08.06.2013 Views

Pdf Ultimi giorni di Mussolini (agente 441)

Pdf Ultimi giorni di Mussolini (agente 441)

Pdf Ultimi giorni di Mussolini (agente 441)

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

Titolo: Gli ultimi <strong>giorni</strong> <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e dei suoi ministri<br />

(memorandum segreto) 1<br />

Mittente: <strong>441</strong> (nome sconosciuto)<br />

Destinatario: 110 (Allen Dulles, Berna)<br />

Data: 30 maggio 1945<br />

Riepilogo delle <strong>di</strong>fficoltà incontrate durante la raccolta <strong>di</strong> informazioni<br />

atten<strong>di</strong>bili (tramite testimoni oculari) e atteggiamento generale del Clnai<br />

Benito <strong>Mussolini</strong> e Claretta Petacci, la sua amante, sono stati catturati venerdì<br />

27 aprile 1945 a Dongo, in provincia <strong>di</strong> Como, e fucilati sabato 28 aprile in<br />

località Giulino <strong>di</strong> Mezzegra. I loro cadaveri, assieme a quelli <strong>di</strong> numerosi<br />

ministri e <strong>di</strong> altri importanti gerarchi, sono stati trasportati a Milano nel corso<br />

della giornata, per essere poi appesi per i pie<strong>di</strong> in una piazza il giorno seguente.<br />

Per or<strong>di</strong>ne delle autorità americane (che erano appena giunte in città), i corpi<br />

sono stati calati a terra domenica 29 aprile e trasportati in un obitorio.<br />

Quella domenica io mi trovavo a Como e, il giorno dopo, a Milano. Malgrado<br />

fossero trascorse appena ventiquattro ore dall’esecuzione, non sono riuscito a<br />

ottenere (a Como) informazioni plausibili sia sulle circostanze che hanno<br />

portato alla loro cattura, sia sulla <strong>di</strong>namica dell’esecuzione. Non sono stato<br />

nemmeno in grado <strong>di</strong> trovare i testimoni oculari degli eventi, sia a Como che a<br />

Milano. Senza dubbio, ciò è dovuto al fatto che <strong>Mussolini</strong> è stato catturato in<br />

una citta<strong>di</strong>na sulla riva occidentale del lago <strong>di</strong> Como, per essere poi passato per<br />

le armi in una strada deserta nei pressi <strong>di</strong> Giulino <strong>di</strong> Mezzegra, sulle colline che<br />

si affacciano sul lago. Persino la popolazione locale è stata tenuta lontana e, con<br />

l’eccezione dei protagonisti del dramma, nessun altro è stato testimone degli<br />

avvenimenti. Il rapporto che segue evidenzia che gli attori del dramma erano<br />

pochi. La fucilazione <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>, per esempio, è stata eseguita da appena<br />

cinque persone. Una <strong>di</strong> queste, qualche giorno dopo, è rimasta vittima <strong>di</strong> un<br />

“fatale” incidente. Un’altra è stata colta da forte esaurimento nervoso. Alla fine<br />

è scomparsa e nessuno conosce il suo destino.<br />

Nel corso delle mie indagini, ho parlato con il generale Raffaele Cadorna,<br />

comandante in capo del “Corpo volontari della libertà” (Cvl), il braccio militare<br />

del Clnai. Ho poi sostenuto una serie <strong>di</strong> conversazioni con Gustavo Ribet<br />

(comandante del Cvl, ovvero dei partigiani, in Lombar<strong>di</strong>a) e con molti altre<br />

personalità (civili e militari), elementi in grado <strong>di</strong> fornirmi informazioni<br />

atten<strong>di</strong>bili. Alcuni <strong>di</strong> questi colloqui hanno avuto luogo nella mattinata <strong>di</strong><br />

domenica 29 aprile, altri nei successivi trenta <strong>giorni</strong>. Il 9 maggio, ad esempio, il<br />

generale Cadorna mi ha confidato che non tutti i dettagli della vicenda, oggetto<br />

delle mie indagini, erano noti al Clnai, aggiungendo che la politica generale<br />

osservata da questa organizzazione consisteva nel non entrare troppo nella<br />

questione. Ha comunque sostenuto che il colonnello Valerio, al momento <strong>di</strong><br />

lasciare Milano per Dongo, aveva l’or<strong>di</strong>ne preciso <strong>di</strong> procedere con l’esecuzione<br />

<strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>. Gli ho quin<strong>di</strong> chiesto se tale or<strong>di</strong>ne era il risultato <strong>di</strong> una decisione<br />

1 Cfr. Nara (College Park, Maryland, Usa), rg 226, s. 190C, b. 11, f. 77.


del Clnai. Cadorna ha replicato che “l’or<strong>di</strong>ne è stato emanato in forma ufficiale<br />

da un membro del Comitato, per conto <strong>di</strong> tutto il Clnai.”<br />

Nell’affrontare il tema, il comandante Ribet mi ha informato invece che il<br />

Comitato si è assunto la responsabilità dell’esecuzione ventiquattro ore dopo. E’<br />

noto, infatti, che il comunicato ufficiale in questione è apparso sui giornali<br />

milanesi soltanto il 30 aprile (lunedì), ovvero due <strong>giorni</strong> dopo la fucilazione.<br />

La seguente descrizione degli ultimi <strong>giorni</strong> <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>, della sua amante e <strong>di</strong><br />

vari <strong>di</strong>gnitari del regime fascista, è basata in parte su <strong>di</strong>chiarazioni da me<br />

ottenute tramite testimoni oculari, in parte su rapporti a me in<strong>di</strong>rizzati (qualche<br />

giorno dopo i suddetti eventi) dall’ufficiale partigiano che ha esploso gli ultimi<br />

due colpi <strong>di</strong> pistola contro il Duce. Tutti i luoghi descritti nel memorandum<br />

sono stati da me visitati qualche giorno dopo gli avvenimenti, compresa la casa<br />

in cui <strong>Mussolini</strong> e la Petacci hanno trascorso la loro ultima notte. […].<br />

La sosta <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> a Menaggio (26 aprile 1945)<br />

Il capo dei fascisti a Menaggio era Emilio Castelli, membro del Consiglio<br />

federale fascista per la provincia <strong>di</strong> Como, che era anche un consigliere <strong>di</strong> Porta,<br />

il federale <strong>di</strong> Como. Di solito, un consigliere svolgeva vari compiti. Castelli, ad<br />

esempio, era anche al comando della Settima compagnia della brigata “Cesare<br />

Ro<strong>di</strong>ni” (Brigate nere). La compagnia aveva sede presso la scuola locale, dove<br />

Castelli aveva un ufficio.<br />

Fu in questo e<strong>di</strong>ficio <strong>di</strong> Menaggio che <strong>Mussolini</strong> si installò giovedì 26 aprile, <strong>di</strong><br />

buon mattino. Il suo arrivo non fu annunciato, forse per ragioni <strong>di</strong> sicurezza.<br />

Castelli fu raggiunto a casa da uno dei suoi uomini. Gli fu detto che Porta<br />

voleva incontrarlo in caserma. Davanti all’e<strong>di</strong>ficio sostavano <strong>di</strong>eci automobili e<br />

due autocarri tedeschi, con circa venticinque soldati. Porta gli comunicò l’arrivo<br />

<strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>, aggiungendo che occorreva mettergli subito a <strong>di</strong>sposizione una<br />

stanza perché potesse riposare (aveva passato in bianco le due notti precedenti).<br />

Pochi minuti dopo, il Duce, che appariva calmo ma affaticato, convocò Castelli,<br />

che rimase colpito dall’attenzione con la quale <strong>Mussolini</strong> ascoltava i<br />

suggerimenti <strong>di</strong> Porta, Zerbino e <strong>di</strong> altre persone della comitiva. Ciò strideva<br />

con la figura del leader autorevole che egli si era sempre immaginato.<br />

Il Duce interrogò Castelli sulla situazione in quella provincia, ovvero sul tratto<br />

<strong>di</strong> strada che va da Argegno a Dongo (riva occidentale del lago <strong>di</strong> Como). In<br />

particolare, era interessato a sapere se vi era attività partigiana in quelle zone.<br />

Castelli rispose che la situazione era “normale” e che, con l’eccezione <strong>di</strong> alcuni<br />

incidenti <strong>di</strong> scarsa importanza, i partigiani erano sotto controllo. Castelli si<br />

riferiva ad una operazione <strong>di</strong> “pulizia” contro i partigiani nei pressi <strong>di</strong> Dongo,<br />

dove nei <strong>giorni</strong> precedenti un milite delle Brigate nere era rimasto ucciso e un<br />

altro ferito. Castelli non dava molta importanza all’incidente ma un capo<br />

partigiano mi riferì successivamente che, in quella occasione, Castelli aveva<br />

or<strong>di</strong>nato la fucilazione <strong>di</strong> sei partigiani (cinque uomini e una donna). E’<br />

probabile che le assicurazioni <strong>di</strong> Castelli abbiano convinto <strong>Mussolini</strong> a <strong>di</strong>rigersi<br />

verso Dongo, il giorno successivo, con una scorta relativamente piccola. E fu<br />

proprio a Dongo che egli cadde nelle mani dei partigiani.


