi<br />

floristici presenti; un ulteriore aspetto che non può essere trascurato è la durata temporale<br />

dell’effetto dell’intervento. Manufatti collocati all’aperto sono soggetti a rapida<br />

ricolonizzazione, soprattutto nel caso non sia possibile installare opportune protezioni per<br />

motivi estetici o fruitivi (NASCIMBENE & SALVADORI, 2008). Inoltre, ogni intervento di<br />

conservazione deve considerare l’effetto che qualsiasi metodo o composto applicato alla<br />

pietra può avere sulla biosuscettibilità dell’oggetto (WARSCHEID & BRAAMS, 2000).<br />

I metodi più semplici per la rimozione dei biodeteriogeni sono quelli meccanici, che<br />

prevedono l’uso di strumenti manuali (bisturi, spatole, raschietti, aspirapolvere…), ma<br />

hanno scarsa durata. Più complessi sono quelli fisici, che utilizzano radiazioni<br />

elettromagnetiche o elettriche (raggi ultravioletti, raggi gamma, corrente ad alta frequenza,<br />

ultrasuoni) oppure modificano temperatura o pressione, ma spesso non sono applicabili a<br />

monumenti posti in contesti ambientali. L’intervento chimico prevede l’applicazione,<br />

tramite irrorazione, spennellatura, impacchi o iniezione, di prodotti chimici con azione<br />

biocida, i quali devono avere elevata efficacia e bassa tossicità per l’uomo, non devono<br />

interferire con i materiali costituenti l’opera e non devono essere inquinanti. I metodi<br />

21


iochimici sono analoghi ma impiegano prodotti chimici di origine biologica, quali<br />

antibiotici e enzimi. Esistono, infine, dei metodi biologici che sfruttano specie parassite e<br />

antagoniste dei biodeteriogeni, ma sono di difficile applicazione.<br />

22


3. OBIETTIVI<br />

Il presente lavoro di tesi è finalizzato alla caratterizzazione delle forme prevalenti di<br />

colonizzazione biologica dei monumenti funebri presenti all’interno dell’Ottagono della<br />

<strong>Villetta</strong> (<strong>Cimitero</strong> Maggiore della Città di Parma). Data l’abbondanza di manufatti<br />

all’interno della parte monumentale, rappresentata appunto dall’Ottagono, lo sforzo di<br />

campionamento è stato limitato ad un set rappresentativo di monumenti funerari<br />

individuati in ragione del litotipo prevalente. <strong>La</strong> complessità strutturale dei manufatti ha<br />

suggerito la necessità di suddividerli in elementi strutturali (base, alzata, copertura,<br />

elementi verticali) per poter meglio indagare l’effetto delle variabili ambientali<br />

(esposizione, inclinazione, ombreggiamento ecc.) sui gradienti di colonizzazione (cfr.<br />

paragrafo metodologico). <strong>La</strong> bioricettività dei materiali lapidei non è influenzata, infatti,<br />

unicamente dalla composizione chimico-petrografica e dalle sostanze nutritive presenti<br />

sulle superfici, ma anche da fattori ambientali quali i livelli di inquinamento dell’aria, la<br />

disponibilità di luce, le variazioni stagionali e giornaliere di temperatura e il contenuto<br />

d’acqua del substrato. Nello specifico si è, quindi, operato con l’intento di analizzare le<br />

relazioni presenti tra tipologie di materiali, età dei manufatti, forme prevalenti di<br />

biodeteriogeni e condizioni microedafiche.<br />

23


4. AREA DI STUDIO<br />

4.1. Cenni storici e artistici sull’Ottagono della <strong>Villetta</strong><br />

Il <strong>Cimitero</strong> della <strong>Villetta</strong>, oltre ad essere il principale insediamento funebre di Parma, è<br />

anche uno dei più importanti monumenti della città dal punto di vista storico e artistico.<br />

Dato il grande numero di manufatti scultorei e architettonici di interesse artistico, la<br />

<strong>Villetta</strong> può essere considerata come un grande museo all’aperto della storia civica di<br />

Parma e delle correnti artistiche degli ultimi due secoli (Figura 4.1).<br />

Figura 4.1 Veduta aerea dell’Ottagono della <strong>Villetta</strong> (tratta dal sito parmaitaly.com).<br />

Il <strong>Cimitero</strong> fu fatto costruire da Maria Luigia tra il 1819 e il 1824, in seguito all’editto<br />

napoleonico di St.Cloud (1804), che vietava le sepolture urbane, anche se il dibattito sulla<br />

necessità di un luogo lontano dalla città dove seppellire i morti era già aperto da qualche<br />

decennio e vi erano già proposte e progetti in merito. <strong>La</strong> costruzione ebbe luogo secondo<br />

il progetto dell’ingegnere comunale Giuseppe Cocconcelli, su un terreno chiamato<br />

<strong>Villetta</strong>, appartenente al Collegio dei Nobili, in località San Pellegrino, a sud di Parma. Il<br />

progetto, ispirato al modello neoclassico del cimitero di Parigi, prevede un portico<br />

ottagonale, detto Ottagono, circondato da una cinta quadrata; l’interno è diviso in quattro<br />

parti da due viali perpendicolari, uno dei quali collega l’ingresso all’oratorio, addossato al<br />

muro occidentale. L’organizzazione della “città dei morti” ricalcava le gerarchie sociali<br />

24


della “città dei vivi”: le arcate erano destinate alle rappresentanze sociali della città, come<br />

famiglie aristocratiche e congregazioni religiose; l’interno era riservato alle sepolture<br />

comuni e ai monumenti dedicati ai cittadini illustri; gli angoli compresi tra il recinto<br />

dell’Ottagono e quello esterno erano destinati alle comunità di altre religioni, ai<br />

condannati a morte, ai suicidi, ai bambini non battezzati. Le essenze ammesse a<br />

ombreggiare le sepolture, sancite dal regolamento cimiteriale di Maria Luigia del 1819,<br />

dovevano essere a sviluppo verticale, come cipressi e pioppi cipressini; tuttavia, i primi<br />

alberi e le prime siepi furono piantati soltanto nel 1832. Già negli ultimi decenni<br />

dell’Ottocento, dato l’incremento imprevisto della popolazione cittadina, emerse la<br />

necessità di un ampliamento degli spazi, che si tradusse nella realizzazione delle due<br />

gallerie poste a sud e a nord dell’Ottagono, chiamate, appunto, galleria nord e sud. Inoltre,<br />

all’inizio del Novecento, si iniziò a seppellire anche nei campi intorno alle gallerie.<br />

L’interno dell’Ottagono, a partire da fine Ottocento, fu progressivamente saturato dalle<br />

tombe di famiglia a edicola, inizialmente collocate lungo i viali principali, come previsto<br />

dal progetto originale, poi all’interno di tutte le zone di prato. Queste tombe,<br />

commissionate dalle famiglie borghesi per esibire il proprio status sociale, rappresentano<br />

veri e propri edifici in miniatura, realizzati da architetti, pittori e scultori più o meno<br />

famosi a seconda dell’importanza della famiglia e secondo lo stile in voga al momento<br />

della loro realizzazione (non senza cadute nel kitsch). Nella seconda metà dell’Ottocento,<br />

gli stili più apprezzati erano classicismo, simbolismo, verismo; a inizio Novecento,<br />

neomedioevo, neobizantino, neoromanico, liberty, decò ecc. Al fine dell’abbellimento dei<br />

monumenti sepolcrali, la scultura fu la forma espressiva più utilizzata per le maggiori<br />

garanzie di conservazione e per la sua intrinseca monumentalità. I materiali prediletti<br />

erano bronzo, marmo e granito; accanto a veri e propri artisti si affermarono alcune<br />

famiglie di artigiani specializzati nella scultura funeraria, come la ditta Leoni. Tuttavia, col<br />

passare dei decenni, la costruzione delle tombe di famiglia perse quasi del tutto<br />

un’intenzionalità artistica, a favore della funzionalità, rendendo così il cimitero un luogo di<br />

modesta qualità architettonica, a causa dell’inserimento di elementi e materiali incongrui.<br />

25


4.2. Litotipi prevalenti nei sepolcri dell’Ottagono<br />

Nella zona del prato dell’Ottagono della <strong>Villetta</strong> sono stati censiti circa<br />

ottocentocinquanta monumenti funerari; il gruppo <strong>La</strong>pidei del “Progetto <strong>Villetta</strong>”, nel<br />

quale si inserisce questo lavoro di tesi, ha indagato ad oggi i materiali costituenti all’incirca<br />

un centinaio di manufatti.<br />

Dall’analisi preliminare dei dati raccolti, emerge un diverso utilizzo dei materiali in<br />

funzione del periodo storico cui si sono realizzati i sepolcri. Ad esempio, i rivestimenti<br />

databili tra fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento sono prevalentemente<br />

realizzati in materiali di origine carbonatica, di colore chiaro, cui si accoppia l’uso di<br />

granito (roccia ignea intrusiva) come elemento di copertura. Le tipologie impiegate<br />

rispecchiavano la disponibilità locale di cave e materiali. A partire dagli anni ’50, invece, si<br />

assiste ad un aumento esponenziale delle tipologie di litotipi, dall’origine assai eterogenea<br />

(Sudamerica, Estremo Oriente, Australia, ecc.). I substrati di colore scuro, a base silicatica,<br />

come ad esempio la granulite, le serpentiniti e il micascisto sono i substrati maggiormente<br />

utilizzati.<br />

<strong>La</strong> scelta dei litotipi dipendeva e dipende tutt’ora, inoltre, dalla specifica collocazione che<br />

ciascun elemento occupa all’interno del monumento (in relazione alla propria funzione<br />

strutturale) e, quindi, dall’intrinseca “robustezza” del substrato lapideo: il travertino,<br />

materiale predominante nel cimitero, è impiegato per rivestire le pareti, mentre per le<br />

alzate, i gradini e gli stipiti delle porte delle cappelle sono stati usati lapidei più resistenti,<br />

come il marmo, il granito ecc. All’uso di lapidei naturali, si affianca l’uso di lapidei<br />

artificiali, principalmente calcestruzzo e laterizio. In funzione della tipologia del sepolcro,<br />

è possibile rilevare una predominanza dell’utilizzo dell’arenaria nella tipologia “a tomba”. I<br />

centosessantacinque elementi strutturali del set selezionato per lo studio dei<br />

biodeteriogeni, sono costituiti dai seguenti litotipi, secondo le relative frequenze in<br />

Tabella 4.1.<br />

26


Tabella 4.1 % di utilizzo delle tipologie di substrato lapideo impiegate per la costruzione dei sepolcri nel<br />

subset in analisi (165 manufatti complessivi). Le singole tipologie sono aggruppate per categoria litologica<br />

naturale (substrati sedimentari, metamorfici e magmatici) o artificiale (altra origine, LT e CE).<br />

