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VOLUME 1
EDITORIALE<br />
TIGRE di Max Montaina<br />
INDICE<br />
MONTAGNE ROCCIOSE di Roberta Grossi<br />
LUPO di Max Montaina<br />
SERENGETI di Stefania Corti<br />
AQUILA AMERICANA di Max Montaina<br />
GALAPAGOS di Alessandra Pelus<br />
ALCE di Max Montaina<br />
GRAN PARADISO di Alessandra Pelus<br />
FENICOTTERO ROSA di Alessandra Pelus<br />
OULANKA di Max Montaina
EDITORIALE<br />
EDITORIALE<br />
Tante cose cose cose sono sono cambiate cambiate da da quel quel quel lontano lontano lontano 1988 1988 quando quando fui<br />
fui<br />
incaricato incaricato di di ideare ideare e e dirigere dirigere ETHOS, ETHOS, la la rivista rivista che che avrebbe<br />
avrebbe<br />
superato superato ogni ogni più più rosea rosea aspettativa, aspettativa, aspettativa, sopra soprattutto sopra sopra ttutto per il il successo successo di<br />
di<br />
pubblico pubblico pubblico che che ebbe ebbe in in tutte tutte tutte le le edicole edicole italiane. italiane. Ma Ma come come dicevo,<br />
dicevo,<br />
appunto, appunto, i i tempi tempi cambiano, cambiano, cambiano, oggi oggi oggi l’editoria l’editoria cartacea, cartacea, sta sta vivendo vivendo uno<br />
uno<br />
dei dei momenti momenti più più bui bui della della sua sua intera intera storia, storia, e e così, così, in in una una serata<br />
serata<br />
d’autunno d’autunno di di quasi quasi cinque cinque anni anni fa, nacque, tra tra un gruppo di<br />
di<br />
fotoreporters fotoreporters professionisti, professionisti, studiosi studiosi e e divulgatori, divulgatori, l’idea l’idea di di creare creare la<br />
la<br />
prima prima rivista rivista di di natura natura online online fruibile fruibile a a tutti, tutti, senza senza alcuna<br />
alcuna<br />
distinzione distinzione di di sorta.<br />
sorta.<br />
Nessun Nessun albero, albero, nessun nessun foglio foglio di di carta, carta, nemmeno nemmeno una una goccia goccia di<br />
di<br />
inchios inchiostro, inchios tro, saranno sprecati sprecati invano per poter realizzare realizzare mensilmente<br />
mensilmente<br />
questo questo magazine magazine sulla sulla natura natura e e sugli sugli animali animali del del nostro nostro nostro maltrattato<br />
maltrattato<br />
pianeta pianeta Terra!<br />
Terra!<br />
Troverete Troverete il il lavoro, lavoro, la la pazienza, pazienza, lo lo spirito spirito di di sacrificio, sacrificio, ma<br />
ma<br />
soprattutto soprattutto il il grande grande amore amore per per la la natura natura che che tu tutto tu tto lo lo staff staff staff di<br />
di<br />
KAMOOSE, KAMOOSE, ha ha profuso profuso in in questi questi ultimi ultimi anni anni per per mettere mettere a a punto<br />
punto<br />
questo questo amibizioso amibizioso amibizioso progetto.<br />
progetto.<br />
Tutti Tutti coloro coloro che che avranno avranno desiderio desiderio di di osservare osservare le le meraviglie meraviglie del<br />
del<br />
creato, creato, mese mese dopo dopo mese, mese, non non dovranno dovranno far far altro altro che che cliccare cliccare su:<br />
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un<br />
“mondo” “mondo” fatto fatto di di foreste, foreste, laghi, laghi, fiumi, fiumi, montagne, montagne, specie specie ritratte ritratte nei<br />
nei<br />
rispettivi rispettivi habitat habitat naturali naturali e e molto molto altro altro ancora, ancora, dove dove il il sottoscritto,<br />
sottoscritto,<br />
molti molti molti altri altri fotoreporters fotoreporters e e divulg divulgatori divulg atori naturalisti si si sono sono recati recati per<br />
per<br />
potervene potervene mostrare mostrare e e narrare narrare la la stupefacente stupefacente ed ed incommensurabile<br />
incommensurabile<br />
magnificenza.<br />
magnificenza.
Basterà Basterà un un click, click, non non servirà servirà servirà null’altro, null’altro, qui, qui, siete siete nella nella grande grande casa<br />
casa<br />
della della NATURA NATURA ONLINE, ONLINE, ed ed ovviamente ovviamente tutti tutti coloro coloro che che ci<br />
ci<br />
faranno faranno visit visita, visit visita,<br />
a, spero spero costante costante e e appassionata appassionata nel nel tempo, tempo, saranno saranno gli<br />
gli<br />
ospiti ospiti più più graditi, graditi, oggi, oggi, domani domani e..........sempre!!!<br />
e..........sempre!!!<br />
IL DIRE DIRETTORE<br />
DIRE<br />
TTORE<br />
MAX MAX MONTAINA<br />
MONTAINA
TIGRE<br />
Testi e Foto di Max Montaina<br />
Quando un mio collega fotoreporter nella tarda primavera del<br />
1992 mi propose di recarci in India a fotografare le tigri, in<br />
tutta franchezza, ero combattuto. Da un lato il grande<br />
desiderio di poter incontrare nel suo ambiente naturale questo<br />
superbo felino, dall’altro il mio disamore per i viaggi in zone<br />
tropicali. Ma ovviamente, come sempre nella mia carriera di<br />
fotoreporter, a trionfare è sempre stato l’amore per la natura<br />
e per le specie animali, e non le mie personali avversioni<br />
climatiche al caldo e all’umidità, che vi assicuro essere<br />
notevoli in quei luoghi.<br />
Se si cerca la Tigre (Panthera tigris), vi è solo un luogo della<br />
terra che può soddisfare le esigenze di qualsiasi fotoreporter o
divulgatore naturalista, ovvero, il parco nazionale di<br />
Ranthambor, situato nell’India centrale e più precisamente<br />
nel Rajasthan. Per cui, una volta fissati i voli, e prenotato il<br />
lodge per la permanenza nel parco, non restava che preparare<br />
l’atrezzatura e contattare l’ente parco, avvertendo che una<br />
troupe fotografica, sarebbe giunta a fine agosto per effettuare<br />
un reportage sulle tigri. Assicuro a tutti coloro che volessero<br />
intraprenderne il viaggio, che è stata un’esperienza tanto bella<br />
quanto pericolosa al tempo stesso. Non dimentichiamoci infatti<br />
che dietro al fascino senza paragoni che possiede questa<br />
specie, stiamo pur sempre parlando di uno degli animali più<br />
potenti e pericolosi che abitano il nostro pianeta. Ma non di<br />
meno, una volta giunti al parco, scovarla sarebbe stato<br />
tutt’altro che facile, essendo poco numerosa all’interno del<br />
parco e soprattutto eslusiva come abitudini,
Al nostro arrivo, una volta sistematici in uno splendido<br />
(inaspettatamente) lodge, vi era ad attenderci un ranger del<br />
parco, il simpaticissimo Taji, che conosceva perfettamente per<br />
nostra fortuna, la lingua inglese. Il suo commento d’esordio fu<br />
subito lapidario: “Cari amici italiani, temo sarà difficile<br />
riuscire a scovarle, ma farò tutto quanto è possibile per<br />
accontentarvi.” Non era affatto una sorpresa per noi, ne<br />
eravamo pienamente consapevoli, d’altra parte stiamo<br />
parlando della “regina” incontrastata delle foreste tropicali<br />
asiatiche. Confesso che la mia predilezione sarebbe andata alla<br />
specie siberiana (Panthera tigris altaica), la sottospecie più<br />
grande tra tutte le tigri, pensate che un maschio adulto può<br />
arrivare a pesare 360 kg e a misurare fino a 4 metri di<br />
lunghezza ed è diffusa, sebbene a forte rischio d’estinizione<br />
nella zona orientale della Russia, ma proprio in conseguenza<br />
della grande difficoltà di ottenere i permessi per entrare in<br />
quel paese (non dimentichiamoci che stiamo parlando del<br />
1992), la nostra scelta (ed ora ne sono felicissimo) è stata<br />
indirizzata verso la specie principale asiatica: la superba Tigre<br />
del Bengala!<br />
L’euforia dei primi giorni, scemò inesorabilmente, dopo aver<br />
girato a vuoto a bordo della Land Rover guidata da Taji, per<br />
ben 3 giorni all’affannosa e inutile ricerca della specie.
Numerosi avvistamenti di Cervi Sika, scimmie disseminate in<br />
ogni dove, intente nelle loro schermaglie di gruppo, Ibis sacri,<br />
Aironi bianchi, e altra e variegatissima avifauna asiatica, ma<br />
ahimè, della Tigre del Bengala, come viene comunemente<br />
denominata, nemmeno l’ombra, nonostante il nostro ranger,<br />
battesse le zone a lui molto conosciute, dall’alto della sua<br />
decennale permanenza nel parco. Al crepuscolo del quarto<br />
giorno della nostra permanenza qui in India, le speranza di<br />
incontrare “SHERE KAN” come la avevamo ironicamente<br />
ribatezzata, ispirandoci al Libro della Giungla di Kipling, era<br />
ridotta a flebile speranza di fotoreporters avvezzi ai miracoli<br />
della natura! Ma come mi ripeteva sempre il mio professore di<br />
etologia dell’Università degli studi di Parma: “mai disperare,<br />
perché, chi ama la natura, prima o poi da essa verrà<br />
ampiamente ripagato”. Benedetto professor Mainardi, aveva<br />
perfettamente ragione.<br />
L’alba del quinto giorno a Ranthambor era destinata a<br />
rimanere indelebilmente impressa nella mia memoria, infatti,<br />
in seguito all’ennesimo acquazzone caduto dal cielo, le tracce
di passaggio sul terreno, ove fossero state presenti, si<br />
sarebbero viste e notate con maggior facilità! Detto e fatto,<br />
d’improvviso, Taji, sceso dalla jeep, iniziò ad urlare: “LUCKY<br />
ITALIANS, LUCKY ITALIANS”.<br />
Ed in effetti, aveva perfettamente ragione, avendo scorto le<br />
impronte di un grosso esemplare nelle vicinanze di uno<br />
specchio d’acqua. Restammo appostati e ben nascosti a bordo<br />
della Land Rover per circa 3 ore, quando verso le 13,10 di un<br />
pomeriggio afoso e caldo come pochi (tasso d’umidità<br />
indescrivibile), il miracolo tanto atteso avvenne: di fronte a me<br />
vidi ad una distanza di circa 15 metri la sagoma inconfondibile<br />
di uno splendido esemplare femmina, in tutta la sua<br />
magnificenza. Ma siccome, la natura non fa mai doni scontati,<br />
la grande sopresa, che mi lasciò senza fiato, fu lo scorgere che<br />
la zona antistante allo specchio d’acqua, rappresentata da un<br />
fitto boschetto, era abitata da un gruppo di oltre 5 esemplari, e<br />
per la precisione, una femmina con i suoi cuccioli, oltre ad<br />
un’esemplare adulto che poteva essere, una maschio accolto in
seno al gruppo familiare. Ora comprendo il significato delle<br />
urla di Taji, infatti conoscendo la zona, aveva capito fin da<br />
subito, che una famiglia, aveva preso possesso della zona, da<br />
pochi giorni, forse spostatisi, in seguito alle pioggie<br />
monsoniche dei giorni precedenti. Nel mio splendido lavoro,<br />
capita raramente di avere l’animale perfettamente inquadrato<br />
e a fuoco della propria fotocamera, e nonostante questo,<br />
passarono attimi che parevano interminabili, prima che<br />
scattassi la prima foto “storica” alla Tigre del Bengala nel suo<br />
habitat naturale. Possente, elegante, addirittura sinuosa nei<br />
movimenti, questo concentrato di potenza muscolare<br />
dall’aspetto ammaliante, era a poco più di 10 metri dalla<br />
“camionetta” su cui eravamo appostati silenziosamente.<br />
Fortunatamente il vento soffiava in senso favorevole, per cui le<br />
sensibilissime vibrisse del gruppo di tigri, non avevano ancora<br />
percepito la nostra presenza.<br />
Mentre scattavo ripetutamente immagini a più non posso, la<br />
mia mente correva ai giorni precedenti la partenza, in cui<br />
avevo raccolto una mole considerevole di informazioni a
iguardo della specie; non volevo essere preso alla sprovvista<br />
nel caso il destino mi avesse concesso di incontrarla.<br />
E’ una cacciatrice astutissima, osserva attentamente il<br />
comportamento delle proprie prede, prima di sferrare<br />
l’attacco decisivo, e raramente i suoi bersagli scampano a tale<br />
macchina predatoria, sebbene l’ambiente in cui si muove,<br />
permetta alle prede preferite, quali Cervi sika, piccoli roditori<br />
ed altri mammiferi, una discreta facilità di fuga. Ma sono<br />
assolutamente risoluto nel voler sfatare la “leggenda” della<br />
tigre come mangiatrice di uomini, in quanto, non<br />
dimentichiamoci, che questo animale, attacca quando si sente<br />
in pericolo, e in totale assenza di cibo, può accadere che<br />
avvicinandosi ai centri abitati, possa imbattersi nella presenza<br />
umana, ma vi assicuro che nel mondo muoiono più persone<br />
per la puntura di un’ape che non per “bocca” di una tigre<br />
“assassina”. Oltremodo, questo meraviglioso felino, passa la<br />
maggior parte della sua giornata a risposarsi sonnecchiando<br />
all’ombra, nel fitto della vegetazione, concedendosi, ove<br />
presenti, qualche pausa rinfrescante in qualche specchio<br />
d’acqua. Nella mia permanenza al parco, ho avuto modo di<br />
osservarne il comportamento per oltre 2 settimane, e posso<br />
tranquillamente affermare, che i tanto famigerati<br />
comportamenti aggressivi narrati da cinema e stampa da<br />
quattro soldi, sono una mera invenzione. Per lo più ho<br />
osservato atteggiamenti aggressivi tra cospecifici, ma solo ed<br />
esclusivamente in presenza di eventuali tentativi di<br />
usurpazione del proprio territorio da parte di un esemplare un<br />
po’ troppo invadente. Ma nell’osservare i giochi tra la<br />
femmina e i propri cuccioli, ho notato una “tenera” e giocosa<br />
madre, pazientemente intenta a sopportare le ripetute<br />
intemperanze dei tigrotti.
Malauguratamente, la specie è in forte pericolo di estinzione,<br />
spesso la diaspora che ha allontanato gli esemplari della stessa<br />
specie, le variazioni climatiche, e la pressante antropizzazione<br />
da parte dell’uomo, ha ridotto a territori sempre più<br />
marginali, i luoghi in cui la specie può vivere serenamente la<br />
propria esistenza. Fortunatamente, esistono riserve naturali<br />
protette, proprio come Ranthambor, o poche altre disseminate<br />
in India, nel tentativo quasi disperato di tutelarne la<br />
sopravvivenza. L’uomo distrugge, l’uomo prevarica, l’uomo si<br />
sente il padrone incontrastato delle cose presenti su questo<br />
pianeta, ma la realtà delle cose è ben diversa, prima o poi la<br />
natura presenterà il conto dei soprusi subiti, e sono<br />
assolutamente certo che il tributo da pagare sarà devastante<br />
per tutta la razza umana. Penso a quei bambini che non hanno<br />
mai visto un’animale nel proprio ambiente vitale, come<br />
potranno apprezzare ed amare le differenti specie animali, se<br />
vengono abituati fin da piccoli ad osservarli dietro a delle
sbarre o come “stupide marionette” sotto al tendone di un<br />
circo. Ho deciso di dedicare la mia intera esistenza ad amare e<br />
proteggere la natura, ma a poco o nulla serviranno i miei<br />
sforzi di divulgare le meraviglie del mondo naturale, se i nostri<br />
governi parlano di tutela ambientale solo in stupide campagne<br />
elettorali a caccia di voti, per poi, una volta raggiunto il<br />
potere, dimenticarsene come si fa per una cosa di poco conto.<br />
Durante i corsi di fotografia o le mostre che porto in giro per<br />
l’Italia, mi viene spesso domandato cosa mi spinga a dedicare<br />
tutte le mie energie agli animali, e la mia risposta è sempre la<br />
stessa:<br />
“VOGLIO CHE LA GIOIA CHE PROVO OGNI VOLTA CHE<br />
INCONTRO UNA SPECIE ANIMALE NEL SUO AMBIENTE,<br />
POSSA ESSERE PROVATA DA CHI VERRA’ DOPO DI ME,<br />
PERCHE’ I DOCUMENTARI ALLA TV SONO BELLI, I<br />
REPORTAGES COME QUESTO SONO UTILI E SPERO<br />
ISTRUTTIVI, MA SE NON GERMOGLIANO, SONO STERILI<br />
PAROLE GETTATE NEL VENTO”. Ogni volta che rivedo<br />
nella mia memoria, il primo incontro con la Tigre, rafforzo la
mia convinzione che non sono un “pazzo”, e sento nel<br />
profondo della mia anima come una forza che mi esorta a<br />
proseguire, perché finchè ci sarà amore anche per l’animale<br />
più piccolo ed insignificante, allora la terra sarà salva. Il mio<br />
viaggio a Ranthambor, mi ha consegnato tra le immagini più<br />
significative e appaganti di tutta la mia carriera, la stessa<br />
National Geographic Society, le ha volute per pubblicarle sulla<br />
collana “ACROSS THE WORLD”, ma credetemi, le<br />
ricompense economiche e le gratificazioni professionali sono<br />
nulla al confronto delle emozioni che ho provato nell’essere al<br />
cospetto della “regina della giungla”. Quando nel 1995 una<br />
giuria canadese del più grande ente protezionsitico nord<br />
americano, elesse il mio reportage (di cui qui vedete solo<br />
alcune immagini) sulla Tigre il più bel servizio fotografico<br />
dell’anno, decisi subito di dedicare questa grande<br />
soddisfazione professionale a loro, a tutte le tigri<br />
sopravvissute. Da parte mia, ho solo avuto la fortuna di<br />
trovarmi nel luogo giusto al momento adeguato, e poi, il resto<br />
è venuto da sé, frutto del mio grande amore per la natura e<br />
non di meno per il mio lavoro di fotoreporter. Grazie<br />
Panthera tigris, grazie del dono che hai voluto farmi!<br />
MASSIMO MONTAINA
MONTAGNE ROCCIOSE<br />
Testi di Roberta Grossi<br />
Foto di Max Montaina e Kenneth Parker<br />
Le Montagne rocciose sono un’affascinante catena montuosa<br />
che si innalza parallelamente alla costa pacifica del Nord<br />
America con vette imponenti che raggiungono i 4000 metri.<br />
Le “Rocky Mountains”, familiarmente chiamate “Rockies”<br />
dai locali, si estendono da nord a sud tra il Canada e gli Stati<br />
Uniti, snodandosi tra numerosi stati, dalla Columbia<br />
Britannica al New Mexico.<br />
Questa vastità di montagne non è solo roccia e neve; in realtà<br />
nasconde in sé mille segreti: tra le cime, seguendo il<br />
serpeggiare dei fiumi cerulei, si svelano cascate spumeggianti,<br />
laghi cristallini costellano di lacrime il verde delle praterie e<br />
dei pascoli, geyser spruzzano alte volute di vapore perlaceo e<br />
distese di conifere completano questo seducente e maestoso<br />
quadro paesaggistico davvero unico. E altrettanto affascinante<br />
è la fauna che popola queste meraviglie naturalistiche.
SASKATCHAWAN SASKATCHAWAN RIVER RIVER (Foto (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker)<br />
Parker)<br />
Un’antica leggenda pellerossa narra come nacquero le<br />
Montagne Rocciose:<br />
Un giorno il Coyote incontrò la Volpe il cui manto splendeva<br />
di mille pietruzze.<br />
“Dove hai trovato quelle belle cose luccicanti?” chiese<br />
incuriosito all’amica.<br />
“Su quella rupe” rispose la volpe, indicandogli una grande<br />
rupe che si stagliava nitida all’orizzonte. “Ma per ottenerle<br />
dovrai pagare qualcosa”.<br />
Il coyote, che aveva fama di furbo, andò alla rupe, prese le<br />
luccicanti perline, ma in cambio non diede nulla. Così fece per<br />
tre o quattro volte.<br />
“Bada che la rupe ti prenderà in trappola” lo ammonì la<br />
volpe; ma il coyote non le dette ascolto.<br />
Avvenne che una volta la rupe, stanca di essere derubata,<br />
imprigionò il ladruncolo.<br />
“Aiutami!” gridò rivolto alla volpe.<br />
“Mi spiace” fu la risposta. “Non posso aiutare un disonesto”.
Con la forza della disperazione il coyote riuscì a liberarsi dalla<br />
stretta, ma la rupe si mise ad inseguirlo; correva velocissima,<br />
valicava corsi d’acqua e foreste.<br />
Proprio mentre stava per essere raggiunto il coyote sentì una<br />
voce: “Salta sopra di me e non temere”.<br />
Si guardò intorno e vide un’aquila.<br />
“Non dovrei aiutarti, ma la rupe correndo per inseguirti sta<br />
distruggendo tutto”.<br />
Il coyote saltò sopra l’uccello, ma la stessa cosa fece la rupe.<br />
Ma l’aquila gridò: “Bum!”.<br />
ALLOCCO ALLOCCO DEGLI DEGLI URALI URALI (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Immediatamente la rupe si frantumò in mille pezzi che si<br />
sparsero qua e là, formando quelle che oggi sono le Montagne<br />
Rocciose.
L’emblema delle Montagne Rocciose, in particolare del parco<br />
di Yellowstone che al loro interno si trova, è il grizzly,<br />
l’imponente orso bruno nordamericano, conosciuto anche nei<br />
panni di Yoghi, l’orso golosone. È un animale massiccio,<br />
ricoperto da un folto pelo ispido che lo protegge dal clima<br />
rigido delle elevate altitudini in cui vive. Nonostante la sua<br />
stazza, il grizzly è incredibilmente veloce e ciò, insieme alla<br />
grande forza fisica, è un vantaggio nel cacciare prede grosse e<br />
veloci. Tuttavia, malgrado la fama di feroce predatore, questo<br />
animale è tutt’altro che crudele, poiché preferisce nutrirsi di<br />
piante e insetti, anche se non disdegna un pasto a base di<br />
pesce; in primavera infatti i grizzly si ritrovano al “raduno del<br />
salmone” lungo i fiumi, dove si assiste a una sfida i cui<br />
protagonisti sono orsi e salmoni. Inutile dire chi è il vincitore!<br />
Il grizzly, però, come molte altre specie che con lui<br />
condividono la sorte, è uno dei bersagli preferiti dai cacciatori;<br />
è solo grazie all’istituzione dei parchi nazionali che ora questo<br />
possente mammifero si sta riprendendo da un pesante calo<br />
demografico.<br />
WAPITI WAPITI (Foto (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)
Nelle foreste delle “Rockies”, accanto al grizzly, con cui da<br />
secoli si contende la fama di feroce predatore anche nelle<br />
favole più celebri, c’è il lupo, splendido parente del miglior<br />
amico dell’uomo.<br />
Mammifero dal manto grigio cangiante, il lupo è un animale<br />
che ama vivere in branco. Qui sono presenti rigide gerarchie<br />
ma anche gesti affettuosi, in particolare nei confronti di<br />
cuccioli e anziani, mentre c’è una più aperta rivalità tra i<br />
giovani maschi che si sfidano per la supremazia nel gruppo.<br />
Famigerato predatore di bambine dal cappuccio rosso, di<br />
indifesi capretti e di candide pecorelle, è stato cacciato per<br />
anni e anni in tutto il mondo, poiché considerato come<br />
elemento di disturbo per l’uomo e le sue attività. In realtà il<br />
lupo certo non disdegna prede facili come gli ovini, ma è<br />
spinto ad avvicinarsi alle aree di allevamento e pascolo di<br />
bestiame a causa della drastica riduzione del suo habitat<br />
naturale e di ciò di cui si nutre. Infatti, quando i lupi trovano<br />
un ambiente adatto al loro insediamento, prediligono prede<br />
quali cervi, alci, lepri e altri roditori, e non si spingono mai<br />
oltre il limite dei boschi. È proprio grazie al ripristino degli<br />
habitat e all’inserimento di esemplari in luoghi ormai<br />
spopolati che le popolazioni di lupo stanno tornando ad<br />
accrescersi.<br />
Una bellissima icona del lupo che rievoca nobili sentimenti è<br />
quella che lo ritrae ululante di fronte alla luna, come assorto<br />
in una dolce canzone d’amore. Un’affascinante leggenda<br />
indiana racconta ciò che avvenne in una calda notte di luglio<br />
di tanto tempo fa.
