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Scritture brevi di oggi - L'Orientale

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<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

a cura <strong>di</strong><br />

Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo Zanzotto<br />

Quaderni <strong>di</strong> Linguistica Zero<br />

Napoli 2012


<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>, a cura <strong>di</strong> Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo<br />

Zanzotto<br />

Quaderni <strong>di</strong> Linguistica Zero, numero 1<br />

Napoli, 2012<br />

ISBN: 978-­‐88-­‐6719-­‐017-­‐1<br />

Linguistica Zero, Rivista del Dottorato in Teoria delle lingue e del linguaggio<br />

dell’Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli “L’Orientale”<br />

Direttore: Domenico Silvestri<br />

Redazione: Domenico Silvestri, Cristina Vallini, Rossella Bonito Oliva,<br />

Alberto Manco.<br />

In<strong>di</strong>rizzo: Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli “L’Orientale”, Dipartimento <strong>di</strong><br />

Stu<strong>di</strong> Letterari, Linguistici e Comparati, via Duomo 319 -­‐ 80138 Napoli.<br />

ISSN: 2038-­‐8675<br />

e-­‐mail: lz@unior.it<br />

web: www.lz.unior.it<br />

La presente pubblicazione è stata preventivamente sottoposta a revisione esterna da parte<br />

della redazione <strong>di</strong> Linguistica Zero, ricevendo giu<strong>di</strong>zio positivo.<br />

Copyright © Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli “L’Orientale”<br />

I <strong>di</strong>ritti degli autori sono regolati dalla Legge 22 aprile 1941, n. 633 e successive mo<strong>di</strong>fiche e<br />

dalle relative <strong>di</strong>sposizioni comunitarie, oltre che dal Titolo IX del Libro Quinto del Co<strong>di</strong>ce<br />

Civile. Si fa inoltre riferimento al quadro normativo relativo alle pubblicazioni scientifiche<br />

open access.


Sommario<br />

Premessa, Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo Zanzotto 3<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema, Francesca Chiusaroli 4<br />

Microantroponimi del XXI secolo, Enzo Caffarelli 45<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali: un nuovo percorso verso<br />

l’appren<strong>di</strong>mento e la creatività, Andrea Granelli 69<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato, Francesca M. Dovetto 90<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale, Lucia <strong>di</strong> Pace<br />

e Rossella Pannain 108<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica,<br />

Roberto Reali 129<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo,<br />

Sergio Marroni 147<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano. Un<br />

problema <strong>di</strong> interpretazione linguistica e culturale, Matteo Lefèvre 173<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>, Felicia Logozzo 192<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study, Fabio Massimo<br />

Zanzotto & Marco Pennacchiotti 208


Premessa<br />

La riflessione iniziata con i workshop “<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong>” – 1° workshop:<br />

Roma Tor Vergata, 22 febbraio 2011; 2° workshop: Roma Tor Vergata e<br />

Società Geografica Italiana, 12-­‐‑13 aprile 2011; 3° workshop: Roma Tor<br />

Vergata, 16-­‐‑17-­‐‑18 maggio 2011 (https://sites.google.com/site/scritture<strong>brevi</strong>/)<br />

– conosce ora nuova circostanza <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento con la presente<br />

pubblicazione, che costituisce il primo numero <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> tre quaderni<br />

monografici <strong>di</strong> Linguistica Zero de<strong>di</strong>cati ancora a questo tema.<br />

Si troveranno, in queste se<strong>di</strong>, gli scritti dei Maestri e dei Colleghi che<br />

sono stati relatori e nostri interlocutori nell’organizzazione degli incontri<br />

seminariali. Desideriamo ringraziarli per avere accolto anche questo<br />

secondo invito a prendere parte alla nostra ricerca comune. Ringraziamo<br />

anche i Colleghi che, pur relatori, non hanno potuto, solo per impe<strong>di</strong>menti<br />

<strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne pratico, consegnare i loro contributi.<br />

Come abbiamo ripetuto ad ogni incontro, nostra intenzione era che il<br />

tema si sviluppasse, a partire dall’etichetta da noi proposta, secondo le<br />

specifiche competenze e i “punti <strong>di</strong> vista”, e che le <strong>di</strong>verse prospettive<br />

emerse confluissero componendo un comune quadro <strong>di</strong> insieme. In<br />

particolare ci interessava evidenziare la <strong>di</strong>mensione multi<strong>di</strong>sciplinare come<br />

potenziamento dell’indagine, a partire dalle aree della linguistica e<br />

dell’ingegneria informatica, <strong>di</strong> rispettiva pertinenza dei promotori<br />

dell’iniziativa. Come abbiamo verificato nel corso degli incontri, e come<br />

<strong>di</strong>mostrano le redazioni scritte, tutte le aspettative si sono ampiamente<br />

compiute.<br />

Con sincera sod<strong>di</strong>sfazione possiamo dunque ora licenziare questo<br />

primo quaderno de<strong>di</strong>cato alle “scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>”, non senza però aver<br />

ringraziato la rivista Linguistica Zero e in particolare il Direttore, il Prof.<br />

Domenico Silvestri, il quale non ci ha mai fatto mancare il Suo sostegno,<br />

fino ad offrirci generosamente lo spazio e<strong>di</strong>toriale. La Sua competenza e il<br />

Suo prestigio, così come la <strong>di</strong>sponibilità dei membri della Redazione, ci<br />

rendono onorati <strong>di</strong> poter usufruire <strong>di</strong> questa sede <strong>di</strong> pubblicazione.<br />

28 agosto 2012<br />

Francesca Chiusaroli e Fabio Massimo Zanzotto


Abstract<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>:<br />

tra convenzione e sistema<br />

Francesca Chiusaroli<br />

L’espressione “scritture <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>” è intesa a definire forme grafiche sintetiche<br />

introdotte negli ultimi decenni nella scrittura della cosiddetta comunicazione<br />

me<strong>di</strong>ata dal computer (CMC). Ab<strong>brevi</strong>azioni e acronimi, segni e simboli, ricorrenti<br />

in e-­‐‑mail, sms, chat, instant messaging, sono solitamente considerati una singolarità<br />

delle giovani generazioni, o spesso ritenuti errori grafici illogici ed incongruenti;<br />

tuttavia una loro analisi funzionale nella catena e nel sistema, insieme a un<br />

confronto fra sistemi grafici in sincronia e in <strong>di</strong>acronia, mostrano la coesistenza <strong>di</strong><br />

tipi universali e un equilibrio permanente tra forme gergali o i<strong>di</strong>oletti e norma<br />

ideale, agli scopi della pragmatica della comunicazione nel dominio della rete.<br />

Parole chiave: scritture <strong>brevi</strong>, lingua <strong>di</strong> internet, socio-­‐‑pragmatica della<br />

comunicazione scritta, storia e tipologia della scrittura<br />

The notion of "ʺshort writings today"ʺ refers here to synthetic graphic forms<br />

introduced in recent decades in the writing of the so-­‐‑called Computer-­‐‑Me<strong>di</strong>ated<br />

Communication (CMC). Ab<strong>brevi</strong>ations and acronyms, signs and symbols,<br />

occurring in e-­‐‑mails, sms, chats, instant messaging, are usually considered as an<br />

od<strong>di</strong>ty of the younger generations, illogical and incongruent writing mistakes,<br />

wherever a functional analysis in language chain and system, together with a<br />

comparison between writing systems in <strong>di</strong>achrony and synchrony, show the<br />

coexistence of universal typologies and a permanent balance between slang, i<strong>di</strong>olect<br />

and the ideal norm, relevant to the main purposes of the pragmatics of<br />

communication in the web domain.<br />

Keywords: short writings, language of the Internet, sociopragmatics of written<br />

communication, history and typology of writing<br />

1. Oggetto della ricerca<br />

La nozione <strong>di</strong> “scritture <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>” definisce in questa sede formazioni<br />

grafiche a marca sintetica introdotte negli ultimi decenni nella scrittura


F. Chiusaroli 5<br />

dalla cosiddetta Computer-­‐‑Me<strong>di</strong>ated Communication (CMC), che è<br />

l’interscambio comunicativo a <strong>di</strong>stanza promosso dall’uso delle moderne<br />

tecnologie informatiche.<br />

Costituiscono oggetto precipuo della presente ricerca le ab<strong>brevi</strong>azioni e<br />

le forme accorciative nella comunicazione scritta in uso soprattutto da parte<br />

<strong>di</strong> utenti delle giovani generazioni in messaggi e-­‐‑mail, sms, chat, instant<br />

messaging, questi elencati secondo l’or<strong>di</strong>ne crescente della presenza<br />

quantitativa delle forme nei tipi testuali.<br />

Si tratta <strong>di</strong> una manifestazione originata nel gergo giovanile, ben nota<br />

agli utenti della rete e, con valenza negativa, ai detrattori degli effetti<br />

dell’era <strong>di</strong>gitale sulla lingua <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>.<br />

Come riflette David Crystal (2008), non vi è attualmente argomento che<br />

susciti maggiore “moral panic”, o più intensa contrarietà, ed opposizione,<br />

tra la popolazione adulta, che la serie delle accorciature grafiche utilizzate<br />

per lo più dai giovani nella tipica scrittura per sms, ciò che in italiano si<br />

chiama “il messaggiare” e in inglese va sotto il nome <strong>di</strong> texting.<br />

Nel 2007, in un articolo <strong>di</strong> giornale, I h8 txt msgs: How texting is wrecking<br />

our language (http://www.dailymail.co.uk/news/article-­‐‑483511/I-­‐‑h8-­‐‑txt-­‐‑msgs-­‐‑How-­‐‑<br />

texting-­‐‑wrecking-­‐‑language.html), John Humphrys definiva i texters come<br />

the SMS vandals who are doing to our language what Genghis Khan <strong>di</strong>d to his<br />

neighbours 800 years ago. They are destroying it: pillaging our punctuation;<br />

savaging our sentences; raping our vocabulary. And they must be stopped. This, I<br />

grant you, is a tall order. The texters have many more arrows in their quiver than<br />

we who defend the old way. Ri<strong>di</strong>cule is one of them. “What! You don'ʹt text. What<br />

century are you living in then, granddad? Need me to sharpen your quill pen for<br />

you?”<br />

La <strong>di</strong>ffidenza non è priva <strong>di</strong> motivazioni.<br />

Famosa è ormai la pagina <strong>di</strong> Yahoo answers che riporta un naturale<br />

scambio <strong>di</strong> informazioni su tale<br />

Nino Biperio o Bixio, nato a Genova, il 2 ottobre 1821, e morto all’Isola <strong>di</strong> Sumatra il<br />

16 <strong>di</strong>cembre 1873, militare e politico italiano, oltreché un personaggio-­‐‑chiave del<br />

Risorgimento…<br />

http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20080201051946AAsyWnP<br />

Tra le spiegazioni della identificazione “Biperio/Bixio” vi è la notizia,<br />

riportata da Giampaolo Pansa (Viva Nino Biperio, “L’Espresso”, Bestiario


6<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

dell’1 settembre 2006), <strong>di</strong> una studentessa universitaria ripresa all’esame <strong>di</strong><br />

Storia del Risorgimento:<br />

“Chi è questo Biperio?” domanda, stupito, il docente. Poi si scopre che si tratta <strong>di</strong><br />

Nino Bixio: la ragazza era convinta che la “x” significasse “per”. La <strong>di</strong>fesa: “Sì,<br />

scusi, ci deve essere stato qualche problema nella trascrizione degli appunti.”<br />

Su reali apprensioni si fonda la preoccupazione degli intellettuali per le<br />

con<strong>di</strong>zioni della o<strong>di</strong>erna civiltà virtuale (Simone 2000 e 2012; Carr 2011) e<br />

per gli effetti sull’educazione delle giovani generazioni. Tra le elencate<br />

“calamità” Umberto Eco denuncia la pratica del messaggiare:<br />

Penso che Michel Serres sia la mente filosofica più fine che esista <strong>oggi</strong> in Francia, e<br />

come ogni buon filosofo sa piegarsi anche a riflettere sull'ʹattualità. Spudoratamente<br />

uso (tranne qualche commento personale) un suo bellissimo articolo uscito su "ʺLe<br />

Monde"ʺ del 6-­‐‑7 marzo ultimo scorso, dove ci ricorda cose che, per i più giovani dei<br />

miei lettori, riguardano i loro figli, e per noi più anziani i nostri nipoti.<br />

Tanto per cominciare, questi figli o nipoti non hanno mai visto un maiale, una<br />

vacca, una gallina […]. I nuovi esseri umani non sono più abituati a vivere nella<br />

natura e conoscono solo la città […].<br />

Si tratta <strong>di</strong> una delle più gran<strong>di</strong> rivoluzioni antropologiche dopo il neolitico. Questi<br />

ragazzi abitano un mondo superpopolato, la loro speranza <strong>di</strong> vita è ormai vicina<br />

agli ottant'ʹanni e, a causa della longevità <strong>di</strong> padri e nonni, se hanno speranza <strong>di</strong><br />

ere<strong>di</strong>tare qualcosa non sarà più a trent'ʹanni, ma alle soglie della loro vecchiaia […].<br />

Sono stati formati dai me<strong>di</strong>a concepiti da adulti che hanno ridotto a sette secon<strong>di</strong> la<br />

permanenza <strong>di</strong> una immagine, e a quin<strong>di</strong>ci secon<strong>di</strong> i tempi <strong>di</strong> risposta alle domande<br />

[…]. Sono educati dalla pubblicità che esagera in ab<strong>brevi</strong>azioni e parole straniere<br />

che fanno perdere il senso della lingua natale, non hanno più coscienza del sistema<br />

metrico decimale dato che gli si promettono premi secondo le miglia, la scuola non<br />

è più il luogo dell'ʹappren<strong>di</strong>mento e, ormai abituati al computer, questi ragazzi<br />

vivono buona parte della loro vita nel virtuale. Lo scrivere col solo <strong>di</strong>to in<strong>di</strong>ce<br />

anziché con la mano intera "ʺnon eccita più gli stessi neuroni o le stesse zone<br />

corticali"ʺ (e infine sono totalmente "ʺmultitasking"ʺ). Noi vivevamo in uno spazio<br />

metrico percepibile ed essi vivono in uno spazio irreale dove vicinanze e<br />

lontananze non fanno più alcuna <strong>di</strong>fferenza.<br />

Umberto Eco, Una generazione <strong>di</strong> alieni, “L’Espresso”, 18 marzo 2011<br />

http://espresso.repubblica.it/dettaglio/una-­‐‑generazione-­‐‑<strong>di</strong>-­‐‑alieni/2147183<br />

La consuetu<strong>di</strong>ne è tanto denigrata quanto vincente. Il riconoscimento<br />

della necessità <strong>di</strong> controlli ed interventi dell’autorità sulla corretta<br />

collocazione dei linguaggi nei giusti contesti non può sottrarci dalla


F. Chiusaroli 7<br />

considerazione della fortuna del fenomeno e, come qui vedremo, delle sue<br />

potenzialità. Ovvero, non sembra più possibile negare i vantaggi <strong>di</strong> una<br />

forma <strong>di</strong> comunicazione con la quale la società si confronta, anche suo<br />

malgrado, e persino si arricchisce:<br />

Molti sono scandalizzati, <strong>di</strong>cono che questo è un nuovo Me<strong>di</strong>oevo, quello<br />

dell’ortografia, ma, stranamente, gli stu<strong>di</strong>osi della lingua, proprio i puristi più<br />

rigi<strong>di</strong>, guardano con favore e curiosità al fenomeno. Certo, è una sintassi un po’<br />

sconcertante. Facciamo qualche esempio?<br />

Ieri pom sn andata dal dottore cn mamy x mia sorella poi mi ha kiamato vale e sn andata ai<br />

giar<strong>di</strong>…..lì ho incontrato fabry e david ke sn scesi x prendere i gelati…… e ancora Dopo<br />

abbiamo incontrato vlad ke m ha detto ke l’ex piskella sa k noi stiamo insieme!!!!!……<br />

Ostrogoto? Ma no, se si fa un po’ <strong>di</strong> attenzione si capisce tutto: sono solo artifici per scrivere<br />

più velocemente, e in modo colorito. Ecco che allora tutto si ab<strong>brevi</strong>a, le vocali dove è<br />

possibile scompaiono, la x “vince” sul per, la k sostituisce il ch, i punti esclamativi e<br />

quelli interrogativi vengono usati come nei fumetti, e si aggiungono le faccine, i<br />

cosiddetti emoticons, costruite combinando punti, trattini, parentesi che servono ad<br />

esprimere le emozioni: ò.ò, confusione, @_@, perplessità. :-­‐‑( , tristezza, :-­‐‑S,<br />

confusione o paura. I simboli sono tanti e in continua evoluzione.<br />

Curiosamente sono proprio gli esperti della lingua italiana, Accademia della Crusca<br />

compresa, a guardare con grande interesse a questa nuova lingua che a parer loro<br />

per la prima volta nella storia del nostro Paese, è un italiano scritto <strong>di</strong> massa. Una<br />

seconda conquista dopo quella dell’italiano parlato <strong>di</strong> massa, <strong>di</strong>venuto tale solo<br />

dopo l’avvento della televisione.<br />

Franca Porciani, La rivincita della X e della K, “Corriere della Sera”, 26 maggio 2012<br />

http://27esimaora.corriere.it/articolo/la-rivincita-della-x-e-della-k/<br />

Si tratta, come si vede, <strong>di</strong> una modalità espressiva grafica rinnovata, che<br />

ha in qualche misura annullato la <strong>di</strong>stinzione dei concetti <strong>di</strong> variabilità<br />

<strong>di</strong>amesica tra<strong>di</strong>zionalmente intesa, quale era nella classica <strong>di</strong>cotomia scritto<br />

vs parlato (Halliday 1992), introducendo nuove e <strong>di</strong>verse categorie per la<br />

scrittura che riproduce la voce (già in Ong 1970 e 1986; Goody 1989;<br />

Cardona 1990 [1985]) e l’interazione faccia a faccia annullando <strong>di</strong>stanze<br />

fisiche <strong>di</strong> ingenti quantità <strong>di</strong> chilometri e azzerando la lungaggine dei<br />

tempi <strong>di</strong> trasferimento dei messaggi (il cosiddetto lag), che è il presupposto<br />

in<strong>di</strong>spensabile nella nuova società dell’informazione (Orletti 2004;<br />

Fiorentino 2007).<br />

Ma <strong>di</strong> che cosa stiamo parlando?


8<br />

2. Dall’sms a Twitter<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

La storia <strong>di</strong>gitale attesta che il primo sms fu inviato il 3 <strong>di</strong>cembre 1992<br />

da un computer ad un cellulare sulla rete GSM Vodafone inglese e il testo<br />

del messaggio era il breve "ʺMERRY CHRISTMAS"ʺ, un augurio natalizio<br />

lievemente anticipato, scritto tutto in caratteri maiuscoli. Il primo sms da<br />

cellulare a cellulare invece risulta inviato all'ʹinizio del 1993 da uno stagista<br />

della Nokia, il finlandese Riku Pihkonen.<br />

Tecnicamente il messaggino (cosiddetto) ha un’estensione fissa <strong>di</strong> 140<br />

byte. Questa misura si traduce, in pratica, nella possibilità <strong>di</strong> usare 160<br />

caratteri <strong>di</strong> testo (a 7 bit) per comporre una unità-­‐‑messaggio. Costo<br />

contenuto, imme<strong>di</strong>atezza, velocità, efficienza ed efficacia, praticità e<br />

versatilità del canale, la compatibilità per l’invio ad ogni apparecchio<br />

in<strong>di</strong>pendentemente dal gestore del destinatario -­‐‑ sono riconosciuti come i<br />

maggiori punti <strong>di</strong> forza, elementi che hanno decretato l'ʹeccezionale<br />

successo degli SMS. Dalla fine degli anni 'ʹ90, soprattutto in seguito alla<br />

<strong>di</strong>ffusione dei telefoni cellulari tra le fasce <strong>di</strong> utenti delle giovani<br />

generazioni, i 160 caratteri dei messaggini sono <strong>di</strong>ventati uno dei mezzi più<br />

usati per tenersi in contatto:<br />

Meglio scrivere che parlare. Per la prima volta da quando sono stati introdotti i<br />

telefonini, in Gran Bretagna cala il numero delle chiamate ma aumenta quello dei<br />

messaggini. Il totale delle telefonate fatte con i cellulari è <strong>di</strong>minuito dell’1,1 per<br />

cento nel 2011, mentre la quantità <strong>di</strong> sms inviati è cresciuta del 16,6 per cento. In<br />

me<strong>di</strong>a, lo scorso anno ogni possessore <strong>di</strong> un cellulare ha trasmesso 200 messaggini<br />

al mese; nel 2006 ne venivano inviati me<strong>di</strong>amente soltanto 60 a persona.<br />

Le cifre annunciate dall’annuale Communications Market Report dell’Ofcom,<br />

l’agenzia che regolamenta il settore delle comunicazioni nel Regno Unito,<br />

confermano una tendenza che era già evidente, qui e in altri paesi: la gente<br />

preferisce comunicare per iscritto piuttosto che a voce. Vari i motivi, secondo gli<br />

esperti del ramo: i messaggini costano <strong>di</strong> meno, si possono rileggere ovvero “scripta<br />

manent” come sapevano già gli antichi Romani, e per molti, specie tra i più giovani,<br />

permettono una forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogo più concisa e moderna.<br />

Ma il boom o meglio il ritorno della comunicazione scritta non si limita ai<br />

messaggini. Sempre più spesso si comunica attraverso i social network, come<br />

Facebook o Twitter, piuttosto che con un sms o con una e-­‐‑mail. Anche perché,<br />

sempre secondo i dati dell’Ofcom, <strong>oggi</strong> due terzi dei consumatori britannici hanno<br />

uno “smartphone”, un telefonino “intelligente” ovvero in grado <strong>di</strong> navigare sul<br />

web e dunque <strong>di</strong> collegarsi ai social network (o a Skype, l’altro nuovo mezzo per<br />

comunicare, verbalmente e perfino visualmente, gratis oltretutto). E l’11 per cento


F. Chiusaroli 9<br />

dei citta<strong>di</strong>ni del Regno Unito ha un tablet, percentuale destinata a raddoppiare <strong>di</strong><br />

anno in anno secondo le previsioni, un altro mezzo <strong>di</strong> comunicazione mobile, che<br />

contribuisce al rilancio della parola scritta. Quando fu inventato il telefono, e ancora<br />

<strong>di</strong> più quando è arrivato il telefonino, si pensava che la comunicazione verbale<br />

avrebbe mandato in pensione la forma scritta. E invece non è così, potrebbe<br />

ad<strong>di</strong>rittura accadere il contrario. Perché “verba volant”, mentre un testo rimane con<br />

noi quanto vogliamo.<br />

Enrico Franceschini, Regno Unito, “scrivi non parlare”. Calano le chiamate, aumentano<br />

gli sms, “La Repubblica”, 18 luglio 2012.<br />

http://www.repubblica.it/economia/2012/07/18/news/regno_unito_scrivi_non_parla<br />

re_calano_le_chiamate_aumentano_gli_sms-­‐‑39263324/<br />

Tali risultano le con<strong>di</strong>zioni per la nascita delle “scritture <strong>brevi</strong>” <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>.<br />

Il collegamento tra il numero massimo dei caratteri e la spesa ha<br />

implicato sin da subito l’elaborazione <strong>di</strong> tecniche <strong>di</strong> risparmio che agiscono<br />

intaccando le regole della grafia standard allo scopo primario <strong>di</strong><br />

risparmiare, pur salvaguardando la corretta comunicazione.<br />

I ragazzi, particolarmente gli adolescenti, hanno limitate risorse<br />

economiche e debole grado <strong>di</strong> assoggettamento alla norma linguistica, o<br />

meglio certamente sono capaci <strong>di</strong> sfruttare al massimo la libertà concessa<br />

dall’appartenenza al gruppo al <strong>di</strong> fuori degli ambienti “regolati” e<br />

normativi. La scuola e anche, in minor misura, la famiglia, richiedono un<br />

comportamento linguistico appropriato, ma, dove non vi è controllo da<br />

parte dell’autorità superiore, fantasia e creatività <strong>di</strong>ventano motori efficaci<br />

dell’innovazione (Stefinlongo 2002; Pistolesi 2005a).<br />

Insieme alla tipica adesione alle regole del gruppo (che in termini<br />

sociolinguistici costituisce la base per lo sviluppo e per il mantenimento<br />

delle varietà gergali), il costo legato alla lunghezza del messaggio, ma<br />

anche le ristrette <strong>di</strong>mensioni materiali del supporto, la minuscola tastiera e<br />

il piccolo schermo del cellulare, la posizione fisica solitamente “in<br />

movimento” dello scrivente, hanno creato le con<strong>di</strong>zioni per la nascita <strong>di</strong><br />

forme <strong>di</strong> scrittura ab<strong>brevi</strong>ata.<br />

Ma si può affermare che la lingua dell’sms, pur moderna e nuova, sia<br />

già sopravvissuta a molte rivoluzioni <strong>di</strong>gitali, conservandosi, ad esempio,<br />

nel corso della pur frequente e rapida sostituzione <strong>di</strong> modelli <strong>di</strong> <strong>di</strong>spositivi<br />

telefonici aggiornati secondo le nuove tecnologie (Crystal 2001).


10<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

La spe<strong>di</strong>tezza garantita dal sistema <strong>di</strong> scrittura pre<strong>di</strong>ttivo, o T9 (<strong>oggi</strong><br />

<strong>di</strong>sponibile in oltre settanta lingue), non ha messo in crisi le ab<strong>brevi</strong>azioni,<br />

poiché è appurato che al giovane scrivente interessano la <strong>brevi</strong>tà e il<br />

risparmio, più che la velocità della <strong>di</strong>gitazione. La possibilità <strong>di</strong> ampliare il<br />

vocabolario memorizzato integrando nuove forme consente la prassi <strong>di</strong><br />

inserire parole ab<strong>brevi</strong>ate nella memoria pre<strong>di</strong>sposta. Giovani utenti del T9<br />

sono raramente <strong>di</strong>sposti a rinunciare a = “non”; parimenti l’uso, per<br />

altro non nuovo, del valore fonetico dei segni aritmetici (+, -­‐‑, x) non è mai<br />

stato soppiantato dalla scrittura “normale”, estesa, “più, meno, per”.<br />

Recentemente infine, le nuove tastiere QWERTY, con un tasto per ogni<br />

lettera, hanno rinver<strong>di</strong>to i fasti della scrittura breve, a tutto svantaggio del<br />

non economico T9.<br />

Ancora, è segnale del valore insieme sociale ed economico del sistema il<br />

fatto che la pratica della scrittura ab<strong>brevi</strong>ata sia stata trasferita <strong>di</strong> peso nella<br />

conversazione scritta via chat, a partire dalle forme adottate dalle reti<br />

sociali, come <strong>oggi</strong> Twitter (dal 2006), che per altro segue ed impone le<br />

limitazioni dell’sms, ammettendo messaggi <strong>di</strong> massimo 140 caratteri, ma la<br />

consuetu<strong>di</strong>ne risulta nella pratica adottata da tutti i sistemi <strong>di</strong><br />

messaggistica istantanea, come Windows Live Messenger e finalmente nel<br />

social network più popolare, Facebook (dal 2004).<br />

Internet Relay Chat (in sigla IRC) è il nome del programma messo a<br />

punto dal finlandese Jarkko Oikarinen nel 1988, data convenzionale che<br />

inaugura la concezione dello scambio sincrono multiutente. Nella storia<br />

della rete, questa data costituisce un punto <strong>di</strong> svolta poiché fino a quel<br />

momento la comunicazione in forma scritta si limitava ai soli sistemi<br />

asincroni (e-­‐‑mail, newsgroups).<br />

La <strong>di</strong>fferenza che <strong>oggi</strong> intercorre tra forme comunicative asincrone e<br />

sincrone incide fortemente sulle manifestazioni concrete delle modalità<br />

scrittorie implicate (Bazzanella 2002 e 2003; Pistolesi 2003).<br />

Nata nel 1971, la posta elettronica (e-­‐‑mail) ha rapidamente rivoluzionato<br />

il modo <strong>di</strong> comunicare (Baron 1998), ponendosi come me<strong>di</strong>um scritto<br />

veloce ed imme<strong>di</strong>ato rispetto al tra<strong>di</strong>zionale messaggio epistolare, ma <strong>oggi</strong>,<br />

dopo quarant’anni, l’imme<strong>di</strong>atezza inizialmente garantita ha perso<br />

consistenza <strong>di</strong> fronte alle nuove forme della comunicazione per chat, che<br />

tale “primitiva” velocità hanno <strong>di</strong> gran lunga superato, proponendo mo<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> interrelazione comunicativa istantanea che costituiscono l’espressione<br />

tangibile <strong>di</strong> uno scambio faccia a faccia e la riproduzione in forma scritta<br />

dello stile parlato:


F. Chiusaroli 11<br />

Signs you’re an old fogey: You still watch movies on a VCR, listen to vinyl records<br />

and shoot photos on film.<br />

And you enjoy using e-­‐‑mail.<br />

Young people, of course, much prefer online chats and text messages. These have<br />

been on the rise for years but are now threatening to eclipse e-­‐‑mail, much as they<br />

have already superseded phone calls.<br />

Major Internet companies like Facebook are respon<strong>di</strong>ng with message services that<br />

are focused on imme<strong>di</strong>ate gratification.<br />

The problem with e-­‐‑mail, young people say, is that it involves a boringly long<br />

process of signing into an account, typing out a subject line and then sen<strong>di</strong>ng a<br />

message that might not be received or answered for hours. And sign-­‐‑offs like<br />

“sincerely” — seriously?<br />

Matt Richtell, E-­‐‑mail use gets an instant makeover, “The New York Times”, 20<br />

December, 2010.<br />

http://www.nytimes.com/2010/12/21/technology/21email.html?_r=1<br />

Facebook, Twitter, chat, Skype, perfino l'ʹimmarcescibile sms sono più imme<strong>di</strong>ati,<br />

informali, gratificanti. L'ʹe-­‐‑mail obbliga a un minimo <strong>di</strong> preparazione: un account <strong>di</strong><br />

posta, un destinatario con un in<strong>di</strong>rizzo, magari qualcosa nel «subject» (argomento).<br />

Bisogna aspettare che il destinatario risponda: e non sempre lo fa. Occorre evitare<br />

gli errori <strong>di</strong> ortografia, e magari fingere <strong>di</strong> essere educati. Nessuno, in Italia, chiude<br />

una email con «In attesa <strong>di</strong> favorevole riscontro», se non ha assunto sostanze molto<br />

forti. Ma un saluto prima della firma lo usano tutti.<br />

È questa sovrastruttura che i ragazzi trovano pesante, in America come in Italia, a<br />

Londra come a Pechino. Una email non può -­‐‑ o non dovrebbe -­‐‑ contenere solo «:-­‐‑<br />

O», per spiegare che il mittente è sorpreso. Facebook, per esempio, s'ʹè accorta che la<br />

riga del «subject» (l'ʹargomento) resta spesso vuota (al massimo qualcuno batte hi!<br />

oppure ehi!). Così ha deciso <strong>di</strong> eliminarla insieme a cc (copia) e bcc (copia nascosta).<br />

FB non è un paese per vecchi; l'ʹemail sì. Yahoo e Hotmail -­‐‑ celeberrimi siti <strong>di</strong> posta<br />

elettronica -­‐‑ hanno perso il 16% dei visitatori in un anno; solo Gmail, prodotto <strong>di</strong><br />

casa Google, è cresciuta del 10%. […]<br />

La chiocciolina (@) è una specie in via <strong>di</strong> estinzione?<br />

Probabilmente sì. Poco male: l'ʹemail ha avuto una vita intensa. Intensa -­‐‑ basta<br />

vedere gli auguri seriali da cui veniamo inondati in queste ore -­‐‑ ma breve. Quin<strong>di</strong>ci<br />

anni, <strong>di</strong>ciamo. L'ʹimpatto sociale inizia nel 1995. L'ʹemail è come le ragazze della<br />

televisione: c'ʹè sempre una più giovane in agguato.<br />

Le lettere <strong>di</strong> carta hanno resistito meglio: cinquanta secoli?<br />

Qualcuno ancora ne manda, anche se l'ʹabitu<strong>di</strong>ne è ristretta ormai a tre categorie <strong>di</strong><br />

persone: molto romantici, molto anziani, molto eccentrici. Accadrà presto anche agli<br />

utenti <strong>di</strong> posta elettronica. «Ti mando una email» sembra il titolo <strong>di</strong> una comme<strong>di</strong>a<br />

romantica all'ʹamericana, <strong>di</strong> quelle dove si baciano a <strong>di</strong>eci minuti dalla fine e tutti<br />

applaudono. Vederla fa sempre piacere, ma la vita funziona in altro modo.


12<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

Beppe Severgnini, Il declino della “chiocciola”. Email snobbate dai ragazzi, “Corriere<br />

della Sera”, 22 Dicembre 2010.<br />

http://www.corriere.it/cronache/10_<strong>di</strong>cembre_22/declino-­‐‑della-­‐‑chiocciola-­‐‑Email-­‐‑<br />

snobbate-­‐‑dai-­‐‑ragazzi-­‐‑beppe-­‐‑severgnini_e7942c7a-­‐‑0d98-­‐‑11e0-­‐‑8558-­‐‑<br />

00144f02aabc.shtml<br />

Sostituendo, innanzi tutto per motivazioni pratiche ed economiche, la<br />

comunicazione scritta cartacea, l’e-­‐‑mail ha infine soppiantato la lettera<br />

persino nelle occasioni ufficiali, acquisendo (ad esempio con l’introduzione<br />

del valore legale della firma <strong>di</strong>gitale) prerogativa anche pubblica e legale.<br />

Ciò ha comportato uno slittamento delle potenzialità e delle funzioni della<br />

scrittura per e-­‐‑mail, con conseguente relativa attribuzione al nuovo mezzo<br />

delle caratteristiche ere<strong>di</strong>tate dalla comunicazione scritta tra<strong>di</strong>zionale -­‐‑ alto<br />

controllo dell’espressione e dello stile, verifica della correttezza formale e<br />

grafica, <strong>di</strong>latazione dello spazio fisico e temporale tra l’emittente e il<br />

destinatario, eliminazione dei fenomeni <strong>di</strong> personalizzazione o<br />

spontaneismi -­‐‑ conservando pertanto i vantaggi della scrittura ed<br />

eliminandone la principale insufficienza, che era sostanzialmente nella<br />

lunghezza dei tempi <strong>di</strong> consegna del messaggio (Cho 2010).<br />

Tali specializzazioni progressive dei tipi testuali <strong>di</strong>gitali, intervenute nel<br />

giro <strong>di</strong> pochi anni, hanno determinato, <strong>di</strong> fatto, la proliferazione <strong>di</strong> una<br />

variegata gamma <strong>di</strong> scritture della rete, che non possono più essere<br />

valutate come fenomeno singolo ed unitario, bensì piuttosto come una<br />

sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>asistema complesso, <strong>di</strong> pari passo con l’ampliarsi dell’universo<br />

<strong>di</strong>gitale (Stefinlongo 2004; Bonomi 2010; Pilloni 2011; Tavosanis 2011).<br />

Nell’ideale continuum tra la <strong>di</strong>mensione della scrittura e il parlato, la<br />

scrittura per chat o l’instant messaging possono essere riguardati come una<br />

significativa via interme<strong>di</strong>a e, data l’o<strong>di</strong>erna <strong>di</strong>ffusione globale dei social<br />

network, non può essere trascurato l’impatto universale sulle forme e sulla<br />

lingua (Baron 2000; Frehner 2008).<br />

3. Per una grammatica delle scritture <strong>brevi</strong><br />

Nella considerazione, asseverata dalla pragmatica, della competenza<br />

comunicativa come somma <strong>di</strong> micro-­‐‑competenze relative ai contesti d’uso,<br />

è evidente che la <strong>di</strong>fferenziazione delle con<strong>di</strong>zioni dello scambio<br />

comunicativo abilitata dalla comunicazione sincrona rispetto a quella<br />

asincrona richiede, da parte degli utenti, l’adeguamento ai relativi registri,


F. Chiusaroli 13<br />

l’acquisizione <strong>di</strong> un linguaggio collettivo, in pratica l’adesione a un canone<br />

(socio-­‐‑)linguistico con<strong>di</strong>viso (Herring 1996 e 2012a; Bazzanella 2005a).<br />

La comunità degli scriventi, in sé virtuale, risulta essere particolarmente<br />

esigente quanto alle regole che determinano il riconoscimento e l’inclusione<br />

dei suoi affiliati.<br />

Secondo i parametri della socio-­‐‑pragmatica della comunicazione,<br />

l’espressione del singolo è piuttosto determinata dalla personale esigenza<br />

<strong>di</strong> consenso e <strong>di</strong> approvazione e l’identificazione all’interno del gruppo<br />

risulta prevalente rispetto all’originalità e alla in<strong>di</strong>vidualità, o alla sostanza<br />

stessa della comunicazione.<br />

Parlare, ovvero scrivere “come gli altri”, appare presupposto<br />

imprescin<strong>di</strong>bile non solo per la comprensione, ma per la stessa<br />

trasmissione del messaggio. Ogni buon utente della rete sa che scrivere e-­‐‑<br />

mail è <strong>di</strong>verso dal partecipare validamente e in maniera propria all’attività<br />

<strong>di</strong> un chatgroup, lì dove proprio l’adesione alle consuetu<strong>di</strong>ni linguistiche del<br />

gruppo determina, a priori, l’attribuzione del ruolo <strong>di</strong> parlante virtuale<br />

(Adkins&Brashers 1995).<br />

Tra le forme che consentono il riconoscimento dell’utente nella<br />

comunità “social” vi è senz’altro la scrittura (poiché scritta è concretamente<br />

la modalità <strong>di</strong> manifestazione dell’utente) e, all’interno <strong>di</strong> essa,<br />

particolarmente pertinenti appaiono le forme delle scritture <strong>brevi</strong>, le quali<br />

assommano, alla preliminare urgenza della velocità e della concisione,<br />

annesse prioritariamente alla comunicazione <strong>di</strong>gitale, l’esigenza sociologica<br />

dell’accre<strong>di</strong>tamento al gruppo quale appena sopra illustrata.<br />

Si giustifica a partire da tali premesse la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> pratiche grafiche<br />

con<strong>di</strong>vise, che per lo più utilizzano la modalità ab<strong>brevi</strong>ativa come segnale<br />

<strong>di</strong>stintivo gergale (Lorenzetti&Schirru 2006), ma all’interno della comunità<br />

coesa ne sperimentano le possibilità espressive allo scopo della<br />

comunicazione più efficace.<br />

Alla luce delle nostre premesse, forme <strong>brevi</strong> saranno infrequenti, quasi<br />

inappropriate, alla comunicazione via e-­‐‑mail, mentre risulteranno<br />

pressoché obbligate all’interno della conversazione per chat.<br />

Il carattere vincolante è tanto più evidente lì dove la scrittura ab<strong>brevi</strong>ata<br />

compare senza remore <strong>di</strong> contravvenzione dello standard in scambi non<br />

solo tra utenti intimi o familiari, ma anche fra corrispondenti<br />

reciprocamente sconosciuti, per i quali l’espressione non sorvegliata e il<br />

tratto amichevole costituiscono gli effetti, oltre che le cause, dell’approccio<br />

comunicativo e grafico spontaneo.


14<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

Il concetto <strong>di</strong> convenzione si ristruttura all’interno della nuova <strong>di</strong>namica<br />

comunicativa, fino a determinare la costituzione <strong>di</strong> repertori con<strong>di</strong>visi la<br />

cui competenza, da parte degli utenti, con<strong>di</strong>ziona evidentemente il<br />

processo <strong>di</strong> trasmissione e <strong>di</strong> ricezione del messaggio.<br />

Prova della rilevanza del principio della convenzione interna al gruppo<br />

è la <strong>di</strong>ffusione, in rete, <strong>di</strong> <strong>di</strong>zionari <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azioni in uso nelle chat, liste<br />

<strong>di</strong> acronimi <strong>di</strong>sponibili per tutti gli utenti (Crystal 2004), o, se anche non<br />

utilizzati, comunque compresi, deco<strong>di</strong>ficati ed acquisiti, repertori che<br />

attestano il grado <strong>di</strong> standar<strong>di</strong>zzazione delle forme e soprattutto il livello <strong>di</strong><br />

normalizzazione della pratica delle scritture ab<strong>brevi</strong>ate all’interno della<br />

comunicazione <strong>di</strong>gitale (Lo Cascio 2007).<br />

Ma, nonostante ciò, è la stessa proliferazione dei <strong>di</strong>zionari, come pure la<br />

convivenza, al loro interno, <strong>di</strong> forme grafiche non univoche o uniformi,<br />

l’esistenza, inoltre, <strong>di</strong> più varianti per una parola, nonché la presenza non<br />

rara <strong>di</strong> forme omografiche, a dover indurre necessariamente a una<br />

riflessione sui principi che paiono regolare la prassi ab<strong>brevi</strong>ativa, in<br />

considerazione della <strong>di</strong>fformità delle produzioni.<br />

Per rifarci intanto solo ai lessici delle chat – che costituiscono qui<br />

oggetto dell’indagine e nostro punto <strong>di</strong> partenza – la recensione dei testi<br />

non sempre supporta l’idea che gli utenti aderiscano a una convenzione.<br />

La selezione e l’analisi <strong>di</strong> una conversazione a lungo termine su Twitter<br />

(in questa sede contributo Logozzo) fa rilevare, contestualmente, nello<br />

stesso utente, l’impiego della forma ab<strong>brevi</strong>ata, o estesa, o spesso<br />

variamente ab<strong>brevi</strong>ata, <strong>di</strong> una stessa parola.<br />

Piuttosto da tali analisi specifiche deriva come l’esame e la<br />

classificazione delle forme annunci l’adesione non già a lessici<br />

standar<strong>di</strong>zzati, quanto invece a ciò che vorremmo definire una sorta <strong>di</strong><br />

“grammatica” o “sistema <strong>di</strong> regole” rispondenti a criteri <strong>di</strong> funzionalità<br />

relativa alla <strong>di</strong>mensione della “<strong>brevi</strong>tà” (Dardano&De Roberto&Frenguelli<br />

2008; Held&Schwarze 2011; Chiusaroli&Zanzotto in stampa).<br />

4. Per una storia delle scritture <strong>brevi</strong><br />

A tale scopo apparirà utile inquadrare i tipi <strong>di</strong> scritture <strong>brevi</strong> del web<br />

all’interno <strong>di</strong> una più vasta considerazione delle fenomenologie, per<br />

procedere a una loro considerazione sincronica, in senso tipologico, ma<br />

anche <strong>di</strong>acronica, istituendo confronti con sistemi grafici e ab<strong>brevi</strong>ativi<br />

contemporanei o succedentisi, storicamente sperimentati.


F. Chiusaroli 15<br />

Come è noto, al <strong>di</strong> là delle specifiche casistiche, la storia della scrittura<br />

ha proceduto nel corso del tempo a una progressiva ristrutturazione del<br />

proprio impianto, nel perseguimento del principio della linearità del<br />

significante, ovvero fonetico/fonologico, pertanto abbandonando forme<br />

grafiche iniziali, come quelle ricostruite per le fasi<br />

pittografiche/ideografiche/logografiche, stilizzando, astrattizzando e infine<br />

specializzando man mano i <strong>di</strong>segni, trasformandoli in segni istituiti e<br />

convenzionali espressioni <strong>di</strong> valenze sillabiche e fonetiche, perdendo infine<br />

ogni relazione <strong>di</strong>retta e “naturale” coi referenti (Cardona 1981; Cardona<br />

1986a).<br />

Così come, tuttavia, i sistemi grafici storici hanno <strong>di</strong> fatto conservato<br />

elementi dei precedenti sta<strong>di</strong>, configurandosi come sommatoria <strong>di</strong> meto<strong>di</strong><br />

grafici mistiformi (Valeri 2000), anche la pratica del texting mostra <strong>di</strong><br />

recuperare tale somma <strong>di</strong> varietà utilizzandone le singole realizzazioni<br />

all’occorrenza all’interno del medesimo linguaggio/<strong>di</strong>scorso.<br />

Si tratta, ovvero, <strong>di</strong> verificare, nelle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>, la<br />

permanenza e la convivenza <strong>di</strong> forme grafiche appartenenti non più o non<br />

soltanto ai principi della tra<strong>di</strong>zione alfabetica, bensì a <strong>di</strong>verse tipologie<br />

(Pulgram 1976; Frutiger 1996), semasiografiche o glottografiche,<br />

rispondenti alle plurime esigenze rese funzionali per la scrittura del<br />

messaggio <strong>di</strong>gitale <strong>di</strong> testo.<br />

Contro la <strong>di</strong>ffidenza e l’ostilità <strong>di</strong>ffuse nei confronti <strong>di</strong> pratiche<br />

attribuite con biasimo ai gerghi giovanili, andrà inoltre osservato come<br />

analoghi principi costitutivi possano essere riscontrati nei sistemi delle<br />

ab<strong>brevi</strong>ature che, nonostante la storica supremazia del modello alfabetico<br />

(Martin 1990; Harris 1998; Harris 2003), convivono in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>afasiche<br />

nelle grafie specialistiche (in questa sede Reali), come, dall’età antica, la<br />

paleografia, la <strong>di</strong>plomatica e l’epigrafia, oppure nei sistemi tachigrafici e<br />

stenografici (Battelli 1939; Paoli 1891 e 1987; Bischoff 1992; Cencetti 1997).<br />

In tali ambiti il principio della convenzione si associa, integrandosi,<br />

all’esigenza funzionalista, dando luogo spesso a <strong>di</strong>zionari in cui convivono<br />

forme incongruenti, <strong>di</strong>somogenee, irregolari (Cappelli 1990), la cui<br />

legittimità è innanzi tutto salvaguardata dal prestigio della fonte, ma anche<br />

dai meccanismi pratici che asseverano il funzionamento del sistema.<br />

In chiave sincronica, la comparazione interlinguistica fa altresì osservare<br />

la ricorrenza <strong>di</strong> meccanismi ab<strong>brevi</strong>ativi in parte specifici, ma in parte<br />

anche comuni alle <strong>di</strong>verse lingue, precipuamente collegati vuoi al <strong>di</strong>verso<br />

carattere tipologico delle lingue o alla efficacia fonologica della loro norma


16<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

grafica standard, vuoi alla finalità dell’atto comunicativo, oltre che<br />

all’adesione a stili convenzionali. Se la scrittura può essere attività<br />

universale dell’uomo (Cardona 1990 [1986b]), certamente generali<br />

appaiono i meccanismi che regolano le pratiche dell’accorciatura grafica.<br />

Alcuni semplici confronti interlinguistici ci mostrano l’applicazione <strong>di</strong><br />

tecniche ripetute e assimilabili – ciò che in questa sede chiameremo<br />

“regole”.<br />

5. Tipi e regole<br />

5.1 Grafie fonologiche<br />

Risponde a necessità <strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà, velocità, sintesi, eliminazione della<br />

ridondanza, la rappresentazione grafica della parola sulla base della<br />

riproduzione della pronuncia, replicando in tal modo, con perfetta<br />

corrispondenza, alla richiesta mimesi col parlato e con la <strong>di</strong>mensione orale<br />

del messaggio. La pratica riduce al minimo la lunghezza grafica,<br />

recuperando la corrispondenza biunivoca suono/segno che è il presupposto<br />

originario, ideale, successivamente perduto, del sistema alfabetico.<br />

Ecco dunque l’adozione dei caratteri -­‐‑ lettere/numeri/simboli -­‐‑ per<br />

sostituire sequenze foniche e parole (Crystal 2001):<br />

inglese:<br />

= “be”<br />

= “see”<br />

= “are”<br />

= “you”<br />

= “why”<br />

= “for/fore”<br />

= “to/too”<br />

= “-­‐‑ate”<br />

inglese:<br />

“to be or not to be”<br />

= “see you”<br />

italiano:


= “perché”<br />

= “che fai?”<br />

= “ci sei?”<br />

F. Chiusaroli 17<br />

Lo storico grado <strong>di</strong> allontanamento della grafia inglese dalla<br />

<strong>di</strong>mensione fonologica -­‐‑ rispetto al tratto altamente fonetico della scrittura<br />

dell’italiano -­‐‑ può darci spiegazione della speciale fortuna della pratica del<br />

texting per l’inglese (Baron 2000) e della grande abbondanza dei fenomeni<br />

in tale lingua, ma anche giustifica la varietà e la pluralità degli esiti, o la<br />

non univocità delle opzioni negli scriventi.<br />

Per l’italiano, al numero minore delle soluzioni fanno da contraltare la<br />

saldezza e la costante occorrenza <strong>di</strong> alcuni esiti, fissi e pressoché<br />

standar<strong>di</strong>zzati, al limite dell’automatismo, come l’uso della lettera per<br />

sostituire il poco economico “ch”, <strong>di</strong>lagante oltre i limiti dell’impiego<br />

gergale. Per altro, è ben noto già nella scrittura dei writers degli anni ’70<br />

l’impiego <strong>di</strong> nei graffiti e nelle scritte murali -­‐‑ una lettera che è,<br />

all’origine, visiva manifestazione dell’anima giovanile della protesta<br />

sessantottina, della sua ispirazione anarchica e sovranazionale, espressiva,<br />

anche nella sonorità espressa dal fono occlusivo sordo, dei sentimenti della<br />

rabbia e del <strong>di</strong>sprezzo delle regole <strong>di</strong>chiarati dai movimenti punk e rock<br />

(entrambi nomi con ).<br />

Ancora per l’italiano, è guidata dal principio fonologico l’adozione dei<br />

segni matematici per “più, meno, per”, che si trova all’origine del<br />

grossolano “Bixio/Biperio”, ma la cui esistenza può essere rintracciata nella<br />

grafia giovanile degli “appunti” già da prima dell’avvento dei cellulari.<br />

Costituisce una pratica comune a varie lingue l’impiego dei numerali<br />

arabi per la loro valenza fonetica (it. = “sei”; ingl. = “for”), adozione<br />

generale che, nel caso specifico, attesta la non universalità della lettura dei<br />

segni e piuttosto la loro <strong>di</strong>retta relazione con il sistema linguistico dato e<br />

con la corretta competenza <strong>di</strong> esso.<br />

Il medesimo richiamo alla <strong>di</strong>mensione linguistica <strong>di</strong> riferimento è alla<br />

base della appropriata e “relativa” decifrazione <strong>di</strong> forme <strong>brevi</strong> come ,<br />

che vale “ci” per un utente <strong>di</strong> lingua italiana e “see” (o anche “sea”) per un<br />

parlante/scrivente inglese.<br />

5.2 Grafie consonantiche


18<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

Tipiche forme ab<strong>brevi</strong>ative risultano dalla consuetu<strong>di</strong>ne della<br />

soppressione <strong>di</strong> elementi dal corpo grafico della parola:<br />

= “thanks”<br />

= “domani, <strong>oggi</strong>, vedo/vado, non, sono,<br />

grazie”<br />

= “<strong>oggi</strong> non vado”<br />

Il denunciato <strong>di</strong>sorientamento dell’utente non esperto <strong>di</strong> fronte a nuclei<br />

totalmente composti <strong>di</strong> consonanti può essere attribuibile a scarsità <strong>di</strong><br />

consapevolezza metalinguistica, ma più presumibilmente sarà da<br />

addebitare a posizioni <strong>di</strong> pregiu<strong>di</strong>zio, lì dove intuitivamente appare<br />

operazione abbastanza imme<strong>di</strong>ata ed istintiva ricostruire il senso <strong>di</strong> una<br />

parola derivandolo dalla struttura consonantica (non solo grafica).<br />

A tale riguardo ricor<strong>di</strong>amo che risiede fra i fondamentali presupposti<br />

della teoria dell’informazione l’idea che, nelle parole, la qualità informativa<br />

sia massimamente veicolata dalle consonanti piuttosto che dalle vocali<br />

(Barr 1976). Numerosi ed acclarati sono i casi <strong>di</strong> esperimenti volti a<br />

asseverare il <strong>di</strong>verso grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>pendenza della intelligibilità <strong>di</strong> un<br />

messaggio scritto dalla presenza dei caratteri che richiamano certe<br />

componenti sonore e non altre, così che è <strong>di</strong>mostrato come si possa<br />

decifrare senza errori un testo scritto senza, o con poche, vocali<br />

(Lee&Rayner&Pollatsek 2001). Allo stesso modo l’assuefazione<br />

all’esperienza della <strong>di</strong>mensione scritta della lingua, acquisita con la cultura<br />

della scolarizzazione cui sin da bambini siamo sottoposti, determina<br />

l’acquisizione <strong>di</strong> una percezione “gestaltica”, non sempre reale, della forma<br />

scritta, che ci consente <strong>di</strong> leggere correttamente parole contenenti errori <strong>di</strong><br />

stampa o refusi tipografici (Cardona 1981).<br />

In termini <strong>di</strong> confronto storico, sarà inoltre da ricondurre alla medesima<br />

prospettiva la scelta, operata nelle fasi dello sviluppo dei primi sistemi<br />

grafici alfabetici, <strong>di</strong> istituire apparati solo consonantici, quali sono<br />

testimoniati dalle antiche scritture semitiche, fenicio, arabo, ebraico. Mentre<br />

non si dà tra<strong>di</strong>zione alfabetica che attesti la notazione <strong>di</strong> sole vocali, risulta<br />

tra le tipologie ab<strong>brevi</strong>ative della tra<strong>di</strong>zione paleografica la trascrizione <strong>di</strong><br />

parole composte dalle componenti solamente consonantica (<br />

“Dominus”; “sanctus”) o solamente vocalica ( “anima”).


5.3. Grafie tronche<br />

F. Chiusaroli 19<br />

Entrano nel novero dei proce<strong>di</strong>menti ab<strong>brevi</strong>ativi ad ampia <strong>di</strong>ffusione le<br />

tecniche <strong>di</strong> apocope, troncamento ed elisione, eliminazioni <strong>di</strong> “porzioni”<br />

della parola che appaiono ininfluenti rispetto alla salvaguar<strong>di</strong>a del<br />

principio informativo:<br />

= “andare/an<strong>di</strong>amo/andate”<br />

= “compleanno”<br />

La particolare varietà degli esiti riferiti dai <strong>di</strong>zionari delle ab<strong>brevi</strong>azioni<br />

della rete è spesso dovuta alle polimorfiche possibilità <strong>di</strong> lettura <strong>di</strong> forme<br />

grafiche che costituiscono i lessemi delle parole, alle quali l’elemento<br />

morfologico o desinenziale viene sottratto in quanto giu<strong>di</strong>cato facilmente<br />

ricostruibile dal corpo sintattico della frase. Tale proce<strong>di</strong>mento appare<br />

particolarmente fecondo, produttivo e ricorrente nel caso <strong>di</strong> lingue a<br />

componente morfologica flessiva, lì dove la parte semantica e quella<br />

grammaticale sono facilmente <strong>di</strong>stinguibili e risultano dotate <strong>di</strong> valore<br />

informativo reciprocamente non equivalente.<br />

Significativamente, moltissime equivalenze, con casi <strong>di</strong> plurivoche<br />

letture, si trovano della pratica del troncamento delle desinenze nella<br />

paleografia latina: “nomen”, “<strong>di</strong>xit, “fecerunt”,<br />

“accepit/acceperunt” (Battelli 1939).<br />

5.4. Scriptio continua<br />

Frequente è la soppressione delle separazioni grafiche tra le parole,<br />

proce<strong>di</strong>mento in uso anche nella lingua standard e che appare storicamente<br />

alla base <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficazioni indotte sulla lingua dalle caratteristiche della<br />

scrittura del parlato. Certe perplessità, registrate dai <strong>di</strong>zionari della lingua<br />

italiana (http://www.accademiadellacrusca.it/faq/faq_risp.php?id=4026&<br />

ctg_id=93), circa la corretta scrittura <strong>di</strong> alcune locuzioni avverbiali o<br />

preposizionali, conducono non raramente all’accoglimento, nello standard,<br />

della duplice opzione, unita o <strong>di</strong>sgiunta, dell’espressione, esplicito segnale<br />

del carattere del tutto convenzionale dell’isolamento dell’unità “parola”<br />

scritta nella scrittura alfabetica.<br />

Analogamente attestate nella sincronia e nella <strong>di</strong>acronia dell’italiano<br />

sono formazioni riproducenti esiti fonetici <strong>di</strong> processi legati al continuum


20<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

tipico della catena fonica (sui con<strong>di</strong>zionamenti tra scritto e orale<br />

nell’italiano cfr. almeno Serianni 2003 e Trifone 2007):<br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

o processi <strong>di</strong> assimilazione per coarticolazione:<br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

= <br />

http://ebookpdf.files.wordpress.com/2008/10/come-­‐‑si-­‐‑scrive-­‐‑prontuario.pdf<br />

Già variamente attestate nella scrittura epigrafica e paleografica (con le<br />

connesse derivanti problematiche <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>fica e <strong>di</strong>sambiguazione), la<br />

legatura e la scriptio continua, insieme alla assenza/omissione della<br />

punteggiatura, risultano sicuri proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> risparmio anche nell’sms e<br />

nelle chat, in cui è prevalente la pratica della eliminazione <strong>di</strong> segni <strong>di</strong><br />

interpunzione o spaziature non significativi o giu<strong>di</strong>cati irrilevanti per la<br />

comprensione, determinando grafie sintetiche dal pertinente effetto<br />

fonetico (esempio: = “c’è”).


5.5. Acronimie<br />

F. Chiusaroli 21<br />

Principio produttivo tra i meccanismi ab<strong>brevi</strong>ativi più comuni è la<br />

contrazione acronimica o inizialismo, agente attivissimo nella formazione<br />

delle parole e delle frasi nella lingua della rete come nel lessico comune<br />

(Calvet 1980; in questa sede Di Pace&Pannain e, con riferimento alla<br />

traduzione, Lefèvre).<br />

L’uso <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>are per singulam litteram (cfr. Valerio Probo, De litteris<br />

singularibus), anziché scrivere per esteso alcune parole, risulta praticamente<br />

coevo, o almeno poco meno antico della scrittura alfabetica stessa, ed è<br />

legato, oltre che alle con<strong>di</strong>zioni degli impieghi epigrafici e manoscritti,<br />

all’alta frequenza d’uso delle parole, così usuali da rendere ridondante la<br />

versione estesa delle forme: “Senatus Populusque Romanus”,<br />

“ab Urbe con<strong>di</strong>ta” (Cencetti 1997).<br />

Sono frutto della fortuna garantita dalla scrittura della rete -­‐‑ il<br />

cosiddetto netspeak -­‐‑ alcuni neologismi ora acquisiti ufficialmente nella<br />

norma grafica e linguistica, secondo le consuete trafile <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione e<br />

integrazione delle forme speciali o gergali nella lingua comune (in questa<br />

sede Marroni), fino al loro inserimento nei <strong>di</strong>zionari dello standard.<br />

Il termine sms è acronimo dell'ʹinglese Short Message Service ed è ad<br />

esempio comunemente usato per in<strong>di</strong>care un “breve messaggio <strong>di</strong> testo” (il<br />

“messaggino”) inviato da un telefono cellulare ad un altro. Il termine<br />

corretto sarebbe SM (Short Message), ma ormai è invalso l'ʹuso <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care il<br />

singolo messaggio col nome del servizio, quin<strong>di</strong> utilizzando sms con valore<br />

sostantivale (“inviare un sms”, “<strong>di</strong>gitare un sms”). Evidentemente per<br />

analogia con sms si è imposta successivamente la forma mms, acronimo <strong>di</strong><br />

Multime<strong>di</strong>a Messaging Service, che vale “messaggio multime<strong>di</strong>ale”.<br />

Derivante dallo stesso contesto, T9 nasce come acronimo <strong>di</strong> Text on 9<br />

(keys), nome del relativo software, inventato da Tegic Communication,<br />

mentre ora vale “Dizionario T9”.<br />

Il successo della forma (breve) e-­‐‑mail (da electronic mail) può essere posto<br />

alla base dell’acquisizione del prefisso e-­‐‑ come formante per nomi <strong>di</strong><br />

prodotti collegati concettualmente alla posta elettronica, come e-­‐‑commerce,<br />

e-­‐‑business, e-­‐‑bay, e-­‐‑book, progressivamente acquisiti come prestiti<br />

nell’italiano, con interessanti formazioni paronomastiche, quali ad esempio<br />

il termine e-­‐‑mule, per cui la resa senza trattino separatore (comune anche<br />

per le voci precedenti) emule configura felicemente l’idea della<br />

“riproduzione”, fatalmente “non autorizzata”, <strong>di</strong> cui il logo dell’asinello


22<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

(mule) può rendere concretamente l’immagine. L’attivazione <strong>di</strong> analogo<br />

proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> scomposizione e ricomposizione <strong>di</strong> pezzi <strong>brevi</strong> della<br />

parola si riconosce nella costituzione e imme<strong>di</strong>ata fortuna <strong>di</strong> una<br />

formazione come g-­‐‑mail, che riproduce il concetto <strong>di</strong> e-­‐‑mail<br />

specializzandolo sull’iniziale del più famoso motore <strong>di</strong> ricerca dalla<br />

contrazione del più lungo Google mail (dal 4 luglio 2005).<br />

Ad <strong>oggi</strong> una delle più fortunate trafile per una formazione breve appare<br />

rappresentata dal gruppo <strong>di</strong> parole dell’universo Apple, lì dove la prima<br />

formazione i-­‐‑Mac (i-­‐‑ equivale a Internet ed è poi il pronome I, espressione<br />

felicissima della tendenza alla personificazione e personalizzazione tipiche<br />

della tra<strong>di</strong>zione Apple: ricor<strong>di</strong>amo che nel 1998 il primo modello si<br />

presentò da solo grazie a un programma <strong>di</strong> sintesi vocale Hallo, I’m<br />

McIntosh) ha guidato la costruzione della serie dei nomi dei <strong>di</strong>spositivi i-­‐‑<br />

Pod (Pod dalla navicella del film <strong>di</strong> Kubrick 2001: O<strong>di</strong>ssea nello spazio), i-­‐‑<br />

Phone, i-­‐‑Pad (Pad è la tavoletta dell’amanuense), i prodotti i-­‐‑Book<br />

(omofonico ma più fortunato <strong>di</strong> e-­‐‑book) e i-­‐‑Tunes, <strong>oggi</strong> manifestazioni <strong>di</strong><br />

un vero e proprio stile <strong>di</strong> vita -­‐‑ i-­‐‑Life – dentro l’universo Mac.<br />

La correlazione che si instaura tra la notorietà e l’uso comporta la<br />

convenzionalizzazione <strong>di</strong> forme grafiche spontanee e la loro <strong>di</strong>ffusione al<br />

<strong>di</strong> là dei confini nazionali originari. La sequenza a due lettere è oramai<br />

Facebook per tutto il mondo, e la forma breve è realizzata dalle iniziali degli<br />

elementi del composto.<br />

Gli effetti, anche in questo caso, vanno oltre la creatività dello scrivente,<br />

fino a con<strong>di</strong>zionare la strutturazione dei sistemi pre<strong>di</strong>ttivi nel trattamento<br />

automatico del linguaggio naturale, come nei <strong>di</strong>zionari intuitivi o nel<br />

motore <strong>di</strong> ricerca.<br />

Le nuove funzioni <strong>di</strong> Google come “Instant” e “Suggest”<br />

(http://www.google.it/instant/;<br />

http://www.google.it/support/websearch/bin/answer.py?answer=106230) si<br />

basano sulla pre-­‐‑selezione e la proposta dei risultati della ricerca partendo<br />

dalla <strong>di</strong>gitazione degli elementi ritenuti più informativi nella frase (Herring<br />

2012b), ad esempio privilegiando le consonanti rispetto alle vocali, i<br />

morfemi lessicali rispetto a quelli grammaticali, i sostantivi e i verbi<br />

rispetto alle preposizioni e alle congiunzioni, o attraverso la deduzione del<br />

risultato dalle prime lettere della parola ricercata ( > Facebook). E si tratta,<br />

come si vede, <strong>di</strong> un effetto con valenza ideologica indotto dalla pratica<br />

delle scritture <strong>brevi</strong> (Shirky 2010).


F. Chiusaroli 23<br />

Entra nel novero dei proce<strong>di</strong>menti acronimici il notissimo “ti<br />

voglio bene”, acclimatato nella scrittura giovanile e conseguentemente<br />

declinato in forme più lunghe, anche con commistioni multilingui, un<br />

fenomeno che, tra l’altro, mette in rilievo la motivazione lu<strong>di</strong>ca, <strong>di</strong> gioco<br />

con la lingua (Crystal 1998), che provoca tipici allungamenti “ridondanti”<br />

delle scritture <strong>brevi</strong>:<br />

“ti voglio tanto bene, ti voglio tantissimo bene”<br />

“ti voglio un casino <strong>di</strong> bene e oltre forever”<br />

La <strong>di</strong>mensione globalizzante indotta dal fenomeno della rete si<br />

riconosce nella <strong>di</strong>ffusione, in italiano, della forma contratta LOL, acronimo<br />

<strong>di</strong> “loughing out loud” o “lough out loud”, espressione enfatica della risata<br />

fragorosa, e della forma OMG, ab<strong>brevi</strong>azione convenzionalizzata<br />

dell’esclamazione “Oh my God!”, entrambi ben <strong>di</strong>ffusi nella messaggistica<br />

istantanea come sequenza grafica compatta, con effetti semantici in qualche<br />

modo riconducibili al caso della composizione delle formazioni<br />

onomatopeiche attestate nella lingua dei fumetti e in particolare nelle<br />

traduzioni dalla lingua inglese dei testi fumettistici della tra<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong>sneyana (Pietrini 2007; in questa sede Dovetto).<br />

5.6. <strong>Scritture</strong> a effetto<br />

Si classifica nel novero delle espressioni <strong>di</strong>gitali giovanili la pratica <strong>di</strong><br />

alterazione della struttura grafica standard della parola tramite<br />

sostituzione <strong>di</strong> lettere con caratteri alternativi. Le corrispondenze sono in<br />

tali casi istituite attraverso lo sfruttamento <strong>di</strong> certe analogie visive o anche<br />

in ragione <strong>di</strong> suggestioni ed evocazioni a marca esterofila (anglofila) o<br />

comunque per il richiamo internazionalizzante.<br />

Costituisce occasione importante <strong>di</strong> manifestazione identitaria dello<br />

scrivente l’ideazione del nickname (ora nick), che graficamente rappresenta<br />

una sorta <strong>di</strong> passaporto della personalità, una sintetica rivelazione del sé-­‐‑<br />

<strong>di</strong>gitale che precede o accompagna, siglandola, ogni comunicazione (in<br />

questa sede Caffarelli). L’esigenza, talora imposta dal sistema, <strong>di</strong> evitare<br />

omonimie o omografie, determina la creazione <strong>di</strong> stringhe nominali<br />

autografe ottenute combinando lettere e numeri, come le lettere del nome,<br />

o del nomignolo (nome breve), e i numeri della data <strong>di</strong> nascita. Nei casi,<br />

parimenti frequenti, <strong>di</strong> “nomi in co<strong>di</strong>ce” o “nomi d’arte” si assiste


24<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

all’applicazione <strong>di</strong> caratteri sostitutivi che garantiscono l’originalità senza<br />

mettere a repentaglio la corretta lettura: per il principio della analogia<br />

visiva si creano associazioni <strong>di</strong> segni come = “A”; = “E”, da cui, ad<br />

esempio, originano formazioni <strong>di</strong> nick come o<br />

.<br />

Entrano nella medesima tipologia le sostituzioni <strong>di</strong> parti della parola<br />

(evidentemente avvertite come non fondamentali) che uniscono le<br />

potenzialità evocative e la pressione ab<strong>brevi</strong>ativa, quale è l’impiego<br />

sperequativo della in = “compleanno”, = “Camilla”,<br />

raddoppiata, triplicata, senza motivazione razionale:<br />

= “bellissimo”<br />

= “benissimo”<br />

perchè la x al posto delle 2 esse? boo<br />

Ciao!<br />

Vabè capisco magari perchè scriverlo "ʺxke"ʺ bene o male un senso ce l'ʹha (x


F. Chiusaroli 25<br />

Alla sostanziale specializzazione della punteggiatura per scopi lu<strong>di</strong>ci ed<br />

espressivi corrisponde l’impiego non ortodosso dei segni paragrafematici<br />

nelle scritture <strong>brevi</strong>. Nel messaggio e-­‐‑mail è ancora attestato un certo grado<br />

<strong>di</strong> adesione alle norme corrette – alternanza <strong>di</strong> punto/virgola,<br />

maiuscole/minuscole, uso dell’accapo – ma il livello <strong>di</strong> accuratezza è<br />

relativo al ruolo dello scrivente e alla <strong>di</strong>mensione comunicativa <strong>di</strong>afasica;<br />

nelle conversazioni per chat l’identificazione pressoché totale col parlato e<br />

la forte pressione del ritmo comunicativo determinano per lo più la<br />

soppressione <strong>di</strong> ogni atto <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitazione che possa alterare il processo della<br />

scrittura continua senza determinare effetti informativi.<br />

5.8. Pittogrammi e ideografie<br />

Non potrà essere omesso, anzi è caratteristica fondamentale della<br />

scrittura che ci interessa, l’impiego dei cosiddetti emoticons, inglese smileys,<br />

per noi anche faccine (Crystal 2004).<br />

Realizzati in modalità pittografica, inizialmente ricavati componendo<br />

figure <strong>di</strong> “sguar<strong>di</strong>” attraverso segni <strong>di</strong> punteggiatura (da guardare con la<br />

testa chinata a sinistra), sopperiscono quasi senza necessità <strong>di</strong><br />

interme<strong>di</strong>azione al vuoto intonativo che è la più rilevante fra le<br />

insufficienze pragmatiche della comunicazione scritta (Dresner&Herring<br />

2010):<br />

:-­‐‑) felicità<br />

:-­‐‑( tristezza<br />

:-­‐‑D risata<br />

:-­‐‑P linguaccia<br />

Tali segni hanno tra l’altro conosciuto una propria evoluzione in termini<br />

<strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà, essendo stati presto soppressi i tratti evidentemente avvertiti<br />

come non necessari:<br />

:) :( :D :P<br />

Gli smileys ccompagnano dunque l’espressione scritta, esplicitando<br />

l’umore del mittente o la modulazione del messaggio, ma ad<strong>di</strong>rittura<br />

possono felicemente sostituire la scrittura, lì dove la faccina sorridente può<br />

ad esempio rimpiazzare il sì! scritto, più efficacemente della opaca parola,


26<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

l’icona mostrando senz’altro il massimo potenziale in termini <strong>di</strong><br />

rappresentatività e <strong>di</strong> espressività.<br />

Elementi della medesima tipizzazione, come gli smileys dotati <strong>di</strong> grande<br />

efficacia comunicativa <strong>di</strong>retta, ideale connubio tra <strong>brevi</strong>tà ed effetto, i<br />

simboli, <strong>di</strong>segnini e forme, si sono in pochi anni moltiplicati,<br />

particolarmente nei linguaggi delle chat, in un certo senso riportando la<br />

scrittura alla propria origine. Fra tutti è certamente sovrano (e nato ben<br />

prima dell’sms) il cuore, che universalmente vale love/amore.<br />

La costruzione iconica del cuore con i due segni


F. Chiusaroli 27<br />

L’altissima occorrenza <strong>di</strong> tali figure ideografiche, <strong>di</strong>sseminate lungo il<br />

corso <strong>di</strong> ogni conversazione in chatgroup, manifesta il particolare<br />

ren<strong>di</strong>mento funzionale della scrittura breve: la collocazione regolare del<br />

simbolo in chiusura della frase <strong>di</strong>gitata, o, come spesso avviene, la<br />

presenza dell’icona quale unico elemento del rigo a scopo <strong>di</strong> commento o<br />

<strong>di</strong> replica, denotano l’importanza annessa all’espressione <strong>di</strong> stati d’animo,<br />

emozioni, reazioni istintive, rispetto alla sostanza del messaggio. La<br />

frequenza appare spesso correlata alle comuni necessità del turn taking e<br />

del floor taking, secondo i meccanismi rilevati dall’analisi conversazionale,<br />

in questo caso nelle particolari con<strong>di</strong>zioni della interazione sincrona a<br />

<strong>di</strong>stanza (Bazzanella 2005b e 2005c; Pistolesi 2005b).<br />

6. Le varianti: grammatica, sintassi, convenzione e sistema<br />

Le possibili, molteplici letture <strong>di</strong> una stessa forma mettono in campo<br />

ulteriori questioni importanti, che sono, oltre al dato della convenzione,<br />

l’ambiguità, la correttezza, i tempi. Si osservino gli esempi:<br />

“vedo una casa”<br />

“vado a casa”<br />

Se può essere “vedo” e “vado”, sarà la catena sintattica a far<br />

decidere per la corretta interpretazione; ovvero saussurianamente, le<br />

relazioni para<strong>di</strong>gmatiche e sintagmatiche daranno luogo a processi <strong>di</strong><br />

combinazione e selezione, privilegiando le forme <strong>brevi</strong> prevalentemente, se<br />

non in assoluto, nei casi in cui esse non determinino letture ambigue od<br />

oscure (Chiusaroli 2012).<br />

Osservando la questione dalla parte dello scrivente, la velocità imposta<br />

dalla pressione della catena e del sistema costituirà un limite naturale agli<br />

esiti regolari, determinando piuttosto produzioni grafiche apparentemente<br />

contrad<strong>di</strong>ttorie, quali scritture incongruenti, ma anche automatismi. Il<br />

dubbio <strong>di</strong> poter non essere bene interpretati, o fraintesi, potrà farci optare<br />

per la forma considerata più popolare, oppure per la forma estesa anziché<br />

ab<strong>brevi</strong>ata, ed ecco il margine <strong>di</strong> elasticità consentito dai linguaggi non<br />

stabilizzati (Bazzanella&Baracco 2003) (ricor<strong>di</strong>amo che anche nella<br />

stenografia classica le ab<strong>brevi</strong>azioni sono fisse e facoltative; Giulietti 1968).<br />

Come nelle lingue l’economia è principio <strong>di</strong> valutazione posteriore, ma<br />

non pre<strong>di</strong>ttivo, dei fenomeni, ed è principio relativo e non assoluto


28<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

(Martinet 1966 e 1984), così nelle scritture <strong>brevi</strong> l’economia non è<br />

incon<strong>di</strong>zionata, lì dove un eccesso <strong>di</strong> economia può mandare in crisi il<br />

principio della comprensibilità, ciò che sarà <strong>di</strong> nuovo, ed altamente,<br />

antieconomico (Chiari 2002).<br />

Secondo la premessa enunciata, la norma grafica dovrà dunque essere<br />

subor<strong>di</strong>nata alle <strong>di</strong>namiche della pragmatica comunicativa; tuttavia lo<br />

stesso principio normativo risulterà ugualmente attivo, operando, ancora<br />

per motivi <strong>di</strong> economicità, nel senso <strong>di</strong> favorire un contenimento effettivo<br />

delle spinte centrifughe indotte dalle varianti isolate ed estemporanee<br />

(Herring 2012b).<br />

Entra pertanto nella nostra prospettiva la funzione della scrittura<br />

normata, per la quale non soltanto vale il grande potente principio<br />

sociolinguistico del prestigio e del gruppo dei pari (si scrive come scrivono<br />

tutti, si scrive come scrivono i migliori), ma lo stesso canone dell’economia<br />

comporta l’adeguamento <strong>di</strong> necessità a regole più o meno con<strong>di</strong>visibili, e<br />

dunque spinge verso la convenzione. Soltanto con un buono sforzo <strong>di</strong><br />

cooperazione la lettera può essere letta come “grazie”, mentre ha<br />

maggiori possibilità <strong>di</strong> essere correttamente recepito. La <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong><br />

, già favorita dalla positiva valenza del gruppo consonantico, è per lo<br />

stesso motivo facilmente promossa al rango <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azione “ufficiale”<br />

(convenzionale).<br />

È giusto osservare passivamente il <strong>di</strong>lagare <strong>di</strong> queste forme nella<br />

comunicazione <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>?<br />

7. Fortuna e ideologia<br />

Per placare le <strong>di</strong>ffuse inquietu<strong>di</strong>ni andrà detto – e questo potrebbe<br />

andare a svantaggio del nostro <strong>di</strong>scorso – che, al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> fenomeni isolati,<br />

l’uso delle ab<strong>brevi</strong>azioni nei messaggi raramente travalica i confini del<br />

contesto rappresentato dalla rete. Ogni ragazzo sa quando sia il caso o<br />

meno <strong>di</strong> utilizzarle; ognuno sa che non si scrive nei compiti a scuola, o<br />

comunque la formazione scolastica istituisce presto il corretto <strong>di</strong>scrimen<br />

degli usi e delle competenze. Le ab<strong>brevi</strong>azioni elencate nei relativi<br />

<strong>di</strong>zionari on line in alcuni casi appartengono già alla lingua dell’uso, altre<br />

volte sono forme isolate, che spesso compaiono in un’unica occorrenza, non<br />

reiterate neppure dallo stesso utente. Si tratta pertanto <strong>di</strong> fenomeni creativi<br />

spontanei che non intaccano la fissità della norma.