SED Si<br />

SED Ca<br />

MET Si<br />

MET Ca<br />

MAG Si<br />

altra<br />

origine<br />

tipologia litotipo<br />

4.3. Caratteri meteo-climatici della Città di Parma<br />

codice n° elementi %<br />

Arenaria AR 30 18<br />

Travertino TR 16 10<br />

Calcare ammonitico CAa 11 7<br />

Breccia poligenica a cemento carbonatico BR 10 6<br />

Calcare CA 3 2<br />

Calcare fossilifero CF 3 2<br />

Travertino rosso TRr 2 1<br />

Conglomerato CO 1 1<br />

Serpentinoscisto e serpentinite SE 14 8<br />

Gneiss granitico GN 8 5<br />

Granulite GRte 5 3<br />

Micascisto MC 5 3<br />

Scisto quarzoso SC 4 2<br />

Quarzite QU 3 2<br />

Marmo MA 16 10<br />

Granito GR 1 1<br />

Granito rosa GRr 2 1<br />

<strong>La</strong>terizio LT 16 10<br />

Cemento CE 15 9<br />

In termini meteo-climatici, la città di Parma (55 m s.l.m.) rientra all’interno della regione<br />

temperata e presenta, specificatamente, un clima di tipo continentale con forti escursioni<br />

termiche annue e precipitazioni omogeneamente distribuite nel corso dell’anno che si<br />

attestano su valori compresi tra 700 e 800 mm annui (PEREGO, 2004). Le temperature<br />

medie annue si attestano su 13,5 °C; il mese più piovoso risulta essere novembre, mentre<br />

quello più asciutto luglio; le precipitazioni, infine, mostrano un massimo secondario in<br />

primavera e un minimo secondario in inverno.<br />

27


5. MATERIALI E METODI<br />

Nell’ambito del progetto Studio delle cause e dei processi di degrado dei materiali di finitura e<br />

ornamento delle architetture funerarie nell’Ottagono della <strong>Villetta</strong> (“Progetto <strong>Villetta</strong>”)<br />

dell’Università degli Studi di Parma, finanziato dalla Convenzione con il Comune di<br />

Parma e volto alla valutazione dello stato di conservazione del cimitero monumentale<br />

cittadino, è stata condotta la presente indagine di caratterizzazione delle comunità di<br />

biodeteriogeni rilevabili sulle architetture funerarie. L’indagine è finalizzata alla descrizione<br />

delle tipologie prevalenti di biodeteriogeni, ma anche alla redazione di un database,<br />

facilmente aggiornabile, che possa, in futuro, permettere la formalizzazione di un rapido<br />

strumento per valutare il grado di compromissione dei manufatti e l'opportunità di<br />

procedere al loro restauro.<br />

<strong>La</strong> prima fase del lavoro si è limitata a una ricognizione dell’area in studio, sostanziata<br />

dall’attenta analisi dei dati pregressi relativi al camposanto (cartografie tematiche, database<br />

fornito dal Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’Ambiente, del Territorio e Architettura<br />

dell’Università di Parma; DipCivil UNIPR) e all’individuazione del set di manufatti da<br />

caratterizzare nelle fasi successive di analisi. <strong>La</strong> scelta dei manufatti è stata effettuata con<br />

l’intento di indagare tutte le categorie di materiali lapidei presenti all’interno<br />

dell’Ottagono. L’utilizzo prevalente di alcuni di essi, ad esempio l’arenaria, si è tradotto in<br />

uno sbilanciamento dei subset che originariamente erano stati progettati per essere<br />

numericamente equiparabili. Infine, tra tutti i manufatti funerari individuati sono stati<br />

scelti esclusivamente quelli che presentavano un orientamento perpendicolare o parallelo<br />

agli assi centrali della crociera dell’Ottagono, al fine di rendere gli elementi strutturali da<br />

rilevare agevolmente comparabili in funzione dell’esposizione. Prima di procedere alla<br />

raccolta dei dati floristico-vegetazionali per ciascuna delle tipologie strutturali di<br />

monumenti funebri presenti all’interno del set di indagine (cappella e tomba) sono stati<br />

definiti i singoli elementi strutturali, secondo lo schema riportato nella Figura 5.1 e nella<br />

Figura 5.2. Tale approccio era necessario per permettere la successiva caratterizzazione<br />

ecologica delle relazioni, distintamente per ciascun elemento strutturale, tra tipologia e<br />

stadio di colonizzazione dei biodeteriogeni (espresso in classi di copertura-abbondanza). I<br />

28


manufatti indagati sono riconducibili a due tipologie: cappella o tomba, schematizzate<br />

rispettivamente dalla Figura 5.1 e dalla Figura 5.2.<br />

Ogni elemento distinto è individuato da un codice composto da una coppia di sottocodifiche:<br />

la prima è riferita alla funzione strutturale svolta dall’elemento nel manufatto, la<br />

seconda alla posizione occupata rispetto alla facciata principale del manufatto.<br />

A2<br />

A1SX A1PS<br />

A1AN A1DX<br />

A1PS<br />

A0SX<br />

A0AN<br />

A0DX<br />

Figura 5.1 Elementi strutturali rilevabili in un manufatto a tipologia cappella<br />

A1SX<br />

A0SX<br />

A3AN<br />

A2<br />

A1AN<br />

A0AN<br />

A1DX<br />

A0DX<br />

Figura 5.2 Elementi strutturali rilevabili in un manufatto a tipologia tomba<br />

A3PS<br />

A0PS<br />

A0PS<br />

Gli elementi strutturali sono i seguenti:<br />

- A0: il basamento del manufatto;<br />

- A1: le pareti laterali;<br />

- A2: la copertura;<br />

- A3: l’eventuale lapide, individuabile esclusivamente per i manufatti a tomba.<br />

Le posizioni sono:<br />

- AN: la facciata anteriore del manufatto;<br />

- SX : il lato sinistro<br />

- DX : il lato destro;<br />

- PS: la faccia posteriore.<br />

29


<strong>La</strong> seconda fase del lavoro è stata finalizzata all’elaborazione di una scheda di campo per<br />

la ricognizione dei manufatti (Allegato 1) e alla predisposizione di un database mediante<br />

l’elaborazione di un foglio elettronico in ambiente Excel per la sistematizzazione dei dati<br />

(Allegato 2).<br />

I campi presenti nel database sono i seguenti:<br />

Data: data del sopralluogo di campo.<br />

Scheda: numero progressivo del manufatto rilevato.<br />

Collocazione: codifica utilizzata nel database di Architettura (DipCivil UNIPR), che<br />

identifica univocamente il manufatto, così strutturata:<br />

- le lettere PR indicano che la sepoltura si trova nel prato all’interno dell’Ottagono;<br />

- la lettera C segnala una tipologia a cappella mentre T una tipologia a tomba;<br />

- le lettere SE, NE, NO e SO identificano rispettivamente i quadranti Sud-Est,<br />

Nord-Est, Nord-Ovest e Sud-Ovest del prato;<br />

- i numeri da 1 a 4 indicano i settori all’interno di ciascun quadrante, numerati in<br />

senso orario a partire da Sud-Est;<br />

- numeri progressivi a tre cifre individuano univocamente il manufatto.<br />

Sito: quadrante e settore in cui si trova la sepoltura.<br />

Tomba: nome della famiglia proprietaria della tomba.<br />

Tipologia: cappella oppure tomba.<br />

Datazione: anno di costruzione del manufatto, qualora disponibile dai documenti (tratto<br />

dal database di Architettura).<br />

Elemento strutturale: vedi schema illustrato in precedenza.<br />

Posizione: vedi schema illustrato in precedenza.<br />

Natura: natura artificiale (A) o naturale (N) del materiale lapideo.<br />

Definizione substrato: definizione petrografica del litotipo, individuata dal Gruppo<br />

<strong>La</strong>pidei del Progetto <strong>Villetta</strong>.<br />

<strong>La</strong>vorazione: tipo di lavorazione applicata alla superficie della pietra in opera (individuata<br />

dal Gruppo <strong>La</strong>pidei del Progetto <strong>Villetta</strong>).<br />

Struttura: S, quando l’elemento strutturale è semplice, cioè monolitico, oppure C, quando<br />

è composto da più elementi lapidei accostati (lastre, mattoni…).<br />

Dimensioni: distanza del punto più alto dell’elemento dal terreno, suddivisa in tre<br />

categorie: 0-1 m, 1-3 m, >3 m.<br />

30


Esposizione: N, S, O o E, a seconda dei punti cardinali; si tratta in realtà di una<br />

convenzione, in quanto i viali dell’Ottagono non sono perfettamente orientati secondo i<br />

punti cardinali, bensì gli assi centrali del <strong>Cimitero</strong> Maggiore di Parma presentano una<br />

leggera rotazione di circa 15° a est.<br />

Natura ombreggiamento: N o A a seconda che l’ombreggiamento sia dovuto a<br />

elementi naturali (piante, siepi…) o artificiali (il manufatto stesso o altre strutture).<br />

Percentuale ombreggiamento: ombreggiamento espresso in cinque classi di valori<br />

percentuali:<br />

0-20%: ombreggiamento nullo o trascurabile; assenza di elementi naturali o<br />

architetture in prossimità;<br />

20-40%: presenza di architetture a distanza maggiore di 2 m;<br />

40-60%: presenza di architetture di altezza superiore a 5 m a distanza minore di 1 m;<br />

60-80%: ombreggiamento quasi totale;<br />

80-100%: ombreggiamento totale.<br />

Inclinazione: pendenza dell’elemento rispetto al terreno espressa in gradi.<br />

Colonizzazione: tipologie di biodeteriogeni rilevati sull’elemento indicati con le lettere A<br />

(alghe), L (licheni), M (muschi), P (fanerogame).<br />

Biodeteriogeno: tipologia di biodeteriogeni a cui appartiene l’organismo oggetto del<br />

rilievo, individuata dalle stesse lettere utilizzate nel campo precedente.<br />

Nome: nome del genere o della specie del biodeteriogeno oggetto del rilievo.<br />

Tipologia colonia: modalità con cui si sviluppa la colonia: adesa alla superficie, nelle<br />

discontinuità superficiali, cioè in corrispondenza di zone degradate, negli interstizi tra un<br />

elemento lapideo e l’altro oppure mista tra le precedenti possibilità.<br />

Presenza di sostanza organica: presenza o assenza di depositi di materia organica in<br />

corrispondenza dell’organismo.<br />

Copertura-abbondanza: stima quantitativa delle specie, secondo la metodologia<br />

proposta da BRAUN-BLANQUET (1964). L’indice proposto prevede una scala di sette<br />

valori, di cui i primi cinque sono definiti in base alla copertura della superficie<br />

dell’elemento da parte della specie, mentre gli ultimi due tengono conto anche<br />

dell’abbondanza, cioè del numero degli individui; la scala di valori, basata su stime<br />

percentuali, è così definita:<br />

5: copertura dal 71 al 100%;<br />

31


4: copertura dal 41 al 70%;<br />

3: copertura dal 11 al 40%;<br />

2: copertura dal 6 al 10%;<br />

1: copertura dall’1 al 5%;<br />

+: copertura inferiore all’1% di specie rappresentate da numerosi individui;<br />

r: copertura trascurabile (


passo consiste nel trasformare gli indici di copertura secondo quanto proposto da VAN<br />