GRIZZLY GRIZZLY (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
“Un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non<br />
posso. In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni<br />
tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o<br />
danzava tra esse, armoniosa e lieve.<br />
Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve<br />
arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto<br />
infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:<br />
- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un<br />
po’? -<br />
- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della<br />
mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo.<br />
La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfiò, si<br />
gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima<br />
palla.<br />
- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse,<br />
dolcemente partecipe, al lupo in pena.<br />
Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di<br />
un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio e lo<br />
strinse forte forte a sé felice ed emozionato. Poi sparì tra il
folto della vegetazione, ma non senza aver mille e mille volte<br />
ringraziato la luna.<br />
Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un<br />
bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda,<br />
grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella<br />
notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo<br />
splendore.<br />
I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.”<br />
LUPO LUPO GRIGIO GRIGIO (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
È per questo che tutt’oggi molti di noi associano il suono<br />
dell’ululato del lupo a questa immagine di armonia.<br />
Oltre al lupo, le Montagne Rocciose ospitano un’altra specie a<br />
lui molto affine, il coyote, l’altro autore dei potenti ululati che<br />
si diffondono come richiami nella notte. Questo animale,<br />
dotato di incredibile adattabilità, ha saputo colonizzare con<br />
successo innumerevoli ambienti, grazie anche alla singolare<br />
capacità della specie di variare la propria dieta, le abitudini e<br />
le dinamiche di gruppo. I coyote difatti possono vivere sia in
coppia che in branco, o condurre vita solitaria. È certo che i<br />
maschi del coyote sono degli ottimi mariti e papà, perché<br />
rimangono accanto alla femmina anche per anni e collaborano<br />
amorevolmente all’allevamento dei cuccioli. I giovani coyote<br />
saranno poi liberi di scegliere se rimanere con i genitori o se<br />
lasciare la tana alla ricerca di un territorio da conquistare.<br />
I coyote, come i lupi, hanno subito per anni la persecuzione di<br />
cacciatori e allevatori di bestiame; erano rispettati solo dalle<br />
tribù dei nativi americani, che lo consideravano magico,<br />
profetico, capace di trasformare oggetti ed esseri. Solo negli<br />
ultimi anni il coyote si è guadagnato il rispetto che ogni<br />
creatura vivente merita e la specie è protetta in numerosi stati<br />
americani.<br />
Il coyote, insieme ad altri, è uno degli animali totemici indiani<br />
a cui sono conferite diverse qualità. È un birbante infido e<br />
dispettoso, ma è sacro. Ha fama di imbroglione e inganna gli<br />
altri animali e anche se stesso, cadendo spesso nelle sue stesse<br />
trappole. Tuttavia l’arte di campare alla giornata che lo<br />
contraddistingue gli garantisce di sopravvivere senza<br />
riportare seri danni. È un trasformista è spesso crea grande<br />
disordine; riportare l’ordine spetta al fratello, il lupo,<br />
considerato un maestro per la sua saggezza. A volte il coyote è<br />
indicato come il Briccone Divino, che, nel tentativo di togliersi<br />
dai guai, altera vari aspetti della natura. Oltre a queste qualità<br />
piuttosto negative è anche associato al divertimento e<br />
all’allegria; in particolare è simbolo di protezione ed è accorto<br />
soprattutto verso la propria famiglia, di cui tutela la sicurezza.
BI BIGHORN BI GHORN (Foto di Max Montaina) Montaina)<br />
Tra i felini, sulle Rockies, vivono due elusivi abitanti: il puma<br />
e la lince.<br />
Il puma è una delle specie a più stretta parentela con i gatti. È<br />
un animale potente ma elegante allo stesso tempo, dotato di<br />
incredibile forza e agilità, nonché resistenza: può raggiungere<br />
in corsa velocità elevate e spicca balzi impressionanti, con cui<br />
coglie di sorpresa le sue prede, assalendole alle spalle. È in<br />
grado di abbattere animali di peso e dimensioni molto<br />
maggiori delle proprie.<br />
È provvisto di una pelliccia morbida e folta, che possiede<br />
diverse colorazioni, dal bruno fulvo al marrone rossiccio fino<br />
al grigio argentato, mentre il muso e il petto sono sempre più<br />
chiari, spruzzati di bianco. Tutte le sfumature che può
assumere il pelo si rivelano estremamente mimetiche in ogni<br />
ambiente in cui il puma vive.<br />
Nel mondo il puma è noto con numerosi nomi diversi, eredità<br />
delle antiche tribù che hanno conosciuto questo felino; difatti<br />
era una volta diffuso lungo tutto il continente americano, dal<br />
Canada alla Patagonia; ora, dopo gli incessanti stermini, la<br />
specie si è rifugiata in aree limitate e non abitate dall’uomo, in<br />
particolare sulle Montagne Rocciose e in alcune aree<br />
semidesertiche degli Stati Uniti.<br />
KOOTENAY KOOTENAY VALLEY VALLEY (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker)<br />
Parker)<br />
La lince è un felino dall’aspetto soffice e quieto, datogli dal<br />
folto pelo che la ricopre e dall’espressione del muso, che la fa<br />
apparire come pensierosa. Forse è per questo che gli indiani le<br />
conferiscono il ruolo di custode di tutti gli antichi segreti, a cui<br />
è difficile carpire le conoscenze. È una furba e agilissima<br />
predatrice sia sul terreno che sulla neve, ma anche in aria,<br />
poiché spicca balzi di 2 metri per raggiungere le prede dotate<br />
di ali; è inoltre un’abile nuotatrice e arrampicatrice.
Insomma, è un’atleta a tutti gli effetti! Caratteristici e<br />
inconfondibili sono i ciuffi di pelo scuro sulle orecchie, che<br />
fanno apparire la lince sempre pronta a captare il più flebile<br />
suono. A parte durante il periodo dell’accoppiamento, questo<br />
felino è di indole solitaria ed è molto elusivo, amando<br />
rifugiarsi nel folto dei boschi o in luoghi che offrono un riparo<br />
sicuro.<br />
Nelle vaste praterie verdi che impreziosiscono le pendici delle<br />
vette pascola il gigante delle pianure erbose: il bisonte.<br />
Colossale erbivoro, vive in mandrie numerose dove a<br />
comandare sono le femmine adulte, mentre i maschi<br />
vagabondano ai limiti del gruppo. Il loro compito è quello di<br />
proteggere le femmine, i giovani e i cuccioli in situazioni di<br />
pericolo: in caso di attacco di un predatore, essi si dispongono<br />
attorno al branco pronti a sferrare l’attacco; oltre<br />
all’imponente stazza sono infatti dotati di robuste e temibili<br />
corna, con cui nessuno vorrebbe avere a che fare. Tuttavia, a<br />
parte in questi casi di emergenza, durante le migrazioni e nel<br />
periodo dell’accoppiamento, i maschi si tengono a distanza dal<br />
branco e non partecipano alla vita di gruppo né<br />
all’allevamento dei piccoli. Questo compito spetta interamente<br />
alle femmine, che collaborano per accudire i cuccioli e<br />
allattarli fino allo svezzamento. Superato questo traguardo le<br />
giovani femmine restano con la madre; i maschi invece si<br />
allontanano in cerca del loro posto nel cerchio della vita.<br />
I bisonti per la maggior parte del tempo sono tranquilli e<br />
pacifici abitanti delle Montagne Rocciose; diventano<br />
aggressivi solo quando si sentono minacciati o sfidati, come<br />
avviene nella stagione degli amori, in cui si assiste a feroci<br />
duelli tra pretendenti.
BISONTE BISONTE AMERICANO AMERICANO (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Rispettato e venerato dai nativi che lo annoverano tra gli<br />
animali totemici come totem dell’abbondanza, questo grande<br />
erbivoro, essendo una notevole e ottima fonte di cibo, è stato<br />
sterminato per lunghi anni dai “visi pallidi” durante la<br />
conquista dell’America come espediente per liberarsi degli<br />
indiani; il massacro è arrivato a tal punto da rischiare un<br />
quasi totale sterminio della specie. Oggi, grazie alla creazione<br />
di riserve protette, il bisonte, pur non potendo più attuare le<br />
sue lunghe e abituali migrazioni, è tornato a prosperare in<br />
molte aree precedentemente segnate dalla sua scomparsa in<br />
compagnia dei suoi rispettosi protettori pellerossa.<br />
Tra le paludi fangose e i boschi decidui si aggira pacifico un<br />
altro grande erbivoro: l’alce. Solitaria per la maggior parte<br />
della vita, l’alce è inconfondibile per via dei suoi spettacolari<br />
palchi di corna, a forma di pala e ricchi di punte, che<br />
contraddistinguono i maschi e che costituiscono un’importante<br />
arma di attacco e difesa soprattutto durante la stagione<br />
riproduttiva, quando pioppi e salici sono spettatori di ardui<br />
combattimenti tra corteggiatori. Durante questi scontri le
femmine non sono semplici osservatrici, ma competono tra di<br />
loro per conquistare i favori del maschio vincitore.<br />
Dopo l’accoppiamento, nel periodo in cui la vegetazione è più<br />
abbondante, nascono i cuccioli che non sono subito in grado di<br />
muovere i primi passi, perciò utilizzano il manto di colore<br />
bruno-rossiccio per camuffarsi nella vegetazione quando la<br />
madre si allontana sola.<br />
L’alimento preferito delle alci è costituito dalle radici e dagli<br />
steli delle piante acquatiche di laghi, fiumi e paludi, che<br />
vengono “pescate” in immersione. Queste piante abbondano<br />
però in estate; in inverno questi erbivori si nutrono<br />
soprattutto di foglie e cortecce di alberi e arbusti, ma anche di<br />
piccole pianticelle nascoste sotto la neve; la stagione fredda è<br />
una delle rare occasioni in cui si creano piccoli gruppi di alci,<br />
altrimenti solitarie, in modo da creare una condizione in cui è<br />
più facile sopravvivere.<br />
ICEFIELDS ICEFIELDS (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker)<br />
Parker)
Un interessante inquilino di questa scenografica catena<br />
montuosa è l’antilocapra, una particolare specie rappresentata<br />
da una combinazione unica dei tratti dell’antilope e della<br />
capra, come suggerisce il nome. È molto adattabile,<br />
espandendosi dai caldi deserti fino ai gelidi altipiani con<br />
temperature che si aggirano attorno ai 40 gradi sotto zero.<br />
Oltre ad essere una specie più unica che rara, l’antilocapra<br />
possiede una caratteristica insolita: può individuare un<br />
oggetto in movimento fino a notevoli distanze, ma non lo<br />
distingue se esso è fermo, anche se si trova molto vicino.<br />
Questo difetto porta un grande vantaggio ai predatori che di<br />
questo animale si nutrono, come linci e coyote, esperti in<br />
agguati; l’antilocapra ripara a questo difetto con una fuga<br />
rapida e scattante.<br />
Sulle Rockies l’antilocapra abita le vaste praterie dove<br />
percorre lunghe distanze alla ricerca di cibo, soprattutto in<br />
inverno; in estate preferisce pascolare nelle vicinanze di fonti<br />
d’acqua. È un erbivoro che ama vivere in gruppo, formando<br />
mandrie numerose divise per sesso. Solo i maschi maturi<br />
preferiscono condurre una vita solitaria, rinunciando alla<br />
sicurezza che il gruppo può offrire. Questi maschi si scelgono<br />
accuratamente un territorio delimitandolo con tracce odorose<br />
e difendendolo duramente; durante la stagione riproduttiva<br />
tutte le femmine che oltrepassano il confine non possono più<br />
uscire dal territorio fino a che il padrone di casa non si è<br />
riprodotto con ognuna. Questo comportamento da<br />
“conquistadores” assicura perciò una prole numerosa e la<br />
continuità della specie, che fino a poco tempo fa si era ridotta<br />
drasticamente a causa della caccia di frodo.
JASPER JASPER NATIONAL NATIONAL PARK PARK (Foto (Foto (Foto di di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
Nelle zone più remote delle Montagne Rocciose, tra dirupi e<br />
pareti scoscese dove la presenza dell’uomo è rara, vive il<br />
bighorn, animale “dal grande corno”, parente stretto di<br />
pecore e mufloni. E sono proprio le possenti corna ricurve in<br />
avanti, possedute solo dai maschi, che caratterizzano questa<br />
specie; sono ornamenti molto apprezzati dalle femmine e nella<br />
stagione degli amori si trasformano in poderosi strumenti di<br />
combattimento.<br />
I bighorn sono ottimi arrampicatori e per questo prediligono<br />
vivere in ambienti ostili, che assicurano un’ottima protezione<br />
contro i predatori che non osano inerpicarsi per i ripidi pendii<br />
delle montagne. Tuttavia anche i bighorn non sono immuni da<br />
errori che possono costare la vita: basta un passo falso per<br />
trovarsi sul fondo di una vallata, per la gioia di qualche<br />
carnivoro di passaggio.<br />
È solo in inverno che questi animali scendono a quote più<br />
basse su prati poco innevati perché i loro potenti zoccoli non<br />
riescono a scavare nella neve profonda. Si possono osservare
in mandrie di numerosi individui dello stesso sesso durante la<br />
gran parte dell’anno, ad eccezione della stagione riproduttiva.<br />
I segnali all’interno del gruppo si trasmettono in modo<br />
insolito; oltre ai brontolii che i maschi emettono quando sono<br />
agitati, entrambi i sessi usano il posteriore bianco per inviare<br />
messaggi di allerta: quando i bighorn corrono con la coda<br />
alzata mostrando il candido posteriore agli altri membri,<br />
significa pericolo imminente, perciò è meglio darsela a<br />
gambe!!<br />
Come molti altri animali, anche il bighorn di montagna è stato<br />
perseguitato dai cacciatori per lunghi anni finché non è stato<br />
dichiarato specie protetta da severe leggi.<br />
Sia nella fitta taiga di aghi verdi che nella fredda e spoglia<br />
tundra vive un voracissimo animale, il ghiottone. Dal pelo<br />
fulvo, con un muso che ricorda il tasso, è un singolare<br />
mammifero dalla rara ferocia che possiede canini aguzzi,<br />
artigli affilati e un’infallibile arma odorifera “rubata” alle<br />
puzzole. È chiamato ghiottone a causa dell’avidità con cui<br />
consuma le sue prede, ma anche perché si nutre di una grande<br />
varietà di cibi: piccoli roditori, larve d’insetto, uccelli e uova,<br />
bacche, frutta e noci, in base a ciò che la stagione offre.<br />
Durante la bella stagione non è un predatore attivo, preferisce<br />
nutrirsi di carogne e impiega la sua ferocia per minacciare<br />
animali più grossi di lui come puma e orsi, che spesso si<br />
arrendono di fronte alle sue poderose mascelle, alle potenti<br />
ghiandole odorifere e al suo caratteraccio bellicoso. In<br />
inverno, invece, si trasforma in un abile cacciatore, aiutato<br />
dalle larghe zampe che gli consentono di correre sulla neve<br />
dove molti animali hanno difficoltà a muoversi: è capace di<br />
uccidere da solo un caribù adulto. Questa ferocia che<br />
contraddistingue i ghiottoni è proprio una loro caratteristica<br />
peculiare, insita nei geni: già dopo pochi mesi dalla nascita,<br />
allo svezzamento, i cuccioli lasciano la tana per andare a<br />
caccia con la madre, che gli insegnerà a diventare abili killer.
I ghiottoni si sono ridotti drasticamente perché sono<br />
considerati predatori estremamente nocivi: rubano le prede<br />
imprigionate nelle trappole, visitano capanne e pollai<br />
lasciandosi alle spalle una carneficina accompagnata dal loro<br />
intenso cattivo odore. È odiato da cacciatori e allevatori e per<br />
questo non gode di nessuna protezione legislativa; continua<br />
perciò ad essere sottoposto a sanguinose persecuzioni.<br />
ALCE ALCE AMERICANA AMERICANA (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
Un simpatico abitante delle Montagne Rocciose che preferisce<br />
i boschi alle basse latitudini, dove il clima non è rigido, è il<br />
procione. È un mammifero curioso, vivace e anche un po’<br />
buffo per via degli inconfondibili segni sul muso, come una<br />
piccola maschera. È conosciuto anche come orsetto lavatore<br />
perché è solito immergere il cibo nell’acqua di fiumi e ruscelli<br />
per lavarlo prima di mangiarlo. Questo comportamento è più<br />
che altro legato al fatto che il cibo inumidito è più semplice da<br />
masticare, e non tanto alla buona educazione dei procioni!<br />
Questi teneri animali infatti non sono sempre un buon esempio
da seguire: non si costruiscono da soli la tana ma utilizzano<br />
nascondigli naturali o occupano le dimore di altri animali;<br />
approfittano poi con successo della vicinanza dell’uomo,<br />
visitando i centri abitati e combinando veri disastri<br />
rovesciando bidoni della spazzatura e improvvisando risse con<br />
i cani. Insomma, sono piuttosto indisciplinati!! Tuttavia<br />
l’incredibile adattabilità e la vasta dieta dei procioni ne<br />
assicurano la sopravvivenza, anche se la loro crescita viene<br />
frenata dalla caccia promossa dal settore delle pellicce.<br />
Tra le foreste di alberi misti, vicino alle rive dei laghi, si aggira<br />
prudente il cervo codabianca, stretto parente del daino<br />
europeo; è così chiamato per via della parte sottostante della<br />
coda, di un bianco niveo, che funge da ottimo sistema di<br />
allarme in caso di pericolo.<br />
I cervi codabianca possiedono una grande adattabilità dovuta<br />
alla dieta molto varia: quando c’è grande disponibilità di cibo<br />
prediligono la verde erbetta fresca e i teneri germogli delle<br />
piante; nelle stagioni più proibitive vanno alla ricerca di<br />
funghi, frutti e licheni senza disdegnare anche piccoli<br />
ramoscelli e foglie cadute. Le maggiori difficoltà si incontrano<br />
in inverno, quando il cibo è scarso ed è sepolto sotto la neve; la<br />
ricerca di qualcosa da mangiare può risultare così dispendiosa<br />
in termini di energie che può portare il cervo allo stremo delle<br />
forze e, nei casi peggiori, alla morte. Gli esemplari che<br />
riescono a sopravvivere a queste rigide condizioni fanno<br />
appello alle notevoli quantità di grasso accumulate durante la<br />
bella stagione.<br />
Tra i cervi codabianca esistono diversi tipi di associazioni tra<br />
individui; i gruppi principali sono costituiti solitamente da<br />
un’adulta con la figlia di un anno e il cucciolo nato in quella<br />
stagione; spesso più gruppi così formati si uniscono insieme. I<br />
maschi, invece, o vagano solitari fino al periodo degli<br />
accoppiamenti o si riuniscono in gruppi di scapoli.
Durante la stagione degli amori si assiste a numerosi<br />
combattimenti tra maschi per la conquista della femmina. Alla<br />
formazione della coppia segue un breve periodo in cui il<br />
maschio vive insieme alla compagna; dopo l’accoppiamento<br />
però il consorte si dilegua e non svolge più alcun ruolo. La<br />
femmina perciò alleva la propria prole da sola; al momento<br />
del parto nascono 1-2 cuccioli prodigio: dopo mezz’ora sono<br />
già in grado di camminare e dopo poche settimane possono<br />
correre alla massima velocità; sono poi così bravi a<br />
mimetizzarsi tra la vegetazione che nei primi mesi di vita la<br />
mamma li lascia spesso soli per andare in cerca di cibo.<br />
MONTAGNE MONTAGNE ROCCIOSE ROCCIOSE (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker) Parker)<br />
Parker)<br />
L’abilità nello sfuggire ai predatori, la prudenza e la grande<br />
adattabilità che lo caratterizza fa del cervo codabianca una<br />
specie ampiamente diffusa, pur essendo anch’essa soggetta a<br />
caccia dai tempi della conquista del Nuovo Mondo.<br />
I corsi d’acqua circondati da foreste decidue di pioppi, salici e<br />
betulle sono l’habitat ideale del castoro, il simpatico roditore<br />
instancabile costruttore di dighe. Ed è proprio questa attività
che sta alla base della biologia dei castori: essi trovano nei<br />
rami e nei tronchi d’albero una continua fonte di cibo e le<br />
fondamenta della propria casa. I lunghi incisivi a crescita<br />
continua sono dei potenti strumenti che potrebbero far invidia<br />
a un esperto falegname e sono capaci di rosicchiare in breve<br />
tempo rami e tronchi. I legni più robusti sono riservati alla<br />
costruzione della tana, che raggiunge dimensioni<br />
ragguardevoli e una rara complessità architettonica: tutto<br />
parte dallo scavo di una galleria obliqua sotto il livello<br />
dell’acqua, lungo la sponda del fiume; dopo aver rifinito con<br />
fango e stecchi lo spazio in cui andrà a vivere, il castoro,<br />
sfruttando le correnti del fiume, trasporta i tronchi tagliati<br />
verso la tana, che verrà rivestita di legni per renderla più<br />
robusta e assicurarle protezione. La sicurezza di questa<br />
costruzione si trova soprattutto nella localizzazione<br />
dell’ingresso, situato sott’acqua; per evitare che l’entrata sia<br />
esposta in superficie a causa delle oscillazioni del livello<br />
dell’acqua il castoro provvede all’edificazione di una diga, così<br />
da rallentare il flusso del fiume creando un bacino artificiale<br />
in cui vivere in tranquillità.<br />
I legni più teneri e ricchi di germogli non vengono sfruttati per<br />
le costruzioni, bensì fanno parte della dieta dei castori;<br />
essendo animali previdenti, alla fine dell’estate accumulano e<br />
piantano nel fango accanto alla tana numerosi stecchi, creando<br />
una riserva di cibo per l’inverno.