F. Chiusaroli 29<br />

Ma non potrà essere <strong>di</strong>sconosciuta la spen<strong>di</strong>bilità delle scritture <strong>brevi</strong> e<br />

la loro <strong>di</strong>lagante <strong>di</strong>ffusione nei settori comunicativi della nuova società<br />

globale (Van Dijk 2002; Granelli 2006 e in questa sede; Granelli&Sarno<br />

2007; De Kerckhove 2008).<br />

Si sa che tvb <strong>oggi</strong> è la marca <strong>di</strong> un succo <strong>di</strong> frutta, gli smileys fanno<br />

capolino nei manifesti pubblicitari. Non sorprende insomma la recettività<br />

<strong>di</strong> tali forme da parte del linguaggio creativo dei me<strong>di</strong>a, per l’efficacia, la<br />

sintesi, l’appeal sulle generazioni giovani.<br />

Effetto positivo della potenza della rete è stato l’allargamento della<br />

mutua comprensibilità, vuoi nei termini della <strong>di</strong>ffusione ad ampio spettro<br />

<strong>di</strong> quella specie <strong>di</strong> lingua universale che è l’inglese <strong>di</strong> internet, ma vuoi<br />

anche, per la varietà e la contrad<strong>di</strong>ttorietà che è tipica delle cose umane,<br />

ovvero vive, per le forme <strong>di</strong> un nuovo e positivo multilinguismo (anche<br />

come rivitalizzazione dei <strong>di</strong>aletti), essendoci un posto per tutti nelle infinite<br />

pagine del libro virtuale.<br />

Ma qui è l’occasione per considerare, fra gli esiti positivi della<br />

globalizzazione, la scrittura breve, che ha, fra i suoi pregi, quello <strong>di</strong> unire<br />

tutte le lingue, in lungo e in largo, passate e presenti, in quanto è pratica<br />

universale dell’uomo, riscontrata in tutte le epoche, l’ab<strong>brevi</strong>azione (alla<br />

ricerca delle leggi “generali” delle ab<strong>brevi</strong>ature latine, ad esempio,<br />

Schiaparelli 1926 e Battelli 1939).<br />

Il carattere imperioso delle scritture nazionali tende a confinare le<br />

costruzioni ab<strong>brevi</strong>ate nell’alveo <strong>di</strong> settori specialistici, ma non raramente<br />

si assiste al collocamento delle forme nel sistema, inizialmente occasionale<br />

e imprevisto, ma successivamente stabilizzato (come sms).<br />

Per ciò che riguarda la lingua comune, i vocabolari registrano molte<br />

parole che sono forme <strong>di</strong> scritture <strong>brevi</strong>, alcune ben note e particolarmente<br />

fortunate (si pensi alla <strong>di</strong>ffusione mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> OK, su cui Metcalf 2010),<br />

entrate nell’uso or<strong>di</strong>nario e <strong>di</strong>ventate parole. Proce<strong>di</strong>menti come<br />

sincretismi, aplologie, formazioni macedonia e acronimie sono<br />

continuamente in atto nella lingua, e nella <strong>di</strong>acronia linguistica si<br />

osservano ripetuti movimenti “a fisarmonica”, che restringono (e poi anche<br />

allungano) le forme dando vita a nuovo lessico: TV, WC, VIP, UFO, NATO,<br />

brunch, smog,…<br />

L’origine <strong>di</strong> tali formazioni è molto spesso nella <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>amesica<br />

della scrittura: si tratta, ovvero, <strong>di</strong> accorciamenti grafici che vengono letti.


30<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

È del marzo 2011 la notizia dell’inserimento del simbolo del cuore -­‐‑ ♥ -<br />

nell’autorevole sede dell’Oxford English <strong>di</strong>ctionary, e si tratta del primo<br />

carattere non alfabetico ad avere accesso ufficiale nel tempio sacro della<br />

lingua inglese. La novità, accolta con molta sorpresa e con la preve<strong>di</strong>bile<br />

contrarietà, non può lasciarci in<strong>di</strong>fferenti, poiché è il segnale <strong>di</strong> una<br />

evidente, ed inevitabile, rivoluzione in atto:<br />

Don’t look now, but I think my old English grammar teacher is doing somersaults<br />

in her grave: No less an authority than the Oxford English Dictionary has declared<br />

“OMG” a word, along with two other popular 3-­‐‑letter ab<strong>brevi</strong>ations, “LOL” and<br />

“FYI.”<br />

Language purists may scoff at the new ad<strong>di</strong>tions or even consider them a sure sign<br />

of the decline of Western civilization. However, in it’s latest update, the OED notes<br />

that both OMG and LOL have jumped out of the confines of electronic screens and<br />

are now “found outside of electronic contexts, however; in print, and even in<br />

spoken use…The intention is usually to signal an informal, gossipy mode of<br />

expression, and perhaps parody the level of unreflective enthusiasm or<br />

overstatement that can sometimes appear in online <strong>di</strong>scourse, while at the same<br />

time marking oneself as an ‘insider’ au fait with the forms of expression associated<br />

with the latest technology.”<br />

C. Mikojajczyk, It’s official: OMG is now a word, March 28, 2011<br />

http://www.k-­‐‑international.com/blog/its-­‐‑official-­‐‑omg-­‐‑is-­‐‑now-­‐‑a-­‐‑word/<br />

Significativamente si registra contemporaneamente l’acquisizione, nella<br />

stessa prestigiosa sede, della sigla LOL e <strong>di</strong> OMG, <strong>di</strong> cui sopra abbiamo<br />

identificato l’ascendente extranazionale sulle lingue a partire dall’inglese<br />

(Crystal 2003 e qui Zanzotto&Pennacchiotti).<br />

8. Una conclusione<br />

Ma al <strong>di</strong> là delle peculiari fortune e dei successi – che pure decretano la<br />

rilevanza <strong>di</strong> queste specie -­‐‑ è qui l’occasione per l’osservazione e l’analisi<br />

delle fenomenologie, in quanto regolari e non irrazionali appaiono le<br />

tecniche e le strutture delle grafie sintetiche <strong>di</strong> tutti i tempi.<br />

La dominanza del principio dell’economia temporale quale<br />

denominatore comune riconosciuto nella definizione delle “scritture<br />

veloci” storicamente ricorrenti (Giulietti 1968) -­‐‑ dalle notae tironianae alle<br />

notae iuris attestate dall’epoca ciceroniana, dalle siglae (ab<strong>brevi</strong>azione <strong>di</strong><br />

singulae litterae) della tra<strong>di</strong>zione epigrafica alle ab<strong>brevi</strong>azioni dei nomina<br />

sacra dell’ambito religioso, dalla tachigrafia sillabica (dal VI secolo) alla


F. Chiusaroli 31<br />

stenografia moderna – può essere riconsiderata in un’ottica integrale <strong>di</strong><br />

storia della scrittura, ovvero inquadrando lo stesso concetto <strong>di</strong> “tempo”<br />

della scrittura come la ragione occasionale, lì dove la “<strong>brevi</strong>tà”, in senso<br />

spazio-­‐‑temporale, costituisce causa/effetto permanente, risultato delle<br />

pratiche grafiche ab<strong>brevi</strong>ative riscontrate ad ogni epoca e non soltanto nei<br />

contesti specialistici.<br />

Da tali premesse motivazionali si deducono le forme, che esibiscono<br />

parametri <strong>di</strong>stintivi e tratti peculiari tali da comporre una logica<br />

sommatoria e non tanto un inventario normativo.<br />

Mentre le lingue e le scritture sono tante e <strong>di</strong>verse, appare proponibile<br />

non solo elencare, ma anche classificare le ab<strong>brevi</strong>azioni, riconoscere<br />

principi mentali alla base della pratica dell’accorciamento, ammettere<br />

l’esistenza <strong>di</strong> tipologie in analogia con i tipi o gli universali linguistici,<br />

ovvero redatte sulla base delle stesse qualità tipologiche intrinseche alle<br />

lingue.<br />

Benché siano profonde e complesse le problematiche relative all’origine<br />

della scrittura, appare indubitabile che la particolare natura dei supporti e<br />

degli strumenti che accolgono le prime forme <strong>di</strong> rappresentazione grafica<br />

del pensiero e del linguaggio (Leroi-­‐‑Gourhan 1977; Cardona 1990 [1978];<br />

Silvestri 1996) non può non avere con<strong>di</strong>zionato la raffigurazione sintetica,<br />

dunque breve, delle realizzazioni <strong>di</strong> graffiti e pitture su rocce, “immagini<br />

senza parole” (Bocchi&Ceruti 2002) che sono funzionalmente adeguate alla<br />

maggiore economia della comunicazione (Cardona 1986a).<br />

Analogamente, la riconosciuta circostanza <strong>di</strong> intrecci e convivenze tra<br />

sistemi semasiografici e glottografici, o tra sistemi logografici e alfabetici,<br />

la tesi della convivenza <strong>di</strong> forme che ha sostituito la visione ”progressista”<br />

dell’alfabeto come risultato finale e perfetto dell’evoluzione della scrittura<br />

nella storia, comportano la necessità <strong>di</strong> confrontarsi con le tipologie delle<br />

scritture, evitando un’interpretazione rigidamente meccanicistica del<br />

rapporto tra segno e nozione, ma non<strong>di</strong>meno riconoscendo l’azione <strong>di</strong> un<br />

principio pragmatico che punta alla massima efficacia funzionale delle<br />

soluzioni primariamente in senso economico, <strong>di</strong> risparmio. La per<strong>di</strong>ta, nelle<br />

fasi temporali soprattutto moderne, ad esempio successive all’introduzione<br />

della stampa, della corrispondenza esatta delle lettere coi suoni, non può<br />

impe<strong>di</strong>re <strong>di</strong> riconoscere la ricerca <strong>di</strong> tale ideale coerenza all’origine della<br />

stipulata corrispondenza: ricerca che per altro è ulteriormente provata nei<br />

casi <strong>di</strong> ricostruzione a ritroso della derivazione <strong>di</strong> caratteri alfabetici da<br />

quelli logografici/ideografici, provando un continuo equilibrio, a scopo


32<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> <strong>oggi</strong>: tra convenzione e sistema<br />

funzionale ed economico, tra gli estremi <strong>di</strong> economia e ridondanza, e tra le<br />

tendenze <strong>di</strong> arbitrarietà, motivazione e convenzione (Silvestri 2009 e in<br />

stampa), che sono caratteristiche precipue delle lingue, prima (e oltre) che<br />

delle scritture.<br />

Non appaiono casuali, ma seguono un principio logico (psico-­‐‑logico,<br />

morfo-­‐‑logico) e comune, le pratiche <strong>di</strong> recisione <strong>di</strong> elementi desinenziali<br />

osservabili nei sistemi ab<strong>brevi</strong>ativi dell’sms come nelle ab<strong>brevi</strong>ature<br />

paleografiche introdotte dall’antico copista.<br />

L’amanuense me<strong>di</strong>oevale, che trascorreva la propria esistenza a scrivere<br />

e a copiare dentro le pareti dello scriptorium monastico, non aveva certo<br />

problemi <strong>di</strong> fretta, o almeno la sua vita non è paragonabile alla o<strong>di</strong>erna<br />

con<strong>di</strong>zione multitasking, ma il supporto per la scrittura richiedeva quanto<br />

meno attenzione a evitare ogni spreco inutile <strong>di</strong> materiale. Ed ecco la ricca<br />

serie delle convenzioni grafiche della paleografia greca e latina.<br />

Analogie si rintracciano, come visto, nelle più antiche scritture<br />

epigrafiche, le quali riportano serie convenzionali <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azioni fatte <strong>di</strong><br />

soppressione <strong>di</strong> elementi, troncature ed elisioni, <strong>di</strong>segni e simboli, che<br />

possono essere incongruenti, ma mai illogici.<br />

Si collega alle notae tironianae e alla tachigrafia dell’epoca <strong>di</strong> Cicerone la<br />

moderna stenografia, che, attraverso un alfabeto molto semplice, e<br />

attraverso regole ab<strong>brevi</strong>ative delle scritture or<strong>di</strong>narie, costruisce segni<br />

<strong>brevi</strong>ssimi, che possono essere tracciati con un solo tratto <strong>di</strong> penna,<br />

operazione che richiede un tempo che è pari ad un quinto rispetto ai<br />

caratteri or<strong>di</strong>nari.<br />

La stessa tra<strong>di</strong>zione stenografica si collega storicamente, ma ancor più<br />

ideologicamente, a certi progetti <strong>di</strong> lingue universali dell’epoca empirista,<br />

fondati sull’invenzione <strong>di</strong> caratteri sintetici ideografici “perfetti” (Poli 2012;<br />

Chiusaroli 1998), ovvero rappresentanti, nella figura scritta, i tratti<br />

essenziali degli elementi del reale pensato, i costituenti, privi <strong>di</strong><br />

ridondanze, risultanti della operazione concettuale della reductio dei dati<br />

alle nozioni prime, al <strong>di</strong> fuori della me<strong>di</strong>azione, giu<strong>di</strong>cata fallace, della<br />

lingua e dell’alfabeto (Chiusaroli 2001). Gli stessi progetti costituiscono un<br />

punto <strong>di</strong> riferimento culturale per la fondazione della teoresi della ars<br />

combinatoria e della leibniziana characteristica universalis (Rossi 1983; Eco<br />

1993) nella speculazione moderna, dove la riconduzione della lingua a<br />

schema logico, algebrico e aritmetico (Rossi 1971; 1989; Burkhardt 1987) è<br />

in seguito <strong>di</strong>venuta prototipo per la costituzione dei modelli matematici


F. Chiusaroli 33<br />

posti alla base dei programmi per il trattamento automatico delle lingue<br />

naturali.<br />

Dalla scrittura a mano alla macchina, ricor<strong>di</strong>amo che lo schema Qwerty,<br />

brevettato per le macchine da scrivere nel 1864, aveva fra i suoi scopi<br />

l’accelerazione della scrittura tramite l’ab<strong>brevi</strong>azione dei tempi e dei<br />

passaggi nei movimenti. Tale obiettivo veniva perseguito attraverso la<br />

collocazione dei tasti su basi ergonomiche, peculiarmente separando le<br />

lettere maggiormente utilizzate (in inglese) in modo tale che le mani dello<br />

scrivente non si intrecciassero nel corso della battitura, anzi in modo tale<br />

che, mentre una mano si posizionava, l'ʹaltra mano colpisse il tasto, nel<br />

rispetto delle sequenze grafiche maggiormente ricorrenti.<br />

E poi entrano in campo le molte analogie con i sistemi grafici <strong>di</strong> tutti i<br />

tempi. Ovvero, la classificazione secondo la trafila<br />

-­‐‑ <strong>di</strong>segno – pittogramma – ideogramma – logogramma – sillabogramma<br />

– carattere alfabetico<br />

trova speciale occasione <strong>di</strong> sintesi nelle scritture <strong>brevi</strong> non istituzionalizzate<br />

o non generalizzate, dove elementi <strong>di</strong> ogni sistema o <strong>di</strong> ogni sta<strong>di</strong>o sono<br />

adottati sulla base del principio <strong>di</strong> minimo sforzo e massimo ren<strong>di</strong>mento,<br />

istituendo una convivenza delle forme che supera le barriere spazio e<br />

tempo.<br />

Il confronto, in sincronia e in <strong>di</strong>acronia, sugli scriventi, i destinatari, i<br />

supporti e gli strumenti, i contesti, fa notare specificità e <strong>di</strong>fferenze, ma<br />

forse in maggior misura mette in luce affinità e somiglianze, in una pratica<br />

umana che riunisce tecnica e cultura, ideologia e creatività, regola e libertà.<br />

Francesca Chiusaroli<br />

chiusaroli@lettere.uniroma2.it<br />

francesca.chiusaroli@gmail.com


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Abstract<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

Enzo Caffarelli<br />

La storia dell’onomastica <strong>di</strong>mostra numerosi esempi <strong>di</strong> accorciamento <strong>di</strong> nomi o<br />

<strong>di</strong> ricorso a forme <strong>brevi</strong>, con <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong>acroniche, <strong>di</strong>atopiche, <strong>di</strong>afasiche e<br />

<strong>di</strong>amesiche. Nel Me<strong>di</strong>oevo e anche in tempi moderni, sia pure con modalità<br />

<strong>di</strong>fferenti, è l’usura del linguaggio orale a creare ipocoristici e nomi comunque<br />

raccorciati; numerosi cognomi nascono da aferesi, sincopi e apocopi <strong>di</strong> patronimici<br />

e <strong>di</strong> soprannomi. Ai giorni nostri è possibile verificare l’accorciamento dei nomi<br />

propri anche in <strong>di</strong>fferenti àmbiti, come la segnaletica stradale o la crematonimia, e i<br />

nomi dei prodotti commerciali in genere, nei quali si celano spesso poche sillabe del<br />

cognome-­‐‑marchio aziendale. Nella lingua <strong>di</strong> Internet la scelta dei nicknames sembra<br />

invece non tanto favorire la <strong>brevi</strong>tà quanto la condensazione in un’unica stringa <strong>di</strong><br />

più informazioni, non esclusivamente onomastiche, sulla persona.<br />

Parole chiave: accorciamento del nome, antroponimo, cognome, imposizione<br />

del nome, marchionimo, nome personale, onomastica, pseudonimo, soprannome<br />

The history of onomastics offers many examples of shortening of names or<br />

employment of short forms, with <strong>di</strong>fferences regar<strong>di</strong>ng times, places, situations and<br />

me<strong>di</strong>a. In the Middle Ages and in modern times, albeit in <strong>di</strong>fferent ways, the<br />

wearing effects of time in oral language facilitates the short name formation. Many<br />

surnames originate from apheresis, syncope and cuttings of family names and<br />

nicknames. Nowadays it is possible to observe the shortening of proper names in<br />

<strong>di</strong>fferent spheres, such as road signs or crematonimia, and the names of commercial<br />

products in general, in which few syllables of the name-­‐‑brand are often hidden. In<br />

the language of the Internet the choice of nicknames seems not to encourage<br />

<strong>brevi</strong>ty, but rather it expresses the condensation, into a single string, of most<br />

information about the person.<br />

Keywords: anthroponym, brand name, namegiving, nickname, onomastics,<br />

personal name, pseudonym, shortening of name, surname<br />

Nella primavera 2004, il quoti<strong>di</strong>ano «Metro» pubblicava nella rubrica<br />

“Nome x Nome” la seguente notizia, intitolata “La nuova legge sui


46<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

cognomi”: «Ormai pronta per l’approvazione in Parlamento, la nuova<br />

legge sui cognomi presenta come maggiore novità quella che prevede che i<br />

cognomi non potranno essere più lunghi <strong>di</strong> due sillabe (e <strong>di</strong> otto lettere). La<br />

decisione è stata presa in vista del risparmio <strong>di</strong> testi in ogni atto burocratico<br />

e in particolare per sveltire le procedure <strong>di</strong> informatizzazione e in Internet.<br />

Entro il 1º aprile 2005, a un anno da <strong>oggi</strong>, tutti i cognomi più lunghi<br />

verranno tagliati dalle anagrafi e limitati a due sillabe a scelta del citta<strong>di</strong>no.<br />

Un signor Scognamiglio, per es., si chiamerà in futuro soltanto Scogna o<br />

soltanto Miglio, Pappalardo dovrà optare per Pappa o per Lardo, anche il<br />

comunissimo Esposito potrà scegliere tra Espo e Sito. I Lombar<strong>di</strong> e<br />

Lombardo saranno conguagliati in Lomba (o in Bar<strong>di</strong>). I Brambilla si<br />

chiameranno Brambi, i Fumagalli Fuma, i Cattaneo Catta. Dalla norma<br />

saranno esentate, finché in carica, le più alte autorità dello stato: non<br />

avremo dunque, per il momento, nessun Berlus».<br />

Un professore della Facoltà <strong>di</strong> Scienze politiche della “Sapienza” <strong>di</strong><br />

Roma scrisse all’autore della nota che, dopo aver letto della decisione,<br />

infuriato, aveva cambiato il contenuto della lezione che avrebbe dovuto<br />

tenere quel giorno in aula, impostandola sulle prevaricazioni della politica<br />

più bieca e stupida sui citta<strong>di</strong>ni, oltre che sulla per<strong>di</strong>ta del patrimonio<br />

onomastico che la nuova sciocca norma avrebbe comportato. Intanto il<br />

forum in rete dello IAGI, l’Istituto per l’Aral<strong>di</strong>ca e la Genealogia Italiano, si<br />

riempiva <strong>di</strong> proteste; la <strong>di</strong>scussione, ancora <strong>oggi</strong> leggibile in rete<br />

all’in<strong>di</strong>rizzo prese il via dalle parole scandalizzate<br />

<strong>di</strong> Michele Tuccimei <strong>di</strong> Sezze: «Con questa ri<strong>di</strong>cola legge perderemo tutti<br />

un patrimonio storico-­‐‑personale-­‐‑familiare che, per molti, dura inalterato da<br />

secoli e secoli. Mi domando che fine faranno i cognomi storici. Mi domando<br />

con che riguardo della Costituzione, <strong>di</strong> cui il <strong>di</strong>ritto al nome è uno fra gli<br />

inviolabili, si pensa <strong>di</strong> emanare una legge del genere senza il consenso dei<br />

citta<strong>di</strong>ni. Mi domando a cosa serviranno dunque i cognomi, visto che lo<br />

scopo per cui sorsero fu quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le varie gens... in questo<br />

modo altro che confusione, molti cognomi “accorciati” sarebbero uguali ad<br />

altri, i rischi delle omonimie aumenterebbero vertiginosamente! Il<br />

problema <strong>di</strong> fondo è che tutto questo verrà fatto per “risparmiare” sulla<br />

burocrazia. Ecco a cosa siamo giunti. Viva la libertà!».<br />

Finché... uno degli studenti non fece notare a quel professore – e un<br />

altro appassionato <strong>di</strong> aral<strong>di</strong>ca e genealogia a quel nobile signore – che,<br />

essendo il primo <strong>di</strong> aprile, avrebbe potuto trattarsi <strong>di</strong> uno scherzo.


E. Caffarelli 47<br />

E che scherzo giornalistico fu posso testimoniarlo senza ombra <strong>di</strong><br />

dubbio, essendo stato io l’autore della notizia nella rubrica quoti<strong>di</strong>ana che<br />

curavo all’epoca per il quoti<strong>di</strong>ano «Metro». Ma la cre<strong>di</strong>bilità del contenuto,<br />

tale da convincere persone d’elevata cultura (fui redarguito severamente<br />

dal <strong>di</strong>rettore del giornale, che non avevo preventivamente informato), oltre<br />

che a confermare la scarsa fiducia degli italiani nella classe politica e<br />

dunque la cre<strong>di</strong>bilità <strong>di</strong> leggi particolarmente sciocche 1, <strong>di</strong>mostrava il fatto<br />

che l’in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi non è più così semplice come<br />

quando si richiedeva: “mi <strong>di</strong>ca nome e cognome”.<br />

Rita Caprini, nel suo bel saggio I nomi propri, annotava, allarmata, come<br />

la progressiva desemantizzazione dei nomi propri in Occidente (<strong>di</strong>fferente<br />

è – s’intende – la situazione presso le civiltà in<strong>di</strong>gene sparse nei vari<br />

continenti, dove il nome ha ancora un suo significato trasparente, viene<br />

imposto con funzioni specifiche e non per mera eufonia o moda, a maggior<br />

ragione nelle culture prive – o quasi – <strong>di</strong> scrittura) possa condurre a una<br />

trasformazione del nome in qualcosa <strong>di</strong> puramente astratto e meccanico,<br />

come il co<strong>di</strong>ce fiscale, e allora sì, privo <strong>di</strong> qualsiasi senso, fungibile ossia<br />

interscambiabile, ecc. (Caprini 2001). In effetti tutti noi siamo già una sigla<br />

alfanumerica <strong>di</strong> 15 elementi e ciò che rimane del nome e del cognome sono<br />

sei lettere: com’è noto, le prime tre consonanti del cognome, e la prima, la<br />

terza e la quarta consonante del nome, salvo conguagliare con le prime<br />

vocali i cognomi poveri <strong>di</strong> consonanti. CHSFNC è il nome “fiscale” della<br />

collega Francesca Chiusaroli, come BRLSLV è quello del nostro penultimo<br />

capo del governo e NPLGRG quello del presidente della Repubblica o<br />

TTTFNC quello del più popolare calciatore romano.<br />

Ma c’è solo il fisco, c’è solo l’informatizzazione dei co<strong>di</strong>ci, l’ABI CAB e<br />

l’IBAN a profilare all’orizzone una rivoluzione onimica? E, soprattutto,<br />

stiamo andando davvero verso una riduzione del corpo delle voci<br />

onimiche, verso quella che ho provvisoriamente chiamato, nel titolo del<br />

mio contributo, i microantroponimi del XXI secolo?<br />

1 Pesce d’aprile... ma appuriamo con certezza, – scriveva un altro frequentatore del forum<br />

IAGI – e poi ci rideremo sopra tutti insieme!» – insomma, lo spavento era stato davvero<br />

grande.


48<br />

1. Accorciamenti orali me<strong>di</strong>evali<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

In realtà, l’accorciamento del nome personale è un fenomeno che si è<br />

ripetuto più volte nella storia e, volendo limitarci all’esempio più<br />

significativo in Italia, <strong>di</strong> cui ancora <strong>oggi</strong> sono evidenti gli effetti nel<br />

repertorio cognominale, portiamoci nel Me<strong>di</strong>oevo, in particolare nei<br />

perio<strong>di</strong> e nelle aree per le quali siamo meglio documentati, come la Toscana<br />

dalla fine del XII alla metà del XV secolo.<br />

Ebbene, qui, ma non solo, i documenti testimoniano <strong>di</strong> quel fenomeno<br />

tipico dell’oralità che è l’usura del nome proprio, dell’antroponimo che,<br />

impiegato spesso in funzione vocativa, viene ad essere via via accorciato<br />

per como<strong>di</strong>tà del parlante. Cadono perlopiù la prima sillaba o tutte le<br />

sillabe prima <strong>di</strong> quella tonica o scompare l’intero corpo fonico compreso tra<br />

una consonante iniziale e la vocale tonica (quasi mai, invece, osserviamo<br />

fenomeni <strong>di</strong> apocope); e, <strong>di</strong> questi ipocoristici aferetici, conserviamo<br />

memoria negli o<strong>di</strong>erni cognomi: Fé, per Bonafe(de), Lippi da Filippo, Buti da<br />

Benvenuti, Vegni da Bentivegni, Fano da Alfano (non da Stefano, data la<br />

posizione dell’accento); salvo dover constatare che tanti nomi che hanno<br />

“perduto la testa” hanno però “acquistato la coda”, per usare un’immagine<br />

dello stu<strong>di</strong>oso ticinese Ottavio Lurati, e cioè sono cresciuti a destra con uno<br />

o più suffissi, oltre a mostrare a volte un fenomeno <strong>di</strong> assimilazione<br />

consonantica regressiva: il tipo Pippi da Filippo, Peppe da Giuseppe, Cencio da<br />

Vincencio o da Lorencio (varianti popolari <strong>di</strong> Lorenzo e Vincenzo), Totti da<br />

Bertotto o altro prenome in -­‐‑to + -­‐‑otto, ma anche da Angelotto, Cecchi e<br />

Checchi da Francesco; con i tanti nomi <strong>di</strong> famiglia Bini, Cini, Dini, Fini, Ghini,<br />

Lini, Mini, Nini, Pini, Tini, ecc. con rispettivi alterati, che possono<br />

<strong>di</strong>scendere da qualsiasi nome personale in -­‐‑bo, -­‐‑co, -­‐‑do, -­‐‑fo, -­‐‑go, -­‐‑lo, -­‐‑mo,<br />

-­‐‑ni/no, -­‐‑po, -­‐‑to...; fino a incontrare cognomi tri-­‐‑ e quadrisillabi della cui<br />

ra<strong>di</strong>ce iniziale non resta – se pure – che la consonante tematica: Golinelli da<br />

Ugo (+ -­‐‑olo, -­‐‑ino, -­‐‑ello), Pinarello da Filippo, Bucciarelli e Muccinelli da Jacobo e<br />

da Giacomo e così via (cfr. Caffarelli&Marcato 2008 s.vv.).<br />

Il patrimonio cognominale italiano, nel suo insieme ma soprattutto per<br />

quell’ampia frazione che deriva da nomi personali, è dunque il frutto <strong>di</strong><br />

due vettori opposti, sul piano fonetico e su quello pragmatico: da un altro<br />

la riduzione del corpo fonico per usura, dall’altro la suffissazione per<br />

motivi affettivi ma, soprattutto in epoca me<strong>di</strong>evale, con funzione <strong>di</strong>stintiva<br />

all’interno della medesima famiglia. Peraltro anche cognomi derivanti da<br />

soprannomi composti (per es. verbo più nome) hanno conservato solo uno


E. Caffarelli 49<br />

degli elementi grammaticali originali: i tipi Mangia, Caccia, Acconcia o Denti,<br />

Lardo e Guida potrebbero essersi formati per apocope <strong>di</strong> un Mangiapane, <strong>di</strong><br />

un Cacciavillani e <strong>di</strong> un Acconciagioco, o per aferesi <strong>di</strong> un Ficcadenti, <strong>di</strong> un<br />

Pappalardo o <strong>di</strong> un Cacciaguida.<br />

2. I cognomi italiani più <strong>brevi</strong><br />

I cognomi più <strong>brevi</strong> del repertorio italiano sono monosillabi: una<br />

consonante e una vocale; nascono generalmente da voci <strong>di</strong>alettali<br />

settentrionali, come Bo per ‘bove’, Cè forse dal soprannome degli abitanti<br />

della Val Camonica, Co e forse Go e Gho per ‘capo’, Fé da un accorciamento<br />

<strong>di</strong> Bonafe(de), Fo per ‘faggio’, Mo per ‘Mado’ nome personale, Mu sardo per<br />

‘bue’ o ‘mulo’, Re ‘rivo’ o da rex; oppure derivano da toponimi identici,<br />

quali Rho presso Milano anche senza “h”, probabilmente Po, ecc. Alcuni,<br />

tipici del Salento, parrebbero le lettere dell’alfabeto greco, come Mi e My (a<br />

meno che non si debba pensare al greco mys ‘topo’), e se ne può anche<br />

supporre un’imposizione d’ufficio in funzione enumerativo-­‐‑classificatoria,<br />

per esempio nel caso <strong>di</strong> trovatelli. Ma <strong>di</strong> monosillabi con tre o più lettere è<br />

pieno il repertorio, specie nelle regioni settentrionali dove si sono<br />

conservate forme locali non toscanizzate, con la caduta dell’ultima vocale<br />

se <strong>di</strong>versa da -­‐‑a: Alt, Ba, Bé, Bet, Bon, Bot, Dan, Din, Don, Col, Fa, Ge, Lot, Me,<br />

Men, Not, Pan, Pat, Pin, Poz, Rà, Riz, Ros, Zan, Zen, Zin, ecc.; e può trattarsi<br />

anche <strong>di</strong> cognomi poligenetici, come Cau, in Sardegna dalla voce locale per<br />

‘cavità’ (o per ‘gabbiano’) e in Friuli da un originale nome Nicolau.<br />

Che cosa possiamo <strong>di</strong>re dei cognomi del XXI secolo in Italia? I nomi <strong>di</strong><br />

famiglia italiani sono ormai fissati stabilmente, gli ultimi all’indomani<br />

dell’Unità d’Italia con la creazione delle anagrafi in tutti i comuni. Si tratta<br />

<strong>di</strong> un repertorio vastissimo, e tra i tipi più frequenti troviamo molti<br />

cognomi bisillabi – 19 sui primi 50 e i due che si contendono il primato,<br />

Rossi e Russo – e trisillabi (con in testa Ferrari, Romani e Colombo); tra i primi<br />

100 appena 11 sono quadrisillabi (Esposito, Martinelli, De Angelis e Pellegrini<br />

i più numerosi); il primo pentasillabo è appena in 159ª posizione:<br />

Napolitano (cfr. Caffarelli 2004b).<br />

Andrà aggiunto che, come vedremo e com’è ovvio per i prenomi, anche<br />

i cognomi nel linguaggio orale e nello scritto informale (compreso il<br />

linguaggio giornalistico) possono essere accorciati; tale accorciamento può<br />

seguire regole e abitu<strong>di</strong>ni tipiche <strong>di</strong> una certa area linguistico-­‐‑<strong>di</strong>alettofona


50<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

oppure trovare un motivo semplicemente nella necessità <strong>di</strong> rendere più<br />

semplice e rapido il parlato o ingombrare meno spazio nei titoli dei<br />

giornali: per fare qualche esempio, Franco Ballerini, il compianto ciclista e<br />

commissario tecnico della nazionale italiana <strong>di</strong> ciclismo, era toscanamente<br />

detto il Bàllero; l’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è per molti più<br />

semplicemente il Berlusca; il calciatore svedese <strong>di</strong> origini bosniaco-­‐‑croate<br />

Zlatan Ibrahimovic, è chiamato nelle telecronache Ibra; il cognome del<br />

giovane allenatore dell’Inter Andrea Stramaccioni è semplificato in Strama 2.<br />

Ma dobbiamo ormai considerare anche i nomi <strong>di</strong> famiglia degli stranieri<br />

<strong>di</strong> recente immigrazione, quasi 4 milioni <strong>di</strong> persone e già al 2011-­‐‑2012 con<br />

cognomi in testa alle classifiche, in particolare nella gran<strong>di</strong> città del Nord e<br />

per le nazionalità il cui repertorio onomastico è più concentrato (cfr. Sestito<br />

2011 e 2012). Così a Brescia e in alcuni comuni non capoluoghi <strong>di</strong> provincia<br />

dell’Italia settentrionale il primatista assoluto è l’indopakistano Singh, che<br />

ha superato Ferrari, Rossi e gli altri tipici cognomi del Nord d’Italia; a<br />

Milano il 2º è il cinese Hu, inferiore al solo Rossi e ben superiore a Colombo,<br />

Ferrari, Bianchi, Villa e Brambilla, e nel capoluogo lombardo i cognomi cinesi<br />

tra i primi 10 sono 3, con Chen e Zhou, mentre tra i primi 100 sono ben 12,<br />

con anche Wang, Wu, Lin, Zhang, Liu, Zhao, Li, Zhu e Zheng nell’or<strong>di</strong>ne: tutti<br />

monosillabi, insomma, e tutti con centinaia <strong>di</strong> portatori; a questi si<br />

aggiungano altri cinesi ad alta <strong>di</strong>ffusione, quali Xu, Ye, Khan, Huang, Jin,<br />

Jiang, Cheng, Dai, Diong, Xie, ecc.<br />

Tra i cognomi arabi più frequenti nel nostro Paese, si vedano i bisillabi<br />

Ahmed, Hassan, Ali, Akter, Rahman, Khalil, Islam, Ud<strong>di</strong>n, Begum, fino a Md,<br />

che è accorciamento estremo, accettato delle anagrafi italiane, per<br />

Mohammed. I cognomi subsahariani più numerosi in Italia sono i senegalesi<br />

o del golfo <strong>di</strong> Guinea Diop, N<strong>di</strong>aye, Fall, Niang, Dieng, Gueye, Diallo, Diouf;<br />

l’altro indopakistano frequentissimo, con Singh che è solo maschile, è il<br />

corrispondente femminile Kaur; anche nel repertorio romeno,<br />

abbondantissimo a Torino, a Roma e altrove, primeggiano mono-­‐‑ e<br />

bisillabi, come Pop, Popa, Rusu, Radu, Stan, Lupu, Lazar, Timis, Serban, ecc.; il<br />

primo cognome albanese per frequenza è Hoxha; tra i primissimi filippini e<br />

latino-­‐‑americano emergono Reyes, Santos, Perez, Sanchez, Lopez; e un solo<br />

2 Inutile arricchire la lista con una miriade <strong>di</strong> esempi: sia sufficiente per ciascuno <strong>di</strong> noi<br />

ricordare i giorni della scuola e i compagni o i professori dai cognomi che venivano<br />

regolarmente accorciati (o storpiati).


E. Caffarelli 51<br />

cognome lungo si va imponendo in Italia, nel Nord e nel Sud, come frutto<br />

delle migrazioni da Sri Lanka: Warnakulasuriya (cfr. Caffarelli 2012a).<br />

3. Il repertorio dei prenomi e gli accorciamenti innovativi<br />

Veniamo invece ai prenomi. Computando i primi 100 nomi femminili<br />

imposti nel 2004, risultavano 26 bisillabi, 56 trisillabi, 18 quadri-­‐‑ o<br />

pentasillabi, per una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 2,93 sillabe per nome; tra i maschi, 33<br />

bisillabi (da notare 11 stranieri non adattati, da Christian a Thomas, da Kevin<br />

a Daniel, da Michael a Omar, da Gabriel a Denis...), 56 trisillabi e 11 quadri-­‐‑ o<br />

pentasillabi, con una me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 2,80 sillabe per nome. E al <strong>di</strong> sotto del rango<br />

100, s’incontrano Brian, Jan, Max e altri bisillabi (cfr. Caffarelli 2004a e<br />

2009).<br />

Un confronto con il 1876 e con il 1951, limitatamente alla città <strong>di</strong> Roma<br />

(cfr. Caffarelli 1996): la me<strong>di</strong>a nel rilevamento ottocentesco era <strong>di</strong> 2,99<br />

sillabe me<strong>di</strong>e per i nomi femminili (con 12 composti tra i primi 100) e <strong>di</strong><br />

3,07 per i maschili; all’inizio della seconda metà del Novecento risultava <strong>di</strong><br />

3,27 e <strong>di</strong> 2,84 rispettivamente. Ricapitolando in <strong>di</strong>acronia: femminili 2,99 ><br />

3,27 > 2,93; maschili 3,07 > 2,84 > 2,80.<br />

Abbiamo dunque nel XXI secolo nomi più “<strong>brevi</strong>” nel repertorio<br />

italiano? Prenomi <strong>di</strong> appena due lettere – e comunque bisillabi – sono Ea,<br />

Eo, Ia (<strong>di</strong> cui origine e significato restano piuttosto incerti e che sono stati<br />

portati ciascuno da una manciata <strong>di</strong> italiani nel XX secolo); vari<br />

monosillabici che però hanno una provenienza straniera, come Max (cfr.<br />

Rossebastiano&Papa 2005), sono già o esclusivamente del Novecento. La<br />

novità del XXI secolo (ovviamente avviatasi negli ultimi decenni del<br />

precedente) è, anche nel campo dei nomi personali, proprio la presenza <strong>di</strong><br />

tipi non italiani, entrati nel repertorio italiano o comunque presenti nelle<br />

nostre città, che stanno accorciando la lunghezza me<strong>di</strong>a delle nostre catene<br />

onimiche. Dobbiamo, però, <strong>di</strong>stinguere: perché i prenomi “corti” d’origine<br />

allotri, appartengono anche e talvolta soprattutto agli italiani; per esempio<br />

Nicole ha soppiantato Nicoletta o sono soprattutto italiani i tanti bambini <strong>di</strong><br />

nome Christian, Nicholas, Gabriel, Samuel, ecc.). Andrà anche detto che i<br />

nomi primatisti, almeno in campo femminile, dalla fine dell’Ottocento al<br />

primo decennio del XXI secolo, sono formati da cinque solo lettere<br />

(ancorché in due casi trisillabi): Maria, Giulia e Sofia, in or<strong>di</strong>ne cronologico;<br />

e che tra i più frequenti prenomi imposti alle nuove nate secondo l’Istat<br />

(anno 2010, ultimo <strong>di</strong>sponibile alla primavera 2012, cfr.


52<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

www.istat.it/it/archivio/38402) tra i primi 30 femminili risultano 12 bisillabi<br />

(in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> frequenza, Giulia, Sara, Giorgia, Chiara, Emma, Anna, Giada,<br />

Gaia, Greta, Viola, Asia e Marta), 17 trisillabi e un solo quadrisillabo, peraltro<br />

in forte <strong>di</strong>scesa (Federica) 3.<br />

In genere, anche le forme <strong>di</strong> prenomi, ridotti al solo suffisso, come Ina o<br />

Uccio, sono propri più dell’oralità che della scrittura (e quasi assenti dai<br />

documenti ufficiali); tuttavia, nel registro familiare dello scritto, in <strong>di</strong>afasia,<br />

è ben possibile trovarli attestati in lettere o anche messaggi telematici. I<br />

nomi monosillabici inglesi sono invece anche anagrafici e comunque assai<br />

più usati nei testi scritti: basti pensare al confronto tra la forma italiana<br />

piena (o quasi) e a quella americana: Giovanni/Gianni > John, Giuseppe > Joe,<br />

Giacomo > James 4 e alla quasi infinita serie monosillabica che si produce con<br />

qualsiasi iniziale: Al, Ann, Ben, Beth, Bill, Bob, Brad, Brooke, Bud, Butch,<br />

Charles, Chuck, Clive, Dan, Dave, Dean, Deb, Dick, Don, Ed, Frank, Fred, Gal,<br />

Gene, Hugh, Ian, Jane, Jay, Jim, Kate, Ken, Lee, Mae, Mark, Mike, Ned, Neil,<br />

Nick, Paul, Pete, Phil, Ray, Rick, Rob, Rose, Sal, Sean, Sid, Steve, Ted, Tim, Todd,<br />

Tom, Van, Vic, Walt, Will, Zack, Zed, ecc.<br />

Nella lingua italiana si sono comunque <strong>di</strong>ffusi negli ultimi anni alcune<br />

tipologie innovative <strong>di</strong> accorciamenti:<br />

• apocopi anziché aferesi e non monosillabi tronchi (Cri, Fra, Gio, Cla,<br />

Pa, ecc.): ve<strong>di</strong> il caso <strong>di</strong> Ale, <strong>di</strong> provenienza settentrionale, per<br />

Alessandro/Alessandra e poi Alessio/Alessia, dove in passato prevaleva<br />

l’ipocoristico mozzato a sinistra, ossia Sandro/Sandra; è comunque<br />

frequentissimo, nell’oralità come nelle scritture <strong>brevi</strong> (messaggi <strong>di</strong> posta<br />

elettronica, sms, ecc.), il ricorso alle sole prime sillabe <strong>di</strong> un nome tri-­‐‑ o<br />

quadrisillabico: Bea[trice], Cate[rina], Ceci[lia], Dani[ela/e], Emi[lia],<br />

Fede[rica/o], Leti[zia], Ludo[vica/o], Manu[ela/e], Simo[na/e], Vale[ntina/o],<br />

ecc.;<br />

• nuove forme fungibili in relazione anche a nomi <strong>di</strong> moda, per es. Lele<br />

(con l’assimilazione consonantica regressiva che ricor<strong>di</strong>amo dall’epoca<br />

3 In parallelo, tra i primi 30 nomi maschili, i bisillabi sono soltanto 6 (Luca, Marco, Christian e<br />

Cristian, Diego e Pietro); figurano tuttavia alcuni trisillabi (Andrea, Matteo e Mattia) e<br />

quadrisillabi composti <strong>di</strong> poche lettere (Samuele, Edoardo).<br />

4 E Jack con beneficio d’inventario: perché c’è chi sostiene che si tratti invece <strong>di</strong> un ipocoristico<br />

<strong>di</strong> Joseph o <strong>di</strong> altri nomi ancora.


E. Caffarelli 53<br />

me<strong>di</strong>evale) per tutti i nomi ebraici in -­‐‑ele; Chica per Federica (anche qui con<br />

il medesimo processo fonetico) e inoltre per Cristina, Francesca ecc.;<br />

• la riduzione drastica delle forme suffissate con -­‐‑ino/-­‐‑a e con -­‐‑etto/-­‐‑etta –<br />

anche i suffissi, è peraltro <strong>di</strong>mostrato, vivono i loro periodo <strong>di</strong> moda – e<br />

dunque il passaggio <strong>di</strong> testimone, per esempio, tra Simonetta e Simona o la<br />

scomparsa <strong>di</strong> voci quali Paolina o Luigina o Enrichetta in favore delle<br />

corrispondenti forme base, per non <strong>di</strong>re del tramonto <strong>di</strong> Andreina e simili in<br />

favore <strong>di</strong> Andrea anche femminile. Ma quest’ultimo aspetto<br />

dell’antroponimia, in particolare femminile, presenta il suo rovescio della<br />

medaglia. Una sensibile preferenza per le forme base ha riportato in auge i<br />

nomi pieni a scapito anche <strong>di</strong> forme più <strong>brevi</strong>, per esempio ipocoristici del<br />

tipo Gina/-­‐‑o, Lina/-­‐‑o, Nina/-­‐‑o, Rina/-­‐‑o, Tina/-­‐‑o, ecc. che, se sopravvivono<br />

nell’oralità, sono quasi scomparse nelle scritture anagrafiche e ufficiali.<br />

4. L’orientamento dei parlanti<br />

Al proposito può cogliersi anche in alcune affermazioni (cercando in<br />

rete) un orientamento favorevole non tanto ai nomi lunghi in sé, quanto ai<br />

nomi pieni, parallelamente al timore per accorciamenti e ipocoristici vari<br />

che potrebbero risultare sgra<strong>di</strong>ti. Riporto alcuni frammenti <strong>di</strong> un forum<br />

datato 20.12.2009 (); il messaggio<br />

che ha originato la <strong>di</strong>scussione s’intitola “Rachele o alessia” e riguarda il<br />

nome da imporre a una bambina:<br />

VANILLA 73: «[...] mi <strong>di</strong>cono che Rachele è pesante, che la prenderanno in giro, che<br />

ab<strong>brevi</strong>ato sarà... Rache=Racchia che sarà tormentata dai primi giorni <strong>di</strong> scuola. Ma<br />

<strong>di</strong>co io non è mica Genoveffa o ancora più strani».<br />

VERITAS56: «[...] Rachele lo trovo decisamente bruttarello, senza contare che mi<br />

richiama l’aggettivo “rachitico” oppure il sostantivo “chela” e mi dà quin<strong>di</strong><br />

un’impressione negativa».<br />

PATTY042: «[...] ho una bimba che si chiama Hilary. Quado doveva nascere anch’io<br />

volevo mettere Rachele o Rebecca. Ma una mia vicina insegnante in una scuola<br />

me<strong>di</strong>a me lo sconsigliò <strong>di</strong>cendomi che questi nomi erano molto storpiati tra i<br />

ragazzi [...]».<br />

IRIDELLA84: «Rachele mi sa <strong>di</strong> vecchia...».


54<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

LYLAMAI: «[...] Rachele non ha bei <strong>di</strong>minutivi ve<strong>di</strong> Rachi, Rache. Non riesco a<br />

farmelo piacere».<br />

LILMUFFIN: «[...] un nome <strong>di</strong> origine ebraica ed ha il significato <strong>di</strong> “mite” è in<strong>di</strong>cato<br />

per persone del segno del saggittario ed è legato al numero 2... si <strong>di</strong>ce che sia attenta<br />

alla cura <strong>di</strong> se, è competitiva e mira in alto (e se mi permettete un commento<br />

personale è un nome nobile e veramente bello!!!».<br />

Dunque in questo breve scambio <strong>di</strong> opinioni emergono le principali<br />

motivazioni legate alla scelta del nome: l’eufonia, la moda, il significato...<br />

ma anche il pericolo delle storpiature e dei <strong>di</strong>minutivi. Non tutti<br />

ragioneranno in modo così articolato, ma certo il nome “breve” rappresenta<br />

per alcuni un rischio che è meglio evitare <strong>di</strong> correre. Per darne conferma,<br />

cito un altro frammento <strong>di</strong> forum dallo stesso sito (“Nino e ab<strong>brevi</strong>azioni<br />

nomi” il messaggio <strong>di</strong> partenza, datato 22.11.2005), rimarcando che, per<br />

quanto si tratti <strong>di</strong> osservazioni metalinguistiche, anzi metaonomastiche, è<br />

pur sempre “scrittura”:<br />

PETRA186: «Il nome NINO, come vi piace? Ci sono molti bambini dalle vostre parti<br />

chiamati così? Una curiosità: sapreste suggerirmi un’altra ab<strong>brevi</strong>azione per<br />

Lorenzo che il solito Enzo? [...] I nomi Jacopo e Stefano, invece, che forma familiare<br />

carina vi viene in mente?».<br />

MARIAPIA89: «NINO alle mie parti è quasi sempre il <strong>di</strong>minutivo <strong>di</strong> GAETANO, ma<br />

ci sono anche SEBASTIANO (mio padre si chiama così e viene chiamato Nino) e<br />

ANTONIO. Per LORENZO non mi piace nè Enzo e nè Renzo, preferisco Iori anche<br />

se mi sà troppo <strong>di</strong> femminile! Per quanto riguarda STEFANO mi piace Stè, mentre<br />

JACOPO è bellissimo così comè e non riesco a trovare un <strong>di</strong>minutivo».<br />

VIVIAH: «[...] Il bimbo <strong>di</strong> una coppia <strong>di</strong> conoscenti lo chiamano Nino, lui si chiama<br />

Antonino e ha anche altri 2 nomi. Conosco un signore anziano <strong>di</strong> nome Nicola che<br />

per viene chiamato Nino... Lorenzo penso che si possa ab<strong>brevi</strong>are solo con Lore,<br />

Lory o Enzo (ma un nome così bello come Lorenzo non si può rovinare con Enzo o<br />

Renzo). Anche a me piace molto Jacopo, anch’io ho pensato a come si potrebbe<br />

ab<strong>brevi</strong>are: Jaco, Jachy, c’è chi mi ha detto Pino=Jacopino ma è tremendo! O chi mi<br />

ha suggerito Chino... Stefano può <strong>di</strong>ventare Nino=Stefanino, Ste, Stefy, Stefa, Fano<br />

(bleah)».<br />

MARSHALL66: «[...] mi pare <strong>di</strong> capire che non sei italiana (forse tedesca, o?) <strong>di</strong>co così<br />

perché mi sembra che ormai in Italia i nomi ab<strong>brevi</strong>ati <strong>di</strong> questo tipo siano in<br />

<strong>di</strong>suso, [e ci metto anche Gino/a Rino/a Lino/a Dino/a Pino/a Tino/a Mino/a, a<br />

<strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> 50 anni fa], mentre in Germania mi dà l’idea che siano ancora


E. Caffarelli 55<br />

utilizzati, forse perché visti come esotici... a me personalmente sanno proprio <strong>di</strong><br />

vecchio e <strong>di</strong> sciatto, anche se effettivamente sono semplici e imme<strong>di</strong>ati [...]».<br />

In questa <strong>di</strong>scussione si dà dunque per scontato che i nomi ufficiali<br />

debbano poi essere ab<strong>brevi</strong>ati e pare che la scelta possa essere orientata, se<br />

non determinata, non tanto dalla bellezza e piacevolezza del nome pieno,<br />

quanto dal suo o dai suoi ipocoristici. Solo se il nome base è bellissimo,<br />

allora bisogna rinunciare al <strong>di</strong>minutivo: e pare quasi un prezzo da pagare a<br />

quella bellezza. L’ultimo intervento riportato avverte come ormai estranei<br />

all’onomastica italiano i bisillabi in -­‐‑ino, considerandoli invece propri <strong>di</strong><br />

altri domini linguistici. Il che, peraltro, è parzialmente vero. Ma trovo un<br />

altro scambio <strong>di</strong> parere interessante a partire dal messaggio “Nomi bimba e<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni” (novembre 2005):<br />

NICOVONPOZZAR: «[...] Io personalmente adoro i <strong>di</strong>minutivi: mia figlia si chiama<br />

Caterina e viene chiamata: Cate, Cat, Cater, Ina, Kitty, Ketty, Catine!! [...]<br />

Caterinuccia [...], Inuccia, Inetta, Kit, a seconda dell’interlocutore e dell’umore del<br />

suddetto. Lei non ha MAI battuto ciglio, si volta sempre a qualsiasi nomignolo e<br />

non ha mai detto “che brutto”. Aggiungo che insegno e ho esattamente 147 alunni,<br />

se non ci fossero i <strong>di</strong>minutivi impazzirei con la selva <strong>di</strong> Niccol[ò], Nicola, Nicholas,<br />

Nicolas, Nicole, Nicol, Nicoletta, Tomas, Thomas, Tommaso, Riccardo, Michele,<br />

Andrea (maschio e femmina) eccetera eccetera. Sopravvivo chiamando tutti Vic,<br />

Nic, Ric, Tim, Rom, Camy, Meggu e avanti».<br />

MARIAPIA89: «Ho 2 amiche che si chiamano Angelica [...] qualche volta le chiamo<br />

per cognome ma è brutto e allora una la chiamato Gegy (<strong>di</strong>minutivo inventato da<br />

me) e l’altra Angy o Angè. Le altre le chiamo TANIA (da Gaetana [...], ELY o E (da<br />

Elena), FRA (da Francesca), SIMO o Etta (da Simonetta), ANNA (da Annalisa),<br />

DANY (da Daniela). [...] Benedetta (Benny): si ma anche Bene; Bia (significa “vita”...<br />

è pratico: non si ha nemmeno il bisogno <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>are!): già cortissimo. Ludovica<br />

(Vicky; Lulù): Lulù o Ludo; Fabiola (Fabi): sì ma anche Fà».<br />

TITTI163: «Mia figlia Ludovica viene chiamata ludo... mio figlio andrea.. andry.. si<br />

sono importanti le ab<strong>brevi</strong>azioni.. io ab<strong>brevi</strong>o tutto i nomi... quando ludo la chiama<br />

vica [...] non mi piace».<br />

A parte l’orgoglio per la passiva accettazione da parte della figlia dello<br />

“scempio” onimico <strong>di</strong> Caterina, della prima madre colpisce la percezione <strong>di</strong><br />

una forte omonimia sul piano dei nomi ufficiali e della funzione del<br />

“<strong>di</strong>minutivo” in chiave <strong>di</strong>stintiva: colpisce anche perché un nome più<br />

lungo dovrebbe avere più probabilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguersi; infatti l’insegnante<br />

non specifica come si rivolge ai vari Niccol[ò], Nicola, Nicholas, Nicolas,


56<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

Nicole, Nicol, Nicoletta..., dando per scontato che non potrà orientarsi sul<br />

tipo “Tim” e “Ric”, perché finirebbe per omologare metà classe<br />

all’ipocoristico “Nic”.<br />

La seconda interlocutrice spiega le strategie poste in essere per<br />

<strong>di</strong>ffenziare le amiche omonime, esprime un parere su una serie <strong>di</strong> nomi da<br />

accorciare, proposti dal primo messaggio e qui omessi, consiglia <strong>di</strong><br />

estendere la sua tecnica <strong>di</strong> apocope dopo la prima sillaba (v. Fabiola ridotto<br />

a Fà) e, complessivamente, pare talmente impegnata a in<strong>di</strong>viduare le<br />

riduzioni eufoniche e funzionali che bene<strong>di</strong>ce il nome Bia in quanto, così<br />

corto <strong>di</strong> suo, non le imporrebbe sforzo alcuno.<br />

Anche la terza partecipante al forum ab<strong>brevi</strong>a i nomi, ma sottolinea che<br />

c’è modo e modo <strong>di</strong> accorciare: la figlia Ludovica è regolarmente Ludo, guai<br />

a chiamarla Vica. Si noti anche la scelta razionale e non spontanea del nome<br />

breve, del tutto opposta a quanto accadeva in passato, quando gli<br />

ipocoristici e i fenomeni <strong>di</strong> caduta sillabica <strong>di</strong>pendevano dall’uso e pertanto<br />

si basavano, come visto, sulla conservazione della vocale tonica; ora i<br />

prenomi vengono frammentati e se ne sceglie una porzione, quella più<br />

eufonica, che piace <strong>di</strong> più. Si veda un successivo intervento:<br />

HAWIKA: «Ludovica (Vicky; Lulù) piuttosto Luvi ma lulù no!!!. Fabiola (Fabi) meglio<br />

così che ab<strong>brevi</strong>ato in Lola (conosco una ragazza che si presenta così».<br />

Poche le voci in controtendenza:<br />

viva800: «No, per carità... Pensare già ad un’ab<strong>brevi</strong>azione per un nome è una cosa<br />

in sè che proprio non mi piace. Nomi bellissimi vengono storpiati in nomignoli<br />

ri<strong>di</strong>coli quasi fossero dei nick... proprio brutto! Io ho chiamato mio figlio Gianni... se<br />

tornassi in<strong>di</strong>etro [...] ci penserei forse un attimo... ma sento intorno a me tanti<br />

Giovanni ab<strong>brevi</strong>ati in Gianni che mi fa una rabbia incredbilie... Così come<br />

Alessandro (il mio vicino 25enne) “Aleeeeeeeee”; Leonardo “Leooooooooooo”...<br />

persino Bernardo <strong>di</strong> più <strong>di</strong> 40 anni “Dadoooooooo” come fosse un frugoletto <strong>di</strong><br />

pochi mesi. No, guarda... se uno deve partire già con il presupposto <strong>di</strong> scovare<br />

anche un <strong>di</strong>minutivo... meglio Ugo, Ivo, Ada, Eva, Ebe... almeno nessuno li<br />

massacrerà mai».<br />

E in quest’ultima opinione emerge la netta <strong>di</strong>stinzione tra il nome<br />

anagrafico, che tale dovrebbe restare nell’uso, e il nick che avrebbe la<br />

connotazione del ‘ri<strong>di</strong>colo’, mentre la forma accorciata risulterebbe propria<br />

soltanto della prima infanzia. La soluzione parrebbe essere la prevenzione,


E. Caffarelli 57<br />

optando per un bisillabo magari <strong>di</strong> tre lettere: e poiché l’eventuale<br />

alterazione (suffissazione) non preoccupa, sembra palesarsi la concezione<br />

secondo la quale la questione si gioca non tanto sul rapporto<br />

lunghezza/<strong>brevi</strong>tà, quanto sulla <strong>di</strong>cotomia ufficialità/manipolazione:<br />

insomma, il nome “intoccabile” nella sua forma base.<br />

5. Un confronto oltralpe<br />

Se <strong>di</strong>amo uno sguardo alla Francia, ve<strong>di</strong>amo che i prenomi più portati<br />

dalla popolazione nel suo complesso risultano <strong>oggi</strong>, frutto ovviamente <strong>di</strong><br />

stratificazioni cronologiche, Michel, Pierre e Jean in campo maschile, con<br />

tipi, tra i primi 50, <strong>di</strong> una certa consistenza fonetica, quali Philippe, Bernard,<br />

Christophe, Fréderic, Sébastien, Alexandre, Dominique, Guillaume e i doppi Jean-­‐‑<br />

Pierre e Jean-­‐‑Claude. In campo femminile: Monique, Nathalie, Catherine,<br />

Françoise e Isabelle e tra i primi 50 anche Jacqueline, Jeannine, Christine,<br />

Sandrine, Christiane, Stéphanie, Véronique, Dominique, Madeleine, Carolina,<br />

Geneviève e i doppi Anne-­‐‑Marie e Marie-­‐‑Thérèse (cfr. Besnard&Desplanques<br />

2004).<br />

Si notino i trisillabi e i quadrisillabi, non così frequenti nella lingua<br />

francese, e i composti che hanno avuto oltralpe maggiore fortuna che in<br />

Italia. Li si confronti con i nomi imposti con maggiore frequenza nei primi<br />

anni del XXI secolo; maschi: Lucas, Théo, Thomas, Hugo, Enzo, Quentin,<br />

Maxime, Mathis, Louis, Tom tra i primi 20; femmine: Léa, Manon, Chloé,<br />

Emma, Sarah, Clara, Inés, Camille, Lucie, Julie, Lisa, Laura, Éva, Jade sempre tra<br />

i primi 20. Non c’è dubbio, pertanto, che in Francia ci si stia orientando<br />

verso prenomi più <strong>brevi</strong> che nel passato; naturalmente per avere valore<br />

statistico i confronti dovrebbero essere ampliati a un numero superiore <strong>di</strong><br />

ranghi e includere vari altri domini linguistici,. Ma ciò non rientra nei<br />

compiti e nei limiti <strong>di</strong> questa comunicazione. Tuttavia, come semplice<br />

in<strong>di</strong>catori, possono offrirci materia su cui riflettere.<br />

6. Le altre se<strong>di</strong> dell’onomastica breve<br />

Quali sono altre se<strong>di</strong> “onomastiche” nelle quali si riflette l’urgenza della<br />

comunicazione, i tempi <strong>brevi</strong> richiesti dalle nuove tecnologie, i ritmi<br />

frenetici del tempo che viviamo? Ve<strong>di</strong>amone rapidamente un campionario<br />

<strong>di</strong> altri luoghi.


58<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

Odonimia e dunque insegne stradali: sono ben conosciute quelle<br />

insegne rettangolari a fondo bianco e bordo blu, minimali nelle <strong>di</strong>mensioni,<br />

con il determinato, ossia la tipologia dell’area scritta in caratteri<br />

microscopici, e il nome dell’area su una sola riga in caratteri rigidamente<br />

minuscoli; è anche noto che i Paesi dell’Unione Europea sono stati costretti<br />

ad adattarsi a una normativa comunitaria, tesa, nelle intenzioni dei<br />

promotori, a uniformare e a rendere più chiara l’informazione stradale. In<br />

realtà la sede <strong>di</strong> scrittura è talmente limitata che i prenomi <strong>di</strong> alcuni<br />

de<strong>di</strong>catari sono sovente ridotti all’iniziale puntata: ciò accresce la<br />

confusione tra omonimi (le nostre città sono piene <strong>di</strong> strade e piazze<br />

de<strong>di</strong>cate a due o più persone con lo stesso cognome, oppure a personaggi il<br />

cui cognome coincide con un toponimo a sua volta ricordato in altra area...)<br />

e, inoltre, rende alcuni insegne curiose, per non <strong>di</strong>re ri<strong>di</strong>cole: come le<br />

numerose “Via D. Alighieri” o, peggio “Via Alighieri D.” che incontriamo<br />

nelle nostre città.<br />

Crematonimi e in particolare prodotti commerciali: da un lato i marchi –<br />

qui s’intendono quelli composti dai cognomi dei fondatori/proprietari delle<br />

aziende – tendono ad essere compressi in un acronimo: ma non è vezzo<br />

moderno; se pren<strong>di</strong>amo le aziende motoristiche a partire dagli ultimi anni<br />

dell’Ottocento e primo Novecento e ne confrontiamo le ragioni sociali con<br />

le industrie o<strong>di</strong>erne, incontriamo un numero elevatissimo <strong>di</strong> sigle: da ABC<br />

(Anonima Brevetti Chiribiri) a VALT (Vetturette Automobili Leggere<br />

Torino), passando per AM, ASA, ATS, BBC, BN, CABI, CAR, CEVA, CIP.<br />

CMN, DRB, EIA, FAIT, FAS, FATS, FIAM, FLAG, FOD, FRAM, FTA, LUX,<br />

MBP, MRR, OM, OMT, OSCA, SABA, SACA, SALM SAOM, SCA, SIATA,<br />

SIC, SILVA, SIMS, SIVE, SMB, SMIN, STAR, SVAN, e solo per citare alcune<br />

aziende nate in Italia tra fine Ottocento e primo Novecento.<br />

Nei nomi dei prodotti alimentari troviamo invece marchi<br />

deantroponimici ab<strong>brevi</strong>ati, ossia i nomi aziendali (per lo più cognomi e<br />

toponimi) ridotti a un paio <strong>di</strong> sillabe e più spesso a una soltanto, una marca<br />

<strong>di</strong>stintiva combinata con altri elementi portatori ciascuno <strong>di</strong><br />

un’informazione. Ecco alcuni esempi: il marchio <strong>di</strong> salumi Beretta entra<br />

parzialmente nel würstel Wüber e negli alterati Wüberone e Wüberini; inoltre:<br />

i composti Biralungo e Birasnack (Biraghi); i crackers salati GranPavesi<br />

(Pavesi); Sanciok, metà cacao e metà biscotto (Sanson). Un ricco campione è<br />

fornito dal marchio Doria: sfruttando il lessico, la casa produce i crackers<br />

salati Doriano, i biscotti agli agrumi Doriflor, i frollini Doricrem e gli snack


E. Caffarelli 59<br />

salati Doribar. Anche marchi stranieri, ma ben noti in Italia, si trovano<br />

variamente combinati nei nomi dei prodotti: dal cognome svizzero Nestlè<br />

sono nati Nescafè, Nespresso (caffè in capsule – si noti l’incrocio), Nestea,<br />

Nesquik, Nescau, Neslac e Nespray, Nestum e Nestogen, con Nes-­‐‑ sorta <strong>di</strong><br />

prefissoide aziendale. Analogamente il marchio multinazionale Danone si<br />

ritrova parzialmente in Danacol, Danette, Danito, Danaos (con vitamina D<br />

per rinforzare le ossa). Un altro popolarissimo marchio è McDonald, che<br />

applica la sua marca morfologica <strong>di</strong> appartenenza, il M(a)c <strong>di</strong> molti nomi <strong>di</strong><br />

famiglia scozzesi, ancora a guisa <strong>di</strong> prefissoide alla lista detta McMenu e<br />

dunque ai prodotti McToast, McChicken, BigMac, McRoyal Deluxe, McItaly<br />

Vivace-­‐‑Adagio, McWrap Caesar, Cripsy McBacon, McNuggets, ecc.<br />

Un settore che possiamo accogliere come esemplificativo della tendenza<br />

<strong>di</strong> ridurre al minimo il cognome aziendale ma <strong>di</strong> inserirlo nelle<br />

denominazioni propri prodotti è quello farmaceutico. Basta qui una<br />

manciata <strong>di</strong> esempi sui tanti possibili: Sandoz in San<strong>di</strong>mmun,<br />

Sandoglobulina, Sandomigran; Bayer in Bayolin, Baypen, Baypress,<br />

Glucobay, Metbay; Roche in Roaccutan, Rocefin, Roferon, Roipnol; Menarini<br />

in Menaderm, Menalgon, Menorest, Azolmen, Climen, Dolmen, Miocamen,<br />

Neocytamen; Malesci in Aminomal, Diffumal, Paidomal; Gentili in Genalen,<br />

Genaprost, Gentipress, Montegen; Bracco in Tebraxin; Bruschettini in<br />

Brumeti<strong>di</strong>na e Bruxicam; Dr. Falk in Salofalk e Ursofalk; Formenti in<br />

Forgenac; Lampugnani in Lampocef, Lampoflex, Lampomandol; Molteni in<br />

Mepivamol e Molcain; ecc.<br />

Infine un cenno alla crescente riduzione <strong>di</strong> marchi complessi alla parola<br />

chiave; è il caso degli istituti <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>to, nel linguaggio giornalistico sempre<br />

più spesso ridotti al toponimo che in<strong>di</strong>ca l’appartenenza della banca: Lo<strong>di</strong>,<br />

Mantova o Novara stanno rispettivamente per Banca Popolare <strong>di</strong> Lo<strong>di</strong>, Banca<br />

Popolare <strong>di</strong> Mantova e Banca Popolare <strong>di</strong> Novara. Lo stesso capita per le<br />

squadre sportive (ad eccezione del calcio), dove si tende a citare il solo<br />

toponimo omettendo l’articolo, un’eventuale suffissazione corrispondente<br />

all’aggettivo etnico e sovente il nome dello sponsor: così è facile leggere<br />

“Siena batte Roma” nel basket o “Trento si arrende a Macerata nella corsa<br />

scudetto” nella pallavolo, mentre i nomi ufficiali delle contendenti<br />

risultano rispettivamente Itas Diatec Trentino e Lube Banca Marche Macerata.


