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VOLUME 1


EDITORIALE<br />

TIGRE di Max Montaina<br />

INDICE<br />

MONTAGNE ROCCIOSE di Roberta Grossi<br />

LUPO di Max Montaina<br />

SERENGETI di Stefania Corti<br />

AQUILA AMERICANA di Max Montaina<br />

GALAPAGOS di Alessandra Pelus<br />

ALCE di Max Montaina<br />

GRAN PARADISO di Alessandra Pelus<br />

FENICOTTERO ROSA di Alessandra Pelus<br />

OULANKA di Max Montaina


EDITORIALE<br />

EDITORIALE<br />

Tante cose cose cose sono sono cambiate cambiate da da quel quel quel lontano lontano lontano 1988 1988 quando quando fui<br />

fui<br />

incaricato incaricato di di ideare ideare e e dirigere dirigere ETHOS, ETHOS, la la rivista rivista che che avrebbe<br />

avrebbe<br />

superato superato ogni ogni più più rosea rosea aspettativa, aspettativa, aspettativa, sopra soprattutto sopra sopra ttutto per il il successo successo di<br />

di<br />

pubblico pubblico pubblico che che ebbe ebbe in in tutte tutte tutte le le edicole edicole italiane. italiane. Ma Ma come come dicevo,<br />

dicevo,<br />

appunto, appunto, i i tempi tempi cambiano, cambiano, cambiano, oggi oggi oggi l’editoria l’editoria cartacea, cartacea, sta sta vivendo vivendo uno<br />

uno<br />

dei dei momenti momenti più più bui bui della della sua sua intera intera storia, storia, e e così, così, in in una una serata<br />

serata<br />

d’autunno d’autunno di di quasi quasi cinque cinque anni anni fa, nacque, tra tra un gruppo di<br />

di<br />

fotoreporters fotoreporters professionisti, professionisti, studiosi studiosi e e divulgatori, divulgatori, l’idea l’idea di di creare creare la<br />

la<br />

prima prima rivista rivista di di natura natura online online fruibile fruibile a a tutti, tutti, senza senza alcuna<br />

alcuna<br />

distinzione distinzione di di sorta.<br />

sorta.<br />

Nessun Nessun albero, albero, nessun nessun foglio foglio di di carta, carta, nemmeno nemmeno una una goccia goccia di<br />

di<br />

inchios inchiostro, inchios tro, saranno sprecati sprecati invano per poter realizzare realizzare mensilmente<br />

mensilmente<br />

questo questo magazine magazine sulla sulla natura natura e e sugli sugli animali animali del del nostro nostro nostro maltrattato<br />

maltrattato<br />

pianeta pianeta Terra!<br />

Terra!<br />

Troverete Troverete il il lavoro, lavoro, la la pazienza, pazienza, lo lo spirito spirito di di sacrificio, sacrificio, ma<br />

ma<br />

soprattutto soprattutto il il grande grande amore amore per per la la natura natura che che tu tutto tu tto lo lo staff staff staff di<br />

di<br />

KAMOOSE, KAMOOSE, ha ha profuso profuso in in questi questi ultimi ultimi anni anni per per mettere mettere a a punto<br />

punto<br />

questo questo amibizioso amibizioso amibizioso progetto.<br />

progetto.<br />

Tutti Tutti coloro coloro che che avranno avranno desiderio desiderio di di osservare osservare le le meraviglie meraviglie del<br />

del<br />

creato, creato, mese mese dopo dopo mese, mese, non non dovranno dovranno far far altro altro che che cliccare cliccare su:<br />

su:<br />

www.<strong>kamoose</strong>.net www.<strong>kamoose</strong>.net e e davanti davanti ai ai propri propri occhi occhi si si spalancherà spalancherà spalancherà un<br />

un<br />

“mondo” “mondo” fatto fatto di di foreste, foreste, laghi, laghi, fiumi, fiumi, montagne, montagne, specie specie ritratte ritratte nei<br />

nei<br />

rispettivi rispettivi habitat habitat naturali naturali e e molto molto altro altro ancora, ancora, dove dove il il sottoscritto,<br />

sottoscritto,<br />

molti molti molti altri altri fotoreporters fotoreporters e e divulg divulgatori divulg atori naturalisti si si sono sono recati recati per<br />

per<br />

potervene potervene mostrare mostrare e e narrare narrare la la stupefacente stupefacente ed ed incommensurabile<br />

incommensurabile<br />

magnificenza.<br />

magnificenza.


Basterà Basterà un un click, click, non non servirà servirà servirà null’altro, null’altro, qui, qui, siete siete nella nella grande grande casa<br />

casa<br />

della della NATURA NATURA ONLINE, ONLINE, ed ed ovviamente ovviamente tutti tutti coloro coloro che che ci<br />

ci<br />

faranno faranno visit visita, visit visita,<br />

a, spero spero costante costante e e appassionata appassionata nel nel tempo, tempo, saranno saranno gli<br />

gli<br />

ospiti ospiti più più graditi, graditi, oggi, oggi, domani domani e..........sempre!!!<br />

e..........sempre!!!<br />

IL DIRE DIRETTORE<br />

DIRE<br />

TTORE<br />

MAX MAX MONTAINA<br />

MONTAINA


TIGRE<br />

Testi e Foto di Max Montaina<br />

Quando un mio collega fotoreporter nella tarda primavera del<br />

1992 mi propose di recarci in India a fotografare le tigri, in<br />

tutta franchezza, ero combattuto. Da un lato il grande<br />

desiderio di poter incontrare nel suo ambiente naturale questo<br />

superbo felino, dall’altro il mio disamore per i viaggi in zone<br />

tropicali. Ma ovviamente, come sempre nella mia carriera di<br />

fotoreporter, a trionfare è sempre stato l’amore per la natura<br />

e per le specie animali, e non le mie personali avversioni<br />

climatiche al caldo e all’umidità, che vi assicuro essere<br />

notevoli in quei luoghi.<br />

Se si cerca la Tigre (Panthera tigris), vi è solo un luogo della<br />

terra che può soddisfare le esigenze di qualsiasi fotoreporter o


divulgatore naturalista, ovvero, il parco nazionale di<br />

Ranthambor, situato nell’India centrale e più precisamente<br />

nel Rajasthan. Per cui, una volta fissati i voli, e prenotato il<br />

lodge per la permanenza nel parco, non restava che preparare<br />

l’atrezzatura e contattare l’ente parco, avvertendo che una<br />

troupe fotografica, sarebbe giunta a fine agosto per effettuare<br />

un reportage sulle tigri. Assicuro a tutti coloro che volessero<br />

intraprenderne il viaggio, che è stata un’esperienza tanto bella<br />

quanto pericolosa al tempo stesso. Non dimentichiamoci infatti<br />

che dietro al fascino senza paragoni che possiede questa<br />

specie, stiamo pur sempre parlando di uno degli animali più<br />

potenti e pericolosi che abitano il nostro pianeta. Ma non di<br />

meno, una volta giunti al parco, scovarla sarebbe stato<br />

tutt’altro che facile, essendo poco numerosa all’interno del<br />

parco e soprattutto eslusiva come abitudini,


Al nostro arrivo, una volta sistematici in uno splendido<br />

(inaspettatamente) lodge, vi era ad attenderci un ranger del<br />

parco, il simpaticissimo Taji, che conosceva perfettamente per<br />

nostra fortuna, la lingua inglese. Il suo commento d’esordio fu<br />

subito lapidario: “Cari amici italiani, temo sarà difficile<br />

riuscire a scovarle, ma farò tutto quanto è possibile per<br />

accontentarvi.” Non era affatto una sorpresa per noi, ne<br />

eravamo pienamente consapevoli, d’altra parte stiamo<br />

parlando della “regina” incontrastata delle foreste tropicali<br />

asiatiche. Confesso che la mia predilezione sarebbe andata alla<br />

specie siberiana (Panthera tigris altaica), la sottospecie più<br />

grande tra tutte le tigri, pensate che un maschio adulto può<br />

arrivare a pesare 360 kg e a misurare fino a 4 metri di<br />

lunghezza ed è diffusa, sebbene a forte rischio d’estinizione<br />

nella zona orientale della Russia, ma proprio in conseguenza<br />

della grande difficoltà di ottenere i permessi per entrare in<br />

quel paese (non dimentichiamoci che stiamo parlando del<br />

1992), la nostra scelta (ed ora ne sono felicissimo) è stata<br />

indirizzata verso la specie principale asiatica: la superba Tigre<br />

del Bengala!<br />

L’euforia dei primi giorni, scemò inesorabilmente, dopo aver<br />

girato a vuoto a bordo della Land Rover guidata da Taji, per<br />

ben 3 giorni all’affannosa e inutile ricerca della specie.


Numerosi avvistamenti di Cervi Sika, scimmie disseminate in<br />

ogni dove, intente nelle loro schermaglie di gruppo, Ibis sacri,<br />

Aironi bianchi, e altra e variegatissima avifauna asiatica, ma<br />

ahimè, della Tigre del Bengala, come viene comunemente<br />

denominata, nemmeno l’ombra, nonostante il nostro ranger,<br />

battesse le zone a lui molto conosciute, dall’alto della sua<br />

decennale permanenza nel parco. Al crepuscolo del quarto<br />

giorno della nostra permanenza qui in India, le speranza di<br />

incontrare “SHERE KAN” come la avevamo ironicamente<br />

ribatezzata, ispirandoci al Libro della Giungla di Kipling, era<br />

ridotta a flebile speranza di fotoreporters avvezzi ai miracoli<br />

della natura! Ma come mi ripeteva sempre il mio professore di<br />

etologia dell’Università degli studi di Parma: “mai disperare,<br />

perché, chi ama la natura, prima o poi da essa verrà<br />

ampiamente ripagato”. Benedetto professor Mainardi, aveva<br />

perfettamente ragione.<br />

L’alba del quinto giorno a Ranthambor era destinata a<br />

rimanere indelebilmente impressa nella mia memoria, infatti,<br />

in seguito all’ennesimo acquazzone caduto dal cielo, le tracce


di passaggio sul terreno, ove fossero state presenti, si<br />

sarebbero viste e notate con maggior facilità! Detto e fatto,<br />

d’improvviso, Taji, sceso dalla jeep, iniziò ad urlare: “LUCKY<br />

ITALIANS, LUCKY ITALIANS”.<br />

Ed in effetti, aveva perfettamente ragione, avendo scorto le<br />

impronte di un grosso esemplare nelle vicinanze di uno<br />

specchio d’acqua. Restammo appostati e ben nascosti a bordo<br />

della Land Rover per circa 3 ore, quando verso le 13,10 di un<br />

pomeriggio afoso e caldo come pochi (tasso d’umidità<br />

indescrivibile), il miracolo tanto atteso avvenne: di fronte a me<br />

vidi ad una distanza di circa 15 metri la sagoma inconfondibile<br />

di uno splendido esemplare femmina, in tutta la sua<br />

magnificenza. Ma siccome, la natura non fa mai doni scontati,<br />

la grande sopresa, che mi lasciò senza fiato, fu lo scorgere che<br />

la zona antistante allo specchio d’acqua, rappresentata da un<br />

fitto boschetto, era abitata da un gruppo di oltre 5 esemplari, e<br />

per la precisione, una femmina con i suoi cuccioli, oltre ad<br />

un’esemplare adulto che poteva essere, una maschio accolto in


seno al gruppo familiare. Ora comprendo il significato delle<br />

urla di Taji, infatti conoscendo la zona, aveva capito fin da<br />

subito, che una famiglia, aveva preso possesso della zona, da<br />

pochi giorni, forse spostatisi, in seguito alle pioggie<br />

monsoniche dei giorni precedenti. Nel mio splendido lavoro,<br />

capita raramente di avere l’animale perfettamente inquadrato<br />

e a fuoco della propria fotocamera, e nonostante questo,<br />

passarono attimi che parevano interminabili, prima che<br />

scattassi la prima foto “storica” alla Tigre del Bengala nel suo<br />

habitat naturale. Possente, elegante, addirittura sinuosa nei<br />

movimenti, questo concentrato di potenza muscolare<br />

dall’aspetto ammaliante, era a poco più di 10 metri dalla<br />

“camionetta” su cui eravamo appostati silenziosamente.<br />

Fortunatamente il vento soffiava in senso favorevole, per cui le<br />

sensibilissime vibrisse del gruppo di tigri, non avevano ancora<br />

percepito la nostra presenza.<br />

Mentre scattavo ripetutamente immagini a più non posso, la<br />

mia mente correva ai giorni precedenti la partenza, in cui<br />

avevo raccolto una mole considerevole di informazioni a


iguardo della specie; non volevo essere preso alla sprovvista<br />

nel caso il destino mi avesse concesso di incontrarla.<br />

E’ una cacciatrice astutissima, osserva attentamente il<br />

comportamento delle proprie prede, prima di sferrare<br />

l’attacco decisivo, e raramente i suoi bersagli scampano a tale<br />

macchina predatoria, sebbene l’ambiente in cui si muove,<br />

permetta alle prede preferite, quali Cervi sika, piccoli roditori<br />

ed altri mammiferi, una discreta facilità di fuga. Ma sono<br />

assolutamente risoluto nel voler sfatare la “leggenda” della<br />

tigre come mangiatrice di uomini, in quanto, non<br />

dimentichiamoci, che questo animale, attacca quando si sente<br />

in pericolo, e in totale assenza di cibo, può accadere che<br />

avvicinandosi ai centri abitati, possa imbattersi nella presenza<br />

umana, ma vi assicuro che nel mondo muoiono più persone<br />

per la puntura di un’ape che non per “bocca” di una tigre<br />

“assassina”. Oltremodo, questo meraviglioso felino, passa la<br />

maggior parte della sua giornata a risposarsi sonnecchiando<br />

all’ombra, nel fitto della vegetazione, concedendosi, ove<br />

presenti, qualche pausa rinfrescante in qualche specchio<br />

d’acqua. Nella mia permanenza al parco, ho avuto modo di<br />

osservarne il comportamento per oltre 2 settimane, e posso<br />

tranquillamente affermare, che i tanto famigerati<br />

comportamenti aggressivi narrati da cinema e stampa da<br />

quattro soldi, sono una mera invenzione. Per lo più ho<br />

osservato atteggiamenti aggressivi tra cospecifici, ma solo ed<br />

esclusivamente in presenza di eventuali tentativi di<br />

usurpazione del proprio territorio da parte di un esemplare un<br />

po’ troppo invadente. Ma nell’osservare i giochi tra la<br />

femmina e i propri cuccioli, ho notato una “tenera” e giocosa<br />

madre, pazientemente intenta a sopportare le ripetute<br />

intemperanze dei tigrotti.


Malauguratamente, la specie è in forte pericolo di estinzione,<br />

spesso la diaspora che ha allontanato gli esemplari della stessa<br />

specie, le variazioni climatiche, e la pressante antropizzazione<br />

da parte dell’uomo, ha ridotto a territori sempre più<br />

marginali, i luoghi in cui la specie può vivere serenamente la<br />

propria esistenza. Fortunatamente, esistono riserve naturali<br />

protette, proprio come Ranthambor, o poche altre disseminate<br />

in India, nel tentativo quasi disperato di tutelarne la<br />

sopravvivenza. L’uomo distrugge, l’uomo prevarica, l’uomo si<br />

sente il padrone incontrastato delle cose presenti su questo<br />

pianeta, ma la realtà delle cose è ben diversa, prima o poi la<br />

natura presenterà il conto dei soprusi subiti, e sono<br />

assolutamente certo che il tributo da pagare sarà devastante<br />

per tutta la razza umana. Penso a quei bambini che non hanno<br />

mai visto un’animale nel proprio ambiente vitale, come<br />

potranno apprezzare ed amare le differenti specie animali, se<br />

vengono abituati fin da piccoli ad osservarli dietro a delle


sbarre o come “stupide marionette” sotto al tendone di un<br />

circo. Ho deciso di dedicare la mia intera esistenza ad amare e<br />

proteggere la natura, ma a poco o nulla serviranno i miei<br />

sforzi di divulgare le meraviglie del mondo naturale, se i nostri<br />

governi parlano di tutela ambientale solo in stupide campagne<br />

elettorali a caccia di voti, per poi, una volta raggiunto il<br />

potere, dimenticarsene come si fa per una cosa di poco conto.<br />

Durante i corsi di fotografia o le mostre che porto in giro per<br />

l’Italia, mi viene spesso domandato cosa mi spinga a dedicare<br />

tutte le mie energie agli animali, e la mia risposta è sempre la<br />

stessa:<br />

“VOGLIO CHE LA GIOIA CHE PROVO OGNI VOLTA CHE<br />

INCONTRO UNA SPECIE ANIMALE NEL SUO AMBIENTE,<br />

POSSA ESSERE PROVATA DA CHI VERRA’ DOPO DI ME,<br />

PERCHE’ I DOCUMENTARI ALLA TV SONO BELLI, I<br />

REPORTAGES COME QUESTO SONO UTILI E SPERO<br />

ISTRUTTIVI, MA SE NON GERMOGLIANO, SONO STERILI<br />

PAROLE GETTATE NEL VENTO”. Ogni volta che rivedo<br />

nella mia memoria, il primo incontro con la Tigre, rafforzo la


mia convinzione che non sono un “pazzo”, e sento nel<br />

profondo della mia anima come una forza che mi esorta a<br />

proseguire, perché finchè ci sarà amore anche per l’animale<br />

più piccolo ed insignificante, allora la terra sarà salva. Il mio<br />

viaggio a Ranthambor, mi ha consegnato tra le immagini più<br />

significative e appaganti di tutta la mia carriera, la stessa<br />

National Geographic Society, le ha volute per pubblicarle sulla<br />

collana “ACROSS THE WORLD”, ma credetemi, le<br />

ricompense economiche e le gratificazioni professionali sono<br />

nulla al confronto delle emozioni che ho provato nell’essere al<br />

cospetto della “regina della giungla”. Quando nel 1995 una<br />

giuria canadese del più grande ente protezionsitico nord<br />

americano, elesse il mio reportage (di cui qui vedete solo<br />

alcune immagini) sulla Tigre il più bel servizio fotografico<br />

dell’anno, decisi subito di dedicare questa grande<br />

soddisfazione professionale a loro, a tutte le tigri<br />

sopravvissute. Da parte mia, ho solo avuto la fortuna di<br />

trovarmi nel luogo giusto al momento adeguato, e poi, il resto<br />

è venuto da sé, frutto del mio grande amore per la natura e<br />

non di meno per il mio lavoro di fotoreporter. Grazie<br />

Panthera tigris, grazie del dono che hai voluto farmi!<br />

MASSIMO MONTAINA


MONTAGNE ROCCIOSE<br />

Testi di Roberta Grossi<br />

Foto di Max Montaina e Kenneth Parker<br />

Le Montagne rocciose sono un’affascinante catena montuosa<br />

che si innalza parallelamente alla costa pacifica del Nord<br />

America con vette imponenti che raggiungono i 4000 metri.<br />

Le “Rocky Mountains”, familiarmente chiamate “Rockies”<br />

dai locali, si estendono da nord a sud tra il Canada e gli Stati<br />

Uniti, snodandosi tra numerosi stati, dalla Columbia<br />

Britannica al New Mexico.<br />

Questa vastità di montagne non è solo roccia e neve; in realtà<br />

nasconde in sé mille segreti: tra le cime, seguendo il<br />

serpeggiare dei fiumi cerulei, si svelano cascate spumeggianti,<br />

laghi cristallini costellano di lacrime il verde delle praterie e<br />

dei pascoli, geyser spruzzano alte volute di vapore perlaceo e<br />

distese di conifere completano questo seducente e maestoso<br />

quadro paesaggistico davvero unico. E altrettanto affascinante<br />

è la fauna che popola queste meraviglie naturalistiche.


SASKATCHAWAN SASKATCHAWAN RIVER RIVER (Foto (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker)<br />

Parker)<br />

Un’antica leggenda pellerossa narra come nacquero le<br />

Montagne Rocciose:<br />

Un giorno il Coyote incontrò la Volpe il cui manto splendeva<br />

di mille pietruzze.<br />

“Dove hai trovato quelle belle cose luccicanti?” chiese<br />

incuriosito all’amica.<br />

“Su quella rupe” rispose la volpe, indicandogli una grande<br />

rupe che si stagliava nitida all’orizzonte. “Ma per ottenerle<br />

dovrai pagare qualcosa”.<br />

Il coyote, che aveva fama di furbo, andò alla rupe, prese le<br />

luccicanti perline, ma in cambio non diede nulla. Così fece per<br />

tre o quattro volte.<br />

“Bada che la rupe ti prenderà in trappola” lo ammonì la<br />

volpe; ma il coyote non le dette ascolto.<br />

Avvenne che una volta la rupe, stanca di essere derubata,<br />

imprigionò il ladruncolo.<br />

“Aiutami!” gridò rivolto alla volpe.<br />

“Mi spiace” fu la risposta. “Non posso aiutare un disonesto”.


Con la forza della disperazione il coyote riuscì a liberarsi dalla<br />

stretta, ma la rupe si mise ad inseguirlo; correva velocissima,<br />

valicava corsi d’acqua e foreste.<br />

Proprio mentre stava per essere raggiunto il coyote sentì una<br />

voce: “Salta sopra di me e non temere”.<br />

Si guardò intorno e vide un’aquila.<br />

“Non dovrei aiutarti, ma la rupe correndo per inseguirti sta<br />

distruggendo tutto”.<br />

Il coyote saltò sopra l’uccello, ma la stessa cosa fece la rupe.<br />

Ma l’aquila gridò: “Bum!”.<br />

ALLOCCO ALLOCCO DEGLI DEGLI URALI URALI (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Immediatamente la rupe si frantumò in mille pezzi che si<br />

sparsero qua e là, formando quelle che oggi sono le Montagne<br />

Rocciose.


L’emblema delle Montagne Rocciose, in particolare del parco<br />

di Yellowstone che al loro interno si trova, è il grizzly,<br />

l’imponente orso bruno nordamericano, conosciuto anche nei<br />

panni di Yoghi, l’orso golosone. È un animale massiccio,<br />

ricoperto da un folto pelo ispido che lo protegge dal clima<br />

rigido delle elevate altitudini in cui vive. Nonostante la sua<br />

stazza, il grizzly è incredibilmente veloce e ciò, insieme alla<br />

grande forza fisica, è un vantaggio nel cacciare prede grosse e<br />

veloci. Tuttavia, malgrado la fama di feroce predatore, questo<br />

animale è tutt’altro che crudele, poiché preferisce nutrirsi di<br />

piante e insetti, anche se non disdegna un pasto a base di<br />

pesce; in primavera infatti i grizzly si ritrovano al “raduno del<br />

salmone” lungo i fiumi, dove si assiste a una sfida i cui<br />

protagonisti sono orsi e salmoni. Inutile dire chi è il vincitore!<br />

Il grizzly, però, come molte altre specie che con lui<br />

condividono la sorte, è uno dei bersagli preferiti dai cacciatori;<br />

è solo grazie all’istituzione dei parchi nazionali che ora questo<br />

possente mammifero si sta riprendendo da un pesante calo<br />

demografico.<br />

WAPITI WAPITI (Foto (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)


Nelle foreste delle “Rockies”, accanto al grizzly, con cui da<br />

secoli si contende la fama di feroce predatore anche nelle<br />

favole più celebri, c’è il lupo, splendido parente del miglior<br />

amico dell’uomo.<br />

Mammifero dal manto grigio cangiante, il lupo è un animale<br />

che ama vivere in branco. Qui sono presenti rigide gerarchie<br />

ma anche gesti affettuosi, in particolare nei confronti di<br />

cuccioli e anziani, mentre c’è una più aperta rivalità tra i<br />

giovani maschi che si sfidano per la supremazia nel gruppo.<br />

Famigerato predatore di bambine dal cappuccio rosso, di<br />

indifesi capretti e di candide pecorelle, è stato cacciato per<br />

anni e anni in tutto il mondo, poiché considerato come<br />

elemento di disturbo per l’uomo e le sue attività. In realtà il<br />

lupo certo non disdegna prede facili come gli ovini, ma è<br />

spinto ad avvicinarsi alle aree di allevamento e pascolo di<br />

bestiame a causa della drastica riduzione del suo habitat<br />

naturale e di ciò di cui si nutre. Infatti, quando i lupi trovano<br />

un ambiente adatto al loro insediamento, prediligono prede<br />

quali cervi, alci, lepri e altri roditori, e non si spingono mai<br />

oltre il limite dei boschi. È proprio grazie al ripristino degli<br />

habitat e all’inserimento di esemplari in luoghi ormai<br />

spopolati che le popolazioni di lupo stanno tornando ad<br />

accrescersi.<br />

Una bellissima icona del lupo che rievoca nobili sentimenti è<br />

quella che lo ritrae ululante di fronte alla luna, come assorto<br />

in una dolce canzone d’amore. Un’affascinante leggenda<br />

indiana racconta ciò che avvenne in una calda notte di luglio<br />

di tanto tempo fa.