CANE CANE DELLA DELLA PRATERIA PRATERIA PRATERIA (Foto (Foto di di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
Questi roditori sono degli abilissimi nuotatori, poiché la loro<br />
vita è inesorabilmente legata all’acqua. Il loro corpo è forgiato<br />
in modo da adattarsi perfettamente al loro stile di vita:<br />
possiedono una coda larga e piatta che funziona come un<br />
timone sott’acqua; il nuoto è facilitato dalle zampe posteriori<br />
palmate, che fungono da remi; infine il pelo impermeabile<br />
favorisce il galleggiamento e il movimento del corpo. È grazie<br />
a queste importanti caratteristiche che il castoro ha potuto<br />
sviluppare uno stile di vita così insolito ma decisamente<br />
efficace.<br />
Quando una coppia di castori si forma durante la stagione<br />
degli amori durerà per tutta la vita; all’inizio la famiglia sarà<br />
costituita dai genitori e da 2 a 4 cuccioli; i piccoli resteranno<br />
nella tana per il primo anno di vita, rimanendo anche dopo la
nascita della successiva figliata. Si creano così gruppi familiari<br />
numerosi, fino anche a 20 individui, e tutti i componenti<br />
partecipano alla costruzione o al restauro dell’abitazione.<br />
I castori in passato sono stati soggetti a una incessante caccia<br />
legata alla richiesta di pelli non conciate che ne ha causato una<br />
drastica diminuzione. Attualmente, grazie alle leggi che<br />
limitano l’attività venatoria, questo roditore può prosperare<br />
indisturbato nel suo ambiente.<br />
Nelle fitte e verdi boscaglie, in tronchi cavi o in rifugi<br />
sotterranei vive la moffetta, un piccolo mammifero dal manto<br />
striato bianco e nero. Questa alternanza di colori primari crea<br />
un effetto ottico che funge da allarme verso eventuali<br />
predatori: la moffetta è infatti dotata di una temibile arma<br />
chimica costituita da ghiandole odorose che emettono una<br />
sostanza acre ed irritante. Quando si sente minacciato<br />
l’animale si appoggia sulle zampe anteriori, ruota il posteriore<br />
verso lo scocciatore e spruzza il liquido nauseante all’altezza<br />
del suo muso, guadagnandosi così il tempo per fuggire e il<br />
rispetto futuro dell’aggressore.<br />
Questa tecnica infallibile ha reso la moffetta una delle prede<br />
meno ricercate, fama che le permette di vagare indisturbata<br />
nel suo habitat senza doversi nascondere o mimetizzare: gli<br />
imprudenti sono avvertiti!!<br />
Questo piccolo mammifero predilige la notte per andare in<br />
cerca di cibo, mentre di giorno rimane nella tana a riposare.<br />
Durante i lunghi e freddi inverni resta nel suo rifugio per<br />
periodi prolungati, dove cade in sonni profondi che<br />
consentono di conservare le energie senza ricorrere al letargo.<br />
Le moffette sono attive cacciatrici; predano ratti e topi, il loro<br />
cibo preferito, uccellini e insetti. La dieta è variabile in base a<br />
ciò che la stagione offre: in primavera e autunno alla carne si<br />
aggiungono grandi quantità di granaglie, piante verdi, bacche<br />
e frutti.
Grazie alla sua arma maleodorante e alla convinzione che<br />
emani sempre cattivo odore, la moffetta è poco apprezzata dai<br />
cacciatori e dai fabbricanti di pellicce e viene quindi lasciata in<br />
pace.<br />
Tra le basse quote delle Rockies meridionali, dove i boschi si<br />
diradano per dare spazio alle praterie di arbusti e ai canyons<br />
contorti, si aggira il bassarisco, un piccolo e agile predatore<br />
dal pelo rossiccio. È un incredibile equilibrista che si<br />
arrampica su ogni superficie disponibile e si insinua in ogni<br />
incavo o fessura: si appiattisce per intrufolarsi tra le pareti di<br />
una stretta crepa, è capace di spostarsi lungo rami e tronchi a<br />
testa in giù senza alcuna difficoltà e la sua agilità gli consente<br />
di correre e saltare aggrappandosi ad ogni tipo di appiglio. È<br />
un mammifero spericolato e molto coraggioso, poiché non<br />
esita ad attaccare animali più grandi di lui quando si sente<br />
minacciato. L’agilità e la decisione che caratterizzano il<br />
bassarisco lo rendono un infallibile predatore, in grado di<br />
cacciare tra i rami degli alberi in cerca di uccelli e scoiattoli,<br />
sulla terraferma per rincorrere topi e tra cunicoli sotterranei<br />
per stanare conigli; il suo coraggio si spinge finanche a<br />
cacciare serpenti. Nei momenti di relax ama nutrirsi anche di<br />
insetti, frutta e noci, che rendono completa la sua dieta e non<br />
richiedono sforzi per la cattura.
YOHO YOHO YOHO NATIONAL NATIONAL NATIONAL PARK PARK (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
I bassarischi sono animali molto territoriali e amano vivere in<br />
solitaria; delimitano la propria area con segnali odorosi<br />
spruzzando urina lungo il perimetro. Solo nella stagione<br />
riproduttiva due individui possono convivere nello stesso<br />
territorio, ma al momento del parto la femmina gradisce stare<br />
sola e allontana il maschio; quest’ultimo talvolta non si fa<br />
persuadere e resta ad aiutare la compagna nella ricerca di<br />
cibo.<br />
Per quanto riguarda la protezione della specie i bassarischi<br />
non sono a rischio. I maggiori pericoli sono costituiti dalle<br />
trappole tese per altri animali e dalle automobili che spesso li<br />
investono.<br />
Oltre alle meraviglie celate sotto la coltre verde degli alberi,<br />
nelle acque cristalline, tra le valli e i canyons, le Montagne<br />
Rocciose proteggono una magnifica varietà di uccelli che ne<br />
sorvola i limpidi cieli.<br />
Sono soprattutto i grandi rapaci i re di questo ambiente, che<br />
secondo i nativi americani rappresenta uno dei più grandi
simboli della loro cultura, là dove vivono lo spirito del Sole e<br />
della Luna e dove gli Antenati vegliano sui propri discendenti.<br />
Il più maestoso predatore dei cieli è la splendida aquila dalla<br />
testa bianca, scelta come emblema nazionale degli Stati Uniti<br />
come metafora di libertà, potere e sovranità. Vive nelle<br />
vicinanze di specchi d’acqua, laghi o fiumi, poiché tra le sue<br />
prede preferite si annovera ogni tipo di pesce che viene<br />
catturato con una tecnica che raramente fallisce: quando il<br />
bersaglio viene individuato dall’alto l’aquila si lancia in<br />
picchiata, immerge le zampe sotto il pelo dell’acqua e affonda i<br />
micidiali artigli nella preda, che non ha scampo. Quando la<br />
stagione invernale plasma uno strato di ghiaccio sulla<br />
superficie dell’acqua l’aquila dalla testa bianca sposta la sua<br />
attenzione su altri obiettivi, come uccelli, mammiferi e rettili,<br />
senza disdegnare carogne e avanzi di cibo.<br />
Le aquile dalla testa bianca sono animali fedeli che<br />
mantengono per tutta la vita lo stesso legame e quasi sempre lo<br />
stesso nido, che viene ampliato di anno in anno fino a<br />
raggiungere dimensioni spropositate. La coppia si forma o si<br />
rinnova in seguito a un rituale di corteggiamento che avviene<br />
in volo: dopo varie acrobazie, picchiate e finti attacchi viene<br />
stabilito un contatto tra gli artigli; questo gesto sigilla il<br />
legame che accompagnerà gli individui per tutta la vita.<br />
Una caratteristica insolita è la differenza di corporatura tra<br />
maschi e femmine: al contrario di ciò che ci si aspetta, sono le<br />
femmine ad essere più grandi. Questo vantaggio permette alle<br />
madri di proteggere meglio i propri pulcini sia dai comuni<br />
predatori sia dagli attacchi dei maschi.<br />
Purtroppo questo maestoso rapace è stato sterminato in<br />
passato dalla caccia ma soprattutto dall’uso dei pesticidi, in<br />
particolare il DDT, che ne riducevano drasticamente la<br />
riproduttività. Da qualche anno a questa parte<br />
fortunatamente la popolazione delle aquile dalla testa bianca è
in ripresa, grazie alla saggia realizzazione di leggi che la<br />
tutelano.<br />
Una specie molto affine a quest’ultima è l’aquila reale, il cui<br />
nome ne indica la grazia e la maestosità. Le abitudini di questo<br />
predatore alato sono simili a quelle dell’aquila dalla testa<br />
bianca. L’aquila reale non presenta però il piumaggio del capo<br />
bianco candido, ma possiede penne dello stesso colore del<br />
corpo, di un bruno lucente.<br />
PROCIONE PROCIONE (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Questi due potenti rapaci differiscono tra loro per l’habitat e il<br />
tipo di dieta: le aquile reali preferiscono nidificare a quote più<br />
alte, sopra il limite del bosco e lontano da corsi d’acqua e
laghi, che possono risultare ambienti “troppo affollati”; nella<br />
loro dieta il pesce non è l’alimento principale e le prede<br />
preferite sono altri uccelli e mammiferi come marmotte, lepri<br />
e piccoli daini.<br />
Un ultimo elemento che purtroppo accomuna l’aquila dalla<br />
testa bianca e l’aquila reale è la spietata caccia a cui sono state<br />
soggette negli anni, che ne ha drasticamente ridotto il numero.<br />
Continuando la panoramica sui rapaci, un altro esemplare di<br />
questa categoria è il falco pescatore. Questo uccello si<br />
riconosce dal piumaggio bicolore bianco e marrone, che<br />
origina particolari striature sulla testa, sul collo, sotto le ali e<br />
la coda. Vive esclusivamente nelle vicinanze di bacini d’acqua<br />
non inquinata, dove le sue indifese prede si aggirano vicino<br />
alla superficie ignare del pericolo incombente. Il falco si nutre<br />
di pesci quali salmoni, trote e carpe, che cattura con rapida<br />
immersione degli artigli nell’acqua, dopo un’attenta<br />
perlustrazione dall’alto.<br />
Quando le temperature diminuiscono e le acque gelano<br />
impedendo ai falchi di pescare, essi migrano verso regioni più<br />
calde; lo spostamento espone però questi uccelli a rischio per<br />
via dell’uomo, che aspetta questo momento di maggior<br />
vulnerabilità per abbattere quanti più esemplari possibili.<br />
Al tramonto, quando cala la sera e i rapaci diurni si riposano<br />
nei loro rifugi, giunge l’ora del padrone della notte, il gufo.<br />
Questo uccello dal piumaggio perfettamente mimetico vive tra<br />
i boschi di conifere delle Rockie Mountains, nascondendosi tra<br />
i rami grazie al colore delle penne che richiama il marrone<br />
degli alberi e tutte le sue sfumature. Di giorno è molto raro<br />
avvistarlo, perché è nascosto nel suo nido a riposare dopo una<br />
nottata di vagabondaggi, in cui va alla ricerca di piccole prede<br />
che scova grazie ai suoi sensi acutissimi: possiede infatti vista e<br />
udito così fini da individuare un piccolo roditore in movimento<br />
nel buio da grandissime distanze. Questo rapace, nella caccia,<br />
sfrutta al massimo l’effetto sorpresa che può creare grazie al
suo volo silenzioso, dovuto al piumaggio morbido e lanoso che,<br />
in movimento, non emette il minimo fruscio; può così<br />
avvicinarsi alla preda dall’alto, rapido e silente, e afferrarla<br />
con gli artigli prima che abbia la possibilità di scappare.<br />
Da tempi immemorabili nelle culture di diversi popoli il gufo è<br />
usato come metafora di saggezza, soprattutto nelle favole e<br />
nelle leggende, dove personifica la guida di tutti gli animali.<br />
Possiede in effetti un aspetto intelligente e riflessivo, donatogli<br />
dai ciuffi di piume che ne ornano la testa e che gli conferiscono<br />
sembianze da vecchio sapiente.<br />
Secondo alcune credenze questo uccello è legato alla morte,<br />
come portatore di cattivi presagi e custode dei cimiteri, e per<br />
questo temuto e spesso perseguitato; alcuni miti pellerossa<br />
invece definiscono il gufo come un’anima dei defunti, un<br />
legame diretto del Mondo dei Vivi con la Terra dei Morti, a<br />
cui portare un profondo rispetto.<br />
Un compagno di caccia del gufo è il barbagianni, uccello<br />
snello, soffice e dal muso a forma di cuore che gli conferisce un<br />
aspetto dolce. Vive nei boschi di bassa quota, ma se trova<br />
edifici abbandonati e antiche case vi si stabilisce, dimorando<br />
nelle crepe dei muri, nelle soffitte o tra le travi. È stazionario e<br />
territoriale, e, una volta insediatosi nella zona da lui prescelta,<br />
non la abbandona più.
ATHABASKA ATHABASKA FALLS FALLS (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
È un uccello dal finissimo udito e dalla vista acuta che gli<br />
permettono di cacciare abilmente anche nelle notti più scure.<br />
Come per il gufo, anche il barbagianni possiede una strategia<br />
infallibile che è il volo: silenzioso, ondulato e leggero, radente<br />
al suolo, che lascia alle prede poche vie di scampo. È un<br />
uccello che non possiede nemici; non teme nemmeno l’uomo,<br />
con cui, in alcuni luoghi, stringe un muto patto, poiché si nutre<br />
di animali potenzialmente dannosi, come ratti, topi e talpe.<br />
Il barbagianni è tutelato dalla legge, ma in alcune località la<br />
sua comparsa sui tetti delle case, il suo avvistamento durante il<br />
giorno o il semplice udire il suo rauco e spiacevole verso sono<br />
interpretati come messaggi di sventura e di morte, che portano<br />
la popolazione ad attuare una spietata caccia nei suoi<br />
confronti.<br />
Tra gli svariati ambienti che le Rockies offrono vive e<br />
prospera il corvo imperiale, uccello estremamente adattabile<br />
che sopravvive a qualsiasi tipo di clima e habitat, dalle pianure<br />
temperate fino alle più alte cime innevate.
È molto simile al corvo europeo che tutti conosciamo, ma ne<br />
differisce per le dimensioni, che sono maggiori, e per la<br />
sfumatura di colore: il corvo imperiale possiede un piumaggio<br />
nero molto lucido, ricco di riflessi.<br />
È un uccello carnivoro che si nutre di una grande varietà di<br />
alimenti ed è così insaziabile che si getta su ogni carogna che<br />
trova: conigli e lepri, cervi, alci e anche bestiame. Quando le<br />
carcasse scarseggiano il corvo si attiva e caccia da sé piccoli<br />
mammiferi e uccelli; solitamente prende di mira soggetti feriti,<br />
malati o deboli, prede più facili da abbattere.<br />
Il corvo imperiale possiede grandi abilità aeree di cui fa<br />
continua mostra quando solca il cielo: lo si può osservare<br />
mentre compie complicate manovre, impegnato in una danza<br />
fatta di piroette, picchiate, planate e virate, tutto svolto con la<br />
piena padronanza che solo un dominatore dei cieli possiede. Il<br />
corvo è anche dotato di una grande intelligenza: sono stati<br />
visti esemplari raggiungere il nido percorrendo una strada<br />
nascosta per non rivelarne la posizione ai predatori. Anche in<br />
cattività questi uccelli danno il meglio di sé: sono in grado di<br />
imitare la voce umana e imparano piccoli giochetti per<br />
ottenere cibo in cambio. Bisogna fare attenzione, quindi, non<br />
sono tipi da farsi prendere in giro!!<br />
Secondo i riti totemici il corvo è il messaggero della magia che<br />
assorbe l’energia magica per recapitarla nel luogo a cui essa è<br />
destinata. È saggio e punisce le azioni scorrette, poiché<br />
riconduce le energie negative a chi si rende colpevole di atti<br />
disonesti. Forse è per questo che il corvo è considerato<br />
l’uccello del malaugurio da moltissime popolazioni.
CASTORO CASTORO (Foto (Foto di di di Max Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
Nelle vaste praterie d’alta quota, nella brughiera e nella<br />
sconfinata tundra, tra i bassi cespugli di salice nano, betulla e<br />
erica, si nasconde la pernice, pauroso e timido uccello dal<br />
piumaggio mutevole. Essendo così timorosa e non possedendo<br />
armi di difesa, la pernice si protegge dai pericoli cambiando il<br />
colore delle penne in armonia con le tinte di stagione: in estate<br />
assume una colorazione marroncina con sfumature bianche e<br />
nere; in inverno diventa completamente bianca, per<br />
mimetizzarsi nella neve; in autunno e primavera il piumaggio<br />
sfoggia una nuance bruna con striature bianche. Questa<br />
capacità mimetica, accompagnata da una strategia volta a<br />
nascondersi dai predatori e a confonderli spiccando<br />
improvvisamente il volo a pochi passi da loro, rende la pernice<br />
una preda difficile da catturare. Le femmine sono così<br />
fiduciose nella mimesi del loro piumaggio che durante la cova<br />
delle uova non abbandonano mai il nido, sentendosi protette<br />
anche dal maschio, che pattuglia il territorio gracchiando<br />
rumorosamente. Dalle uova nascono pulcini robusti, con gli
occhi aperti e le zampe già forti, capaci di correre e nutrirsi da<br />
soli già nel giro di pochi minuti.<br />
Le pernici sono molto adattabili e non vanno incontro a grandi<br />
difficoltà di sopravvivenza durante l’inverno perché la loro<br />
dieta è sincronizzata con il ritmo delle stagioni: nella stagione<br />
fredda si nutrono di germogli e ramoscelli, mentre nel resto<br />
dell’anno si alimentano di semi, bacche, germogli verdi, insetti<br />
e altri invertebrati. Solo quando si verificano inverni<br />
particolarmente rigidi questi uccelli si spostano verso luoghi<br />
più riparati e meno proibitivi.<br />
Tutte queste splendide creature vivono armoniosamente le<br />
loro vite tra gli incantevoli e suggestivi luoghi che le Montagne<br />
Rocciose regalano, allietati da una immensa varietà floristica.<br />
Gli animali zampettano tra verdi felci, cespugli spinosi ricchi<br />
di bacche, piccoli arbusti legnosi, robusti alberi dalle foglie<br />
volubili, imponenti conifere dagli aghi acuminati e resistenti,<br />
incorniciati in un quadro di fioriture che vede protagonisti dai<br />
minuscoli fiori profumatissimi a quelli più grandi dai colori<br />
sgargianti.<br />
Tutto intrecciato in un’unica, colorata tela che è la vita.<br />
ROBERTA GROSSI
LUPO<br />
Testi e foto di Max Montaina<br />
Camminare in inverno, circondati da una spessa coltre nevosa,<br />
è già un impegno fisico notevole, ma se a questo aggiungiamo<br />
anche il peso dell’attrezzatura di ripresa (fotocamere,<br />
obiettivi, cavalletti, ecc.), con il pericolo sempre in agguato di<br />
scivolare sul terreno ghiacciato, l’impegno diventa veramente<br />
arduo. E proprio una di queste mattine era destinata a lasciare<br />
il segno indelebile nella mia esperienza di studio a diretto<br />
contatto con la natura.<br />
Dopo aver letteralmente “sfacchinato” per circa tre ore,<br />
mentre mi apprestavo a raggiungere la stupenda macchia<br />
boscosa del nord della Finlandia, il mio incedere venne<br />
bruscamente interrotto da strazianti urla improvvise<br />
riecheggianti da lontano, o così almeno mi sembrava. Tesi, nel<br />
più assoluto silenzio, le mie orecchie, per carpire e soprattutto<br />
decifrare quanto stava per accadere.
Non ebbi nemmeno il tempo di darmi eventuali spiegazioni; a<br />
poche decine di metri da me scorsi un branco di lupi in<br />
procinto di definire la reale scala gerarchica tra esemplari<br />
maschi, ossia quell’elemento che all’unanimità era<br />
riconosciuto capo assoluto del branco: l’esemplare “alfa”.<br />
Le urla strazianti non erano altro che gli ululati dei lupi<br />
disseminati nel vasto e rado sottobosco scandinavo.<br />
Fu questa la prima volta che vidi casualmente una specie<br />
animale sebbene mi fossi recato in quella regione per<br />
osservare la Lince; di fronte a tanta abbondanza ed essendo<br />
ormai in loco decisi che per questa volta la lince poteva<br />
aspettare.<br />
Oggigiorno incontrare questo animale è pressochè un fatto<br />
occasionale in tutte le zone del Pianeta Terra.<br />
Narrare la vita del Lupo, significa entrare in un mondo<br />
costellato di falsi miti e di assurde leggende. Io non perderò<br />
tempo inutilmente perchè tanto inchiostro è già stato sprecato;<br />
mi limiterò ad esemplificare comportamenti e abitudini
osservati e studiati sul campo dalla Scandinavia alla Penisola<br />
Iberica, lasciando la fantazoologia ad altri.<br />
Innanzitutto, parlando del lupo (Canis lupus), non possiamo<br />
non rimarcare, per un<br />
esemplare cosmopolita, la sua differenza “estetica” e<br />
strutturale a seconda delle aree geografiche occupate. Il lupo<br />
della zona artica fino al limitare delle calotte nordiche,<br />
presenta un manto quasi uniformemente bianco. In America,<br />
soprattutto in quella meridionale, il manto può variare dal<br />
grigio a una tonalità quasi totalmente nera. Nelle aree<br />
Subartiche e nelle grandi foreste di conifere, il nostro animale
presenta dimensioni maggiori ed un manto tendenzialmente<br />
grigio; alle latitudini temperate le dimensioni sono minori e il<br />
colore grigio inizia a mescolarsi con il marrone. Nella parte<br />
meridionale dell’emisfero gli esemplari sono di piccola taglia e<br />
presentano un manto curiosamente rossastro; il colore degli<br />
“abitanti” delle zone desertiche è quello della sabbia in cui<br />
vivono.<br />
Questa è dunque una specie molto variabile, ciononostante,<br />
appartenendo tutti alla specie Canis Lupus, gli esemplari di<br />
diversa collocazione geografica, accoppiandosi, generano prole<br />
fertile.<br />
Per poter meglio comprendere quanto l’uomo debba<br />
adoperarsi nell’opera di protezione di questo animale, è bene<br />
inquadrare l’attuale consistenza numerica della specie nel<br />
nostro continente.<br />
Il lupo è sicuramente il predatore più forte d’Europa: è<br />
robusto, massiccio, veloce; le zampe sono leggere e dotate di<br />
muscoli scattanti.
