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Rivista quadrimestrale di cultura e spiritualità della <strong>Passio</strong>ne<br />
La<br />
a cura dei <strong>Passio</strong>nisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis<br />
della Pontificia Università Lateranense<br />
Sapienza<br />
della<br />
CroCe<br />
EDITORIALE<br />
Esegesi scientifica ed esegesi teologica<br />
della Parola della Croce<br />
Gianni SGreva cp<br />
SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA<br />
Ritrovare il primitivo ebraismo messianico.<br />
La Chiesa di Gerusalemme,<br />
madre di tutte le Chiese.<br />
adolfo lippi cp<br />
L’esserci dell’Amore che vede<br />
anGela Maria lupo cp<br />
«E subito uscì sangue e acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione di allusioni all’AT<br />
franceSco voltaGGio<br />
L’Ora in Gv 2,1-11: anticipazione o inizio?<br />
Lettura giudaico-patristica<br />
delle nozze di Cana<br />
Gianni SGreva cp<br />
PSICOLOGIA E TEOLOGIA<br />
Quando l’amore è legge.<br />
Il rapporto tra l’indicativo di salvezza<br />
e l’imperativo morale<br />
GiuSeppe della Malva<br />
SPIRITUALITÀ<br />
La congregazione tra passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
tito paolo Zecca cp<br />
RECENSIONI<br />
a cura di<br />
leopoldo BoriS laZZaro cmop<br />
145-148<br />
149-170<br />
171-195<br />
197-229<br />
231-276<br />
277-324<br />
325-356<br />
357-372<br />
Anno XXVII - n. 2<br />
mAggIo-Agosto 2012<br />
Direttore responsabile<br />
Gianni Sgreva c.p.<br />
Direttore amministrativo<br />
Vincenzo Fabri c.p.<br />
Cattedra Gloria Crucis<br />
Comitato scientifico<br />
Fernando Taccone c.p. - Antonio Livi<br />
Lubomir Zak - Riccardo Ferri<br />
Denis Biju-Duval - Angela Maria Lupo c.p.<br />
Gianni Sgreva c.p. - Adolfo Lippi c.p.<br />
Segretari di redazione<br />
Leopoldo Boris Lazzaro cmop,<br />
Carlo Baldini c.p. - Flavio Toniolo c.p.<br />
Lorenzo Baldella c.p. - Vittorio Lucchini<br />
Lucia Ulivi - Franco Nicolò<br />
Collaboratori<br />
Tito Amodei c.p., Vincenzo Battaglia ofm,<br />
G. Marco Salvati op, Tito Paolo Zecca c.p.,<br />
Maurizio Buioni c.p., Max Anselmi c.p.,<br />
Giuseppe Comparelli c.p., Mario Collu c.p.,<br />
Alessandro Ciciliani c.p., Carmelo Turrisi<br />
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Mazzocante c.p.<br />
Redazione:<br />
La Sapienza della Croce<br />
Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13<br />
00184 Roma<br />
Tel. 06.77.27.11<br />
Fax 06.700.81.92<br />
e-mail: sapienzadellacroce@tiscali.it<br />
Abbonamento annuale<br />
Italia E 20,00, Estero $ 30<br />
Fuori Europa (via aerea) $ 38<br />
Singolo numero E 10,00<br />
C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma<br />
Finito di stampare Ottobre 2012<br />
Stampa:<br />
Tipografia CSR - Roma<br />
Progetto grafico: Filomena Di Camillo<br />
Impaginazione: Serena Pico<br />
ISBN 978-88-85421-43-1<br />
Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento<br />
Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009<br />
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Gianni SGreva cp<br />
Il sinodo dei vescovi del 2008<br />
sulla Parola di Dio con l’esortazione<br />
post-sinodale di Papa Benedetto<br />
XVI, Verbum Domini<br />
hanno messo a fuoco l’esigenza<br />
di riagganciare l’esegesi scientifica<br />
all’esegesi teologica della<br />
scrittura. La Parola è parola di salvezza, è<br />
messaggio dello spirito che la Chiesa ha riconosciuto<br />
depositario e veicolo della pienezza<br />
della Rivelazione divina. L’obbiettivo di ogni<br />
esegesi è quello di condurre a scoprire tra le<br />
righe della Parola ciò che Dio rivela per la salvezza.<br />
L’esegesi, pertanto, non può limitarsi a<br />
sondare il testo della lettera, anzi questa operazione<br />
previa è esigita al fine di giungere al significato teologicospirituale<br />
di ogni testo rivelato. ossia, è necessaria l’esegesi scientifica/letterale<br />
che, lungi dal rinchiudersi in se stessa, costituisce il<br />
presupposto in vista dell’esegesi teologica/spirituale.<br />
Proprio per raggiungere il fine teologico-spirituale l’esegesi deve<br />
riandare alle fonti della scrittura stessa che si ritrovano nel contesto<br />
giudaico e rabbinico ripreso dall’ermeneutica patristica.<br />
Quest’ultima, infatti, si rivela capace di unire la lettura scientifica-letterale<br />
con il suo punto di arrivo che è il livello teologicospirituale<br />
del testo. Infatti, proprio accogliendo nella ricerca dell’esegesi<br />
scientifica il sottofondo giudaico e la prima interpretazione<br />
patristica, si entra già nell’esegesi teologica.<br />
editoriale<br />
EsEgEsi<br />
sciEntifica<br />
Ed EsEgEsi<br />
tEologica<br />
dElla Parola<br />
dElla crocE<br />
Esegesi scientifica ed<br />
esegesi teologica della<br />
Parola della Croce<br />
145-148<br />
editoriale<br />
145<br />
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editoriale<br />
Gianni SGreva<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
editoriale<br />
146<br />
La prima esegesi organica inaugurata nella Chiesa dal grande<br />
origene, sia quello di Alessandria, come quello di Cesarea, ha visto<br />
questa sintesi dei due livelli, quello letterale e quello spirituale,<br />
quello scientifico e quello teologico, in simbiosi e sinergia con<br />
l’humus giudaico-rabbinico.<br />
La grande esegesi patristica ha poggiato su questa sintesi, dall’oriente<br />
origeniano all’occidente ambrosiano ed agostiniano. se c’è<br />
stato un freno a questa sintesi per una maggiore preoccupazione di<br />
stampo scientifico-letterale (vedi la scuola di Antiochia con Diodoro<br />
di tarso, teodoro di mopsuestia e giovanni Cristostomo) questo fu<br />
dovuto al timore che tra i due livelli ci fosse una sproporzione, del<br />
livello spirituale-teologico a scapito del suo punto di partenza che è<br />
il livello scientifico-letterale.<br />
In realtà origene non conobbe questa sproporzione, ma i due momenti<br />
in lui rimasero chiari e saldi, affinché il primo fosse base per<br />
il secondo, il livello scientifico base del livello teologico-spirituale.<br />
Per questo Origene ci teneva all’esegesi scientifica, ossia a ben<br />
identificare il testo, sia ebraico come greco delle Scritture Sacre, e<br />
per questo attingeva all’Antico testamento e alle letture viventi e<br />
orali del medesimo fatte dai rabbini e dagli ebrei in genere da lui<br />
consultati, non essendoci ancora nel III secolo una vera e propria letteratura<br />
rabbinica scritta. solo così origene ci ricorda, ad esempio,<br />
il significato di Calvario, come “luogo del cranio”, perché aveva attinto<br />
la notizia dai rabbini, così pure il significato salvifico della Tav<br />
di Ez 9,4.<br />
Poi, in particolare, per quanto concerne la teologia della croce,<br />
come potremmo capire Paolo senza Dt 21, 22-23 (Gal 3, 13-14)?<br />
Paolo si appropriò della vera identità del gesù entrato nell’orizzonte<br />
della sua vita di ebreo sulla via di Damasco allorché dovette ammettere<br />
che il maledetto di Dt 21, 22-23 si identificava con Gesù,<br />
il Messia crocifisso. Senza la luce proiettata da Dt 21, 22-23 Paolo<br />
non avrebbe mai dichiarato di non conoscere nessun altro se gesù il<br />
Messia, il Messia crocifisso (1 Cor 2,2).<br />
E prima di Paolo, come capire lo stesso gesù senza legarlo alle<br />
radici dell’insegnamento della halakah dei padri dell’ebraismo? Purtroppo,<br />
molta esegesi scientifica è stata condotta sulla falsariga della<br />
cultura greco-romana e approfondita alla luce di categorie ermeneutiche<br />
appartenenti a filosofie occidentali, antiche moderne e contem-<br />
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poranee, senza anzitutto preoccuparsi di conoscere il milieu culturale<br />
di gesù fedele alla torah. Così ancora l’esegesi, allontanatasi<br />
dalle sue fonti “naturali” giudaiche e patristiche, stenta a offrire alla<br />
teologia un fondamento sicuro pertinente all’area culturale giudaica.<br />
si citano i passi del nuovo testamento accanto a quelli dell’Antico<br />
testamento senza la preoccupazione di far derivare i primi dai secondi.<br />
In fin dei conti, l’ideologia marcionita non è ancora rientrata.<br />
Persiste l’allergia verso l’Antico testamento e la scarsa conoscenza,<br />
per non dire il disinteresse, per la tradizione ebraica e rabbinica. A<br />
soffrire per la mancanza di questo innesto del nt nell’At e della<br />
presa di coscienza della germinazione del nuovo dal e nell’Antico<br />
è alla fine il messaggio teologico-spirituale che è il vero obbiettivo<br />
dell’esegesi stessa. spesso gli stessi teologi, privi della conoscenza<br />
dei risultati di una esegesi scientifico-teologica poggiata sulle fonti<br />
giudaico-patristiche, incorrono in incomprensioni o in veri errori di<br />
prospettiva, dovuti a una maggiore fiducia poggiata sull’interpretazione<br />
ellenistica che sui fondamenti semitici della scrittura.<br />
In questi ultimi tempi ci sono stati offerti dei preziosi contributi<br />
per scavare e trovare il messaggio teologico-spirituale a partire dal<br />
pozzo stesso da cui zampilla l’acqua salvatrice della scrittura, le<br />
vene sotterranee dell’AT e della riflessione rabbinica. Tra i primi<br />
precursori filosemiti ricordiamo Joseph Bonsirven (1880-1958) 1 . tra<br />
gli altri ricordiamo la ricerca sulla teologia di Dio condotta da Pierre<br />
Lenhard: L’Unité de la Trinité. À l’écoute de la Tradition d’Israël, 2<br />
che evidenzia come il nuovo testamento e la tradizione della Chiesa<br />
sono illuminati dall’insegnamento di Israele sull’Unità ineffabile del<br />
Dio Uno e Unico. E per gesù il recente lavoro di P. michel Remaud,<br />
Paroles d’Évangile, paroles d’Israël 3 , mette in luce che il contesto<br />
dell’azione e della predicazione di gesù era la tradizione ebraica del<br />
suo tempo e che la stessa interpretazione della scrittura di gesù era<br />
debitrice delle categorie di pensiero rabbiniche. molti passaggi e pa-<br />
1 cf Th.-M. anDrevOn, Joseph Bonsirven et le « mystère d’Israël, in NRT<br />
133/4 (2011), 547-567.<br />
2 p. LeHnarD, L’Unité de la Trinité. À l’écoute de la Tradition d’Israël, col.<br />
essai 9, paris, collège des Bernardins, parole et Silence, 2011.<br />
3 M. reMaUD, Paroles d’Évangile, paroles d’Israël, paris, collège des Bernardins,<br />
parole et Silence, 2012.<br />
editoriale<br />
Esegesi scientifica<br />
ed esegesi teologica<br />
della Parola della Croce<br />
145-148<br />
editoriale<br />
147<br />
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editoriale<br />
Gianni SGreva<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
editoriale<br />
148<br />
role di gesù restano incomprese e incomprensibili se non sono lette<br />
dentro la ricchezza dell’At e della tradizione di Israele.<br />
In questo numero della rivista abbiamo voluto ospitare alcuni<br />
contributi elaborati alla luce delle convinzioni espresse fin qui, con il<br />
desiderio che quanto papa Benedetto XVI propone nella sua Verbum<br />
Domini trovi la sua attuazione e quindi l’esegesi scientifica approdi<br />
veramente al patrimonio fondante delle scritture, disveli le potenzialità<br />
della religiosità e del pensiero ebraico, per proseguire nel suo<br />
servizio di indagine e di offerta del messaggio teologico e spirituale<br />
della Parola. La stessa Parola della Croce, allora, si farà autentica<br />
“sapienza” della Croce.<br />
A questo proposito ci piace menzionare in casa passionista un<br />
ottimo lavoro di rielaborazione biblica e di ricerca dei fondamenti<br />
biblici di un carisma spirituale come quello della <strong>Passio</strong>ne in s.Paolo<br />
della Croce. si tratta della ricerca di sr. Angela maria Lupo, cp,<br />
membro del Comitato scientifico della cattedra “Gloria Crucis” e<br />
professore invitato di Antico testamento all’IsCsm della Pontifica<br />
Università Urbaniana, La mistica del Calvario in S.Paolo della<br />
Croce: Per essere i nuovi santi del terzo millennio 4 , che volentieri<br />
e con sincero piacere teologico-spirituale proponiamo alla lettura e<br />
all’apprezzamento dei nostri lettori.<br />
Insomma, da un’esegesi scientifica, che nel riferimento alle radici<br />
ebraiche della Rivelazione già si scopre aperta all’esegesi teologica,<br />
di cui i Padri sono i primi protagonisti, emerge il Dio cristiano proveniente<br />
essenzialmente dalla Croce. si ricava, cioè, non solo una<br />
teologia della croce, ma una teo-logia dalla Croce.<br />
Gianni Sgreva cp<br />
totustuus@hotmail.it<br />
4 a. M. LUpO, La mistica del Calvario in S.Paolo della croce. Per essere i<br />
nuovi santi del terzo millennio, ed OcD, roma 2012.<br />
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aDOLfO Lippi cp<br />
marco Cassuto morselli<br />
e gabriella maestri<br />
stanno portando<br />
avanti una ricerca per<br />
ricostruire la fisionomia<br />
autentica della<br />
primitiva comunità<br />
cristiana, quella chiesa di gerusalemme, tutta quanta<br />
ex circumcisione (non esisteva ancora la ecclesia ex<br />
gentibus), dalla quale hanno avuto origine tutte le<br />
altre chiese. osservo io a questo proposito che, più<br />
o meno inconsciamente, si è portati a proiettare su<br />
quella comunità caratteristiche e categorie mentali<br />
che si sono sviluppate più tardi nel cristianesimo,<br />
più tardi ed anche in ambienti culturali assai diversi,<br />
soprattutto ambienti non ebraici, ellenistici, romani<br />
e bizantini. Cassuto morselli e maestri si esercitano a<br />
riportare documenti antichissimi del cristianesimo all’ambiente culturale<br />
nel quale sono sorti ed al quale si rivolgevano. Hanno fatto<br />
questo, finora, per la Didachè e per la Lettera di Giacomo 1 . stanno<br />
lavorando alla Lettera agli Ebrei, un documento indubbiamente più<br />
1 Didachè. La Torah del Messia attraverso i Dodici Apostoli ai goyim, a cura<br />
di Gabriella Maestri e Marco Morselli, Marietti 1820, Genova-Milano 2009;<br />
Lettera di Giacomo alle Dodici Tribù della Diaspora, a cura di Marco cassuto<br />
Morselli e Gabriella Maestri, Marietti 1820, Genova-Milano2011.<br />
sacra scrittura<br />
ritroVarE<br />
il PriMitiVo<br />
EBraisMo<br />
MEssianico<br />
la chiesa di<br />
gerusalemme,<br />
madre di tutte<br />
le chiese<br />
Ritrovare Il primitivo<br />
ebraismo messianico<br />
149-170<br />
sacra<br />
149<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Adolfo lippi cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
150<br />
scrittura<br />
impegnativo sul quale, però, ha già lavorato, con un intento simile,<br />
lo studioso svedese Jesper Svartvik 2 . scrivono i due studiosi:<br />
“I primi discepoli di Yehoschua, che i testi canonici della Chiesa<br />
definiscono ‘cristiani’ erano ebrei messianici che molto si sarebbero<br />
stupiti se avessero potuto conoscere quali cambiamenti si sarebbero<br />
prodotti nel corso di pochi decenni in seno a quella Comunità<br />
a cui appartenevano e che ben presto li avrebbe emarginati e<br />
ripudiati” 3 .<br />
sembra proprio che questa storia sia stata deformata leggendola<br />
secondo teorie preconcette o anche concezioni dogmatiche che si<br />
sono sviluppate in seguito. Bisogna ripartire dai fatti, che naturalmente<br />
precedono ogni riflessione. La nostra storia di cristiani è<br />
quella che è stata e così la storia degli ebrei. È necessario oggi, per il<br />
compito che si ha davanti, ripercorrere i processi storici, allo scopo<br />
di disinnescarne i fattori di incomprensioni e conflitti e aprire la<br />
strada del dialogo, del reciproco interesse e della reciproca cura, gli<br />
uni per gli altri. nel corso di pochi decenni si passò dalla concezione<br />
del rapporto degli ebrei messianici con la radice di Israele espressa<br />
nella Didachè e nella Lettera di giacomo a quella espressa nella Lettera<br />
di Barnaba. nel corso di qualche secolo, poi, esauritasi per le<br />
vicende che vedremo la ecclesia ex circumcisione, la Chiesa oramai<br />
composta di soli gentili svilupperà la ben nota teologia della sostituzione,<br />
ma svilupperà anche una teologia conseguente all’inculturazione<br />
della fede nelle categorie proprie dell’ellenismo, una vera ontoteologia,<br />
che risulterà diversa e lontana per coloro che erano voluti<br />
rimanere fedeli al linguaggio e alle tradizioni bibliche, limitandosi a<br />
commentarle.<br />
La Lettera di Barnaba contiene già una vera e propria teologia<br />
della revoca dell’Alleanza e un certo insegnamento del disprezzo,<br />
ma possiamo osservare che essa parte dal rilevare che gli ebrei non<br />
passati alla fede cristiana intendevano delegittimare i cristiani nel<br />
2 J. SvarTiK, Reading the Epistle to the Hebrews Without Presupposing Supersessionism,<br />
in aa. vv. Christ Jesus and the Jewish People today, eerdman-<br />
GUp, Grand rapids-rome 2011, 77-91.<br />
3 Lettera di Giacomo, cit., 55.<br />
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loro richiamarsi alle scritture ebraiche, dicendo: l’alleanza è nostra 4 .<br />
È come se avessero detto: è nostra proprietà, voi siete degli intrusi.<br />
L’autore della Lettera di Barnaba è molto preoccupato della fede di<br />
coloro ai quali scrive, conosce molto bene l’Antico testamento che<br />
cita moltissimo, ma lo fa dandone un’interpretazione funzionale alla<br />
finalità di incoraggiare i cristiani nella loro fede. Non c’è più posto<br />
per la coesistenza. Ben presto si svilupperanno teorie gnostiche che,<br />
con marcione, arriveranno alla demonizzazione dell’Antico testamento.<br />
C’è da meravigliarsi ed anche certamente da rallegrarsi che<br />
l’ortodossia cristiana non abbia mai accolto l’invito a sradicarsi totalmente<br />
dalla storia ebraica e dalle sue scritture, anzi abbia continuato<br />
a cercare e trovare in esse l’ispirazione fondamentale per la<br />
propria teologia e spiritualità.<br />
I due commentatori mettono in rilievo alcuni elementi fondamentali<br />
per comprendere la condizione degli ebrei messianici della primitiva<br />
chiesa di gerusalemme. Essi sono:<br />
1. la fortissima tensione escatologica che caratterizzava le comunità<br />
cristiane primitive, attesa condivisa anche da Paolo e dalle sue<br />
comunità, attesa che comportava anche problemi pastorali. L’attenzione<br />
delle comunità non era tanto volta al messia venuto quanto<br />
al messia venturo. gli ebrei messianici cristiani erano tesi verso<br />
il ritorno del messia-gesù morto e risorto, mentre tutta la società<br />
ebraica era suggestionata da attese apocalittiche.<br />
2. La grande autorevolezza di cui godeva “Giacomo, fratello<br />
dell’Adon-Signore” tanto nella comunità ebraico-messianica,<br />
quanto, al di fuori di essa, tra i giudei di gerusalemme. non c’è<br />
motivo, infatti, di dubitare di quanto racconta giuseppe Flavio, contemporaneo<br />
di giacomo e protagonista in prima persona della guerra<br />
giudaica, intorno al martirio di giacomo nell’anno 62 d. C. Il sommo<br />
sacerdote Anano fece condannare Giacomo alla lapidazione. “Ma le<br />
persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti<br />
della Legge, si sentirono offese da questo fatto”. Ci furono ricorsi al<br />
4 cf Lettera di Barnaba, iv, 1, 6-7; in I Padri apostolici, a cura di a. Quacquarelli,<br />
città nuova, roma 1978, 190 ss.<br />
sacra scrittura<br />
Ritrovare Il primitivo<br />
ebraismo messianico<br />
149-170<br />
sacra<br />
151<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Adolfo lippi cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
152<br />
scrittura<br />
procuratore Albino e al re Agrippa, il quale depose Anano 5 . molti ritengono<br />
che a protestare contro il sadduceo Anano fossero i farisei 6 .<br />
3. La discreta integrazione degli ebrei messianici all’interno della<br />
società giudaica dell’epoca, che era assai più variegata e tollerante di<br />
quello che sarà dopo la distruzione del secondo tempio.<br />
4. L’enorme devastazione prodotta dalle due guerre giudaiche<br />
del 66-70 e del 132-135, che produssero una vera Shoah, riducendo<br />
l’ebraismo a un decimo di quello che era precedentemente. Questa<br />
situazione può far comprendere il rigore con cui si procedé nella ricerca<br />
di una sopravvivenza e di una più rigida identificazione dell’ebraismo.<br />
Questa si sviluppò nella corrente talmudica e rabbinica:<br />
come affermava Lévinas senza il Talmud non ci sarebbero stati più<br />
ebrei 7 , ma è anche vero che non poté più esserci la tolleranza precedente.<br />
5. La notevole integrazione fra ecclesia ex circumcisione ed ecclesia<br />
ex gentibus che esisteva precedentemente: gli ebrei messianici<br />
continuavano a frequentare il tempio, a circoncidersi e ad osservare<br />
le mitzvot, ma non pretendevano che questo fosse fatto anche dai<br />
fratelli provenienti dalla gentilità. D’altra parte i fratelli gentili raccoglievano<br />
e inviavano elemosine che erano ben accette alle chiese<br />
della Palestina.<br />
1. dal mondo come è<br />
al mondo che viene<br />
La proiezione<br />
all’indietro<br />
degli sviluppi<br />
posteriori della fede<br />
5 GiUSeppe fLaviO, Antichità giudaiche, 2, Utet, Torino 2006, p. 1247.<br />
nella Storia ecclesiastica di eusebio di cesarea sono raccolte varie tradizioni<br />
riguardanti Giacomo e il suo martirio, anche contraddittorie. esse tuttavia possono<br />
rappresentare una conferma dell’importanza storica di questo uomo, chiamato<br />
in varie tradizioni il Giusto, elogiato per ascetismo e serietà. Si arrivava<br />
a dire che l’assedio e la distruzione di Gerusalemme, accadute dopo la sua<br />
uccisione, non fossero state altro che il castigo di Dio per tale delitto (ii, XXiii,<br />
19-20).<br />
6 cf ad es. e. p. SanDerS, Il Giudaismo: Fede e prassi (63 a. C.-66 d. C.),<br />
Morcelliana, Brescia 1999, 635.<br />
7 cf S. MaLKa, Leggere Lévinas, Queriniana, Brescia 1986, 59.<br />
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cristiana fa pensare alla tensione escatologica della Comunità gerosolimitana<br />
come attesa di una prossima fine del mondo. Invece<br />
ciò che la Comunità degli ebrei messianici anzitutto aspettava era<br />
il passaggio da questo mondo – Olam ha-zeh – al mondo che viene<br />
– Olam ha-ba -, pieno della conoscenza del Dio vivente (cf Ger 31,<br />
11). Ciò che accade nella storia reale determina la trasformazione<br />
delle Weltanschauung teologiche assai più di quanto queste influiscano<br />
sui fatti. Alla fine dei sacrifici del tempio di Gerusalemme, gli<br />
Israeliti sopravvissuti e desiderosi di mantenere viva la fede nel Dio<br />
che ha scelto Israele reagiscono con la creazione del talmud, con la<br />
halakah, col sospetto verso il messianismo. Anche tra i cristiani, il<br />
mancato ritorno del messia durante la prima generazione cristiana<br />
porta a sviluppare una diversa visione del mondo e della sua consumazione.<br />
già nella prima Lettera di Pietro si ricorre ad un salmo<br />
per dire che davanti a Dio un giorno è come mille anni e mille anni<br />
come un giorno: quindi, anche se sembra che il signore ritardi a venire,<br />
di fatto non ritarda (cf 1Pt, 3, 8). Questa nuova teologia porta<br />
a leggere certe frasi del nuovo testamento in un senso diverso da<br />
come venivano lette dai destinatari di quegli scritti. Ad esempio l’espressione<br />
passa la scena (o la figura) di questo mondo (1Cor, 7, 31)<br />
significava per loro che sta per venire un mondo diverso da questo,<br />
che cioè stiamo per passare dall’ olam-ha-zeh all’ olam-ha-bah. noi<br />
la leggiamo spontaneamente nel senso della fragilità umana: passa la<br />
scena di questo mondo in quanto da un momento all’altro possiamo<br />
morire e questo stesso mondo è destinato a finire per dar luogo alla<br />
vita eterna dopo la morte.<br />
2. cultura ebraico-biblica<br />
e cultura greca<br />
La Weltanschauung<br />
greca è tendenzialmente<br />
statica.<br />
Può essere ben rappresentata<br />
con l’idea del<br />
mondo eterno e sempre uguale a se stesso di Aristotele o con la teoria<br />
dell’eterno ritorno del nostalgico nietzsche. La Weltanschauung<br />
ebraico-biblica è tendenzialmente dinamica. Il messianismo, l’attesa<br />
di una nuova creazione, dei cieli nuovi e della terra nuova pervade<br />
sacra scrittura<br />
Ritrovare Il primitivo<br />
ebraismo messianico<br />
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scrittura<br />
tutta quella cultura. È una cultura dell’attesa e della speranza. Di<br />
conseguenza il profetismo tende alla trasformazione della società,<br />
così come le religioni antropologiche tendono essenzialmente alla<br />
stabilizzazione degli equilibri sociali esistenti mediante la loro sacralizzazione.<br />
non dimentichiamo mai, peraltro, che noi tutti, ebrei o cristiani<br />
che accettiamo di far discorsi accademici sulla fede e la storia della<br />
salvezza, utilizziamo categorie e procedimenti logici di tipo greco e<br />
occidentale, non ebraico o orientale, e che dal movimento e dal confronto<br />
delle idee è sempre facile scadere nelle ideologie 8 . soltanto la<br />
disponibilità al dialogo ci salva da questo pericolo. Lévinas riconosceva<br />
di adoperarsi per esprimere i contenuti della Bibbia ebraica in<br />
categorie greche. La disponibilità a che ebrei e cristiani si confrontino<br />
su testi dell’Antico e del nuovo testamento ben conosciuti da<br />
entrambi, come attesta ad esempio il volume Christ Jesus and the<br />
Jewis People Today già citato, è da considerarsi una grazia di Dio<br />
per il nostro tempo.<br />
non fa meraviglia, quindi, che la cultura ebraica, della quale<br />
stiamo trattando, sia stata in perenne movimento, né che si siano<br />
verificati sviluppi diversi di uno stesso evento, quale può essere<br />
stato la vita di Cristo, la sua morte voluta e la sua risurrezione<br />
proclamata nella predicazione. Questo non significa relativismo.<br />
Infatti, di fronte ad alcuni di quegli sviluppi i responsabili delle<br />
comunità cristiane reagiscono rifiutandoli come pericolose deviazioni.<br />
L’esempio più evidente, forse, è l’orgoglio dei nuovi cristiani<br />
provenienti dal paganesimo di fronte al popolo dell’Alleanza,<br />
contro cui reagisce duramente proprio l’Apostolo dei gentili nei<br />
capitoli 9-11 della Lettera ai Romani. Questa reazione, purtroppo,<br />
fu poco ascoltata.<br />
8 ad esempio la fede ebraica di cui parla Y. Leibowitz (La fede ebraica, La<br />
Giuntina, firenze 2001) potrebbe rapportarsi maggiormente all’amor puro su<br />
cui si dissertava al tempo del Giansenismo (amare Dio senza pensare al paradiso,<br />
amarlo anche all’inferno) che alla fede ebraico-biblica nella quale la sofferenza,<br />
il male, sono segni chiari della lontananza del Dio o dal Dio di israele.<br />
L’approdo alla profezia del Servo Sofferente (is 53) non avviene a causa di una<br />
teoria, ma di un’illuminazione, la quale, peraltro, mantiene viva la certezza di<br />
un imprevedibile trionfo finale.<br />
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Un vero gioiello di cultura ebraico-biblica sono i vangeli dell’infanzia<br />
di Luca e di matteo. tutta la terminologia ivi usata è tipicamente<br />
ebraica, così come i concetti e le proposizioni. scelgo alcune di<br />
tali espressioni: a gesù Dio darà il trono di Davide suo padre per regnare<br />
per sempre sulla casa di Giacobbe (Lc 1, 32-33); Iddio soccorre<br />
Israele suo servo ricordandosi della sua misericordia (Lc 1, 54); Il Dio<br />
di Israele visita e redime il suo popolo (Lc 1, 68); concede misericordia<br />
ai nostri padri (Lc 1, 72). Gesù salverà il suo popolo dai suoi peccati<br />
(Mt 1, 21) ed è chiamato fin dall’inizio “re dei giudei” (Mt 2, 2), viene<br />
per pascere il popolo di Dio Israele (Mt 2, 6). Otto giorni dopo la sua<br />
nascita gesù fu regolarmente circonciso come ogni altro israelita e<br />
quaranta giorni dopo fu portato al tempio per la purificazione secondo<br />
la legge di mosè. Ivi il santo vecchio simeone apre una prospettiva<br />
universale (del resto presente, come è ormai pacifico, in tutta la bibbia<br />
ebraica) dicendo che gesù è salvezza preparata da Dio davanti a tutti<br />
i popoli, non senza però rilevare che mentre per i popoli è salvezza,<br />
per Israele è gloria (Lc 1, 32). Questa affermazione fa pensare alla<br />
celebre teoria di Rosenzweig secondo la quale Israele non ha bisogno<br />
di venire al Padre perché è già presso il Padre 9 , teoria che è certamente<br />