60<br />

7. Pseudonimi e nomi d’arte<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

Un’altra area privilegiata del nome breve è la firma pseudonimica o il<br />

nome d’arte. Tuttavia non è semplice cogliere in questo àmbito un<br />

cambiamento d’abitu<strong>di</strong>ne o, secondo la nostra iniziale ipotesi, una<br />

tendenza più sviluppata negli ultimi anni verso l’accorciamento dei nomi.<br />

La verifica si può cercare tra gli scrittori, i giornalisti, i vignettisti, gli<br />

attori, i registi cinematografici, i cantanti. Ma, tra casi abbastanza isolati,<br />

come Totò e Macario attori, Trilussa poeta, Steno regista, posso sottolineare<br />

solo alcuni repertori più consistenti:<br />

• firme <strong>di</strong> vignettisti: in genere limitate al solo cognome (Altan, Bucchi,<br />

Forattini, Giannelli, Krancic, Manetta, Staino, Vincino, ecc.) o al solo prenome<br />

(Vauro), talvolta con una sigla acronimica o pseudotale (BDA – Bruno<br />

D’Alfonso – oltre allo storico Sto – Sergio Tofano –, e non sempre con<br />

risparmio grafico: Elle Kappa) o con uno pseudonimo (Quino);<br />

• cantanti: limitatamente al panorama italiano: Adamo, Al Bano, Alice,<br />

Arisa, Drupi, Dolcenera, Elisa, Giorgia, Fiorello, Fiordaliso, Garbo, Jovanotti,<br />

Mango, Michele, Mietta, Milva, Mina, Morgan, Nada, Neffa, Nek, Povia, Pupo,<br />

Raf, Ron, Scialpi, Siria, Spagna, Tosca, Ugolino, Zucchero; si noti come si tratti<br />

per lo più <strong>di</strong> prenomi – alcuni d’arte – o <strong>di</strong> soprannomi e talvolta <strong>di</strong><br />

cognomi (Adamo, Fiorello, Scialpi, Spagna, ecc.);<br />

• coppie o trii <strong>di</strong> artisti, in particolare comici; qui la scelta si giustifica<br />

sia con la tra<strong>di</strong>zione cinematografica <strong>di</strong> coppie quali Stanlio & Ollio o Gianni<br />

e Pinotto, sia con la necessità <strong>di</strong> non appesantire la propria firma artistica<br />

con tutti i prenomi e tutti i cognomi: Totò e Peppino, Billi e Riva, Ric e Gian,<br />

Cochi e Renato, Franco e Ciccio, Gaspare e Zuzzurro, Gigi e Andrea, fin ai più<br />

recenti Ficarra e Picone, Luca e Paolo, Aldo Giovanni e Giacomo, Ale e Franz;<br />

• tra i personaggi dello spettacolo si possono comunque in<strong>di</strong>viduare<br />

vari nomi d’arte più <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> quelli anagrafici: ne sono palese testimonianza<br />

i cognomi reali accorciati, sul palco, per apocope: Giorgio Gaber da<br />

Gaberscik, Charles Aznavour da Aznavourian, Jenifer Aniston da<br />

Anistonapoulos, Ringo Starr da Starkey; per aferesi: Orietta Berti da


E. Caffarelli 61<br />

Galimberti; per sincope: Ombretta Colli da Comelli, Clau<strong>di</strong>a Mori da Moroni,<br />

ecc. 5<br />

Per chi conosce tali nomi, appare evidente che si tratta <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zioni<br />

pseudonimiche o ellittiche che si continuano nel tempo, senza che emerga<br />

negli ultimi anni un orientamento più <strong>di</strong>ffuso verso scritture onimiche<br />

<strong>brevi</strong>, che tuttavia persistono nei nuovi personaggi.<br />

Antroponimi <strong>brevi</strong> nella lingua <strong>di</strong> Internet<br />

Fin qui gli antroponimi del registro ufficiale, quelli anagrafici.<br />

Tralasciando l’uso orale che non rientra negli interessi <strong>di</strong> questo gruppo <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong>o, <strong>di</strong>amo però un rapido sguardo al registro non ufficiale, alle scritture<br />

“colloquiali”, in particolare a quelle della lingua “trasmessa” <strong>di</strong> Internet 6,<br />

per il motivo della grande <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> messaggi e dunque <strong>di</strong> “firme” in<br />

rete e per la massima accessibilità da parte del ricercatore 7.<br />

Ho concentrato l’attenzione sui cosiddetti nicknames, per verificare, sia<br />

pure con campioni necessariamente ridotti e dunque in grado <strong>di</strong> fornire<br />

informazioni qualitative e solo in parte quantitativa, ma certo non <strong>di</strong> valore<br />

statistico, quale sia il livello <strong>di</strong> “accorciamento” della propria catena<br />

onimica in rete e quale sia lo status prevalente del cosiddetto nickname 8.<br />

5 Lino Banfi racconta che fu Totò, incontrato sul palco del Sistina nel 1965, a suggerirgli <strong>di</strong><br />

cambiare il primo nome d’arte, Lino Zaga da Pasquale Zagaria: «Cambialo. I cognomi ab<strong>brevi</strong>ati<br />

portano sfortuna».<br />

6 Termine che mi pare <strong>di</strong> poter applicare anche qui, sulla scia della definizione <strong>di</strong> Francesco<br />

Sabatini inizialmente in relazione con teatro, cinema, testi musicali e televisione, anche agli<br />

strumenti dell’informatica e della telematica.<br />

7 Chi ha stu<strong>di</strong>ato repertori <strong>di</strong> messaggeria telefonica ha senz’altro incontrato e già trattato<br />

anche <strong>di</strong> nomi propri e <strong>di</strong> firme – così come anche quanti si sono occupati della lingua <strong>di</strong><br />

internet hanno citato l’argomento del nome proprio: ho per questo provato a ritagliarmi alcuni<br />

aspetti molto specifici, che spero possano risultare d’un qualche interesse.<br />

8 Avrei voluto stu<strong>di</strong>are anche un ampio campione <strong>di</strong> account <strong>di</strong> posta elettronica ma non vi era<br />

il tempo né lo spazio: del resto il nickname usato in rete talvolta è spesso strutturato in modo<br />

simile se si tratta <strong>di</strong> bambini e ragazzi o <strong>di</strong> chi usa la posta elettronica per comunicazioni non<br />

formali e non professionali; in quest’ultimo caso, sappiamo bene che prevale l’uso del solo<br />

cognome o del cognome accompagnato dal nome, o dall’iniziale del nome, puntata o no, ma<br />

comunque equivale, se non a una firma completa, per es. alle citazioni bibliografiche <strong>di</strong> un<br />

articolo scientifico dove, con rare eccezioni, gli autori e i curatori vengono segnalati con il<br />

cognome e la sola iniziale del prenome.


62<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

Ho condotto due <strong>brevi</strong> ricerche in particolare. La prima legata ai<br />

nickname alfanumerici (cfr. Caffarelli 2012b). Non si tratta <strong>di</strong> una novità:<br />

almeno da quarant’anni, a mia memoria, soprattutto i giovani sono soliti<br />

firmarsi – ricordo le lettere inviate al settimanale per il quale ho scritto tra il<br />

1969 e il 1985, «Ciao 2001» – con il nome <strong>di</strong> battesimo, o uno pseudonimo,<br />

accompagnato dalla data <strong>di</strong> nascita (perlopiù limitatamente alle ultime due<br />

cifre). È esperienza comune, <strong>di</strong> chi frequenti il web, che tale prassi si sia<br />

continuata e, anzi, nettamente intensificata. Un àmbito antroponimico<br />

particolare nel quale è ben presente l’elemento numerico è costituito dalle<br />

firme parapseudonimiche, quelle cioè che svelano soltanto in parte<br />

l’identità personale e che negli ultimi decenni ha trovato un enorme<br />

sviluppo nella rete telematica, dunque nei cosiddetti nickname <strong>di</strong> Internet,<br />

negli in<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> posta elettronica e nelle denominazioni dei siti web.<br />

Ho potuto calcolare, cercando con il motore Google la formula N+data,<br />

per es. Giulia99, e tornando in<strong>di</strong>etro calando il numero fino a Giulia20, un<br />

altissimo numero <strong>di</strong> occorrenze 9; e, a conferma <strong>di</strong> quanto avevo ipotizzato<br />

– partendo dal presupposto con<strong>di</strong>visibile che i giovani usano scrivere in<br />

rete più degli adulti e questi più degli anziani – ho riscontrato che il<br />

numero delle occorrenze decresce con il crescere dell’età, ma poi torna a<br />

salire perché, evidentemente, ci sono casi in cui i giovani (intendo i<br />

bambini, gli adolescenti e i giovani adulti) usano come cifre della propria<br />

firma alfanumerica non l’anno <strong>di</strong> nascita, ma la propria età: l’abbondanza<br />

<strong>di</strong> Giulia30 o Giulia20, insomma, più che far pensare a un folto gruppo <strong>di</strong><br />

signore ottantenni e novantenni intente ad animare forum, raccontarsi nei<br />

blog e scambiarsi foto e messaggi nei social network, a ventenni e trentenni,<br />

appunto.<br />

La formula più <strong>di</strong>ffusa, nell’utilizzo <strong>di</strong> un numerale, è come si <strong>di</strong>ceva<br />

quella costituita dal prenome associato all’anno <strong>di</strong> nascita, espresso con<br />

quattro cifre o, più sovente, con le due ultime soltanto. Prendendo uno dei<br />

prenomi femminili imposti con maggiore frequenza in Italia negli ultimi 30<br />

anni – Sara – e limitando la ricerca <strong>di</strong> pagine web, attraverso il motore<br />

Google, a quelle in lingua italiana, si ottengono frequenze elevatissime <strong>di</strong><br />

occorrenze del tipo Sara+numerale. Si va dalle 144.000 occorrenze <strong>di</strong> Sara88<br />

e dalle 27.200 <strong>di</strong> Sara82 a valori comunque superiori a 10.000 per ogni<br />

9 Quando si <strong>di</strong>ce altissimo s’intende però il numero apparente <strong>di</strong> pagine: che vanno ridotte,<br />

secondo i casi, e comunque se superano il migliaio, dall’80 al 90%.


E. Caffarelli 63<br />

numero compreso tra 80 e 99 e maggiori <strong>di</strong> 5.000 per vari altri numeri<br />

compresi tra 11 e 79 10. Risultati simili possono registrarsi con altri prenomi,<br />

tanto femminili quanto maschili.<br />

Il numerale legato al nome <strong>di</strong> persona segnala perlopiù la data <strong>di</strong><br />

nascita del portatore. Oltre che sull’esperienza e sull’intuito, la spiegazione<br />

si basa su un fattore probabilistico <strong>di</strong> assoluta evidenza: tenuto conto che il<br />

prenome Sara ha notevolmente accresciuto la sua <strong>di</strong>ffusione in Italia nelle<br />

ultime generazioni e che i luoghi telematici dove appaiono le firme (i<br />

nickname o soprannomi) sono frequentate in misura maggiore dai giovani<br />

che dagli adulti e dagli anziani, ci aspetteremmo grossomodo una frequenza<br />

superiore dei numeri corrispondenti agli anni <strong>di</strong> nascita compresi tra il<br />

1975 e il 1999 e valori descrescenti via via che le cifre più basse in<strong>di</strong>cano<br />

una maggiore età della persona; ciò che i dati rilevati nella ricerca con il<br />

motore Google confermano pienamente; la risalita della curva con i numeri<br />

inferiori a 30 può infatti giustificarsi se li si considera, come detto sopra,<br />

non più rappresentazione dell’anno <strong>di</strong> nascita, bensì dell’età del portatore.<br />

Un ulteriore in<strong>di</strong>zio favorevole all’ipotesi è dato dalla serie <strong>di</strong> valori<br />

in<strong>di</strong>viduati per le formule a quattro cifre, il tipo Sara1999; ebbene, anche in<br />

questo caso i valori massimi si riferiscono agli anni 80 e 90, e in<br />

corrispondenza dei numeri compresi tra 1910 e 1960 le presenze sono<br />

minime e in genere fallaci, proprio come ci si aspetterebbe.<br />

L’utilizzo della combinazione prenome+anno <strong>di</strong> nascita (o anno d’età) è<br />

la spia <strong>di</strong> un interessante aspetto psicologico, che qui si lascia<br />

evidentemente al vaglio degli specialisti in materia: nel biglietto da visita<br />

rappresentato dalla firma/nickname il riferimento all’età parrebbe più<br />

importante del cognome, della città <strong>di</strong> residenza o <strong>di</strong> qualsiasi altra<br />

appartenenza e segno <strong>di</strong>stintivo. Sarebbe interessante stabilire in quale<br />

misura ciò è dovuto alla sinteticità del numero rispetto a in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> tipo<br />

<strong>di</strong>verso. In ogni caso il fenomeno costituisce motivo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>tazione per<br />

quanti, stu<strong>di</strong>osi <strong>di</strong> onomastica in testa, paventano legittimamente che in un<br />

futuro non troppo lontano prenomi e cognomi possano essere sostituiti in<br />

parte o in toto da sequenze alfanumeriche <strong>di</strong>stintive, come quelle del co<strong>di</strong>ce<br />

fiscale.<br />

10 Sondaggi effettuati tra il febbraio e il settembre 2011.


64<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

La <strong>di</strong>ffusione delle firme/nickname con un componente numerale è<br />

documentabile in àmbiti ancor più specifici. Nell’esempio del Fantacalcio e<br />

<strong>di</strong> analoghi concorsi <strong>di</strong> previsioni <strong>di</strong> risultati calcistici, da un’analisi<br />

cursoria dei nomi dei partecipanti riportati in www.fantamagic.it 11 risulta<br />

che circa il 10% degli pseudonomi in<strong>di</strong>cati sono caratterizzati da un<br />

numero. Varia è la tipologia: si va dal tipico abbinamento prenome+anno <strong>di</strong><br />

nascita (presumibile), come toni73, con possibile riferimento anche a un<br />

figlio (alessia06, Sofia2000), a nomi <strong>di</strong> squadre <strong>di</strong> calcio variamente<br />

interpretabili (Lazio74 che ricorda l’anno del primo scudetto vinto dalla<br />

società calcistica romana, reggina77, Stella rossa24, Napoli Soccer 2008,<br />

Rosanero79, 11 bianconeri, ecc.) o anche <strong>di</strong> calciatori (Huntelaar92).<br />

La seconda ricerca effettuata è <strong>di</strong> tipo qualitativo. Ho scelto un sito<br />

molto frequentato, e ho in<strong>di</strong>viduato due campi<br />

nei quali mi pareva <strong>di</strong> poter ipotizzare, da un lato, un interesse particolare<br />

per l’onomastica, ossia le donne che <strong>di</strong>scutono <strong>di</strong> quale nome dare ai propri<br />

bambini in arrivo o comunque <strong>di</strong> quali siano i nomi più belli, ecc. 12; e,<br />

dall’altro lato, un probabile <strong>di</strong>sinteresse per i nomi, e per nomi troppi<br />

sofisticati o articolati, perché i temi erano i più vari e in nessun modo legati<br />

a un interesse per i nomi 13.<br />

Ho dunque raccolto oltre 660 nicknames <strong>di</strong>fferenti usati nell’uno e<br />

nell’altro àmbito, riscontrando, in termini generali, le caratteristiche<br />

seguenti del repertorio:<br />

• non ho rilevato una <strong>di</strong>fferenza significativa tra l’uno e l’altro forum<br />

quanto all’aspetto formale, composizione, uso <strong>di</strong> nomi reali o del tutto<br />

11 Consultato nel marzo 2010.<br />

12 Il campione <strong>di</strong> nickname è tratto da forum su gravidanza, in particolare “nomi” (gennaio<br />

2007) “il nostro nome” (ottobre 2009), “il nome più bello è” (luglio 2010), “origine-­‐‑etimologia-­‐‑<br />

nomi”, “sondaggi nomi stranieri” (luglio 2008), “mi consigliate questi nomi?” (gennaio 2008),<br />

“fra questi quali preferite” (maggio 2010), “emergenza nome” (giugno 2010) e altri compresi<br />

tra l’inizio del 2007 e la primavera 2010 (tenendo conto che una stessa persona può cambiare il<br />

suo nickname a seconda <strong>di</strong> dove si trova e che talvolta è portata a usare davvero la prima<br />

parola che gli viene in mente; alcune firme, tuttavia, si ritrovano a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> anni).<br />

13 Il campione <strong>di</strong> nickname è tratto da forum che presso il sito http://forum.chatta.it/ sono così<br />

intitolati: “i problemi giovanili”, “politica”, “fatti del giorno”, “chiavi moderni”, “auto<br />

mania”, “motociclisti”, “mercatino <strong>di</strong> chatta”, “over 40”, “si parla <strong>di</strong>...”, “mondo <strong>di</strong>versamente<br />

abile”, “amore e <strong>di</strong>ntorni”, “salute e benessere”, “moda e trend”, ecc.) relativi al maggio 2011<br />

(con qualche messaggio del precedente aprile). Ancora una volta non andrà <strong>di</strong>menticato che i<br />

nick non sono univoci per la stessa persona, ma cambiano spesso.


E. Caffarelli 65<br />

fantasiosi, ecc. dei nicknames; tale omogeneità relativa concerne anche la<br />

quantità delle lettere e dei numeri utilizzati in me<strong>di</strong>a per ciascun nick: 9,44<br />

per il gruppo degli internauti interessati all’onomastica e 9,78 per il<br />

secondo campione (me<strong>di</strong>a complessiva: 9,61);<br />

• tali nicks presentano spesso caratteristiche alfanumeriche, ed è assai<br />

probabile che i numeri, come detto sopra, corrispondano all’età o all’anno<br />

<strong>di</strong> nascita, ma molte volte non è così: talvolta somigliano a un co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong><br />

avviamento postale (dada20091, fede86307), a un numero telefonico senza<br />

prefisso (elena220173); sono posti in genere a destra rispetto al testo<br />

alfabetico, ma non mancano casi <strong>di</strong> collocazione in testa (79marlene,<br />

89matilde, 10.enzo, 1977giorgio, ecc.) o al centro (agnese89ct, iris78balla,<br />

tata81as) o in più posizioni (19m80); capita che le cifre siano più numerose<br />

delle lettere (ale021270);<br />

• la fantasia viene espressa attraverso nomignoli d’ogni genere ma<br />

spesso consiste piuttosto nel richiamo a un personaggio per esempio dei<br />

cartoni animati o dei fumetti o delle fiabe – apemaya3, bamby2512,<br />

fatinatrilly, kandykandy, wileecoyote, ecc. – o <strong>di</strong> altre opere letterarie e<br />

cinematografiche, reali o fittizi (scarlettoharakf, jamesdean88, ecc.);<br />

• spicca l’uso <strong>di</strong> forme anglofile o <strong>di</strong> anglicismi grafici, come il ricorso<br />

alle “y”, alle “k” e alle “x”: alessya84, carolyne70, costy77, debby545, kiara397 e<br />

kiaretta62, mikela170 e mikela1983, ecc.;<br />

• si nota una vivace tendenza al vezzeggiativo, una scelta <strong>di</strong> tenerezza e<br />

dolcezza e anche autoironia (bignettina, bollicina1976, cerbiatto29, cipollinad,<br />

coccinella, coccola77, coriandolina73, cucciola018, dolcefragola, dulcineadolce,<br />

flybutter, fogliolina9, gemellina 300, musetto, piccola2009, scorpioncina.84,<br />

spennacchiotto, tigrottina1988, ecc.), in cui oltre al suffisso (ve<strong>di</strong> emanueluccia<br />

– nessun accorciamento, anzi!) acquistano valore voci <strong>di</strong> lessico come<br />

amore, oro, aurora, stella e astri... (aleamoredoro, amore1979, animeovunque,<br />

astrablu, aurora925, auroraluna82 e aurorazzurra, dolcesogno29,<br />

fioredellasperanza, giornienuvole, honey81, ilsogn.atore, incantoarmonioso,<br />

innoallanotte, lareginadeivampiri, lucingalleria, luna<strong>di</strong>mandorle, magnoliafiorita,<br />

neraperla, ombranera 84, ortensia76, pratoazzurro, primulagialla, rimmel71,<br />

stellalpina22, stellaluce3, unicornonero, unpoco<strong>di</strong>zucchero, ecc. – alcuni riferibili<br />

forse, dato anche il contesto, al rapporto con il proprio figlio/figlia – e si<br />

nota inoltre, detto dal linguistica e non dallo psicologo, e dunque con


66<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

ampio beneficio d’inventario, l’incertezza del proprio carattere e del<br />

proprio status o anche il livello <strong>di</strong> autostima: ve<strong>di</strong> badhorse e cavallopazzo,<br />

beauty83, bimbaconfusa1, <strong>di</strong>amondsforever, dolcebono90, inutilicertezze,<br />

laragazzadeisogni78, kleopatraelegance, kreativa72, merycrazy, nonmifermo,<br />

pazzascatenata64, pestiferaa, psicoparallela, psychoclau<strong>di</strong>a, redeisogni, restomuta,<br />

sadlilly, solitario0000, sparoa0, supremo.imperatore, tipoideale, xsolarissima89,<br />

1000.risorse, ecc.;<br />

• si vedano inoltre alcuni casi <strong>di</strong> duplicazione o <strong>di</strong> allitterazione: arakiki,<br />

bisibina 81, chichi985, eheheheheheh, kitukitu, la<strong>di</strong><strong>di</strong>l, luanaluna1888, martattak,<br />

pazzimpazza, tittititti78, o anche <strong>di</strong> quasi onomatopea (linguaggio infantile<br />

basato su ripetizioni consonantiche – s’intende, occlusive – e vocaliche:<br />

bubi28 e bubi86, ecc.);<br />

• in rari casi il nick prende in prestito la terminologia della rete e la<br />

deforma: blogo, ecc.<br />

Infine, il tema centrale della <strong>brevi</strong>tà: qui essa riguarda soprattutto la<br />

condensazione <strong>di</strong> più informazioni in una rapida stringa univerbata; non è<br />

tanto il nome-­‐‑soprannome-­‐‑pseudonimo che si accorcia (esistono come visto<br />

nickname composti piuttosto lunghi), quanto i dati multipli che vengono<br />

aggregati insieme, come l’età, il co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> avviamento postale, il numero <strong>di</strong><br />

telefono. Anzi, quelle che nei forum, nei social network ecc. sono chiamate<br />

“firme” in realtà sono scritture tutt’altro che <strong>brevi</strong> 14.<br />

Sappiamo che molti nicknames sono ideati dalle persone che un<br />

in<strong>di</strong>viduo frequenta (come del resto il soprannome nella vita reale) e che la<br />

stessa persona può usare più nicks se appartiene a più “gruppi sociali”, in<br />

genere offre in<strong>di</strong>cazioni sul sesso delle persone, sull’immagine che ha <strong>di</strong> sé,<br />

sulle aspirazioni e ambizioni, sugli interessi sociali e culturali, su simpatie e<br />

affiliazioni. Più che <strong>di</strong> nickname sarebbe il caso <strong>di</strong> usare il termine net name,<br />

14 Tanto che i webmaster spesso si lamentano, con inviti e moniti del genere che segue<br />

(): «Regola n. 10 – Non tenere firme lunghe. Le firme<br />

troppo lunghe non facilizzano per nulla la visualizzazione del foum! Meglio avere firme corte<br />

e semplici, tutto sarà più or<strong>di</strong>nato, provare per credere!». Un altro esempio in<br />

: «Solitamente accettiamo firme corte (non più <strong>di</strong> tre righe) e la cosa mi ha<br />

fatto storcere un pò il naso, questa è comunque la mia opinione e anche se non è contro il<br />

nostro regolamento».


E. Caffarelli 67<br />

il “nome nella rete”, un iperonimo che va poi declinandosi nei vari nicks e<br />

nella varie formule che ciascuna persona può utilizzare.<br />

Il campione qui raccolto può essere letto comunque in una chiave<br />

interpretativa importante, e cioè come tendenza verso un futuro nel quale<br />

potrebbe sempre più ampliarsi il <strong>di</strong>vario, nella denominazione degli<br />

in<strong>di</strong>vidui, tra il nome ufficiale da una parte, soggetto a co<strong>di</strong>ficazioni<br />

alfanumeriche e chissà a quali altri protocolli info-­‐‑telematici <strong>di</strong> cui il co<strong>di</strong>ce<br />

fiscale e il co<strong>di</strong>ce IBAN sono soltanto i primi assaggi, e il nome non ufficiale<br />

dall’altra, sempre meno co<strong>di</strong>ficato e sempre più libero da vincoli e<br />

tra<strong>di</strong>zionali, rinnovabile nello spazio e nel tempo e auto-­‐‑imposto. A questa<br />

interpretazione sembrerebbe però opporsi la gran mole <strong>di</strong> formule<br />

alfanumeriche e quelle prive <strong>di</strong> significato (in apparenza o con quasi<br />

certezza) che compongono il repertorio qui presentato.<br />

Bibliografia<br />

Enzo Caffarelli<br />

ecafrion@tin.it<br />

Besnard&Desplanques 2004<br />

Besnard Joséphine, Desplanques Guy, La cote des prénoms en 2005, Paris,<br />

Balland.<br />

Caffarelli 1996<br />

Caffarelli Enzo, L’onomastica personale nella città <strong>di</strong> Roma dalla fine del<br />

secolo XIX ad <strong>oggi</strong>. Per una nuova prospettivi <strong>di</strong> sociografia e cronografia<br />

antroponimica, Tübingen, Niemeyer.<br />

Caffarelli 2004a<br />

Caffarelli Enzo, “Frequenze onomastiche. I prenomi italiani nel XX<br />

secolo”, Rivista Italiana <strong>di</strong> Onomastica 7/1, 291-­‐‑354.<br />

Caffarelli 2004b<br />

Caffarelli Enzo, “Frequenze onomastiche. Aspetti demografici e<br />

tipologici dei cognomi in Italia e in due regioni campione: Sardegna e<br />

Sicilia”, Rivista Italiana <strong>di</strong> Onomastica 7/2, 663-­‐‑726.


68<br />

Microantroponimi del XXI secolo<br />

Caffarelli 2009<br />

Caffarelli Enzo, “Frequenze onomastiche. I prenomi in Italia nel XXI<br />

secolo. Un’analisi dei dati ISTAT (anno 2004)” (prima parte), Rivista<br />

Italiana <strong>di</strong> Onomastica 15/2, 659-­‐‑759.<br />

Caffarelli 2012a<br />

Caffarelli Enzo, “A Torino vince Russo cognome del Sud”, ANCI Rivista<br />

55/1, 11-­‐‑31.<br />

Caffarelli 2012b<br />

Caffarelli Enzo, “L’elemento numerale nell’onimia e nell’onomastica<br />

italiana”, in P. Poccetti (a cura <strong>di</strong>), Symmikta Arithmetika. La lingua dà i<br />

numeri, Roma, Il Calamo, 13-­‐‑127.<br />

Caffarelli&Marcato 2008<br />

Caffarelli Enzo, Marcato Carla, I cognomi in Italia. Dizionario storico ed<br />

etimologico. Torino, UTET, 2 voll.<br />

Caprini 2001<br />

Caprini Rita, Nomi propri, Alessandria, E<strong>di</strong>zioni dell’Orso.<br />

Rossebastiano&Papa 2005<br />

Rossebastiano Alda, Papa Elena, I nomi <strong>di</strong> persona in Italia. Dizionario<br />

storico ed etimologico, Torino, UTET, 2 voll.<br />

Sestito 2011<br />

Sestito Francesco, “Frequenze onomastiche. Variazioni e stabilità nel<br />

repertorio cognominale italiano del 2011: un’analisi dei dati forniti<br />

dall’ANCI per 26 capoluoghi <strong>di</strong> provincia”, Rivista Italiana <strong>di</strong><br />

Onomastica 17/2, 857-­‐‑891.<br />

Sestito 2012<br />

Sestito Francesco, “Frequenze onomastiche. Variazioni e stabilità nel<br />

repertorio cognominale italiano del 2011: un’analisi dei dati forniti<br />

dall’ANCI per 50 capoluoghi <strong>di</strong> provincia (continuazione e fine)”,<br />

Rivista Italiana <strong>di</strong> Onomastica 18/1, 337-­‐‑370.


Abstract<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali: un nuovo percorso<br />

verso l’appren<strong>di</strong>mento e la creatività<br />

Andrea Granelli<br />

Le forme <strong>brevi</strong> – per risparmiare tempo, energie cognitive, materiali pregiati o<br />

spazio <strong>di</strong> archiviazione – hanno sempre accompagnato l’uomo -­‐‑ assumendo – nelle<br />

varie fasi storiche – forme e modalità <strong>di</strong>fferenti. La rivoluzione <strong>di</strong>gitale -­‐‑ unità a una<br />

crescente mancanza “cronica” <strong>di</strong> tempo – ha dato però un contributo alla loro<br />

<strong>di</strong>ffusione introducendo non solo nuovi strumenti (chat, SMS, tweet, …) ma anche<br />

nuove forme linguistiche o ad<strong>di</strong>rittura schemi <strong>di</strong> relazione innovativi (ad es. con il<br />

vibracall del telefonino). Forse una delle sue novità è il “ritorno” delle immagini,<br />

spesso forme <strong>di</strong> autentica <strong>brevi</strong>tà informativa, e il loro contributo – quando<br />

integrate con il testo – può essere significativo nei processi creativi e nel supportare<br />

l’appren<strong>di</strong>mento. Ma la rivoluzione <strong>di</strong>gitale ha anche dai lati negativi – <strong>di</strong> cui tra<br />

l’altro poco si parla – che vanno però messi in luce e tenuti in grande<br />

considerazione per evitare un cattivo utilizzo e una potenziale neutralizzazione dei<br />

benefici.<br />

Parole chiave: <strong>brevi</strong>tà, appren<strong>di</strong>mento, <strong>di</strong>gitale, innovazione, cattivo utilizzo<br />

The short forms – to save time, energy, material and storage space – have always<br />

been part of men’s life, taking – from time to time – <strong>di</strong>fferent shapes. The <strong>di</strong>gital<br />

revolution – together with an increasing and chronic shortage of time – has<br />

significantly contributed to their adoption and <strong>di</strong>ssemination, by not only<br />

introducing new tools (chat, SMS, tweet, …) but also new linguistic mechanisms or<br />

even innovative ways to relate to each other (e.g. with the so called vibracoll feature<br />

of the mobile phone). Maybe one of the novelty is the recurrence of images – often<br />

representation of truly compressed information – and their contribution, when<br />

associated with the text, can be significant in creativity and in supporting the<br />

learning process. But the <strong>di</strong>gital revolution has also a dark side – not particularly<br />

analyzed and <strong>di</strong>scussed, as a rule – which should be more investigated and taken<br />

into consideration to avoid misuse.<br />

Keywords: conciseness, learning, <strong>di</strong>gital, innovation, misuse


70<br />

Un (breve) elogio della <strong>brevi</strong>tà<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

Ci vuole una grande abilità a racchiudere tutto in poco spazio<br />

(Seneca, Lettere a Lucilio)<br />

Con i tempi che corrono, la <strong>brevi</strong>tà è il solo segno <strong>di</strong> rispetto apprezzato dal<br />

pubblico (Stendhal)<br />

L'ʹuomo ha sempre cercato <strong>di</strong> non sprecare le proprie energie. Appena<br />

una attività <strong>di</strong>ventava ripetitiva, nasceva automaticamente la riflessione su<br />

come farla con minor sforzo. Questa tensione umana venne<br />

concettualizzata agli inizi del ventesimo secolo dal fisico Ernst Mach come<br />

“principio <strong>di</strong> economia”: il compito primario del sapere scientifico è quello<br />

<strong>di</strong> esporre il più completamente possibile i fatti col minore impiego <strong>di</strong><br />

pensieri e quin<strong>di</strong> le connessioni più importanti sono quelle più semplici,<br />

rapide e controllabili, che richiedono dunque meno sforzo. Questo<br />

minimalismo rappresentativo non si applica solo alla scienza ma anche<br />

all’arte. In un libro recente – La visione dall'ʹinterno. Arte e cervello, Bollati<br />

Boringhier – Semir Zeki parte dall ‘ipotesi che il nostro cervello debba<br />

estrarre informazioni sugli aspetti essenziali e costanti del nostro universo<br />

visivo (gli invarianti) a partire da una grande messe <strong>di</strong> dati in continuo<br />

cambiamento. Secondo l’autore, stu<strong>di</strong>ando l’arte – soprattutto quella<br />

moderna che tende alla semplificazione – «si scopre una somiglianza tra<br />

ciò che ha prodotto, o almeno ha posto in evidenza, e le caratteristiche del<br />

campo recettivo delle singole cellule nelle <strong>di</strong>verse aree nel cervello».<br />

Questa “economicità” sottende naturalmente il concetto <strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà, <strong>di</strong><br />

essenzialità. Anzi, come <strong>di</strong>sse una volta Bartezzaghi, «il vero problema non<br />

sta nella <strong>di</strong>mensione ma nella tensione, non nel corto ma nel teso».<br />

Certamente la <strong>brevi</strong>tà è stata una delle risposte dell'ʹuomo ad alcuni<br />

vincoli della natura. Alcuni erano legati allo sforzo fisico. Quando si vuole<br />

scrivere sulla pietra o sul marmo, o su qualche altro materiale <strong>di</strong>fficile da<br />

incidere, la concisione s'ʹimpone. Nasce così una scrittura lapidaria (o<br />

scrittura <strong>di</strong> pietra) che spesso cela dentro <strong>di</strong> sé un carattere <strong>di</strong> sacralità<br />

oracolare. George Perros (pseudonimo del critico Georges Poulot) arriverà<br />

ad<strong>di</strong>rittura ad affermare – richiamando le origini delle forme <strong>brevi</strong> – che<br />

«l'ʹaforisma è un sasso». Ma le forme <strong>brevi</strong> più interessanti erano legate alla<br />

minimizzazione dello sforzo <strong>di</strong> ricordare. L'ʹaforisma è, storicamente, un<br />

proce<strong>di</strong>mento mnemonico utilizzato in campo scientifico e soprattutto


A. Granelli 71<br />

me<strong>di</strong>co in quanto condensa l'ʹessenziale <strong>di</strong> una materia con l'ʹestrema<br />

concisione che facilita una buona memorizzazione. Primi nel genere, gli<br />

aforismi <strong>di</strong> Ippocrate sono una raccolta <strong>di</strong> quattrocento massime <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>cina generale, <strong>di</strong>visa in otto parti riguardanti le <strong>di</strong>ete. Questi aforismi<br />

hanno inaugurato la tra<strong>di</strong>zione dell'ʹaforisma me<strong>di</strong>co e scientifico,<br />

tra<strong>di</strong>zione giunta fino ai nostri giorni.<br />

Ma la <strong>brevi</strong>tà non veniva usata solo per ricordare; spesso doveva<br />

stupire. Le frasi paradossali (ad esempio «vietato vietare») e gli slogan<br />

politici sono stati usati per la loro forza persuasiva e i gran<strong>di</strong> retori hanno<br />

co<strong>di</strong>ficato in maniera sistematica questa arte.<br />

La <strong>brevi</strong>tà non si ferma alla letteratura; ad esempio anche la musica ne è<br />

stata contagiata. Tra le forme <strong>brevi</strong> musicali più note non si possono non<br />

menzionare l'ʹincipit della sinfonia n.5 <strong>di</strong> Beethoven, o il miniaturismo<br />

pianistico tipico del romanticismo. Ad esempio i prelu<strong>di</strong> n.3 in SOL<br />

maggiore e n.22 in SOL minore <strong>di</strong> Chopin hanno entrambi una durata<br />

inferiore al minuto. Per avvicinarsi al nostro tempo come non ricordare le<br />

famose “due note” <strong>di</strong> So What <strong>di</strong> Miles Davis o i “quadri musicali” <strong>di</strong><br />

Stravinskij.<br />

Nell’era moderna, la <strong>brevi</strong>tà è apparsa sotto <strong>di</strong>verse spoglie.<br />

L’architettura è stato teatro <strong>di</strong> molte riflessioni sia <strong>di</strong> tipo estetico che<br />

funzionale. Sul lato estetico la battaglia <strong>di</strong> Mies Van der Rohe («Less is<br />

more») sulle inutilità del decorativismo riassume secondo molti lo spirito<br />

più autentico della modernità. Anche dal punto <strong>di</strong> vista funzionale molti<br />

architetti si sono cimentati nella creazione <strong>di</strong> spazi essenziali per ospitare<br />

masse crescenti <strong>di</strong> abitanti senza nel contempo snaturare l’ambiente.<br />

Probabilmente l’Unitè d’abitation <strong>di</strong> Le Corbusier può essere considerata la<br />

capofila <strong>di</strong> questa riflessione architettonica sulla concisione spaziale.<br />

Anche la psicoanalisi si è confrontata con la <strong>brevi</strong>tà. Ad esempio il<br />

meccanismo della condensazione utilizzato nei sogni tende a imprimere<br />

tramite un solo elemento più elementi connessi tra loro come per esempio<br />

rappresentando due in<strong>di</strong>vidui me<strong>di</strong>ante un unico tratto o tramite<br />

un’assonanza tra i loro nomi. Il contenuto manifesto del sogno contiene<br />

infatti sempre ab<strong>brevi</strong>azioni rispetto a quello latente. La condensazione è<br />

quin<strong>di</strong> un compromesso che il sogno attua tra contenuto latente e censura<br />

per eludere ed allo stesso tempo “accontentare” la censura stessa e per


72<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

risparmiare il più possibile energia psichica illustrando simultaneamente<br />

vari contenuti. Un’applicazione del principio <strong>di</strong> Mach.<br />

Un’altra realtà interessante è il mondo dei fumetti e dei cartoni animati.<br />

Opere come Sim City <strong>di</strong> Frank Miller o La Linea <strong>di</strong> Cavandoli (resa celebre<br />

quando utilizzata per pubblicizzare Lagostina) sono esempi <strong>di</strong> scrittura<br />

minimalista, capaci <strong>di</strong> restituire una straor<strong>di</strong>naria ricchezza informativa e<br />

narrativa.<br />

Perfino il teatro – tra<strong>di</strong>zionalmente non associato alla <strong>brevi</strong>tà – ne è<br />

stato contagiato. Una delle più ra<strong>di</strong>cali innovazioni futuriste nel teatro fu il<br />

cosiddetto Teatro futurista sintetico. La sua chiave era la concisione:<br />

affermava Marinetti «è stupido scrivere cento pagine dove ne basterebbe<br />

una». Su questo concetto ha giocato – portandolo all’estremo – Achille<br />

Campanile con le sue 87 trage<strong>di</strong>e in due battute, scenette teatrali<br />

effettivamente in due battute basate sul 'ʹnonsense'ʹ e sul paradosso.<br />

Ma il vero responsabile <strong>di</strong> questo autentico <strong>di</strong>lagare della <strong>brevi</strong>tà è<br />

probabilmente la rivoluzione <strong>di</strong>gitale. Innanzitutto le più recenti tecnologie<br />

informatiche e <strong>di</strong> comunicazione hanno riunificato in maniera naturale, con<br />

il loro esperanto <strong>di</strong>gitale fatto <strong>di</strong> zeri e <strong>di</strong> uni e con il concetto operativo <strong>di</strong><br />

informazione, la misura dello spazio e del tempo. Un messaggio è breve<br />

perché richiede poco tempo per essere trasmesso o ascoltato ma anche<br />

perché presuppone poco spazio per essere archiviato. Le due misure sono<br />

assolutamente correlate. Pertanto ogni riflessione sulla <strong>brevi</strong>tà <strong>di</strong>gitale<br />

unifica spazio e tempo.<br />

Dobbiamo però sempre tenere presente la preoccupazione <strong>di</strong> Tomàs<br />

Maldonado: «il riduzionismo stenografico della messaggistica elettronica<br />

non è una maggiore concisione del pensiero, neppure uno stile espositivo<br />

più limpido e sobrio, ma soltanto un depauperamento dei contenuti<br />

referenziali».<br />

La mutazione delle forme scritte nel nuovo “paesaggio <strong>di</strong>gitale”<br />

Le lettere sono simboli che trasformano la materia in spirito (Alphonse de<br />

Lamartine)<br />

Scrivere è <strong>di</strong>ventato inutile, a meno che non si scriva indecifrabilmente<br />

(Ennio Flaiano)


A. Granelli 73<br />

Oggi tutti scrivono e nessuno legge, tutti parlano e nessuno ascolta (Mario Perniola)<br />

Affrontare il tema della mutazione del linguaggio grazie alla nuove<br />

tecnologie <strong>di</strong>gitali per comprenderne cause, implicazioni e <strong>di</strong>rezioni ci<br />

porterebbe molto lontano. Il linguaggio può toccare – anzi “tocca” –<br />

moltissimi ambiti e non solo la letteratura e la comunicazione. Alcuni<br />

fugaci esempi.<br />

Per Lacan l'ʹinconscio è strutturato come un linguaggio e il motto <strong>di</strong><br />

spirito è il para<strong>di</strong>gma della formazione dell'ʹinconscio (in quanto puro<br />

fenomeno del linguaggio); inoltre i principali processi che presiedono alla<br />

formazione dell'ʹinconscio sono metafora e metonimia.<br />

Il linguaggio è anche una cura. Tra i tanti che se ne sono occupati, viene<br />

in mente Flaubert che, in una lettera, afferma che «scrivere è tessere una<br />

rete che ci tiene sospesi sull’abisso del nulla, per questo può essere<br />

un’attività salvifica».<br />

Il recente Clue Train Manifesto afferma infine che «i nuovi mercati sono<br />

innanzitutto luoghi <strong>di</strong> conversazione e il compito delle imprese che<br />

vogliono esserci e <strong>di</strong> conversare con i consumatori».<br />

Questi <strong>brevi</strong> flash (aforismi appunto …) vogliono solo suggerire la<br />

portata delle potenziali trasformazioni legate alla <strong>di</strong>ffusione delle<br />

tecnologie <strong>di</strong>gitale e alla loro applicazione meto<strong>di</strong>ca al nostro modo <strong>di</strong><br />

rappresentare e comunicare e a una crescente pulsione verso la <strong>brevi</strong>tà. La<br />

mia riflessione – che parte da questo contesto – vuole invece concentrarsi<br />

su un paio aspetti specifici che stanno emergendo nelle forme <strong>brevi</strong> <strong>di</strong>gitali:<br />

la compressione linguistica che nasce nei canali <strong>di</strong>gitali e la punteggiatura<br />

emozionale.<br />

Quando la rappresentazione <strong>di</strong> un concetto, <strong>di</strong> una espressione, <strong>di</strong> un<br />

sentimento ha un costo significativo (legato al materiale utilizzato, al tempo<br />

<strong>di</strong>sponibile, alla <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> utilizzare il materiale come me<strong>di</strong>um, alla<br />

scomo<strong>di</strong>tà del luogo in cui si “scrive”, …), si tende ad optare per una<br />

rappresentazione che sottolinei gli aspetti rilevanti. Se osserviamo i giovani<br />

che comunicano con gli SMS, abbiamo l’impressione che il loro tempo sia la<br />

risorsa scarsa; essi tendono infatti a battere velocissimamente e – oltre a<br />

impiegare frasi fatte o concetti già espressi – utilizzano espressioni<br />

concentrate, dove il superfluo scompare. Questa comportamento viene


74<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

anche rafforzato dal ricevente, che – come il trasmittente – tende ad avere<br />

poco tempo e ad essere bombardato da informazioni e che quin<strong>di</strong> si<br />

spazientisce a dover leggere cose “inutili”. A ben osservare, vi è una forte<br />

similitu<strong>di</strong>ne fra i nuovi linguaggi compressi utilizzati negli SMS e nelle<br />

Chat e il linguaggio epigrafico latino. Entrambi i linguaggi sono infatti<br />

vincolati ad uno spazio limitato (la <strong>di</strong>mensione dell’epigrafe per i latini, la<br />

lunghezza del SMS) e devono far risparmiare il più possibile (il costo degli<br />

“scalpellini” epigrafisti per i latini, il tempo personale o i costi <strong>di</strong><br />

trasmissione nel caso attuale).<br />

TECNICA DI LINGUAGGIO<br />

RAPPRESENTAZOINE DELLA RETE<br />

uso delle iniziali <strong>di</strong> parole<br />

o espressioni molto usate<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni <strong>di</strong><br />

espressioni “rituali”<br />

creazione <strong>di</strong> "ʺnuovi<br />

alfabeti"ʺ usando la<br />

<strong>di</strong>mensione fonica della<br />

lettera<br />

giochi <strong>di</strong> parole con le<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni<br />

IMHO (In My<br />

Humble Opinion)<br />

WYSIWYG (What<br />

You See Is What You<br />

Get)<br />

4U (For You) B4<br />

U (Before<br />

You); f2f(face-­‐‑to-­‐‑<br />

face); CUL83 (See You<br />

Later)<br />

LINGUAGGIO EPIGRAFICO<br />

V (Vir), D.M. (Dis<br />

Manibus); DSPF (De Sua Pecunia<br />

Fecit)<br />

CEBQ (Cineres Eius Bene<br />

Quiescant);QDERFPDERIC (Quid<br />

De Ea Re Fieri Placeret, De Ea Re<br />

Ita Censuerunt)<br />

VII V (Septemvir)<br />

TOCOTOX (TOo<br />

DOM (Deo Optimo Maximo)<br />

COmplicated TO<br />

SPQR (Senatus Populusque<br />

eXplain); NIMBY (Not<br />

Romanus)<br />

in my back yard)<br />

Inoltre i latini iniziavano le loro lettere con SVBE (Si Vale Bene Est) e<br />

questa composizione è molto simile alla tipica “chiusura” delle


A. Granelli 75<br />

comunicazioni <strong>di</strong>gitali TTYL (Talk To You Later). Per tanto una forma<br />

espressiva che sembrava una cifra della modernità <strong>di</strong>gitale altro non è che<br />

l’applicazione all’ambiente <strong>di</strong>gitale <strong>di</strong> un metodo “antico”.<br />

Un’altra novità dei linguaggi <strong>di</strong>gitali è la creazione degli emoticon,<br />

marcatori emozionali che aiutano sia a definire il contesto della<br />

comunicazione (serio o ironico, ...) sia a veicolare specifiche emozioni<br />

(stupore, <strong>di</strong>sappunto, ...). Anche in questo caso, non si tratta <strong>di</strong> una<br />

assoluta novità, ma consente <strong>di</strong> mantenere anche in “assenza” quelle<br />

preziose informazioni extra-­‐‑linguistiche.<br />

È curioso notare che gli emoticon – nati come esperanto universale del<br />

villaggio globale –si sono però dovuti rapidamente piegare alle regole<br />

culturali. In Giappone – per esempio – è considerata maleducazione per<br />

una donna (sor)ridere con la bocca aperta. Per tanto la Netiquette nipponica<br />

ha creato due <strong>di</strong>versi emoticon che esprimono la felicità a secondo che<br />

venga utilizzato da un maschio (^_^) o da una (^.^). Quello femminile<br />

suggerisce infatti, sostituendo il trattino con il puntino, la bocca chiusa ….<br />

Le capacità espressive degli SMS possono andare molto oltre. Ad<br />

esempio in un interessante libro scritto da due psicologi – SMS.<br />

Straor<strong>di</strong>naria fortuna <strong>di</strong> un uso improprio del telefono – vengono osservati<br />

meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> comunicazione molto creativi legati non solo alle caratteristiche<br />

del telefonino ma anche agli schemi <strong>di</strong> pricing proposti dagli operatori <strong>di</strong><br />

telefonia. Ad esempio Se il ricevente usa il vibracall, l'ʹavviso si traduce in<br />

un fremito che, se si ha il cellulare addosso, tocca qualche parte del corpo e<br />

può persino sembrare una carezza, creando una sensazione analoga al<br />

profumo aggiunto – nei secoli passati – dalle donne innamorate nelle<br />

lettere scritte per i loro amanti. Inoltre spesso i giovani si augurano la<br />

buona notte con un semplice squillo a cui non segue la chiamata. Questa<br />

comunicazione – resa possibile dall’identificativo del chiamante che appare<br />

sul <strong>di</strong>splay del telefonino anche se la telefonata non è completata – è<br />

interessante perché non costa nulla in quanto l’addebito inizia solo quando<br />

si risponde.<br />

Va anche ricordato che il linguaggio può <strong>di</strong>ventare strumento per la<br />

costruzione identitaria e per segnare l’appartenenza a una comunità, anzi a<br />

una neo-­‐‑tribù come <strong>di</strong>rebbe Michel Maffesoli. Il caso più interessante è<br />

probabilmente il fenomeno francese del Verlan, una forma criptica <strong>di</strong> argot


76<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

usata dai giovani dove le sillabe e certe parole (generalmente le<br />

<strong>di</strong>sillabiche) vengono invertite foneticamente. La stessa parola Verlan<br />

deriva dall’inversione della parola envers. La sua origine è attribuita a<br />

Auguste Le Breton nel 1953, ma è <strong>di</strong>ventata <strong>di</strong> uso generale attorno al 1970.<br />

È molto utilizzato nei sobborghi dagli arabi e dai “black” (in Verlan “beurs”<br />

e “keblas”) come co<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> riconoscimento. Alcuni esempi entrati nel<br />

linguaggio comune sono meuf (femme), téci (cité), géman (manger), vétrou<br />

(trouvé).<br />

La paura della tecnica<br />

Usa le tecnologie prima che loro usino te (detto cyberpunk)<br />

La tecnologia crea innovazione ma -­‐‑ contemporaneamente -­‐‑ anche rischi e<br />

catastrofi: inventando la barca, l’uomo ha inventato il naufragio, e scoprendo<br />

il fuoco ha assunto il rischio <strong>di</strong> provocare incen<strong>di</strong> mortali (Paul Virilio)<br />

L’oblio non è meno creativo della memoria (Jorge Luis Borges)<br />

Queste trasformazioni in atto rese possibili dalle tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

hanno però anche un lato oscuro e per questo motivo generano paura e<br />

inquietu<strong>di</strong>ne. Questo fenomeno ha sempre accompagnato l’innovazione<br />

tecnologica; ogni grande mutazione guidata dalla tecnica ha infatti sempre<br />

suscitato paure nell’uomo per il cambiamento dello status quo. Alle volte<br />

se ne suggeriscono gli aspetti problematici come nelle riflessioni del Fedro<br />

<strong>di</strong> Platone: «[…] fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente<br />

non più dall’interno <strong>di</strong> se stessi, ma dal <strong>di</strong> fuori, attraverso segni estranei ..<br />

la cosa strana delle cose scritte ... sembra che ti parlino come se fossero<br />

intelligenti, eppure se chie<strong>di</strong> loro qualcosa su ciò che ti <strong>di</strong>cono, per<br />

desiderio che ti istruiscano <strong>di</strong> più, continuano a ripetere sempre la stessa<br />

cosa» (Platone). Altre volte una vera e propria paura che genera riflessioni<br />

strumentali che talvolta <strong>di</strong>ventano stereotipi.<br />

Ad esempio durante la rivoluzione della lettura avviata nel Settecento<br />

con la <strong>di</strong>ffusione dei romanzi, si <strong>di</strong>batteva sugli effetti moralmente benefici<br />

o psichicamente <strong>di</strong>sastrosi della cattura del lettore da parte della finzione.<br />

Lo storico della cultura Roger Chartier, riporta nel suo Inscrivere e cancellare.<br />

Cultura scritta e letteratura tracce <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>battito: «Nel XVIII secolo il<br />

<strong>di</strong>scorso si trasferisce all’ambito me<strong>di</strong>co e costruisce una patologia<br />

dell’eccesso <strong>di</strong> lettura, considerata una malattia in<strong>di</strong>viduale o un'ʹepidemia


A. Granelli 77<br />

collettiva. La lettura senza controllo è ritenuta pericolosa perché unisce<br />

l’immobilità del corpo e l’eccitazione dell’immaginazione, provocando così<br />

i mali peggiori: ostruzione dello stomaco e dell’intestino, <strong>di</strong>sturbi ai nervi,<br />

spossamento fisico ... l’esercizio solitario della lettura porta allo sviamento<br />

dell'ʹimmaginazione, al rifiuto della realtà, alla preferenza accordata alle<br />

chimere. Ne deriva una vicinanza tra eccesso della lettura e masturbazione,<br />

perché entrambe le pratiche provocano gli stessi sintomi: pallore,<br />

inquietu<strong>di</strong>ne, prostrazione».<br />

D’altra parte la letteratura è piena <strong>di</strong> passi celebri che parlano della<br />

pericolosità della lettura: ad esempio l’episo<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Paolo e Francesca nella<br />

Divina Comme<strong>di</strong>a («galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse»), le fasi finali del<br />

Don Chisciotte («per il molto leggere gli si prosciugò il cervello in modo<br />

che venne a perdere il giu<strong>di</strong>zio», che svolge la consonanza verbale <strong>di</strong><br />

lectura y locura), la vita <strong>di</strong> Madame Bovary, …<br />

Non si tratta naturalmente <strong>di</strong> criminalizzare le tecnologie, ma solo <strong>di</strong><br />

ricordarsi della presenza “naturale” <strong>di</strong> questi timori ancestrali, <strong>di</strong> questi<br />

anticorpi dell’innovazione, quando si analizzano le mo<strong>di</strong>fiche indotte –<br />

soprattutto sugli adolescenti – dalle nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali sui processi<br />

<strong>di</strong> ricordo, appren<strong>di</strong>mento, con<strong>di</strong>visione, ….<br />

È d’altra parte noto che ogni eccesso crea sempre squilibri, e che la<br />

mutazione in sé indotta dalle tecnologie – che comporta sempre sia il<br />

potenziamento <strong>di</strong> alcune facoltà (ad es. il multitasking o la velocità delle<br />

<strong>di</strong>ta) sia il (complementare) depotenziamento <strong>di</strong> altre (ad es. la memoria) –<br />

non deve essere vista per definizione come negativa (ma neanche positiva).<br />

Il tema non è quin<strong>di</strong> se è giusto (o pericoloso) che la tecnica mo<strong>di</strong>fichi<br />

l’uomo quanto piuttosto separare le buone dalle cattive pratiche e orientare<br />

il percorso delle nuove tecnologie verso processi <strong>di</strong> rafforzamento della<br />

<strong>di</strong>mensione integrale della persona, e non solo <strong>di</strong> alcune sue funzionalità:<br />

la questione tende dunque ad essere <strong>di</strong> natura squisitamente antropologica.<br />

Scrive infatti Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate:<br />

«Dall’ideologia tecnocratica, particolarmente ra<strong>di</strong>cata <strong>oggi</strong>, Paolo VI aveva<br />

già messo in guar<strong>di</strong>a, consapevole del grande pericolo <strong>di</strong> affidare l’intero<br />

processo dello sviluppo alla sola tecnica, perchè in tal modo rimarrebbe<br />

senza orientamento. La tecnica, presa in se stessa, è ambivalente. Se da un<br />

lato, <strong>oggi</strong>, vi è chi propende ad affidarle interamente detto processo <strong>di</strong>


78<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

sviluppo, dall’altro si assiste all’insorgenza <strong>di</strong> ideologie che negano in toto<br />

l’utilità stessa dello sviluppo, ritenuto ra<strong>di</strong>calmente antiumano e portatore<br />

solo <strong>di</strong> degradazione». Ma questa attenzione antropologia sui rischi della<br />

tecnica che pone la Chiesa non è anti-­‐‑moderna. Sempre nella stessa<br />

enciclica il papa afferma infatti che «L’idea <strong>di</strong> un mondo senza sviluppo<br />

esprime sfiducia nell’uomo e in Dio».<br />

Per cogliere il meglio delle tecnologie (<strong>di</strong>gitali) e la loro straor<strong>di</strong>naria<br />

potenzialità trasformativa, bisogna dunque aprire gli occhi anche sui lati<br />

oscuri <strong>di</strong> tali tecnologie e incominciare a contrastare fattivamente gli aspetti<br />

negativi legati all’informazione <strong>di</strong>gitale, e in particolare l’informazione<br />

eccessiva, l’”inquinamento <strong>di</strong>gitale” e la frammentazione della conoscenza.<br />

La Biblioteca <strong>di</strong> Alessandria conservava probabilmente 700.000 rotoli <strong>di</strong><br />

papiro e pergamena – tutto il sapere del mondo occidentale antico. La<br />

Biblioteca nazionale francese ha invece oltre 400 chilometri <strong>di</strong> scaffali. Alla<br />

sua inaugurazione – nel 1997 – erano già presenti 10 milioni <strong>di</strong> volumi,<br />

350.000 perio<strong>di</strong>ci, 76.000 microfilm, … Questa moltiplicazione delle<br />

informazioni sta <strong>di</strong>ffondendo sia l’anoressia informativa sia il suo<br />

speculare – l’obesità. In entrambi i casi il crescente proliferare<br />

dell’informazione riduce la capacità dell’uomo <strong>di</strong> assimilare in maniera<br />

sana nuova conoscenza spingendo i giovani a riempirsi in maniera<br />

ossessiva <strong>di</strong> informazioni “non nutrienti”. Come ha osservato Joshua<br />

Lederberg – riattualizzano un bellissimo verso <strong>di</strong> Coleridge («Acqua, acqua<br />

dovunque e neppure una goccia da bere») – «<strong>oggi</strong> vi è un <strong>di</strong>luvio <strong>di</strong><br />

informazioni generali e una siccità <strong>di</strong> informazioni specifiche». A ciò si<br />

aggiunge lo “sporco <strong>di</strong>gitale”: le tracce che lasciamo sulla rete tendono<br />

progressivamente a <strong>di</strong>ventare indelebili. I motori <strong>di</strong> ricerca registrano tutto,<br />

ma non esiste un processo con<strong>di</strong>viso che toglie dalle liste dei motori le<br />

informazioni non più atten<strong>di</strong>bili o invecchiate. Questo bombardamento<br />

informativo unito al progressivo inquinamento <strong>di</strong>gitale ha indebolito il<br />

sistema immunitario della società rispetto alla “cattiva” informazione.<br />

Siamo quin<strong>di</strong> vittime <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> AIDS (Anti-­‐‑Information Deficiency<br />

Syndrome), per usare l’espressione coniata da Giuseppe Longo. Non si<br />

trovano più orientamenti, prescrizioni e regole <strong>di</strong> selezione nella tra<strong>di</strong>zione<br />

o nella vita istituzionale e si innesca un circolo vizioso squisitamente<br />

tecnico che ci trasforma in massa facilmente suggestionabile e in<strong>di</strong>rizzabile.


A. Granelli 79<br />

Anche la frammentazione dei saperi – in essere da molto tempo ma<br />

rafforzata dalle tecnologie <strong>di</strong>gitali – può <strong>di</strong>ventare preoccupante. Il <strong>di</strong>gitale,<br />

infatti, aumenta questa <strong>di</strong>mensione problematica in quanto il processo<br />

stesso <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitalizzazione genera frammenti isolati (le singole foto, le<br />

singole pagine <strong>di</strong> un documento, i record dei database, …). Andranno<br />

quin<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>ate specifiche modalità per riconsolidare la progressiva<br />

frammentazione dei nostri saperi in unità dotate <strong>di</strong> senso, ricostruendo le<br />

nuove narrazioni <strong>di</strong>gitali. Sarà infatti sempre più importante la<br />

(ri)composizione dei frammenti <strong>di</strong>gitali – soprattutto quelli che<br />

provengono dagli archivi (storici, politici, culturali, televisivi, …) in unità<br />

<strong>di</strong> senso narrabili, comprensibili e “intriganti” per le future generazioni. Il<br />

cinema ha <strong>di</strong>mostrato una capacità strutturale <strong>di</strong> dare senso/continuità<br />

(grazie al montaggio) ai frammenti/fotogrammi. Non è la semplice<br />

<strong>di</strong>gitalizzazione degli archivi che li salverà dall’oblio. È la narrazione che<br />

seleziona i fatti (e quin<strong>di</strong> contrasta quell’approccio alla storia che richiede<br />

<strong>di</strong> conservare tutto, <strong>oggi</strong> realisticamente non più applicabile) e li “salva” in<br />

flussi narrativi. Come ha osservato Gaston Bachelard, «si conserva solo ciò<br />

che é stato drammatizzato dal linguaggio». Solo così si assicurerà un futuro<br />

alle nostre memorie (<strong>di</strong>gitali e non), proteggendo – tra l’altro – la nostra<br />

identità.<br />

Si devono inoltre utilizzare con molta attenzione e maturità le<br />

cosiddette “sirene” <strong>di</strong> Internet (Wikipe<strong>di</strong>a, i motori <strong>di</strong> ricerca e i social<br />

networking) che da sole non risolvono le carenze in<strong>di</strong>viduali e non si<br />

possono sostituire al processo <strong>di</strong> assorbimento personale della conoscenza,<br />

unica garanzia per un reale arricchimento culturale ed emotivo<br />

dell’in<strong>di</strong>viduo. Inoltre con la loro “pretesa autoriale” possono innescare<br />

meccanismi pericolosi. Ad esempio anche strumenti apparentemente<br />

democratici come l’enciclope<strong>di</strong>a online Wikipe<strong>di</strong>a vanno usati con grande<br />

cautela. Il fatto che persone autorevoli come Eco suggeriscano <strong>di</strong> usarla<br />

come fonte “naturale” per vedere ad esempio la definizione <strong>di</strong> un termine<br />

controverso, in quanto la considerano «ottima e documentatissima<br />

enciclope<strong>di</strong>a on line» può <strong>di</strong>ventare problematico. Le criticità sono oramai<br />

note: dati sbagliati, azioni manipolative o <strong>di</strong> controinformazione e<br />

soprattutto il fatto che con Wikipe<strong>di</strong>a prevale la “verificabilità” sulla verità,<br />

lo strumento sul fine.<br />

I motori <strong>di</strong> ricerca, invece, alimentano un altro falso mito: grazie a loro<br />

tutto ciò che è presente su Internet si trova; ma ciò non è vero. Basta fare


80<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

una ricerca inserendo una parola me<strong>di</strong>amente frequente e il motore <strong>di</strong><br />

ricerca in<strong>di</strong>viduerà con tutta probabilità <strong>di</strong>verse centinaia <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong><br />

files che “trattano” dell’argomento (per la verità che contengono la parola).<br />

Ora gli utenti tendono a consultare al massimo la prima ventina <strong>di</strong><br />

documenti in<strong>di</strong>cati dalla lista. Esiste quin<strong>di</strong> una deperibilità intrinseca del<br />

dato su Internet (se recuperabile solo con i motori <strong>di</strong> ricerca):<br />

l’informazione, man mano che invecchia, perde priorità ed è sempre più<br />

<strong>di</strong>fficilmente recuperabile.<br />

Infine il social networking è certamente un’area molto promettente che<br />

può dare corpo al “potere della rete”. Da sola però non basta: se i singoli<br />

contributi sono modesti, anche il contributo collettivo è modesto: <strong>di</strong>cono<br />

infatti gli informatici «garbage in, garbage out». Questi ambienti possono<br />

essere straor<strong>di</strong>nari moltiplicatori <strong>di</strong> valore, enzimi capaci <strong>di</strong> accelerare le<br />

buone “reazioni creative”, ma pericolosi se la materia prima non è <strong>di</strong><br />

qualità.<br />

Il ritorno delle immagini<br />

Non vi possono essere parole senza immagini (Aristotele)<br />

Quando mi prende la paura, invento un'ʹimmagine (Goethe)<br />

L’immagine può essere vista come una forma <strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà e sicuramente la<br />

<strong>di</strong>ffusione della larga banda e dei terminali (e software collegati) per<br />

vedere e manipolare immagini a filmati in alta definizione ha riportato al<br />

centro l’importanza delle immagini creando consuetu<strong>di</strong>ni che – in qualche<br />

modo – evocano ad<strong>di</strong>rittura l’era pre-­‐‑alfabetica, dove le immagini erano<br />

l’unica forma non orale per co<strong>di</strong>ficare e con<strong>di</strong>videre i saperi collettivi.<br />

Oggi la sfida è dunque stu<strong>di</strong>are modalità efficaci per utilizzare il potere<br />

evocativo, narrativo e creativo delle immagini.<br />

È utile ricordare che l’immagine – rispetto al testo – aumenta il<br />

potenziale espressivo e <strong>di</strong>ventano possibili letture “multiple”. Infatti:<br />

un testo ha un inizio, una fine e un percorso obbligato <strong>di</strong> lettura;<br />

un’immagine no. Inoltre l’immagine può essere ingannevole;


A. Granelli 81<br />

al contrario delle parole, le immagini visive posseggono una capacità <strong>di</strong><br />

estensione verbale quasi infinita, in quanto l'ʹosservatore deve<br />

trasformarsi a sua volta in narratore;<br />

l’alfabeto visivo possiede anche un valore emozionale; ad esempio<br />

Kan<strong>di</strong>nsky era solito <strong>di</strong>re: «la linea orizzontale è fredda e quella<br />

verticale è calda»;<br />

l’analisi delle immagini può consentire una comprensione del<br />

profondo <strong>di</strong> chi le ha create;<br />

i colori veicolano anche un messaggio subliminare, come intuito per<br />

esempio da Goethe nella sua Teoria dei colori o applicato dalla Disney<br />

nel film Dick Tracy, dove per esempio il giallo rappresentava il colore<br />

dei buoni.<br />

Molti spunti su come utilizzare le immagini per potenziare i processi <strong>di</strong><br />

comprensione, ricordo, creatività vengono dal passato. Non solo quando la<br />

cultura era pre-­‐‑alfabetica – e l’immagine era lo strumento principe per la<br />

co<strong>di</strong>fica e trasmissione <strong>di</strong> messaggi e saperi – ma anche quando<br />

l’analfabetismo era ancora molto <strong>di</strong>ffuso (si pensi ad esempio<br />

all’importanza della Biblia Pauperum) per trasferire al volgo i dettami della<br />

Chiesa cattolica.<br />

Oggi purtroppo l’anoressia culturale (che alcuni chiamano<br />

l’analfabetismo <strong>di</strong> ritorno) non è stata debellata, anzi; ed è purtroppo<br />

ancora in agguato una vera e propria carestia culturale. Per questo alcuni<br />

approcci “per analfabeti” non hanno perso la loro rilevanza ed efficacia. Il<br />

linguista Tullio De Mauro ha infatti osservato: «se pren<strong>di</strong>amo come buono<br />

quel 40% circa <strong>di</strong> italiani che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> navigare su internet, la percentuale <strong>di</strong><br />

chi usa il web si <strong>di</strong>mostra paradossalmente <strong>di</strong> gran lunga superiore a chi<br />

legge libri e comunque a chi più in generale sa orientarsi in una società<br />

contemporanea. Uno stu<strong>di</strong>o severo ma proprio per questo interessante <strong>di</strong><br />

alcuni anni … ha messo in luce che solo un italiano su cinque –<br />

praticamente il 20% della popolazione – possieda gli strumenti minimi<br />

in<strong>di</strong>spensabili <strong>di</strong> lettura, scrittura e calcolo …7 italiani su 10 con età<br />

compresa tra i 15 e i 65 anni sono tagliati fuori dai benefici dell'ʹeconomia<br />

della conoscenza».


82<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

Tornando alle fonti da utilizzare per provare a immaginare l’utilizzo<br />

delle immagini nell’era <strong>di</strong>gitale, anche le sperimentazioni delle<br />

avanguar<strong>di</strong>e ci possono dare in<strong>di</strong>cazioni sull’uso che ne verrà fatto poi dal<br />

grande pubblico.<br />

Pensiamo ad esempio agli alfabeti visivi inventati da gran<strong>di</strong> artisti<br />

(Serafini, Daumier, …) che hanno anticipato l’uso dei caratteri grafici degli<br />

adolescenti nelle chat o le infinite variazioni con cui la parola Google viene<br />

rappresentata quando si chiama il famoso motore <strong>di</strong> ricerca.<br />

Oppure come l’uso visivo dei caratteri e del loro posizionamento<br />

“grafico” sul foglio <strong>di</strong> carta fatti sono stati autentici anticipatori della<br />

cosiddetta Ascii Art.<br />

Le cosiddette parole in libertà, dette anche parolibere, inventate dai<br />

Futuristi. Alcune delle più famose (ad esempio Serata in onore <strong>di</strong> Yvonne <strong>di</strong><br />

Cangiullo o Dune <strong>di</strong> Marinetti) vennero pubblicate sulla rivista fiorentina<br />

Lacerba. In esse il significato continua a predominare sulla lettera. Gli<br />

effetti tipografici sono in<strong>di</strong>cazioni per una gesticolazione declamatoria. Essi<br />

sottolineano ed enfatizzano una sequenza ancora tutta verbale. Un<br />

approccio più estetico a questa volontà <strong>di</strong> trasformare le frasi in pittura si<br />

trova nei, Calligrammes, prodotti da Guillaume Apollinaire nel 1918. Anche<br />

in questo caso le poesie si <strong>di</strong>namizzano e il valore dei versi non sta solo in<br />

ciò che illustrano ma anche come riempiono lo spazio della pagina.<br />

Apollinaire <strong>di</strong>ceva a proposito dei suoi calligrammi: «bisogna che la nostra<br />

intelligenza si abitui a comprendere in modo sintetico-­‐‑ideogrammatico<br />

piuttosto che in modo analitico-­‐‑<strong>di</strong>scorsivo».<br />

La domanda che si pone è allora: come le immagini intese come forme<br />

compresse <strong>di</strong> conoscenza possano – nella “<strong>di</strong>gisfera” – contribuire<br />

fattivamente al processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento ei meccanismi <strong>di</strong> ricordo e <strong>di</strong><br />

stimolo necessari per avviare i meccanismi della creatività.<br />

Apprendere e creare nell’era della Rete<br />

I confini del mio linguaggio sono i confini del mio mondo (Ludwig<br />

Wittgenstein)<br />

L'ʹimmagine ha bisogno della nostra esperienza per destarsi (Elias Canetti)


A. Granelli 83<br />

La crescita in varietà e complessità <strong>di</strong> tecnologie e sistemi, la maggiore<br />

profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> conoscenza del consumatore richiesta per progettare prodotti<br />

e servizi <strong>di</strong> successo, la <strong>di</strong>ffusa instabilità dei modelli organizzativi<br />

prevalenti e delle regole per avere successo e soprattutto la crescente<br />

impreve<strong>di</strong>bilità dei fenomeni e dei comportamenti collettivi fa si che il<br />

sapere apprendere e tenersi al passo con i tempi è <strong>di</strong>ventato <strong>oggi</strong> un<br />

imperativo categorico. Il successo <strong>di</strong> un manager <strong>di</strong>pende sempre <strong>di</strong> più<br />

non tanto da quello che sa già, quanto dall’intensità, dalla rapi<strong>di</strong>tà e<br />

dall’efficacia con cui riesce ad imparare: deve essere quin<strong>di</strong> in grado <strong>di</strong><br />

giocare un ruolo attivo nel costruire e gestire lo sviluppo dei propri saperi.<br />

Nonostante ciò la stragrande maggioranza delle persone non sa più<br />

imparare. Per questo motivo la Declaration on learning promulgata nel 1988<br />

dal Learning Declaration Group ha sancito a chiare lettere che la capacità <strong>di</strong><br />

“imparare a imparare” e <strong>di</strong> padroneggiare il processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento è<br />

la conoscenza critica del prossimo secolo.<br />

Dobbiamo trasformarci da immagazzinatori <strong>di</strong> fatti in protagonisti <strong>di</strong><br />

indagini e <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussioni e cioè passare dalla conoscenza-­‐‑racconto alla<br />

conoscenza-­‐‑problema. Per questi motivi il metodo (e il “contenitore” dove<br />

si deposita e si organizza la conoscenza appresa) è quasi più importante del<br />

contenuto. Il processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento (e il relativo processo <strong>di</strong> raccolta<br />

della conoscenza) deve essere pertanto costruito in funzione <strong>di</strong> come noi<br />

assorbiamo e riutilizziamo la conoscenza e non solo puntando ad una<br />

facilitazione della produzione dei contenuti. Dobbiamo ridurre l’attenzione<br />

quasi esclusiva verso la tecnologia e il suo (spesso solo apparente) potere<br />

taumaturgico e lavorare maggiormente sulle metodologie <strong>di</strong><br />

appren<strong>di</strong>mento e sui processi reali <strong>di</strong> assorbimento e riutilizzo del sapere<br />

che ci viene proposto. La vera missione <strong>di</strong> chi vuole facilitare<br />

l’appren<strong>di</strong>mento è quin<strong>di</strong> «invitare al significato», per usare una felice<br />

espressione <strong>di</strong> George Steiner.<br />

In un era caratterizzata dalle immagini, va però recuperato il rapporto<br />

con la parola scritta, unendo la forma alfabetica al potere delle immagini<br />

con l’obiettivo <strong>di</strong> creare una nuova sintesi compositiva che unisca –<br />

oltretutto – intelletto ed emozioni.<br />

La potenza del linguaggio è spesso <strong>di</strong>menticata. Come affermava<br />

Gorgia il sofista, «la parola è un gran dominatore, che con piccolissimo<br />

corpo e invisibilissimo, <strong>di</strong>vinissime cose sa compiere; riesce infatti e a


84<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

calmare la paura, e a eliminare il dolore, e a suscitare la gioia, e ad<br />

aumentare la pietà». Inoltre lo scrivere ha un ruolo fondamentale<br />

nell’apprendere. Osserva infatti Lothar Baier, autorevole scrittore e critico<br />

letterario tedesco, che «la scrittura non può procedere al ritmo del pensiero<br />

e quin<strong>di</strong> non può rifletterne il corso, ha una velocità sua propria. Il<br />

rallentamento che ne deriva non si limita a frenare il pensiero, ma anzi lo<br />

mo<strong>di</strong>fica e lo arricchisce, concedendogli il tempo <strong>di</strong> assorbire, durante il<br />

percorso, obiezioni e argomentazioni contrarie».<br />

Servono nuovi schemi e nuovi format per supportare l’autentico<br />

appren<strong>di</strong>mento, il cui scopo non è tanto archiviare ma consentire <strong>di</strong><br />

recuperare in maniera creativa quanto immagazzinato. Recuperare con<br />

accostamenti coraggiosi suggerimenti inaspettati, creare dei varchi nella<br />

nostra memoria poiché – come notava Ungaretti – l’idea creativa (come la<br />

parola poetica) «scaturisce dall'ʹabisso».<br />

Per questo va utilizzato anche il potere delle emozioni, che richiede<br />

strumenti narrativi <strong>di</strong>versi e spesso vede l’immagine come forma <strong>di</strong><br />

rappresentazione naturale. Come ha osservato Salvatore Natoli in E<strong>di</strong>po e<br />

Giobbe, «il dolore – al pari <strong>di</strong> tutte le esperienze estreme (come anche la<br />

felicità) – lacera il linguaggio, si colloca sempre al <strong>di</strong> sotto o al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong><br />

esso» e il processo creativo – quando è ra<strong>di</strong>cale – è una esperienza estrema.<br />

La sfida è organizzare il non conosciuto e suggerire nuove correlazioni:<br />

«Dimmi come cerchi e ti <strong>di</strong>rò cosa cerchi» scrisse Wittgenstein nelle sue<br />

Osservazioni filosofiche, ribadendo l’importanza degli strumenti <strong>di</strong> ricerca (e<br />

mettendoci implicitamente in guar<strong>di</strong>a anche sul loro potere con<strong>di</strong>zionante<br />

…).<br />

Le immagini spesso innescano il processo creativo. Einstein affermava<br />

che la maggior parte delle sue idee nascevano con l'ʹaiuto <strong>di</strong> immagini<br />

mentali, ancora prima che attraverso un qualche tipo <strong>di</strong> teorizzazione<br />

verbale o matematica. Anche Italo Calvino ne era convinto: «Quando ho<br />

cominciato a scrivere storie fantastiche non mi ponevo ancora problemi<br />

teorici; l’unica cosa <strong>di</strong> cui ero sicuro era che all’origine d’ogni mio racconto<br />

c’era un’immagine visuale […] Appena l’immagine è <strong>di</strong>ventata abbastanza<br />

netta nella mia mente, mi metto a svilupparla in una storia, o meglio, sono<br />

le immagini stesse che sviluppano le loro potenzialità implicite, il racconto<br />

che esse portano dentro <strong>di</strong> sé».


