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Kurosawa - Veramente.org

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per la donna. L'aveva minacciata di morte, quella era fuggita. Anche Tagiomaru<br />

se n'era andato; e il povero samurai, rimasto solo e disperato, si era ucciso,<br />

il meno che un nobile samurai, in simili circostanze, potesse fare.<br />

E infine ci sarebbe ancora una quarta versione, quella del taglialegna, più o<br />

meno plausibile, come le altre. Relatività delle percezioni e delle<br />

interpretazioni umane, lo sapevamo. Il brigante vede ogni cosa da bel brigante,<br />

e ci tiene, e ci tiene che gli altri vi credano; la donna idem; il samurai<br />

idem. Sono questi i significati più innegabili del film; che avvince perché la<br />

regia è ottima, ogni pagina di per sé non potrebbe forse essere meglio<br />

scandita, e la recitazione è quasi superba (Toshiro Mifune, il più popolare<br />

attore giapponese, Machico Chiyo, Masayuki Mori e Takasci Scimura). Ma il film<br />

desta qualche dubbio per il non sempre dissimulato stridore fra la<br />

sottigliezza, tutta. contemporanea, di voler indagare, dello stesso fatto, le<br />

più diverse e inconsce interpretazioni di quanti l'hanno vissuto, e il fatto in<br />

sé, primitivo, acre, selvaggio, bestiale. Ciò che dovrebbe primeggiare,<br />

interessando e convincendo, è la diversità di quelle interpretazioni, di volta<br />

in volta; la travolge invece il silvestre Grand Guignol che ogni volta belluino<br />

irrompe con la sua nuova variazione; mentre la finale moraluccia edificante è<br />

piuttosto posticcia,non risolve ciò che dovrebbe risolvere.<br />

Tuttavia, pur essendo in qualche sua giuntura pirandelliana qua e là<br />

predisposto e persino artificioso, il film è di quelli che non si dimenticano,<br />

ha accenti genuini, pagine superbe: come la lunga carrellata nella foresta, il<br />

primo mortale duello, il racconto della donna, l'evocazione della maga, e molti<br />

toni di un'atmosfera nella quale vibrano echi secolari e vorrebbe vibrare una<br />

sottile inquietudine dei nostri giorni che a quelle secolari tradizioni sapesse<br />

inchinarsi. Bello, inaspettato ritorno del cinema giapponese, con un'opera che<br />

è di uno dei più significativi ed esperti fra i suoi registi.<br />

(1951)<br />

Da Film visti. Dai Lumière al Cinerama, Edizioni di Bianco e Nero, Roma, 1957<br />

I Sette Samurai ( 1954, 200')<br />

Mario Gromo<br />

La Stampa<br />

Il film è di Akira <strong>Kurosawa</strong>, il regista di Rashomon, ed è un'ultra<br />

rievocazione del Giappone feudale. Con minori raffinatezze dei precedenti film<br />

del genere, ma con un suo nerbo e un suo carattere, alle volte francamente<br />

sbrigliati e popolari, inseriti in quell'epoca lontana con cadenze di un vasto<br />

dramma e con accenti di un rusticano poema eroicomico. Vale la pena di tentarne<br />

un succinto racconto, almeno della prima parte.<br />

Nel vecchio Giappone dei samurai, dei «Signori della guerra», imperversano le<br />

lotte intestine. Siccità, carestie e predoni accrescono quelle sciagure. Con<br />

molti altri un povero villaggio di contadini è già stato vittima di saccheggi e<br />

di razzie. Ora una pattuglia di banditi a cavallo appare sull'alto della<br />

collina, il capo dice che adesso non vale la pena di scendere a predare, meglio<br />

attendere la mietitura. Un contadino ha tutto udito, corre a dare l'annuncio di<br />

quella nuova sventura; e terrori, e pianti, e lamentazioni, destano fra le<br />

povere case un coro di una pena antica, il dolore dei deboli, degli oppressi.<br />

Qualcuno propone di prepararsi a resistere ai predoni, ma altri gli dà del<br />

pazzo, un tentativo di resistenza significherebbe per tutti la morte. Decidono<br />

allora di recarsi per consiglio dai «nonno», il decano del villaggio; e quel<br />

volto ormai al di là del tempo ha poche, lente parole. L'unica salvezza è<br />

nell'assoldare, per difesa, qualche samurai; gli si potrà offrire del buon riso<br />

ogni giorno, per nutrire i samurai il villaggio potrà anche nutrirsi di

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