in contrasto con altre affermazioni del nuovo testamento secondo le<br />
quali gesù è salvezza per tutti, ebrei prima e poi gentili.<br />
Resta da spiegare come siano arrivati a essere inseriti nei vangeli<br />
questi testi così tipicamente ebraici, addirittura poetici, oltretutto<br />
perché Luca, secondo una verosimile tradizione, non era nemmeno<br />
ebreo. La spiegazione tradizionale offre certamente minori difficoltà<br />
delle varie teorie storico-critiche. Il greco Luca, infatti, si presenta<br />
come un uomo colto, di mentalità greca, che ha fatto ricerche accurate<br />
presso i testimoni (cf Lc 1, 1-4). Di una di loro, Maria, Luca<br />
rileva che conservava nel cuore la memoria di quanto accadeva, meditandovi<br />
sopra (cf Lc 2, 19; 2, 51). L’ebrea Maria, o altri testimoni,<br />
avrebbero riferito pari pari eventi e cantici, così come erano accaduti<br />
ed erano stati pronunciati, senza quelle interferenze antigiudaiche<br />
che si notano nei vangeli e, ancor più, senza aggiunte provenienti da<br />
teologie sviluppatesi sul semplice kerigma primitivo.<br />
9 cf Lettera di Rosenzweig a R. Ehrenberg, del 31-10-1913, in f. rO-<br />
SenZWeiG, La Scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, città nuova, roma 1991,<br />
288.<br />
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4. la varietà dei punti<br />
di vista sulla fede<br />
e i loro sviluppi<br />
B. cristianesimi<br />
D. Ehrman<br />
parla di vari<br />
primitivi 10 . L’espressione<br />
può fare un’impressione<br />
negativa o<br />
scandalizzare. L’impor-<br />
tante è comprendere quella realtà. C’erano vari modi di percepire<br />
e vivere il Cristianesimo come c’erano vari modi di percepire e vivere<br />
l’ebraismo. D’altra parte nel mondo ebraico in genere non c’era<br />
quella preoccupazione per l’ortodossia che caratterizzerà la Chiesa nel<br />
mondo greco, portando a lotte interne, ad aggressioni e reciproche persecuzioni.<br />
si suole dire che nell’ebraismo non ci si occupa tanto di conoscere<br />
come è Dio, ma di sapere ciò che Lui vuole da noi. All’ebreo<br />
della Bibbia interessa più l’ortoprassi che l’ortodossia. L’espressione<br />
biblica faremo ed ascolteremo può far capire la differenza fra la mentalità<br />
ebraico-biblica e quella occidentale, tendenzialmente scientifica,<br />
dove prima si comprende e si programma e poi si agisce. ma nel cristianesimo<br />
primitivo ed anche nel cammino mistico dei santi avviene<br />
proprio così: prima si è spinti ad operare, poi si riflette e si esplicita ciò<br />
che si era intuito nell’agire.<br />
I manuali di teologia ci avevano insegnato a proiettare indietro<br />
la dogmatica affermatasi successivamente nella vita della Chiesa,<br />
cercando appoggi e prove nei testi primitivi e portandoci così a leggere<br />
quei testi alla luce degli sviluppi posteriori. ma non c’è niente<br />
di strano nel pensare che ciò che oggi si recepisce della Rivelazione<br />
cristiana (che non è affatto tutto quello che si comprenderà<br />
in futuro) sia stato compreso progressivamente 11 . E non c’è niente<br />
di strano nel pensare che ci siano stati adattamenti alle culture che<br />
oggi possono aver perso la loro utilità. stando ai testi del nuovo testamento,<br />
all’inizio si comprese (non senza fatica) il kerigma della<br />
risurrezione. Gesù di Nazareth, che era stato crocifisso, è vivo ed<br />
effonde lo spirito santo con i suoi carismi. È passato per prove e<br />
10 B. D. eHrMan, I Cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia<br />
per le Sacre Scritture, carocci, roma 2005.<br />
11 Un capolavoro di J. H. newman esprime bene questo sviluppo: è An<br />
Essay on the Development of <strong>Christi</strong>an Doctrine,tradotto in italiano col titolo Lo<br />
sviluppo della Dottrina cristiana, Jaca Book, Milano 2003.<br />
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tormenti per arrivare alla sua gloria. non c’è niente di dirompente<br />
in questo annuncio: il passare per la prova è un chiaro insegnamento<br />
delle scritture ebraiche. C’è certamente di nuovo l’annuncio di un<br />
fatto: la risurrezione di gesù. Poi Paolo, l’autore della Lettera agli<br />
ebrei e Giovanni riflettono e sviluppano ciascuno per proprio conto,<br />
ma non senza reciproche influenze, una profonda teologia di questi<br />
eventi. sarà una teologia sempre confrontata con la vita pratica delle<br />
comunità delle quali si occupano, una teologia che non si sviluppa,<br />
quindi, a tavolino o sulle cattedre universitarie, ma nella pastorale.<br />
La frettolosa unificazione delle teologie di Paolo, della Lettera<br />
Ebrei e di Giovanni dentro l’unica categoria della riflessione teologica<br />
opposta alla categoria delle narrazioni che sarebbe propria dei<br />
sinottici o dell’etica propria di giacomo e così via, non fa giustizia<br />
alla storia. si suppone che gesù fosse anzitutto il Verbo preesistente<br />
e poi incarnato, diventato uomo nella pienezza dei tempi, Uomo-Dio<br />
che sa tutto, anche ‘i nostri pensieri’. Stridono con questa concezione<br />
vari passi del nuovo testamento, quali ad esempio: Rom 1, 4,<br />
secondo cui Gesù fu “costituito Figlio di Dio con potenza secondo<br />
lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti”; Eb 5,<br />
8, secondo cui “imparò l’obbedienza dalle cose che patì”; Lc 2, 52,<br />
secondo cui il fanciullo Gesù, sottomesso ai suoi genitori, “cresceva<br />
in sapienza età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini”.<br />
giacomo e la Chiesa di gerusalemme continuarono a fare quello<br />
che aveva fatto gesù, che si riconosceva mandato alle pecore perdute<br />
della casa di Israele e rifiutava almeno in linea di principio di<br />
occuparsi del gentili (cf Mt 15, 24). Il ricondurre Israele alla Torah,<br />
l’accogliere la torah nel cuore, il circoncidere il cuore era un compito<br />
assai impegnativo e avrebbe sviluppato una forza di vita capace<br />
di trasformare l’intera umanità. shaùl-Paolo sentì di andare ai gentili,<br />
sentì che questo era un grande mistero implicito in tante espressioni<br />
della Bibbia ebraica ma solo allora attuato e svelato (cf Ef 3,<br />
1-13). Poi rifletté e solo lui, fra tutti, percepì un pericolo collegato<br />
a questa sua missione: il pericolo dell’orgoglioso sradicamento dei<br />
gentili dalla radice ebraica.<br />
non c’è motivo di riprovare la posizione di giacomo o quella di<br />
Paolo. La loro coesistenza però poteva produrre dei conflitti. Questi<br />
vennero contenuti finché non accadde quell’evento terribile che i curatori<br />
dei nostri testi descrivono come una vera e propria Shoah, la<br />
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distruzione del tempio di gerusalemme, la dispersione del popolo<br />
ebraico e la strategia usata dai superstiti per conservarne l’identità di<br />
fede e di azione mediante la halakah, probabilmente l’unica strategia<br />
in grado di impedire la totale assimilazione dell’ebraismo nelle culture<br />
mondanamente vincenti.<br />
È molto verosimile che gesù abbia detto frasi come quelle contenute<br />
nei vangeli: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo<br />
che lo farà fruttificare (cf Mt 21, 43). Ma non è detto che l’interpretazione<br />
corretta di questo e di altri brani simili sia quella data dalla<br />
teologia della sostituzione. Anche i profeti di Israele, ammonendo,<br />
avevano detto cose terribili contro il popolo a cui appartenevano.<br />
A questo proposito fa impressione leggere i primi capitoli di Ezechiele:<br />
ti mando a un popolo di ribelli, testardi dal cuore indurito,<br />
genia di ribelli… (cf Ez 2). Alcuni antisemiti che si dicevano cristiani<br />
trovavano in essi più che nel nuovo testamento argomenti<br />
per disprezzare il popolo ebraico. Checché i critici pensino della divinità<br />
di gesù Cristo, si deduce dai vangeli che lui aveva una percezione<br />
chiara delle forze che operavano nell’ambiente ebraico in cui<br />
viveva: sapete leggere i segni del tempo atmosferico, possibile che<br />
non capite questo tempo? (cf Mt 16, 1-4); “Non piangete su di me,<br />
ma piangete su di voi e sui vostri figli (Lc 23, 28). Quando, però,<br />
lui faceva quelle ammonizioni e proferiva quelle minacce, lo faceva<br />
soffrendo, come dimostra il suo amaro pianto sulla città di gerusalemme<br />
(cf Lc 19, 41 e anche 23, 28). Nulla in lui della rivalsa sopra<br />
i suoi avversari che caratterizzerà l’atteggiamento di tanti cristiani<br />
verso gli ebrei e che shaùl-Paolo, in sintonia col maestro, percepisce<br />
come un enorme pericolo in Rom 9-11.<br />
5. che cosa significa parlare<br />
di antica e nuova alleanza<br />
se la primitiva alleanza<br />
non è stata mai revocata?<br />
Il testo fondamentale<br />
che parla di<br />
una nuova alleanza<br />
è ger 31, 31-33:<br />
“Ecco verranno<br />
giorni – oracolo del<br />
signore – nei quali<br />
con la casa di Israele e con la casa di giuda concluderò un’alleanza<br />
nuova. non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri,<br />
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quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza<br />
che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del<br />
signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa di Israele<br />
dopo quei giorni – oracolo del signore -: porrò la mia torah nel loro<br />
animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi<br />
saranno il mio popolo”.<br />
non c’è traccia qui della riprovazione di Israele come popolo e<br />
della sua sostituzione con altri popoli. Anzi c’è l’affermazione che<br />
Israele sarà confermato per l’eternità, superando tutte le sue resistenze.<br />
È vero che c’è una variazione nella traduzione di questo<br />
passo riportata dalla Lettera agli Ebrei, presa, sembra, dalla traduzione<br />
dei LXX, che direbbe “poiché essi non sono stati fedeli alla<br />
mia alleanza, anch’io non ebbi più cura di loro” 12 . Anche così, però,<br />
resta vero che Dio stipula la nuova alleanza col suo popolo e che<br />
questo sarà per sempre tale.<br />
La promessa della nuova Alleanza inscindibile e della torah nel<br />
cuore è la più grande promessa mai fatta da Dio all’uomo. Israele si<br />
caratterizza per il rapporto fra il Dio vivente e il popolo che sceglie<br />
per dargli vita, si caratterizza per una relazione viva fra Dio e il popolo,<br />
ma si caratterizza anche per una proiezione verso il futuro che<br />
è speranza e messianismo, attesa del Dio che viene, l’Emanuele. La<br />
promessa di una liberazione dall’oppressione di popoli stranieri, la<br />
promessa della terra, la promessa di una felicità comprensibile per<br />
un popolo oppresso ed affamato, si amplia con i profeti nella promessa<br />
di un’intimità fra Dio e il suo popolo. L’insegnamento paolino<br />
sull’alleanza mai revocata poggia su questa manifestazione di Dio<br />
tramite i profeti: l’iniziativa di salvezza dell’onnipotente non può<br />
essere vanificata dalla resistenza dei cuori duri. Dio è più potente<br />
dei cuori duri, il Creatore vince gli spiriti della morte. Questo non<br />
implica l’abolizione della libertà dell’uomo, perché la Torah viene<br />
infusa nell’interiorità, nel cuore, cioè nella parte più intima e propria<br />
della coscienza intelligente e libera. Facendo un grande salto, possiamo<br />
collegare questa profezia al modo con cui il teologo cattolico<br />
Balthasar interpreta l’affermazione neotestamentaria: Dio vuole che<br />
12 rimando alla spiegazione data da J. Svartvik nello studio citato: Reading<br />
the Epistle to the Hebrews…, cit., 81 ss.<br />
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tutti gli uomini siano salvi e giungano alla coscienza della verità<br />
(1Tim, 2, 4) e tante altre affermazioni analoghe, col pensiero che,<br />
mediante il desiderio e la preghiera di tutti, l’inferno possa essere<br />
svuotato 13 . La forza della Vita proveniente da Dio vincerà così i poteri<br />
di morte scatenati dalle deviazioni della libertà.<br />
si tratta di credere che il Dio Vivente c’è – quaggiù sulla terra,<br />
cioè nella storia dell’uomo - e non soltanto è lassù nel cielo, lontano<br />
dalla vita, come pensavano i deisti. si tratta di attuare il comando<br />
primo: ama il Dio Vivente. L’uomo ama Dio quando lo disseppellisce<br />
14 dal suo nascondimento, lo ingrandisce, per usare un termine<br />
veterotestamentario che entra nel cantico di maria, forse un po’ velato<br />
nella liturgia dal conservarne l’etimo latino: Magnifica. Dio fa<br />
crescere l’uomo nella misura in cui questi ingrandisce Dio. C’è una<br />
reciprocità dinamica fra il Dio vivente e l’Israele (l’uomo) vivente.<br />
Paolo vede un mistero in Israele che opera persino attraverso il<br />
velo e il rifiuto. La sua esclamazione sulla profondità della ricchezza,<br />
della sapienza e della scienza di Dio riguarda proprio il mistero di<br />
Israele col quale l’alleanza non viene mai revocata (cf Rom 11, 33).<br />
Come per Isaia, anche per lui il Regnare di Dio va ben al di là delle<br />
nostre vedute miopi (cf Is 55, 8-9; 40, 13-28). Per vari anni, tenendo<br />
presente soprattutto l’ebraismo strettamente rabbinico, ho pensato<br />
l’Alleanza mai revocata alla maniera di Rosenzweig. Questo uomo<br />
di Dio, vero profeta nel senso che annunciava la verità di Dio e anticipava<br />
il futuro, ha mostrato nei suoi scritti come ebrei e cristiani<br />
possono vivere e operare concordemente per il Regno di Dio sulla<br />
terra. scriveva all’amico Ehrenberg, commentando il passo di gv<br />
14, 6: “Nessuno viene al Padre – è però diverso se uno non ha più bisogno<br />
di venire al Padre, perché è già presso di lui. E questo è il caso<br />
del popolo d’Israele” 15 . sulla base di questa intuizione, Rosenzweig<br />
13 rimando in particolare e H. U. v. BaLTHaSar, Breve discorso sull’inferno,<br />
Queriniana, Brescia 1988.<br />
14 Questo termine molto significativo era caro a e. Hillesum. cf a. Lippi,<br />
Conoscere il Dio vivente con la figlia più vulnerabile del popolo più vulnerabile:<br />
Etty Hillesum, in SapCr XXiii (2008), 49-72.<br />
15 La lettera è riportata integralmente in f. rOSen ZWzweig, La Scrittura.<br />
Saggi dal 1914 al 1929, città nuova, roma 1991, 286-291, qui 288. vedi<br />
anche f. rosenzweig-e. rosenstock, La radice che porta. Lettere su ebraismo e<br />
cristianesimo, 16-17.<br />
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svilupperà la sua teologia della coesistenza fra ebraismo e cristianesimo<br />
e della reciproca implicazione che esporrà specialmente ne La<br />
Stella della Redenzione. senza dover riprodurre necessariamente il<br />
sistema di pensiero di Rosenzweig, il suo Neues Denken, pensavo<br />
che esso rappresentasse un ottimo tentativo di proporre una visione<br />
teologica nella quale ebrei e cristiani trovino un loro posto importante<br />
e onorevole.<br />
Poi un giorno lessi una frase, che è addirittura il titolo di una<br />
sezione di un’opera di David H. stern, che mi fece l’effetto di un<br />
pugno nello stomaco: Rifiutare o trascurare di portare il vangelo<br />
agli Ebrei è antisemita 16 . Approfondendo lo studio dell’ebraismo<br />
attuale rimasi impressionato dal numero di ebrei messianici che ci<br />
sono anche oggi. Ho pensato allora che l’ebraismo è una realtà assai<br />
più complessa di quella che viene presentata dal rabbinato e che essa<br />
va tenuta presente tutta. È, inoltre, una realtà misteriosa, dove tutto<br />
parte dall’iniziativa di Dio e ad essa ritorna.<br />
nella profezia<br />
6. la battaglia per la torah<br />
di geremia,<br />
come abbiamo<br />
visto, non c’è<br />
traccia dell’opposizione fra un popolo e un altro popolo, di una delimitazione<br />
che potremmo chiamare verticale. C’è, invece, la separazione<br />
fra chi viene preso dal Dio vivente e riceve l’ ‘infusione della<br />
torah nel cuore’ e chi non la riceve, una delimitazione orizzontale,<br />
che può verificarsi dovunque. C’è la passione per la Torah, che caratterizza<br />
il profetismo di Israele, la battaglia per la torah. Dentro<br />
questa battaglia per la Torah operano chiaramente la Didaché – traduzione<br />
esatta, come fanno osservare i due commentatori, del termine<br />
torah, ben più di quanto lo sia la parola Nomos, preferita dai<br />
LXX – e la Lettera di giacomo.<br />
I profeti lottano contro l’indifferenza verso Dio e la sua giustizia,<br />
l’idolatria che continuamente tenta Israele, ma anche l’ipocrisia per<br />
16 D. Stern, Ristabilire l’ebraicità del Vangelo. Un messaggio per i cristiani,<br />
ed. Beth-lehem, cremnago (cO), 2004, 71.<br />
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cui si crede di soddisfare la Divinità con le pratiche cultuali, trascurando<br />
la giustizia verso i fratelli più deboli, l’amore. In questo linea<br />
gesù lotta contro le ipocrisie, smascherandole. non è la battaglia a<br />
favore di un gruppo di credenti contro un altro, dove i gruppi sarebbero<br />
definiti con criteri cultuali, dottrinali o addirittura etnici, ma<br />
una battaglia a favore del Regno di Dio e del suo insegnamento. Possiamo<br />
oggi sperimentare, di fatto, che molte volte ci si ritrova con<br />
persone lontane dal proprio gruppo di appartenenza a lottare per la<br />
giustizia e la verità e si converge su persuasioni condivise, alle quali<br />
non sono sensibili, invece, altri membri del proprio gruppo di appartenenza.<br />
Bonhoeffer fece sulla sua propria pelle questa esperienza.<br />
La battaglia per la torah è la battaglia dei senza-potere contro i<br />
potenti della terra. I profeti del Dio vivente lottano con la sola arma<br />
della parola contro re, sacerdoti e falsi profeti. Prima di essere teologia<br />
della Croce, la forza della debolezza è teologia dei profeti di<br />
Israele, teologia della torah. Le potenze della terra si appoggiano<br />
sugli idoli delle genti, sono idolatriche. La fede poggia su Dio, sulla<br />
sua Paola, sulla sua promessa.<br />
I due documenti finora pubblicati da Cassuto Morselli e Maestri<br />
– La Didachè e la Lettera di giacomo - sono due testimonianze straordinarie<br />
della battaglia per la Torah. Dall’inizio alla fine lottano per<br />
la giustizia davanti a Dio, per la via della vita che si oppone alla via<br />
della morte, per una rettitudine del cuore – la torah nel cuore – che<br />
si tiene lontana da qualsiasi forma di ipocrisia. non si contentano<br />
delle apparenze. Vogliono veramente sradicare dai singoli e dalle comunità<br />
ogni astuzia demoniaca, ogni violenza, ogni approfittamento<br />
della propria superiorità. nel nome dell’Adon obbediente fino alla<br />
morte si propone ascolto, obbedienza ed anche autentica gioia.<br />
nel senso qui indicato, Paolo, più che essere, come viene descritto,<br />
un apostolo che ha sciolto i cristiani dalla torah, è un apostolo<br />
che – d’accordo con Pietro e giacomo, le colonne -, ha introdotto i<br />
gentili nella torah, senza farne, per questo, degli ebrei. Ha offerto il<br />
dono supremo della torah, che ha strutturato la stessa vita e morte<br />
di gesù, a coloro che non la conoscevano e non potevano goderne 17 .<br />
17 cf ad es. come rosenzweig esprime questa verità per quanto riguarda<br />
l’ingenuità propria del paganesimo antico: “Gli ebrei sono gli unici non-ingenui<br />
nel mondo dell’antichità, e perciò è senza dubbio il cristianesimo, in quanto<br />
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oggi la torah è là dove regna il Dio vivente, il Dio d’Israele, dove<br />
Dio non è dimenticato, ma disseppellito, come diceva Etty Hillesum,<br />
e dove di conseguenza regna l’amore, la giustizia, l’accoglienza, la<br />
cura dell’orfano, della vedova, dello straniero. gesù è Colui che si<br />
è reso conto che per la battaglia per la torah non bastava insegnare,<br />
ma bisognava sacrificarsi, cioè inverare tutti i sacrifici del tempio,<br />
l’alleanza nel sangue, attraverso la propria immolazione, come<br />
l’Israele santo è sempre chiamato a fare.<br />
Questa partecipazione della torah ai gentili diventa evidente se si<br />
riflette a come si sono dileguate di fronte all’annuncio ebraico-cristiano<br />
le religioni del mediterraneo e del nord Europa. Esse hanno<br />
perso stima in una maniera tale che a nulla sono valse le nostalgie<br />
di uomini come Rutilio namanziano o i tentativi di rivitalizzazione<br />
di uomini come giuliano l’Apostata. Per comprendere la portata di<br />
questa vittoria, però, bisogna decostruirla, riprendendo coscienza di<br />
ciò che significava quella religione per la cultura e la società del<br />
tempo. La religione politeista e idolatrica era il fondamento di quella<br />
cultura e di quella società. non era del tutto stupido considerare ebrei<br />
e cristiani empi in quanto proponevano di abbattere quella pietas<br />
verso gli dèi che era il fondamento dell’etica sociale. I miti culturali<br />
sono miti fondanti. Con la vittoria del cristianesimo, di fatto, la<br />
fondazione mitologica pagana è stata sostituita da una fondazione<br />
mitologica proveniente dalla cultura ebraica. Figure come quelle di<br />
Adamo ed Eva, Caino e Abele, Noè e i suoi figli, Abramo, Isacco,<br />
giacobbe, i profeti e certamente gesù, maria, gli apostoli, i martiri,<br />
hanno sostituito le mitologie pagane privandole del loro ruolo di fondazione<br />
della coesione sociale.<br />
Certamente gli ebrei rabbinici possono trovare dei difetti in<br />
questa accoglienza della torah da parte delle genti. ma loro stessi<br />
dovranno riconoscere che la tesi fondamentale della torah viene accolta:<br />
il rifiuto delle idolatrie, intese anche in senso profondo, oltre il<br />
semplice rifiuto delle immagini, l’adorazione del Dio unico che non<br />
è, come spesso si dice, la semplice sostituzione del politeismo col<br />
monoteismo (questi termini appartengono ancora all’ambito della<br />
toglie a questo mondo dell’antichità la spregiudicatezza del suo pou stw, a costituire<br />
una ‘giudaizzazione dei pagani’” (f. rOSenZWeiG- e. rOSenSTOcK,<br />
La radice che porta, Marietti, Genova 1992, 108).<br />
sacra scrittura<br />
Ritrovare Il primitivo<br />
ebraismo messianico<br />
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sacra<br />
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sacra scrittura<br />
Adolfo lippi cp<br />
SapCr XXVII<br />
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sacra<br />
164<br />
scrittura<br />
ontoteologia), ma l’accoglienza del Dio vivente e, più esattamente<br />
ancora, del Dio di Israele, quel Dio al quale il rabbino Emil Fackenheim<br />
fa dire rivolto a Israele: “se voi non siete il mio popolo, io, per<br />
così dire, in quanto possibile, non sono più Dio” 18 .<br />
La passione per il Regno di Dio e la torah è espressa da gesù di<br />
nazareth nella prima parte della sua preghiera del Padre nostro: la<br />
santificazione del Nome, il Regno di Dio, la volontà del Padre, questo<br />
era tutto nella mente e nella vita di gesù di nazareth e questo desiderava<br />
che fosse nei suoi discepoli, tutti. Per questo sacrificava se stesso,<br />
totalmente perduto nel Dio vivente, Padre di Israele, Padre suo che per<br />
mezzo di Lui sarebbe diventato Padre per tutti gli uomini.<br />
7. il senso della parola<br />
conversione<br />
Cassuto morselli<br />
e maestri,<br />
perciò, come<br />
molti altri, trovano inadatta<br />
la parola conversione<br />
per parlare della<br />
trasformazione che fece di shaul un credente nel messia gesù. Paolo<br />
non ha lasciato niente della sua fede nel Dio vivente di Israele. non ha<br />
diminuito, ma aumentato la sua devozione e dedizione. Diversi altri<br />
ebrei, tra i quali Edith stein e il cardinal Lustiger hanno affermato che<br />
la fede nel messia gesù non implicava l’abbandono della propria fede<br />
ebraica 19 . Purtroppo, con la teologia della sostituzione si arrivava a<br />
pensare la fede ebraica come empietà e si esigevano atti di ripudio, a<br />
volte anche banali e veramente offensivi. Veniva a mancare anche il<br />
rispetto della buona coscienza che tuttavia poi, nella Morale, si definiva<br />
l’ultimo giudizio pratico per l’azione da compiere. Ricordo qui il<br />
grande insegnamento dato da Newman sulla coscienza. Se si riflettesse<br />
sul valore che ha la coscienza come la più autentica partecipazione a<br />
ciò che Dio stesso è, non sarebbe difficile la pace fra le religioni, che<br />
è condizione della pace fra i popoli. La mancanza del rispetto della<br />
18 i e. facKenHeiM, Judaïsme au présent, Michel, paris 1992, 395-398.<br />
19 È noto che il cardinal Lustiger volle che prima del rito cristiano delle sue<br />
esequie svoltosi nella cattedrale di notre Dame, si recitasse, all’esterno, il kaddish<br />
ebraico.<br />
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coscienza manifesta un’ignoranza non sempre innocente perché frutto<br />
della pigrizia mentale che rifiuta lo studio ed è certamente una controtestimonianza,<br />
che allontana tante persone dal culto a Dio e dalle pratiche<br />
della propria religione.<br />
Newman è anche un testimone della difficoltà di quella che era<br />
chiamata conversione, termine che anche nel suo caso sarebbe stato<br />
meglio non usare, trattandosi del passaggio da una chiesa cristiana<br />
ad un’altra. La esprime particolarmente nel romanzo autobiografico<br />
Loss and Gain 20 . ogni religione o appartenenza è anzitutto fedeltà<br />
alla paternità, esercizio di figliolanza, la passività della quale parlava<br />
Lévinas, che fonda l’efficacia di ogni attività. Shaùl-Paolo non rinnegò<br />
affatto la paternità della Rivelazione ebraico-biblica.<br />
8. l’albero porta in se stesso<br />
e restituisce il seme<br />
da cui è nato<br />
lismocriL’universastianosradicato dalla dottrina e<br />
dall’esperienza dell’elezione<br />
di Israele e<br />
professato come una<br />
dottrina teoretica, insieme con l’inculturazione della Rivelazione<br />
ebraica nell’Ellenismo, hanno condotto al vicolo cieco della cultura<br />
illuminista e deista, che pervade tutto l’Occidente e influisce su tutti<br />
noi, non escluso lo scrivente. È necessario riscoprire le radici ebraiche<br />
della fede, riflettendo sopra una storia nella quale si esprime, non senza<br />
immani sacrifici, l’Alleanza mai revocata né revocabile.<br />
C’è un Israele santo all’interno della cristianità, l’Israele di Dio di<br />
cui parla Paolo (Gal 6, 16), che non permette che il cristianesimo si<br />
riduca a gnosticismo (Buber) o anche a istituzione e dottrina. È l’Israele<br />
spesso non compreso non soltanto all’esterno ma a volte anche<br />
all’interno della Chiesa, spesso perseguitato. La cristianità istituzionalizzata<br />
e dottrinalmente definita, beneficia di questo Israele santo<br />
ed è per questo che la sua vitalità sempre si rinnova, non si esaurisce,<br />
20 Trad. ital. J. H. neWMan,, Perdita e guadagno, Jaka Book, Milano<br />
1996.<br />
sacra scrittura<br />
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sacra<br />
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sacra<br />
166<br />
scrittura<br />
non diventa vecchia così che stia per morire. È l’Israele che non<br />
prega per sé, non desidera qualcosa per sé (Leibovitz), ma prega<br />
per Dio, come nella prima parte del Padre nostro, desidera per Dio<br />
e basta. L’Israele della fede, del rapporto mistico con Dio e del sacerdozio<br />
secondo l’ordine di Melchisedech, senza padre né madre,<br />
senza interessi da custodire.<br />
sarà ancora Rosenzweig a esprimere bene il contenuto di questo<br />
pensiero, avendo la precauzione di liberarlo dalle rigidità legate<br />
all’epoca dei nazionalismi esacerbati ed anche alla polemica tra lui e<br />
l’ebreo convertito Rosenstock:<br />
“Così il cristianesimo come potenza che riempie il mondo (secondo<br />
le parole di uno dei due esponenti della Scolastica, Yehudah<br />
ha-Levy: l’albero che cresce dal seme dell’ebraismo e fa ombra su<br />
tutta la terra, ma il suo frutto conterrà di nuovo il seme di cui nessuno<br />
però, vedendo l’albero, seppe accorgersi) è un dogma ebraico tanto<br />
quanto l’ebraismo come ostinata origine ed ultimo dei convertiti, è<br />
un dogma cristiano” 21 .<br />
9. conclusione: una liturgia<br />
adeguata alla concezione<br />
dell’alleanza mai revocata<br />
si lamenta a volte<br />
che nella liturgia<br />
ci siano ancora<br />
vestigia della teologia<br />
della sostituzione. sarà<br />
bene toglierle quando<br />
è possibile. Ma perché<br />