GRIZZLY GRIZZLY (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

“Un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava a più non<br />

posso. In cielo splendeva una sottile falce di luna che ogni<br />

tanto giocava a nascondersi dietro soffici trine di nuvole, o<br />

danzava tra esse, armoniosa e lieve.<br />

Gli ululati del lupo erano lunghi, ripetuti, disperati. In breve<br />

arrivarono fino all’argentea regina della notte che, alquanto<br />

infastidita da tutto quel baccano, gli chiese:<br />

- Cos’hai da urlare tanto? Perché non la smetti almeno per un<br />

po’? -<br />

- Ho perso uno dei miei figli, il lupacchiotto più piccolo della<br />

mia cucciolata. Sono disperato… aiutami! - rispose il lupo.<br />

La luna, allora, cominciò lentamente a gonfiarsi. E si gonfiò, si<br />

gonfiò, si gonfiò, fino a diventare una grossa, luminosissima<br />

palla.<br />

- Guarda se riesci ora a ritrovare il tuo lupacchiotto - disse,<br />

dolcemente partecipe, al lupo in pena.<br />

Il piccolo fu trovato, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di<br />

un precipizio. Con un gran balzo il padre afferrò il figlio e lo<br />

strinse forte forte a sé felice ed emozionato. Poi sparì tra il


folto della vegetazione, ma non senza aver mille e mille volte<br />

ringraziato la luna.<br />

Per premiare la bontà della luna, le fate dei boschi le fecero un<br />

bellissimo regalo: ogni trenta giorni può ridiventare tonda,<br />

grossa, luminosa, e i cuccioli del mondo intero, alzando nella<br />

notte gli occhi al cielo, possono ammirarla in tutto il suo<br />

splendore.<br />

I lupi lo sanno… E ululano festosi alla luna piena.”<br />

LUPO LUPO GRIGIO GRIGIO (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

È per questo che tutt’oggi molti di noi associano il suono<br />

dell’ululato del lupo a questa immagine di armonia.<br />

Oltre al lupo, le Montagne Rocciose ospitano un’altra specie a<br />

lui molto affine, il coyote, l’altro autore dei potenti ululati che<br />

si diffondono come richiami nella notte. Questo animale,<br />

dotato di incredibile adattabilità, ha saputo colonizzare con<br />

successo innumerevoli ambienti, grazie anche alla singolare<br />

capacità della specie di variare la propria dieta, le abitudini e<br />

le dinamiche di gruppo. I coyote difatti possono vivere sia in


coppia che in branco, o condurre vita solitaria. È certo che i<br />

maschi del coyote sono degli ottimi mariti e papà, perché<br />

rimangono accanto alla femmina anche per anni e collaborano<br />

amorevolmente all’allevamento dei cuccioli. I giovani coyote<br />

saranno poi liberi di scegliere se rimanere con i genitori o se<br />

lasciare la tana alla ricerca di un territorio da conquistare.<br />

I coyote, come i lupi, hanno subito per anni la persecuzione di<br />

cacciatori e allevatori di bestiame; erano rispettati solo dalle<br />

tribù dei nativi americani, che lo consideravano magico,<br />

profetico, capace di trasformare oggetti ed esseri. Solo negli<br />

ultimi anni il coyote si è guadagnato il rispetto che ogni<br />

creatura vivente merita e la specie è protetta in numerosi stati<br />

americani.<br />

Il coyote, insieme ad altri, è uno degli animali totemici indiani<br />

a cui sono conferite diverse qualità. È un birbante infido e<br />

dispettoso, ma è sacro. Ha fama di imbroglione e inganna gli<br />

altri animali e anche se stesso, cadendo spesso nelle sue stesse<br />

trappole. Tuttavia l’arte di campare alla giornata che lo<br />

contraddistingue gli garantisce di sopravvivere senza<br />

riportare seri danni. È un trasformista è spesso crea grande<br />

disordine; riportare l’ordine spetta al fratello, il lupo,<br />

considerato un maestro per la sua saggezza. A volte il coyote è<br />

indicato come il Briccone Divino, che, nel tentativo di togliersi<br />

dai guai, altera vari aspetti della natura. Oltre a queste qualità<br />

piuttosto negative è anche associato al divertimento e<br />

all’allegria; in particolare è simbolo di protezione ed è accorto<br />

soprattutto verso la propria famiglia, di cui tutela la sicurezza.


BI BIGHORN BI GHORN (Foto di Max Montaina) Montaina)<br />

Tra i felini, sulle Rockies, vivono due elusivi abitanti: il puma<br />

e la lince.<br />

Il puma è una delle specie a più stretta parentela con i gatti. È<br />

un animale potente ma elegante allo stesso tempo, dotato di<br />

incredibile forza e agilità, nonché resistenza: può raggiungere<br />

in corsa velocità elevate e spicca balzi impressionanti, con cui<br />

coglie di sorpresa le sue prede, assalendole alle spalle. È in<br />

grado di abbattere animali di peso e dimensioni molto<br />

maggiori delle proprie.<br />

È provvisto di una pelliccia morbida e folta, che possiede<br />

diverse colorazioni, dal bruno fulvo al marrone rossiccio fino<br />

al grigio argentato, mentre il muso e il petto sono sempre più<br />

chiari, spruzzati di bianco. Tutte le sfumature che può


assumere il pelo si rivelano estremamente mimetiche in ogni<br />

ambiente in cui il puma vive.<br />

Nel mondo il puma è noto con numerosi nomi diversi, eredità<br />

delle antiche tribù che hanno conosciuto questo felino; difatti<br />

era una volta diffuso lungo tutto il continente americano, dal<br />

Canada alla Patagonia; ora, dopo gli incessanti stermini, la<br />

specie si è rifugiata in aree limitate e non abitate dall’uomo, in<br />

particolare sulle Montagne Rocciose e in alcune aree<br />

semidesertiche degli Stati Uniti.<br />

KOOTENAY KOOTENAY VALLEY VALLEY (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker)<br />

Parker)<br />

La lince è un felino dall’aspetto soffice e quieto, datogli dal<br />

folto pelo che la ricopre e dall’espressione del muso, che la fa<br />

apparire come pensierosa. Forse è per questo che gli indiani le<br />

conferiscono il ruolo di custode di tutti gli antichi segreti, a cui<br />

è difficile carpire le conoscenze. È una furba e agilissima<br />

predatrice sia sul terreno che sulla neve, ma anche in aria,<br />

poiché spicca balzi di 2 metri per raggiungere le prede dotate<br />

di ali; è inoltre un’abile nuotatrice e arrampicatrice.


Insomma, è un’atleta a tutti gli effetti! Caratteristici e<br />

inconfondibili sono i ciuffi di pelo scuro sulle orecchie, che<br />

fanno apparire la lince sempre pronta a captare il più flebile<br />

suono. A parte durante il periodo dell’accoppiamento, questo<br />

felino è di indole solitaria ed è molto elusivo, amando<br />

rifugiarsi nel folto dei boschi o in luoghi che offrono un riparo<br />

sicuro.<br />

Nelle vaste praterie verdi che impreziosiscono le pendici delle<br />

vette pascola il gigante delle pianure erbose: il bisonte.<br />

Colossale erbivoro, vive in mandrie numerose dove a<br />

comandare sono le femmine adulte, mentre i maschi<br />

vagabondano ai limiti del gruppo. Il loro compito è quello di<br />

proteggere le femmine, i giovani e i cuccioli in situazioni di<br />

pericolo: in caso di attacco di un predatore, essi si dispongono<br />

attorno al branco pronti a sferrare l’attacco; oltre<br />

all’imponente stazza sono infatti dotati di robuste e temibili<br />

corna, con cui nessuno vorrebbe avere a che fare. Tuttavia, a<br />

parte in questi casi di emergenza, durante le migrazioni e nel<br />

periodo dell’accoppiamento, i maschi si tengono a distanza dal<br />

branco e non partecipano alla vita di gruppo né<br />

all’allevamento dei piccoli. Questo compito spetta interamente<br />

alle femmine, che collaborano per accudire i cuccioli e<br />

allattarli fino allo svezzamento. Superato questo traguardo le<br />

giovani femmine restano con la madre; i maschi invece si<br />

allontanano in cerca del loro posto nel cerchio della vita.<br />

I bisonti per la maggior parte del tempo sono tranquilli e<br />

pacifici abitanti delle Montagne Rocciose; diventano<br />

aggressivi solo quando si sentono minacciati o sfidati, come<br />

avviene nella stagione degli amori, in cui si assiste a feroci<br />

duelli tra pretendenti.


BISONTE BISONTE AMERICANO AMERICANO (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Rispettato e venerato dai nativi che lo annoverano tra gli<br />

animali totemici come totem dell’abbondanza, questo grande<br />

erbivoro, essendo una notevole e ottima fonte di cibo, è stato<br />

sterminato per lunghi anni dai “visi pallidi” durante la<br />

conquista dell’America come espediente per liberarsi degli<br />

indiani; il massacro è arrivato a tal punto da rischiare un<br />

quasi totale sterminio della specie. Oggi, grazie alla creazione<br />

di riserve protette, il bisonte, pur non potendo più attuare le<br />

sue lunghe e abituali migrazioni, è tornato a prosperare in<br />

molte aree precedentemente segnate dalla sua scomparsa in<br />

compagnia dei suoi rispettosi protettori pellerossa.<br />

Tra le paludi fangose e i boschi decidui si aggira pacifico un<br />

altro grande erbivoro: l’alce. Solitaria per la maggior parte<br />

della vita, l’alce è inconfondibile per via dei suoi spettacolari<br />

palchi di corna, a forma di pala e ricchi di punte, che<br />

contraddistinguono i maschi e che costituiscono un’importante<br />

arma di attacco e difesa soprattutto durante la stagione<br />

riproduttiva, quando pioppi e salici sono spettatori di ardui<br />

combattimenti tra corteggiatori. Durante questi scontri le


femmine non sono semplici osservatrici, ma competono tra di<br />

loro per conquistare i favori del maschio vincitore.<br />

Dopo l’accoppiamento, nel periodo in cui la vegetazione è più<br />

abbondante, nascono i cuccioli che non sono subito in grado di<br />

muovere i primi passi, perciò utilizzano il manto di colore<br />

bruno-rossiccio per camuffarsi nella vegetazione quando la<br />

madre si allontana sola.<br />

L’alimento preferito delle alci è costituito dalle radici e dagli<br />

steli delle piante acquatiche di laghi, fiumi e paludi, che<br />

vengono “pescate” in immersione. Queste piante abbondano<br />

però in estate; in inverno questi erbivori si nutrono<br />

soprattutto di foglie e cortecce di alberi e arbusti, ma anche di<br />

piccole pianticelle nascoste sotto la neve; la stagione fredda è<br />

una delle rare occasioni in cui si creano piccoli gruppi di alci,<br />

altrimenti solitarie, in modo da creare una condizione in cui è<br />

più facile sopravvivere.<br />

ICEFIELDS ICEFIELDS (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker)<br />

Parker)


Un interessante inquilino di questa scenografica catena<br />

montuosa è l’antilocapra, una particolare specie rappresentata<br />

da una combinazione unica dei tratti dell’antilope e della<br />

capra, come suggerisce il nome. È molto adattabile,<br />

espandendosi dai caldi deserti fino ai gelidi altipiani con<br />

temperature che si aggirano attorno ai 40 gradi sotto zero.<br />

Oltre ad essere una specie più unica che rara, l’antilocapra<br />

possiede una caratteristica insolita: può individuare un<br />

oggetto in movimento fino a notevoli distanze, ma non lo<br />

distingue se esso è fermo, anche se si trova molto vicino.<br />

Questo difetto porta un grande vantaggio ai predatori che di<br />

questo animale si nutrono, come linci e coyote, esperti in<br />

agguati; l’antilocapra ripara a questo difetto con una fuga<br />

rapida e scattante.<br />

Sulle Rockies l’antilocapra abita le vaste praterie dove<br />

percorre lunghe distanze alla ricerca di cibo, soprattutto in<br />

inverno; in estate preferisce pascolare nelle vicinanze di fonti<br />

d’acqua. È un erbivoro che ama vivere in gruppo, formando<br />

mandrie numerose divise per sesso. Solo i maschi maturi<br />

preferiscono condurre una vita solitaria, rinunciando alla<br />

sicurezza che il gruppo può offrire. Questi maschi si scelgono<br />

accuratamente un territorio delimitandolo con tracce odorose<br />

e difendendolo duramente; durante la stagione riproduttiva<br />

tutte le femmine che oltrepassano il confine non possono più<br />

uscire dal territorio fino a che il padrone di casa non si è<br />

riprodotto con ognuna. Questo comportamento da<br />

“conquistadores” assicura perciò una prole numerosa e la<br />

continuità della specie, che fino a poco tempo fa si era ridotta<br />

drasticamente a causa della caccia di frodo.


JASPER JASPER NATIONAL NATIONAL PARK PARK (Foto (Foto (Foto di di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

Nelle zone più remote delle Montagne Rocciose, tra dirupi e<br />

pareti scoscese dove la presenza dell’uomo è rara, vive il<br />

bighorn, animale “dal grande corno”, parente stretto di<br />

pecore e mufloni. E sono proprio le possenti corna ricurve in<br />

avanti, possedute solo dai maschi, che caratterizzano questa<br />

specie; sono ornamenti molto apprezzati dalle femmine e nella<br />

stagione degli amori si trasformano in poderosi strumenti di<br />

combattimento.<br />

I bighorn sono ottimi arrampicatori e per questo prediligono<br />

vivere in ambienti ostili, che assicurano un’ottima protezione<br />

contro i predatori che non osano inerpicarsi per i ripidi pendii<br />

delle montagne. Tuttavia anche i bighorn non sono immuni da<br />

errori che possono costare la vita: basta un passo falso per<br />

trovarsi sul fondo di una vallata, per la gioia di qualche<br />

carnivoro di passaggio.<br />

È solo in inverno che questi animali scendono a quote più<br />

basse su prati poco innevati perché i loro potenti zoccoli non<br />

riescono a scavare nella neve profonda. Si possono osservare


in mandrie di numerosi individui dello stesso sesso durante la<br />

gran parte dell’anno, ad eccezione della stagione riproduttiva.<br />

I segnali all’interno del gruppo si trasmettono in modo<br />

insolito; oltre ai brontolii che i maschi emettono quando sono<br />

agitati, entrambi i sessi usano il posteriore bianco per inviare<br />

messaggi di allerta: quando i bighorn corrono con la coda<br />

alzata mostrando il candido posteriore agli altri membri,<br />

significa pericolo imminente, perciò è meglio darsela a<br />

gambe!!<br />

Come molti altri animali, anche il bighorn di montagna è stato<br />

perseguitato dai cacciatori per lunghi anni finché non è stato<br />

dichiarato specie protetta da severe leggi.<br />

Sia nella fitta taiga di aghi verdi che nella fredda e spoglia<br />

tundra vive un voracissimo animale, il ghiottone. Dal pelo<br />

fulvo, con un muso che ricorda il tasso, è un singolare<br />

mammifero dalla rara ferocia che possiede canini aguzzi,<br />

artigli affilati e un’infallibile arma odorifera “rubata” alle<br />

puzzole. È chiamato ghiottone a causa dell’avidità con cui<br />

consuma le sue prede, ma anche perché si nutre di una grande<br />

varietà di cibi: piccoli roditori, larve d’insetto, uccelli e uova,<br />

bacche, frutta e noci, in base a ciò che la stagione offre.<br />

Durante la bella stagione non è un predatore attivo, preferisce<br />

nutrirsi di carogne e impiega la sua ferocia per minacciare<br />

animali più grossi di lui come puma e orsi, che spesso si<br />

arrendono di fronte alle sue poderose mascelle, alle potenti<br />

ghiandole odorifere e al suo caratteraccio bellicoso. In<br />

inverno, invece, si trasforma in un abile cacciatore, aiutato<br />

dalle larghe zampe che gli consentono di correre sulla neve<br />

dove molti animali hanno difficoltà a muoversi: è capace di<br />

uccidere da solo un caribù adulto. Questa ferocia che<br />

contraddistingue i ghiottoni è proprio una loro caratteristica<br />

peculiare, insita nei geni: già dopo pochi mesi dalla nascita,<br />

allo svezzamento, i cuccioli lasciano la tana per andare a<br />

caccia con la madre, che gli insegnerà a diventare abili killer.


I ghiottoni si sono ridotti drasticamente perché sono<br />

considerati predatori estremamente nocivi: rubano le prede<br />

imprigionate nelle trappole, visitano capanne e pollai<br />

lasciandosi alle spalle una carneficina accompagnata dal loro<br />

intenso cattivo odore. È odiato da cacciatori e allevatori e per<br />

questo non gode di nessuna protezione legislativa; continua<br />

perciò ad essere sottoposto a sanguinose persecuzioni.<br />

ALCE ALCE AMERICANA AMERICANA (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

Un simpatico abitante delle Montagne Rocciose che preferisce<br />

i boschi alle basse latitudini, dove il clima non è rigido, è il<br />

procione. È un mammifero curioso, vivace e anche un po’<br />

buffo per via degli inconfondibili segni sul muso, come una<br />

piccola maschera. È conosciuto anche come orsetto lavatore<br />

perché è solito immergere il cibo nell’acqua di fiumi e ruscelli<br />

per lavarlo prima di mangiarlo. Questo comportamento è più<br />

che altro legato al fatto che il cibo inumidito è più semplice da<br />

masticare, e non tanto alla buona educazione dei procioni!<br />

Questi teneri animali infatti non sono sempre un buon esempio


da seguire: non si costruiscono da soli la tana ma utilizzano<br />

nascondigli naturali o occupano le dimore di altri animali;<br />

approfittano poi con successo della vicinanza dell’uomo,<br />

visitando i centri abitati e combinando veri disastri<br />

rovesciando bidoni della spazzatura e improvvisando risse con<br />

i cani. Insomma, sono piuttosto indisciplinati!! Tuttavia<br />

l’incredibile adattabilità e la vasta dieta dei procioni ne<br />

assicurano la sopravvivenza, anche se la loro crescita viene<br />

frenata dalla caccia promossa dal settore delle pellicce.<br />

Tra le foreste di alberi misti, vicino alle rive dei laghi, si aggira<br />

prudente il cervo codabianca, stretto parente del daino<br />

europeo; è così chiamato per via della parte sottostante della<br />

coda, di un bianco niveo, che funge da ottimo sistema di<br />

allarme in caso di pericolo.<br />

I cervi codabianca possiedono una grande adattabilità dovuta<br />

alla dieta molto varia: quando c’è grande disponibilità di cibo<br />

prediligono la verde erbetta fresca e i teneri germogli delle<br />

piante; nelle stagioni più proibitive vanno alla ricerca di<br />

funghi, frutti e licheni senza disdegnare anche piccoli<br />

ramoscelli e foglie cadute. Le maggiori difficoltà si incontrano<br />

in inverno, quando il cibo è scarso ed è sepolto sotto la neve; la<br />

ricerca di qualcosa da mangiare può risultare così dispendiosa<br />

in termini di energie che può portare il cervo allo stremo delle<br />

forze e, nei casi peggiori, alla morte. Gli esemplari che<br />

riescono a sopravvivere a queste rigide condizioni fanno<br />

appello alle notevoli quantità di grasso accumulate durante la<br />

bella stagione.<br />

Tra i cervi codabianca esistono diversi tipi di associazioni tra<br />

individui; i gruppi principali sono costituiti solitamente da<br />

un’adulta con la figlia di un anno e il cucciolo nato in quella<br />

stagione; spesso più gruppi così formati si uniscono insieme. I<br />

maschi, invece, o vagano solitari fino al periodo degli<br />

accoppiamenti o si riuniscono in gruppi di scapoli.


Durante la stagione degli amori si assiste a numerosi<br />

combattimenti tra maschi per la conquista della femmina. Alla<br />

formazione della coppia segue un breve periodo in cui il<br />

maschio vive insieme alla compagna; dopo l’accoppiamento<br />

però il consorte si dilegua e non svolge più alcun ruolo. La<br />

femmina perciò alleva la propria prole da sola; al momento<br />

del parto nascono 1-2 cuccioli prodigio: dopo mezz’ora sono<br />

già in grado di camminare e dopo poche settimane possono<br />

correre alla massima velocità; sono poi così bravi a<br />

mimetizzarsi tra la vegetazione che nei primi mesi di vita la<br />

mamma li lascia spesso soli per andare in cerca di cibo.<br />

MONTAGNE MONTAGNE ROCCIOSE ROCCIOSE (Foto (Foto di di Kenneth Kenneth Parker) Parker)<br />

Parker)<br />

L’abilità nello sfuggire ai predatori, la prudenza e la grande<br />

adattabilità che lo caratterizza fa del cervo codabianca una<br />

specie ampiamente diffusa, pur essendo anch’essa soggetta a<br />

caccia dai tempi della conquista del Nuovo Mondo.<br />

I corsi d’acqua circondati da foreste decidue di pioppi, salici e<br />

betulle sono l’habitat ideale del castoro, il simpatico roditore<br />

instancabile costruttore di dighe. Ed è proprio questa attività


che sta alla base della biologia dei castori: essi trovano nei<br />

rami e nei tronchi d’albero una continua fonte di cibo e le<br />

fondamenta della propria casa. I lunghi incisivi a crescita<br />

continua sono dei potenti strumenti che potrebbero far invidia<br />

a un esperto falegname e sono capaci di rosicchiare in breve<br />

tempo rami e tronchi. I legni più robusti sono riservati alla<br />

costruzione della tana, che raggiunge dimensioni<br />

ragguardevoli e una rara complessità architettonica: tutto<br />

parte dallo scavo di una galleria obliqua sotto il livello<br />

dell’acqua, lungo la sponda del fiume; dopo aver rifinito con<br />

fango e stecchi lo spazio in cui andrà a vivere, il castoro,<br />

sfruttando le correnti del fiume, trasporta i tronchi tagliati<br />

verso la tana, che verrà rivestita di legni per renderla più<br />

robusta e assicurarle protezione. La sicurezza di questa<br />

costruzione si trova soprattutto nella localizzazione<br />

dell’ingresso, situato sott’acqua; per evitare che l’entrata sia<br />

esposta in superficie a causa delle oscillazioni del livello<br />

dell’acqua il castoro provvede all’edificazione di una diga, così<br />

da rallentare il flusso del fiume creando un bacino artificiale<br />

in cui vivere in tranquillità.<br />

I legni più teneri e ricchi di germogli non vengono sfruttati per<br />

le costruzioni, bensì fanno parte della dieta dei castori;<br />

essendo animali previdenti, alla fine dell’estate accumulano e<br />

piantano nel fango accanto alla tana numerosi stecchi, creando<br />

una riserva di cibo per l’inverno.