Vista, udito e olfatto sono estremamente sviluppati; riesce a<br />
scorgere le sagome anche al buio. Questo particolare è<br />
tutt’altro che trascurabile se si considera che la vista riveste<br />
una funzione primaria durante la caccia.<br />
Distinguere il maschio dalla femmina non è impresa facile,<br />
tuttavia esaminando le dimensioni corporee si noterà che la<br />
femmina risulta più piccola (e quindi più leggera); il maschio<br />
ha infatti cranio e torace più massicci.<br />
Quando la femmina veglia sui cuccioli nati verso la fine di<br />
maggio (solitamente da 3 a 8), il branco deve cacciare anche<br />
per lei poichè cresce il fabbisogno alimentare in relazione alla<br />
sopravvivenza stessa della prole, soprattutto se numerosa.<br />
Durante l’allattamento la femmina non abbandona mai i<br />
cuccioli, ben consapevole di possedere molti nemici naturali<br />
pronti ad intervenire alla minima distrazione.<br />
Tipico atteggiamento della specie è deviare le attenzioni del<br />
predatore dalla prole allontanandosi dalla tana nell’intento di<br />
depistarlo, anche a costo della vita stessa.<br />
A circa una settimana dalla nascita i lupacchiotti hanno<br />
finalmente aperto gli occhi e, a debita distanza la femmina<br />
osserva i loro primi vagabondaggi alla scoperta del mondo.<br />
Questo atteggiamento di massima all’erta è stato osservato<br />
essere direttamente
proporzionale alla pressione venatoria o di disturbo provocata<br />
dall’uomo nei vari secoli di convivenza con questo impavido<br />
animale. In alcuni casi la femmina possiede più di una tana in<br />
cui nascondere, in casi di estrema necessità, la prole.<br />
Ogni sorta di trappola, la stricnina (contenuta nei bocconi<br />
avvelenati), le battute di caccia, sono solo qualche esempio<br />
della vera e propria ingiustificata “guerra” che l’uomo nel<br />
corso del tempo ha dichiarato al lupo. Fortunatamente, per<br />
contro, nel campo scientifico troviamo alcuni personaggi che<br />
hanno dedicato parte della loro vita allo studio e alla tutela di<br />
questo canide. Sono personaggi ai quali tutti noi dobbiamo<br />
molto se ancor oggi possiamo parlare del lupo. Primi nella<br />
lista lo studiosi e documentarista spagnolo Felix Rodrigueza<br />
de la Fuente e il nostro Luigi Boitani, anch’esso studioso e<br />
naturalista, curatore del “Progetto Lupo” con il patrocinio del<br />
W.W.F.<br />
E’ un animale sociale e tendenzialmente territoriale. Intorno<br />
alla coppia maschio-femmina ruota la vita sociale del branco.<br />
Ogni gruppo, composto da uno o più esemplari possiede un
territorio di dimensioni variabili a seconda della presenza di<br />
prede, nel rapporto: poche prede, territorio vasto e viceversa.<br />
I territori dei diversi branchi sono confinanti e i confini<br />
devono essere difesi dai vari tentativi di intrusione. Per<br />
marcare il territorio depongono urine e feci lungo i confini.<br />
Non di rado l’ululato contribuisce ad “annunciare” la presa di<br />
proprietà di una zona, sebbene la sua fondamentale<br />
utilizzazione sia da attribuire alla comunicazione fra i<br />
cospecifici dello stesso branco.<br />
Nel caso di un contatto diretto fra esemplari di branchi<br />
cosiddetti “opposti” per indicare la predominanza,<br />
l’esemplare che si sente più forte, alza la coda nel suo<br />
territorio.
All’interno dei branchi vengono a crearsi veri e propri<br />
rapporti sociali regolati da solide e rigide gerarchie.<br />
I maschi possiedono una linea gerarchica; le femmine seguono<br />
una linea separata.La coppia formata dal maschio e dalla<br />
femmina più forte diviene la coppia “principe”. Le posizioni<br />
scaturiscono da continue schermaglie fra animali dello stesso<br />
sesso; non portano ad alcun danno fisico e seguono quasi<br />
sempre questo rituale: i due contendenti si fronteggiano l’un<br />
l’altro a code alzate, quindi pongono le stesse in posizione<br />
orizzontale, allorchè abbassano le orecchie e sollevano le<br />
labbra; finalmente avviene lo scontro. Terminata la tenzone, il<br />
vnto scopre il collo ad indicare la sua sottomissione, inibendo il<br />
vincitore nell’infierire mortalmente. Così il lupo perdente ( se<br />
così lo si può definire), si allontana.<br />
Da tutto ciò si può capire quanto netta, benché incruenta sia la<br />
distinzione gerarchica. Solo nel caso della “privilegiata”<br />
posizione di comando, denominata alfa, può accadere che si<br />
sconfini nella violenza e quindi nell’inevitabile spargimento di<br />
sangue, per giungere in alcune rare occasioni alla morte.<br />
Quando un capobranco verrà sostituito, difficilmente si<br />
adatterà a rimanere nel gruppo; si allontanerà divenendo un<br />
solitario, un emarginato in tutto e per tutto. A questo punto,<br />
per la particolare ecologia che contraddistingue i lupi, in breve<br />
tempo morirà.<br />
Possiamo tranquillamente affermare che il lupo possiede<br />
un’alimentazione alquanto variegata. Questa subisce<br />
l’influenza dell’ambiente nel quale vive e si differenzia nei<br />
diversi mesi dell’anno solare. Negli ambienti rimasti inalterati,<br />
il nostro carnivoro svolge un’ottima azione equilibratrice;<br />
contribuisce infatti a mantenere “in salute” la popolazione<br />
delle sue prede preferite, gli erbivori. Opera una selezione di<br />
tipo qualitativo, predando in prevalenza animali vecchi e<br />
malati.
La sua adattabilità all’ambiente e alle situazioni più difficili, lo<br />
ha spinto a cibarsi,<br />
oltre che di erbivori, di un po’di tutto. In definitiva non è da<br />
escludere che si nutra di materie vegetali, di piccoli<br />
mammiferi, ma soprattutto, è appurato che il lupo abbia<br />
iniziato a rastrellare, ovunque si trovi, rifiuti di ogni genere.<br />
Peculiare e da rimarcare è l’alimentazione de lupo che vive<br />
nelle regioni nordamericane, principalmente in Alaska. Si ciba<br />
quasi esclusivamente di Caribù e solo in piccole percentuali di<br />
Alci e Scoiattoli.<br />
Il lupo è un animale crepuscolare e notturno: durante il giorno<br />
ama riposarsi. Con le tenebre scende nelle vallate per<br />
procurarsi il cibo, e alle prime luci dell’alba riguadagna le<br />
zone di riposo. Gli spostamenti quotidiani possono<br />
raggiungere anche i 10 km. Riconosce con grande abilità le<br />
tracce di presenza di eventuali prede. Nell’arte del cacciare è<br />
molto astuto; per far perdere le loro tracce i branchi che si<br />
apprestano alla caccia camminano in fila indiana e ogni
animale ricalca le orme di quello che lo ha preceduto, per non<br />
rendere riconoscibile il numero degli esemplari in caccia.<br />
Il lupo possiede un aspetto apparentemente molto simile a<br />
quello del cane domestico di grosse dimensioni. In realtà le<br />
differenze esistono all’interno della specie stessa; trovare un<br />
lupo identico ad un altro non è facile nemmeno all’interno<br />
dello stesso branco: le variazioni d’aspetto possono essere le<br />
più svariate. L’evoluzione di questa specie, è, come d’altra<br />
parte per lo sciacallo, tutto in atto.<br />
Un adulto misura circa 1,60 m di lunghezza, di cui 45 cm<br />
occupati dalla coda; l’altezza alla linea del dorso è di circa 85<br />
cm.<br />
Gli areali del lupo vanno sempre più restringendosi, sebbene<br />
l’ultim’ora della sua permanenza nei biotopi europei,<br />
soprattutto antropizzati, sia ancora lontana.<br />
Abita le regioni solitarie, tranquille e deserte, specialmente i<br />
boschi folti, le pianure asciutte o paludose e le steppe.<br />
Nell’Europa centrale si è ormai rifugiato esclusivamente alle<br />
alte quote.<br />
Quando non è trattenuto dalle cure parentali nei confronti dei<br />
cuccioli si avventura, vagando di luogo in luogo, alla scoperta<br />
di nuovi territori, per poi tornare eventualmente nelle vecchie<br />
zone di caccia. In primavera e in estate vive solitario o a<br />
coppie, in autunno si riunisce in famiglie, mentre in inverno, se<br />
le dimensioni del territorio lo permettono, si formano gruppi<br />
numerosi esemplari.
Questa vita errabonda richiede un enorme spreco di energie,<br />
un costante ricambio organico e un conseguente elevato<br />
consumo di cibo. I danni che il lupo arreca durante la caccia<br />
sarebbero sopportabili se questo carnivoro non avesse la<br />
brutta abitudine di “sgozzare” per istinto un numero di<br />
vittime superiore a quelle che consuma; per queste ragioni<br />
viene considerato un vero e proprio flagello, soprattutto nelle<br />
regioni della terra in cui è attuata la pastorizia.<br />
Sebbene debba essere tenuto in debita considerazione che il<br />
10% degli attacchi agli erbivori selvatici si risolve<br />
positivamente per il lupo ( per cui il restante 90% può<br />
garantire la sopravvivenza alle altre specie), è da comprendere
e ponderare al di sopra delle parti, la colpa da “addossare” al<br />
lupo nel contesto dell’equilibrio e della salvaguardia del suo<br />
ambiente vitale.<br />
Durante un soggiorno in Cecoslovacchia con la nostra equipe<br />
abbiamo assistito alla scena di un gruppo di lupi che stava<br />
letteralmente “sbranando” un solitario. Queste scene<br />
potrebbero indurre il profano a giudicare il lupo in termini<br />
forzatamente negativi, per cui è opportuno spiegare che la<br />
scintilla che ha scatenato tutto questo è da ricercarsi nelle<br />
complesse gerarchie sociali di cui si è parlato.<br />
L’uomo è il solo “predatore” con cui il lupo è in conflitto; con<br />
gli altri predatori ha un rapporto differenziato: teme l’orso<br />
bruno, ignora la lince e spadroneggia nei confronti della volpe.<br />
Zoologicamente parlando, la specie Canis lupus, si diversifica<br />
in numerose sottospecie.<br />
Nel nostro Paese, all’inizio del secolo scorso, il lupo era<br />
presente su tutto il territorio nazionale, con la sola esclusione<br />
della Sardegna.<br />
Nella Pianura Padana, un tempo verde, lussureggiante e ricca<br />
di selvaggina, nel momento in cui le armi, sempre più<br />
sofisticate, iniziarono a restringere l’areale di questo canide,<br />
ebbe inzio il lento declino del lupo stesso. In Sicilia la specie è<br />
sopravvissuta fino al 1920 circa.
Le cause della sua scomparsa sono da attribuirsi<br />
all’improvvisa riduzione ( nella piramide alimentare che vede<br />
il lupo al vertice ), di cervi, daini e caprioli. Questa peculiarità<br />
ha contribuito a modificare gli atteggiamenti del branco<br />
durante la caccia, un tempo svolta con la massima<br />
cooperazione e ora attuata da un gruppo assai sgretolato.<br />
Un altro grave problema è causato dall’incessante e continuo<br />
aumento dell’antropizzazione ai margini degli habitat naturali<br />
in cui vive.<br />
Nei prossimi anni, opera fondamentale sarà quella di<br />
reintrodurre i grossi erbivori, indispensabili al lupo.
Un importante fattore da considerare è il randagismo sempre<br />
crescente. Da augurarsi è senza dubbio che vi sia un<br />
ridimensionamento. Il controllo di questo “penoso” fenomeno<br />
risolverebbe anche la sua fierezza di predatore “puro”, in<br />
quanto troppo spesso gli vengono ingiustamente imputate<br />
stragi di animali d’allevamento, compiute in realtà da cani<br />
rinselvatichiti, il cui rapporto numerico con il lupo è di 1 a<br />
100. Questo permetterebbe anche di ridurre il rischio di<br />
malattie e l’ibridazione, che porta ad un inevitabile<br />
impoverimento e indebolimento genetico della specie.<br />
In italia sopravvive nella catena appenninica dal Parco<br />
Nazionale d’Abruzzo alla Calabria ( Pollino), dagli 800 ai 1800<br />
metri di quota. In ogni caso, sebbene le alterazioni<br />
dell’ambiente abbiano causato il cambiamento della vita di<br />
gruppo, il lupo “italiano” rimane un animale prettamente<br />
sociale. Dal 1976, ottenuta la protezione totale del carnivoro<br />
sul nostro territorio, è iniziata una grande e pressante opera di<br />
conoscenza e di sensibilizzazione atta a debellare i falsi luoghi<br />
comuni che hanno sempre perseguitato il lupo.<br />
Osservandolo con i propri occhi, ci si rende conto che la sua<br />
vita di temuto predatore scorre in maniera alquanto<br />
inaspettata; seguire le schermaglie tra maschi, le posture di<br />
sottomissione e le dispute di supremazia nei ranghi, offre<br />
spunti notevoli, anche all’osservatore più distratto.<br />
Questo animale è circondato da un alone di misticismo che lo<br />
rende quasi irreale, eppure, se si analizza il tutto con<br />
scientifico rigore, appare così come in realtà è: un “cane” che<br />
non ha assolutamente accettato, e decisamente a ragione, di<br />
assoggettarsi a egoistici voleri dell’uomo!.<br />
Milioni di anni sono passati da quando il primo lupo fece la<br />
sua apparizione sulla faccia della terra, eppure, sebbene<br />
l’uomo abbia sempre interferito, questo animale ha seguito la<br />
sua strada, sicuramente molto tortuosa e piena di pericoli, ma<br />
che gli hanno garantito di mantenere in vita la sua specie.
Quando terminai le mie spedizioni e i miei reportages, rimase<br />
nel mio cuore una sensazione di benessere “primordiale”,<br />
grazie a tutto il tempo che avevo passato a stretto contatto con<br />
il lupo osservando il suo comportamento. Mi sembrava di<br />
rivivere epoche perdute, remote; epoche nelle quali l’uomo<br />
viveva in totale armonia con le creature che popolavano la<br />
terra; epoche nelle quali bastava guardare una madre leccare<br />
teneramente un cucciolo, per sentirsi appagati e in pace con se<br />
stessi.<br />
MAX MONTAINA
PARCO NAZIONALE DEL<br />
SERENGETI<br />
Testi di Stefania Corti<br />
Foto di Max Montaina<br />
Otto agosto. Dalle finestre del nostro lodge penetra una luce<br />
intensa. È l’alba di una nuova emozionante giornata africana.<br />
Quattro giraffe diventano improvvisamente visibili contro il<br />
bagliore del sole nascente. Saliamo sui nostri fuoristrada e<br />
partiamo alla scoperta di questo immenso parco nazionale.<br />
Il Serengeti, a nord della Tanzania si estende per oltre<br />
13.000 km tra le sponde orientali del grande lago Vittoria e i<br />
pendii del monte Kilimangiaro (5895m). Al di là del confine, il<br />
Kenia, prolunga la sua estensione di ancora 1812 kmq nel<br />
parco Masai Mara. Nella lingua Masai, ci spiegano, Serengeti<br />
significa “spazio che non ha fine” e non stentiamo a crederlo.
Leonessa<br />
Leonessa<br />
Grandi pianure, mari di erba che si trasformano lentamente<br />
in savana, spazi infiniti come solo era possibile immaginare.<br />
Disturbato dal rumore del motore un branco di gazzelle di<br />
Thomson scatta agile e veloce cercando riparo nella boscaglia.<br />
Poi gli incontri si susseguono in rapida sequenza scatenando in<br />
noi emozioni forti. Ecco attraversarci la pista giraffe in corsa<br />
leggera, zebre, tre impala. A lato del sentiero alcuni bufali e<br />
un grosso branco di gnu.
È difficile abituarsi all’immensità del Serengeti, così come ci<br />
è difficile penetrare totalmente il pensiero della nostra guida<br />
masai: “Voi bianchi non potete avere le idee chiare perché non<br />
potete vedere l’orizzonte, il vostro sguardo è racchiuso da<br />
troppe cose”. Un semplice concetto, se vogliamo, che ci<br />
restituisce in parte quella dimensione di libertà e di purezza<br />
della vita che solo in un ambiente profondamente naturale si<br />
può trovare. Ogni altura permette di dominare pianure<br />
illimitate, punteggiate qua e là dalle tipiche acacie ombrellifere<br />
e dai maestosi baobab.<br />
Orizzonti aperti e lontani e in noi il sentirsi infinitamente<br />
piccoli, parte di un ecosistema unico per la sua ricchezza e<br />
varietà di specie. La vegetazione più fitta ci prepara<br />
all’incontro con un gruppo di elefanti. Riconosciamo la
femmina più vecchia grazie alle dimensioni eccezionali, mentre<br />
alcuni piccoli, forse di età diversa, suscitano in noi una<br />
spontanea tenerezza. Ai margini della boscaglia siamo colpiti<br />
da un lampo giallastro. Torniamo indietro e all’ombra di<br />
un’acacia, distese e sonnecchianti, alcune leonesse sembrano<br />
attenderci. Si lasciano contemplare a lungo, finché una<br />
famiglia di facoceri, sbucata dai vicini cespugli, attira<br />
inesorabilmente la loro attenzione. Pochi minuti ed è il<br />
finimondo. Il sollevarsi della polvere e urla<br />
strazianti lasciano ben poco all’intuizione. L’appostamento è<br />
stato silenzioso e strategico,<br />
Tramonto Tramonto nel nel Serengeti<br />
Serengeti<br />
l’attacco improvviso e rapido. Due facoceri riescono a fuggire<br />
ma per il terzo è la fine. Corsa disperata ma presto interrotta.<br />
L’animale è a terra una prima volta, poi una seconda, pasto<br />
ormai sicuro degli astuti carnivori. La scena si consuma in<br />
pochi minuti, ma basta per dimostrarci l’efficiente lavoro di<br />
“equipe” di questi veloci predatori. Osserviamo che una certa<br />
forma di vita comunitaria esiste presso tutti gli animali della
savana. Ben pochi sono i solitari, soprattutto nelle pianure<br />
erbose ed aperte dove le specie proliferano come in pochissimi<br />
altri luoghi della terra. Le vaste mandrie di gnu e antilopi<br />
costituiscono gruppi forti, spinti alla vita societaria dalla<br />
necessità di procurarsi cibo e di affrontare movimenti<br />
migratori.<br />
Ma ecco, all’improvviso, apparire alcuni sciacalli, la<br />
carcassa del malcapitato facocero è assalita, ridotta a brandelli<br />
dalle avide fauci dei voraci mammiferi. Nulla si crea e nulla si<br />
distrugge ma tutto è un perpetuo divenire.<br />
Anche noi torniamo al lodge per la colazione. Poche ore e<br />
pochi chilometri eppure il tempo ci è bastato per sentire più<br />
vicina la vita della savana. Il Serengeti è forse il monumento<br />
più imponente del passato della nostra terra e il più intatto.<br />
Leopardo<br />
Leopardo
I primi europei vi giunsero verso la fine del 1800 ma già nel<br />
1921 fu dichiarato area protetta. Il governo tanzaniano,<br />
nonostante gli enormi problemi che deve affrontare come<br />
paese in via di sviluppo, sta promuovendo una politica<br />
ecologica molto illuminata. Spende per i suoi parchi nazionali<br />
quasi il triplo del Governo statunitense, in rapporto al<br />
prodotto nazionale lordo. Testimonianza, questa, dell’impegno<br />
e della serietà che gli africani mettono nella conservazione del<br />
loro territorio naturale. Comunemente definito “lo zoo più<br />
grande del mondo” il Serengeti ospita la più grande<br />
concentrazione di erbivori della terra e numerose specie di<br />
predatori.<br />
In un censimento del 1978 sono stati contati: 1,5 milioni di<br />
gnu, 200.000 zebre, 75.000 impala, 1 milione di gazzelle di<br />
Thomson, 74.000 bufali, 65.000 topi, 18.000 eland, 9.000<br />
giraffe, 5.000 elefanti, 4.000 iene, 3.000 leoni, 500 ghepardi e<br />
100 rinoceronti neri. Allo stato attuale delle cose purtroppo<br />
non possiamo più essere certi dei numeri rilevati, soprattutto<br />
per quanto riguarda predatori, elefanti e rinoceronti. Una<br />
delle ragioni di quella che, anno per anno, si sta rivelando una<br />
paurosa diminuzione, è da individuare nell’intrusione nel<br />
territorio di circa 5.000 Masai che vi portarono 100.000 capi di<br />
bovini e 200.000 pecore e capre.
Macaco Macaco Nemestrino<br />
Nemestrino<br />
In una terra dove l’acqua è scarsa e l’erba non abbondante,<br />
si tratta di una vera e propria invasione che ha messo a rischio<br />
la sopravvivenza stessa dei selvatici.<br />
È questo il “problema Serengeti” che ormai interessa tutta<br />
l’Africa Orientale e tutte le regioni erbose del “territorio dei<br />
Masai”. Il Masai, popolo di infaticabili pastori, un tempo<br />
abitava un territorio molto più vasto dell’attuale,<br />
comprendente la stessa capitale del Kenia. Poi arrivarono i<br />
bianchi, si impadronirono dei loro terreni migliori e pretesero<br />
di confinare questo fiero popolo in riserve protette. Ma il<br />
Serengeti, l’area di confine tra Kenia e Tanzania, ovunque ci<br />
sia erba, anche se povera, ovunque ci sia acqua, anche se
sporca e fangosa, è terra Masai. Terra di gente che non sa<br />
nulla di confini internazionali, di regolamenti e di leggi<br />
governative.<br />
Giraffe Giraffe masai<br />
masai<br />
Popolo ormai ridotto di numero, (non più di 150.000 unità),<br />
ma che forte della medicina dell’uomo bianco che gli ha<br />
insegnato a curare il bestiame, oggi non si accontenta più delle<br />
mandrie limitate di un tempo.<br />
Nella cultura masai dunque l’animale selvatico è sinonimo di<br />
spreco di acqua ed erba. Nel Serengeti i leoni sono ancora<br />
migliaia ma dichiarati specie protetta dal governo che<br />
proibisce di ucciderli. Questo si scontra con la mentalità masai<br />
che vede nel leone unicamente un predatore di animali<br />
domestici. Impedire al masai di uccidere il leone è un po’come<br />
imporgli di sacrificare il proprio bestiame, quelle mandrie<br />
bovine che sono il suo orgoglio e indice di prestigio sociale.
Ma i Masai non costituiscono l’unico “problema Serengeti”.<br />
Il Parco Nazionale del Serengeti è purtroppo di recente<br />
tornato alla ribalta della cronaca (nera) dell’Africa come<br />
“cimitero degli Elefanti” e “Paradiso dei bracconieri”.<br />
Gnu<br />
Gnu<br />
Un bracconaggio spietato e continuo sta infatti portando<br />
all’estinzione animali che fino a qualche decennio fa vivevano<br />
in folto numero nel Parco. La caccia illegale di trofei: zanne di<br />
elefanti e corni di rinoceronti e di carne da rivendere ha<br />
portato all’uccisione, nell’ultimo decennio, del 90% dei<br />
rinoceronti del Serengeti. I rimanenti non bastano per<br />
garantire la sopravvivenza della specie. Più della metà degli<br />
elefanti del Parco sono stati eliminati, cosicché oggi ne restano<br />
solo 500 esemplari. Il corno del rinoceronte è venduto a cifre<br />
esorbitanti ( da 3 a 10 milioni di lire al chilo) nei mercati<br />
orientali come afrodisiaco e nello Yemen del Nord come<br />
manico dei jambia, i pugnali tradizionali.
