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<strong>«In</strong> <strong>viaggio</strong> <strong>come</strong><br />
a <strong>casa</strong> <strong>propria»</strong><br />
Una raccolta di racconti di <strong>viaggio</strong><br />
2011<br />
Rapporto di gestione e di<br />
sostenibilità <strong>FFS</strong> – Versione breve
SCRIVIAMO RACCONTI DI VIAGGIO<br />
— 02 —<br />
DR. ULRICH GYGI E ANDREAS MEYER<br />
MADAME ESTOppET<br />
— 06 —<br />
NOËLLE REVAZ<br />
GUARDAVAMO I fASCI DI bINARI<br />
— 12 —<br />
ROLf HERMANN<br />
AVERNA<br />
— 18 —<br />
MONICA CANTIENI<br />
LA CHANSON DE ROLAND<br />
— 24 —<br />
pETER STAMM<br />
IL TRENO DEI DESIDERI<br />
— 30 —<br />
ANDREA fAZIOLI<br />
CALENDARIO DEGLI AMORI fERROVIARI<br />
— 36 —<br />
AUDE SEIGNE
SCRIVIAMO RACCONTI<br />
DI VIAGGIO<br />
CARE LETTRICI, CARI LETTORI,<br />
chi viaggia con le ffS deve sentirsi «in buone mani, su tutta la linea». Questa è<br />
la promessa che abbiamo fatto ai nostri clienti, e alla quale abbiamo tenuto<br />
fede anche nel 2011 raggiungendo livelli di puntualità e sicurezza senza precedenti.<br />
Un risultato che ci rende orgogliosi.<br />
La chiave di questo successo sono i nostri quasi 28 600 collaboratori, che<br />
danno un volto alle ffS e accompagnano i nostri clienti prima, durante e dopo<br />
il <strong>viaggio</strong> offrendo il meglio di sé giorno dopo giorno. È grazie al loro impegno<br />
se quasi 10 000 treni viaggiano senza intoppi su poco meno di 3000 chilometri<br />
di rotaie che attraversano le nostre città e il nostro paese, percorrendo ponti<br />
e gallerie, per portare ogni giorno a destinazione passeggeri e merci. per tutti<br />
noi è estremamente importante che i nostri clienti si sentano sempre a proprio<br />
agio nelle nostre stazioni, che siano in arrivo o in partenza o che desiderino<br />
semplicemente fare qualche acquisto. Con il nostro lavoro, non solo mandiamo<br />
avanti le ffS, ma mettiamo in movimento la Svizzera.<br />
Il nostro obiettivo non è tuttavia garantire solamente massima affidabilità e<br />
viaggi di qualità ineccepibile, ma fare sì che con noi i clienti si sentano «in <strong>viaggio</strong><br />
<strong>come</strong> a <strong>casa</strong> <strong>propria»</strong>. È a questo che ci dedichiamo ogni giorno con<br />
passione. In particolare nell’ambito dei servizi abbiamo già fatto progressi, ed<br />
altri intendiamo compierne per renderli ancora più tangibili. Vogliamo che ogni<br />
visita in stazione e ogni <strong>viaggio</strong> si trasformino in un’esperienza particolare, un<br />
evento da ripetere e da ricordare con piacere.<br />
perché dietro ogni <strong>viaggio</strong> e ogni visita in stazione si nasconde una storia.<br />
A volte si tratta di un episodio veramente accaduto che rispecchia un’esperienza<br />
di vita quotidiana, il tragitto per recarsi al lavoro o una visita ad amici. A<br />
volte invece è una storia di fantasia. Una storia che nasce da un <strong>viaggio</strong> in<br />
treno, quando i passeggeri lasciano vagare lo sguardo fuori dal finestrino e si<br />
— 03 —
perdono dietro i loro pensieri. Viaggiare suscita desideri e apre nuove possibilità.<br />
Ogni cliente vive una sua storia di <strong>viaggio</strong> tutta personale. E con il nostro<br />
lavoro contribuiamo a scriverne una parte.<br />
A volte ci riusciamo meglio e a volte meno. In un affascinante sistema facciamo<br />
in modo di trasportare ogni giorno 977 000 passeggeri. Malgrado tutta<br />
la nostra dedizione non siamo immuni agli errori. E anche se non ci piace sentircelo<br />
dire, spesso è proprio un ritardo o una coincidenza mancata a dare<br />
origine a un racconto di <strong>viaggio</strong>. Sono quasi sempre queste le storie che<br />
restano impresse nella memoria e che si ama raccontare.<br />
Sei autrici e autori svizzeri condividono con noi i loro racconti di <strong>viaggio</strong> nell’attuale<br />
Rapporto di gestione e di sostenibilità.<br />
Apre Noëlle Revaz con il suo racconto sull’eccentrica Madame Estoppet di<br />
Ginevra, che dopo avere ricevuto un abbonamento generale viaggia in tutto il<br />
paese e controlla ciò che accade nella nostra azienda dispensando ovunque i<br />
suoi consigli: in treno, in stazione e nella cabina di guida. È una cliente che ama<br />
viaggiare con noi e che si prende davvero a cuore la sicurezza e l’efficienza<br />
delle ffS.<br />
Rolf Hermann torna con la mente alla sua gioventù, quando viveva con i<br />
genitori nei pressi della stazione di Leuk. Disteso sul suo letto, udiva il fragore dei<br />
treni merci in transito che trasportavano alluminio dal Vallese all’Italia, spingendosi<br />
così ben più lontano di quanti in vita loro non avevano mai lasciato la valle.<br />
Il racconto di Monica Cantieni è ambientato nella stazione centrale di<br />
Zurigo. Narra di un incontro, uno dei tanti che potrebbero verificarsi nella più<br />
grande stazione della Svizzera. Due persone che si conoscono nel bar e si<br />
scambiano una serie di riflessioni: il <strong>viaggio</strong> si fa così al contempo metafora<br />
della vita, della bellezza e della tristezza.<br />
Una piccola stazione ormai deserta è la misteriosa ambientazione in cui si<br />
svolge la storia di peter Stamms. Dopo avere perso l’ultimo treno, il protagonista<br />
trova rifugio nel salone da parrucchiera di Astrid. Qui, senza quasi capire<br />
<strong>come</strong>, si ritrova con il più incredibile taglio di capelli della sua vita.<br />
Andrea fazioli ci propone un minithriller che si consuma tra bellinzona e<br />
Zurigo. Con le sue numerose gallerie, questa tratta è un perfetto esempio dello<br />
— 04 —
spirito pionieristico degli ingegneri ferroviari svizzeri. Un <strong>viaggio</strong> in treno tra sud<br />
e nord ha la capacità di unire mondi diversi e risvegliare desideri, oppure, <strong>come</strong><br />
accade al piccolo protagonista, di far volare la fantasia.<br />
Aude Seigne ci racconta della libertà di viaggiare in treno attraverso lo<br />
sguardo di una donna innamorata. Il <strong>viaggio</strong> diventa così un momento in cui<br />
fantasticare pregustando la felicità del tanto atteso incontro, in un susseguirsi<br />
di paesaggi che cambiano all’alternarsi delle stagioni. Sempre nuovi un anno<br />
dopo l’altro. «Il treno mi permette di non scegliere il mio stato mentale, di<br />
lasciarmi andare», puntualizza Aude Seigne.<br />
I sei racconti sono un esempio delle emozioni che le ffS desiderano suscitare<br />
nei propri clienti. Ciò che vogliamo offrire loro è la possibilità di vivere<br />
esperienze straordinarie e di provare che con noi possono davvero sentirsi «in<br />
<strong>viaggio</strong> <strong>come</strong> a <strong>casa</strong> <strong>propria»</strong>, ovunque li porti il loro cammino. Se il nostro<br />
lavoro permetterà a ciascuno dei nostri clienti non solo di viaggiare in modo<br />
sicuro, ma anche di vivere un’esperienza particolare sentendosi a <strong>casa</strong> propria,<br />
avremo dimostrato che le ffS sono un’azienda ricca di valore.<br />
Ci auguriamo che questi racconti piacciano anche a voi e che sappiano riservarvi<br />
momenti piacevoli.<br />
Dr. Ulrich Gygi Andreas Meyer<br />
presidente del Consiglio CEO ffS SA<br />
d’amministrazione ffS SA<br />
— 05 —
MADAME ESTOppET<br />
NOËLLE REVAZ<br />
La mia vicina del terzo piano, Madame Estoppet, è andata in pensione due o<br />
tre anni fa. Ai tempi, quando ancora lavorava, la incrociavo ogni mattina sulle<br />
scale nel momento stesso in cui anch’io uscivo di <strong>casa</strong> per prendere il treno.<br />
Madame Estoppet mi faceva sempre notare <strong>come</strong> le bastava svegliarsi<br />
15 minuti prima di iniziare a lavorare, mentre a me invece aspettava ancora un<br />
lungo <strong>viaggio</strong>. Mi raccomandava di chiedere un impiego presso il suo datore di<br />
lavoro: avrei avuto tutto da guadagnarci. Col passare del tempo avevo poco a<br />
poco preso l’abitudine di partire in anticipo, per non dover più ascoltare i consigli<br />
di Madame Estoppet. Non ero la sola: mattina o sera, gli inquilini evitavano<br />
di perdere tempo sulle scale, quando Madame Estoppet era nelle vicinanze.<br />