CANE CANE DELLA DELLA PRATERIA PRATERIA PRATERIA (Foto (Foto di di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

Questi roditori sono degli abilissimi nuotatori, poiché la loro<br />

vita è inesorabilmente legata all’acqua. Il loro corpo è forgiato<br />

in modo da adattarsi perfettamente al loro stile di vita:<br />

possiedono una coda larga e piatta che funziona come un<br />

timone sott’acqua; il nuoto è facilitato dalle zampe posteriori<br />

palmate, che fungono da remi; infine il pelo impermeabile<br />

favorisce il galleggiamento e il movimento del corpo. È grazie<br />

a queste importanti caratteristiche che il castoro ha potuto<br />

sviluppare uno stile di vita così insolito ma decisamente<br />

efficace.<br />

Quando una coppia di castori si forma durante la stagione<br />

degli amori durerà per tutta la vita; all’inizio la famiglia sarà<br />

costituita dai genitori e da 2 a 4 cuccioli; i piccoli resteranno<br />

nella tana per il primo anno di vita, rimanendo anche dopo la


nascita della successiva figliata. Si creano così gruppi familiari<br />

numerosi, fino anche a 20 individui, e tutti i componenti<br />

partecipano alla costruzione o al restauro dell’abitazione.<br />

I castori in passato sono stati soggetti a una incessante caccia<br />

legata alla richiesta di pelli non conciate che ne ha causato una<br />

drastica diminuzione. Attualmente, grazie alle leggi che<br />

limitano l’attività venatoria, questo roditore può prosperare<br />

indisturbato nel suo ambiente.<br />

Nelle fitte e verdi boscaglie, in tronchi cavi o in rifugi<br />

sotterranei vive la moffetta, un piccolo mammifero dal manto<br />

striato bianco e nero. Questa alternanza di colori primari crea<br />

un effetto ottico che funge da allarme verso eventuali<br />

predatori: la moffetta è infatti dotata di una temibile arma<br />

chimica costituita da ghiandole odorose che emettono una<br />

sostanza acre ed irritante. Quando si sente minacciato<br />

l’animale si appoggia sulle zampe anteriori, ruota il posteriore<br />

verso lo scocciatore e spruzza il liquido nauseante all’altezza<br />

del suo muso, guadagnandosi così il tempo per fuggire e il<br />

rispetto futuro dell’aggressore.<br />

Questa tecnica infallibile ha reso la moffetta una delle prede<br />

meno ricercate, fama che le permette di vagare indisturbata<br />

nel suo habitat senza doversi nascondere o mimetizzare: gli<br />

imprudenti sono avvertiti!!<br />

Questo piccolo mammifero predilige la notte per andare in<br />

cerca di cibo, mentre di giorno rimane nella tana a riposare.<br />

Durante i lunghi e freddi inverni resta nel suo rifugio per<br />

periodi prolungati, dove cade in sonni profondi che<br />

consentono di conservare le energie senza ricorrere al letargo.<br />

Le moffette sono attive cacciatrici; predano ratti e topi, il loro<br />

cibo preferito, uccellini e insetti. La dieta è variabile in base a<br />

ciò che la stagione offre: in primavera e autunno alla carne si<br />

aggiungono grandi quantità di granaglie, piante verdi, bacche<br />

e frutti.


Grazie alla sua arma maleodorante e alla convinzione che<br />

emani sempre cattivo odore, la moffetta è poco apprezzata dai<br />

cacciatori e dai fabbricanti di pellicce e viene quindi lasciata in<br />

pace.<br />

Tra le basse quote delle Rockies meridionali, dove i boschi si<br />

diradano per dare spazio alle praterie di arbusti e ai canyons<br />

contorti, si aggira il bassarisco, un piccolo e agile predatore<br />

dal pelo rossiccio. È un incredibile equilibrista che si<br />

arrampica su ogni superficie disponibile e si insinua in ogni<br />

incavo o fessura: si appiattisce per intrufolarsi tra le pareti di<br />

una stretta crepa, è capace di spostarsi lungo rami e tronchi a<br />

testa in giù senza alcuna difficoltà e la sua agilità gli consente<br />

di correre e saltare aggrappandosi ad ogni tipo di appiglio. È<br />

un mammifero spericolato e molto coraggioso, poiché non<br />

esita ad attaccare animali più grandi di lui quando si sente<br />

minacciato. L’agilità e la decisione che caratterizzano il<br />

bassarisco lo rendono un infallibile predatore, in grado di<br />

cacciare tra i rami degli alberi in cerca di uccelli e scoiattoli,<br />

sulla terraferma per rincorrere topi e tra cunicoli sotterranei<br />

per stanare conigli; il suo coraggio si spinge finanche a<br />

cacciare serpenti. Nei momenti di relax ama nutrirsi anche di<br />

insetti, frutta e noci, che rendono completa la sua dieta e non<br />

richiedono sforzi per la cattura.


YOHO YOHO YOHO NATIONAL NATIONAL NATIONAL PARK PARK (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

I bassarischi sono animali molto territoriali e amano vivere in<br />

solitaria; delimitano la propria area con segnali odorosi<br />

spruzzando urina lungo il perimetro. Solo nella stagione<br />

riproduttiva due individui possono convivere nello stesso<br />

territorio, ma al momento del parto la femmina gradisce stare<br />

sola e allontana il maschio; quest’ultimo talvolta non si fa<br />

persuadere e resta ad aiutare la compagna nella ricerca di<br />

cibo.<br />

Per quanto riguarda la protezione della specie i bassarischi<br />

non sono a rischio. I maggiori pericoli sono costituiti dalle<br />

trappole tese per altri animali e dalle automobili che spesso li<br />

investono.<br />

Oltre alle meraviglie celate sotto la coltre verde degli alberi,<br />

nelle acque cristalline, tra le valli e i canyons, le Montagne<br />

Rocciose proteggono una magnifica varietà di uccelli che ne<br />

sorvola i limpidi cieli.<br />

Sono soprattutto i grandi rapaci i re di questo ambiente, che<br />

secondo i nativi americani rappresenta uno dei più grandi


simboli della loro cultura, là dove vivono lo spirito del Sole e<br />

della Luna e dove gli Antenati vegliano sui propri discendenti.<br />

Il più maestoso predatore dei cieli è la splendida aquila dalla<br />

testa bianca, scelta come emblema nazionale degli Stati Uniti<br />

come metafora di libertà, potere e sovranità. Vive nelle<br />

vicinanze di specchi d’acqua, laghi o fiumi, poiché tra le sue<br />

prede preferite si annovera ogni tipo di pesce che viene<br />

catturato con una tecnica che raramente fallisce: quando il<br />

bersaglio viene individuato dall’alto l’aquila si lancia in<br />

picchiata, immerge le zampe sotto il pelo dell’acqua e affonda i<br />

micidiali artigli nella preda, che non ha scampo. Quando la<br />

stagione invernale plasma uno strato di ghiaccio sulla<br />

superficie dell’acqua l’aquila dalla testa bianca sposta la sua<br />

attenzione su altri obiettivi, come uccelli, mammiferi e rettili,<br />

senza disdegnare carogne e avanzi di cibo.<br />

Le aquile dalla testa bianca sono animali fedeli che<br />

mantengono per tutta la vita lo stesso legame e quasi sempre lo<br />

stesso nido, che viene ampliato di anno in anno fino a<br />

raggiungere dimensioni spropositate. La coppia si forma o si<br />

rinnova in seguito a un rituale di corteggiamento che avviene<br />

in volo: dopo varie acrobazie, picchiate e finti attacchi viene<br />

stabilito un contatto tra gli artigli; questo gesto sigilla il<br />

legame che accompagnerà gli individui per tutta la vita.<br />

Una caratteristica insolita è la differenza di corporatura tra<br />

maschi e femmine: al contrario di ciò che ci si aspetta, sono le<br />

femmine ad essere più grandi. Questo vantaggio permette alle<br />

madri di proteggere meglio i propri pulcini sia dai comuni<br />

predatori sia dagli attacchi dei maschi.<br />

Purtroppo questo maestoso rapace è stato sterminato in<br />

passato dalla caccia ma soprattutto dall’uso dei pesticidi, in<br />

particolare il DDT, che ne riducevano drasticamente la<br />

riproduttività. Da qualche anno a questa parte<br />

fortunatamente la popolazione delle aquile dalla testa bianca è


in ripresa, grazie alla saggia realizzazione di leggi che la<br />

tutelano.<br />

Una specie molto affine a quest’ultima è l’aquila reale, il cui<br />

nome ne indica la grazia e la maestosità. Le abitudini di questo<br />

predatore alato sono simili a quelle dell’aquila dalla testa<br />

bianca. L’aquila reale non presenta però il piumaggio del capo<br />

bianco candido, ma possiede penne dello stesso colore del<br />

corpo, di un bruno lucente.<br />

PROCIONE PROCIONE (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Questi due potenti rapaci differiscono tra loro per l’habitat e il<br />

tipo di dieta: le aquile reali preferiscono nidificare a quote più<br />

alte, sopra il limite del bosco e lontano da corsi d’acqua e


laghi, che possono risultare ambienti “troppo affollati”; nella<br />

loro dieta il pesce non è l’alimento principale e le prede<br />

preferite sono altri uccelli e mammiferi come marmotte, lepri<br />

e piccoli daini.<br />

Un ultimo elemento che purtroppo accomuna l’aquila dalla<br />

testa bianca e l’aquila reale è la spietata caccia a cui sono state<br />

soggette negli anni, che ne ha drasticamente ridotto il numero.<br />

Continuando la panoramica sui rapaci, un altro esemplare di<br />

questa categoria è il falco pescatore. Questo uccello si<br />

riconosce dal piumaggio bicolore bianco e marrone, che<br />

origina particolari striature sulla testa, sul collo, sotto le ali e<br />

la coda. Vive esclusivamente nelle vicinanze di bacini d’acqua<br />

non inquinata, dove le sue indifese prede si aggirano vicino<br />

alla superficie ignare del pericolo incombente. Il falco si nutre<br />

di pesci quali salmoni, trote e carpe, che cattura con rapida<br />

immersione degli artigli nell’acqua, dopo un’attenta<br />

perlustrazione dall’alto.<br />

Quando le temperature diminuiscono e le acque gelano<br />

impedendo ai falchi di pescare, essi migrano verso regioni più<br />

calde; lo spostamento espone però questi uccelli a rischio per<br />

via dell’uomo, che aspetta questo momento di maggior<br />

vulnerabilità per abbattere quanti più esemplari possibili.<br />

Al tramonto, quando cala la sera e i rapaci diurni si riposano<br />

nei loro rifugi, giunge l’ora del padrone della notte, il gufo.<br />

Questo uccello dal piumaggio perfettamente mimetico vive tra<br />

i boschi di conifere delle Rockie Mountains, nascondendosi tra<br />

i rami grazie al colore delle penne che richiama il marrone<br />

degli alberi e tutte le sue sfumature. Di giorno è molto raro<br />

avvistarlo, perché è nascosto nel suo nido a riposare dopo una<br />

nottata di vagabondaggi, in cui va alla ricerca di piccole prede<br />

che scova grazie ai suoi sensi acutissimi: possiede infatti vista e<br />

udito così fini da individuare un piccolo roditore in movimento<br />

nel buio da grandissime distanze. Questo rapace, nella caccia,<br />

sfrutta al massimo l’effetto sorpresa che può creare grazie al


suo volo silenzioso, dovuto al piumaggio morbido e lanoso che,<br />

in movimento, non emette il minimo fruscio; può così<br />

avvicinarsi alla preda dall’alto, rapido e silente, e afferrarla<br />

con gli artigli prima che abbia la possibilità di scappare.<br />

Da tempi immemorabili nelle culture di diversi popoli il gufo è<br />

usato come metafora di saggezza, soprattutto nelle favole e<br />

nelle leggende, dove personifica la guida di tutti gli animali.<br />

Possiede in effetti un aspetto intelligente e riflessivo, donatogli<br />

dai ciuffi di piume che ne ornano la testa e che gli conferiscono<br />

sembianze da vecchio sapiente.<br />

Secondo alcune credenze questo uccello è legato alla morte,<br />

come portatore di cattivi presagi e custode dei cimiteri, e per<br />

questo temuto e spesso perseguitato; alcuni miti pellerossa<br />

invece definiscono il gufo come un’anima dei defunti, un<br />

legame diretto del Mondo dei Vivi con la Terra dei Morti, a<br />

cui portare un profondo rispetto.<br />

Un compagno di caccia del gufo è il barbagianni, uccello<br />

snello, soffice e dal muso a forma di cuore che gli conferisce un<br />

aspetto dolce. Vive nei boschi di bassa quota, ma se trova<br />

edifici abbandonati e antiche case vi si stabilisce, dimorando<br />

nelle crepe dei muri, nelle soffitte o tra le travi. È stazionario e<br />

territoriale, e, una volta insediatosi nella zona da lui prescelta,<br />

non la abbandona più.


ATHABASKA ATHABASKA FALLS FALLS (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

È un uccello dal finissimo udito e dalla vista acuta che gli<br />

permettono di cacciare abilmente anche nelle notti più scure.<br />

Come per il gufo, anche il barbagianni possiede una strategia<br />

infallibile che è il volo: silenzioso, ondulato e leggero, radente<br />

al suolo, che lascia alle prede poche vie di scampo. È un<br />

uccello che non possiede nemici; non teme nemmeno l’uomo,<br />

con cui, in alcuni luoghi, stringe un muto patto, poiché si nutre<br />

di animali potenzialmente dannosi, come ratti, topi e talpe.<br />

Il barbagianni è tutelato dalla legge, ma in alcune località la<br />

sua comparsa sui tetti delle case, il suo avvistamento durante il<br />

giorno o il semplice udire il suo rauco e spiacevole verso sono<br />

interpretati come messaggi di sventura e di morte, che portano<br />

la popolazione ad attuare una spietata caccia nei suoi<br />

confronti.<br />

Tra gli svariati ambienti che le Rockies offrono vive e<br />

prospera il corvo imperiale, uccello estremamente adattabile<br />

che sopravvive a qualsiasi tipo di clima e habitat, dalle pianure<br />

temperate fino alle più alte cime innevate.


È molto simile al corvo europeo che tutti conosciamo, ma ne<br />

differisce per le dimensioni, che sono maggiori, e per la<br />

sfumatura di colore: il corvo imperiale possiede un piumaggio<br />

nero molto lucido, ricco di riflessi.<br />

È un uccello carnivoro che si nutre di una grande varietà di<br />

alimenti ed è così insaziabile che si getta su ogni carogna che<br />

trova: conigli e lepri, cervi, alci e anche bestiame. Quando le<br />

carcasse scarseggiano il corvo si attiva e caccia da sé piccoli<br />

mammiferi e uccelli; solitamente prende di mira soggetti feriti,<br />

malati o deboli, prede più facili da abbattere.<br />

Il corvo imperiale possiede grandi abilità aeree di cui fa<br />

continua mostra quando solca il cielo: lo si può osservare<br />

mentre compie complicate manovre, impegnato in una danza<br />

fatta di piroette, picchiate, planate e virate, tutto svolto con la<br />

piena padronanza che solo un dominatore dei cieli possiede. Il<br />

corvo è anche dotato di una grande intelligenza: sono stati<br />

visti esemplari raggiungere il nido percorrendo una strada<br />

nascosta per non rivelarne la posizione ai predatori. Anche in<br />

cattività questi uccelli danno il meglio di sé: sono in grado di<br />

imitare la voce umana e imparano piccoli giochetti per<br />

ottenere cibo in cambio. Bisogna fare attenzione, quindi, non<br />

sono tipi da farsi prendere in giro!!<br />

Secondo i riti totemici il corvo è il messaggero della magia che<br />

assorbe l’energia magica per recapitarla nel luogo a cui essa è<br />

destinata. È saggio e punisce le azioni scorrette, poiché<br />

riconduce le energie negative a chi si rende colpevole di atti<br />

disonesti. Forse è per questo che il corvo è considerato<br />

l’uccello del malaugurio da moltissime popolazioni.


CASTORO CASTORO (Foto (Foto di di di Max Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

Nelle vaste praterie d’alta quota, nella brughiera e nella<br />

sconfinata tundra, tra i bassi cespugli di salice nano, betulla e<br />

erica, si nasconde la pernice, pauroso e timido uccello dal<br />

piumaggio mutevole. Essendo così timorosa e non possedendo<br />

armi di difesa, la pernice si protegge dai pericoli cambiando il<br />

colore delle penne in armonia con le tinte di stagione: in estate<br />

assume una colorazione marroncina con sfumature bianche e<br />

nere; in inverno diventa completamente bianca, per<br />

mimetizzarsi nella neve; in autunno e primavera il piumaggio<br />

sfoggia una nuance bruna con striature bianche. Questa<br />

capacità mimetica, accompagnata da una strategia volta a<br />

nascondersi dai predatori e a confonderli spiccando<br />

improvvisamente il volo a pochi passi da loro, rende la pernice<br />

una preda difficile da catturare. Le femmine sono così<br />

fiduciose nella mimesi del loro piumaggio che durante la cova<br />

delle uova non abbandonano mai il nido, sentendosi protette<br />

anche dal maschio, che pattuglia il territorio gracchiando<br />

rumorosamente. Dalle uova nascono pulcini robusti, con gli


occhi aperti e le zampe già forti, capaci di correre e nutrirsi da<br />

soli già nel giro di pochi minuti.<br />

Le pernici sono molto adattabili e non vanno incontro a grandi<br />

difficoltà di sopravvivenza durante l’inverno perché la loro<br />

dieta è sincronizzata con il ritmo delle stagioni: nella stagione<br />

fredda si nutrono di germogli e ramoscelli, mentre nel resto<br />

dell’anno si alimentano di semi, bacche, germogli verdi, insetti<br />

e altri invertebrati. Solo quando si verificano inverni<br />

particolarmente rigidi questi uccelli si spostano verso luoghi<br />

più riparati e meno proibitivi.<br />

Tutte queste splendide creature vivono armoniosamente le<br />

loro vite tra gli incantevoli e suggestivi luoghi che le Montagne<br />

Rocciose regalano, allietati da una immensa varietà floristica.<br />

Gli animali zampettano tra verdi felci, cespugli spinosi ricchi<br />

di bacche, piccoli arbusti legnosi, robusti alberi dalle foglie<br />

volubili, imponenti conifere dagli aghi acuminati e resistenti,<br />

incorniciati in un quadro di fioriture che vede protagonisti dai<br />

minuscoli fiori profumatissimi a quelli più grandi dai colori<br />

sgargianti.<br />

Tutto intrecciato in un’unica, colorata tela che è la vita.<br />

ROBERTA GROSSI


LUPO<br />

Testi e foto di Max Montaina<br />

Camminare in inverno, circondati da una spessa coltre nevosa,<br />

è già un impegno fisico notevole, ma se a questo aggiungiamo<br />

anche il peso dell’attrezzatura di ripresa (fotocamere,<br />

obiettivi, cavalletti, ecc.), con il pericolo sempre in agguato di<br />

scivolare sul terreno ghiacciato, l’impegno diventa veramente<br />

arduo. E proprio una di queste mattine era destinata a lasciare<br />

il segno indelebile nella mia esperienza di studio a diretto<br />

contatto con la natura.<br />

Dopo aver letteralmente “sfacchinato” per circa tre ore,<br />

mentre mi apprestavo a raggiungere la stupenda macchia<br />

boscosa del nord della Finlandia, il mio incedere venne<br />

bruscamente interrotto da strazianti urla improvvise<br />

riecheggianti da lontano, o così almeno mi sembrava. Tesi, nel<br />

più assoluto silenzio, le mie orecchie, per carpire e soprattutto<br />

decifrare quanto stava per accadere.


Non ebbi nemmeno il tempo di darmi eventuali spiegazioni; a<br />

poche decine di metri da me scorsi un branco di lupi in<br />

procinto di definire la reale scala gerarchica tra esemplari<br />

maschi, ossia quell’elemento che all’unanimità era<br />

riconosciuto capo assoluto del branco: l’esemplare “alfa”.<br />

Le urla strazianti non erano altro che gli ululati dei lupi<br />

disseminati nel vasto e rado sottobosco scandinavo.<br />

Fu questa la prima volta che vidi casualmente una specie<br />

animale sebbene mi fossi recato in quella regione per<br />

osservare la Lince; di fronte a tanta abbondanza ed essendo<br />

ormai in loco decisi che per questa volta la lince poteva<br />

aspettare.<br />

Oggigiorno incontrare questo animale è pressochè un fatto<br />

occasionale in tutte le zone del Pianeta Terra.<br />

Narrare la vita del Lupo, significa entrare in un mondo<br />

costellato di falsi miti e di assurde leggende. Io non perderò<br />

tempo inutilmente perchè tanto inchiostro è già stato sprecato;<br />

mi limiterò ad esemplificare comportamenti e abitudini


osservati e studiati sul campo dalla Scandinavia alla Penisola<br />

Iberica, lasciando la fantazoologia ad altri.<br />

Innanzitutto, parlando del lupo (Canis lupus), non possiamo<br />

non rimarcare, per un<br />

esemplare cosmopolita, la sua differenza “estetica” e<br />

strutturale a seconda delle aree geografiche occupate. Il lupo<br />

della zona artica fino al limitare delle calotte nordiche,<br />

presenta un manto quasi uniformemente bianco. In America,<br />

soprattutto in quella meridionale, il manto può variare dal<br />

grigio a una tonalità quasi totalmente nera. Nelle aree<br />

Subartiche e nelle grandi foreste di conifere, il nostro animale


presenta dimensioni maggiori ed un manto tendenzialmente<br />

grigio; alle latitudini temperate le dimensioni sono minori e il<br />

colore grigio inizia a mescolarsi con il marrone. Nella parte<br />

meridionale dell’emisfero gli esemplari sono di piccola taglia e<br />

presentano un manto curiosamente rossastro; il colore degli<br />

“abitanti” delle zone desertiche è quello della sabbia in cui<br />

vivono.<br />

Questa è dunque una specie molto variabile, ciononostante,<br />

appartenendo tutti alla specie Canis Lupus, gli esemplari di<br />

diversa collocazione geografica, accoppiandosi, generano prole<br />

fertile.<br />

Per poter meglio comprendere quanto l’uomo debba<br />

adoperarsi nell’opera di protezione di questo animale, è bene<br />

inquadrare l’attuale consistenza numerica della specie nel<br />

nostro continente.<br />

Il lupo è sicuramente il predatore più forte d’Europa: è<br />

robusto, massiccio, veloce; le zampe sono leggere e dotate di<br />

muscoli scattanti.