Zebre Zebre di di Grant Grant<br />
Grant<br />
È un commercio che non si riesce ad arrestare e che<br />
compromette sempre più l’esistenza del rinoceronte nero, un<br />
tempo signore incontrastato delle savane dell’Africa Orientale.<br />
L’impegno del governo tanzaniano è puntuale anche su questo<br />
fronte, ma gli 85 guardiacaccia preposti al pattugliamento del<br />
parco e alla prevenzione del bracconaggio non si dimostrano<br />
una misura sufficiente. È un equilibrio nuovo che va<br />
reintrodotto e una mentalità che va cambiata.<br />
Dobbiamo imparare a pensare alla natura non come a<br />
qualcosa da usare ma come qualcosa che è parte di noi stessi.<br />
Perché è nella solitudine e nella tranquillità di luoghi come il<br />
Serengeti che possiamo ritrovare le nostre radici di uomini.<br />
E difendere l’Africa dall’estinzione dei suoi animali non<br />
potrà che significare la salvezza e la salvaguardia delle origini<br />
dell’uomo.<br />
STEFANIA CORTI
AQUILA AMERICANA<br />
Testi e Foto di Max Montaina<br />
Tutti sanno che l’Aquila di mare dalla testa bianca (Haliaeetus<br />
leucocephalus), meglio conosciuta come Aquila calva o<br />
americana, è il simbolo degli Stati Uniti d’America, per cui<br />
non perderò nemmeno un istante a dissertare di come lo sia<br />
divenuta, ma dedicherò maggiore attenzione agli aspetti più<br />
esplicitamente zoologici della specie. Dotata di piumaggio<br />
bruno scuro, talvolta tendente al nero, possiede una splendida<br />
e caratteristica testa bianca. Tra le aquile esistenti al mondo è<br />
senza ombra di dubbio la più grande, pensate che può<br />
raggiungere 110 cm di lunghezza e possedere un apertura<br />
alare di quasi 3 metri. Addirittura, la sottospecie che ho<br />
potuto osservare e ritrarre in Alaska e Canada è ancora più<br />
grande di dimensioni, con una curiosa peculiarità, rara nel<br />
mondo animale, nell’ambito della stessa specie, ovvero la<br />
sottospecie del Canada e Alaska presenta gli esemplari di sesso<br />
maschile più grandi delle femmine, mentre per la specie<br />
originaria diffusa negli Stati Uniti avviene l’esatto contrario,<br />
con la femmina più grande.
E’ un’ esperienza indescrivibile osservarla spiccare il volo e<br />
librarsi come una vera “regina” sopra i cieli contornati da<br />
immense foreste di conifere. Ricordo che un giorno, nel parco<br />
nazionale di Yellowstone, ero talmente “preso” dal<br />
fotografarla, che senza rendermene conto mi ero steso<br />
sull’asfalto della strada (unica) che porta dall’entrata sud a<br />
ovest del parco. Dona un senso di libertà, di maestosità senza<br />
pari e ti fa percepire la piccolezza di noi esseri umani. E’<br />
proprio durante questi voli di perlustrazione, che va in cerca<br />
delle diverse prede di cui si nutre: salmoni, trote, piccoli di<br />
caribù, cuccioli di lupo, lepri, carogne e addirittura serpenti.
In particolare, come “pescatrice” rivaleggia con il Falco<br />
pescatore, e vi assicuro che assistere all’arpionamento del<br />
pesce in planata sul pelo dell’acqua dell’Aquila americana è<br />
uno degli spettacoli più affascinanti a cui un naturalista possa<br />
assistere.<br />
Questo animale, fa parte della schiera delle specie che hanno<br />
reso il Nord America la meta più ambita per i fotografi<br />
naturalisti di tutto il mondo, ma soprattutto, essendo molto<br />
suscettibile agli equilibri ambientali è un indicatore ecologico<br />
di prim’ordine, in quanto difficilmente troveremo coppie di<br />
aquile americane nidificare in zone ad alto inquinamento, sia<br />
atmosferico che dei bacini idrici.
Verso la tarda primavera, cova da 2 a 4 grosse uova (possono<br />
pesare fino a 750 grammi), dalle quali usciranno pulcini<br />
grandi come un pettirosso e totalmente bianchi. Nelle covate<br />
superiori a 3 unità, generalmente il più debole muore.<br />
Vengono nutriti principalmente con pesci e lucertole, per farli<br />
crescere forti e sani e prepararli ai primi voli che avverranno<br />
dal terzo mese di vita.<br />
Come dicevo, questo rapace è presente esclusivamente negli<br />
Stati Uniti con circa 80.000 esemplari, ma una popolazione di<br />
circa 15.000-20.000 esemplari è ben rappresentata anche in<br />
Canada, dove sono presenti gli areali più “sicuri” in cui la<br />
specie può vivere senza rischio di essere cacciata, grazie alla<br />
vasta area di parchi nazionali diffusi su tutto il territorio<br />
canadese, tra tutti cito i principali,
quali Banff e Jasper in Canada appunto e Denali in Alaska.<br />
Nonostante sia il simbolo di un Paese che si vanta di essere<br />
all’avanguardia in tutto, è stata a lungo cacciata, per la<br />
stupida ed inutile mania di volerne fare un trofeo per abbellire<br />
le sale o i locali di tutta l’America. Nel 1920, la specie arrivò a<br />
collassare e si raggiunse la soglia del non ritorno, ovvero il<br />
rischio di estinzione definitivo. Così il governo del Paese prese<br />
atto del triste epilogo che correva il
proprio simbolo e pose il divieto di cacciarla, punendo i<br />
contravventori con ammende salatissime e in alcuni casi anche<br />
con il carcere. Personalmente, faccio molta fatica a trovare<br />
utilità nella caccia per scopi puramente ludici. Le specie<br />
animali si sono evolute e popolano la terra per un ben preciso<br />
motivo, e nessun uomo si può arrogare il diritto di farle<br />
scomparire solo per il proprio stupido piacere. Che poi esseri<br />
umani trovino piacere nell’uccidere esseri viventi, lo trovo<br />
oltre che macabro anche altamente squallido. Ma<br />
fortunatamente, esistono le persone di buon senso che hanno<br />
posto a tutela luoghi incantevoli della Terra, dove le specie<br />
come l’Aquila americana possano trovare sicura dimora e<br />
perpetrare la specie negli anni a venire. L’Aquila americana<br />
racchiude altri
significat,i oltre il valore scientifico intrinseco della specie<br />
stessa, infatti si erge a simbolo di un Paese che si vanta di<br />
essere libero, ma come sempre, nelle cose umane la<br />
contraddizione regna sovrana. Quando vedo un’aquila<br />
spiccare il volo dalla cima di un albero, vedo spiegare le ali nel<br />
vuoto, e poi la vedo volteggiare senza il minimo battito<br />
sfruttando le correnti d’aria, mi ricordo che la vita è il bene<br />
più prezioso che ci sia stato donato, e nessuno al mondo ha il<br />
diritto di toglierla, soprattutto utilizzando squallide<br />
motivazioni. La natura è il patrimonio più grande che possiede<br />
l’umanità intera, ci è stato fatto il dono di poterne essere<br />
partecipi, ma non è di nostra proprietà, e il giorno in cui
“madre natura” ci sfratterà, ce ne renderemo tristemente<br />
conto. Per quanto mi riguarda io debbo molto a questo<br />
animale, mi ha donato emozioni indimenticabili, mi ha fatto<br />
comprendere il vero significato della parola “libertà” e mi<br />
auguro che tutti<br />
i giovani lettori di Kamoose recepiscano il messaggio contro la<br />
caccia che ho lanciato, ma non perchè sono un naturalista, ma<br />
più semplicemente perchè amo la vita ed ho rispetto di tutte le<br />
forme viventi che l’evoluzione nel corso di millenni ha voluto<br />
premiare selezionando chi doveva sopravvivere e chi no.<br />
L’uomo non è un selettore, l’uomo è un prevaricatore, e se la<br />
terra sta morendo, credo non vi siano dubbi di chi ne sia il<br />
colpevole unico e ingiustificabile.<br />
MAX MONTAINA
GALAPAGOS<br />
Testi di Alessandra Pelus<br />
Foto di Max Montaina e Alessandra Pelus<br />
Lo ammetto, quando si sente l’aereo atterrare e poco dopo si<br />
tocca personalmente il suolo delle Galapagos ci si sente<br />
catapultati in un'altra epoca. Quasi non si crede a ciò che si<br />
presenta davanti ai nostri occhi. L’emozione è tanta per una<br />
naturalista come me avere la possibilità di ripercorrere i passi<br />
di Charles Darwin, il padre della zoologia, che grazie alla sua<br />
teoria delle specie, basata su osservazioni di anni, dati<br />
scientifici raccolti, raffronti sulla flora e sulla fauna di<br />
differenti latitudini, è arrivato nel 1859 a risultati sconvolgenti<br />
e rivoluzionari circa l’origine della vita.<br />
Le Galapagos sono delle isole quasi incantate, infatti per molto<br />
tempo vennero anche chiamate proprio così “Isole incantate”
(La Islas encantandas), per la difficoltà di navigazione che si<br />
trovava a raggiungerle a causa delle forti correnti marine, solo<br />
successivamente vennero ribattezzate Galapagos ovvero “Isole<br />
delle tartarughe” per la presenza delle tartarughe giganti che<br />
sono divenute il simbolo di queste isole e che sono conosciute<br />
in tutto il mondo.<br />
Qui si respira un’aria che sconvolge veramente l’esistenza di<br />
un naturalista perché ovunque si posi lo sguardo ci si trova<br />
sempre davanti a un paradiso naturale terrestre fatto di un<br />
microcosmo affascinante e dimora di creature strane e rare<br />
del nostro Pianeta che si possono osservare solo qui.<br />
Arcipelago Arcipelago (Foto (Foto di di Max Max MMontaina)<br />
M ontaina)<br />
Queste isole situate a mille chilometri a ovest dell’Ecuador,<br />
dove confluiscono quattro correnti dei maggiori Oceani,<br />
migliaia di anni fa, vulcani sotto la superficie del mare<br />
esplosero e diedero origine a questo incredibile arcipelago<br />
formato da 18 isole. Geograficamente parlando esse sono<br />
situate a nord e a sud dell’Equatore, il quale quest’ultimo<br />
attraversa una delle Isole più grandi, l’isola Isabela. Le isole<br />
più antiche risalgono a circa 4 milioni di anni fa, mentre quelle<br />
più recenti sono ancora tutt’oggi in via di formazione in
quanto questo arcipelago è considerato una delle zone<br />
vulcaniche più attive della Terra.<br />
Dire che sono semplicemente meravigliose ridurrebbe il loro<br />
vero valore. Il 90% del loro territorio è Parco Naturale e per<br />
accedervi bisogna essere sempre accompagnati da una guida<br />
esperta. Dal 1979 le Galapagos sono state inserite nel<br />
Patrimonio dell’Umanità a rischio di estinzione da parte<br />
dell’Unesco. Infatti, purtroppo, negli ultimi decenni sono state<br />
messe in pericolo, strano a dirsi, dall’uomo, o meglio dai<br />
pescatori che non rispettando le regole della pesca, stanno<br />
mettendo a rischio la sopravvivenza di alcune specie marine<br />
come molluschi, tonno e crostacei.<br />
Max Max Montaina<br />
Montaina
Tartaruga Tartaruga Tartaruga delle delle delle Galapagos Galapagos Galapagos (Foto (Foto (Foto di di di Max Max Max Montain Montaina) Montain Montaina)<br />
a)<br />
Numerosi scienziati stanno cercando di preservare anche altre<br />
specie come le iguane che muoiono a causa dei combustibili<br />
delle imbarcazioni, le tartarughe che vengono invece uccise<br />
per produrre l’olio e anche lo squalo che è decimato per<br />
asportare la sua pinna ritenuta tanto preziosa.<br />
Purtroppo è sempre l’uomo la causa primaria dei danni<br />
provocati alla natura e alle specie viventi, ma non voglio
tediarvi con queste cose e vorrei invece catapultarvi in questo<br />
sogno chiamato Galapagos.<br />
Le Galapagos furono scoperte nel 1535 quando il vescovo di<br />
Panama, Fra Tomàs de Berlanga si era messo in viaggio verso<br />
il Perù per dirimere alcune controversie che erano sorte tra il<br />
condottiero spagnolo Pizarro e l’esercito, ma a causa delle<br />
diverse correnti della zona costiera dell’ovest del Continente<br />
americano, il vescovo venne mandato alla deriva e approdò<br />
sulle spiagge di queste isole, subendo anche l’aggressione delle<br />
specie autoctone, ovvero i leoni marini e anche le tartarughe<br />
giganti e le iguane marine.<br />
Flamingo Flamingo Flamingo Rosa Rosa (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Il paesaggio che gli si prospettò davanti agli occhi era arido e<br />
desertico e l’arcipelago era disabitato. E’ solo nel 1570 che le<br />
isole appaiono nelle mappe con il nome di Insulae de los<br />
Galapegos, ovvero Isole delle tartarughe. Vennero mappate 14<br />
isole e fino al IX secolo era stato loro assegnato sia un nome<br />
inglese che uno spagnolo, ma nel 1892 il Governo dell’Ecuador<br />
ribattezzò ex-novo tutte le Isole.
Successivamente vennero esplorate da altri scienziati ma il 15<br />
settembre 1835 approdò su queste sponde lo scienziato per<br />
eccellenza di tutti i tempi: Charles Darwin. Darwin era un<br />
ragazzo appena laureato che stava girando il mondo come<br />
scienziato e naturalista a bordo della Beagle e il suo primo<br />
viaggio durò dal 1831 al 1836. Qui Darwin cominciò a studiare<br />
le specie della flora e della fauna di quattro isole in<br />
particolare, e arrivò dopo lunghi studi e lunghe ricerche<br />
accurate alla famosa Teoria dell’evoluzione delle specie.<br />
Prima di farvi conoscere specificatamente le specie che<br />
vennero studiate in queste isole e che tutt’oggi sono oggetto<br />
anche di spedizioni fotografiche come è stato il mio viaggio in<br />
queste terre lontane, è giusto conoscere le Isole che formano<br />
quest’arcipelago.<br />
Isole Isole Galapagos Galapagos Galapagos (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
Come già precedentemente detto le Galapagos sono formate<br />
da 18 isole che appartengono allo Stato dell’Ecuador; alcune<br />
sono visitabili, sempre con l’aiuto di una guida, mentre altre<br />
sono inaccessibili, e sono:
Espanola: è l’isola che si trova più a sud dell’arcipelago e ha<br />
una superficie di circa 60 kmq e un’altitudine che arriva a 206<br />
m. Chiamata anche Hood, è popolata da diverse specie<br />
endemiche tra cui le sule mascherate, gli albatross, le tortore<br />
delle Galapagos;<br />
San Cristobal: dedicata a San Cristoforo, protettore dei<br />
marinai, si estende per 558 kmq e raggiunge un’altitudine di<br />
730 m. Al suo interno si trova il lago più grande<br />
dell’arcipelago chiamato Laguna el Junco. Su quest’isola si<br />
trova anche la capitale delle Galapagos: Puerto Baquerizo<br />
Moreno.<br />
Santa Fè: si sviluppa per 24 kmq e raggiunge un’altitudine di<br />
250 m. Qui possiamo trovare diverse specie di uccelli tropicali,<br />
gabbiani a coda di rondine. In quest’isola i turisti possono<br />
anche nuotare con i leoni marini presenti in gran numero.<br />
L’isola è chiamata anche Barrington.<br />
Genovesa: ha una superficie di 14 kmq e la sua altitudine<br />
arriva a 76 m. Deve il suo nome alla città di Genova.<br />
Quest’isola è semplicemente un cratere di vulcano che ogni<br />
anno di più si sta affossando nelle acque profonde oceaniche.<br />
Definita anche “baia degli uccelli” si possono osservare le sule<br />
dalle zampe rosse, le porcellarie, gabbiani e i fringuelli di<br />
Darwin.<br />
South Plaza: E’ una delle isole più piccole dell’arcipelago in<br />
quanto ha una superficie di soli 0,13 kmq e prende il suo nome<br />
da un presedente ecuadoriano ed è abitata da uccelli e iguane<br />
sia marine che terrestri.<br />
Floreana: prende il nome dal primo presedente dell’Ecuador<br />
Juan José Flores, si estende su 173 kmq e la sua altitudine<br />
arriva a 760 m. Vicino all’isola si trova la Corona del Diavolo,<br />
ovvero un vulcano sommerso ricoperto di coralli. Le specie<br />
che la popolano sono i fenicotteri rosa e le tartarughe verdi.<br />
Santa Cruz: con una superficie di 986 kmq e un’altitudine di<br />
864 m, quest’isola è la più popolata e qui vi ha sede la stazione
scientifica Charles Darwin con la sede dell’autorità del Parco<br />
Nazionale. Chiamata anche Indefaticable, qui possiamo<br />
trovarre le tartarughe giganti, iguane marine, fenicotteri e gli<br />
squali.<br />
Iguana Iguana (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Baltra: viene chiamata ache South Seymor, ha una superficie<br />
di 27 kmq e un’altitudine massima di 100 m. Sede del<br />
principale aeroporto dell’arcipelago. Si possono trovare<br />
iguane terrestri e marittime e le tartarughe giganti.<br />
Marchena: con un’estensione di 343 kmq, prende il nome<br />
dall’omonimo frate Antonio Marchena. La fauna principale è<br />
costituita da leoni marini e sparvieri.<br />
Pinzòn: con una superficie di 18 kmq e un’altitudine massima<br />
di 367 m, prende il suo nome dai fratelli che erano al timone<br />
della Nina e la Pinta nella spedizione di Colombo.<br />
Rabida: con una superficie di 4,9 kmq e un’altitudine di 367 m,<br />
chiamata anche Jervis, questa è un’isola caratteristica per la<br />
sua terra rossa, colore dovuto alla presenza del ferro presente<br />
nella lava che ha dato origine all’isola. Possiamo trovare le<br />
sule, i fenicotteri, le anatre e i pellicani bruni.