Madame Estoppet era conosciuta nell’immobile per il suo carattere da<br />
generale. Aveva una sua opinione su tutto. Era al corrente di tutto. Sapeva tutto<br />
meglio di tutti. La sua convinzione era che doveva rendersi utile. Il mondo, se<br />
ci metteva del suo, avrebbe avuto una cera migliore.<br />
Madame Estoppet era riuscita nell’impresa di spiegare all’amministratore<br />
del nostro condominio <strong>come</strong> calcolare diversamente le spese del riscaldamento.<br />
Risucchiato nell’appartamento di Madame Estoppet, il povero amministratore<br />
ne era uscito tre ore più tardi. I tecnici si nascondevano, quando dovevano<br />
venire nella nostra cantina per riparare le lavatrici. Avevano troppa paura<br />
di incrociarla e di farsi poi spiegare nel dettaglio l’origine del malfunzionamento.<br />
Madame Estoppet si fiondava sulle madri di famiglia. Si preoccupava dell’educazione<br />
dei loro bambini. perseguitava i vicini entro un raggio di due chilometri.<br />
Quando Madame Estoppet è andata in pensione, gli inquilini del mio<br />
palazzo si sono domandati cosa sarebbe successo: Madame Estoppet sempre<br />
in <strong>casa</strong>, era inimmaginabile. Tanto valeva vivere con un drago. L’ambiente<br />
nel palazzo sarebbe diventato infernale. Alcuni vicini cominciavano già a parlare<br />
— 07 —
di trasloco. Già perché, <strong>come</strong> sfuggire a Madame Estoppet, se decideva di<br />
montare la guardia nella tromba delle scale durante tutta la settimana?<br />
per fortuna non è successo niente di tutto questo. La data fatidica del<br />
pensionamento è arrivata e la vita è rimasta pressapoco la stessa. Tranne per<br />
il fatto che nessuno incrociava più Madame Estoppet per le scale. Né il primo<br />
mese di pensione, né quelli seguenti. Il palazzo era diventato vivibile. Da credere<br />
che Madame Estoppet era scomparsa.<br />
L’estate è passata così. I vicini avevano ritrovato piacere a chiacchierare nel<br />
corridoio. Si poteva veramente credere che Madame Estoppet era in <strong>viaggio</strong>,<br />
se la vicina del pianterreno non metteva in giro la voce che lei, la vicina, vedeva<br />
Madame Estoppet prendere il treno molto presto il mattino. L’aveva vista in<br />
stazione. La vicina sosteneva che Madame Estoppet, per la sua pensione,<br />
aveva ricevuto un abbonamento generale da parte del figlio. Difficile decidere<br />
se crederle o meno. forse l’aveva inventato. La vicina del pianterreno è una<br />
comare. Vuole sempre farsi notare.<br />
Sono poi passati alcuni mesi. Gli inquilini non hanno avuto problemi ad abituarsi<br />
all’assenza di Madame Estoppet. Io stessa ero molto occupata e mi era<br />
completamente uscita dalla testa. Quando in un treno, per un caso del tutto<br />
fortuito, sono capitata nel suo stesso vagone. Ho riconosciuto la sua voce.<br />
Una voce davanti a me che discuteva con il controllore <strong>come</strong> rimproverandolo.<br />
Mi sono alzata dal mio sedile per guardare da dove veniva la voce. Era<br />
proprio Madame Estoppet, due scompartimenti più in là. Stava spiegando al<br />
controllore <strong>come</strong> chinarsi verso i biglietti per evitare di soffrire in futuro di artrosi<br />
alla nuca. Madame Estoppet si alzava per fare la dimostrazione: bisognava<br />
chinarsi così, con questa inclinazione e non cosà a rasopavimento. Madame<br />
Estoppet aggiungeva che non bisognava cedere, ma esigere dagli utenti di<br />
alzare i loro titoli di trasporto all’altezza degli occhi del controllore: per loro era<br />
un gesto isolato, ma per il controllore il movimento si ripeteva ogni secondo ed<br />
era molto importante stare attento alla propria salute.<br />
Dopo un po’ il controllore è riuscito a disfarsi dei suoi artigli. Con mia grande<br />
sorpresa, sembrava conoscerla. Diceva: arrivederci Madame Estoppet.<br />
Restando seduta al mio posto, ho spiato Madame Estoppet. Con la testa<br />
inclinata sorvegliava il controllore che si allontanava in fondo al corridoio. poi ha<br />
— 08 —
fatto una telefonata, probabilmente a suo figlio: la sentivo spiegare <strong>come</strong><br />
doveva lavare la macchina. Diceva che la sua giornata non era ancora finita.<br />
Doveva ancora recarsi a San Gallo, a controllare se i camerieri di un caffè della<br />
stazione avevano cambiato la decorazione <strong>come</strong> gli aveva consigliato. poi,<br />
Madame Estoppet voleva andare a frauenfeld, a comprare un croissant in una<br />
panetteria. Si chiedeva se il panettiere aveva preso nota dei suoi commenti.<br />
per finire, se non era troppo stanca, Madame Estoppet contava di fare un salto<br />
a Yverdon: aveva notato che c’erano dei lavori alla stazione e voleva controllare<br />
che tutto funzionava per il meglio. Madame Estoppet diceva che sarebbe rientrata<br />
tardi a <strong>casa</strong>. Avrebbe mangiato qualcosina nel vagone ristorante. Se il<br />
menu che aveva proposto era stato adattato, naturalmente.<br />
Vagamente rintontita da quello che avevo sentito, sono scesa dal treno<br />
nascondendomi. Non avevo nessuna intenzione di farmi catturare da Madame<br />
Estoppet. poi non ci ho più pensato. Mi è di nuovo uscita dalla testa. Ma non<br />
è così facile disfarsi di una Madame Estoppet. È ritornata nella mia vita in<br />
diverse altre occasioni. E sempre durante i miei viaggi in treno: per esempio,<br />
Madame Estoppet era a un binario della stazione di berna. Nel pieno di una<br />
conversazione con un uomo che faceva sì con il mento. Quell’uomo aveva<br />
tutta l’aria di non riuscire a piazzare una sillaba. Ero in compagnia di un amico.<br />
Anche lui ha subito reagito, indicandomela e prendendomi istintivamente per<br />
un braccio. Ero veramente stupita di scoprire che anche lui conosceva<br />
Madame Estoppet. Ma non era per lei: l’uomo con cui parlava era il direttore<br />
generale delle ffS.<br />
Madame Estoppet, sul binario, proseguiva con le sue spiegazioni. Il direttore<br />
delle ffS sembrava annoiato. Muoveva gli occhi in cerca di un orologio.<br />
per finire si è gettato nella folla, non prima di farsi infilare un bigliettino nella<br />
mano da Madame Estoppet. penso che era il suo indirizzo.<br />
Un’altra volta, stavo per salire sul treno alla stazione di bienne. L’ho vista, anche<br />
se i miei vicini hanno rifiutato di credermi, ho VISTO Madame Estoppet stringere<br />
la mano del macchinista che ne usciva e infilarsi lei stessa e da sola nella locomotiva.<br />
È quello che ho visto con i miei occhi. Non ho più osato salire su quel<br />
treno. Evidentemente, l’indomani, ho cercato sui giornali: nessuna menzione di<br />
un incidente ferroviario.<br />
— 09 —
Madame Estoppet si è manifestata ancora in molte altre occasioni. Oso a<br />
malapena scriverne: una di queste occasioni dura ancora. perché ovviamente<br />
è la voce di Madame Estoppet, quella che si sente nelle stazioni. Ad ogni<br />
annuncio, mi dico sempre che questa Madame Estoppet ci dirige.<br />
© 2012 by Noëlle Revaz, traduzione dal francese di Sebastiano Marvin<br />
Noëlle Revaz, nata nel 1968 a Vernayaz, Vallese. per il suo primo romanzo<br />
«Rapport aux bêtes», nel 2002 è stata insignita, tra gli altri riconoscimenti, di un<br />
premio della fondazione Schiller e del premio Marguerite Audoux. Noëlle Revaz<br />
vive a bienne.<br />
— 10 —
807 stazioni sono il punto di partenza di un <strong>viaggio</strong> – breve o lungo che sia<br />
Zurigo HB<br />
Berna<br />
Winterthur<br />
Lucerna<br />
Basilea <strong>FFS</strong><br />
Ginevra<br />
San Gallo<br />
Losanna<br />
Zugo<br />
0 50 000 100 000 150 000 200 000 250 000 300 000 350 000<br />
Numero medio giornaliero di utenti ferroviari nelle stazioni RailCity<br />
Ogni giorno 977 000 persone viaggiano con le ffS<br />
1000<br />
800<br />
600<br />
400<br />
200<br />
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
Numero medio giornaliero di passeggeri in migliaia<br />
— 11 —
GUARDAVAMO<br />
I fASCI DI bINARI<br />
ROLf HERMANN<br />
I primi undici anni della mia vita li ho trascorsi in un appartamento mansardato,<br />
in prossimità dei binari, a duecento metri di distanza da quella che era la stazione<br />