non pensare a inserire testi che esprimano in positivo la concezione<br />
dell’Alleanza mai revocata, che sfaterebbero automaticamente le<br />
paure? Se, ad esempio, si prega per la Chiesa sacramento di salvezza<br />
per l’umanità, non si potrebbe fare qualcosa di simile per Israele? L’abolizione<br />
della festa della Circoncisione, celebrata dalla più remota<br />
antichità, a parte il fatto che non è stata gradita, ovviamente, dai fratelli<br />
ebrei, non sembra di valore positivo neanche per noi cristiani. L’approfondimento<br />
del significato del berit-milah per l’Alleanza stipulata da<br />
21 f. rOSenZWeiG- e. rOSenSTOcK, La radice che porta. Lettere su<br />
ebraismo e cristianesimo, Marietti, Genova 1992, 90.<br />
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Dio con Abramo, radice di ogni altra Rivelazione ed Alleanza, rompe<br />
veramente la tirannia del piatto egualitarismo illuminista 22 . Da parte<br />
ebraica, auspicava qualcosa del genere, cioè la reciprocità dell’autentica<br />
preghiera che sale al Dio vivente, quell’altro uomo di Dio che fu<br />
Abraham Joshua Heschel, scrivendo: “Nessuna religione è un’isola.<br />
siamo coinvolti l’uno con l’altro. Il tradimento da parte di uno di noi<br />
si ripercuote sulla fede di noi tutti. non dovremmo pregare ognuno per<br />
la salute dell’altro e aiutarci reciprocamente a preservare la rispettiva<br />
eredità, preservando un’eredità comune?” 23 .<br />
In una concezione della fede per cui non ci si limita a rispettare<br />
l’altro, ma si vuole andare oltre, arrivando ad avere cura dell’altro in<br />
quanto altro, concezione che è al fondo di tutta la tradizione ebraicocristiana,<br />
ci si preoccupa della fedeltà dell’altro alla propria vocazione<br />
come ci si preoccupa della nostra.<br />
Quale è il posto della teologia della Croce – oggetto di ricerca di<br />
questa rivista - in questo discorso? C’è anzitutto il problema sollevato<br />
dalla stessa parola Croce-Stauròs. Lévinas fa osservare, quasi<br />
con rammarico, che purtroppo il segno della Croce era legato ai peggiori<br />
fra i ricordi dell’ebreo. Lui stesso, però, parla - lì come altrove<br />
- dell’esperienza della carità cristiana durante la Shoah e della vicinanza<br />
fra il concetto cristiano della kenosi e la sensibilità ebraica 24 .<br />
Chi sa leggere in profondità trova che l’immagine kenotica di Dio e<br />
la teologia della Croce sono presenti dappertutto nel discorso che ho<br />
fatto. Basta ricordare che la battaglia per la torah è la battaglia dei<br />
senza-potere contro i potenti della terra. ma l’insieme del discorso<br />
evidenzia che la Croce viene svuotata quando si sceglie la strada<br />
della contrapposizioni dei gruppi e dei poteri, radice di ogni specie<br />
di violenza. Alla base di tutto questo c’è la paura, la preoccupazione<br />
di sé, la paura della morte che è potere di Satana, l’oppressore (cf Eb<br />
2, 14-15). Noi crediamo che una morte ha distrutto da dentro questo<br />
22 cf ad es. lo studio di a. BUcKenMaier, Abramo padre dei credenti,<br />
Marietti 1820, Genova-Milano 2011, 64 ss. cita dallo Zoar: “finché israele<br />
mantiene la tradizione della circoncisione, i cieli e la Terra proseguiranno nel<br />
loro cammino ordinato, ma se israele trascurerà la sua alleanza, i cieli e la<br />
Terra saranno distrutti” (67).<br />
23 riportato da n. Ben HOrin, in Nuovi orizzonti fra ebrei e cristiani, Messaggero,<br />
padova 2011, 78.<br />
24 cf e. LevinaS, Nell’ora delle nazioni, Jaca Book, Milano 2000, 190-191.<br />
sacra scrittura<br />
Ritrovare Il primitivo<br />
ebraismo messianico<br />
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scrittura<br />
potere della paura ed è questo il tema di tutta la Lettera agli Ebrei.<br />
I sacrifici del tempio non appartengono a uno stadio ormai superato<br />
della vita di Israele. Restano come Eucaristia, ma questo è un tema<br />
che spero di trattare quando marco Cassuto morselli e gabriella maestri<br />
avranno concluso il loro studio sulla Lettera agli Ebrei.<br />
Ancora Lévinas scriveva di aver pensato che la vera Eucaristia sta<br />
nell’incontro con altri – gli ultimi - piuttosto che nel pane e nel vino<br />
(e cita Mt 25) 25 . Ma, anche qui, nel fondo, non c’è differenza, purché<br />
si tenga presente quanto insegna Benedetto XVI: che l’Eucaristia si<br />
riceve degnamente quando si diventa a nostra volta Eucaristia - pane<br />
che viene mangiato - per gli altri. non c’è Eucaristia senza Croce.<br />
L’Eucaristia non è fede in una trasformazione metafisica e quasi magica<br />
o in una presenza di Dio in certi oggetti corporei, ma è fede in<br />
un Dio che essendo, nel suo mistero profondo, agàpe cioè dono, si dà<br />
in cibo. Questo è il senso sociale dell’Eucaristia, non un corollario,<br />
ma un senso intrinseco. “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di<br />
gesù. noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato,<br />
ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione” 26 .<br />
Concludo questo discorso tornando a come Cassuto morseli e<br />
maestri traducono – o ritraducono - l’intervento di giacomo al cosiddetto<br />
Concilio di gerusalemme, narrato dagli Atti degli Apostoli.<br />
Queste parole possono offrirci il senso primordiale, sorgivo e vitale,<br />
dell’espandersi della Torah verso i gentili:<br />
“Fratelli, ascoltatemi. Shimon ha narrato come all’inizio D. ha avuto<br />
cura di scegliersi fra i goyim un popolo consacrato al suo nome. Con ciò<br />
concordano le parole dei Neviim, come sta scritto: ‘Dopo di ciò ritornerò<br />
e ricostruirò la capanna di David che è caduta, ricostruirò le sue rovine e<br />
la rialzerò, affinché gli altri uomini cerchino Ha-Shem e tutti i goyim che<br />
portano (sui quali è stato invocato) il mio Nome’. Così dice Ha-Shem<br />
che fa queste cose conosciute dai tempi antichi” (At 15, 13-18).<br />
Adolfo Lippi cp<br />
adolfolippi@libero.it<br />
25 Ibidem, 190.<br />
26 BeneDeTTO Xvi, Deus caritas est, 13, cf anche ib., 14-18; Sacramentum<br />
caritatis, 14-15, e altrove.<br />
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Ritrovare il primitivo ebraismo messianico<br />
ItA<br />
di Adolfo Lippi, cp<br />
Partendo da due pubblicazioni di marco Cassuto morselli e di gabriella<br />
maestri, l’autore, che ha già pubblicato molti articoli sull’ebraismo<br />
e i suoi rapporti con la cristianità, offre alcune sue riflessioni<br />
sull’argomento e sullo stato di questi studi negli ultimi anni, come<br />
propria personale ricerca e invito alla ricerca di altri.<br />
Retrouver le premier hébraïsme messianique<br />
fRA<br />
de Adolfo Lippi, cp<br />
Partant de deux publications de marco Cassuto morselli et de gabriella<br />
Maestri, l’auteur, qui a déjà publié de nombreux articles sur<br />
l’hébraïsme et ses rapports avec la christianité, offre quelques-unes<br />
de ses réflexions sur le thème et sur l’état de ces études entreprises<br />
ces dernières années comme recherche personnelle propre ; il invite<br />
à poursuivre cette recherche.<br />
EnG<br />
Finding the Primitive Messianic Judaism<br />
Adolfo Lippi, cp<br />
Using two publications by Cassuto marco morselli and gabriella<br />
Masters, the author – who has published many articles on Judaism<br />
and its rapport with <strong>Christi</strong>anity – offers some of his reflections on<br />
the status of these studies in recent years, as their own personal research<br />
and invitation in search of others.<br />
Reencontrar el primitivo ebraísmo mesiánico.<br />
SPA<br />
de Adolfo Lippi, cp<br />
Partiendo de dos publicaciones de marco Cassuto morselli y de<br />
gabriella maestri, el autor, que ya ha publicado muchos artículos<br />
sobre el ebraísmo y su relación con la cristiandad, ofrece algunas<br />
reflexiones suyas sobre el argumento y sobre el estado de estos estudios<br />
en los últimos años, como búsqueda personal propia e invitación<br />
a otros a la investigación.<br />
sacra scrittura<br />
Ritrovare Il primitivo<br />
ebraismo messianico<br />
149-170<br />
sacra<br />
169<br />
scrittura<br />
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Adolfo lippi cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
170<br />
scrittura<br />
Odnaleźć pierwotny hebraizm mesjański<br />
Pol<br />
Adolfo Lippi CP<br />
Opierając się na dwóch publikacjach Marca Cassuto Morselliego<br />
i Gabrielli Maestri, autor, który opublikował już wiele artykułów o<br />
hebraizmie i jego relacjach z chrześcijaństwem, przedstawia kilka<br />
refleksji na temat studiów nad tą problematyką i o ich stanie. Jest<br />
to owoc jego badań własnych i zaproszenie do innych by podjęli<br />
podobny wysiłek.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 170 04/02/13 09:39
Premessa<br />
anGeLa Maria LUpO cp<br />
nel nostro mondo, desacralizzato e secolarizzato,<br />
sembra che non ci sia più posto per Dio e perciò essere<br />
credente o non credente non sarebbe un affare<br />
importante, conterebbe poco, dal momento che la<br />
cultura contemporanea non si erge più contro Dio<br />
ma modella un’umanità senza Dio. tuttavia, mentre<br />
l’uomo distoglie il suo sguardo da Dio e si ripiega su<br />
se stesso e sulle cose, Dio invece non allontana mai il suo sguardo<br />
dall’uomo, è sempre presente a lui e la sua presenza si manifesta in<br />
quell’offrirsi che è Lui stesso.<br />
Dio continuerà sempre a sconvolgere l’uomo di ogni tempo e<br />
a svegliarlo dal suo letargo, poiché Egli non cesserà mai di essere<br />
coinvolto nelle vicende umane. Paradossalmente possiamo dire che,<br />
mentre si può pensare all’uomo senza far riferimento a Dio, dire Dio<br />
significa invece parlare anche dell’uomo: non si può speculare su<br />
Dio, pensare a Dio escludendo l’uomo, dal momento che Dio non<br />
solo è entrato nella nostra storia ma nel suo manifestarsi è sempre<br />
il Dio di qualcuno, di Abramo, di Isacco, di giacobbe, di mosè, del<br />
popolo...<br />
Partendo dall’affermazione di Ugo di san Vittore: «Ubi amor, ibi<br />
oculos» 1 , per cui l’amore è occhio e amare è vedere, considereremo,<br />
alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, che Yhwh, fin dalle<br />
1 Benjamin minor 13: pL 196, 10a-B.<br />
sacra scrittura<br />
l’EssErci<br />
dEll’aMorE<br />
cHE VEdE<br />
L’esserci dell’amore<br />
che vede<br />
171-195<br />
sacra<br />
171<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
AngelA mAriA lupo cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
172<br />
scrittura<br />
prime pagine della Bibbia è Colui che vede e che apre gli occhi degli<br />
uomini affinché questi possano comprendere chiaramente la realtà 2 .<br />
Il primo racconto della creazione ci segnala che il vedere di Dio<br />
fonda la bontà insita nel creato, cioè la sua rispondenza allo scopo<br />
per cui ogni cosa è stata creata e il suo senso intrinseco: «… e Dio<br />
vide che era cosa buona» 3 ; allora, come scriveva il cardinale Cusano,<br />
si può dire che «l’essere della creatura è il tuo vedere e l’essere visto<br />
insieme» 4 .<br />
nella Bibbia ebraica per esprimere il vedere è utilizzata soprattutto<br />
la radice r’h che compare 1303 volte; a differenza di altri verbi<br />
che si riferiscono alla percezione visiva, «rā’â descrive l’esperienza<br />
del vedere come una totalità nella quale sensazione e percezione si<br />
fondono in una sola unità» 5 . Il «vedere» di Dio traduce, in maniera<br />
molto originale, la sua realtà più profonda, il suo essere Amore, cioè<br />
Colui vedendo una realtà che opprime il giusto, vedendo l’afflizione,<br />
penetra nelle ferite dell’uomo, le assume e le trasforma, facendone<br />
l’epifania del suo amore.<br />
Alla luce di alcuni testi del libro dell’Esodo considereremo che<br />
il Dio-Amore presentato nell’At è una realtà che avviene e che<br />
manifesta la verità di Sé in rapporto con l’uomo in un infinito darsi<br />
che crea uno spazio proprio, lo spazio della libertà, che suscita la<br />
risposta umana. L’’ehyeh che si rivela a mosè è il Dio-Amore che si<br />
fa vicino, che crea una relazione di alleanza, che vede e interviene<br />
a favore di chi è oppresso, perché è proprio dell’amore di Dio identificarsi<br />
con l’amato. La certezza che l’amore «vedente» di Dio non<br />
finirà mai è ben espressa dal profeta Isaia: «Nel riversarsi dell’ira,<br />
per un istante ho nascosto il mio volto da te ma per amore eterno<br />
ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il signore… sì, i monti<br />
verranno meno e le colline vacilleranno, ma la mia carità non verrà<br />
meno e il mio patto di pace non vacillerà» (Is 54,8.10).<br />
Alla fine della presente riflessione potremo affermare che proprio<br />
in forza del vedere di Dio, le diverse vicende storiche sono cariche<br />
2 cf Gen 21,9; 2re 6,17.20; pv 20,12.<br />
3 cf Gen 1,4.10.12.18.21.25.31.<br />
4 N. CusaNo, Opere filosofiche, Torino 1972, 564.<br />
5 H.-F. FuHs, «rā’â», in Grande Lessico dell’Antico Testamento, viii, paideia,<br />
Brescia 2008, 69.<br />
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di un profondo significato salvifico, perché chi ama vede e rende<br />
visibile il suo amore intervenendo. Protetto dall’occhio misericordioso<br />
del signore, ogni uomo non solo è chiamato a volgere il suo<br />
sguardo verso di Lui per invocare protezione e salvezza: «… tengo<br />
i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede»<br />
(Sl 25,15); «… a te, Signore, mio Dio, sono rivolti i miei occhi, in<br />
te mi rifugio, proteggi la mia vita» (Sl 141,8); «… gli occhi di tutti<br />
sono rivolti a te in attesa e tu provvedi loro il cibo a suo tempo» (Sl<br />
156,15); ciascuno deve essere altresì prolungamento dello sguardo<br />
amante del signore facendosi carico delle debolezze altrui.<br />
nei testi<br />
dell’At il<br />
vedere di<br />
Dio è espresso con il<br />
verbo rā’â ed è un processo complesso, un antropomorfismo che<br />
accentua la sua conoscenza universale e implica un suo intervento<br />
che fa percepire la sua presenza; ricorre come motivo costante nella<br />
preghiera e nella lamentazione6 , nella lode e nel ringraziamento7 e<br />
come promessa divina8 .<br />
mentre l’empio pensa: «Il signore non mi vede affatto» 9 1. Yhwh è un dio che vede<br />
, Dio<br />
invece vede tutti gli uomini, vede l’ingiustizia, l’oppressione, l’idolatria.<br />
Dio si rende perfettamente conto delle trasgressioni di un<br />
individuo o del popolo. Dinanzi alla dichiarazione di gen 6,3: «… il<br />
signore vide che la malvagità degli uomini era grande», che motiva<br />
la decisione di Dio di annientare l’umanità, la corruzione dell’uomo<br />
è la causa del suo profondo dolore (Gen 6,5). Dio vede il sangue di<br />
Nabot (2Re 9,26), gli abomini commessi a Betel (Os 6,10), gli obbrobri<br />
tra i profeti di Samaria (Ger 23,13ss), l’impurità di Israele (Ez<br />
23,13; cf. Dt 23,15), le sue abominazioni sulle colline e nei campi<br />
(Ger 13,27), l’oltraggio dei suoi figli e delle sue figlie (Dt 32,19),<br />
6 1Sam 1,11; 2Sam 16,12; Sl 10,14; 25,18.19; 59,5; 119,153.<br />
7 Sl 9,14; 31,8.<br />
8 Gen 31,12; 2re 20,5; is 38,5.<br />
9 Sl 10,11; 94,7; Gb 22,14; Ger 12,4.<br />
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L’esserci dell’amore<br />
che vede<br />
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che «non c’è più giustizia» e nessuno interviene (Is 59,15ss), e tutte<br />
queste realtà determinano la sofferenza di Dio. nel suo giudizio Dio<br />
stesso soffre: «Dio mandò un angelo in gerusalemme per sterminarla;<br />
mentre Egli stava per sterminarla, il Signore volse lo sguardo<br />
e si pentì della sciagura minacciata» (1Cr 21,15).<br />
talvolta il vedere di Dio è legato alla nascita di un bambino: «Il<br />
signore vide che Lia era trascurata e aprì il suo grembo, mentre<br />
Rachele fu sterile. Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò<br />
Ruben, perché disse: “Il Signore ha guardato la mia afflizione; ora<br />
mio marito mi amerà”» (Gen 29,31-32). Anche in Gen 22,8 il nome<br />
Yhwh jr’h è la risposta di Abramo al figlio Isacco che gli chiedeva<br />
dove fosse l’agnello per l’olocausto: «Dio vedrà per sé l’agnello per<br />
il suo sacrificio»; e alla fine del racconto, nel v. 14 leggiamo che<br />
«Abramo chiamò quel luogo: “Il Signore vede”, perciò oggi si dice:<br />
“Il Signore si è fatto vedere”». Il Signore vede (all’attivo), il Signore<br />
si è fatto vedere (al passivo). Che cosa il Signore vede? L’obbedienza<br />
di Abramo? Come nel contempo si può dire che Dio si è fatto<br />
vedere? La duplice affermazione non può che insinuare una cosa di<br />
grande importanza: lo scopo della prova di Abramo non è soltanto<br />
che «Dio vede», ma che «Dio si è rivelato» ad Abramo, si è manifestato<br />
a lui indicandogli come vivere la sua paternità.<br />
L’occhio scrutatore di Dio riconosce chi tra gli uomini possa sostituire<br />
il re Saul e tra i figli di Iesse «ha visto Davide come re»<br />
(1Sam 16,1; cf. 2Re 8,13). La stessa storia della salvezza comincia<br />
con la promessa di Dio che è pronto a intervenir dopo aver visto<br />
l’afflizione del suo popolo in Egitto (cf. Es 3,7.9).<br />
Considereremo che l’atto del vedere in Dio è espressione del suo<br />
infinito ed eterno amore, poiché in esso non sono inclusi soltanto<br />
il processo della riflessione e della decisione; il vedere non sottintende<br />
solo il rendersi conto, il valutare, ma implica anche gli affetti<br />
emotivi, la partecipazione e il dolore, dal momento che le viscere di<br />
Dio si commuovono per la miseria e l’oppressione del suo popolo:<br />
«Guardò (ar>Y:w:) nell’angustia a essi, quando udì il loro grido; si ricordò<br />
del suo patto con loro e nella sua gran misericordia si pentì»<br />
(Sl 106,44-45).<br />
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1.1. L’intervento decisivo di Dio (Es 2,23-25)<br />
I primi capitoli del libro dell’Esodo ci presentano il volto di un<br />
Dio diverso non soltanto dalle divinità egiziane ma anche dalle divinità<br />
degli altri popoli: un Dio che, pur non essendo rappresentato<br />
con caratteristiche umane e nonostante sieda in alto, osserva tutto sin<br />
nel profondo (cf. Sl 113,6), fino ai confini della terra (cf. Gb 28,24) e<br />
nessuno può nascondersi al suo sguardo (cf. Ger 23,24). Yhwh è un<br />
dio che raccoglie il grido di coloro che soffrono avendo l’orecchio<br />
teso e l’occhio vigile e quando vede il bisogno e la miseria, la sua<br />
percezione coincide con la sua compassione, cosicché l’aiuto e il<br />
bisogno vengono subito soddisfatti 10 .<br />
Dio è l’esserci, presenza dentro la storia umana che si prende cura<br />
dell’uomo. tutto ciò emergerà chiaramente dalla lettura del testo di<br />
Es 2,23-25 11 :<br />
23Dopo un lungo tempo il re d’Egitto morì. gli israeliti gemevano sotto la<br />
schiavitù e gridavano per essere aiutati, e le loro grida sotto la schiavitù<br />
arrivarono a Dio. 24Dio udì i loro gemiti e Dio si ricordò del suo patto con<br />
Abramo, Isacco e giacobbe. 25E Dio vide gli israeliti e Dio ne prese cura<br />
(~yhil{a/ [d;YEw: laer’f.yI ynEB.-ta, ~yhil{a/ ar>Y:w:).<br />
Il grido degli israeliti, che segnala un atto di querela da parte di<br />
Israele contro l’Egitto, giunge fino a Dio 12 . si tratta del grido dell’oppresso,<br />
dello schiavo, un grido inarticolato che si alza senza una direzione<br />
ben precisa verso la quale rivolgersi. Eppure Dio lo ascolta,<br />
perché Egli non ha dimenticato la sua fedeltà ai padri ma si ricorda<br />
del giuramento fatto ai patriarchi (cf. Gen 17), cioè si ricorda del<br />
legame in virtù del quale si sente obbligato ad agire in favore del suo<br />
10 L’atteggiamento di Dio che ascolta il grido di israele in egitto è ricordato<br />
in nm 20,16; Dt 26,7; ne 9,9, nei tre piccoli «credo» storici. in altre occasioni<br />
Dio promette di ascoltare il grido delle vittime dell’ingiustizia: es 22,22.26; 2cr<br />
20,9; ne 9,27-28; Sl 34,18; Gb 27,9; is 30,9.<br />
11 per l’analisi minuziosa delle varie tappe di formazione del testo vd. P.<br />
Weimar, Die Berufung des Moses. Literaturwissenschaftliche Analyse von Exodus<br />
2,23-5,5, freiburg 1980.<br />
12 cf P. Bovati, Ristabilire la giustizia. Procedure, vocabolario, orientamenti<br />
(anBib 110), piB, roma 1986, 289-290.<br />
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popolo, della b e rît con Abramo, Isacco e giacobbe che stabilisce un<br />
legame giuridico fra i contraenti e Dio, e lo vincola al suo popolo.<br />
Nel v. 25 leggiamo che Dio «vide e conobbe»: dopo aver sentito<br />
il grido del popolo, Dio inizia l’indagine 13 . I verbi r’h e yd‘ si trovano<br />
spesso insieme in contesti giuridici per descrivere queste due<br />
operazioni del giudice che precedono la discussione e la sentenza 14 .<br />
Il vedere implica il muoversi con amabilità verso l’altro che è nel<br />
bisogno 15 : si tratta di controllare, verificare, rendersi conto e arrivare<br />
alla conclusione 16 .<br />
2. l’amore sofferto di dio<br />
nell’apparizione a Mosè<br />
(Es 3,1-6)<br />
Chi ama soffre<br />
per l’amato e<br />
vuole sostituirsi<br />
all’amato nella<br />
sofferenza che questi<br />
patisce. tale è l’amore<br />
di Dio per il suo po-<br />
polo, un amore che soffre, poiché Dio non è indifferente alle sofferenze<br />
umane ma partecipa in prima persona a ogni dolore delle sue<br />
creature. Come si può intendere il soffrire di Dio per l’uomo? Come<br />
partecipa Egli alla sofferenza di chi soffre? La vocazione di Mosè è<br />
13 Ibid., 292: «Questo “grido” non è solo uno sfogo personale o la semplice<br />
reazione istintiva alla sofferenza: esso è essenzialmente rivolto a qualcuno<br />
(’el…), e chiede di essere ascoltato in nome del diritto».<br />
14 cf P. Bovati, Ristabilire la giustizia, o.c., 58-59. vedi i testi di Gn 18,21;<br />
Lv 5,1; Ger 2,23; 5,1; 1Sam 12,17; 14,38; 23,22-23; 1re 20,7; 2re 5,7; is<br />
29,15; 41,20.<br />
15 G. azou, Dalla servitù al servizio. Il libro dell’Esodo, Dehoniane, Bologna<br />
1975, 108: «Dire che Dio “guarda” è manifestare che egli entra in rapporto,<br />
che il suo sguardo è attivo e che si prende tutto a carico».<br />
16 F. miCHaeli, Le livre de l’Exode, Delachaux et niestlé, paris 1974, 401:<br />
«Le texte dit exactement: Dieu regarda le fils d’Israël et Dieu connut… plutôt que<br />
d’imaginer un ou plusieurs mots qui auraient disparu du texte, le sens théologique<br />
du verbe connaître en hébreu donne ici une possibilité d’interprétation<br />
très riche: connaître, c’est reconnaître l’existence de l’autre, c’est lui apporter<br />
son soin, c’est se lier à lui, l’aimer, lui être attaché totalement, c’est parce que<br />
Dieu a entendu la souffrance de son peuple, parce qu’il l’a vue, et parce qu’il<br />
se souvient de son alliance, qu’il met maintenant à exécution son projet de<br />
libération. eu tout cela s’exprime la connaissance que Dieu a de son peuple».<br />
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la risposta concreta di Dio all’appello del suo popolo e la partecipazione<br />
al grido di quanti erano oppressi dall’Egitto:<br />
3,1 mentre mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote<br />
di madian: condusse il gregge oltre il deserto e arrivò al monte di Dio,<br />
l’oreb. 2Gli apparve l’angelo di Yhwh (hA’hy> %a;l.m; ar’YEw:) come una fiamma di<br />
fuoco, in mezzo ad un roveto. E vide (ar>Y:w:), ed ecco che il roveto bruciava<br />
nel fuoco, ma il roveto non era divorato. 3E mosè disse: «Voglio spostarmi<br />
per vedere questa visione (ldoG”h; ha,r>M;h;-ta, ha,r>a,w> aN”-hr’sua’): perché mai il roveto<br />
non si consuma». 4Yhwh vide (hw”hy> ar>Y:w:) che si era spostato per vedere<br />
(tAar>li), e lo chiamò dal mezzo del roveto e disse: «mosè, mosè!». Disse:<br />
«Eccomi!». 5Disse: «Non avvicinarti: togliti i sandali dai tuoi piedi, perché<br />
il luogo sul quale stai è suolo santo». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre,<br />
Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di giacobbe». mosè si coprì allora il<br />
volto perché temeva di guardare Dio (~yhil{a/h’-la, jyBih;me arey” yKi wyn”P’ hv,mo rTes.Y:w:).<br />
tale brano si trova inserito nella sezione che inizia in Es 2,23 con<br />
la morte del faraone, che annuncia l’inizio di una nuova era 17 , e si<br />
conclude in 4,17 perché il versetto seguente introduce un cambiamento<br />
di luogo: mosè lascia la zona dell’apparizione divina per tornare<br />
in Egitto dove ritrova suo suocero 18 . I vv. 1-6 sono strettamente<br />
collegati con quelli di Es 2,11-14 dove mosè prende per la prima<br />
volta l’iniziativa di aiutare il suo popolo, chiamato ad assumere su di<br />
sé il destino dei suoi fratelli 19 . In Es 2,11 leggiamo infatti che mosè<br />
«vede» i suoi fratelli oppressi dall’Egitto e tale visione non lo lascia<br />
indifferente; Mosè non è un osservatore disinteressato e, dopo aver<br />
visto l’oppressione del popolo, prende l’iniziativa di agire perché<br />
non tollera quella situazione e uccide un egiziano che colpiva un<br />
ebreo (v. 12).<br />
17 cf B.s. CHilds, Il libro dell’Esodo. Commentario critico-teologico, piemme,<br />
casale Monferrato 1995, 69.<br />
18 per la delimitazione della scena, vd. G. FisCer, Jahwe unser Gott. Sprache,<br />
Aufbau und Erzähltechnik in der Berufung des Mose (ex 3-4), vandenhoeck &<br />
ruprecht, Göttingen 1989, 85-87<br />
19 cf J.s. BadeN, «from Joseph to Moses: The narratives of exodus 1-2», vT<br />
62 (2012) 133-158.<br />
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In Es 3,1-6 domina il campo semantico del «vedere»: per sei volte<br />
appare la radice r’h (3,2[2x].3[2x].4[2x] 20 e tale verbo riappare altre<br />
3 volte nei versetti successivi (vv. 7-10) anche se non si tratta più<br />
della visione di Dio, ma di Dio che «ha visto» la situazione di Israele<br />
in Egitto e si è accorto della sua gravità. All’inizio leggiamo che<br />
mosè si inoltra nel deserto più lontano del solito e si ritrova in una<br />
regione sconosciuta, l’oreb 21 . «L’angelo di Dio appare come una<br />
fiamma di fuoco dal mezzo del roveto» (v. 2): l’angelo che appare<br />
a mosè non designa un’entità distinta da Dio 22 ma il suo approssimarsi<br />
che ne preserva la santità e la trascendenza 23 , sottolineata dal<br />
comando di non avvicinarsi 24 .<br />
L’apparizione di Dio avviene in mezzo a un roveto, sěneh, termine<br />
raro, accompagnato dall’articolo come se si trattasse di un roveto<br />
conosciuto o già citato prima. Il racconto contiene un significato<br />
simbolico relativo al roveto, come la tradizione giudaica ha voluto<br />
spiegare; infatti, nello Shemot Rabbà leggiamo: «Un tale chiese a<br />
R. Jehoshua ben Korchà: “Perché il Signore parlò con Mosè proprio<br />
da un roveto? Non avrebbe potuto rivolgersi a lui da un albero più<br />
20 cf B.s. CHilds, Il libro dell’Esodo, o.c., 70.<br />
21 cf W.H.C. ProPP, Exodus 1-18. A New Translation with Introduction and<br />
Commentary (The anchor Bible), Doubleday, new York 1998, 197.<br />
22 cf Gen 16,7-14; 21,14-21; 22,11.15; 24,7.40; 31,11-13; 48,15-16;<br />
Gs 5,13-16; Gdc 6,11-24; 13,2-23. vd. W.H.C. ProPP, Exodus 1-18, oc., 198.<br />
23 a. maNaraNCHe, Il monoteismo cristiano, Queriniana, Brescia 1988, 101-<br />
102: «La religione di israele deve accordare insieme due esigenze; annunciare<br />
Dio come egli è nel suo mistero, rifiutando qualsiasi idolatria; e annunciarlo a<br />
un popolo in favore del quale egli si propone di intervenire e di cui è necessario<br />
conoscere la mentalità. Ora il monoteismo, se bene adempie alla prima parte<br />
del programma, rischia di trascurare la seconda, facendosi troppo astratto.<br />
Sta qui il problema. La nozione dell’angelo di Jhwh deve contribuire a risolverlo.<br />
Lungi dal costituire una concessione fatta al politeismo, è una protezione<br />
contro il monoteismo talmente epurato da divenire disumano. Grazie ad essa,<br />
l’Unico senza cesare di essere tale, può comunicarsi una moltitudine di volte; il<br />
totalmente altro può, senza cessare di essere tale, fasi più familiare. L’angelo<br />
riveste quindi una figura difficile da identificare: è accostabile come un uomo<br />
e sfuggente come uno spirito; è vicino e lontano. Ma la sua presenza risulta<br />
indispensabile perché l’uomo possa effettivamente essere interpellato e trovare<br />
a chi rivolgersi; indispensabile anche perché gli siano spiegati eventi misteriosi<br />
che lo lasciano perplesso e inquieto».<br />
24 a. raBatel, Une histoire du point de vue, Université de Metz, paris–Metz<br />