Dopo aver sorseggiato del caffè offertogli da Castelli, <strong>Mussolini</strong> si ritirò a<br />

riposare in una piccola stanza al secondo piano della caserma. Ma il sonno fu<br />

breve perché, poco dopo le 9.00, scese al pianterreno per riprendere le<br />

interminabili <strong>di</strong>scussioni con Porta e gli altri. Questi suggerì che la colonna<br />

motorizzata del Duce fosse spostata a Grandola, un villaggio a pochi chilometri<br />

da Menaggio, sulla strada che conduce al confine svizzero (nei pressi <strong>di</strong><br />

Porlezza). Il convoglio, infatti, cominciava ad attirare l’attenzione della<br />

popolazione, anche perché in mattinata si erano aggregati altri autocarri<br />

provenienti da Como. La proposta fu accettata e l’autocolonna partì alle 9.30.<br />

Castelli apprese da Porta che l’idea era <strong>di</strong> trovare, per <strong>Mussolini</strong> e il suo seguito,<br />

un luogo lontano da sguar<strong>di</strong> in<strong>di</strong>screti dove poter trascorrere la giornata.<br />

Sembrava finalmente prender corpo un piano operativo ma la sua messa in atto<br />

<strong>di</strong>pendeva dall’arrivo <strong>di</strong> qualcosa o <strong>di</strong> qualcuno. Forse, si attendevano Pavolini<br />

e le sue truppe da Bergamo e da Milano perché proteggessero il Duce durante il<br />

viaggio. Oppure, si tentò per l’ultima volta <strong>di</strong> ottenere l’autorizzazione ad<br />

entrare in territorio svizzero. Secondo alcune persone che si trovavano sul<br />

convoglio e che sopravvissero agli eventi del giorno successivo, gli ufficiali<br />

tedeschi dell’autocolonna furono infatti inviati alla frontiera con la richiesta <strong>di</strong><br />

poter attraversarla. Ma il rifiuto delle guar<strong>di</strong>e fu netto. […] Verso le 20.00,<br />

senza avvertire Castelli, il convoglio tornò a Menaggio, sistemandosi nella<br />

stessa caserma del mattino. A mezzanotte, da Como, arrivò anche Pavolini con<br />

due blindati. […] <strong>Mussolini</strong>, Pavolini e gli altri ministri si riunirono nuovamente<br />

per quasi tre ore. Alle 3 del mattino, il Duce se ne andò a letto ma dormì appena<br />

un’ora. Alle 4 era nuovamente in pie<strong>di</strong>. Porta, quin<strong>di</strong>, or<strong>di</strong>nò a Castelli <strong>di</strong><br />

preparare la partenza. La colonna motorizzata si mosse verso nord alle 5 <strong>di</strong><br />

venerdì 27 aprile. Porta confidò a Castelli che era <strong>di</strong>retta in Valtellina. La<br />

confusione era grande. <strong>Mussolini</strong> manteneva la calma ma era chiaro che il<br />

nervosismo della comitiva e il clima <strong>di</strong> panico lo mettevano a <strong>di</strong>sagio. Il Duce<br />

strinse la mano al prefetto <strong>di</strong> Como (Celio) ed entrò nell’automobile con cui era<br />

arrivato. Indossava l’uniforme grigioverde della Milizia e il berretto<br />

d’or<strong>di</strong>nanza. Prima <strong>di</strong> partire, si mise un pastrano. Non portava segni <strong>di</strong> rango,<br />

con l’eccezione del nastrino rosso da squadrista, il <strong>di</strong>stintivo dei fascisti che<br />

appartenevano al movimento fin dalle origini. […].<br />

Gli eventi che precedettero la cattura <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> (27 aprile 1945)<br />

Nelle prime ore del 27 aprile, una piccola unità <strong>di</strong> partigiani della<br />

Cinquantaduesima brigata “Luigi Clerici” pattugliava la strada che va da<br />

Menaggio a Gravedona, sulla riva occidentale del lago <strong>di</strong> Como. Nei pressi <strong>di</strong><br />

Pianello Lario, un piccolo inse<strong>di</strong>amento a sud <strong>di</strong> Musso, la pattuglia udì<br />

all’improvviso il rombo <strong>di</strong> una motocicletta <strong>di</strong>retta a Como. Armi in pugno, i<br />

partigiani si schierarono sullo stradale e intimarono al motociclista <strong>di</strong> fermarsi.<br />

Era un poliziotto fascista, appartenente alla Ps <strong>di</strong> Como, al quale furono<br />

sequestrate tre rivoltelle. Interrogato, ammise <strong>di</strong> essere <strong>di</strong> ritorno da Musso,<br />

dove i partigiani avevano appena bloccato una grossa autocolonna che<br />

trasportava un gruppo <strong>di</strong> importanti capi fascisti. Aggiunse che “un<br />

grand’uomo” si trovava con loro, lasciando capire che si trattava <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>.<br />

Alcuni membri della pattuglia, quin<strong>di</strong>, si precipitarono a Musso e trovarono la


colonna motorizzata menzionata dal motociclista. Era composta da trentotto<br />

autoveicoli. Apriva il convoglio un blindato italiano. Vi erano anche delle<br />

automobili con a bordo numerosi passeggeri italiani. Il convoglio, al comando<br />

<strong>di</strong> un ufficiale delle Ss e composto da soldati della Luftwaffe e delle Ss, aveva<br />

raggiunto Musso alle ore 6.45 <strong>di</strong> venerdì 27 aprile. […] Vedendolo arrivare, i<br />

partigiani aprirono il fuoco e i tedeschi risposero. Erano probabilmente convinti<br />

che i partigiani fossero in forze. Di conseguenza, avviarono una trattativa per<br />

poter procedere senza noie. Le negoziazioni furono due. La prima ebbe luogo<br />

tra i partigiani ed i tedeschi; la seconda, tra don Mainetti (un sacerdote del<br />

posto) e gli italiani presenti nell’autocolonna. Fu uno dei partigiani <strong>di</strong> Pianello<br />

Lario ad informare il prete della storia raccontata dal motociclista. […] Nel<br />

frattempo, accadde un incidente curioso. Uno dei partigiani giunti a Musso da<br />

Pianello Lario volle dare un’occhiata agli occupanti del convoglio. Salì quin<strong>di</strong><br />

al secondo piano <strong>di</strong> una casa che dava sulla strada, dove sostavano gli autocarri<br />

tedeschi. Dal balcone, si vedeva chiaramente un camion tedesco munito <strong>di</strong><br />

rimorchio. In un angolo del veicolo, scorse un uomo che indossava un pastrano<br />

e un elmetto dell’esercito germanico. Era seduto e fumava. Un soldato tedesco<br />

era in pie<strong>di</strong> fuori dal camion, proprio <strong>di</strong>nanzi a questa persona, come se volesse<br />

nasconderla alla vista degli altri. Ad un tratto, l’uomo seduto alzò la testa e<br />

accese una sigaretta al tedesco. Il partigiano riconobbe <strong>Mussolini</strong>. Rimase <strong>di</strong><br />

sasso e la sua reazione istintiva fu quella <strong>di</strong> impugnare la rivoltella. Ma il<br />

proprietario della casa notò la mossa e gli trattenne il braccio. Erano presenti<br />

alcuni bambini e, inoltre, i tedeschi sembravano essersi accorti della sua<br />

presenza. In piena eccitazione, il partigiano scese in strada e riferì al suo capo<br />

ciò che aveva visto. Questi, a sua volta, or<strong>di</strong>nò imme<strong>di</strong>atamente ad un<br />

messaggero <strong>di</strong> recarsi ad avvertire i partigiani <strong>di</strong> Dongo. Tuttavia, per ragioni<br />

ignote, la staffetta partigiana non raggiunse mai la citta<strong>di</strong>na. […]<br />

La cattura <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e <strong>di</strong> Claretta Petacci a Dongo, provincia <strong>di</strong> Como (27<br />

aprile 1945)<br />

La colonna motorizzata tedesca raggiunse Dongo verso le 15.00. Su or<strong>di</strong>ni del<br />

comandante Pedro, il partigiano Bill iniziò l’ispezione <strong>di</strong> tutti gli autoveicoli<br />

assieme ai suoi uomini. I tedeschi erano circa duecento, tutti armati. […] I<br />

partigiani in<strong>di</strong>viduarono anche un uomo, una donna e due bambini. Erano in<br />

possesso <strong>di</strong> documenti spagnoli, secondo i quali si trattava <strong>di</strong> funzionari<br />

consolari <strong>di</strong>retti in Svizzera. Un capo partigiano <strong>di</strong>sse loro che solo i tedeschi<br />

erano autorizzati a procedere, secondo l’accordo stabilito in mattinata. Gli<br />