di Leuk. L’appartamento era della zia di mia madre, il cui figlio gestiva la<br />
segheria che faceva parte della <strong>casa</strong>. La zia si chiamava Agnes, il figlio Armin.<br />
Agnes, la quale aveva dei problemi alle anche, viveva al primo piano, Armin e<br />
sua moglie Margrith al secondo, mentre noi, ossia io e i miei genitori, abitavamo<br />
al terzo. Il nostro appartamento era composto di tre piccole stanze con il soffitto<br />
obliquo e di una minuscola cucina nella quale si riusciva a stare in piedi solamente<br />
davanti ai fornelli. Dalla parte della <strong>casa</strong> che era rivolta a nord si trovava<br />
un balcone di circa tre metri quadrati dal quale si potevano vedere i treni diretti<br />
e quelli regionali che a quel tempo sopraggiungevano frenando o ripartivano<br />
ogni ora. Ricordo ancora di <strong>come</strong> spesso mia madre e io dal balcone agitassimo<br />
le mani in segno di saluto. A volte alcuni passeggeri ricambiavano il saluto<br />
agitando la mano con un sorriso. Succedeva anche che tutto solo facessi<br />
boccacce dal balcone, e se un passeggero mi guardava sbalordito io gioivo<br />
interiormente.<br />
Sei volte al giorno passava davanti a <strong>casa</strong> con un boato un pesante treno<br />
merci. Quando passava l’ultimo della giornata io di solito mi trovavo già a letto.<br />
Sentivo dapprima un quieto sibilo che cresceva d’intensità, poi uno strepito e<br />
un fragore che si trasformavano in un tuono e facevano perfino tremare leggermente<br />
la <strong>casa</strong>. In inverno, quando i cavi della corrente erano ricoperti di ghiaccio,<br />
il riflesso di scintille azzurrinogiallognole sibilava attraverso la mia stanza e<br />
ciò mi gettava in uno stato di eccitazione. Se fosse stato per me ogni sera Leuk<br />
sarebbe sprofondato nell’inverno più freddo e i treni merci sarebbero passati<br />
sfrecciando senza sosta fino alle prime ore del mattino.<br />
— 13 —
Al contrario di me e di mia madre, che uscivamo in balcone quasi ogni giorno,<br />
gli altri inquilini della <strong>casa</strong> non sembravano farne un grande uso. La loro vita si<br />
svolgeva esclusivamente nella parte anteriore della <strong>casa</strong>. Era lì che la legna<br />
veniva consegnata, immagazzinata, tagliata e portata via. Era il luogo in cui si<br />
ricevevano i clienti e li si accompagnava in segheria, lì si stipulavano contratti e<br />
si redigevano fatture. Contrariamente alla regolarità del traffico dei treni, ai miei<br />
occhi quel mondo indaffarato aveva un che di caotico e in parte anche di<br />
minaccioso. probabilmente dipendeva anche dal fatto che Armin, il cugino di<br />
mia madre, era spesso di malumore. In modo brusco riprendeva di continuo i<br />
suoi cinque operai, accusandoli di inettitudine e minacciando di licenziarli in<br />
tronco al prossimo errore. Sfogava la sua ira anche su Margrith, che si occupava<br />
del lavoro d’ufficio, e lo faceva insultandola in modo terribile. Ma dal<br />
momento che Margrith era testarda quanto lui, la maggior parte delle volte<br />
quegli scontri portavano a una serie di urla assordanti, che solo la prozia Agnes<br />
era in grado di riportare sotto controllo. Agnes afferrava i due litiganti per l’avambraccio<br />
davanti alle risate degli operai. Zoppicando e insultandoli li spintonava<br />
fino a farli rientrare in <strong>casa</strong>. Giunta là sbatteva la porta e gliene diceva di<br />
tutti i colori nella tromba delle scale. «È possibile che non siete capaci di comportarvi<br />
<strong>come</strong> si deve, pretendo troppo? Tuo padre si rivolterebbe nella tomba<br />
se fosse costretto a vedere <strong>come</strong> ti comporti nella sua segheria. Sei una vergogna!<br />
Una vergogna per me e per tutta la famiglia!»<br />
Quando avevo cinque anni nacque Damian, tre anni più tardi seguì felix e tre<br />
anni più tardi ancora – ormai l’appartamento sembrava in procinto di scoppiare<br />
– i miei genitori cominciarono a cercarsi una nuova <strong>casa</strong>. per loro era<br />
stato chiaro sin dall’inizio che l’appartamento mansardato doveva essere solamente<br />
un alloggio provvisorio. Anche la filiale per le installazioni elettriche che<br />
mio padre aveva creato su mandato di un imprenditore del basso Vallese, era<br />
cresciuta costantemente e ora erano necessari nuovi spazi. Inoltre nel frattempo<br />
i miei genitori avevano messo da parte abbastanza soldi. Comprarono<br />
un terreno in paese e cominciarono a costruire. Trascorrevano praticamente<br />
ogni attimo libero sul cantiere con me e i miei fratelli. Mio padre posava tubi e<br />
condotte, innalzava muri, si occupava delle gessature, tinteggiava, rivestiva il<br />
tetto. Mia madre lo aiutava <strong>come</strong> poteva, e intanto si prendeva cura di noi. Il<br />
— 14 —
sabato cucinava per tutti quelli che li aiutavano a portare avanti i lavori durante<br />
la fine della settimana: i due nonni, i cinque zii, i sette cugini. Erano tutti degli<br />
ottimi artigiani e portarono a termine i lavori a tempo di record. I lavori procedevano<br />
tanto in fretta che quasi facemmo in tempo a festeggiare la mia cresima<br />
nella <strong>casa</strong> nuova. Ma fu così che quell’occasione – la quale al pari di ogni altra<br />
festa religiosa era soprattutto una festa di famiglia – si trasformò anche nella<br />
festa d’addio dell’appartamento in mansarda alla stazione di Leuk.<br />
Era una meravigliosa domenica di fine marzo. Alle nove e trenta i parenti si<br />
riunirono davanti alla segheria. facevano parte della compagnia anche Agnes,<br />
Armin e Margrith, quel giorno di buonumore. Ci incamminammo tutti insieme<br />
per la strada in salita, passando dapprima davanti alla scuola elementare, poi<br />
davanti all’entrata da poco asfaltata della nuova <strong>casa</strong>, interamente circondata<br />
da piccole piante di tuia. La chiesa era piena zeppa. presi posto in terza fila<br />
insieme al mio padrino di cresima, ossia il nonno Oskar, padre di mia madre.<br />
Non avevo fatto fatica nella scelta del padrino. I modi tranquilli e bonari del<br />
nonno mi avevano sempre impressionato, così <strong>come</strong> la sua esuberanza nel<br />
gioco delle carte, che ho avuto la fortuna di imparare da lui. Quando giocava,<br />
la sua mitezza cedeva il posto a una rumorosa vivacità. A quel punto era<br />
capace di sbattere le carte sul tavolo con una strizzatina d’occhi, ridere emettendo<br />
gorgoglii e, con un gesto teatrale, mettere le carte vinte accanto a quelle<br />
di cui si era già impossessato. Ogni volta che mi era possibile giocavo di fianco<br />
a lui – e con lui non ho mai perso una sola partita.<br />
Il coro della chiesa cantò il «Kyrie», il «Gloria» e ancora un «Agnus». Tra un canto<br />
e l’altro il vescovo piazzò un paio di domande, cui nonno e io rispondemmo<br />
entrambi con un «sì». poi tornammo ai nostri posti – le sue mani ancora sulle<br />
mie spalle. Davanti alla chiesa il fotografo del paese scattò una foto di tutti i<br />
cresimandi e dei loro padrini. poi riprendemmo la via del ritorno, in direzione<br />
della <strong>casa</strong> lungo i binari. per me è ancora oggi un mistero <strong>come</strong> mio padre e<br />
mia madre riuscissero ogni volta a ospitare tutti e quanti i parenti nel piccolo<br />
appartamento sottotetto. Dovevano essere in tutto più di trenta persone. In fin<br />
dei conti, fino al momento del nostro trasloco, in quell’appartamento avevano<br />
avuto luogo ben tre battesimi, tre prime comunioni e, appunto, quella cresima.<br />
E ogni volta, aiutata da tutte e quattro le sue sorelle, mia madre aveva cucinato,<br />
— 15 —
apparecchiato, sparecchiato e rassettato per tutti. Il menu era composto da<br />
quattro portate sempre uguali: c’era dapprima un brodo; un piatto di carne<br />
secca, prosciutto e insalata; una cotoletta alla panna con funghi, tagliatelle e<br />
patatine fritte; una fetta di Gugelhopf con un denso strato di salsa di lamponi.<br />
Ad accompagnare il tutto vino e grappa, ma anche tè nero e acqua minerale.<br />
Nelle prime ore della sera, mentre le donne erano indaffarate a rassettare e<br />