Vista, udito e olfatto sono estremamente sviluppati; riesce a<br />

scorgere le sagome anche al buio. Questo particolare è<br />

tutt’altro che trascurabile se si considera che la vista riveste<br />

una funzione primaria durante la caccia.<br />

Distinguere il maschio dalla femmina non è impresa facile,<br />

tuttavia esaminando le dimensioni corporee si noterà che la<br />

femmina risulta più piccola (e quindi più leggera); il maschio<br />

ha infatti cranio e torace più massicci.<br />

Quando la femmina veglia sui cuccioli nati verso la fine di<br />

maggio (solitamente da 3 a 8), il branco deve cacciare anche<br />

per lei poichè cresce il fabbisogno alimentare in relazione alla<br />

sopravvivenza stessa della prole, soprattutto se numerosa.<br />

Durante l’allattamento la femmina non abbandona mai i<br />

cuccioli, ben consapevole di possedere molti nemici naturali<br />

pronti ad intervenire alla minima distrazione.<br />

Tipico atteggiamento della specie è deviare le attenzioni del<br />

predatore dalla prole allontanandosi dalla tana nell’intento di<br />

depistarlo, anche a costo della vita stessa.<br />

A circa una settimana dalla nascita i lupacchiotti hanno<br />

finalmente aperto gli occhi e, a debita distanza la femmina<br />

osserva i loro primi vagabondaggi alla scoperta del mondo.<br />

Questo atteggiamento di massima all’erta è stato osservato<br />

essere direttamente


proporzionale alla pressione venatoria o di disturbo provocata<br />

dall’uomo nei vari secoli di convivenza con questo impavido<br />

animale. In alcuni casi la femmina possiede più di una tana in<br />

cui nascondere, in casi di estrema necessità, la prole.<br />

Ogni sorta di trappola, la stricnina (contenuta nei bocconi<br />

avvelenati), le battute di caccia, sono solo qualche esempio<br />

della vera e propria ingiustificata “guerra” che l’uomo nel<br />

corso del tempo ha dichiarato al lupo. Fortunatamente, per<br />

contro, nel campo scientifico troviamo alcuni personaggi che<br />

hanno dedicato parte della loro vita allo studio e alla tutela di<br />

questo canide. Sono personaggi ai quali tutti noi dobbiamo<br />

molto se ancor oggi possiamo parlare del lupo. Primi nella<br />

lista lo studiosi e documentarista spagnolo Felix Rodrigueza<br />

de la Fuente e il nostro Luigi Boitani, anch’esso studioso e<br />

naturalista, curatore del “Progetto Lupo” con il patrocinio del<br />

W.W.F.<br />

E’ un animale sociale e tendenzialmente territoriale. Intorno<br />

alla coppia maschio-femmina ruota la vita sociale del branco.<br />

Ogni gruppo, composto da uno o più esemplari possiede un


territorio di dimensioni variabili a seconda della presenza di<br />

prede, nel rapporto: poche prede, territorio vasto e viceversa.<br />

I territori dei diversi branchi sono confinanti e i confini<br />

devono essere difesi dai vari tentativi di intrusione. Per<br />

marcare il territorio depongono urine e feci lungo i confini.<br />

Non di rado l’ululato contribuisce ad “annunciare” la presa di<br />

proprietà di una zona, sebbene la sua fondamentale<br />

utilizzazione sia da attribuire alla comunicazione fra i<br />

cospecifici dello stesso branco.<br />

Nel caso di un contatto diretto fra esemplari di branchi<br />

cosiddetti “opposti” per indicare la predominanza,<br />

l’esemplare che si sente più forte, alza la coda nel suo<br />

territorio.


All’interno dei branchi vengono a crearsi veri e propri<br />

rapporti sociali regolati da solide e rigide gerarchie.<br />

I maschi possiedono una linea gerarchica; le femmine seguono<br />

una linea separata.La coppia formata dal maschio e dalla<br />

femmina più forte diviene la coppia “principe”. Le posizioni<br />

scaturiscono da continue schermaglie fra animali dello stesso<br />

sesso; non portano ad alcun danno fisico e seguono quasi<br />

sempre questo rituale: i due contendenti si fronteggiano l’un<br />

l’altro a code alzate, quindi pongono le stesse in posizione<br />

orizzontale, allorchè abbassano le orecchie e sollevano le<br />

labbra; finalmente avviene lo scontro. Terminata la tenzone, il<br />

vnto scopre il collo ad indicare la sua sottomissione, inibendo il<br />

vincitore nell’infierire mortalmente. Così il lupo perdente ( se<br />

così lo si può definire), si allontana.<br />

Da tutto ciò si può capire quanto netta, benché incruenta sia la<br />

distinzione gerarchica. Solo nel caso della “privilegiata”<br />

posizione di comando, denominata alfa, può accadere che si<br />

sconfini nella violenza e quindi nell’inevitabile spargimento di<br />

sangue, per giungere in alcune rare occasioni alla morte.<br />

Quando un capobranco verrà sostituito, difficilmente si<br />

adatterà a rimanere nel gruppo; si allontanerà divenendo un<br />

solitario, un emarginato in tutto e per tutto. A questo punto,<br />

per la particolare ecologia che contraddistingue i lupi, in breve<br />

tempo morirà.<br />

Possiamo tranquillamente affermare che il lupo possiede<br />

un’alimentazione alquanto variegata. Questa subisce<br />

l’influenza dell’ambiente nel quale vive e si differenzia nei<br />

diversi mesi dell’anno solare. Negli ambienti rimasti inalterati,<br />

il nostro carnivoro svolge un’ottima azione equilibratrice;<br />

contribuisce infatti a mantenere “in salute” la popolazione<br />

delle sue prede preferite, gli erbivori. Opera una selezione di<br />

tipo qualitativo, predando in prevalenza animali vecchi e<br />

malati.


La sua adattabilità all’ambiente e alle situazioni più difficili, lo<br />

ha spinto a cibarsi,<br />

oltre che di erbivori, di un po’di tutto. In definitiva non è da<br />

escludere che si nutra di materie vegetali, di piccoli<br />

mammiferi, ma soprattutto, è appurato che il lupo abbia<br />

iniziato a rastrellare, ovunque si trovi, rifiuti di ogni genere.<br />

Peculiare e da rimarcare è l’alimentazione de lupo che vive<br />

nelle regioni nordamericane, principalmente in Alaska. Si ciba<br />

quasi esclusivamente di Caribù e solo in piccole percentuali di<br />

Alci e Scoiattoli.<br />

Il lupo è un animale crepuscolare e notturno: durante il giorno<br />

ama riposarsi. Con le tenebre scende nelle vallate per<br />

procurarsi il cibo, e alle prime luci dell’alba riguadagna le<br />

zone di riposo. Gli spostamenti quotidiani possono<br />

raggiungere anche i 10 km. Riconosce con grande abilità le<br />

tracce di presenza di eventuali prede. Nell’arte del cacciare è<br />

molto astuto; per far perdere le loro tracce i branchi che si<br />

apprestano alla caccia camminano in fila indiana e ogni


animale ricalca le orme di quello che lo ha preceduto, per non<br />

rendere riconoscibile il numero degli esemplari in caccia.<br />

Il lupo possiede un aspetto apparentemente molto simile a<br />

quello del cane domestico di grosse dimensioni. In realtà le<br />

differenze esistono all’interno della specie stessa; trovare un<br />

lupo identico ad un altro non è facile nemmeno all’interno<br />

dello stesso branco: le variazioni d’aspetto possono essere le<br />

più svariate. L’evoluzione di questa specie, è, come d’altra<br />

parte per lo sciacallo, tutto in atto.<br />

Un adulto misura circa 1,60 m di lunghezza, di cui 45 cm<br />

occupati dalla coda; l’altezza alla linea del dorso è di circa 85<br />

cm.<br />

Gli areali del lupo vanno sempre più restringendosi, sebbene<br />

l’ultim’ora della sua permanenza nei biotopi europei,<br />

soprattutto antropizzati, sia ancora lontana.<br />

Abita le regioni solitarie, tranquille e deserte, specialmente i<br />

boschi folti, le pianure asciutte o paludose e le steppe.<br />

Nell’Europa centrale si è ormai rifugiato esclusivamente alle<br />

alte quote.<br />

Quando non è trattenuto dalle cure parentali nei confronti dei<br />

cuccioli si avventura, vagando di luogo in luogo, alla scoperta<br />

di nuovi territori, per poi tornare eventualmente nelle vecchie<br />

zone di caccia. In primavera e in estate vive solitario o a<br />

coppie, in autunno si riunisce in famiglie, mentre in inverno, se<br />

le dimensioni del territorio lo permettono, si formano gruppi<br />

numerosi esemplari.


Questa vita errabonda richiede un enorme spreco di energie,<br />

un costante ricambio organico e un conseguente elevato<br />

consumo di cibo. I danni che il lupo arreca durante la caccia<br />

sarebbero sopportabili se questo carnivoro non avesse la<br />

brutta abitudine di “sgozzare” per istinto un numero di<br />

vittime superiore a quelle che consuma; per queste ragioni<br />

viene considerato un vero e proprio flagello, soprattutto nelle<br />

regioni della terra in cui è attuata la pastorizia.<br />

Sebbene debba essere tenuto in debita considerazione che il<br />

10% degli attacchi agli erbivori selvatici si risolve<br />

positivamente per il lupo ( per cui il restante 90% può<br />

garantire la sopravvivenza alle altre specie), è da comprendere


e ponderare al di sopra delle parti, la colpa da “addossare” al<br />

lupo nel contesto dell’equilibrio e della salvaguardia del suo<br />

ambiente vitale.<br />

Durante un soggiorno in Cecoslovacchia con la nostra equipe<br />

abbiamo assistito alla scena di un gruppo di lupi che stava<br />

letteralmente “sbranando” un solitario. Queste scene<br />

potrebbero indurre il profano a giudicare il lupo in termini<br />

forzatamente negativi, per cui è opportuno spiegare che la<br />

scintilla che ha scatenato tutto questo è da ricercarsi nelle<br />

complesse gerarchie sociali di cui si è parlato.<br />

L’uomo è il solo “predatore” con cui il lupo è in conflitto; con<br />

gli altri predatori ha un rapporto differenziato: teme l’orso<br />

bruno, ignora la lince e spadroneggia nei confronti della volpe.<br />

Zoologicamente parlando, la specie Canis lupus, si diversifica<br />

in numerose sottospecie.<br />

Nel nostro Paese, all’inizio del secolo scorso, il lupo era<br />

presente su tutto il territorio nazionale, con la sola esclusione<br />

della Sardegna.<br />

Nella Pianura Padana, un tempo verde, lussureggiante e ricca<br />

di selvaggina, nel momento in cui le armi, sempre più<br />

sofisticate, iniziarono a restringere l’areale di questo canide,<br />

ebbe inzio il lento declino del lupo stesso. In Sicilia la specie è<br />

sopravvissuta fino al 1920 circa.


Le cause della sua scomparsa sono da attribuirsi<br />

all’improvvisa riduzione ( nella piramide alimentare che vede<br />

il lupo al vertice ), di cervi, daini e caprioli. Questa peculiarità<br />

ha contribuito a modificare gli atteggiamenti del branco<br />

durante la caccia, un tempo svolta con la massima<br />

cooperazione e ora attuata da un gruppo assai sgretolato.<br />

Un altro grave problema è causato dall’incessante e continuo<br />

aumento dell’antropizzazione ai margini degli habitat naturali<br />

in cui vive.<br />

Nei prossimi anni, opera fondamentale sarà quella di<br />

reintrodurre i grossi erbivori, indispensabili al lupo.


Un importante fattore da considerare è il randagismo sempre<br />

crescente. Da augurarsi è senza dubbio che vi sia un<br />

ridimensionamento. Il controllo di questo “penoso” fenomeno<br />

risolverebbe anche la sua fierezza di predatore “puro”, in<br />

quanto troppo spesso gli vengono ingiustamente imputate<br />

stragi di animali d’allevamento, compiute in realtà da cani<br />

rinselvatichiti, il cui rapporto numerico con il lupo è di 1 a<br />

100. Questo permetterebbe anche di ridurre il rischio di<br />

malattie e l’ibridazione, che porta ad un inevitabile<br />

impoverimento e indebolimento genetico della specie.<br />

In italia sopravvive nella catena appenninica dal Parco<br />

Nazionale d’Abruzzo alla Calabria ( Pollino), dagli 800 ai 1800<br />

metri di quota. In ogni caso, sebbene le alterazioni<br />

dell’ambiente abbiano causato il cambiamento della vita di<br />

gruppo, il lupo “italiano” rimane un animale prettamente<br />

sociale. Dal 1976, ottenuta la protezione totale del carnivoro<br />

sul nostro territorio, è iniziata una grande e pressante opera di<br />

conoscenza e di sensibilizzazione atta a debellare i falsi luoghi<br />

comuni che hanno sempre perseguitato il lupo.<br />

Osservandolo con i propri occhi, ci si rende conto che la sua<br />

vita di temuto predatore scorre in maniera alquanto<br />

inaspettata; seguire le schermaglie tra maschi, le posture di<br />

sottomissione e le dispute di supremazia nei ranghi, offre<br />

spunti notevoli, anche all’osservatore più distratto.<br />

Questo animale è circondato da un alone di misticismo che lo<br />

rende quasi irreale, eppure, se si analizza il tutto con<br />

scientifico rigore, appare così come in realtà è: un “cane” che<br />

non ha assolutamente accettato, e decisamente a ragione, di<br />

assoggettarsi a egoistici voleri dell’uomo!.<br />

Milioni di anni sono passati da quando il primo lupo fece la<br />

sua apparizione sulla faccia della terra, eppure, sebbene<br />

l’uomo abbia sempre interferito, questo animale ha seguito la<br />

sua strada, sicuramente molto tortuosa e piena di pericoli, ma<br />

che gli hanno garantito di mantenere in vita la sua specie.


Quando terminai le mie spedizioni e i miei reportages, rimase<br />

nel mio cuore una sensazione di benessere “primordiale”,<br />

grazie a tutto il tempo che avevo passato a stretto contatto con<br />

il lupo osservando il suo comportamento. Mi sembrava di<br />

rivivere epoche perdute, remote; epoche nelle quali l’uomo<br />

viveva in totale armonia con le creature che popolavano la<br />

terra; epoche nelle quali bastava guardare una madre leccare<br />

teneramente un cucciolo, per sentirsi appagati e in pace con se<br />

stessi.<br />

MAX MONTAINA


PARCO NAZIONALE DEL<br />

SERENGETI<br />

Testi di Stefania Corti<br />

Foto di Max Montaina<br />

Otto agosto. Dalle finestre del nostro lodge penetra una luce<br />

intensa. È l’alba di una nuova emozionante giornata africana.<br />

Quattro giraffe diventano improvvisamente visibili contro il<br />

bagliore del sole nascente. Saliamo sui nostri fuoristrada e<br />

partiamo alla scoperta di questo immenso parco nazionale.<br />

Il Serengeti, a nord della Tanzania si estende per oltre<br />

13.000 km tra le sponde orientali del grande lago Vittoria e i<br />

pendii del monte Kilimangiaro (5895m). Al di là del confine, il<br />

Kenia, prolunga la sua estensione di ancora 1812 kmq nel<br />

parco Masai Mara. Nella lingua Masai, ci spiegano, Serengeti<br />

significa “spazio che non ha fine” e non stentiamo a crederlo.


Leonessa<br />

Leonessa<br />

Grandi pianure, mari di erba che si trasformano lentamente<br />

in savana, spazi infiniti come solo era possibile immaginare.<br />

Disturbato dal rumore del motore un branco di gazzelle di<br />

Thomson scatta agile e veloce cercando riparo nella boscaglia.<br />

Poi gli incontri si susseguono in rapida sequenza scatenando in<br />

noi emozioni forti. Ecco attraversarci la pista giraffe in corsa<br />

leggera, zebre, tre impala. A lato del sentiero alcuni bufali e<br />

un grosso branco di gnu.


È difficile abituarsi all’immensità del Serengeti, così come ci<br />

è difficile penetrare totalmente il pensiero della nostra guida<br />

masai: “Voi bianchi non potete avere le idee chiare perché non<br />

potete vedere l’orizzonte, il vostro sguardo è racchiuso da<br />

troppe cose”. Un semplice concetto, se vogliamo, che ci<br />

restituisce in parte quella dimensione di libertà e di purezza<br />

della vita che solo in un ambiente profondamente naturale si<br />

può trovare. Ogni altura permette di dominare pianure<br />

illimitate, punteggiate qua e là dalle tipiche acacie ombrellifere<br />

e dai maestosi baobab.<br />

Orizzonti aperti e lontani e in noi il sentirsi infinitamente<br />

piccoli, parte di un ecosistema unico per la sua ricchezza e<br />

varietà di specie. La vegetazione più fitta ci prepara<br />

all’incontro con un gruppo di elefanti. Riconosciamo la


femmina più vecchia grazie alle dimensioni eccezionali, mentre<br />

alcuni piccoli, forse di età diversa, suscitano in noi una<br />

spontanea tenerezza. Ai margini della boscaglia siamo colpiti<br />

da un lampo giallastro. Torniamo indietro e all’ombra di<br />

un’acacia, distese e sonnecchianti, alcune leonesse sembrano<br />

attenderci. Si lasciano contemplare a lungo, finché una<br />

famiglia di facoceri, sbucata dai vicini cespugli, attira<br />

inesorabilmente la loro attenzione. Pochi minuti ed è il<br />

finimondo. Il sollevarsi della polvere e urla<br />

strazianti lasciano ben poco all’intuizione. L’appostamento è<br />

stato silenzioso e strategico,<br />

Tramonto Tramonto nel nel Serengeti<br />

Serengeti<br />

l’attacco improvviso e rapido. Due facoceri riescono a fuggire<br />

ma per il terzo è la fine. Corsa disperata ma presto interrotta.<br />

L’animale è a terra una prima volta, poi una seconda, pasto<br />

ormai sicuro degli astuti carnivori. La scena si consuma in<br />

pochi minuti, ma basta per dimostrarci l’efficiente lavoro di<br />

“equipe” di questi veloci predatori. Osserviamo che una certa<br />

forma di vita comunitaria esiste presso tutti gli animali della


savana. Ben pochi sono i solitari, soprattutto nelle pianure<br />

erbose ed aperte dove le specie proliferano come in pochissimi<br />

altri luoghi della terra. Le vaste mandrie di gnu e antilopi<br />

costituiscono gruppi forti, spinti alla vita societaria dalla<br />

necessità di procurarsi cibo e di affrontare movimenti<br />

migratori.<br />

Ma ecco, all’improvviso, apparire alcuni sciacalli, la<br />

carcassa del malcapitato facocero è assalita, ridotta a brandelli<br />

dalle avide fauci dei voraci mammiferi. Nulla si crea e nulla si<br />

distrugge ma tutto è un perpetuo divenire.<br />

Anche noi torniamo al lodge per la colazione. Poche ore e<br />

pochi chilometri eppure il tempo ci è bastato per sentire più<br />

vicina la vita della savana. Il Serengeti è forse il monumento<br />

più imponente del passato della nostra terra e il più intatto.<br />

Leopardo<br />

Leopardo


I primi europei vi giunsero verso la fine del 1800 ma già nel<br />

1921 fu dichiarato area protetta. Il governo tanzaniano,<br />

nonostante gli enormi problemi che deve affrontare come<br />

paese in via di sviluppo, sta promuovendo una politica<br />

ecologica molto illuminata. Spende per i suoi parchi nazionali<br />

quasi il triplo del Governo statunitense, in rapporto al<br />

prodotto nazionale lordo. Testimonianza, questa, dell’impegno<br />

e della serietà che gli africani mettono nella conservazione del<br />

loro territorio naturale. Comunemente definito “lo zoo più<br />

grande del mondo” il Serengeti ospita la più grande<br />

concentrazione di erbivori della terra e numerose specie di<br />

predatori.<br />

In un censimento del 1978 sono stati contati: 1,5 milioni di<br />

gnu, 200.000 zebre, 75.000 impala, 1 milione di gazzelle di<br />

Thomson, 74.000 bufali, 65.000 topi, 18.000 eland, 9.000<br />

giraffe, 5.000 elefanti, 4.000 iene, 3.000 leoni, 500 ghepardi e<br />

100 rinoceronti neri. Allo stato attuale delle cose purtroppo<br />

non possiamo più essere certi dei numeri rilevati, soprattutto<br />

per quanto riguarda predatori, elefanti e rinoceronti. Una<br />

delle ragioni di quella che, anno per anno, si sta rivelando una<br />

paurosa diminuzione, è da individuare nell’intrusione nel<br />

territorio di circa 5.000 Masai che vi portarono 100.000 capi di<br />

bovini e 200.000 pecore e capre.


Macaco Macaco Nemestrino<br />

Nemestrino<br />

In una terra dove l’acqua è scarsa e l’erba non abbondante,<br />

si tratta di una vera e propria invasione che ha messo a rischio<br />

la sopravvivenza stessa dei selvatici.<br />

È questo il “problema Serengeti” che ormai interessa tutta<br />

l’Africa Orientale e tutte le regioni erbose del “territorio dei<br />

Masai”. Il Masai, popolo di infaticabili pastori, un tempo<br />

abitava un territorio molto più vasto dell’attuale,<br />

comprendente la stessa capitale del Kenia. Poi arrivarono i<br />

bianchi, si impadronirono dei loro terreni migliori e pretesero<br />

di confinare questo fiero popolo in riserve protette. Ma il<br />

Serengeti, l’area di confine tra Kenia e Tanzania, ovunque ci<br />

sia erba, anche se povera, ovunque ci sia acqua, anche se


sporca e fangosa, è terra Masai. Terra di gente che non sa<br />

nulla di confini internazionali, di regolamenti e di leggi<br />

governative.<br />

Giraffe Giraffe masai<br />

masai<br />

Popolo ormai ridotto di numero, (non più di 150.000 unità),<br />

ma che forte della medicina dell’uomo bianco che gli ha<br />

insegnato a curare il bestiame, oggi non si accontenta più delle<br />

mandrie limitate di un tempo.<br />

Nella cultura masai dunque l’animale selvatico è sinonimo di<br />

spreco di acqua ed erba. Nel Serengeti i leoni sono ancora<br />

migliaia ma dichiarati specie protetta dal governo che<br />

proibisce di ucciderli. Questo si scontra con la mentalità masai<br />

che vede nel leone unicamente un predatore di animali<br />

domestici. Impedire al masai di uccidere il leone è un po’come<br />

imporgli di sacrificare il proprio bestiame, quelle mandrie<br />

bovine che sono il suo orgoglio e indice di prestigio sociale.


Ma i Masai non costituiscono l’unico “problema Serengeti”.<br />

Il Parco Nazionale del Serengeti è purtroppo di recente<br />

tornato alla ribalta della cronaca (nera) dell’Africa come<br />

“cimitero degli Elefanti” e “Paradiso dei bracconieri”.<br />

Gnu<br />

Gnu<br />

Un bracconaggio spietato e continuo sta infatti portando<br />

all’estinzione animali che fino a qualche decennio fa vivevano<br />

in folto numero nel Parco. La caccia illegale di trofei: zanne di<br />

elefanti e corni di rinoceronti e di carne da rivendere ha<br />

portato all’uccisione, nell’ultimo decennio, del 90% dei<br />

rinoceronti del Serengeti. I rimanenti non bastano per<br />

garantire la sopravvivenza della specie. Più della metà degli<br />

elefanti del Parco sono stati eliminati, cosicché oggi ne restano<br />

solo 500 esemplari. Il corno del rinoceronte è venduto a cifre<br />

esorbitanti ( da 3 a 10 milioni di lire al chilo) nei mercati<br />

orientali come afrodisiaco e nello Yemen del Nord come<br />

manico dei jambia, i pugnali tradizionali.