“spagnoli” dovevano quin<strong>di</strong> abbandonare il convoglio e rimanere a Dongo. Ma<br />

emergeva già il sospetto che si trattasse <strong>di</strong> italiani. Uno dei partigiani si rivolse<br />

ai due in spagnolo e s’accorse che non parlavano questa lingua. In breve, la<br />

donna fu riconosciuta come Claretta Petacci, l’amante <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>, che finì per<br />

confessare la sua identità (quella del suo compagno, invece, rimase ignota fino<br />

al giorno seguente). […] Fu perquisito anche il camion in cui <strong>Mussolini</strong> sarebbe<br />

stato in seguito smascherato. Tuttavia, durante questa prima ricerca, il Duce non<br />

fu identificato. Il veicolo, infatti, era stipato <strong>di</strong> soldati tedeschi, <strong>di</strong> coperte <strong>di</strong><br />

lana e <strong>di</strong> altri oggetti. Secondo una versione circolata più tar<strong>di</strong>, un ufficiale<br />

tedesco aveva preso da parte un partigiano prima <strong>di</strong> lasciare Musso e, <strong>di</strong> sua<br />

iniziativa, gli aveva comunicato che <strong>Mussolini</strong> si nascondeva nella colonna


motorizzata. Ma, a Dongo, il comandante partigiano incaricato dell’ispezione<br />

non era al corrente <strong>di</strong> questa informazione, vera o falsa che fosse. In ogni modo,<br />

i partigiani, perquisirono nuovamente il camion. Bill, infatti, aveva appena<br />

finito <strong>di</strong> controllare il secondo autocarro tedesco quando un partigiano si<br />

precipitò da lui per <strong>di</strong>rgli che aveva notato un tedesco molto sospetto<br />

nell’ultimo camion del convoglio. Bill lo raggiunse subito e notò all’interno un<br />

uomo seduto, appoggiato ad una delle balaustre laterali del veicolo. Indossava<br />

un elmetto e un pastrano dell’esercito tedesco. Secondo altri rapporti, portava<br />

anche degli occhiali scuri (ma questo dettaglio non è mai stato confermato). Da<br />

fuori, Bill allungò il braccio e gli toccò la schiena, chiamandolo “camerata”.<br />

L’uomo rimase immobile. Il partigiano, allora, si rivolse a lui con un<br />

“eccellenza”. Ma l’in<strong>di</strong>viduo continuava a non reagire. A quel punto, Bill urlò<br />

“cavaliere Benito <strong>Mussolini</strong>!” e solo allora l’uomo fu scosso da un fremito.<br />

Assieme ad un autista <strong>di</strong> Dongo, che si era unito ai partigiani, Bill salì<br />

all’interno del camion. Nel frattempo, i soldati tedeschi (che si trovavano a<br />

bordo quando si era verificata la prima ispezione sommaria) erano scesi sulla<br />

strada. Uno <strong>di</strong> loro <strong>di</strong>sse al partigiano che si trattava <strong>di</strong> un camerata ubriaco e<br />

che non era il caso <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbarlo. Bill rispose che avrebbe controllato con i suoi<br />

occhi e si avvicinò all’uomo seduto. Era circondato da coperte e reggeva un<br />

mitra tra le ginocchia. Bill non ne scorgeva il volto. Gli tolse quin<strong>di</strong> l’elmetto,<br />

trovandosi così <strong>di</strong>nanzi alla celebre testa calva del Duce. Solo a quel punto,<br />

realizzando <strong>di</strong> essere stato riconosciuto, <strong>Mussolini</strong> balzò in pie<strong>di</strong> esclamando<br />

“Non faccio resistenza!”. Secondo altre voci, avrebbe anche detto “Non c’è<br />

nessuno a <strong>di</strong>fendermi?”. Il partigiano, allora, gli strappò il mitra e lo consegnò<br />

all’autista. Poi, tenendo <strong>Mussolini</strong> per il braccio destro (mentre l’autista lo<br />

reggeva a sinistra), scese dal camion. Bill era convinto che i soldati tedeschi<br />

avrebbero aperto il fuoco e pensò che era giunta la sua ora. Non era infatti<br />

pensabile che gli consegnassero il Duce così facilmente. Più tar<strong>di</strong>, infatti,<br />

<strong>Mussolini</strong> gli confessò che i soldati erano stati istruiti a sparare se fosse stato<br />

identificato. Tuttavia, non mossero un <strong>di</strong>to in sua <strong>di</strong>fesa. Erano le 16.00 del 27<br />

aprile. <strong>Mussolini</strong> scorgeva ovunque sguar<strong>di</strong> duri e ostili. Era ovviamente<br />

sconvolto ma cercò <strong>di</strong> assumere un atteggiamento composto. Mentre veniva<br />

portato al palazzo municipale, Bill gli <strong>di</strong>sse che avrebbe garantito la sua<br />

sicurezza personale in quanto fosse rimasto sotto la sua tutela. <strong>Mussolini</strong> tirò un<br />

sospiro <strong>di</strong> sollievo. Era preceduto da un partigiano, Ortelli. Bill gli stava <strong>di</strong>etro e<br />

impugnava una rivoltella. Notò anche che <strong>Mussolini</strong> aveva una pistola infilata<br />

nel cinturone e gliela tolse. Il Duce fu portato in uno stanzone al piano terra del<br />

comune, a sinistra dell’entrata principale. Subito dopo, si tolse il pastrano<br />

tedesco esclamando: “Basta coi tedeschi! Mi hanno tra<strong>di</strong>to per la seconda<br />

volta!”. Non è chiaro se si riferisse alla scorta germanica che non si era opposta<br />

alla sua cattura o a qualcos’altro. Vari partigiani furono messi a guar<strong>di</strong>a del<br />

prigioniero. Ciò provocò la sua reazione: i carcerieri non dovevano preoccuparsi<br />

perché non aveva alcuna intenzione <strong>di</strong> fuggire. Bill rimase per un po’ in<br />

compagnia <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e gli rivolse alcune domande. “Dov’è Vittorio?” chiese.<br />

“Non lo so” rispose il Duce. “E Graziani?”. “Non ne sono sicuro ma credo si<br />

trovi a Como. Mi ha tra<strong>di</strong>to all’ultimo momento, rifiutandosi <strong>di</strong> seguirmi.” E il<br />

partigiano: “Perché Lei si trovava in un camion mentre i suoi ministri erano a<br />

bordo <strong>di</strong> un blindato?”. <strong>Mussolini</strong> mormorò qualcosa sul fatto <strong>di</strong> essere stato<br />

tra<strong>di</strong>to.


[…] Anche Claretta Petacci fu portata al palazzo comunale, in una stanza<br />

a<strong>di</strong>acente a quella in cui si trovava il Duce. Ma la porta <strong>di</strong> comunicazione<br />

rimase chiusa a chiave. […] Carlo, comandante <strong>di</strong> una piccola unità della<br />

Cinquantaduesima brigata partigiana, aveva il suo quartier generale a Gera<br />

Lario, un villaggio a nord del lago. Dopo aver appreso che il convoglio italo –<br />

tedesco era stato fermato dai partigiani a Dongo, <strong>di</strong>stante alcuni chilometri, nel<br />

primo pomeriggio decise <strong>di</strong> raggiungere la citta<strong>di</strong>na per verificare la situazione.<br />

Per assicurarsi che <strong>Mussolini</strong> fosse realmente tra i prigionieri, si recò al palazzo<br />

municipale per vederlo con i suoi occhi. Di ritorno a Gera Lario, corse agli<br />

uffici della “Società elettrica comacina” dove funzionava una linea telefonica<br />

collegata con la centrale <strong>di</strong> Milano. Alle 17.30 chiamò Milano e riuscì a parlare<br />

con un ingegnere della <strong>di</strong>tta, chiedendogli <strong>di</strong> informare il Clnai che il Duce era<br />

stato catturato. Un’ora dopo arrivò la risposta, sempre via telefono. Le istruzioni<br />

erano <strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re <strong>Mussolini</strong>, <strong>di</strong> assicurarsi che non scappasse e che non gli<br />

fosse fatto del male. Carlo comunicò gli or<strong>di</strong>ni al comandante Pedro e a Bill.<br />

La detenzione <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> a Germasino (27 - 28 aprile 1945)<br />

[…] Prima ancora che arrivassero le <strong>di</strong>sposizioni da Milano, Pedro aveva intuito<br />

che Dongo, situata su una strada principale e relativamente vicina a Como e a<br />

Menaggio, poteva offrire ai fascisti l’occasione <strong>di</strong> liberare <strong>Mussolini</strong>. […] Tra le<br />

18.30 e le 19.00, Pedro condusse quin<strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e Porta a Germasino,<br />

accompagnato da Boffelli, briga<strong>di</strong>ere della Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Finanza e fervente<br />

patriota. La piccola automobile nella quale erano saliti era seguita da una<br />

macchina più grande, con a bordo otto partigiani. Altri sette arrivarono poco<br />

dopo, a pie<strong>di</strong>. Il Duce fu portato nell’ufficio del comandante Antonio Spadea<br />

(Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Finanza), al secondo piano <strong>di</strong> una caserma. Mentre salivano le scale,<br />

Pedro chiese a <strong>Mussolini</strong> se aveva qualche richiesta. Appena entrato nella<br />

stanza, questi prese da parte Pedro e a voce bassa chiese al partigiano <strong>di</strong> fargli<br />

un favore, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re cioè alla donna che viaggiava con il console spagnolo che<br />

stava bene e che tutto era in or<strong>di</strong>ne. Pedro domandò chi fosse la signora e il<br />