gli uomini si erano radunati davanti al televisore o per fare una partita a carte, io<br />
uscii probabilmente per l’ultima volta in balcone con mio padre e il nonno<br />
Oskar, che volevano fumarsi una sigaretta. Eravamo in piedi davanti alla ringhiera<br />
e guardavamo giù verso i fasci di binari. All’improvviso si sentì una vibrazione,<br />
poi uno stridìo. poi, proveniente da ovest, un treno merci fece il proprio<br />
ingresso nel nostro campo visivo. Si trattava di un trasporto di barre di alluminio<br />
provenienti dalla fabbrica per la quale il nonno lavorava da quarant’anni.<br />
Cominciammo a contare i vagoni, ognuno per conto proprio. … 32, 33, 34.<br />
«34 vagoni», disse il nonno. Mio padre e io annuimmo. Con lo sguardo ancora<br />
incollato alle luci posteriori dell’ultimo vagone, che in quel momento scomparivano<br />
dietro al pendio di una montagna, compiendo un’ampia curva a sinistra,<br />
il nonno aggiunse: «È strano però. Questo treno trasporta del metallo che ho<br />
fuso e colato anch’io. Da qui va in Italia, e dall’Italia alla volta del mondo intero.<br />
E io non sono mai stato più in là di Einsiedeln».<br />
Dopo qualche tempo il nonno indietreggiò di un passo dalla ringhiera.<br />
Taceva. Mio padre taceva anche lui.<br />
«Tutto a posto?», chiesi.<br />
«Certo», rispose il nonno. Mi guardò. «E ora, ragazzo mio, ora noi rientriamo<br />
e gli facciamo vedere <strong>come</strong> si gioca a carte».<br />
© 2012 by Rolf Hermann, traduzione dal tedesco di Simona Sala<br />
Rolf Hermann, nato nel 1973 a LeukSusten, Vallese. Scrive poesia, prosa,<br />
drammi radiofonici e testi per il teatro e vive a bienne. È stato premiato tra l’altro<br />
con il Tübinger Stadtschreiberstipendium per la poesia, la borsa di studio istituita<br />
dalla città universitaria di Tubinga.<br />
— 16 —
I passeggeri si spostano con maggiore frequenza nelle ore del mattino e della sera<br />
Lunga percorrenza Traffico regionale<br />
15%<br />
10%<br />
5%<br />
percentuali del volume orario del traffico viaggiatori relativo ai treni nella stazione centrale di Zurigo<br />
I clienti fedeli delle ffS fanno un uso sempre maggiore di AG e metàprezzo<br />
2500<br />
2000<br />
1500<br />
1000<br />
500<br />
5 7 9 11 13 15 17 19 21 23<br />
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
Numero di abbonamenti generali in migliaia Numero di abbonamenti metàprezzo in migliaia<br />
15%<br />
10%<br />
5%<br />
— 17 —<br />
5 7 9 11 13 15 17 19 21 23
AVERNA<br />
MONICA CANTIENI<br />
Il lungo bancone del bar alla stazione centrale di Zurigo si trova <strong>come</strong><br />
sospeso sopra la scala mobile che porta al piano inferiore; là dove la gente si<br />
incolonna quasi stesse civilmente andando all’inferno, <strong>come</strong> se stesse in fila<br />
perché là sotto oltre a un caldo appiccicoso venisse elargito gratuitamente<br />
anche qualcos’altro. Anch’io andrò presto all’inferno, ma ho deciso di prendere<br />
un’altra strada, cioè, è il mio medico ad avermela profetizzata.<br />
Dice che piano piano il cervello produrrà delle rappresentazioni e dei<br />
modelli di comportamento che né io né chiunque intorno a me avrebbe mai<br />
ritenuto possibili. Il mondo sarà un altro, io sarò un’altra. Quello che sta crescendo<br />
là, dice, presto mi toglierà ogni cosa, alla fine anche il respiro.<br />
Dopo il colloquio mi recai alla stazione. Senza fretta. Mi sedetti al bar,<br />
abbassai lo sguardo verso la scala mobile e pensai per un attimo se prendere<br />
un Averna. Ordinai dell’acqua.<br />
Non ricordo perché quell’uomo colpì la mia attenzione. forse unicamente<br />
perché aveva preso posto molto vicino a me. Avvicinai di un poco la mia borsetta,<br />
lui girava distratto il cucchiaino nel suo caffè.<br />
È incredibile per quanto tempo si possa girare il cucchiaio in un caffè senza<br />
prenderne nemmeno un sorso. È altrettanto incredibile il rumore che ne risulta<br />
quando ci si trova seduti accanto. Come se il cucchiaio macinasse lo smalto<br />
della tazza e prima o poi anche la sua materia granulosa. Come se quel continuo<br />
grattare si liberasse dall’interno della tazza compiendo dei cerchi che a un<br />
certo punto ne uscivano per estendersi a tutto il locale, diventando lentamente<br />
più grandi e più ampi e sciabordando fino alle pareti, <strong>come</strong> se si guardasse il<br />
locale attraverso il vetro di un bicchiere, e dall’altra parte quell’uomo si chinasse<br />
verso di me. Era evidente: voleva qualcosa da me. Io non lo capivo, mi afferrò<br />
— 19 —
per una manica, mi guardò pieno di aspettativa mentre io cercavo di liberarmi<br />
dalla sua presa.<br />
– Mi lasci. Cosa vuole?<br />
– Lo zucchero.<br />
– Cosa?<br />
– potrei avere lo zucchero, per favore?<br />
Spinsi lo zucchero verso di lui e strizzai gli occhi. I miei occhiali sembravano<br />
appannati. Da quando mi trovavo seduta lì avevo l’impressione di respirare con<br />
un immenso peso sul petto. pulii gli occhiali.<br />
L’uomo aveva avvicinato ancor più a sé lo zucchero, ma invece di prenderne,<br />
si era rimesso a guardare fuori dalla finestra, mentre girava il cucchiaino<br />
nel suo caffè.<br />
Osservavo quel movimento con la coda dell’occhio, guardavo la mano che<br />
lo compiva, il modo in cui cambiava direzione, ancora e ancora. Avevo <strong>come</strong><br />
l’impressione che gli annunci vocali, così <strong>come</strong> il rollìo delle valige, la stazione<br />
con i suoi piccioni svolazzanti, il sole che entrava obliquo, la luce chiara e tutti<br />
i fruscii, ogni rumore, si mescolasserro nel vortice della schiuma del caffè, e io<br />
ero tentata di allungare il dito verso l’epicentro di quella corona schiumosa che<br />
lentamente crollava, per assaporarla <strong>come</strong> qualcosa di dolce, di tanto dolce da<br />
far male ai denti.<br />
– Lei è proprio un bel tipo. È buono?<br />
L’uomo mi squadrava.<br />
– Tolga le dita dal mio caffè.<br />
– Come prego?<br />
– Il suo dito era nel mio caffè. per la seconda volta. Non è uno di quegli<br />
scherzi con la telecamera nascosta, vero?<br />
Si guardò in giro, e quando il suo sguardo tornò su di me non riuscii a capire<br />
se era irritato o divertito. La mia mano destra poggiava sul mio grembo, la guardai<br />
furtiva, l’indice era sporco.<br />
– polvere di cacao. Le piace il cappuccino?<br />
Spinse la tazza verso di me.<br />
– può prenderlo, io non ne ho più voglia.<br />
– Di sicuro sarà già freddo.<br />
Lui rise.<br />
– Non è possibile. Ora ne vuole addirittura uno fresco?<br />
— 20 —
Indossava una camicia bianca, dei pantaloni scuri, i capelli erano tagliati di<br />
fresco, era rasato perfettamente e mi guardava dritto negli occhi. Occhi di un<br />
colore indefinito. parve riflettere per un attimo, scrollò il capo, si alzò e quando<br />
tornò indietro mi mise davanti un cappuccino fumante. A me il cappuccino non<br />
piace.<br />
– Credo che lei sia a posto.<br />
– Mi fa piacere sentirlo.<br />
Mi allungò un tovagliolo nel quale sfregai le dita.<br />
– Mi dispiace. Mi dispiace davvero. È in attesa dei treni che vengono dal<br />
sud?<br />
– Come fa a saperlo?<br />
– perché guarda sempre in quella direzione, i treni dal sud arrivano tutti<br />
da là.<br />
– Aspetto la mia ragazza.<br />
– Aspetta già da un po’.<br />
– Ne vale la pena.<br />
– È bella?<br />
– Meravigliosa. E lei? È in partenza?<br />
– Sì, il mio medico dice che farò un <strong>viaggio</strong>.<br />
– Una soggiorno di cura?<br />
– Sì, lo spero.<br />
– E dove andrà?<br />
– Se solo lo sapessi. Ma dovrebbe trattarsi di un luogo in cui valga la pena<br />
andare.<br />
– Ma lei non sta bevendo il suo cappuccino.<br />
– Non mi piace il cappuccino. Il caffè non mi piace proprio.<br />
– beh, lei comincia a divertirmi.<br />
Guardai le mie mani, tremavano. Lui taceva, e quando sollevai il capo chiese:<br />
– Cosa vorrebbe bere allora?<br />
– Un Averna. Un Averna, per favore.<br />
© 2012 by Monica Cantieni, traduzione dal tedesco di Simona Sala<br />
Monica Cantieni, nata nel 1965 a Thalwil, Zurigo. Lavora nel reparto Multimedia<br />
e cultura della radiotelevisione svizzera SRf e vive a Wettingen e a Vienna.<br />
