Lavori Lavori in in corso… corso… Tempo Tempo <strong>di</strong> <strong>di</strong> inserimento inserimento… inserimento inserimento … Accoglienza… Accoglienza… Luca, Luca, Christian, Christian, Giacomo, Giacomo, Bea, Bea, Gemma, Gemma, Gemma, Matil Matilde, Matil de, Francy, Francy, accolgono accolgono accolgono accolgono Tommaso, Tommaso, Tommaso, Andrea, Andrea, Andrea, Matteo Matteo… Matteo e e Chiara Chiara e e Viola e Denise e Cecilia Cecilia e … … Queste Queste Queste son son le le mie mie manine… manine… presto presto vi via… vi vi a… e e non non ci ci sono sono più Queste Queste son son le le farfalline… farfalline… presto presto via… via… e e non non ci ci sono sono più più Questo Questo Questo è è il il mio mio cappello… cappello… presto presto via… via… e e non non c’è c’è più più Questo Questo è è il il nido nido dell’uccello… dell’uccello… presto presto via… via… e e non non c’è c’è più più Questo Questo è è un un lungo lungo cannocchiale… cannocchiale… presto presto via… via… e e non non c’è c’è più più Questo Questo è è un un un morbido morbido guanciale… guanciale… presto presto via… via… e e non non c’è c’è più
Lavori in corso… Tempo <strong>di</strong> inserimento… Perché piangi??? Per i bambini piangere è un fatto sano e naturale, basti pensare che il primo segnale <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> un neonato è proprio il pianto. Un buon pianto in<strong>di</strong>ca che una gran parte del sistema fisiologico è intatta e funziona bene. Ma la funzione del pianto è in primo luogo comunicativa. I bambini piangono per lo stesso motivo per cui gli adulti parlano: per esprimere qualcosa. Inevitabilmente questo comporta che gli adulti si impegnino nel comprendere ed interpretare in modo corretto questa comunicazione, e rispondano in maniera contingente. A volte si può essere portati a rinunciare a questo impegno, può accadere infatti che appena si sente piangere un bambino la prima cosa che viene da <strong>di</strong>re è: “No, perché piangi? Non piangere…” È comprensibile che per i genitori il pianto rechi angoscia. Ci si può sentire <strong>di</strong>sarmati perché non si riesce a comprendere il suo significato, che per gli adulti è sintomo <strong>di</strong> sofferenza fisica o psichica. Ma rispondere in modo accogliente al pianto del bambino significa porsi nella prospettiva <strong>di</strong> andare oltre le lacrime e interrogarsi sul suo sentire, nel duplice tentativo <strong>di</strong> dare risposta alla sua comunicazione e <strong>di</strong> fornire una presenza rassicurante. Il pianto quin<strong>di</strong> può essere considerato una grande opportunità per l’adulto perché gli permette <strong>di</strong> entrare in un contatto autentico ed intimo col bambino aiutando lo stesso ad elaborare e tradurre il suo <strong>di</strong>sagio in un’esperienza tollerabile e magari maturativa. I bambini non piangono per fragilità ma per esprimere se stessi senza remore. Una favola può aiutare….. Quando l'orso Cola smise <strong>di</strong> piangere “C’era una volta un piccolo orso rosa, <strong>di</strong> nome Cola, che ogni giorno andava al nido con la sua mamma.“Su, Cola, spicciati, il nido chiude!” <strong>di</strong>ceva la mamma tutte le mattine. E tutte le mattine Cola piagnucolava: “Uffa, sempre correre, sempre correre!”. La mamma, allora, lo prendeva in braccio, lo infilava nel seggiolino della bicicletta e - via!!! – pedalava verso il nido. Tutte le mattine, quando entravano Cola faceva un gran sospirone e cercava <strong>di</strong> inghiottire le lacrime, ma quelle – <strong>di</strong>spettose! – gli scivolavano fuori dagli occhi e, grosse come nocciole, cascavano fino a terra. “Non piangere, amore, poi torno… Adesso vado al lavoro, ma tu puoi stare qui a giocare…” <strong>di</strong>ceva mamma orsa. A Cola piacevano quelle stanze piene <strong>di</strong> giochi, ma tutte le mattine, quando vedeva mamma orsa sparire oltre la porta, sentiva qualcosa in gola, come se un grosso pasticcino al miele gli fosse andato per traverso, perciò si metteva a piangere e piangeva così forte che tutti gli altri piccoli del nido si giravano a guardarlo e <strong>di</strong>cevano: “Oh, poverino, deve avere un male grande grande…”. Allora la tata lo prendeva in braccio, lo portava alla finestra e, accarezzando il suo testone peloso, sussurrava: “Non piangere, Cola, dopo mamma torna!”. Lo coccolava per qualche minuto, poi lo accompagnava sul tappetone in salone, così Cola cominciava a giocare e, per un po’, si <strong>di</strong>menticava del suo <strong>di</strong>spiacere. Ma, a volte, se cadeva o se qualcuno gli rubava la palla, <strong>di</strong>ventava moooooooolto triste e grossi lacrimoni gli scivolavano lungo le guance. Poi, un giorno, mentre piangeva da solo vicino alla finestra, sentì una mano appoggiarsi alla sua schiena. Si voltò e vide panda Pipò che, con la testa un po’ piegata <strong>di</strong> lato, gli sorrideva. “Ciao – <strong>di</strong>sse Pipò. – Ti fa male la pancia?”. Cola fece segno <strong>di</strong> no.“Ti hanno rubato un giocattolo?”. Cola fece <strong>di</strong> no un’altra volta. “Magari ti manca la tua mamma?”. Cola fece una smorfia che voleva <strong>di</strong>re: “Sì, tanto, tanto” e, con la zampa, si asciugò il naso umido. Allora Pipò prese dalla tasca dei pantaloni un fazzoletto azzurro come il cielo e glielo passò sulla faccia. Magicamente – puf! – tutte le lacrime sparirono e Cola sorrise.“Sai – <strong>di</strong>sse Pipò – questo è un fazzoletto magico. Se lo tieni in tasca, caccia via tutte le lacrime!”.“Magico?” chiese Cola spalancando la bocca per lo stupore. “Oh sì! Anch’io una volta piangevo… Poi non ho più pianto!”. “Davvero?” esclamò Cola, sorridendo al suo nuovo amico. Si soffiò il naso, ripiegò per bene il fazzoletto azzurro-cielo e se lo mise in tasca. E così, da quella mattina, quando Cola sentiva in gola qualcosa che gli faceva venire voglia <strong>di</strong> piangere, stringeva il fazzoletto azzurro e si avvicinava a panda Pipò: e, magicamente, i lacrimoni sparivano”.