A. Granelli 85<br />

Si possono a questo punto ipotizzare tre possibili <strong>di</strong>rezioni verso cui<br />

dovrebbe orientarsi l’appren<strong>di</strong>mento me<strong>di</strong>ato (e facilitato) dagli strumenti<br />

<strong>di</strong>gitali.<br />

Archiviare (classificando) le informazioni in maniera efficiente e<br />

facilmente ritrovabile/riutilizzabile<br />

Per il grande regista Konstantin Stanislavskij, nel teatro, le parole del<br />

testo si traducono creativamente in immagini interiori che hanno la doppia<br />

funzione <strong>di</strong> far ricordare il testo e <strong>di</strong> tradurlo in immagini corporee vive ed<br />

efficaci; una vera e propria fisiognomica teatrale, dove le caratteristiche<br />

fisiche e le qualità morali e psicologiche si traducono imme<strong>di</strong>atamente le<br />

une nelle altre. Il poter – grazie alle tecnologie <strong>di</strong>gitali <strong>di</strong> nuova<br />

generazione – archiviare immagini, ricercarle in funzione <strong>di</strong> particolari o<br />

colori oppure usare schemi <strong>di</strong> archiviazione che si basano sul potere delle<br />

immagini (si pensi ai cosiddetti “luoghi della memoria”) è <strong>oggi</strong> non solo<br />

possibile ma è una grande occasione.<br />

Un caso molto interessante <strong>di</strong> classificazione della conoscenza è quella<br />

concepita da Aby Warburg, il grande mecenate fondatore della omonima<br />

scuola, per aiutare nella creazione <strong>di</strong> intuizioni e <strong>di</strong> «comprensioni<br />

inter<strong>di</strong>sciplinari»: la cosiddetta Biblioteca per le scienze della cultura. Tale<br />

biblioteca era organizzata secondo il criterio personale della «legge del<br />

buon vicinato», che non <strong>di</strong>sponeva i libri in sequenze alfabetiche o<br />

cronologiche, ma li accostava – «come tessere <strong>di</strong> un mosaico <strong>di</strong> cui aveva<br />

ben chiaro in mente il <strong>di</strong>segno» in base agli ambiti culturali, tematici, ai<br />

significati intrinseci, e ne mo<strong>di</strong>ficava continuamente l’or<strong>di</strong>ne con la crescita<br />

della collezione e lo sviluppo delle ricerche. L’obiettivo <strong>di</strong> questa biblioteca<br />

era strumentale a una specifica convinzione che Warburg nutriva<br />

relativamente al ruolo della memoria. Straor<strong>di</strong>nario – anticipatore dei temi<br />

<strong>di</strong> cui stiamo <strong>di</strong>scutendo e naturalmente collegato alla sua idea <strong>di</strong><br />

Biblioteca – fu anche il suo «atlante della memoria» (Mnemosyne: serie <strong>di</strong><br />

immagini per l’analisi della funzione svolta dai valori espressivi stabiliti<br />

dall’antichità nella rappresentazione della vita in movimento nell’arte europea del<br />

Rinascimento), un’opera «aperta», composta da circa sessanta tavole a loro<br />

volta composte da collage <strong>di</strong> circa millecinquecento tra foto e immagini.<br />

Warburg usava queste tavole per illustrare le proprie conferenze.<br />

Osservano Kurt W. Forster e Katia Mazzucco in Introduzione ad Aby<br />

Warburg e all’atlante della memoria, che «il meccanismo <strong>di</strong> smontaggio e <strong>di</strong> ri-­‐‑


86<br />

<strong>Scritture</strong> <strong>brevi</strong> e nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali<br />

assemblaggio dei materiali presenti nelle tavole <strong>di</strong> Mnemosyne, consente <strong>di</strong><br />

staccare e ritagliare, letteralmente, i soggetti della ricerca dal contesto<br />

originale non per snaturarli o, peggio, banalizzarli e fraintendere la loro<br />

qualità ed essenza ma per valorizzarli in termini nuovi».<br />

Facilitare la con<strong>di</strong>visione del non co<strong>di</strong>ficato e del non strutturato per<br />

potenziare il processo creativo.<br />

Il processo creativo ha bisogno <strong>di</strong> instabilità, <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> potenziale,<br />

si nutre <strong>di</strong> (bio)<strong>di</strong>versità, <strong>di</strong> suggestioni, <strong>di</strong> tracce; per questo motivo le<br />

immagini, i frammenti <strong>di</strong> conoscenza il “non ancora co<strong>di</strong>ficato” sono<br />

essenziali nell’innescare i processi <strong>di</strong> ricordo e <strong>di</strong> creatività. La possibilità –<br />

grazie alle nuove tecnologie <strong>di</strong>gitali – <strong>di</strong> co<strong>di</strong>ficare non solo numeri, testi<br />

strutture definite, ma anche immagini, ambienti immersivi, frammenti<br />

vocali, e schemi, connessioni, ipertesti, … apre spazi straor<strong>di</strong>nari al<br />

processo <strong>di</strong> appren<strong>di</strong>mento. La sfida è <strong>di</strong> far convivere i due “mon<strong>di</strong>” – la<br />

struttura e il <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne, l’emozione e la regola – facilitando le occasioni <strong>di</strong><br />

sintesi che aprono la via all’intuizione e alla creatività e soprattutto<br />

consentendo una con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong>ffusa con altri per allargare il processo<br />

creativo e quin<strong>di</strong> la sua creatività. La Rete è un grande strumento <strong>di</strong><br />

con<strong>di</strong>visione, ma non basta creare i social network. Bisogna creare<br />

meccanismi per la con<strong>di</strong>visione non solo dei saperi ma anche delle<br />

emozioni per facilitare la generazione <strong>di</strong> stimoli creativi. Le emozioni<br />

portano all’azione, mentre la ragione porta solo a trarre delle conclusioni.<br />

Come <strong>di</strong>ce Manfred Kets de Vries dell’Insead: «un grammo <strong>di</strong> emozione<br />

può essere più efficace che una tonnellata <strong>di</strong> fatti».<br />

Costruire ambienti effettivamente centrati sull’appren<strong>di</strong>mento e non sul<br />

semplice scambio <strong>di</strong> contenuti culturali o se<strong>di</strong>centi educativi. In questo<br />

contesto i “siti personali” – spazi web associati a singoli in<strong>di</strong>vidui e pensati<br />

per essere contenitori <strong>di</strong> conoscenza ed elementi <strong>di</strong> racconto della propria<br />

identità – saranno un elemento chiave. Essi sono un pezzo <strong>di</strong> noi stessi<br />

sulla rete; sono un vero e proprio “sé <strong>di</strong>gitale”, elemento centrale nella<br />

nuova topologia della mente originatasi dall’interazione dell’uomo con le<br />

tecnologie <strong>di</strong>gitali (ve<strong>di</strong> Granelli 2006).<br />

La possibilità <strong>di</strong> archiviare toglie quella <strong>di</strong>mensione transitoria tipica<br />

delle prime forme <strong>di</strong> comunicazione elettronica e consente <strong>di</strong> memorizzare,<br />

ri-­‐‑utilizzare, e ri-­‐‑adattare l’informazione aprendo nuovi spazi espressivi.


A. Granelli 87<br />

Ma deve esistere un luogo personale <strong>di</strong> archiviazione, strumento<br />

conoscitivo, che consente <strong>di</strong> realizzare una vera e propria memoria estesa, a<br />

complemento e integrazione della memoria fisiologica. L’esistenza <strong>di</strong><br />

questo sito personale sta progressivamente forzando nuovi comportamenti:<br />

la sostanziale <strong>di</strong>fferenza dell’avere il sito su un sito Internet e non su un<br />

personal computer è legata alla accessibilità: se il sito è su Internet si accede<br />

da ovunque; se è sul computer <strong>di</strong> casa, si accede solo da casa – e quin<strong>di</strong> non<br />

è <strong>di</strong>sponibile in tutti i momenti in cui potrebbe essere utile – e inoltre<br />

nessun altro può accedervi, rimanendo una monade inaccessibile.<br />

Bibliografia<br />

Andrea Granelli<br />

andrea.granelli@kanso.it<br />

Baier 2004<br />

Baier Lothar, Non c'ʹè tempo! Diciotto tesi sull'ʹaccelerazione, trad. it. Torino,<br />

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88<br />

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Natoli Salvatore, E<strong>di</strong>po e Giobbe. Contrad<strong>di</strong>zione e paradosso, Brescia,<br />

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A. Granelli 89<br />

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Saggiatore.<br />

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Zeki Semir, La visione dall'ʹinterno. Arte e cervello, trad. it. Torino, Bollati<br />

Boringhieri.


Abstract<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

Francesca M. Dovetto<br />

Tra le forme <strong>di</strong> economia linguistica vanno incluse anche le interiezioni, forme<br />

lessicali <strong>brevi</strong> ma olofrastiche, molto frequenti nel parlato, anche se non rare nello<br />

scritto. Si tratta <strong>di</strong> una categoria normalmente collocata ai margini tra oralità e<br />

scrittura, particolarmente frequente nel linguaggio fumettistico.<br />

In questa sede si presentano alcuni risultati relativi all'ʹanalisi delle interiezioni<br />

tratte da un corpus costituito da fumetti Disney, e in particolare dalle storie del<br />

Topolino.<br />

Parole chiave: interiezione, onomatopea, ideofono, parlato, scritto, fumetto<br />

Among the forms of linguistic economy we also find interjections, short<br />

holophrastic phrases which are very frequent in speech, though also not rare in<br />

writing. This is a category usually located on the edge between speech and writing,<br />

particularly frequent in the language of comics.<br />

Here we present some results from the analysis of interjections drawn from a corpus<br />

consisting of Disney comics, especially those involving Mickey Mouse from the<br />

Italian publication Topolino.<br />

Keywords: interjection, onomatopoeia, ideophone, speech, writing, comics<br />

Shorter and more abrupt forms are more appropriate to certain states of<br />

mind, longer ones to others [Jespersen 1925, 403]<br />

Eh salgo un momento in camera e c ve<strong>di</strong>amo (sono pressoke'ʹ morto...)<br />

[sms 24.2.2011, c.vo mio]<br />

1. Introduzione<br />

Tra le forme <strong>di</strong> economia linguistica «o meglio, psicologica» Spitzer<br />

include anche le interiezioni (1922/2007, 236-­‐‑237; cfr. anche 229), forme<br />

lessicali <strong>brevi</strong> ma olofrastiche, costituite per lo più da monosillabi o<br />

bisillabi e molto frequenti nel parlato, anche se non rare nello scritto. Si


F. M. Dovetto 91<br />

tratta <strong>di</strong> una categoria normalmente collocata ai margini tra oralità e<br />

scrittura con tendenza prevalente, anche se non esclusiva, per la funzione<br />

linguistica emotiva (P<strong>oggi</strong> 1981; 1995).<br />

Il fenomeno della 'ʹab<strong>brevi</strong>azione del linguaggio esterno'ʹ è noto in<br />

letteratura. Vygotskij (1934/1998, 365-­‐‑368), ad esempio, ne traccia le<br />

caratteristiche ricorrendo ad esempi celebri, come la silenziosa<br />

<strong>di</strong>chiarazione d'ʹamore <strong>di</strong> Levin a Kitty nell'ʹAnna Karenina <strong>di</strong> Tolstoj (ivi,<br />

366-­‐‑367) o l'ʹattesa alla fermata del tram (ivi, 365) che Gambarara (1999, 103)<br />

riprende con queste parole:<br />

Ad esempio, stiamo aspettando l'ʹautobus con un amico. Il primo che lo scorge<br />

arrivare <strong>di</strong>rà all'ʹaltro semplicemente "ʺEccolo"ʺ. Non occorre che <strong>di</strong>ca <strong>di</strong> più. Può<br />

anche <strong>di</strong>re "ʺAttento!"ʺ, o "ʺEhi!"ʺ o puntare l'ʹin<strong>di</strong>ce verso l'ʹautobus, o sollevare le<br />

sopracciglia <strong>di</strong> colpo, se l'ʹamico lo sta guardando in faccia. [...] Vygotskij usa il<br />

passo <strong>di</strong> Anna Karenina e l'ʹesempio dell'ʹautobus per mostrare l'ʹ"ʺab<strong>brevi</strong>azione"ʺ che<br />

il linguaggio verbale può permettersi dove si ha coincidenza nel linguaggio<br />

interiore degli interlocutori, cioè negli usi non verbali del linguaggio verbale.<br />

Nell'ʹesempio l'ʹehi! <strong>di</strong> chi attende alla fermata rappresenta un caso, tra i<br />

tanti possibili, <strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà; l'ʹaltro esempio <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azione linguistica<br />

attraverso l'ʹimpiego <strong>di</strong> enunciati cosiddetti «per allusione» (Vygotskij<br />

1934/1998, 367) è la <strong>di</strong>chiarazione d'ʹamore <strong>di</strong> Nikolaj Levin, composta<br />

tracciando col gesso sul tavolo da gioco le sole iniziali <strong>di</strong> parole che<br />

rappresentano intere frasi, quelle alle quali è affidata la <strong>di</strong>chiarazione<br />

stessa. Si tratta, in entrambi i casi, della tendenza al «linguaggio ab<strong>brevi</strong>ato,<br />

a mezza parola» che costituisce «più la regola che l'ʹeccezione» nello<br />

scambio verbale, laddove però quest'ʹultimo avvenga «tra persone che<br />

vivono in un contatto psicologico assai grande» (ivi).<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista formale, le interiezioni costituiscono un insieme <strong>di</strong><br />

elementi lessicali «debolmente inquadrati o non inquadrati nel sistema<br />

della lingua» (De Mauro 2008, 153); esse infatti si riconoscono non soltanto<br />

per la loro <strong>brevi</strong>tà, ma anche per una certa estraneità all'ʹapparato<br />

fonematico e morfologico-­‐‑derivazionale delle lingue 1, come è facilmente<br />

evidente nella loro rappresentazione nei sistemi ortografici abituali che può<br />

1 È questo il caso delle cosiddette interiezioni vere e proprie ; restano esclusi invece, da questo<br />

insieme, tutti gli altri elementi lessicali appartenenti alla lingua, tutti comunque<br />

potenzialmente utilizzabili in modo interiettivo (cfr. De Mauro 2008, 152-­‐‑155).


92<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

<strong>di</strong>scostarsi dalle norme delle specifiche lingue utilizzando anche suoni<br />

estranei al repertorio fonologico della lingua nella quale vengono prodotte.<br />

In generale, data anche la loro collocazione marginale rispetto<br />

all'ʹapparato formale della lingua, le interiezioni non sono state stu<strong>di</strong>ate<br />

quanto le altre parti del <strong>di</strong>scorso, ma <strong>di</strong> quell'ʹapparato fanno comunque<br />

parte e, come segnala De Mauro (ivi, 158) «non tenerne conto è un errore».<br />

E infatti, benché la loro «precisazione sia del tutto implicita e si affi<strong>di</strong>, per il<br />

produttore e per i riceventi, alla evidenza del rapporto con la situazione <strong>di</strong><br />

enunciazione» (ivi), esse rientrano a pieno <strong>di</strong>ritto in quel materiale che il<br />

plurisemiotico locutore umano si trova innanzi al momento della<br />

produzione come della comprensione del percetto e contribuiscono<br />

pertanto attivamente alla costruzione del senso (ivi, 154-­‐‑155).<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista dell'ʹanalisi fonetica le interiezioni 'ʹvere e proprie'ʹ<br />

(come, ad esempio, i segnali d'ʹassenso eh, ah, o <strong>di</strong> esitazione ehm, mhmh etc.)<br />

vengono attribuite alla macroclasse delle <strong>di</strong>sfluenze o esitazioni<br />

comprendente fenomeni <strong>di</strong>versi e <strong>di</strong>fferenziati, come pause piene o vuote,<br />

ripetizioni, false partenze etc. (cfr. Pettorino&Giannini 2004, 2), tutti<br />

fenomeni che occorrono più frequentemente nel parlato informale e che<br />

presentano in genere una notevole variabilità i<strong>di</strong>osincratica (tanto per<br />

frequenza, quanto per durata), anche in funzione degli stili <strong>di</strong> parlato.<br />

Benché la collocazione delle interiezioni nella struttura degli enunciati<br />

<strong>di</strong>penda anche dalla loro funzione (emotiva, fàtica o referenziale), sono<br />

presenti per lo più nelle forme <strong>di</strong> apertura (con funzione tanto emotiva<br />

quanto, soprattutto, fàtica), ma si ritrovano frequentemente anche in<br />

posizione interna agli enunciati, sia come pausa emotiva tra l'ʹespressione <strong>di</strong><br />

contenuti referenziali, sia come prelu<strong>di</strong>o a un contenuto emotivo espresso<br />

internamente all'ʹenunciato, sia con mera funzione relazionale, e quin<strong>di</strong><br />

come veri e propri marcatori <strong>di</strong>scorsivi.<br />

L'ʹistintività e imme<strong>di</strong>atezza tipica <strong>di</strong> questi <strong>brevi</strong> elementi lessicali ha<br />

portato ad attribuire loro, in mo<strong>di</strong> forse un po'ʹ riduttivi, una certa<br />

'ʹsommarietà cognitiva'ʹ (P<strong>oggi</strong> 1995, 411), anche a causa della loro frequente<br />

ambiguità. Alcuni <strong>di</strong> essi infatti possono esprimere sia sorpresa, sia dolore,<br />

sia altra, <strong>di</strong>versa emozione, <strong>di</strong>sambiguata nel parlato per mezzo<br />

dell’intonazione e nello scritto affidata invece al co-­‐‑testo, ma anche al<br />

contesto, che assumono così un ruolo fondamentale per la corretta


F. M. Dovetto 93<br />

trasmissione del contenuto emotivo e, ovviamente, anche <strong>di</strong> quello<br />

referenziale. Anche la punteggiatura, nel testo scritto, <strong>di</strong>venta elemento<br />

funzionale alla risoluzione dell'ʹambiguità degli elementi interiettivi, come<br />

mostra esemplarmente il copione <strong>di</strong> Uomo e galantuomo <strong>di</strong> Eduardo de<br />

Filippo nella esilarante <strong>di</strong>stinzione tra il no esclamativo, interrogativo e<br />

conclusivo.<br />

Nello scambio <strong>di</strong> battute qui sotto riportate, tratte, con qualche libera<br />

improvvisazione, dalla comme<strong>di</strong>a edoar<strong>di</strong>ana, il protagonista, capocomico,<br />

si rivolge al suggeritore e alle due attrici della compagnia facendo<br />

riferimento alla redazione scritta del copione e tentando <strong>di</strong> spiegare loro la<br />

<strong>di</strong>fferenza tra i tre no interiettivi: il primo, che porta dopo <strong>di</strong> sé il punto<br />

esclamativo (a manic'ʹ 'ʹe martiell'ʹ), il secondo, seguito dal punto<br />

interrogativo (a manic'ʹ 'ʹe 'ʹmbrell'ʹ) e l'ʹultimo dal punto fermo ('ʹa pallina) 2.<br />

Queste le parole del capocomico:<br />

NO! NOOO...? NO. Tre no, tre intonazioni <strong>di</strong>verse.<br />

NO! ... a manic'ʹ 'ʹe martiell; NOOO...? ... a manica 'ʹe mbrell; NO.<br />

punto... pallina<br />

e, a proposito del «No.» interiettivo-­‐‑conclusivo, aggiunge:<br />

Quando hai fatto la pallina non si può più andare avanti, è finita<br />

Come è evidente anche dall'ʹesempio sopra riportato, l'ʹimme<strong>di</strong>atezza<br />

espressiva delle interiezioni fa sì che siano utilizzate nello scritto per lo più<br />

in quei generi in cui quest'ʹultimo tende a imitare il parlato, e quin<strong>di</strong><br />

principalmente in testi teatrali o in <strong>di</strong>aloghi inseriti nelle narrazioni, oppure<br />

in produzioni scritte tipicamente informali come lettere etc. Le interiezioni<br />

sono molto frequenti anche nelle scritture dei nuovi me<strong>di</strong>a: chat, sms etc.<br />

Interamente affidato al contesto situazionale, invece, è quella parte <strong>di</strong><br />

contenuto proposizionale delle interiezioni che precisa «l'ʹevento del mondo<br />

implicato da quello stato mentale» (P<strong>oggi</strong> 1995, 405). Nella parafrasi<br />

articolata dell'ʹinteriezione questo viene espresso infatti da un elemento<br />

2 La citazione è tratta da una recente reinterpretazione della comme<strong>di</strong>a edoar<strong>di</strong>ana sotto la<br />

regia <strong>di</strong> Armando Pugliese; lo scambio <strong>di</strong> battute è recitato da Francesco Paolantoni<br />

(capocomico), Tonino Taiuti (suggeritore), Antonella Stefanucci (Viola) e la prima attrice<br />

Patrizia Spinosi (Florance).


94<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

deittico, come ad esempio aha!, che potremmo parafrasare con: 'ʹquesto lo<br />

sapevo bene!'ʹ dove questo si riferisce, evidentemente, a un fatto noto, o<br />

perché menzionato in precedenza, o perché comunque recuperabile dal<br />

contesto.<br />

Il valore illocutivo dell'ʹinteriezione infine, che permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere<br />

tra un'ʹinteriezione <strong>di</strong> tipo espositivo, esercitivo o richiestivo <strong>di</strong> azione o <strong>di</strong><br />

domanda e comportativo, nello scritto è ancora una volta affidato al co-­‐‑<br />

testo e, per lo più, alla punteggiatura.<br />

In questa sede si presentano alcuni risultati relativi all'ʹanalisi delle<br />

interiezioni tratte da un corpus costituito da fumetti Disney, e in particolare<br />

tratto dalle storie <strong>di</strong> Topolino, selezionate in un arco <strong>di</strong> tempo che va dal<br />

1930 (e in particolare dal n. 1 <strong>di</strong> quell'ʹanno) al n. 2811 del 2009 3.<br />

La scelta <strong>di</strong> selezionare e analizzare le interiezioni presenti in un<br />

fumetto e, in particolare, in un fumetto comico e sofisticato come il<br />

Topolino, si fonda sulla consapevolezza dell'ʹincidenza e del ruolo <strong>di</strong> questi<br />

<strong>brevi</strong> elementi lessicali nel linguaggio fumettistico, dove infatti abbondano<br />

insieme a imprecazioni, intercalari, allocutivi, vocativi e segnali <strong>di</strong>scorsivi<br />

in genere, veicolando spesso contenuti fondamentali alla narrazione e<br />

comprensione della storia, come il Topolino mostra esemplarmente.<br />

Come ha scritto Rodari, il fumetto va considerato come una sorta <strong>di</strong><br />

stenografia, a partire dalla quale il lettore è in grado poi <strong>di</strong> risalire al testo,<br />

non perdendo <strong>di</strong> vista i suoni in<strong>di</strong>cati nelle apposite nuvolette, anzi<br />

afferrandone le sfumature («uno "ʺsquash"ʺ non è uno "ʺscreek"ʺ») e<br />

in<strong>di</strong>viduandone la causa. Nei fumetti infatti l'ʹazione, descritta per salti e<br />

frammenti, è spesso rappresentata sotto forma <strong>di</strong> pura sonorità<br />

(interiettiva), spesso responsabile anche dei caratteri dei personaggi per lo<br />

più mostrati in azione. Ai 'ʹrumori'ʹ tra<strong>di</strong>zionali, inoltre, si aggiungono<br />

spesso, sia nei fumetti comici, sia in quelli più sofisticati, nuove invenzioni<br />

3 Il corpus comprende in particolare ca. 6 storie per annata (60 per decennio), selezionate tra le<br />

sole storie del personaggio <strong>di</strong> Topolino e per un arco <strong>di</strong> tempo compreso tra il 1930 e il 2009,<br />

per un totale <strong>di</strong> quasi 80 annate e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> più <strong>di</strong> 400 storie. Il corpus è stato raccolto da Anna<br />

Mancini (tesi <strong>di</strong> laurea <strong>di</strong> vecchio or<strong>di</strong>namento in Lettere moderne, L'ʹonomatopea nel<br />

«Topolino», relatore F.M. Dovetto, Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Napoli Federico II, a.a. 2009-­‐‑2010).<br />

In precedenza due altri corpora sono stati de<strong>di</strong>cati alla lingua del Topolino: l uno (Mioni 1992) è<br />

basato sullo spoglio dell intero n. 1867 (1991); l altro (Pietrini 2008) comprende 90 storie, ca. 15<br />

per decennio, selezionate in un arco <strong>di</strong> tempo tra il 1954 e il 2006.


F. M. Dovetto 95<br />

(sonore) che il lettore deve poter decifrare. L'ʹintero corso della storia va<br />

perciò ricostruito sfruttando, insieme al <strong>di</strong>segno, le <strong>di</strong>dascalie, i <strong>di</strong>aloghi, i<br />

colori e, soprattutto, anche i rumori, combinando poi il tutto assegnandogli<br />

un senso (Rodari 1997, 153-­‐‑155).<br />

Le interiezioni selezionate dal corpus costituito dalle storie del Topolino<br />

riguardano essenzialmente le cosiddette 'ʹemozioni primarie'ʹ.<br />

In generale le emozioni, secondo stu<strong>di</strong> recenti <strong>di</strong> psicologia delle<br />

emozioni, psicologia cognitiva, neurofisiologia e psicofisiologia, sono<br />

considerate strutture psicologiche complesse comprendenti aspetti<br />

cognitivi, fisiologici, espressivo-­‐‑motori, motivazionali e soggettivi relativi<br />

al vissuto dello stato affettivo (Anolli&Ciceri 1992, 167). Le emozioni<br />

inoltre svolgono una fondamentale e costante funzione comunicativa, in<br />

quanto costituiscono un in<strong>di</strong>catore utile alla valutazione delle risposte<br />

regolative dell'ʹorganismo all'ʹambiente.<br />

L'ʹemozione è dunque un evento che può essere definito multisistemico,<br />

relativo infatti a più piani, come quello dell'ʹelaborazione cognitiva, dei<br />

comportamenti motori e delle risposte fisiologiche, oltre al piano dei<br />

resoconti verbali dell'ʹesperienza soggettiva (cfr. Vallone 2005-­‐‑2006 [2007],<br />

23-­‐‑33).<br />

Benché siano sono state proposte teorie delle emozioni non <strong>di</strong>screte, ma<br />

componenziali o <strong>di</strong>mensionali, che interpretano la variabilità emozionale<br />

come la manifestazione <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> intensità collocabili lungo un<br />

continuum (a partire da Wundt), l'ʹapproccio darwiniano ed evoluzionista<br />

allo stu<strong>di</strong>o delle emozioni, che ritiene queste ultime innate e universali, le<br />

sud<strong>di</strong>vide in emozioni primarie (basic emotions, come la paura, la gioia o<br />

l'ʹira) e secondarie o complesse derivanti dalla <strong>di</strong>versa combinazione delle<br />

emozioni primarie (ad es. l'ʹansia sarebbe costituita dalla paura combinata<br />

con la vergogna e l'ʹangoscia). Negli anni Settanta Tomkins ha proposto una<br />

classificazione <strong>di</strong> otto emozioni fondamentali (sorpresa, interesse, gioia, ira,<br />

paura, <strong>di</strong>sgusto, vergogna, angoscia), ridotte a sei da Ekman (sorpresa, felicità,<br />

ira, paura, <strong>di</strong>sgusto, tristezza) e infine a cinque negli anni Ottanta da Johnson-­‐‑<br />

Laird e Oatley che hanno elaborato una classificazione basata<br />

essenzialmente sulle parole che usiamo per parlare delle emozioni stesse<br />

(felicità, ira, paura, <strong>di</strong>sgusto, tristezza).


96<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

Più recentemente è emersa una prospettiva ulteriore, che supera tanto il<br />

riduzionismo strutturalista quanto il relativismo culturale e il<br />

costruzionismo sociale e che concilia, allo stesso tempo, i punti <strong>di</strong> vista<br />

strutturalista e funzionalista: quest'ʹultima teoria tende a considerare i<br />

processi emotivi come universali e comunque <strong>di</strong>stinti, pur non negando<br />

l’influsso delle componenti culturali e sociali.<br />

Per necessità metodologiche nell'ʹin<strong>di</strong>viduazione e selezione delle<br />

emozioni nel fumetto si è preferito far riferimento alle teorie categoriali e<br />

non <strong>di</strong>mensionali, e in particolare alla tassonomia <strong>di</strong> Ekman che considera<br />

tra le emozioni primarie anche la sopresa, una delle emozioni<br />

maggiormente presenti nel testo fumettistico.<br />

2. L'ʹanalisi<br />

Come è noto, Topolino debutta in America dapprima nel 1928 con un<br />

cortometraggio e quin<strong>di</strong> come protagonista dei fumetti nel 1930. In Italia<br />

Topolino arriva sulle pagine dell'ʹIllustrazione del popolo (supplemento della<br />

Gazzetta del popolo) nel 1930; <strong>di</strong>viene poi pubblicazione autonoma con<br />

l'ʹe<strong>di</strong>tore Nerbini verso la fine del 1932 e, successivamente, con la casa<br />

e<strong>di</strong>trice Mondadori, a cui verrà ceduto nel 1935.<br />

La necessità <strong>di</strong> creare le storie <strong>di</strong>rettamente in Italia, avvertita già sotto il<br />

regime fascista a causa della censura a cui furono sottoposti i modelli<br />

americani 4, si fece urgente a guerra finita. A partire dagli anni Cinquanta si<br />

sviluppò così una scuola fiorente <strong>di</strong> autori italiani del Topolino, i quali non<br />

traducevano più le storie americane, ma le producevano essi stessi e<br />

<strong>di</strong>rettamente in lingua italiana, con evidenti ripercussioni sulle storie e sul<br />

linguaggio del fumetto (Barbieri 2009, 48-­‐‑49).<br />

Non è un caso pertanto che la voce che designa lo sbattere della porta,<br />

tra<strong>di</strong>zionalmente rappresentata anche nel fumetto italiano con<br />

l'ʹonomatopea slam (dall'ʹinglese to slam 'ʹsbattere, chiudere violentemente'ʹ),<br />

venga sostituita dagli autori italiani con sbatt, troncamento da sbattere, o che<br />

l'ʹonomatopea relativa allo squillo del telefono resa con ring (dall'ʹingl. to<br />

4 Durante la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale non vennero e<strong>di</strong>tati i protagonisti americani e anche<br />

Topolino venne sostituito nel 1942 da Tuffolino, un ragazzino con le sue stesse caratteristiche<br />

creato da Federico Pedrocchi e Pier Lorenzo De Vita.


F. M. Dovetto 97<br />

ring 'ʹsuonare, squillare'ʹ) venga presto sostituita dall'ʹonomatopea romanza<br />

drin, successivamente incrociata con ring in dring 5.<br />

La storia lessicale <strong>di</strong> queste forme <strong>brevi</strong> riflette inoltre la storia degli<br />

oggetti concreti, che mutano col mutare dei tempi e delle tecnologie, in una<br />

sorta <strong>di</strong> percorso sul modello Wörter und Sachen, come mostra ad esempio<br />

la variabilità della forma linguistica rappresentativa del suono del clacson<br />

che riflette la varietà anche tecnologica dell'ʹoggetto. A questo proposito le<br />

forme registrate nel corpus sono infatti <strong>di</strong> tre <strong>di</strong>versi tipi lessicali: la forma<br />

pot pot con le varianti poo pooo, poot, potti, pee pee, peet; la forma tweet<br />

(dall'ʹingl. to tweet 'ʹcinguettare'ʹ, voce <strong>di</strong> origine imitativa), con la variante<br />

twoot; infine, verso la fine degli anni Novanta, si aggiunge anche la forma<br />

beep, con la variante bee (dall'ʹingl. to beep 'ʹfare beep'ʹ).<br />

I suoni rappresentati dalle tre onomatopee nella loro varietà rendono<br />

bene le <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> segnalatori acustici per autovetture, tutti<br />

comunemente denominati clacson, dal nome della <strong>di</strong>tta produttrice del<br />

primo segnalatore acustico elettrico (Klaxon), brevettato agli inizi del<br />

Novecento. L'ʹoggetto, messo in commercio dapprima dalla <strong>di</strong>tta Klaxon, è<br />

costituito da un <strong>di</strong>aframma metallico azionato da una camma dentata<br />

messa in moto da un motore elettrico che produce un rumore reso<br />

onomatopeicamente con la voce ca-­‐‑uu-­‐‑ga oppure ha-­‐‑uu-­‐‑ha 6.<br />

Precedentemente venivano utilizzate altre tipologie <strong>di</strong> segnalatori acustici,<br />

come ad esempio le campane, o come le sirene, pompe centrifughe ad aria<br />

compressa che potevano regolare la velocità, e quin<strong>di</strong> il sibilo prodotto,<br />

grazie a un sistema <strong>di</strong> valvole. Il caratteristico suono delle sirene,<br />

riprodotto nei fumetti come eeeee, ueee, uhueee, venne però presto limitato,<br />

per ovvi motivi, ai soli mezzi <strong>di</strong> soccorso, così come avviene anche nelle<br />

storie del Topolino, dove il suono della sirena annuncia l'ʹarrivo dei<br />

pompieri o della polizia. Altro <strong>di</strong>spositivo acustico per autovetture, molto<br />

<strong>di</strong>ffuso prima e dopo l'ʹinvenzione <strong>di</strong> quello elettrico, è infine la tromba, che<br />

può utilizzare <strong>di</strong>verse fonti <strong>di</strong> energia (aria, gas <strong>di</strong> scarico, vapore, forza<br />

muscolare etc.) e produrre quin<strong>di</strong> anche suoni <strong>di</strong>versi, profon<strong>di</strong> e<br />

5 Sulle onomatopee nel fumetto, cfr., più estesamente, Dovetto (2012).<br />

6 La pubblicità dei primi clacson sottolineava come il nuovo strumento acustico emettesse «un<br />

suono del tutto nuovo, dal carattere molto allarmante, paragonabile ad un or<strong>di</strong>ne a cui si<br />

obbe<strong>di</strong>sce d impulso» (, 21.2.2011).


98<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

prolungati (pooooo), gravi e potenti (pot, potti) 7, ma anche stridenti come<br />

fischi (tweet), fino a intere melo<strong>di</strong>e 8.<br />

Per quanto riguarda invece le interiezioni che esprimono funzione<br />

emotiva (sorpresa, felicità, ira, paura, <strong>di</strong>sgusto, tristezza) nel corpus raccolto<br />

ricorrono tutte abbastanza frequentemente, benché le emozioni primarie<br />

con più alta occorrenza siano, sin dalle primissime storie del Topolino,<br />

sorpresa e ira, per la loro particolare consonanza con i contenuti comici<br />

delle storie narrate nel fumetto. Queste ultime presentano tra l'ʹaltro anche<br />

la maggior ricchezza <strong>di</strong> forme, sia per neoformazioni, sia per numero <strong>di</strong><br />

varianti rispetto a ciascuna forma base, come mostra ad esempio la<br />

ricorrenza <strong>di</strong> forme derivate come ulp, da gulp, o urgle e sgurgle, da gurgle.<br />

Tra le neoformazioni ricorrono invece anche delle pseudopolirematiche,<br />

come ad esempio urk acc grr, forma interiettiva che rende un'ʹira<br />

particolarmente intensa attraverso un'ʹintera sequenza <strong>di</strong> elementi sonori<br />

<strong>di</strong>versi tra loro e descrittivi dell'ʹevento còlto nella sua ricchezza emotiva.<br />

Complessivamente l'ʹespressione interiettiva della sorpresa nel corpus<br />

conta più <strong>di</strong> 170 forme e varianti (tra cui eh?/eh!/ehi, gasp, gawrssh, glab,<br />

glom, gnaf, gosh, guap, gulp, iuf, oh, sgurgle, sob, sput, squeak, toh, uh?/uh!,<br />

uuuhuack, ulp, urgh, urgle, whew etc.), la maggior parte delle quali è <strong>di</strong><br />

origine anglosassone e ripropone o un'ʹinteriezione vera e propria (come<br />

gosh 9, whew), o il derivato da una forma inglese verbale o nominale, come<br />

gasp per il 'ʹrespiro affannoso'ʹ da to gasp o sigh per il 'ʹsospiro'ʹ da to sigh.<br />

Molto spesso la base inglese è a sua volta <strong>di</strong> origine onomatopeica (così per<br />

sob, voce identificativa del 'ʹsinghiozzo'ʹ o per gulp, voce imitativa del<br />

7 A questo proposito è interessante osservare che dal punto <strong>di</strong> vista acustico i suoni cosiddetti<br />

gravi corrispondono, fra i suoni vocalici, alle vocali posteriori, e fra i suoni consonantici, alle<br />

consonanti ariticolate nelle regioni periferiche come le labiali e le velari (cfr. Dovetto 2000,<br />

283). Inoltre, nella scala (relativa) <strong>di</strong> forza, le occlusive sorde rappresentano i segmenti <strong>di</strong><br />

massima forza (e minima sonorità), mentre la geminazione costituisce un fenomeno <strong>di</strong><br />

rafforzamento.<br />

8 In questo caso l oggetto corrisponde a una pompa elettropneumatica. Sempre nei primi<br />

decenni del Novecento si <strong>di</strong>ffuse in Italia anche un clacson elettrico denominato "ʺtenore<br />

elettrico"ʺ il cui suono, assai più gradevole, veniva pubblicizzato con questa parole: «è pure<br />

gra<strong>di</strong>to ai passanti come un benefattore inapprezzabile. Esso li avverte cortesemente,<br />

gentilmente, senza spaventarli. Nessuna protesta, nessuna espressione avversa si ha<br />

udendolo; nessuno sbalzo <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nato, né cadute pericolose sull orlo dei marciapie<strong>di</strong>. Il<br />

passante, avvisato a tempo debito, si scosta con calma (, 21.2.2011).<br />

9 Cfr. OED (1989 2, s.v.): «Mincing pronunc. of GOD».


F. M. Dovetto 99<br />

rumore che si fa deglutendo a vuoto). Non mancano tuttavia le comuni<br />

forme interiettive tra<strong>di</strong>zionalmente presenti nel lessico italiano, come eh!,<br />

oh!, toh!, uuuh! etc. Queste ultime, riccamente presenti nei primi anni, nel<br />

corso del tempo vengono affiancate da altre forme, rappresentazione <strong>di</strong><br />

rumori <strong>di</strong>versi (come gasp!, gawrsh!, gnaf! 10, guap!, ulp!) che arricchiscono il<br />

corpus colorandolo connotativamente.<br />

L'ʹampio subcorpus delle forme interiettive per la sorpresa viene<br />

incrementato anche negli ultimi anni, quando si aggiungono le<br />

onomatopee glab e sgurgle (forse da to gurgle 'ʹgorgogliare'ʹ) e qualche glom.<br />

Quest'ʹultima forma, probabilmente derivata dall'ʹinglese to gloom 'ʹoscurarsi;<br />

aver l'ʹaria scontenta; essere triste, depresso'ʹ 11, è particolarmente<br />

interessante per la sua versatilità e polisemicità. Nel corpus in<strong>di</strong>ca infatti<br />

stati emotivi <strong>di</strong>versi, come preoccupazione e senso <strong>di</strong> tristezza sconfinante<br />

in agitazione, sconforto, <strong>di</strong>sperazione e paura fino al pianto, ma può<br />

designare anche l'ʹeffetto sonoro <strong>di</strong> eventi fisici come lo schiocco delle<br />

labbra 12, il deglutire e l'ʹazione del mordere o mangiare 13.<br />

L'ʹira, anche attenuata nelle forme del nervosismo e dell'ʹagitazione che<br />

esprime <strong>di</strong>sappunto, è anch'ʹessa riccamente presente nel corpus sin dagli<br />

anni Trenta con forme per lo più con antecedente inglese. Rispetto alla<br />

sorpresa questa emozione presenta tuttavia un più scarso numero <strong>di</strong> 'ʹtipi'ʹ;<br />

infatti, tranne poche eccezioni, viene resa quasi sempre con grrr 14 (sin dal<br />

1932), o con groan, che in<strong>di</strong>ca il gemere, il mormorio <strong>di</strong> <strong>di</strong>sapprovazione, e<br />

con argh, espressione <strong>di</strong> <strong>di</strong>sgusto o irritazione. Più recentemente ricorrono<br />

altre forme come sgrunt e grunf, umf e snort, identificative <strong>di</strong> forme d'ʹira<br />

attenuate.<br />

10 L onomatopea gnaf trova in italiano un antecedente lessicale nella forma interiettiva gnaffe,<br />

attestata dal XIV secolo, ma con significato asseverativo ( in fede mia, sicuramente ), la cui<br />

origine è romanza, probabilmente esito <strong>di</strong> una pronuncia veloce e trascurata del sintagma mia<br />

fé (cfr. Nocentini 2010, s.v.). In italiano la forma apofonica gniffe gnaffe, identificativa del<br />

rumore dello schiaffo, viene utilizzata anche in riferimento a uno smacco ricevuto (cfr. le<br />

parole con cui G.B. Marino descrive nel febbraio 1609 l attentato del Murtola: «voleva darmi<br />

un gniffe gnaffe e appendermi <strong>di</strong>etro i tricchi tracchi», Borzelli&Nicolini 1911, 68-­‐‑69).<br />

11 Cfr. anche la forma aggettivale correlata glum tetro, accigliato, depresso, triste . A proposito<br />

<strong>di</strong> gloom, glum cfr. anche Jespersen (1925, 401).<br />

12 Si tratta tuttavia <strong>di</strong> un bacio dato alla terra da Topolino appena uscito dall acqua.<br />

13 Più <strong>di</strong>fficile il collegamento con la forma colloquiale americana glom ghermire, afferrare .<br />

14 Le sole varianti sono costituite dalla <strong>di</strong>versa iterazione della vibrante, oltre a una forma<br />

pseudoprefissata che presenta un occlusiva sorda anteposta alla base grr: pgrr.


100<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

La minore ricchezza <strong>di</strong> forme per la paura trova invece motivazione<br />

nella più facile rappresentazione <strong>di</strong> questa emozione nel fumetto attraverso<br />

azioni in qualche modo ad essa collegate, come il battere dei denti (rattle<br />

rattle) o il tremito del corpo (brr). Ciò costituisce per altro certamente un<br />

freno alla creatività degli autori che, per la rappresentazione dello stato<br />

della mente del parlante rispetto a questa emozione, si limitano per lo più<br />

all'ʹimpiego delle forme della tra<strong>di</strong>zione classica (ehm, oh oh, uhm).<br />

Scarsissima è infatti la ricorrenza <strong>di</strong> altre forme, tra cui si possono però<br />

menzionare almeno glom e grumf.<br />

Tre sono invece le onomatopee che rendono nel corpus il <strong>di</strong>sgusto: puah 15<br />

(1951 e 1994), <strong>di</strong> orgine romanza, pfuì (1951), derivata dal tedesco, e infine<br />

argh (1997); mentre la tristezza occorre per lo più nelle forme inglesi, ma<br />

ricorrenti pure in italiano, sigh e sob, oltre al polisemico glom. Anche nel<br />

caso della tristezza va segnalata la presenza nel corpus <strong>di</strong> interiezioni che<br />

esprimono gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi della stessa emozione, tendenti a denotare forme<br />

del <strong>di</strong>spiacere via via rafforzate fino a confondersi con manifestazioni d'ʹira,<br />

per quanto attenuata (sgrunt), e/o <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione (glom, groan).<br />

Poco presenti, infine, le interiezioni che esprimono felicità. È possibile<br />

tuttavia che ciò trovi motivazione anche nella scarsa riconoscibilità <strong>di</strong><br />

questa emozione. Da numerosi lavori <strong>di</strong> fonetica sperimentale de<strong>di</strong>cati al<br />

riconoscimento delle emozioni emerge infatti che la gioia, unica emozione<br />

positiva tra le emozioni primarie, rappresenta in realtà un'ʹemozione <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>fficile identificazione e deco<strong>di</strong>fica nelle sue manifestazioni sonore. Più in<br />

particolare questi stu<strong>di</strong> evidenziano la generale tendenza da parte dei<br />

parlanti a riconoscere più facilmente le emozioni negative (e in particolare<br />

tristezza e rabbia) rispetto a quelle positive (cfr., tra gli altri, Scherer 1981 e<br />

Bezooyen 1984; cfr. anche Vallone 2005-­‐‑2006 [2007], 64-­‐‑66) 16.<br />

15 Questa interiezione, che si fonda su una onomatopea romanza (cfr. fr. pouah, <strong>di</strong> origine<br />

imitativa), è attestata in italiano dal 1882.<br />

16 In altri corpora ricorrono le seguenti forme: yippee! yu-­‐‑uuh! e la forma italianizzata uao!<br />

(Mioni 1992, 89; Pietrini 2008, 170). Più spesso la felicità viene espressa, piuttosto che per<br />

mezzo <strong>di</strong> interiezioni vere e proprie, tramite i lessemi dell italiano viva, evviva, urrà etc., ossia<br />

col ricorso alle cosiddette interiezioni derivate , la cui origine è rintracciabile in voci del lessico<br />

del linguaggio articolato (P<strong>oggi</strong> 1995, 412-­‐‑413).


3. Conclusioni<br />

F. M. Dovetto 101<br />

Questa rassegna, per quanto sommaria, consente <strong>di</strong> mettere in evidenza<br />

alcune caratteristiche comuni alle interiezioni presenti nel fumetto, utili per<br />

l'ʹidentificazione della categoria anche in relazione ad altre tipologie <strong>di</strong><br />

lessemi <strong>brevi</strong> come, ad esempio, gli ideofoni con cui le interiezioni sono<br />

spesso confuse 17.<br />

Innanzitutto va evidenziato come né la <strong>brevi</strong>tà fonica <strong>di</strong> questi lessemi,<br />

né l'ʹinevitabile approssimazione con cui essi riproducono i suoni esistenti<br />

in natura, ostacolino l'ʹattribuzione <strong>di</strong> senso, «poiché la situazione, la<br />

prontezza dell'ʹascoltatore e la mimica apportano un importante<br />

contributo» alla deco<strong>di</strong>fica dell'ʹevento linguistico designato (Spitzer<br />

1922/2007, 236). D'ʹaltra parte, proprio l'ʹespressività e la creatività che<br />

contrad<strong>di</strong>stinguono queste forme, ne hanno favorito l'ʹimpiego nel<br />

linguaggio fumettistico, caratterizzato da una struttura interna «a<br />

ridondanza ridotta» che tuttavia non pregiu<strong>di</strong>ca la deco<strong>di</strong>fica del<br />

messaggio o della sequenza visiva e comunicativa facilitata piuttosto<br />

dall'ʹovvietà del messaggio trasmesso (Eco 1964, 148-­‐‑149 n).<br />

Per quanto riguarda invece la <strong>di</strong>stinzione tra interiezioni e ideofoni,<br />

l'ʹorigine onomatopeica <strong>di</strong> parte delle interiezioni ha certamente contribuito<br />

alla confusione delle prime con i secon<strong>di</strong>, tutti invece <strong>di</strong> origine<br />

onomatopeica (Mioni 1992, 88). Alla macroclasse lessicale delle<br />

onomatopee appartengono infatti tutti gli ideofoni, ma solo parte delle<br />

interiezioni, oltre ovviamente ai lessemi che hanno perso nel tempo la loro<br />

natura iconica <strong>di</strong>ventando in sincronia arbitrari 18, nonché alle voci che, non<br />

essendo onomatopeiche in origine, lo sono però <strong>di</strong>ventate nella sensibilità<br />

dei parlanti nel corso del tempo 19. Secondo Mioni (1992) i confini tra<br />

ideofoni e interiezioni sarebbero perciò assegnabili piuttosto al rispettivo<br />

contenuto semantico, esprimendo, i primi, «l'ʹintenzione puramente<br />

17 A questo proposito cfr., più <strong>di</strong>ffusamente, Dovetto (2012).<br />

18 Cfr. ad es., vagito, derivato dal verbo vagire apparentemente non onomatopeico, ma che in<br />

realtà trae origine da una onomatopea morfologizzata già in latino, vagīre [wagire] fare uà<br />

(Zamboni 1979, 165).<br />

19 Tale è, ad esempio, l it. strappare, derivato dal got. *strappōn tendere fortemente , che è alla<br />

base dell onomatopea strap, identificativa del rumore <strong>di</strong> un tessuto che si lacera, e quin<strong>di</strong> dello<br />

strappo.


102<br />

Le interiezioni tra scritto e parlato<br />

descrittiva del parlante» 20, le seconde invece una funzione<br />

«emotiva/conativa/fàtica» (ivi, 87) nella quale si manifesterebbe il loro<br />

valore fondamentalmente illocutivo. Questa <strong>di</strong>stinzione lascia tuttavia<br />

alcune zone d'ʹombra, soprattutto in quanto non considera che anche le<br />

interiezioni possono avere, e <strong>di</strong> fatto spesso hanno, un ruolo narrativo e<br />

quin<strong>di</strong> una funzione referenziale. Gli ideofoni, d'ʹaltra parte, possono<br />

assumere una funzione emotiva/conativa/fàtica preservando il loro ruolo<br />

narrativo, come appare chiaramente dal linguaggio giovanile il cui lessico è<br />

così permeabile a tutti gli usi iconici della sostanza fonica (ad es. è molto<br />

frequente tra i più giovani l'ʹuso <strong>di</strong> sgrunt olofrastico, narrativo con<br />

funzione emotiva, che designa genericamente <strong>di</strong>sappunto e da cui deriva<br />

tra l'ʹaltro il recente conio della voce verbale sgrunteggiare, descrittivo <strong>di</strong> uno<br />

stato d'ʹanimo; cfr. Pietrini 2008, 173) 21.<br />

Le caratteristiche evidenziate non sembrano quin<strong>di</strong> sufficienti a<br />

tracciare chiari e netti confini tra le due tipologie <strong>di</strong> lessemi che<br />

con<strong>di</strong>vidono comunque un <strong>di</strong>screto numero <strong>di</strong> particolarità formali, come<br />

la semplicità morfologica per mancanza <strong>di</strong> affissi, anche se a volte<br />

presentano reduplicazione (ad es., eh! eh!; glu glu) e, più spesso, variazione<br />

della vocale (tic tac), oltre alla scarsa aderenza alle regole fonotattiche della<br />

lingua e all'ʹuso tendenzialmente olofrastico.<br />

A tanta incertezza classificatoria, che tende a volte ad<strong>di</strong>rittura a fondere<br />

una categoria nell'ʹaltra (cfr. da ultimo Pietrini 2008, 169-­‐‑170), si oppone<br />

d'ʹaltra parte la chiara percezione dei parlanti che evidentemente assegnano<br />

questi stessi lessemi a una rigorosa tassonomia 22 la cui semantica, niente<br />

affatto ambigua (ovviamente in contesto), ha fatto pensare anche ad una<br />

sorta <strong>di</strong> universalità dei relativi significati 23. Nel fumetto in particolare, tutti<br />

gli elementi sopra citati (onomatopee, ideofoni, interiezioni, rumori) si<br />

20 In Mioni (1990, 258) si accenna, tuttavia, anche alla funzione emotiva, oltre che descrittiva,<br />

degli ideofoni, definiti come «elementi tutti descrittivi, che solo contestualmente possono<br />

talvolta assumere una qualche forza illocutiva particolare» (ivi, 262). Diversamente Catricalà<br />

(2000, 21, con ulteriore bibliografia) considera gli ideofoni suoni che servono a in<strong>di</strong>care stati<br />

d animo.<br />

21 Sulle incertezze della <strong>di</strong>stinzione tra ideofoni e interiezioni cfr. anche Pietrini (2008, 169-­‐‑<br />

170).<br />

22 Eco (1964, 146), ad esempio, fa cenno a una «tabella dei rumori, piuttosto rigorosa».<br />

23 Nelle lingue al mondo sussistono in<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> alcune ampie corrispondenze tra suono e<br />

significato; non mancano tuttavia anche numerosi esempi contrari (cfr. Crystal 1987/1993, 175).


F. M. Dovetto 103<br />

accompagnano, <strong>di</strong> norma, anche a una iconografia a sua volta portatrice <strong>di</strong><br />

significato, anch'ʹesso tendente all'ʹuniversalità 24.<br />

L'ʹintera macroclasse, ma soprattutto la sottoclasse delle interiezioni, è<br />

infine caratterizzata sia da una notevole variabilità sul piano del<br />

significante, che trova la sua motivazione nella scarsa standar<strong>di</strong>zzazione<br />

grafica delle forme impiegate, sia, sul piano del significato, da ambiguità<br />

semantica e polisemicità. Analogamente al linguaggio interno descritto da<br />

Vygotskij, caratterizzato da <strong>brevi</strong>tà del significante e «pre<strong>di</strong>catività<br />

assoluta», queste forme <strong>brevi</strong> trasmettono il contesto psicologico interno<br />

del locutore e la percezione imme<strong>di</strong>ata della situazione attraverso la<br />

tendenza all'ʹab<strong>brevi</strong>azione. Si tratta infatti <strong>di</strong> segni il cui «significante che è<br />

istintivo [...] o è un espe<strong>di</strong>ente occasionale, sfrutta allora, per essere<br />

interpretato, aspetti in<strong>di</strong>cali o iconici» (Gambarara 1999, 105). Ed è proprio<br />

in questi termini che ritroviamo, tra l'ʹaltro, gli elementi interiettivi in altre<br />

produzioni letterarie, anche molto <strong>di</strong>stanti dalla comicità, come dalla<br />

contemporaneità 25. In tutti i casi si tratta della trasmissione <strong>di</strong> «una<br />

funzione verbale del tutto particolare e originale per struttura e modalità <strong>di</strong><br />

funzionamento» alla quale questi elementi olofrastici, <strong>brevi</strong>, mostrano<br />

chiaramente <strong>di</strong> appartenere con le loro proprietà enigmatiche, come<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni, cortocircuiti ed economie, attraverso il processo, che essi<br />

attuano, <strong>di</strong> «volatilizzazione del linguaggio nel pensiero» (Vygotskij<br />

1934/1998, 347) 26.<br />

Francesca M. Dovetto<br />

dovetto@unina.it<br />

24 Verda (1990, 58) fa riferimento, a questo proposito, alle interpunzioni metaforiche e alle<br />

particolarità della grafia in genere.<br />

25 Su occorrenza e ruolo delle interiezioni in <strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> testi, scritti e parlati, cfr.<br />

Dovetto (2010).<br />

26 All estremo <strong>di</strong> questo processo si situano le forme dell endofasia o linguaggio interiore a cui<br />

Vygotskij ha de<strong>di</strong>cato le sue riflessioni. Come sottolinea Bergounioux (2010), raramente la<br />

riflessione sul linguaggio si è soffermata sul linguaggio interiore, ad eccezione degli stu<strong>di</strong><br />

sulle produzioni linguistiche da parte <strong>di</strong> pazienti afasici o nevrotici, piuttosto «ramenant la<br />

question du <strong>di</strong>scours à celle de la parole, l exercise de la parole aux fonctions de la langue et<br />

les fonctions de la langue à l exercise d une pensée sans phonologie» (ivi, 20).


104<br />

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Abstract<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

Lucia <strong>di</strong> Pace e Rossella Pannain<br />

Tra i <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> formazione per riduzione, dei quali è proposta una<br />

classificazione basata su un insieme <strong>di</strong> parametri, anche grafici, e sulle interazioni<br />

tra questi, le sigle/acronimi presentano una fenomenologia ricca e variata, e <strong>di</strong><br />

particolare interesse anche in virtù delle sovrapposizioni con altre categorie, quali le<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni o le parole macedonia. Il tratto che caratterizza in modo forte la<br />

fenomenologia delle sigle è quello della lessicalizzazione, che risulta essere<br />

l’inevitabile deriva nel passaggio dalla <strong>di</strong>mensione scritta a quella propriamente<br />

linguistica. In questo lavoro vengono portate numerose evidenze che testimoniano<br />

<strong>di</strong> questo passaggio a partire da in<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> natura grafica fino ad altri <strong>di</strong> natura<br />

fonica, morfosintattica e semantica. Infine, le sigle/acronimi sono il risultato <strong>di</strong> un<br />

processo <strong>di</strong> formazione delle parole su base non morfologica, nel quale si manifesta<br />

in maniera saliente il <strong>di</strong>namismo nel rapporto lingua-­‐‑scrittura.<br />

Parole chiave: sigle/acronimi, riduzione, formazione delle parole, lessicalizzazione,<br />

scrittura<br />

The study, primarily focused on acronyms and initialisms, first of all addresses the<br />

issue of definition and classification of <strong>di</strong>fferent types of non-­‐‑morphological word<br />

formation processes by reduction. The proposed classification, which takes<br />

previous most relevant taxonomies into account, is aimed at highlighting, among<br />

other classificatory parameters, those which reveal the complex interaction of<br />

graphic vs. (spoken-­‐‑)linguistic factors in the genesis of formations by reduction. In<br />

fact, initialisms and acronyms represent the one area within reduction in which the<br />

dynamic interaction of spoken and written language can best be appreciated.<br />

Moreover the category of initialisms and acronyms, which includes cases of partial<br />

overlap with other types of formation by reduction, <strong>di</strong>splays a particularly rich,<br />

varied and productive phenomenology. Finally, a salient feature of this category is<br />

its tendency towards lexicalization, entailing a transfer from the graphic to the<br />

spoken <strong>di</strong>mension, which in turn implies formal mo<strong>di</strong>fications also affecting the<br />

initial graphic co<strong>di</strong>ng of the forms. In the study, indexes of lexicalization are<br />

identified and analyzed at the graphic, phonetic, morphosyntactic and semantic<br />

level.<br />

Keywords: acronyms/initialisms, reduction, word formation, lexicalization, writing


1. Aspetti definitori e terminologici<br />

L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 109<br />

Le sigle e gli acronimi sono entità linguistiche che rientrano nella vasta<br />

area della “riduzione” 1, nella quale è possibile collocare <strong>di</strong>verse altre<br />

manifestazioni: ab<strong>brevi</strong>azioni, simboli, accorciamenti e parole macedonia 2.<br />

La definizione e classificazione <strong>di</strong> tali <strong>di</strong>verse entità, con i rispettivi tratti,<br />

comuni e i<strong>di</strong>osincratici, sono caratterizzate, in letteratura, da un elevato<br />

grado <strong>di</strong> incertezza, cui corrisponde una notevole approssimazione<br />

terminologica.<br />

Non si intende in questa sede affrontare la questione, che meriterebbe<br />

uno stu<strong>di</strong>o de<strong>di</strong>cato, ma, in fase introduttiva, non si può tralasciare del<br />

tutto qualche accenno a questo aspetto. L’incertezza definitoria e<br />

terminologica è estesa e trasversale ed è infatti ravvisabile su molteplici<br />

livelli: a) tra le <strong>di</strong>verse comunità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi; b) tra le <strong>di</strong>verse scuole <strong>di</strong><br />

pensiero all’interno <strong>di</strong> una stessa tra<strong>di</strong>zione linguistica; c) in uno stesso<br />

autore.<br />

Che non esista con<strong>di</strong>visione tra le <strong>di</strong>verse tra<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> linguisti lo si<br />

rileva quando si constata che l’insieme delle entità sopra menzionate viene,<br />

<strong>di</strong> volta in volta, segmentato in modo <strong>di</strong>fferente: mentre, per portare<br />

un’esemplificazione, la maggior parte degli stu<strong>di</strong>osi italiani in<strong>di</strong>vidua<br />

l’ampia categoria delle sigle (che solo alcuni <strong>di</strong>stinguono dagli acronimi),<br />

nella letteratura in lingua inglese troviamo prevalentemente acronyms (ad<br />

es. in Kreidler 2000), accanto ad ulteriori categorie come gli<br />

initialisms/alphabetisms (Bauer 1983, Crystal 2006). Nella tra<strong>di</strong>zione italiana<br />

una sigla è tanto quella pronunciata come parola, come è il caso ad es. <strong>di</strong><br />

FIAT (solo questo sarebbe un acronym), quanto quella pronunciata lettera<br />

per lettera, come è il caso <strong>di</strong> CGIL (un initialism o alphabetism per gli inglesi).<br />

Alcuni, infine (ad es. Fandrych 2008), definiscono acronyms solo le sigle con<br />

pronuncia ortoepica, opponendole non agli initialisms ma alle ab<strong>brevi</strong>ations,<br />

pronunciate lettera per lettera, altri ancora usano ab<strong>brevi</strong>ation come<br />

sinonimo <strong>di</strong> acronym (Dressler 1987, Bussmann 1996). Tutto ciò, come è<br />

evidente, comporta peraltro grosse <strong>di</strong>fficoltà nello stabilire equivalenze<br />

traduttive. Andando oltre il confronto tra l’inglese e l’italiano, troviamo ad<br />

1 Dressler (1987, 105-­‐‑107), facendo riferimento a Mayerthaler (1981, 110), colloca questa<br />

fenomenologia nella categoria della morfologia sottrattiva, che egli pone all’estremo inferiore<br />

<strong>di</strong> un continuum <strong>di</strong> naturalezza nei processi morfologici.<br />

2 Su questi <strong>di</strong>versi fenomeni si è sviluppata una ricca letteratura, in particolare concernente la<br />

lingua inglese che manifesta una marcata tendenza in questa <strong>di</strong>rezione.


110<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

es. che in tedesco il termine Abkürzung viene utilizzato per in<strong>di</strong>care sia ciò<br />

che gli inglesi definiscono acronyms, sia ciò che noi definiamo ab<strong>brevi</strong>azioni.<br />

Ma l’oscillazione terminologica non si ferma al riscontro<br />

interlinguistico; si rileva, come anticipato, anche all’interno della stessa<br />

comunità linguistica. Nella tra<strong>di</strong>zione italiana è affermato l’uso <strong>di</strong> sigla<br />

(Thornton 2004), mentre acronimo è considerato nella maggior parte dei casi<br />

una sorta <strong>di</strong> sinonimo 3, sia nei <strong>di</strong>zionari della lingua italiana (Devoto-­‐‑Oli,<br />

Zingarelli, DISC, Gabrielli), sia nei <strong>di</strong>zionari <strong>di</strong> linguistica (ad es. in<br />

Beccaria 1996). Tuttavia, si segnala che alcuni, come De Mauro (2003),<br />

appaiono <strong>di</strong>stinguere tra acronimo e sigla, attribuendo solo al primo lo<br />

statuto <strong>di</strong> parola e rispecchiando, in questo senso, la <strong>di</strong>stinzione presente in<br />

lingua inglese tra acronyms e initialisms:<br />

acronimo s.m. TS. ling. [1950; comp. <strong>di</strong> acro– e –onimo] nome costituito da una o più<br />

lettere iniziali <strong>di</strong> altre parole (per es. radar, dall'ʹingl. ra<strong>di</strong>o detection and ranging)<br />

sigla s.f. AD. [av. 1750; dal lat. tardo sǐgla pl., forse forma contratta <strong>di</strong> singula sott.<br />

signa "ʺ(segni) singoli"ʺ] 1 la lettera o le lettere iniziali <strong>di</strong> una o più parole usate<br />

convenzionalmente come ab<strong>brevi</strong>azione al posto della denominazione per esteso:<br />

ACI è la s. dell'ʹAutomobile Club d'ʹItalia<br />

Sembrerebbe dunque chiara la contrapposizione tra un nome e un “non<br />

nome” (la lettera o le lettere …); eppure, a conferma ulteriore<br />

dell’incertezza definitoria, leggiamo che lo stesso <strong>di</strong>zionario, altrove,<br />

considera le sigle come nomi:<br />

Sono state considerate sigle tutte quelle ab<strong>brevi</strong>azioni che vengono comunemente<br />

usate come nomi propri preceduti dall’articolo (De Mauro 2003, Introduzione xxxix).<br />

Inoltre, nel GRADIT emerge chiaramente come solo alcune sigle<br />

vengano trattate come nomi, comportando ad esempio l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong><br />

tratti morfologici, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altre, pur sempre sigle, che sembrano<br />

sottrarsi a tali con<strong>di</strong>zioni. Si veda la contrapposizione nel trattamento <strong>di</strong><br />

due sigle, entrambe pronunciate lettera per lettera, entrambe prestiti<br />

dall’inglese, ma solo la seconda definita come “sostantivo”:<br />

3 Talora, un sinonimo dotto, ad es. nel <strong>di</strong>zionario Treccani alla voce acronimo si legge: “è<br />

comunem. detto sigla, rispetto a cui ha sign. più ristretto…” . Paradossalmente, negli ultimi<br />

anni, si è verificata una <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> “acronimo” nell’uso comune, non specialistico.


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 111<br />

FBI sigla ES. ingl. Federal Bureau of Investigation, ufficio federale investigativo, nome<br />

del corpo <strong>di</strong> polizia federale degli Stati Uniti.<br />

DNA s.m.inv. TS biochim. [1970; propr. sigla dell'ʹingl. Deoxyribo Nucleic Acid "ʺacido<br />

desossiribonucleico"ʺ]<br />

Questo insieme <strong>di</strong> considerazioni fa sì che in questo lavoro non si<br />

porranno in opposizione i termini acronimo e sigla, che verranno <strong>di</strong> fatto<br />

considerati in modo congiunto, sebbene dei due verrà prevalentemente<br />

usato il secondo, <strong>di</strong> fatto più <strong>di</strong>ffuso.<br />

Infine, si può segnalare ancora l’incertezza nell’estensione della<br />

categoria “acronimo”, che riflette probabilmente la complessiva sfumatezza<br />

della fenomenologia, la quale presenta zone <strong>di</strong> sovrapposizione (López Rúa<br />

2006, 675) anche, ad es., tra ab<strong>brevi</strong>azioni e sigle, ab<strong>brevi</strong>azioni e<br />

accorciamenti, sigle e accorciamenti 4.<br />

Se, dunque, nel vocabolario TRECCANI, al lemma acronimo si registra<br />

un’ampia sovrapposizione con il termine sigla, desta sorpresa che, in<br />

chiusura, la categoria venga allargata ad includere forme che sono<br />

chiaramente “parole macedonia”:<br />

per estensione si chiamano acronimi anche i nomi formati con le sillabe estreme <strong>di</strong><br />

due parole, come per es. motel, formata da mo(to-­‐‑) e (ho)tel.<br />

2. Possibile classificazione<br />

Le problematiche terminologiche e definitorie appena esaminate,<br />

spingono a tentare una classificazione dei fenomeni <strong>di</strong> riduzione che,<br />

tenendo conto <strong>di</strong> precedenti tassonomie 5, miri, nell’esame dei parametri e<br />

delle loro sinergie, ad assegnare il giusto rilievo all’interazione tra la<br />

<strong>di</strong>mensione grafica e quella orale.<br />

I parametri ritenuti pertinenti sono i seguenti:<br />

a) forma piena sottostante costituita da una vs. più parole;<br />

b) origine nella <strong>di</strong>mensione scritta vs. orale;<br />

4 Su questo aspetto si veda più avanti il par. 2.1.<br />

5 Resta fondamentale il pionieristico lavoro <strong>di</strong> Algeo 1975, cui fa riferimento ad esempio<br />

Thornton 2004. Si veda anche López Rúa 2006.


112<br />

c) uso scritto vs. orale;<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

d) sistematicità vs. marginalità/assenza della puntazione;<br />

e) uso <strong>di</strong> maiuscole vs. minuscole nella grafia della forma ridotta;<br />

f) modalità <strong>di</strong> lettura (lettera per lettera, come forma <strong>di</strong> parola, tramite<br />

la forma piena sottostante);<br />

g) grado <strong>di</strong> riduzione del materiale fonico/grafico della forma piena<br />

sottostante.<br />

Sulla base della combinazione e interazione <strong>di</strong> questi parametri è<br />

possibile raccogliere e classificare la varietà dei fenomeni <strong>di</strong> riduzione in<br />

quattro categorie fondamentali:<br />

1. Ab<strong>brevi</strong>azioni. Le ab<strong>brevi</strong>azioni rimandano ad una forma sottostante<br />

che è tendenzialmente costituita da una sola parola; si originano nella<br />

<strong>di</strong>mensione scritta, nella quale tendono a rimanere confinate nell’uso. La<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> forma scritta è confermata, da un lato, dall’in<strong>di</strong>ce grafico<br />

costituito dalla presenza e persistenza della puntazione, dall’altro, dal fatto<br />

che nella lettura si tende a sostituire l’ab<strong>brevi</strong>azione con la forma piena<br />

sottostante (come nel caso <strong>di</strong> Sig./sig. letto come /siɲ’ɲore/. Il grado <strong>di</strong><br />

riduzione della forma piena oscilla dal grado massimo, che risulta nella<br />

conservazione della sola iniziale <strong>di</strong> parola6, a riduzioni minori come nel<br />

caso, ad esempio, <strong>di</strong> pagina ab<strong>brevi</strong>ato come: p./pg./pag. In quest’ultimo<br />

caso, è interessante notare come, nel plurale, pp./pagg., l’incremento dato<br />

dal raddoppiamento grafico <strong>di</strong> natura iconica non vada a recuperare<br />

ulteriore materiale dalla forma estesa sottostante. Nelle ab<strong>brevi</strong>azioni,<br />

prevale l’uso del carattere minuscolo tranne nei casi in cui la forma<br />

sottostante sia per convenzione scritta con la maiuscola come per es. S.<br />

Antonio per Sant’Antonio.<br />

2. Sigle e/o acronimi. Le sigle rimandano ad una forma sottostante<br />

costituita da più parole (PD da Partito Democratico) o da parola complessa le<br />

6 I simboli, come quelli chimici e matematici, possono essere considerati un caso estremo <strong>di</strong><br />

ab<strong>brevi</strong>azioni. Infatti, come queste, non vengono letti mai come tali, ma rimandano sempre<br />

alla forma estesa; questa con<strong>di</strong>zione è particolarmente evidente nei casi in cui il simbolo non<br />

ha alcuna affinità con la forma pronunciata, come accade ad esempio per il simbolo K che sta<br />

per “potassio” (dal nome latino kalium).