1997; iD., La construction textuelle du point de vue, Delachaux et niestlé, Lausanne–paris<br />
1998.<br />
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importante?”. Rispose: “Se gli avesse parlato da un qualunque altro<br />
albero si sarebbe sempre potuto porre una domanda come questa.<br />
Ma ciò è avvenuto perché non v’è luogo in questo mondo in cui<br />
non sia presente l’immanenza di Dio, perfino in una pianta come un<br />
roveto”» 25 . Più oltre leggiamo: «Disse il Signore a Mosè: “Ti rendi<br />
conto di come partecipo alle sofferenze dei figli d’Israele? Vedi, ti<br />
parlo di mezzo alle spine del roveto ed è quindi come se anch’Io<br />
partecipassi direttamente al loro dolore» 26 . Il Dio di mosè è un Dio<br />
solidale e compassionevole, che partecipa personalmente al dolore<br />
del popolo, per questo parla dal roveto, dalle spine: se il popolo è nel<br />
dolore anche Dio è nel dolore e, se il fuoco non consuma il roveto,<br />
è perché neppure il dolore consumerà Israele. R. Shimon Jochai diceva:<br />
«Perché il Signore che sta nell’alto dei cieli si manifestò a<br />
Mosè in un roveto? Come il roveto è fra le piante la più insidiosa<br />
perché per esempio se un uccello vi si introduce non ne può più<br />
uscire se non dopo aver perso penne e brandelli di carne, così il signore<br />
riteneva la schiavitù egiziana la più pericolosa e insidiosa di<br />
tutte» 27 .<br />
siamo sulla «montagna di Dio, l’oreb» e lo scopo del redattore<br />
è chiaro: l’ubicazione della visione non è un luogo qualunque; là<br />
Dio si rivela e quello sarà il luogo della proclamazione della legge<br />
e dell’alleanza di Yhwh con Israele. È lì che Israele, dopo l’uscita<br />
dall’Egitto, diventerà popolo di Yhwh e renderà culto a Dio. Perciò<br />
nella tradizione dell’Oreb/Sinai viene stabilita una relazione stretta<br />
fra l’avvenimento della liberazione del popolo per opera di mosè e il<br />
luogo dell’alleanza che Dio farà con il suo popolo 28 .<br />
Dio «vede» Mosè avvicinarsi (v. 4) e si mostra in una «fiamma di<br />
fuoco», simbolo della sua santità 29 . La visione descritta è di un fenomeno<br />
misterioso, poco comprensibile: un roveto che brucia senza<br />
25 Shemot Rabbà ii.5; cf. r. PaCiFiCi, Midrashim. Fatti e personaggi biblici,<br />
Marietti, casale Monferrato 1986, 59.<br />
26 Ibid.<br />
27 Berachoth, viii.<br />
28 G. vaNHoomisseN, Cominciando da Mosè. Dall’Egitto alla terra promessa,<br />
edizioni Dehoniane, Bologna 2004, 115ss.<br />
29 cf 1re 18,38; 2re 1,10-14; nm 11,1; 16,35; 21,28; 26,10; Lv 10,2;<br />
Sl 8,9; 50,3; 97,3; 144,5-6; Gb 1,16.<br />
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consumarsi. In altre parole c’è un vedere che non è veramente tale,<br />
perché quello che si vede è solo un fatto esteriore, un roveto che<br />
brucia; allora c’è un vedere che non vede veramente, perché non sa<br />
vedere al di là di ciò che vede, non sa vedere l’invisibile e tale invisibile<br />
si comincia a vedere solo quando interviene la parola. Il senso<br />
del fenomeno può essere capito solo quando interviene la parola di<br />
Dio a spiegare ogni cosa 30 . Il roveto segnala la presenza attraverso<br />
il fuoco che lo consuma, poiché il fuoco non ha contorni e sfugge a<br />
ogni tentativo di delimitazione; quindi, è qualcosa di indefinibile o<br />
afferrabile e in tal senso dice qualcosa del mistero di Dio; il fuoco<br />
è inoltre l’invisibilità di ciò che è visibile: la legna che brucia. Vedendo<br />
il roveto mosè non vede Dio, ma capisce qualcosa di Lui:<br />
come il fuoco, Dio non ha contorni, non lo si può limitare, non lo si<br />
può rinchiudere e se per caso si riuscisse a rinchiuderlo senza che il<br />
fuoco bruci il contenitore, allora sarà il fuoco a spegnersi 31 .<br />
La parola è l’unica relazione con Dio adeguata per l’uomo e sostenibile<br />
per lui, infatti mosè ha paura di guardare, ma non di parlare<br />
e ascoltare. Quindi, il roveto mentre segnala nasconde. È negata la<br />
visione secondo la carne, perché l’esperienza del vedere è fondamentalmente<br />
idolatria, oggettivizzando la cosa vista e pretendendo<br />
che ciò che si vede sia totalmente identificabile con la realtà. La<br />
visione è parziale ed esteriore e perciò non riconducibile a Dio in<br />
quanto Egli non ha un’esteriorità a cui si può riportare, non è delimitabile<br />
e qualunque tentativo di visione di Dio uccide l’uomo. Il<br />
roveto, soltanto alla luce della parola segnala la presenza di Dio, e<br />
allora mosè capisce di non poter vedere e si vela il viso.<br />
Dio non solo si fa presente sensibilmente nel segno del fuoco,<br />
ma interpella mosè rivolgendogli la parola e chiamandolo per nome,<br />
volendo entrare in un rapporto personale con lui: «mosè, mosè».<br />
Colui che chiama mosè gli ricorda che c’è una distanza da mantenere:<br />
«togliti i sandali» (3,5). Calzare i sandali è simbolo di potere:<br />
il gesto di mettere il piede in un campo o di gettarvi sopra il proprio<br />
sandalo indicava la volontà di prenderne possesso. togliersi i sandali<br />
30 cf B. reNaud, «La figure prophétique de Moïse in exode 3,1-4,17», in rB<br />
93 (1986), 510-534.<br />
31 cf r. tourNey, «Le nom de “Buisson ardent”», vT 7 (1957) 410-413 ; a.<br />
laCoCque, Le Devenir de Dieu, paris 1967, 71ss.<br />
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equivale dunque a riconoscere la propria vulnerabilità e che il diritto<br />
di riscatto di quella terra appartiene a Dio perché quella, come dice<br />
il testo ebraico, è la terra della sua santità. Il signore tuttavia riscatta<br />
quella terra per concederla in eredità a Israele come ha promesso ai<br />
loro padri.<br />
3. la missione di Mosè<br />
(Es 3,7-10)<br />
Il testo di Es 3,7-10<br />
prosegue la narrazione<br />
ponendo<br />
l’attenzione su un’importante<br />
dichiarazione<br />
di Dio: Egli si rivela<br />
a mosè come Colui che, avendo visto la miseria del suo popolo,<br />
avendo ascoltato il grido di coloro che soffrono e le invocazioni di<br />
quanti subiscono ingiustizia, è pronto a intervenire:<br />
7Il signore disse: «Ho visto, ho visto l’oppressione del mio popolo che è in<br />
Egitto (~yIr’c.miB. rv,a] yMi[; ynI[\-ta, ytiyair’ haor’ hw”hy> rm,aYOw), ho udito il suo grido di<br />
fronte ai suoi oppressori, poiché conosco le sue angosce. 8Voglio scendere<br />
a liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo salire da quella terra a una terra<br />
buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele, nel luogo del Cananeo,<br />
dell’Hittita, dell’Amorreo, del Perizzita, dell’Eveo e del gebuseo. 9E ora,<br />
ecco, il grido dei figli d’Israele è giunto fino a me, e ho visto pure l’oppressione<br />
con cui l’Egitto li opprime (~t’ao ~ycix]l{ ~yIr;c.mi rv,a] #x;L;h;-ta, ytiyair’-~g:w> yl’ae<br />
ha’B’ laer’f.yI-ynEB. tq;[]c; hNEhi hT’[;). 10E ora va’: ti invio dal faraone per fare uscire il<br />
mio popolo, i figli d’Israele, dall’Egitto».<br />
Dio dichiara: «Ho visto, ho visto» (v. 7): il verbo «vedere» non a<br />
caso è ripetuto due volte in questo versetto, volendo segnalare con<br />
ciò che Dio ha chiaramente visto e preso nota della situazione del<br />
suo popolo. Dio conoscendo la miseria del popolo, si schiera dalla<br />
sua parte, decide di liberarlo e di farlo salire verso una terra fertile<br />
e vasta.<br />
mosè è chiamato a «vedere», «sentire» e «conoscere» le cose così<br />
come Dio le «vede», le «sente» e le «conosce»; infatti a Mosè Dio<br />
«fa sentire» il grido del suo popolo e gli «fa conoscere» la sua sofferenza.<br />
A mosè viene dato uno sguardo nuovo sulla situazione dei<br />
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che vede<br />
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suoi fratelli che gli fa capire le cose in modo diverso. È da questa<br />
nuova «percezione» che scaturisce la sua missione. Lo scopo del<br />
brano è quindi di mostrare chiaramente che l’iniziativa della liberazione<br />
degli ebrei non è di mosè, bensì di Dio 32 . si possono notare<br />
forti similitudini tra il vocabolario di Es 2,23b-25 e quello di<br />
Es 3,7.9, perché il Dio che sente il grido del suo popolo è Colui che<br />
chiama mosè e lo invia dal faraone, e il motivo del suo agire è lo<br />
stesso, il grido del popolo oppresso.<br />
Un testo vicino a Es 3,7-10 è Gn 10,20-21: «Yhwh disse: “Siccome<br />
il grido che sale da sodoma e gomorra è grande e siccome il<br />
loro peccato è molto grave, io scenderò e vedrò se hanno veramente<br />
agito secondo il grido che è giunto fino a me; e se così non è, lo<br />
saprò”». Nel testo di Genesi leggiamo che Dio scende per un sopraluogo<br />
e per verificare se si tratta davvero di una situazione grave,<br />
mentre in Es 3,7-10 la perizia ha avuto luogo e Dio ha iniziato la sua<br />
azione giuridica e salvifica 33 . La tragica situazione in cui versano<br />
gli ebrei è definita con due vocaboli: ‘anî, «povertà, debolezza, miseria»<br />
(v. 7) e lahas, «oppressione» (v.9). Al centro del brano risuona<br />
il termine sa‘q, il lamento legale che si indirizza ad un giudice e<br />
Dio non tarda ad intervenire: Egli «guarda» e «capisce», cioè se ne<br />
prende cura. Lo studioso greenberg ha notato la struttura chiastica<br />
che unisce il v. 7 al v. 9 34 :<br />
v. 7: (a) r’h (vedere) – (b) s e āqâ (grido)<br />
v. 9: (b) s e āqâ (grido) – (a) r’h (vedere).<br />
Per tale motivo possiamo dire che il vedere di Dio non è il vedere<br />
di un osservatore disinteressato ma lo porta a fare esperienza e a<br />
condividere la sofferenza di chi soffre, a prendere parte al grido degli<br />
oppressi.<br />
Ai vv. 7-8 si riallacciano i vv. 16-17, considerati come una continuazione<br />
di essi: « 16 Va’, riunisci gli anziani di Israele e di’ loro:<br />
“Yhwh, Dio dei vostri padri, fu visto da me (yl;ae ha’r>nI ~k,yteboa] yhel{a/<br />
hw”hy>), il Dio di Abramo, di Isacco e di giacobbe per dire: sono ve-<br />
32 F. miCHaeli, Le livre de l’Exode. Commentaire de l’Ancien Testament, Delachaux<br />
& niestlé, neuchâtel 1974, 48.<br />
33 cf 2cr 20,9; ne 9,27-28; Sl 34,18; Gb 27,9; is 30,9; Ger 11,11;<br />
14,12; ez 8,18.<br />
34 m. GreeNBerG, Understanding Exodus, Behrman, new York 1969, 83-84.<br />
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nuto a vedere voi e ciò che viene fatto a voi in Egitto, 17 e ho detto: vi<br />
faccio salire dall’oppressione dell’Egitto…». nel v. 16 troviamo un<br />
accenno all’apparizione divina di Es 3,1-6 con il verbo chiave r’h,<br />
la menzione del Dio dei tre patriarchi (cf. 3,6) e dell’oppressione in<br />
Egitto (cf. 3,7.9). L’espressione generica «quello che vi è stato fatto<br />
in Egitto» è un modo semplice di riassumere quanto detto nei vv. 7.9<br />
senza ripetersi. Il verbo ‘śh, «fare» è generico e può rinviare senza<br />
difficoltà a quanto è stato detto in modo più preciso sull’oppressione<br />
degli egiziani nei vv. 7.9. 35<br />
Il vedere di Dio implica perciò un prendere coscienza e un partecipare<br />
a quella situazione a cui segue un intervento concreto. A<br />
tale proposito è molto significativo il testo di 1Sam 9,15-16: «Yhwh<br />
aveva rivelato ciò a samuele un giorno prima dell’arrivo di saul:<br />
“Domani, a quest’ora, ti invierò un Beniaminita; lo ungerai come<br />
capo sul mio popolo; egli salverà il mio popolo dalla mano dei Filistei,<br />
perché ho visto il mio popolo e perché il suo grido è giunto a me<br />
(yl’ae Atq’[]c; ha’B’ yKi yMi[;-ta, ytiyair’ yKi)». Anche in questo testo la risposta<br />
concreta di Dio al grido del popolo è la chiamata di un personaggio,<br />
Saul, colui che dovrà liberare dall’oppressione dei filistei e manifestare<br />
con ciò la presenza operante e amante di Dio a favore dei suoi.<br />
4. l’esserci dell’amore<br />
(Es 3,11-15)<br />
Il capitolo 3 del<br />
libro dell’Esodo<br />
prosegue come un<br />
racconto di vocazione<br />
presentando, dopo<br />
l’irruzione divina,<br />
gli elementi che si possono trovare in altri racconti di tale genere:<br />
l’obiezione del chiamato, la promessa di assistenza e il segno dato<br />
come pegno dell’aiuto divino:<br />
11mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall’Egitto<br />
i figli d’Israele?». 12E Dio disse: «Va’, perché io sarò con te (%M’[i hy
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yKi). Questo sarà il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai fatto<br />
uscire il popolo dall’Egitto, voi servirete Dio su questo monte». 13mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d’Israele e avrò detto loro:<br />
“Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi”, se essi dicono: “Qual è il<br />
suo nome?” che cosa risponderò loro?». 14Dio disse a mosè: «Io sono colui<br />
che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d’Israele: “Io Sono mi ha mandato<br />
da voi”» (`~k,ylea] ynIx;l’v. hy
la sua presenza attuale e operante 38 , per tale motivo è impossibile che<br />
l’uomo conosca il nome di Dio, poiché sarebbe come vedere Dio,<br />
aver capito il senso più profondo di Lui, il suo mistero. Conoscere il<br />
nome di Dio equivarrebbe a identificarsi con Lui; soltanto Dio può<br />
dire all’uomo: «Io ti conosco per il tuo nome» (Es 33,12), conoscenza<br />
che implica un’azione di Dio nell’uomo.<br />
La domanda di Mosè riceve una duplice risposta nei vv. 14-15,<br />
che sono i versetti più discussi e più commentati di tutto il Pentateuco<br />
39 , segno della complessità del lavoro redazionale, ma anche<br />
della difficoltà di parlare del mistero così rivelato: «Dio disse a<br />
mosè: ’ehyeh ’ăšer ’ehyeh (hy
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non ha realtà oggettiva e perciò il verbo è per essenza atemporale e<br />
si coniuga in rapporto all’azione che descrive 42 . Il verbo hyh si può<br />
tradurre con essere, esistere, accadere, divenire; significa l’esistenza<br />
in quanto si esercita e si manifesta con la sua attività. Essere equivale<br />
ad essere in rapporto agli altri esistenti, essere in relazione, vivere<br />
con, agire su, agire per 43 .<br />
La formulazione all’imperfetto vuole perciò indicare la presenza<br />
attiva di Dio in tutte le dimensioni concepibili, cioè che Dio è sempre<br />
presente e operante nella storia e perciò tutti possono conoscerlo 44 ,<br />
poiché Egli è sempre accanto all’uomo ma non permette di catalogarlo,<br />
poiché Lui rimane invisibile 45 .<br />
Inoltre è da notare che la dichiarazione ’ehyeh ’ăšer ’ehyeh non<br />
afferma soltanto la presenza attiva e dinamica di Dio, dal momento<br />
che tale presenza è rafforzata dal raddoppiamento del verbo hyh 46 .<br />
Considerando che il pronome relativo ’ăšer, che collega i due ’ehyeh,<br />
si può correttamente tradurre con i due punti: «sono: sono», allora<br />
42 a. CHouraqui, Mosè. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di una<br />
utopia possibile, Marietti, Genova 1996, 122.<br />
43 m. BuBer, Moïse, presses Universitaires de france, paris 1957, 59: ««Je<br />
suis celui qui suis», avec la signification que YHvH se désigne comme l’existant<br />
ou même l’éternellement existant, celui qui persiste immuablement dans son être.<br />
Mais outre qu’il y aurait là un genre d’abstraction qui n’a pas coutume de se<br />
manifester à une époque de vitalité religieuse en expansion, on ne peut tirer du<br />
verbe, dans la langue biblique, ce sens d’existence pure. il signifie: se produire,<br />
devenir, être là, être présent, être de telle ou telle façon, mais non pas: être en<br />
soi».<br />
44 r.e. ClemeNts, Exodus, o.c., 76: «We must see in the phrase here, that kind<br />
of indefiniteness “which leaves open a large number of possibilities” in which<br />
the deity implies, “i am whatever i mean to be”».<br />
45 N.m. sarNa, Exploring Exodus. The Heritage of Biblical Israel, new York<br />
1986, 52: «La persona divina può venir conosciuta solo in quanto Dio decide<br />
di rivelare se stesso, e può essere veramente qualificata solo nei termini suoi<br />
propri, non per analogia con alcunché d’altro. È questo l’equivalente in forma<br />
articolata dello spettacolo del fuoco nel roveto ardente, un fuoco che si autogenera<br />
e si autosostiene».<br />
46 J.i. durHam, Exodus (Word Biblical commentary 3), Word Books, Waco,<br />
Texas 1987, 39: «“i am being that i am being”, or “i am the is-ing One”, that<br />
is, “the One Who always is”. not conceptual being, being in the abstract, but<br />
active being, is the intent of this reply. it is a reply that suggests that it is inappropriate<br />
to refer to God as “was” or as “will be”, for the reality of this active<br />
existence can be suggested only by the present: “is” or “is-ing”, “always is”,<br />
or “am”.<br />
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la doppia affermazione risulterebbe alquanto significativa perché<br />
esprimerebbe un doppio senso, implicherebbe l’interrogante mosè e<br />
Dio che è interrogato: «sono» implicherebbe Colui che ha pronunciato<br />
questo nome e colui che lo ascolta e lo ripete 47 . Dio infatti non è<br />
qualcuno che abita nel fondo dei cieli o al di là dei mari, ma è vicino<br />
all’uomo ogni volta che è invocato (cf. Dt 4,7), e l’’ehyeh ricorda a<br />
ciascuno che Dio è Colui che non può dire il suo essere in modo che<br />
ci si possa servire di lui 48 ; Egli esiste indipendentemente da tutto ed è<br />
la sorgente di ogni esistenza; è la Presenza attenta e totalmente libera<br />
che ricorda all’uomo la sua identità: Dio è l’’ehyeh di ogni essere 49 .<br />
L’Io Sono, hw”hy>, possiede la forza divina e spirituale non di annullare<br />
i sé individuali, ma di rammentarci che mai, fin dall’inizio,<br />
siamo stati indipendenti. ogni Io sussiste grazie al fatto che partecipa<br />
di un Sé più grande, di un Io più grande. Il nostro sé è una parte<br />
essenziale del Santo, del Sé di Dio. La rivelazione del Nome dice<br />
quindi qualcosa, perché dice: «Sono», ma non permette di catalogare<br />
Dio, perché il Dio invisibile accetta la mediazione del visibile che è<br />
mosè 50 .<br />
4.1 L’’ehyeh nel fuoco del roveto<br />
L’affermazione della presenza di hw”hy> nell’uomo e a favore<br />
dell’uomo è la rivelazione centrale di Dio che viene e che interviene<br />
a motivo della sua presenza attiva; essa spiega bene l’affermazione<br />
presente nel v. 12: %M’[i hy
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passione». Dio infatti rivela la sua efficace prossimità e misericordia,<br />
è Colui che si pone in relazione, attraverso mosè, con Israele per<br />
liberarlo, chiedendogli una risposta di esclusivo amore e fedeltà 51 .<br />
L’Io Sono è un invito a non fermarsi al nome; il tetragramma non<br />
è una formula dogmatica filosofica, ma sottolinea la realtà attuale<br />
di Dio: Io sono qui realmente, Io sono Colui che si fa riconoscere,<br />
perché si prende cura dell’altro, totalmente coinvolto con l’uomo 52 .<br />
Tale significato è confermato dalla rivelazione del nome che avviene<br />
dopo la visione di un roveto che brucia ma non si consuma,<br />
come il dolore che opprimeva il popolo: Dio manifesta il suo essere<br />
lì, in quella sofferenza e in quel dolore del suo popolo. Il nome rende<br />
sensibile e costante la relazione di Dio con il popolo, è segno efficace<br />
della sua presenza che entra i rapporto con Israele e lo salva,<br />
poiché Dio non si limita ad aprire un dialogo con le sue creature ma<br />
si fa carico del loro destino.<br />
Risulta pertanto che il nome di Dio è teofanico e performativo,<br />
dal momento che i destinatari sono oggetto di un atto di salvezza 53 :<br />
non è questione di definire l’essenza di Dio, ma si tratta della promessa<br />
di Dio che si realizza sul popolo, che inizia con mosè e che<br />
man mano si compie come un processo. Il nome di Dio è un evento<br />
e perciò conoscere Dio significherà sperimentare il suo intervento liberatore<br />
e salvatore, l’efficacia della sua azione. Possiamo chiederci<br />
allora: in che modo si manifesta l’esserci di Dio? Leggendo bene il<br />
testo si comprende che l’incontro con l’automanifestazione di Dio<br />
realizza il contenuto del tetragramma in mosè che è chiamato ad<br />
essere «Dio» per Aronne, per il faraone e per il popolo di Israele, dal<br />
momento che Dio opera attraverso strumenti umani.<br />
Dio dice a Mosè: «Io sarò con te» (v. 12a): Dio impegna tutto se<br />
stesso nella storia del suo inviato, condivide se stesso con l’uomo,<br />
51 m. BuBer, Moïse, o.c., 61: ««YHvH est celui qui sera là» ou «qui est là»,<br />
celui qui n’est pas seulement présent n’importe quand et n’importe où, mais à<br />
chaque moment du présent et à chaque place où l’on se trouve… Ehyeh n’est<br />
pas un nom, on ne peut pas nommer ainsi le Dieu».<br />
52 W. eiCHrodt, Teologia dell’Antico Testamento, i, Brescia 1979, 191: «io<br />
sono effettivamente e veramente qui, sono pronto ad aiutare e ad agire, così<br />
come sempre lo sono stato».<br />
53 cf a. laCoCque – P. riCoeur, Come pensa la Bibbia. Studi esegetici ed<br />
ermeneutici, paideia, Brescia 2002, 309.<br />
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nella relazione con mosè manifesta il suo essere. Quando mosè<br />
incontra per la prima volta il Faraone, simbolo di tutto ciò che si<br />
oppone a Dio e che rende schiavo l’uomo, e questi si rifiuta di concedere<br />
al popolo il permesso di partire, così come aveva chiesto<br />
mosè, è interessante considerare in che modo il Faraone replica alla<br />
richiesta di Mosè: «Il Faraone rispose: chi è il Signore perché io<br />
debba ascoltare la sua voce per lasciar partire Israele? Non conosco<br />
il Signore e neppure lascerò partire Israele» (Es 5,2). Il rifiuto è duplice.<br />
Non soltanto il Faraone si rifiuta di dare al popolo il permesso<br />
di partire, ma il suo rifiuto assume i tratti della negazione stessa di<br />
Dio: «non conosco il signore!». Anche in questo caso la tradizione<br />
ebraica rilegge questo episodio in modo estremamente significativo.<br />
Ci sono due midrashim che interpretano questo testo. Il primo<br />
dice che il Faraone, quando udì l’espressione «il Dio degli ebrei»,<br />
esclamò con meraviglia: «Da quando gli schiavi hanno un Dio?».<br />
nella sua mentalità era inconcepibile che gli schiavi avessero un<br />
Dio. Invece, il Dio che si rivela a mosè non è neutrale, non interviene<br />
nella storia in modo generico; Egli si schiera, prende sempre<br />
una posizione precisa e la posizione che prende è di stare dalla parte<br />
degli oppressi; è il Dio degli schiavi che stabilisce con l’uomo un<br />
rapporto di libertà. Un secondo midrash, riferito sempre a questo<br />
versetto, racconta che il Faraone afferma di non conoscere il Dio<br />
degli ebrei e dice: «“Non lascerò partire il popolo che ha un Dio<br />
senza nome, dunque un Dio che non esiste”. E dice così, perché in<br />
precedenza aveva mandato i suoi servi a consultare negli archivi e a<br />
cercare il nome del Dio di mosè, ma i servi non riuscirono a trovare<br />
negli achivi tale nome. Quindi, se il suo nome non era conservato,<br />
evidentemente era un Dio che non esisteva. ma mosè prese la parola<br />
e rispose al Faraone: “Non puoi trovare il nome di Dio negli archivi<br />
e negli elenchi, perché quelli sono il cimitero degli dei. Il nostro Dio<br />
non ha nome, vive eternamente e riceve il nome dalle azioni che<br />
compie, dalla storia che fa”» 54 . Ancora una volta appare che Dio si<br />
rivela nella storia e che noi non possiamo conoscere il nome di Dio<br />
prima di averlo visto agire. Per questo il nome che Israele dà a Dio<br />
è: Colui che ha liberato i padri dalla schiavitù dell’Egitto. Appunto,<br />
54 Shemot Rabba v.14.<br />
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il Dio che ascolta il grido degli oppressi e si mostra solidale è anche<br />
un Dio che libera.<br />
Da tutto ciò ne consegue Dio si rende vulnerabile per il fatto<br />
stesso che avvia una relazione con qualcun altro; quando Yhwh si<br />
coinvolge nella storia dell’uomo, l’Io divino diviene nel tu umano,<br />
poiché l’Io pone un’altra persona, esterna a lui, che diventa sua eco<br />
alla quale dice tu. Dio è Colui che sta di fronte a un tu e i due sono<br />
in un contrasto reciproco che li definisce entrambi: «Che sia l’Essere<br />
o il signore dell’ente, Dio stesso è, appare come quello che è nella<br />
differenza, vale a dire come la differenza e nella dissimulazione» 55 .<br />
4.2 Il Nome ineffabile di Dio<br />
La rivelazione inaudita che mosè riceve sull’oreb lega l’Io di Dio<br />
all’io dell’uomo, unisce l’Io al tu. Dio si rivela e si incarna nell’uomo<br />
che è chiamato a parlare a suo nome. mosè apparirà dunque al suo<br />
popolo come hw”hy>, come l’’ehyeh che lo invia e che è presente in lui.<br />
senza perdere la sua trascendenza, Dio assume l’umanità di colui<br />
al quale si rivela, è presenza vivente nell’uomo: l’’ehyeh è il nome<br />
ineffabile dell’Essere presente in ogni essere.<br />
Di particolare interesse per l’interpretazione di Es 3,14 è il testo<br />
del Targum Onqelos che traduce: «Io sono come colui con cui io<br />
sono»; mentre lo Zohar Wajjiqra legge: «’ehyeh è il supremo<br />
occultamento… “Io è me stesso”… ’ăšer ’ehyeh, sono in procinto di<br />
rivelare me stesso…’ehyeh è “la madre divenne gravida” … yhwh il<br />
momento della fioritura del Tutto». tali riferimenti ci fanno considerare<br />
che il verbo ebraico hyh non è usato per sottolineare la realtà<br />
di un soggetto ma per esprimere un rapporto da persona a persona,<br />
tra Dio e colui in favore del quale Egli è; la sfumatura espressa dal<br />
verbo hyh è significante una presenza, un’apertura verso un altro<br />
soggetto.<br />
secondo il midrash Shemòth Rabbà, mosè avrebbe invece detto:<br />
«Ecco, d’accordo, io vado dai figli d’Israele a parlare a Tuo Nome.<br />
se mi chiedono chi mi manda, io devo sapere qual è il tuo nome».<br />
Rispose il signore: «tu, dunque, vuoi sapere il mio nome. sappi<br />
55 J. derrida, La scrittura e la differenza, Torino 1967, 92.<br />
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dunque che Io sono conosciuto secondo le mie opere. ora mi chiamo<br />
El-Shaddai; ora Zevaoth, ora Elohim, ora Yhwh; allorché io esercito<br />
la giustizia mi chiamo Elohim, allorché combatto contro la malvagità<br />
degli uomini mi chiamo Zevaoth, quando indulgo al peccato<br />
mi chiamo El-shaddai, quando dimostro la mia pietà verso il mio<br />
mondo mi chiamo Yhwh» 56 . tale interpretazione midrashica è significativa<br />
perché segnala che il tetragramma hw”hy> denota sempre<br />
l’attributo della divina misericordia, esprime Dio in quanto Amore.<br />
Dio fa sapere al suo popolo, tramite mosè, che Egli si impegna a<br />
loro favore, che è sempre vicino e presente dovunque si soffre e che<br />
vuole instaurare con il popolo dei rapporti particolari; man mano gli<br />
israeliti comprenderanno che Yhwh è il donarsi di Dio per loro e in<br />
loro, e conosceranno Dio attraverso le sue manifestazioni. Il nome di<br />
Dio rende sensibile e costante la relazione di Dio e del popolo: Yhwh<br />
è il Dio che viene e che interviene sempre.<br />
Alla luce di al-<br />
conclusione<br />
cuni testi del<br />
libro dell’Esodo<br />
abbiamo considerato<br />
che il nucleo centrale della rivelazione biblica di Dio non è la<br />
sua trascendenza ma la sua condiscendenza, perché Dio è colui che<br />
si china dai cieli a guardare sulla terra, ascolta, si ricorda, guarda<br />
e si prende cura delle sue creature. L’immagine dell’occhio vigile,<br />
simbolo dell’onniscienza, della vigilanza e dell’onnipresenza protettiva<br />
di Dio, diventa espressione della sua bontà e del suo amore:<br />
«Ecco, l’occhio del signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella<br />
sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame»<br />
(Sl 33,18-19); «Il Signore… volge sul mondo il suo sguardo, i suoi<br />
occhi scrutano l’uomo. Il signore giudica giusti e malvagi, disprezza<br />
chi ama la violenza» (Sl 11,4-5).<br />
Chi ama non può non vedere i bisogni della persona amata e anche<br />
in Dio amare è vedere, l’amore che vede manifesta il movimento di<br />
condiscendenza di Dio che non rimane chiuso nel mistero della sua<br />
56 Testo citato da a. seGre, Mosè nostro maestro, fossano 1975, 95.<br />
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assolutezza, ma si china sull’uomo mostrandosi a lui. Dio non può<br />
non vedere perché è Amore ed è proprio l’amore all’origine di ogni<br />