Duce rispose che si trattava <strong>di</strong> una buona amica. “Ma chi è?” insistette Pedro.<br />

“La Petacci” rispose <strong>Mussolini</strong>, abbassando ancor più la voce. Dopo aver<br />

lasciato i quin<strong>di</strong>ci partigiani a montare la guar<strong>di</strong>a (tra costoro, molte reclute<br />

dell’ultima ora), Pedro partì per Dongo. […] Nel palazzo municipale parlò da<br />

solo con Claretta Petacci, comunicandole il messaggio del Duce. All’inizio, la<br />

donna finse <strong>di</strong> non capire e si <strong>di</strong>sse sorpresa del fatto. Con fare brusco, Pedro<br />

replicò che se <strong>Mussolini</strong> si fidava <strong>di</strong> lui, anche lei doveva farlo. La<br />

conversazione andò avanti per più <strong>di</strong> un’ora, con tono franco e aperto. La donna<br />

scoppiava spesso a piangere e la cosa deve aver impressionato il giovane. Prima<br />

<strong>di</strong> andarsene, le chiese se aveva qualche richiesta. La Petacci rispose <strong>di</strong> non<br />

conoscere il destino che i partigiani le avevano riservato, ma <strong>di</strong> essere convinta<br />

<strong>di</strong> poter presto tornare in libertà. Aggiunse che il suo desiderio era <strong>di</strong> rimanere a<br />

fianco del Duce, anche se ciò poteva significare la morte. Chiese quin<strong>di</strong> a Pedro<br />

<strong>di</strong> poter ricongiungersi a <strong>Mussolini</strong>, ovunque egli fosse. Il partigiano rispose <strong>di</strong><br />

non sapere se la cosa fosse al momento possibile ma promise che avrebbe fatto<br />

<strong>di</strong> tutto per accontentarla. Lasciò la Petacci prima delle 21.00 e, tra l’1 e l’1.30<br />

del mattino del 28 aprile, tornò da solo a Germasino. Nel frattempo, a Dongo, si<br />

era accordato con il capitano Neri, il capo <strong>di</strong> stato maggiore della <strong>di</strong>visione


“Garibal<strong>di</strong>”, perché la donna fosse evacuata dalla citta<strong>di</strong>na qualche ora dopo, a<br />

bordo <strong>di</strong> un’automobile.<br />

Dopo la partenza <strong>di</strong> Pedro da Germasino (avvenuta all’incirca alle 19.30), il<br />

comandante Spadea aveva preparato la cena per <strong>Mussolini</strong> (risotto, capretto al<br />

forno, frittata, verdure, vino e pane). Il Duce mangiò poco e poi chiese del thé,<br />

che bevve con gusto evidente. Al suo arrivo era depresso ma, dopo il pasto,<br />

sembrò rianimarsi. Spadea e gli altri partigiani cercarono quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> farlo parlare<br />

su vari temi <strong>di</strong> politica interna ed estera. <strong>Mussolini</strong> si rifiutò <strong>di</strong> affrontare la<br />

situazione interna italiana ma parlò volentieri <strong>di</strong> politica internazionale. Disse<br />

che i russi erano una grande nazione e che Hitler aveva commesso un errore<br />

fatale nel ritenere che i vari popoli dell’Urss avrebbero approfittato della guerra<br />

per ribellarsi al governo <strong>di</strong> Mosca. In realtà, era accaduto il contrario. Tutti i<br />

popoli della Russia avevano combattuto con coraggio contro i tedeschi, un<br />

fattore che nessuno si sarebbe mai immaginato. Contro ogni aspettativa, Stalin<br />

aveva saputo accontentare il suo popolo. Era evidente che la sua politica<br />

vittoriosa era in sintonia con i desideri dei russi. Il Duce aggiunse <strong>di</strong> non<br />

dubitare che Stalin fosse un grand’uomo. Interrogato sull’Inghilterra, <strong>Mussolini</strong><br />

affermò che avrebbe mantenuto lo status <strong>di</strong> grande nazione grazie al suo<br />

immenso impero, in mancanza del quale sarebbe già crollata da molto tempo.<br />

Qualcuno chiese al Duce la sua opinione sugli Stati Uniti d’America e sul ruolo<br />

<strong>di</strong> questa nazione nella guerra in corso. <strong>Mussolini</strong> <strong>di</strong>sse subito che era stata la<br />

Russia a battere le potenze dell’Asse. Quin<strong>di</strong>ci milioni <strong>di</strong> morti erano la prova<br />

tangibile del contributo russo alla vittoria. Tuttavia, se era vero che il punto <strong>di</strong><br />

svolta della guerra era stata Stalingrado, bisognava riconoscere che l’esercito<br />

sovietico aveva potuto mettere in campo una simile offensiva grazie al materiale<br />

bellico ricevuto in gran quantità dall’America. In quella fase, l’Urss non sarebbe<br />

stata in grado <strong>di</strong> continuare la lotta senza l’aiuto americano. In tal modo, poco<br />

alla volta, la Russia era riuscita a sviluppare un poderoso potenziale bellico per<br />

conto proprio. <strong>Mussolini</strong>, quin<strong>di</strong>, esaltò l’organizzazione dell’industria<br />

americana e concluse il suo ragionamento affermando che le nazioni alleate non<br />

avrebbero mai vinto la guerra senza la partecipazione degli Stati Uniti.<br />

Dopo la sua morte, i giornali italiani <strong>di</strong>vulgarono alcuni brani <strong>di</strong> questo <strong>di</strong>alogo,<br />

aggiungendo che il Duce aveva messo a confronto le figure <strong>di</strong> Stalin e <strong>di</strong><br />

Roosevelt. Nelle sue parole, il presidente americano sarebbe stato “una<br />

personalità <strong>di</strong> secondo piano” in rapporto al capo <strong>di</strong> Stato russo. Tuttavia,<br />

interrogato su questo punto, Spadea negò con decisione che tale paragone fosse<br />

mai stato avanzato.<br />

Anche Porta era presente al colloquio, l’unico <strong>di</strong>gnitario neofascista con il quale<br />

il Duce parlò durante la sua sosta a Germasino. […].<br />

Il trasferimento <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e della Petacci a Bonzanigo <strong>di</strong> Mezzegra (28<br />

aprile 1945, mattino presto)<br />

Poco dopo l’una del mattino del 28 aprile, Pedro fece ritorno a Germasino. Oltre<br />

al guidatore, nell’automobile si trovava anche il partigiano Renzo, una persona


fidata che aveva trascorso l’inverno nascosto sul monte Berlinghera. Al suo<br />

arrivo in caserma, Pedro apprese che <strong>Mussolini</strong> era stato sistemato in una<br />

piccola cella con due finestre, al terzo piano. L’arredamento era semplice e<br />

l’ambiente pulito e ben ventilato. Il Duce era a letto ma non dormiva. Pedro<br />

<strong>di</strong>sse che gli <strong>di</strong>spiaceva <strong>di</strong>sturbarlo ma che era necessario tradurlo in un’altra<br />

località. <strong>Mussolini</strong> rispose che se l’aspettava. Aveva già capito che non sarebbe<br />

rimasto a lungo a Germasino. Si vestì e scese al piano inferiore. Il partigiano gli<br />

comunicò che doveva bendargli la testa per impe<strong>di</strong>re che fosse riconosciuto<br />

durante il tragitto. Il Duce non fece obiezioni. Pedro quin<strong>di</strong> gli fasciò il capo,<br />

lasciando scoperti gli occhi e la bocca. L’obiettivo del travestimento era <strong>di</strong><br />

evitare guai giacché Pedro temeva che, sulla strada per Como, qualche pattuglia<br />

potesse scambiarlo per un fascista che cercava <strong>di</strong> porre in salvo il capo del<br />

fascismo. La confusione, infatti, regnava sovrana nei <strong>di</strong>ntorni e vi era scarso<br />

coor<strong>di</strong>namento tra i gruppi partigiani che controllavano quelle zone.<br />

Pedro e <strong>Mussolini</strong> percorsero in macchina la strada <strong>di</strong> campagna che scendeva<br />

da Germasino. Nei pressi <strong>di</strong> Dongo, secondo i piani, incrociarono l’automobile<br />

con a bordo Claretta Petacci, il capitano Neri e Pietro. A bordo vi erano anche i<br />

partigiani Sandrino (inteso Menefrego) e, probabilmente, Nato (inteso Lino).<br />

<strong>Mussolini</strong> e la Petacci si salutarono. Il Duce <strong>di</strong>sse: “Signora, per quale motivo<br />

volete con<strong>di</strong>videre il mio destino?”. La donna rispose che era questo il suo<br />

unico desiderio. Aveva pianto durante tutto il tragitto ma ora sembrava<br />

tranquilla.<br />

L’automobile con a bordo la Petacci apriva la strada, seguita da quella <strong>di</strong><br />