Zebre Zebre di di Grant Grant<br />

Grant<br />

È un commercio che non si riesce ad arrestare e che<br />

compromette sempre più l’esistenza del rinoceronte nero, un<br />

tempo signore incontrastato delle savane dell’Africa Orientale.<br />

L’impegno del governo tanzaniano è puntuale anche su questo<br />

fronte, ma gli 85 guardiacaccia preposti al pattugliamento del<br />

parco e alla prevenzione del bracconaggio non si dimostrano<br />

una misura sufficiente. È un equilibrio nuovo che va<br />

reintrodotto e una mentalità che va cambiata.<br />

Dobbiamo imparare a pensare alla natura non come a<br />

qualcosa da usare ma come qualcosa che è parte di noi stessi.<br />

Perché è nella solitudine e nella tranquillità di luoghi come il<br />

Serengeti che possiamo ritrovare le nostre radici di uomini.<br />

E difendere l’Africa dall’estinzione dei suoi animali non<br />

potrà che significare la salvezza e la salvaguardia delle origini<br />

dell’uomo.<br />

STEFANIA CORTI


AQUILA AMERICANA<br />

Testi e Foto di Max Montaina<br />

Tutti sanno che l’Aquila di mare dalla testa bianca (Haliaeetus<br />

leucocephalus), meglio conosciuta come Aquila calva o<br />

americana, è il simbolo degli Stati Uniti d’America, per cui<br />

non perderò nemmeno un istante a dissertare di come lo sia<br />

divenuta, ma dedicherò maggiore attenzione agli aspetti più<br />

esplicitamente zoologici della specie. Dotata di piumaggio<br />

bruno scuro, talvolta tendente al nero, possiede una splendida<br />

e caratteristica testa bianca. Tra le aquile esistenti al mondo è<br />

senza ombra di dubbio la più grande, pensate che può<br />

raggiungere 110 cm di lunghezza e possedere un apertura<br />

alare di quasi 3 metri. Addirittura, la sottospecie che ho<br />

potuto osservare e ritrarre in Alaska e Canada è ancora più<br />

grande di dimensioni, con una curiosa peculiarità, rara nel<br />

mondo animale, nell’ambito della stessa specie, ovvero la<br />

sottospecie del Canada e Alaska presenta gli esemplari di sesso<br />

maschile più grandi delle femmine, mentre per la specie<br />

originaria diffusa negli Stati Uniti avviene l’esatto contrario,<br />

con la femmina più grande.


E’ un’ esperienza indescrivibile osservarla spiccare il volo e<br />

librarsi come una vera “regina” sopra i cieli contornati da<br />

immense foreste di conifere. Ricordo che un giorno, nel parco<br />

nazionale di Yellowstone, ero talmente “preso” dal<br />

fotografarla, che senza rendermene conto mi ero steso<br />

sull’asfalto della strada (unica) che porta dall’entrata sud a<br />

ovest del parco. Dona un senso di libertà, di maestosità senza<br />

pari e ti fa percepire la piccolezza di noi esseri umani. E’<br />

proprio durante questi voli di perlustrazione, che va in cerca<br />

delle diverse prede di cui si nutre: salmoni, trote, piccoli di<br />

caribù, cuccioli di lupo, lepri, carogne e addirittura serpenti.


In particolare, come “pescatrice” rivaleggia con il Falco<br />

pescatore, e vi assicuro che assistere all’arpionamento del<br />

pesce in planata sul pelo dell’acqua dell’Aquila americana è<br />

uno degli spettacoli più affascinanti a cui un naturalista possa<br />

assistere.<br />

Questo animale, fa parte della schiera delle specie che hanno<br />

reso il Nord America la meta più ambita per i fotografi<br />

naturalisti di tutto il mondo, ma soprattutto, essendo molto<br />

suscettibile agli equilibri ambientali è un indicatore ecologico<br />

di prim’ordine, in quanto difficilmente troveremo coppie di<br />

aquile americane nidificare in zone ad alto inquinamento, sia<br />

atmosferico che dei bacini idrici.


Verso la tarda primavera, cova da 2 a 4 grosse uova (possono<br />

pesare fino a 750 grammi), dalle quali usciranno pulcini<br />

grandi come un pettirosso e totalmente bianchi. Nelle covate<br />

superiori a 3 unità, generalmente il più debole muore.<br />

Vengono nutriti principalmente con pesci e lucertole, per farli<br />

crescere forti e sani e prepararli ai primi voli che avverranno<br />

dal terzo mese di vita.<br />

Come dicevo, questo rapace è presente esclusivamente negli<br />

Stati Uniti con circa 80.000 esemplari, ma una popolazione di<br />

circa 15.000-20.000 esemplari è ben rappresentata anche in<br />

Canada, dove sono presenti gli areali più “sicuri” in cui la<br />

specie può vivere senza rischio di essere cacciata, grazie alla<br />

vasta area di parchi nazionali diffusi su tutto il territorio<br />

canadese, tra tutti cito i principali,


quali Banff e Jasper in Canada appunto e Denali in Alaska.<br />

Nonostante sia il simbolo di un Paese che si vanta di essere<br />

all’avanguardia in tutto, è stata a lungo cacciata, per la<br />

stupida ed inutile mania di volerne fare un trofeo per abbellire<br />

le sale o i locali di tutta l’America. Nel 1920, la specie arrivò a<br />

collassare e si raggiunse la soglia del non ritorno, ovvero il<br />

rischio di estinzione definitivo. Così il governo del Paese prese<br />

atto del triste epilogo che correva il


proprio simbolo e pose il divieto di cacciarla, punendo i<br />

contravventori con ammende salatissime e in alcuni casi anche<br />

con il carcere. Personalmente, faccio molta fatica a trovare<br />

utilità nella caccia per scopi puramente ludici. Le specie<br />

animali si sono evolute e popolano la terra per un ben preciso<br />

motivo, e nessun uomo si può arrogare il diritto di farle<br />

scomparire solo per il proprio stupido piacere. Che poi esseri<br />

umani trovino piacere nell’uccidere esseri viventi, lo trovo<br />

oltre che macabro anche altamente squallido. Ma<br />

fortunatamente, esistono le persone di buon senso che hanno<br />

posto a tutela luoghi incantevoli della Terra, dove le specie<br />

come l’Aquila americana possano trovare sicura dimora e<br />

perpetrare la specie negli anni a venire. L’Aquila americana<br />

racchiude altri


significat,i oltre il valore scientifico intrinseco della specie<br />

stessa, infatti si erge a simbolo di un Paese che si vanta di<br />

essere libero, ma come sempre, nelle cose umane la<br />

contraddizione regna sovrana. Quando vedo un’aquila<br />

spiccare il volo dalla cima di un albero, vedo spiegare le ali nel<br />

vuoto, e poi la vedo volteggiare senza il minimo battito<br />

sfruttando le correnti d’aria, mi ricordo che la vita è il bene<br />

più prezioso che ci sia stato donato, e nessuno al mondo ha il<br />

diritto di toglierla, soprattutto utilizzando squallide<br />

motivazioni. La natura è il patrimonio più grande che possiede<br />

l’umanità intera, ci è stato fatto il dono di poterne essere<br />

partecipi, ma non è di nostra proprietà, e il giorno in cui


“madre natura” ci sfratterà, ce ne renderemo tristemente<br />

conto. Per quanto mi riguarda io debbo molto a questo<br />

animale, mi ha donato emozioni indimenticabili, mi ha fatto<br />

comprendere il vero significato della parola “libertà” e mi<br />

auguro che tutti<br />

i giovani lettori di Kamoose recepiscano il messaggio contro la<br />

caccia che ho lanciato, ma non perchè sono un naturalista, ma<br />

più semplicemente perchè amo la vita ed ho rispetto di tutte le<br />

forme viventi che l’evoluzione nel corso di millenni ha voluto<br />

premiare selezionando chi doveva sopravvivere e chi no.<br />

L’uomo non è un selettore, l’uomo è un prevaricatore, e se la<br />

terra sta morendo, credo non vi siano dubbi di chi ne sia il<br />

colpevole unico e ingiustificabile.<br />

MAX MONTAINA


GALAPAGOS<br />

Testi di Alessandra Pelus<br />

Foto di Max Montaina e Alessandra Pelus<br />

Lo ammetto, quando si sente l’aereo atterrare e poco dopo si<br />

tocca personalmente il suolo delle Galapagos ci si sente<br />

catapultati in un'altra epoca. Quasi non si crede a ciò che si<br />

presenta davanti ai nostri occhi. L’emozione è tanta per una<br />

naturalista come me avere la possibilità di ripercorrere i passi<br />

di Charles Darwin, il padre della zoologia, che grazie alla sua<br />

teoria delle specie, basata su osservazioni di anni, dati<br />

scientifici raccolti, raffronti sulla flora e sulla fauna di<br />

differenti latitudini, è arrivato nel 1859 a risultati sconvolgenti<br />

e rivoluzionari circa l’origine della vita.<br />

Le Galapagos sono delle isole quasi incantate, infatti per molto<br />

tempo vennero anche chiamate proprio così “Isole incantate”


(La Islas encantandas), per la difficoltà di navigazione che si<br />

trovava a raggiungerle a causa delle forti correnti marine, solo<br />

successivamente vennero ribattezzate Galapagos ovvero “Isole<br />

delle tartarughe” per la presenza delle tartarughe giganti che<br />

sono divenute il simbolo di queste isole e che sono conosciute<br />

in tutto il mondo.<br />

Qui si respira un’aria che sconvolge veramente l’esistenza di<br />

un naturalista perché ovunque si posi lo sguardo ci si trova<br />

sempre davanti a un paradiso naturale terrestre fatto di un<br />

microcosmo affascinante e dimora di creature strane e rare<br />

del nostro Pianeta che si possono osservare solo qui.<br />

Arcipelago Arcipelago (Foto (Foto di di Max Max MMontaina)<br />

M ontaina)<br />

Queste isole situate a mille chilometri a ovest dell’Ecuador,<br />

dove confluiscono quattro correnti dei maggiori Oceani,<br />

migliaia di anni fa, vulcani sotto la superficie del mare<br />

esplosero e diedero origine a questo incredibile arcipelago<br />

formato da 18 isole. Geograficamente parlando esse sono<br />

situate a nord e a sud dell’Equatore, il quale quest’ultimo<br />

attraversa una delle Isole più grandi, l’isola Isabela. Le isole<br />

più antiche risalgono a circa 4 milioni di anni fa, mentre quelle<br />

più recenti sono ancora tutt’oggi in via di formazione in


quanto questo arcipelago è considerato una delle zone<br />

vulcaniche più attive della Terra.<br />

Dire che sono semplicemente meravigliose ridurrebbe il loro<br />

vero valore. Il 90% del loro territorio è Parco Naturale e per<br />

accedervi bisogna essere sempre accompagnati da una guida<br />

esperta. Dal 1979 le Galapagos sono state inserite nel<br />

Patrimonio dell’Umanità a rischio di estinzione da parte<br />

dell’Unesco. Infatti, purtroppo, negli ultimi decenni sono state<br />

messe in pericolo, strano a dirsi, dall’uomo, o meglio dai<br />

pescatori che non rispettando le regole della pesca, stanno<br />

mettendo a rischio la sopravvivenza di alcune specie marine<br />

come molluschi, tonno e crostacei.<br />

Max Max Montaina<br />

Montaina


Tartaruga Tartaruga Tartaruga delle delle delle Galapagos Galapagos Galapagos (Foto (Foto (Foto di di di Max Max Max Montain Montaina) Montain Montaina)<br />

a)<br />

Numerosi scienziati stanno cercando di preservare anche altre<br />

specie come le iguane che muoiono a causa dei combustibili<br />

delle imbarcazioni, le tartarughe che vengono invece uccise<br />

per produrre l’olio e anche lo squalo che è decimato per<br />

asportare la sua pinna ritenuta tanto preziosa.<br />

Purtroppo è sempre l’uomo la causa primaria dei danni<br />

provocati alla natura e alle specie viventi, ma non voglio


tediarvi con queste cose e vorrei invece catapultarvi in questo<br />

sogno chiamato Galapagos.<br />

Le Galapagos furono scoperte nel 1535 quando il vescovo di<br />

Panama, Fra Tomàs de Berlanga si era messo in viaggio verso<br />

il Perù per dirimere alcune controversie che erano sorte tra il<br />

condottiero spagnolo Pizarro e l’esercito, ma a causa delle<br />

diverse correnti della zona costiera dell’ovest del Continente<br />

americano, il vescovo venne mandato alla deriva e approdò<br />

sulle spiagge di queste isole, subendo anche l’aggressione delle<br />

specie autoctone, ovvero i leoni marini e anche le tartarughe<br />

giganti e le iguane marine.<br />

Flamingo Flamingo Flamingo Rosa Rosa (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Il paesaggio che gli si prospettò davanti agli occhi era arido e<br />

desertico e l’arcipelago era disabitato. E’ solo nel 1570 che le<br />

isole appaiono nelle mappe con il nome di Insulae de los<br />

Galapegos, ovvero Isole delle tartarughe. Vennero mappate 14<br />

isole e fino al IX secolo era stato loro assegnato sia un nome<br />

inglese che uno spagnolo, ma nel 1892 il Governo dell’Ecuador<br />

ribattezzò ex-novo tutte le Isole.


Successivamente vennero esplorate da altri scienziati ma il 15<br />

settembre 1835 approdò su queste sponde lo scienziato per<br />

eccellenza di tutti i tempi: Charles Darwin. Darwin era un<br />

ragazzo appena laureato che stava girando il mondo come<br />

scienziato e naturalista a bordo della Beagle e il suo primo<br />

viaggio durò dal 1831 al 1836. Qui Darwin cominciò a studiare<br />

le specie della flora e della fauna di quattro isole in<br />

particolare, e arrivò dopo lunghi studi e lunghe ricerche<br />

accurate alla famosa Teoria dell’evoluzione delle specie.<br />

Prima di farvi conoscere specificatamente le specie che<br />

vennero studiate in queste isole e che tutt’oggi sono oggetto<br />

anche di spedizioni fotografiche come è stato il mio viaggio in<br />

queste terre lontane, è giusto conoscere le Isole che formano<br />

quest’arcipelago.<br />

Isole Isole Galapagos Galapagos Galapagos (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

Come già precedentemente detto le Galapagos sono formate<br />

da 18 isole che appartengono allo Stato dell’Ecuador; alcune<br />

sono visitabili, sempre con l’aiuto di una guida, mentre altre<br />

sono inaccessibili, e sono:


Espanola: è l’isola che si trova più a sud dell’arcipelago e ha<br />

una superficie di circa 60 kmq e un’altitudine che arriva a 206<br />

m. Chiamata anche Hood, è popolata da diverse specie<br />

endemiche tra cui le sule mascherate, gli albatross, le tortore<br />

delle Galapagos;<br />

San Cristobal: dedicata a San Cristoforo, protettore dei<br />

marinai, si estende per 558 kmq e raggiunge un’altitudine di<br />

730 m. Al suo interno si trova il lago più grande<br />

dell’arcipelago chiamato Laguna el Junco. Su quest’isola si<br />

trova anche la capitale delle Galapagos: Puerto Baquerizo<br />

Moreno.<br />

Santa Fè: si sviluppa per 24 kmq e raggiunge un’altitudine di<br />

250 m. Qui possiamo trovare diverse specie di uccelli tropicali,<br />

gabbiani a coda di rondine. In quest’isola i turisti possono<br />

anche nuotare con i leoni marini presenti in gran numero.<br />

L’isola è chiamata anche Barrington.<br />

Genovesa: ha una superficie di 14 kmq e la sua altitudine<br />

arriva a 76 m. Deve il suo nome alla città di Genova.<br />

Quest’isola è semplicemente un cratere di vulcano che ogni<br />

anno di più si sta affossando nelle acque profonde oceaniche.<br />

Definita anche “baia degli uccelli” si possono osservare le sule<br />

dalle zampe rosse, le porcellarie, gabbiani e i fringuelli di<br />

Darwin.<br />

South Plaza: E’ una delle isole più piccole dell’arcipelago in<br />

quanto ha una superficie di soli 0,13 kmq e prende il suo nome<br />

da un presedente ecuadoriano ed è abitata da uccelli e iguane<br />

sia marine che terrestri.<br />

Floreana: prende il nome dal primo presedente dell’Ecuador<br />

Juan José Flores, si estende su 173 kmq e la sua altitudine<br />

arriva a 760 m. Vicino all’isola si trova la Corona del Diavolo,<br />

ovvero un vulcano sommerso ricoperto di coralli. Le specie<br />

che la popolano sono i fenicotteri rosa e le tartarughe verdi.<br />

Santa Cruz: con una superficie di 986 kmq e un’altitudine di<br />

864 m, quest’isola è la più popolata e qui vi ha sede la stazione


scientifica Charles Darwin con la sede dell’autorità del Parco<br />

Nazionale. Chiamata anche Indefaticable, qui possiamo<br />

trovarre le tartarughe giganti, iguane marine, fenicotteri e gli<br />

squali.<br />

Iguana Iguana (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Baltra: viene chiamata ache South Seymor, ha una superficie<br />

di 27 kmq e un’altitudine massima di 100 m. Sede del<br />

principale aeroporto dell’arcipelago. Si possono trovare<br />

iguane terrestri e marittime e le tartarughe giganti.<br />

Marchena: con un’estensione di 343 kmq, prende il nome<br />

dall’omonimo frate Antonio Marchena. La fauna principale è<br />

costituita da leoni marini e sparvieri.<br />

Pinzòn: con una superficie di 18 kmq e un’altitudine massima<br />

di 367 m, prende il suo nome dai fratelli che erano al timone<br />

della Nina e la Pinta nella spedizione di Colombo.<br />

Rabida: con una superficie di 4,9 kmq e un’altitudine di 367 m,<br />

chiamata anche Jervis, questa è un’isola caratteristica per la<br />

sua terra rossa, colore dovuto alla presenza del ferro presente<br />

nella lava che ha dato origine all’isola. Possiamo trovare le<br />

sule, i fenicotteri, le anatre e i pellicani bruni.


Bartolomé: la sua superficie è di 1,2 kmq con un’altitudine di<br />

114 m, prende il suo nome dal luogotenente inglese David<br />

Bartolomew ed è famosa per la caratteristica roccia a forma di<br />

pinna che si affaccia sul mare.<br />

Santiago: si estende per 585 kmq e ha un’altitudine di 907 m.<br />

Qui si possono trovare leoni marini, fenicotteri, delfini e<br />

squali, mentre maiali e capre sono specie che sono state<br />

introdotte dall’uomo.<br />

Gabbiano Gabbiano Gabbiano Reale Reale (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Pinta: ha una superficie di 60 kmq e un’altitudine di 777 m,<br />

poco si sa di quest’isola.<br />

Isabela: è l’isola più grande dell’arcipelago con una superficie<br />

di 4588 kmq e un’altitudine di 1707 m dovuta alla presenza del<br />

vulcano Wolf, tuttora attivo. Prende il nome dalla regina<br />

Isabella di Castiglia. Qui si trova Villamil che è la terza città<br />

dell’arcipelago con 1500 abitanti.<br />

Fernandina: si estende per 642 kmq e la sua altitudine<br />

raggiunge i 1494 m. Deve il suo nome a re Fernando di<br />

Spagna. Quest’isola è caratterizzata da una striscia di roccia


lavica stretta e lunga, Punta Espinosa, che si affaccia<br />

sull’Oceano ed e molto popolata dalle iguane, pinguini e<br />

cormorani, mentre l’interno dell’isola è caratterizzata da<br />

foreste di mangrovie.<br />

Wolf: ha una superficie di 1,3 kmq e un’altitudine massima di<br />

353 m. Chiamata anche Wenman, l’isola prende il suo nome<br />

dal geologo Teodor Wolf ed è abitata da foche, sule, fregate e<br />

iguane marine.<br />

Darwin:ha una superficie di 1,1 kmq e un’altitudine di 168 m;<br />

quest’isola è dedicata a Charles Darwin ed è popolata da<br />

foche, iguane, fregate, gabbiani dalla coda forcuta, balene,<br />

tartarughe marine, delfini, sule mascherate e dalle zampe<br />

rosse.<br />

Ma voglio passare oltre agli aspetti scientifici, che<br />

naturalmente sono importantissimi per chi vuole avere una<br />

conoscenza completa di quest’arcipelago, e vorrei che voi<br />

lettori riusciste a sognare attraverso il mio racconto e a sentire<br />

sulla vostra pelle la magia di queste isole.<br />

Oca Oca Facciabianca Facciabianca (Foto (Foto di di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)


La fortuna di poter fare un viaggio come questo ritengo che<br />

per una fotoreporter naturalista come me sia quasi come<br />

vincere al lotto.<br />

Qui potete respirare la stessa aria e calpestare gli stessi luoghi<br />

del grandissimo Charles Darwin, il quale impiegò anni di studi<br />

per catalogare le specie secondo morfologia, ecologia,<br />

biogeografia, genetica, zootecnia formando un quadro<br />

articolato della visione delle specie che nessun’altro<br />

naturalista dopo di lui riuscì a delineare.<br />

Potervi esprimere ciò che si può vedere e documentare in<br />

queste isole è a dir poco emozionante. Le parole scorrono<br />

come fiumi e il mio animo, al ricordo di certi paesaggi, di<br />

specie animali, di profumi si colma di emozioni difficili da<br />

dimenticare.<br />

Simbolo per eccellenza di queste isole, che da essa prendono il<br />

nome appunto di Galapagos, sono le tartarughe giganti<br />

(Geochelone nigra abingdoni), famose per essere le tartarughe<br />

più grandi del mondo. A tutt’oggi si contano circa 2000<br />

esemplari. Con un peso che arriva fino a 300 kg e una<br />

lunghezza di 1,8 m, si cibano di 500 specie di piante diverse e<br />

una loro caratteristica peculiare è che possono vivere a lungo<br />

senza bere, e possono impiegare fino a tre settimane per<br />

digerire un pasto. Questi esemplari raggiungono la loro<br />

maturità sessuale a circa 20 anni, il periodo di riproduzione è<br />

a maggio- giugno.<br />

Oltre alla conosciuta iguana terrestre (Conolophus<br />

subcristatus) in queste isole esiste una varietà di iguane uniche<br />

nel loro genere: le iguane marine (Amblyrhynchus cri status).<br />

Queste iguane possono raggiungere una lunghezza di 1,2 m.<br />

Per alcuni possono avere un aspetto non proprio tenero come<br />

altri animali, ma credetemi, è una specie che non risulta<br />

indifferente per chi ama gli animali. Hanno un muso ottuso, il<br />

loro corpo è piuttosto pesante nei movimenti, le zampe hanno<br />

un aspetto goffo. Sono dotate di una coda che lateralmente è


appiattita e che viene usata per nuotare. La maggior parte<br />

delle iguane marine sono di colore nero o grigio ma si possono<br />

anche trovare iguane che vanno dal nero all’arancio o rosso<br />

con le zampe anteriori e la cresta verdi che purtroppo non<br />

sono riuscita a vedere. Questa specie si alimenta di alghe che<br />

di solito si trovano sulle spiagge o sulle scogliere alle quali esse<br />

si avvinghiano con i loro artigli per non essere portate via<br />

dalla corrente del mare. Ma possono anche tuffarsi in mare<br />

per mangiare, un loro tuffo può perpetuarsi per 15 – 20 minuti<br />

ma vi sono casi in cui questi esemplari rimangono immersi<br />

sott’acqua anche per un’ora. Durante il periodo riproduttivo i<br />

maschi prima determinano il loro territorio e successivamente<br />

vengono raggiunti dalle femmine che hanno la libertà di<br />

trasferirsi da un territorio all’altro, ma i maschi solitamente<br />

raccolgono attorno a sé un harem e l’accoppiamento ha luogo<br />

senza l’interferenza di altri esemplari maschili.<br />

Alessandra Alessandra Pelus<br />

Pelus


Coati Coati Rosso Rosso Rosso (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus) Pelus)<br />