cosa, della stessa creazione con cui Dio è uscito dal suo mistero assoluto;<br />
senza l’amore non si comprenderebbe la mirabile storia narrata<br />
nella sacra scrittura, storia di un Dio che si comunica amando.<br />
Mi piace concludere questa riflessione riportando sinteticamente<br />
alcuni brani del libro di m. Buber, che riguardano le vicende di Rabbi<br />
Sussja, discepolo di un grande spirituale del suo tempo 57 . Vedendolo<br />
pieno di discernimento, capace di aiutare tutti quelli che venivano<br />
a lui, Sussja aveva chiesto al suo maestro di pregare il Signore di<br />
concedergli la visione del bene e del male nei cuori. E Dio gli aveva<br />
concesso questa grazia. Poco dopo un commerciante venne a trovare<br />
il maestro di Sussja; la vita di quest’uomo era profondamente contrassegnata<br />
dal male, e il giovane discepolo a prima vista scorge lo<br />
stato di quell’anima e pieno di orrore grida: «Come osi tu presentarti<br />
davanti al volto di un santo, impuro come sei?». E il commerciante<br />
se ne andò. Il maestro richiamò allora Sussja e gli disse: «Poco fa è<br />
venuto un uomo che tu hai scacciato e tuttavia era la sua ultima speranza<br />
di salvezza!». Allora il discepolo inorridito supplicò di ottenere<br />
da Dio che egli non vedesse più il male. ma il maestro gli rispose di<br />
no, perché i doni di Dio sono irrevocabili, ma che avrebbe pregato<br />
il signore di aggiungere un nuovo dono a quello che gli aveva fatto,<br />
di scorgere cioè con una tale forza la sua identità con il fratello in<br />
modo da vedere il male non più come colpa dell’altro, ma come<br />
sua propria. Dopo vari giorni di viaggio Sussja arriva a un’osteria,<br />
getta gli occhi sull’oste e lo vede come Dio lo vede, nell’orrore del<br />
male in cui viveva. L’oste gli chiede quali siano le sue esigenze e il<br />
giovane rabbino risponde: «niente… voglio semplicemente un angoletto<br />
dove poter pregare». gli si mostra un piccolo bugigattolo…<br />
e poi l’oste dice alla moglie: «Che uomo è questo? Dopo una lunga<br />
strada, stanco, tutto impolverato, certamente affamato, non chiede<br />
né cibo né riposo, ma soltanto un posto dove poter pregare. Vado<br />
a vedere cosa fa». Egli arriva fino alla porta, la socchiude piano e<br />
trova il giovane rabbino che prega Dio e gli fa il racconto di tutta<br />
57 cf m. BuBer, I racconti dei hassidim, Ugo Guanda editore, parma 1992,<br />
214-217.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 192 04/02/13 09:39
la vita dell’oste come se fosse la sua, perché nella solidarietà totale<br />
che vi è tra gli uomini l’ha sentita come un peccato suo proprio. E<br />
l’oste si trova tutto a un tratto di fronte alla propria vita, così come<br />
Dio la vedeva. Il suo cuore si spezza, si è pente e comincia una vita<br />
nuova. Più tardi egli chiese allo stesso rabbino come mai tutti quelli<br />
che venivano da lui, alla fine erano indotti al pentimento e cambiavano<br />
vita. E il rabbino diede la risposta seguente: «Quando viene a<br />
vedermi un uomo che non vuole pentirsi, scendo scalino per scalino<br />
nel più profondo del suo peccato e quando ho raggiunto il fondo<br />
della sua anima, lego la radice della mia anima alla radice della sua<br />
e unito a lui comincio a pentirmi del nostro peccato ed egli non può<br />
non pentirsi con me perché siamo diventati uno solo».<br />
Le vicende di questo rabbino ci portano a concludere che, essendo<br />
il tetragramma il cuore del mistero divino rivelato a mosè,<br />
allora ogni uomo è vivente quando il nome si impadronisce di lui<br />
nella trascendenza dell’Essere creatore, come è stato per mosè, per<br />
Sussja e per quanti, in ogni tempo, sono diventati presenza di Yhwh<br />
nel mondo, ’ehyeh di ’ehyeh.<br />
Angela Maria Lupo cp<br />
srmarialupocp@tiscali.it<br />
sacra scrittura<br />
L’esserci dell’amore<br />
che vede<br />
171-195<br />
sacra<br />
193<br />
scrittura<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 193 04/02/13 09:39
sacra scrittura<br />
AngelA mAriA lupo cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
194<br />
scrittura<br />
L’esserci dell’Amore che vede<br />
ItA<br />
di Angela maria Lupo, cp<br />
Partendo dall’affermazione di Ugo di san Vittore: «Ubi amor, ibi<br />
oculos», l’autrice analizza alcuni testi del libro dell’Esodo (2,23-25;<br />
3,1-6; 3,7-10; 3,11-15) nei quali emerge che il Dio di Abramo, di<br />
Isacco e di giacobbe, nel rivelare a mosè il suo nome, ’ehyeh ’ăšer<br />
’ehyeh, afferma la sua presenza attiva e dinamica a favore del suo<br />
popolo che «vede» oppresso dalla schiavitù. Il confronto con altri<br />
testi dell’At mette in luce che il nome di Dio è teofanico e performativo<br />
poiché traduce la sua realtà più profonda, il suo essere<br />
Amore. In Dio amare è vedere e l’Amore che vede non può rimanere<br />
chiuso nel mistero della sua assolutezza ma si china inevitabilmente<br />
sull’uomo per liberarlo e salvarlo.<br />
L’y être de l’Amour qui voit<br />
fRA<br />
de Angela maria Lupo, cp<br />
Partant de l’affirmation de Ugo di san Vittore « Ubi amor, ibi<br />
oculos », l’auteur analyse quelques textes du livre de l’Exode<br />
(2,23-25 ; 3,1-6 ; 3,7-10 ; 3,11-15) desquels il ressort que le Dieu<br />
d’Abraham, d’Isaac et de Jacob, en révélant son Nom à Moïse, ‘ehyeh<br />
‘aser ‘ehyeh, affirme sa présence active et dynamique en faveur de<br />
son peuple qu’il « voit » opprimé par la servitude. Le parallèle avec<br />
d’autres textes de l’AT met en lumière que le Nom de Dieu est théophanique<br />
et efficace car il traduit sa réalité la plus profonde, son être<br />
Amour. En Dieu aimer c’est voir et l’Amour qui voit ne peut rester<br />
enclos dans le mystère de son absoluité mais se penche inévitablement<br />
sur l’homme pour le libérer et le sauver.<br />
The being of the Love who sees<br />
EnG<br />
Angela maria Lupo, CP<br />
Starting with the premise of Hugh of Saint Victor, “Ubi amor, ibi<br />
oculos”, the author analyzes some texts of the Book of Exodus (2.23<br />
to 25, 3.1 to 6, 3.7 to 10, 3, 11-15) in which it appears that the God of<br />
Abraham, Isaac, and Jacob, by revealing his name to Moses, ’ehyeh<br />
’ăšer ’ehyeh, affirms his active and dynamic presence in favor of his<br />
people whom he “sees” oppressed by slavery. The comparison with<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 194 04/02/13 09:39
other texts of the old testament shows that god’s name is both<br />
theophanic and performative because it represents his most profound<br />
reality, i.e., his being Love. In god to love is to see and the love that<br />
sees cannot be closed in the mystery of his absoluteness, but is inevitably<br />
inclined to man to free and save him.<br />
El estar ahí del Amor que ve<br />
SPA<br />
de Angela maria Lupo, cp<br />
A partir de la afirmación de Hugo de san Víctor: “Ubi amor,<br />
ibi oculos”, la autora analiza algunos textos del libro del Éxodo<br />
(2,23-25; 3,1-6; 3,7-10; 3,11-15) en los cuales emerge que el Dios<br />
de Abraham, de Isaac y de Jacob, al revelar a Moisés su Nombre,<br />
’ehyeh ’ăšer ’ehyeh, afirma su presencia activa y dinámica en favor<br />
de su pueblo al que “ve” oprimido por la esclavitud. La confrontación<br />
con otros textos del At pone en claro que el nombre de Dios es<br />
teofánico y performativo porque traduce su realidad más profunda,<br />
su ser Amor. En Dios amar es ver, y el Amor que ve no puede permanecer<br />
cerrado en el misterio de su absoluto, sino que se inclina<br />
inevitablemente sobre el hombre para liberarlo y salvarlo.<br />
Obecność Miłości, która widzi<br />
Pol<br />
Angela maria Lupo CP<br />
Wychodząc od stwierdzenia Hugona od Św. Wiktora Ubi amor, ibi<br />
oculos, autorka analizuje kilka tekstów z Księgi Wyjścia (2,23-25;<br />
3,1-6; 3,7-10; 3,11-15), z których wynika, że Bóg Abrahama, Izaaka<br />
i Jakuba, objawiając Mojżeszowi swe imię ’ehyeh ’ăšer ’ehyeh, potwierdza<br />
swą aktywną i dynamiczną obecność, przez którą wspiera<br />
swój lud, który “widzi” uciśniony w niewoli. Zestawienie z innymi<br />
tekstami Starego Testamentu czyni widocznym, że imię Boga<br />
jest teofaniczne i performatywne, ponieważ ukazuje Jego głęboką<br />
prawdę, Jego bycie Miłością. W Bogu miłowanie jest widzeniem i<br />
miłość, która widzi, nie może pozostać zamknięta w misterium swej<br />
absolutności, ale w sposób konieczny pochyla się nad człowiekiem,<br />
aby go uwolnić i zbawić.<br />
sacra scrittura<br />
L’esserci dell’amore<br />
che vede<br />
171-195<br />
sacra<br />
195<br />
scrittura<br />
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franceScO vOLTaGGiO<br />
Sgorgò dal costato acqua e sangue.<br />
Non prendere alla leggera, o diletto,<br />
il mistero!<br />
s. giovanni Crisostomo<br />
introduzione<br />
L’evento della fuoriuscita di sangue<br />
e acqua dal costato trafitto di Gesù (Gv<br />
19,34), cui l’autore del quarto Vangelo<br />
dà tanta rilevanza, è da lui stesso<br />
interpretato alla luce dell’At nei vv. 36-<br />
37. oltre a due citazioni esplicite, tali<br />
versetti contengono diverse allusioni all’At. Il presente contributo<br />
intende raccogliere le evocazioni anticotestamentarie di maggior rilievo<br />
contenute in questo testo, per valutarne l’eventuale presenza<br />
nell’intenzione dell’autore e mostrarne la ricchezza emergente per<br />
l’esegesi.<br />
L’interesse del presente studio dipende dalla difficoltà d’interpretare<br />
l’evento descritto in gv 19,34, mentre l’evangelista ne rimarca<br />
l’assoluta importanza. 1 Una nuova via all’interpretazione di questo<br />
1 a conferma di tale difficoltà, basti citare i. de la Potterie, Studi di Cristologia<br />
Giovannea (Dabar. Studi biblici e giudaistici), Torino 2 1986, 172: «come sono<br />
interpretati il sangue e l’acqua dai commentatori contemporanei? Bisogna riconoscerlo:<br />
confrontato con la rigogliosità delle interpretazioni antiche, il bilancio<br />
è qui piuttosto deludente, almeno per quanto riguarda il sangue. Si ha l’impressione<br />
di un certo smarrimento tra gli esegeti».<br />
sacra scrittura<br />
«E suBito uscì<br />
sanguE E acqua»<br />
(gV 19,34): una<br />
concEntrazionE<br />
di allusioni all’at<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
197-229<br />
sacra<br />
197<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Francesco Voltaggio<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
198<br />
scrittura<br />
testo non può essere aperta senza riferirsi all’At, che è la via stessa<br />
additata dall’evangelista, il quale, per indicare il senso profondo<br />
dell’evento, impiega il metodo a lui più congeniale: il ricorso alla<br />
scrittura. Il nostro studio si basa sulla convinzione che il nt rimane<br />
spesso un enigma senza una conoscenza approfondita dello sfondo<br />
costituito dall’intera tradizione testuale dell’At e dell’At in quanto<br />
interpretato dalla liturgia e dalla tradizione orale ebraica. 2<br />
Il presente contributo, inoltre, ha un intento metodologico più generale,<br />
giacché è volto ad approfondire il modo in cui l’autore del<br />
quarto Vangelo allude volentieri all’At, anche quando non lo cita in<br />
modo esplicito. Di fronte ad alcuni testi giovannei, ogni lettore ha<br />
potuto avvertire talvolta un senso di «vertigine». Ciò si deve, oltre<br />
che alla profondità teologica dell’autore, anche allo spazio d’interpretazione<br />
che egli apre, concentrando in minimi dettagli ricche evocazioni<br />
dell’At.<br />
1. il costato di gesù,<br />
centro focale di gv 19,31-37,<br />
e l’adempimento<br />
della scrittura<br />
Per quanto<br />
concerne<br />
l’andamento<br />
di gv 19,31-37,<br />
va notato anzitutto<br />
che il v. 31 costitui-<br />
sce l’introduzione<br />
di tutta la pericope: si tratta della richiesta dei giudei che è il motore<br />
propulsore dell’azione. Considerando le indicazioni di tempo<br />
e i soggetti delle azioni (Giudei – soldati – uno dei soldati) si nota<br />
una certa progressione dal generale al particolare, come se l’evangelista<br />
stesse mettendo sempre più a fuoco gli eventi e i personaggi<br />
intorno al corpo esanime di gesù, e in particolare al suo costato,<br />
2 il presente articolo si poggia sull’indubitabile (ma purtroppo non ovvia)<br />
considerazione che solo su tale sfondo, la figura e il senso del nT possano<br />
emergere in tutta la loro ricchezza. La Bibbia ereditata dagli autori del nT, lungi<br />
dall’essere un testo «nudo», era già una Bibbia interpretata dalla tradizione<br />
orale e dalla liturgia: si veda in proposito F.G. voltaGGio, La oración de los<br />
padres y las madres de Israel. Investigación en el Targum del Pentateuco. La<br />
antigua tradición judía y los orígines del cristianismo (Biblioteca Midrásica 33),<br />
estella (navarra) 2010, 39-42.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 198 04/02/13 09:39
centro ideale di tutta la scena. tutto tende ai due eventi narrati nei<br />
vv. 33-34. Il primo evento (v. 33) è un’azione che Gesù non subisce:<br />
«non gli spezzarono le gambe». L’importanza del secondo evento è<br />
evidenziata, nel v. 35, dall’intervento solenne del testimone oculare,<br />
cui si aggiunge la finalità della testimonianza: suscitare la fede dei<br />
lettori/ascoltatori. Nei vv. 36-37 si dà la finalità dei due eventi narrati:<br />
il compimento di due passi scritturistici. La prima citazione (v.<br />
36) pare connessa al primo evento (v. 33), cioè al fatto che a Gesù<br />
non furono spezzate le gambe. La seconda citazione (v. 37) è da<br />
collegare piuttosto all’evento del v. 34, la trafittura del costato di<br />
gesù. tutto il brano è incentrato sull’adempimento della scrittura. 3<br />
Persino nel descrivere l’ordine eseguito dai soldati, l’evangelista<br />
fa convergere tutta l’attenzione su gesù, anche a scapito della successione<br />
logica delle operazioni: 4 Gesù è riservato per la fine (v. 33),<br />
pur stando nel mezzo. sembra qui di vedere compiuto quanto l’evangelista<br />
ha messo in bocca a gesù in 12,32: «E io, quando sarò<br />
innalzato da terra, attirerò tutti a me». tramite tale focalizzazione,<br />
l’autore rileva il fatto straordinario del non avvenuto crurifragium<br />
per gesù. Questo primo evento è da lui interpretato con la citazione<br />
del v. 36, che si riferisce anzitutto all’agnello pasquale. Anche l’insistenza<br />
sulla Parasceve, di per sé superflua (già in 19,14 si era notato<br />
il particolare del giorno e dell’ora) e perciò voluta, sembra alludere<br />
al fatto che proprio in quella sera, al tramonto del sole, si dava inizio<br />
all’immolazione degli agnelli pasquali nel tempio. 5<br />
3 il fatto è tanto più rilevante quanto più si considerano le divergenze dai sinottici.<br />
Dopo la morte di Gesù, l’attenzione di Marco si rivolge allo squarcio del<br />
velo del tempio e alla professione di fede del centurione (Mc 15,38-39); Matteo<br />
inserisce tra questi due eventi lo sconvolgimento della natura (Mt 27,51-54);<br />
Luca focalizza la sua attenzione sull’affermazione del centurione e alla reazione<br />
degli astanti (Lc 23,47-49). Giovanni si sofferma invece su due eventi originali,<br />
spiegati con due citazioni dalla Scrittura. Questi eventi sono originati dalla preoccupazione<br />
dei Giudei, rispettata da pilato, di rimuovere i cadaveri dei giustiziati<br />
prima del tramonto, secondo quanto prescrive la Torah (Dt 21,22-23). Tale<br />
preoccupazione doveva essere particolarmente pressante in prossimità della<br />
solennità. ciò spiega la richiesta a pilato dell’applicazione del crurifragium,<br />
per accelerare la morte dei crocifissi e la loro deposizione. il rispetto di tale<br />
prescrizione ai tempi di Gesù è confermato da Giuseppe flavio, Bell 4,317;<br />
filone, Flacc 1,83; 11Q19 LXiv,6-13.<br />
4 così nota r. FaBris, Giovanni (commenti Biblici), roma 1992, 986.<br />
5 Si veda J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù. Ricerche di storia<br />
economica e sociale per il periodo neotestamentario, roma 1989, 132-133.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
197-229<br />
sacra<br />
199<br />
scrittura<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 199 04/02/13 09:39
sacra scrittura<br />
Francesco Voltaggio<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
200<br />
scrittura<br />
Che tutta la pericope sia incentrata al compimento della scrittura<br />
è confermato anche dal contesto precedente. già in 19,24 l’evangelista<br />
nota l’adempimento di un passo della scrittura, dando rilevanza<br />
all’evento. In 19,28 è gesù stesso che interviene proprio per adempiere<br />
la Scrittura; ma non ci si ferma qui. Giovanni pone l’accento<br />
sul fatto che Gesù muore dicendo: «È compiuto» (v. 30). Benché<br />
quest’espressione possa avere un significato più ampio, vi è qui un<br />
chiaro riferimento al compimento delle scritture. Ciò dimostra che<br />
anche la nostra pericope, che costituisce il climax della narrazione<br />
della passione, sia tutta incentrata sull’adempimento dell’At.<br />
2. Brevi note esegetiche al<br />
v. 34, akmè della pericope<br />
19,31-37<br />
del v. 34 è<br />
L’importanza<br />
rimarcata<br />
dall’eccezionale «intrusione»dell’evangelista<br />
e testimone<br />
oculare nel v. 35. 6<br />
Quest’ultimo versetto, tipicamente giovanneo, è ridondante e ben costruito,<br />
per ridestare l’attenzione del lettore all’evento straordinario;<br />
come nota s. Lyonnet, l’insistenza dell’autore indica che il fatto è<br />
ricco di significato e che egli vuole comunicare questo significato ai<br />
lettori. 7 La paratassi accentua la sottolineatura dell’affermazione. Il<br />
versetto raccoglie in sintesi termini chiave di tutto il vangelo: la visione<br />
(o` e`wrakw,j), 8 la testimonianza (memartu,rhken, h` marturi,a), la<br />
verità di quest’ultima (avlhqh/, avlhqinh,), la finalità della fede (i[na kai.<br />
u`mei/j pisteu,ÎsÐhte, che peraltro è la finalità dell’intero vangelo: cf.<br />
6 cf a. CarmiNati, È venuto nell’acqua e nel sangue. Riflessione biblico-patristica,<br />
Bologna 1979, 19; i. de la Potterie, «Le symbolisme du sang et de l’eau en<br />
Jn 19,34», Did 14(1984), 213.<br />
7 cf s. lyoNNet, «il sangue nella trafittura di Gesù: Gv 19,31ss», in F. vattioNi<br />
(ed.), Atti della settimana Sangue e antropologia biblica (Roma, 10-15 marzo<br />
1980), roma 1981, 740.<br />
8 così nota s. CiPriaNi, «il sangue di cristo in S. Giovanni», in F. vattioNi<br />
(ed.), Atti della settimana Sangue e antropologia biblica (Roma, 10-15 marzo<br />
1980), roma 1981, 728: «L’episodio per l’autore è altamente significativo, se<br />
egli sente il bisogno di aggiungere, per dare maggiore credibilità all’accaduto,<br />
la testimonianza di chi tutto ha visto con i propri occhi».<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 200 04/02/13 09:39
20,31).. Ciò induce a pensare che gv 19,34 costituisca l’akmè della<br />
pericope e che la visione del costato trafitto e la testimonianza a essa<br />
relativa siano un punto culminante di tutto il suo vangelo. 9<br />
Lo stupore dell’evangelista traspare dall’uso dell’avverbio di<br />
tempo euvqu,j («subito») sebbene Giovanni non mostri una predilezione<br />
particolare per quest’avverbio (a differenza di Marco, che lo<br />
utilizza ben 41 volte), le rimanenti due volte che lo utilizza lo fa in<br />
momenti decisivi del vangelo, in connessione con la glorificazione<br />
di Gesù (cf. Gv 13,30.32).<br />
Il verbo e;nuxen significa propriamente «punse», ma, unito al seguente<br />
evxh/lqen, ha certamente il significato di «trafiggere». Il termine<br />
pleura, ha il significato generale di «lato» o «fianco» (nella<br />
LXX, in Es 27,7 è riferito al «lato» dell’altare, in 1Re 6,8.15 e in Ez<br />
41,5-9 al «lato» del tempio), ma può avere quello più specifico di<br />
«costato» o «costola» (come in Gn 2,21-22[LXX]). Questo termine<br />
ricorre per ben tre volte nei racconti della risurrezione (20,20.25.27).<br />
Per quanto riguarda il sintagma «sangue e acqua» (ai-ma kai.<br />
u[dwr) notiamo per ora che questo è l’unico caso nel quarto Vangelo<br />
dove i due termini compaiono così uniti. Un approfondimento dei<br />
due vocaboli secondo l’uso che se ne fa in giovanni, è oggetto delle<br />
seguenti pagine. Basti qui accennare al fatto che, pur costituendo<br />
sangue e acqua una realtà unitaria, l’accento sembra cadere sul secondo<br />
elemento. Ciò che suscita la sorpresa di chi vede (v. 35) non<br />
è tanto il sangue (è pressoché normale che questo fuoriuscisse), ma<br />
l’acqua e l’acqua unita al sangue. 10<br />
9 per questa ragione, è veramente arduo condividere l’opinione di r. Bultmann,<br />
per cui il v. 34 sarebbe un’aggiunta redazionale, in quanto si riscontrerebbe<br />
in esso un’assenza di temi tipicamente giovannei. concordiamo invece<br />
con l’affermazione di s. CiPriaNi, «il sangue di cristo», 728: «Direi che s. Giovanni<br />
vi è tutto, con la sua ricchezza di simbolismo e con gli evidenti rimandi<br />
a se stesso».<br />
10 cf s. CiPriaNi, «il sangue di cristo», 728.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
197-229<br />
sacra<br />
201<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Francesco Voltaggio<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
202<br />
scrittura<br />
3. il riferimento all’at nel<br />
Vangelo di giovanni<br />
gli autori del<br />
nt erano<br />
compenetrati<br />
di At, sia per un motivo<br />
culturale e liturgico,<br />
ovvero a causa<br />
del loro essere ebrei, sia soprattutto per la loro convinzione teologica<br />
dell’adempimento di tutte le scritture d’Israele in gesù Cristo. 11<br />
Il dato inconfutabile che gli autori del nt fossero «imbevuti»<br />
delle Scritture aiuta a capire perché essi si riferiscano spesso all’AT<br />
non con una rigorosa fedeltà al testo, ma volendo coglierne il suo<br />
senso pieno (a tale proposito, non va dimenticato che gli autori del<br />
nt avevano a disposizione una traduzione testuale ampia). 12<br />
se è necessario approfondire la conoscenza dello sfondo del nt<br />
nella sua ampiezza (letteratura rabbinica, scritti apocrifi, rotoli del<br />
mar morto, sfondo ellenistico, ecc.), non va dimenticato che in primo<br />
luogo «bisogna intensificare il retroterra culturale del Vangelo, che è<br />
innanzitutto l’AT nell’efflorescenza della galassia del giudaismo, in<br />
tutte le sue espressioni». 13 Ciò non va dato mai per scontato. 14<br />
si lamenta che oggi qualche studioso possa asserire che, sebbene<br />
fonti del quarto Vangelo siano il tm e la LXX, l’autore stesso rimanga<br />
indifferente a esse. 15 In realtà, il rapporto del Vangelo di giovanni<br />
con l’AT appare notevole: benché, infatti, siano solo diciotto<br />
le citazioni giovannee esplicite dell’At, il modo di citare indica un<br />
11 per tale ragione, è impossibile non fare i conti con das Judische am Christentum,<br />
cf r. PeNNa, «appunti sul come e perché il nuovo Testamento si rapporta<br />
all’antico», Bib 81(2000) 102-104, dove si trova un’ottima sintesi del<br />
tema.<br />
12 per queste ragioni, s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico<br />
(Lezioni tenute dall’autore alla VII Settimana Biblica del Clero, Napoli, luglio<br />
1968), Brescia 1972, 16, insiste sul fatto che «il nuovo Testamento è spesso un<br />
enigma per chi non si riferisca all’antico».<br />
13 m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento del vangelo Giovanneo»,<br />
in l. Padovese (ed.), Atti del IV Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo (Turchia:<br />
la chiesa e la sua storia 6), roma 1994, 39.<br />
14 J. duNCaN m. derrett, The Victim: the Johannine <strong>Passio</strong>n Narrative Reexamined,<br />
Shipston-on-Stour 1993, 4, ha affermato: «Yet a general indifference<br />
to Old-Testament themes prevails, and has been made almost into a creation of<br />
“correctness”. The problem known as “The Old Testament in the new” remains<br />
meanwhile».<br />
15 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 4.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 202 04/02/13 09:39
apporto strettissimo con l’At, come vedremo. 16 Per dare solo un<br />
esempio, alcuni esegeti continuano a indicare il grande ruolo giocato<br />
dal libro del profeta Zaccaria nella narrazione della passione e, più<br />
in generale, in tutto il Vangelo di giovanni. 17<br />
Riguardo alla forma concreta delle citazioni esplicite, è interessante<br />
notare che, mentre nella prima parte del Vangelo esse sono<br />
introdotte con la formula tradizionale «sta scritto» o «dice», da gv<br />
12,38 in poi si ha prevalentemente la formula di citazione più solenne<br />
«affinché si compisse». Ciò conferma l’interesse, già da noi rilevato,<br />
che l’autore dà al compimento delle Scritture: la fine di Gesù<br />
è, per lui, essenzialmente un compimento.<br />
Bisogna evitare il pericolo di limitare l’uso giovanneo delle scritture<br />
alla citazione esplicita. Al contrario, noi vorremmo qui focalizzare<br />
l’attenzione sull’ingente numero riferimenti impliciti e allusioni.<br />
Il Vangelo di Giovanni allude spesso a figure, personaggi,<br />
eventi e istituzioni dell’At.<br />
Riguardo alla forma del testo citato, si trova l’intera gamma delle<br />
possibilità: il testo può riferirsi alla versione greca della LXX, al<br />
testo ebraico, al Targum, alla forma testuale attestata nei rotoli del<br />
mar morto. tra queste possibilità, un riferimento prioritario è da<br />
attribuire «alla tradizione testuale manifestantesi nelle due versioni<br />
più importanti, quella aramaica dei Targumim e quella greca dei<br />
LXX». 18<br />
Per alcuni, ciò che rende stupefacente l’impiego delle scritture da<br />
parte dell’autore del quarto Vangelo non è tanto la quantità dei riferimenti,<br />
ma la loro caratteristica inconfondibile: talvolta, come nota<br />
16 cf m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 31; ma s. Grasso, Il<br />
Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e teologico, roma 2008, 839, ne<br />
conta quattordici; cf anche m. mazzeo, Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione,<br />
esegesi e teologia, Milano 2007, 34. per un’analisi approfondita delle<br />
citazioni scritturistiche in Gv, si veda G. reim, Studien zum alttestamentlichen<br />
Hintergrund des Johannesevangeliums (MSSnTS 22), cambridge 1974; e.d.<br />
Freed, Old Testament Quotations in the Gospel of John (nT.S 11), Leiden 1965;<br />
circa le citazioni esplicite, cf. B.G. sCHuCHard, Scripture Within Scripture. The<br />
Interrelationship of Form and Function in the Explicit Old Testament Citations in<br />
the Gospel of John (SBL.DS 133), atlanta 1992.<br />
17 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 137; F.F. BruCe, «The Book of<br />
Zechariah and the passion narrative», BJRL 43(1961), 336-353; F. maNNs,<br />
«Zacharie 12,10 relu en Jean 19,37», SBFLA 56(2006), 309.<br />
18 m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 30.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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nobile, «la citazione non ha un riferimento univoco, tanto che si<br />
può parlare, come dice il Cothenet, di “citation confluente”». 19 Egli<br />
porta come esempio la citazione in gv 6,31, che può riferirsi a Es<br />
16,4.15, ma anche a Sal 78,24 o a Ne 9,15; ma ancora più sorprendente<br />
è la citazione presente in 7,38, di fondamentale importanza per<br />
noi, perché molto legata al nostro testo: tale citazione si riferisce, a<br />
suo parere, a una conflazione scritturistica formatasi intorno al tema<br />
dell’acqua zampillante nel deserto, così com’è stato sviluppato nelle<br />
tradizioni targumiche a Es 15,22.25, a Es 15,27 e Nm 33,9 e a Es<br />
17,2-6 e nm 20,1ss, in connessione con il racconto dell’acqua sgorgante<br />
dal tempio di Ez 47,1-12. non sembra perciò esagerato asserire<br />
che talvolta le citazioni giovannee siano legate a conflazioni<br />
scritturistiche, già note forse nella tradizione ebraica: in conclusione,<br />
l’autore del quarto Vangelo è abile nel creare delle concentrazioni di<br />
allusioni all’At. 20<br />
4. il sottofondo anticotestamentario<br />
di gv 19,34:<br />
le due citazioni esplicite 20<br />
Le due citazioni<br />
dell’At costituiscono<br />
la<br />
chiave indispensabile<br />
per comprendere ciò<br />
che l’autore vuole indicare<br />
nell’evento del<br />
fiotto di sangue e acqua dal costato di Gesù. L’insistenza sull’importanza<br />
dell’evento, espressa nel v. 35, prepara la comunicazione del<br />