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 113<br />

cui componenti vengono riconosciute come entità autonome (TV per<br />

televisione). Si originano nella <strong>di</strong>mensione scritta, ma possono acquisire<br />

ampia <strong>di</strong>ffusione nel parlato; la puntazione non è sistematica, né lo è l’uso<br />

delle maiuscole (I.N.P.S. / INPS / Inps) e la tendenza è comunque, nel<br />

tempo, verso la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> entrambe le marche grafiche (S.p.A. → spa). Si<br />

riscontra tutto il ventaglio delle possibili modalità <strong>di</strong> lettura: pronuncia<br />

lettera per lettera (Idv , Italia dei valori), come forma <strong>di</strong> parola (USA/Usa), o,<br />

molto più raramente, tramite la forma piena sottostante (IC da Inter City,<br />

pronunciato sempre come /inter'ʹsiti/), modalità tipica delle ab<strong>brevi</strong>azioni.<br />

Inoltre, vi sono casi in cui si rileva un’alternanza tra le prime due modalità<br />

<strong>di</strong> pronuncia, come nel caso <strong>di</strong> Aids, letto tuttora anche come /aid<strong>di</strong>'ʹɛsse/.<br />

Per quanto concerne il grado <strong>di</strong> riduzione rispetto alla forma piena<br />

sottostante, esso è tendenzialmente massimo: viene conservata solo<br />

l’iniziale delle singole componenti7. Non è rara l’omissione <strong>di</strong> alcune<br />

parole, funzionali (CNEL per Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro;<br />

IsIAO , Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente), ma non solo (I.S.M.E.O.<br />

/IsMEO con la cancellazione anche della seconda parola piena del<br />

sintagma: Istituto Italiano per il Me<strong>di</strong>o e l’Estremo Oriente). Peraltro, gli ultimi<br />

due esempi mostrano, nella prima parola del sintagma, un grado <strong>di</strong><br />

riduzione minore.<br />

3. Accorciamenti. Partono da un’unica parola, si originano nel parlato,<br />

ma possono essere trasferiti nello scritto (tipicamente in registri<br />

caratterizzati da un grado ridotto <strong>di</strong> formalità). La nascita nella <strong>di</strong>mensione<br />

orale comporta la sistematica mancanza <strong>di</strong> puntazione, mentre la<br />

provenienza da un’unica parola determina l’assenza del ricorso all’uso<br />

della marca grafica rappresentata dalla maiuscola. La riduzione può<br />

ricalcare la segmentazione morfologica e quin<strong>di</strong> lasciare come residuo un<br />

intero morfema (es. moto da motocicletta), oppure risultare in un’entità che<br />

non corrisponde ad un’effettiva componente morfologica della forma <strong>di</strong><br />

base (es. bici da bicicletta).<br />

4. Parole macedonia. Come nel caso delle sigle, prendono le mosse da<br />

un sintagma sottostante, che però in questo caso è prototipicamente<br />

costituito da solo due parole piene. Si originano nello scritto, ma possono<br />

essere accolte nel parlato, anche al <strong>di</strong> fuori dell’eventuale ambito settoriale<br />

in cui nascono, come ad es. polfer (Polizia Ferroviaria). Sono assenti tanto la<br />

7 Tranne nel caso delle cosiddette sigle sillabiche, su cui si veda più avanti.


114<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

puntazione quanto l’impiego <strong>di</strong> maiuscole, segnalatori del processo <strong>di</strong><br />

riduzione, il che in<strong>di</strong>zia la volontà <strong>di</strong> creare un’unica parola. In italiano il<br />

processo è molto meno produttivo che in inglese, lingua da cui sono giunte<br />

come prestito parole come motel e smog che, infatti, vengono generalmente<br />

percepite dai parlanti italiani come forme compatte. Il processo <strong>di</strong><br />

riduzione, che ha risultati quantitativamente e qualitativamente variabili<br />

(potendo anche lasciare intatta una delle componenti, es. Federconsorzi), è<br />

comunque contenuto; questo tratto, con tutta probabilità, riflette un’istanza<br />

<strong>di</strong> preservazione della riconoscibilità delle componenti.<br />

2.1. Sfumatezza e sovrapposizione della fenomenologia<br />

La classificazione appena proposta, più che identificare categorie dai<br />

confini netti, vuole segnalare quelli che, si ritiene, costituiscano i quattro<br />

fondamentali poli <strong>di</strong> gravitazione <strong>di</strong> una fenomenologia che si presenta,<br />

anche, come continua e sfumata. Infatti, non rari sono i casi <strong>di</strong> forme ridotte<br />

che si collocano in una zona <strong>di</strong> sovrapposizione tra due delle categorie<br />

sopra in<strong>di</strong>viduate.<br />

Ad esempio, tra le ab<strong>brevi</strong>azioni, <strong>di</strong> cui sopra si è sottolineata<br />

l’appartenenza esclusiva alla <strong>di</strong>mensione scritta, figura un elemento, <strong>di</strong> uso<br />

piuttosto frequente, Prof./prof., cui corrisponde nella categoria degli<br />

accorciamenti, quin<strong>di</strong> con statuto primariamente orale, una forma<br />

colloquiale/giovanile anch’essa <strong>di</strong> uso relativamente frequente, prof, anche<br />

al femminile, la prof 8. Le due forme si manifestano in <strong>di</strong>mensioni e registri<br />

<strong>di</strong>stinti; tuttavia è verosimile che il risultato dell’istanza grafica<br />

dell’ab<strong>brevi</strong>azione abbia innescato, o per lo meno rinforzato, il processo <strong>di</strong><br />

accorciamento che ha portato alla creazione dell’elemento appartenente al<br />

parlato.<br />

Una sovrapposizione tra la categoria delle ab<strong>brevi</strong>azioni e quella delle<br />

sigle si riscontra nel caso dell’elemento IC, che, come le ab<strong>brevi</strong>azioni,<br />

viene pronunciato esclusivamente tramite la forma piena sottostante<br />

/inter'ʹsiti/, ma con<strong>di</strong>vide con le sigle l’origine da una forma complessa, la<br />

marca grafica della maiuscola per l’iniziale <strong>di</strong> ogni parola del sintagma<br />

sottostante e l’assenza della puntazione.<br />

8 Cfr. Thornton 2004, 565.


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 115<br />

Si segnalano, inoltre, forme miste che, pur manifestando tratti tipici<br />

delle sigle, mostrano aspetti che potrebbero farle rientrare nelle ulteriori<br />

categorie degli accorciamenti e delle parole macedonia. Ad esempio, Udeur<br />

(Unione dei democratici europei) che è, per la parte iniziale, collocabile nella<br />

categoria delle sigle (in cui per lo più confluiscono le forme ridotte dei<br />

nomi <strong>di</strong> partiti politici), manifesta nella seconda metà un processo <strong>di</strong><br />

accorciamento, -­‐‑eur. Particolarmente problematica è la classificazione <strong>di</strong><br />

forme come Ascom (Associazione Commercianti), in cui la parzialità della<br />

riduzione concerne entrambi i lessemi sottostanti, ponendo la forma al<br />

confine tra sigle e parole macedonia. Graffi&Scalise (2002, 153) la<br />

classificano tra le “sigle sillabiche”, mentre collocano polfer tra le parole<br />

macedonia. In ogni caso quella <strong>di</strong> “sigla sillabica” è una sotto-­‐‑<br />

categorizzazione insi<strong>di</strong>osa e non da tutti con<strong>di</strong>visa, <strong>di</strong> frequente applicata a<br />

forme in cui «appaiono porzioni <strong>di</strong> parole base maggiori <strong>di</strong> una lettera ma<br />

minori o maggiori <strong>di</strong> una sillaba» (Thornton 2004, 560).<br />

L’incertezza classificatoria, su cui ci si è già soffermati, emerge anche<br />

nella problematicità della collocazione <strong>di</strong> una forma come palasport (palazzo<br />

dello sport) che Thornton (2004, 561) inserisce nella categoria degli<br />

accorciamenti, laddove sarebbe forse più opportuno ricondurla a quella<br />

delle parole macedonia.<br />

La parziale sovrapposizione delle categorie si riscontra anche in alcuni<br />

usi metalinguistici. È il caso delle sigle usate dai generativisti, che possono<br />

essere lette anche nella modalità tipica delle ab<strong>brevi</strong>azioni, come<br />

<strong>di</strong>mostrato dall’oscillazione nell’uso dell’articolo. La cosa è tanto più<br />

sorprendente dal momento che le <strong>di</strong>verse occorrenze si registrano in uno<br />

stesso autore a breve <strong>di</strong>stanza:<br />

“Occupiamoci ora dell’altro oggetto sintattico contenuto in (79), il SN quell’uomo”<br />

(Graffi 2008, 75)<br />

“come complementi dei nomi e degli aggettivi in frasi corrispondenti a (12) e (13) si<br />

avrebbero degli SN, non degli SP» (ibidem, 81).<br />

Nella prima occorrenza la selezione dell’articolo in<strong>di</strong>zia una pronuncia<br />

per esteso, mentre, nella seconda, evidenzia una pronuncia come sigla<br />

/'ʹɛsse 'ʹɛnne/.


116<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

Infine, ad ulteriore conferma della sfumatezza delle categorie della<br />

riduzione si può menzionare il caso <strong>di</strong> tbc/TBC che è propriamente<br />

un’ab<strong>brevi</strong>azione del termine tubercolosi, ma viene percepito come sigla,<br />

circostanza che ha, tra l’altro, determinato l’impiego delle maiuscole. In De<br />

Mauro (2003) l’elemento è classificato, appunto, come sigla:<br />

tbc /tibbit'ʹtʃi/ s.m. e f.inv. CO, TS med., vet. [1961; propr. sigla <strong>di</strong><br />

tubercolosi] 1 s.f.inv. BU tubercolosi 2 s.m. e f.inv. malato <strong>di</strong><br />

tubercolosi, tubercolotico.<br />

TBC /tibbit'ʹtʃi/ s.m. e f.inv., var. → tbc.<br />

3. Focalizzazione su sigle e/o acronimi<br />

In questo contributo l’attenzione verrà focalizzata sulla fenomenologia<br />

relativa alle sigle: è proprio nel caso <strong>di</strong> queste entità che si può meglio<br />

cogliere il rapporto <strong>di</strong>namico tra scrittura e lingua. Le sigle si originano<br />

come fenomeno grafico in base alla duplice istanza <strong>di</strong> creare una forma, da<br />

una parte, economica, dall’altra, maggiormente capace <strong>di</strong> attrarre<br />

l’attenzione del lettore, attraverso la marcatezza delle maiuscole e della<br />

puntazione (non a caso, le sigle hanno un elevato grado <strong>di</strong> occorrenza nei<br />

titoli <strong>di</strong> articoli giornalistici). Successivamente, queste entità, proprio in<br />

virtù della loro salienza e della <strong>di</strong>mensione ridotta rispetto a quella del<br />

sintagma sottostante -­‐‑ quin<strong>di</strong> già più vicina a quella <strong>di</strong> una “parola”-­‐‑<br />

vanno a riversarsi nel parlato, dando l’avvio ad un processo <strong>di</strong> integrazione<br />

nel lessico della lingua, cui segue un rientro nella <strong>di</strong>mensione grafica in<br />

una veste mo<strong>di</strong>ficata che registra gli effetti <strong>di</strong> tale processo. Questo<br />

complesso <strong>di</strong>namismo bi-­‐‑<strong>di</strong>rezionale non si manifesta, ad avviso <strong>di</strong> chi<br />

scrive, nelle altre tipologie della riduzione.<br />

Un’ulteriore motivazione a concentrarsi sulle sigle è costituita dal fatto<br />

che esse emergono da forme piene molto articolate, cosa che non avviene<br />

negli altri casi <strong>di</strong> riduzione, neppure in quello delle parole macedonia, cui<br />

sottostanno in genere non più <strong>di</strong> due parole. La complessità delle forme<br />

piene ha come risvolto una complessità e anche una varianza nella<br />

fenomenologia <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> riduzione.


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 117<br />

Infine, la creazione <strong>di</strong> sigle è senz’altro un processo particolarmente<br />

produttivo, andando a costituire una non trascurabile risorsa per la<br />

formazione <strong>di</strong> nuove parole.<br />

3.1. Tendenza alla lessicalizzazione<br />

Una fase cruciale nel complesso <strong>di</strong>namismo tra scrittura e lingua nel<br />

caso delle sigle/acronimi è costituita dall’innescarsi <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong><br />

lessicalizzazione 9, tramite il quale queste entità, che per certi versi sono<br />

formazioni anomale, asistematiche, vanno ad acquisire uno statuto<br />

standard, <strong>di</strong>ventando parole a pieno titolo. Questa pulsione normalizzante<br />

può manifestarsi a valle come a monte del processo: da una parte, le sigle<br />

tendono nell’evoluzione linguistica ad acquisire lo status <strong>di</strong> parola,<br />

dall’altra, possono essere concepite nel loro stesso momento <strong>di</strong> fondazione<br />

come possibili parole.<br />

Nel primo caso si verifica un processo per cui ciò che è anomalo,<br />

immotivato tende a riacquistare motivazione, integrandosi nel sistema.<br />

Infatti, se le parole macedonia si conservano piuttosto trasparenti nella loro<br />

formazione, giacché, almeno in alcuni casi, è possibile riconoscerne gli<br />

elementi costitutivi che si presentano con una certa quantità <strong>di</strong> significante,<br />

le sigle, essendo fatte delle sole iniziali delle parole formanti il sintagma<br />

sottostante, sfuggono molto spesso alla consapevolezza del parlante che,<br />

per così <strong>di</strong>re, non è in grado <strong>di</strong> “etimologizzarle”, cioè <strong>di</strong> scioglierle 10.<br />

Questo è dovuto anche al fatto che molto spesso le sigle si originano in<br />

contesti settoriali e tecnici cosicché, sebbene possano conquistare una<br />

gran<strong>di</strong>ssima <strong>di</strong>ffusione, restano opache nella loro originaria significazione.<br />

Ciò è tanto più vero nei casi, molto frequenti, <strong>di</strong> sigle <strong>di</strong> origine alloglotta.<br />

Quanti italiani sono in grado <strong>di</strong> riportare la sigla Aids al sintagma<br />

sottostante (Acquired Immuno–Deficiency Syndrome)? Eppure tutti sono in<br />

grado <strong>di</strong> riconoscerne la designazione, che è assolutamente unitaria,<br />

piuttosto che la somma delle designazioni delle singole parole costituenti il<br />

sintagma. Ciò porta a considerare la sigla più che come un in<strong>di</strong>zio <strong>di</strong><br />

molteplici segni, come un segno compatto e unitario. Ecco che, laddove<br />

9 Su questo si veda, tra gli altri, López Rúa 2006, 677.<br />

10 Non è un caso che tra le sigle siano tutt’altro che rari i casi <strong>di</strong> omofonia, un fenomeno<br />

peraltro piuttosto ridotto nel resto del lessico <strong>di</strong> una lingua come l’italiano o l’inglese. A una<br />

stessa sigla possono s<strong>oggi</strong>acere più forme piene: la sequenza PC sta tanto per “personal<br />

computer” quanto per “politically correct”.


118<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

siano presenti più modalità <strong>di</strong> lettura (lettera per lettera/come parola), può<br />

accadere <strong>di</strong> assistere al prevalere e consolidarsi della pronuncia ortoepica:<br />

non più, o per lo meno non solo, /aj<strong>di</strong>'ʹɛsse/ ma piuttosto, /'ʹajds/, o /'ʹejds/<br />

per coloro che vogliono manifestare la consapevolezza dell’origine inglese.<br />

Anche a livello grafico si assiste all’alternanza tra AIDS, che conserva la<br />

forma canonica della sigla, e Aids/aids, che ha forma tipica <strong>di</strong> parola.<br />

D’altra parte, il <strong>di</strong>stacco dal sintagma sottostante, certamente più forte<br />

nei casi <strong>di</strong> sigle che sono <strong>di</strong> fatto dei prestiti, si riscontra agevolmente anche<br />

all’interno della stessa comunità linguistica nella quale si è generata la<br />

forma: un anglofono con cultura me<strong>di</strong>a non è in grado <strong>di</strong> sciogliere la sigla<br />

laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Ra<strong>di</strong>ation), anzi, non è<br />

nemmeno consapevole che si tratti <strong>di</strong> una sigla; per molti italiani l’Inps è<br />

un’entità molto chiara, anche per coloro che non sono in grado <strong>di</strong> leggere la<br />

sigla nelle sue componenti (Istituto nazionale della previdenza sociale) e che in<br />

molti casi attribuiranno alla p il valore <strong>di</strong> “pensione”, piuttosto che <strong>di</strong><br />

“previdenza”.<br />

Se, dunque, la sigla tende a <strong>di</strong>ventare parola è pur vero che, al polo<br />

opposto del processo, quello della genesi, essa già aspiri ad essere tale: in<br />

questa <strong>di</strong>rezione si verifica un allontanamento dal sintagma <strong>di</strong> base, allo<br />

scopo <strong>di</strong> un adeguamento fonologico e/o semantico ad una forma esistente<br />

o possibile <strong>di</strong> parola. Ciò spiega perché in alcune formazioni <strong>di</strong> sigle non<br />

vengano omesse le parole funzionali, che generalmente sono soppresse,<br />

come si verifica nel caso <strong>di</strong> AGESCI ( Associazione Guide e Scouts Cattolici<br />

Italiani), in cui la conservazione del connettivo e rende possibile una forma<br />

<strong>di</strong> parola italiana, e dà conto del perché si verifichino alcune inversioni<br />

dell’or<strong>di</strong>ne delle parole, come accade con l’acronimo RAD ( Regolamento<br />

<strong>di</strong>dattico d’ateneo) in cui il nesso consonantico [rd] sarebbe stato impossibile<br />

in inizio <strong>di</strong> parola.<br />

In altri casi, infine, gioca anche l’associazione semantica con una parola<br />

esistente, come nella formazione DICO ( Diritti e doveri delle persone<br />

stabilmente conviventi).<br />

Il fatto che le sigle/acronimi siano così fortemente attirati dal nucleo<br />

parola, determina un altro fenomeno, in cui si verifica un processo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>rezionalità opposta: l’attribuzione dello statuto <strong>di</strong> sigla ad una parola,<br />

con conseguenti possibili e varie interpretazioni. In questi casi, si parla <strong>di</strong>


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 119<br />

“backronyns” 11 o “reverse acronyms” (in italiano “falsi acronimi”). Un<br />

esempio classico è quello dell’in<strong>di</strong>ce APGAR che misura alcuni parametri<br />

<strong>di</strong> vitalità e funzionamento delle attività del neonato. Apgar è il nome della<br />

dottoressa che lo ideò, ma è stato successivamente interpretato come<br />

acronimo <strong>di</strong> appearance, pulse, grimace, activity, respiration.<br />

La lessicalizzazione è dunque una tendenza consolidata nella storia<br />

delle sigle, confermata dalla presenza del processo contrario, e suggerita da<br />

numerosi in<strong>di</strong>zi che investono sia il piano squisitamente grafico, sia quello<br />

della resa orale, sia quello morfologico, che quello semantico.<br />

3.2 In<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> lessicalizzazione: grafia e pronuncia<br />

Alcune mo<strong>di</strong>ficazioni nella forma scritta delle sigle suggeriscono in<br />

modo chiaro l’instaurarsi del processo <strong>di</strong> spostamento verso l’entità<br />

“parola”; tra queste, è altamente in<strong>di</strong>ziale la sostituzione delle lettere<br />

maiuscole con le corrispondenti minuscole e la frequente cancellazione<br />

della puntazione che si accompagna al primo mutamento. Ecco dunque che<br />

la sigla C.T., che in modo palese ricorda come la C. e la T. siano le iniziali <strong>di</strong><br />

due parole (Commissario Tecnico), <strong>di</strong>venta CT, e con una deriva sempre più<br />

opacizzante ct 12.<br />

Questo processo si riconosce in numerose sigle come, ad esempio, D.J.<br />

→ DJ/ Dj / dj , T.G. → TG/ Tg /tg, C.D. → CD / Cd / cd , S.p.A. 13 → spa.<br />

Ma ancora più significativa è la tendenza a riscrivere le sigle<br />

pronunciate lettera per lettera con la sequenza dei nomi delle singole<br />

lettere, che vengono così a formare una parola del tutto nuova. È questo il<br />

caso <strong>di</strong> sigle come BR che dà vita alla parola Bierre/bierre 14, o PM che genera<br />

un sempre più frequente piemme 15. Un ulteriore tratto che sottolinea il<br />

11 Backronym è a sua volta una parola macedonia nata dalla fusione <strong>di</strong> backward e acronym.<br />

12 "ʺIl problema del movimento italiano non è il c.t. della Nazionale”<br />

(http://www.gazzetta.it/Sport_Vari/Rugby);<br />

“Sulle tracce <strong>di</strong> Prandelli: la fotostoria del nuovo ct azzurro”<br />

(http://sport.sky.it/sport/calcio_italiano/photogallery/2010/07).<br />

13 Nel caso <strong>di</strong> S.p.A. spa il venir meno della <strong>di</strong>stinzione tra parole funzionali e parole piene<br />

attraverso l’opposizione minuscola/maiuscola <strong>di</strong>mostra ulteriormente l’allontanamento dal<br />

sintagma <strong>di</strong> base.<br />

14 “Le Bierre lo hanno capito da un pezzo e si sono mobilitate.”<br />

(http://www.reggio24ore.com/Sezione.jsp).<br />

15 “… mi ero fatto l’idea <strong>di</strong> un piemme ven<strong>di</strong>cativo”.


120<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

<strong>di</strong>stacco dalla forma tipica <strong>di</strong> sigla è, oltre al processo appena illustrato,<br />

l’in<strong>di</strong>cazione dell’accento. La già citata sigla C.T. evolve in una nuova<br />

grafia, con tutto il corredo dei tratti tipici della parola, compreso l’accento:<br />

cittì 16. Similmente, TG <strong>di</strong>venta tigì (o tiggì) 17, TV genera tivvù / tivvì 18 .<br />

Questo tipo <strong>di</strong> riscrittura, che tiene conto della pronuncia, dà luogo a<br />

<strong>di</strong>verse soluzioni per le sigle <strong>di</strong> prestito, in quanto può riflettere le <strong>di</strong>verse<br />

pronunce, adattate e non. Nel primo caso assistiamo dunque ad un<br />

processo per il quale la grafia della sigla riflette il modo in cui questa viene<br />

pronunciata secondo le regole dell’italiano: PR 19 (public relations) viene<br />

riscritto come pi erre o pierre 20, LP (Long playing) dà vita a <strong>di</strong>verse forme<br />

come ellepi, ellepì 21, elleppì 22. La sigla KO (knock out), infine, genera molteplici<br />

grafie <strong>di</strong> parola che presentano gra<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> adattamento grafico, pur<br />

registrando, comunque, una pronuncia adattata: kappao 23, kappaò 24, e perfino<br />

cappaò 25.<br />

http://lecronache<strong>di</strong>fer<strong>di</strong>nandoterlizzi.blogspot.com/2010/03/ ).<br />

16 “…ultimo atto <strong>di</strong> un cittì che fino a quel momento aveva zittito tutti quanti come se avesse<br />

in tasca la formula magica” (http://lettera22punto0.wordpress.com/2010/06/26/).<br />

17 “…il promotore del tigì, che ha spiegato i temi trattati nell ultima settimana da giunta e<br />

consiglio regionali” (http://milano.repubblica.it/multime<strong>di</strong>a/home/11222263 ).<br />

18 “… le nuove solitu<strong>di</strong>ni contemporanee alimentate dallo schermo <strong>di</strong> una tivvù o un<br />

computer…”<br />

(http://napoli.repubblica.it/cronaca/2011/06/12/news/gli_attori_della_saga_twilight_in_un_alb<br />

ergo_<strong>di</strong>_casoria).<br />

19 A sottolineare l’ambiguità e quin<strong>di</strong> la potenziale omonimia delle sigle, c’è da notare che PR<br />

può essere anche sigla <strong>di</strong> un sintagma italiano che, a seconda dei contesti, starà per Procuratore<br />

della Repubblica o Piano Regolatore, o altro ancora.<br />

20 “per essere dei bravi pierre ci vogliono intraprendenza nel conoscere nuove persone e<br />

capacità <strong>di</strong> socializzare” (http://www.<strong>di</strong>ventapr.com/).<br />

21 “Ho appena comprato l’ellepì del Rocky Horror Picture Show, acquistato insieme a una<br />

meravigliosa doppia raccolta in vinile dei Clash<br />

(http://www.revolutionine.com/2009/10/04/rocky-­‐‑horror-­‐‑ellepi-­‐‑show).<br />

22 “un gruppo <strong>di</strong> affezionati, sabato e domenica, prova a riba<strong>di</strong>re il culto per la lacca nera dei<br />

vecchi elleppì: si chiama Disco Days” (http://napoli.repubblica.it/dettaglio/articolo/1525567).<br />

23 “il tentativo mon<strong>di</strong>ale del fratello <strong>di</strong> Vincenzo, Giovanni Nar<strong>di</strong>ello, vittima <strong>di</strong> un terrificante<br />

kappao contro il tedesco Ottke”.<br />

(http://archiviostorico.corriere.it/1999/marzo/30/pugilato_finito_ko_co_10_9903301108.shtml ).<br />

24 “Roma kappaò a Pesaro. Siena, Milano e Biella in testa”<br />

(http://www.repubblica.it/sport/basket/2010/10/24/news/serie_a_seconda_giornata-­‐‑8397182).<br />

25 “Magica Dinamo, Biella è cappaò”<br />

(http://www.unionesarda.it/Articoli/FotoGalleryDettaglio.aspx?pos=1&id=202464).


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 121<br />

Sempre all’interno della categoria dei prestiti, si registrano invece grafie<br />

che testimoniano una pronuncia non adattata, motivata da <strong>di</strong>screpanze<br />

fonico-­‐‑grafiche tra le due lingue, come nel caso <strong>di</strong> DJ che viene riscritto<br />

come <strong>di</strong>gei 26 (oltre che come dee jay) o come nel caso del comunissimo OK 27,<br />

reso graficamente, oltre che come okay, forma inglese, anche come okkei 28 o,<br />

con un elevato grado <strong>di</strong> adattamento grafico, come occhei 29.<br />

Se, dunque, tutte queste riscritture testimoniano della tendenza alla<br />

lessicalizzazione, anche alcuni fenomeni <strong>di</strong> pronuncia ci restituiscono chiari<br />

in<strong>di</strong>zi in questa <strong>di</strong>rezione. Va sottolineato come anche le sigle che si<br />

pronunciano lettera per lettera (CNR, DC, TG) generino in realtà una<br />

pronuncia <strong>di</strong> parola, confermata dalla presenza <strong>di</strong> un accento unico30. Una<br />

conferma <strong>di</strong> tale processo ci viene dalla resa fonica <strong>di</strong> una sigla come CGIL<br />

/tʃiddʒi'ʹɛlle/, con cancellazione della pronuncia della I, o da altri fenomeni<br />

<strong>di</strong> coarticolazione presenti ad es. nella pronuncia <strong>di</strong> INPS /'ʹimps/, con resa<br />

labiale della nasale.<br />

Infine, si possono registrare anche casi in cui la pronuncia come parola<br />

si realizza come variante, molto connotata quanto a registro<br />

sociolinguistico, <strong>di</strong> sigle per lo più pronunciate lettera per lettera, come per<br />

O.K. / OK / Ok /ok pronunciato /'ʹɔk/.<br />

3.3 In<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> lessicalizzazione: morfologia e sintassi<br />

La deriva delle sigle in <strong>di</strong>rezione della con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> “parola” si coglie,<br />

con ancora maggiore evidenza, nei processi derivativi che assumono la<br />

sigla come lessema <strong>di</strong> base. Il fenomeno è piuttosto esteso e riscontrabile in<br />

26 “Da Colorado in esclusiva per TvBlog, Digei Angelo: "ʺIo come Roberto Balle? Ma se sono<br />

negato per la danza” (http://www.tvblog.it/post/15996).<br />

27 Come sostenuto nel GRADIT e nel vocabolario TRECCANI, quasi sicuramente sigla <strong>di</strong> Old<br />

Kinderhook, nome <strong>di</strong> un comitato elettorale costituito a New York nel 1840 per la rielezione del<br />

presidente M. van Buren soprannominato il "ʺvecchio Kinderhook"ʺ.<br />

28 “Lo sporco okkei ai Russi in Cecenia” (http://qn.quoti<strong>di</strong>ano.net/1999/11/06/306744).<br />

29 “Occhei sento già la febbre del successo ;-­‐‑) Ottima idea …”<br />

(http://scorzadarancia.blogspot.com/2010/06).<br />

30 Questa caratteristica delle sigle è stata notata già da tempo, ad es. da Lepschy 1981: 73 che<br />

riflette sulla pronuncia unitaria della sigla BR /bi’ɛrre/.


122<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

forme sia suffissate che prefissate, che si originano da sigle pronunciate<br />

lettera per lettera o come parola:<br />

DS →<strong>di</strong>esse → <strong>di</strong>essino 31 ; BR → bierre → bierrista 32 ; laser 33 →laserista 34 ; IVA → iva →<br />

ivato 35 ; OK → okkei →okkeizzare 36 ; DC →<strong>di</strong>ccì →post-­‐‑<strong>di</strong>ccì 37 ; PM → piemme →ex-­‐‑<br />

piemme 38 ; AIDS / aids →pre-­‐‑AIDS 39 .<br />

Si verificano anche casi <strong>di</strong> composizione, come nella formazione tivvù-­‐‑<br />

<strong>di</strong>pendenti, in cui la sigla lessicalizzata e quin<strong>di</strong> rigrafizzata va a collocarsi<br />

in posizione <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficatore 40.<br />

Tra i composti si segnala ANLAIDS/Anlaids, in cui risulta<br />

particolarmente evidente il trattamento della forma AIDS come parola.<br />

Infatti, sebbene inserita in un’ulteriore sigla, Aids conserva la propria<br />

compattezza, anche a <strong>di</strong>spetto della consapevolezza del sintagma<br />

sottostante nel contesto settoriale in cui si è originata la forma composta. Si<br />

veda come la sigla composta viene sciolta nel sito ufficiale<br />

dell’associazione:<br />

Associazione Nazionale per la Lotta contro l'ʹAIDS, promuove stu<strong>di</strong> e ricerche<br />

sull'ʹAIDS attraverso ban<strong>di</strong> per borse <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o 41.<br />

31 “Il <strong>di</strong>essino è educato, rispettoso, solitamente onesto e leale”<br />

(http://www.leftisright.it/blog/al-­‐‑<strong>di</strong>essino-­‐‑alla-­‐‑<strong>di</strong>essina/).<br />

32 “Chissà se uscirà dall archivio <strong>di</strong> Licio Gelli, che raccoglieva anche il volantino riven<strong>di</strong>cativo<br />

del delitto bierrista” (www.ilvelino.it/articolo.php?Id=984823).<br />

33 Si precisa che lo statuto <strong>di</strong> sigla della forma laser nella lingua italiana è probabilmente<br />

limitato ad ambiti settoriali, mentre il parlante me<strong>di</strong>o la percepisce come parola.<br />

34 “La filiale <strong>di</strong> Firenze Mosse dell agenzia per il lavoro Gi Group spa cerca, per azienda<br />

metalmeccanica, un saldatore-­‐‑laserista” (http://www.njobs.it/lavoro-­‐‑laserista.html).<br />

35 “io vorrei mettere il prezzo non ivato”<br />

(http://www.prestashop.com/forums/viewthread/8130/).<br />

36 “Non è più semplice okkeizzare un dossier piuttosto che chiudere una pratica?”<br />

(http://www.rosalio.it/2007/11/02/). Per questa formazione verbale si registra un parallelo<br />

nell’inglese to OK (“The Governor recently OK’d the execution of a man…”, SOED).<br />

37 “Logicamente dall’ala post-­‐‑<strong>di</strong>ccì e dai Modem <strong>di</strong> Fioroni e Veltroni arriva un netto no a<br />

questo progetto”(http://www.rinascita.eu/index.php?action=news&id).<br />

38 “Il libro dell’ex-­‐‑piemme Raffaele Cantone”<br />

(http://lecronache<strong>di</strong>fer<strong>di</strong>nandoterlizzi.blogspot.com/2010/03)<br />

39 “Lo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> sieropositività corrisponde al periodo, più o meno lungo, della latenza clinica,<br />

della fase pre-­‐‑AIDS e della fase AIDS” (http://www.me<strong>di</strong>cline.it/malattie-­‐‑infettive/aids.html).<br />

40 “Bambini tivvù-­‐‑<strong>di</strong>pendenti. Passano più tempo davanti al piccolo schermo che sui banchi”<br />

(http://staibene.libero.it/articolo_bambinitelevisionepsicologia_212599__1.html?refresh_cens).<br />

41 http://www.freeonline.org/sitogratis/anlaids-­‐‑it.html


L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 123<br />

Inoltre, nel processo <strong>di</strong> lessicalizzazione, la sigla si sgancia dalla<br />

categoria grammaticale della testa del sintagma sottostante e può acquisire<br />

nuove funzioni grammaticali, dando vita a processi paragonabili alla<br />

conversione.<br />

Il fenomeno è vistoso nel caso <strong>di</strong> sigle alloglotte <strong>di</strong> ampia <strong>di</strong>ffusione:<br />

ko aggettivo / nome / avverbio: il pugile è ko (agg.) / Il pugile è stato<br />

atterrato per ko (nome) / Questa serata mi ha messo ko (avv.)<br />

ok esclamazione / avverbio / aggettivo / nome: Ok! Prendo questo<br />

(escl.) / È andato tutto ok? / La prof è abbastanza ok (agg.) / Ha dato il<br />

suo ok (nome)<br />

vip (nome / aggettivo): Lele Mora è un vip (nome) / Quello è un locale vip<br />

(agg.)<br />

Ma si danno anche casi <strong>di</strong> sigle italiane:<br />

tivvù nome comune / aggettivo: davanti alla tivvù (nome com.) / la <strong>di</strong>retta<br />

tivvù (agg.)<br />

Pd nome proprio / aggettivo: Il Pd è all’opposizione (nome pr.) / Il<br />

senatore Pd ha votato contro (agg.).<br />

3.4 In<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> lessicalizzazione: semantica<br />

Le sigle, in particolare quelle <strong>di</strong> ampia <strong>di</strong>ffusione, sono soggette, anche<br />

sul piano del significato, a fenomeni e processi che si verificano<br />

comunemente nelle altre componenti del lessico. Infatti, il significato <strong>di</strong> una<br />

sigla può presentare molteplici “sfaccettature” 42:<br />

1. L’Inps non è la stessa cosa dell’Inpdap<br />

42 Cfr. Croft&Cruse 2004, 116. Cruse, nel cap. 4, de<strong>di</strong>cato a una puntualizzazione sulla<br />

semantica in prospettiva cognitivista, definisce le “sfaccettature” (facets) come unità <strong>di</strong> senso<br />

che costituiscono componenti <strong>di</strong>stinguibili <strong>di</strong> un tutto globale, le quali, sebbene mostrino un<br />

significativo grado <strong>di</strong> autonomia, non sono generalmente ritenute rappresentare veri esempi<br />

<strong>di</strong> polisemia.


124<br />

Sigle e acronimi: <strong>di</strong>mensione grafica e statuto lessicale<br />

2. All’Inps mi hanno detto che devo portargli la ricevuta della<br />

raccomandata.<br />

3. Abita accanto all’Inps<br />

Nei tre enunciati la sigla ha <strong>di</strong>versi referenti: l’ente / uno specifico<br />

ufficio e il personale che vi lavora / l’e<strong>di</strong>ficio che ospita gli uffici dell’ente.<br />

Ma le sigle possono essere soggette anche a veri e propri fenomeni <strong>di</strong><br />

polisemia e, come altrove, i processi <strong>di</strong> estensione semantica sono<br />

principalmente a carattere metaforico e metonimico.<br />

Si consideri il caso della sigla DNA, che, oltre al valore <strong>di</strong> partenza, ha<br />

acquisito in italiano anche quello <strong>di</strong> ‘matrice ideologica, politica e<br />

culturale’: Il dna della sinistra ra<strong>di</strong>cale 43. Un’altra sigla <strong>di</strong> origine alloglotta,<br />

KO, ha acquisito, in particolare nelle funzioni avverbiale e aggettivale (v.<br />

sopra), attraverso un insieme <strong>di</strong> associazioni metonimiche e metaforiche, il<br />

valore <strong>di</strong> ‘moralmente o fisicamente prostrato’, es. Stasera mi sento ko.<br />

Il fenomeno interessa, naturalmente, anche sigle originatesi in italiano.<br />

Ad es. il valore <strong>di</strong> DOC si è esteso a significare ‘autentico, genuino’, anche<br />

al <strong>di</strong> fuori dell’ambito agro-­‐‑alimentare, come in Salvatore è un napoletano<br />

doc.<br />

Puramente metonimiche e, <strong>di</strong> conseguenza, meno percepibili per il<br />

parlante, sono le estensioni rappresentate nei seguenti due esempi:<br />

Io l’inps non ce l’ho (inps in quanto ‘prestazione previdenziale’)<br />

Gli ufo li immagino con la testa enorme e il corpo piccolo” (ufo in quanto<br />

‘essere extra-­‐‑terrestre, alieno’)<br />

I fenomeni semantici appena menzionati sono possibili nella misura in<br />

cui le sigle in questione, come molte altre, si sono sganciate dal sintagma<br />

pieno sottostante, che, proprio in quanto sintagma, ha una referenza più<br />

ristretta, alla cui delimitazione concorrono un insieme <strong>di</strong> unità significanti.<br />

Negli esempi sopra riportati le sigle mostrano, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> aver acquisito la<br />

relativa opacità del lessema in<strong>di</strong>viduale, che, essendo sostanzialmente<br />

immotivato nella forma, si presta a designare una pluralità <strong>di</strong> referenti, più<br />

o meno <strong>di</strong>rettamente connessi.<br />

43 Esempio tratto da De Mauro 2003.


4. Osservazioni conclusive<br />

L. <strong>di</strong> Pace e R. Pannain 125<br />

Come la coniazione <strong>di</strong> nuove parole, la creazione delle sigle (insieme ad<br />

altri fenomeni <strong>di</strong> riduzione) rappresenta uno strumento <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong><br />

nuovi simboli linguistici che non si avvale dei meccanismi morfologici<br />

della lingua: tanto i conii quanto le forme ridotte vengono comunemente<br />

fatti rientrare nella classe delle formazioni non-­‐‑morfologiche (López Rúa<br />

2006, 675; Fandrych 2008, 72).<br />

Si può affermare, infatti, che le sigle tendano a configurarsi come parole<br />

nuove piuttosto che come varianti <strong>di</strong> parole esistenti (un caso estremo è<br />

quello dell’ inglese Ok, apparentemente privo <strong>di</strong> un antecedente). Queste<br />

nuove formazioni, nel tempo, vanno a costituirsi in entità segniche<br />

compatte e unitarie con un rapporto arbitrario significato/significante:<br />

normalmente il parlante non conosce l’etimologia delle sigle-­‐‑parole, pur<br />

conoscendone il referente. Un processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione opposta si verifica nel<br />

caso <strong>di</strong> forme lessicali (“backronyms” nella terminologia anglosassone) a<br />

cui viene attribuito a posteriori lo statuto <strong>di</strong> sigla, determinando la nascita<br />

<strong>di</strong> una “falsa etimologia”.<br />

Alla iniziale istanza <strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà ed economicità, che si esplica sul piano<br />

grafico, si contrappone, sul piano linguistico, una spinta normalizzante che<br />

riconduce la sigla verso una <strong>di</strong>mensionalità tipica <strong>di</strong> parola, determinando<br />

passaggi che possono comportare ricadute grafiche (come TV > tivvù, PM ><br />

piemme, LP > elleppì). Un ulteriore sganciamento dall’iniziale spinta alla<br />

riduzione si riconosce in fenomeni morfologici <strong>di</strong> tipo accrescitivo, quali<br />

l’affissazione (ivato) e la composizione (tivvù-­‐‑<strong>di</strong>pendente). Infine,<br />

l’incremento si verifica anche, sul piano sintattico, con fenomeni <strong>di</strong><br />

conversione che aggiungono nuovi ruoli grammaticali rispetto a quello <strong>di</strong><br />

origine e, sul piano semantico, con un ampliamento del ventaglio<br />

denotativo, che conferisce all’ex-­‐‑sigla (attraverso estensioni metaforiche e<br />

metonimiche) la complessità semantica che tipicamente caratterizza le<br />

parole <strong>di</strong> una lingua.<br />

Lucia <strong>di</strong> Pace e Rossella Pannain<br />

l<strong>di</strong>pace@unior.it<br />

rpannain@unior.it


126<br />

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Zingarelli 2006: Zingarelli, N., Vocabolario della lingua italiana, Bologna,<br />

Zanichelli (con CD-­‐‑ROM).


Abstract<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

Roberto Reali<br />

Nel percorso, più o meno accidentato, della storia della scienza, un posto che <strong>oggi</strong><br />

nessuno potrebbe negare appartenergli <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto riguarda la chimica. La strada che<br />

conduce però alla costruzione <strong>di</strong> una propria metodologia scientifica ha una vita<br />

abbastanza recente. E questo paradosso <strong>di</strong> scienza antichissima -­‐‑ i cui primi<br />

esperimenti risalgono all’antico Egitto -­‐‑ ma giovanissima nella messa a punto del<br />

proprio statuto <strong>di</strong>sciplinare ci permette <strong>di</strong> avere un osservatorio privilegiato <strong>di</strong><br />

come i linguaggi tecnici legati alle tra<strong>di</strong>zioni scientifiche siano sopravvissuti anche<br />

ai nostri tempi.<br />

Parole chiave: chimica, alchimia, storia della scienza, simboli chimici<br />

During the long and intricate history of science, a special place belongs to<br />

chemistry. But the path lea<strong>di</strong>ng to the construction of a scientific methodology in<br />

chemistry is rather early. This paradox of an old science -­‐‑ whose early experiments<br />

date back to ancient Egypt -­‐‑ but very young as to the development of its<br />

<strong>di</strong>sciplinary statute, gives us an advantageous point of view with regard to the<br />

ways technical languages associated with scientific tra<strong>di</strong>tions have survived to our<br />

times.<br />

Keywords: chemistry, alchemy, history of science, chemical symbols<br />

Premessa<br />

Il primo a intuire una teoria quantitativa degli elementi chimici fu,<br />

com’è noto, Antoine Laurent de Lavoisier che non aveva alcun titolo <strong>di</strong><br />

chimico: era considerato infatti un botanico, un naturalista, un economista<br />

ed anche un Fermier Général, sorta <strong>di</strong> concessionario per la riscossione delle<br />

imposte reali, carica a cui giunse a 26 anni e che lo arricchì e lo rese famoso<br />

ai tempi <strong>di</strong> Luigi XV. La sua formazione <strong>di</strong> giurista e <strong>di</strong> appassionato<br />

“misuratore” lo portò a creare il sistema metrico decimale e ad estenderlo<br />

in tutto il territorio francese prima <strong>di</strong> essere ghigliottinato, nel 1794, dai<br />

giacobini all’età <strong>di</strong> 51 anni. L’intuizione centrale <strong>di</strong> Lavoisier fu quella <strong>di</strong>


130<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

applicare il sistema dei pesi e delle misure agli elementi che venivano via<br />

via combinati per la produzione <strong>di</strong> composti chimici stilando così un elenco<br />

<strong>di</strong> elementi “primi” che non potevano essere ulteriormente ridotti:<br />

ossigeno, azoto, idrogeno, fosforo, mercurio, zinco, zolfo ed anche luce e<br />

calorico che lui credeva fossero sostanze materiali e in realtà<br />

rappresentavano l’energia necessaria alla produzione <strong>di</strong> qualunque<br />

reazione chimica.<br />

L’idea <strong>di</strong> poter misurare e combinare i vari elementi secondo pesi<br />

determinati si ispira naturalmente alle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> metodo galileiane<br />

esposte già nel XVII secolo. Galileo si incammina cioè verso la ridefinizione<br />

della scienza come strumento principe della conoscenza del mondo fisico<br />

avendo chiaro un modello (quello copernicano) e un metodo (quello<br />

matematico) i quali dovevano essere verificati, o, come si <strong>di</strong>rebbe <strong>oggi</strong>,<br />

“falsificati” dai dati dell’esperienza. Tale metodo crea il tratto <strong>di</strong>stintivo per<br />

la conoscenza della natura dalle altre forme del sapere. Galileo esprime<br />

tutto ciò nella famosa pagina del Saggiatore: “Parmi, oltre a ciò, <strong>di</strong> scorgere<br />

nel Sarsi ferma credenza, che nel filosofare sia necessario app<strong>oggi</strong>arsi<br />

all’opinioni <strong>di</strong> qualche celebre autore, sì che la mente nostra, quando non si<br />

maritasse col <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> un altro, ne dovesse in tutto rimanere sterile ed<br />

infeconda; e forse stima che la filosofia sia un libro e una fantasia d’un<br />

uomo, come l’Iliade e l’Orlando Furioso, libri né quali la meno importante<br />

cosa è che quello che vi è scritto sia vero. La filosofia è scritta in questo<br />

gran<strong>di</strong>ssimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io<br />

<strong>di</strong>co l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender<br />

la lingua, e conoscer i caratteri ne’quali è scritto. Egli è scritto in lingua<br />

matematica e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche,<br />

senza i quali mezzi è impossibile intenderne umanamente parola; senza<br />

questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto.” 1<br />

L’affermazione su cui richiamare l’attenzione è quella relativa alla<br />

tra<strong>di</strong>zione su cui lo scienziato fiorentino ironizza e raffigura attraverso la<br />

polemica con il gesuita Orazio Grassi, il Sarsi del trattato, consapevole<br />

ormai della scoperta <strong>di</strong> un metodo che si <strong>di</strong>stingue ra<strong>di</strong>calmente da quello<br />

sinora tenuto nelle osservazioni naturali. L’affermazione <strong>di</strong> Galileo è<br />

realmente rivoluzionaria poiché la lingua formata da figure geometriche e<br />

cerchi sinora si era app<strong>oggi</strong>ata ad una conoscenza tra<strong>di</strong>zionale e solo con la<br />

metodologia sperimentale trova il suo vero senso interpretando i fenomeni<br />

1 Galileo Galilei, 121. La sottolineatura è nostra.


R. Reali 131<br />

del mondo naturale. Le osservazioni astronomiche e le ricerche sul<br />

movimento e la quiete dei corpi trovano così un’applicazione sperimentale<br />

imme<strong>di</strong>ata nelle leggi sulla caduta dei gravi, nella scoperta delle macchie<br />

solari e nel calcolo delle orbite dei pianeti me<strong>di</strong>cei per ricordare i più<br />

importanti ritrovamenti dello scienziato pisano. E il loro linguaggio è<br />

quello dell’algebra e della geometria perfettamente conosciute dalla<br />

tra<strong>di</strong>zione culturale precedente.<br />

Non così la chimica che non è scienza “<strong>di</strong> osservazione” ma <strong>di</strong><br />

“estrazione” e <strong>di</strong> “combinazione”. Il lavoro chimico compiuto sino a quel<br />

momento non aveva nella sperimentazione della regolarità del movimento<br />

dei corpi celesti una percezione imme<strong>di</strong>ata dei suoi fenomeni e la strada<br />

per giungere ad una sua autonomia <strong>di</strong>sciplinare e scientifica dovrà farsi<br />

largo ancora tra molteplici e <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong>scipline. I chimici non sono<br />

autonomamente <strong>di</strong>stinti, almeno sino al XVIII secolo, dai farmacisti, dai<br />

me<strong>di</strong>ci, dai naturalisti e, ovviamente, dai loro cugini prossimi: gli<br />

alchimisti.<br />

La carta d’identità della chimica moderna inizia il suo cammino con<br />

Lavoisier ma dovrà attendere ancora un secolo almeno per avere chiaro il<br />

rapporto quantitativo corretto tra la sequenza e le modalità <strong>di</strong><br />

combinazione degli elementi che verrà formulato dal chimico russo<br />

Mendeleev: “il sistema perio<strong>di</strong>co degli elementi, come è noto, raccoglie in<br />

maniera strutturata l’insieme degli elementi chimici considerati come<br />

atomi, a seconda delle loro proprietà e or<strong>di</strong>nati secondo una grandezza ad<br />

essi caratteristica e <strong>di</strong>stintiva. Per poter realizzare tale sistema era stato<br />

necessario <strong>di</strong>sporre innanzitutto dei <strong>di</strong>versi elementi allo stato isolato,<br />

puro, determinandone le proprietà chimiche e fisiche caratteristiche.” 2<br />

Questa sintesi tra metodo quantitativo e struttura primaria degli<br />

elementi contiene in sè la grande possibilità <strong>di</strong> prevedere con regolarità<br />

ulteriori elementi non ancora scoperti che però sono gli occupanti dei<br />

successivi legami atomici posti nella sequenza. “La chimica – afferma<br />

Mendeleev – ha trovato una risposta alla questione delle cause delle<br />

moltitu<strong>di</strong>ni; e pur mantenendo la concezione <strong>di</strong> molti elementi, tutti<br />

soggetti alla <strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> una legge generale, offre una via d’uscita dal<br />

Nirvana indu – cioè l’assorbimento nell’universale – sostituendolo con<br />

2 Di Meo 2009, 317.


132<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

l’in<strong>di</strong>vidualizzato.” 3 Ad una tale formidabile scoperta bisogna però<br />

apporre una data piuttosto recente, il 1869, in cui il chimico russo presentò<br />

la sua relazione L'ʹinter<strong>di</strong>pendenza fra le proprietà dei pesi atomici degli elementi<br />

alla Società Chimica Russa e <strong>di</strong>ede vita a quella che <strong>oggi</strong> noi conosciamo<br />

come Tavola Perio<strong>di</strong>ca degli elementi.<br />

Tavola perio<strong>di</strong>ca degli elementi<br />

Il linguaggio <strong>di</strong> questa tavola è, per gli specialisti ma anche per qualche<br />

studente <strong>di</strong> liceo, facilmente comprensibile: ogni singolo elemento, a<br />

secondo della sua posizione nell’insieme, presenta un affinità <strong>di</strong> struttura<br />

per quelli <strong>di</strong>stribuiti in ogni colonna (metalli, metallo-­‐‑alcalini, <strong>di</strong><br />

transizione etc.) mentre la crescita del numero atomico, rappresentata dalla<br />

sequenza per righe, ci riporta invece ad una regolarità del numero <strong>di</strong><br />

elettroni esterni per ogni elemento. Non entrando in spiegazioni troppo<br />

specialistiche possiamo <strong>di</strong>re che la tavola perio<strong>di</strong>ca fornisce il ritmo degli<br />

elementi partendo da una legge quantitativa unitaria (la crescita del<br />

numero atomico) sino a poter prevedere ulteriori caselle che potranno via<br />

via essere inserite nel quadro generale. La tavola stessa è quin<strong>di</strong> lo schema<br />

logico entro cui i singoli elementi contrassegnati dalle prime lettere latine<br />

trovano un or<strong>di</strong>ne che imme<strong>di</strong>atamente richiama la sua maggiore o minore<br />

3 Mendeleev, in Di Meo, ibidem.


R. Reali 133<br />

reattività con gli altri elementi della tavola (se posti a sinistra o a destra<br />

dello schema).<br />

La semplicità <strong>di</strong> questa rappresentazione fa dunque vendetta <strong>di</strong> una<br />

ricerca durata secoli in cui gli uomini tentarono <strong>di</strong> comprendere come fosse<br />

possibile che alcuni prodotti reagivano a contatto con alcuni elementi e non<br />

con altri. Vi erano, nei secoli precedenti questa semplice formulazione,<br />

biblioteche intere <strong>di</strong> esperienze pratiche a cui mancava la fondazione del<br />

metodo e a cui mancava la possibilità <strong>di</strong> chiarire e costruire la ripetibilità<br />

dell’esperimento nelle con<strong>di</strong>zioni predeterminate dallo sperimentatore e<br />

quin<strong>di</strong> rientrare a pieno <strong>di</strong>ritto nello statuto delle scienze elaborato da<br />

Galileo tre secoli prima.<br />

Non è un caso che il progresso scientifico e tecnologico nella seconda<br />

metà del XIX secolo conosce, dalla scoperta degli elementi chimici e della<br />

loro combinazione, uno slancio straor<strong>di</strong>nario che porterà alla crescita<br />

industriale e alla produzione <strong>di</strong> materiali non esistenti in natura (<strong>di</strong> sintesi)<br />

oltre che la possibilità <strong>di</strong> utilizzo <strong>di</strong> componenti naturali per creare nuove<br />

opportunità <strong>di</strong> utilizzo (si pensi, ad esempio, alla <strong>di</strong>stillazione del petrolio<br />

o alla creazione <strong>di</strong> farmaci come l’aspirina).<br />

L’esperienza chimica<br />

Ma quale è alla fine, l’esperienza concreta che il chimico fa<br />

quoti<strong>di</strong>anamente? Per rispondere a questa domanda pren<strong>di</strong>amo in prestito<br />

le parole <strong>di</strong> uno scrittore e chimico italiano: “Distillare è bello. Prima <strong>di</strong><br />

tutto perché è un mestiere lento, filosofico e silenzioso, che ti occupa ma ti<br />

lascia tempo <strong>di</strong> pensare ad altro, un po’ come l’andare in bicicletta. Poi<br />

perché comporta una metamorfosi: da liquido a vapore (invisibile), e da<br />

questo nuovamente a liquido; ma in questo doppio cammino, all’insù e<br />

all’ingiù. Si raggiunge la purezza, con<strong>di</strong>zione ambigua ed affascinante, che<br />

parte dalla chimica ed arriva molto lontano.” 4<br />

Il chimico <strong>di</strong>stilla, combina, manipola elementi naturali, non esistendo<br />

mai in natura quelli descritti nella Tavola Perio<strong>di</strong>ca. Non esiste, in realtà, il<br />

Potassio ma ora posso combinare tutti gli elementi naturali per ottenere<br />

composti in cui la sua percentuale sia prevalente, misurandone così con<br />

4 Levi 1979, 60, voce Potassio.


134<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

precisione la quantità e ricombinandola con altri elementi per produrre<br />

nuovi composti o nuovi materiali.<br />

Questa esperienza <strong>di</strong> lavoro, descritta da Primo Levi nel passo citato,<br />

non è però molto <strong>di</strong>versa dai farmacisti, naturalisti e alchimisti che si sono<br />

industriati per secoli a cercare <strong>di</strong> ricavare qualcosa dai prodotti presenti in<br />

natura. Possiamo quin<strong>di</strong> ipotizzare che anche la modalità <strong>di</strong> comunicare le<br />

loro esperienze che si venivano elaborando nel corso dei secoli sia stata<br />

molto <strong>di</strong>fferente? E se non vi è questa <strong>di</strong>stanza, quanto la moderna<br />

costruzione del linguaggio chimico appartiene nelle intenzioni anche a<br />

quella tra<strong>di</strong>zione che appariva agli scienziati “trionfanti” del XIX e del XX<br />

secolo come definitivamente superata?<br />

Alchimia come esperienza<br />

Gli alchimisti, considerati ormai dal senso comune come degli sciocchi<br />

oppure come pericolosi personaggi da cui guardarsi non avevano<br />

nemmeno nei tempi in cui operavano, buona stampa. L’alchimista è un<br />

uomo che silenziosamente, in casa o in luoghi <strong>di</strong>screti, combina e tenta<br />

esperimenti <strong>di</strong> cui <strong>oggi</strong> sappiamo non comprendesse quasi mai il senso. In<br />

una famosa tavola <strong>di</strong> Peter Bruegel viene rappresentato ironicamente come<br />

un in<strong>di</strong>viduo chino al suo tavolo <strong>di</strong> lavoro, mentre i poveri figli ne<br />

combinano <strong>di</strong> tutti i colori (figura 1). Un uomo che, <strong>di</strong>speratamente, cerca<br />

la ricchezza perdendo tempo e sol<strong>di</strong> riducendosi così in miseria, oppure un<br />

uomo che custo<strong>di</strong>sce dei segreti innominabili a cui devono essere estorti<br />

anche con la tortura (figura 2).


Figura 1 – Peter Bruegel. L’alchimista<br />

Figura 2 – La tortura dell’alchimista<br />

R. Reali 135


136<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

Le esperienze alchemiche hanno invece conosciuto negli stessi perio<strong>di</strong><br />

in cui si elabora la rivoluzione scientifica galileiana un profondo<br />

ripensamento. La ricerca <strong>di</strong> affinità e <strong>di</strong>fferenze che potremmo <strong>oggi</strong><br />

chiamare <strong>di</strong> tipo “analogico” <strong>di</strong>stinguendola da quella quantitative non<br />

aveva infatti tralasciato <strong>di</strong> osservare come i singoli composti costituissero<br />

in realtà una sequenza or<strong>di</strong>nata e ne avevano rappresentata la loro affinità<br />

in modo puntuale attraverso una tavola (figura 3).<br />

La tavola era stata quin<strong>di</strong> elaborata in<strong>di</strong>cando nella combinazione degli<br />

elementi la loro maggiore o minore capacità <strong>di</strong> interagire e, posti in modo<br />

or<strong>di</strong>nato: “comparivano questi simboli per in<strong>di</strong>care la scala <strong>di</strong> reattività<br />

(per usare un termine attuale) <strong>di</strong> varie sostanze rispetto a quella che veniva<br />

in<strong>di</strong>cata nella casella superiore della colonna.” 5<br />

Figura 3 – Tabula Affinitatum <strong>di</strong> Geoffroy, 1718<br />

Le Tabule così elaborate erano abbastanza comuni nel XVIII secolo e<br />

furono anche riprodotte in alcune e<strong>di</strong>zioni dell’Encyclope<strong>di</strong>e <strong>di</strong> Diderot e<br />

5 Gianni Michelon, Fondamenti storico-­‐‑espistemologici della chimica, in:<br />

http://www.univirtual.it/corsi%20V%20ciclo/II%20sem%20IND/michefond/04.htm.


R. Reali 137<br />

d’Alambert ed avevano lo scopo <strong>di</strong> sintetizzare il grado maggiore o minore<br />

<strong>di</strong> affinità <strong>di</strong> alcuni elementi rispetto ad altri. La maniera <strong>di</strong> leggere lo<br />

schema è, in fondo, semplice: ad ogni elemento che corrisponde alla prima<br />

riga, venivano elencati per ogni colonna, i composti che avevano maggiore<br />

o minore affinità (reagivano) in presenza <strong>di</strong> questi:” per l'ʹ"ʺacido del sale<br />

marino"ʺ (HCl) [cloruro <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o], colonna b, la massima affinità è<br />

presentata da Sn [Stagno] (b2), minore da Cu (b4) [Rame], poi Ag (b5)<br />

[Argento], Hg (b6) [mercurio] e, molto lontano, Au (b9) [oro].” 6<br />

Come si può notare l’insieme delle descrizioni partivano da un<br />

composto complesso come il cloruro <strong>di</strong> so<strong>di</strong>o o sale marino e gli alchimisti<br />

conoscevano i metalli ottenuti con proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> raffinazione più o meno<br />

avanzati che, a contatto con il sale, generavano ulteriori reazioni. Non<br />

erano certo in grado <strong>di</strong> determinare il peso e la quantità <strong>di</strong> atomi presenti<br />

nel composto ma la regolarità delle interazioni e una certa sistematicità <strong>di</strong><br />

queste ultime era invece perfettamente chiara.<br />

I simboli poi che rappresentavano gli elementi e che ci interessano in<br />

modo particolare sono la notazione sintetica degli elementi derivati dai:<br />

“simboli astrologici usati per i metalli (…), per esempio, per l'ʹoro (Sole) in<br />

b9, per l'ʹargento (Luna) in b5, per il ferro (Marte) in c2, per il rame (Venere)<br />

in b4, per il piombo (Saturno) in c4, per lo stagno (Giove) in b2, per il<br />

mercurio (Mercurio) in c5.” 7<br />

6 Michelon, cit. le interpolazioni tra parentesi quadre sono nostre.<br />

7 Michelon, cit.


138<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

Simboli astrologici che in<strong>di</strong>cano i metalli<br />

È interessante notare così che già all’inizio del XVIII secolo, l’esperienza<br />

alchemica mutuando la propria notazione degli elementi tra<strong>di</strong>zionali<br />

dall’astrologia rinascimentale e procedendo per analogia, aveva<br />

identificato simbolicamente una sorta <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma dell’uso che si fa degli<br />

elementi stessi nelle esperienze chimiche. In primo luogo i simboli sono<br />

utilizzati per identificare univocamente degli elementi esistenti in natura e<br />

non nel cielo iperuranio; in secondo luogo queste notazioni si richiamano<br />

ad una ricerca <strong>di</strong> regolarità che è rappresentata dalla tavola delle affinità in<br />

cui sono inseriti. Ogni elemento supporta la vicinanza o meno degli altri e<br />

ne descrive sinteticamente la maggiore o minore reattività. Non avrebbe<br />

infatti alcun senso mettere in sequenza e secondo una logica astrologica<br />

quei simboli mentre ne acquista uno rilevante se li inseriamo come<br />

rappresentazione simbolica delle reazioni a cui danno origine.<br />

È un importante passaggio in cui la vecchia tra<strong>di</strong>zione alchemica<br />

comincia, ben prima <strong>di</strong> una ricerca delle analisi quantitative, a mettere in<br />

or<strong>di</strong>ne le proprie conoscenze e soprattutto in<strong>di</strong>vidua l’insieme degli<br />

elementi che possono essere rappresentati in combinazione acquisendo un<br />

senso dalla loro interazione e dalla loro posizione reciproca. Questo dato lo<br />

ritroviamo intatto nella tavola <strong>di</strong> Mendeleev in cui la posizione dei singoli


R. Reali 139<br />

elementi ci fornisce in modo puntuale il comportamento chimico. Si<br />

potrebbe <strong>di</strong>re che è una modalità <strong>di</strong> replicare la musica “ad orecchio” senza<br />

conoscere ancora le singole note ma l’idea che esista uno spartito su cui la<br />

musica debba essere scritta è presente ed aiuta a comprendere questo<br />

nuovo linguaggio naturale. Una specie <strong>di</strong> termine “me<strong>di</strong>o” in cui le lettere<br />

sono ancora simboli della tra<strong>di</strong>zione alchemica precedente ma ormai<br />

contrapposti e strutturati secondo il metodo dell’esperienza che procede<br />

faticosamente secondo il metodo della similitu<strong>di</strong>ne e del contrasto.<br />

Veniamo quin<strong>di</strong> ai simboli e alle notazioni. Abbiamo visto che questi<br />

simboli risalgono alla tra<strong>di</strong>zione alchemica ma anch’essi hanno già subito<br />

in precedenza una profonda trasformazione nel secolo XVII, e già da<br />

simboli dell’analogia con l’universo sono <strong>di</strong>venuti un sistema in qualche<br />

modo “standar<strong>di</strong>zzato” <strong>di</strong> notazione.<br />

Per poter comprendere questo passaggio dobbiamo però fare<br />

riferimento ad un trattato <strong>di</strong> Alchimia intitolato Commentatio de Pharmaco<br />

Catholico, inserito nel più vasto libro intitolato Chymica Vannum che fu<br />

pubblicato anonimo in Germania e poi tradotto in latino nel 1666. Questo<br />

trattato viene censito da John Ferguson nella Bibliotheca Chemica nel 1906 8 e<br />

descritto come: “Reclusorium opulentiae sapientiaque Numinis Mun<strong>di</strong><br />

Magni, (….) sed Inventa Proauthoribus Immortalibus Adepti.” 9 Un libro<br />

che ha, in apparenza, tutti i crismi del testo alchemico con le sue richieste<br />

iniziatiche e i suoi richiami alla conoscenza magica che aveva fatto finire<br />

sul rogo parecchi personaggi durante il XIV e il XV secolo in giro per<br />

l’Europa.<br />

Eppure la tesi, soprendente, del Commentatio appare come molto vicina<br />

all’idea <strong>di</strong> affinità che il XVIII secolo aveva consegnato alla notazione della<br />

Tavola. Parlando degli elementi, scrive l’anonimo: “quattro elementi sono i<br />

fondamenti <strong>di</strong> tutte le cose corporali: da questi provengono tutti gli altri<br />

come figli da una madre, in questo mondo sono così composti e formati e<br />

gli elementi stessi si corrompono e si trasformano e nessuno degli elementi<br />

8 Ferguson 1906.<br />

9 Ferguson cit. tomo II, 246.


140<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

visibili esiste per se allo stato puro [visibilium vero horum elementorum<br />

nullum est per se existens, neque purum] ma più o meno uniti tra loro” 10.<br />

L’estensore presuppone quin<strong>di</strong> l’estrazione, o “<strong>di</strong>stillazione”, degli<br />

elementi e quin<strong>di</strong> parte dal presupposto che in natura esista un insieme <strong>di</strong><br />

composti tutti, più o meno, uniti tra loro e che l’esperienza alchemica ha il<br />

compito <strong>di</strong> isolare e <strong>di</strong> ricombinare. Giunti alla necessità <strong>di</strong> comunicare<br />

quelle esperienze l’autore del trattato nel capitolo finale elabora però un<br />

sorprendente cambiamento. Egli afferma che la scienza alchemica deve<br />

costruire un nuovo modo <strong>di</strong> rappresentare questa estrazione e questa<br />

combinazione attraverso quello che lui chiama Chymico Alphabeto in cui si<br />

propone che i vecchi caratteri filosofici debbano essere <strong>di</strong> nuovo compresi e<br />

interpretati [signa ac verba intelligenda sint et interpretanda] 11.<br />

La richiesta <strong>di</strong> una nuova notazione è data dal fatto che i vecchi simboli<br />

e le vecchie notazioni sono ormai quasi inintellegibili nelle nuove<br />

esperienze <strong>di</strong> alchimia e che vi è bisogno <strong>di</strong> un nuovo Abecedario che<br />

illustri le proprietà delle cose naturali in modo da avere imme<strong>di</strong>atamente<br />

visibile le proprietà degli elementi che si vogliono unire [Chymicum<br />

Abecedarium ac aliquos novos characteres, qui proprietatem rerum designaturum<br />

veracent exhibent, annectere] 12.<br />

Nell’esposizione dell’Alfabeto proposto si ha quin<strong>di</strong> l’esposizione dei<br />

vari elementi principali che l’anonimo chiama Alphabeto Simplici, l’Alfabeto<br />

degli elementi primari:<br />

10 Commentatio de Pharmaco Catholico, Quomodo nimirum istud in tribus illis natura Regnis,<br />

Mineralium, Animalium ac Vegetabilium reperiendum: atque exinde conficiendum, per<br />

excellentissimum Universale Menstruum, vi pollens recluden<strong>di</strong> occlunden<strong>di</strong>que, tum metallum<br />

quodlibet, in primam sui materiam, reducen<strong>di</strong>, 3, la traduzione è nostra.<br />

11 Commentatio, cit., 55.<br />

12 Ibidem.


R. Reali 141<br />

Rappresentazioni delle lettere dell’Alfabeto chimico corrispondenti agli elementi<br />

semplici 13<br />

Come si nota molti <strong>di</strong> questi simboli saranno ripresi nella Tabula<br />

Affinatatis del XVIII secolo e corrispondono infatti ai simboli del Sole per<br />

l’Oro, della Luna per l’Argento, e così via. Le definizioni sono ancora<br />

composte con l’insieme degli attributi magici e mitologici, dei colori (nero,<br />

rosso e bianco) simbolo delle reazioni o degli animali (leone, drago, lupo)<br />

legati alla vecchia notazione degli alchimisti precedenti ma la ricerca <strong>di</strong> una<br />

notazione standar<strong>di</strong>zzata per creare un alfabeto comune già a metà del<br />

XVII secolo rappresenta un punto fermo che rompe con la tra<strong>di</strong>zione<br />

astrologico/magica e comincia a muovere i primi passi verso una vera e<br />

propria narrazione dell’esperienza chimica che sia comprensibile<br />

nonostante l’utilizzo <strong>di</strong> un’antica simbologia.<br />

Che questa maniera <strong>di</strong> comunicare sia, in realtà, un nuovo modo <strong>di</strong><br />

raccontare le esperienze sulla natura è confermato anche dalla successiva<br />

proposta <strong>di</strong> una costruzione <strong>di</strong> vere e proprie “frasi chimiche” elaborate in<br />

forma sintetica utilizzando quelle lettere e quei simboli.<br />

L’anonimo costruisce delle Syllabae Chymichae 14, veri e propri sintagmi<br />

combinatori degli elementi che sono annotati partendo dalla composizione<br />

dei semplici:<br />

13 Ibidem, 60.<br />

14 Commentatio, cit., 61.


142<br />

Sillabe chimiche<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

Ogni singolo elemento che isolato in maniera grafica in modo standard<br />

viene legato ad altri “semplici” per la formazione <strong>di</strong> un composto e<br />

riconoscendo la simbologia si possono in<strong>di</strong>care in modo chiaro i composti:<br />

“con una parola avente significato o con un carattere universale che ho<br />

in<strong>di</strong>cato nel titolo <strong>di</strong> questo capitolo [his vero verbum significativum, vel<br />

universalem characterem, quem superius in titulo delineavit]”. Con questi segni,<br />

ora completamente trasparenti: “noi vogliamo consegnarti questo schema;<br />

questi segni sono un pochino più luminosi [tamquam lucioli] e potranno così<br />

condurti alla luce della vera conoscenza [qui ducere te debent ad veram<br />

cognitionis lucem].” 15<br />

È quin<strong>di</strong> un nuovo senso che appare sotto questa notazione sintetica che<br />

illustra come l’esperienza chimica possa essere correntemente e<br />

chiaramente rappresentata nella combinazione degli elementi dalla<br />

combinazione delle lettere e dei segni. Queste ormai seguono una logica<br />

del tutto <strong>di</strong>versa da quella tra<strong>di</strong>zionale da cui derivano e riproducono e<br />

trasmettono l’arte della miscelazione una volta appreso l’alfabeto e<br />

costruito le sillabe e le parole chimiche che hanno trasformato il simbolo<br />

astrologico ed alchemico in un nuovo linguaggio.<br />

L’arte <strong>di</strong> “<strong>di</strong>stillare” non ha atteso quin<strong>di</strong> la teoria quantitativa degli<br />

elementi per costruire due elementi fondamentali del proprio sviluppo<br />

scientifico. Il primo è <strong>di</strong> poter rappresentare in modo proprio l’esperienza<br />

con un grado sempre più raffinato isolando alcuni fenomeni come l’affinità<br />

tra gli elementi e la loro capacità combinatoria allo stato puro e<br />

rappresentandoli poi con notazioni chiare e definite. Il secondo, non meno<br />

15 Ibidem.


R. Reali 143<br />

importante, è che queste esperienze non sono più il frutto <strong>di</strong> iniziazioni<br />

magiche ma <strong>di</strong> una razionalizzazione ed un <strong>di</strong>verso utilizzo dei linguaggi a<br />

<strong>di</strong>sposizione che cominciano a corrodere dall’interno la struttura iniziatica<br />

dei proce<strong>di</strong>menti alchemici spingendoli al massimo delle loro possibilità<br />

sino ad arrivare ad una vera e propria grammatica (le sillabe nelle parole) e<br />

una sintassi (la tavola delle affinità) che ne strutturano il co<strong>di</strong>ce che la<br />

chimica “quantitativa” potrà poi liberamente riprendere e trasformare in<br />

qualcosa <strong>di</strong> metodologicamente utile non rinnegando la sua genesi storica<br />

giungendo in questo modo rapidamente ad una propria <strong>di</strong>stinta capacità <strong>di</strong><br />

indagine e <strong>di</strong> proposta scientifica rispetto alle altre <strong>di</strong>scipline.<br />

La tavola <strong>di</strong> Mendeleev, le <strong>di</strong>stillazioni e le sintesi degli elementi sono<br />

certamente qualcosa <strong>di</strong> fondamentalmente nuovo ma solo perché ora si<br />

comprende la struttura quantitativa degli atomi; l’esigenza <strong>di</strong> scrivere e<br />

annotare le reazioni chimiche in modo breve e standar<strong>di</strong>zzato sarà quin<strong>di</strong><br />

un lascito <strong>di</strong> quella tra<strong>di</strong>zione dei secoli XVII e XVIII che rapidamente la<br />

chimica moderna farà propria per giungere ai risultati straor<strong>di</strong>nari che<br />

affronterà nei secoli XIX e XX.<br />

Una ultima notazione va invece fatta <strong>di</strong> come fu recepita e trasmessa<br />

questa cultura alchemica. L’insieme delle sillabe chimiche e delle<br />

esperienze <strong>di</strong> combinazione illustrate sono state annotate, ed è l’unico<br />

esempio che ci è rimasto, sullo stipite della cosiddetta Porta alchemica 16<br />

della Villa sull’Esquilino a Roma appartenuta al Marchese <strong>di</strong> Palombara<br />

poi <strong>di</strong>strutta dalle successive inurbazioni. (figura 4)<br />

16 Sulla porta alchemica dell’Esquilino: Anna Maria Partini, La magia <strong>di</strong> una porta, in<br />

http://www.rivodutri.org/lamagia.htm con annessa bibliografia.