Nel 2011 il suo romanzo «Grünschnabel» è stato candidato al premio letterario<br />
svizzero.<br />
— 21 —
In un normale giorno lavorativo le ffS trasportano<br />
circa 195 000 tonnellate di merci<br />
70<br />
60<br />
50<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
Volume annuo del traffico merci delle ffS in milioni di tonnellate nette<br />
Nel 2011 31,1 milioni di tonnellate di merci hanno valicato le Alpi<br />
sull’infrastruttura delle ffS<br />
35<br />
30<br />
25<br />
20<br />
15<br />
10<br />
5<br />
1992 93 94 95 96 97 98 99 00 01 02 03 04 05 06 07 08 09 10 2011<br />
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
Volume annuo del traffico merci su rotaia in milioni di tonnellate nette San Gottardo Sempione<br />
— 22 —
La rete ferroviaria delle ffS vanta la maggiore densità di traffico: in un normale<br />
giorno lavorativo su una rete di 3040 km di lunghezza transitano 9839 treni<br />
<strong>FFS</strong> (CH)<br />
ProRail (NL)<br />
JR (JP)<br />
DB (DE)<br />
ÖBB (AT) (A<br />
SNCB (BE)<br />
FS (IT)<br />
SZDC (CZ)<br />
RFF (FR)<br />
ADIF (ES)<br />
JBV (NO)<br />
0 50 100<br />
Numero medio giornaliero di treni per tratta in base alla statistica internazionale 2010<br />
dell’Unione internazionale delle ferrovie (UIC) Treni viaggiatori Treni merci<br />
Le ffS viaggiano all’insegna della puntualità<br />
Traffico viaggiatori Traffico merci<br />
100%<br />
0%<br />
2007 2008 2009 2010 2011<br />
Coincidenze garantite puntualità dei clienti puntualità traffico interno puntualità traffico di transito<br />
100%<br />
0%<br />
— 23 —<br />
2007 2008 2009 2010 2011
LA CHANSON DE ROLAND<br />
pETER STAMM<br />
Quando lasciai il bar, la nebbia era così fitta che pareva inghiottire qualsiasi<br />
rumore. Intorno ai lampioni stradali si erano creati degli aloni color arancio, tra<br />
l’uno e l’altro l’oscurità era impenetrabile. Avevo bevuto qualche bicchiere di<br />
vino di troppo dimenticandomi del tempo che passava. Credevo di ricordare la<br />
strada che portava alla stazione e mi misi a correre. All’improvviso mi ritrovai<br />
sulla riva del lago e dovetti tornare indietro. La stazione si trovava un poco<br />
discosta dal paese e quando finalmente la raggiunsi, l’ultimo treno partiva in<br />
quel momento. Non si vedeva anima viva. Sull’orario lessi che il treno successivo<br />
sarebbe partito solamente cinque ore più tardi. Mi sedetti su una panchina<br />
per riprendere fiato. Rimasi seduto per qualche tempo senza riuscire a prendere<br />
alcuna decisione. Infine feci un giro intorno all’edificio della stazione, ma<br />
non c’era una sala d’aspetto e anche i bagni erano sbarrati. In quella che un<br />
tempo era stata la sala della biglietteria si trovavano un distributore automatico<br />
di caffè e uno di dolciumi, in un locale laterale c’era un salone da parrucchiere.<br />
Sulla porta di vetro era appeso un cartello scritto a mano: «Salone Astrid –<br />
Apertura imminente». A quel punto i lampioni stradali si spensero e io mi ritrovai<br />
nell’oscurità più totale. L’unico spiraglio di luce proveniva dall’edificio. Sulle<br />
prime credetti che venisse dai distributori automatici, ma osservando più attentamente,<br />
mi accorsi che proveniva dallo stipite della porta del salone. Senza<br />
pensarci troppo bussai al vetro. Dal momento che non successe nulla, mi feci<br />
strada tastando le pareti dell’edificio e cominciai a tempestare di pugni le tapparelle<br />
della finestra. feci un tale baccano che per poco non sentii quella<br />
debole voce: «Non fare tutto questo casino», bisbigliò una donna. «Ma lo sai<br />
che ore sono?» Non sembrava una voce adirata, anzi, ebbi quasi l’impressione<br />
di sentire una risata trattenuta a stento. «Vieni alla porta!» Non vidi chi mi fece<br />
entrare, sentii solamente la porta che si chiudeva alle mie spalle e una mano<br />
— 25 —
che afferrava la mia. fui condotto attraverso il locale buio della biglietteria fin<br />
dentro al salone, dove c’erano un paio di candele accese. In quella luce calda<br />
vidi due poltrone da barbiere, dei grandi specchi e uno scaffale pieno di bottiglie<br />
e bottigliette. La parete in fondo era rivestita da una fotografia gigantesca<br />
su cui si vedeva una spiaggia di palme. Sul pavimento giaceva un materasso<br />
stretto di gommapiuma. Le tapparelle erano abbassate e faceva molto caldo.<br />
«Ma lo sai che ore sono?», chiese ancora una volta la giovane donna e sorridendo<br />
scosse la testa. Era più alta di me e molto magra, i capelli lunghi le<br />
arrivavano fino al fondoschiena. Indossava solamente una camicia da notte<br />
leggera e un paio di calze fatte a maglia. Le raccontai che avevo perso l’ultimo<br />
treno. «Ah, è così», disse lei. La sua voce assunse un tono pratico. «E adesso<br />
vorresti passare la notte qui da me?» Non sapevo bene cosa rispondere, in<br />
fondo non avevo nemmeno preso in considerazione il fatto che qualcuno<br />
potesse aprirmi. «fuori fa freddo», mi limitai a dire, e mi guardai intorno. «Sei tu<br />
Astrid?» A quel punto la giovane donna sorrise di nuovo e annuì. «E tu <strong>come</strong> ti<br />
chiami?». «Roland», dissi io e mi tolsi la giacca. Lei abbassò brevemente lo<br />
sguardo sul materasso e disse: «È un po’ stretto per noi due. Ma se vuoi puoi<br />
dormire su una delle poltrone». prese una bottiglia dallo scaffale. Avevo immaginato<br />
che contenessero shampoo e prodotti per la cura dei capelli, ma quando<br />
mi avvicinai vidi che c’erano diverse bottiglie di grappa e di liquore. Astrid versò<br />
del cognac in due bicchieri e me ne allungò uno. brindò alla mia salute e indicò<br />
una delle poltrone. Quando mi fui seduto mi girò verso lo specchio e premette<br />
un paio di volte il pedale, finché i miei piedi non arrivarono più a toccare il pavimento.<br />
«Vuoi leggere qualcosa?», mi chiese e mi passò un giornale prendendolo<br />
da una pila davanti allo specchio. Tagliare i capelli in modo facile. Lo sfogliai<br />
e mi divertii a guardare la messa in piega di Dieter bohlen e il vokuhila di<br />
Kim Wilde, i tagli da mohicano e le acconciature da popper. Il giornale doveva<br />
risalire agli anni Ottanta. «Scegline una», disse Astrid ridendo e si sedette<br />
sull’altra poltrona sorseggiando il suo cognac.<br />
Cominciò a farmi un sacco di domande, voleva sapere cosa facessi di<br />
lavoro e perché mi trovassi lì. Ogni volta che il mio bicchiere si svuotava, lei si<br />
alzava e lo riempiva di nuovo, sebbene io mi opponessi. Ero sempre più<br />
sbronzo, parlare mi riusciva sempre più difficile e il mio volto riflesso nello specchio<br />
mi appariva <strong>come</strong> quello di qualcun altro. In qualche modo eravamo arri<br />
— 26 —
vati a parlare del mio nome. Astrid citò la Chanson de Roland, un’epopea<br />
eroica dell’antica francia, e mi chiese se mi ero portato appresso il mio olifante.<br />
Le rivolsi uno sguardo interrogativo. «È il corno con cui Roland chiama i soccorsi<br />
durante la battaglia contro gli infedeli», mi spiegò. Scossi il capo. «Allora<br />
sono tranquilla», rispose. Si era messa dietro alla mia poltrona e nello specchio<br />
vidi <strong>come</strong> mi guardava ammiccando. «Sei una strana parrucchiera», le dissi.<br />
Alzò le sopracciglia con fare interrogativo e io continuai: «Le parrucchiere di<br />
solito non si chiamano Astrid». Sbottò in una risata e cominciò a massaggiarmi<br />
dapprima le spalle e poi la testa. Chiusi gli occhi. «Rilassati» disse, e cominciò<br />
a raccontarmi la sua storia.<br />
Astrid veniva dalla Germania del Nord. Da un paio di mesi studiava romanistica<br />
a Costanza. per settimane aveva cercato un alloggio, ma invano, fino a<br />
quando non aveva letto l’annuncio del salone da parrucchiera all’interno della<br />
stazione. L’affitto non era alto e con il suo scooter in un quarto d’ora raggiungeva<br />
l’università. «Il problema è che qui non si può abitare», disse. Si era spacciata<br />
per parrucchiera e aveva appeso il cartello alla porta, ma la gente del<br />
paese cominciava ad insospettirsi. «Ho fatto amicizia con un paio di uomini di<br />