suo significato. Come avviene tale comunicazione? D’importanza<br />
fondamentale è per noi il fatto che, per introdurre il suo lettore nel<br />
mistero dell’evento eccezionale del v. 34, giovanni rimanda il lettore<br />
all’At. 21<br />
La prima citazione «Non gli sarà spezzato alcun osso» (v. 36:<br />
VOstou/n ouv suntribh,setai auvtou/) spiega anzitutto la ragione dell’i-<br />
19 m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 31.<br />
20 Una dettagliata esposizione dei problemi principali riguardanti le forme<br />
testuali delle due citazioni e delle soluzioni degli esegeti in proposito, si troverà<br />
in m.J.J. meNkeN, Old Testament Quotations in the Fourth Gospel. Studies in<br />
Textual Form (cBeT 15), Kampen 1996, 147-185.<br />
21 cf s. lyoNNet, «il sangue nella trafittura di Gesù», 740.<br />
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nadempienza del crurifragium per gesù. L’inadempienza dei soldati<br />
non si deve, per l’evangelista, alla mera constatazione che gesù<br />
fosse già morto (v. 33). Egli vede più in profondità: in questa inadempienza<br />
scorge un adempimento della scrittura. La citazione è introdotta<br />
in modo solenne: «Questo, infatti, avvenne perché si adempisse<br />
la Scrittura» (evge,neto ga.r tau/ta i[na h` grafh. plhrwqh/|).<br />
È difficile stabilire con esattezza da dove provenga la citazione<br />
seguente: gli studiosi oscillano tra due riferimenti principali. Il<br />
primo possibile riferimento è Es 12,10.46(LXX), dove è descritto<br />
il rituale dell’agnello pasquale. In entrambi i versetti, si legge: kai.<br />
ovstou/n ouv suntri,yete avpV auvtou/ («e non gli spezzerete alcun osso»)<br />
una traduzione abbastanza fedele a Es 12,46 del TM. La difficoltà<br />
viene dal fatto che il verbo, nella LXX, è all’attivo e alla seconda<br />
persona plurale, mentre nella citazione giovannea si trova al passivo<br />
e alla terza persona singolare. Anche in nm 9,12 il verbo è all’attivo.<br />
Il futuro passivo ricorre invece nel Sal 34(33),21(LXX): ku,rioj<br />
fula,ssei pa,nta ta. ovsta/ auvtw/n e]n evx auvtw/n ouv suntribh,setai. Il<br />
salmo si riferisce alla sorte del giusto. sebbene tale allusione, come<br />
vedremo tra breve, non sia da trascurare, 22 il riferimento principale<br />
è all’agnello pasquale. Ciò è confermato dalla cornice pasquale in<br />
cui l’autore del quarto Vangelo colloca la morte di gesù. 23 L’autore,<br />
infatti, insiste a più riprese (vv. 31.42) sul fatto che si era nel giorno<br />
della Parasceve, poco prima del tramonto del sole, tempo in cui si<br />
dava inizio al rito dell’immolazione degli agnelli nel tempio.<br />
Un altro riferimento a vantaggio di questa ipotesi è il dettaglio<br />
dell’issopo (19,29), 24 pianta che si usava proprio per l’aspersione del<br />
sangue dell’agnello, secondo quanto narrato in Es 12,21ss. 25 L’evangelista<br />
ha quindi davanti in primo luogo Es 12,46. Va notato però<br />
22 16 r. BultmaNN, Das Evangelium des Johannes, Göttingen 1959, 524, ritiene<br />
che nella citazione Gv ricorra sì al Sal 34, ma alludendo volutamente a<br />
es 12,46.<br />
23 cf r. FaBris, Giovanni, 990; s. lyoNNet, «il sangue nella trafittura di Gesù»,<br />
741.<br />
24 cf J.P. Heil, Blood and Water. The Death and Resurrection of Jesus in John<br />
18-21 (cBQMS 27), Washington 1995, 107.<br />
25 cf J. mateos – J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e<br />
commento esegetico, assisi 1982, 772; a.m. luPo, La sete, l’acqua, lo spirito.<br />
Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti giovannei<br />
(anGreg 289), roma 2003, 240.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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Francesco Voltaggio<br />
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che, quando un autore del nt si riferisce a un evento dell’At, vuole<br />
sempre rifarsi a tutto il contesto dell’episodio come avente valore figurativo.<br />
26 Così facciamo nostra l’affermazione di s. Lyonnet: «giovanni<br />
fa ricorso precisamente ad una circostanza secondaria dell’agnello<br />
ebraico per provare che gesù è il vero Agnello Pasquale». 27<br />
Degno di nota è che, nel rito dell’agnello pasquale come descritto<br />
in Es 12, il gesto principale non era quello della manducazione, ma<br />
quello dell’effusione del sangue, con cui si dovevano tingere gli stipiti<br />
per allontanare lo sterminio e fare sì che Dio passasse oltre. 28<br />
Il sangue dell’agnello consacra così le case degli Ebrei. tutto ciò<br />
permette di entrare più in profondità nel senso dell’evento descritto<br />
nel v. 34: il sangue di Cristo consacra l’umanità così come il sangue<br />
dell’agnello consacrò le dimore degli Israeliti.<br />
J.P. Heil nota che l’uccisione dell’agnello pasquale era interpretata<br />
come un sacrificio, poiché in Es 12,21.27(LXX) si usano i termini<br />
qu,sate-qusi,a. 29 L’autore del quarto Vangelo vuole così esprimere<br />
l’idea che la morte di gesù come agnello pasquale non salva<br />
solo dallo sterminio, ma toglie anche il peccato del mondo. già<br />
dall’inizio del Vangelo, infatti, l’autore aveva messo in bocca a giovanni<br />
il Battista: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato<br />
del mondo!» (Gv 1,29). Quest’affermazione prepara Gv 19,33.36. 30<br />
Così gesù è presentato qui come il nuovo e perfetto agnello pasquale,<br />
immolato per la liberazione dalla schiavitù del peccato e per la salvezza<br />
del mondo. D’altra parte, il fatto che la forma del verbo contenuto<br />
nella citazione sia letteralmente uguale a quella contenuta in sal<br />
34(33),21(LXX) può far pensare che l’autore abbia in mente anche<br />
26 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95, accosta tale<br />
intenzione a quella dei padri della chiesa.<br />
27 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95; si veda anche<br />
m. miGueNs, «“Salió sangre y agua” (Jn 19,34)», SBFLA 14(1963-64), 5-31;<br />
J.m. Ford, «“Mingled Blood” from the Side of christ (John xix.34)», NTS<br />
15/3(1969), 337-338; H.C. WaetJeN, The Gospel of the Beloved Disciple. A<br />
Work in Two Editions, London 2005, 405-406.<br />
28 cf F. maNNs, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme (SBfa 33) Jerusalem<br />
1991, 424.<br />
29 cf J. P. Heil, Blood and Water, 107.<br />
30 J. P. Heil, Blood and Water, 106, sostiene un affascinante collegamento<br />
tra la nostra pericope (sangue dell’agnello – acqua che è lo Spirito) e Gv 1<br />
(agnello che toglie/porta il peccato del mondo – battesimo di acqua e battesimo<br />
in Spirito)<br />
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il giusto in esso menzionato. A ciò va aggiunto che più della metà<br />
delle citazioni esplicite fatte dall’autore del quarto Vangelo sono<br />
tratte proprio dai salmi. Come tenteremo di mostrare nelle pagine<br />
seguenti, i due riferimenti all’agnello pasquale e al giusto potevano<br />
essere già uniti nella tradizione e quindi non si escludono a vicenda.<br />
L’origine della seconda citazione «Volgeranno lo sguardo a colui<br />
che hanno trafitto» (v. 37: :Oyontai eivj o]n evxeke,nthsan), che l’evangelista<br />
impiega per spiegare l’evento descritto nel v. 34, è meno difficile<br />
da individuare. Si tratta senza dubbio di Zc 12,10. Sembra più<br />
arduo, invece, determinare quale forma testuale egli abbia scelto. 31<br />
Il TM ha: «Guarderanno a me, colui che hanno trafitto» (Wrq›D›-rv,a] tae<br />
yl;ae WjyBihiw>). La LXX traduce così: «guarderanno verso me, colui per il<br />
quale hanno danzato» o «colui che hanno ingiuriato» (evpible,yontai<br />
pro,j me avnqV w-n katwrch,santo). tale traduzione è spiegabile con<br />
la confusione nella grafia tra il verbo rqd («colpire, trafiggere») e<br />
dqr («danzare», «ingiuriare»); è possibile che per alcuni scribi fosse<br />
ripugnabile l’idea di un «Dio trafitto» e abbiano voluto così «targumizzare»<br />
l’espressione. solo la versione di simmaco, traducendo<br />
evpexeke,nthsan, è simile a gv 19,37. La traduzione dell’evangelista<br />
era comunque nota: Ap 1,7 usa la stessa forma evxeke,nthsanÅ Il verbo<br />
evkkente,w è sempre usato nella LXX per esprimere una trafittura di<br />
lancia o di spada. L’evangelista ha scelto questo verbo per applicare<br />
il testo di Zc 12,10 a Gesù trafitto. Secondo la consueta tecnica di<br />
citazione, l’autore richiama tutto il contesto immediato di Zc 12 e<br />
non solo la frase citata. 32<br />
Alcuni vanno oltre e pensano che lo sfondo da considerare sia Zc<br />
12-14, che rappresenterebbe un blocco fondamentale per la costruzione<br />
di tutto il testo. 33 Certo è che, come notato sopra, l’autore del<br />
31 per un’analisi della tradizione testuale di Zc 12,10 nelle varie versioni<br />
e delle sue interpretazioni nella tradizione ebraica antica, si veda F. maNNs,<br />
«Zacharie 12,10», 302-307.<br />
32 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95, sulla base di tale<br />
convinzione sviluppa la sua esegesi di questo passo.<br />
33 d.J. moo, The Old Testament in the Gospel <strong>Passio</strong>n Narratives, Sheffield<br />
1983, 218, usa l’espressione «building block». per F. maNNs, L’Évangile de<br />
Jean, 424, e per J. duNCaN m. derrett, The Victim, 137, il contesto da considerare<br />
è Zc 12-13.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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scrittura<br />
quarto Vangelo mostra una predilezione per Zaccaria 34 e in particolare<br />
per i cc. 12-14. Ad ogni modo, la tesi che l’evangelista abbia citato<br />
questo testo per riferirsi anche a tutto il suo contesto immediato<br />
è facilmente dimostrabile. In Zc 12, in un contesto escatologico, si<br />
parla della morte di un personaggio misterioso, per cui si farà lutto e<br />
come un figlio unico, come un primogenito (Zc 12,10[LXX] traduce<br />
w`j evpV avgaphto.n…w`j evpi. prwtoto,kw|, che contiene due titoli che<br />
diverranno titoli cristologici). Questo giorno d’angoscia e terrore<br />
(12,2.4), di lamento e grande lutto (su cui s’insiste in modo particolare<br />
in 12,11-14), sarà lo stesso giorno in cui Dio riverserà sulla<br />
casa di Davide e sugli abitanti di gerusalemme «uno spirito di grazia<br />
e di consolazione» (12,10). Di tale giorno si continua a parlare nei<br />
cc. 13-14 e fin da Zc 13,1 si annuncia che proprio in quel giorno di<br />
catastrofe avverrà qualcosa di stupendo: «Vi sarà una sorgente zampillante<br />
per lavare il peccato e l’impurità» (Zc 13,1; la LXX traduce<br />
«luogo» invece di «sorgente»). Sulla possibile allusione a Zc 13-14<br />
torneremo più avanti.<br />
Vari esegeti<br />
sono convinti<br />
che il<br />
rimando all’At del<br />
nostro testo non si fermi alle due citazioni esplicite. 35 5. le possibili allusioni all’at<br />
Intraprendendo<br />
ora un cammino difficile, si passeranno in rassegna le possibili allusioni,<br />
valutandone la plausibilità. Poiché la rilevanza dell’evento<br />
della fuoriuscita di sangue e acqua è massima per l’evangelista e<br />
sopravanza il fenomeno contingente, non c’è da meravigliarsi se egli<br />
voglia accumulare molti rimandi biblici nell’uso di pochi termini. Le<br />
allusioni seguenti non sono elencate in conformità a un criterio particolare:<br />
talvolta esse riguardano più il sangue, talvolta più l’acqua,<br />
spesso entrambi; in non pochi casi, le stesse allusioni possono mo-<br />
34 È interessante notare che il libro che cita e allude maggiormente al profeta<br />
Zaccaria è l’apocalisse (forse nel circolo giovanneo era un libro di profezia<br />
molto meditato, perché molto «messianico»?).<br />
35 cf in proposito J. duNCaN m. derrett, The Victim, 8; r.e. BroWN, La morte<br />
del Messia. Dal Getsemani al Sepolcro. Un commentario ai racconti della passione<br />
nei quattro vangeli (BTcon 108), Brescia 1999, 1334.<br />
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strare un legame tra loro. Per questa ragione, intendiamo fornire in<br />
questo capitolo solo una carrellata in ordine sparso delle possibili<br />
allusioni, raccogliendole alla fine in una sintesi più organica.<br />
L’acqua dalla roccia e la festa di Sukkot<br />
Una delle allusioni bibliche più indicate dagli esegeti in gv 19,34<br />
è quella della roccia sgorgante acqua nel deserto. Ciò proviene dal<br />
collegamento tra gv 19,34 e gv 7,37-39. La solenne affermazione<br />
di gesù contenuta in questi ultimi versetti è collocata nel «grande<br />
giorno» della festa (VEn de. th/| evsca,th| h`me,ra| th/| mega,lh| th/j e`orth/j);<br />
anche in Gv 19,31-37 siamo in una festa e nel «grande giorno» (v.<br />
31: h=n ga.r mega,lh h` h`me,ra). In 7,37-39 gesù stesso, in una cornice<br />
solenne (il grande giorno della festa di Sukkot) e in modo solenne<br />
(levatosi in piedi e a gran voce, v. 37), cita la Scrittura: potamoi. evk<br />
th/j koili,aj auvtou/ r`eu,sousin u[datoj zw/ntoj. sebbene sia controversa<br />
la questione se il pronome auvtou/ si riferisca al credente o a<br />
Gesù e sia difficile stabilire esattamente da dove sia tratta questa<br />
citazione, 36 i legami con il nostro testo gv 19,31-37 sono innegabili.<br />
La citazione presente in gv 7,38 è da molti collegata all’evento della<br />
fuoriuscita di acqua dalla roccia nel deserto (Es 17,1-7; Nm 20,1-<br />
13). 37 Per alcuni, il riferimento a quell’evento è operato attraverso il<br />
collegamento diretto con Sal 78,15-16.20, dove nella versione greca<br />
si usa lo stesso verbo che in gv 7,38 per lo «scorrere» dell’acqua<br />
(anche in Is 48,21).<br />
tutto ciò sarebbe confermato dalla cornice in cui l’evangelista<br />
colloca l’affermazione di gesù: la festa di Sukkot, che si protraeva<br />
per sette giorni, era un memoriale del miracolo dell’acqua nel deserto<br />
38 e comportava libagioni d’acqua 39 e preghiere per la pioggia;<br />
36 Si segnalano come possibili fonti is 12,3; 43,20; 44,3; 55,1; 58,11; ez<br />
1-12; Gl 3,1; 4,18; Zc 13,1; 14,8.<br />
37 Questo è il riferimento più probabile per s. CiPriaNi, «il Sangue di cristo»,<br />
729-30.<br />
38 cf s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 103.<br />
39 cf J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù, 405; si veda anche p.<br />
259, nota 106. Durante la festa di Sukkot, il sommo sacerdote faceva libagioni<br />
d’acqua e di vino in due fori sotto l’altare, che comunicavano con le acque<br />
dell’abisso, come rito di propiziazione per la pioggia; questo sottofondo non<br />
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la festa era accompagnata dalle letture profetiche riguardanti la sorgente<br />
escatologica che avrebbe rigenerato sion. non va dimenticato<br />
che, fra tali letture, il profeta Zaccaria, che annuncia tale sorgente<br />
zampillante per gli abitanti di Gerusalemme (Zc 13,1) e le acque<br />
vive sgorganti da Gerusalemme (14,8), doveva avere un’importanza<br />
notevole, giacché esso termina proprio con la menzione della celebrazione<br />
della festa di Sukkot (Zc 14,16-19).<br />
Il collegamento tra gesù e la roccia sgorgante nel deserto era già<br />
stato fatto, prima della stesura del Vangelo, da Paolo in 1Cor 10,4.<br />
Come sopra accennato, ciò che stupisce il testimone oculare non è<br />
tanto la fuoriuscita di sangue dal corpo di Gesù (che sarebbe stata<br />
del tutto naturale), ma quella dell’acqua, o meglio del sangue unito<br />
all’acqua. L’enfasi è sul secondo elemento. In gv 7,39 si spiega<br />
la citazione dicendo che gesù intendeva fare un collegamento tra<br />
acqua e Spirito, dopo la sua glorificazione, che per l’evangelista<br />
è il momento del suo innalzamento sulla croce. ora, in gv 19,34,<br />
dopo la glorificazione e la resa dello Spirito, menziona nuovamente<br />
quest’acqua.<br />
Come appendice, notiamo che nel Targum Pseudo-Jonathan a<br />
nm 20,11 la roccia del deserto fa uscire prima sangue e poi acqua,<br />
quando mosè la percuote con il bastone due volte. 40 non conosciamo<br />
purtroppo l’antichità della tradizione sottostante a questo testo e sarebbe<br />
perciò audace collegarla direttamente a gv 19,34. 41 Ad ogni<br />
modo, ci sono motivi per collegare gv 19,34 con gv 7,37-39 e forse,<br />
attraverso quest’ultimo, anche con il racconto della roccia colpita<br />
sgorgante acqua nel deserto.<br />
deve essere trascurato, come nota F. maNNs, Le symbole eau-esprit dans le judaïsme<br />
ancien (SBfa 19), Jerusalem 1983, 292.<br />
40 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 36; occorre notare che la tradizione<br />
della fuoriuscita di sangue e acqua dalla roccia poteva essere antica, essendo<br />
basata sull’accostamento dei testi del Sal 78,20 (cf. anche Sal 105,41) e di Lv<br />
15,25. nel primo testo, ove si fa riferimento al miracolo dell’acqua sgorgata<br />
dalla roccia, si usa il verbo bwz, che nel secondo testo del Lv è usato per indicare<br />
il flusso di sangue. Tale accostamento è esplicito in ShemR 3,13.<br />
41 cf F. maNNs, L’Évangile de Jean, 424.<br />
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Il sangue dei sacrifici e il sangue dell’alleanza<br />
Per alcuni, l’evangelista ha dato rilevanza all’evento del v. 34,<br />
in riferimento non solo all’agnello pasquale, ma anche ai sacrifici<br />
dell’At. 42 Vale la pena di sondare la plausibilità di questa seconda<br />
eventuale allusione. Come in molte religioni antiche, anche nell’At,<br />
il sangue è sede della vita; 43 basti citare in proposito Lv 17,11: «La<br />
vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare<br />
in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia, in quanto<br />
è la vita (vp,N
sacra scrittura<br />
Francesco Voltaggio<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
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scrittura<br />
ticolare dei riti di espiazione dello Yom Kippur? 45 Quest’interpretazione<br />
è sicuramente presente nella Lettera agli Ebrei (cf. 9,15-28).<br />
Il sangue non ha tuttavia solo forza espiatrice: esso santifica e<br />
consacra; in Es 29,15-21 il sacerdote e le sue vesti sono consacrati<br />
proprio dal sangue delle vittime sacrificali. È interessante notare<br />
che nel rito di consacrazione di Aronne e dei suoi figli in Es 29, il<br />
primo gesto che essi sono chiamati a fare è il lavaggio con acqua<br />
(v. 4), che li dispone a indossare le vesti. In seguito, queste vesti<br />
saranno asperse dal sangue dell’altare (v. 21). In Lv 16, il sangue<br />
riveste un’importanza essenziale (vv. 14-15), ma si menziona anche<br />
il lavaggio del sacerdote con l’acqua (vv. 23-24). Il collegamento<br />
tra sangue e acqua nei sacrifici dell’AT andrebbe approfondito. Entrambi<br />
erano usati come elementi per l’aspersione, ma qual è la differenza<br />
tra le due aspersioni? Ritorneremo sul tema più avanti, prestando<br />
particolare attenzione a nm 19, dove pare vi sia un legame tra<br />
aspersione del sangue – acqua purificatrice – giovenca rossa.<br />
È impossibile far riferimento ai sacrifici dell’AT, senza considerare<br />
il rapporto essenziale di questi con l’alleanza. È sufficiente<br />
leggere Es 24,5-8 per notare che il rito essenziale nella stipulazione<br />
dell’alleanza è il rito del sangue. 46 In Es 24,6-8 si narra che mosè<br />
fece aspergere l’altare e il popolo con il sangue dei sacrifici di comunione,<br />
proclamando (v. 8): «Ecco il sangue dell’alleanza che il<br />
Signore ha concluso con voi» (~k,M›[i hw»hy> tr;K› rv,a] tyrIB.h;-~d; hNEhi). Così<br />
«il sangue dell’alleanza» unisce Dio e il popolo in comunione di<br />
vita e in un vincolo di sangue quasi parentale. Va constatato che, per<br />
adempiere questo rito, il taglio delle vittime era talmente importante<br />
che, com’è risaputo, in ebraico l’espressione usuale per stringere<br />
un’alleanza è letteralmente «tagliare un’alleanza» (tyrb twrkl). si<br />
potrebbe pensare, pertanto, che il «taglio» del costato di gesù e il<br />
sangue uscito desti l’interesse dell’evangelista anche per un riferimento<br />
all’alleanza.<br />
non c’è dubbio che nei sinottici e in Paolo, il sangue di Cristo<br />
è interpretato come «sangue della nuova alleanza» in stretto riferimento<br />
con la frase di Mosè sopra riportata (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc<br />
45 cf a. CarmiNati, È venuto nell’acqua e nel sangue, 48.<br />
46 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 71, insiste particolarmente<br />
su questo punto nell’esegesi di Gv 19,31-37.<br />
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22,20; 1Cor 11,25). Giovanni non riporta il racconto dell’istituzione<br />
dell’Eucarestia, ma è senza dubbio al corrente della sua tradizione.<br />
Passando per tale tradizione, è difficile negare che l’evangelista non<br />
stia pensando in gv 19,34 al sangue dell’alleanza. 47 se ciò è vero,<br />
il sangue di Cristo, sangue della nuova alleanza, è effuso dal suo<br />
costato in unione con l’acqua sia per lavare il peccato (sangue del<br />
sacrificio in remissione dei peccati), sia per realizzare una totale riconciliazione<br />
e unione tra Dio e l’uomo (sangue dell’alleanza).<br />
L’acqua della purificazione e l’acqua dei sacrifici<br />
Nell’AT, l’acqua è il mezzo per eccellenza per la purificazione<br />
fisica. Insieme al fuoco, al sangue e all’olio, è impiegato nelle purificazioni<br />
rituali, per cancellare l’impurità. Le viscere delle vittime<br />
sacrificali dovevano essere lavate con acqua (cf. Es 29,17; Lv 1,9.13;<br />
8,21; 9,14).<br />
Per alcuni, l’acqua che esce dal costato trafitto e su cui naturalmente<br />
verte lo stupore dell’evangelista, significa essenzialmente per<br />
l’evangelista una purificazione. 48<br />
In nm 19, l’acqua lustrale si ottiene con le ceneri di una giovenca<br />
rossa, immolata e arsa fuori dall’accampamento (vv. 1-10).<br />
Il rituale dell’immolazione della giovenca è minuzioso. Il sacerdote<br />
Eleazaro deve prendere del sangue dell’animale con il suo dito e<br />
spruzzare con esso la parte anteriore della tenda della riunione (v.<br />
4). Poi deve lavarsi le vesti e il corpo con acqua (vv. 7-8). Le ceneri<br />
della giovenca rossa, preparate con questo rito, servono a cancellare<br />
l’impurità contratta per il contatto con un morto (vv. 11-16). Il<br />
sacrificio, le ceneri della giovenca rossa (per molti il colore vuole<br />
richiamare il sangue) 49 , l’acqua, sono così segni e strumenti di purificazione.<br />
Nel v. 17 si dice che per l’impuro si prenderanno le ceneri<br />
e vi si porrà sopra «acqua viva»; la LXX traduce quest’espressione<br />
47 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 182-183, che vedrebbe un collegamento<br />
anche con Mt 27,24-25. y. simoeNs, Secondo Giovanni. Una traduzione<br />
e un’interpretazione, Bologna 2000, 782, nel commentare il fiotto di sangue in<br />
Gv 19,34, conclude: «Questo sangue è il sangue dell’alleanza».<br />
48 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 183.<br />
49 in proposito, occorre ricordare l’assonanza, nella lingua ebraica, tra ~da<br />
(«rosso») e ~d («sangue»).<br />
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«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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con u[dwr zw/n, un sintagma che in questa forma ricorre solo qui e<br />
in Zc 14,8 (altro passo legato a Gv 19,31-37), e che per il Vangelo<br />
di giovanni è di grande importanza. Quest’acqua lustrale è capace<br />
di purificare quanto il fuoco (cf. Nm 31,22-23): possiede in sé una<br />
grande potenza. Il fascino di tale acqua potrebbe essere stato accresciuto,<br />
nell’attento lettore dell’At, dal racconto che segue il testo del<br />
rituale delle acque lustrali: il miracolo dell’acqua che sgorga dalla<br />
roccia nel deserto (Nm 20), di cui abbiamo già trattato. 50<br />
L’agnello e il giusto/servo<br />
Per alcuni autori, il sottofondo anticotestamentario più probabile<br />
per l’interpretazione giovannea degli eventi successivi alla morte di<br />
gesù, è il riferimento al giusto del sal 34. secondo la loro opinione,<br />
la prima citazione presente nella pericope non si riferirebbe tanto al<br />
rito dell’agnello pasquale, ma soprattutto alla figura del giusto perseguitato.<br />
Questo non solo per l’impiego della stessa forma verbale<br />
(futuro passivo) in Gv 19,36 e in Sal 34(33),21(LXX), ma anche<br />
perché quando Giovanni usa il termine «Scrittura» (come in 19,36)<br />
non cita mai un passo della torah e, specialmente durante il racconto<br />
della passione, egli trae le sue citazioni esclusivamente dal libro dei<br />
Salmi e dal profeta Zaccaria. 51 In questo salmo, il giusto è protetto<br />
da Dio, mentre altrove si allude al giudizio divino subito dal pecca-<br />
50 L’importanza del rituale delle ceneri della giovenca rossa è rimarcata<br />
dall’autore della Lettera agli ebrei in 9,13-14: «Se il sangue dei capri e dei<br />
vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li<br />
santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di cristo – il quale,<br />
mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la<br />
nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente?». Qui, il<br />
sacrificio (sangue delle vittime) e la cenere della giovenca (collegata strettamente<br />
all’acqua della purificazione) santificano e purificano: il sangue di cristo<br />
è collegato a queste realtà come compimento superiore.<br />
51 m.l. riGato, «Gesù “l’agnello di Dio”, “colui che toglie il peccato del<br />
mondo” (Gv 1,29), nell’immaginario cultuale giovanneo. Secondo Giovanni<br />
Gesù muore il 13 durante il “tamid” del pomeriggio (Gv 18,28; 19,14.31-37)»,<br />
in l. Padovese (ed.), Atti del VII Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo (Turchia:<br />
la chiesa e la sua storia 13), roma 1999, 110, conclude che «la rilettura<br />
cristologica giovannea di “un osso non sarà spezzato” è in riferimento al giusto<br />
del Sal 34».<br />
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tore, riferendosi alle sue «ossa spezzate» (Sal 51,10). 52 non si può<br />
pertanto negare che giovanni possa alludere anche a sal 34,21. 53<br />
ora, i salmi del giusto sofferente sono spesso associati ai canti del<br />
servo in Isaia. 54 Basti pensare a Is 53,7, dove il giusto sofferente è<br />
paragonato a un «agnello condotto al macello». non è impossibile<br />
dunque che Giovanni voglia alludere a una conflazione di testi o<br />
faccia una «citazione confluente» (molto comune nella Scrittura e<br />
non rara in giovanni), 55 in cui vi è un legame sottostante tra agnello<br />
pasquale – giusto sofferente – Servo di YHWH in Is 53. Si tratta<br />
di un’ipotesi da approfondire. menzioniamo qui solo il fatto che la<br />
tradizione dell’accostamento fra le ossa dell’agnello pasquale menzionate<br />
in Es 12,46 e in nm 9,12 da una parte, e quelle del giusto del<br />
Sal 34,21 dall’altra, può essere molto antica, poiché è presente già<br />
nel Libro dei Giubilei 49,13 dove il precetto di non spezzare alcun<br />
osso dell’agnello pasquale è motivato dal fatto che «nessun osso dei<br />
figli d’Israele fu spezzato» (secondo la versione etiopica).<br />
Altrettanto interessante sarebbe un’indagine su di un’altra<br />
possibile allusione al giusto sofferente in gv 19,34 56 . nel sal<br />
22(21),15(LXX) si legge: w`sei. u[dwr evxecu,qhn («come acqua sono<br />
versato»). ora, se si considera che lo stesso versetto fa riferimento<br />
alle ossa del giusto e soprattutto che tutto il Sal 22(21) è il salmo che<br />
per gli autori del NT si è adempiuto per eccellenza sulla croce (lo<br />
stesso giovanni lo cita poco prima in 19,24), è davvero impossibile<br />
un’allusione almeno inconscia da parte dell’evangelista?<br />
L’agnello e Isacco<br />
Da menzionare è anche il possibile riferimento a Isacco, presentato,<br />
nella tradizione ebraica antica, come agnello e figura del giu-<br />
52 cf G. ravasi, Il Libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, 1: Salmi<br />
1-50, 3 voll., Bologna 1981-1984, 624.<br />
53 Questa è l’opinione di r.e. BroWN., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale,<br />
assisi 1979, ii, 1192; si veda anche s. Grasso, Il Vangelo di Giovanni,<br />
743.<br />
54 Si veda G. ravasi, Il Libro dei Salmi, i, 625.<br />
55 cf m.J.J. meNkeN, Old Testament Quotations in the Fourth Gospel. 157.<br />
56 Tale allusione è notata da J. duNCaN m. derrett, The Victim, 136<br />
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«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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sto. 57 In gn 22, Isacco è associato all’agnello per l’olocausto e le versioni<br />