<strong>Mussolini</strong>. Durante la breve sosta, nella macchina <strong>di</strong> Pedro erano saliti la<br />

partigiana Gianna e Menefrego. Pioveva e <strong>Mussolini</strong> commentò che l’acqua<br />

faceva bene alle coltivazioni.<br />

In località Moltrasio, a pochi chilometri da Como, si u<strong>di</strong>rono delle raffiche <strong>di</strong><br />

mitra. Pedro e Neri pensarono che poteva trattarsi <strong>di</strong> un tentativo fascista <strong>di</strong><br />

liberare il Duce. Decisero quin<strong>di</strong> che non era prudente procedere e si<br />

consultarono per decidere dove portare i due prigionieri. Neri propose una casa<br />

in località Bonzanigo <strong>di</strong> Mezzegra, un inse<strong>di</strong>amento isolato sulle colline <strong>di</strong><br />

Azzano. Vi aveva trascorso varie notti quando si nascondeva dai fascisti.<br />

Conosceva i proprietari, brava gente <strong>di</strong> campagna. Neri garantiva sulla loro<br />

lealtà e <strong>di</strong>screzione. Gli altri furono d’accordo e le due macchine tornarono<br />

in<strong>di</strong>etro per raggiungere Azzano, <strong>di</strong>stante circa 20 chilometri (<strong>Mussolini</strong> e la<br />

Petacci avevano già attraversato Azzano quando erano <strong>di</strong>retti a Musso e a<br />

Dongo). Le automobili furono più volte fermate da pattuglie partigiane. Per<br />

poter proseguire, Pedro e Neri raccontarono <strong>di</strong> trasportare alcuni feriti.<br />

Nei pressi <strong>di</strong> Azzano, all’incrocio della strada principale con quella che conduce<br />

a Bonzanigo, le macchine si fermarono e tutti i passeggeri uscirono. Pedro,<br />

Neri, Pietro, Gianna, Menefrego e Lino scortarono <strong>Mussolini</strong> e la Petacci verso<br />

la casa prescelta. Il gruppo prese una scorciatoia per evitare la strada <strong>di</strong><br />

campagna. L’alloggio si trovava in cima a una collina. Pioveva. La comitiva<br />

procedeva lentamente perché la Petacci era molto stanca. Arrivarono a<br />

destinazione tra le 2 e le 3 del mattino del 28 aprile.


L’ultima notte <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e della Petacci a Bonzanigo (28 aprile 1945)<br />

[…] Scossi ed esausti per gli avvenimenti della giornata, Il Duce e la Petacci<br />

entrarono nella modesta abitazione, nei pressi <strong>di</strong> via del Riale. Apparteneva a<br />

Giacomo De Maria, un conta<strong>di</strong>no, e a sua moglie. Il proprietario, un fervente<br />

patriota che aveva aiutato la Resistenza in più <strong>di</strong> un’occasione, fu svegliato dai<br />

partigiani. Offrì volentieri la sua ospitalità “alla coppia <strong>di</strong> tedeschi feriti” (così<br />

gli furono presentati i due prigionieri). <strong>Mussolini</strong> era bendato ma poteva vedere<br />

e parlare. “Buona sera” <strong>di</strong>sse ai conta<strong>di</strong>ni entrando. La signora De Maria chiese<br />

un po’ <strong>di</strong> tempo per sistemare la stanza al terzo piano, dove dormivano i loro<br />

due bambini (che furono svegliati e inviati in una baita <strong>di</strong> proprietà della<br />

famiglia). Pedro or<strong>di</strong>nò che il letto fosse rifatto con lenzuola pulite,<br />

aggiungendo che la coppia sarebbe rimasta per due o tre <strong>giorni</strong>. La donna<br />

obbedì, non immaginando chi fossero gli ospiti. In cucina, all’uomo bendato fu<br />

chiesto se desiderava del caffè. Questi, però, rifiutò bruscamente. Aveva un<br />

atteggiamento deciso, sebbene apparisse vecchio e stanco. Subito dopo, la<br />

coppia fu scortata nella stanza. Le pareti erano bianche. Sopra il letto<br />

matrimoniale campeggiavano tre povere immagini religiose. C’era anche un<br />

piccolo lavabo in ferro e, appesa al muro, la foto scolorita <strong>di</strong> una cugino della<br />

padrona <strong>di</strong> casa, morto durante la prima guerra mon<strong>di</strong>ale. Due se<strong>di</strong>e <strong>di</strong> legno<br />

completavano l’arredamento. […] Il Duce non aveva bagaglio o effetti<br />

personali; la Petacci, invece, un paio <strong>di</strong> scarpe avvolte in un foulard, un<br />

colbacco in pelliccia e una coperta militare (che fu stesa sul letto perché <strong>di</strong>ceva<br />

<strong>di</strong> aver freddo).<br />

<strong>Mussolini</strong> parlava pochissimo. Chiese solo due guanciali, la Petacci un pettine e<br />

altre cose. Una volta nella stanza, il Duce si tolse le bende e si affacciò alla<br />

finestra per capire dove fosse. Fu allora che il conta<strong>di</strong>no lo riconobbe. Ma<br />

tacque e non lo <strong>di</strong>sse alla moglie. Il partigiano <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a nella stanza accanto<br />

notò che <strong>Mussolini</strong> guardava fuori dalla finestra e or<strong>di</strong>nò al signor De Maria <strong>di</strong><br />

trancarla. Questi fece presente che la stanza si trovava piuttosto in alto e che non<br />

c’era modo <strong>di</strong> scappare. Il partigiano si tranquillizzò e la stanza fu chiusa<br />

dall’esterno. Lino e Menefrego furono posti a guar<strong>di</strong>a della casa mentre Pedro,<br />

Neri e gli altri se ne andarono.<br />

La coppia dormì quasi fino a mezzogiorno del sabato. La Petacci chiese della<br />

polenta e un po’ <strong>di</strong> latte. Fu loro portato anche un piatto con pane e salame. La<br />

donna mangiò con appetito mentre il Duce prese solo un panino e due fette <strong>di</strong><br />

salame. Non bevve il latte, così come la sera prima aveva rifiutato il caffè.<br />

Sorseggiò solo un po’ d’acqua. Temeva <strong>di</strong> essere avvelenato? I resti del pasto<br />

rimasero nella stanza per molti <strong>giorni</strong> dopo la morte dei due. Una saponetta<br />

usata fu ritrovata sul lavabo, così come il colbacco della Petacci e due tute blu<br />

da lavoro che <strong>Mussolini</strong> doveva aver indossato.<br />

Il Duce appariva riposato e ringiovanito rispetto alla sera precedente. Si lavò ma<br />

non si fece la barba. Parlava poco e sembrava triste (se interpellato, rispondeva<br />

sempre “Bene, bene”). Il signor De Maria raccontò più tar<strong>di</strong> della misteriosa<br />

scomparsa <strong>di</strong> un coltello, che era appoggiato sul tavolo della cucina all’arrivo<br />

della coppia. Aggiunse <strong>di</strong> essere sicuro che <strong>Mussolini</strong> (che stava accanto al<br />

tavolo) se ne fosse impossessato, un dettaglio che solleva vari interrogativi sulle


sue reali intenzioni in quel frangente. In ogni modo, dopo la partenza, il coltello<br />

fu ritrovato nella stanza al terzo piano.<br />

A Bonzanigo, nel frattempo, l’eccitazione era alle stelle. Si era sparsa la voce<br />

che, durante la notte, il Duce fosse stato visto passare per le strade del villaggio.<br />

La signora De Maria non uscì per tutta la mattinata mentre suo marito fece dei<br />

lavori attorno alla casa per poi recarsi al villaggio. Ma non <strong>di</strong>sse una parola sui<br />

suoi ospiti fino a quando questi non se ne furono andati. Ad un certo punto,<br />

qualcuno commentò che le truppe americane erano arrivate a Como. Aprendo la<br />

porta della sua stanza, <strong>Mussolini</strong> chiese se fosse vero. Gli risposero <strong>di</strong> sì. La<br />

notizia lo commosse visibilmente.<br />

Verso le 16.00, arrivarono a Bonzanigo il colonnello Valerio e uno dei<br />

partigiani che avevano scortato i prigionieri. Il signor De Maria condusse<br />

Valerio fino alla porta della stanza. Questi bussò ed entrò. De Maria rimase<br />

fuori. Da <strong>di</strong>etro la porta, il proprietario udì <strong>di</strong>stintamente il colonnello che<br />

invitava i due ad abbandonare la casa con urgenza. Valerio ripeteva che non<br />

c’era tempo da perdere. Nel giro <strong>di</strong> pochi minuti, il Duce e la Petacci uscirono<br />

dall’abitazione. Mentre la Petacci, pallida e piangente, si aggrappava al braccio<br />

del suo amante, questi camminava ostentando sicurezza.<br />

Gli eventi che precedettero l’esecuzione <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e <strong>di</strong> Claretta Petacci (28<br />

aprile 1945)<br />

Venerdì 27 aprile, in serata, il colonnello Valerio aveva raggiunto la prefettura<br />

<strong>di</strong> Como. A Milano, il generale Cadorna gli aveva affidato una missione segreta.<br />

Valerio si comportava con decisione. Era un uomo sulla quarantina, dai tratti<br />

marcati, alto e con i capelli scuri. Indossava una uniforme partigiana color rosso<br />

mattone e portava al petto tre <strong>di</strong>stintivi a forma <strong>di</strong> stella. Era in compagnia <strong>di</strong> un<br />

certo Nicola, commissario <strong>di</strong> guerra.<br />

Le credenziali <strong>di</strong> Valerio furono esaminate da un membro provinciale del Clnai.<br />