Pelus)<br />

Il corteggiamento è molto particolare: il maschio segue la<br />

femmina, scuotendo la testa l’afferra per il collo e la cinge con<br />

le zampe. Una volta avvenuto l’accoppiamento i maschi<br />

abbandonano il loro territorio e lasciano le femmine nidificare<br />

nelle spiagge e costruire un rifugio per deporre al sicuro le<br />

uova. Le femmine scavano, solitamente, una galleria lunga<br />

circa 60 cm e depongono 2 -3 uova che si schiuderanno dopo<br />

110 giorni circa. Quando i piccoli nascono sono lunghi 23 cm. I<br />

principali nemici di questa specie sono oltre a naturalmente


l’uomo, i pescecani se si spingono troppo vicino al mare, ma<br />

vengono catturate anche da aironi, gabbiani e i falchi delle<br />

Galapagos.<br />

Ho voluto dilungarmi un po’ di più sulle iguane marine perché<br />

sono uno dei simboli di queste isole e Darwin fece molti studi<br />

su di esse.<br />

Potete incontrare anche fenicotteri rosa, aironi, delfini, ma<br />

esiste un’altra specie molto particolare qui, anche se non è così<br />

semplice da vedere per chi come me ha avuto poco tempo per<br />

soggiornare in queste isole, parlo della sula dalle zampe<br />

azzurre (Sula nebouxii ). Questo uccello prettamente marino,<br />

che raggiunge gli 85 cm di lunghezza e 1,5 kg di peso, è<br />

caratterizzato da zampe pinnate di colore azzurro che sfoggia<br />

in particolare durante il corteggiamento, il petto è bianco, le<br />

ali marroni mentre le piume del capo e della schiena sono<br />

marroni chiaro e vivono presso le scogliere dove nidificano. Si<br />

cibano prettamente di pesci e i maschi, essendo dotati di un<br />

corpo più slanciato e affusolato delle femmine, compiono tuffi<br />

spettacolari vicino alle scogliere immergendosi anche nelle<br />

pozze d’acqua tra le rocce.<br />

Le sule nidificano in grandi colonie nelle scogliere dove le<br />

femmine dopo l’accoppiamento depongono 2 o 3 uova che si<br />

schiuderanno dopo 42 giorni circa, e i piccoli essendo molto<br />

fragili, rimarranno tra le zampe della madre per un altro mese<br />

dopo la schiusa.<br />

Le Galapagos sono isole che sono abitate anche da 13 specie<br />

diverse di fringuelli, detti anche Fringuelli di Darwin perché lo<br />

studioso passò anni a catalogare questi uccelli che abitavano<br />

su 4 isole dell’arcipelago e che si differenziano per la forma del<br />

becco e che sono stati divisi in quattro gruppi: gli insettivori, i<br />

terricoli, una specie arboricola e i Pinaroloxias che è una<br />

specie endemica dell’isola di Cocos. Ma il fringuello più strano<br />

studiato da Darwin è il fringuello picchio (Camarhynchus<br />

pallidus) dotato di una caratteristica unica e rara, ovvero dopo


aver creato un foro nel ramo per procurarsi il cibo, vi<br />

introduce una spina di cactus o un sottile rametto per<br />

provocare l’uscita di eventuali insetti.<br />

Leone Leone Marino Marino Marino (Foto (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus)<br />

Pelus)<br />

Una cosa che fa riflettere molto riguardo a queste isole è come<br />

in piccoli spazi come è quest’arcipelago tutto di origine<br />

vulcanica possano crescere all’incirca 560 specie di piante di<br />

cui più di un terzo sono endemiche, ovvero specifiche del luogo<br />

come lo sono alcune specie uniche di cotone, peperoncino,<br />

pomodoro, passiflora, guava e caffè. Purtroppo la maggior<br />

parte delle piante che si trovano su queste isole sono state<br />

introdotte nei secoli dall’uomo per motivi di agricoltura, ma<br />

come ben possiamo immaginare, ed è proprio questo il caso, ci<br />

sono possibilità che specie introdotte siano nocive più che<br />

benefiche per l’habitat naturale di queste isole in quanto<br />

invadono territori e possono causare gravi danni sia per le<br />

altre specie endemiche sia anche per gli animali che vivono<br />

qui.<br />

Una cosa ho imparato da questo viaggio e cioè che la natura è<br />

sempre in grado di stupirci con i suoi misteri e le sue


meraviglie, infatti è strabiliante come possano esistere specie<br />

così strane che vivono solo in questa parte del mondo e che da<br />

esse si sono poi evolute altri animali nel resto del mondo.<br />

Tartaruga Tartaruga delle delle Galapagos Galapagos (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus)<br />

Pelus)<br />

L’unico rammarico che ho è sapere come nelle scuole, luogo<br />

per eccellenza dove i ragazzi dovrebbero imparare a studiare<br />

la teoria di Darwin, in quanto ha dato modo di capire<br />

l’evoluzione delle specie animali e non, invece venga<br />

considerata materia inutile e anzi sia stata considerata una<br />

teoria totalmente deviante. Si vede che chi la considera così<br />

assume questo comportamento per partito preso senza aver<br />

mai veramente letto l’opera di Darwin, ma per fortuna ci<br />

siamo noi di <strong>kamoose</strong> che portiamo avanti inesorabili l’amore<br />

per la natura e gli animali e soprattutto ci impegniamo a<br />

divulgare la conoscenza del mondo naturale con la speranza<br />

che sempre più persone possano riuscire a portare quel<br />

rispetto che ogni uomo dovrebbe avere per ogni essere vivente.<br />

ALESSANDRA PELUS


ALCE<br />

Testi e Foto di Max Montaina<br />

Scrivere e narrare di questo animale rappresenta per me<br />

qualcosa di assolutamente speciale e soprattutto emozionante.<br />

L’Alce è l’animale che da sempre ha rappresentato nel mio<br />

inconscio, il desiderio di libertà, di viaggiare , di conoscere e<br />

di studiare la fauna del mondo, ma soprattutto il Grande<br />

Nord. Elusivo, solitario e schivo, è a tutti gli effetti<br />

l’incarnazione di ciò che io reputo il mio animale ideale. Non<br />

tanto per il suo aspetto maestoso ed imponente, ma<br />

fondamentalmente perché il suo habitat naturale risiede nei<br />

luoghi della terra che io amo con tutto me stesso: NORD<br />

AMERICA e SCANDINAVIA.


Ho passato molti anni a organizzare numerosissime spedizioni<br />

di studio e fotografiche nei parchi di queste zone della terra,<br />

ricche peraltro di ogni tipo di fauna, ma ad ogni mio ritorno<br />

nella mia città, riesco sempre a trovare un motivo per dover<br />

organizzare una successiva spedizione . Luoghi come<br />

Yellowstone (USA), Jasper e Banff (Canada), Denali<br />

(Alaska), Ovre Pasvik (Norvegia), Tofsingdalen (Svezia),<br />

Voronez (Russia) e Oulanka e Pallas-Ounastunturi<br />

(Finlandia), sono le mete favorite per poter incontrare e<br />

quindi ritrarre il mio “totem”, come io stesso definisco l’Alce<br />

(Alces alces).<br />

La differenziazione maggiore a livello zoogeografico è<br />

rappresentata dalle dimensioni differenti dell’esemplare<br />

europeo rispetto a quello nordamericano (più grande), tanto è<br />

vero che è stata necessaria una classificazione zoologica<br />

differente, considerando a tutti gli effetti la specie americana,<br />

una sottospecie di quella europea, differenziando appunto<br />

l’europeo in Alces alces, mentre quello americano in Alces<br />

alces gigas. Dove gigas s’intenda dal latino riferito alle grandi<br />

dimensioni che può raggiungere la specie americana, che può<br />

arrivare ad oltre 220 cm al garrese. Vi assicuro che trovarselo<br />

dinnanzi, procura un’emozione indescrivibile, è in assoluto<br />

uno dei mammiferi terrestri più imponenti e grandi che<br />

esistano, e se per caso, l’esemplare è un maschio adulto, dotato<br />

dei suoi meravigliosi ed enormi palchi (volgarmente ed<br />

erroneamente definite corna), vi sembrerà di avere di fronte<br />

un “TIR” della natura.


Gli indiani d’america lo chiamavano <strong>kamoose</strong>, da cui deriva il<br />

nome dell’animale in lingua anglosassone: moose appunto. Le<br />

leggende sul conto di questo stupefacente cervide si sono<br />

sprecate, ma qui voglio ricordare quella che io ritengo essere<br />

la più affascinante ed evocativa. Si narra infatti che nel gergo<br />

dei nativi americani, il nome <strong>kamoose</strong> derivasse proprio da<br />

alcuni gerghi di alcune tribù, che lo consideravano uno spirito<br />

invisibile e del quale potessero vedere soltanto la gigantesca<br />

ombra, talmente grande da oscurare dal sole un’intera<br />

montagna.<br />

Ma venendo alle cose più strettamente etologiche, una delle<br />

peculiarità di questa specie è il curioso approccio con le altre<br />

specie che ne condividono l’habitat, come orsi, lupi, wapiti<br />

(erroneamente definiti alci in numerosi documentari<br />

naturalistici), coyote, caribù, renne e bisonti. Difficilmente<br />

diviene preda di qualcuno dei predatori succitati, troppo<br />

grande per un orso, troppo forte per lupi e coyote, mentre con<br />

i consimili ungulati wapiti, bisonti, renne e caribù convive<br />

pacificamente senza mai occuparne l’areale in quanto abitante<br />

solitario e schivo della taiga nordica. Raggiunge le zone


lacustri solo alle primissime luci dell’alba o nelle ore più buie<br />

del crepuscolo per cibarsi di alghe sul fondo degli specchi<br />

d’acqua in tutta tranquillità. Resta la maggior parte della sua<br />

giornata, nascosto nel folto delle foreste di conifere<br />

tranquillamente accovacciato a ruminare i vegetali di cui si è<br />

nutrito nelle sue sortite alimentari. Non ha praticamente<br />

nemici, ed una volta tanto, nemmeno l’uomo lo si può<br />

considerare potenziale predatore, in quanto la maggior<br />

presenza della specie è suddivisa sul globo nelle aree protette,<br />

per cui inaccessibili alla pressione venatoria. Sono rari gli<br />

esempi di bracconaggio perpetrati a suo danno, e ove accaduti,<br />

solo per scopi futili, in quanto alcuni sconsiderati idioti,<br />

considerano appagante poter mettere in bella mostra una testa<br />

d’alce, sopra il camino della propria casa.


Unico vero e grande nemico dell’Alce è l’inverno, in quanto,<br />

sebbene munito di un vello altamente protettivo alle<br />

intemperie, i rigori dell’inverno nordico, sono assolutamente<br />

insostenibili anche per un colosso come lui. La decimazione<br />

della specie avviene sempre tra dicembre e febbraio, ovvero<br />

nei mesi in cui l’unico nutrimento possibile per la specie, sono<br />

i rami rinsecchiti, sotto la coltre gelata. Ma d’altra parte, tutto<br />

ciò fa parte dell’inesorabile gioco della selezione naturale, atta<br />

a preservare gli esemplari più forti, che potranno trasmettere<br />

alle nuove generazioni caratteristiche sempre più adattate<br />

all’ambiente in cui dovranno compiere il ciclo della loro<br />

esistenza. Non a caso le lotte tra maschi nel periodo degli


amori in autunno, una delle cose più belle e affascinanti a cui<br />

un naturalista possa assistere, sono cruente all’inverosimile.<br />

Immaginate i gladiatori dell’antica Roma, muniti di armi che<br />

le sferzano con violenza l’un contro l’altro, cosi le Alci, con i<br />

loro enormi palchi, sferzano colpi violentissimi e spesso<br />

inesorabili al loro contendente amoroso, mentre le femmine se<br />

ne stanno in disparte attendendo l’esito della tenzone,<br />

assolutamente certe, che il vincitore, trasmetterà alla loro<br />

prole, caratteristiche assolutamente adatte alla sopravvivenza<br />

nel regno incantato e spietato del Nord. Assistere al duello tra<br />

due maschi, è qualcosa che ti gela il sangue ma al contempo di<br />

carica di quell’adrenalina necessaria a non sentire, dopo ore e<br />

ore di appostamento i rigori del freddo pungente. Il tempo<br />

sembra volarsene via, come in un sogno dolcissimo e pieno di<br />

situazioni appaganti. Ogni sacrificio fatto, ogni pericolo corso,<br />

ogni cosa negativa accaduta, perde di significato, lasciando il<br />

posto a quella sorta di soddisfazione interiore, per la quale<br />

nessuna parola inventata dall’uomo può rendere giustizia.<br />

Non avrei potuto essere me stesso se non avessi fatto il<br />

fotoreporter, o per dirla in gergo moderno, parafrasando una<br />

famosissima pubblicità: “toglietemi tutto ma non le mie Alci”.


Sono in grado di muoversi agevolmente anche su terreni<br />

totalmente innevati e scoscesi, io stesso ho potuto osservare<br />

tracce sul terreno lasciate dal passaggio, in luoghi che<br />

all’apparenza sembrano totalmente inospitali. Sapere che in<br />

epoche nemmeno tanto passate l’Alce era presente anche<br />

nell’Europa centrale, mi fa percepire quanto diversa e<br />

lussureggiante potesse essere anche la nostra Italia. Ma il<br />

progressivo disboscamento e la caccia sfrenata ai suoi danni,<br />

ne hanno repentinamente ristretto l’areale di presenza, fino a<br />

totale scomparsa avvenuta verso la fine del 19° secolo. Quando<br />

l’inverno raggiunge l’apice della sua inclemenza, l’Alce<br />

diviene in tutto e per tutto il padrone incontrastato del Nord.<br />

Grazie ad un ampio strato di grasso ed a un vello molto spesso,<br />

non teme assolutamente i rigori del freddo, sempre che,<br />

beninteso, riesca a reintegrare le proteine necessarie al<br />

sostentamento vitale. Da una prima osservazione sommaria,<br />

appare un colosso impacciato nei movimenti, mentre, ad<br />

un’attenta analisi, viene osservata la grande agilità nei<br />

movimenti, dovuti alle zampe molto sottili, sostenute da una


muscolatura molto potente, che gli permettono di superare<br />

anche gli ostacoli all’apparenza insormontabili.<br />

Nel periodo tra dicembre e febbraio risulta assai difficoltoso<br />

riconoscere i maschi dalle femmine, in quanto proprio in<br />

questo lasso di tempo, agli esemplari di sesso maschile cadono<br />

le corna per poi ricrescere con velocità sorprendente da marzo<br />

a settembre. Nel parco nazionale di Denali, in Alaska, ho avuto<br />

l’occasione di scorgere il rossore sotto il vello dei palchi,<br />

mettendo in evidenza che appunto non siano corna prive di<br />

tessuto, ma bensì irrorate da vasi sanguigni, che con lo<br />

sfregamento o durante le lotte lascia intravedere immagini<br />

dall’impatto fortissimo, addirittura quasi “sanguinolente”. Le<br />

ramificazione definite a “palmatura” viene raggiunta col<br />

sopravanzare dell’età, in quanto un giovane alce, presenterà<br />

solo piccoli tronconi. Le dimensioni dei palchi rappresentano<br />

la caratteristica morfologica essenziale della specie, in quanto<br />

lo differenziano da tutte le altre specie della famiglia dei<br />

cervidi. D’altra parte non sono certo io a scoprirlo, l’Alce, da


sempre rappresenta da tempo immemore, la maestosità e<br />

l’imponenza, e non a caso, è un animale poco conosciuto nel<br />

reale,<br />

ma molto mitizzato nell’immaginario collettivo e soprattutto<br />

nei miti e nelle leggende dei popoli che ne hanno condiviso<br />

l’appartenenza geografica. Ricordo come fosse oggi, che<br />

durante la mia infanzia, passavo ore e ore davanti ai<br />

documentari naturalistici che trasmettevano in televisione, e<br />

rimanevo alquanto stupito, quando mostrando nelle immagini<br />

il Cervo Wapiti (Cervus americanus), molto differente<br />

all’Alce, veniva appunto denominato Alce, ancora oggi, nei<br />

documentati attuali, permane questo grave errore, dovuto<br />

all’errata traduzione dall’inglese con cui viene appunto<br />

chiamato il Wapiti (ELK, tradotto appunto in ALCE), e<br />

questo è un ennesimo esempio della poca conoscenza<br />

scientifica nei riguardi della specie Alces. Forse è stato anche<br />

questo uno dei motivi che mi ha spinto a studiarlo per tutti<br />

questi anni, cogliendo sfumature e situazioni che di volta in<br />

volta me ne facevano sempre più “innamorare”


scientificamente. Per cui dopo oltre 15 anni di appostamenti,<br />

viaggi, ricerche, spedizioni alla ricerca dell’Alce, ho raccolto il<br />

materiale sufficiente per la creazione di un libro (di prossima<br />

pubblicazione) per svelare e raccontare tutto al suo riguardo.<br />

Non dimentichiamoci infatti che questo animale rappresenta il<br />

più grande animale vivente allo stato selvatico dell’Europa e<br />

del Nord America. E in tutta franchezza. Dopo aver girato il<br />

mondo naturale in lungo e in largo, senza tema di smentita,<br />

posso affermare che raramente ho incontrato traccia di<br />

presenza umana massiccia nei luoghi in cui mi sono recato per<br />

studiarlo e ritrarlo. A testimonianza del fatto, che predilige i<br />

luoghi selvaggi e possibilmente inaccessibili alla civiltà.<br />

Sicuramente è questo il motivo principale per cui poco lo si<br />

conosce. Una peculiarità della specie è rappresentata dal fatto<br />

che a differenza delle altre femmine dei Cervidi, le femmine<br />

non si riuniscono in branchi con relativa prole, ma al<br />

contrario preferiscono muoversi solitarie con i propri cuccioli<br />

(1 o 2 al massimo ) dell’anno precedente. L’incontro<br />

ravvicinato con esemplari femmine, iperprotettive nei<br />

confronti dei loro piccoli, cela in sé qualcosa di


tremendamente accattivante, lo sguardo attento, la vicinanza<br />

stretta con cui proteggono il pargoletto, lascia incantati. Non<br />

dimenticherò mai l’incontro avuto nel parco nazionale di<br />

Tiveden in Svezia, quando m’imbattei in una femmina che<br />

scrutava l’orizzonte, come farebbe una vedetta militare in<br />

avanscoperta a tutela del proprio battaglione, era percepibile,<br />

che da un momento all’altro, dagli atteggiamenti prudenti e<br />

schivi della femmina, sarebbe poi apparso dal folto della<br />

vegetazione, un piccolo alce. Credetemi, è una scena che non<br />

dimenticherò mai, e che mi ha ancor più convinto che la<br />

tenerezza e la dolcezza non sono soltanto peculiarità umane,<br />

nonostante io sia un Darwinista convinto, per cui in tutto e per<br />

tutto un’evoluzionista, scevro da “romanticismi”<br />

antropomorfici, ma lasciatemi la convinzione, che tutte le<br />

maraviglie del creato non siano solamente il frutto del caso e<br />

della selezione naturale.


Durante le lezioni che tengo annualmente ai miei corsi di<br />

fotografia, molti allievi mi chiedono, quale sia il mio animale<br />

preferito, e soprattutto una volta ricevuta la risposta, ovvero<br />

l’ALCE, come mai lo abbia eletto a mia icona della natura. E’<br />

presto detto: amo i luoghi poco affollati, non sopporto il caos,<br />

amo le cose semplici e mi accontento delle piccole cose<br />

quotidiane, e sono convinto, che tra le numerosissime specie<br />

che ho avuto modo di incontrare nei miei viaggi, l’Alce, abbia<br />

una sorta di identificazione con il sottoscritto, è schivo, non


ama l’affollamento, ed ogni gesto che compie è sempre spinto<br />

da una sorta di cautela, che ai miei occhi appare come<br />

“rispettoso” nei confronti del mondo che lo circonda. A tal<br />

punto, che soprattutto negli anni passati, si è tentato,<br />

soprattutto in Scandinavia di utilizzarlo come animale da<br />

traino nell’agricoltura, ma nonostante si fosse lasciato<br />

assoggettare per tali scopi, nessuno mai è riuscito a renderlo in<br />

tutto e per tutto un’animale domestico. Lo spirito selvaggio<br />

che lo contraddistingue dal tempo dei tempi è geneticamente<br />

instillato nella specie, nessuno mai potrà e soprattutto mai<br />

dovrà, tentare di privare il nostro cervide, dei suoi grandi<br />

spazi, fatti<br />

di immense distese di betulle, di abeti bianchi e pini di Svezia,<br />

di specchi lacustri da condividere con i Castori e le Lontre,<br />

delle cime innevate delle Montagne Rocciose nordamericane,<br />

cosi come le vaste distese della taiga lappone. L’alce è il<br />

simbolo perfetto della natura selvaggia, e che dovrebbe<br />

spingere ognuno di noi a riflettere di quali obbrobri stia


“combinando” la specie homo sapiens nei confronti della<br />

natura, dimenticandosi forse che tutto quanto noi arrechiamo<br />

di danno al pianeta terra, prima o poi, la terra stessa ce lo<br />

restituirà con gli interessi, con una sola, MACROSCOPICA<br />

differenza: la terra soppravviverà, mentre la nostra specie,<br />

rischierà inesorabilmente l’ESTINZIONE!!!! Lungi da me, in<br />

quanto ottimista per antonomasia, di esprimere opinioni<br />

catastrofistiche, ma sarebbe anche giunto il momento, a mio<br />

modesto avviso, che le coscienze dei popoli si soffermassero a<br />

riflettere sul fatto che la natura e le creature viventi in esse<br />

inserite (gli animali), non sono una passione per qualche pazzo<br />

che si carica di attrezzature fotografiche sulle spalle, o<br />

scienziati che dedicano anima e corpo al loro studio e alla loro<br />

tutela, ma un bene prezioso per tutta l’umanità, soprattutto,<br />

perché la terra non è nostra, ma non dimentichiamocelo mai:<br />

“l’abbiamo in prestito dai nostri figli.”<br />

Ho passato ore e ore, accovacciato a temperature sotto lo zero,<br />

con la neve che scendeva copiosa a raffreddare l’atmosfera<br />

circostante, nella vana attesa di scorgere l’inconfondibile muso


delle Alci, ho lasciato il mio giaciglio nelle ore che precedono<br />

l’alba, o sono rimasto fino al sopraggiungere del crepuscolo,<br />

trasportando obiettivi ingombranti e pesanti, necessari per la<br />

buona resa fotografica, ma ogni qualvolta i miei sforzi sono<br />

stati ripagati, anche solo da un semplice avvistamento, ogni<br />

sforzo compiuto è svanito all’improvviso, lasciando il posto ad<br />

un’enorme e profondo senso di gioia e appagamento interiore.<br />

Probabilmente, molti di voi che stanno leggendo questo<br />

servizio, non hanno mai visto un Alce, ma credetemi, se vi<br />

dovesse capitare un giorno di incontrarlo in qualche landa<br />

selvaggia del nord del mondo, allora, in quel momento le<br />

parole da me scritte, che potrebbero ora apparirvi esagerate o<br />

addirittura senza senso, prenderebbero improvvisamente tutto<br />

un altro significato e prospettiva ai vostri occhi. Grazie Alces<br />

alces, grazie di esistere e di tutto ciò che mi hai donato, ma<br />

soprattutto grazie per avermi insegnato a rispettare la vita<br />

come il bene più prezioso che esista, perché senza di questo<br />

sarebbe come non vivere!<br />

MAX MONTAINA


GRAN PARADISO<br />

Testi di Alessandra Pelus<br />

Foto di Max Montaina e Alessandra Pelus<br />

Sono sempre stata un’amante dei viaggi all’estero in quanto<br />

ho sempre ritenuto l’Italia essere un paese troppo interessato<br />

all’arte venatoria piuttosto che alla salvaguardia della natura<br />

e delle specie che la popolano.<br />

La scorsa estate però, ho deciso di dedicare il mio reportage di<br />

viaggio e il tempo che avrei trascorso ad aspettare l’attimo<br />

fatidico per poter immortalare i miei adorati animali, al Parco<br />

Nazionale Italiano per eccellenza, ovvero il Parco Nazionale<br />

del Gran Paradiso. Vi posso assicurare che l’entusiasmo che<br />

ha animato il mio spirito dal momento in cui ho avvistato le<br />

montagne valdostane è stato a dir poco adrenalinico!<br />

Appena la macchina su cui viaggiavo si è addentrata nelle vie<br />

del parco e mentre salivamo lungo tornanti interminabili per<br />

arrivare all’albergo per ristorarci un po’ dopo lunghi<br />

chilometri di autostrada, continuavo a rimanere a bocca<br />

aperta guardando fuori dal finestrino, come fa un bambino<br />

quando vede la prima volta una cosa e lo fissa in modo<br />

strabiliato.