qui», disse. «Ma questo non mi ha aiutato più di quel tanto, anzi». La sua risata<br />
aveva un timbro profondo e qualcosa di teatrale. «beh, a questo punto non ti<br />
resta che imparare a tagliare i capelli», replicai io, «non dev’essere poi tanto<br />
difficile».<br />
In quel momento la mia poltrona ebbe uno scatto all’indietro, e prima di<br />
riuscire a capire cosa stesse succcedendo, sentii il bordo freddo del lavandino<br />
contro la nuca e subito dopo dell’acqua calda che mi scorreva tra i capelli. Aprii<br />
gli occhi. La stanza sembrava girare in tondo. Cercai di sollevarmi, ma Astrid<br />
premette dolcemente le mie spalle tenendomi fermo. «È quello che ho intenzione<br />
di fare», disse. «L’acqua non è troppo calda?» Mi fece uno shampoo e io<br />
richiusi gli occhi.<br />
Ricordo solo vagamente quanto successe in seguito. passai la maggior<br />
parte del tempo sonnecchiando, e quando per un attimo tornavo in me, sentivo<br />
lo sforbicìo o il ronzìo monotono del rasoio elettrico. A volte sentivo lo<br />
sfioramento fugace del suo corpo. Astrid parlava piano, <strong>come</strong> se parlasse a se<br />
stessa. Raccontava delle avventure eroiche di Roland, delle battaglie che<br />
aveva vinto e di <strong>come</strong> era stato tradito, di <strong>come</strong> era caduto in un agguato<br />
— 27 —
ed era infine morto sotto una pioggia di frecce per poi essere condotto in<br />
paradiso.<br />
Mi risvegliai nell’oscurità totale. La schiena e la testa mi facevano male e<br />
avevo il capogiro per l’alcol. Muovendomi a tentoni per la stanza raggiunsi la<br />
finestra e sollevai un poco la tapparella. fuori c’era ancora una fitta nebbia, una<br />
luce lattiginosa penetrava nella stanza. Astrid era sdraiata sul materasso e<br />
sembrava dormire profondamente. Aperto accanto a lei giaceva il manuale con<br />
le acconciature. Una fotografia raffigurava un giovane uomo con un taglio di<br />
capelli militare. Sotto c’era scritto: «Nel caso dei capelli a spazzola non ci sono<br />
limiti alla creatività. I principianti possono già raggiungere dei buoni risultati con<br />
delle forbici per modellare».<br />
Tutt’intorno alla poltrona erano sparsi folti ciuffi di capelli. Ci misi un attimo a<br />
capire quello che era successo. Incredulo tastai i miei capelli, o almeno ciò che<br />
ne era rimasto. Non osai guardarmi allo specchio. presi un caffè e una barretta<br />
di cioccolato nella sala della biglietteria, ma non trovai il coraggio di uscire all’aperto<br />
con la mia nuova acconciatura e così ritornai nel salone. Dalla finestra vidi<br />
Dieter bohlen in piedi sul marciapiede. Uno dopo l’altro arrivavano degli uomini,<br />
alcuni portavano berretti di lana, altri avevano esattamente quelle acconciature<br />
che avevo visto la sera prima sul manuale, un taglio alla mohicana, un taglio<br />
lungo scalato con frangia, vokuhila, caschetti e ciuffi. Astrid sembrava non<br />
avere tralasciato nemmeno il capitolo Tingere <strong>come</strong> i professionisti. Un uomo<br />
portava una grossa fasciatura sopra un orecchio. «Quello è un coupe Hardy»,<br />
disse Astrid. Non l’avevo sentita arrivare alle mie spalle. «Lo si fa con il coltello.»<br />
Mi passò la mano tra i capelli e mi venne vicinissima. Attraverso la camicia<br />
da notte sottile sentivo il suo corpo ancora caldo di sonno. E all’improvviso non<br />
m’importò più nulla dell’aspetto che avevo, poiché avevo <strong>come</strong> l’impressione<br />
che lei fosse l’angelo della Chanson de Roland, quello che accompagna in<br />
paradiso l’eroe caduto.<br />
© 2012 by peter Stamm, traduzione dal tedesco di Simona Sala<br />
peter Stamm, nato nel 1963 a Scherzingen, Turgovia. Scrive prosa, drammi<br />
radiofonici e pièce teatrali. Nel 2011 il suo volume di racconti «Seerücken» è<br />
stato candidato al premio della fiera del libro di Lipsia e al premio letterario<br />
svizzero. peter Stamm vive a Winterthur.<br />
— 28 —
I clienti delle ffS viaggiano sicuri<br />
100<br />
Numero di incidenti ferroviari dal punto di vista del gestore dell’infrastruttura<br />
Incidenti di persone o di terzi nell’accesso alla ferrovia Collisioni Deragliamenti<br />
Le ffS rispettano l’ambiente<br />
Consumo energetico protezione contro i rumori<br />
4 l<br />
3 l<br />
2 l<br />
1 l<br />
80<br />
60<br />
40<br />
20<br />
2007 2008 2009 2010<br />
2011<br />
2007 2008 2009 2010 2011<br />
4000<br />
3000<br />
2000<br />
1000<br />
Litri (l) equivalente benzina ogni 100 viaggiatorichilometro<br />
Litri (l) equivalente diesel ogni 100 tonnellatechilometro nette<br />
Gigawattora per la circolazione dei treni<br />
100%<br />
75%<br />
50%<br />
25%<br />
— 29 —<br />
2007 2008 2009 2010 2011<br />
400<br />
300<br />
200<br />
100<br />
Quota (in %) di carrozze viaggiatori silenziose di cui<br />
dispongono le ffS<br />
Quota (in %) di carri merci silenziosi di cui dispongono le ffS<br />
Lunghezza delle pareti antirumore in km
IL TRENO DEI DESIDERI<br />
ANDREA fAZIOLI<br />
Il vento girava intorno alla stazione, spingendo la neve sul piazzale, lungo i<br />
binari, addosso ai vetri della sala d’attesa. La città di bellinzona era deserta.<br />
Soltanto un taxi, faticosamente, risalì il viale e si accostò al marciapiede. Ne<br />
scese un uomo avvolto in un cappotto scuro, con un cappello nero a tesa larga<br />
e un paio di guanti bianchi. In una mano aveva una valigetta di metallo, di quelle<br />
che si chiudono formando una combinazione di cifre.<br />
L’uomo si allontanò dal taxi e si avviò verso la sala d’attesa, curvando la<br />
schiena contro la furia del vento. Entrò in fretta e si chiuse la porta alle spalle.<br />
Senza togliersi il cappello, andò a sedersi in un angolo.<br />
Nella sala c’erano i viaggiatori in attesa del treno delle nove e sei minuti per<br />
Zürich Hauptbahnhof. Una madre con un ragazzino sui dodici anni, una coppia<br />
di sessantenni, uno studente con uno zaino traboccante di libri. Vicino alla<br />
porta, c’era un uomo di mezza età che trafficava con un ipod. Riuscì a sintonizzarsi<br />
su un canale radiofonico e tutti, nel silenzio, poterono udire la vocina<br />
dell’annunciatore che prometteva altro vento, altra neve. poi partì una canzone<br />
che tutti riconobbero. Cerco un po’ d’Africa in giardino tra l’oleandro e il baobab,<br />
<strong>come</strong> facevo da bambino, ma qui c’è gente, non si può più … stanno<br />
innaffiando le tue rose, non c’è il leone, chissà dov’è … Azzurro, il pomeriggio è<br />
troppo azzurro e lungo per me … fuori la neve era sempre più fitta e ognuno,<br />
pensando al pomeriggio azzurro e lungo, rabbrividì … e allora io quasi quasi<br />
prendo il treno e vengo, vengo da te … ma il treno dei desideri, nei miei pensieri<br />
all’incontrario va …<br />
Mi rendo conto subito che devo prendere quella valigetta.<br />
Naturalmente potrei anche limitarmi a tenerlo d’occhio, ma ho paura che<br />
non basti. È un uomo pericoloso. Appena salito sul treno si è messo in uno<br />
— 31 —
scompartimento di prima classe in fondo al convoglio, in maniera che nessuno<br />
possa sorprenderlo alle spalle. Ora se ne sta lì a guardare fuori dal finestrino,<br />
con la valigetta posata nel sedile di fianco.<br />
Tra bellinzona e biasca non c’è altro che neve. Si vedono a malapena le<br />
case più grandi, pezzi di strada o alberi che sembrano fantasmi. Eppure l’uomo<br />
con il cappello tiene lo sguardo rivolto verso il finestrino. perché? Devo scoprirlo.<br />
provo ad avvicinarmi. In prima classe c’è un silenzio speciale, <strong>come</strong> se<br />
avessero risucchiato i rumori con un aspirapolvere. Non voglio insospettirlo,<br />
perciò mi siedo a pochi metri da lui e anch’io fingo di guardare fuori dal finestrino.<br />
Ho la sensazione che il mio uomo stia aspettando qualcosa … o qualcuno.<br />
Il treno rallenta, si ferma. Do un’occhiata dal finestrino e vedo che siamo a<br />
faido. Salgono alcuni passeggeri, con le guance rosse per il freddo e le giacche<br />
coperte di neve. forse potrei approfittare della confusione per … no, è<br />
meglio aspettare.<br />
Quando il treno riparte, mi accorgo che la visibilità sta migliorando, la neve<br />