144<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

Figura 4 – Porta alchemica nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> Piazza Vittorio -­‐‑ Roma<br />

La porta a cui la leggenda popolare assegna molteplici significati<br />

colpisce soprattutto per la sua misteriosa e incomprensibile sequenza <strong>di</strong><br />

figure simboliche sugli stipiti seguiti da versi che illustravano in modo<br />

iniziatico la combinazione degli elementi. Sarebbe, se le ipotesi sin qui<br />

seguite sono corrette, una specie <strong>di</strong> Stele <strong>di</strong> Rosetta a cui la notazione<br />

proposta in simboli degli elementi viene tradotta nel ben più conosciuto<br />

linguaggio verbale della tra<strong>di</strong>zione magico alchemica. Oggi sappiamo<br />

ormai che tale sequenza non è altro che la notazione <strong>di</strong> reazioni chimiche<br />

perfettamente comprensibili ai contemporanei colti del tempo il cui<br />

significato, certamente <strong>di</strong>verso dal nostro, non ha però trasformato lo<br />

spirito con cui furono scritte e cioè la creazione <strong>di</strong> una comunicazione<br />

specifica nel linguaggio della natura delle esperienze che gli stu<strong>di</strong>osi del<br />

tempo andavano compiendo manipolando gli elementi e che si affrettava a<br />

considerarla come una specie <strong>di</strong> nuovo modo <strong>di</strong> comunicazione anche a<br />

chi, ignaro dei progressi, era rimasto fermo alla vecchia magica<br />

rappresentazione delle medesime esperienze. Una sorta <strong>di</strong> “<strong>di</strong>zionario”<br />

simbolico a cui però, curiosamente, l’aura <strong>di</strong> mistero incomprensibile lo<br />

<strong>di</strong>edero nel 1888, i sistematori del monumento inserendo, accanto alla<br />

porta, due rappresentazioni del <strong>di</strong>o egizio Bes, simbolo delle magie<br />

alchemiche egizie, rinvenuti nel giar<strong>di</strong>no del Quirinale e allontanando,


R. Reali 145<br />

anche visivamente, lo sforzo compiuto da quel linguaggio sintetico <strong>di</strong> dare<br />

nuova lingua alla chimica del tempo.<br />

Bibliografia<br />

Roberto Reali<br />

roberto.reali@cnr.it<br />

Di Meo 2009<br />

Di Meo Antonio, I chimici ebrei e le leggi razziali del 1938: l’Università e<br />

oltre, in Le leggi antiebraiche del 1938, le società scientifiche e la scuola in<br />

Italia, Atti del Convegno, Roma 26-­‐‑27 novembre 2008, Roma, Accademia<br />

Nazionale delle Scienze detta dei XL, 287-­‐‑320.<br />

Ferguson 1906<br />

Ferguson John, Bibliotheca chemica, A catalogue of the alchemical, chemical<br />

and pharmaceutical books in the collection of the late James Young of Kelly and<br />

Durris, Glasgow, Maclehose.<br />

Galilei<br />

Galileo Galilei, Opere, Roma, E<strong>di</strong>zione Nazionale a cura dell’Istituto<br />

dell’Enciclope<strong>di</strong>a Italiana, 2006.<br />

Levi 1979<br />

Levi Primo, Il sistema perio<strong>di</strong>co, Torino, Einau<strong>di</strong>.<br />

Fonti delle illustrazioni<br />

Tavola 1<br />

Riprodotta in Encyclope<strong>di</strong>a britannica. www.britannica.com<br />

Figura 1<br />

http://www.settemuse.it/pittori_scultori_europei/pieter_bruegel.htm<br />

Figura 2<br />

http://itis.volta.alessandria.it/episteme/ep6/ep6-­‐‑alch.htm


146<br />

Simboli e scrittura delle sperimentazioni scientifiche: la chimica<br />

Figura 3<br />

La Tabula affinitatum inter <strong>di</strong>fferentes substantias si trova presso il Museo<br />

<strong>di</strong> Storia della scienza <strong>di</strong> Firenze. Riprodotta in<br />

http://venus.unive.it/miche/chimrestau/capitoli/01-­‐‑2re.htm<br />

Figura 4<br />

http://www.officinarcheologica.it/visita-­‐‑alla-­‐‑porta-­‐‑alchemica/


Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

Abstract<br />

Sergio Marroni<br />

Nell’italiano contemporaneo si fa sempre più spiccata la tendenza a eliminare<br />

l’articolo determinativo davanti ai nomi <strong>di</strong> società, istituzioni, enti, associazioni, pur<br />

tra frequenti oscillazioni; ciò nonostante le descrizioni delle principali grammatiche<br />

<strong>di</strong> riferimento inducono a ritenere agrammaticale l’omissione. Sulla base<br />

d’un’ampia analisi <strong>di</strong> corpus dell’italiano parlato e scritto l’autore rintraccia il<br />

percorso d’un cambiamento possibile della norma linguistica in atto all’interno<br />

d’un microsettore della sintassi dell’articolo. In<strong>di</strong>viduata la sua origine nei<br />

linguaggi economico-­‐‑finanziario e aziendale, vengono in<strong>di</strong>cati <strong>di</strong>versi fattori<br />

d’or<strong>di</strong>ne sia strutturale sia sociolinguistico che illustrano le motivazioni e le vie<br />

della recente e rapida <strong>di</strong>ffusione della costruzione.<br />

Parole chiave: italiano contemporaneo, sintassi, ellissi, articolo determinativo, nomi<br />

propri<br />

In the Italian language nowadays there is a relevant tendency to eliminate the<br />

definite article before names of companies, institutions, corporations, associations.<br />

This happens even if the main reference grammars consider this omission as<br />

ungrammatical. Based on extensive analysis of the corpus of spoken and written<br />

Italian, the path is here drawn of a possible change of the linguistic standard with<br />

regard to the syntax of the article. Tracing its origin in the economic-­‐‑financial and<br />

business languages, several structural and sociolinguistic factors are mentioned,<br />

explaining the reasons and the ways of the recent and rapid spread of the<br />

construction.<br />

Keywords: contemporary Italian syntax, ellipsis, definite article, proper names<br />

I giornali <strong>di</strong> ieri, 21 febbraio 2011, riferivano delle <strong>di</strong>missioni <strong>di</strong><br />

Leonardo Del Vecchio dal Consiglio d’amministrazione delle Assicurazioni<br />

Generali. È l’ultimo evento, in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> tempo, d’un aspro conflitto ai<br />

vertici del maggior gruppo assicurativo italiano, presieduto da Cesare<br />

Geronzi, un conflitto la cui posta è ancora più ampia, poiché investe la Rcs,


148<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

vale a <strong>di</strong>re, fra l’altro, il «Corriere della Sera» 1. Il 2 febbraio nel sito della<br />

«Repubblica» 2 si leggeva un articolo intitolato «Della Valle: Generali esca<br />

da Rcs / “Non ci serve e porta solo malumori”»; sottotitolo: «Il patron <strong>di</strong><br />

Tod’s al Cda, consigliere e azionista, chiede che la compagnia triestina ceda<br />

la propria quota del gruppo e<strong>di</strong>toriale [...]». Nell’articolo si legge che<br />

«Vincent Bollorè, vicepresidente <strong>di</strong> Generali, ha detto ai giornalisti che il<br />

consiglio <strong>di</strong> amministrazione “valuterà con attenzione” la proposta <strong>di</strong><br />

cessione della quota Rcs avanzata da Della Valle». Nello stesso luogo, il 16<br />

febbraio, è apparso un articolo intitolato «Rcs, dopo lo scontro Della Valle-­‐‑<br />

Geronzi poteri al cda e de Bortoli in sella fino al 2014» e ieri un altro dal<br />

titolo «Generali, Del Vecchio si <strong>di</strong>mette in polemica con Geronzi»;<br />

sottotitolo: «Il patron <strong>di</strong> Luxottica lascia; decisiva probabilmente l’intervista<br />

a Ft in cui il presidente annunciava scelte strategiche future mai <strong>di</strong>scusse<br />

dal consiglio [...]». Ne riporto, a conclusione <strong>di</strong> questo preambolo, il primo<br />

capoverso:<br />

MILANO -­‐‑ Ora è ufficiale, Leonardo Del Vecchio si è <strong>di</strong>messo dal consiglio <strong>di</strong><br />

amministrazione <strong>di</strong> Generali. Non si conoscono ancora le motivazioni ufficiali che<br />

hanno spinto il patron della Luxottica a un simile gesto, ma tutto fa pensare a una<br />

presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza dal presidente Cesare Geronzi e dalla sua ultima intervista al<br />

Financial Times in cui delineava strategie della compagnia <strong>di</strong> Trieste mai <strong>di</strong>scusse<br />

con gli altri consiglieri.<br />

Richiamo l’attenzione sulla seguente oscillazione: mentre nel sottotitolo<br />

Leonardo Del Vecchio è il patron <strong>di</strong> Luxottica, nell’articolo è il patron della<br />

Luxottica. Le citazioni giornalistiche precedenti contengono per <strong>di</strong>eci volte<br />

il nome d’una società, solo nell’ultimo esempio citato esso viene introdotto<br />

dall’articolo determinativo.<br />

La ricerca <strong>di</strong> cui qui si presentano i primi risultati è partita da tre<br />

osservazioni:<br />

1) nell’uso attuale, in particolare giornalistico, i nomi <strong>di</strong> società, <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>tte, <strong>di</strong> imprese tendono, in linea generale, a rifiutare l’articolo<br />

determinativo in tutti i contesti sintattici, pur con grande incertezza;<br />

1 D’ora in poi «Cds».<br />

2 D’ora in poi «R».


S. Marroni 149<br />

2) nella mia sensibilità linguistica l’omissione produce un’impressione<br />

<strong>di</strong> estraneità, che tuttavia possiede intensità <strong>di</strong>verse, fino a giungere<br />

allo svanimento, a seconda delle situazioni;<br />

3) la “memoria del parlante” suggeriva che potesse trattarsi<br />

d’un’estensione recente, probabilmente <strong>di</strong>lagata in breve tempo al<br />

<strong>di</strong> là <strong>di</strong> argini più circoscritti.<br />

Chi fosse interessato alla grammatica dell’italiano, dopo aver letto<br />

nell’articolo del 2 febbraio citato la cessione della quota della compagnia in Rcs,<br />

per Generali "ʺnon è core business e non serve per lo sviluppo futuro"ʺ, patto <strong>di</strong><br />

sindacato Rcs, L'ʹiniziativa del patron <strong>di</strong> Tod'ʹs, intesa tra Tod'ʹs e ministero, pensa<br />

che la Rizzoli non sia un'ʹazienda che vada gestita come tutte le altre, avrebbe<br />

potuto immaginare una regola in cui l’articolo determinativo sarebbe<br />

presente solo se il nome ha la funzione <strong>di</strong> soggetto; ma nell’articolo del 16<br />

febbraio avrebbe trovato oltre a patto <strong>di</strong> sindacato <strong>di</strong> Rcs Me<strong>di</strong>agroup e<br />

<strong>di</strong>scussioni attorno a Rcs, anche il fondatore della Tod’s, alcuni soci della Rcs, dal<br />

presidente della Rcs e articoli giu<strong>di</strong>cati troppo duri nei confronti della Fiat e<br />

dell’Eni. E se, interessato anche alle vicende della Fiat, egli avesse letto<br />

l’articolo del «Sole 24 ore» 3 del 15 febbraio scorso, intitolato «Marchionne<br />

(in giacca e cravatta) alla Camera: la Fiat ha progetti ambiziosi per l’Italia»,<br />

avrebbe forse tratto un motivo ulteriore d’inquietu<strong>di</strong>ne, incontrando, nello<br />

stesso articolo, L’amministratore delegato <strong>di</strong> Fiat, il recente passato della Fiat, Su<br />

Fiat si “è aperto un ampio e lungo <strong>di</strong>battito [...]”, “Nessuno può accusare la Fiat <strong>di</strong><br />

comportamenti scorretti”, l’amministratore delegato <strong>di</strong> Fiat, Il motivo che ha<br />

spinto Fiat alle sue iniziative, Fiat era un'ʹazienda che nel 2004 perdeva 4 milioni al<br />

giorno, garantire a Fiat, Non è solo vero che la Fiat abbia salvato Chrysler, l'ʹad <strong>di</strong><br />

Fiat, il futuro della Fiat, la Fiat da sola non avrebbe potuto fare, Il futuro <strong>di</strong> Fiat e<br />

Chrysler, La Fiat ha il cuore in Italia, quota Fiat, l'ʹamministratore delegato della<br />

Fiat, Se il cuore della Fiat sarà in Italia, gli investimenti <strong>di</strong> Fiat, Fiat si aspetta un<br />

fatturato <strong>di</strong> “64 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> euro”, destinerà 4 miliar<strong>di</strong> a Fiat Industrial, il 65% per<br />

Fiat Group Automobiles, investimenti previsti [...] per Fiat Group Automobiles,<br />

prodotti da Fiat, L'ʹamministratore delegato <strong>di</strong> Fiat, stabilimenti Fiat, la Fiat è<br />

<strong>di</strong>sponibile a collaborare, degli accor<strong>di</strong> in Fiat, Fiat non ha nessuna intenzione <strong>di</strong><br />

abbandonare l'ʹItalia, Fiat fa parte <strong>di</strong> questo Paese, Per l'ʹamministratore delegato <strong>di</strong><br />

Fiat, la Fiat è l'ʹunica grande azienda, l'ʹad <strong>di</strong> Fiat, i trattamenti che la Fiat nel<br />

tempo ha riconosciuto alle proprie persone; in tutto 34 occorrenze, 12 delle quali<br />

3 D’ora in poi «S24o»


150<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

introdotte dall’articolo, fra cui mi limito a sottolineare la Fiat ha progetti<br />

ambiziosi per l’Italia (nel titolo) <strong>di</strong> fronte a Fiat non ha nessuna intenzione <strong>di</strong><br />

abbandonare l'ʹItalia; l’amministratore delegato <strong>di</strong> Fiat alternato a<br />

l'ʹamministratore delegato della Fiat; il cuore della Fiat accanto a gli investimenti<br />

<strong>di</strong> Fiat. Il fatto è che al <strong>di</strong> là del conflitto economico, politico e sindacale,<br />

dobbiamo occuparci qui d’un conflitto <strong>di</strong> tutt’altra portata fra due norme<br />

sintattiche, <strong>di</strong> cui una più recente, della quale cercheremo <strong>di</strong> determinare<br />

l’origine e la natura.<br />

La norma tra<strong>di</strong>zionale è descritta dalle grammatiche dell’italiano, anche<br />

se la maggior parte <strong>di</strong> esse la <strong>di</strong>segna a una scala che non permette <strong>di</strong><br />

seguirne nitidamente tutti i frastagliati confini. Ci atterremo, quin<strong>di</strong>, solo a<br />

quelle che potranno servire ai fini della nostra analisi, a partire da alcuni<br />

paragrafi <strong>di</strong> Fornaciari (1884), il quale fra i nomi ai quali si premette<br />

l’articolo determinativo in<strong>di</strong>vidua la classe dei «nomi determinati <strong>di</strong> per<br />

sè», vale a <strong>di</strong>re quelli che<br />

significano cose uniche in natura, p. es. il sole, la luna, la terra; i nomi <strong>di</strong> materia,<br />

l’oro, il rame, il vino; i nomi proprii <strong>di</strong> nazioni, <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> isole, <strong>di</strong> fiumi, <strong>di</strong> monti, <strong>di</strong><br />

laghi, p. es. la Francia, la Corsica, il Tevere, l’Appennino ecc. ecc.; i nomi usati in senso<br />

d’antonomasia, p. es. la società, la Provvidenza (XIII 3).<br />

Si esaminano nel seguito sia le eccezioni a questa norma generale sia<br />

altri casi <strong>di</strong> ellissi. Così, nella sezione intitolata Omissione regolare<br />

dell’articolo, si legge che per lo più l’articolo è respinto dai «nomi in<br />

singolare <strong>di</strong> provincie e <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> isole, purchè <strong>di</strong> genere femminile in a [...]<br />

dopo le preposiz. <strong>di</strong> ed in (in senso locale)» (XIII 34); «nelle enumerazioni»<br />

(XIII 37); «dopo forme comparative, come, a guisa, a f<strong>oggi</strong>a, a modo <strong>di</strong>» (XIII<br />

40). Se i nomi vengono coor<strong>di</strong>nati, l’articolo può essere omesso «quando e il<br />

primo e gli altri sostantivi l’ometterebbero, se fossero soli» (XIII 43). In tutta<br />

la trattazione non vengono presi in considerazione nomi <strong>di</strong> <strong>di</strong>tte, <strong>di</strong><br />

associazioni o <strong>di</strong> istituzioni 4.<br />

4 Con l’eccezione del § 36 dove si trova «Parlamento italiano, Camera de’ Deputati, Cose esterne,<br />

Cronaca della città, Stato Civile», ma si sta esemplificando l’assenza dell’articolo «nelle<br />

soprascritte, nei titoli, nelle date, nelle rubriche dei libri o dei capitoli».<br />

Nelle grammatiche successive <strong>di</strong> solito non si arriva a trattare un caso così specifico come<br />

l’incontro fra articolo determinativo e nomi <strong>di</strong> questa specie: cfr. Dardano&Trifone (1995),<br />

Salvi&Vanelli (2004), Patota (2006), Pran<strong>di</strong> (2006) o anche Della Valle&Patota (2007). Più<br />

significativa l’assenza nel cap. L’uso dell’articolo <strong>di</strong> Lepschy&Lepschy (1981).


S. Marroni 151<br />

Questi ultimi sono invece inclusi negli esempi addotti da Serianni (1991)<br />

nei paragrafi de<strong>di</strong>cati all’uso dell’articolo con le sigle (IV 9-­‐‑12). Li<br />

riportiamo integralmente, inserendoli in uno schema che illustra i casi<br />

possibili.<br />

Iniziale<br />

vocalica<br />

Femm. l’OLP,<br />

l’USL / la<br />

USL<br />

Masch. l’AUC,<br />

l’ENI,<br />

l’UFO<br />

gli USA<br />

Pronuncia<br />

unitaria<br />

la FIAT,<br />

la DIGOS<br />

il MEC, il<br />

PRI, il PSI<br />

lo SME,<br />

lo S<strong>di</strong> 7<br />

Tab. 1<br />

Iniziale consonantica<br />

Pronuncia con compitazione<br />

Iniziale<br />

consonantica<br />

Reggenza<br />

lessicale5 la DC, la BNL la FLM,<br />

la RSI<br />

il CNR, il BR 8 il FBI,<br />

il MSI<br />

Iniziale vocalica<br />

Reggenza<br />

fonetica6 l’FLM, l’RSI<br />

l’FBI, l’MSI,<br />

l’S<strong>di</strong><br />

(V) (Cu) (Cc) (Cvl) (Cvf)<br />

Quel che importa sottolineare qui sono le forme verbali impiegate da<br />

Serianni per enunciare la norma 9; caso (V): «Quale che ne sia la pronuncia<br />

[...] si usano gli articoli prevocalici»; caso (Cu): «vogliono l’articolo<br />

preconsonantico»; caso (Cc): «avremo il e un»; casi (Cvl) e (Cvf): si esamina<br />

l’oscillazione, in<strong>di</strong>cando una preferenza per (Cvl) nel femminile e<br />

5 L’articolo ha il genere e la forma richiesta dalla prima parola del sintagma pronunciata per<br />

esteso.<br />

6 L’articolo ha il genere richiesto dalla prima parola del sintagma, ma la forma si adegua alla<br />

realizzazione fonetica della sigla.<br />

7 Così nella «R» del 25.3.1986 ci si riferiva alla Strategic Defense Initiative, mentre «Il<br />

Gazzettino» del giorno prima ha l’S<strong>di</strong> (Serianni 1991, IV 11). Com’è noto, l’oscillazione nel<br />

genere degli anglicismi è frequente.<br />

8 Nel senso <strong>di</strong> ‘l’esponente delle Brigate Rosse’.<br />

9 Saranno evidenziate con il corsivo.


152<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

concludendo che si ha «solo, ovviamente: la DC, la BNL, ecc.»; e se sulla<br />

defunta Dc siamo tutti d’accordo, le cose cambiano, invece, per la Bnl 10.<br />

Un possibile uso <strong>di</strong> sigle non articolate è in<strong>di</strong>cato nella sezione de<strong>di</strong>cata<br />

all’omissione dell’articolo nell’italiano contemporaneo; la regola generale<br />

non viene applicata, infatti,<br />

[i]n un certo numero <strong>di</strong> complementi <strong>di</strong> luogo, specie se introdotti da in: lavorare in<br />

fabbrica, restare in camera, pregare in chiesa, andare in ufficio, recarsi in prefettura, vivere<br />

in provincia, andare a casa; anche con sigle: «Il senatore Norberto Bobbio venerdì era<br />

a Roma in Rai» («Stampa sera», 29.12,1986, 13; ma si potrebbe <strong>di</strong>re anche «alla Rai»)<br />

(Serianni 1991, IV 72 d);<br />

dove si scorgerà il velato giu<strong>di</strong>zio racchiuso nella parentesi. Raccogliamo<br />

ancora l’osservazione relativa alle sequenze <strong>di</strong> più termini, in cui «è buona<br />

norma ripetere l’articolo (o la preposizione articolata o il partitivo) davanti<br />

a ciascuno <strong>di</strong> essi, oppure ometterlo sempre» (IV 73), e passiamo ad alcune<br />

osservazioni sui toponimi, utili ai fini del nostro <strong>di</strong>scorso. Trattando <strong>di</strong><br />

nomi <strong>di</strong> regioni, stati e continenti che normalmente vengono preceduti<br />

dall’articolo, Serianni (1991, IV 41) nota, fra l’altro,<br />

a) che, se il toponimo ha la funzione <strong>di</strong> soggetto o <strong>di</strong> oggetto <strong>di</strong>retto,<br />

«l’articolo è <strong>di</strong> norma presente: “la Basilicata ha due province”, “amare<br />

la Cina”», ma «è spesso assente nelle enumerazioni: “Olanda, Belgio e<br />

Lussemburgo costituiscono il Benelux”»;<br />

b) che, se il toponimo è preceduto da preposizione, «l’articolo è sempre<br />

presente, inglobato in una preposizione articolata, quando il toponimo<br />

ha forma plurale: “la politica degli Stati Uniti”, “andare nelle<br />

Filippine”. Con i singolari, è spesso assente quando il nome è retto da<br />

<strong>di</strong> e in, generalmente presente con le altre preposizioni [...]: “il re <strong>di</strong><br />

Spagna”, “vivere in Veneto” (ma anche: “a gloria della Spagna”,<br />

“vivere nel Veneto”)».<br />

10 Il focus <strong>di</strong> Serianni è sulla forma dell’articolo; a noi interessa principalmente, in questa sede,<br />

che l’ipotesi della sua assenza non sia contemplata. Maiden&Robustelli (2007, 3.14), trattando<br />

del genere delle sigle, elencano l’ONU, le FS, il PCI (un curioso anacronismo, viste le date della<br />

prima e della seconda e<strong>di</strong>zione), la NATO, la NASA, la CIA. Nel seguito non è fatto alcun<br />

cenno d’una possibile omissione che riguar<strong>di</strong> specificamente i nomi <strong>di</strong> <strong>di</strong>tte, associazioni o<br />

istituzioni, che, pertanto, appaiono inclusi nei casi generali.


S. Marroni 153<br />

Dal capitolo de<strong>di</strong>cato all’articolo della GGIC (2001) 11 traiamo innanzi<br />

tutto alcune considerazioni generali.<br />

I nomi propri, in virtù del loro valore intrinsecamente referenziale e quin<strong>di</strong> del loro<br />

carattere intrinsecamente determinato, sono ovviamente <strong>di</strong>versi dai nomi comuni<br />

(massa e/o numerabili) e hanno comportamenti <strong>di</strong>versi. Tale <strong>di</strong>versità è marcata<br />

innanzitutto dal fatto che le regole per l’uso dell’articolo determinativo, valide per i<br />

nomi comuni, non sono altrettanto valide per i nomi propri. Infatti, la presenza o<br />

assenza dell’articolo determinativo con tali nomi non in<strong>di</strong>ca l’opposizione<br />

determinatezza/indeterminatezza, ma l’articolo costituisce piuttosto, insieme con il<br />

nome proprio, una unica unità, arbitraria, <strong>di</strong> denominazione come in la Campania, le<br />

Alpi, la Fiat, il Giovanni, il Rossi, il Manzoni, ecc. (GGIC 2001, V.4.1.)<br />

Fra gli esempi compare la Fiat, presentata come un’unità <strong>di</strong><br />

denominazione al pari <strong>di</strong> la Campania o le Alpi. Nell’esaminare, poi, gli usi<br />

dell’articolo in relazione ai sintagmi intrinsecamente determinati, come i<br />

nomi propri, la GGIC fornisce numerosi esempi, avvertendo che<br />

«[l]’in<strong>di</strong>cazione dell’articolo determinativo o della sua mancanza, o della<br />

sua facoltatività, si riferisce al caso più frequente» e che alcuni contesti<br />

particolari possono limitarne la comparsa. Trascegliamo le categorie che<br />

riguardano più o meno da vicino la nostra analisi.<br />

II. Nomi <strong>di</strong> istituzioni, società, avvenimenti storici, ecc.<br />

f) il Cremlino, il Pentagono, la Crusca; la Fiat; le Generali; il Cristianesimo, il Terrore;<br />

il Novecento; la Disfida <strong>di</strong> Barletta<br />

[...]<br />

IV. Nomi <strong>di</strong> luogo<br />

[...]<br />

m) terre:<br />

i) continenti: l’Africa<br />

ii) stati; nazioni: l’Italia; gli Stati Uniti; ma: __ Cuba [...], __ Andorra<br />

iii) regioni (amministrative o geografiche): la Lombar<strong>di</strong>a, il Veneto, i<br />

Balcani, la Terra Santa, ecc.<br />

11 Scritto da Lorenzo Renzi.


154<br />

[...]<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

s) locali pubblici; istituti (intesi come e<strong>di</strong>fici):<br />

i) il Roma (=caffè, cinema, albergo Roma)<br />

ii) la Kennedy (=scuola Kennedy); l’Ucciardone (=carcere<br />

dell’Ucciardone); il Mozartheum (=conservatorio); il Forlanini<br />

(=aeroporto)<br />

t) squadre sportive, gruppi e simili: il Napoli, il Petrarca, la ‘Sani e Forti’ (GGIC<br />

2001, VII.3.3.1.1).<br />

La norma richiede, quin<strong>di</strong>, la Fiat, le Generali. Sono ammesse deflessioni<br />

in alcuni contesti. Poiché si parla ancora <strong>di</strong> Fiat 12, riportiamo il commento a<br />

f).<br />

Bisogna <strong>di</strong>stinguere un nome come la Fiat (in<strong>di</strong>cante l’industria, o la fabbrica, o il<br />

consiglio <strong>di</strong> amministrazione della Fiat), che non ha plurale e non può avere<br />

articolo indeterminativo, da Fiat pseudo nome proprio, cioè in realtà nome comune<br />

[...], che ha anche l’articolo indeterminativo e il plurale: una Fiat = «un’automobile<br />

Fiat»; delle Fiat = «delle automobili Fiat»; o «delle azioni della Fiat», ecc. (GGIC 2001,<br />

VII.3.3.1.1).<br />

Aggiungiamo subito che ci sarà utile anche il commento a s) e t).<br />

Nelle categorie s) e t) l’articolo non si accorda per genere (e/o per numero) col<br />

nome. In realtà l’articolo è accordato con un nome comune sottinteso: la Kennedy<br />

(=la scuola Kennedy), il Napoli (=il club Napoli). Questi nomi sottintesi possono<br />

essere anche del tutto assenti della coscienza linguistica dei parlanti, come in<br />

quest’ultimo caso (GGIC 2001, VII.3.3.1.1).<br />

Tornando alle deflessioni dalla norma generale, la GGIC prende in<br />

considerazione due contesti: il primo si determina quando un nome<br />

proprio <strong>di</strong> luogo che ha obbligatoriamente l’articolo si trova preceduto<br />

dalla «preposizione <strong>di</strong>, in uno qualsiasi dei suoi significati», il secondo<br />

quando un nome della stessa classe viene preceduto dalla «preposizione in,<br />

con significato locale» (VII.3.3.1.2). In entrambi i casi l’omissione è limitata<br />

ai nomi singolari e può essere obbligatoria o facoltativa a seconda della<br />

sottoclasse coinvolta; talora la scelta appare del tutto i<strong>di</strong>osincratica.<br />

12 L’ellissi <strong>di</strong>pende, com’è ovvio, dalla norma secondo cui «[l]’articolo viene sempre omesso<br />

quando un termine sia adoperato in funzione metalinguistica» (Serianni 1991, IV 72 n).


S. Marroni 155<br />

Tuttavia «[l]a presenza <strong>di</strong> un mo<strong>di</strong>ficatore accanto al nome proprio rende<br />

obbligatorio l’articolo». Ora, benché il paragrafo si occupi <strong>di</strong> nomi propri <strong>di</strong><br />

luogo e tragga tutti gli esempi dalle lettere l) ed m), incluse nella classe<br />

Nomi <strong>di</strong> luogo del § VII.3.3.1.1., ad un tratto ricompare la Fiat, che, come<br />

abbiamo visto è inserita nella classe Nomi <strong>di</strong> istituzioni, società, avvenimenti<br />

storici, ecc.; si tratta tuttavia d’un esempio in cui il nome ha un ruolo<br />

locativo, un esempio che introduce un elemento semantico su cui<br />

torneremo.<br />

In genere l’uso <strong>di</strong> in senza articolo rivela familiarità con l’oggetto in questione. Solo<br />

un impiegato o un operaio della Fiat <strong>di</strong>rebbe:<br />

(227) Lavoro in Fiat.<br />

Gli altri <strong>di</strong>cono: alla Fiat. (VII.3.3.1.2.) 13<br />

Alla sintassi dell’articolo avevano de<strong>di</strong>cato anni prima alcune pagine<br />

Lepschy&Lepschy (1981). Fra le altre acute osservazioni, interessa qui<br />

riportare, poiché aggiunge un elemento assente anche nelle trattazioni più<br />

recenti, quella relativa ai titoli <strong>di</strong> giornale o <strong>di</strong> perio<strong>di</strong>co inserita nel<br />

paragrafo riguardante l’omissione dell’articolo,<br />

[p]er <strong>brevi</strong>tà, in telegrammi (e messaggi pubblicitari) [...] e in espressioni create per<br />

essere <strong>brevi</strong> e efficaci come titoli <strong>di</strong> libri, <strong>di</strong> perio<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong> film: Guerra e pace; Rinascita;<br />

Senso, ecc. Si noti l’ho letto su Rinascita e non sulla Rinascita; ma sul Corriere della sera<br />

(sebbene il titolo sia Corriere della sera); su o sulla Repubblica (il titolo è la Repubblica)<br />

(150) 14 .<br />

Se ora, alla luce <strong>di</strong> quanto descritto dalle più autorevoli grammatiche<br />

della nostra lingua, tornassimo agli esempi da cui siamo partiti, dovremmo<br />

concludere che la maggioranza <strong>di</strong> essi andrebbe asteriscata. E tuttavia<br />

sarebbe imprudente attribuirli alla trascuratezza <strong>di</strong> alcuni giornalisti,<br />

perché quegli usi travalicano le pagine e i siti dei giornali o gli stu<strong>di</strong> dei<br />

telegiornali, ci circondano e penetrano nella nostra lingua quoti<strong>di</strong>ana fino a<br />

modellare il nostro sentimento della norma 15. Meglio porsi alcune domande<br />

intorno a quello che si configura come un possibile mutamento <strong>di</strong>acronico<br />

13 Nessuno dei passi della GGIC citati è stato mo<strong>di</strong>ficato rispetto all’e<strong>di</strong>zione del 1991.<br />

14 L’oscillazione non viene ricondotta ad alcuna regolarità.<br />

15 Cfr. Serianni (2004).


156<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

che investe l’uso dell’articolo determinativo con i nomi propri <strong>di</strong><br />

istituzioni, società, enti 16.<br />

-­‐ Le grammatiche recenti esaminate hanno descritto uno stato <strong>di</strong> lingua<br />

effettivo oppure hanno ignorato o emarginato o <strong>di</strong>storto fenomeni<br />

presenti nell’uso?<br />

-­‐ Se esse hanno descritto uno stato effettivo, da quando la situazione è<br />

cambiata e quali sono stati i tempi del cambiamento?<br />

-­‐ Da quale settore della lingua originano questi costrutti?<br />

-­‐ In quali settori hanno potuto trovare un humus favorevole alla loro<br />

<strong>di</strong>ffusione?<br />

-­‐ Perché si propagano con tanta rapi<strong>di</strong>tà?<br />

Per rispondere, abbiamo innanzi tutto condotto un’analisi con strumenti<br />

informatici su quattro corpus <strong>di</strong> testi: il LIP, il CoLFIS, l’OTA ComIC e l’OTA<br />

Newspapers 17. Sono stati compilate due liste, una <strong>di</strong> nomi <strong>di</strong> società 18, l’altra<br />

<strong>di</strong> nomi <strong>di</strong> istituzioni, enti, associazioni scelti in base alla loro <strong>di</strong>ffusione e<br />

alle loro caratterstiche linguistiche, tali cioè da rappresentare formazioni <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>verso tipo: sigle (Fiat), acronimi (Fininvest), troncamenti (Telecom),<br />

composti (Alitalia), nomi comuni (Poste), antroponimi (Barilla),<br />

polirematiche (Alleanza nazionale), polirematiche abitualmente scorciate<br />

(Assicurazioni generali → Generali).<br />

16 In realtà il mutamento sembra aggre<strong>di</strong>re anche altre classi <strong>di</strong> nomi intrinsecamente<br />

determinati, ma è in quest’ambito che gli effetti si sono manifestati con maggiore estensione e<br />

compattezza.<br />

17 Il LIP (Lessico <strong>di</strong> frequenza dell'ʹitaliano parlato), <strong>di</strong>retto da T. De Mauro, contiene 469 testi<br />

parlati registrati a Milano, Firenze, Roma e Napoli per un totale <strong>di</strong> 490.000 parole circa. Risale<br />

agli anni 1990-­‐‑92. Il CoLFIS (Corpus e Lessico <strong>di</strong> Frequenza dell'ʹItaliano Scritto Contemporaneo),<br />

curato da P. M. Bertinetto e altri, raccoglie testi tratti da quoti<strong>di</strong>ani, perio<strong>di</strong>ci e libri per un<br />

totale <strong>di</strong> 3.798.275 occorrenze. È stato costituito tra il 1992 e il 1994. L’OTA (Oxford Text<br />

Archive) Corpus of Italian Newspapers, curato da E. Burr, comprende articoli pubblicati dal<br />

«Mattino» (d’ora in poi «M»), dalla «R» e dalla «Stampa» (d’ora in poi «S») nel 1989. L’OTA<br />

ComIC (Oxford Text Archive Commercial Italian Corpus), curato da S. Laviosa, contiene saggi e<br />

articoli d’argomento economico datati dal 1986 al 2001. Complessivamente i corpus oxoniensi<br />

contengono circa 600.000 occorrenze.<br />

18 Per la scelta ci si è avvalsi soprattutto <strong>di</strong> Me<strong>di</strong>obanca (2010), oltre che delle statistiche <strong>di</strong><br />

«Forbes» e <strong>di</strong> «Fortune» relative allo stesso anno.


S. Marroni 157<br />

Tab. 2<br />

I. Società II. Istituzioni, enti, associazioni<br />

(Assicurazioni) Generali<br />

Acea<br />

Agip<br />

Alitalia<br />

Atac<br />

Ataf<br />

Atan<br />

Atm<br />

Autogrill<br />

Barilla<br />

Benetton<br />

Bnl<br />

E<strong>di</strong>son<br />

Enel<br />

Eni<br />

Fiat<br />

Fininvest<br />

Finmeccanica<br />

Ina<br />

Me<strong>di</strong>aset<br />

Monte<strong>di</strong>son<br />

Perugina<br />

Poste (italiane)<br />

Rai<br />

Telecom<br />

Alleanza Nazionale<br />

An<br />

Banca centrale (europea)<br />

Banca d'ʹItalia<br />

Bankitalia<br />

Bce<br />

Cgil<br />

Col<strong>di</strong>retti<br />

Confesercenti<br />

Confindustria<br />

Fi<br />

Fiom<br />

Fmi<br />

Fondo monetario (internazionale)<br />

Forza Italia<br />

Interpol<br />

Ocse<br />

Onu<br />

Prc<br />

Rifondazione (comunista)<br />

Sinistra democratica<br />

Sinistra giovanile<br />

Ue<br />

Unione europea<br />

È opportuno partire dai dati offerti dal LIP, per poi confrontarli con<br />

quanto emerge dai corpus d’italiano scritto, giacché qui pare situarsi una<br />

prima linea <strong>di</strong> confine. Dei nomi della I lista si danno 44 occorrenze, <strong>di</strong> cui<br />

11 vanno sottratte perché la presenza (2) o l’assenza (9) dell’articolo è del<br />

tutto normale. Sono stati scartati, infatti, da un lato i casi in cui l’articolo è<br />

richiesto dalla presenza d’un mo<strong>di</strong>ficatore del nome 19, dall’altro quelli,<br />

molto frequenti in particolare nei testi scritti, in cui l’articolo non può che<br />

19 O quelli, rari, in cui il nome è preceduto da un articolo indeterminativo, spia d’un uso come<br />

pseudo-­‐‑nome proprio (cfr. GGIC VII.3.3.1.).


158<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

mancare dato l’uso appositivo, come in orchestra Rai o vicende Fiat 20. Fra le<br />

33 occorrenze rimanenti in un unico caso si registra l’omissione, per <strong>di</strong> più<br />

in una struttura coor<strong>di</strong>nata: noi siamo la brutta copia del Corriere della sera<br />

senza Fiat senza inviati dell’Italia 21.<br />

La II lista conta complessivamente 65 occorrenze, <strong>di</strong> cui 12 vanno<br />

sottratte (7 con articolo e 5 senza) per i motivi appena esposti. Sui 53<br />

restanti, i casi <strong>di</strong> omissione sono 5: uno in dentro Rifondazione 22 e quattro<br />

davanti a CGIL, CISL e UIL.<br />

Concludendo, il quadro che emerge dal LIP si accorda alle regole<br />

esposte nelle grammatiche.<br />

Interroghiamo, allora, i corpus scritti, cominciando con la I lista. Le<br />

occorrenze totali sono 1360 23, utili 1004, tolte le 27 con articolo obbligatorio<br />

e le 329 con assenza con<strong>di</strong>zionata, soprattutto dall’impiego frequentissimo<br />

come apposizione ma anche da tipici moduli giornalistici. Nella titolazione<br />

è respinto l’articolo sia quando, raramente, titolo e nome sono tutt’uno sia<br />

quando, più spesso, il nome funge da tema separato da un qualche segno<br />

d’interpunzione, come per es. in Atac, la fermata è <strong>di</strong> notte; Fiat: Pace tra i<br />

giu<strong>di</strong>ci e guerra tra i sindacati. Più in generale l’articolo manca in formule<br />

sintetiche come RAI-­‐‑SPONSOR, SOSPENSIONI CANCELLATE, l’accordo<br />

Alivar-­‐‑Barilla, neologismi, come decreto salva Rai 24, liste, fra le quali<br />

20 Inoltre i pochi in cui l’omisssione è imposta dalla locuzione preposizionale precedente, per<br />

es. in qualità <strong>di</strong>.<br />

21 È significativo che nel LIP della I lista compaiano solo i nomi seguenti, in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

frequenza: Rai, Fiat, Acea, Fininvest e con un’occorrenza ciascuno Agip, Alitalia, Atac, Bnl, Enel,<br />

Perugina.<br />

22 Nel febbraio 1991 si svolge l’ultimo congresso nazionale del Pci, nel quale si compie la<br />

scissione che dà vita al Movimento per la Rifondazione Comunista. Il LIP riflette imme<strong>di</strong>atamente<br />

gli eventi. Anche per la II lista è significativo l’elenco dei presenti, che poniamo in or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />

frequenza: Cgil, Fiom, Confindustria, Sinistra giovanile, Onu, infine, con un’occorrenza ciascuno,<br />

Banca d’Italia e, per l’appunto, Rifondazione. Ai fini del nostro <strong>di</strong>scorso è opportuno ricordare<br />

che sia nell’uso giornalistico sia nel parlato quoti<strong>di</strong>ano Rifondazione (comunista) è stata sempre<br />

la designazione normale. È verisimile che una larga parte degli italiani ignorasse o trascurasse<br />

il fatto che il nome ufficiale fosse Partito della Rifondazione Comunista, tanto più che d’una<br />

rifondazione comunista s’era parlato vivacemente per mesi (ben 11 occorrenze nel LIP) prima del<br />

congresso costitutivo del <strong>di</strong>cembre 1991, che sancì il nome ufficiale dopo un lungo e<br />

controverso <strong>di</strong>battito in cui molti si opposero al termine partito. Di fatto, esso compare con una<br />

circolazione più limitata, quasi solo scritta e quasi solo nella sigla Prc.<br />

23 Assente solo Ataf.<br />

24 Composto non saldato graficamente; anche salva-­‐‑Rai.


S. Marroni 159<br />

richiamiamo l’attenzione, ai fini del nostro <strong>di</strong>scorso, su quelle dei titoli <strong>di</strong><br />

borsa, che tendono a comparire privi dell’articolo anche nei resoconti degli<br />

andamenti della giornata 25. Si potrebbe obiettare che in questo campo ci si<br />

riferisce alle azioni, ma in realtà l’uso frequentemente al singolare del verbo<br />

o la sua assenza rendono tale riferimento molto ambiguo 26, come mostrano<br />

gli esempi seguenti: Tra i bancari ha chiuso in virata Bnl (meno 2,43%). In<br />

picchiata Banca <strong>di</strong> Roma che è scesa del 6,08% a 3,3 euro; Pesante Fiat che ha<br />

ceduto il 3,1%, proprio in relazione alla crisi argentina; Oltre 500 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

scambi in Piazza Affari, Fiat su del 5,9%, Generali del 3,08%, Me<strong>di</strong>obanca del<br />

4,87%, STET del 5,03%, Olivetti del 4,52%.<br />

Le occorrenze dei nomi della II lista sono 1334; anche qui vanno sottratti<br />

12 più 147 casi d’uso con<strong>di</strong>zionato, per un totale netto <strong>di</strong> 1175.<br />

A questo punto, se calcoliamo le percentuali dei contesti in cui l’articolo<br />

è necessariamente escluso sul totale delle occorrenze, si ottiene questa<br />

sequenza:<br />

Tab. 3<br />

S.I (= corpus scritto, lista I)<br />

P.I (= corpus parlato, lista I)<br />

S.II (= corpus scritto, lista II)<br />

P.II (= corpus parlato, lista II)<br />

24,19%<br />

20,45%<br />

11,01%<br />

7,69%<br />

dal che si ricava, anche se per via in<strong>di</strong>ziaria, che i nomi <strong>di</strong> società si<br />

presentano più facilmente in tali contesti (si arriva quasi a un quarto delle<br />

occorrenze nel corpus scritto) e che l’uso scritto costituisce un terreno più<br />

favorevole. Un altro fattore facilitante è la forma <strong>di</strong> sigla, come mostra la<br />

seguente tabella relativa al corpus scritto.<br />

25 Mentre le liste sono escluse, i resoconti sono inclusi nel nostro computo.<br />

26 All’interno d’un genere testuale che pre<strong>di</strong>lige l’espressione nominale.


160<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

Tab. 4<br />

Forma Occ. tot. Occ. con omissione<br />

obbligatoria (% sul tot.)<br />

Banca Centrale Europea<br />

BCE<br />

Fondo Monetario Internazionale<br />

FMI<br />

Unione Europea<br />

UE<br />

13<br />

35<br />

26<br />

33<br />

105<br />

67<br />

7,69%<br />

17,14%<br />

3,84%<br />

15,15%<br />

0,95%<br />

41,79%<br />

Veniamo ora a quei costrutti in cui la caduta dell’articolo determinativo<br />

è una possibile alternativa in italiano registrata dalle principali<br />

grammatiche, cioè coppie, terne o sequenze <strong>di</strong> nomi coor<strong>di</strong>nati fra loro in<br />

maniera sindetica o asindetica 27, in<strong>di</strong>pendentemente dall’eventuale<br />

presenza <strong>di</strong> preposizioni. A riprova <strong>di</strong> questa libertà con<strong>di</strong>zionata traiamo<br />

qualche esempio illustre dal settore dei toponimi che normalmente esigono<br />

l’articolo 28.<br />

Rimase romana tutta la gente latina, Francia, Spagna, Italia. (F. De Sanctis, Storia<br />

della letteratura italiana)<br />

Spagna e papa non potevano <strong>di</strong>re: «L’Italia siamo noi». [...] E se vogliamo trovare i<br />

vestigi <strong>di</strong> una nuova Italia, che si vada lentamente elaborando, dobbiamo cercarli<br />

nell’opposizione fatta a Spagna e papa. (ibi) 29<br />

[...] e potete credere che cacciato <strong>di</strong> lì, né Francia né Spagna sarebbero state <strong>di</strong>sposte<br />

ad aprirmi le braccia (I. Nievo, Le confessioni <strong>di</strong> un italiano)<br />

Come se Spagna e Piemonte fossero due gemelli, che possono scambiarsi panni<br />

tagliati ad uno stesso dosso! (M. D’Azeglio, I miei ricor<strong>di</strong>)<br />

[...] e tutti que’ <strong>di</strong>scorsi che fanno, sul vicario <strong>di</strong> provvisione e il governatore e<br />

Ferrer e i decurioni e i cavalieri e Spagna e Francia e altre simili corbellerie, far vista<br />

27 Cfr. Serianni (1991, IV 73); GGIC (2001, VII.3.2., VII.5.2); Maiden&Robustelli (2007, 4.16). I<br />

connettivi considerati sono e, o, sia... sia, né e simili.<br />

28 Come abbiamo visto, la GGIC accosta la Fiat ai nomi <strong>di</strong> luogo in più d’un’occasione.<br />

29 Oltre alla reggenza preposizionale, è notevole l’assimilazione sintattica <strong>di</strong> papa a un nome <strong>di</strong><br />

nazione; cfr. anche «Ma saviezza fiorentina e immaginazione napoletana erano del pari<br />

sospette a Chiesa e Spagna» (ibi).


<strong>di</strong> non sentire (A. Manzoni, I promessi sposi) 30<br />

S. Marroni 161<br />

Per la pace conchiusa nel 1801 tra Francia e Austria (V. Monti)<br />

Aggiungiamo un esempio d’omissione in una coor<strong>di</strong>nazione asimmetrica<br />

con un primo termine appartenente ai nomi <strong>di</strong> città, che, quasi tutti,<br />

respingono l’articolo in qualsiasi contesto.<br />

Fu condannato da Roma e da Spagna, ribelle ed eretico, e tenuto in prigione<br />

ventisette anni, sottoposto alla tortura sette volte. (F. De Sanctis, Storia della<br />

letteratura italiana)<br />

Tornando ai nomi delle classi che c’interessano più <strong>di</strong>rettamente, nel LIP<br />

troviamo 14 presenze all’interno <strong>di</strong> costruzioni come queste: 10 articolate e<br />

4 non articolate (28,57%). Nel corpus scritto, invece, le presenze sono<br />

numerose, 281 in totale, e il rapporto fra presenza e assenza dell’articolo<br />

favorisce nettamente quest’ultima con l’80,07%. Va sgombrato, dunque, il<br />

campo da occorrenze in cui l’omissione può essere considerata regolare,<br />

come in Confindustria e sindacati hanno rinviato tutto; ma Generali e<br />

Bankamericard assicurano che [...]; conteggiando ministeri, università e Banca<br />

d’Italia; riunire in una superhol<strong>di</strong>ng energetica Eni ed Enel; consigliere <strong>di</strong><br />

Me<strong>di</strong>obanca e Generali; capitale riservato ad Ina e Inps; La manifestazione,<br />

organizzata da CGIL, CISL e UIL; Tra Stet, Sip, Snam ed Enel lo Stato “tiene” sui<br />

servizi; il problema della <strong>di</strong>visione dei posti tra Ina e Inps 31.<br />

Serve un’ultima potatura, per raccogliere quei nomi inclusi nella ricerca<br />

che rifiutano costantemente l’articolo; si tratta <strong>di</strong> nomi <strong>di</strong> raggruppamenti<br />

politici che non hanno o non presuppongono alla loro base nel sentimento<br />

dei parlanti un nome comune come partito, movimento, lega, unione o simili:<br />

Forza Italia (152 occorrenze totali più una <strong>di</strong> FI), Rifondazione Comunista (108<br />

30 Si noti l’assenza dell’articolo davanti ai nomi propri (<strong>di</strong> persona, ovviamente, e <strong>di</strong> nazione) e<br />

la sua presenza davanti ai nomi comuni nella medesima coor<strong>di</strong>nazione.<br />

31 A proposito del tipo tra SN e SN, vd. GGIC VII.4.3.4., in cui sono in<strong>di</strong>cati alcuni vincoli,<br />

l’ultimo dei quali («Il tipo riguarda due SN singolari. Il plurale è escluso del tutto, a meno che<br />

non sia limitato [...] al solo secondo membro») mi pare infondato, anche alla luce <strong>di</strong> esempi<br />

come: il “no” all’accordo fra sindacati, Confindustria e governo sul costo del lavoro o il duello era fra<br />

progressisti e Forza Italia, o, uscendo dall’ambito dei nostri nomi: Differenze tra bambini bianchi e<br />

bambini neri? Che sciocchezze; assi <strong>di</strong> raccordo tra aree industriali e grande viabilità; tra cattolici e<br />

marxisti; patto tra comunisti e Nuova Democrazia; Più che un incontro tra cronisti e tecnico è sembrato<br />

<strong>di</strong> partecipare ad uno «psicodramma»; tavolo <strong>di</strong> concertazione tra parti in causa e neo-­‐‑Governo; e si<br />

potrebbe facilmente continuare.


162<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

occorrenze totali più una <strong>di</strong> RC), cui si associa Alleanza Nazionale (50<br />

occorrenze totali) nonostante alleanza. Vengono percepiti, evidentemente,<br />

come “nomi titolo”, per riecheggiare la classificazione <strong>di</strong> Fornaciari (1884),<br />

anziché come nomi <strong>di</strong> partito, e come tali rifiutano l’articolo 32.<br />

Due grafici a torta permettono d’apprezzare quanto siano consistenti le<br />

fette delle omissioni riconducibili nel solco della tra<strong>di</strong>zione, oltre che<br />

sensibilmente più abbondanti nello scritto che nell’orale; i dati sono<br />

racchiusi in gran<strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visioni: articolo od omissione obbligatori, articolo<br />

od omissione in strutture coor<strong>di</strong>nate od enumerative, omissione con i<br />

“nomi titolo” 33, articolo od omissione negli altri casi.<br />

Art<br />

64%<br />

Ø Art obbl.<br />

1% 8%<br />

LIP<br />

Ø obbl.<br />

13%<br />

Art Coord.<br />

9%<br />

Ø Coord.<br />

4%<br />

Ø "Nomi<br />

7tolo"<br />

1%<br />

32 Cfr. il CCD, l’MPA (il MPA), il PD, il PDCI, il PDS, il PPI, l’UDC, l’UDR. È significativa<br />

l’alternanza il PRC / Ø Rifondazione Comunista. Viene da chiedersi, naturalmente, quanto<br />

questo rifiuto dell’articolo consuoni con un rifiuto della forma e del termine partito che ha<br />

caratterizzato la politica italiana all’indomani della crisi del ’92-­‐‑’94 (Alleanza Nazionale si<br />

costituisce nel gennaio del 1995). Nella microsintassi emergerebbe allora un sintomo <strong>di</strong><br />

processi <strong>di</strong> ben altra portata; ma su questo sarebbero necessarie analisi più approfon<strong>di</strong>te.<br />

33 Solo nei contesti restanti, in cui gli altri nomi oscillano nell’uso al <strong>di</strong> là della norma<br />

tra<strong>di</strong>zionale.


Art<br />

55%<br />

S. Marroni 163<br />

Ø Art obbl.<br />

5% 2% Ø obbl. SCRITTI<br />

18%<br />

Art Coord.<br />

2%<br />

Ø Coord.<br />

8%<br />

Ø "Nomi<br />

7tolo"<br />

10%<br />

All’interno <strong>di</strong> questi ultimi si situa la zona in cui la scelta <strong>di</strong> omettere<br />

l’articolo determinativo si fa via via più anomala rispetto a quanto esposto<br />

nelle grammatiche cui abbiamo fatto riferimento; una scelta, anche qui,<br />

decisamente più vistosa nello scritto che nell’orale.<br />

Nel LIP essa viene fatta solo una volta: senza Fiat 34, in cui l’assenza<br />

<strong>di</strong>pende dalla preposizione, che è solita fare a meno dell’articolo 35.<br />

34 Noi siamo la brutta copia del Corriere della sera senza Fiat senza inviati dell’Italia (Milano, testo <strong>di</strong><br />

tipo B: scambio comunicativo bi<strong>di</strong>rezionale con presa <strong>di</strong> parola libera non faccia a faccia).<br />

35 «[N]on compare l’articolo (e corrispondentemente si usa la preposizione semplice invece <strong>di</strong><br />

quella articolata, [...]) [...] nella grande maggioranza dei sintagmi modali formati me<strong>di</strong>ante con<br />

e senza: con astuzia, con allegria, senza paura, senza pace» (Serianni 1991, IV 72 a). Più<br />

particolareggiata l’analisi della GGIC (2001, VII.4.3.3.), che dopo aver enunciato alcuni vincoli<br />

generali («Mentre il complemento <strong>di</strong> modo, come abbiamo visto, si presenta con con (senza),<br />

assenza <strong>di</strong> articolo e nome astratto, gli altri complementi con con (senza) hanno tutti<br />

l’articolo»), si trova nella con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> doverli attenuare alla luce degli stessi esempi allegati,<br />

poiché anche con i complementi <strong>di</strong> mezzo, <strong>di</strong> unione e <strong>di</strong> compagnia, e con SN concreti si dà la<br />

possibilità dell’omissione dell’articolo; si tratterebbe allora, ma l’ipotesi è avanzata<br />

dubitativamente, d’una reinterpretazione modale. In effetti, le membrane che <strong>di</strong>vidono mezzo,<br />

unione, compagnia, privazione e modo sono permeabili e aggiungerei che una certa pressione<br />

potrebbe esercitare (come nell’es. del LIP e nel [321] della GGIC) anche la struttura coor<strong>di</strong>nata.<br />

Si colloca su un piano in parte <strong>di</strong>verso il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Maiden&Robustelli (2007, 4.18):<br />

«When senza means ‘without any’ and is followed by a generic noun, the article is usually<br />

omitted [...] When the noun following senza is specified (i.e., identified as a particular member


164<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

Insomma, la situazione rappresentata dal LIP circa trent’anni fa concorda<br />

pienamente con quanto descritto dalle grammatiche citate.<br />

Quanto ai corpus scritti, l’omissione dell’articolo nella zona che stiamo<br />

esaminando ricorre 132 volte. Si tratta, come mostra anche il grafico, d’una<br />

percentuale abbastanza modesta. Non sorprende rilevare che la<br />

maggioranza assoluta è costituita da occorrenze in cui i SN sono retti dalle<br />

preposizioni <strong>di</strong> e in (84, pari al 63,63%); da tempo, infatti, le grammatiche<br />

sottolineano come dopo queste due preposizioni la caduta dell’articolo<br />

determinativo sia frequente con i nomi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> isole, <strong>di</strong> regioni o <strong>di</strong> stati<br />

che normalmente lo richiedono (si vedano gli esempi <strong>di</strong> Fornaciari [1884,<br />

XIII 34]: «il re <strong>di</strong> Francia, l’imperatore <strong>di</strong> Russia, l’ambasciatore<br />

d’Inghilterra, il vino <strong>di</strong> Spagna. – Sono in Francia, vado in Germania, vengo<br />

<strong>di</strong> Sardegna o <strong>di</strong> Corsica») 36. È probabile che, una volta avviato il processo,<br />

questa zona abbia rappresentato un guado favorevole al passaggio dei<br />

nomi <strong>di</strong> società, istituzioni, enti, associazioni ed è parimenti probabile che<br />

alcuni nomi siano stati la testa <strong>di</strong> ponte, come suggerisce la seguente tabella<br />

che riporta quelli con occorrenze maggiori <strong>di</strong> uno.<br />

or subclass of the set of entities referred to by the noun), then the article (definite or indefinite)<br />

is used accor<strong>di</strong>ng to the or<strong>di</strong>nary rules for use of the article»; un’osservazione che può<br />

attagliarsi anche alla frase del LIP, in cui, in effetti, Fiat va inteso come un’antonomasia.<br />

36 Il fenomeno è sensibile alle categorie del numero e del genere. I nomi plurali sono esclusi.<br />

Riguardo ai singolari, tuttavia, le grammatiche non concordano appieno sulla forza dei vincoli<br />

imposti da <strong>di</strong> e da in ai femminili e ai maschili e sulle sottoclassi <strong>di</strong> toponimi soggetti ad essi;<br />

cfr. Fornaciari (1884, XIII 34), Lepschy-­‐‑Lepschy (1981, 153-­‐‑54), Serianni (1991, IV 41), GGIC<br />

(2001, VII.3.3.1.2.), Salvi&Vanelli (2004, II.2.2.3.1.), Maiden&Robustelli (2007, 4.6). Un accordo<br />

può essere trovato sul fatto che il femminile è perlomeno favorito. Ricor<strong>di</strong>amo che la quasi<br />

totalità dei nomi che stiamo esaminando appartiene al femminile ed è singolare.


S. Marroni 165<br />

Tab. 5<br />

<strong>di</strong> in<br />

Confindustria 9 Rai 11<br />

Bankitalia 7 Monte<strong>di</strong>son 8<br />

Monte<strong>di</strong>son 6 Fiat 7<br />

Telecom 6 Confindustria 3<br />

Poste (italiane) 3 Banca d’Italia 3<br />

Fiat 2 Fininvest 2<br />

Finmeccanica 2<br />

Tot. 35 Tot. 34<br />

Un certo numero <strong>di</strong> omissioni riguarda i ruoli <strong>di</strong> soggetto e <strong>di</strong><br />

complemento <strong>di</strong>retto (rispettivamente 25 e 2, per una percentuale<br />

complessiva del 20,45% dei 132 casi su cui abbiamo aumentato<br />

l’ingran<strong>di</strong>mento). L’effetto deviante si fa qui ancora più avvertibile,<br />

ve<strong>di</strong>amo grazie alla tab. 6 con quali nomi viene prodotto più d’una volta.<br />

Tab. 6<br />

SOGG<br />

Fiat 4<br />

Alitalia 3<br />

Monte<strong>di</strong>son 3<br />

Autogrill 2<br />

Finmeccanica 2<br />

Me<strong>di</strong>aset 2<br />

OCSE 2<br />

Tot. 19<br />

Resta da rilevare che le omissioni si addensano più intorno ai nomi <strong>di</strong><br />

società che a quelli <strong>di</strong> istituzioni, enti e associazioni, e che, tolti i contesti<br />

esaminati fin qui (<strong>di</strong> + SN, in + SN, SN Sogg e SN Ogg Dir), rimangono 21<br />

occorrenze (il 15,9%), <strong>di</strong>stribuite fra <strong>di</strong>versi SP (le cui teste sono, in or<strong>di</strong>ne<br />

decrescente, da 7, a 4, con 3, per 3, su 2, tramite 1) e un come + SN<br />

comparativo.


166<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

Possiamo concludere che il rilievo compiuto sul terreno <strong>di</strong> testi scritti,<br />

soprattutto giornalistici, situati cronologicamente fra il 1986 e il 2001<br />

mostra uno scostamento limitato rispetto alla norma tracciata dalle<br />

grammatiche <strong>di</strong> riferimento. Appaiono tuttavia già delineate le <strong>di</strong>rezioni<br />

d’una marcia d’espansione che verrà seguita negli anni seguenti.<br />

Un’ultima osservazione assume una certa importanza nella<br />

ricostruzione del fenomeno <strong>di</strong> cui stiamo cercando <strong>di</strong> tracciare<br />

l’andamento. Si sono già accumulati in<strong>di</strong>zi consistenti che ad<strong>di</strong>tano come<br />

sua incubatrice il linguaggio economico e, soprattutto, finanziario. Altri<br />

non trascurabili adombrano un’azione coa<strong>di</strong>uvante delle varietà<br />

settentrionali. Facciamo qualche esempio. Le 9 occorrenze <strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

Confindustria si leggono tutte nel «S24o» (le occorrenze <strong>di</strong> della Confindustria<br />

sono 55, e solo 3 si ritrovano nella stessa testata), così come l’unica in cui<br />

Confindustria è soggetto non articolato; in Confindustria compare una volta<br />

nel «M», una nella «R» e una nella «S» 37. Dei ben 24 casi in cui Monte<strong>di</strong>son è<br />

significativamente privo dell’articolo, 22 si leggono nel «S24o». Sono del<br />

«S24o» due dei quattro Fiat soggetti non articolati 38; <strong>di</strong> Fiat compare una<br />

volta nel «Cds» e una in un resoconto borsistico del «M» (sono 46 le<br />

occorrenze <strong>di</strong> della Fiat), mentre in Fiat si legge, in articoli firmati da<br />

giornalisti originari del Nord, nell’«Espresso», nella «S» 39 e in «Gente<br />

Motori» (sono 20 le occorrenze <strong>di</strong> alla Fiat, una <strong>di</strong> nella Fiat). La tab. 7, in cui<br />

sono inclusi i nomi più rilevanti, delinea un ruolo <strong>di</strong> apripista per la<br />

preposizione in.<br />

Tab. 7<br />

della <strong>di</strong> alla / nella in<br />

CGIL 54 1 2 1<br />

Confindustria 55 9 4 3<br />

Fiat 46 2 21 7<br />

Rai 90 1 34 11<br />

37 Nel <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>retto attribuito al leghista Vito Gnutti, membro dell’associazione.<br />

38 Un terzo si trova in un titolo del «Cds» fra virgolette in posizione iniziale, l’ultimo in un<br />

resoconto borsistico della «S».<br />

39 In entrambe le occasioni nel contesto <strong>di</strong>cono in Fiat.


S. Marroni 167<br />

Mentre il rapporto fra della e <strong>di</strong> tocca il 90:1 e non scende al <strong>di</strong> sotto del<br />

6,1, con in va dal 3,1 all’1,3.<br />

Tiriamo le fila. Nell’arco <strong>di</strong> pochi anni alcuni usi devianti nella sintassi<br />

dell’articolo con i nomi <strong>di</strong> società, <strong>di</strong> enti, <strong>di</strong> istituzioni, <strong>di</strong> associazioni sono<br />

straripati dall’alveo in cui erano confinati, quello dei linguaggi economico-­‐‑<br />

finanziario e aziendale, e hanno invaso i più <strong>di</strong>versi tipi testuali, senza<br />

tuttavia riuscire ancora ad emarginare la norma tra<strong>di</strong>zionale, come<br />

testimoniano le continue, fitte oscillazioni anche in una medesima frase. Sui<br />

mo<strong>di</strong> e le motivazioni cre<strong>di</strong>amo che abbiano una buona soli<strong>di</strong>tà le seguenti<br />

ipotesi, da sottoporre a un ulteriore approfon<strong>di</strong>mento.<br />

– Possono causare situazioni <strong>di</strong> referenza ambigua generatrici<br />

d’interferenza sintattica quei nomi <strong>di</strong> società che coincidono col cognome<br />

della famiglia proprietaria o del fondatore (Benetton, Ferrero ecc.).<br />

– Ben più incisivo, ovviamente, il ruolo delle costruzioni in cui l’assenza<br />

dell’articolo è già tra<strong>di</strong>zionale; si tratta del 17% delle occorrenze nel LIP e<br />

del 26% nei corpus scritti.<br />

– Quanto ai “nomi titolo” <strong>di</strong> associazioni politiche (l’1% nel LIP, ma il<br />

10% nei corpus scritti), <strong>di</strong> cui una fucina prolifica erano già stati i gruppi<br />

extraparlamentari <strong>di</strong> sinistra e <strong>di</strong> destra degli anni ’60 e ’70 (Avanguar<strong>di</strong>a<br />

Operaia, Lotta Continua, Or<strong>di</strong>ne Nuovo ecc.), essi conquistano ruoli <strong>di</strong> primo<br />

piano negli anni del dopo-­‐‑Tangentopoli grazie a formazioni come<br />

Rifondazione Comunista, Forza Italia, Alleanza Nazionale. Sono nomi propri<br />

che programmaticamente rifiutano l’articolo caratteristico dei nomi<br />

tra<strong>di</strong>zionali delle forze politiche, Lega inclusa; perfino in contesti come<br />

responsabili della sezione <strong>di</strong> Alleanza Nazionale <strong>di</strong> Ciampino («R», 1994), in cui<br />

l’aggiunta del mo<strong>di</strong>ficatore non sortisce alcun effetto.<br />

– Forza Italia spinge il processo a conseguenze estreme: il nome <strong>di</strong><br />

partito va in cortocircuito con il nome <strong>di</strong> società e con il nome <strong>di</strong> prodotto;<br />

si pensi a Che banca, un nome dalla struttura ormai lontanissima da quelle<br />

tra<strong>di</strong>zionali, come il Banco <strong>di</strong> Napoli, il Banco <strong>di</strong> Santo Spirito (> il Santo<br />

Spirito), l’Istituto Bancario San Paolo (> il San Paolo), il Monte dei Paschi <strong>di</strong><br />

Siena, la Cassa <strong>di</strong> Risparmio <strong>di</strong> Venezia, la Banca Popolare <strong>di</strong> Milano ecc., in cui<br />

sono ben riconoscibili la testa del SN e il suo mo<strong>di</strong>ficatore. A uno sta<strong>di</strong>o<br />

interme<strong>di</strong>o si pongono nomi come Banca Intesa, in cui il mo<strong>di</strong>ficatore,<br />

acquistando un peso semantico maggiore e annacquando la relazione


168<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

sintattica con la testa, finisce col saldarsi ad essa in un blocco che funziona<br />

come un titolo, talora anche graficamente, come in BancoPosta. Il processo<br />

linguistico è stato favorito dai recenti rapi<strong>di</strong> processi <strong>di</strong> fusione che hanno<br />

generato nomi quali Intesa San Paolo (esito d’una “decapitazione” dei SN),<br />

oltre a numerosi acronimi.<br />

– I nomi <strong>di</strong> moltissime banche si sono trasformati in acronimi, ma, più<br />

in generale, l’acronimomania è <strong>di</strong>lagata nell’onomastica economica,<br />

finanziaria e aziendale. Le tabb. 5 e 6 mostrano chiaramente come<br />

l’omissione dell’articolo sia favorita dagli acronimi in misura maggiore che<br />

dalle sigle: mentre queste ultime consentono, anche se non sempre<br />

agevolmente, <strong>di</strong> risalire al nome testa in esse contenuto (BNL > banca) e,<br />

quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> usare e accordare l’articolo <strong>di</strong> conseguenza, l’acronimo tende a<br />

<strong>di</strong>venire un oggetto uni<strong>di</strong>mensionale che slitta più facilmente verso un uso<br />

assoluto, mentre l’eventuale articolo viene accordato, <strong>di</strong> fatto, «con un<br />

nome comune sottinteso» come nel caso dei nomi <strong>di</strong> locali pubblici, e<strong>di</strong>fici<br />

sede d’istituti, squadre sportive trattato dalla GGIC (2001, VII.3.3.1.1) 40. Del<br />

resto, la sigla e l’acronimo sono sempre più ricercati da chi opera nel<br />

mondo dell’economia per la loro aura <strong>di</strong> tecnicità e d’efficienza e da chi<br />

opera nel mondo del giornalismo per la loro <strong>brevi</strong>tà e per il rispetto che<br />

incutono. Il mostriciattolo Bankitalia, con il suo glamour anglicizzante e un<br />

po’ pubblicitario ne è un esempio eloquente 41.<br />

– La riflessione sull’acronimo conduce, per associazione, sul versante<br />

aziendale, ad alcune strategie politico-­‐‑economiche come quella del<br />

cosiddetto “spezzatino”, applicata negli ultimi decenni a molte aziende, o<br />

come quella delle “scatole cinesi”, le quali hanno comportato una<br />

40 Vd. sopra e cfr. nomi come Monte<strong>di</strong>son, Unipol o Interpol. Il fenomeno dell’accordo con un<br />

nome sottinteso emerge percettibilmente in casi come la Generali le ha utilizzate per garantire il<br />

tramutamento delle obbligazioni convertibili in azioni; La Generali non ha brillato; La maggior parte dei<br />

titoli guida, dalla Fiat alla Generali a Me<strong>di</strong>obanca si è mossa in linea con l'ʹin<strong>di</strong>ce; anche la Poste<br />

potrebbe entrare nel prossimo futuro a far parte del matrimonio, nei quali l’articolo singolare è in<br />

apparente <strong>di</strong>saccordo con il SN.<br />

41 E doppiamente paradossale: non solo perché, com’è noto, l’ingl. bank, come le parole<br />

analoghe nelle principali lingue straniere, deriva dall’italiano, ma perché segna un<br />

capovolgimento connotativo del carattere k, fino a pochi decenni fa intriso d’implicazioni<br />

negative, basti pensare al “kappa politico” <strong>di</strong> maskio, amerikano, Kossiga, citati da Maraschio<br />

(1993, 148), «frequenti sui muri delle nostre città in anni <strong>di</strong> politicizzazione e femminismo<br />

accesi». Poche righe sopra si accenna al “kappa pubblicitario” <strong>di</strong> trovate come Mukkilatte. Cfr.<br />

Serianni (1991, I 153 b).


S. Marroni 169<br />

proliferazione <strong>di</strong> nomi, <strong>di</strong> solito ancora acronimi o composti. Anche questi<br />

ultimi tendono a essere percepiti come “nomi titolo”; si veda quest’esempio<br />

<strong>di</strong> «Gente Money»: Se il Governo decidesse <strong>di</strong> metterle entrambe sul mercato,<br />

tutti correrebbero a comperare l'ʹAgip al posto <strong>di</strong> Agip petroli, in cui Agip<br />

conserva l’articolo, ma lo perde Agip petroli; o questa oscillazione<br />

ravvicinata: ricorda da vicino quanto avvenuto nel gruppo Ferruzzi tra<br />

Monte<strong>di</strong>son Milano e la Monte<strong>di</strong>son Finance NV («R»).<br />

– Una forte spinta alla caduta dell’articolo viene dalla scrittura<br />

giornalistica, in particolare dei titoli, a partire dal modello più consolidato<br />

Poste italiane, con "ʺPegasus"ʺ la coda si azzera («La Gazzetta del<br />

Mezzogiorno» 42, titolo). Esigenze <strong>di</strong> spazio e <strong>di</strong> tematizzazione si<br />

coniugano e producono strutture come Ocse più ottimista dell'ʹFmi. Italia:<br />

allarme sanità e welfare («S24o», titolo). Si tratta d’un processo accelerato<br />

dalla <strong>di</strong>ffusione attraverso i nuovi canali della notizia, che per brama <strong>di</strong><br />

<strong>brevi</strong>tà e <strong>di</strong> velocità si fa titolo <strong>di</strong> sé stessa. Lo stile tende al telegrafico (Ocse<br />

promuove l'ʹItalia: un «miracolo» in <strong>di</strong>eci anni [«GdM», titolo]), incurante<br />

d’una goffaggine che col tempo finisce con l’essere percepita come<br />

andatura normale 43.<br />

– Come spesso avviene, la scrittura giornalistica si fa moltiplicatrice <strong>di</strong><br />

novità emerse altrove, in questo caso nel settore economico-­‐‑finanziario.<br />

L’ellissi con i nomi d’istituzioni, enti, associazioni appare, data la sfasatura<br />

cronologica nelle percentuali, come l’estensione d’un uso che ha il suo<br />

centro in un’area contigua. Non a caso sono le istituzioni, gli enti, le<br />

associazioni economiche o più legate al mondo economico le prime ad<br />

essere coinvolte (Confindustria, OCSE). Va richiamata l’attenzione in<br />

particolare sul linguaggio della borsa, in cui la concitazione, la velocità e la<br />

<strong>brevi</strong>tà sono <strong>di</strong> casa. Non solo vi si trova l’uso assoluto con referenza<br />

ambigua già notato (si parla della società o delle sue azioni?), ma<br />

s’incontrano esempi come questo: Vigorose Me<strong>di</strong>aset a più 3,08% e Class<br />

E<strong>di</strong>tori (più 2,04%) mentre Mondadori (più 6,31%) è stata la migliore del<br />

comparto («S24o»), in cui l’articolo è eliminato anche con il soggetto<br />

“azioni” sottinteso e non ambiguo grazie al morfema femminile plurale<br />

42 Nel seguito «GdM».<br />

43 Se si torna al sottotitolo dell’articolo della «R» <strong>di</strong> ieri citato all’inizio, si troverà decisiva<br />

probabilmente l’intervista a Ft, mentre nell’articolo si legge intervista al Financial Times: la forma<br />

testuale “titolo” e l’uso d’una sigla (compresa da quanti lettori?) hanno congiurato contro<br />

l’articolo determinativo.