DER MAAREL (1979), in modo da renderli compatibili con l’utilizzo dell’elaboratore<br />

elettronico, secondo questo schema:<br />

r = 1 + = 2 1 = 3 2 = 5 3 = 7 4 = 8 5 = 9<br />

<strong>La</strong> tabella così ottenuta è stata processata al calcolatore, che, attraverso l’uso di algoritmi<br />

basati su funzioni di distanza e mediante metodi di Cluster Analysis, rielabora e classifica i<br />

rilievi, cioè calcola le differenze composizionali tra ciascun rilievo della tabella<br />

riordinandoli in modo che ognuno di essi venga disposto vicino a quelli che gli sono più<br />

simili. L’elaborazione è stata effettuata usando il pacchetto software SYN-TAX, versione<br />

5.0 (PODANI, 1993). Per quanto riguarda il calcolo della matrice di distanza è stato<br />

utilizzato l’algoritmo distanza della corda. Dettagli su queste metodologie vengono fornite<br />

da ORLOCI (1978). Il risultato della Cluster Analysis viene espresso attraverso<br />

dendrogrammi di classificazione, che riportano in ascissa il numero d’ordine distintivo di<br />

ciascun rilievo e in ordinata la scala di distanza. Ciascun dendrogramma è composto da<br />

gruppi di rilievi (o cluster) con diverso rango gerarchico, alcuni più grandi che ne<br />

comprendono altri più piccoli, a seconda del livello di distanza considerato. In ogni caso,<br />

nei dendrogrammi, la lunghezza dei “rami” a partire dalla base è proporzionale alla<br />

dissimilarità fra le entità raggruppate, cioè gruppi di rilievi uniti da un breve tratto sono<br />

più simili di quelli uniti da rami più lunghi (PIGNATTI, 1995). Il passo successivo è<br />

consistito nel riordinamento dei rilievi della tabella “grezza” secondo la sequenza<br />

proposta dal dendrogramma. È stato così possibile costruire una serie di tabelle<br />

strutturate, in cui mettere in evidenza i gruppi di specie discriminanti, evidenziando,<br />

dunque, le diversità in composizione floristica e in condizioni ambientali tra gruppi di<br />

rilievi. Tale approccio consente di ripartire in unità vegetazionali distinte, classificabili<br />

secondo la sistematica fitosociologica o sintassonomia (cfr. paragrafo successivo) ogni<br />

comunità rilevata. Ciascuna tabella è, infine, corredata di una colonna che riporta, per ogni<br />

specie, la frequenza calcolata come percentuale di rilievi in cui la specie stessa è presente.<br />

Le specie licheniche sono state determinate in accordo a NIMIS ET AL. (1987). Poiché le<br />

specie rilevate sui manufatti in studio sono rappresentate esclusivamente da forme<br />

crostose, che crescono adese al substrato, per alcune di esse non è possibile acquisire<br />

campioni direttamente dalle tombe perché ciò intaccherebbe il materiale lapideo<br />

33


sottostante. Sono stati raccolti, pertanto, frammenti lapidei estranei ai monumenti sui<br />

quali erano state rilevate alcune delle specie osservate sulle architetture funerarie; ove<br />

possibile, sono stati asportati con un bisturi frammenti di tallo e corpi fruttiferi dalla<br />

superficie lapidea dei monumenti medesimi. Questo materiale è stato, poi, analizzato in<br />

laboratorio per la definitiva classificazione; negli altri casi, infine, si è proceduto<br />

effettuando le reazioni con i test microchimici atte al riconoscimento dei licheni<br />

direttamente in campo. Tuttavia, data la difficoltà di valutare correttamente gli effetti di<br />

tali reazioni in campo, non è stato possibile raggiungere una determinazione a livello<br />

specifico per tutti i taxa rilevati: due specie licheniche delle sedici presenti nell’area di<br />

studio, sono, infatti, assegnate in via preliminare ai generi Lecania e Lecanora. I già citati<br />

problemi, sommati alla difficoltosa osservazione delle spore fungine al microscopio<br />

ottico, richiederanno per alcuni dei taxa rilevati nell’ambito del presente lavoro di tesi<br />

ulteriori fasi di approfondimento per accertarne definitivamente la collocazione<br />

tassonomica.<br />

<strong>La</strong> determinazione delle specie muscinali è stata condotta sulla base di flore generali<br />

(CORTINI PEDROTTI, 2001a; CORTINI PEDROTTI, 2005). <strong>La</strong> nomenclatura segue CORTINI<br />

PEDROTTI (2001b). Per quanto riguarda le piante superiori ci si è attenuti a PIGNATTI<br />

(1982). I campioni algali sono stati analizzati al microscopio ottico (Olympus BH2 con<br />

capacità di ingrandimento di 1000 volte); il grado di approfondimento sistematico è stato<br />

condotto a livello di genere, in accordo a BOURELLY (1966). In merito alla<br />

caratterizzazione delle comunità algali, ci si è attenuti alla sola determinazione delle forme<br />

prevalenti, al fine di concentrare gli sforzi di campionamento e d’analisi verso la<br />

caratterizzazione delle componenti lichenica e muscinale.<br />

5.2 Analisi dei dati<br />

Il dataset relativo alle comunità rilevate (ad esclusione di quelle dominate dalle piante<br />

superiori) è stato analizzato applicando il Multi Dimensional Scaling (MDS). Il MDS è una<br />

tecnica di ordinamento esplorativa che permette di ottenere una rappresentazione di n<br />

oggetti in uno spazio a k dimensioni, partendo da informazioni relative alla “similarità” (o<br />

dissimilarità) tra ciascuna coppia di oggetti. In genere è una tecnica usata per visualizzare<br />

le (dis)similarità (distanze) tra oggetti in uno spazio di piccole dimensioni (spesso 2D o<br />

34


3D). Il MDS viene impiegato per valutare la struttura dei rapporti fra le entità, fornendo<br />

una rappresentazione geometrica di questi rapporti. Come tali, questi metodi<br />

appartengono alla categoria più generale dei metodi d’analisi di dati a più variabili<br />

(statistica multivariata). L’ordinamento ottenuto è frutto di un metodo iterativo che sposta<br />

gli oggetti in un spazio di dimensione scelta in modo tale da minimizzare un criterio<br />

d’errore (BORG & GROENEN, 2005).<br />

Nell’ambito della presente indagine il MDS è stato applicato alle distanze interindividuali,<br />

basate sulla composizione in specie di ogni punto di campionamento, al fine di verificare<br />

la presenza di pattern distributivi dei singoli casi (comunità rilevate) rispetto alle variabili<br />

edafiche ritenute, sulla base della letteratura, cruciali nel descrivere la struttura e<br />

composizione dei popolamenti: il substrato, l’ombreggiamento e l’orientamento.<br />

L’elaborazione è stata condotta mediante il pacchetto statistico R (R DEVELOPMENT<br />

CORE TEAM, 2005).<br />

35


6. RISULTATI<br />

<strong>La</strong> strutturazione del dendrogramma ottenuto dalla tabella elaborata dei rilievi mette in<br />

evidenza la presenza di dieci cluster tipologici: sette raggruppano comunità licheniche<br />

(cluster: Vn, Vl, Vm, Co, Lc, Cc e Le), mentre i restanti tre sono, rispettivamente,<br />

dominati da alghe (cluster A), muschi (cluster M) e piante superiori (Tabella 6.1 e<br />

Figura 6.1).<br />

Dissimilarity<br />

0,67<br />

0,66<br />

0,65<br />

0,64<br />

0,63<br />

0,62<br />

0,61<br />

0,6<br />

0,59<br />

0,58<br />

0,57<br />

0,56<br />

0,55<br />

0,54<br />

0,53<br />

0,52<br />

0,51<br />

0,5<br />

0,49<br />

0,48<br />

0,47<br />

0,46<br />

0,45<br />

0,44<br />

0,43<br />

0,42<br />

0,41<br />

0,4<br />

0,39<br />

0,38<br />

0,37<br />

0,36<br />

0,35<br />

0,34<br />

0,33<br />

0,32<br />

0,31<br />

0,3<br />

0,29<br />

0,28<br />

0,27<br />

0,26<br />

0,25<br />

0,24<br />

0,23<br />

0,22<br />

0,21<br />

0,2<br />

0,19<br />

0,18<br />

0,17<br />

0,16<br />

0,15<br />

0,14<br />

0,13<br />

0,12<br />

0,11<br />

0,1<br />

0,09<br />

0,08<br />

0,07<br />

0,06<br />

0,05<br />

0,04<br />

0,03<br />

0,02<br />

0,01<br />

0 1 47 52 68 69 71 70 98 99 109 17 125127128106126110114102 19 37 75 105 2 33 4 124129 45 87 32 8 40 116134 86 115144 9 140 82 18 20 21 42 48 63 112113 60 108111 41 61 62 44 46 25 137 5 11 85 12 103104 3 107 7 29 64 76 130132 6 35 117120119 88 133135 89 10 65 94 141142143146145 74 79 80 30 67 118 81 95 96 39 43 53 66 78 59 97 101122 13 90 131 57 93 14 15 16 34 22 92 77 31 26 136138139 72 23 38 123 49 121 73 51 54 28 50 100 24 27 55 36 83 56 58 84 91<br />

Vn Vl Vm Co Lc Cc Le A M<br />

Figura 6.1 Dendrogramma di classificazione dei rilievi. Vn: tipo a Verrucaria nigrescens; Vl: tipo a<br />

Verrucaria nigrescens e Lecanora crenulata; Vm: tipo a Verrucaria muralis; Co: tipo a Caloplaca ochracea;<br />

Lc: tipo a Lecanora crenulata; Cc: tipo a Caloplaca citrina; Le: tipo a Lecania erysibe; A: formazioni algali;<br />

M: comunità muscinali.<br />

<strong>La</strong> compagine lichenica è la più rappresentativa in termini di copertura e consta di sedici<br />

specie, tra le quali Verrucaria nigrescens, Caloplaca ochracea e Lecanora crenulata (cfr. Figura 2.6)<br />

sono le più diffuse (per l’elenco completo dei licheni rilevati nell’area di studio si rimanda<br />

alla Tabella 6.1). Per quanto riguarda la componente briofitica, essa è costituita<br />

unicamente da tre specie, tra cui Bryum capillare mostra valori di copertura e frequenza<br />

maggiori.<br />

36


Tipi Vn Vl Vm Co Lc Cc Le A M P<br />

N° rilievi 31 26 6 9 8 22 17 11 9 6<br />

L Verrucaria nigrescens V V V I I V III I I .<br />

L Caloplaca ochracea IV V IV V II I III I III I<br />

L Verrucaria muralis I I V II . . I II I .<br />

L Lecanora crenulata I V . V V III II I II .<br />

L Caloplaca citrina I II . I II V I II II I<br />

L Lecania erysibe I I . . II I V I . I<br />

L Lecanora dispersa I I . . . . I . . .<br />

L Porpidia cinereoatra I . I I . . . . . .<br />

L Diploicia canescens I I . . . II . I . .<br />

L Haematomma ochroleucum I I . . . . . . . .<br />

L Lecania sp. I . . . . I . . . .<br />

L Verrucaria viridula I I . . . . I I . .<br />

L Caloplaca erythrocarpa . I . . . . . . . .<br />

L Caloplaca flavescens . I . . . I . . . .<br />

L Verrucaria cyanea . I . . . . . . . .<br />

L Lecanora sp. . . . I . . . . . .<br />

A Comunità algale I I I . . I II V II I<br />

M Grimmia pulvinata I I . . . I II . IV I<br />

M Bryum capillare III III I II III II . II III I<br />

M Tortula muralis I I . I . I I . . .<br />

P Bromus sterilis I I I . . . II . I III<br />

P Euphorbia prostrata . I . . . . I . I I<br />

P Viola odorata I . . . . . I I I .<br />

P <strong>La</strong>ctuca serriola I . . . . I . . . III<br />

P Crepis sancta I . I I . . . . . .<br />

P Oxalis corniculata . . . I . . I . . I<br />

P Galium album I . II . . . . . . .<br />

P Hedera helix . . . . . I . . . II<br />

P Setaria viridis I . . . . . . . . II<br />

P Silene alba I . II . . . . . . .<br />

P Quercus sp. . . . . . . . I . I<br />

P Veronica peregrina I . . . . . I . . .<br />

P Convolvulus arvensis . . . . . . I . . I<br />

Tabella 6.1 Tabella sinottica delle comunità biodeteriogene rilevate nell’area di studio.<br />