Ghiacciai Ghiacciai eterni eterni (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Mai avrei potuto immaginare cotanta bellezza che avrei<br />

trovato nei giorni a seguire.<br />

Quando si giunge in questo Parco sembra di vivere in un’altra<br />

dimensione,<br />

ma, soprattutto, la cosa che salta immediatamente agli occhi,<br />

è come la Valle d’Aosta sia quasi una regione alienata dal<br />

resto dell’Italia. Un mondo fatto di altri ritmi, un tempo<br />

cadenzato da una realtà quotidiana più tranquilla e a<br />

dimensione d’uomo come un tempo, paesi puliti, ma ciò che<br />

rende meglio l’idea, è come questo parco sia il regno di specie<br />

animali e vegetali protette grazie alle leggi poste in essere dai<br />

Savoia che per salvaguardare le specie in via di estinzione<br />

hanno fatto tassativamente proibire la caccia!Infatti, nel 1856<br />

il re Vittorio Emanuele II dichiarò il Parco come Riserva<br />

Reale di Caccia e in questo modo salvò dall’estinzione il<br />

simbolo per eccellenza del parco: lo stambecco (Capra ibex<br />

ibex). Questo ungulato


Stambecco Stambecco Stambecco (Foto (Foto (Foto di di di Max Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

per decenni fu oggetto di una caccia indiscriminata a causa di<br />

false superstizioni, quali la credenza che alcune parti del corpo<br />

dell’animale avessero proprietà medicamentali, e che un<br />

piccolo ossicino, definito la croce sul cuore, utilizzato come<br />

talismano, avesse un potere afrodisiaco, ma fu anche cacciato<br />

per la sua carne considerata succulenta e le sue corna che<br />

venivano appese come trofei. Successivamente il re formò


anche un corpo di guardie specializzate e fece costruire<br />

sentieri che ancor oggi vengono rigorosamente seguiti dai<br />

guardia parco per controllare lo status del parco e preservarlo<br />

soprattutto dai bracconieri. Nel 1920 il re Vittorio Emanuele<br />

III donò 2100 ettari della riserva di caccia allo Stato italiano<br />

affinché si creasse un Parco Nazionale. E così due anni dopo, il<br />

3 dicembre 1922 veniva costituito il Parco Nazionale del Gran<br />

Paradiso, il primo parco nazionale italiano che si estende in<br />

un’area a cavallo tra Piemonte e Valle d’Aosta. Fino al 1934<br />

l’area fu protetta da una commissione dotata di autonomia<br />

amministrativa, e successivamente venne poi data in mano al<br />

Ministero dell’Agricoltura fino alla fine della Seconda Guerra<br />

Mondiale. Poi, a partire dal 1947, venne gestita da un ente<br />

autonomo e dal 1991 è attiva una legge quadro sui parchi.<br />

Sono estremamente felice di conoscere l’esistenza di zone in<br />

Italia in cui regna incontrastato l’amore per la natura e<br />

soprattutto, mi rincuora sapere che vi sono delle Istituzioni,<br />

oggi molto assenti in quasi tutti i campi, che tutelano un<br />

patrimonio come lo è questo parco.<br />

Ca Cascata Ca Cascata<br />

scata nel verde (Foto (Foto di Max Montaina)


Il Gran Paradiso si estende in un vasto territorio tutto italiano<br />

di alte montagne che comprendono sei valli: la Val di Cogne,<br />

la Val di Valsavarenche e la Val di Rhêmes.,la Valle Orco, la<br />

Valle Soana e la Valle Champorcher, e va dai 650 m del<br />

fondovalle ai 4061 metri della vetta del Gran Paradiso; è<br />

formato da boschi caratterizzati essenzialmente da larici, abeti<br />

rossi e pino cembro, mentre il sottobosco è costituito da<br />

ginepri; si scorgono ovunque praterie alpine, rocce, e tutto è<br />

circondato da cascate, torrenti e ghiacciai che costituiscono lo<br />

scenario ideale per una ricca varietà di specie d’animali.<br />

Questo meraviglioso parco offre migliaia di opportunità per<br />

tutte le stagioni: in primavera, quando sboccia la natura ed<br />

esplodono fioriture, si respirano mille profumi, ricominciano i<br />

cinguettii degli uccelli, gli animali si accoppiano; in estate,<br />

quando le distese di prati sono ricoperti da infiniti colori dei<br />

fiori. Ovunque lo sguardo si posi si possono scorgere paesaggi<br />

che sembrano dipinti come per magia da un presenza divina:<br />

il giallo delle genziane, il blu dei nontiscordardime e della<br />

genzianella quattrinella, il viola del geranio selvatico, il bianco<br />

del camedrio alpino, il fuxia della lupinella, e potrei citarne a<br />

decine, sono i colori dominanti dei fiori che possiamo trovare<br />

in questo splendido angolo di paradiso terrestre; l’autunno<br />

invece, è la stagione in cui si colorano i boschi di mille colori, è<br />

la stagione anche degli amori per gli stambecchi e i camosci.<br />

Infatti è una delle stagioni migliori sia per far foto spettacolari<br />

di paesaggi sia per poter immortalare animali durante i<br />

corteggiamenti e gli accoppiamenti.


Fioritura Fioritura di di luglio luglio luglio (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Pelus)<br />

Pelus)<br />

La stagione invernale, però, non è da meno, in quanto questo<br />

parco si ricopre di un soffice manto nevoso che dà a chi lo<br />

visita la possibilità di poter avere un incontro ravvicinato con<br />

gli animali che in questa stagione scendono a valle per trovare<br />

cibo.<br />

Ovunque si posi il nostro sguardo in questo splendido angolo<br />

di paradiso terrestre si può scorgere sempre qualcosa di<br />

magico. Per chi ama dal profondo del cuore la natura, come la<br />

sottoscritta, non può che avere la sensazione di vivere in<br />

un’altra dimensione, dove la routine quotidiana fatta di gente<br />

che va sempre di fretta, di palazzi costruiti ovunque,<br />

rimangono pensieri lontani.<br />

Il Parco del Gran Paradiso è un parco dalle mille<br />

sfaccettature: dall’alba in cui ci alziamo e posiamo lo sguardo<br />

fuori dalla finestra e in cui siamo circondati solo da boschi,<br />

fino al tramonto quando il sole regala luci spettacolari<br />

all’orizzonte quando scompare dietro le montagne. Le<br />

giornate sono cadenzate da mille cose da scoprire.


Picchio Picchio rosso rosso maggiore maggiore (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Io ho avuto la fortuna di visitare e fotografare soprattutto la<br />

Val di Cogne e credetemi, che a parte il nome divenuto famoso<br />

purtroppo a causa dei mass media che vivono solo grazie alle<br />

brutte notizie, questa Valle offre ai visitatori emozioni<br />

indescrivibili. Ovunque ci si muova si scorgono torrenti, tra<br />

cui il più importante è il torrente Nontey, dove acque<br />

cristalline e impetuose caratterizzano tutta la valle da cui<br />

prende il nome di Valnontey. E’ qui che ho avuto la fortuna, in


uno dei miei appostamenti, di fotografare una famiglia di<br />

marmotte. Questa specie (marmota marmota) è il più grande<br />

rappresentate degli scoiattoli di terra e si differenzia<br />

essenzialmente grazie alla sua coda pelosa che la distingue<br />

dagli altri roditori. Lo<br />

Scoiattolo Scoiattolo rosso rosso (Foto (Foto di di Max Max Montaina) Montaina)<br />

Montaina)<br />

spettacolo e la simpatia che sprigiona questo esemplare è a dir<br />

poco fantastico. Ammetto di aver avuto la sorte anche dalla<br />

mia parte, visto che il luogo dove le ho avvistate era<br />

completamente isolato e quindi non c’era traccia di turisti<br />

curiosi. Vedere come dagli innumerevoli cunicoli, che questo<br />

animale scava come tana e come rifugio per scappare dai<br />

predatori, sbucavano questi musetti meravigliosi dagli occhi<br />

furbi, mi faceva troppo divertire. Mi ero posizionata a metri di<br />

distanza e con la pazienza che compensa sempre i miei<br />

appostamenti, ho notato in lontananza la famigliola situata su<br />

un ceppo di un albero; sono riuscita a immortalare<br />

l’esemplare maschio che era appoggiato mentre scrutava<br />

l’orizzonte, la femmina che teneva d’occhio me e la troupe e il


cucciolo che giocava, saltava, correva su e giù tra il tronco e la<br />

tana. Osservare questi animali è stato veramente<br />

spassosissimo, tanto che il tempo tra guardarli e scattare loro<br />

le foto è passato in fretta e la giornata si stava concludendo in<br />

un batter d’occhio.<br />

Nel Parco oltre alle sovra citate marmotte possiamo anche<br />

incontrare altre specie di animali, dal simbolo per eccellenza,<br />

ovvero lo stambecco al camoscio.<br />

Camoscio Camoscio Camoscio (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Lo stambecco che popola oggi il parco in circa 3500 unità, è<br />

caratterizzato da corna che presentano delle nodosità nella<br />

parte anteriore e che nei maschi possono raggiungere il metro<br />

di lunghezza mentre nelle femmine sono più lisce e sono<br />

lunghe più o meno 30 cm circa. Questo animale solitamente<br />

vive in branchi composti da soli maschi o dalle femmine con i<br />

cuccioli, mentre gli esemplari anziani per lo più vivono in<br />

solitudine.<br />

Il periodo migliore per poter osservare abbastanza da vicino lo<br />

stambecco è verso la stagione fredda in quanto sia perché


scendono verso le basse altitudini in cerca di cibo sia perché<br />

coincide con la stagione degli amori e quindi non è così<br />

improbabile sentire l’inconfondibile rumore delle corna che<br />

lottano tra di loro degli esemplari maschi che squarciano il<br />

silenzio delle valli. In primavera la femmina dà alla luce un<br />

cucciolo, alle volte due, e fortunatamente, grazie al loro<br />

carattere piuttosto mite e imperturbabile si lascia facilmente<br />

avvicinare dall’uomo.<br />

Inverno Inverno nel nel parco parco (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

Un altro simbolo del Parco Nazionale del Gran Paradiso è il<br />

camoscio che però, a differenza dello stambecco, è più<br />

diffidente. Questo splendido esemplare si differenzia per il suo<br />

portamento elegante nei suoi balzi, scattante e veloce. Dalle<br />

ultime stime, se ne contano all’incirca 7000 esemplari. E’<br />

dotato di corna non imponenti come quello dello stambecco,<br />

ma sottili e leggermente uncinate. Fortunatamente questo<br />

ungulato non è più a rischio di estinzione in quanto la<br />

mancanza dei predatori naturali ne ha favorito la crescita<br />

numerica. Questo però, d’altro canto, ha comportato il rischio


che siano in sovrannumero, e che durante l’inverno quando<br />

scendono a valle tendano a danneggiare il sottobosco,<br />

attraversano le strade asfaltate provocando incidenti e<br />

arrivino a pochi metri dalle case in cerca di cibo; per questa<br />

ragione si è reso necessario, alle volte, azioni di caccia selettiva<br />

per ridurne il numero. Una precisazione voglio farla su quanto<br />

appena detto. Come già<br />

Marmotta Marmotta delle delle Alpi Alpi (Foto (Foto di di Max Max Montaina)<br />

Montaina)<br />

detto precedentemente, in quest’area la caccia è stata<br />

severamente vietata dai tempi dei Savoia, mentre qualcuno<br />

potrà obiettare dicendo che non è vero se si svolgono alle volte<br />

azioni di caccia selettiva. Trovo che sia una nozione<br />

estremamente importante la differenza che c’è tra caccia per<br />

“sport” e caccia selettiva. Entrambe naturalmente hanno tutte<br />

origine da colpe derivanti dall’uomo: la prima perché la caccia<br />

ritenuta uno “sport” da coloro che la praticano è un’offesa a<br />

chi veramente si dedica allo sport per passione, perché non si<br />

può giudicare un passatempo privare un essere vivente della<br />

vita, quando invece un animale che è solo una creatura che


vive la propria vita cercando di sopravvivere alle impervie<br />

della natura, che è fatta solo di istinto naturale, che è<br />

comunque caratterizzata da nobili sentimenti come la dolcezza<br />

di una madre per i propri cuccioli, credo che si possa ritenere<br />

molto più nobile rispetto a chi caccia per divertimento; la<br />

caccia selettiva, invece, purtroppo è diventata una forma<br />

importante di caccia per la salvaguardia di alcune specie.<br />

Anche<br />

Orrido Orrido di di Gerard Gerard (Foto (Foto di di Max Max Max Montaina)<br />

Montaina)


la caccia selettiva è colpa dell’uomo se riteniamo che la natura,<br />

nel suo ciclo vitale è perfetta e non sbaglia mai; il fatto di<br />

dover ricorrere a questo tipo di caccia per evitare i danni che<br />

provocherebbe il sovrannumero di determinate specie, come<br />

appunto in questa zona lo è il camoscio, è dovuto al fatto che i<br />

predatori naturali come lo erano l’orso e il lupo non ci sono<br />

più da secoli, mentre gli altri sono stati perseguitati e<br />

sterminati già ai tempi della riserva dei reali. Infatti, il<br />

compito delle Guardie Cacciatori Reali non era solo quello di<br />

proteggere la selvaggina dai bracconieri ma anche dagli<br />

animali ritenuti nocivi come la lice, la volpe e l’aquila.<br />

Fortunatamente negli ultimi anni abbiamo avuto notizie di<br />

avvistamenti dell’orso e della lince e questo ci fa ben sperare<br />

che un giorno torneranno i veri predatori naturali e che non<br />

dovremo più rincorrere alla caccia di selezione.<br />

Fringuello Fringuello Fringuello (Foto (Foto (Foto di di Alessandra Alessandra Alessandra Pelus) Pelus)<br />

Pelus)<br />

Devo proprio ammettere che per una naturalista come me<br />

questo è un paradiso in terra non solo a livello di mammiferi,<br />

ma anche per coloro che amano il birdwatching. Credo che<br />

qui nessuno possa annoiarsi vista la presenza di verzellini,


codirossi spazzacamino, picchi, cince, sparvieri, poiane astori,<br />

civette e allocchi e innumerevoli altre specie che non sto ad<br />

elencare tutte altrimenti mi dilungherei troppo.<br />

Il mio reportage in questo parco è stato anche segnato da<br />

innumerevoli scatti che la natura offriva in ogni istante<br />

davanti ai miei occhi, ma la cosa che a mio avviso merita di<br />

essere visitata per la sua maestosità e per le sue acque<br />

impetuose, sono le cascate di Lillaz. Queste cascate, che si<br />

trovano a pochi chilometri da Cogne, sono formate da alcuni<br />

salti rocciosi attraverso i quali scorrono le acque del torrente<br />

Urtier che scavando profondi anfratti hanno dato origine a<br />

questo spettacolo naturale. Camminando in un sentiero di<br />

larici si arriva alla base delle cascate e dopo un tratto di<br />

sentiero un po’ più ripido si arriva al secondo salto più<br />

maestoso, dove il torrente Urtier si getta in una conca di rocce<br />

scavate dallo stesso nel corso dei secoli. Proseguendo il<br />

sentiero che diventa via via più pendente e che accosta la<br />

montagna si raggiunge un ponte di legno, il quale una volta<br />

superato, si sbuca su un piano erboso all’altezza di circa 1745<br />

metri da dove si può ammirare la terza cascata in tutto il suo<br />

splendore grazie ai giochi di luce dell’acqua che offre per le<br />

stratificazioni rocciose che l’hanno generata.


Cascate Cascate di di Lill Lillaz Lill az (Foto di Alessandra Pelus)<br />

E’ meraviglioso poter annoverare un Parco Nazionale così<br />

importante nel nostro Paese, perché tra laghi, ghiacciai,<br />

boschi, fiori dai mille colori, cascate, quando ci si addentra in<br />

ogni angolo del parco sembra di essere catapultati in un’altra<br />

dimensione.<br />

Purtroppo il mio reportage di viaggio nel Gran Paradiso è<br />

durato solo una decina di giorni, ma chi ama la natura e la<br />

fotografia non può che fermarsi ad ogni passo per<br />

contemplare quanto sia grande la Natura che offre spettacoli


come quelli che solo lei sa creare ,e l’uomo dovrebbe riscoprire<br />

un sentimento ormai perduto, ovvero l’umiltà, perché<br />

purtroppo a causa della sua presunzione che lo fa ritenere<br />

l’essere vivente per eccellenza causa non solo danni a se stesso,<br />

ma anche al ciclo vitale naturale che equilibra la nostra Terra<br />

e che purtroppo sta facendo scomparire angoli di natura<br />

incontaminata come questo. Speriamo che le leggi in vigore<br />

continuino anche nei prossimi secoli a tutelare questo parco e<br />

che sempre più persone riscoprano nel loro animo l’amore<br />

incondizionato per la natura e gli animali, e spero che grazie<br />

alle mie parole e a quelle dei colleghi di <strong>kamoose</strong>, i lettori<br />

possano vivere sulla loro pelle le sensazionali emozioni che noi<br />

fotoreporter proviamo a trasmettervi nei nostri servizi.<br />

ALESSANDRA PELUS


FENICOTTERO ROSA<br />

Testi e Foto di Alessandra Pelus<br />

Erano le 2 del pomeriggio ed ero ancora in macchina; il<br />

viaggio sembrava non terminare più, complice il caldo che non<br />

desisteva un attimo dal calare. Ma ecco l’uscita<br />

dall’autostrada e finalmente l’insegna “ Parc Naturel<br />

Régional de Camargue”. Mancavano veramente pochi km<br />

all’arrivo all’albergo per una tanto attesa rinfrescata ma è<br />

bastato proseguire di poche curve e finalmente si sono aperte<br />

davanti a me, come per magia, le distese infinite di laghi,<br />

stagni, alcuni prosciugati dal grande caldo, e come piccoli<br />

folletti cominciavo a intravedere da lontano anche molte<br />

specie di uccelli, quali garzette, aironi, cigni che erano fermi<br />

nelle acque stagnanti della Camargue per rifocillarsi.


Il gioco sottile delle correnti del mare e dei laghi, le leggi<br />

complesse che regolano le alluvioni hanno gradatamente<br />

creato questo paesaggio misterioso.<br />

Quello che colpisce appena si entra nel Parco sono le vaste<br />

distese paludose chiamate “les sansouieres”, terre impregnate<br />

d’acqua e di sale dove crescono le salicornie, brunastre in<br />

autunno che assumono una tinta rossiccia durante il periodo<br />

invernale. Qua e là, il suolo è tappezzato di statici, di color<br />

azzurro tenero che fioriscono dall’estate all’autunno. Sulle<br />

terre meno incolte crescono gli iridi, le ginestre, i miosotidi, gli<br />

asfodeliche che coloriscono la stupenda Camargue in<br />

primavera.<br />

Gli argini delle paludi e dei canali sono vestiti di canneti (<br />

sagno, in provenzale) con cui i guardians ( i butteri) ricoprono<br />

le loro capanne. Anche tori e Cavalli dall’elegante andatura<br />

percorrono questa zona selvaggia e fanno anch’essi parte del<br />

paesaggio.


Questa parte della Provenza dove sfocia il delta del Rodano è<br />

uno dei maggiori centri migratori in Europa, infatti vengono a<br />

nidificarvi e a riprodurvisi circa 350 specie di uccelli, alcuni<br />

sono di passaggio altri, invece, sono stanziali.<br />

Ero elettrizzata all’idea che da lì a poco avrei tenuto tra le<br />

mani la mia attrezzatura fotografica e avrei potuto dare sfogo<br />

al mio amore per la fotografia naturalistica, anche se<br />

mostravo un po’ di preoccupazione perché purtroppo ancora<br />

del Fenicottero Rosa non ne vedevo l’ombra. Ma sapevo che<br />

questo viaggio avrebbe colmato la mia lacuna fotografica<br />

riguardo a questo uccello alquanto buffo ma allo stesso tempo<br />

elegante e sontuoso.<br />

E così sulle rive di uno dei tanti stagni intenta a fotografare<br />

alcune specie di uccelli ecco che da lontano vedo un fenicottero<br />

che volando, si dirige e atterra in uno stagno vicino. Che<br />

emozione osservare in volo questo uccello dalla forma<br />

particolare e dipinto di un rosa acceso.<br />

Mi sono incamminata verso lo stagno dove avevo visto<br />

atterrare il fenicottero con la mia attrezzatura in spalla, un<br />

passo alquanto veloce per non perdere tempo e finalmente,<br />

svoltato un angolo di canneti, mi sono ritrovata davanti uno


spettacolo: centinaia di fenicotteri rosa che si cibavano in<br />

acqua, alcuni che litigavano tra loro, alcuni intenti a dormire.<br />

Il caldo attanagliante, il sudore che colava dalla fronte che fino<br />

a quel momento era insopportabile sparirono come per<br />

incanto.<br />

Erano davanti ai miei occhi dopo mesi di attesa e finalmente<br />

potevo osservare il loro regale comportamento in natura.