targumiche «giocano» volentieri su questo particolare. nella<br />
tradizione targumica palestinese a gn 22,8.10, Isacco è chiaramente<br />
paragonato a una vittima sacrificale e in particolare a un agnello.<br />
nel Targum a Lv 22,27 il sacrificio quotidiano dell’agnello (Tamid)<br />
è interpretato in relazione alla ‘Aqedah, alla legatura d’Isacco. già<br />
l’autore del Liber Antiquitatum Biblicarum allude alla relazione tra<br />
legatura dell’agnello e legatura d’Isacco, allorché specifica in 32,4<br />
che i piedi di costui furono legati: «Et cum obtulisset pater filium in<br />
aram, et ligasset ei pedes, ut eum occideret, festinavit». ora, secondo<br />
la tradizione ebraica antica, la ‘Aqedah d’Isacco ha avuto luogo nel<br />
monte del futuro tempio, il quattordici di nisan. Il terminus a quo<br />
di questa tradizione è almeno il I secolo a.C.: secondo il Libro dei<br />
Giubilei, infatti, il sacrificio d’Isacco è avvenuto in Sion durante la<br />
Pasqua (cf. 17,15; 18,3.13). 58 Anche il Targum mette in rapporto la<br />
legatura d’Isacco con la notte di Pasqua e la ambienta nel monte<br />
del tempio. 59 E cosa si sacrifica nel tempio durante la Pasqua se non<br />
l’agnello? Si può così affermare che «la legatura d’Isacco è il primo<br />
sacrificio pasquale». 60<br />
Secondo Es 12,5 l’agnello pasquale doveva essere ~ymt («integro»):<br />
nell’At questo termine è riferito non solo alle vittime sacrificali,<br />
che dovevano essere senza difetto e immacolate, 61 ma anche<br />
all’uomo integro e innocente. 62 Le vittime sacrificali dovevano essere<br />
integre perché segno visibile dell’integra intenzione del cuore<br />
da parte dell’offerente. In particolare, la «perfezione» dell’agnello<br />
nei sacrifici era legata alla mitezza dell’animale, che non recalcitra<br />
dinanzi a chi lo sacrifica.<br />
57 La trattazione che segue è sviluppata in F.G. voltaGGio, La oración de los<br />
padres, 144-151.<br />
58 così afferma J. vaN ruiteN, «abraham, Job and the Book of Jubilees: the<br />
intertextual relationship of Genesis 22:1-19, Job 1:1-2,13 and Jubilees 17:15-<br />
18,19», in e. Noort – e. tiGCHelaar (edd.), The Sacrifice of Isaac. The Aqedah<br />
(Genesis 22) and its Interpretations (TBn 4), Leiden – Boston – Köln 2002, 75-<br />
76: «The association of the sacrifice of isaac with passover was important for<br />
the author of Jubilees».<br />
59 cf Targum Neofiti e Targum Frammentario a es 12,42.<br />
60 F. maNNs, L’Évangile de Jean, 425.<br />
61 cf Lv 1,3.10; 3,1.6; 4,3.23; 5,15.18.25; 22,19.21; 23,12; nm 6,14.<br />
62 cf Gn 6,9; 17,1; Dt 18,13; 2Sam 22,24.26<br />
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secondo il Targum Palestinese a Gn 12,42 (Neofiti, Targum<br />
Frammentario) Isacco aveva trentasette anni al momento della sua<br />
‘Aqedah: il fatto che egli fu portato al sacrificio quando non era più<br />
un bambino corrisponde all’antica tradizione palestinese, riportata<br />
anche da giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche 1,227. La tradizione<br />
dell’offerta libera d’Isacco era diffusa nel primo secolo d.C.,<br />
com’è attestato nel Quarto Libro dei Maccabei (13,12; 16,20), ove<br />
Isacco è presentato come figura esemplare di martire.<br />
Possiamo ora tirare alcune conclusioni. In sal 34,21 si paragona<br />
il giusto sofferente all’agnello pasquale: a entrambi non è spezzato<br />
alcun osso. Anche in Is 53,7 il Servo di YHWH è paragonato<br />
a un «agnello condotto al macello», perché dinanzi alle umiliazioni<br />
«non aprì la sua bocca». Isacco, agnello, giusto/Servo sofferente:<br />
tali figure potevano essere legate già all’epoca del secondo tempio. 63<br />
Forse l’agnello pasquale aveva già ricevuto una certa «personificazione»<br />
in Isacco, nel giusto sofferente, nel Servo di YHWH di Is 53.<br />
L’immolazione dell’agnello pasquale nel tempio era compiuta<br />
«tra le due sere» (Es 12,6: ~ybr[h !yb) e il sangue dell’agnello era<br />
asperso sull’altare. nell’immolazione dell’agnello pasquale ogni<br />
israelita era chiamato a sentirsi come Abramo e Isacco che avevano<br />
dato culto sul Moria/luogo del tempio: quanto avvenuto nei Padri era<br />
un segno per i figli. Ma non solo ciò. Filone rileva che ogni ebreo nel<br />
giorno di Pasqua è elevato alla dignità di sacerdote: ogni ebreo è al<br />
tempo stesso come Abramo e come un sacerdote e perciò deve immolare<br />
la vittima di propria mano. 64 su questo sfondo Isacco poteva<br />
essere visto come un simbolo dell’agnello pasquale che si doveva<br />
scegliere bene e portare nel luogo del tempio perché fosse legato<br />
e immolato. L’autore del quarto Vangelo mostra che gesù è nello<br />
stesso tempo il nuovo Isacco e il nuovo agnello pasquale: Abramo<br />
ha visto il suo giorno e ha gioito (Gv 8,56); egli è stato legato nel<br />
giardino (Gv 18,12). Egli è anche l’Agnello di Dio che si carica del<br />
peccato del mondo (Gv 1,29.36); è portato al processo e viene «esa-<br />
63 come asserisce a. díez maCHo, «Targum y nuevo Testamento», in<br />
Mélanges Eugène Tisserant. i. Écriture sainte – Ancien orient (StT 231), città del<br />
vaticano 1964, 162: «Los círculos teológicos judíos del s.i de la era cristiana<br />
habían asociado ‘Aqedá, Siervo de Yahveh y sacrificio del cordero pascual».<br />
64 cf filone, VitMos 2,224; SpecLeg 2,146; Quaest in Ex 1,10; compara<br />
con m.Pes 5,6.<br />
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«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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minato» come un agnello. Gesù è portato al sacrificio nell’ora in<br />
cui si comincia a immolare l’agnello pasquale al tempio (Gv 19,14).<br />
sulla croce gli porgono un ramo d’issopo con una spugna imbevuta<br />
d’aceto: poiché l’issopo non si addiceva a un tale uso, si può pensare<br />
che vi sia qui un’altra allusione all’agnello pasquale (in Es 12,22<br />
l’aspersione degli stipiti delle porte con il sangue dell’agnello si<br />
compie con l’issopo). 65 Come quell’agnello e come il giusto in sal<br />
34,21, a Gesù in croce non fu spezzato alcun osso (Gv 19,33.36).<br />
su tale ampio sfondo, non è da escludere, nel passo che è oggetto<br />
del nostro studio, un’associazione implicita delle figure dell’agnello<br />
pasquale, del giusto/servo sofferente e d’Isacco.<br />
Il lato del tempio e il costato di Adamo<br />
Per altri autori, il riferimento primario che l’evangelista ha in<br />
mente quando si sofferma sul sangue e l’acqua sgorgante dal costato<br />
di Gesù è Ez 47,1ss, testo ripreso da Zc 14,8 (cf. anche 13,1). Ezechiele<br />
parla di un fiume che scende sotto il lato destro del tempio e<br />
che è fonte di vita, Zaccaria descrive le «acque vive» che sgorgheranno<br />
da gerusalemme nel giorno escatologico. In gv 19,34, è possibile<br />
che l’autore voglia presentare gesù come «il tempio escatologico,<br />
da cui sgorga l’acqua viva della salvezza». 66 Vi sono elementi<br />
sufficienti per sostenere questa possibilità?<br />
In Gv 19,34 si usa l’espressione «colpì il fianco» (th.n pleura.n<br />
e;nuxen). Il termine usato per indicare il fianco di Cristo (pleura,) è lo<br />
stesso usato in Gn 2,21-22(LXX) per indicare il costato di Adamo.<br />
I Padri hanno tratto gran parte delle loro interpretazioni di gv 19,34<br />
da questo dato. Anche autori moderni però hanno voluto vedervi<br />
un’allusione. Anzi, ad alcuni pare plausibile che l’evangelista voglia<br />
operare un collegamento tra il giardino edenico e quello in cui è<br />
stata posta la croce. Ciò può essere confermato dall’uso dello stesso<br />
termine greco (kh/poj) per indicare il giardino da parte di giovanni<br />
65 cf s. Grasso, Il Vangelo di Giovanni, 738.<br />
66 i. de la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, 178.<br />
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(18,1.26; 19,41), della LXX in Ez 36,35, di Aquila in Gn 2,8; 3,2 e<br />
di Teodozione in gn 3,2. 67<br />
Più convincente è invece il riferimento a un’altra realtà evocata<br />
dal termine pleura,. nella LXX ricorre spesso questo termine per<br />
indicare il lato del tempio, in stretta connessione con il santo dei<br />
Santi (1Re 6,8; Ez 41,4-9). Questo può essere confermato, per M.L.<br />
Rigato, dalla «percezione che per Giovanni la trafittura del fianco-lo<br />
squarcio della carne sia un passaggio parallelo a quello dei sinottici<br />
sullo strappo dall’alto verso il basso della cortina (katapetasma) del<br />
Tempio (Mt 27,51 e par.)». 68 Questo non sembra astruso, se si considera<br />
che in Eb 10,20 questa cortina sia identificata con la carne di<br />
gesù, in consonanza con la linea teologica tipicamente giovannea<br />
del «tempio-corpo» di gesù. L’allusione al lato del tempio sembra<br />
più plausibile di quella al costato di Adamo. L’acqua escatologica<br />
che sgorga come una sorgente dal tempio è un tema tipicamente profetico<br />
(Ez 47,1; Zc 13,1; 14,8; Gl 4,18), che per la sua rilevanza<br />
merita la trattazione particolare che segue.<br />
L’acqua escatologica della nuova alleanza e il legame acqua-Spirito<br />
se si considera il collegamento esistente tra l’affermazione di<br />
gesù in gv 7,38 e gv 19,34, si può concludere che, nel racconto<br />
giovanneo dell’immolazione di Cristo, è nascosto un rimando, anche<br />
se velato, alla visione messianica in Ez 47,1ss e forse agli altri testi<br />
profetici a esso correlati (basti pensare a Zc 13-14, il cui contesto<br />
è forse nella mente dell’evangelista, a causa della citazione di Zc<br />
12,10 in gv 19,37). L’acqua escatologica sgorgante dal tempio, che<br />
feconda e vivifica, è un tema tipicamente profetico, che s’inserisce<br />
nell’uso metaforico più ampio di «sorgente» e di «fiume» nell’AT e<br />
specialmente nei Profeti; l’acqua infatti, simbolo di vita, è nell’AT<br />
67 cf m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 39. andrebbe approfondita<br />
l’importanza del giardino edenico nel quarto evangelista: il kepos<br />
ricorre all’inizio (18,1), al centro (18,26) e alla fine (19,41) del racconto giovanneo<br />
della passione e in tal modo egli sembra voler presentare la passione<br />
come recupero del giardino edenico.<br />
68 cf m.l. riGato, «La testimonianza di policrate di efeso su Giovanni evangelista.<br />
riscontri nel quarto vangelo», in l. Padovese (ed.), Atti del III Simposio<br />
di Efeso su S. Giovanni Apostolo (Turchia: la chiesa e la sua storia 4), roma<br />
1993, 138.<br />
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Francesco Voltaggio<br />
SapCr XXVII<br />
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sacra<br />
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scrittura<br />
caratteristica dei tempi messianici: la benedizione dei tempi messianici<br />
inonderà il popolo di Dio come un fiume che irriga (Is 48,18;<br />
66,11); anzi, Dio stesso è chiamato «fonte di acqua viva» (Ger<br />
2,13[LXX]: phgh.n u[datoj zwh/j). 69 In Is 58,11, il giusto è paragonato<br />
a un giardino irrigato e a una fonte le cui acque non inaridiscono. 70<br />
tutti questi concetti si concentrano sulle immagini profetiche del<br />
fiume degli ultimi tempi che, irrigando e purificando la terra in cui<br />
passa (Ez 47,1-12; Gl 4,18; Zc 13,1; 14,8), la rende un nuovo Eden.<br />
Anzi, la fecondità del fiume sembra trascendere quella del fiume<br />
paradisiaco di gn 2,10-14. Questa visione profetica troverà la sua<br />
massima espressione in Ap 22,1ss, in cui il fiume d’acqua viva della<br />
gerusalemme messianica scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello.<br />
nella tradizione giovannea, così come nella nostra pericope, un<br />
tema centrale è il riferimento a Cristo come nuovo tempio. Ez 47 è di<br />
grande importanza per questa tradizione. non sarebbe quindi strano<br />
che giovanni in gv 19,34 voglia alludere all’acqua messianica.<br />
Degno di nota è che, con tutta probabilità, Ez 47 (insieme al racconto<br />
della roccia sgorgante acqua nel deserto: Es 17; Nm 20) si leggesse<br />
proprio durante la festa di Sukkot. 71 La liturgia di questa festa prevedeva,<br />
come uno dei rituali essenziali, l’effusione dell’acqua sull’altare<br />
(è interessante notare che su di esso si spargeva normalmente il<br />
sangue!). Ad ogni modo, da quanto sopra notato, si può condividere,<br />
circa il sangue e l’acqua di gv 19,34, la conclusione di un commentario,<br />
molto attento alle allusioni anticotestamentarie: «Questo<br />
sangue è il sangue dell’alleanza. L’acqua in tal caso è l’acqua della<br />
nuova alleanza». 72<br />
Alla trattazione precedente, occorre aggiungere un legame essenziale:<br />
quello tra acqua e spirito. 73 nel Vangelo di giovanni tale le-<br />
69 nella tradizione sapienziale e nel giudaismo antico, anche «la Torah<br />
trova un simbolo preferenziale nell’acqua», come nota m. NoBile, «alcune note<br />
sull’antico Testamento», 38.<br />
70 Degno di nota è anche il riferimento del testo al rinvigorimento delle ossa<br />
del giusto (la LXX v’insiste due volte nello stesso versetto; cf anche is 66,14): un<br />
altro chiaro legame giusto-ossa.<br />
71 cf m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 38.<br />
72 y. simoeNs, Secondo Giovanni, 782.<br />
73 Si veda F. maNNs, Le symbole eau-esprit dans le judaïsme ancien (SBfa<br />
19), Jerusalem 1983, 280-298; per quanto concerne Gv 19,34 cf specialmente<br />
pp. 291-292.<br />
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game è evidente (cf. Gv 4; 7,38-39) 74 . ora, ci si può domandare se<br />
sia originale. A nostro parere, la risposta è negativa, poiché l’evangelista<br />
riprende un’idea ben presente nell’At e specialmente nei Profeti.<br />
L’autore del quarto Vangelo, sebbene non citi spesso la scrittura<br />
in modo esplicito, è profondamente compenetrato dall’At. Alcune<br />
sue associazioni o simbolismi, a prima vista originali, sono in realtà<br />
frutto di una profonda comprensione dell’At. Basti ad esempio<br />
leggere Is 44,3, che mette in parallelo l’acqua e i torrenti sul luogo<br />
deserto da una parte, e l’effusione dello spirito di Dio e della sua benedizione,<br />
dall’altra: spandere lo spirito è come far scorrere acqua.<br />
L’irrigamento dei tempi messianici, descritto dai profeti, è figura<br />
dell’effusione escatologica dello spirito. L’acqua di gv 19,34, spiegata<br />
dall’evangelista con la citazione di Zc 12,10, che parla dello<br />
«spirito di grazia e consolazione», può essere così collegata a Zc 13,1<br />
(sorgente zampillante) e 14,8 (acque vive sgorganti dal tempio), 75 e<br />
quindi al contesto più ampio della breve citazione. Per questa ragione,<br />
per vari studiosi, l’acqua uscita dal costato del trafitto è per<br />
l’evangelista segno e compimento dell’effusione dello spirito. 76<br />
6. sintesi conclusiva circa le<br />
allusioni anticotestamentarie<br />
si può ora fornire<br />
una sintesi del<br />
gran numero<br />
di evocazioni anticotestamentarie<br />
sopra<br />
elencate, approfon-<br />
dite, valutate. Per verificare la plausibilità del ricorso a esse fatto da<br />
parte dell’evangelista nel descrivere l’evento di gv 19,34, dobbiamo<br />
ora avere un occhio all’intero suo Vangelo.<br />
74 cf ad es., s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 101; i. de<br />
la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, 177.<br />
75 cf d.J. moo, The Old Testament, 218.<br />
76 i. de la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, imposta buona parte della<br />
sua esegesi di Gv 19,31-37 su questo legame giovanneo; si veda, dello stesso<br />
autore, «Le symbolisme du sang et de l’eau en Jn 19,34», 214; cf. anche u.C.<br />
voN WaHlde, The Gospel and Letters of John. Volume 3: The Three Johannine<br />
Letters, 3 voll., Grand rapids 2010, 187.<br />
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«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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scrittura<br />
Per quanto concerne il «sangue», a eccezion fatta di gv 1,13,<br />
l›evangelista usa il termine ai-ma solo in un altro passo: in Gv 6,53-<br />
56, per quattro volte (una in ogni versetto), Gesù parla del suo<br />
sangue. La rivelazione è progressiva: nel v. 53 si usa il pronome<br />
possessivo auvtou/, perché Gesù si riferisce al Figlio dell’Uomo; nei<br />
vv. 54-56 invece, s’impiega l’aggettivo possessivo alla prima persona<br />
singolare (mou), per tre volte. L’accento su questo possessivo è<br />
forte: nel v. 54 e nel v. 56, esso è anticipato (mou to. ai-ma) e dunque<br />
enfatizzato. In questi versetti, il sangue di gesù, unito alla sua carne,<br />
è garanzia di vita posseduta in sé (v. 53), di vita eterna e risurrezione<br />
(v. 54). Ora, ci chiediamo: è possibile che l’evangelista, che<br />
non riporta il racconto della Cena, non faccia alcuna allusione in<br />
gv 19,34 al «sangue della nuova alleanza», ovvero: è totalmente da<br />
escludere un riferimento eucaristico? Per molti autori, in Gv 19,34<br />
è indubbia l’allusione eucaristica. Heil tenta di giustificare tale idea<br />
connettendo gv 19,31-37 anzitutto al miracolo di Cana narrato in gv<br />
2 (base di ciò sarebbero i collegamenti tematici tra i due racconti:<br />
il riferimento all’ora; il vedere la gloria; la donna, ecc.), ove gesù<br />
trasforma l’acqua delle purificazioni rituali in bevanda, cioè in vino<br />
(da notare che nella tradizione ebraica il vino è spesso collegato al<br />
sangue). sulla base di tali legami, Heil conclude: «Che l’acqua dello<br />
Spirito segue e fiotta insieme con il sangue dal costato trafitto di<br />
gesù risponde all’obiezione dei giudei su come gesù avrebbe potuto<br />
dare loro la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere». 77<br />
Per l’autore, pertanto, come per i Padri, vi è in gv 19,34 un’allusione<br />
eucaristica. noi non ci sentiamo di negare tale allusione. Vorremmo<br />
però precisare, a conclusione di questa indagine, che è impossibile<br />
affermare ciò senza riferirsi all’agnello pasquale, un riferimento<br />
che certamente l’evangelista ha in mente nel redigere gv 19,31-<br />
37. Questo è per noi il riferimento centrale, da cui partono le altre<br />
evocazioni, prima tra esse quella del sangue dell’alleanza. Passando<br />
per questa via marcata dall’autore, che presenta gesù come nuovo<br />
Agnello Pasquale, l’allusione eucaristica è molto difficile da negare.<br />
77 J. P. Heil, Blood and Water, 108.<br />
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Il sangue di gesù, segno della morte avvenuta, è al tempo stesso<br />
segno di nuova vita. 78 Ciò che desta l’interesse dell’evangelista è però<br />
soprattutto l’unione straordinaria di sangue e acqua. Quell’acqua è<br />
per giovanni qualcosa di mirabile. L’acqua anzitutto lava e purifica:<br />
così Giovanni vuole significare che il sangue di Gesù-Agnello<br />
lava e purifica; ciò è confermato dal collegamento del nostro testo<br />
con la tradizione presente in Ap 7,14, dove il sangue dell’Agnello<br />
è interpretato come un sangue che lava e rende bianche le vesti.<br />
Quest’acqua ha tuttavia un significato più profondo e questo si può<br />
percepire essenzialmente da due fatti: in primo luogo, dalla citazione<br />
di Zc 12,10, fatta dall’evangelista, che richiama il contesto più ampio<br />
di Zc 12-14; in secondo luogo, dal collegamento con Gv 7,38, poiché<br />
i passi dell’AT che hanno influito su questo versetto (anzitutto Nm<br />
20,11; Sal 78,15-16; Ez 47,1ss) hanno potuto influire anche sul nostro<br />
v. 34, 79 tanto che qualcuno ha affermato che lo stesso giovanni<br />
veda l’evento del v. 34 come un compimento delle parole di gesù<br />
in gv 7,37-39. 80 L’acqua uscita dal costato di gesù, nuovo tempio<br />
e nuovo Agnello, in unione al sangue della nuova alleanza, costituisce<br />
perciò, agli occhi dell’evangelista, l’acqua della nuova alleanza,<br />
cioè la fonte d’acqua viva che nei tempi messianici sgorgherà<br />
dal tempio e purificherà Gerusalemme. 81 Quest’interpretazione, già<br />
presente in nuce in gv 19,34, è condensata nell’impressionante simbolismo<br />
della visione finale di Ap 22,1-5. Qui, un fiume di acqua<br />
viva (espressione profetica presente già nel Vangelo), scaturisce dal<br />
trono di Dio e dell’Agnello (che è al tempo stesso il tempio, come<br />
si nota in 21,22), in collegamento con un albero di vita, le cui foglie<br />
guariscono le nazioni (chiaro riferimento a Ez 47,1ss). Quest’acqua,<br />
come mostrato, è lo spirito. Questo permette di comprendere l’interpretazione<br />
di 1Gv 5,6-8, che lega in modo mirabile sangue – acqua<br />
– spirito.<br />
Alla luce dello sfondo dell’AT, il fiotto di sangue e acqua dal costato<br />
di gesù, appare come una grande aspersione. Cos’hanno in<br />
comune, infatti, il sangue e l’acqua nell’AT? Un dettaglio da non<br />
78 cf i. de la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, 178.<br />
79 cf r.e. BroWN, La morte del Messia, 1335.<br />
80 cf d.J. moo, The Old Testament, 218.<br />
81 cf la conclusione di F. maNNs, L’Évangile de Jean, 425.<br />
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«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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scrittura<br />
trascurare è, a nostro parere, il fatto che entrambi fossero usati per<br />
l’aspersione. L’aspersione con sangue sacrificale o con acqua è<br />
un segno o meglio una realtà di purificazione nell’AT. Nello Yom<br />
Kippur, il santuario e gli oggetti cultuali erano purificati con l’aspersione<br />
del sangue di una vittima sacrificale. Con acqua erano<br />
aspersi coloro che si erano resi impuri per il contatto con cadaveri.<br />
In Lv 13-14 si tratta di riti di purificazione, in cui erano usati insieme<br />
sangue e acqua. In Ez 36,25 l’aspersione con acqua simboleggia la<br />
purificazione che Dio attuerà nella nuova alleanza. Il sangue, sparso<br />
nel tempio, che riconcilia con Dio e l’acqua che purifica, segno dello<br />
spirito, realtà essenziali dell’At, sono ora indissolubilmente unite in<br />
gv 19,34. Questo versetto riassume dunque alcune istituzioni essenziali<br />
dell’AT: l’agnello pasquale, il tempio e il sangue dei sacrifici<br />
delle vittime, il sangue dell’alleanza, l’acqua dell’abluzione e della<br />
nuova alleanza. tutte queste realtà, solo velate in gv 19,34, sono<br />
indicate, in modo del tutto esplicito, come pienamente compiute in<br />
gesù Cristo dall’autore della Lettera agli Ebrei. A conferma di ciò,<br />
basta una lettura di Eb 10,19-31, dove l’autore condensa in poche<br />
frasi il riferimento al sangue dei sacrifici (e forse in particolare a<br />
quelli compiuti nel giorno dell’Espiazione, v. 19), al santo dei santi,<br />
cuore del tempio (v. 19), al velo del tempio (v. 20), al sacerdozio<br />
(v. 20), all’acqua dell’abluzione (v. 22), al sangue dell’alleanza che<br />
santifica (v. 29) e allo Spirito della grazia (v. 29).<br />
7. conclusione e nuovi<br />
orizzonti metodologici<br />
ed ermeneutici<br />
Abbiamo indagato<br />
la ricchezzacontenuta<br />
nel testo di gv<br />
19,31-37, con particolare<br />
attenzione all’evento<br />
descritto nel<br />
v.34. si è mostrato come tale ricchezza emerge in tutta la sua abbondanza,<br />
se si prendono in considerazione non solo le citazioni esplicite,<br />
ma anche le allusioni anticotestamentarie nascoste nel testo. Il<br />
v. 34 è apparso così come una vera e propria concentrazione di allusioni<br />
all’AT. Alcune allusioni ci sono sembrate con tutta probabilità<br />
volute dall’autore, mentre è difficile dimostrare che altre allusioni<br />
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siano intenzionali. Alcuni rapporti intertestuali sono emersi in tutto<br />
il loro interesse. talvolta, infatti, il rapporto a un testo dell’At può<br />
essere sottostante a due testi legati nello stesso Vangelo. Altre volte,<br />
come in un gioco di specchi, una parola dell’At è indissolubilmente<br />
legata alla sua interpretazione o attualizzazione a un’altra dell’At.<br />
La scrittura ereditata dal nt, lungi dall’essere un testo morto o<br />
nudo, è già rivestita delle sue riletture all’interno della scrittura e<br />
dalle interpretazioni della tradizione orale e della liturgia.<br />
A questo punto, sorge una questione metodologica. Fino a che<br />
punto alcune allusioni erano realmente presenti nella mente dell’autore<br />
al momento della redazione del testo? In conformità a quale criterio<br />
potremmo raggiungere la sicurezza? Tali domande riguardano<br />
una dimensione irrinunciabile (ma purtroppo presa a volte alla leggera)<br />
dell’ermeneutica biblica, quale il ricorso alle indicazioni che<br />
la Bibbia stessa ci dà circa l’arte d’interpretarla. Per alcuni libri del<br />
nt, tali questioni sono di enorme importanza, a causa delle frequenti<br />
citazioni esplicite o implicite dell’AT (nell’Apocalisse, ad esempio,<br />
se ne contano circa 814).<br />
Alla luce di questa breve indagine, talvolta è arduo stabilire se<br />
una determinata allusione sia presente nell’intenzione dell’autore.<br />
spesso, del resto, il fatto di essere imbevuti di una certa cultura, ci<br />
rende inconsapevoli di un riferimento a essa. ora, è indubbio che<br />
gli autori del nt siano «imbevuti» di At. non è quindi da escludere<br />
che talvolta i riferimenti all’AT possano essere inconsci (per<br />
quanto siano ispirati a uomini in pieno possesso delle loro facoltà).<br />
non solo, spesso l’evento descritto dagli evangelisti travalica il loro<br />
pensiero a tal punto che, per spiegarlo, fanno riferimento a qualche<br />
profezia, che, come visto, già all’interno dell’At ha ricevuto un’interpretazione,<br />
la quale, a sua volta, può essere contenuta nel riferimento<br />
fatto dagli stessi evangelisti. Infine, talvolta il testo può avere<br />
un senso più profondo di quello inteso dall’autore stesso. Questo<br />
fenomeno, che può avvenire in ogni tipo di creazione artistica e<br />
che è tipico dell’ispirazione umana, è presente a maggior ragione<br />
negli autori sacri divinamente ispirati. È riconosciuto, infatti, che<br />
il testo possa avere spesso un senso più profondo (certamente voluto<br />
da Dio), ma non presente nell’intenzione esplicita dell’autore (il<br />
cosiddetto «senso pieno»): quest’ultimo può esprimere realtà di cui<br />
egli stesso non percepisce tutta la profondità. Queste considerazioni<br />
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«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
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Francesco Voltaggio<br />
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consentirebbero una più ampia e feconda ricerca (ma non per questo<br />
meno rigorosa!) del sottofondo anticotestamentario nei testi del nt,<br />
senza la continua paura di essere considerati poco «critici» e aprirebbero<br />
così nuove vie d’interpretazione più vicine all’ermeneutica<br />
dei rabbini e dei Padri, 82 aiutando a superare l’empasse in cui si trova<br />
una certa esegesi attuale.<br />
Lo stupore dell’evangelista per l’evento del fiotto di sangue e<br />
acqua dal costato di Gesù, stupore espresso nel v. 35, passa anche al<br />
lettore quando considera le citazioni esplicite, scelte accuratamente<br />
dall’evangelista come interpretazione dell’evento, e le numerose<br />
evocazioni e allusioni implicite. L’evangelista vuol mostrare che, nel<br />
momento culminante del compimento totale dell’opera di Gesù («È<br />
compiuto»), vale a dire il suo innalzamento sulla croce e la sua glorificazione,<br />
egli compie realtà messianiche e profetiche importanti,<br />
prefigurate nell’AT. L’evangelista, penetrando in profondità nelle<br />
«cose antiche» del tesoro delle scritture d’Israele, «tira fuori cose<br />
nuove», aprendo orizzonti immensi: gesù è il nuovo Agnello Pasquale,<br />
il cui sangue libera dalla morte e santifica e il nuovo Tempio<br />
dal cui fianco sgorga l’acqua della nuova alleanza, ovvero lo Spirito<br />
(il riferimento che fecero i Padri ai sacramenti dell’Eucaristia<br />
e del Battesimo è quindi del tutto legittimo). Intorno a questa idea<br />
fondamentale, ruotano tutte le altre evocazioni: per l’autore, gesù è<br />
anche la nuova Roccia che emana acqua viva, la sorgente dell’acqua<br />
escatologica, la nuova e perfetta Vittima sacrificale il cui sangue è<br />
sparso, il servo e giusto perseguitato le cui ossa rimangono intatte,<br />
il nuovo Adamo che dona il suo costato. se ciò è vero, ci troviamo<br />