Bartolomé: la sua superficie è di 1,2 kmq con un’altitudine di<br />
114 m, prende il suo nome dal luogotenente inglese David<br />
Bartolomew ed è famosa per la caratteristica roccia a forma di<br />
pinna che si affaccia sul mare.<br />
Santiago: si estende per 585 kmq e ha un’altitudine di 907 m.<br />
Qui si possono trovare leoni marini, fenicotteri, delfini e<br />
squali, mentre maiali e capre sono specie che sono state<br />
introdotte dall’uomo.<br />
Gabbiano Gabbiano Gabbiano Reale Reale (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Pinta: ha una superficie di 60 kmq e un’altitudine di 777 m,<br />
poco si sa di quest’isola.<br />
Isabela: è l’isola più grande dell’arcipelago con una superficie<br />
di 4588 kmq e un’altitudine di 1707 m dovuta alla presenza del<br />
vulcano Wolf, tuttora attivo. Prende il nome dalla regina<br />
Isabella di Castiglia. Qui si trova Villamil che è la terza città<br />
dell’arcipelago con 1500 abitanti.<br />
Fernandina: si estende per 642 kmq e la sua altitudine<br />
raggiunge i 1494 m. Deve il suo nome a re Fernando di<br />
Spagna. Quest’isola è caratterizzata da una striscia di roccia
lavica stretta e lunga, Punta Espinosa, che si affaccia<br />
sull’Oceano ed e molto popolata dalle iguane, pinguini e<br />
cormorani, mentre l’interno dell’isola è caratterizzata da<br />
foreste di mangrovie.<br />
Wolf: ha una superficie di 1,3 kmq e un’altitudine massima di<br />
353 m. Chiamata anche Wenman, l’isola prende il suo nome<br />
dal geologo Teodor Wolf ed è abitata da foche, sule, fregate e<br />
iguane marine.<br />
Darwin:ha una superficie di 1,1 kmq e un’altitudine di 168 m;<br />
quest’isola è dedicata a Charles Darwin ed è popolata da<br />
foche, iguane, fregate, gabbiani dalla coda forcuta, balene,<br />
tartarughe marine, delfini, sule mascherate e dalle zampe<br />
rosse.<br />
Ma voglio passare oltre agli aspetti scientifici, che<br />
naturalmente sono importantissimi per chi vuole avere una<br />
conoscenza completa di quest’arcipelago, e vorrei che voi<br />
lettori riusciste a sognare attraverso il mio racconto e a sentire<br />
sulla vostra pelle la magia di queste isole.<br />
Oca Oca Facciabianca Facciabianca (Foto (Foto di di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)
La fortuna di poter fare un viaggio come questo ritengo che<br />
per una fotoreporter naturalista come me sia quasi come<br />
vincere al lotto.<br />
Qui potete respirare la stessa aria e calpestare gli stessi luoghi<br />
del grandissimo Charles Darwin, il quale impiegò anni di studi<br />
per catalogare le specie secondo morfologia, ecologia,<br />
biogeografia, genetica, zootecnia formando un quadro<br />
articolato della visione delle specie che nessun’altro<br />
naturalista dopo di lui riuscì a delineare.<br />
Potervi esprimere ciò che si può vedere e documentare in<br />
queste isole è a dir poco emozionante. Le parole scorrono<br />
come fiumi e il mio animo, al ricordo di certi paesaggi, di<br />
specie animali, di profumi si colma di emozioni difficili da<br />
dimenticare.<br />
Simbolo per eccellenza di queste isole, che da essa prendono il<br />
nome appunto di Galapagos, sono le tartarughe giganti<br />
(Geochelone nigra abingdoni), famose per essere le tartarughe<br />
più grandi del mondo. A tutt’oggi si contano circa 2000<br />
esemplari. Con un peso che arriva fino a 300 kg e una<br />
lunghezza di 1,8 m, si cibano di 500 specie di piante diverse e<br />
una loro caratteristica peculiare è che possono vivere a lungo<br />
senza bere, e possono impiegare fino a tre settimane per<br />
digerire un pasto. Questi esemplari raggiungono la loro<br />
maturità sessuale a circa 20 anni, il periodo di riproduzione è<br />
a maggio- giugno.<br />
Oltre alla conosciuta iguana terrestre (Conolophus<br />
subcristatus) in queste isole esiste una varietà di iguane uniche<br />
nel loro genere: le iguane marine (Amblyrhynchus cri status).<br />
Queste iguane possono raggiungere una lunghezza di 1,2 m.<br />
Per alcuni possono avere un aspetto non proprio tenero come<br />
altri animali, ma credetemi, è una specie che non risulta<br />
indifferente per chi ama gli animali. Hanno un muso ottuso, il<br />
loro corpo è piuttosto pesante nei movimenti, le zampe hanno<br />
un aspetto goffo. Sono dotate di una coda che lateralmente è
appiattita e che viene usata per nuotare. La maggior parte<br />
delle iguane marine sono di colore nero o grigio ma si possono<br />
anche trovare iguane che vanno dal nero all’arancio o rosso<br />
con le zampe anteriori e la cresta verdi che purtroppo non<br />
sono riuscita a vedere. Questa specie si alimenta di alghe che<br />
di solito si trovano sulle spiagge o sulle scogliere alle quali esse<br />
si avvinghiano con i loro artigli per non essere portate via<br />
dalla corrente del mare. Ma possono anche tuffarsi in mare<br />
per mangiare, un loro tuffo può perpetuarsi per 15 – 20 minuti<br />
ma vi sono casi in cui questi esemplari rimangono immersi<br />
sott’acqua anche per un’ora. Durante il periodo riproduttivo i<br />
maschi prima determinano il loro territorio e successivamente<br />
vengono raggiunti dalle femmine che hanno la libertà di<br />
trasferirsi da un territorio all’altro, ma i maschi solitamente<br />
raccolgono attorno a sé un harem e l’accoppiamento ha luogo<br />
senza l’interferenza di altri esemplari maschili.<br />
Alessandra Alessandra Pelus<br />
Pelus
Coati Coati Rosso Rosso Rosso (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus) Pelus)<br />
Pelus)<br />
Il corteggiamento è molto particolare: il maschio segue la<br />
femmina, scuotendo la testa l’afferra per il collo e la cinge con<br />
le zampe. Una volta avvenuto l’accoppiamento i maschi<br />
abbandonano il loro territorio e lasciano le femmine nidificare<br />
nelle spiagge e costruire un rifugio per deporre al sicuro le<br />
uova. Le femmine scavano, solitamente, una galleria lunga<br />
circa 60 cm e depongono 2 -3 uova che si schiuderanno dopo<br />
110 giorni circa. Quando i piccoli nascono sono lunghi 23 cm. I<br />
principali nemici di questa specie sono oltre a naturalmente
l’uomo, i pescecani se si spingono troppo vicino al mare, ma<br />
vengono catturate anche da aironi, gabbiani e i falchi delle<br />
Galapagos.<br />
Ho voluto dilungarmi un po’ di più sulle iguane marine perché<br />
sono uno dei simboli di queste isole e Darwin fece molti studi<br />
su di esse.<br />
Potete incontrare anche fenicotteri rosa, aironi, delfini, ma<br />
esiste un’altra specie molto particolare qui, anche se non è così<br />
semplice da vedere per chi come me ha avuto poco tempo per<br />
soggiornare in queste isole, parlo della sula dalle zampe<br />
azzurre (Sula nebouxii ). Questo uccello prettamente marino,<br />
che raggiunge gli 85 cm di lunghezza e 1,5 kg di peso, è<br />
caratterizzato da zampe pinnate di colore azzurro che sfoggia<br />
in particolare durante il corteggiamento, il petto è bianco, le<br />
ali marroni mentre le piume del capo e della schiena sono<br />
marroni chiaro e vivono presso le scogliere dove nidificano. Si<br />
cibano prettamente di pesci e i maschi, essendo dotati di un<br />
corpo più slanciato e affusolato delle femmine, compiono tuffi<br />
spettacolari vicino alle scogliere immergendosi anche nelle<br />
pozze d’acqua tra le rocce.<br />
Le sule nidificano in grandi colonie nelle scogliere dove le<br />
femmine dopo l’accoppiamento depongono 2 o 3 uova che si<br />
schiuderanno dopo 42 giorni circa, e i piccoli essendo molto<br />
fragili, rimarranno tra le zampe della madre per un altro mese<br />
dopo la schiusa.<br />
Le Galapagos sono isole che sono abitate anche da 13 specie<br />
diverse di fringuelli, detti anche Fringuelli di Darwin perché lo<br />
studioso passò anni a catalogare questi uccelli che abitavano<br />
su 4 isole dell’arcipelago e che si differenziano per la forma del<br />
becco e che sono stati divisi in quattro gruppi: gli insettivori, i<br />
terricoli, una specie arboricola e i Pinaroloxias che è una<br />
specie endemica dell’isola di Cocos. Ma il fringuello più strano<br />
studiato da Darwin è il fringuello picchio (Camarhynchus<br />
pallidus) dotato di una caratteristica unica e rara, ovvero dopo
aver creato un foro nel ramo per procurarsi il cibo, vi<br />
introduce una spina di cactus o un sottile rametto per<br />
provocare l’uscita di eventuali insetti.<br />
Leone Leone Marino Marino Marino (Foto (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus)<br />
Pelus)<br />
Una cosa che fa riflettere molto riguardo a queste isole è come<br />
in piccoli spazi come è quest’arcipelago tutto di origine<br />
vulcanica possano crescere all’incirca 560 specie di piante di<br />
cui più di un terzo sono endemiche, ovvero specifiche del luogo<br />
come lo sono alcune specie uniche di cotone, peperoncino,<br />
pomodoro, passiflora, guava e caffè. Purtroppo la maggior<br />
parte delle piante che si trovano su queste isole sono state<br />
introdotte nei secoli dall’uomo per motivi di agricoltura, ma<br />
come ben possiamo immaginare, ed è proprio questo il caso, ci<br />
sono possibilità che specie introdotte siano nocive più che<br />
benefiche per l’habitat naturale di queste isole in quanto<br />
invadono territori e possono causare gravi danni sia per le<br />
altre specie endemiche sia anche per gli animali che vivono<br />
qui.<br />
Una cosa ho imparato da questo viaggio e cioè che la natura è<br />
sempre in grado di stupirci con i suoi misteri e le sue
meraviglie, infatti è strabiliante come possano esistere specie<br />
così strane che vivono solo in questa parte del mondo e che da<br />
esse si sono poi evolute altri animali nel resto del mondo.<br />
Tartaruga Tartaruga delle delle Galapagos Galapagos (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus)<br />
Pelus)<br />
L’unico rammarico che ho è sapere come nelle scuole, luogo<br />
per eccellenza dove i ragazzi dovrebbero imparare a studiare<br />
la teoria di Darwin, in quanto ha dato modo di capire<br />
l’evoluzione delle specie animali e non, invece venga<br />
considerata materia inutile e anzi sia stata considerata una<br />
teoria totalmente deviante. Si vede che chi la considera così<br />
assume questo comportamento per partito preso senza aver<br />
mai veramente letto l’opera di Darwin, ma per fortuna ci<br />
siamo noi di <strong>kamoose</strong> che portiamo avanti inesorabili l’amore<br />
per la natura e gli animali e soprattutto ci impegniamo a<br />
divulgare la conoscenza del mondo naturale con la speranza<br />
che sempre più persone possano riuscire a portare quel<br />
rispetto che ogni uomo dovrebbe avere per ogni essere vivente.<br />
ALESSANDRA PELUS
ALCE<br />
Testi e Foto di Max Montaina<br />
Scrivere e narrare di questo animale rappresenta per me<br />
qualcosa di assolutamente speciale e soprattutto emozionante.<br />
L’Alce è l’animale che da sempre ha rappresentato nel mio<br />
inconscio, il desiderio di libertà, di viaggiare , di conoscere e<br />
di studiare la fauna del mondo, ma soprattutto il Grande<br />
Nord. Elusivo, solitario e schivo, è a tutti gli effetti<br />
l’incarnazione di ciò che io reputo il mio animale ideale. Non<br />
tanto per il suo aspetto maestoso ed imponente, ma<br />
fondamentalmente perché il suo habitat naturale risiede nei<br />
luoghi della terra che io amo con tutto me stesso: NORD<br />
AMERICA e SCANDINAVIA.
Ho passato molti anni a organizzare numerosissime spedizioni<br />
di studio e fotografiche nei parchi di queste zone della terra,<br />
ricche peraltro di ogni tipo di fauna, ma ad ogni mio ritorno<br />
nella mia città, riesco sempre a trovare un motivo per dover<br />
organizzare una successiva spedizione . Luoghi come<br />
Yellowstone (USA), Jasper e Banff (Canada), Denali<br />
(Alaska), Ovre Pasvik (Norvegia), Tofsingdalen (Svezia),<br />
Voronez (Russia) e Oulanka e Pallas-Ounastunturi<br />
(Finlandia), sono le mete favorite per poter incontrare e<br />
quindi ritrarre il mio “totem”, come io stesso definisco l’Alce<br />
(Alces alces).<br />
La differenziazione maggiore a livello zoogeografico è<br />
rappresentata dalle dimensioni differenti dell’esemplare<br />
europeo rispetto a quello nordamericano (più grande), tanto è<br />
vero che è stata necessaria una classificazione zoologica<br />
differente, considerando a tutti gli effetti la specie americana,<br />
una sottospecie di quella europea, differenziando appunto<br />
l’europeo in Alces alces, mentre quello americano in Alces<br />
alces gigas. Dove gigas s’intenda dal latino riferito alle grandi<br />
dimensioni che può raggiungere la specie americana, che può<br />
arrivare ad oltre 220 cm al garrese. Vi assicuro che trovarselo<br />
dinnanzi, procura un’emozione indescrivibile, è in assoluto<br />
uno dei mammiferi terrestri più imponenti e grandi che<br />
esistano, e se per caso, l’esemplare è un maschio adulto, dotato<br />
dei suoi meravigliosi ed enormi palchi (volgarmente ed<br />
erroneamente definite corna), vi sembrerà di avere di fronte<br />
un “TIR” della natura.
Gli indiani d’america lo chiamavano <strong>kamoose</strong>, da cui deriva il<br />
nome dell’animale in lingua anglosassone: moose appunto. Le<br />
leggende sul conto di questo stupefacente cervide si sono<br />
sprecate, ma qui voglio ricordare quella che io ritengo essere<br />
la più affascinante ed evocativa. Si narra infatti che nel gergo<br />
dei nativi americani, il nome <strong>kamoose</strong> derivasse proprio da<br />
alcuni gerghi di alcune tribù, che lo consideravano uno spirito<br />
invisibile e del quale potessero vedere soltanto la gigantesca<br />
ombra, talmente grande da oscurare dal sole un’intera<br />
montagna.<br />
Ma venendo alle cose più strettamente etologiche, una delle<br />
peculiarità di questa specie è il curioso approccio con le altre<br />
specie che ne condividono l’habitat, come orsi, lupi, wapiti<br />
(erroneamente definiti alci in numerosi documentari<br />
naturalistici), coyote, caribù, renne e bisonti. Difficilmente<br />
diviene preda di qualcuno dei predatori succitati, troppo<br />
grande per un orso, troppo forte per lupi e coyote, mentre con<br />
i consimili ungulati wapiti, bisonti, renne e caribù convive<br />
pacificamente senza mai occuparne l’areale in quanto abitante<br />
solitario e schivo della taiga nordica. Raggiunge le zone
lacustri solo alle primissime luci dell’alba o nelle ore più buie<br />
del crepuscolo per cibarsi di alghe sul fondo degli specchi<br />
d’acqua in tutta tranquillità. Resta la maggior parte della sua<br />
giornata, nascosto nel folto delle foreste di conifere<br />
tranquillamente accovacciato a ruminare i vegetali di cui si è<br />
nutrito nelle sue sortite alimentari. Non ha praticamente<br />
nemici, ed una volta tanto, nemmeno l’uomo lo si può<br />
considerare potenziale predatore, in quanto la maggior<br />
presenza della specie è suddivisa sul globo nelle aree protette,<br />
per cui inaccessibili alla pressione venatoria. Sono rari gli<br />
esempi di bracconaggio perpetrati a suo danno, e ove accaduti,<br />
solo per scopi futili, in quanto alcuni sconsiderati idioti,<br />
considerano appagante poter mettere in bella mostra una testa<br />
d’alce, sopra il camino della propria casa.
Unico vero e grande nemico dell’Alce è l’inverno, in quanto,<br />
sebbene munito di un vello altamente protettivo alle<br />
intemperie, i rigori dell’inverno nordico, sono assolutamente<br />
insostenibili anche per un colosso come lui. La decimazione<br />
della specie avviene sempre tra dicembre e febbraio, ovvero<br />
nei mesi in cui l’unico nutrimento possibile per la specie, sono<br />
i rami rinsecchiti, sotto la coltre gelata. Ma d’altra parte, tutto<br />
ciò fa parte dell’inesorabile gioco della selezione naturale, atta<br />
a preservare gli esemplari più forti, che potranno trasmettere<br />
alle nuove generazioni caratteristiche sempre più adattate<br />
all’ambiente in cui dovranno compiere il ciclo della loro<br />
esistenza. Non a caso le lotte tra maschi nel periodo degli
amori in autunno, una delle cose più belle e affascinanti a cui<br />
un naturalista possa assistere, sono cruente all’inverosimile.<br />
Immaginate i gladiatori dell’antica Roma, muniti di armi che<br />
le sferzano con violenza l’un contro l’altro, cosi le Alci, con i<br />
loro enormi palchi, sferzano colpi violentissimi e spesso<br />
inesorabili al loro contendente amoroso, mentre le femmine se<br />
ne stanno in disparte attendendo l’esito della tenzone,<br />
assolutamente certe, che il vincitore, trasmetterà alla loro<br />
prole, caratteristiche assolutamente adatte alla sopravvivenza<br />
nel regno incantato e spietato del Nord. Assistere al duello tra<br />
due maschi, è qualcosa che ti gela il sangue ma al contempo di<br />
carica di quell’adrenalina necessaria a non sentire, dopo ore e<br />
ore di appostamento i rigori del freddo pungente. Il tempo<br />
sembra volarsene via, come in un sogno dolcissimo e pieno di<br />
situazioni appaganti. Ogni sacrificio fatto, ogni pericolo corso,<br />
ogni cosa negativa accaduta, perde di significato, lasciando il<br />
posto a quella sorta di soddisfazione interiore, per la quale<br />
nessuna parola inventata dall’uomo può rendere giustizia.<br />
Non avrei potuto essere me stesso se non avessi fatto il<br />
fotoreporter, o per dirla in gergo moderno, parafrasando una<br />
famosissima pubblicità: “toglietemi tutto ma non le mie Alci”.
Sono in grado di muoversi agevolmente anche su terreni<br />
totalmente innevati e scoscesi, io stesso ho potuto osservare<br />
tracce sul terreno lasciate dal passaggio, in luoghi che<br />
all’apparenza sembrano totalmente inospitali. Sapere che in<br />
epoche nemmeno tanto passate l’Alce era presente anche<br />
nell’Europa centrale, mi fa percepire quanto diversa e<br />
lussureggiante potesse essere anche la nostra Italia. Ma il<br />
progressivo disboscamento e la caccia sfrenata ai suoi danni,<br />
ne hanno repentinamente ristretto l’areale di presenza, fino a<br />
totale scomparsa avvenuta verso la fine del 19° secolo. Quando<br />
l’inverno raggiunge l’apice della sua inclemenza, l’Alce<br />
diviene in tutto e per tutto il padrone incontrastato del Nord.<br />
Grazie ad un ampio strato di grasso ed a un vello molto spesso,<br />
non teme assolutamente i rigori del freddo, sempre che,<br />
beninteso, riesca a reintegrare le proteine necessarie al<br />
sostentamento vitale. Da una prima osservazione sommaria,<br />
appare un colosso impacciato nei movimenti, mentre, ad<br />
un’attenta analisi, viene osservata la grande agilità nei<br />
movimenti, dovuti alle zampe molto sottili, sostenute da una
muscolatura molto potente, che gli permettono di superare<br />
anche gli ostacoli all’apparenza insormontabili.<br />
Nel periodo tra dicembre e febbraio risulta assai difficoltoso<br />
riconoscere i maschi dalle femmine, in quanto proprio in<br />
questo lasso di tempo, agli esemplari di sesso maschile cadono<br />
le corna per poi ricrescere con velocità sorprendente da marzo<br />
a settembre. Nel parco nazionale di Denali, in Alaska, ho avuto<br />
l’occasione di scorgere il rossore sotto il vello dei palchi,<br />
mettendo in evidenza che appunto non siano corna prive di<br />
tessuto, ma bensì irrorate da vasi sanguigni, che con lo<br />
sfregamento o durante le lotte lascia intravedere immagini<br />
dall’impatto fortissimo, addirittura quasi “sanguinolente”. Le<br />
ramificazione definite a “palmatura” viene raggiunta col<br />
sopravanzare dell’età, in quanto un giovane alce, presenterà<br />
solo piccoli tronconi. Le dimensioni dei palchi rappresentano<br />
la caratteristica morfologica essenziale della specie, in quanto<br />
lo differenziano da tutte le altre specie della famiglia dei<br />
cervidi. D’altra parte non sono certo io a scoprirlo, l’Alce, da
sempre rappresenta da tempo immemore, la maestosità e<br />
l’imponenza, e non a caso, è un animale poco conosciuto nel<br />
reale,<br />
ma molto mitizzato nell’immaginario collettivo e soprattutto<br />
nei miti e nelle leggende dei popoli che ne hanno condiviso<br />
l’appartenenza geografica. Ricordo come fosse oggi, che<br />
durante la mia infanzia, passavo ore e ore davanti ai<br />
documentari naturalistici che trasmettevano in televisione, e<br />
rimanevo alquanto stupito, quando mostrando nelle immagini<br />
il Cervo Wapiti (Cervus americanus), molto differente<br />
all’Alce, veniva appunto denominato Alce, ancora oggi, nei<br />
documentati attuali, permane questo grave errore, dovuto<br />
all’errata traduzione dall’inglese con cui viene appunto<br />
chiamato il Wapiti (ELK, tradotto appunto in ALCE), e<br />
questo è un ennesimo esempio della poca conoscenza<br />
scientifica nei riguardi della specie Alces. Forse è stato anche<br />
questo uno dei motivi che mi ha spinto a studiarlo per tutti<br />
questi anni, cogliendo sfumature e situazioni che di volta in<br />
volta me ne facevano sempre più “innamorare”
scientificamente. Per cui dopo oltre 15 anni di appostamenti,<br />
viaggi, ricerche, spedizioni alla ricerca dell’Alce, ho raccolto il<br />
materiale sufficiente per la creazione di un libro (di prossima<br />
pubblicazione) per svelare e raccontare tutto al suo riguardo.<br />
Non dimentichiamoci infatti che questo animale rappresenta il<br />
più grande animale vivente allo stato selvatico dell’Europa e<br />
del Nord America. E in tutta franchezza. Dopo aver girato il<br />
mondo naturale in lungo e in largo, senza tema di smentita,<br />
posso affermare che raramente ho incontrato traccia di<br />
presenza umana massiccia nei luoghi in cui mi sono recato per<br />
studiarlo e ritrarlo. A testimonianza del fatto, che predilige i<br />
luoghi selvaggi e possibilmente inaccessibili alla civiltà.<br />
Sicuramente è questo il motivo principale per cui poco lo si<br />
conosce. Una peculiarità della specie è rappresentata dal fatto<br />
che a differenza delle altre femmine dei Cervidi, le femmine<br />
non si riuniscono in branchi con relativa prole, ma al<br />
contrario preferiscono muoversi solitarie con i propri cuccioli<br />
(1 o 2 al massimo ) dell’anno precedente. L’incontro<br />
ravvicinato con esemplari femmine, iperprotettive nei<br />
confronti dei loro piccoli, cela in sé qualcosa di
tremendamente accattivante, lo sguardo attento, la vicinanza<br />
stretta con cui proteggono il pargoletto, lascia incantati. Non<br />
dimenticherò mai l’incontro avuto nel parco nazionale di<br />
Tiveden in Svezia, quando m’imbattei in una femmina che<br />
scrutava l’orizzonte, come farebbe una vedetta militare in<br />
avanscoperta a tutela del proprio battaglione, era percepibile,<br />
che da un momento all’altro, dagli atteggiamenti prudenti e<br />
schivi della femmina, sarebbe poi apparso dal folto della<br />
vegetazione, un piccolo alce. Credetemi, è una scena che non<br />
dimenticherò mai, e che mi ha ancor più convinto che la<br />
tenerezza e la dolcezza non sono soltanto peculiarità umane,<br />
nonostante io sia un Darwinista convinto, per cui in tutto e per<br />
tutto un’evoluzionista, scevro da “romanticismi”<br />
antropomorfici, ma lasciatemi la convinzione, che tutte le<br />
maraviglie del creato non siano solamente il frutto del caso e<br />
della selezione naturale.
Durante le lezioni che tengo annualmente ai miei corsi di<br />
fotografia, molti allievi mi chiedono, quale sia il mio animale<br />
preferito, e soprattutto una volta ricevuta la risposta, ovvero<br />
l’ALCE, come mai lo abbia eletto a mia icona della natura. E’<br />
presto detto: amo i luoghi poco affollati, non sopporto il caos,<br />
amo le cose semplici e mi accontento delle piccole cose<br />
quotidiane, e sono convinto, che tra le numerosissime specie<br />
che ho avuto modo di incontrare nei miei viaggi, l’Alce, abbia<br />
una sorta di identificazione con il sottoscritto, è schivo, non
ama l’affollamento, ed ogni gesto che compie è sempre spinto<br />
da una sorta di cautela, che ai miei occhi appare come<br />
“rispettoso” nei confronti del mondo che lo circonda. A tal<br />
punto, che soprattutto negli anni passati, si è tentato,<br />
soprattutto in Scandinavia di utilizzarlo come animale da<br />
traino nell’agricoltura, ma nonostante si fosse lasciato<br />
assoggettare per tali scopi, nessuno mai è riuscito a renderlo in<br />
tutto e per tutto un’animale domestico. Lo spirito selvaggio<br />
che lo contraddistingue dal tempo dei tempi è geneticamente<br />
instillato nella specie, nessuno mai potrà e soprattutto mai<br />
dovrà, tentare di privare il nostro cervide, dei suoi grandi<br />
spazi, fatti<br />
di immense distese di betulle, di abeti bianchi e pini di Svezia,<br />
di specchi lacustri da condividere con i Castori e le Lontre,<br />
delle cime innevate delle Montagne Rocciose nordamericane,<br />
cosi come le vaste distese della taiga lappone. L’alce è il<br />
simbolo perfetto della natura selvaggia, e che dovrebbe<br />
spingere ognuno di noi a riflettere di quali obbrobri stia
“combinando” la specie homo sapiens nei confronti della<br />
natura, dimenticandosi forse che tutto quanto noi arrechiamo<br />
di danno al pianeta terra, prima o poi, la terra stessa ce lo<br />
restituirà con gli interessi, con una sola, MACROSCOPICA<br />
differenza: la terra soppravviverà, mentre la nostra specie,<br />
rischierà inesorabilmente l’ESTINZIONE!!!! Lungi da me, in<br />
quanto ottimista per antonomasia, di esprimere opinioni<br />
catastrofistiche, ma sarebbe anche giunto il momento, a mio<br />
modesto avviso, che le coscienze dei popoli si soffermassero a<br />
riflettere sul fatto che la natura e le creature viventi in esse<br />
inserite (gli animali), non sono una passione per qualche pazzo<br />
che si carica di attrezzature fotografiche sulle spalle, o<br />
scienziati che dedicano anima e corpo al loro studio e alla loro<br />
tutela, ma un bene prezioso per tutta l’umanità, soprattutto,<br />
perché la terra non è nostra, ma non dimentichiamocelo mai:<br />
“l’abbiamo in prestito dai nostri figli.”<br />
Ho passato ore e ore, accovacciato a temperature sotto lo zero,<br />
con la neve che scendeva copiosa a raffreddare l’atmosfera<br />
circostante, nella vana attesa di scorgere l’inconfondibile muso
delle Alci, ho lasciato il mio giaciglio nelle ore che precedono<br />
l’alba, o sono rimasto fino al sopraggiungere del crepuscolo,<br />
trasportando obiettivi ingombranti e pesanti, necessari per la<br />
buona resa fotografica, ma ogni qualvolta i miei sforzi sono<br />
stati ripagati, anche solo da un semplice avvistamento, ogni<br />
sforzo compiuto è svanito all’improvviso, lasciando il posto ad<br />
un’enorme e profondo senso di gioia e appagamento interiore.<br />
Probabilmente, molti di voi che stanno leggendo questo<br />
servizio, non hanno mai visto un Alce, ma credetemi, se vi<br />
dovesse capitare un giorno di incontrarlo in qualche landa<br />
selvaggia del nord del mondo, allora, in quel momento le<br />
parole da me scritte, che potrebbero ora apparirvi esagerate o<br />
addirittura senza senso, prenderebbero improvvisamente tutto<br />
un altro significato e prospettiva ai vostri occhi. Grazie Alces<br />
alces, grazie di esistere e di tutto ciò che mi hai donato, ma<br />
soprattutto grazie per avermi insegnato a rispettare la vita<br />
come il bene più prezioso che esista, perché senza di questo<br />
sarebbe come non vivere!<br />
MAX MONTAINA
GRAN PARADISO<br />
Testi di Alessandra Pelus<br />
Foto di Max Montaina e Alessandra Pelus<br />
Sono sempre stata un’amante dei viaggi all’estero in quanto<br />
ho sempre ritenuto l’Italia essere un paese troppo interessato<br />
all’arte venatoria piuttosto che alla salvaguardia della natura<br />
e delle specie che la popolano.<br />
La scorsa estate però, ho deciso di dedicare il mio reportage di<br />
viaggio e il tempo che avrei trascorso ad aspettare l’attimo<br />
fatidico per poter immortalare i miei adorati animali, al Parco<br />
Nazionale Italiano per eccellenza, ovvero il Parco Nazionale<br />
del Gran Paradiso. Vi posso assicurare che l’entusiasmo che<br />
ha animato il mio spirito dal momento in cui ho avvistato le<br />
montagne valdostane è stato a dir poco adrenalinico!<br />
Appena la macchina su cui viaggiavo si è addentrata nelle vie<br />
del parco e mentre salivamo lungo tornanti interminabili per<br />
arrivare all’albergo per ristorarci un po’ dopo lunghi<br />
chilometri di autostrada, continuavo a rimanere a bocca<br />
aperta guardando fuori dal finestrino, come fa un bambino<br />
quando vede la prima volta una cosa e lo fissa in modo<br />
strabiliato.