37


Le piante superiori contribuiscono alla diversità specifica dei manufatti indagati con il<br />

quota più significativa (ventidue specie sulle quarantuno complessive, pari al 54%) (cfr.<br />

Tabella 6.1). Come atteso, però, il loro apporto alla copertura complessiva delle comunità<br />

rilevate è estremamente contenuto. Le specie rilevate mostrano, di fatti, valori di<br />

copertura-abbondanza sempre inferiori a 2, cioè al 10% della copertura totale dell’area<br />

rilevata. Questo risultato, dipende dal fatto che tali entità, a differenza degli altri<br />

biodeteriogeni rilevati, non utilizzano direttamente la superficie lapidea come substrato di<br />

crescita, ma crescono prevalentemente negli interstizi ove sia riconoscibile la presenza di<br />

un minima percentuale di materiale organico o suolo. Vanno, perciò, considerate specie<br />

estranee alle comunità biodeteriogene che sono in grado, invece, di colonizzare<br />

direttamente i substrati litoidi e, perciò, nella stesura delle tabelle elaborate non sono state<br />

conteggiate nella somma delle specie complessive, se non nel P ove rappresentano la<br />

componente dominante. <strong>La</strong> specie algali sono assenti o scarsamente rappresentate in tutti<br />

i cluster, eccetto che nel cluster A, in cui raggiungono valori di copertura-abbondanza<br />

prossimi alla totalità della superficie. L’analisi dei campioni algali ha rilevato la presenza di<br />

complesse comunità dominate da Chlorophyceae e Cyanophyceae¸ rispettivamente dalle specie<br />

Chlorella sp. e Nostoc sp..<br />

Il primo cluster (Vn; Tabella 6.2) riunisce trentuno rilievi effettuati su dodici monumenti<br />

differenti. I litotipi riscontrati sono dieci, tra i quali il prevalente è l’arenaria (AR),<br />

rappresentata da otto elementi strutturali, pari al 26% dei campioni totali del gruppo; in<br />

misura minore la combinazione specifica è stata rinvenuta su breccia poligenica a cemento<br />

carbonatico (BR, sei elementi; 19%), marmo e cemento (MA e CE, cinque elementi;<br />

16%). Il numero medio di specie per rilievo è alquanto ridotto, mai superiore alle sette<br />

unità, a indicare lo spiccato carattere pioniero dei popolamenti; i rilievi 52, 68, 69 e 71<br />

presentano, per esempio, una sola specie (con valori di copertura-abbondanza assai<br />

diversificati, da + a 3). Il genere Verrucaria svolge un ruolo di pioniero nella disgregazione<br />

di rocce calcaree su cui via via possono insediarsi altri licheni, muschi e piante superiori<br />

(PIERVITTORI, 1998): questa è, probabilmente, la situazione che si riscontra nella prima<br />

sottoclasse.<br />

38


Tabella 6.2 Tipo a dominanza di Verrucaria nigrescens; A: variante monospecifica; B: variante a Caloplaca ochracea; C: variante a Lecanora dispersa.<br />

A B C<br />

N° rilievo 37 52 68 69 71 70 47 98 106 17 109 19 1 99 126 110 114 4 129 87 32 125 127 128 2 33 124 45 75 102 105 Fr. %<br />

N° scheda 21 8 24 24 24 24 8 5 20 6 20 6 1 5 12 20 17 1 12 10 21 12 12 12 1 21 12 14 28 20 20<br />

A0SX<br />

A0AN<br />

A2<br />

A1PS<br />

A1AN<br />

A0PS<br />

A0SX<br />

A2<br />

A1SX<br />

A1DX<br />

A0DX<br />

A3PS<br />

A3AN<br />

A1PS<br />

A2<br />

A3AN<br />

A1PS<br />

A0PS<br />

A0PS<br />

A1DX<br />

A2<br />

A0AN<br />

A1AN<br />

A0AN<br />

A0AN<br />

A1SX<br />

A2<br />

A1DX<br />

A1AN<br />

A2<br />

Tipo elemento A1SX<br />

AR<br />

CF<br />

Litotipo<br />

N° di specie 2 1 1 1 1 2 3 3 4 7 2 7 3 2 4 5 3 3 3 3 4 2 3 4 3 3 3 5 3 5 5<br />

AR<br />

SE<br />

AR<br />

BR<br />

SC<br />

CE<br />

BR<br />

BR<br />

BR<br />

SC<br />

AR<br />

BR<br />

TR<br />

AR<br />

AR<br />

BR<br />

CE<br />

CE<br />

AR<br />

MA<br />

MC<br />

AR<br />

CE<br />

CE<br />

MA<br />

MA<br />

MA<br />

MA<br />

GN<br />

L Verrucaria nigrescens + 3 + 1 3 2 3 4 4 4 3 2 3 3 3 3 4 + 1 1 + 3 3 3 3 2 3 2 2 3 3 100<br />

L Lecanora dispersa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 2 3 10<br />

L Caloplaca ochracea . . . . . . r r + . + 1 1 1 1 2 2 + r 1 1 . . + . . 1 + . 1 1 61<br />

L Porpidia cinereoatra . . . . . . . . + . . . + . . 1 r . . . . . . . . . . . . 1 + 19<br />

L Lecania erysibe . . . . . . . r . 1 . 1 . . . . . . . . 1 . . . . + . . . . . 16<br />

L Diploicia canescens . . . . . . . . 1 . . . . . + + . . . . . . + . . . . 1 . . . 13<br />

L Lecanora crenulata . . . . . . . . . . . r . . . + . . . . . . . . . . . + . 1 . 13<br />

L Verrucaria muralis . . . . . . 1 . . r . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 10<br />

L Caloplaca citrina . . . . . . . . . + . + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6<br />

L Haematomma ochroleucum . . . . . . . . . + . r . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6<br />

L Lecania sp. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . . . . . . 3<br />

L Verrucaria viridula . . . . . . . . . + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3<br />

A Copertura algale . . . . . + . + . . . . + . . . . . . + . . . . 1 2 . . . . . 19<br />

M Bryum capillare . . . . . . . . . + . . . . + . . + + + 1 1 1 1 1 1 2 2 + . . 45<br />

M Grimmia pulvinata + . . . . . . . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6<br />

M Tortula muralis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 . . . . . . . 3<br />

P Bromus sterilis . . . . . . . . . . r . + . . . . . . . . . . . + . . . . . + 13<br />

P <strong>La</strong>ctuca serriola . . . . . . . . . + r . . . . . . . . . . . . . . . . . . . r 10<br />

P Galium album . . . . . . . . . . 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2 . 6<br />

P Crepis sancta . . . . . . . . . . . . + . . . . . . . . . . . + . . . . . . 6


V. nigrescens è una specie ad ampia tolleranza ecologica, in grado di vivere sia in ambienti<br />

antropizzati che naturali, adattandosi a livelli di eutrofizzazione da molto debole a molto<br />

alta; è una specie subcosmopolita, comune in tutta Italia; preferisce substrati carbonatici,<br />

bagnati dalla pioggia. <strong>La</strong> variante a C. ochracea, per la valenza ecologica di questa specie,<br />

tipica di siti non o molto poco eutrofizzati, presumibilmente include le stazioni interessate<br />

da una ridotta alterazione antropogenica, mentre i tipi caratterizzati dalla diffusa presenza<br />

di L. dispersa (specie tollerante una forte eutrofizzazione) colonizzano con ogni probabilità<br />

stazioni fortemente impattate da sorgenti esogene di nutrienti.<br />

Il secondo cluster (Vl; tabella 6.3) raggruppa ventisei rilievi suddivisi tra undici<br />

monumenti funerari. Il litotipo predominante tra i sei osservati è l’AR, la quale costituisce<br />

dodici elementi strutturali, pari al 46% del totale, seguita dal laterizio (LT, otto elementi,<br />

31%). Nemmeno in questo cluster si riscontrano stadi di colonizzazione avanzati: infatti,<br />

sebbene in nessuno dei rilievi si contino meno di tre specie, il numero massimo di specie<br />

individuate in un singolo rilievo è sei (ril. x). Le specie diagnostiche sono V. nigrescens,<br />

presente in tutti i rilievi, con valori di copertura-abbondanza variabili da + a 4, C. ochracea,<br />

osservata in venticinque rilievi su ventisei (96%), con percentuali di copertura massime<br />

inferiori al 40%, e Lecanora crenulata, presente in ventuno rilievi con percentuali di<br />

copertura fino al 70%. Le specie compagne sono rappresentate dal muschio Bryum<br />

capillare, e dai licheni Caloplaca citrina e Haematomma ochroleucum, presenti rispettivamente in<br />

undici, sei e cinque rilievi, pari al 46%, 23% e 19% dei rilievi totali del cluster, ma con<br />

coperture comunque inferiori al 5%. Il cluster può essere suddiviso in tre sottogruppi. Il<br />

primo presenta un popolamento allo stadio pioniero, con coperture delle tre specie<br />

diagnostiche inferiori al 5% e pressoché totale assenza di altre specie; il secondo mostra<br />

percentuali di copertura più importanti, in particolare per V. nigrescens e L. crenulata; che<br />

sommate arrivano a coprire quasi l’intera superficie considerata; nel terzo, costituito dai<br />

rilievi 44 e 46, Diploicia canescens (cfr. Figura 2.6) è codominante di V. nigrescens, con<br />

coperture fino al 40%. In tutti i tre casi le altre specie sono sporadiche e non presentano,<br />

comunque, coperture superiori al 5%.<br />

40


Tabella 6.3 Tipo a dominanza di Verrucaria nigrescens, Caloplaca ochracea e Lecanora crenulata; A: variante pioniera; B: variante tipica; C: variante a Diploicia<br />

canescens.<br />

A<br />

B<br />

C<br />

N° rilievo 60 116 134 86 8 40 115 144 48 108 111 41 9 140 82 18 20 21 42 63 112 113 61 62 44 46 Fr%<br />

N° scheda 13 17 2 10 25 14 17 19 8 20 20 14 25 19 9 6 6 6 14 13 17 17 13 13 14 14<br />