cade meno fitta. Dal finestrino scorgo il cantiere di AlpTransit, me lo ricordo<br />
perché qualche mese fa mi hanno portato a visitarlo. Sembra una base marziana<br />
abbandonata, con le impalcature di ferro deserte e le baracche per gli<br />
astronauti.<br />
Tento di avvicinarmi ancora, quando si apre la porta in fondo ed entra il<br />
bigliettaio. Mi rendo conto di non avere un biglietto di prima classe. però potrei<br />
spiegare al bigliettaio quello che c’è in ballo, potrei convincerlo a darmi una<br />
mano. Cerco di attirare la sua attenzione, ma lui si limita a sorridermi e passa<br />
oltre. Va a chiedere il biglietto al mio uomo e a una donna che si è seduta di<br />
fronte a lui.<br />
Strano. Molto strano. E se anche il bigliettaio sapesse qualcosa? forse<br />
l’hanno avvisato di tenere d’occhio la valigetta. O forse non è un vero bigliettaio<br />
ma … A interrompere le mie riflessioni arriva la voce della donna. Sta parlando<br />
al telefono, proprio davanti all’uomo con la valigetta. Ride, dice che è riuscita a<br />
prendere il treno per un soffio. poi cade la linea. La donna dice pronto pronto,<br />
guarda il telefono, scuote la testa.<br />
Il mio uomo le sorride, le dice che è normale. Ci stiamo avvicinando al San<br />
Gottardo. Lei sorride e spegne il telefono. Accavalla le gambe. Soltando ora<br />
— 32 —
noto che ha una gonna corta, nonostante la neve, e un paio di stivali alti. Si<br />
toglie il cappotto e rivela un maglione rosso aderente, che le mette in evidenza<br />
il seno. Lei e il mio uomo si guardano e per un istante, ma solo per un istante,<br />
mi sembra di notare un cenno d’intesa.<br />
Ha smesso di nevicare. Stiamo entrando e uscendo dalle gallerie, il paesaggio<br />
dell’alta valle Leventina sembra tutto nuovo, appena costruito: la neve<br />
in equilibrio sui rami degli abeti, stalattiti di ghiaccio, un manto bianco senza<br />
tracce né di uomini né di animali.<br />
L’uomo e la donna stanno parlando. Tento di capire che cosa dicono, ma<br />
non è facile, le loro teste sono vicine. A un certo punto lui apre la valigetta. Io<br />
balzo in piedi, pronto a scattare. Ma l’uomo si limita a prendere un foglietto.<br />
Scarabocchia qualcosa, poi passa il foglietto alla donna, la quale lo mette nel<br />
portafoglio.<br />
La voce dall’altoparlante annuncia che siamo ad ArthGoldau. Subito la<br />
donna si alza e indossa il cappotto. prima che io riesca a intervenire, è già<br />
scesa dal treno. Accidenti, me la sono lasciata sfuggire! A questo punto, non<br />
posso più esitare: devo mettere le mani su quella valigetta! Ne va della sicurezza<br />
nazionale.<br />
Sto cercando un’idea, quando scorgo il carrello del minibar, con i cibi e le<br />
bevande. Mi abbasso, resto dietro l’inserviente e in questo modo mi avvicino al<br />
mio uomo. Vedo che lui ordina un caffè e, nel momento in cui trae di tasca il<br />
portafoglio per pagare, allungo una mano sul sedile.<br />
Eccola. La valigetta! Senza pensarci, l’afferro e corro verso gli scompartimenti<br />
di seconda classe.<br />
Vittoria! Il mio piano è riuscito e …<br />
«Marco! Marco, che cosa stai facendo?»<br />
Il ragazzino sobbalzò e si girò a guardare sua madre.<br />
«Dove hai preso quella valigetta?»<br />
«È una questione di sicurezza nazionale, mamma. L’uomo con il cappello<br />
ha dato un messaggio in codice alla donna che …»<br />
«Ma cosa stai dicendo?»<br />
In quel momento arrivò l’uomo con il cappotto scuro e, vedendo la sua valigetta,<br />
s’illuminò.<br />
— 33 —
«Ah, eccola! Temevo che me l’avessero rubata …» Si voltò verso la madre<br />
di Marco e sorrise. «Sono un insegnante, sa, e qui dentro ci sono i lavori scritti<br />
dei miei allievi. Se li perdessi sarebbe una catastrofe!»<br />
«Deve scusare mio figlio. Non so che cosa gli abbia preso.»<br />
Marco diede all’uomo un’occhiataccia.<br />
«Ma lei ha dato un messaggio a quella donna, l’ho visto io! provi a negarlo,<br />
se ne ha il coraggio!»<br />
L’uomo con la valigetta arrossì.<br />
«Avanti, cosa c’era nel messaggio, cosa state tramando?»<br />
«Marco, non parlare con quel tono al signore!»<br />
L’uomo era imbarazzato, ma per trarsi d’impaccio disse a Marco che sul<br />
biglietto c’era soltanto il suo numero di telefono.<br />
«Il suo numero? E perché glielo ha dato?» – lo incalzò il ragazzino.<br />
L’uomo con la valigetta, sempre più a disagio, si strinse nelle spalle.<br />
«be’, che dire … io … pensavo che lei …»<br />
«Oh, basta!», intervenne la madre. «Torniamo al nostro posto, Marco! E lei,<br />
signore, scusi tanto per il disturbo.»<br />
«Nessun disturbo», mormorò l’uomo. «Nessun disturbo.»<br />
Guardò fuori dal finestrino. La neve ricopriva le montagne, i tetti delle case,<br />
le automobili, <strong>come</strong> se il mondo fosse appena nato.<br />
© 2012 by Andrea fazioli<br />
Andrea fazioli, nato nel 1978 a bellinzona. Lavora <strong>come</strong> giornalista indipendente<br />
presso la radiotelevisione ticinese e insegna. Il suo poliziesco «La sparizione»<br />
è stato insignito nel 2011 del premio letterario La fenice Europa 2011.<br />
— 34 —
È solo grazie ai collaboratori che le ffS sono in grado di far viaggiare<br />
passeggeri e merci sulla miglior rete di trasporti pubblici del mondo!<br />
40<br />
30<br />
20<br />
10<br />
2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011<br />
Numero di collaboratori in migliaia<br />
Traffico viaggiatori Traffico merci Infrastruttura Immobili, Settori centrali, altro<br />
Società affiliate presenza femminile in %<br />
— 35 —<br />
60%<br />
45%<br />
30%<br />
15%
CALENDARIO DEGLI AMORI<br />
fERROVIARI<br />
AUDE SEIGNE<br />
AUTUNNO<br />
Ci siamo, oggi è finalmente arrivato. L’ho immaginato talmente tante volte, questo<br />
momento, che lo potrei già raccontare fin nei minimi dettagli, discuterne le<br />
reiterazioni e i sentimenti, la loro strana configurazione imperfetta. Ho immaginato<br />
talmente tante volte che saresti partito. Ho immaginato talmente tante<br />
volte che ti avrei raggiunto.<br />
Il lago di Neuchâtel è verde smeraldo, venato di lunghi filamenti beige,<br />
<strong>come</strong> immensi banchi di sabbia oceanici sollevati dai fondi marini. È bello<br />
aspettare questo momento che ho per tanto tempo atteso. perché non aspettavo<br />
il momento di ritrovarti, ma il momento in cui, seduta nel treno, mi sarei<br />
detta: «Lo vedrò presto.»<br />
Dietro di me, quattro americani parlano alzando la voce e chiedono aggressivamente<br />
un po’ di spiccioli agli altri passeggeri. C’è anche un anziano signore<br />
che si spolmona simpaticamente. Vaneggia un po’ e dà buoni consigli ai<br />
ragazzi pronunciando degli «Alles gut» che sembrano far piacere prima di tutto<br />
a se stesso.<br />
Mi domando che faccia farai quando ci vedremo sul binario alla stazione.<br />
Spero che mi amerai lì <strong>come</strong> mi hai amato a Ginevra, con qualche barriera in<br />
meno, e la libertà in più. potremmo amarci in ogni angolo del mondo, cosicché<br />
un giorno potrò scrivere: «Ci siamo amati in ogni angolo del mondo.»<br />
INVERNO<br />
Il treno per basilea, al minuto 14, parte sempre dal binario 4. Ogni volta, arrivo<br />
troppo presto alla stazione. Ogni volta, verifico la stampa del codice QR sul mio<br />
biglietto, anche se so che è impeccabile. bevo un caffè al sole, su uno dei<br />
tavoli di metallo, rotondi, dell’hotel Montbrillant. Ogni volta, arrivo comunque<br />
— 37 —
con 15 minuti d’anticipo al binario, con un sentimento di libertà assoluto e<br />
magnifico nel cuore.<br />
per una strana combinazione salgo spesso sulla carrozza «famiglia». Ho<br />
sempre questo pensiero di cui mi pento: «Vabbè, non è grave, i bambini non<br />
fanno poi così tanto rumore!» I bambini, effettivamente. I loro genitori, invece …<br />
Ogni volta, percepisco i sintomi di un poema saffico ripreso da tutti i grandi<br />
poeti da 2000 anni a questa parte: «Con più tumulto il core urta nel petto: more<br />
la voce, mentre ch’io ti miro». Anche nell’attesa ripetuta cento volte, anche sul<br />
grigio del binario, c’è questa poesia, un po’ vana, non per questo meno reale.<br />