Ghiacciai Ghiacciai eterni eterni (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Mai avrei potuto immaginare cotanta bellezza che avrei<br />
trovato nei giorni a seguire.<br />
Quando si giunge in questo Parco sembra di vivere in un’altra<br />
dimensione,<br />
ma, soprattutto, la cosa che salta immediatamente agli occhi,<br />
è come la Valle d’Aosta sia quasi una regione alienata dal<br />
resto dell’Italia. Un mondo fatto di altri ritmi, un tempo<br />
cadenzato da una realtà quotidiana più tranquilla e a<br />
dimensione d’uomo come un tempo, paesi puliti, ma ciò che<br />
rende meglio l’idea, è come questo parco sia il regno di specie<br />
animali e vegetali protette grazie alle leggi poste in essere dai<br />
Savoia che per salvaguardare le specie in via di estinzione<br />
hanno fatto tassativamente proibire la caccia!Infatti, nel 1856<br />
il re Vittorio Emanuele II dichiarò il Parco come Riserva<br />
Reale di Caccia e in questo modo salvò dall’estinzione il<br />
simbolo per eccellenza del parco: lo stambecco (Capra ibex<br />
ibex). Questo ungulato
Stambecco Stambecco Stambecco (Foto (Foto (Foto di di di Max Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
per decenni fu oggetto di una caccia indiscriminata a causa di<br />
false superstizioni, quali la credenza che alcune parti del corpo<br />
dell’animale avessero proprietà medicamentali, e che un<br />
piccolo ossicino, definito la croce sul cuore, utilizzato come<br />
talismano, avesse un potere afrodisiaco, ma fu anche cacciato<br />
per la sua carne considerata succulenta e le sue corna che<br />
venivano appese come trofei. Successivamente il re formò
anche un corpo di guardie specializzate e fece costruire<br />
sentieri che ancor oggi vengono rigorosamente seguiti dai<br />
guardia parco per controllare lo status del parco e preservarlo<br />
soprattutto dai bracconieri. Nel 1920 il re Vittorio Emanuele<br />
III donò 2100 ettari della riserva di caccia allo Stato italiano<br />
affinché si creasse un Parco Nazionale. E così due anni dopo, il<br />
3 dicembre 1922 veniva costituito il Parco Nazionale del Gran<br />
Paradiso, il primo parco nazionale italiano che si estende in<br />
un’area a cavallo tra Piemonte e Valle d’Aosta. Fino al 1934<br />
l’area fu protetta da una commissione dotata di autonomia<br />
amministrativa, e successivamente venne poi data in mano al<br />
Ministero dell’Agricoltura fino alla fine della Seconda Guerra<br />
Mondiale. Poi, a partire dal 1947, venne gestita da un ente<br />
autonomo e dal 1991 è attiva una legge quadro sui parchi.<br />
Sono estremamente felice di conoscere l’esistenza di zone in<br />
Italia in cui regna incontrastato l’amore per la natura e<br />
soprattutto, mi rincuora sapere che vi sono delle Istituzioni,<br />
oggi molto assenti in quasi tutti i campi, che tutelano un<br />
patrimonio come lo è questo parco.<br />
Ca Cascata Ca Cascata<br />
scata nel verde (Foto (Foto di Max Montaina)
Il Gran Paradiso si estende in un vasto territorio tutto italiano<br />
di alte montagne che comprendono sei valli: la Val di Cogne,<br />
la Val di Valsavarenche e la Val di Rhêmes.,la Valle Orco, la<br />
Valle Soana e la Valle Champorcher, e va dai 650 m del<br />
fondovalle ai 4061 metri della vetta del Gran Paradiso; è<br />
formato da boschi caratterizzati essenzialmente da larici, abeti<br />
rossi e pino cembro, mentre il sottobosco è costituito da<br />
ginepri; si scorgono ovunque praterie alpine, rocce, e tutto è<br />
circondato da cascate, torrenti e ghiacciai che costituiscono lo<br />
scenario ideale per una ricca varietà di specie d’animali.<br />
Questo meraviglioso parco offre migliaia di opportunità per<br />
tutte le stagioni: in primavera, quando sboccia la natura ed<br />
esplodono fioriture, si respirano mille profumi, ricominciano i<br />
cinguettii degli uccelli, gli animali si accoppiano; in estate,<br />
quando le distese di prati sono ricoperti da infiniti colori dei<br />
fiori. Ovunque lo sguardo si posi si possono scorgere paesaggi<br />
che sembrano dipinti come per magia da un presenza divina:<br />
il giallo delle genziane, il blu dei nontiscordardime e della<br />
genzianella quattrinella, il viola del geranio selvatico, il bianco<br />
del camedrio alpino, il fuxia della lupinella, e potrei citarne a<br />
decine, sono i colori dominanti dei fiori che possiamo trovare<br />
in questo splendido angolo di paradiso terrestre; l’autunno<br />
invece, è la stagione in cui si colorano i boschi di mille colori, è<br />
la stagione anche degli amori per gli stambecchi e i camosci.<br />
Infatti è una delle stagioni migliori sia per far foto spettacolari<br />
di paesaggi sia per poter immortalare animali durante i<br />
corteggiamenti e gli accoppiamenti.
Fioritura Fioritura di di luglio luglio luglio (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus)<br />
Pelus)<br />
La stagione invernale, però, non è da meno, in quanto questo<br />
parco si ricopre di un soffice manto nevoso che dà a chi lo<br />
visita la possibilità di poter avere un incontro ravvicinato con<br />
gli animali che in questa stagione scendono a valle per trovare<br />
cibo.<br />
Ovunque si posi il nostro sguardo in questo splendido angolo<br />
di paradiso terrestre si può scorgere sempre qualcosa di<br />
magico. Per chi ama dal profondo del cuore la natura, come la<br />
sottoscritta, non può che avere la sensazione di vivere in<br />
un’altra dimensione, dove la routine quotidiana fatta di gente<br />
che va sempre di fretta, di palazzi costruiti ovunque,<br />
rimangono pensieri lontani.<br />
Il Parco del Gran Paradiso è un parco dalle mille<br />
sfaccettature: dall’alba in cui ci alziamo e posiamo lo sguardo<br />
fuori dalla finestra e in cui siamo circondati solo da boschi,<br />
fino al tramonto quando il sole regala luci spettacolari<br />
all’orizzonte quando scompare dietro le montagne. Le<br />
giornate sono cadenzate da mille cose da scoprire.
Picchio Picchio rosso rosso maggiore maggiore (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Io ho avuto la fortuna di visitare e fotografare soprattutto la<br />
Val di Cogne e credetemi, che a parte il nome divenuto famoso<br />
purtroppo a causa dei mass media che vivono solo grazie alle<br />
brutte notizie, questa Valle offre ai visitatori emozioni<br />
indescrivibili. Ovunque ci si muova si scorgono torrenti, tra<br />
cui il più importante è il torrente Nontey, dove acque<br />
cristalline e impetuose caratterizzano tutta la valle da cui<br />
prende il nome di Valnontey. E’ qui che ho avuto la fortuna, in
uno dei miei appostamenti, di fotografare una famiglia di<br />
marmotte. Questa specie (marmota marmota) è il più grande<br />
rappresentate degli scoiattoli di terra e si differenzia<br />
essenzialmente grazie alla sua coda pelosa che la distingue<br />
dagli altri roditori. Lo<br />
Scoiattolo Scoiattolo rosso rosso (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />
Montaina)<br />
spettacolo e la simpatia che sprigiona questo esemplare è a dir<br />
poco fantastico. Ammetto di aver avuto la sorte anche dalla<br />
mia parte, visto che il luogo dove le ho avvistate era<br />
completamente isolato e quindi non c’era traccia di turisti<br />
curiosi. Vedere come dagli innumerevoli cunicoli, che questo<br />
animale scava come tana e come rifugio per scappare dai<br />
predatori, sbucavano questi musetti meravigliosi dagli occhi<br />
furbi, mi faceva troppo divertire. Mi ero posizionata a metri di<br />
distanza e con la pazienza che compensa sempre i miei<br />
appostamenti, ho notato in lontananza la famigliola situata su<br />
un ceppo di un albero; sono riuscita a immortalare<br />
l’esemplare maschio che era appoggiato mentre scrutava<br />
l’orizzonte, la femmina che teneva d’occhio me e la troupe e il
cucciolo che giocava, saltava, correva su e giù tra il tronco e la<br />
tana. Osservare questi animali è stato veramente<br />
spassosissimo, tanto che il tempo tra guardarli e scattare loro<br />
le foto è passato in fretta e la giornata si stava concludendo in<br />
un batter d’occhio.<br />
Nel Parco oltre alle sovra citate marmotte possiamo anche<br />
incontrare altre specie di animali, dal simbolo per eccellenza,<br />
ovvero lo stambecco al camoscio.<br />
Camoscio Camoscio Camoscio (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Lo stambecco che popola oggi il parco in circa 3500 unità, è<br />
caratterizzato da corna che presentano delle nodosità nella<br />
parte anteriore e che nei maschi possono raggiungere il metro<br />
di lunghezza mentre nelle femmine sono più lisce e sono<br />
lunghe più o meno 30 cm circa. Questo animale solitamente<br />
vive in branchi composti da soli maschi o dalle femmine con i<br />
cuccioli, mentre gli esemplari anziani per lo più vivono in<br />
solitudine.<br />
Il periodo migliore per poter osservare abbastanza da vicino lo<br />
stambecco è verso la stagione fredda in quanto sia perché
scendono verso le basse altitudini in cerca di cibo sia perché<br />
coincide con la stagione degli amori e quindi non è così<br />
improbabile sentire l’inconfondibile rumore delle corna che<br />
lottano tra di loro degli esemplari maschi che squarciano il<br />
silenzio delle valli. In primavera la femmina dà alla luce un<br />
cucciolo, alle volte due, e fortunatamente, grazie al loro<br />
carattere piuttosto mite e imperturbabile si lascia facilmente<br />
avvicinare dall’uomo.<br />
Inverno Inverno nel nel parco parco (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
Un altro simbolo del Parco Nazionale del Gran Paradiso è il<br />
camoscio che però, a differenza dello stambecco, è più<br />
diffidente. Questo splendido esemplare si differenzia per il suo<br />
portamento elegante nei suoi balzi, scattante e veloce. Dalle<br />
ultime stime, se ne contano all’incirca 7000 esemplari. E’<br />
dotato di corna non imponenti come quello dello stambecco,<br />
ma sottili e leggermente uncinate. Fortunatamente questo<br />
ungulato non è più a rischio di estinzione in quanto la<br />
mancanza dei predatori naturali ne ha favorito la crescita<br />
numerica. Questo però, d’altro canto, ha comportato il rischio
che siano in sovrannumero, e che durante l’inverno quando<br />
scendono a valle tendano a danneggiare il sottobosco,<br />
attraversano le strade asfaltate provocando incidenti e<br />
arrivino a pochi metri dalle case in cerca di cibo; per questa<br />
ragione si è reso necessario, alle volte, azioni di caccia selettiva<br />
per ridurne il numero. Una precisazione voglio farla su quanto<br />
appena detto. Come già<br />
Marmotta Marmotta delle delle Alpi Alpi (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />
Montaina)<br />
detto precedentemente, in quest’area la caccia è stata<br />
severamente vietata dai tempi dei Savoia, mentre qualcuno<br />
potrà obiettare dicendo che non è vero se si svolgono alle volte<br />
azioni di caccia selettiva. Trovo che sia una nozione<br />
estremamente importante la differenza che c’è tra caccia per<br />
“sport” e caccia selettiva. Entrambe naturalmente hanno tutte<br />
origine da colpe derivanti dall’uomo: la prima perché la caccia<br />
ritenuta uno “sport” da coloro che la praticano è un’offesa a<br />
chi veramente si dedica allo sport per passione, perché non si<br />
può giudicare un passatempo privare un essere vivente della<br />
vita, quando invece un animale che è solo una creatura che
vive la propria vita cercando di sopravvivere alle impervie<br />
della natura, che è fatta solo di istinto naturale, che è<br />
comunque caratterizzata da nobili sentimenti come la dolcezza<br />
di una madre per i propri cuccioli, credo che si possa ritenere<br />
molto più nobile rispetto a chi caccia per divertimento; la<br />
caccia selettiva, invece, purtroppo è diventata una forma<br />
importante di caccia per la salvaguardia di alcune specie.<br />
Anche<br />
Orrido Orrido di di Gerard Gerard (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina)<br />
Montaina)
la caccia selettiva è colpa dell’uomo se riteniamo che la natura,<br />
nel suo ciclo vitale è perfetta e non sbaglia mai; il fatto di<br />
dover ricorrere a questo tipo di caccia per evitare i danni che<br />
provocherebbe il sovrannumero di determinate specie, come<br />
appunto in questa zona lo è il camoscio, è dovuto al fatto che i<br />
predatori naturali come lo erano l’orso e il lupo non ci sono<br />
più da secoli, mentre gli altri sono stati perseguitati e<br />
sterminati già ai tempi della riserva dei reali. Infatti, il<br />
compito delle Guardie Cacciatori Reali non era solo quello di<br />
proteggere la selvaggina dai bracconieri ma anche dagli<br />
animali ritenuti nocivi come la lice, la volpe e l’aquila.<br />
Fortunatamente negli ultimi anni abbiamo avuto notizie di<br />
avvistamenti dell’orso e della lince e questo ci fa ben sperare<br />
che un giorno torneranno i veri predatori naturali e che non<br />
dovremo più rincorrere alla caccia di selezione.<br />
Fringuello Fringuello Fringuello (Foto (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Alessandra Pelus) Pelus)<br />
Pelus)<br />
Devo proprio ammettere che per una naturalista come me<br />
questo è un paradiso in terra non solo a livello di mammiferi,<br />
ma anche per coloro che amano il birdwatching. Credo che<br />
qui nessuno possa annoiarsi vista la presenza di verzellini,
codirossi spazzacamino, picchi, cince, sparvieri, poiane astori,<br />
civette e allocchi e innumerevoli altre specie che non sto ad<br />
elencare tutte altrimenti mi dilungherei troppo.<br />
Il mio reportage in questo parco è stato anche segnato da<br />
innumerevoli scatti che la natura offriva in ogni istante<br />
davanti ai miei occhi, ma la cosa che a mio avviso merita di<br />
essere visitata per la sua maestosità e per le sue acque<br />
impetuose, sono le cascate di Lillaz. Queste cascate, che si<br />
trovano a pochi chilometri da Cogne, sono formate da alcuni<br />
salti rocciosi attraverso i quali scorrono le acque del torrente<br />
Urtier che scavando profondi anfratti hanno dato origine a<br />
questo spettacolo naturale. Camminando in un sentiero di<br />
larici si arriva alla base delle cascate e dopo un tratto di<br />
sentiero un po’ più ripido si arriva al secondo salto più<br />
maestoso, dove il torrente Urtier si getta in una conca di rocce<br />
scavate dallo stesso nel corso dei secoli. Proseguendo il<br />
sentiero che diventa via via più pendente e che accosta la<br />
montagna si raggiunge un ponte di legno, il quale una volta<br />
superato, si sbuca su un piano erboso all’altezza di circa 1745<br />
metri da dove si può ammirare la terza cascata in tutto il suo<br />
splendore grazie ai giochi di luce dell’acqua che offre per le<br />
stratificazioni rocciose che l’hanno generata.
Cascate Cascate di di Lill Lillaz Lill az (Foto di Alessandra Pelus)<br />
E’ meraviglioso poter annoverare un Parco Nazionale così<br />
importante nel nostro Paese, perché tra laghi, ghiacciai,<br />
boschi, fiori dai mille colori, cascate, quando ci si addentra in<br />
ogni angolo del parco sembra di essere catapultati in un’altra<br />
dimensione.<br />
Purtroppo il mio reportage di viaggio nel Gran Paradiso è<br />
durato solo una decina di giorni, ma chi ama la natura e la<br />
fotografia non può che fermarsi ad ogni passo per<br />
contemplare quanto sia grande la Natura che offre spettacoli
come quelli che solo lei sa creare ,e l’uomo dovrebbe riscoprire<br />
un sentimento ormai perduto, ovvero l’umiltà, perché<br />
purtroppo a causa della sua presunzione che lo fa ritenere<br />
l’essere vivente per eccellenza causa non solo danni a se stesso,<br />
ma anche al ciclo vitale naturale che equilibra la nostra Terra<br />
e che purtroppo sta facendo scomparire angoli di natura<br />
incontaminata come questo. Speriamo che le leggi in vigore<br />
continuino anche nei prossimi secoli a tutelare questo parco e<br />
che sempre più persone riscoprano nel loro animo l’amore<br />
incondizionato per la natura e gli animali, e spero che grazie<br />
alle mie parole e a quelle dei colleghi di <strong>kamoose</strong>, i lettori<br />
possano vivere sulla loro pelle le sensazionali emozioni che noi<br />
fotoreporter proviamo a trasmettervi nei nostri servizi.<br />
ALESSANDRA PELUS
FENICOTTERO ROSA<br />
Testi e Foto di Alessandra Pelus<br />
Erano le 2 del pomeriggio ed ero ancora in macchina; il<br />
viaggio sembrava non terminare più, complice il caldo che non<br />
desisteva un attimo dal calare. Ma ecco l’uscita<br />
dall’autostrada e finalmente l’insegna “ Parc Naturel<br />
Régional de Camargue”. Mancavano veramente pochi km<br />
all’arrivo all’albergo per una tanto attesa rinfrescata ma è<br />
bastato proseguire di poche curve e finalmente si sono aperte<br />
davanti a me, come per magia, le distese infinite di laghi,<br />
stagni, alcuni prosciugati dal grande caldo, e come piccoli<br />
folletti cominciavo a intravedere da lontano anche molte<br />
specie di uccelli, quali garzette, aironi, cigni che erano fermi<br />
nelle acque stagnanti della Camargue per rifocillarsi.
Il gioco sottile delle correnti del mare e dei laghi, le leggi<br />
complesse che regolano le alluvioni hanno gradatamente<br />
creato questo paesaggio misterioso.<br />
Quello che colpisce appena si entra nel Parco sono le vaste<br />
distese paludose chiamate “les sansouieres”, terre impregnate<br />
d’acqua e di sale dove crescono le salicornie, brunastre in<br />
autunno che assumono una tinta rossiccia durante il periodo<br />
invernale. Qua e là, il suolo è tappezzato di statici, di color<br />
azzurro tenero che fioriscono dall’estate all’autunno. Sulle<br />
terre meno incolte crescono gli iridi, le ginestre, i miosotidi, gli<br />
asfodeliche che coloriscono la stupenda Camargue in<br />
primavera.<br />
Gli argini delle paludi e dei canali sono vestiti di canneti (<br />
sagno, in provenzale) con cui i guardians ( i butteri) ricoprono<br />
le loro capanne. Anche tori e Cavalli dall’elegante andatura<br />
percorrono questa zona selvaggia e fanno anch’essi parte del<br />
paesaggio.
Questa parte della Provenza dove sfocia il delta del Rodano è<br />
uno dei maggiori centri migratori in Europa, infatti vengono a<br />
nidificarvi e a riprodurvisi circa 350 specie di uccelli, alcuni<br />
sono di passaggio altri, invece, sono stanziali.<br />
Ero elettrizzata all’idea che da lì a poco avrei tenuto tra le<br />
mani la mia attrezzatura fotografica e avrei potuto dare sfogo<br />
al mio amore per la fotografia naturalistica, anche se<br />
mostravo un po’ di preoccupazione perché purtroppo ancora<br />
del Fenicottero Rosa non ne vedevo l’ombra. Ma sapevo che<br />
questo viaggio avrebbe colmato la mia lacuna fotografica<br />
riguardo a questo uccello alquanto buffo ma allo stesso tempo<br />
elegante e sontuoso.<br />
E così sulle rive di uno dei tanti stagni intenta a fotografare<br />
alcune specie di uccelli ecco che da lontano vedo un fenicottero<br />
che volando, si dirige e atterra in uno stagno vicino. Che<br />
emozione osservare in volo questo uccello dalla forma<br />
particolare e dipinto di un rosa acceso.<br />
Mi sono incamminata verso lo stagno dove avevo visto<br />
atterrare il fenicottero con la mia attrezzatura in spalla, un<br />
passo alquanto veloce per non perdere tempo e finalmente,<br />
svoltato un angolo di canneti, mi sono ritrovata davanti uno
spettacolo: centinaia di fenicotteri rosa che si cibavano in<br />
acqua, alcuni che litigavano tra loro, alcuni intenti a dormire.<br />
Il caldo attanagliante, il sudore che colava dalla fronte che fino<br />
a quel momento era insopportabile sparirono come per<br />
incanto.<br />
Erano davanti ai miei occhi dopo mesi di attesa e finalmente<br />
potevo osservare il loro regale comportamento in natura.