A1SX<br />

A1DX<br />

A1PS<br />

A1DX<br />

A1SX<br />

A1DX<br />

A1SX<br />

A0SX<br />

A1SX<br />

A1PS<br />

A1AN<br />

A3PS<br />

A1AN<br />

A3AN<br />

A0PS<br />

A3PS<br />

A1SX<br />

A0PS<br />

A2<br />

A3AN<br />

A0DX<br />

A2<br />

A3AN<br />

A1PS<br />

A3PS<br />

AR<br />

Litotipo LT<br />

N° di specie 3 4 4 3 3 5 3 4 4 4 4 4 4 3 4 7 5 6 3 3 4 4 3 3 4 5<br />

AR<br />

LT<br />

LT<br />

LT<br />

LT<br />

LT<br />

AR<br />

AR<br />

AR<br />

Tipo elemento A1AN<br />

AR<br />

AR<br />

CAa<br />

CA<br />

AR<br />

AR<br />

AR<br />

CE<br />

CAa<br />

LT<br />

AR<br />

CA<br />

AR<br />

TR<br />

LT<br />

L Verrucaria nigrescens + + + + 2 2 2 1 3 2 2 3 2 2 1 2 3 4 3 1 2 3 1 1 1 1 100<br />

L Lecanora crenulata . 1 + 1 2 2 3 3 4 + + r 1 . + + r r 1 + 1 1 . . . 1 81<br />

L Diploicia canescens . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 2 8<br />

L Caloplaca ochracea + + + 1 . 1 1 1 r 1 2 2 1 1 + 1 1 + 1 + 1 + + + + 3 96<br />

L Caloplaca citrina . . . . . . . + . . . . 1 1 + 1 + + . . . . . . . . 23<br />

L Haematomma ochroleucum . . . . . . . . . . . . . . . 1 r + . . . . + r . . 19<br />

L Verrucaria viridula . . . . . . . . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . 1 8<br />

L Lecanora dispersa . . . . . . . . . + 1 . . . . . . . . . . . . . . . 8<br />

L Lecania erysibe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . + + . . . . 8<br />

L Caloplaca erythrocarpa . . . . . . . . . . . . . . . r . + . . . . . . . . 8<br />

L Verrucaria muralis . . . . . . . . r . . . . . . + . . . . . . . . . . 8<br />

L Caloplaca flavescens . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . r . 4<br />

L Verrucaria cyanea r . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4<br />

A Copertura algale . . . . . . . . . . . . . . + r . . . . . 1 . . . . 12<br />

M Bryum capillare . + r . . 1 . . . . . . . . r + + 1 . . + + . . 1 1 42<br />

M Tortula muralis . . . . . 1 . . . . . 1 . . . . . . . . . . + + . . 15<br />

M Grimmia pulvinata . . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4<br />

P Bromus sterilis . . . . r r . 1 . . . 1 . . . . . . . . . . . . . . 15<br />

P Calamintha nepeta . . . . . . . 2 . . . . . . . . r . . . . . . . . . 8<br />

P Euphorbia prostrata . . . . . . . . . . . r . . . . . . 1 . . . . . . . 8


Dato il basso limite di tolleranza di L. crenulata e C. ochracea, probabilmente il secondo<br />

sottogruppo riunisce stazioni con eutrofizzazione assente o molto bassa, mentre il terzo,<br />

caratterizzato da una specie con alta tolleranza, stazioni con eutrofizzazione più elevata.<br />

Il quarto cluster (Vm; Tabella 6.4) è costituito da sei rilievi, relativi a tre elementi<br />

strutturali in AR, due in CE e uno in TR, in quattro differenti manufatti. Si tratta di rilievi<br />

a forte dominanza di Verrucaria muralis, che raggiunge coperture del 70% (ril. 103), e di V.<br />

nigrescens, riscontrata in cinque rilievi su sei ma con coperture inferiori; in nessun rilievo<br />

sono presenti altre specie in numero superiore a due unità (tra licheni e muschi) e con<br />

coperture significative. C. ochracea è specie compagna, comparendo in quattro rilievi, ma<br />

con coperture al di sotto del 5%. Come osservato in precedenza, le Verrucarie sono<br />

pioniere nella disgregazione di rocce calcaree, sulle quali poi possono instaurarsi altri<br />

biodeteriogeni; V. muralis è specie pioniera nella colonizzazione di diversi tipi di substrati<br />

lapidei.<br />

Tabella 6.4 Tipo a dominanza di Verrucaria muralis e V. nigrescens.<br />

N° rilievo 5 11 85 12 104 103 Fr%<br />

N° scheda 1 23 10 23 20 20<br />

Tipo elemento A1SX<br />

A1AN<br />

CE<br />

A2<br />

AR<br />

A1DX<br />

CE<br />

A0PS<br />

AR<br />

A0DX<br />

AR<br />

TR<br />

Litotipo<br />

N° di specie 3 3 3 2 3 3<br />

L Verrucaria muralis 1 2 3 2 3 4 100<br />

L Verrucaria nigrescens 1 1 4 2 2 . 83<br />

L Caloplaca ochracea . + 1 . 1 1 67<br />

L Porpidia cinereoatra . . . . . 1 17<br />

M Bryum capillare + . . . . . 17<br />

A Copertura algale . . . + . . 17<br />

P Galium album . . . . 2 1 33<br />

P Silene alba . . . . 1 r 33<br />

Il quinto cluster (Co; Tabella 6.5) riunisce nove rilievi, relativi ad otto differenti litotipi,<br />

tra i quali il più rappresentato è il TR (tre elementi strutturali, considerando anche il<br />

travertino rosso, TRr), riferiti a sette monumenti diversi. Il numero di specie presenti in<br />

ciascun rilievo è basso e raggiunge il valore massimo di cinque, ma comunque con<br />

42


coperture quasi irrilevanti. Per quanto la specie dominante sia C. ochracea, essa dà luogo a<br />

coperture significative soltanto in quattro rilievi (ril. 107, 7, 6, 76), i quali costituiscono<br />

uno dei due sottogruppi del cluster. Nell’altro sottogruppo si nota una situazione di<br />

colonizzazione ai primi stadi con valori di abbondanza di C. ochracea oscillanti tra + e r e le<br />

altre specie estremamente sporadiche. Lecanora crenulata è specie compagna, presente in<br />

quattro rilievi. Le due specie non tollerano alti valori di eutrofizzazione, è possibile perciò<br />

supporre che queste formazioni siano state rilevate su manufatti non direttamente<br />

impattati da significative sorgenti esogene di nutrienti (deiezioni, concimi, fertilizzanti,<br />

ecc.).<br />

Tabella 6.5 a dominanza di Caloplaca ochracea.<br />

A B<br />

N° rilievo 3 29 64 130 132 107 7 6 76 Fr%<br />

N° scheda 1 7 15 2 2 20 3 1 28<br />

Tipo elemento A1AN<br />

A1PS<br />

BR<br />

A1AN<br />

LT<br />

TR<br />

Litotipo<br />

N° di specie 2 2 1 1 3 4 3 5 1<br />

A0PS<br />

CE<br />

L Caloplaca ochracea r + r + + 3 4 2 1 100<br />

L Lecanora crenulata r . . . r 1 . + . 44<br />

L Verrucaria muralis . . . . . . + + . 22<br />

L Lecanora sp. . . . . . . . 2 . 11<br />

L Verrucaria nigrescens . . . . . 1 . . . 11<br />

L Caloplaca citrina . r . . . . . . . 11<br />

L Porpidia cinereoatra . . . . . r . . . 11<br />

M Bryum capillare . . . . r . . + . 22<br />

M Tortula muralis . . . . . . r . . 11<br />

A1AN<br />

TR<br />

A1DX<br />

AR<br />

Il sesto cluster (Lc; Tabella 6.6) si compone di otto rilievi, rappresentanti quattro diversi<br />

manufatti; il litotipo prevalente è il TR (quattro rilievi), seguito dal MA (tre). Per tutti i<br />

rilievi si tratta di situazioni di colonizzazione allo stadio iniziale; infatti, il numero di specie<br />

per ciascun rilievo è limitato, inferiore a quattro.<br />

<strong>La</strong> specie dominante è L. crenulata, presente nella quasi totalità dei rilievi con coperture<br />

basse; le specie compagne sono Lecania erysibe e C. ochracea. Si distinguono tre sottoclassi:<br />

nella prima, composta da tre rilievi, si nota una colonizzazione di tipo pioniero di L.<br />

crenulata. Nella seconda, cui appartengono quattro rilievi, a coperture inferiori al 5% di L.<br />

crenulata si affianca come codominante Bryum capillare, con coperture equivalenti. Il rilievo<br />

A0AN<br />

TR<br />

GRr A2<br />

A3AN<br />

MA<br />

43


119 costituisce la terza sottoclasse, in cui L. crenulata è assolutamente dominante con una<br />

copertura del 30-40%. Tutt’e tre le specie preferiscono substrati di tipo calcareo, come<br />

quelli riscontrati nel cluster.<br />

Tabella 6.6 Tipo a dominanza di Lecanora crenulata. A: variante pioniera; C: variante a Bryum capillare; C:<br />

variante tipica a L. crenulata.<br />

A B<br />

C<br />

N° rilievo 35 117 120 88 133 135 89 119 Fr%<br />

N° scheda 21 34 34 11 2 2 11 34<br />

Tipo elemento A1AN<br />

MA A1PS<br />

MA A3PS<br />

CF<br />

Litotipo<br />

N° di specie 2 1 1 3 4 4 2 2<br />

L Lecanora crenulata r 1 1 1 1 + 1 3 100<br />

L Lecania erysibe . . . + + 1 . . 38<br />

L Caloplaca ochracea . . . . r + . . 25<br />

L Caloplaca citrina r . . . . . . . 13<br />

L Verrucaria nigrescens . . . . . . . r 13<br />

M Bryum capillare . . . + r + 1 . 50<br />

TR A1AN<br />

TR A1DX<br />

Al settimo cluster (Cc; Tabella 6.7) appartengono ventidue rilievi, relativi a dieci<br />

monumenti funerari e a nove differenti materiali lapidei, tra i quali il più rappresentato è il<br />

Calcare ammonitico (CAa, cinque elementi strutturali, 23%), seguito da MA (quattro<br />

elementi, 18%) e da AR, LT e micascisto (MC, tre elementi ciascuno, pari al 14%). Il<br />

cluster è caratterizzato dalla codominanza di V. nigrescens e Caloplaca citrina, presenti con<br />

coperture fino al 40%. All’interno del cluster si possono individuare tre sottogruppi: nel<br />

primo, costituito dai rilievi 39 e 43, non compare C. citrina, bensì si riscontrano coperture<br />

di V. nigrescens relativamente alte, accompagnate da coperture inferiori al 5% delle specie<br />

licheniche L. crenulata, D. canescens e Caloplaca flavescens e della briofita Bryum capillare. Nel<br />

secondo sottogruppo non vi sono altre specie con coperture significative se non le due<br />

dominanti (eccetto il rilievo 118 in cui L. crenulata copre dal 5% al 10% della superficie<br />

dell’elemento); infine, il terzo si distingue per la dominanza di C. citrina, in situazioni di<br />

popolamento pioniero (ril. 53, 66 e 78) o accompagnata da altre specie con coperture<br />

irrilevanti. C. citrina è una specie fortemente nitrofila, che cresce su una grande variabilità<br />

di substrati e tollera alti valori di eutrofizzazione; poiché anche la codominante è<br />

nitrotollerante, si può ipotizzare che i siti riuniti nel cluster siano soggetti a forte<br />

eutrofizzazione.<br />

TR A1SX<br />

TR A1DX<br />

MA A3AN<br />

44


Tabella 6.7 Tipo a dominanza di Caloplaca citrina e Verrucaria nigrescens.<br />

A B C<br />

N° rilievo 39 43 10 65 94 141 142 143 146 145 74 79 80 30 67 118 81 95 96 53 66 78 Fr%<br />