I documenti erano a posto. Subito dopo, iniziò una riunione nei locali della<br />

prefettura “per <strong>di</strong>scutere una serie <strong>di</strong> questioni della massima importanza.” Vi<br />

presero parte numerosi comandanti partigiani come, ad esempio, il maggiore De<br />

Angelis, il responsabile provinciale <strong>di</strong> tutte le formazioni. Si doveva stabilire<br />

cosa fare <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>, la cui cattura a Dongo era stata annunciata nel tardo<br />

pomeriggio.<br />

Dopo un lungo <strong>di</strong>battito, fu deciso <strong>di</strong> inviare una colonna motorizzata a Dongo<br />

per prelevare il Duce. Il convoglio doveva essere composto da blindati,<br />

automezzi militari (vuoti), automobili e da un’ambulanza della Croce Rossa. I<br />

blindati dovevano essere occupati dai partigiani comaschi. I camion, invece,<br />

erano destinati agli uomini <strong>di</strong> Dongo che avevano catturato <strong>Mussolini</strong>. Era<br />

infatti preve<strong>di</strong>bile che questi sarebbero stati riluttanti a consegnare il prigioniero<br />

ad un’altra unità partigiana. Si sperava così <strong>di</strong> acquietarli affidando loro il<br />

compito <strong>di</strong> scortarlo.<br />

Fu inoltre deciso che il Duce sarebbe stato tradotto a Como e poi a Milano per<br />

essere consegnato al generale Cadorna, che a sua volta lo avrebbe affidato alle<br />

autorità alleate. Nel corso dell’operazione, il colonnello Valerio e Nicola<br />

dovevano rappresentare il comando generale del Clnai; Scionti (comunista,


membro supplente) e De Angelis il comitato provinciale. Valerio sembrò<br />

approvare il piano. L’autocolonna sarebbe partita il giorno dopo (28 aprile),<br />

verso mezzogiorno.<br />

Oscar Sforni, segretario del Clnai comasco, non era presente all’incontro.<br />

Raggiunse la prefettura alle 10.00 del giorno dopo. Scionti lo mise al corrente<br />

della decisione presa la sera prima, aggiungendo <strong>di</strong> essere stato scelto per<br />

recarsi a Dongo assieme a De Angelis.<br />

Mezz’ora dopo, Sforni fu convocato dall’avvocato Spallino, un altro membro<br />

del Comitato provinciale. L’uomo era molto agitato e <strong>di</strong>sse a Sforni che doveva<br />

andare a prelevare <strong>Mussolini</strong> a Dongo al posto <strong>di</strong> Scionti, assieme a Valerio e a<br />

De Angelis. Il colonnello aveva inaspettatamente anticipato la partenza alle<br />

10.30 e Scionti non era più reperibile. Questo, almeno, sembrò essere il motivo.<br />

Sforni ubbidì e raggiunse Valerio davanti alla prefettura. Il colonnello era<br />

arrivato da Milano con una dozzina <strong>di</strong> partigiani. I suoi uomini indossavano<br />

belle uniformi, erano armati <strong>di</strong> mitra e davano l’impressione <strong>di</strong> essere militi<br />

scelti. Valerio, che si comportava in modo terribilmente rude e nervoso, or<strong>di</strong>nò<br />

a Sforni e a De Angelis <strong>di</strong> reperire subito un camion per trasportare i suoi<br />

uomini a Dongo. Con tutta evidenza, aveva già abbandonato il piano <strong>di</strong> allestire<br />

una colonna motorizzata composta da automezzi militari, automobili e da<br />

un’ambulanza dove <strong>Mussolini</strong> doveva essere nascosto.<br />

Non è chiaro perché Valerio mo<strong>di</strong>ficò i suoi piani. L’unica cosa certa è che,<br />

pochi minuti prima, aveva ricevuto una chiamata da Milano. Dopo aver<br />

scambiato alcune parole al telefono, <strong>di</strong>ventò molto teso e senza troppi<br />

complimenti or<strong>di</strong>nò a tutti <strong>di</strong> lasciare l’ufficio. Mentre parlava, bran<strong>di</strong>va<br />

nervosamente un mitra e urlava or<strong>di</strong>ni. Tutto in<strong>di</strong>ca che fu la telefonata a<br />

mo<strong>di</strong>ficare la sua missione originale. Il colonnello ricevette l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> uccidere<br />

<strong>Mussolini</strong> e gli altri gerarchi fascisti catturati a Dongo? E’ solo un’ipotesi ma è<br />

plausibile. Altrimenti, <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>fficile spiegare la sua precedente <strong>di</strong>sponibilità<br />

ad attuare i piani del Clnai comasco, che prevedevano la traduzione del Duce<br />

(vivo) a Milano. Le <strong>di</strong>sposizioni ricevute via telefono potrebbero gettare luce<br />

anche sul suo improvviso cambio <strong>di</strong> attitu<strong>di</strong>ne nei confronti dei membri<br />

comaschi del Comitato, nonché sulla decisione <strong>di</strong> anticipare l’ora della partenza<br />

alle 10.30 e sul successivo trattamento da lui riservato nei confronti <strong>di</strong> Sforni e<br />

De Angelis, a Dongo.<br />

Per puro caso, un automezzo militare si trovò a transitare davanti alla prefettura.<br />

Valerio puntò il mitra contro l’autista e gli intimò <strong>di</strong> abbandonare il veicolo.<br />

Mentre un partigiano si metteva alla guida, il colonnello or<strong>di</strong>nò a Sforni e a De<br />

Angelis <strong>di</strong> avviarsi a bordo <strong>di</strong> un’automobile. Li avrebbe seguiti a bordo del<br />

camion, assieme ai suoi uomini.<br />

I due veicoli partirono per Dongo verso le 11.00 e arrivarono a Musso poco<br />

prima delle 13.00. Nei pressi della citta<strong>di</strong>na incapparono in un posto <strong>di</strong> blocco.<br />

Vedendoli arrivare, un partigiano sparò un colpo in aria. Con fare nervoso, un<br />

milite della Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Finanza chiese <strong>di</strong> vedere le loro credenziali. Era<br />

sospettoso perché i due veicoli non si erano fermati al precedente posto <strong>di</strong><br />

blocco <strong>di</strong> Tremezzo, sebbene i partigiani avessero loro segnalato <strong>di</strong> rallentare.<br />

L’informazione aveva raggiunto i partigiani sulle colline che sovrastavano la


strada, facendo sì che la pattuglia <strong>di</strong> Musso si mettesse in allarme. Il colonnello<br />

rimase nel camion, lasciando che fossero Sforni e De Angelis a sbrigare la<br />

faccenda (De Angelis era al comando delle forze partigiane <strong>di</strong> tutta la<br />

provincia). Sforni chiese <strong>di</strong> vedere Pedro, il comandante della<br />

Cinquantaduesima brigata “Luigi Clerici” (<strong>di</strong>visione Garibal<strong>di</strong>) che aveva<br />

catturato <strong>Mussolini</strong> e la sua comitiva. Gli fu risposto che Pedro era a Dongo.<br />

Bottelli (era questo il nome del milite della Finanza) salì quin<strong>di</strong> nell’automobile<br />

<strong>di</strong> Sforni e De Angelis, che partì subito. Il camion <strong>di</strong> Valerio la seguì.<br />

Nella piazza principale <strong>di</strong> Dongo i partigiani erano in forte agitazione.<br />

Guardavano con sospetto ai nuovi arrivati. Sforni udì qualcuno affermare che si<br />

trattava <strong>di</strong> fascisti della Decima Mas, il celebre corpo navale che si era <strong>di</strong>stinto<br />

per crudeltà e violenze. Sforni scese dalla macchina per consultarsi con Valerio.<br />

Con durezza, questi gli <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> voler solo stare a guardare. Si avvicinò anche<br />

Bottelli, ponendo una serie <strong>di</strong> domande. Ma il colonnello andò su tutte le furie.<br />

Richiamandolo alle regole della <strong>di</strong>sciplina militare, lo ammonì che non era<br />

questo il modo <strong>di</strong> rivolgersi ad un superiore. Tutta la scena si svolse <strong>di</strong>nanzi ai<br />

partigiani e provocò un sentimento <strong>di</strong> assoluta ostilità nei confronti <strong>di</strong> Valerio.<br />

Dopo aver sistemato Sforni e Bottelli, il colonnello chiese <strong>di</strong> vedere Pedro, che<br />

si trovava nel municipio (non lontano dalla piazza). Uno dei partigiani vi si recò<br />

per tornare in<strong>di</strong>etro poco dopo, <strong>di</strong>cendo che Pedro sarebbe stato lieto <strong>di</strong><br />

incontrare Valerio nel suo ufficio. Vi era ancora il timore <strong>di</strong> un contraccolpo<br />

fascista e Pedro aveva paura <strong>di</strong> cadere in una trappola, tanto più che il<br />

colonnello viaggiava con una forte scorta armata. Valerio fece sapere a Pedro <strong>di</strong><br />

essere il suo superiore, intimandogli così <strong>di</strong> presentarsi in piazza. Nel frattempo,<br />

or<strong>di</strong>nò ai suoi uomini <strong>di</strong> scendere dal camion e <strong>di</strong> schierarsi. La mossa non<br />

piacque ai partigiani locali e la tensione aumentò. Al posto <strong>di</strong> Pedro, si presentò<br />