170<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

dell’aggettivo per i primi due soggetti, mentre il verbo concorda con un<br />

soggetto sottinteso singolare per il terzo. Lo spazio limitato in cui il<br />

giornalista deve condensare le informazioni <strong>di</strong> borsa, l’abitu<strong>di</strong>ne alla lista<br />

dei titoli accompagnati <strong>di</strong>rettamente dalle percentuali, forse la stessa<br />

incertezza del referente possono essere alla ra<strong>di</strong>ce dell’omissione, e ciò vale<br />

ancor più per l’operatore <strong>di</strong> borsa che s<strong>oggi</strong>ace, fra l’altro, a<br />

con<strong>di</strong>zionamenti temporali <strong>di</strong> confezionamento del messaggio orale o<br />

scritto più stringenti <strong>di</strong> quelli imposti dalla stampa quoti<strong>di</strong>ana. Credo che<br />

vada cercato qui il motore primo del fenomeno che stiamo trattando.<br />

– Esso si sviluppa certamente in un ambito in cui l’inglese esercita un<br />

influsso considerevole; tuttavia, prima d’ipotizzare un'ʹinterferenza a un<br />

livello linguistico, come quello sintattico, generalmente refrattario 44, è<br />

prudente chiedersi se nelle strutture dell’italiano non siano presenti fattori<br />

tali da giustificare l’innovazione e il suo accoglimento. A mio avviso, questi<br />

fattori non solo esistono, ma sono numerosi e consistenti.<br />

– A quelli d’or<strong>di</strong>ne linguistico s’aggiungono fattori d’or<strong>di</strong>ne<br />

extralinguistico. Il decennio che va dal delitto Moro al 1989 è segnato da<br />

una profonda ristrutturazione dei sistemi valoriali e degli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong><br />

prestigio me<strong>di</strong>ante i quali si classificano realtà materiali e immateriali. In<br />

questo processo i settori e i linguaggi economici, finanziari e aziendali sono<br />

saliti fino ai primissimi posti 45. Non sorprende, quin<strong>di</strong>, che innovazioni<br />

nate sul terreno economico-­‐‑finanziario o aziendale (il che implica, in Italia,<br />

su un terreno situato, <strong>di</strong> solito, al Nord) abbiano la capacità d’imporsi come<br />

modello prestigioso ai parlanti e agli scriventi.<br />

– Intrecciato con quest’ultimo fattore ve n’è probabilmente un altro: la<br />

familiarità del referente. L’osservazione della GGIC a proporsito della<br />

<strong>di</strong>fferenza tra alla Fiat e in Fiat meriterebbe un approfon<strong>di</strong>mento maggiore<br />

<strong>di</strong> quello qui consentito. Ci limitiamo a rilevare che quasi tutti gli 11 casi <strong>di</strong><br />

in Rai in<strong>di</strong>cati nella tab. 5 si trovano all’interno d’interviste con persone che<br />

lavorano alla Rai, e 7 sono tratti dai perio<strong>di</strong>ci «Sorrisi e canzoni tv» e<br />

44 Basti ricordare, per restare sul terreno dell’articolo, al contrasto fra l’uso articolato nella<br />

lingua d’origine d’una delle parole simbolo della forza <strong>di</strong> penetrazione dell’inglese<br />

informatico, the Internet, e il suo uso privo d’articolo in italiano (cfr. Maiden&Robustelli [2007,<br />

4.6]).<br />

45 Due fatti sintomatici: nel 1985 l’Unità, all’epoca quoti<strong>di</strong>ano del PCI, pubblica per la prima<br />

volta nella sua storia, non senza polemiche, le quotazioni della Borsa; l’anno dopo esce il<br />

primo numero dell’inserto economico della «R» Affari & Finanza.


S. Marroni 171<br />

«Telepiù» (qualcosa <strong>di</strong> analogo si potrebbe <strong>di</strong>re delle occorrenze <strong>di</strong> in Fiat).<br />

Non è, forse, azzardato ipotizzare che il modulo privo d’articolo abbia<br />

agito in concomitanza con il fattore precedente, cosicché alla Fiat <strong>di</strong>venta, in<br />

una comunione apparente d’efficienza e <strong>di</strong> familiarità, per tutti, in Fiat.<br />

Bibliografia<br />

Sergio Marroni<br />

marroni@lettere.uniroma2.it<br />

GGIC 2001<br />

Renzi Lorenzo, Salvi Giampaolo, Car<strong>di</strong>naletti Anna (a cura <strong>di</strong>), Grande<br />

grammatica italiana <strong>di</strong> consultazione, nuova ed., 3 voll., Bologna, il Mulino.<br />

Dardano&Trifone 1995<br />

Dardano Maurizio, Trifone Pietro, Grammatica italiana con nozioni <strong>di</strong><br />

linguistica, Bologna, Zanichelli.<br />

Della Valle&Patota 2007<br />

Della Valle Valeria, Patota Giuseppe, Il nuovo salvalingua, Milano,<br />

Sperling & Kupfer.<br />

Fornaciari 1884<br />

Fornaciari Raffaello, Sintassi italiana dell’uso moderno, II ed., Firenze,<br />

Sansoni.<br />

Lepschy&Lepschy 1981<br />

Lepschy Anna Laura, Lepschy Giulio C., La lingua italiana. Storia, varietà<br />

dell’uso, grammatica, Milano, Bompiani.<br />

Maiden&Robustelli 2007<br />

Maiden Martin, Robustelli Cecilia, A reference grammar of modern Italian,<br />

II ed., London, Hodder.


172<br />

Un caso <strong>di</strong> tendenza alla <strong>brevi</strong>tà sintattica nell’italiano contemporaneo<br />

Maraschio 1993<br />

Maraschio Nicoletta, “Grafia e ortografia: evoluzione e co<strong>di</strong>ficazione”,<br />

in L. Serianni, P. Trifone (a cura <strong>di</strong>), Storia della lingua italiana, vol. I, I<br />

luoghi della co<strong>di</strong>ficazione, Torino, Einau<strong>di</strong>.<br />

Me<strong>di</strong>obanca 2010<br />

Le principali società italiane (2010), Milano, Me<strong>di</strong>obanca – Ufficio Stu<strong>di</strong>.<br />

Patota 2006<br />

Patota Giuseppe, Grammatica <strong>di</strong> riferimento dell’italiano contemporaneo,<br />

Novara, De Agostini-­‐‑Garzanti.<br />

Pran<strong>di</strong> 2006<br />

Pran<strong>di</strong> Michele, Le regole e le scelte. Introduzione alla grammatica, Torino,<br />

UTET.<br />

Salvi&Vanelli 2004<br />

Salvi Giampaolo, Vanelli Laura, Nuova grammatica italiana, Bologna, il<br />

Mulino.<br />

Serianni 1991<br />

Serianni Luca, con la collaborazione <strong>di</strong> Alberto Castelvecchi, Grammatica<br />

italiana. Italiano comune e lingua letteraria, II ed., Torino, UTET.<br />

Serianni 2004<br />

Serianni Luca, “Il sentimento della norma linguistica nell’Italia <strong>di</strong> <strong>oggi</strong>”,<br />

Stu<strong>di</strong> Linguistici Italiani 30, 85-­‐‑103.


La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano.<br />

Un problema <strong>di</strong> interpretazione linguistica e culturale<br />

Abstract<br />

Matteo Lefèvre<br />

L’articolo è de<strong>di</strong>cato all’analisi della traduzione degli acronimi dallo spagnolo<br />

all’italiano, focalizzando l’attenzione su questioni <strong>di</strong> natura linguistica, culturale e<br />

traduttologica. Dopo una prima parte definitoria, in cui particolare importanza è<br />

data al contesto dei linguaggi settoriali e sono descritti anche alcuni repertori e<br />

strumenti lessicografici specifici, si introducono rilievi <strong>di</strong> semantica e pragmatica<br />

applicate all’interpretazione e resa linguistica delle sequenze acronimiche. Viene<br />

infine proposta e analizzata una casistica <strong>di</strong> sigle e acronimi con equivalenti<br />

uniformi e <strong>di</strong>fformi tra la lingua spagnola e quella italiana e, conseguentemente,<br />

delle possibilità <strong>di</strong> traduzione che essi offrono.<br />

Parole chiave: acronimia, traduzione specializzata spagnolo-­‐‑italiano, acronimi<br />

spagnoli, acronimi italiani, traduzione sigle<br />

This article is de<strong>di</strong>cated to the translation of the acronyms between spanish and<br />

italian language, focusing linguistic, cultural and traductological problems. After a<br />

first part concerning the definition of the acronym, especially in its importance in<br />

the special languages, we face semantics and pragmatics of the acronym translation<br />

and analyse some useful lexicographic instruments. Besides, we suggest a case<br />

record of spanish and italian acronyms underlining correspondence and <strong>di</strong>fference<br />

between them and proposing translation strategies and procedures.<br />

Keywords: acronyms, spanish-­‐‑italian translation, spanish acronyms, italian<br />

acronyms, acronym translation<br />

Il problema della traduzione <strong>di</strong> sigle e acronimi rientra a pieno titolo<br />

nell’orizzonte della traduzione specializzata, nella casistica – teorica e<br />

pratica – che investe tanto i linguaggi settoriali in genere (giuri<strong>di</strong>co-­‐‑<br />

economico, scientifico-­‐‑tecnico, giornalistico ecc.) quanto, in particolare,<br />

l’universo dei tecnicismi che contribuiscono ad arricchire e connotare tali<br />

linguaggi. Eppure il ricorso all’acronimia non solo risponde all’alto<br />

coefficiente <strong>di</strong> densità e pregnanza che i <strong>di</strong>versi settori professionali


174<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

richiedono al proprio linguaggio tecnico e ai propri addetti ai lavori – si<br />

pensi, a puro titolo <strong>di</strong> esempio, all’abbondanza <strong>di</strong> sigle <strong>di</strong> cui ci si serve in<br />

me<strong>di</strong>cina (TAC, ECG, EEC ecc.) –, ma riflette anche, in linea più generale, la<br />

tendenza alla sintesi e all’imme<strong>di</strong>atezza che è alla base della lingua<br />

standard e del moderno universo della comunicazione. In tal senso,<br />

viviamo davvero in un’epoca <strong>di</strong> “scritture <strong>brevi</strong>”, in cui la rapi<strong>di</strong>tà del<br />

sistema comunicativo, il cosiddetto “tempo reale” in cui tutto è chiamato a<br />

consumarsi, così come il brivido della velocità e della sintesi che permea<br />

ogni umana espressione, trovano uno strumento linguistico e una metafora<br />

efficace proprio nel costante utilizzo della siglazione, che dal linguaggio<br />

della politica a quello della scienza e dell’informazione funziona e seduce<br />

espressamente per la cripticità e al contempo la riconoscibilità del suo<br />

contenuto e dei suoi referenti. Sì, perché se pure certe sigle popolano in<br />

primo luogo le varie lingue <strong>di</strong> specialità e risultano spesso oscure ai non<br />

iniziati, è pur vero che in molti casi quegli stessi acronimi vengono poi<br />

integrati e decifrati nel sistema me<strong>di</strong>atico e <strong>di</strong> lì passano, ormai “in chiaro”,<br />

nel linguaggio comune. Se i gran<strong>di</strong> narratori dell’Ottocento – pensiamo a<br />

Balzac, a Dickens, a Galdós – pensavano il mondo come materia<br />

“romanzabile”, estensibile e declinabile all’infinito nelle sue <strong>di</strong>namiche, al<br />

contrario <strong>oggi</strong> abitiamo un tempo in cui tutto appare “ab<strong>brevi</strong>abile”,<br />

sintetizzabile ed etichettabile attraverso sigle della più varia origine e<br />

provenienza che, come <strong>di</strong>cevamo, superata l’oscurità iniziale,<br />

rappresentano una certezza culturale, un patrimonio rassicurante e<br />

con<strong>di</strong>viso da tutto il villaggio globale.<br />

Nel rapporto tra le lingue, dunque, l’acronimia ha ormai un’importanza<br />

centrale, che non soltanto si manifesta nei meccanismi <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong> tali<br />

microstrutture, che rispondono al pensiero linguistico, alle consuetu<strong>di</strong>ni<br />

culturali e ideologiche del paese che le conia o le accoglie, ma che appare<br />

evidente anche nella sua traduzione, come fattore fondamentale della<br />

relazione che si stabilisce tra più universi linguistici e culturali. Le sigle,<br />

lungi perciò dall’essere esclusivamente un’espressione sintetica o un<br />

elemento dei <strong>di</strong>fferenti linguaggi tecnici, rappresentano un dato <strong>di</strong> realtà –<br />

quella che descrivono e sintetizzano –, più o meno comprensibile e<br />

con<strong>di</strong>visibile a livello internazionale e interlinguistico, e allo stesso tempo<br />

un elemento significativo <strong>di</strong> una cultura, sia essa specifica <strong>di</strong> un territorio,<br />

<strong>di</strong> un’area storica e geografica circoscritta oppure <strong>di</strong>ffusa in misura più<br />

ampia. In questa prospettiva, pertanto, riteniamo che molti acronimi<br />

possano essere assimilati ai culturemi e che come tali vadano svincolati da


M. Lefèvre 175<br />

una mera esistenza tecnica e funzionale: soprattutto certe sigle in<strong>di</strong>cative <strong>di</strong><br />

una determinata realtà storica, politica, sociale assumono un valore<br />

precipuo nella definizione e nella conoscenza della nazione che le ha<br />

prodotte e che le utilizza regolarmente e costituiscono uno snodo cruciale<br />

nella comprensione e nella traduzione <strong>di</strong> tale universo culturale e<br />

linguistico. Se infatti è vero che la maggior parte degli acronimi <strong>di</strong>ffusi nel<br />

mondo globalizzato sono <strong>di</strong> matrice anglosassone e che, più che incarnare<br />

caratteristiche specifiche <strong>di</strong> tale cultura, costituiscono strutture <strong>di</strong> uso<br />

generalizzato, <strong>di</strong> sicura riconoscibilità e agevole comprensione<br />

internazionale – si pensi a sigle come ONU, UEFA, CIA ecc. –, è altrettanto<br />

manifesto che ogni paese, ogni peculiare identità linguistica, <strong>di</strong>nanzi ad<br />

esse si comporta in modo <strong>di</strong>fferente, accogliendole nella loro veste<br />

originale o “nazionalizzandole” – è quanto osserveremo puntualmente nel<br />

caso spagnolo –, ma soprattutto crea continuamente delle sigle proprie, che<br />

a volte sostituiscono in toto i referenti dell’acronimia globale o, più spesso,<br />

identificano determinate realtà nazionali, locali. E naturalmente, ai fini<br />

della traduzione, sono proprio queste ultime, cioè le microstrutture non<br />

in<strong>di</strong>viduabili e funzionanti su un piano internazionale, che creano i<br />

maggiori problemi <strong>di</strong> interpretazione e ancor più <strong>di</strong> resa linguistica tra due<br />

o più lingue. Nell’analisi del rapporto spagnolo-­‐‑italiano, come vedremo,<br />

ciò è particolarmente evidente.<br />

Come la traduzione nel suo complesso, pertanto, anche la traduzione<br />

delle sequenze acronimiche, <strong>di</strong> un elemento in apparenza marginale,<br />

criptico, sintetico e “ristretto” all’interno del corpus lessicale, collabora a<br />

svelare analogie e <strong>di</strong>fferenze tra le lingue coinvolte a livello <strong>di</strong> abitu<strong>di</strong>ni<br />

morfosintattiche, <strong>di</strong> prospettive culturali e perfino <strong>di</strong> istanze ideologiche.<br />

Nel rapporto tra spagnolo e italiano, ad esempio, ciò si può facilmente<br />

osservare nel caso dell’acquisizione e riproposizione <strong>di</strong> sigle <strong>di</strong> origine<br />

straniera – dal punto <strong>di</strong> vista linguistico sono prestiti a tutti gli effetti –, le<br />

cui strategie <strong>di</strong> interpretazione (e <strong>di</strong> traduzione) mettono spesso in luce non<br />

solo le <strong>di</strong>verse consuetu<strong>di</strong>ni grammaticali <strong>di</strong> ogni i<strong>di</strong>oma, ma anche il<br />

pensiero linguistico e l’approccio culturale nei confronti dell’altro che esso<br />

porta con sé. Allo stesso tempo, però, anche nei confronti dell’acronimia<br />

tutta spagnola il processo traduttivo consente <strong>di</strong> esaminare tendenze<br />

linguistiche e fattori culturali che animano i meccanismi <strong>di</strong> formazione <strong>di</strong><br />

queste strutture, che investono appunto l’orizzonte dei culturemi.


176<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

E infine, non si può sottovalutare il <strong>di</strong>scorso legato alla pragmatica della<br />

traduzione. Anche nei confronti dell’acronimia il contesto in cui<br />

l’operazione traduttiva viene effettuata ha un’importanza fondamentale. Si<br />

tratta, pertanto, <strong>di</strong> “me<strong>di</strong>are” tra testo e contesto, tra ciò che si traduce e<br />

l’orizzonte <strong>di</strong> attesa, tra le esigenze <strong>di</strong> un determinato linguaggio e settore<br />

professionale e quelle del luogo – testuale e situazionale – in cui la<br />

traduzione si produce, della tipologia e del destinatario <strong>di</strong> un testo e della<br />

sua versione tradotta. Nel caso spagnolo-­‐‑italiano, ad esempio, i maggiori<br />

problemi sorgono <strong>di</strong> fronte alle sigle <strong>di</strong> matrice ispanica, che non sempre<br />

trovano degli equivalenti funzionali al contesto <strong>di</strong> enunciazione e ricezione<br />

italiano e che spesso necessitano <strong>di</strong> esplicitazioni e soluzioni <strong>di</strong><br />

compromesso la cui opportunità e le cui modalità sono dettate proprio dal<br />

singolo ambito testuale e settoriale nel quale si esercita la traduzione.<br />

1. Questioni preliminari<br />

1.1. Morfosintassi<br />

L’uso delle sigle è ormai un fenomeno in grande espansione e, oltre ad<br />

essere un punto critico del rapporto tra l’inglese e le altre lingue, suscita<br />

spesso dubbi in merito alla natura e alla collocazione morfosintattica <strong>di</strong> tali<br />

microstrutture nonché incertezze nella pronuncia e nella deco<strong>di</strong>fica.<br />

Richiamiamo in primo luogo la definizione che <strong>di</strong> sigla e acronimo<br />

fornisce il Diccionario de la Real Academia Española (DRAE 2001):<br />

sigla.<br />

1. f. Palabra formada por el conjunto<br />

de letras iniciales de una expresión<br />

compleja; p. ej., O(rganización de)<br />

N(aciones) U(nidas), o(bjeto) v(olante)<br />

n(o) i(dentificado), Í(n<strong>di</strong>ce de) P(recios<br />

al) C(onsumo).<br />

acrónimo.<br />

1. m. Tipo de sigla que se pronuncia<br />

como una palabra; p. ej., o(bjeto)<br />

v(olador) n(o) i(dentificado).<br />

2. m. Vocablo formado por la unión de<br />

elementos de dos o más palabras,<br />

constituido por el principio de la<br />

primera y el final de la última, p. ej.,<br />

ofi(cina infor)mática, o, frecuentemente,<br />

por otras combinaciones, p. ej., so(und)<br />

n(avigation) a(nd) r(anging), Ban(co)<br />

es(pañol) (de) (cré<strong>di</strong>)to.


M. Lefèvre 177<br />

Al <strong>di</strong> là della sottile <strong>di</strong>fferenza in<strong>di</strong>viduata dal DRAE, la mera<br />

definizione <strong>di</strong> sigla e acronimo non fornisce spunti particolari ai fini del<br />

rilievo morfosintattico e ancor meno dell’operazione traduttiva se non per<br />

il riscontro <strong>di</strong> una sostanziale omogeneità tra spagnolo e italiano<br />

nell’utilizzo dei due termini, che in queste pagine useremo<br />

in<strong>di</strong>fferentemente poiché <strong>di</strong> fatto sinonimi o comunque inquadrabili allo<br />

stesso modo all’interno del <strong>di</strong>scorso sulla traduzione. In ogni caso, per<br />

quanto riguarda la morfosintassi, va rilevato che tanto in spagnolo quanto<br />

in italiano esistono sigle che si comportano come sostantivi e finiscono per<br />

incorporarsi al lessico comune. È il caso <strong>di</strong> acronimi come láser (Light<br />

Amplification by Stimulated Emission of Ra<strong>di</strong>ation), radar e ovni, che in effetti anche<br />

nei loro equivalenti italiani – laser, radar e ufo – risultano pienamente<br />

lessicalizzati e perciò considerati vocaboli tout court, rispondenti in pieno<br />

alle regole della flessione e della sintassi. Queste sigle sono dunque<br />

<strong>di</strong>ventate lessemi a tutti gli effetti, si sottraggono, in quanto ormai nomi<br />

comuni, a qualsiasi uso della maiuscola iniziale e recano anche una tilde<br />

secondo il sistema accentuativo dello spagnolo (láser) e sono pluralizzabili<br />

(láseres). Proprio perché presenti in entrambe le lingue, alcuni acronimi<br />

lessicalizzati non pongono particolari problemi <strong>di</strong> traduzione (è il caso <strong>di</strong><br />

radar, graficamente identico nei due i<strong>di</strong>omi), tuttavia in altri casi<br />

l’interpretazione e la resa linguistica sono più problematiche, poiché<br />

spagnolo e italiano ricorrono a sigle <strong>di</strong>verse per in<strong>di</strong>care la medesima realtà<br />

(è il caso <strong>di</strong> ovni → ufo).<br />

1.2. Tendenze della lingua spagnola e italiana <strong>di</strong> fronte all’acronimia<br />

Quest’ultimo <strong>di</strong>scorso ci invita a considerare, ai fini <strong>di</strong> una coerente e<br />

corretta traduzione degli acronimi, la <strong>di</strong>fferente tendenza che mostrano<br />

spagnolo e italiano nei meccanismi <strong>di</strong> formazione delle sigle. Se appunto<br />

torniamo all’esempio precedente, <strong>di</strong> fronte all’acronimo lessicalizzato <strong>di</strong><br />

matrice anglosassone ufo (Unidentified Flying Object), notiamo che in<br />

italiano tale sigla è ripresa in maniera integrale, mentre in spagnolo si<br />

ricorre all’acronimo ovni (Objeto Volador No Identificado), che si genera<br />

dalla traduzione letterale dei costituenti dell’espressione originale.<br />

Possiamo <strong>di</strong>re che spesso la lingua spagnola opera in tal modo <strong>di</strong> fronte a<br />

sigle <strong>di</strong> origine straniera, ma al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> questa tendenza generale non<br />

mancano numerosi casi in cui, invece, anche in spagnolo troviamo la<br />

riproposizione imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> un acronimo <strong>di</strong> provenienza inglese (ad es.


178<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

FBI → FBI). In questa prospettiva, nella Grammatica spagnola <strong>di</strong> Manuel<br />

Carrera Díaz, che ha un <strong>di</strong>chiarato approccio contrastivo, il problema delle<br />

sigle è affrontato proprio nel paragrafo de<strong>di</strong>cato ai forestierismi. Nota<br />

correttamente Carrera che tra spagnolo e italiano risulta<br />

[…] <strong>di</strong>versa la procedura <strong>di</strong> formazione delle sigle provenienti da espressioni<br />

straniere. In italiano normalmente vengono prese <strong>di</strong> peso dalla lingua che le ha<br />

coniate: NATO (North Atlantic Treaty Organization), AIDS (Acquired<br />

ImmunoDeficiency Syndrome). In spagnolo molte volte si traduce prima<br />

l’espressione straniera e poi si forma la sigla: OTAN (Organización del Atlántico<br />

Norte), SIDA (Síndrome de InmunoDeficiencia Adquirida), ma non sempre è così:<br />

anche in spagnolo la nota Central Intelligence Agency si conosce con la sigla CIA<br />

(Carrera Díaz 1997, 24).<br />

L’atteggiamento delle due lingue <strong>di</strong>nanzi alle sigle <strong>di</strong> provenienza<br />

straniera è dunque simile a quello che si ha con i prestiti, che appunto<br />

possono essere integrali o adattati e che lo spagnolo tende spesso a<br />

“ispanizzare”, a omologare al proprio sistema grammaticale (ortografia,<br />

fonetica, genere ecc.). E ai fini della traduzione italiana, proprio la peculiare<br />

abitu<strong>di</strong>ne della lingua spagnola rispetto agli extranjerismos può in alcuni<br />

casi creare dei problemi <strong>di</strong> decifrazione al cospetto <strong>di</strong> acronimi che sono<br />

noti sul piano internazionale nella loro forma originale, ma che rischiano <strong>di</strong><br />

risultare criptici nella loro veste spagnola (si vedano gli esempi appena<br />

citati: NATO → OTAN; AIDS → SIDA).<br />

Problemi <strong>di</strong> decifrazione e interpretazione<br />

Prima <strong>di</strong> osservare da vicino casistica e strategie della traduzione<br />

italiana degli acronimi che si riscontrano nella lingua spagnola, è<br />

opportuno richiamare alcuni strumenti che consentono una dettagliata<br />

ricerca e un preciso scioglimento <strong>di</strong> tali sigle. In questa sede è<br />

imprescin<strong>di</strong>bile segnalare soprattutto alcuni siti internet specializzati e<br />

alcune banche dati on line che non solo annoverano e decifrano un<br />

amplissimo repertorio degli acronimi più <strong>di</strong>ffusi nell’universo ispanico, ma<br />

spesso forniscono su questi ultimi anche notizie storiche e ulteriori dettagli<br />

utili alla loro interpretazione. Tra i più interessanti e completi siti web <strong>di</strong><br />

questo tipo va ricordato in primo luogo quello <strong>di</strong> Acronym finder<br />

(http://www.acronymfinder.com). All’interno <strong>di</strong> questo portale è possibile<br />

in<strong>di</strong>viduare agevolmente acronimi in varie lingue, e per moltissimi <strong>di</strong> essi è


M. Lefèvre 179<br />

fornita anche una spiegazione etimologica e storica nonché, ove possibile, il<br />

link corrispondente. Si veda l’esempio del BOE spagnolo:<br />

Boletín Oficial del Estado<br />

The Boletín Oficial del Estado (BOE), Spanish for Official Bulletin of the State, is the<br />

official gazette of the Government of Spain. It publishes the laws of the Cortes<br />

Generales (the nation'ʹs legislature, comprising the Senate and the Congress of<br />

Deputies) and the <strong>di</strong>spositions of the Autonomous Communities. Also, ju<strong>di</strong>cial<br />

rulings, royal decrees, and decrees of the Council of Ministers are published in it.<br />

From 1600 to 1900 was called the Gaceta de Madrid.<br />

See also<br />

Boletín Oficial del Estado (Spanish Wikipe<strong>di</strong>a)<br />

External links<br />

Official website of the Boletín Oficial del Estado (BOE)<br />

Vi è poi anche il sito <strong>di</strong> Acronyma (http://www.acronyma.com/), il cui<br />

data-­‐‑base, per quanto ampio, appare tuttavia meno completo e capillare <strong>di</strong><br />

Acronym finder. Molto utile è invece il Libro de Estilo Interinstitucional<br />

dell’Unione Europea (Manuale interistituzionale <strong>di</strong> convenzioni redazionali<br />

della UE), anch’esso <strong>di</strong>sponibile on line<br />

(http://publications.europa.eu/code/es/es-­‐‑5000400.htm): si trovano qui i più<br />

significativi acronimi del settore giuri<strong>di</strong>co-­‐‑amministrativo nelle lingue dei<br />

paesi della UE, e la finestra <strong>di</strong> consultazione consente agevolmente <strong>di</strong><br />

passare da una lingua a un’altra, offrendo dunque la possibilità <strong>di</strong><br />

comparare i costituenti <strong>di</strong> una determinata sigla nei principali i<strong>di</strong>omi<br />

europei. De<strong>di</strong>cato specificamente alle regole dell’ortografia ispanica è poi il<br />

sito <strong>di</strong> Reglas de Ortografía, che tra le varie sezioni ne ha una de<strong>di</strong>cata<br />

espressamente a sigle e acronimi <strong>di</strong>ffusi in lingua spagnola<br />

(http://www.reglasdeortografia.com/siglasyacronimos.html). E infine,<br />

naturalmente, non si <strong>di</strong>mentichino neppure i vocabolari monolingui più<br />

aggiornati, dal celebre DRAE, anch’esso dotato <strong>di</strong> versione on line<br />

(http://www.rae.es), al CLAVE, uno dei migliori <strong>di</strong>zionari d’uso<br />

(http://clave.librosvivos.net/), i quali comunque inventariano un numero<br />

molto limitato <strong>di</strong> sigle (per lo più sono presenti gli acronimi lessicalizzati e


180<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

più consolidati) e non consentono una decifrazione e comparazione <strong>di</strong><br />

questi ultimi in rapporto alle sigle straniere corrispondenti.<br />

2. La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’<br />

italiano<br />

2.1 Problemi e casistica generale<br />

Come detto, le sigle si possono trovare in qualsiasi ambito professionale<br />

e comunicativo, dalla giurisprudenza alla me<strong>di</strong>cina, dalla pubblicità<br />

all’industria. In un contesto pluri<strong>di</strong>sciplinare e su un piano generale,<br />

limitatamente al problema della relazione e della traduzione spagnolo-­‐‑<br />

italiano, possiamo in<strong>di</strong>viduare tre tipi <strong>di</strong> sigle:<br />

a) le sigle che hanno una precisa corrispondenza nella nostra lingua, per<br />

lo più <strong>di</strong> provenienza anglosassone (FIFA, ONU, CIA)<br />

b) quelle che non hanno una corrispondenza in italiano perché legate a<br />

specifiche realtà ispaniche (PSOE → Partido Socialista Obrero Español;<br />

LOGSE → Ley Orgánica de Ordenación General del Sistema Educativo;<br />

CCAA → Comunidades Autónomas);<br />

c) gli acronimi lessicalizzati e ormai parte integrante del vocabolario <strong>di</strong><br />

entrambe le lingue (radar, láser, sónar).<br />

a) Appartengono generalmente alla prima categoria le sigle<br />

internazionali, circolanti nella più estesa realtà europea o mon<strong>di</strong>ale. In certi<br />

frangenti, quando la sigla è <strong>di</strong> amplissima circolazione, è possibile che<br />

entrambe le lingue la prendano con la formula del prestito non adattato:<br />

UEFA, UNESCO, UNICEF ecc. In questi casi, dunque, la lingua spagnola<br />

non traduce la sigla per poi riproporla secondo il proprio sistema<br />

grammaticale (come faceva invece nel caso <strong>di</strong> ovni rispetto a ufo), ma la<br />

riprende integralmente. Ad ogni modo, anche quando lo spagnolo traduce<br />

l’acronimo straniero per poi coniarne un equivalente nazionale, nella<br />

migliore delle ipotesi c’è una totale coincidenza tra le due lingue: è il caso<br />

<strong>di</strong> FMI, che a fronte della sigla originale inglese (IMF) vale sia per Fondo<br />

Monetario Internacional sia per Fondo Monetario Internazionale; oppure <strong>di</strong>


M. Lefèvre 181<br />

ONU, che traduce sia Organización de las Naciones Unidas sia Organizzazione<br />

delle Nazioni Unite. Ovviamente, esempi <strong>di</strong> questo tipo non generano alcun<br />

problema <strong>di</strong> traduzione in italiano.<br />

In altre occasioni, tuttavia, e soprattutto con sigle <strong>di</strong> derivazione<br />

anglosassone, può darsi che lo spagnolo adatti la sigla e l’italiano no. Ad<br />

esempio, l’inglese AIDS (Acquired Immuno Deficiency Syndrome) passa nella<br />

nostra lingua con il medesimo or<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> parole della sigla originale,<br />

anche se quando capita <strong>di</strong> sciogliere l’acronimo <strong>di</strong>ciamo «Sindrome da<br />

Immuno-­‐‑Deficienza Acquisita»; in spagnolo, invece, AIDS <strong>di</strong>venta SIDA, il<br />

cui or<strong>di</strong>ne riflette la traduzione e l’adattamento al proprio sistema<br />

linguistico (Síndrome de Inmuno-­‐‑Deficiencia Adquirida). In questo modo<br />

funzionano moltissimi acronimi <strong>di</strong>ffusi nella lingua spagnola, e proprio il<br />

campo della me<strong>di</strong>cina sembra essere in tal senso un territorio fertile per<br />

questa tendenza e per evidenziare le <strong>di</strong>verse abitu<strong>di</strong>ni tra spagnolo e<br />

italiano, che per lo più riprende la <strong>di</strong>citura e l’acronimo inglese, abitu<strong>di</strong>ni<br />

che naturalmente invitano a porre particolare attenzione nel momento<br />

dell’interpretazione e della traduzione. Si veda giusto qualche altro<br />

esempio:<br />

Italiano:<br />

HIV (Human Inmunodeficiency Virus)<br />

RNA (Ribonucleic Acid)<br />

RES (Reticuloendothelial system)<br />

STD (Sexually transmitted <strong>di</strong>sease)<br />

WBC (White blood cell count)<br />

Spagnolo:<br />

VIH (Virus de la inmunodeficiencia<br />

humana)<br />

ARN (Ácido ribonucléico)<br />

SRE (Sistema reticuloendotelial)<br />

ETS (Enfermedad de transmisión<br />

sexual)<br />

RL (Recuento de leucocitos)<br />

In generale, sul fronte della resa linguistica proprio la tendenza alla<br />

“ispanizzazione” degli acronimi <strong>di</strong> matrice anglosassone può far sì che<br />

alcune sequenze appaiano <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile riconoscibilità – specialmente se non<br />

si ha esperienza del contesto <strong>di</strong> enunciazione <strong>di</strong> queste ultime e dell’ambito<br />

linguistico e professionale <strong>di</strong> riferimento –, mentre in realtà nascondono le<br />

sigle <strong>di</strong> più comune dominio. Nei casi più eclatanti, comunque, un


182<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

semplice vocabolario bilingue aiuta a sciogliere l’acronimo e a ricondurlo al<br />

più familiare ambito italiano. In altre occasioni, invece, ai fini <strong>di</strong> una<br />

corretta <strong>di</strong>sambiguazione e della successiva riproposizione in italiano della<br />

sequenza occorre ricorrere alla consultazione <strong>di</strong> quei vocabolari<br />

monolingui che contengono un regesto delle sigle più conosciute e usate<br />

oppure ai <strong>di</strong>zionari bilingui generali e <strong>di</strong> settore 1; ma in genere risultano<br />

più efficaci gli strumenti del web, dai forum ai <strong>di</strong>versi corpora linguistici e<br />

alle varie banche dati on line a cui abbiamo fatto riferimento, fino ai veri e<br />

propri traduttori on line 2, che in certi casi danno esiti sod<strong>di</strong>sfacenti.<br />

b) Possono essere inseriti nel secondo gruppo quegli acronimi spagnoli<br />

che mancano <strong>di</strong> una corrispondenza a livello internazionale e che,<br />

ovviamente, non hanno degli equivalenti italiani imme<strong>di</strong>ati. Sono sigle del<br />

tipo: INEM (Instituto Nacional de Empleo); TAPEA (Texto Articulado del<br />

Proce<strong>di</strong>miento Económico Administrativo); o il già ricordato BOE (Boletín<br />

Oficial del Estado). In questi casi la realtà espressa dalla sigla fa riferimento<br />

esclusivamente al contesto storico, politico, sociale spagnolo e pertanto<br />

l’acronimo può essere considerato alla stregua <strong>di</strong> un culturema. Va da sé che<br />

cercare o ideare una sigla equivalente italiana sarebbe una forzatura: il BOE<br />

spagnolo, che pure ha la medesima funzione della Gazzetta Ufficiale<br />

italiana, non può tradursi e “ab<strong>brevi</strong>arsi” in GU e necessita <strong>di</strong> una strategia<br />

<strong>di</strong> resa e spiegazione <strong>di</strong>fferente. Inoltre, la sigla ha un suo valore pregnante<br />

che non può essere alterato, e non è pertanto praticabile neppure la strada<br />

<strong>di</strong> adattare le lettere secondo i principi linguistici italiani riproducendone le<br />

iniziali tradotte: una sigla *BUS (Bollettino Ufficiale dello Stato) per rendere<br />

in italiano il BOE non è naturalmente accettabile né a livello teorico né<br />

1 Giusto per fare un esempio legato a un linguaggio settoriale ampio e <strong>di</strong>fferenziato, sul fronte<br />

giuri<strong>di</strong>co-­‐‑amministrativo ricor<strong>di</strong>amo il Dizionario commerciale, a cura <strong>di</strong> A. M. Gallina, Milano,<br />

Mursia, 1992; il Dizionario giuri<strong>di</strong>co: italiano-­‐‑spagnolo, español-­‐‑italiano, a cura <strong>di</strong> Luigi Di Vita e<br />

Maria Gabriella Piemonte, Milano, Giuffrè, 2001; e il più recente Dizionario spagnolo economico<br />

& commerciale, a cura <strong>di</strong> L. Tam, Milano, Hoepli, 2006.<br />

2 Tra i forum generali, per altro orientati al confronto tra <strong>di</strong>verse lingue, menzioniamo il<br />

celebre WordReference (http://www.wordreference.com) e il sito http://www.proz.com/search,<br />

in cui è possibile reperire interessanti suggerimenti relativi soprattutto all’ambito giuri<strong>di</strong>co.<br />

Per le banche dati ci siamo limitati alla raccolta dell’Euro<strong>di</strong>cautom (http://iate.europa.eu),<br />

vincolata per lo più al linguaggio della burocrazia internazionale, e, limitatamente a sigle e<br />

acronimi, al già ricordato sito <strong>di</strong> Acronym finder (http://www.acronymfinder.com), ma ulteriori<br />

in<strong>di</strong>rizzi sono localizzabili nel libro <strong>di</strong> Bruno Osimo, Traduzione e nuove tecnologie, Milano,<br />

Hoepli, 2001. Infine, <strong>di</strong> fronte all’acronimia più semplice e invalsa, può risultare utile perfino il<br />

traduttore automatico del noto motore <strong>di</strong> ricerca Google (http://translate.google.com).


M. Lefèvre 183<br />

pratico, poiché tra l’altro non risolverebbe il problema della riconoscibilità<br />

e della corretta interpretazione nel contesto <strong>di</strong> arrivo. In questi casi, è<br />

preferibile <strong>di</strong> norma mantenere la sigla spagnola nella sua integralità,<br />

riservando lo scioglimento del suo significato tra le righe, in una parentesi<br />

seguente o in una nota al testo.<br />

c) Infine, la traduzione spagnolo-­‐‑italiano degli acronimi lessicalizzati è<br />

in linea <strong>di</strong> massima agevole, poiché essi sono ormai entrati a far parte della<br />

lingua standard o <strong>di</strong> certi linguaggi <strong>di</strong> settore in entrambi gli i<strong>di</strong>omi. Questi<br />

acronimi per lo più provengono dall’inglese, dove anche hanno assunto il<br />

valore <strong>di</strong> lessemi a tutti gli effetti, e sono per lo più introdotti nelle due<br />

lingue come prestiti integrali (radar → radar, sónar → sonar, quásar → quasar<br />

ecc.), il che appunto, con le dovute eccezioni (è il caso più volte ricordato <strong>di</strong><br />

ovni → ufo), non crea particolari problemi traduttivi.<br />

2.2. Ipotesi per una casistica puntuale della traduzione italiana <strong>di</strong><br />

acronimi in lingua spagnola<br />

Se affrontiamo sistematicamente e capillarmente il problema della resa<br />

in italiano degli acronimi e delle sigle <strong>di</strong>ffuse nella lingua spagnola,<br />

possiamo ricostruire un quadro piuttosto ampio e articolato che non solo<br />

dà conto <strong>di</strong> una casistica complessa, ma offre anche tutta una serie <strong>di</strong><br />

spunti utili ai fini <strong>di</strong> una traduzione efficace sul piano interlinguistico e<br />

pragmalinguistico. Si tratta <strong>di</strong> un’analisi sistematica che ha a che vedere<br />

con la pratica concreta della traduzione, spesso dettata dalle necessità <strong>di</strong> un<br />

determinato ambito professionale, e che allo stesso tempo investe questioni<br />

più generali <strong>di</strong> teoria e metodologia della traduzione. Certo, non è nostra<br />

intenzione enunciare qui assunti definitivi, e tantomeno fornendo un<br />

quadro che, per quanto omogeneo, non può pretendere <strong>di</strong> essere esaustivo<br />

a fronte della continua proliferazione ed espansione dell’acronimia nel<br />

tessuto della comunicazione linguistica internazionale, <strong>di</strong> cui Spagna e<br />

Italia rappresentano esclusivamente due realtà circoscritte; tuttavia,<br />

proprio la serie degli esempi che proponiamo consente a nostro avviso <strong>di</strong><br />

ottenere una buona dose <strong>di</strong> esperienza e <strong>di</strong>mestichezza e può fornire al<br />

traduttore elementi utili a valutare e operare le proprie scelte. In primo<br />

luogo, è il caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre l’insieme in due gran<strong>di</strong> categorie: le sigle<br />

internazionali e le sigle spagnole.


184<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

Nel primo caso, come ricordato in più occasioni nel corso <strong>di</strong> queste<br />

pagine, il problema della formazione dell’acronimo in lingua spagnola e<br />

della sua traduzione italiana va inquadrato all’interno del comportamento<br />

<strong>di</strong> ogni i<strong>di</strong>oma nei confronti dei forestierismi e dei prestiti. È quanto cerca<br />

<strong>di</strong> sintetizzare lo specchietto seguente, che appunto in tal senso dà conto<br />

della versione spagnola dell’acronimo straniero e del suo equivalente<br />

italiano.<br />

2.2.1. Sigle internazionali<br />

prestito non adattato con equivalente identico:<br />

CIA → CIA<br />

UEFA → UEFA<br />

FIFA → FIFA<br />

Interpol → Interpol<br />

Láser → Laser<br />

prestito adattato con equivalente identico:<br />

FMI (Fondo Monetario Internacional) → FMI (Fondo Monetario<br />

Internazionale)<br />

ONU (Organización de las Naciones Unidas) → ONU (Organizzazione<br />

delle Nazioni Unite)<br />

prestito adattato con equivalente <strong>di</strong>fforme:<br />

ACNUR (Alto Comisionado de Naciones Unidas para los Refugiados) →<br />

UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees)<br />

VIH (Virus de Inmunodeficiencia Humana) → HIV (Human Immunodeficiency<br />

Virus)<br />

OCDE (Organización de Cooperación y Desarrollo Económicos) → OCSE<br />

(Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)<br />

OMG (Organismo Mo<strong>di</strong>ficato Genéticamente) → OGM (Organismo<br />

Geneticamente Mo<strong>di</strong>ficado)<br />

Come può notarsi, la casistica contempla sia esempi <strong>di</strong> cui abbiamo<br />

ampiamente <strong>di</strong>scusso sia altri casi, quali i <strong>di</strong>versi adattamenti che spagnolo<br />

e italiano propongono <strong>di</strong> un acronimo <strong>di</strong> provenienza straniera. A tal


M. Lefèvre 185<br />

proposito, in particolare si noti che nel caso delle sigle che in spagnolo<br />

risultano dei prestiti adattati con equivalente <strong>di</strong>fforme – il terzo caso qui<br />

proposto –, l’italiano tende in alcuni frangenti a mantenere la sigla<br />

d’origine senza tradurla (ad es. UNHCR), in altri a proporre una propria<br />

versione adattata dell’acronimo <strong>di</strong> partenza (ad es. OCSE).<br />

Nel caso delle sigle <strong>di</strong> origine spagnola, che dunque anche nella loro<br />

veste grafica e nella loro morfologia rispondono appieno alle consuetu<strong>di</strong>ni<br />

grammaticali del proprio i<strong>di</strong>oma, il problema della traduzione italiana si fa<br />

più complicato, anche perché la resa puntuale dell’acronimo non investe<br />

solamente la <strong>di</strong>mensione linguistica, ma anche quella culturale, che per sua<br />

natura ha in sé una rete <strong>di</strong> implicazioni e sfumature molto fitta. Inoltre, la<br />

casistica <strong>di</strong> sigle che offriamo <strong>di</strong> seguito permette <strong>di</strong> commentare svariati<br />

aspetti delle problematiche traduttive che non riguardano soltanto la sfera<br />

dell’acronimia, ma che rimandano anche a <strong>di</strong>namiche più generali che si<br />

innescano, in maniera consueta o inattesa, nella traduzione dallo spagnolo<br />

all’italiano.<br />

2.2.2. Sigle spagnole<br />

acronimo spagnolo con equivalente e significato identici:<br />

MAE (Ministerio de Asuntos Exteriores) → MAE (Ministero degli Affari<br />

Esteri)<br />

IVA (Impuesto sobre el Valor Aña<strong>di</strong>do) → IVA (Imposta sul Valore<br />

Aggiunto)<br />

acronimo spagnolo con equivalente <strong>di</strong>fforme ma significato identico:<br />

PNB (Producto Nacional Bruto) o PIB (Producto Interior Bruto) → PIL<br />

(Prodotto Interno Lordo)<br />

OIEA (Organismo Internacional de Energía Atómica) → AIEA (Agenzia<br />

Internazionale per l’Energia Atomica)<br />

INSS (Instituto Nacional de Seguridad Social) → INPS (Istituto Nazionale<br />

Previdenza Sociale)<br />

acronimo spagnolo con equivalente identico e significato <strong>di</strong>fferente:<br />

ETS (Enfermedad de Transmisión Sexual) ≠ ETS (E<strong>di</strong>zioni Universitarie –<br />

Pisa)


186<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

CEI (Comunidad de Estados Indepen<strong>di</strong>entes o Consejo Europeo de<br />

Investigación) ≠ CEI (Conferenza Episcopale Italiana)<br />

MEC (Ministerio de Educación y Cultura o Marco Europeo de<br />

Cualificaciones) ≠ MEC (Mercato Comune Europeo)<br />

acronimo spagnolo con equivalente <strong>di</strong>fforme ma con funzione e significato<br />

analoghi:<br />

AVE (Alta Velocidad Española) → TAV (Treno ad Alta Velocità)<br />

CSIC (Consejo Superior de Investigaciones Científicas) → CNR (Consiglio<br />

Nazionale delle Ricerche)<br />

RENFE (REd Nacional de FErrocarriles) → FFSS (Ferrovie dello Stato)<br />

BOE (Boletín Oficial del Estado) → GU (Gazzetta Ufficiale)<br />

acronimo spagnolo senza equivalente in italiano:<br />

a) realtà storico-­‐‑politica:<br />

GAL (Grupos Antiterroristas de Liberación)<br />

ETA (Euska<strong>di</strong> Ta Askatasuna)<br />

b) realtà storico-­‐‑culturale:<br />

RAE (Real Academia Española)<br />

c) realtà socio-­‐‑culturale:<br />

BUP (Bachillerato Unificado Polivalente)<br />

ESO (Enseñanza Secundaria Obligatoria)<br />

d) realtà geo-­‐‑politica e amministrativa:<br />

CCAA (Comunidades Autónomas)<br />

Diversi sono i rilievi che si possono formulare a fronte <strong>di</strong> tale<br />

sud<strong>di</strong>visione che, per quanto arbitraria e ine<strong>di</strong>ta, ci sembra poter<br />

riassumere gran parte della casistica in oggetto. In primo luogo, sul fronte<br />

della ricerca e del lavoro traduttivo, è opportuno rilevare che se pure


M. Lefèvre 187<br />

ognuno dei gruppi in cui abbiamo sud<strong>di</strong>viso le sigle spagnole presenta un<br />

coefficiente <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà variabile ai fini della decifrazione e della<br />

susseguente traduzione italiana <strong>di</strong> ognuna <strong>di</strong> esse, tuttavia una ricerca<br />

attraverso i siti web e gli strumenti lessicografici più adeguati consente al<br />

traduttore <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare con un sufficiente margine <strong>di</strong> certezza la realtà<br />

storica e culturale a cui l’acronimo spagnolo rinvia e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> guidare la<br />

versione italiana nella giusta <strong>di</strong>rezione. Per una <strong>di</strong>sambiguazione e una<br />

resa linguisticamente e culturalmente efficace della sigla spagnola appare<br />

poi sempre decisivo, come abbiamo già rimarcato, il contesto <strong>di</strong><br />

enunciazione del testo <strong>di</strong> partenza, che consente dapprima al traduttore <strong>di</strong><br />

sciogliere e interpretare l’acronimo originale e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> riproporlo<br />

adeguatamente nel proprio universo linguistico e culturale. Il terzo gruppo,<br />

ad esempio, annovera <strong>di</strong> fatto una sorta <strong>di</strong> “falsi amici” acronimici, cioè<br />

delle sigle che, se non ben analizzate e contestualizzate – non tanto<br />

linguisticamente, ma tematicamente e a livello <strong>di</strong> referente –, possono<br />

creare non pochi imbarazzi in sede <strong>di</strong> traduzione (si vedano gli esempi CEI<br />

e MEC). L’orizzonte referenziale del testo è pertanto centrale nella corretta<br />

lettura <strong>di</strong> certe sigle, e ciò risulta particolarmente evidente quando una<br />

medesima sequenza rimanda a più significati, a <strong>di</strong>fferenti realtà. Ma<br />

questioni <strong>di</strong> pragmatica ovviamente entrano in gioco anche a proposito<br />

delle strategie con cui tradurre un determinato acronimo nel contesto <strong>di</strong><br />

ricezione, tanto all’interno delle <strong>di</strong>namiche testuali e grammaticali della<br />

lingua d’arrivo quanto nel sistema storico, culturale e sociale in cui la<br />

traduzione viene proposta. In questo senso, come <strong>di</strong>cevamo poco sopra,<br />

alcune sigle acquisiscono a tutti gli effetti il valore <strong>di</strong> culturemi e a livello <strong>di</strong><br />

traduzione vanno trattate come tali, con tutte le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> interpretazione<br />

e resa linguistica che ciò comporta. Se si prende la casistica degli ultimi due<br />

insiemi, è innegabile che la traduzione dell’acronimia coinvolga sia aspetti<br />

strettamente linguistici e grammaticali sia più complesse questioni<br />

culturali. Anche se nel primo dei due a fronte dell’acronimo spagnolo<br />

abbiamo azzardato degli equivalenti italiani sul piano semantico e<br />

funzionale, è ovvio che le sigle italiane rispetto agli originali non possono<br />

essere proposte come delle traduzioni in senso stretto, tecnico: nell’ottica <strong>di</strong><br />

una versione che sappia me<strong>di</strong>are tra un testo e soprattutto un contesto <strong>di</strong><br />

partenza e uno <strong>di</strong> arrivo, come spiegavamo, non è praticabile la resa <strong>di</strong><br />

BOE con GU, e tantomeno quella <strong>di</strong> AVE con TAV, per il semplice fatto che<br />

le realtà in<strong>di</strong>viduate da dette espressioni, pur svolgendo funzione analoga<br />

nei due paesi ed essendo sovrapponibili anche a livello concettuale, non


188<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

sono del tutto equivalenti, poiché incarnano valori culturali <strong>di</strong>fferenti. Nel<br />

caso <strong>di</strong> AVE (Alta Velocidad Española), ad esempio, nell’aggettivo che<br />

sottolinea la “spagnolità” del progetto cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> poter leggere un<br />

investimento ideologico e una riven<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> orgoglio nazionale che è<br />

senz’altro assente, o comunque neutralizzata, nell’equivalente <strong>di</strong>citura<br />

italiana (TAV = Treno ad Alta Velocità). È così che in sede <strong>di</strong> traduzione è<br />

raccomandabile riproporre la sigla originale – che nell’italiano<br />

assumerebbe le caratteristiche <strong>di</strong> un prestito integrale – e tradurla<br />

spiegandola tra le righe o in nota (ad es. «i progressi dell’AVE, la rete<br />

spagnola <strong>di</strong> treni ad alta velocità, hanno ridotto le <strong>di</strong>stanze tra le principali<br />

città iberiche»; oppure, per analogia acronimica, «i progressi dell’AVE, la<br />

TAV spagnola, hanno ridotto le <strong>di</strong>stanze tra le principali città iberiche» ecc.).<br />

Ancora più complesso è l’ultimo gruppo <strong>di</strong> acronimi proposti, poiché essi,<br />

rinviando alla specifica realtà ispanica nei suoi aspetti storici, politici e<br />

sociali, non hanno, non possono avere degli equivalenti italiani, neppure<br />

come semplici analoghi funzionali e semantici. Di fatto, in ottica traduttiva,<br />

in questo frangente il problema riguarda sia la corretta interpretazione<br />

della sigla sia le ipotesi <strong>di</strong> una sua riproposizione. È ovvio che nella<br />

maggioranza dei casi si dovrà lasciare inalterato l’acronimo spagnolo e,<br />

come nel caso precedente, offrire eventualmente un inciso o<br />

un’annotazione esplicativa: le sigle GAL o ETA rinviano a realtà della<br />

storia politica della Spagna degli ultimi anni e come tali vanno preservate e<br />

presentate anche nel testo italiano (tra l’altro, il movimento terroristico<br />

dell’ETA è ormai tristemente famoso da tempo anche in Italia). In altri casi,<br />

invece, come con ESO, dal momento che la sigla identifica in maniera<br />

generale una realtà presente anche in Italia – il sistema dell’istruzione<br />

obbligatoria – e non ci sembra avere in sé un valore connotativo al <strong>di</strong> là<br />

dell’ab<strong>brevi</strong>azione dettata dai rituali della burocrazia (Enseñanza<br />

Secundaria Obligatoria), in italiano si può anche pensare <strong>di</strong> non ripetere<br />

l’acronimo e scioglierlo nella sua traduzione, proponendo <strong>di</strong>rettamente la<br />

<strong>di</strong>citura «scuola dell’obbligo» o «istruzione obbligatoria» (ad es. «in Spagna<br />

al termine della scuola dell’obbligo, lo studente è chiamato a scegliere un<br />

in<strong>di</strong>rizzo successivo <strong>di</strong> ambito scientifico o umanistico»).<br />

3 . Conclusioni<br />

In base alla serie <strong>di</strong> esempi e riflessioni proposte, nella traduzione <strong>di</strong><br />

sigle e acronimi dallo spagnolo all’italiano emerge in primis la necessità <strong>di</strong>


M. Lefèvre 189<br />

tenere in considerazione non soltanto il fronte dell’equivalenza linguistica,<br />

ma anche quello dell’equivalenza culturale, quel sistema <strong>di</strong> valori<br />

extralinguistici – storici, sociali, politici ecc. – a cui l’acronimia, in modo più<br />

o meno scoperto, frequentemente rimanda e che la traduzione non può<br />

trascurare nel momento della sua riproposizione nel contesto <strong>di</strong> arrivo. Dal<br />

punto <strong>di</strong> vista grammaticale, dato che spagnolo e italiano sono lingue<br />

affini, esse hanno un comportamento simile per quanto riguarda le<br />

modalità <strong>di</strong> lessicalizzazione dell’acronimo e le sue caratteristiche<br />

morfologiche, fattore che semplifica le <strong>di</strong>namiche della resa traduttiva, ad<br />

esempio anche nel mantenimento frequente del genere e del numero della<br />

sigla originale: in entrambi gli i<strong>di</strong>omi si <strong>di</strong>ce una ONG; las ONGs → le<br />

ONG; la FIFA; el SIDA → l’AIDS ecc. E sempre in relazione al principio <strong>di</strong><br />

equivalenza linguistica, se da un lato va sottolineato che spagnolo e italiano<br />

tendono a lessicalizzare più o meno gli stessi acronimi, soprattutto quando<br />

questi ultimi hanno origine straniera – e ciò favorisce naturalmente la<br />

traduzione –, dall’altro invece, come abbiamo visto, nel caso <strong>di</strong> alcune sigle<br />

tipiche del contesto spagnolo, l’italiano non sempre è in grado <strong>di</strong> produrre<br />

un’equivalenza linguistica imme<strong>di</strong>ata (GAL → ?, CCAA → ?), ma spesso<br />

può ugualmente reperire degli equivalenti semantici e concettuali (AVE →<br />

TAV, RENFE → FFSS), i quali comunque in sede <strong>di</strong> traduzione non<br />

possono funzionare automaticamente e necessitano <strong>di</strong> una spiegazione<br />

ulteriore. Di fatto, questi ultimi esempi verificano la possibilità <strong>di</strong><br />

considerare alcuni acronimi alla stregua <strong>di</strong> culturemi, i quali in quanto tali<br />

nel processo traduttivo implicano la considerazione <strong>di</strong> tutta una serie <strong>di</strong><br />

fattori extralinguistici che, come abbiamo sottolineato, non possono essere<br />

ignorati o, peggio, scavalcati nel momento del passaggio dallo spagnolo<br />

all’italiano. La traduzione delle sigle, pertanto, implica le <strong>di</strong>namiche della<br />

trasmissione e della relazione culturale tra due o più mon<strong>di</strong>, che appunto si<br />

confrontano sia sul piano strettamente linguistico sia su quello della<br />

propria storia e delle proprie <strong>di</strong>namiche sociali, economiche e politiche. In<br />

questo senso, al <strong>di</strong> là della frequenza d’uso all’interno <strong>di</strong> un determinato<br />

campo tematico o settore professionale, al <strong>di</strong> là della vocazione sintetica<br />

propria della lingua della comunicazione burocratica o massme<strong>di</strong>atica,<br />

l’acronimia va considerata come parte integrante del patrimonio storico e<br />

culturale <strong>di</strong> un determinato orizzonte, sia esso legato alla sfera dei rapporti<br />

globali, sia esso circoscritto al rapporto tra due paesi.<br />

In secondo luogo, fondamentale ai fini <strong>di</strong> una corretta <strong>di</strong>sambiguazione<br />

e resa dell’acronimia è sia il contesto linguistico sia quello referenziale in


190<br />

La traduzione delle sigle e degli acronimi dallo spagnolo all’italiano<br />

cui la sigla si inserisce. È un problema <strong>di</strong> pragmatica della traduzione che<br />

coinvolge sia la tipologia testuale in cui l’acronimo appare sia i suoi<br />

destinatari privilegiati. Senza riba<strong>di</strong>re quanto detto a proposito<br />

dell’importanza <strong>di</strong> una conoscenza dei <strong>di</strong>versi linguaggi e ambiti tecnici,<br />

per una resa puntuale delle sequenze acronimiche, è ovvio che ad ogni tipo<br />

<strong>di</strong> testo si ad<strong>di</strong>ca una traduzione specifica e in linea con le esigenze <strong>di</strong><br />

settore, che della sigla non fornisca soltanto una mera equivalenza<br />

linguistica, ma tutto il suo portato culturale e la sua funzionalità<br />

comunicativa e professionale. Di fatto, in un testo <strong>di</strong> ambito politico-­‐‑<br />

amministrativo, ad alto coefficiente <strong>di</strong> rigore e ufficialità, è consigliabile<br />

una riproposizione integrale della sigla – che a questo punto entrerebbe nel<br />

tessuto linguistico come un prestito non adattato – con un’eventuale<br />

spiegazione tra parentesi o in una nota esplicativa che sciolga la sigla e ne<br />

chiarisca il significato («il PNV (Partito Nazionalista Basco) ha presentato una<br />

mozione d’or<strong>di</strong>ne…»). Al contrario, in testi che appartengono al mondo<br />

dell’informazione o del giornalismo, in cui l’acronimia ben si sposa con la<br />

sintesi e l’imme<strong>di</strong>atezza spesso richiesta ai mezzi <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong><br />

massa, <strong>di</strong> fronte alla sigla presente in un brano spagnolo in certi frangenti<br />

si può ricorrere <strong>di</strong>rettamente all’utilizzo del suo omologo italiano (PNB:<br />

Producto Nacional Bruto → PIL: Prodotto Interno Lordo) o, naturalmente,<br />

della sigla equivalente valida a livello internazionale (OTAN → NATO). In<br />

altri casi, quando la sigla identifica una specifica realtà ispanica<br />

(culturema), si ricorre spesso a soluzioni <strong>di</strong> compromesso in linea con i<br />

manuali <strong>di</strong> stile che le principali testate compilano a favore dei propri<br />

redattori e che <strong>di</strong> fatto richiamano le strategie già più volte riscontrate,<br />

introducendo una imme<strong>di</strong>ata spiegazione dell’acronimo, obbligatoria<br />

quando si ha la prima occorrenza della sigla (ad es. «sul BOE, il Bollettino<br />

ufficiale dello stato spagnolo, l’equivalente della Gazzetta Ufficiale<br />

italiana,…»).<br />

Infine, per quanto riguarda gli strumenti utili all’interpretazione e alla<br />

traduzione degli acronimi dallo spagnolo all’italiano, contrariamente a<br />

quello che si potrebbe pensare, risultano poco funzionali i gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>zionari<br />

bilingui e monolingui (generali e tecnici), che <strong>di</strong> fatto annoverano<br />

solamente gli acronimi più conclamati e che, dal momento che molte sigle<br />

sono da considerarsi alla stregua <strong>di</strong> prestiti non sempre “adottati” dalla<br />

lessicografia ufficiale, lasciano ai margini tutto un universo <strong>di</strong> acronimi a<br />

cui invece il sistema della comunicazione globale ricorre costantemente e<br />

copiosamente. Più utili, se usati con intelligenza e scaltrezza, possono


M. Lefèvre 191<br />

essere invece i Manuali <strong>di</strong> convenzioni redazionali delle principali<br />

organizzazioni internazionali (si pensi al già menzionato Libro de estilo della<br />

UE), che offrono la possibilità <strong>di</strong> passare da una lingua a un’altra con<br />

grande rapi<strong>di</strong>tà. Ma soprattutto è opportuno segnalare i già ricordati<br />

portali e siti internet de<strong>di</strong>cati espressamente agli acronimi internazionali<br />

(ad es. Acronymfinder) e spagnoli in particolare (ad es. Reglas de Ortografía),<br />

che forniscono dettagli importanti ai fini dello scioglimento e della corretta<br />

esegesi <strong>di</strong> questi ultimi. E infine, sul fronte specifico della traduzione, al<br />

cospetto delle sigle più semplici, non vanno neppure snobbati alcuni<br />

traduttori automatici <strong>di</strong>ffusi nel web: uno <strong>di</strong> questi è il già ricordato<br />

traduttore <strong>di</strong> Google (http://translate.google.it) che, poco utile in linea<br />

generale, limitatamente agli acronimi più noti e <strong>di</strong>ffusi può offrire risultati<br />

veloci e sorprendenti.<br />

Bibliografia<br />

Matteo Lefèvre<br />

matteo.lefevre@libero.it<br />

Carrera Díaz 1997<br />

Carrera Díaz Manuel, Grammatica spagnola, Roma-­‐‑Bari, Laterza.<br />

DRAE 2001<br />

Diccionario de la Real Academia Española, Madrid, RAE, XXII ed., versión<br />

on line (http://buscon.rae.es/draeI/)


Abstract<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

Felicia Logozzo<br />

Il contributo propone una classificazione delle scritture <strong>brevi</strong> dell’italiano,<br />

in<strong>di</strong>viduate all’interno <strong>di</strong> un corpus <strong>di</strong> Twit, sulla base <strong>di</strong> criteri intrinseci alle forme<br />

delle ab<strong>brevi</strong>azioni e <strong>di</strong> criteri basati sul rapporto tra le forme scritte stesse e<br />

l’oralità della lingua.<br />

Parole chiave: scritture <strong>brevi</strong>, lingua orale e lingua scritta, lingua italiana<br />

This paper offers a classification of short forms of written Italian, identified in a<br />

corpus of Twits. The classification is based both on their formal features and on<br />

their relations with oral language.<br />

Keywords: short writings, oral and written language, Italian language<br />

Quando si è deciso <strong>di</strong> intraprendere la ricerca sulle scritture <strong>brevi</strong>, si è<br />

posta come prima esigenza quella <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare un corpus dal quale<br />

partire.<br />

Un corpus <strong>di</strong> lingua viva presenta delle problematicità insite nella sua<br />

stessa natura perché non è circoscritto nel tempo e nello spazio, non è<br />

definito ed è in continua evoluzione. In particolar modo, testi provenienti<br />

da scambi <strong>di</strong> SMS e da chat non sono facili da reperire, soprattutto se si<br />

vuole che provengano da un numero sufficientemente alto <strong>di</strong> parlanti da<br />

essere rappresentativi dei fenomeni da analizzare.<br />

Per aggirare il problema, si è deciso <strong>di</strong> scegliere come fonte Twitter, un<br />

servizio gratuito <strong>di</strong> social network e microblog che permette agli iscritti,<br />

tramite l’aggiornamento della propria pagina personale con testi <strong>di</strong><br />

massimo 140 caratteri, <strong>di</strong> scambiarsi in tempo reale messaggi <strong>di</strong> qualunque<br />

tipo. Pur essendo anche esso un servizio <strong>di</strong> instant messaging ha, rispetto<br />

ad altre chat e agli SMS, un grosso vantaggio dal nostro punto <strong>di</strong> vista: ogni


F. Logozzo 193<br />

nuovo account è impostato automaticamente come “profilo pubblico” 1 e,<br />

considerato che non tutti gli utenti si prendono la briga <strong>di</strong> inserire delle<br />

restrizioni <strong>di</strong> privacy, moltissime conversazioni possono essere lette da<br />

chiunque. Per creare il corpus non è stato necessario quin<strong>di</strong> reperire<br />

materiale custo<strong>di</strong>to su cellulari e computer privati, ma è stato sufficiente<br />

effettuare una ricerca mirata su Twitter.<br />

Il motore <strong>di</strong> ricerca interno <strong>di</strong> Twitter non permette tuttavia <strong>di</strong><br />

selezionare la lingua dei testi tra i quali indagare; molte ab<strong>brevi</strong>azioni,<br />

estremamente <strong>di</strong>ffuse in italiano, hanno dato, <strong>di</strong> conseguenza, risultati in<br />

altre lingue in cui una certa sequenza <strong>di</strong> simboli ha tutt’altro valore<br />

linguistico, e dunque inservibili. Inserendo però, non solo parole singole,<br />

ma anche sequenze <strong>di</strong> parole ab<strong>brevi</strong>ate -­‐‑ vd dmn (vado domani), scste<br />

(scusate), qll (quell-­‐‑), c gg (ci… <strong>oggi</strong>), cs fai (cosa fai), prp ora (proprio ora),<br />

sn tt (sono tutt-­‐‑), smp qst (sempre quest-­‐‑), tt ftt (tutto fatto), bellix (bellissi-­‐‑) -­‐‑<br />

si è riusciti a ottenere un gran numero <strong>di</strong> conversazioni, in lingua italiana,<br />

riccamente farcite <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azioni, dalle quali sono state selezionate e<br />

analizzate in maniera del tutto casuale circa 30 pagine <strong>di</strong> conversazioni <strong>di</strong><br />

cui qui si riportano alcune righe a mero titolo esemplificativo, tratte dal<br />

profilo <strong>di</strong> K4T3R1N4_93 2.<br />

• vbb storia pure io me la rivedo meglio dmn ke gg ho ftt finoa<br />

nerone-­‐‑... ohi ale io vd ci ve<strong>di</strong>amo dmn mattina kisss<br />

• io nn so francese uffaaaaaaa :(<br />

• sei sveglia <strong>di</strong> piè?<br />

1 Tali sono le impostazioni del social network alla data <strong>di</strong> creazione del presente contributo<br />

(febbraio 2011).<br />

2 Da notare la scelta del nickname della ragazza K4T3R1N4_93 = KATƎRINA che mantiene<br />

molto probabilmente il suo nome <strong>di</strong> battesimo ma lo trascrive alternando alle consonanti<br />

alcuni numeri, per la loro somiglianza formale rispettivamente alle vocali A, E (rovesciata) e I<br />

dell’alfabeto latino. Non si tratta naturalmente <strong>di</strong> un espe<strong>di</strong>ente ab<strong>brevi</strong>ativo, quanto piuttosto<br />

<strong>di</strong> un elemento per così <strong>di</strong>re stilistico che rimane confinato nella scrittura, non mo<strong>di</strong>ficando in<br />

alcun modo la realizzazione fonetica della parola. Spesso infatti la manipolazione del<br />

linguaggio e della scrittura <strong>di</strong> elementi delle lingue può essere ricondotta esclusivamente a fini<br />

lu<strong>di</strong>ci. E’ anche attraverso le scelte scrittorie, all’interno <strong>di</strong> un contesto <strong>di</strong> comunicazione<br />

informale tra pari quali effettivamente si rivelano essere solitamente le conversazioni via chat<br />

o via SMS, che il parlante/scrivente può concretizzare la sua creatività linguistica, primo<br />

motore universale del mutamento e dell’evoluzione delle lingue, manifestando la propria<br />

originalità ed in<strong>di</strong>vidualità o anche l’appartenenza ad un gruppo <strong>di</strong> parlanti/scriventi col<br />

quale con<strong>di</strong>videre gli stessi “gusti” scrittori. Per la funzione lu<strong>di</strong>ca del linguaggio in generale<br />

si veda Crystal 1998; per gli aspetti lu<strong>di</strong>ci delle scritture <strong>brevi</strong> si veda Crystal 2008, 71 e ss.


194<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

• :D :D<br />

• Anke io :)<br />

• però io vengo a fare colazione cn voi :)<br />

• Ohi allò dmn mattina confermato x le otto al terminal? lau forse<br />

prende qll dll 8 quin<strong>di</strong> ci ved al term alle 9 -­‐‑ 1 quarto<br />

• Notteeeee popolo <strong>di</strong><br />

twitteeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeeer :D<br />

I brani analizzati sono particolarmente marcati in senso <strong>di</strong>amesico e<br />

<strong>di</strong>afasico e, per chi non è allenato a questo tipo <strong>di</strong> scrittura e <strong>di</strong> testualità,<br />

possono risultare <strong>di</strong>fficili da leggere, da seguire e da comprendere. Non ci<br />

si vuole qui occupare della loro analisi testuale (tanto ci sarebbe da <strong>di</strong>re del<br />

continuo code switching, <strong>di</strong> caratteri morfologici e sintattici, se non anche<br />

fonetici, attribuibili a varianti regionali, ecc.) quanto piuttosto dell’utilizzo<br />

<strong>di</strong> forme <strong>di</strong> scritture <strong>brevi</strong>.<br />

Di queste, non saranno oggetto <strong>di</strong> analisi quelle entrate nell’uso<br />

comune, <strong>di</strong>ventate ab<strong>brevi</strong>azioni <strong>di</strong> tutti -­‐‑ più o meno longeve che siano 3 -­‐‑<br />

quanto piuttosto quelle che sono per il momento ab<strong>brevi</strong>azioni <strong>di</strong> gruppi e<br />

che sono strettamente correlate alla Computer Me<strong>di</strong>ated Communication<br />

(CMC) 4 e agli SMS, ovvero contesti comunicativi caratterizzati dalla<br />

combinazione <strong>di</strong> due o più tra i seguenti fattori (cfr. anche Crystal 2006,<br />

Bazzanella 2003):<br />

-­‐‑ <strong>brevi</strong>tà , se i caratteri a <strong>di</strong>sposizione sono <strong>di</strong> numero limitato o se<br />

ci sono esigenze <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitare il minor numero <strong>di</strong> caratteri per<br />

favorire la velocità <strong>di</strong> scrittura e, soprattutto nel caso <strong>di</strong> programmi<br />

<strong>di</strong> instant messaging, <strong>di</strong> interazione e scambio 5;<br />

-­‐‑ informalità intesa come scarsa o nulla esigenza <strong>di</strong> rispetto degli<br />

standard linguistici e scrittori, favorita dal contesto della<br />

interazione tra pari in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> comunicazione colloquiale;<br />

-­‐‑ scarsa o nulla pianificazione del testo;<br />

3 Per sigle e ab<strong>brevi</strong>azioni <strong>di</strong> uso comune si veda, all’interno <strong>di</strong> questo volume, il contributo <strong>di</strong><br />

Lucia Di Pace e Rossella Pannain.<br />

4 Per il ruolo della tecnologia nella comunicazione attraverso la lingua si veda Poe 2010.<br />

5 L’esigenza <strong>di</strong> <strong>brevi</strong>tà non è strettamente correlata alla velocità <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> cui può<br />

rappresentare invece un ostacolo. E’ il caso degli SMS in scriptio continua del tipo<br />

“<strong>oggi</strong>SnAndAllUniMaNnCeraLezXkèIlProfEMalato” che impongono un faticoso alternare<br />

maiuscole e minuscole per delimitare le varie parole.