Il fenicottero che appartiene alla famiglia dei fenicotteriformi<br />

ed è un genere della famiglia dei fenicotteridi<br />

(Phoenicopteridae) è un uccello sociale di palude dalle<br />

dimensioni che vanno da un metro a un metro e mezzo<br />

d’altezza per un’apertura alare di 1,7 metri e vivono in grossi<br />

stormi nelle aree acquatiche.<br />

E’ anche classificato come trampoliere intendendo con questo<br />

termine le specie di uccelli caratterizzati da un collo slanciato e<br />

flessibile e da zampe particolarmente lunghe, da uno stretto<br />

legame con gli ambienti umidi e da un’attitudine migratoria.<br />

La silhouette in volo è facilmente riconoscibile con il collo<br />

ripiegato a S sul dorso e le lunghe zampe dritte all’indietro.<br />

Il Fenicottero è un uccello migratore. Oltre agli spostamenti<br />

giornalieri che questo uccello compie per le svariate esigenze ,<br />

esistono anche altri tipi di spostamento che modificano la<br />

distribuzione della specie. Infatti, se a spostarsi sono gli<br />

individui giovani, che lasciano effettivamente l’area in cui sono<br />

nati, si parla di dispersione, intendendo con questo termine


quella serie di spostamenti che hanno lo scopo di diminuire la<br />

competizione alimentare con i genitori, in modo da non pesare<br />

su di loro anche per le generazioni future.<br />

La migrazione vera e propria, invece, assume significati<br />

differenti ed è legata a spostamenti regolari di andata e<br />

ritorno in aree di distribuzione ben definite. E’ una strategia<br />

che i Fenicotteri hanno adottato per sopravvivere e riprodursi<br />

al meglio, in base alle risorse messe a disposizione<br />

dall’ambiente in cui vivono.<br />

A livello evolutivo la nascita di questo comportamento è stata<br />

indotta dalla scarsità o dalla totale scomparsa di risorse<br />

alimentari o a grandi cambiamenti climatici.<br />

Il ritorno nelle aree d’origine, una volta ristabilitasi la<br />

condizione iniziale, unita anche a una certa stabilità climatica,<br />

ha contribuito a creare questo movimento di andata e di<br />

ritorno tra 2 aree lontane tra loro: una generalmente utilizzata<br />

per la riproduzione e caratterizzata da condizioni ambientali<br />

originarie per la specie, con un’ampia disponibilità di risorse<br />

trofiche per la crescita della prole, e un’altra utilizzata per<br />

svernare, cioè per rifocillarsi dalle fatiche della stagione<br />

riproduttiva e del viaggio migratorio, quel periodo dell’anno<br />

in cui nelle zone di origine le condizioni climatiche e la<br />

disponibilità di cibo sono estremamente sfavorevoli.


I fenicotteri, infatti, alcuni giorni prima della partenza<br />

cominciano a nutrirsi in maniera abbondante. Questa<br />

iperfagia permette un grosso accumulo di grasso sottocutaneo<br />

che funziona da riserva energetica durante il viaggio.<br />

Esiste anche un periodo in cui per questi uccelli risulta<br />

evidente l’avvicinarsi della partenza e questo fenomeno<br />

comportamentale viene chiamato “ inquietudine migratoria”<br />

che è controllato da fattori ormonali.<br />

Sappiamo che il fenicottero, come uccello migratore, percorre<br />

le stesse vie e le stesse rotte che vengono tramandate di<br />

generazione in generazione.<br />

E’ ovvio che vi starete forse chiedendo, come fanno a<br />

orientarsi senza mai sbagliare? Infatti, questo è uno degli<br />

aspetti più affascinanti del fenomeno della migrazione. Questi<br />

uccelli tornano sempre nelle stesse aree da cui erano partiti e<br />

alcuni tornano a nidificare nello stesso nido utilizzato l’anno<br />

precedente, dopo aver viaggiato per migliaia di chilometri. Per<br />

fare ciò è evidente che utilizzano degli accorgimenti<br />

particolari. Uno dei fattori primari è sicuramente la vista,


senso particolarmente sviluppato e che permette di ricercare e<br />

fissare elementi topografici familiari su cui basarsi per<br />

raggiungere la meta. Oltre alla vista però è stato confermato<br />

che possiedono una specie di bussola interna che permette loro<br />

di riconoscere le direzioni cardinali e per fare ciò essi<br />

utilizzano due fonti di riferimento: il sole e il campo magnetico<br />

terrestre.<br />

Infatti da alcuni studi è stato accertato che come uccelli<br />

migratori, i fenicotteri utilizzano una bussola solare, cioè si<br />

basano su un sistema di rilevamento fisiologico con il quale<br />

essi valutano i cambiamenti che il sole compie nell’arco di una<br />

giornata e anche le variazioni giornaliere dell’angolo formato<br />

dal sole stesso con il punto cardinale sud. E si è notato che in<br />

mancanza di sole essi sfruttano il campo magnetico terrestre e<br />

di notte, invece, sembra che si servano anche delle stelle,<br />

creandosi una vera e propria mappa stellare.<br />

E’ veramente affascinante per chi ama la natura poter avere<br />

di fronte uno spettacolo formato da migliaia di esemplari di<br />

fenicottero e sapere che tutti insieme voleranno verso un altro


Paese o Continente grazie alle magiche incognite che Madre<br />

Natura ha donato a questi splendidi uccelli.<br />

Ci sono sei principali specie di Fenicottero:<br />

1) Fenicottero maggiore (Phoenicopterus roseus), diffuso in<br />

Africa, Asia Meridionale ed Europa meridionale<br />

2) Fenicottero rosso (Phoenicopetrus ruber), presente nei<br />

Caraibi, in Mesoamerica e nelle Isole Galapagos. Esso ha<br />

due sottospecie alquanto diverse Phoenicopterus ruber<br />

ruber di color rosso acceso, e il Phoenicopterus ruber<br />

roseus dalle tinte più pallide.<br />

3) Fenicottero minore(Phoenicopterus minor), presente solo<br />

nell’Africa meridionale, è la specie più numerosa con una<br />

popolazione mondiale di almeno 4 milioni di individui.<br />

4) Fenicottero del Cile (Phoenicopterus chilensis) il più<br />

diffuso in Sudamerica.E’ leggermente più piccolo del<br />

Fenicottero Maggiore, è di colore rosa pallido, con strisce<br />

rosso brillante sul dorso e nidifica nei pressi di piccoli<br />

laghi salati e nelle pianure all’estremo sud del continente<br />

americano.<br />

5) Fenicottero delle Ande(Phoenicopterus andinus), diffuso<br />

nelle Ande Meridionali.<br />

6) Fenicottero di James (Phoenicopterus jamesii), diffuso<br />

nelle Ande settentrionali.


Da alcuni studi si è appurato che i rapporti con le altre<br />

specie di uccelli sono incerti: per alcuni aspetti possono<br />

essere accostati agli aironi e agli ibis, mentre per altri alle<br />

anatre e alle oche.<br />

E’ un uccello che è legato all’acqua salata e le popolazioni<br />

che si allontanano dal mare per andare a nidificare


scelgono, comunque, sempre le sponde basse e fangose di<br />

laghi salati.<br />

Il Fenicottero è una specie monogama, quando si forma una<br />

coppia resta insieme per tutta la vita. Il nido è costruito<br />

interamente con il fango e ha la forma di un tronco di cono,<br />

incavato. Viene deposto e covato un solo uovo per volta. I<br />

genitori si alternano, per circa un mese, alla cova dell’uovo.<br />

I piccoli quando escono dal guscio hanno un tipico<br />

piumaggio bianco, che si colorerà solo nella fase adulta, e<br />

viene alimentato mediante una secrezione molto nutriente,<br />

ricca di grassi e proteine, prodotta nel gozzo dei genitori e<br />

rigurgitatagli direttamente nel becco. Questa secrezione è<br />

un ormone chiamato prolattina e viene prodotto in<br />

ghiandole allineante nel tratto digerente superiore.<br />

Soprattutto i giovani fenicotteri si nutrono di questo latte<br />

che contiene anche globuli rossi e globuli bianchi per circa<br />

due mesi, finchè le loro cistifellee non sono abbastanza<br />

sviluppate per filtrare il cibo.<br />

A una settimana dalla schiusa i pulcini della colonia si<br />

radunano in gruppi, chiamati generalmente “asili”, nei<br />

quali resteranno finchè non saranno in grado di volare<br />

all’età circa di 3 mesi.


Il loro caratteristico colore rosa è dovuto al carotene<br />

ottenuto dal loro cibo. Un fenicottero ben nutrito e in salute<br />

è parecchio variopinto. Quanto più rosa è un fenicottero<br />

tanto più risulta desiderabile come partner. Infatti, un<br />

fenicottero bianco o pallido di solito è malato o soffre di<br />

mancanza di cibo.<br />

Eccezione notevole sono le specie allevati in cattività, la<br />

maggior parte dei quali diventano di colore rosa-pallido<br />

dato che non hanno ricevuto cibo che contenesse una<br />

quantità sufficiente di carotene.<br />

Questa specie di uccello è molto gregaria e nidifica in<br />

colonie e anche quando ricerca il cibo rimane a stretto<br />

contatto con i suoi simili.<br />

Essi si nutrono filtrando alghe, crostacei e molluschi. Il loro<br />

becco dalla forma strana, si incurva bruscamente a metà<br />

della sua lunghezza verso il basso e sui margini porta delle<br />

placche, piccole e strette, chiamate lamelle. I loro becchi<br />

sono stata adattati appositamente per separare il fango e<br />

silice da ciò che consumano e vengono usati, unici nel loro<br />

genere, in posizione a testa in giù. Il filtraggio del cibo viene


assistito appunto dalle lamelle che sono delle strutture<br />

pelose che allineano le mandibole e la grande lingua dalla<br />

superficie ruvida che forza l’acqua all’interno del becco e<br />

trattengono i piccoli invertebrati e le sostanze di origine<br />

vegetale di cui l’uccello, appunto, si nutre.<br />

I fenicotteri sono inoltre conosciuti per bilanciare se stessi<br />

su una zampa mentre stanno in piedi e si nutrono e mentre<br />

dormono e, credetemi, se li aveste di fronte rimarreste ore<br />

ad osservarli in questa posizione ponendovi moltissime<br />

domande su come facciano a rimanere in quella posizione<br />

per così tanto tempo soprattutto su una zampa così sottile<br />

ma che è in grado di tenere tutto il loro peso corporeo senza<br />

il minimo movimento o perdita di equilibrio.<br />

Ci sono alcune curiosità che riguardano questa specie che a<br />

mio avviso sono interessanti conoscere perché svelano al<br />

lettore ulteriori caratteristiche di questo uccello:<br />

Fenicottero significa dalle piume rosse, o meglio, dalle<br />

piume color rosso sangue in quanto il sostantivo greco foinix<br />

deriva dall‘aggettivo foinos che significa rosso sangue. E il<br />

vocabolo foinix significa dalle piume color rosso sangue.<br />

In italiano il fenicottero era anche detto fiammingo, termine<br />

che deriva dal provenzale flamenc , forse da fiamma, quindi<br />

dalle piume color fiamma. Infatti in inglese il fenicottero è<br />

detto flamingo e in francese flamant.<br />

Alla fine del mio viaggio in terra provenzale posso solo<br />

portare con me e nei miei viaggi futuri tutto il mio<br />

entusiasmo nei confronti di questo Parco e ammettere che<br />

per gli amanti della natura e, in particolare, dell’ornitologia<br />

quest’ oasi, che rimane a tutt’oggi ancora una zona<br />

paradisiaca e per fortuna ancora protetta in Europa, è una<br />

tappa non solo fondamentale ma anche obbligatoria nella<br />

propria vita perché è solo vivendo in prima persona il clima<br />

naturalistico di questo Parco Nazionale, ascoltando il<br />

fruscio del vento tra i canneti, l’udire i richiami delle


tantissime specie di uccelli presenti e, soprattutto osservare<br />

la magnificenza ipnotica del Fenicottero che vi farà capire<br />

quante meraviglie offre ancora Madre Natura e che vanno<br />

salvaguardate se vogliamo continuare a svegliarci e avere<br />

ancora la speranza che la vita vale la pena di essere vissuta.<br />

ALESSANDRA PELUS


PARCO NAZIONALE DI<br />

OULANKA<br />

Testi e Foto di Max Montaina<br />

Circolo polare artico, circa 35 km a nord di Rowaniemi, nella<br />

Lapponia finlandese, cielo plumbeo che minaccia pioggia da<br />

un momento all’altro, i nostri fuoristrada “mangiano” il<br />

terriccio di cui è costituita la Karrunkierros Road, un<br />

percorso a dir poco stupefacente, circondato ai lati di questa<br />

unica strada (carraia), da lussureggianti foreste di betulle, pini<br />

di svezia, larici e abeti rossi.<br />

Filippo, mio compagno di mille viaggi, nonchè mio fratello, mi<br />

domanda spontaneamente: “ma siamo sicuri di non essere in<br />

Canada?”<br />

Affermazione non poteva essere più calzante, per chi come il<br />

sottoscritto conosce bene il Nord America, effettivamente,<br />

pareva di essere all’interno di un parco canadese, al contrario,<br />

e con grande gioia mista a stupore, ci stavamo addentrando in<br />

uno dei luoghi più belli e selvaggi del Nord Europa: il Parco


Nazionale di Oulanka. Non è famoso come Yellowstone negli<br />

USA, non è pubblicizzato come il Serengeti in Tanzania, e non<br />

è per nulla facilmente raggiungibile, ma vi assicuro, che<br />

arrivare fin qui, in questo paradiso nordico, ne valeva<br />

assolutamente la pena.<br />

Alba Alba nel nel parco<br />

parco<br />

Ruscelli impetuosi e scroscianti, con la risalita dei salmoni a<br />

ricordare le cascate di Katmai e Kenai in Alaska, Orsi bruni<br />

girovaganti nei pressi dello splendido lago omonimo, voli di<br />

anatre di passo sopra gli alti fusti protesi al cielo, avifauna<br />

acquatica ad arricchire la bellezza di qualsiasi specchio<br />

d’acqua presente nel parco, fiori multicolori, funghi di<br />

dimensioni “preistoriche”.<br />

Lettori di Kamoose benvenuti al “Jurassic Park”, mi verrebbe<br />

da dire, mentre invece, sto parlando di una splendida sorpresa<br />

che ci ha saputo cogliere a tutti noi, membri della spedizione<br />

fotografica, come il classico “colpo di fulmine”!<br />

La luce in questo periodo (fine luglio) perdura per 21 ore al<br />

giorno, con circa 3 sole ore di crepuscolo, tra la mezzanotte e<br />

le 3 del mattino. Un vero paradiso per gli amanti della full


immersion nella natura. Ritrovarsi a fotografare paesaggi alle<br />

24 o all’una del mattino ha qualcosa di veramente eccitante.<br />

La soglia tra il sogno e la realtà ben difficilmente si riesce a<br />

cogliere.<br />

Boletus<br />

Boletus<br />

Camminando nei sentieri del parco, un suono non ci<br />

abbandona mai, è il richiamo della Ghiandaia siberiana, alla<br />

ricerca frenetica di pinoli di cui si nutre. Gli scoiattoli rossi<br />

(Sciurus vulgaris), sono i padroni di casa, basta saper<br />

pazientare in silenzio, e la fatica dell’attesa verrà sicuramente<br />

ripagata. Questo parco è anche la dimora della Lince europea<br />

(Lynx lynx), che è presente con una trentina di esemplari<br />

disseminati lungo tutto l’arco del parco e oltre.<br />

La Finlandia è terra di contrasti, per certi versi molto simile<br />

all’Italia. Da un lato la protezione di innumerevoli aree<br />

tramite l’istituzione di parchi nazionali, dall’altro, la “piaga”<br />

dei cacciatori di frodo, o bracconieri, come preferite


chiamarli, che non appena sentono parlare di specie a rischio,<br />

non gli par vero di lucidare i loro fucili, con i quali io<br />

consiglierei un utilizzo ben più utile per la razza umana,<br />

ovvero per autolevarsi dalle “scatole”.<br />

Lince Lince europea<br />

europea<br />

Ma bando a queste divagazioni protezionistiche e torniamo<br />

alle meraviglie di Oulanka, che è stato istituito nel 1972.<br />

Contrariamente a quanto si possa pensare, non è una meta<br />

ambita per i naturalisti della Scandinavia in quanto questa<br />

penisola, con Norvegia, Svezia e appunto Finlandia, vanta<br />

numerosissime aree protette mete di naturalisti nordici.<br />

Camminare nei sentieri ben segnati e ben tenuti<br />

dall’amministrazione del parco è qualcosa di appagante per<br />

l’anima. Il sottobosco che è ampio e luminoso, come è tipico<br />

per la maggior parte dei parchi scandinavi (di cui questo è solo<br />

il primo reportage che pubblicheremo), permette alla luce di<br />

filtrare attraverso le alte chiome delle conifere e delle<br />

latifoglie, permettendo un’ottima visuale sulle zone circostanti.


Mentre si percorrono questi sentieri immersi nel verde e dal<br />

soffice manto del substrato, è facilissimo incontrare la regina<br />

incontrastata della tundra artica, la Renna (Rangifer<br />

tarandus), che ci osserva da lontano con curiosità e attenzione.<br />

Renna<br />

Renna<br />

Ma l’abitante più curioso e che personalmente io ritengo più<br />

affascinante oltre che entusiasmante da incontrare, previo<br />

duro appostamento davanti alle tane per ore e ore è la Volpe<br />

polare (Lagopex arctica), che in questo periodo dell’anno ha<br />

smesso l’abito completamente bianco invernale, per “vestire”<br />

un più adatto e mimetico manto bruno violaceo,<br />

maggiormente marcato nei cuccioli che in questo periodo<br />

hanno circa 2 mesi di vita. Sono pieni di vita, curiosi, e tra gli<br />

animali più appaganti da fotografare, perchè poter incontrare<br />

un’esemplare di Volpe polare non è cosa di tutti i giorni, ve lo<br />

posso garantire.


Ninfea Ninfea Ninfea acquatica acquatica<br />

acquatica<br />

Gigli, campanule viola, ninfee, ibis, e molte altre specie floreali<br />

sono il contorno affascinante per tutti i visitatori di Oulanka,<br />

soprattutto del gentil sesso.<br />

Come sapete, se leggete i miei reportages, o avete letto qualche<br />

mio libro, sostengo da sempre che il colpo di fortuna<br />

accompagna sempre coloro che amano veramente quello che<br />

fanno e in cui credono, per cui anche questa spedizione non ha<br />

fatto eccezione alla regola. Non lo dimenticherò mai, perché al<br />

pari del Leopardo delle Nevi in Tibet e la Tigre del Bengala in<br />

India, l’incontro con questo animale (inaspettato) è stato<br />

repentino e totalmente mozzafiato.


Pini Pini Pini di di di Svezia<br />

Svezia<br />

Prima di svelarvi di quale specie io stia parlando, vorrei, come<br />

nel più classico dei thriller, fare una premessa necessaria per<br />

poter comprendere la “grandezza” dell’ incontro compiuto.<br />

Quando si decide di fare il fotografo di animali, si sognano<br />

incontri con le specie più svariate, ma durante il corso degli<br />

anni, molti, si lasciano scoraggiare dalla fatica, dal peso delle<br />

attrezzature (uno zaino fotografico con corredo completo<br />

professionale pesa circa 25 kg), dalle intemperie, dai limiti<br />

fisici, ma soprattutto dalla mancanza di entusiasmo, che scema<br />

man mano che le specie agognate non vengono minimamente,<br />

nemmeno intraviste. Questo non fa parte del mio carattere, io<br />

sono testardo (mio grande difetto nella vita, ma evidentemente<br />

pregio nel mio lavoro), infatti, sono alla perenne e costante<br />

ricerca di specie animali che sono state poco avvistate e<br />

soprattutto per nulla fotografate, a costo di sacrifici immani<br />

sotto tutti i punti di vista. Ecco perché ritengo che la mia<br />

“proverbiale” fortuna, che nel corso degli ultimi 30 anni mi ha<br />

sempre accompagnato, legata spero anche alla mia conoscenza<br />

delle specie che intendo ritrarre, mi ha ripagato anche qui.


Ghiottone<br />

Ghiottone<br />

Era il quinto giorno della nostra permanenza nel parco e<br />

mentre ci recavamo verso una zona dove sapevamo esserci una<br />

tana di volpi polari, mentre camminavamo a passo serrato,<br />

tutto ad un tratto da un cespuglio di sorbo degli uccellatori (un<br />

arbusto molto diffuso nel parco), proprio davanti a me, a circa<br />

10 metri di distanza mi è apparso in tutto il suo magnifico<br />

alone di mistero in cui è avvolto per i pochi avvistamenti, un<br />

esemplare maschio di Ghiottone (Gulo gulo). Per chi fotografa<br />

la natura, poterlo incontrare, equivale per un giocatore di<br />

calcio vincere la Champions League, ovvero, difficilmente può<br />

capitare più volte nell’arco della stessa vita. Immaginate il mio<br />

stupore e la mia gioia irrefrenabile (lo ammetto, alla sera,<br />

davanti al fuoco ho danzato come i nativi americani per<br />

ringraziare Wakan tanka) nello scorgere poco distante di<br />

qualche metro anche la femmina. Veloce, con lo sguardo truce,<br />

tipico dell’aggressività


Oulanka Oulanka Lake<br />

Lake<br />

dei mustelidi a cui appartiene, nello scattargli foto ed<br />

osservarlo nelle sue movenze fatte di corse improvvise e<br />

repentine e brusche frenate, il tempo si è fermato, e come in un<br />

film alla moviola, ho rivisto tutte le immagini più belle di<br />

queste 2 settimane passate in questo gioiello verde del Nord<br />

Europa: Filippo appostato sulle rocce ad attendere il balzo dei<br />

salmoni fuori dall’acqua, Flaviana che tentava di sfamare i<br />

cuccioli della Volpe polare con i biscotti di una nota casa<br />

produttrice parmense, Simona che rincorreva gli Scoiattoli da<br />

un albero all’altro e Barbara che voleva a tutti i costi<br />

fotografare un orso bruno mentre si grattava contro la<br />

corteccia degli alberi. Oulanka è un luogo che ancora adesso a<br />

chi me lo chiede, definisco “mistico”, mi ha dato più di quanto<br />

io gli chiedessi, perchè del tutto inaspettato e assolutamente<br />

spettacolare. Molti viaggiatori si recano al circolo polare


Volpe Volpe polare<br />

polare<br />

artico per vedere il “sole di mezzanotte”, ma vi garantisco che<br />

se vi recherete a visitare questa terra sconosciuta e<br />

fortunatamente (una volta tanto) dimenticata dall’uomo,<br />

potrete raccontare ai vostri conoscenti, che almeno una volta<br />

nella vostra vita avete visitato il paradiso in terra. Sono andato<br />

innumerevoli volte in Scandinavia (e conto di tornarvi presto a<br />

Dio piacendo), battendo in lungo e in largo tutti i principali<br />

parchi della Svezia, della Norvegia, ed ovviamente della<br />

Finlandia, ma quello che mi ha lasciato nel profondo<br />

dell’anima il Parco Nazionale di Oulanka, raramente l’ho<br />

ritrovato altrove. Per cui grazie elfi, grazie folletti, grazie fate,<br />

sono certo che siete stati voi a spingermi in questo remoto e<br />

incantato luogo della Lapponia.<br />

MAX MONTAINA


KAMOOSE<br />

DIRETTORE<br />

Max Montaina<br />

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CAPO REDATTORE<br />

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Melissa Maestri – Paola Zuccolotto<br />

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