N° scheda 14 14 25 29 16 19 19 19 19 19 28 9 9 7 29 34 9 16 16 8 29 9<br />

A1AN<br />

A1DX<br />

A3PS<br />

A1PS<br />

A1DX<br />

A3AN<br />

A2<br />

A1SX<br />

A1SX<br />

A1SX<br />

A1DX<br />

A1SX<br />

A3AN<br />

A3PS<br />

A1SX<br />

A1PS<br />

A1DX<br />

A1AN<br />

A1AN<br />

A3PS<br />

A1AN<br />

MC<br />

AR<br />

Litotipo<br />

N° di specie 4 5 4 3 3 2 2 2 2 3 3 3 5 3 4 3 3 5 5 1 1 5<br />

MA<br />

GN<br />

LT<br />

LT<br />

AR<br />

MA<br />

MA<br />

BR<br />

Tipo elemento A0AN<br />

MC<br />

MC<br />

SE<br />

CAa<br />

CAa<br />

CAa<br />

CAa<br />

CAa<br />

LT<br />

MA<br />

CA<br />

AR<br />

L Caloplaca citrina . . 1 + 1 2 1 1 1 2 2 1 1 1 1 2 1 1 1 1 + 2 91<br />

L Verrucaria nigrescens 2 3 3 1 1 3 2 2 3 1 2 2 2 1 2 2 + 1 1 . . r 91<br />

L Lecanora crenulata 1 1 + r . . . . . . . . + 1 1 2 . . + . . r 45<br />

L Diploicia canescens . 1 . . r . . . . . . + r . . . + + + . . + 36<br />

L Caloplaca flavescens 1 1 . . . . . . . . . . . . . . . r . . . . 14<br />

L Caloplaca ochracea . . . . . . . . . 1 . . . . . . . . . . . . 5<br />

L Lecania erysibe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . + 5<br />

L Lecania sp. . . r . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5<br />

A Copertura algale . . . . . . . . . . 1 1 + . . . . . . . . + 18<br />

M Bryum capillare . 1 . . . . . . . . r . r . . . . + r . . . 23<br />

M Grimmia pulvinata . . . . . . . . . . . . . . + . . . . . . . 5<br />

M Tortula muralis + . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5


L’ottavo cluster (Lc; Tabella 6.8) raggruppa diciassette rilievi, provenienti da nove<br />

monumenti diversi. Tra i sette materiali rilevati, il più comune è il CE (cinque elementi,<br />

29%), seguito da TR (quattro; 24%) e CAa (tre; 18%). <strong>La</strong> specie dominante è Lecania<br />

erysibe, presente in tutti i rilievi con coperture fino al 40%.<br />

Tabella 6.8 Tipo a dominanza di Lecania erysibe. A: variante tipica; B: variante a Verrucaria nigrescens.<br />

A B<br />

N° rilievo 57 13 90 131 93 31 138 139 26 22 136 34 92 77 14 15 16 Fr%<br />

N° scheda 4 23 11 2 11 21 19 19 18 26 19 21 11 31 23 23 23<br />

Tipo elemento A1PS<br />

A1SX<br />

CE<br />

A1PS<br />

TR<br />

A0SX<br />

CE<br />

A3AN<br />

TR<br />

A0AN<br />

SC<br />

TR<br />

Litotipo<br />

N° di specie 3 2 2 1 2 3 1 4 4 4 3 2 4 5 6 2 2<br />

CAa A0PS<br />

L Lecania erysibe + 3 2 2 1 1 2 2 2 2 2 1 2 2 3 3 3 100<br />

L Verrucaria nigrescens . . . . . . . . 1 + 2 1 1 3 4 1 2 53<br />

L Caloplaca ochracea + . . . . 1 . + 1 1 + . + 2 + . . 53<br />

L Lecanora crenulata . . + . . . . r . + . . 1 1 . . . 29<br />

L Verrucaria muralis . 1 . . . . . . . . . . . . 3 . . 12<br />

L Verrucaria viridula . . . . . . . . . . . . . 2 . . . 6<br />

L Caloplaca citrina . . . . . r . . . . . . . . . . . 6<br />

L Lecanora dispersa . . . . . . . . . . . . . . + . . 6<br />

A Copertura algale . 1 . . r . . . . . . . + . r . r 29<br />

M Grimmia pulvinata + . . . + . . 1 + . . . . . . . . 24<br />

M Tortula muralis . . . . . . . . . . . . . . + . . 6<br />

P Bromus sterilis . . . . . . 2 2 1 . 3 . . . . . . 29<br />

P Oxalis corniculata . . . . . . r 1 . . . . . . . . . 12<br />

Il cluster si può suddividere in due sottoclassi: nella prima si ha una situazione di<br />

colonizzazione pioniera, in quanto per ciascun rilievo, oltre alla specie dominante, sono<br />

presenti al massimo altre tre specie, comunque con valori di copertura-abbondanza tra +<br />

e 1. Nella seconda le colonie sono più strutturate: compaiono, come specie codominante,<br />

V. nigrescens, che raggiunge il 60-70% di copertura, e, come specie compagna, C. ochracea,<br />

con coperture fino al 10%. L. erysibe è una specie fortemente nitrofila e tossitollerante,<br />

frequente in ambienti eutrofizzati e antropizzati, che si stabilisce anche su substrati<br />

artificiali come malte e cementi; è plausibile supporre che le stazioni appartenenti alla<br />

prima sottoclasse siano caratterizzati da forti depositi di sostanze azotate.<br />

Il nono cluster (A; Tabella 6.9) raggruppa gli undici rilievi caratterizzati da dominanza di<br />

alghe. Essi sono stati effettuati su nove differenti monumenti; il litotipo prevalente è lo<br />

CAa A0SX<br />

A2<br />

AR<br />

A1AN<br />

CO<br />

CAa A0AN<br />

A0SX<br />

SC<br />

A2<br />

TR<br />

TRr A2<br />

A2<br />

CE<br />

A3AN<br />

CE<br />

A3PS<br />

CE<br />

46


gneiss granitico (GN), presente in quattro elementi, pari al 36% dei rilievi, mentre gli altri<br />

sette elementi strutturali sono costituiti ciascuno da un materiale diverso. Il cluster può<br />

essere diviso in due sottoclassi: la prima mostra livelli di colonizzazione a carattere<br />

estremamente pioniero, in cui il biofilm algale, oltre a rappresentare l’unica, o quasi,<br />

categoria di biodeteriogene presente, raggiunge abbondanze trascurabili comprese tra r e<br />

+ ; nella seconda sottoclasse si nota uno stadio più avanzato di colonizzazione, con<br />

coperture assai elevate, fino all’80-100% (ril. 49 e 51), accompagnate da coperture<br />

licheniche e muscinali comprese tra r e 2. Come anticipato all’inizio del capitolo, le specie<br />

dominanti sono rappresentate da Nostoc sp. (Cyanophyceae) e da alghe verdi (Chlorella sp.)<br />

che danno origine a patine strettamente adese al substrato di colore variabile dal verdebruno<br />

brillante a tonalità scure ed opache. Risultati analoghi sono stati rilevati per la<br />

facciata del Duomo di Parma (FOSSATI ET AL., 2006).<br />

Tabella 6.9 Comunità algali. A: variante pioniera; B: variante tipica.<br />

N° rilievo 38 123 100 23 50 54 28 121 73 49 51 Fr%<br />

N° scheda 27 22 5 18 8 4 7 33 28 8 8<br />

Tipo elemento A1AN<br />

A1SX<br />

GR<br />

A B<br />

A1AN<br />

CE<br />

GN A1DX<br />

SE<br />

Litotipo<br />

N° di specie 1 1 2 1 3 7 4 2 2 2 2<br />

A Copertura algale r + + + 1 2 2 2 3 5 5 100<br />

L Caloplaca citrina . . . . + . 1 . . r . 27<br />

L Verrucaria muralis . . . . . r 1 . . . 2 27<br />

L Lecanora crenulata . . . . . . 1 r . . . 18<br />

L Verrucaria nigrescens . . . . . . . . 1 . . 9<br />

L Caloplaca ochracea . . . . . r . . . . . 9<br />

L Diploicia canescens . . . . . r . . . . . 9<br />

L Lecania erysibe . . . . . r . . . . . 9<br />

L Verrucaria viridula . . . . . r . . . . . 9<br />

M Bryum capillare . . + . 1 + . . . . . 27<br />

GN A1DX<br />

MC A0AN<br />

A1DX<br />

BR<br />

Il decimo cluster (M; Tabella 6.10) riunisce i nove rilievi a dominanza di briofite,<br />

effettuati su sei differenti monumenti funerari; i litotipi più rappresentati sono TR, AR e<br />

SE, ciascuno con due elementi strutturali. <strong>La</strong> specie dominante è Grimmia pulvinata,<br />

presente in sette rilievi (pari al 78%); il cluster si suddivide in due sottogruppi: nel primo<br />

l’unico muschio presente è G. pulvinata, che raggiunge coperture pari al 40%, associato a<br />

specie licheniche poco rilevanti, sia per numero che per copertura (abbondanze r o +). Il<br />

MA A1AN<br />

A1DX<br />

SE<br />

GN A1AN<br />

GN A1SX<br />

47


secondo sottogruppo vede la codominanza di G. pulvinata con Bryum capillare, presente con<br />

coperture maggiormente rilevanti (fino al 10%), mentre sono pressoché assenti altri<br />

biodeteriogeni. G. pulvinata è una specie abbondantemente diffusa nei contesti urbani,<br />

anche se si rileva con facilità in ambienti naturali, specialmente su rocce assolate. È specie<br />

epilitica tipica di substrati basici, frequentemente rilevata anche su materiali artificiali; da<br />

origine, come l’affine Tortula muralis, a cuscinetti caratterizzati da uno spesso feltro,<br />

costituito dalle parti apicali morte delle foglioline, che le permettono di adattarsi e<br />

sopravvivere in contesti ambientali estremi come quelli analizzati, caratterizzati da<br />

prolungati periodi di aridità (TOMASELLI, 2006). Bryum capillare, analogamente a G.<br />

pulvinata e T. muralis, è specie tipica di substrati litici e si rinviene frequentemente su<br />

manufatti artificiali accompagnata dalle suddette specie. Si tratta di una entità mesofila, ad<br />

ampia distribuzione (cosmopolita) e tendenzialmente nitrofila (VIANELLO, 1979).<br />

Tabella 6.10 Comunità muscinali:.A: variante a Grimmia pulvinata; B: variante a Bryum capillare.<br />