Il treno mi permette di non scegliere il mio stato mentale, di lasciarmi<br />
andare, di essere solo passaggio. Sovvertire Montaigne! passo dentro a dei<br />
paesaggi che potrebbero darmi la voglia solo di camminare al sole, nei campi,<br />
dentro questa stagione, e ogni anno ricominciare. passo dentro a paesaggi<br />
che finisco per abitare. Ho, per le nuvole, degli anni d’ammirazione. Come<br />
grossi mostri pacifici sono sempre state lì, al contempo beate e protettrici. per<br />
non pensare all’assenza dai due volti, ho bisogno di concentrarmi sulla bellezza<br />
delle cose: il cielo di fine giornata, la luce dell’inverno.<br />
Il cuore ha un’aritmetica tutta sua, la distanza modifica il valore del tempo.<br />
Qual era quel weekend assurdo passato a farci dei rimproveri di cui ho dimenticato<br />
due giorni più tardi la causa? Il tempo insieme è raro, quindi diventa<br />
obbligatoriamente votato alla felicità. Sentirsi vivi rischiando al contempo di<br />
morire. Sei partito, non l’ho voluto. Ma da questa partenza nasce una bellezza<br />
che unisce, che alcuni ci invidiano, che nessuno capisce.<br />
pRIMAVERA<br />
Non ci sono che due soli mezzi di trasporto perfetti: la bicicletta e il treno. La<br />
bicicletta perché il suo ritmo è ideale per impregnarsi delle cose senza diluircisi<br />
dentro. Il treno perché offre familiarità, permettendo al contempo di andare un<br />
po’ più veloce. Il controllore e il contadino, che guida il suo motorino su questa<br />
strada di campagna, mi danno l’aria di conoscersi da tempo. Ho 5 ore e<br />
30 minuti di <strong>viaggio</strong> per cambiare vita. I pendolari e gli studenti che ritornano<br />
nella loro città di studio mi aiutano molto in questo. Ascolto le loro vite, gli amici<br />
che ritrovano, le novità sui genitori che vedono una volta al mese. Mi faccio<br />
ricettacolo invisibile della loro storia.<br />
— 38 —
La scorsa notte, le ore erano blu. Stamattina, in questa foschia, in questo<br />
treno, i minuti sono gialli. per un verso inatteso, «partire» ha di nuovo un senso.<br />
Stare fra le mie due vite, ritrovarti da un estremo all’altro.<br />
La domenica sera è il momento dei militari. Il lunedì mattina è il momento<br />
degli amori a distanza. Non ho potuto rassegnarmi a prendere questo treno ieri,<br />
a vivere questa lunga domenica <strong>come</strong> un’agonia, un’attesa prima di lasciarti e<br />
di vedere di nuovo scorrere queste città sempre più famigliari. Guardare dalla<br />
finestra per sapere se si è tristi, cercare la presa per il portatile, aprire l’agenda,<br />
spostarsi nel vagone ristorante per un pessimo caffè, iniziare a lavorare di<br />
fronte al vetro del vagone ristorante, e, poco a poco, dimenticarti.<br />
ESTATE<br />
Treni svizzeri, treni tedeschi, treni francesi. Questa volta vengo a renderti visita<br />
direttamente da parigi. Confronto il comfort, l’aspetto delle stazioni, l’ambiente<br />
delle frontiere. E d’un tratto, questo tragitto che non mi è famigliare mi spaventa.<br />
Non ci sei. Tutto non è altro che un’illusione? Certo, vengo a trovarti, ma<br />
sono sempre sola. Saremo sempre e solo due solitudini che si amano.<br />
Mi hai detto: «Non addormentarti! Le Centovalli sono magnifiche!». Le palpebre<br />
erano pesanti, eppure ho resistito. Ma c’era anche quest’uomo grasso,<br />
con una polo colorata, che mi guardava, che mi travolgeva con lo sguardo<br />
senza autorizzazione, si passava la lingua sulle labbra. Allora, fra le nuvole delle<br />
Centovalli, preferisco dormire. O perlomeno far finta.<br />
Il treno è appena sbucato sul Lemano, in alto. Grandi stoffe d’acqua turchese,<br />
punteggiate però di movimenti più chiari. Il cielo è sgombro, da togliere<br />
il fiato. Ho l’impressione di poter vedere il paesaggio senza le sue infrastrutture<br />
umane, il lago <strong>come</strong> si presentava migliaia di anni fa, in una giornata chiara<br />
<strong>come</strong> oggi, quando gli uomini immagino si siano detti: «Sistemiamoci qui».<br />
Cammino sul marciapiede notturno. La pioggia estiva è dolce e muta, in<br />
direzione della stazione. È una situazione che mi assomiglia. Tolto il fatto che,<br />
questa volta, di fronte a me ci sia un uomo.<br />
3 del mattino, ti aspetto sul binario. Non c’è anima viva, nemmeno l’anima<br />
di un gatto, d’un ubriacone o d’un viandante, addormentato sul suo zaino. Le<br />
due piazze che incorniciano la stazione, i binari, i corridoi, le scale, le alcove<br />
delle cabine telefoniche, tutto è vuoto. Come nei film fantastici della mia infan<br />
— 39 —
zia, <strong>come</strong> nei mondi devastati da flagelli misteriosi, sono completamente sola<br />
al mondo. provo una gioia incantata, un godimento postapocalittico. Le strade<br />
vuote sembrano respirare, tramutarsi in strutture viventi, calde, un po’ magiche.<br />
Solo un fischio metallico, stridente ma lento, si fa sentire ogni pochi minuti. È il<br />
rumore di un polmone, che respira per la prima volta. È il rumore di una nascita,<br />
dolorosa e bella.<br />
© 2012 by Aude Seigne, traduzione dal francese di Sebastiano Marvin<br />
Aude Seigne, nata nel 1985 a Ginevra, lavora <strong>come</strong> redattrice Web presso la<br />
città di Ginevra. Nel 2011 il suo racconto di <strong>viaggio</strong> «Chroniques de l’occident<br />
nomade» è stato insignito del prix bouvier.<br />
— 40 —
Conto economico<br />
Ricavo d’esercizio<br />
— 41 —<br />
2010 2011 10/11<br />
± in %<br />
Ricavo da traffico Mio di CHf 3 623 3 675 1,4<br />
– Ricavo da traffico viaggiatori 2 623 2 732 4,1<br />
– Ricavo da traffico merci 871 808 –7,2<br />
– prestazioni d’esercizio 61 62 2,6<br />
– Ricavo da infrastruttura (proventi risultanti dalle tracce) 69 73 6,6<br />
prestazioni dei poteri pubblici 2 192 2 304 5,1<br />
di cui indennizzi traffico viaggiatori regionale 556 575 3,4<br />
di cui contributi a Infrastruttura 1 613 1 696 5,1<br />
Ricavi locativi immobili 332 354 6,4<br />
Ricavi complementari 838 856 2,1<br />
prestazioni proprie 774 832 7,6<br />
Totale 7 759 8 022 3,4<br />
Spese d’esercizio<br />
Spese per il materiale Mio di CHf –637 –685 –7,5<br />
Spese per il personale –3 477 –3 554 –2,2<br />
Altre spese d’esercizio –1 610 –1 579 1,9<br />
Ammortamenti su immobilizzazioni materiali, finanziarie, immateriali –1 608 –1 674 –4,1<br />
Totale –7 333 –7 492 –2,2<br />
Risultato d’esercizio/EBIT Mio di CHf 426 530 24,2<br />
Risultato finanziario –195 –250 –28,4<br />
Risultato estraneo all’esercizio 83 67 –19,3<br />
Imposte e interessenze di azionisti minoritari –16 –8 52,3<br />
Risultato consolidato 298 339 13,5<br />
bilancio<br />
Attivi<br />
Attivo circolante Mio di CHf 2 240 2 290 2,2<br />
Attivo fisso 30 950 31 591 2,1<br />
– Immobilizzazioni finanziarie 1 274 1 117 –12,4<br />
– Immobilizzazioni materiali e impianti in costruzione 29 168 29 811 2,2<br />
– Immobilizzazioni immateriali 507 664 30,8<br />
Totale 33 190 33 881 2,1<br />
Passivi<br />
Capitale di terzi a breve termine Mio di CHf 2 945 3 220 9,3<br />
Capitale di terzi a lungo termine 20 249 20 317 0,3<br />
Capitale proprio incluse le interessenze di azionisti minoritari 9 995 10 344 3,5<br />
Totale 33 190 33 881 2,1
Impressum<br />
Editore<br />
<strong>FFS</strong> SA<br />
Stefan Nünlist<br />
Comunicazione e Public Affairs<br />
Hochschulstrasse 6<br />
CH-3000 Berna 65<br />
Direzione del progetto<br />
Jan-Hendrik Völker-Albert, <strong>FFS</strong><br />
Testi e redazione<br />
Martin Zehnder, <strong>FFS</strong><br />
Ideazione grafica e tabelle<br />
Stephan Osterwald, <strong>FFS</strong><br />
Stefan Weigel, <strong>FFS</strong><br />
Produzione<br />
Oliver Schörlin, <strong>FFS</strong><br />
Traduzione<br />
Servizio linguistico delle <strong>FFS</strong><br />
Concetto e impostazione<br />
Eclat, Erlenbach ZH<br />
Foto<br />
Andri Pol, Weggis e Basilea<br />
Litografia<br />
Sergio Beti, Zurigo<br />
Stampa<br />
Stämpfli Pubblicazioni SA, Berna<br />
Carta<br />
Lessebo 1.3 White
<strong>FFS</strong> SA<br />
Comunicazione e Public Affairs<br />
Hochschulstrasse 6<br />
CH-3000 Berna 65<br />
Telefono 051 220 41 11<br />
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Stampato myclimate.org