Neri (<strong>di</strong>visione Garibal<strong>di</strong>), che conosceva personalmente Sforni, al quale chiese<br />

una conferma dell’autorità del colonnello. Sforni lo rassicurò, illustrandogli<br />

l’accordo raggiunto a Como la sera prima.<br />

Valerio informò Neri <strong>di</strong> essere a capo <strong>di</strong> un’importante missione affidatagli dal<br />

generale Cadorna e, ancora una volta, insistette perché Pedro si presentasse<br />

<strong>di</strong>nanzi a lui. Pochi minuti dopo, Neri tornò in compagnia <strong>di</strong> Pedro e <strong>di</strong> Nicola,<br />

il commissario politico che aveva accompagnato il colonnello da Milano a<br />

Como il giorno prima e che era misteriosamente scomparso in mattinata.<br />

Valerio fu sorpreso dal fatto che Nicola fosse giunto a Dongo prima <strong>di</strong> lui e<br />

pronunciò una frase del tipo “certe cose si pagano care”. Pedro chiese al<br />

colonnello <strong>di</strong> identificarsi e questi gli consegnò le sue credenziali. L’uomo<br />

stu<strong>di</strong>ò a lungo le carte. Un documento affermava che apparteneva al comando<br />

partigiano <strong>di</strong> Milano e or<strong>di</strong>nava a tutte le formazioni <strong>di</strong> assisterlo con ogni<br />

mezzo. L’altro era una normale carta d’identità. Con tutta evidenza, fu solo a<br />

questo punto che Pedro si rassegnò a riconoscerne l’autorità.<br />

I due si <strong>di</strong>rigevano al municipio quando Valerio annunciò a voce alta che la sua<br />

scorta era tenuta a seguirlo ovunque. I partigiani <strong>di</strong> Dongo persero la pazienza e<br />

puntarono le armi contro il colonnello. Superavano in numero i suoi uomini e<br />

avrebbero aperto il fuoco al minimo cenno <strong>di</strong> Pedro. Erano ovviamente<br />

orgogliosi della cattura <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e temevano che il prigioniero fosse loro<br />

sottratto da un elemento non autorizzato. Tuttavia, Pedro non mosse un <strong>di</strong>to. In


eve, i partigiani della Cinquantaduesima brigata realizzarono che era tutto<br />

inutile e la crisi fu superata.<br />

Il colonnello e Pedro entrarono nel municipio mentre Sforni e De Angelis<br />

rimasero all’esterno, dove attesero per una buona mezz’ora <strong>di</strong> essere invitati a<br />

partecipare alla riunione tra Valerio, Pedro e altri. De Angelis decise quin<strong>di</strong> a<br />

salire da solo al secondo piano dell’e<strong>di</strong>ficio per informare il colonnello che, date<br />

le circostanze, non gli restava che tornarsene a Como. Ma era appena ritornato<br />

da Sforni al pianterreno che un gruppo <strong>di</strong> partigiani, armi in pugno, circondò i<br />

due uomini <strong>di</strong>chiarandoli in arresto. A nulla valse protestare. Furono condotti in<br />

una prigione e, più tar<strong>di</strong>, appresero che Pavolini aveva trascorso la notte<br />

precedente nella stessa cella. De Angelis chiese <strong>di</strong> vedere Neri (il luogotenente<br />

<strong>di</strong> Pedro), che egli conosceva personalmente. In qualche modo, Neri era un<br />

subor<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> De Angelis giacché quest’ultimo comandava le forze partigiane<br />

<strong>di</strong> tutta la provincia. Ma Neri non apparve. Due ore dopo la fucilazione dei<br />

gerarchi fascisti, Valerio or<strong>di</strong>nò che Sforni e De Angelis fossero liberati e che<br />

fosse loro consentito <strong>di</strong> tornare a Como.<br />

L’incidente fu la prova tangibile <strong>di</strong> quanto il colonnello fosse deciso ad eseguire<br />

gli or<strong>di</strong>ni con la massima rapi<strong>di</strong>tà, senza ingerenze <strong>di</strong> alcun tipo. Era chiaro che<br />

Sforni e De Angelis avevano lasciato Como con in testa le <strong>di</strong>rettive emanate la<br />

sera precedente dal Clnai provinciale, che prevedevano la traduzione a Milano<br />

<strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> vivo. Ma, evidentemente, gli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Valerio erano <strong>di</strong>versi. A<br />

Dongo, aveva informato Pedro e Neri che lo scopo della sua missione era <strong>di</strong><br />

uccidere il Duce, Claretta Petacci e molti altri fascisti. E’ probabile, quin<strong>di</strong>, che<br />

abbia or<strong>di</strong>nato l’arresto <strong>di</strong> Sforni e <strong>di</strong> De Angelis perché riteneva che non<br />

avrebbero acconsentito ad un mutamento così drastico del piano originale.<br />

Inoltre, De Angelis aveva annunciato che si sarebbe recato a Como, dove<br />

avrebbe certamente riferito del colpo <strong>di</strong> mano del colonnello. Di conseguenza,<br />

questi decise <strong>di</strong> non correre rischi e or<strong>di</strong>nò ai partigiani <strong>di</strong> Dongo <strong>di</strong> arrestare<br />

Sforni e De Angelis. Li conosceva tropo poco e sospettava delle loro reali<br />

intenzioni. Fu questa la scusa accampata.<br />

Dopo l’esecuzione <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e della Petacci e la partenza <strong>di</strong> Valerio per<br />

Milano, Pedro andò a trovare Sforni e De Angelis. Si <strong>di</strong>sse <strong>di</strong>spiaciuto per il<br />

loro arresto e affermò <strong>di</strong> non aver avuto altra scelta se non quella <strong>di</strong> obbe<strong>di</strong>re<br />

agli or<strong>di</strong>ni del colonnello, che era <strong>di</strong> grado superiore al suo. I tre uomini<br />

conversarono con franchezza. Pedro raccontò <strong>di</strong> essere stato personalmente<br />

favorevole a consegnare <strong>Mussolini</strong> e gli altri prigionieri al Clnai <strong>di</strong> Milano.<br />

Tuttavia, su questo punto, gli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Valerio erano chiarissimi. Il colonnello<br />

aveva confidato a Pedro che il trasporto a Milano dei cadaveri <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e<br />

dei suoi ministri era una questione capitale. In caso contrario, egli [Pedro]<br />

avrebbe pagato con la vita. Sembrò comunque strano che Pedro, il comandante<br />

dei partigiani del luogo, riconoscesse in Valerio non solo un ufficiale <strong>di</strong> grado<br />

superiore ma anche un elemento così importante da poter or<strong>di</strong>nare nientemeno<br />

che la fucilazione del Duce e degli altri gerarchi fascisti. In ogni modo, <strong>di</strong><br />

qualsiasi natura fossero i dubbi nutriti da Pedro, questi furono cancellati dal<br />

placet degli altri capi partigiani (Neri e Bill, ad esempio), che erano presenti<br />

quando Valerio aveva enunciato gli obiettivi del suo viaggio a Dongo.


L’esecuzione <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong>, <strong>di</strong> Claretta Petacci e <strong>di</strong> altri <strong>di</strong>gnitari fascisti<br />

catturati dai partigiani a Musso e a Dongo (28 aprile 1945)<br />

Il colonnello (rappresentante del Clnai milanese e del generale Cadorna,<br />

comandante in capo del Cvl) raggiunse Dongo verso le 13.00 con l’or<strong>di</strong>ne<br />

segreto <strong>di</strong> giustiziare <strong>Mussolini</strong>, la Petacci e un certo numero <strong>di</strong> gerarchi<br />

fascisti. I prigionieri erano nelle mani della Cinquantaduesima brigata partigiana<br />

“Luigi Clerici”. <strong>Mussolini</strong> si trovava a Bonzanigo <strong>di</strong> Mezzegra, un villaggio<br />

sulle colline <strong>di</strong> Azzano (sulla strada principale che va da Como a Gravedona).<br />

Alcuni ministri fascisti erano detenuti a Germasino, altri a Dongo. […] Valerio<br />

non era in possesso <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni scritti o <strong>di</strong> una lista <strong>di</strong> persone da fucilare. Ma ciò<br />

non deve sorprendere, visto che le comunicazioni tra Dongo e Milano erano<br />

interrotte, senza contare che il Clnai <strong>di</strong> Milano era ad<strong>di</strong>rittura all’oscuro dei<br />

nominativi esatti dei prigionieri. […] Al colonnello fu quin<strong>di</strong> consegnato<br />

l’elenco dei quarantanove fascisti catturati a Dongo e a Musso. Comprendeva<br />

ministri, gerarchi, autisti e altri. […].<br />

Fu solo dopo l’arrivo <strong>di</strong> Valerio a Dongo che lo “spagnolo” (che si trovava nella<br />

stessa automobile <strong>di</strong> Claretta Petacci) fu identificato come il fratello della<br />

donna, Marcello. Il colonnello, invece, era convinto che si trattasse <strong>di</strong> Vittorio<br />