A B<br />

N° rilievo 24 55 27 36 83 56 91 58 84 Fr%<br />

N° scheda 18 4 7 21 10 4 11 4 10<br />

Tipo elemento A1PS<br />

A1AN<br />

TR<br />

GN<br />

Litotipo<br />

N° di specie 1 4 4 3 1 2 1 3 2<br />

M Grimmia pulvinata r + 1 1 3 1 . 2 . 78<br />

M Bryum capillare . . . . . 1 1 2 2 44<br />

L Caloplaca ochracea . r r . . . . r + 44<br />

L Caloplaca citrina . . + r . . . . . 22<br />

L Lecanora crenulata . r + . . . . . . 22<br />

L Verrucaria muralis . . . + . . . . . 11<br />

L Verrucaria nigrescens . r . . . . . . . 11<br />

A Copertura algale . r . r . . . . . 22<br />

A1AN<br />

BR<br />

Il terzo cluster (P) aggruppa i rilievi a dominanza di piante superiori, provenienti da<br />

altrettanti manufatti. I litotipi prevalenti sono di tipo silicatico (granito: GR; GN;<br />

granulite: GRte). I rilievi 59 e 97 presentano elevate coperture (fino al 70%) di Hedera<br />

helix, che utilizza il substrato non come fonte nutrizionale, bensì come supporto, mentre<br />

sono pressoché assenti altre specie. Negli altri rilievi sono presenti diverse specie di piante<br />

superiori (tra cui Bromus sterilis, <strong>La</strong>ctuca serriola e Setaria viridis) con percentuali di copertura<br />

che non superano il 10%, mentre le specie licheniche sono assenti o poco rilevanti per<br />

copertura e numero; questo è dovuto al fatto che le piante superiori non crescono sulla<br />

A1PS<br />

CF<br />

A1DX<br />

AR<br />

A1DX<br />

SE<br />

A1SX<br />

TR<br />

A1SX<br />

SE<br />

A1SX<br />

AR<br />

48


superficie del lapideo come i licheni, bensì negli interstizi. Si nota inoltre che per i litotipi<br />

di tipo silicatico (ril. 25, 72, 101, 122) non si riscontrano specie licheniche, a sottolineare la<br />

resistenza alla colonizzazione da parte di queste rocce.<br />

49


7. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI<br />

Osservando la tabella sinottica (Tabella 6.1) si nota la preponderanza in termini di<br />

frequenza del genere Verrucaria. In particolare, Verrucaria nigrescens raggiunge la classe V di<br />

frequenza nei tre cluster più numerosi (Vn, Vl e Cc) e nel cluster Vm, in cui anche a<br />

Verrucaria muralis è attribuita una classe V. Le altre specie rilevate di sicuro interesse, data<br />

la loro ampia diffusione nell’area della <strong>Villetta</strong>, sono Caloplaca ochracea, C. citrina e Lecanora<br />

crenulata. Tali risultati sono in linea con i dati di letteratura disponibili per contesti<br />

territoriali comparabili, dati peraltro assai scarsi; per esempio NASCIMBENE & SALVADORI<br />

(2008), nell’ambito della caratterizzazione delle comunità licheniche dell’apparato<br />

scultoreo di tre ville settecentesche del Triveneto (Veneto e Friuli-Venezia Giulia), hanno<br />

rilevato cenosi dominate da V. nigrescens e C. citrina.<br />

V. nigrescens è una delle Verrucarie più comuni in ambienti antropizzati, ha un’ampia<br />

tolleranza ecologica e può avere un’elevata tolleranza all’eutrofizzazione; preferisce<br />

substrati calcarei o superfici sulle quali sia presente polvere calcarea, preferibilmente<br />

esposte in pieno sole, ma bagnate spesso dalla pioggia (NIMIS ET AL., 1992). E’ riscontrata<br />

nella provincia di Parma da AVETTA (1898), come V. controversa, in un con<strong>testo</strong> naturale<br />

(su un sasso). V. muralis presenta caratteristiche simili, ma non tollera alti livelli di<br />

eutrofizzazione; è presente nell’elenco di AVETTA (1898), rilevata sui ruderi del Castello di<br />

Tabiano.<strong>La</strong> forte presenza di Verrucarie si può attribuire al con<strong>testo</strong> di conservazione in<br />

cui si trovano i monumenti: il cimitero è un sito costantemente frequentato e, pertanto,<br />

sottoposto a regolare manutenzione, sia da parte dell’ente pubblico, sia dei privati<br />

proprietari dei monumenti funerari. Tale manutenzione non crea una situazione ottimale<br />

per lo sviluppo delle comunità licheniche, le quali sono qui strutturate in maniera<br />

differente rispetto a un con<strong>testo</strong> naturale. In particolare si osservano in molti dei cluster<br />

situazioni di popolamento allo stadio pioniero, spesso in cui la sola specie presente è una<br />

Verrucaria, genere che, come è ampiamente trattato, va considerato pioniero nella<br />

colonizzazione di substrati lapidei ed è fortemente tollerante situazioni di stress. Pertanto,<br />

a causa dei ripetuti interventi di pulitura delle superfici, non è possibile osservare<br />

popolamenti ben strutturati, mentre questo genere è il più rilevato in quanto è quello che,<br />

con ogni probabilità, resiste maggiormente nel con<strong>testo</strong> della <strong>Villetta</strong> alle perturbazioni<br />

50


antropiche o che ricolonizza più velocemente il substrato (NASCIMBENE & SALVADORI,<br />

2008).<br />

Caloplaca ochracea è presente con classe IV o V nei primi quattro cluster (Vn, Vl, Vm e Co),<br />

nei primi tre in compresenza con alte frequenze di Verrucarie; infatti, anch’essa è una<br />

specie calcicola e spesso è associata a Verrucariacee.<br />

Lecanora crenulata presenta classe V nei cluster Vl, Co e Lc, nei primi due con elevate<br />

frequenze di altre specie licheniche; si sviluppa preferibilmente su substrati carbonatici,<br />

con scarso accumulo di nitrati; è indicato da AVETTA (1898) come Lecanora caesio-alba.<br />

Caloplaca citrina raggiunge una classe V nel cluster Cc; nonostante il cluster nel<br />

dendrogramma si collochi distante da quelli con forte presenza di Verrucarie, anche qui<br />

V. nigrescens presenta classe V. C. citrina è la Caloplaca più diffusa in ambienti antropizzati;<br />

è una specie fortemente nitrofitica, favorita dagli apporti di urina; avendo basso potere<br />

concorrenziale tende a formare popolamenti quasi puri, descritti come Caloplacetum citrinae,<br />

oppure è presente con coperture ridotte in popolamenti di licheni calcicoli nitrofili (NIMIS<br />

ET AL., 1992). Quest’ultimo è il caso del cluster Cc, in cui infatti non presenta valori di<br />

copertura particolarmente elevati. Dato il forte potere concorrenziale di V. nigrescens in un<br />

con<strong>testo</strong> sottoposto a frequenti manutenzioni, è possibile ipotizzare che in con<strong>testo</strong> di<br />

abbandono si profilerebbe una situazione di Caloplacetum citrinae.<br />

Lecania erysibe rientra in una classe di frequenza V nel cluster Le; si tratta di un lichene<br />

alquanto frequente in ambienti antropizzati, fortemente nitrofilo, molto tossitollerante,<br />

che preferisce substrati calcarei, anche artificiali.<br />

Tabella 7.1 Caratteristiche preponderanti per ciascun tipo di comunità. Per le sigle cfr. dendrogramma<br />

(Figura 6.1) e Tabella 4.1. Si: rocce silicatiche; Ca: rocce carbonatiche.<br />

VARIABILI AMBIENTALI<br />

Elemento<br />

Ombreggia<br />

TIPI strutturale Natura Substrato Categoria Esposizione mento Inclinazione<br />

Vn A1 N AR Si E 60-80% 90°<br />

Vl A1 N AR Si S 0-20% 90°<br />

Vm A1 N AR Si O 60-100% 90°<br />

Co A1 N TR Ca S - 90°<br />

Lc A1 N TR Ca E/N/O/S 80-100% 90°<br />

Cc A1 N CAa Ca E/S 60-100% 90°<br />

Le A0 N CE Ca S 80-100% 0°<br />

A A1 N GN Si N 80-100% 90°<br />

M A1 N - Si N/O 80-100% 90°<br />

P A1 N GRte Si N 60-80% 90°<br />

Nv A1 N SE Si E 80-100% 90°<br />

51


In termini numerici assoluti l’elemento strutturale A1 è quello più rappresentato<br />

all’interno di tutti i cluster, eccetto Le in cui è A0. Ciò è dovuto al fatto che<br />

complessivamente non è stato effettuato lo stesso numero di rilievi su ogni tipo di<br />

elemento strutturale, in quanto alcuni elementi strutturali non sempre sono presenti<br />

oppure sono difficilmente campionabili (per esempio l’elemento A2 nelle tipologie a<br />

cappella). Data la dominanza dell’elemento A1, l’inclinazione a 90° rispetto al suolo è la<br />

prevalente (Figura 7.1).<br />

\<br />

Muschi Cc Co Lc<br />

Le<br />

Vl Vm<br />

0<br />

5<br />

Figura 7.1 Classi di inclinazione per tipi di comunità (Muschi e comunità licheniche). Per le sigle cfr.<br />

Figura 6.1.<br />

Non si riscontra un legame diretto tra classe litologica e grado di colonizzazione; infatti,<br />

sebbene la maggior parte dei licheni rilevati sui manufatti siano calcicoli, i materiali sui<br />

quali crescono hanno differenti composizioni; l’arenaria e le pietre silicatiche sono quelle<br />

più rappresentate nei cluster, ma ciò è dovuto alla predominanza, come già detto, dell’AR<br />

come materiale di rivestimento e di decorazione all’interno del set di manufatti della<br />

<strong>Villetta</strong> indagati (Figura 7.2). Più influente sui livelli di colonizzazione pare essere il tipo<br />

di lavorazione a cui è sottoposta la superficie; i due principali litotipi presenti nel set sono<br />

di origine sedimentaria: AR (SED Si) e TR (SED Ca), entrambe le tipologie presentano<br />

superfici scabre in grado di trattenere acqua e sostanza organica. Nel cluster caratterizzato<br />

10<br />

30<br />

75<br />

80<br />

90<br />

Vn<br />

52


da colonizzazione algale vi è predominanza di GN, lavorato però a spacco e non levigato.<br />

E’ importante notare, invece, che il gruppo di rilievi che non presentano alcuna<br />

colonizzazione, è predominato da serpentinite e serpentinoscisto (SE), i quali, levigati e<br />

lucidati, sono particolarmente refrattari alla colonizzazione biologica.<br />

Muschi Cc Co Lc<br />

Le<br />

SED Si (AR)<br />

MET Ca (MA)<br />

Vl<br />

MAG Si (GR, GRr)<br />

LT<br />

CE<br />

Vm<br />

Figura 7.2 Classi di substrato lapideo per tipi di comunità (Muschi e comunità licheniche). Per le sigle cfr.<br />

Figura 6.1. SED: rocce sedimentarie; MET: rocce metamorfiche; MAG: rocce magmatiche; Si: rocce<br />

silicatiche; Ca: rocce carbonatiche; CE: cemento; CO: conglomerato; LT: laterizio.<br />