Il fenicottero che appartiene alla famiglia dei fenicotteriformi<br />
ed è un genere della famiglia dei fenicotteridi<br />
(Phoenicopteridae) è un uccello sociale di palude dalle<br />
dimensioni che vanno da un metro a un metro e mezzo<br />
d’altezza per un’apertura alare di 1,7 metri e vivono in grossi<br />
stormi nelle aree acquatiche.<br />
E’ anche classificato come trampoliere intendendo con questo<br />
termine le specie di uccelli caratterizzati da un collo slanciato e<br />
flessibile e da zampe particolarmente lunghe, da uno stretto<br />
legame con gli ambienti umidi e da un’attitudine migratoria.<br />
La silhouette in volo è facilmente riconoscibile con il collo<br />
ripiegato a S sul dorso e le lunghe zampe dritte all’indietro.<br />
Il Fenicottero è un uccello migratore. Oltre agli spostamenti<br />
giornalieri che questo uccello compie per le svariate esigenze ,<br />
esistono anche altri tipi di spostamento che modificano la<br />
distribuzione della specie. Infatti, se a spostarsi sono gli<br />
individui giovani, che lasciano effettivamente l’area in cui sono<br />
nati, si parla di dispersione, intendendo con questo termine
quella serie di spostamenti che hanno lo scopo di diminuire la<br />
competizione alimentare con i genitori, in modo da non pesare<br />
su di loro anche per le generazioni future.<br />
La migrazione vera e propria, invece, assume significati<br />
differenti ed è legata a spostamenti regolari di andata e<br />
ritorno in aree di distribuzione ben definite. E’ una strategia<br />
che i Fenicotteri hanno adottato per sopravvivere e riprodursi<br />
al meglio, in base alle risorse messe a disposizione<br />
dall’ambiente in cui vivono.<br />
A livello evolutivo la nascita di questo comportamento è stata<br />
indotta dalla scarsità o dalla totale scomparsa di risorse<br />
alimentari o a grandi cambiamenti climatici.<br />
Il ritorno nelle aree d’origine, una volta ristabilitasi la<br />
condizione iniziale, unita anche a una certa stabilità climatica,<br />
ha contribuito a creare questo movimento di andata e di<br />
ritorno tra 2 aree lontane tra loro: una generalmente utilizzata<br />
per la riproduzione e caratterizzata da condizioni ambientali<br />
originarie per la specie, con un’ampia disponibilità di risorse<br />
trofiche per la crescita della prole, e un’altra utilizzata per<br />
svernare, cioè per rifocillarsi dalle fatiche della stagione<br />
riproduttiva e del viaggio migratorio, quel periodo dell’anno<br />
in cui nelle zone di origine le condizioni climatiche e la<br />
disponibilità di cibo sono estremamente sfavorevoli.
I fenicotteri, infatti, alcuni giorni prima della partenza<br />
cominciano a nutrirsi in maniera abbondante. Questa<br />
iperfagia permette un grosso accumulo di grasso sottocutaneo<br />
che funziona da riserva energetica durante il viaggio.<br />
Esiste anche un periodo in cui per questi uccelli risulta<br />
evidente l’avvicinarsi della partenza e questo fenomeno<br />
comportamentale viene chiamato “ inquietudine migratoria”<br />
che è controllato da fattori ormonali.<br />
Sappiamo che il fenicottero, come uccello migratore, percorre<br />
le stesse vie e le stesse rotte che vengono tramandate di<br />
generazione in generazione.<br />
E’ ovvio che vi starete forse chiedendo, come fanno a<br />
orientarsi senza mai sbagliare? Infatti, questo è uno degli<br />
aspetti più affascinanti del fenomeno della migrazione. Questi<br />
uccelli tornano sempre nelle stesse aree da cui erano partiti e<br />
alcuni tornano a nidificare nello stesso nido utilizzato l’anno<br />
precedente, dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri. Per<br />
fare ciò è evidente che utilizzano degli accorgimenti<br />
particolari. Uno dei fattori primari è sicuramente la vista,
senso particolarmente sviluppato e che permette di ricercare e<br />
fissare elementi topografici familiari su cui basarsi per<br />
raggiungere la meta. Oltre alla vista però è stato confermato<br />
che possiedono una specie di bussola interna che permette loro<br />
di riconoscere le direzioni cardinali e per fare ciò essi<br />
utilizzano due fonti di riferimento: il sole e il campo magnetico<br />
terrestre.<br />
Infatti da alcuni studi è stato accertato che come uccelli<br />
migratori, i fenicotteri utilizzano una bussola solare, cioè si<br />
basano su un sistema di rilevamento fisiologico con il quale<br />
essi valutano i cambiamenti che il sole compie nell’arco di una<br />
giornata e anche le variazioni giornaliere dell’angolo formato<br />
dal sole stesso con il punto cardinale sud. E si è notato che in<br />
mancanza di sole essi sfruttano il campo magnetico terrestre e<br />
di notte, invece, sembra che si servano anche delle stelle,<br />
creandosi una vera e propria mappa stellare.<br />
E’ veramente affascinante per chi ama la natura poter avere<br />
di fronte uno spettacolo formato da migliaia di esemplari di<br />
fenicottero e sapere che tutti insieme voleranno verso un altro
Paese o Continente grazie alle magiche incognite che Madre<br />
Natura ha donato a questi splendidi uccelli.<br />
Ci sono sei principali specie di Fenicottero:<br />
1) Fenicottero maggiore (Phoenicopterus roseus), diffuso in<br />
Africa, Asia Meridionale ed Europa meridionale<br />
2) Fenicottero rosso (Phoenicopetrus ruber), presente nei<br />
Caraibi, in Mesoamerica e nelle Isole Galapagos. Esso ha<br />
due sottospecie alquanto diverse Phoenicopterus ruber<br />
ruber di color rosso acceso, e il Phoenicopterus ruber<br />
roseus dalle tinte più pallide.<br />
3) Fenicottero minore(Phoenicopterus minor), presente solo<br />
nell’Africa meridionale, è la specie più numerosa con una<br />
popolazione mondiale di almeno 4 milioni di individui.<br />
4) Fenicottero del Cile (Phoenicopterus chilensis) il più<br />
diffuso in Sudamerica.E’ leggermente più piccolo del<br />
Fenicottero Maggiore, è di colore rosa pallido, con strisce<br />
rosso brillante sul dorso e nidifica nei pressi di piccoli<br />
laghi salati e nelle pianure all’estremo sud del continente<br />
americano.<br />
5) Fenicottero delle Ande(Phoenicopterus andinus), diffuso<br />
nelle Ande Meridionali.<br />
6) Fenicottero di James (Phoenicopterus jamesii), diffuso<br />
nelle Ande settentrionali.
Da alcuni studi si è appurato che i rapporti con le altre<br />
specie di uccelli sono incerti: per alcuni aspetti possono<br />
essere accostati agli aironi e agli ibis, mentre per altri alle<br />
anatre e alle oche.<br />
E’ un uccello che è legato all’acqua salata e le popolazioni<br />
che si allontanano dal mare per andare a nidificare
scelgono, comunque, sempre le sponde basse e fangose di<br />
laghi salati.<br />
Il Fenicottero è una specie monogama, quando si forma una<br />
coppia resta insieme per tutta la vita. Il nido è costruito<br />
interamente con il fango e ha la forma di un tronco di cono,<br />
incavato. Viene deposto e covato un solo uovo per volta. I<br />
genitori si alternano, per circa un mese, alla cova dell’uovo.<br />
I piccoli quando escono dal guscio hanno un tipico<br />
piumaggio bianco, che si colorerà solo nella fase adulta, e<br />
viene alimentato mediante una secrezione molto nutriente,<br />
ricca di grassi e proteine, prodotta nel gozzo dei genitori e<br />
rigurgitatagli direttamente nel becco. Questa secrezione è<br />
un ormone chiamato prolattina e viene prodotto in<br />
ghiandole allineante nel tratto digerente superiore.<br />
Soprattutto i giovani fenicotteri si nutrono di questo latte<br />
che contiene anche globuli rossi e globuli bianchi per circa<br />
due mesi, finchè le loro cistifellee non sono abbastanza<br />
sviluppate per filtrare il cibo.<br />
A una settimana dalla schiusa i pulcini della colonia si<br />
radunano in gruppi, chiamati generalmente “asili”, nei<br />
quali resteranno finchè non saranno in grado di volare<br />
all’età circa di 3 mesi.
Il loro caratteristico colore rosa è dovuto al carotene<br />
ottenuto dal loro cibo. Un fenicottero ben nutrito e in salute<br />
è parecchio variopinto. Quanto più rosa è un fenicottero<br />
tanto più risulta desiderabile come partner. Infatti, un<br />
fenicottero bianco o pallido di solito è malato o soffre di<br />
mancanza di cibo.<br />
Eccezione notevole sono le specie allevati in cattività, la<br />
maggior parte dei quali diventano di colore rosa-pallido<br />
dato che non hanno ricevuto cibo che contenesse una<br />
quantità sufficiente di carotene.<br />
Questa specie di uccello è molto gregaria e nidifica in<br />
colonie e anche quando ricerca il cibo rimane a stretto<br />
contatto con i suoi simili.<br />
Essi si nutrono filtrando alghe, crostacei e molluschi. Il loro<br />
becco dalla forma strana, si incurva bruscamente a metà<br />
della sua lunghezza verso il basso e sui margini porta delle<br />
placche, piccole e strette, chiamate lamelle. I loro becchi<br />
sono stata adattati appositamente per separare il fango e<br />
silice da ciò che consumano e vengono usati, unici nel loro<br />
genere, in posizione a testa in giù. Il filtraggio del cibo viene
assistito appunto dalle lamelle che sono delle strutture<br />
pelose che allineano le mandibole e la grande lingua dalla<br />
superficie ruvida che forza l’acqua all’interno del becco e<br />
trattengono i piccoli invertebrati e le sostanze di origine<br />
vegetale di cui l’uccello, appunto, si nutre.<br />
I fenicotteri sono inoltre conosciuti per bilanciare se stessi<br />
su una zampa mentre stanno in piedi e si nutrono e mentre<br />
dormono e, credetemi, se li aveste di fronte rimarreste ore<br />
ad osservarli in questa posizione ponendovi moltissime<br />
domande su come facciano a rimanere in quella posizione<br />
per così tanto tempo soprattutto su una zampa così sottile<br />
ma che è in grado di tenere tutto il loro peso corporeo senza<br />
il minimo movimento o perdita di equilibrio.<br />
Ci sono alcune curiosità che riguardano questa specie che a<br />
mio avviso sono interessanti conoscere perché svelano al<br />
lettore ulteriori caratteristiche di questo uccello:<br />
Fenicottero significa dalle piume rosse, o meglio, dalle<br />
piume color rosso sangue in quanto il sostantivo greco foinix<br />
deriva dall‘aggettivo foinos che significa rosso sangue. E il<br />
vocabolo foinix significa dalle piume color rosso sangue.<br />
In italiano il fenicottero era anche detto fiammingo, termine<br />
che deriva dal provenzale flamenc , forse da fiamma, quindi<br />
dalle piume color fiamma. Infatti in inglese il fenicottero è<br />
detto flamingo e in francese flamant.<br />
Alla fine del mio viaggio in terra provenzale posso solo<br />
portare con me e nei miei viaggi futuri tutto il mio<br />
entusiasmo nei confronti di questo Parco e ammettere che<br />
per gli amanti della natura e, in particolare, dell’ornitologia<br />
quest’ oasi, che rimane a tutt’oggi ancora una zona<br />
paradisiaca e per fortuna ancora protetta in Europa, è una<br />
tappa non solo fondamentale ma anche obbligatoria nella<br />
propria vita perché è solo vivendo in prima persona il clima<br />
naturalistico di questo Parco Nazionale, ascoltando il<br />
fruscio del vento tra i canneti, l’udire i richiami delle
tantissime specie di uccelli presenti e, soprattutto osservare<br />
la magnificenza ipnotica del Fenicottero che vi farà capire<br />
quante meraviglie offre ancora Madre Natura e che vanno<br />
salvaguardate se vogliamo continuare a svegliarci e avere<br />
ancora la speranza che la vita vale la pena di essere vissuta.<br />
ALESSANDRA PELUS
PARCO NAZIONALE DI<br />
OULANKA<br />
Testi e Foto di Max Montaina<br />
Circolo polare artico, circa 35 km a nord di Rowaniemi, nella<br />
Lapponia finlandese, cielo plumbeo che minaccia pioggia da<br />
un momento all’altro, i nostri fuoristrada “mangiano” il<br />
terriccio di cui è costituita la Karrunkierros Road, un<br />
percorso a dir poco stupefacente, circondato ai lati di questa<br />
unica strada (carraia), da lussureggianti foreste di betulle, pini<br />
di svezia, larici e abeti rossi.<br />
Filippo, mio compagno di mille viaggi, nonchè mio fratello, mi<br />
domanda spontaneamente: “ma siamo sicuri di non essere in<br />
Canada?”<br />
Affermazione non poteva essere più calzante, per chi come il<br />
sottoscritto conosce bene il Nord America, effettivamente,<br />
pareva di essere all’interno di un parco canadese, al contrario,<br />
e con grande gioia mista a stupore, ci stavamo addentrando in<br />
uno dei luoghi più belli e selvaggi del Nord Europa: il Parco
Nazionale di Oulanka. Non è famoso come Yellowstone negli<br />
USA, non è pubblicizzato come il Serengeti in Tanzania, e non<br />
è per nulla facilmente raggiungibile, ma vi assicuro, che<br />
arrivare fin qui, in questo paradiso nordico, ne valeva<br />
assolutamente la pena.<br />
Alba Alba nel nel parco<br />
parco<br />
Ruscelli impetuosi e scroscianti, con la risalita dei salmoni a<br />
ricordare le cascate di Katmai e Kenai in Alaska, Orsi bruni<br />
girovaganti nei pressi dello splendido lago omonimo, voli di<br />
anatre di passo sopra gli alti fusti protesi al cielo, avifauna<br />
acquatica ad arricchire la bellezza di qualsiasi specchio<br />
d’acqua presente nel parco, fiori multicolori, funghi di<br />
dimensioni “preistoriche”.<br />
Lettori di Kamoose benvenuti al “Jurassic Park”, mi verrebbe<br />
da dire, mentre invece, sto parlando di una splendida sorpresa<br />
che ci ha saputo cogliere a tutti noi, membri della spedizione<br />
fotografica, come il classico “colpo di fulmine”!<br />
La luce in questo periodo (fine luglio) perdura per 21 ore al<br />
giorno, con circa 3 sole ore di crepuscolo, tra la mezzanotte e<br />
le 3 del mattino. Un vero paradiso per gli amanti della full
immersion nella natura. Ritrovarsi a fotografare paesaggi alle<br />
24 o all’una del mattino ha qualcosa di veramente eccitante.<br />
La soglia tra il sogno e la realtà ben difficilmente si riesce a<br />
cogliere.<br />
Boletus<br />
Boletus<br />
Camminando nei sentieri del parco, un suono non ci<br />
abbandona mai, è il richiamo della Ghiandaia siberiana, alla<br />
ricerca frenetica di pinoli di cui si nutre. Gli scoiattoli rossi<br />
(Sciurus vulgaris), sono i padroni di casa, basta saper<br />
pazientare in silenzio, e la fatica dell’attesa verrà sicuramente<br />
ripagata. Questo parco è anche la dimora della Lince europea<br />
(Lynx lynx), che è presente con una trentina di esemplari<br />
disseminati lungo tutto l’arco del parco e oltre.<br />
La Finlandia è terra di contrasti, per certi versi molto simile<br />
all’Italia. Da un lato la protezione di innumerevoli aree<br />
tramite l’istituzione di parchi nazionali, dall’altro, la “piaga”<br />
dei cacciatori di frodo, o bracconieri, come preferite
chiamarli, che non appena sentono parlare di specie a rischio,<br />
non gli par vero di lucidare i loro fucili, con i quali io<br />
consiglierei un utilizzo ben più utile per la razza umana,<br />
ovvero per autolevarsi dalle “scatole”.<br />
Lince Lince europea<br />
europea<br />
Ma bando a queste divagazioni protezionistiche e torniamo<br />
alle meraviglie di Oulanka, che è stato istituito nel 1972.<br />
Contrariamente a quanto si possa pensare, non è una meta<br />
ambita per i naturalisti della Scandinavia in quanto questa<br />
penisola, con Norvegia, Svezia e appunto Finlandia, vanta<br />
numerosissime aree protette mete di naturalisti nordici.<br />
Camminare nei sentieri ben segnati e ben tenuti<br />
dall’amministrazione del parco è qualcosa di appagante per<br />
l’anima. Il sottobosco che è ampio e luminoso, come è tipico<br />
per la maggior parte dei parchi scandinavi (di cui questo è solo<br />
il primo reportage che pubblicheremo), permette alla luce di<br />
filtrare attraverso le alte chiome delle conifere e delle<br />
latifoglie, permettendo un’ottima visuale sulle zone circostanti.
Mentre si percorrono questi sentieri immersi nel verde e dal<br />
soffice manto del substrato, è facilissimo incontrare la regina<br />
incontrastata della tundra artica, la Renna (Rangifer<br />
tarandus), che ci osserva da lontano con curiosità e attenzione.<br />
Renna<br />
Renna<br />
Ma l’abitante più curioso e che personalmente io ritengo più<br />
affascinante oltre che entusiasmante da incontrare, previo<br />
duro appostamento davanti alle tane per ore e ore è la Volpe<br />
polare (Lagopex arctica), che in questo periodo dell’anno ha<br />
smesso l’abito completamente bianco invernale, per “vestire”<br />
un più adatto e mimetico manto bruno violaceo,<br />
maggiormente marcato nei cuccioli che in questo periodo<br />
hanno circa 2 mesi di vita. Sono pieni di vita, curiosi, e tra gli<br />
animali più appaganti da fotografare, perchè poter incontrare<br />
un’esemplare di Volpe polare non è cosa di tutti i giorni, ve lo<br />
posso garantire.
Ninfea Ninfea Ninfea acquatica acquatica<br />
acquatica<br />
Gigli, campanule viola, ninfee, ibis, e molte altre specie floreali<br />
sono il contorno affascinante per tutti i visitatori di Oulanka,<br />
soprattutto del gentil sesso.<br />
Come sapete, se leggete i miei reportages, o avete letto qualche<br />
mio libro, sostengo da sempre che il colpo di fortuna<br />
accompagna sempre coloro che amano veramente quello che<br />
fanno e in cui credono, per cui anche questa spedizione non ha<br />
fatto eccezione alla regola. Non lo dimenticherò mai, perché al<br />
pari del Leopardo delle Nevi in Tibet e la Tigre del Bengala in<br />
India, l’incontro con questo animale (inaspettato) è stato<br />
repentino e totalmente mozzafiato.
Pini Pini Pini di di di Svezia<br />
Svezia<br />
Prima di svelarvi di quale specie io stia parlando, vorrei, come<br />
nel più classico dei thriller, fare una premessa necessaria per<br />
poter comprendere la “grandezza” dell’ incontro compiuto.<br />
Quando si decide di fare il fotografo di animali, si sognano<br />
incontri con le specie più svariate, ma durante il corso degli<br />
anni, molti, si lasciano scoraggiare dalla fatica, dal peso delle<br />
attrezzature (uno zaino fotografico con corredo completo<br />
professionale pesa circa 25 kg), dalle intemperie, dai limiti<br />
fisici, ma soprattutto dalla mancanza di entusiasmo, che scema<br />
man mano che le specie agognate non vengono minimamente,<br />
nemmeno intraviste. Questo non fa parte del mio carattere, io<br />
sono testardo (mio grande difetto nella vita, ma evidentemente<br />
pregio nel mio lavoro), infatti, sono alla perenne e costante<br />
ricerca di specie animali che sono state poco avvistate e<br />
soprattutto per nulla fotografate, a costo di sacrifici immani<br />
sotto tutti i punti di vista. Ecco perché ritengo che la mia<br />
“proverbiale” fortuna, che nel corso degli ultimi 30 anni mi ha<br />
sempre accompagnato, legata spero anche alla mia conoscenza<br />
delle specie che intendo ritrarre, mi ha ripagato anche qui.
Ghiottone<br />
Ghiottone<br />
Era il quinto giorno della nostra permanenza nel parco e<br />
mentre ci recavamo verso una zona dove sapevamo esserci una<br />
tana di volpi polari, mentre camminavamo a passo serrato,<br />
tutto ad un tratto da un cespuglio di sorbo degli uccellatori (un<br />
arbusto molto diffuso nel parco), proprio davanti a me, a circa<br />
10 metri di distanza mi è apparso in tutto il suo magnifico<br />
alone di mistero in cui è avvolto per i pochi avvistamenti, un<br />
esemplare maschio di Ghiottone (Gulo gulo). Per chi fotografa<br />
la natura, poterlo incontrare, equivale per un giocatore di<br />
calcio vincere la Champions League, ovvero, difficilmente può<br />
capitare più volte nell’arco della stessa vita. Immaginate il mio<br />
stupore e la mia gioia irrefrenabile (lo ammetto, alla sera,<br />
davanti al fuoco ho danzato come i nativi americani per<br />
ringraziare Wakan tanka) nello scorgere poco distante di<br />
qualche metro anche la femmina. Veloce, con lo sguardo truce,<br />
tipico dell’aggressività
Oulanka Oulanka Lake<br />
Lake<br />
dei mustelidi a cui appartiene, nello scattargli foto ed<br />
osservarlo nelle sue movenze fatte di corse improvvise e<br />
repentine e brusche frenate, il tempo si è fermato, e come in un<br />
film alla moviola, ho rivisto tutte le immagini più belle di<br />
queste 2 settimane passate in questo gioiello verde del Nord<br />
Europa: Filippo appostato sulle rocce ad attendere il balzo dei<br />
salmoni fuori dall’acqua, Flaviana che tentava di sfamare i<br />
cuccioli della Volpe polare con i biscotti di una nota casa<br />
produttrice parmense, Simona che rincorreva gli Scoiattoli da<br />
un albero all’altro e Barbara che voleva a tutti i costi<br />
fotografare un orso bruno mentre si grattava contro la<br />
corteccia degli alberi. Oulanka è un luogo che ancora adesso a<br />
chi me lo chiede, definisco “mistico”, mi ha dato più di quanto<br />
io gli chiedessi, perchè del tutto inaspettato e assolutamente<br />
spettacolare. Molti viaggiatori si recano al circolo polare
Volpe Volpe polare<br />
polare<br />
artico per vedere il “sole di mezzanotte”, ma vi garantisco che<br />
se vi recherete a visitare questa terra sconosciuta e<br />
fortunatamente (una volta tanto) dimenticata dall’uomo,<br />
potrete raccontare ai vostri conoscenti, che almeno una volta<br />
nella vostra vita avete visitato il paradiso in terra. Sono andato<br />
innumerevoli volte in Scandinavia (e conto di tornarvi presto a<br />
Dio piacendo), battendo in lungo e in largo tutti i principali<br />
parchi della Svezia, della Norvegia, ed ovviamente della<br />
Finlandia, ma quello che mi ha lasciato nel profondo<br />
dell’anima il Parco Nazionale di Oulanka, raramente l’ho<br />
ritrovato altrove. Per cui grazie elfi, grazie folletti, grazie fate,<br />
sono certo che siete stati voi a spingermi in questo remoto e<br />
incantato luogo della Lapponia.<br />
MAX MONTAINA
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