F. Logozzo 195<br />

-­‐‑ pianificazione non tra<strong>di</strong>zionale del testo ovvero elaborazione<br />

volontaria <strong>di</strong> neologismi, strutture sintattiche non standard e forme<br />

grafiche, anche estremamente elaborate, manifestazione non <strong>di</strong><br />

incompetenza ma <strong>di</strong> forte creatività linguistica e riflessione<br />

metalinguistica 6;<br />

-­‐‑ code switching;<br />

-­‐‑ elaborazione <strong>di</strong> testi <strong>di</strong> supporto a comunicazioni au<strong>di</strong>o-­‐‑video,<br />

ovvero uso contestuale con lo stesso interlocutore <strong>di</strong> chat e video-­‐‑<br />

chat, siano esse messe a <strong>di</strong>sposizione da un unico strumento<br />

(Skype, MSN), siano esse frutto dell’abbinamento simultaneo <strong>di</strong><br />

chat e video-­‐‑chat <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa origine.<br />

Prima <strong>di</strong> procedere ad una classificazione è bene precisare che non si<br />

ab<strong>brevi</strong>a sempre per necessità e non solo per necessità.<br />

La pratica delle scritture <strong>brevi</strong>, che nasce, in prima istanza, come<br />

esigenza concreta <strong>di</strong> risparmio <strong>di</strong> spazio per la CMC e gli SMS, si<br />

trasferisce presto a tutti i testi che si collocano nella stessa posizione<br />

all’interno del <strong>di</strong>asistema, ovvero testi elettronici elaborati da una certa<br />

categoria <strong>di</strong> parlanti in un contesto informale <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visione tra pari <strong>di</strong><br />

interessi, pensieri e sensazioni. L’operazione <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azione <strong>di</strong>venta<br />

quin<strong>di</strong> consuetu<strong>di</strong>ne, marca sociolinguistica <strong>di</strong> un determinato tipo <strong>di</strong> testi<br />

a prescindere dalle reali esigenze <strong>di</strong> economia 7.<br />

Se si osservano casi <strong>di</strong> twit quali: “io nn so francese uffaaaaaaa :(” o<br />

“strabll!! =)”, il primo dei quali occupa solo 30 caratteri dei 140 <strong>di</strong>sponibili e<br />

il secondo ad<strong>di</strong>rittura 12, ci si rende conto facilmente del fatto che le forme<br />

nn invece <strong>di</strong> “non” e strabl al posto del completo “strabiliante” siano da<br />

6 David Crystal (2008, 151 e ss.) ritiene che i nuovi mezzi <strong>di</strong> comunicazione hanno messo in<br />

con<strong>di</strong>zione i parlanti/scriventi <strong>di</strong> manifestare al meglio le proprie creatività e competenza<br />

linguistiche e sottolinea, con dati quantitativi, che chi scrive SMS, nella quasi totalità dei casi, è<br />

perfettamente consapevole <strong>di</strong> utilizzare occasionalmente delle varianti grafiche (e più<br />

genericamente linguistiche), legate al mezzo in questione, ed è lungi dal confondere i vari<br />

registri a sua <strong>di</strong>sposizione. Piuttosto è probabile che chi non ha una buona <strong>di</strong>mestichezza con<br />

la lettura e la scrittura non sia in grado <strong>di</strong> sfruttare al meglio le possibilità linguistiche che le<br />

tecnologie offrono: “The arrival of Netspeak is showing us homo loquens at its best” (Crystal<br />

2006, 276).<br />

7 Lorenzetti&Schirru 2006 parlano, a questo proposito <strong>di</strong> “gergalismi grafici”<br />

(Lorenzetti&Schirru 2006, 82).


196<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

considerare senza dubbio ab<strong>brevi</strong>azioni “<strong>di</strong> lusso”, e non certo “<strong>di</strong><br />

necessità” (volendo utilizzare una tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong>stinzione terminologica<br />

applicata solitamente ai prestiti). Dal punto <strong>di</strong> vista formale le prime sono<br />

certamente identiche alle seconde ma non sono giustificabili in termini <strong>di</strong><br />

esigenze imme<strong>di</strong>ate <strong>di</strong> economia, tanto più se si pensa che, nel caso del<br />

primo twit, chi scrive “spreca” ben 6 caratteri per enfatizzare con<br />

uffaaaaaaa 8 l’insofferenza verso il francese e la propria impreparazione.<br />

Le ab<strong>brevi</strong>azioni <strong>di</strong> lusso – nella maggior parte dei casi dovute solo alle<br />

abitu<strong>di</strong>ni scrittorie <strong>di</strong> chi produce il messaggio o create per gioco -­‐‑ non<br />

sono riconducibili a esigenze <strong>di</strong> economia nell’applicazione tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong><br />

questo termine alla scrittura, intesa come risparmio <strong>di</strong> spazio, ma possono<br />

talvolta più probabilmente essere considerate economiche in termini <strong>di</strong><br />

tempo necessario allo scrivente per trasmettere un messaggio,<br />

salvaguardando al contempo la comprensibilità dello stesso, vale a <strong>di</strong>re<br />

ottenere un segno comprensibile con il minor numero <strong>di</strong> <strong>di</strong>gitazioni:<br />

sarebbe stato inutile infatti <strong>di</strong>gitare n-­‐‑o-­‐‑n quando due <strong>di</strong>gitazioni sullo<br />

stesso tasto n-­‐‑n non mo<strong>di</strong>ficano per nulla il messaggio e la sua leggibilità.<br />

Se la <strong>brevi</strong>tà non implica automaticamente una maggiore velocità <strong>di</strong><br />

produzione del messaggio, come già esplicitato alla nota 5, vale<br />

l’implicazione contraria ovvero il fatto che la velocità <strong>di</strong> produzione è quasi<br />

certo che si colleghi alla <strong>brevi</strong>tà della scrittura.<br />

Nel processo <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azione delle forme scritte, relativamente al<br />

parametro “velocità”, occorre considerare a pieno titolo anche il<br />

destinatario/lettore che deve essere in grado <strong>di</strong> deco<strong>di</strong>ficare, e se necessario<br />

<strong>di</strong>sambiguare, in un tempo ragionevole il segno stesso. È sfavorito infatti<br />

un messaggio che implichi, a causa della sua <strong>brevi</strong>tà, una lenta deco<strong>di</strong>fica o<br />

probabili frainten<strong>di</strong>menti o che pregiu<strong>di</strong>chi, nei casi <strong>di</strong> comunicazione<br />

sincrona o solo leggermente asincrona, l’efficacia dell’interazione.<br />

8 Caso <strong>di</strong> “scrittura lunga/scrittura parlata” volta a mimare, attraverso la ripetizione della<br />

vocale finale, la presunta persistenza fonica della vocale stessa qualora lo stesso messaggio<br />

venisse comunicato oralmente. (cfr. anche Pistolesi 2003, 440). Espe<strong>di</strong>ente non certo nuovo e<br />

comune a tutti i generi letterari e a tutte le forme <strong>di</strong> scrittura antiche e moderne, molto<br />

frequente in instant messages e twits, per la loro stessa natura <strong>di</strong> interazioni scritte fortemente<br />

<strong>di</strong>alogiche (cfr. Crystal 2006, 45 e 47) e spesso sostitutive <strong>di</strong> conversazioni che altrimenti si<br />

sarebbero svolte oralmente.


Forme e mo<strong>di</strong><br />

F. Logozzo 197<br />

Le scritture <strong>brevi</strong> che si incontrano nel corpus <strong>di</strong> twit analizzato sono<br />

sostanzialmente riconducibili a 5 tipologie: scritture fonetiche, sigle,<br />

contrazioni, troncamenti, uso <strong>di</strong> segni grafici non alfabetici.<br />

Le scritture fonetiche, sono le forme <strong>di</strong> scritture <strong>brevi</strong> che mantengono il<br />

più stretto rapporto con la lingua parlata, <strong>di</strong> cui esse vogliono costituire<br />

una rappresentazione quanto più possibile fonografica. Di seguito alcuni<br />

brani d’esempio:<br />

(1) davvero ke bello!!!!!!!!nn vedo l'ʹora anke io<br />

(2) wiwo cm 1 fiume in piena ma dolce sll skiena x farmi andare oltre 1 po'ʹ +<br />

forte 1 altra wolta...<br />

(3) hihihihi...io e la mia amika inwece pren<strong>di</strong>amo dei regali<br />

(4) consijo de tojerle xke ve le copiano sicuramente<br />

(5) ti kiedo solamente pe nn pijarte a parolacce de TOJERLA<br />

(6) waaaaaaaaaw straaaabll!!!!!!! idea straoriginaleee!! =)<br />

Quasi tutti i casi (oltre a quelli già riportati: ke, kimika, kiudevano, okki,<br />

kieda, anke, parekkio, amiko, skiena, ki, maskio, notifike, mankate, stakkato, poko,<br />

neankio, vikingo, skifo, orekkio) riguardano la resa delle occlusive velari sorde<br />

con kappa, che va a sostituire sia sia il <strong>di</strong>gramma livellando così<br />

un’incoerenza della scrittura dell’italiano 9. Non si verifica un fenomeno<br />

analogo per la rappresentazione della occlusiva sonora poiché non vi è a<br />

<strong>di</strong>sposizione un segno per rappresentarla fedelmente. Quest’ultima ricorre<br />

inoltre in parole <strong>di</strong> minor frequenza, a <strong>di</strong>fferenza della sorda che si trova<br />

nel pronome relativo e nella congiunzione che, in una parola del lessico<br />

fondamentale come cosa, nell’ interrogativo chi, ecc.<br />

I casi <strong>di</strong> per la resa dell’approssimante palatale (vojo, consijo de tojerle)<br />

sono rappresentazione della variante romanesca [j] della laterale palatale<br />

standard [λ] resa nella scrittura standard .<br />

Si riscontra un uso piuttosto frequente piuttosto frequente della<br />

cosiddetta “doppia w” per rappresentare la fricativa labiodentale sonora<br />

[v] (oltre agli esempi già riportati: wolta, invece, wotiamo, wotarli, wotazioni,<br />

trowato, <strong>di</strong>wertita, wiwo, dewono, wedo, werona, wai, nuowo, wideo)<br />

9 Uso già attestato in italiano negli anni ’70 (Lorenzetti&Schirru 2006).


198<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

riconducibile verosimilmente a vezzo/moda/esotismo/scrittura non<br />

convenzionale, non essendo motivata una scelta <strong>di</strong> questo tipo, né da<br />

problemi <strong>di</strong> economia della scrittura né tantomeno da incoerenze nella<br />

grafia dell’italiano.<br />

Da notare all’esempio (6) un simpatico tentativo <strong>di</strong> resa fonografica<br />

dell’inglese “wow”.<br />

Le scritture fonetiche sono una tipologia <strong>di</strong> scritture <strong>brevi</strong> molto più<br />

<strong>di</strong>ffusa in ambiti linguistici in cui, a <strong>di</strong>fferenza dell’italiano dove il rapporto<br />

segni alfabetici e suoni della lingua è quasi 1:1, vi sono molte incoerenze tra<br />

la prassi ortografica e la fonetica, quale per esempio l’inglese.<br />

Qui abbondano scritture fonetiche come thru (trough), luv (love), wot<br />

(what), sum (some), cos (because), omigod (oh my God) (Crystal 2008, 48-­‐‑49).<br />

Forma tra<strong>di</strong>zionale <strong>di</strong> scritture <strong>brevi</strong> è la parola troncata 10 che si basa<br />

sull’assunto che, in un segno linguistico, la sillaba iniziale fornisce una<br />

certa quantità <strong>di</strong> informazioni, la seconda ne fornisce <strong>di</strong> meno e così via;<br />

tale scala <strong>di</strong> valore informativo è valida soprattutto per le lingue flessive in<br />

cui le informazioni grammaticali, depositate nelle ultime sillabe delle<br />

parole, sono spesso ridondanti e reperibili da altri elementi della frase.<br />

Per esemplificare, data una parola come “capito”, nella frase “ho capito”<br />

in un contesto semi<strong>di</strong>alogico quale quello <strong>di</strong> Twitter, la prima sillaba “ca”<br />

permette <strong>di</strong> stabilire che l’insieme nel quale ricercare il completamento è<br />

quello dei participi passati dell’italiano che possono stare dopo il verbo<br />

avere; tra questi occorre poi selezionare uno che comincia per “ca”.<br />

Nell’insieme che comprende “capito”, “calpestato”, “calato”, “calcato”,<br />

ecc., considerato il contesto entro il quale la parola ricorre, ci sono buone<br />

probabilità che la sillaba “ca” sia sufficientemente informativa da<br />

permettere inferire che sia il troncamento <strong>di</strong> capito. Se poi ad essa si<br />

aggiunge la seconda, “pi”, la probabilità <strong>di</strong> frainten<strong>di</strong>mento è pressoché<br />

trascurabile 11.<br />

È questo, in sostanza, il meccanismo <strong>di</strong> funzionamento del suggeritore<br />

elettronico (scrittura pre<strong>di</strong>ttiva) <strong>di</strong> cui sono dotati molti telefoni cellulari e<br />

10 Definiti da Serianni 1989, 59 ab<strong>brevi</strong>azioni “per compen<strong>di</strong>o”.<br />

11 Cfr. Calvet 1980, 25 e ss.


F. Logozzo 199<br />

alcuni programmi <strong>di</strong> video scrittura che propongono le soluzioni, or<strong>di</strong>nate<br />

secondo in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> frequenza, con cui completare una certa sequenza <strong>di</strong><br />

lettere per formare parole. Come tutti i software, solo i suggeritori più<br />

evoluti sono però in grado <strong>di</strong> ponderare il contesto sintattico e semantico in<br />

base al quale proporre un certo termine piuttosto che un altro. Di seguito<br />

alcuni esempi ad ognuno dei quali è posposto, tra parentesi tonde, la<br />

parole troncata con relativa integrazione:<br />

(7) sisi, l'ʹho capi!!!;-­‐‑) (capito)<br />

(8) allora non ci possiamo vedere doma (domani)<br />

(9) io ho stakkato da poko il lavoro e ora sto anda da mia nonna k e il<br />

compleanno (andando)<br />

(10) Io nulla sto col mio ragazzo qst fine sett vado io a dormire da lui<br />

(settimana)<br />

(11) ve la state prendendo tt co 12 qst twit (con)<br />

(12) Mi <strong>di</strong>sp k nn hai trovato nulla (<strong>di</strong>spiace)<br />

(13) strabll!! =) (strabiliante)<br />

(14) ale allò x stasera ke avete deciso? <strong>di</strong>temi voi :) (allora)<br />

(15) ohi ale cmq ti ho mandato un mess privato...ve<strong>di</strong> 1 pò se ti è arr...xk nn è<br />

ke sn tanto esperta ihihi (messaggio)<br />

(16) Stima x android :-­‐‑)) google calendar k t manda ank l notifike via sms ed e'ʹ<br />

sync 13 cn qll del cell!!! (sincronizzato)<br />

Le sigle, estremamente comuni nel mondo anglosassone e delle lingue<br />

germaniche in generale 14, come ab<strong>brevi</strong>azioni <strong>di</strong> frasi <strong>di</strong> alto uso o veri e<br />

propri sintemi, non sono uno strumento molto amato per l’ab<strong>brevi</strong>azione<br />

spontanea, non convenzionale e non me<strong>di</strong>ata da mezzi <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong><br />

massa, sono invece molto più <strong>di</strong>ffusi nel lessico specialistico e in livelli <strong>di</strong><br />

lingua non standard ma comunque <strong>di</strong> uso comune.<br />

12 Non conoscendo l’origine regionale degli autori dei twit analizzati, non è possibile stabilire<br />

se la preposizione è stata ab<strong>brevi</strong>ata per troncamento nello scritto o se, più probabilmente,<br />

rappresenta la variante romanesca <strong>di</strong> “con”. In tal caso la scrittura riprodurrebbe<br />

regolarmente la forma usata oralmente.<br />

13 Forma ab<strong>brevi</strong>ata <strong>di</strong> inglese standard sync(h) < “synchronization”, <strong>di</strong> uso comune nel lessico<br />

internazionale e plurilingue del web grazie anche alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> software e applicazioni <strong>di</strong><br />

sincronizzazione <strong>di</strong> agende elettroniche (“Google Sync per il tuo cellulare. Tieni sincronizzati<br />

Gmail, Calendar e Contatti”).<br />

14 Per l’inglese: bbl = be back later, pcm = please call me, ptmm = please tell me more, rotfl =<br />

rolling on the floor laughing, aamof = as a matter of fact, etc; per il Tedesco: dbee = du bist ein<br />

engel, ldnu = lass <strong>di</strong>ch nicht unterkriegen, mdt = mag <strong>di</strong>ch trotzdem, etc. (Crystal 2008, 189 e<br />

ss.).


200<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

Di uso comune, standar<strong>di</strong>zzate e non frutto <strong>di</strong> creazione imme<strong>di</strong>ata e<br />

originale sono infatti anche quelle che si trovano nel corpus analizzato<br />

riferite rispettivamente al Grande Fratello (17), a Facebook (18), alla frasi “ti<br />

amo tanto” (22) e “ti voglio bene” (19) con le loro numerose estensioni tra<br />

cui “ti voglio tanto bene” (20), “ti voglio un kasino <strong>di</strong> bene” (21), “ti voglio<br />

un mare <strong>di</strong> bene” (22).<br />

(17) ale allò ma cm s fa a paragonare il gf ai minatori<br />

(18) scste del messaggio sotto l'ʹimmagine...FB è pazzo!! xDxDxD<br />

(19) anke in mess privato :) Please :P Tvb!!<br />

(20) anche tu sei una persona simpatica e buona come tutte siamo un bel<br />

gruppo tvtb baci<br />

(21) Ti loVvò (n.a. = lovvo = amo < ingl. to love) anche io, ansi tvukdb


F. Logozzo 201<br />

Di seguito alcuni esempi tratti dal corpus analizzato ad ognuno dei<br />

quali è posposto, tra parentesi quadre, lo scioglimento della/e contrazioni:<br />

(23) a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> qlkn altro...6unica (qualcuno)<br />

(24) Fai capire alle xsone a cui tieni ke sn importanti x te (sono)<br />

(25) SCS sn le 12 passate dovrei andare :) (scusa sono)<br />

(26) Sarò smp dalla tua parte a sostenerti (sempre)<br />

(27) bnbn te?? (bene bene)<br />

(28) vbb storia pure io me la rivedo meglio dmn ke gg ho ftt finoa nerone-­‐‑...<br />

(va bene)<br />

(29) lau forse prende qll dll 8 quin<strong>di</strong> ci ved al term (quello delle)<br />

(30) Sl ke il tmp è poco! (tempo)<br />

(31) Io vgl bene a qlla ragazza km se la conoscessi.... (voglio… quella…<br />

come)<br />

(32) Tnt ho vissuto bene anke snz sentirle xttt qsti anni :)(tanto… senza…<br />

tutti… questi)<br />

(33) scste del messaggio sotto l'ʹimmagine...FB è pazzo!! (scusate)<br />

(34) Notte a tutti e ancora tnti auguri a Bren (tanti)<br />

Gli scriventi che hanno prodotto il corpus analizzato non hanno certo<br />

appreso un sistema <strong>di</strong> ab<strong>brevi</strong>azioni regolamentato, né utilizzano con<br />

precisione e coerenza le norme <strong>di</strong> contrazione delle parole come erano state<br />

elaborate, per esempio, nell’ambito della paleografia latina laddove invece<br />

era in uso un sistema abbastanza standar<strong>di</strong>zzato che ha caratterizzato la<br />

scrittura manoscritta fin dall’antichità 16.<br />

A <strong>di</strong>fferenza del proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> contrazione delle parole latino, che<br />

prevede in quasi tutti i casi il mantenimento <strong>di</strong> una vocale finale delle<br />

desinenze dei nomi variabili, le ab<strong>brevi</strong>azioni del corpus considerato si<br />

configurano quasi sempre come proce<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> eliminazione delle vocali.<br />

Ne consegue che, essendo in italiano alcune categorie morfologiche, come<br />

per esempio il genere e il numero, affidate a morfemi quasi esclusivamente<br />

vocalici e finali, troncamenti e ab<strong>brevi</strong>azioni per eliminazione appunto <strong>di</strong><br />

vocali vanno a cancellare i morfemi grammaticali stessi.<br />

16 La creazione del sistema ab<strong>brevi</strong>ativo latino, che si basa essenzialmente sulla presenza <strong>di</strong><br />

ab<strong>brevi</strong>azioni per contrazione e ab<strong>brevi</strong>azioni per troncamento, affonda le sue ra<strong>di</strong>ci nelle<br />

cosiddette note tironiane, così chiamate perché tra<strong>di</strong>zionalmente attribuite a Marco Tullio<br />

Tirone, liberto e scriba <strong>di</strong> Cicerone. (Cappelli 1912, Bischoff 1992).


202<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

Nella maggior parte dei casi questo non pregiu<strong>di</strong>ca la comprensione dei<br />

rapporti sintattici tra i vari membri della frase, in virtù dell’accordo tra più<br />

parti del <strong>di</strong>scorso che permette <strong>di</strong> recuperare in altri punti le informazioni<br />

grammaticali ridondanti eliminate. È comunque tendenza prevalente,<br />

all’interno del corpus analizzato, quella <strong>di</strong> eliminare la desinenza per la<br />

forma meno marcata del para<strong>di</strong>gma (che non sempre corrisponde alla<br />

forma lemmatizzata dal <strong>di</strong>zionario ma alla forma flessa <strong>di</strong> più alta<br />

frequenza d’uso, considerata quin<strong>di</strong> non marcata dagli scriventi),<br />

mantenendola invece in altri casi:<br />

(35) Io vgl bene a qlla ragazza km se la conoscessi....<br />

(36) Tnt ho vissuto bene anke snz sentirle xttt qsti anni :)<br />

(37) scste del messaggio sotto l'ʹimmagine...FB è pazzo!!<br />

(38) Notte a tutti...e ancora tnti auguri a Bren<br />

Si noti all’esempio (36) che all’interno della stessa frase, nella sequenza<br />

“per tutti questi anni”, si mantiene espressa solo in un caso la desinenza<br />

vocalica <strong>di</strong> plurale (qsti), procedendo alla sua eliminazione nel caso <strong>di</strong> xttt.<br />

Nello specifico è possibile che la scelta <strong>di</strong> omettere la vocale nella forma<br />

ab<strong>brevi</strong>ata ttt, interpretabile fuori contesto con qualunque forma flessa del<br />

para<strong>di</strong>gma dell’aggettivo “tutto”, sia stata favorita dalla presenza della<br />

sequenza triconsonantica che rimanda alla consuetu<strong>di</strong>ne del<br />

raddoppiamento della consonante per l’espressione del plurale nei<br />

troncamenti e nelle sigle: s. v. (“signoria vostra”) vs. ss. ll. (“signorie loro”),<br />

prof. (“professore”) vs. proff. (“professori”).<br />

I monosillabi, a <strong>di</strong>spetto della loro intrinseca <strong>brevi</strong>tà, risultano<br />

dall’analisi del corpus estremamente soggetti ad ab<strong>brevi</strong>azioni che possono<br />

essere considerate, nella maggior parte dei casi -­‐‑ esempi dal (39) al (43) -­‐‑ sia<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni per troncamento sia ab<strong>brevi</strong>azioni per eliminazione <strong>di</strong> vocali.<br />

La frequenza dei processi ab<strong>brevi</strong>ativi a carico <strong>di</strong> questo specifico gruppo<br />

<strong>di</strong> segni linguistici è da ricondurre al fatto che essi posseggono le due<br />

caratteristiche necessarie affinché si possano innescare i processi stessi:<br />

-­‐ altissima frequenza d’uso (molte sono infatti parole grammaticali)<br />

-­‐ conseguente facile <strong>di</strong>sambiguazione.<br />

(39) t (ti) = Scs se t risp in rita<br />

(40) m (mi) = nn c'ʹè nessuno sveglio m sa<br />

(41) c (ci) = wotiamo i dARI c mancano poke ore x continuare a wotarli!!!


F. Logozzo 203<br />

(42) k (ke) / m (mi) / d (<strong>di</strong>) = k m <strong>di</strong>ci d bello?<br />

(43) s (si) = qnd metto"ʺaggiorna"ʺ,automaticamente s ricollega<br />

(44) nn (non) = Nn è <strong>di</strong>fficile<br />

(45) kn (con) / m (mi) = kn la febbre infatti gg m hanno ft staccare prima<br />

Una volta effettuata una prima categorizzazione delle forme delle<br />

scritture <strong>brevi</strong>, occorre considerare il rapporto che i vari gruppi<br />

intrattengono con la lingua all’interno della quale si inseriscono come<br />

varietà <strong>di</strong>amesiche. È dunque necessario affrontare la questione dei<br />

possibili luoghi <strong>di</strong> creazione e dei possibili luoghi d’uso, che, per entrambi<br />

gli ambiti, possono essere la lingua scritta o la lingua orale.<br />

Procedendo a questa nuova categorizzazione si <strong>di</strong>stingueranno:<br />

-­‐ Ab<strong>brevi</strong>azioni che rappresentano fenomeni della lingua parlata.<br />

A questa categoria appartengono le scritture fonetiche e le<br />

ab<strong>brevi</strong>azioni con elementi logografici (o inserimenti <strong>di</strong> elementi<br />

logografici in sequenze a base fonografica). È frequente infatti<br />

l’impiego <strong>di</strong> numeri e <strong>di</strong> altri segni matematici, in funzione <strong>di</strong><br />

logogrammi all’interno <strong>di</strong> unità linguistiche (parole o frasi) che<br />

finiscono quin<strong>di</strong> rappresentate con due criteri grafici non<br />

omogenei.<br />

(46) x farmi andare oltre 1 po'ʹ + forte 1 altra wolta...<br />

(47) ascolto i dARI e mex cn 1 mia amika te???<br />

(48) <strong>di</strong>wertita 1 botto a cantare<br />

(49) Ohi allò dmn mattina confermato x le otto al terminal? lau forse prende qll<br />

dll 8 quin<strong>di</strong> ci ved al term alle 9 -­‐‑ 1 quarto<br />

(50) ti credo...magari...infondo 6 simpatica...<br />

(51) xkè n poxo averti?<br />

(52) GIA LO SAI XRO MOVEMOSE! 17<br />

I troncamenti possono appartenere al gruppo delle ab<strong>brevi</strong>azioni<br />

generate a livello <strong>di</strong> lingua parlata ma ciò è verosimile soprattutto se il<br />

troncamento si verifica dopo sillaba tonica. In linea generale, si <strong>di</strong>rà che<br />

ogni troncamento va analizzato singolarmente per reperire il suo luogo<br />

d’origine.<br />

17 Si noti in XRO l’applicazione non perfetta dei due criteri logografico + fonografico: [per]ro.<br />

Per questo tipo <strong>di</strong> scritture miste si veda Valeri 2000, 199.


204<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

-­‐ Ab<strong>brevi</strong>azioni originate nella lingua scritta e successivamente<br />

imprestati a quella orale, o comunque passibili <strong>di</strong> essere trasferiti<br />

alla lingua parlata.<br />

Sono quelli che Bloomfield 1933 chiama “<strong>di</strong>alect borrowings” tra<br />

varietà della stessa lingua, parlando del fatto che esistono segni<br />

linguistici interpretabili come casi <strong>di</strong> pronuncia secondo la grafia, e<br />

non viceversa: “Written ab<strong>brevi</strong>ations like prof., lab., ec. lead to<br />

spoken forms ... in students'ʹ slang for professor, laboratory,<br />

economics” 18.<br />

A questo gruppo appartengono troncamenti come appunto<br />

l’italiano prof.<br />

-­‐ Ab<strong>brevi</strong>azioni nate e utilizzate solo a livello <strong>di</strong> lingua scritta.<br />

Appartengono a questo gruppo parole o sequenze ab<strong>brevi</strong>ate in<br />

forme non pronunciabili oralmente del tipo c vd dmn. In casi <strong>di</strong><br />

particolare frequenza d’uso e connotazione dell’ab<strong>brevi</strong>azione, è<br />

possibile che forme <strong>di</strong> questo tipo siano soggette a processo <strong>di</strong><br />

lessicalizzazione come quello che sta interessando l’acronimo TVB.<br />

In questi casi, il prestito dalla lingua scritta a quella orale si<br />

comporta come un prestito da lingua straniera, con regolare<br />

integrazione fonetica (in questo caso attraverso l’inserimento <strong>di</strong><br />

una vocale d’app<strong>oggi</strong>o ([i]/[u]) sul modello dell’integrazione <strong>di</strong><br />

parole come DVD).<br />

Sono ab<strong>brevi</strong>azioni nate e utilizzate solo a livello <strong>di</strong> lingua scritta<br />

tutte le contrazioni per eliminazione delle vocali.<br />

Questa seconda categorizzazione delle scritture <strong>brevi</strong> induce a fare<br />

alcune importanti considerazioni <strong>di</strong> carattere generale sul rapporto tra<br />

oralità e scrittura.<br />

Tra<strong>di</strong>zionalmente si considera la scrittura -­‐‑ nata per rappresentare il<br />

pensiero, con o senza la me<strong>di</strong>azione della lingua -­‐‑ e soprattutto la scrittura<br />

alfabetica, come la migliore forma <strong>di</strong> trascrizione della lingua.<br />

18 Bloomfield 1933, 488.


F. Logozzo 205<br />

Altrettanto tra<strong>di</strong>zionalmente si considera la evoluzione della lingua un<br />

fatto puramente orale: è la lingua parlata ad essere soggetta a fenomeni <strong>di</strong><br />

“ab<strong>brevi</strong>azione”, intesi come erosione <strong>di</strong> consonanti e vocali foneticamente<br />

deboli, che a volte riducono la catena fonica senza che la scrittura, dal canto<br />

suo conservatrice, riesca a registrarli costantemente.<br />

Le scritture <strong>brevi</strong>, contrariamente a quanto detto finora, collocano la<br />

lingua scritta a pieno titolo tra i luoghi <strong>di</strong> creazione linguistica, e fanno sì<br />

che non vi sia più corrispondenza tra fatti grafici e fatti fonetici. Il risultato<br />

è l’autonomia del sistema scrittorio che nasce derivato da un altro ma<br />

manifesta una sua in<strong>di</strong>pendenza come motore del mutamento 19.<br />

E sempre grazie alle scritture <strong>brevi</strong> si può riconsiderare il concetto <strong>di</strong><br />

linearità del segno: la parola ab<strong>brevi</strong>ata infatti, <strong>di</strong>venta un tutt’uno, un<br />

insieme <strong>di</strong> in<strong>di</strong>zi collocati in un campo pieno <strong>di</strong> altri in<strong>di</strong>zi (il contesto) dai<br />

quali tocca al lettore ricostruire lessemi, morfemi e rapporti sintagmatici<br />

con il resto della frase.<br />

Bibliografia<br />

Felicia Logozzo<br />

felicialogozzo@yahoo.it<br />

Bazzanella 2003<br />

Bazzanella Carla, “Nuove forme <strong>di</strong> comunicazione, contesto e segnali<br />

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anno Mille. Italia linguistica anno Duemila, Atti del XXXIV Congresso<br />

della Società <strong>di</strong> linguistica italiana, Roma, Bulzoni.<br />

Bischoff 1992<br />

Bischoff Bernhard, Paleografia latina, trad. it. Padova, Antenore.<br />

Bloomfield 1933<br />

Bloomfield Leonard, Language, New York, Holt, Rinehart and Winston.<br />

19 Cfr. Calvet 1980.


206<br />

Forme e mo<strong>di</strong> delle scritture <strong>brevi</strong> <strong>di</strong> <strong>oggi</strong><br />

Calvet 1980<br />

Calvet Louis-­‐‑Jean, Les sigles, Paris, Presses Universitaires de France.<br />

Cappelli 1912<br />

Cappelli Adriano, Dizionario delle ab<strong>brevi</strong>ature latine e italiane, Milano,<br />

Hoepli.<br />

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Crystal David, Language play, London, Penguin Books.<br />

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Crystal David, Language and the Internet, II ed., Cambridge, Cambridge<br />

University Press.<br />

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Crystal David, Txng. The Gr8 Db8, Oxford, Oxford University Press.<br />

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University Press.<br />

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Lorenzetti&Schirru 2006<br />

Lorenzetti Luca, Schirru Giancarlo, “La lingua italiana nei nuovi mezzi<br />

<strong>di</strong> comunicazione: SMS, posta elettronica e Internet”, in S. Gensini (a<br />

cura <strong>di</strong>), Fare comunicazione, Roma, Carocci.<br />

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Pistolesi Elena, “L’italiano nella rete”, in N. Maraschio, T. P<strong>oggi</strong> Salani<br />

(a cura <strong>di</strong>), Italia linguistica anno Mille. Italia linguistica anno Duemila, Atti<br />

del XXXIV Congresso della Società <strong>di</strong> linguistica italiana, Roma,<br />

Bulzoni.


F. Logozzo 207<br />

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Poe Marshall T., A history of communications: me<strong>di</strong>a and society from the<br />

evolution of speech to the Internet, Cambridge, Cambridge University<br />

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Serianni Luca, Grammatica italiana, Torino, UTET.<br />

Shimron 1993<br />

Shimron Joseph, “The role of vowels in rea<strong>di</strong>ng: A review of stu<strong>di</strong>es of<br />

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Stilp Christian, Kluender Keith, “Cochlea-­‐‑scaled entropy, not<br />

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America, July 6.<br />

Valeri 2000<br />

Valeri Vincenzo, La scrittura, Roma, Carocci.


Abstract<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

Fabio Massimo Zanzotto & Marco Pennacchiotti<br />

Language, as a social phenomenon, is in constant evolution. New words are added,<br />

<strong>di</strong>sused ones are forgotten, and some others change their morphology and<br />

semantics to adapt to a dynamic World. Today we are leaving a new “Social<br />

Me<strong>di</strong>a” revolution, that is changing many languages. The pace with which new<br />

words are created in social me<strong>di</strong>a is unprecedented. People from <strong>di</strong>fferent<br />

demographic groups are often “speaking <strong>di</strong>fferent languages”, in that not only they<br />

use a <strong>di</strong>fferent set of words, but also assign <strong>di</strong>fferent meanings to the same words.<br />

In this paper, we investigate whether it is possible to lower the “linguistic barrier”,<br />

by analyzing the phenomenon of language evolution in social me<strong>di</strong>a, and by<br />

evaluating to what extent the use of cooperative on-­‐‑line <strong>di</strong>ctionaries and natural<br />

language processing techniques can help in tracking and regulate the evolution of<br />

languages in the social me<strong>di</strong>a era. We report a study of language evolution in a<br />

specific social me<strong>di</strong>a, Twitter; and we evaluate whether cooperative <strong>di</strong>ctionaries<br />

(specifically Urban Dictionary) can be used to deal with the evolving language. We<br />

<strong>di</strong>scover that this method partially solves the problem, by allowing a better<br />

understan<strong>di</strong>ng of the behavior of new words and expressions. We then analyze<br />

how natural language processing techniques can be used to capture the meaning of<br />

new words and expressions.<br />

Keywords: Twitter language analysis, language evolution, natural language<br />

processing<br />

1. Introduction<br />

Language, as a social phenomenon, is in constant evolution. New words<br />

are added, <strong>di</strong>sused ones are forgotten, and some others change their<br />

morphology and semantics to adapt to a dynamic World.<br />

Ra<strong>di</strong>cal changes in a language mostly happen when a social group<br />

moves from its native location or separates from an original and bigger<br />

social group. A clear example is the English language, that in the last three


Zanzotto&Pennacchiotti 209<br />

centuries has evolved following the path of expansion of the British<br />

Empire, and giving birth to tenths of <strong>di</strong>fferent <strong>di</strong>alects, inclu<strong>di</strong>ng General<br />

American English, Australian English and In<strong>di</strong>an English [Crystal 2003].<br />

Language evolution is also caused by the social impact of new scientific<br />

and technological <strong>di</strong>scoveries. New words and new word meanings are the<br />

tools for better understan<strong>di</strong>ng and communicate the world around us.<br />

Organizations such as the Académie française in France and the Accademia<br />

della Crusca in Italy and <strong>di</strong>ctionary producers such as the Oxford Dictionary,<br />

have the goal of institutionalize and regulate the evolution of languages, by<br />

formally ad<strong>di</strong>ng and removing words as they appear and <strong>di</strong>sappear from<br />

common usage. Though, it is a rare event that words are added and their<br />

senses are ruled, making more than often news in the me<strong>di</strong>a, as in the case<br />

of the symbol of the heart included in the Oxford Dictionary in March<br />

2011 1. The exponential growth of new scientific <strong>di</strong>scoveries and techniques<br />

in the 19th century Industrial Revolution, and in the 20th centrury<br />

Electronic and Digital Revolution, has certainly put <strong>di</strong>ctionary producers to<br />

the test, that more than once struggled to keep up with the rapid language<br />

evolution of a more and more sophisticated society. The job of producing<br />

and institutionalize new <strong>di</strong>ctionaries is not a mere intellectual excercise.<br />

The American industrial worker of the 19th century and the English<br />

manufactures of his machineries had to share a common basic <strong>di</strong>ctionary,<br />

in order to keep industry alive and functional. Producers of train carriages<br />

had to correctly and precisely understand the names and the measures of<br />

standard track components in the <strong>di</strong>fferent target countries. Workers in<br />

nuclear power plants need to correctly understand words in technical<br />

manuals. To deal with these technical problems, terminology has been<br />

introduced as an important area of language stu<strong>di</strong>es to support and<br />

complement the work of <strong>di</strong>ctionary producers [Wüster 1931].<br />

Today we are leaving a new “Social Me<strong>di</strong>a” revolution, that is once<br />

again, and with a faster pace, changing many languages. Social me<strong>di</strong>a such<br />

as forums, blogs, Twitter, Facebook, Skype, and MSN Messenger, allow<br />

people to write their stories and ideas and share them with the Internet<br />

community. From a linguistic perspective, this is a much bigger and ra<strong>di</strong>cal<br />

innovation than the Web itself. Indeed, the introduction of the Web in the<br />

1 Repubblica, 24/3/2011, Quel cuoricino che <strong>di</strong>ce tutto: Il segno “I love” entra nel <strong>di</strong>zionario (That<br />

little hearth says everything: The sign “I love” is included in the <strong>di</strong>ctionary).


210<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

early 90ies allowed people to read content from <strong>di</strong>fferent sources, such as<br />

me<strong>di</strong>a organizations and companies. Most of the information flow was<br />

therefore one-­‐‑way, with people acting as readers. On the contrary, Social<br />

me<strong>di</strong>a allows a two-­‐‑way communication. Common people become content<br />

producer and, ultimately, language creators. Single in<strong>di</strong>viduals or small<br />

demographic groups rapidly coin and share new words and new meanings<br />

that can potentially and virally spread to larger groups, until they become<br />

of common usage and ultimately accepted into formal <strong>di</strong>ctionaries.<br />

The pace with which new words are created in social me<strong>di</strong>a is<br />

unprecedented. People from <strong>di</strong>fferent demographic groups (e.g. hip-­‐‑hop<br />

teenagers and their older parents) are often “speaking <strong>di</strong>fferent languages”,<br />

in that not only they use a <strong>di</strong>fferent set of words, but also assign <strong>di</strong>fferent<br />

meanings to the same words. In an extreme late-­‐‑Wittgensteinian view,<br />

people may end up hardly communicating or understan<strong>di</strong>ng each other,<br />

buil<strong>di</strong>ng around themselves a “linguistic barrier” that inevitably isolates<br />

groups from each other. Dictionary producers and linguistic organizations<br />

cannot keep up with such a rapid evolution. Too many people and too<br />

many fractioned social groups have today the power of shaping the<br />

language. New methods and new resources for tracking and regulate<br />

languages’ evolution are required.<br />

In this paper, we investigate whether it is possible to lower the<br />

“linguistic barrier”, by analyzing the phenomenon of language evolution in<br />

social me<strong>di</strong>a, and by evaluating to what extent the use of cooperative on-­‐‑<br />

line <strong>di</strong>ctionaries and natural language processing techniques can help in<br />

tracking and regulate the evolution of languages in the social me<strong>di</strong>a era.<br />

The paper is organized as follows. In Section 2 we report a study of<br />

language evolution in a specific social me<strong>di</strong>a, Twitter; and we evaluate<br />

whether cooperative <strong>di</strong>ctionaries (specifically Urban Dictionary) can be<br />

used to deal with the evolving language. We <strong>di</strong>scover that this method<br />

partially solves the problem, by allowing a better understan<strong>di</strong>ng of the<br />

behavior of new words and expressions. In Section 3, we analyze how<br />

natural language processing techniques can be used to capture the meaning<br />

of new words and expressions. Finally, in Section 4, we conclude with<br />

ideas for future work.


Zanzotto&Pennacchiotti 211<br />

2. Lexicon evolution and crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionaries<br />

In this section we investigate whether crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionaries are<br />

valid tools to model the evolution of languages in social me<strong>di</strong>a. In<br />

particular, we are interested in understan<strong>di</strong>ng if new words introduced in<br />

the me<strong>di</strong>a are captured and stored in crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionaries in a<br />

timely manner, i.e. as soon as the new words become of common usage. If<br />

this is true, crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionaries could be used as prominent<br />

references for outsiders to a specific demographic group, to uderstand the<br />

language of that community.<br />

We also explore automatic models to detect when a new linguistic entity<br />

in a social me<strong>di</strong>um is actually promoted to a full fledged status of “new<br />

word”, i.e. a linguistic entity with a specific meaning shared in a wide<br />

community.<br />

In the rest of this section, we present an experiment that investigates the<br />

above issues. In detail, our experiment aims at answering the following<br />

questions: (1) Are crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionaries good tools to support the<br />

undertan<strong>di</strong>ng of new words? (2) Can crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionaries induce<br />

regularites of new words and expressions?<br />

As social me<strong>di</strong>um we experiment with Twitter, the second largest<br />

microbl<strong>oggi</strong>ng service available today. As for the crowd-­‐‑sourced <strong>di</strong>ctionary<br />

we use Urban Dictionary, which is to date the largest collaborative effort to<br />

build an up-­‐‑to-­‐‑date <strong>di</strong>ctionary of new lingusitic expressions. We begin in<br />

Section 2.1 by describe the experimental set up for our study, and then<br />

comment on result in Section 2.2.<br />

2.1. Twitter and Urban Dictionary: the experimental set-­‐‑up<br />

Twitter is a microbl<strong>oggi</strong>ng web service, where users are able to post<br />

short messages (called tweets)of a maximum length of 140 characters, and<br />

read the posts of all other users. Each user can also follow specific users he<br />

wants to be friend of. When a user logs into Twitter, a personalized<br />

“timeline” shows all his latest messages, and the messages of the users he<br />

follows.<br />

Twitter is today one of the largest real-­‐‑time microbl<strong>oggi</strong>ng service,<br />

having more than 200 millions users and more than 200 millions tweets per


212<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

day worldwide. People tweet about many <strong>di</strong>fferent topics, from personal<br />

updates (“I am eating pizza”) and conversation with friends, to breaking<br />

news (“Eartquake in Saf Francisco just now! ”) and sen<strong>di</strong>ng web links.<br />

Accor<strong>di</strong>ng to a 2009 by Pear Analytics 2, 40% of tweets are personal updates,<br />

37% are conversations, 9% are re-­‐‑posting of other users (called retweets), 6%<br />

are ads, 4% are spam, and a last 4% are news. Despite these numbers,<br />

Twitter has recently played a prominent role in social and political<br />

happenings, such as the Arab Spring in 2011, and the riots in England in<br />

the summer of the same year. It has also been used to coor<strong>di</strong>nate rescues<br />

during major eartquakes, such as those in Chile and Haiti in 2010.<br />

From a demographic perspective, the latest US Quantcast study on<br />

Twitter released in September 2011 3 shows that Twitter is mostly adopted<br />

by people between 18 and 34 years (45% of the total), while people under<br />

18 years are only the 18% and over 35 years the 38%. Twitter is adopted by<br />

people with a <strong>di</strong>versified social status (30% earn more than 100K USD a<br />

year, 28% between 60K and 100K, 25% between 30K and 60K, 17% below<br />

30K). Twitter is still mostly a American phenomenon, with 33% of the<br />

traffic localized in the USA 4, followed by In<strong>di</strong>a at 8%, Japan, Germany,<br />

United Kingdom and Brazil. English is overwelmingly the most used<br />

language: almost two third of the tweets are in English, followed by<br />

Portugese (11%) and Japanese (6%).<br />

While Twitter has the form of a big connected graph [Cha et al. 2010],<br />

recent stu<strong>di</strong>es [Pennacchiotti&Popescu 2011] show that sub-­‐‑communities<br />

exist. Twitter can be therefore seen as one of the meeting places in the web<br />

where <strong>di</strong>fferent communities try to interact. In this study, we show that<br />

often standard language is not properly used, both because temd tend to<br />

adopt peculiar expressions proper of their own community, and because<br />

the short-­‐‑lenght nature of tweets forces users to write in a succint style,<br />

with frequent use of acronyms, ab<strong>brevi</strong>ations and truncated words. Tweets<br />

2 http://www.pearanalytics.com/blog/wp-­‐‑content/uploads/2010/05/Twitter-­‐‑Study-­‐‑August-­‐‑<br />

2009.pdf<br />

3 http://www.quantcast.com/twitter.com<br />

4 website-­‐‑monitoring.com


Zanzotto&Pennacchiotti 213<br />

like the following can easily appear: “è prp uno skifo l’hanno kiusa… allò<br />

dmn mattina confermato x le otto a piazza del popolo” 5<br />

Twitter is therefore the perfect me<strong>di</strong>um for our study, as it is a place<br />

that can host potentially fast evoving languages of <strong>di</strong>fferent communities.<br />

Our study is based on a corpus of tweets ranging from September 2009 to<br />

December 2010 written in any of the English <strong>di</strong>alects. From this corpus ,<br />

starting from October 2009, we extracted the monthly frequencies of all<br />

words 6 that were not present in Twitter in the month of September 2009.<br />

We retain these expressions as potential “new words” that have been just<br />

introduced in the language. The final output of the corpus creation is<br />

therefore a list of potentially interesting new words along with their<br />

frequency for each month in the considered period (9/2009-­‐‑12/2010).<br />

Figure 1: Urban Dictionary: two definitions of Emo<br />

Urban Dictionary is a crowdsourced web <strong>di</strong>ctionary. Web<br />

crowdsourcing is a powerful way of producing resources, where common<br />

users can contribute to enrich, mantain and mo<strong>di</strong>fy an on-­‐‑line knowledge<br />

repositories. Crowdsourcing has emerged as a very succesfull para<strong>di</strong>gm in<br />

the last decades, producing resources such as Wikipe<strong>di</strong>a, an on-­‐‑line<br />

encyclope<strong>di</strong>a of human knowledge available in many <strong>di</strong>fferent languages.<br />

The evolving version of Wikipe<strong>di</strong>a is rivaling with the most important<br />

5 in an Italian of SMSs or tweets: it is really bad it has been closed… then tomorrow morning<br />

it’s confirmed 8 o’clock in piazza del popolo.<br />

6 Words are extracted by a standard regular expression tokenizer.


214<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

encyclope<strong>di</strong>as for number of entries and, sometimes quality and quantity<br />

of content. All entries are written and mo<strong>di</strong>fied exclusively by Wikipe<strong>di</strong>a<br />

users without any reward. Crowdsourcing guarantees that many users can<br />

access and mo<strong>di</strong>fy a specific entry, resulting in a balanced, objective and<br />

truthful description of the entry. Indeed, the revision system allow a fast<br />

control of content through a collaborative filtering of the knowlegde. The<br />

success of wikipe<strong>di</strong>a proves that it is possible to solve many knowledge<br />

accumulation and enco<strong>di</strong>ng problems using crowsourcing methodologies.<br />

The crowdsourcing approach is also used for <strong>di</strong>ctionaries, e.g.<br />

Wikictionary and Urban Dictionary. In our study we use Urban Dictionary,<br />

because it is specifically de<strong>di</strong>cated to specific community languages and to<br />

the tracking of new verbal expressions, while Wikictionary aims at<br />

modelling standard language.<br />

Urban Dictionary does not adopt a wiki approach, i.e. a site where users<br />

can change definitions. Instead, it prefers a more trivial model similar to a<br />

Web forum, where users post new words along with their definitions. As in<br />

many forums, votes are associated to each <strong>di</strong>ctionary entry (that roughly<br />

correpsonds to a forum message). Urban Dictionary was created in 2003 as<br />

a sort of game, to collect definitions of new “street” words and colloquial<br />

language expressions. Today, Urban Dictionary has consitently grown up,<br />

becoming a solid reference for fin<strong>di</strong>ng newly introduced colloquial words<br />

and expressions.<br />

Entries in Urban Dictionaries are organized as follows (see example in<br />

Figure 1). Each entry has a set of definitions. Each definition is introduced<br />

by a user and it is striclty related to him. For example, the first definition of<br />

“Emo” (see Figure 1) is given by 7ThisIsWu<strong>di</strong>e7. Each definition is also<br />

given along with its introduction date. For each definition, other<br />

anonymous users can give a positive or a negative judgement. These<br />

judgements are used to sort definitions for a given word. In the example,<br />

the first definition has 62,243 positive and 18,625 negative judgements.<br />

The organization of entries of Urban Dictionary makes this resource<br />

attractive for our study, for two main reasons. First, it is a source of<br />

colloquial words that are tipical in Twitter. Second, Urban Dictionary<br />

allows to easly find the date of introduction of the word in the <strong>di</strong>ctionary,<br />

by looking at the date of the word’s oldest definition. For our study we


Zanzotto&Pennacchiotti 215<br />

created a repository of all words in Urban Dictionary with their associated<br />

date of introduction.<br />

Input of our study are therefore two lists. The list of words in words in<br />

Urban Dictionary with their date of introduction; and the list of new words<br />

in Twitter with their monthly frequencies. By performing a time-­‐‑sensitive<br />

comparisons these two lists we aim at investigating if (and when) Urban<br />

Dictionary captures the new words introduced in Twitter.<br />

2.2. Results and analysis<br />

2.2.1. Freshness of Urban Dictionary<br />

In this first analysis we investigate the freshness of Urban Dictionary<br />

with respect to Twitter, i.e. whether Urban Dictionary adds new words<br />

before or after they emerge in Twitter. This analysis will therefore reveal if<br />

Urban Dictionary can provide a useful support to an outsider, for<br />

understan<strong>di</strong>ng the language of specific communities in the social network.<br />

In order to provide an objective quantitative analysis, we define, for a<br />

given word, a TimeShift in<strong>di</strong>cator. The TimeShift is defined as the <strong>di</strong>fference<br />

in time between the introduction of a word in Twitter and the introduction<br />

of the word in Urban DIctionary. More formally, we define the following<br />

measures:<br />

• Month of Maximum Twitter Use (MMTU). Words in Twitter have a<br />

life: they appear, spread, have a period of high frequecy, and then stabilize<br />

or <strong>di</strong>sappear. We define MMTU as the month in which a new word has its<br />

maximum frequency in Twitter. We consider this period as the landmark<br />

for the new word, i.e. the moment in which the word experiences its<br />

maximum success.<br />

• Month of Introduction in Urban Dictionary (MIUD). This measure<br />

in<strong>di</strong>cates the month in which a word has been first introduced and defined<br />

in Urban Dictionary.<br />

Given the two above definition, we further define the TimeShift of a<br />

words as follows:<br />

TimeShift=MMTU−MIUD (1)<br />

For example, TimeShift=+1 in<strong>di</strong>cates that a word has been first<br />

introduced in Urban Dictionary, and then a month later in Twitter.


216<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

Conversely, TimeShift=−1 in<strong>di</strong>cates that the word has been introduced in<br />

Twitter a month before than in Urban Dictionary. A TimeShift=0 in<strong>di</strong>cates<br />

that the word has been introduced in Twitter and Urban Dictionary in the<br />

same month.<br />

Figure 2: Time Shift between Urban Dictionary and Twitter<br />

Figure 2 plots a summarizing analysis of the TimeShift across all words<br />

that have been introduced both in Urban Dictionary and Twitter. The<br />

figure shows that the TimeShift has a multimodal <strong>di</strong>stribution that, we<br />

hypothise, should converge to a normal <strong>di</strong>strubtion with mean in 0, if more<br />

data was available for the experiment. It is interesting to note that the mode<br />

of the <strong>di</strong>stribution (i.e. its most frequent value) is 0, which is also<br />

approximately the mean value of the <strong>di</strong>stribution. This means that new<br />

words in Twitter should be expected with highest probability to be timely<br />

captured by Urban Dictionary in the same month of their introduction in<br />

Twitter. Urban Dictionary is therefore likely to support outsiders of a<br />

Twitter community in rea<strong>di</strong>ng and understan<strong>di</strong>ng the tweets posted in that<br />

community.<br />

The Figure also shows that the TimeShift <strong>di</strong>stribution has a high<br />

variance, i.e. there are many words with postive or negative TimeShift.<br />

This result suggest that many words that are adopted by Twitter after they<br />

have been introduced via other me<strong>di</strong>a and fixed in Urban Dictionary<br />

(positive values of the TimeShift); and there are also many words that are<br />

created in Twitter and then spread outside it (negative values of the<br />

TimeShift). We also observe that the <strong>di</strong>stribution is skewed to negative


Zanzotto&Pennacchiotti 217<br />

values, i.e. it is more common that a word is first introduced in Twitter,<br />

and only after a few months added to Urban Dictionary.<br />

2.2.2. Discovering novel words using frequency counts<br />

With the previous experiment, we undestood that there is an important<br />

set of words that, even if covered by Urban Dictionary, their definitions are<br />

not timely given. We need then to envisage methods and models to capture<br />

the meaning of these words. For doing this, we need to focus on two issues:<br />

First, we need to spot words that are relevantly new in streams like twitter.<br />

Not all the words that appear to be new are really novel words. There are<br />

many proper nouns or product nouns that gain fame for a short period of<br />

time. These are not novel words.<br />

Second, we need to define methods to find the meaning and, then, the<br />

definition of these new words.<br />

In this experiment we focus on the first issue. Possible ways to tackle the<br />

second issue are instead described in Section 3.<br />

Figure 3: Word frequency in Twitter with respect to the peak of use<br />

We want here to evaluate how simple models based on frequency<br />

analysis can be adopted for <strong>di</strong>scovering novel words among words newly<br />

introduced in Twitter. To develop these models we can exploit the data<br />

used for the previous experiments. We firstly observe the behavior of


218<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

words in twitter and, then, we propose simple models to pre<strong>di</strong>ct novelty<br />

observing the evolution of the frequency of words with respect to the time.<br />

The first issue is observing the behavior of words: we took the set of<br />

new Twitter words that we used for the previous experiment. We analyzed<br />

all the words in this set and not only those in Urban Dictionary. Figure 3<br />

plots the mean relative frequency and variance of all these words. Given a<br />

word, the relative frequency is the ratio between its actual frequency in a<br />

given month and its maximun frequency. We want to understand how<br />

words behave before and after their point of maximum sprea<strong>di</strong>ng. Given<br />

this latter point, Figure 3 plots the relative frequencies of words with<br />

respect to the months before and the months after. We can observe that the<br />

average behavior of words in this set has a peak in time. Before and after<br />

this peak, words basically <strong>di</strong>sappear. This seems to be the average behavior<br />

of words that have a peak of use and then are totally lost. These words<br />

cannot be novel words or expressions as their popularity last for a too short<br />

period. Words behaving averagely can be people names or product names.<br />

But, the analysis of the plot in Fig. 3 lead to an interesting conclusion. The<br />

standard deviation with respect to the average behavior is high. This<br />

implies that there are many words that are not know before their peak or<br />

they are steadly known and used after their peak. Words having these<br />

features are extremely interesting.<br />

Figure 4: Simple methods for selecting novel words<br />

Having the above analysis on the behavior of words with respect to<br />

their peak of popularity, we can propose simple models to spot novel


Zanzotto&Pennacchiotti 219<br />

words. This is the second issue we wanted to address. The idea is simple.<br />

We propose models based on this idea. Novel words should find thier<br />

space in new utterances. After a peak of use, these words should find a<br />

nearly constant <strong>di</strong>stribution in the used language. Then, we should tend to<br />

prefer those words that have a steady frequency after the peak of use.<br />

Second, novel words should gain popularity in a short period of time. We<br />

should prefer can<strong>di</strong>date words that have a fast popularity. With these<br />

observations, we can define three <strong>di</strong>fferent models for novel words. Models<br />

are presented in Fig. 4. We propose three models for the novelty of words:<br />

Model A: novel words are words that, before thier peak of use, are less<br />

frequent than the average minus the standard deviation<br />

Model B: novel words are words that, before after peak of use, are more<br />

frequent than the average plus the standard deviation<br />

Model C: novel words ar words that have the properties of Model A and<br />

Model B<br />

Figure 5: Simple methods for selecting novel words: recall vs. precision<br />

We evaluate the results of the models proposed by using Urban<br />

Dictionary. Twitter words that are in Urban Dictionary are good novel<br />

words. We want then to evaluate how good these models are in capturing<br />

these good novel words. To evaluate these models we use the classical<br />

information retrevial measure of precision and recall. Let’s suppose that<br />

with a selection method we can find a set of words that we call selected


220<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

words. Precision counts how many good novel words are in the list of<br />

selected words. This measure states how good is the method in deci<strong>di</strong>ng<br />

whether or not a word is a novel word. Recall counts how many words<br />

among the possible novel words are in selected words. This measure tends to<br />

say how good is the method in retreiving novel words. There is a strict<br />

correlation between precision and recall. Generally, when recall increases<br />

precision decreases. To increase recall, we need to have smaller threshold<br />

to have a bigger set of selected words. This bigger set can contain more<br />

words that are not novel words. This is why it is important to study recall<br />

and precision in combination. Figure 5 plots recall vs precision of the three<br />

methods. Tendentially higher curves represent better methods. Among the<br />

three methods, the best one seems to be Model A, i.e., the model that takes<br />

into consideration the behavior of can<strong>di</strong>date words before the peak. Novel<br />

words, that go into Urban Dictionary in the considered period, are those<br />

words that are basically not present in the period before the peak. Method<br />

B, that takes into consideration the behavior of the word after the peak<br />

period, is the worst method. The combined method, i.e., Method C,<br />

behaves similarly to Method A. The combination of the two methods does<br />

not add a considerable gain.<br />

To conclude this section, we can say that simple frequency-­‐‑based<br />

methods for selecting novel words are useful but these methods do not<br />

completely solve the problem.<br />

3. Natural language processing and machine learning: basic<br />

techniques<br />

We have shown that only a part of novel words are covered by crowd-­‐‑<br />

sourced <strong>di</strong>ctionaries. These <strong>di</strong>ctionaries do not completely open the<br />

possibility to understand interacions on social me<strong>di</strong>a. We need <strong>di</strong>fferent<br />

methods and models to help outsiders to understand the language of a<br />

social group.<br />

In this section, we want to introduce basic natural language techniques<br />

that can help in solving the two issues expressed in Sec.<br />

2.2.2: (1) "ʺspotting novel words"ʺ task; (2) "ʺgive meaning to novel words"ʺ<br />

task. We will also report on how these basic techniques have been applied<br />

in Twitter and in Social Me<strong>di</strong>a.


Zanzotto&Pennacchiotti 221<br />

We will focus on four problems: part-­‐‑of-­‐‑speech tagging, named-­‐‑enity<br />

recognition, <strong>di</strong>stributional semantics, and automatic classification. The<br />

combined use of these techniques can help in the two above tasks.<br />

3.1. Part-­‐‑of-­‐‑speech tagging<br />

Part-­‐‑of-­‐‑speech tagging is considered the first step for a syntactic<br />

analysis. It has been proposed as a separate task in early ’90 [Church 1988,<br />

Brill 1992,<br />

Abney 1996] when the big issue of natural language understan<strong>di</strong>ng<br />

(NLU) [Allen 1995] in a pool of tasks that can be independently solved by<br />

applying specific theories, models, and systems.<br />

The task aims to assign part-­‐‑of-­‐‑speech tags to a sequence of words in a<br />

sentence. For each word, a part-­‐‑of-­‐‑speech (POS) tagger must state if the<br />

word is a noun, an adjective, a verb, etc. The task is formally defined as<br />

follows. Given a sentence s=w1...wn, a POS tagger is a function POS that<br />

assigns to s a sequence of POS tags:<br />

POS(s)= t1...tn<br />

Each word wi should have only one interpretation, i.e., a tag ti. For<br />

example, consider the sentence “the boat sinks”. The PoS tagger, after<br />

analysing the overall sentence s= w1w2w3, assigns the POS-­‐‑tags t1=Article,<br />

t2=Noun and t3=Verb. The tagger has to <strong>di</strong>sambiguate words performing a<br />

simple analysis and looking, for each word, at its close context. For<br />

example, sinks is both a noun and a verb. This decision should be taken<br />

using the context (i.e., “the boat”). Given this information, the tagger has to<br />

draw the most likely decision. However, the PoS tagger is not a word sense<br />

<strong>di</strong>sambiguator. Homograph forms with the same PoS (e.g., the noun bank<br />

as institution or river bank) are not <strong>di</strong>sambiguated with PoS taggers.<br />

PoS taggers are important in a first step of analysis as these tools can<br />

help in better modelling later stage of analysis. These PoS taggers can be<br />

also used to focus the attention only on some word categories.<br />

As social me<strong>di</strong>a have a language that it is not completely standard,<br />

some adaptation of existing and well estabished taggers has to be done.<br />

Similarly to the adaptation to historical languages [Pennacchiotti&Zanzotto


222<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

2008], stu<strong>di</strong>es have been carried out in porting techniques used for<br />

standard language to social me<strong>di</strong>a language [Gimpel et al., 2011].<br />

3.2. Named entity extraction<br />

Detecting named entities, i.e., named entity recognition (NER), in texts<br />

is one of the fundamental issue in the task of natural language processing<br />

called Information Extraction (IE) [MUC-­‐‑7 1997]. Named Entity<br />

Recognition is the first step to <strong>di</strong>scover more complex facts or relations<br />

between people, locations, date, companies, etc. Given a set of target classes<br />

(e.g., person and location), the task of named entity recognition in IE or<br />

semantic annotation in SW consists of detecting text fragments in<br />

documents or in web documents that represent an instance of a target class.<br />

For example, consider the following text fragment: "ʺBefore Moscow! "ʺ<br />

repeated Napoleon, and inviting M. de Beausset, who was so fond of travel, to<br />

accompany him on his ride, he went out of the tent to where the horses stood<br />

saddled. A named entity recognizer should extract the three named entities<br />

Moscow, Napoleon, and M. de Beausset and should determine the their<br />

class, i.e., Moscow is a location while Napoleon and M. de Beausset are two<br />

instances of the class person. Fin<strong>di</strong>ng these bits of information are useful to<br />

determine more interesting facts such as the relation between Napoleon<br />

and M. de Beausset that, accor<strong>di</strong>ng to this piece of texts, know each other.<br />

A survey of the methods can be found in [Nadeau&Sekine 2007].<br />

Named entity extraction is very relevant for social me<strong>di</strong>a and<br />

microbl<strong>oggi</strong>ng as twitter. Named entities can be products or brands.<br />

Monitoring opinons on brands and products is an attractive application for<br />

social me<strong>di</strong>a data. For this reason, named entity recognition has been<br />

adapted to social me<strong>di</strong>a [Ritter et al. 2011] and specific annontations have<br />

been done to help in buil<strong>di</strong>ng better named entity recognizers [Finin et al.<br />

2010].<br />

Named entity recognizers can be also useful for the problems presented<br />

in this paper as it can help in filtering out words that we do not have to<br />

analyze. For celebrities, products, and brands, we do not have to find a<br />

definition or a meaning.<br />

3.2.1. Classifiers and machine learning


Zanzotto&Pennacchiotti 223<br />

A well-­‐‑assessed trend in natural language processing research is to<br />

design systems by combining linguistic theory and machine learning (ML).<br />

The latter is typically used for automatically designing classifiers. A<br />

classifier is a function:<br />

C:I→T<br />

that assigns a category in T to elements of the set I. In supervised ML,<br />

the function C is learnt using a set of training instances Tr. Each training<br />

instance is a pair (i,t)∈Tr, where i∈I and t∈T, i.e. a class label subset.<br />

ML algorithms extract regularities from training instances observing<br />

their description in feature spaces F=F1×…×Fn. Each <strong>di</strong>mension j of the<br />

space F is a feature and Fj is the set of the possible values of j. For example,<br />

if we want to learn a classifier that decides if an animal is a cat or a dog<br />

(i.e., the set T={cat,dog}), we can use features such as the number of teeth,<br />

the length of the teeth, the shape of the head, and so on. Each of the<br />

features has values in the range defined with the set Fj. We can then define<br />

a function F that maps instances i∈I onto points in the feature space, i.e.<br />

F(i)=(f1,…, fn) (2)<br />

Once F and Tr have been defined, ML algorithms can be applied for<br />

learning C, e.g., decision trees in [Quinlan 1993].<br />

Classifiers are extremely important as these methods can help in<br />

automatically decide whether or not a can<strong>di</strong>date word is really a novel<br />

word. These techniques have been also used in the similar problem of<br />

deci<strong>di</strong>ng whether or not a novel expression is a term in a specific domain<br />

as me<strong>di</strong>cine, space, physics, etc. [Basili&Zanzotto 2002].<br />

3.3 Distributional semantics<br />

run eat window<br />

Dog 1 1 0<br />

Cat 1 1 0<br />

Car 1 0 1


224<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

Table 1: Context vectors for the words “dog”, “cat”, and “car”<br />

the car runs on the highway<br />

she opened the window of the car<br />

the cat eats the mouse<br />

the dog eats the bone<br />

the cat runs in the gardern<br />

the dog runs in the gardern<br />

Table 2: A small set of contexts for the words “dog”, “cat”, and “car”<br />

Distributional semantics (DS) is a very important model to deal with<br />

word meaning. Its aim is to give models to determine similarity between<br />

words. It stems from the solid linguistic basis of Firth’s principle, “You shall<br />

know a word by the company it keeps.” [Firth 1957], and Harris’s Distributional<br />

Hypothesis, “Words that occur in the same contexts tend to have similar<br />

meanings” [Harris 1964]. Firth’s principle justifies the idea that the meaning<br />

of words (or word sequences) can be modeled using contextual<br />

information and can be represented in vector spaces. Harris’ Distributional<br />

Hypothesis suggests that the meaning of words can be compared through<br />

the vectors representing the context in which they occur. For example,<br />

Table 1 represents the vectors for “dog”, “cat”, and “car” derived from the<br />

set of sentences in Figure 2. Rows represent contextual vectors for words<br />

and columns represent co-­‐‑occuring words. “Dog” occurs once with “run”<br />

(see Fig. 2). Similarity between words is given by the similarity between<br />

vectors: simple <strong>di</strong>stance measures between vectors such as dot product can<br />

be used. Then, “dog” and “cat” are more similar than “dog” and “car”, as<br />

their <strong>di</strong>stributional vectors are closer.


Zanzotto&Pennacchiotti 225<br />

Different kinds of context can be considered to build the <strong>di</strong>stributional<br />

vector representing a word:<br />

a word occurring in a window of n tokens around the target word [Schutze<br />

1997]<br />

a lexicalized syntactic relation in which the target word participates<br />

[Pado&Lapata 2007]<br />

a document in which the target word occurs [Deerwester et al. 1990]<br />

Such contexts, co-­‐‑occurring frequently with a target word, comprise its<br />

possibly salient attributes [Turney 2006].<br />

This is a key model that can be used in assigning meaning to novel<br />

words. Similarity with existing and known words can help in better<br />

understan<strong>di</strong>ng novel ones.<br />

4. Conclusions<br />

In this paper, we stu<strong>di</strong>ed the language evolution in a specific social<br />

me<strong>di</strong>a, Twitter and we evaluated whether cooperative <strong>di</strong>ctionaries<br />

(specifically Urban Dictionary) can be used to deal with the evolving<br />

language. We <strong>di</strong>scovered that this method partially solves the problem, by<br />

allowing a better understan<strong>di</strong>ng of the behavior of new words and<br />

expressions. We then analyze how natural language processing techniques<br />

can be used to capture the meaning of new words and expressions. Starting<br />

on these solid grounds, we can start studying to which extent we can use<br />

natural language techniques to lower language barriers in the social me<strong>di</strong>a<br />

era.<br />

Fabio Massimo Zanzotto & Marco Pennacchiotti<br />

fabio.massimo.zanzotto@uniroma2.it<br />

marco.pennacchiotti@gmail.com


226<br />

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technologies: short papers -­‐‑ Volume 2, HLT ’11, Stroudsburg, PA, USA,<br />

Association for Computational Linguistics, 42-­‐‑47.<br />

Harris 1964<br />

Harris Zellig, “Distributional structure”, in J. J. Katz & J. A. Fodor (eds.),<br />

The philosophy of linguistics, New York, Oxford University Press.<br />

MUC-­‐‑7 1997<br />

MUC-­‐‑7, Procee<strong>di</strong>ngs of the seventh message understan<strong>di</strong>ng conference<br />

(MUC-­‐‑7), in Columbia, MD: Morgan Kaufmann.<br />

Nadeau&Sekine 2007<br />

Nadeau David, Sekine Satoshi, “A survey of named entity recognition<br />

and classification”, Linguisticae Investigationes 30/1, 3-­‐‑26.<br />

Pado&Lapata 2007


228<br />

Language evolution in social me<strong>di</strong>a: a preliminary study<br />

Pado Sebastian, Lapata Mirella, “Dependency-­‐‑based construction of<br />

semantic space models”, Computational Linguistics 33/2, 161–199.<br />

Pennacchiotti&Popescu 2011<br />

Pennacchiotti Marco, Popescu, Ana-­‐‑Maria, “A machine learning<br />

approach to Twitter user classification”, in L. A. Adamic, R. A. Baeza-­‐‑<br />

Yates, & S. Counts (eds.), ICWSM, The AAAI Press.<br />

Pennacchiotti&Zanzotto 2008<br />

Pennacchiotti Marco, Zanzotto Fabio Massimo, “Natural language<br />

processing across time: an empirical investigation on Italian”, in B.<br />

Nordström, A. Ranta (eds.), GoTAL, volume 5221 of Lecture notes in<br />

Computer Science Springer, 371-­‐‑382.<br />

Quinlan 1993<br />

Quinlan, John Ross, C4:5: programs for machine learning, San Mateo,<br />

Morgan Kaufmann.<br />

Ritter et al. 2011<br />

Ritter Alan, Clark Sam, Etzioni Mausam, Etzioni Oren, “Named entity<br />

recognition in tweets: An experimental study”, in Procee<strong>di</strong>ngs of the 2011<br />

conference on empirical methods in natural language processing, E<strong>di</strong>nburgh,<br />

Scotland, UK., Association for Computational Linguistics, 1524-­‐‑1534.<br />

Schutze 1997<br />

Schutze Hinrich, Ambiguity resolution in language learning, Stanford, CA,<br />

CSLI.<br />

Turney 2006<br />

Turney Peter D., “Similarity of semantic relations” Computational<br />

Linguistics 32/3, 379–416.<br />

Wüster 1931<br />

Wüster Eugen, Die Internationale Sprachnormung in der Technik besonders<br />

in der Elektrotechnik, Berlin, VDI Verlag.


I curatori ringraziano per la collaborazione Azzurra Mancini e Francesca De Rosa<br />

che, coor<strong>di</strong>nate in Redazione dal collega Alberto Manco, hanno reso possibile<br />

l’impaginazione e gli altri passaggi necessari per l’uscita del libro.


ISBN: 978-­‐88-­‐6719-­‐017-­‐1

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