Nemmeno l’orientamento rispetto ai punti cardinali è particolarmente significativo; infatti,<br />

in alcuni cluster non vi è un orientamento prevalente, mentre in altri non rispecchia le<br />

esigenze edafiche degli organismi. E’ interessante, invece, il fatto che i tipi ad alghe e<br />

muschi, organismi particolarmente idrofili, presentino come orientamenti predominanti<br />

rispettivamente nord e nord-ovest, in cui, soprattutto nel periodo estivo, in cui sono stati<br />

effettuati i rilievi, si accumula maggiormente l’umidità. Al contrario, il gruppo di elementi<br />

non colonizzati, presenta orientamento prevalente est.<br />

Quasi la totalità dei gruppi presenta valori di ombreggiamento compresi tra il 60% e il<br />

100%, compreso il gruppo privo di colonizzazione; il dato perciò non si può correlare a<br />

valori di umidità maggiori, che favorirebbero la crescita di organismi, ma semplicemente a<br />

Vn<br />

SED Ca (CA; CAa; CF; BR; TR; TRr; CO)<br />

MET Si (GN; GRte; MC; QU; SC; SE)<br />

53


una condizione generale di ombreggiamento, dovuto principalmente alle ridotte distanze<br />

tra un monumento funerario e l’altro, all’interno del cimitero (Figura 7.3). Dei rimanenti<br />

gruppi, uno non è dominato da una categoria prevalente di ombreggiamento, mentre<br />

l’altro mostra ombreggiamento predominante tra lo 0 e il 20%, senza che le specie in esso<br />

presenti siano particolarmente eliofile.<br />

Muschi Cc Co Lc<br />

Le Vl Vm<br />

0-20 %<br />

20-40 %<br />

40-60 %<br />

60-80 %<br />

80-100 %<br />

Figura 7.3 Classi di ombreggiamento per tipi di comunità (Muschi e comunità licheniche). Per le sigle cfr.<br />

Figura 6.1.<br />

I diagrammi ottenuti applicando il MDS confermano le considerazioni sopra riportate. Se<br />

analizziamo, infatti, la distribuzione dei popolamenti rispetto alla tipologia del substrato<br />

(Figura 7.4), all’ombreggiamento (Figura 7.5a) e all’esposizione (Figura 7.5b) non è<br />

possibile riconoscere un gradiente distributivo chiaro, anzi l’arrangiamento spaziale dei<br />

punti sembra essere completamente casuale. Ovviamente, tali considerazioni sono<br />

fortemente vincolate al numero relativamente ridotto di casi indagati nell’ambito dell’area<br />

di studio. Per giungere a risultati robusti è essenziale ampliare il numero di manufatti da<br />

indagare, equilibrare i gruppi tipologici rilevati in modo da creare gruppi di dati<br />

comparabili in termini dimensionali, e integrare il set di variabili edafiche su cui testare il<br />

MDS.<br />

Vn<br />

54


In definitiva, non si riescono a individuare variabili ambientali ed edafiche in grado di<br />

spiegare la distribuzione delle colonie di biodeteriogeni all’interno dell’area di studio; non<br />

sembrano esserci differenze significative, in termini di paramenti micro-edafici, tra i tipi<br />

individuati in base alla Cluster Analysis. Nel cimitero della <strong>Villetta</strong> si riuniscono una<br />

quantità di litotipi originari di diverse zone d’Italia e del mondo, che in natura sono posti<br />

all’interno di climi molto differenti tra loro e a distanze rilevanti; il fatto che non si<br />

riscontrino preferenze statisticamente significative per substrato, ombreggiamento ed<br />

esposizione da parte delle differenti comunità rilevate, porta a credere che vi siano altre<br />

variabili, rispetto a quelle indagate, capaci di spiegare tale arrangiamento spaziale.<br />

Figura 7.4 Ordinamento del MDS applicato alle classi di substrato lapideo; per le sigle cfr. Figura 6.1. SED:<br />

rocce sedimentarie; MET: rocce metamorfiche; MAG: rocce magmatiche; Si: rocce silicatiche; Ca: rocce<br />

carbonatiche; CE: cemento; LT: laterizio.<br />

Tra i fattori che potrebbero influenzare significativamente lo sviluppo dei biodeteriogeni<br />

all’interno dell’Ottagono va valutato l’effetto riconducibile all’inquinamento atmosferico;<br />

come si evince dall’indice lichenico calcolato sulla base delle comunità rilevate sulle pietre<br />

della facciata del Duomo di Parma (FOSSATI ET AL., 2006), l’ambiente cittadino risulta<br />

avere una qualità ambientale estremamente carente a causa dell’elevato inquinamento<br />

atmosferico (Indice di Purezza dell’Aria, I.A.P.< 5; purezza molto scarsa). E’ proprio<br />

l’inquinamento uno dei fattori chiave, apparentemente, nel modulare lo sviluppo delle<br />

colonie di licheni sui monumenti del cimitero: non vi è rilevata una grande diversità<br />

specifica (sono state individuate soltanto sedici specie) a fronte di un’ampissima gamma di<br />

55


substrati e nicchie ecologiche colonizzabili. Lo spiccato carattere eutrofico della maggior<br />

parte dei popolamenti rilevati, deducibile direttamente dal corteggio floristico dei rilievi<br />

medesimi, sostanzia ulteriormente le riflessioni relative all’incidenza delle deposizioni<br />

atmosferiche, da un lato, e dell’intensa frequentazione antropica del sito dall’altro, sulla<br />

struttura e composizione delle comunità.<br />

a<br />

b<br />

Figura 7.5 a: ordinamento del MDS applicato alle classi di ombreggiamento; b: ordinamento applicato alle<br />

classi di esposizione, per oriz si intendono gli elementi A2 che, essendo elementi orizzontali al terreno<br />

(lastre) non presentano una specifica esposizione.<br />

Le perturbazioni antropiche, in termini di manutenzione, rappresentano, infatti, un<br />

ulteriore driving force nel modulare la presenza e la natura della colonizzazione lichenica.<br />

56


Inquinamento e manutenzione deprimono lo sviluppo dei licheni meno resistenti,<br />

favorendo l’affermazione dei taxa generalisti ad ampia distribuzione, più resistenti e meno<br />

selettivi nei confronti del substrato, come per esempio, appunto, Verrucaria nigrescens. In<br />

tali contesti, specie che vengono comunemente considerate calcicole si possono ritrovare<br />

abbondantemente anche su substrati di natura silicatica, andando, quindi, a occupare<br />

nicchie ecologiche normalmente popolate da altre specie.<br />

In conclusione, quindi, l’analisi del dataset raccolto nell’ambito del presente lavoro di tesi<br />

evidenza una ridotta diversità specifica dei biodeteriogeni all’interno dell’Ottagono della<br />

<strong>Villetta</strong>. Alla scarsa diversità rilevata, si accoppia la paucispecificità dei popolamenti, che<br />

appaiono strutturalmente assai semplificati e vanno, dunque, considerati nei primissimi<br />

stadi evolutivi (sotto forma di comunità pioniere). L’analisi dei dati mediante statistica<br />

multivariata (MDS) non ha permesso di riconoscere le forzanti micro-edafiche che<br />

influenzano la distribuzione dei tipi individuati sulla base della Cluster Analysis. <strong>La</strong> scarsa<br />

purezza dell’aria (elevati tenori di inquinamento atmosferico) e la pesante manomissione<br />

antropica e la continua frequentazione dell’area potrebbero essere indicate, in via<br />

preliminare, quali cause prevalenti di quanto rilevato. In merito al grado di deterioramento<br />

osservato, la forma prevalente è rappresentata dalla colonizzazione lichenica, cui si associa<br />

una significativa potenzialità “biodegenerativa”. Nonostante ciò, recenti indagini hanno<br />

evidenziato la scarsissima efficacia degli interventi “classici” di rimozione dei licheni, anzi<br />

hanno rilevato la potenziale negatività di tali procedure sulla conservazione a lungo<br />

termine dei manufatti in contesti ambientali. Tali considerazioni impongono di procedere<br />

ad approfondite riflessioni prima di attuare interventi di restauro limitati alla rimozione<br />

delle comunità di biodeteriogeni superficiali, al fine di superare un approccio puramente<br />

estetico ed approdare, quindi, ad una visione olistica del manufatto storico-archeologico<br />

che non trascuri gli aspetti ecosistemico-ambientali, cioè che non disconosca le relazioni<br />

intercorse tra manufatto ed ambiente.<br />

57


Ringraziamenti<br />

Doverosi ringraziamenti al Comune di Parma, che ha finanziato la presente ricerca<br />

nell’ambito del progetto Studio delle cause e dei processi di degrado dei materiali di finitura e<br />

ornamento delle architetture funerarie nell’Ottagono della <strong>Villetta</strong>; al dott. Alessandro Petraglia per<br />

la determinazione dei campioni di muschi raccolti nel corso della campagna di<br />

rilevamento in situ; al dott. Andrea Piotti per l’ausilio prodigato a supporto delle analisi<br />

statistiche applicate al database dei rilievi floristico-vegetazionali (MDS); alla sig.ra Maria<br />

Luigia Borghi per i preziosi consigli offerti nel corso della determinazione delle piante<br />

superiori. Ringrazio, inoltre, il gruppo <strong>La</strong>pidei del Progetto <strong>Villetta</strong> per la collaborazione e<br />

il confronto, in particolare in fase di rilievo.<br />

Un grazie va alle mie colleghe Luisa, Monia e Natascia per la comprensione e la<br />

disponibilità, soprattutto nelle ultime fasi di redazione della tesi; alla zia per i consigli sulla<br />

compilazione della bibliografia; ad Alice e Nadia per l’ospitalità durante le trasferte a<br />

Parma.<br />

Il ringraziamento più grande va a Gilberto, per avermi sostenuto psicologicamente e<br />

materialmente in questi due anni di studi, aiutandomi a superare i momenti di sconforto e<br />

a ritrovare la fiducia nelle mie capacità.<br />

58


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61


Data Scheda Collocazione Tomba Tipologia<br />

Localizzazione<br />

Localizzato<br />

Copertura-abbondanza<br />

Presenza di SO<br />

Tipologia colonia<br />

Nome<br />

Biodeteriogeni<br />

Colonizzazione<br />

Inclinazione<br />

% Ombreggiamento<br />

Natura ombreggiamento<br />

Dimensioni<br />

Struttura<br />

Natura<br />

Posizione<br />

Elementi strutturali<br />

bassa<br />

media<br />

alta<br />

sì<br />

no<br />

r, +,<br />

1, 2,<br />

3, 4,<br />

5<br />

sì<br />

no<br />

adeso<br />

interstizi<br />

discont.<br />

misto<br />

A<br />

L<br />

M<br />

P<br />

A<br />

L<br />

M<br />

P<br />

0-20, 20-40,<br />

40-60, 60-<br />

80, 80-100%<br />

N<br />

A<br />

0-1 m<br />

1-3 m<br />

>3 m<br />

S<br />

C<br />

A<br />

N<br />

AN<br />

PS SX<br />

DX<br />

A0 A1<br />

A2 A3<br />

1<br />

2<br />

3<br />

4<br />

5<br />

6<br />

7<br />

8<br />

9<br />

10<br />

11<br />

12<br />

13<br />

14<br />

15<br />

16<br />

17<br />

18<br />

19<br />

20<br />

21<br />

22<br />

23<br />

24<br />

25<br />

26


Allegato 2 Database dei biodeteriogeni in Excel

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