<strong>Mussolini</strong>. La sera prima, la ra<strong>di</strong>o del Clnai aveva infatti annunciato che il figlio<br />

del Duce intendeva raggiungere la Svizzera a bordo <strong>di</strong> una macchina, fornito <strong>di</strong><br />

documenti spagnoli. Dal momento che lo “spagnolo” continuava a negare <strong>di</strong><br />

essere Vittorio, Valerio or<strong>di</strong>nò a Bill <strong>di</strong> condurre il prigioniero al cimitero locale<br />

e <strong>di</strong> concedergli tre minuti per confessare la sua vera identità. Scaduto il<br />

termine, sarebbe stato assassinato. A quel punto, Marcello Petacci confessò. Gli<br />

chiesero allora <strong>di</strong> esibire una qualche prova. L’uomo <strong>di</strong>sse che i suoi documenti<br />

erano nascosti nella stanza dell’hotel <strong>di</strong> Dongo dove aveva trascorso la notte<br />

precedente. Poco dopo, le carte furono trovate nel luogo in<strong>di</strong>cato. Il suo nome fu<br />

quin<strong>di</strong> inserito nella lista compilata dal colonnello per l’esecuzione, per un<br />

totale <strong>di</strong> se<strong>di</strong>ci persone. Tuttavia, prima <strong>di</strong> procedere con la fucilazione, Valerio<br />

si recò a Bonzanigo <strong>di</strong> Mezzegra, il luogo <strong>di</strong> detenzione <strong>di</strong> <strong>Mussolini</strong> e della<br />

Petacci. Erano circa le 16.00.<br />

La versione <strong>di</strong>vulgata dal colonnello sull’esecuzione è riportata nel prossimo<br />

capitolo. 2 La seguente descrizione degli eventi è basata invece su una serie <strong>di</strong><br />

racconti riferiti da testimoni oculari e da altre persone. Si segnalano, ad<br />

esempio, la padrona della casa dove la coppia trascorse la sua ultima notte e uno<br />

dei due partigiani che montarono la guar<strong>di</strong>a (e che poi si occuparono dei due<br />

cadaveri). Con l’eccezione del brano che affronta i circa <strong>di</strong>eci minuti trascorsi<br />

dal momento in cui Valerio condusse <strong>Mussolini</strong> e la Petacci dalla casa <strong>di</strong><br />

Bonzanigo al luogo della fucilazione in località Giulino <strong>di</strong> Mezzegra (vi è<br />

qualche dubbio in proposito giacché queste informazioni si basano su rapporti <strong>di</strong><br />

seconda mano), il resoconto può essere considerato autentico.<br />

Uscirono dalla casa <strong>di</strong> Bonzanigo poco dopo le 16.00. Il Duce indossava un<br />

pastrano color grigio scuro (il bavero era alzato) e un berretto calato fino agli<br />

occhi; Claretta un vestito grigio e, in testa, un fazzoletto <strong>di</strong> seta annodato sotto il<br />

2 Qualche giorno dopo, Walter Au<strong>di</strong>sio (alias “colonnello Valerio”) pubblica un ampio resoconto degli<br />

eventi del 28 aprile 1945 sulle pagine del quoti<strong>di</strong>ano l’Unità, all’epoca l’organo ufficiale del Pci.


mento. Portavano entrambi stivali neri. La scorta era composta dal colonnello,<br />

da un capo partigiano e da numerosi uomini. La processione era aperta da un<br />

partigiano armato <strong>di</strong> mitra. Veniva poi <strong>Mussolini</strong>, al cui fianco camminava il<br />

capo partigiano con un fucile a tracolla. Seguivano la Petacci e Valerio, che<br />

impugnava un mitra. Il Duce e la sua amante percorsero via del Riale e via<br />

Mainoni. A metà strada, sembrò all’improvviso che <strong>Mussolini</strong> stesse per<br />

ruzzolare a terra. Subito dopo, però, si riprese. Ai pochi passanti fu or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong><br />

allontanarsi ma alcuni rimasero ad osservare il corteo. Via Mainoni conduce ad<br />

una piccola piazza con, in mezzo, una piccola fontana. Sul lato est, si erge un<br />

arco che segna l’inizio <strong>di</strong> via Ventiquattro Maggio. Da qui si scende verso<br />

Azzano, passando per Giulino. Sotto l’arco sostava una Fiat 1100 nera, targata<br />

Roma. La processione si fermò. Il luogo era in penombra e sembrava fatto<br />

apposta per un’esecuzione. Tuttavia, la presenza ravvicinata <strong>di</strong> due persone (e <strong>di</strong><br />

altre due accanto alla fontana) provocò un cambio <strong>di</strong> programma, prolungando<br />

<strong>di</strong> alcuni minuti la vita della coppia. I presenti, comunque, non si accorsero<br />

della <strong>di</strong>sperazione con cui la Petacci abbracciò <strong>Mussolini</strong> durante la pausa. I due<br />

furono fatti salire in macchina e portati fino al numero civico 14 <strong>di</strong> via<br />

Ventiquattro Maggio. In questo punto la strada svolta improvvisamente a<br />

sinistra, in modo che da nord la visuale è coperta. Il muro ricurvo <strong>di</strong> pietra, con<br />

un cancello in mezzo, nasconde alla vista il lato sud della via. Dal cancello,<br />

guardando a sud verso il lago, si scorgono gli alberi <strong>di</strong> Tremezzo e un piccolo<br />

promontorio; oltre il lago, le campagne <strong>di</strong> Bellagio. Davanti al cancello, la<br />

visuale è nascosta da una fitta boscaglia. Dietro, si apre il sentiero che porta a<br />

villa Belmonte. Fu in questo luogo incantevole che il Duce e Claretta furono<br />

fatti scendere dalla Fiat 1100. Ora, forse, capirono ciò che stava per accadere.<br />

Terrorizzati e ammutoliti, ascoltarono la sentenza <strong>di</strong> morte letta dal colonnello.<br />

Subito dopo, a <strong>Mussolini</strong> fu or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> spostarsi <strong>di</strong> qualche passo verso il muro<br />

<strong>di</strong> pietra, a nord del cancello. Fu allora che Valerio gli scaricò addosso una<br />

raffica <strong>di</strong> mitra. Il colonnello era rivolto a nord, alla destra del condannato.<br />

Cinque proiettili colpirono trasversalmente il torace del Duce. Ci si interroga<br />

ancora se, alla <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> qualche passo, abbia aperto il fuoco anche il capo<br />

partigiano che stava alla sinistra del prigioniero. <strong>Mussolini</strong> si accasciò sulle<br />

ginocchia per poi stramazzare accanto al muro. Fu poi la volta della Petacci, che<br />

alzò le braccia in un gesto <strong>di</strong> <strong>di</strong>sperazione. Anche la donna fu colpita al torace e<br />

cadde a fianco dell’amante. I corpi si toccavano. Il Duce non era ancora morto<br />

(aveva un occhio aperto). In quel momento, un partigiano arrivò trafelato dalla<br />

parte bassa della strada. Aveva u<strong>di</strong>to la raffica <strong>di</strong> mitra. Il capo partigiano che<br />

aveva partecipato all’esecuzione gli fece cenno <strong>di</strong> avvicinarsi. Vedendo che<br />

<strong>Mussolini</strong> era ancora in vita, il nuovo arrivato estrasse una rivoltella e lo finì<br />

con due colpi. Lino, che poco dopo fu vittima <strong>di</strong> un fatale “incidente”, raccontò<br />

più tar<strong>di</strong> che Claretta si era rivolta al Duce con queste parole: “Siete felice <strong>di</strong><br />

essere stato accompagnato fino a questo amaro epilogo?”. Secondo il partigiano,<br />

potrebbero essere parole d’amore ma anche <strong>di</strong> risentimento.<br />

La fucilazione avvenne tra le 16.15 e le 16.30. Lino e Menefrego (quest’ultimo<br />

arrivò a pie<strong>di</strong> da Bonzanigo qualche minuto dopo) rimasero accanto ai cadaveri<br />

mentre Valerio e gli altri se ne andavano. […] I corpi furono poi rimossi dalla<br />

strada. In via Ventiquattro Maggio, <strong>Mussolini</strong> aveva perso poco sangue.<br />

Tuttavia, ne uscì in abbondanza mentre la salma veniva portata via a bordo <strong>di</strong><br />

una piccola automobile. Più tar<strong>di</strong>, un fotografo locale scattò una foto della


pozza <strong>di</strong> sangue rimasta nell’abitacolo. […] I corpi dei se<strong>di</strong>ci gerarchi fascisti<br />

giustiziati a Dongo (la loro esecuzione avvenne alle 17.17) furono collocati su<br />

un camion e portati ad Azzano. All’incrocio della strada principale con via<br />

Ventiquattro Maggio (che scende da Giulino <strong>di</strong> Mezzegra), l’automezzo si<br />

fermò per caricare le salme del Duce e della Petacci. Subito dopo partì per<br />

Milano con a bordo i <strong>di</strong>ciotto cadaveri, giungendo in città la notte stessa.<br />

(fine)

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!