dinanzi ad un buon esempio di come l’esegesi tipologica dei Padri,<br />
che sviluppa alcuni dei temi sopra elencati, non sia meno scientifica<br />
dell’esegesi moderna. solo che i Padri non presero mai alla leggera<br />
il mistero nascosto nel testo.<br />
Francesco Voltaggio<br />
fravolt@gmail.com<br />
82 Una buona sintesi tra esegesi moderna ed esegesi patristica riguardo il<br />
nostro passo, si può trovare in J.C. CarvalHo, «The Symbology of ai-ma kai. u[dwr<br />
in John 19:34: a reappraisal» Did 31/1(2001), 41-59.<br />
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«E subito uscì sangue e acqua» (Gv 19,34): una<br />
ItA<br />
concentrazione di allusioni all’AT,<br />
di Francesco Voltaggio<br />
Il presente studio raccoglie le evocazioni anticotestamentarie<br />
«nascoste» in gv 19,34, che appare come una ricca concentrazione<br />
di allusioni a realtà dell’At, tra le quali: l’acqua dalla roccia e la<br />
Festa di Sukkot; il sangue dei sacrifici e dell’alleanza; l’acqua della<br />
purificazione; l’agnello e il giusto/servo; l’agnello e Isacco; il lato<br />
del tempio e il costato di Adamo; l’acqua escatologica e il legame<br />
acqua/Spirito. Si aprono così nuovi orizzonti ermeneutici: alcune<br />
allusioni all’At fatte dall’autore, per quanto inconsce, vanno tenute<br />
in seria considerazione nell’interpretazione, giacché l’evento<br />
descritto travalica spesso la sua comprensione da parte dell’autore.<br />
Ciò permette di recuperare nell’esegesi moderna la forza dell’ermeneutica<br />
rabbinica e soprattutto di quella patristica.<br />
« Et aussitôt, il sortit du sang et de l’eau » (Jn 19,34) :<br />
fRA<br />
une concentration d’allusions à l’AT,<br />
de Francesco Voltaggio<br />
Cette étude recueille les évocations de l’Ancien Testament « cachées<br />
» en Jn 19,34 ; elle se présente comme une riche concentration<br />
d’allusions aux la réalités de l’AT, parmi lesquelles ; l’eau du rocher<br />
et la Fête de Sukkot ; le sang des sacrifices et de l’alliance ; l’eau<br />
de la purification, l’agneau et le juste/serviteur ; l’agneau et Isaac ;<br />
le côté du temple et la côte d’Adam ; l’eau eschatologique et le lien<br />
eau/Esprit. S’ouvrent alors de nouveaux horizons herméneutiques:<br />
quelques allusions à l’AT faites par l’auteur, même inconsciemment,<br />
doivent être prises en compte sérieusement dans l’interprétation,<br />
puisque pour l’auteur l’intelligence de l’évènement qu’il décrit va<br />
souvent au-delà de ce que l’on perçoit. Cela permet de récupérer<br />
dans l’exégèse moderne la force de l’herméneutique rabbinique et<br />
surtout celle de l’herméneutique patristique.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
197-229<br />
sacra<br />
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scrittura<br />
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Francesco Voltaggio<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
228<br />
scrittura<br />
“And immediately there flowed out blood and water” (Jn<br />
EnG<br />
19:34): A Concentration of Allusions to the OT<br />
by Francesco Voltage<br />
This study collects Old Testament evocations “hidden” in Jn<br />
19:34, which appears as a rich concentration of allusions to the old<br />
testament realities, such as water from the rock and the Feast of<br />
Sukkot; the blood of the sacrifices and covenant; the water of purification;<br />
the lamb and just/servant; the lamb and Isaac; the side of<br />
the temple and the side of Adam; and eschatological water and the<br />
link between water/Spirit. This opens up new horizons of interpretation.<br />
some allusions made by the author to the ot, however unaware<br />
we may be of them, must be taken into serious consideration in the<br />
interpretation, because the event described often goes beyond the<br />
comprehension of the author. this allows us to bring back in modern<br />
exegesis the strength of rabbinical, but especially patristic, hermeneutics.<br />
“Y al instante salió sangre y agua” (Jn 19,34): una con-<br />
SPA<br />
centración de alusiones al AT.<br />
de Francesco Voltaggio<br />
El presente estudio recoge las evocaciones veterotestamentarias<br />
“escondidas” en Jn 19,34, que se presenta como una rica concentración<br />
de alusiones a la realidad del At, entre las cuales: el agua de la<br />
roca y la Fiesta de Sukkot, la sangre de los sacrificios y de la alianza,<br />
el agua de la purificación, el cordero y el justo/siervo, el cordero e<br />
Isaac, el lateral del templo y el costado de Adán, el agua escatológica<br />
y la unión agua/Espíritu. Se abren así nuevos horizontes hermenéuticos:<br />
algunas alusiones al At hechas por el autor, sin ser consciente<br />
de ello, son tenidas en seria consideración en la interpretación, ya<br />
que el evento descrito traspasa frecuentemente la comprensión de<br />
parte del autor. Esto permite recuperar en la exégesis moderna la<br />
fuerza de la hermenéutica rabínica y sobre todo de la patrística.<br />
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Pol “I natychmiast wypłynęły krew i woda” (J 19,34): nagromadzenie<br />
aluzji do Starego Testamentu.<br />
Francesco Voltaggio<br />
Artykuł ten zbiera ukryte odwołania do Starego Testamentu<br />
“ukryte” w J 19,34, który ukazuje się jako bogate nagromadzenie<br />
aluzji do rzeczywistości obecnych w Starym Testamencie, takich<br />
jak: woda ze skały, święto Sukkot; krew ofiar i przymierza, woda<br />
oczyszczenia, baranek i sprawiedliwy/sługa, baranek i Izaak, bok<br />
świątyni i bok Adama, woda eschatologiczna i związek woda-<br />
-Duch. W ten sposób otwierają się nowe horyzonty hermeneutyczne:<br />
pewne aluzje do Starego Testament, które odkrywa autor,<br />
choć nieświadome, powinny być wzięte na poważnie pod uwagę<br />
w interpretacji, ponieważ opisane wydarzenie wykracza poza to<br />
jego rozumienie, które miał autor. Pozwala to na przywrócenie w<br />
egzegezie współczesnej osiągnięć hermeneutyki rabinistycznej a<br />
zwłaszcza patrystycznej.<br />
sacra scrittura<br />
«E subito uscì sangue e<br />
acqua» (Gv 19,34):<br />
una concentrazione<br />
di allusioni all’AT<br />
197-229<br />
sacra<br />
229<br />
scrittura<br />
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nella tradizione patristica<br />
1 raccogliamo<br />
due interpretazioni<br />
dell’ora alla quale<br />
fa menzione gesù<br />
nella sua risposta alla<br />
madre. C’è l’interpretazione<br />
tradizionale, che possiamo chiamare<br />
tradizione agostiniana, secondo la quale, gesù<br />
non ritiene sia giunta la sua ora, e lo dice a<br />
guisa di rimprovero rivolto alla madre che gli<br />
stava sottoponendo il problema dell’assenza del<br />
vino alle nozze di Cana. È la tradizione più consistente,<br />
sia nella letteratura patristica, sia nella<br />
restante letteratura esegetica fino ad oggi. Basti<br />
confrontare la più recente traduzione biblica della Cei (2008) che per<br />
Gv 2, 4 dà la seguente traduzione: “Donna che vuoi da me? Non è<br />
ancora giunta la tua ora”.<br />
Agostino, infatti, che commenta gv 2, 4, legge e spiega le parole<br />
di Gesù: “L’Ora mia non è ancora venuta”, secondo il tenore della<br />
differenza che sussiste tra la madre creatura e il Figlio Dio che co-<br />
1 cf J. n. GUinOT, Les lectures patristiques grecques (IIIe-Ve s.) du miracle<br />
de Cana (Jn 2, 1-11). Constantes et développements christologiques, in Studia<br />
Patristica 30 (Leuven 1997), 28-41. cf anche a. SMiTManS, Das Weinwunder<br />
von Kana. Die Auslegung von Joh 2, 1-11 bei den Vätern und heute, Tübingen<br />
1966.<br />
sacra scrittura<br />
l’ora in<br />
gV 2,1-11:<br />
anticiPazionE<br />
o inizio?<br />
lettura giudaicopatristica<br />
delle<br />
nozze di cana<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
231<br />
sacra scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
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SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
232<br />
scrittura<br />
nosce i tempi della salvezza, e cioè: “Non è ancora l’ora in cui io<br />
riconosco che sia opportuno che io patisca, che sia utile la mia passione;<br />
allora soffrirò di mia volontà” 2 .<br />
C’è l’altra tradizione che cronologicamente non solo precede Agostino<br />
ma che s’inserisce anche in una scuola esegetica di stampo più<br />
letteralista, rispetto alla tradizione spirituale-allegorica, ambrosiana<br />
e quindi ultimamente origeniana, cui appartiene il vescovo di Ippona.<br />
Alludiamo a teodoro di mopsuestia, il quale, esponente dell’esegesi<br />
antiochena, più fortemente interessata al tenore letterario-filologicostorico<br />
del testo biblico, studia più da vicino Gv 2,4 in sé e in chiave<br />
di coerenza con i versetti giovannei che seguono immediatamente.<br />
teodoro di mopsuestia cerca di trascinare il punto interrogativo alla<br />
conclusione della risposta che gesù dà alla madre, per cui la lettura<br />
che ne risulta è la seguente: “Perché mi solleciti e insisti con me, o<br />
donna, non è forse giunta la mia Ora?” 3 . In altre parole, per teodoro<br />
di mopsuestia, la domanda di gesù alla madre non suona come un<br />
rimprovero, bensì risulta essere una totale convergenza tra gesù e<br />
sua madre, anzi la domanda della madre di gesù sembra retorica,<br />
pleonastica, non necessaria. Per gesù quella era l’ora dell’inizio e<br />
sua madre non anticipa nulla dei piani del Figlio, anzi i due, Figlio<br />
e madre, mostrano una totale convergenza sull’inizio dell’ora. In<br />
altre parole, se per Agostino e la tradizione allegorico-spirituale che<br />
egli rappresenta, la madre con la sua iniziativa crea l’anticipazione<br />
dell’ora di gesù, teodoro di mopsuestia individua nella risposta di<br />
gv 4 non solo la piena convergenza tra gesù e la madre, ma anche<br />
l’inizio dell’ora.<br />
Che il tema dell’ora sia il tema che in sede giovannea è direttamente<br />
connesso con la glorificazione che si compie nella <strong>Passio</strong>nemorte-Resurrezione<br />
di gesù nel dono dello spirito, è una tesi convergente<br />
dell’unanime lettura esegetica post-patristica 4 . Ce ne fa<br />
fede, infatti, la lettura agostiniana poco sopra riportata, secondo la<br />
2 aug Tr Jo viii, 12: ccL 36, 89.<br />
3 Theod Mops Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39-40.<br />
4 Basti citare r. BrOWn, The Gospel according to John, i, new York 1966<br />
e c.H.DODD, The interpretation of the fourth Gospel, cambridge 1953 e c.H.,<br />
Historical tradition in the Forth Gospel, cambridge 1963.<br />
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quale, l’ora è quella della <strong>Passio</strong>ne. Come pure anche per gaudenzio<br />
di Brescia, l’hora concerne il tempo della <strong>Passio</strong>ne 5 .<br />
Allora nell’esegesi patristica riconosciamo due tradizioni, quella<br />
agostiniana che è a favore dell’ “anticipazione” dell’Ora della glorificazione<br />
della <strong>Passio</strong>ne provocata dalla Madre di Gesù, e quella antiochena<br />
a favore dell’ “inizio” dell’Ora, fondata sul consenso pieno<br />
di gesù e di sua madre.<br />
introduzione e piste metodologiche<br />
se ci muoviamo secondo i criteri dell’esegesi rabbinica, secondo<br />
cui ogni parola della Parola potrebbe essere suscettibile di<br />
almeno 70 interpretazioni 6 , ci dovremmo accontentare di affermare<br />
che ogni interpretazione è anche una illuminazione. Quindi tante<br />
sono le interpretazioni e tante sono le luci che vengono proiettate<br />
sulla Parola, che resta, per usare il linguaggio di Efrem il siro,<br />
una fontana d’acqua inestinguibile” 7 . Lo stesso Agostino nel cuore<br />
dei sermoni dedicati, nel commentario al Vangelo di giovanni, al<br />
racconto delle nozze di Cana, vorrebbe accontentare la fame di chi<br />
sta alla mensa della Parola del signore. E, lasciando la libertà di<br />
scegliere il tipo di intelligenza della Parola del Signore (Sed est<br />
et alius intellectus non praetermittendus, et ipsum dicam; eligat<br />
quisque quod placet; nos quod suggeritur non subtrahimus), ricorda<br />
che “questa è la Mensa del Signore, e non è opportuno che<br />
il ministro defraudi i convitati, soprattutto quando sono così avidi,<br />
come vedo che voi siete: Mensa enim Domini est, et non oportet<br />
5 Gaud Brix Tr iX, 13: cSeL 68, 78-79. cf B. DeGÓrSKi, Le nozze di Cana<br />
nell’esegesi di San Gaudenzio di Brescia, in Vox Patrum 23 (44-45/2003),<br />
285-299.<br />
6 nelle 70 scintille della Parola si possono rinvenire le 70 culture o nazioni, in cui<br />
la Parola, inculturata, crea un movimento di espansione ma anche di concentrazione<br />
all’unum. La Parola una, suscettibile d’essere letta e accolta dalle 70 culture e nazioni<br />
noachide (cf Gen 10), ha il potere dell’unità. Per la tradizione secondo cui la terra<br />
era abitata da 70 popoli che parlavano 70 lingue (v. tabella dei popoli in Gen 10), cf<br />
l’apocrifo cristiano del IV sec. d.C. contenente materiale anche ebraico, molto antico,<br />
La Caverna del Tesoro, 24,18 (E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia 73).<br />
7 ephrem, Co Diat 1,18-19: Sch 121, 52-53.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
233<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
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maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
234<br />
scrittura<br />
ministrum fraudare convivas, praesertim sic esurientes ut appareat<br />
aviditas vestra” 8 .<br />
salva restando che le interpretazioni possono essere molteplici,<br />
si potrebbe fare un’opzione? Nel leggere ed interpretare Gv 2, 4, ci<br />
porremo sulle linea dell’anticipazione della glorificazione o semplicemente<br />
sulla linea dell’inizio della glorificazione, cioè della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione?<br />
Ora la risposta a questa domanda è connessa<br />
con altre prospettive aperte dalla teologia giovannea, ossia il tema<br />
della nuova creazione e della nuova ed eterna alleanza, e il ruolo<br />
della madre di gesù nella <strong>Passio</strong>ne, nella nuova creazione e nella<br />
nuova ed eterna alleanza.<br />
È necessario interrogare le testimonianze patristiche, quantunque<br />
non sia sufficiente. La stessa letteratura patristica necessariamente<br />
ha conosciuto un tempo prolungato di osmosi con la letteratura intertestamentaria<br />
giudaica e con le tradizioni esegetiche sinagogali<br />
(I-III secolo), per cui la stessa letteratura patristica successiva, quella<br />
dal IV in avanti, resterà segnata da questo rapporto. E quindi non<br />
possiamo non tenerne conto 9 . non solo, ad esempio, l’esegesi origeniana<br />
risente dell’esegesi per lo più orale rabbinica e della letteratura<br />
giudaica intertestamentaria e di quella giudeo-cristiana, ma<br />
dobbiamo affermare che anche l’esegesi patristica delle varie scuole<br />
dei secoli successivi reca residui o filoni interpretativi di origine giudaica<br />
ormai cristallizzati e assimilati dall’esegesi patristica sia orientale<br />
sia occidentale.<br />
Il nuovo testamento affonda le radici non solo nell’Antico testamento,<br />
ma in tutta la cultura e la letteratura giudaica. non solo<br />
il nuovo testamento spiega l’Antico, ma anche l’Antico spiega il<br />
nuovo.<br />
nel nuovo testamento è indispensabile far emergere le sue radici<br />
ebraiche, sia linguistiche, sia culturali, secondo la convinzione di<br />
Agostino per il quale: “Il Nuovo Testamento è celato nell’Antico e<br />
8 aug Tr Jo iX, 9: ccL 36, 95.<br />
9 f. MannS ha studiato Gv 2, 1-11 cogliendo il background giudaico in<br />
stretto collegamento con le affermazioni patristiche: L’Évangile de Jean à la<br />
lumière du judaïsme, franciscan printing press, Jerusalem 1991, 93-110. cf<br />
anche f. MannS, L’Évangile de Jean et la Sagesse, franciscan printing press,<br />
Jerusalem 2003, 49-60.<br />
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nel Nuovo l’Antico è svelato” 10 . È indispensabile, perciò situare il<br />
nuovo testamento in tutte le testimonianze del mondo ebraico, le<br />
scritture ebraiche dell’At, la letteratura giudaica intertestamentaria,<br />
la letteratura giudeo-cristiana, la letteratura rabbinica. La letteratura<br />
patristica si situa non solo accanto, ma spesso con intersecazioni con<br />
la lettura giudaica, sia quando si tratta di elementi che congiungono<br />
il complesso della letteratura ebraica con la lettura cristiana della<br />
prima ora, sia quando la letteratura cristiana precede o entra in conflitto<br />
con la successiva letteratura rabbinica, sia quella mishnica, sia<br />
quella talmudica, o quella che rientra nel complesso della letteratura<br />
midrashica.<br />
Il brano di gv 2, 1-11, le nozze di Cana, costituisce un esempio<br />
suggestivo della ricchezza di una pagina della Parola di Dio comprensibile<br />
solo alla luce della tradizione e delle tradizioni, sia del<br />
giudaismo, sia del giudeo-cristianesimo, sia del cristianesimo delle<br />
nazioni.<br />
le nozze di cana: un matrimonio secondo la tradizione<br />
giudaica<br />
Partecipare alle nozze, per un ebreo, significava compiere un<br />
atto di misericordia, che consentiva di partecipare alla gioia degli<br />
sposi ebrei chiamati a rinnovare nel segno l’unità di uomo e donna,<br />
Eva ed Adamo, segno di Dio Creatore della vita nell’amore, espressione<br />
della sua immagine, celebrazione dell’alleanza sponsale di<br />
Dio con l’umanità pre-mosaica. Così farà Paolo quando applicherà<br />
al rapporto Cristo-Chiesa l’alleanza sponsale (Ef 5, 21-31). Questa<br />
è l’alleanza sponsale primitiva di Dio con l’umanità, l’alleanza che<br />
segna non solo l’inizio dell’umanità, ma il proposito di Dio di essere<br />
sempre Alleanza con l’umanità. L’Alleanza Dio e noè, Dio e<br />
Abramo, Dio e Israele in Mosè, la Nuova Alleanza dei profeti (Ger<br />
31, 31-34), fino all’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa grazie<br />
al sangue di gesù. tutto questo è teologia della creazione in chiave<br />
matrimoniale, che si fa teologia della storia, non solo della storia di<br />
Israele, ma anche di tutta l’umanità.<br />
10 aug Quaest in Heptateuchum 2, 73: pL 34, 623: “Quamquam ei in Vetere<br />
Novum lateat, et in Novo Vetus pateat”.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
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scrittura<br />
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scrittura<br />
Il Cantico dei Cantici è allora il canto di ogni alleanza di Dio con<br />
l’umanità.<br />
gesù, accogliendo l’invito di partecipare alle nozze di Cana, con<br />
la sua presenza consacra il matrimonio voluto da gen 1, 22, come<br />
lo afferma Cirillo di Alessandria, che nel suo commento a giovanni<br />
sottolinea la presenza di gesù alle nozze di Cana come la presenza<br />
di chi viene a santificare l’inizio della generazione umana e a rinnovare<br />
la stessa natura dell’uomo in rapporto a quanto si legge in gen<br />
3, 16: “Partorirai i figli nel dolore”. E basandosi su 2 Cor 5, 17: “Se<br />
qualcuno è in Cristo è una creatura nuova”, Gesù è venuto a Cana<br />
per rendere nuove le nozze, luogo della generazione della vita 11 .<br />
Cana, inoltre, in ebraico, dal verbo liqnot=acquistare, significa<br />
acquisto, proprietà. Cana è il primo luogo, in galilea, regione dalle<br />
dimensioni universali e internazionali, in cui lo sposo prende possesso<br />
della primizia di una terra destinata a essere teatro delle nozze<br />
di Dio con l’umanità, per la celebrazione dell’Alleanza definitiva.<br />
Questa interpretazione la ritroviamo in gaudenzio di Brescia, che<br />
verso la fine del IV secolo, facendo l’esegesi di Gv 2, 1-11, afferma:<br />
“E perché tu conoscessi che in questo terzo giorno queste nozze<br />
spirituali sono celebrate da Cristo tra il popolo dei pagani, esse non<br />
avvengono in Giudea, ma in Cana di Galilea; questo a prescindere<br />
dalla testimonianza del santo Isaia che citò la galilea delle genti, apparirà<br />
più chiaro dal significato dei nomi stessi. Cana, infatti, significa<br />
possesso e Galilea corrisponde a “girevole”, a “ruota”, stando<br />
al significato della lingua ebraica” 12 . Da chi il vescovo di Brescia<br />
poteva conoscere questa corrispondenza del significato del nome<br />
Cana se non leggendo Girolamo, per il quale “Cana: possessio sive<br />
possedit” 13 ? Già Origene aveva dato questa lettura di Cana: “Le<br />
due venute del nostro salvatore a Cana si possono comprendere<br />
come simbolo delle sue due venute sulla terra, terra che fu chiamata<br />
11 cyril alex In Jo ii, 1-4: pG 73, 224D-225B.<br />
12 Gaud Brix Tr viii, 24.31: cSeL 68, 69.<br />
13 Hier Hom Hebr: ccL 72, 142. anche epifanio di Salamina conosce il<br />
significato di “acquisto” per cana in Pan 51, 30, 11: GcS 31, 303.<br />
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“Cana”, in quanto è una terra che è divenuta “possesso” di colui che<br />
ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra” 14 .<br />
E Cana è in galilea, e galilea è la terra delle nazioni. Eusebio<br />
di Cesarea rimarca la scelta del miracolo avvenuto a Cana e non<br />
a Gerusalemme, perché legge il miracolo di Cana alla luce di Is 9,<br />
1-3, per affermare la priorità dei non-giudei, le nazioni, rispetto ai<br />
giudei di gerusalemme 15 .<br />
Il matrimonio di Cana offre l’occasione a gesù di manifestare<br />
questo linguaggio dell’Alleanza, unito a quello della sua realizzazione.<br />
I due sposi non sono nominati, i loro nomi sono i nomi di<br />
coloro che celebrano ogni alleanza, Dio e Adamo/Eva, Dio e Noé,<br />
Dio e Abramo, Dio e Israele, Dio/Gesù e la Chiesa. A Cana in modo<br />
specifico gli sposi sono Gesù, che in ebraico significa Salvezza, e<br />
maria, la madre di gesù, ossia la madre della salvezza. gli sposi di<br />
Cana rappresentano e significano la concentrazione di ogni alleanza<br />
con Dio.<br />
Lo sposo è la Salvezza (Yeshua), Gesù: al matrimonio di Cana<br />
è invitata la salvezza nella persona del salvatore. Alla salvezza è<br />
dichiarato che è iniziato il suo tempo per la presenza del salvatore.<br />
La sposa è la madre di gesù, la madre della salvezza, la madre<br />
del Salvatore, la “Donna”, la sua maternità, la sua vocazione a generare<br />
la salvezza-salvatore-gesù.<br />
gesù è l’Adam, mentre la madre è la madre dei Viventi, Eva.<br />
Come a nazareth, Luca ci dona la descrizione di un nuovo inizio,<br />
non più di una donna da un uomo (Gen 2), ma un uomo da una<br />
donna, non più Eva da Adamo, ma Adamo da Eva, così giovanni<br />
ci parla dell’alleanza matrimoniale della madre della salvezza con<br />
la salvezza stessa. segno che i tempi sono arrivati, e la madre della<br />
salvezza sollecita e accelera il compimento. “Non hanno più vino”…<br />
Fate tutto quello che Egli vi dirà”.<br />
In mezzo, però, ci stanno le parole dell’intesa, del matrimonio,<br />
le parole della formula del consenso matrimoniale: “Ma li ve lah,<br />
isha, (gunai)”, ossia qual è il progetto, l’affare, il compito, il piano<br />
della salvezza per il quale le nostre due persone sono implicate<br />
14 Orig Co Jo Xiii, LXii, 433: Sch 222, 272; Tr in Jo Lvii, 391-392: Sch<br />
222, 248-220.<br />
15 eus caes Dem Evang iX, 8, 7: GcS 23, 424.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
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scrittura<br />
indissolubilmente? 16 ”. Così la pensava anche Teodoro di Mopsuestia<br />
nel suo commento a giovanni 17 . se le parole di gesù fossero da leggere<br />
in modo occidentale, come un rimprovero di gesù a sua madre,<br />
quasi che essa si fosse discostata dalla sua vocazione di madre del<br />
salvatore, allora non si capisce come gesù abbia proseguito a dare<br />
esecuzione alla volontà-desiderio della madre. Le parole di gesù<br />
sono eco delle altre che Luca pone sulla bocca di gesù dodicenne,<br />
cioè fatto adulto nel Bar-Mitztvah nel tempio di gerusalemme:<br />
“Perché mi cercavate? Non sapevate forse che io devo stare nelle<br />
cose che riguardano mio Padre?” (Lc 2, 50). Parole che assumono<br />
il tono retorico, poiché denunciano la consapevolezza che Gesù sapeva<br />
bene che i suoi genitori erano altrettanto consci della missione<br />
del Figlio.<br />
Le parole di gesù alla madre sono le parole della memoria della<br />
loro Alleanza sponsale per l’incarnazione-esecuzione del Piano definitivo<br />
della Salvezza, di cui Ger 31, 31-34: “Ma questa sarà l’alleanza<br />
che stipulerò con la casa di Israele alla fine di quei giorni, oracolo<br />
del signore! Io porrò la mia torah in mezzo al loro cuore e sul<br />
loro cuore la scriverò. E io sarò per essi il loro Dio ed essi saranno<br />
per me il mio popolo” (Ger 31, 31-34, specialmente v.33). È l’Alleanza<br />
del cuore nuovo e dello spirito nuovo di cui parla Ezechiele<br />
(Ez 36, 23-28).<br />
Il Regno di Dio, compimento dell’Alleanza nuova, è assimilato<br />
da gesù a un banchetto. Ricordiamo la parabola delle vergini che<br />
vanno incontro allo sposo (Mt 25, 1-13) o quella del banchetto nuziale<br />
preparato dal re per suo figlio (Mt 22, 1-14).<br />
Gesù è il Figlio del Re (Mt 22, 1), è lo sposo, come lo dice espressamente<br />
Marco (2, 18-20: “Possono forse gli invitati a nozze digiunare<br />
mentre lo sposo è ancora con loro? Per tutto il tempo che lo<br />
sposo è con loro non possono digiunare”), che promette vino nuovo<br />
16 O forse, come vedremo nell’analisi di Gv 2,4, si tratta semplicemente<br />
di cambiare posizione al punto interrogativo, per cui in 2,4, la prima parte<br />
non sarebbe una domanda, mentre la seconda parte invece diventerebbe una<br />
domanda retorica in bocca alla Madre di Gesù, secondo il pensiero di Teodoro<br />
di Mopsuestia.<br />
17 Theod Mops Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39-40.<br />
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in otri nuovi (Mc 2, 22: “Similmente nessuno mette vino nuovo in<br />
otri vecchi, ma vino nuovo in otri nuovi”).<br />
giovanni sfrutta un fatto storico e ne trae un simbolismo teologico.<br />
se in gv 1, 29, abbiamo nelle parole del Battista la presentazione<br />
dell’identità di Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che prende<br />
su di sé i peccati del mondo”, in Gv 2, 1-11 abbiamo la presentazione<br />
del programma di Gesù, l’annuncio del suo inizio (Gv 2,11: arké) e<br />
la prefigurazione del suo compimento (Gv 13, 1: telos; sia Gv 19,<br />
28).<br />
analisi<br />
ora tentiamo di analizzare i dati interni alla pericope di gv 2,<br />
1-11 alla luce dei riferimenti giudaici e dei commenti patristici, per<br />
evidenziare il simbolismo che affiora dalla celebrazione di un matrimonio<br />
ebraico. Analizziamo pertanto gli elementi descrittivi del<br />
fatto storico delle nozze di Cana, che da giovanni sono presentati<br />
ed interpretati come annuncio simbolico del compimento del piano<br />
salvifico di Dio.<br />
Il matrimonio si<br />
celebra il giorno<br />
terzo, cioè di martedì,<br />
secondo la tradizione<br />
ebraica.<br />
In gen 1, 9-13, nel terzo giorno Dio separa l’asciutto dalle<br />
acque, la terra dal mare, e poi dà inizio alla fecondità della terra,<br />
e per due volte è dato il commento: “E Dio vide che questo era<br />
buono”. Il martedì, il terzo giorno, è un giorno particolarmente<br />
salvifico: è il giorno del sacrificio di Abramo (Gen 22, 4), del dono<br />
della Torah (Es 19, 16) 18 1. “nel terzo giorno” (gv 2, 1)<br />
, dell’intercessione di Ester (Est 5, 1).<br />
18 cf a. Serra, Contributi dell’antica letteratura giudaica per l’esegesi di<br />
Giovanni 2, 1-11 e 19, 25-27, roma 1977. f. MannS, o.c., 98. Manns<br />
menziona l’articolo di Serra che fa del Targum di es 19-24 lo sfondo giudaico<br />
di Gv 2, 1-11, con riferimento al Libro dei Giubilei 16, 17 e alla Mekilta di r.<br />
ismael, es 15,16.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
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sacra<br />
240<br />
scrittura<br />
osea 6, 2 parla del terzo giorno in cui Dio interverrà per guarire o<br />
per risuscitarci (Bibbia greca della LXX). Sappiamo come questo<br />
passo è stato letto in chiave cristiana e applicato alla resurrezione<br />
di gesù.<br />
E così abbiamo il ciclo completo del significato del terzo giorno:<br />
dal primo “terzo giorno”, quello della settimana della creazione, fino<br />
al terzo giorno, ma non più quello della settimana, il martedì, bensì<br />
il terzo giorno che concerne l’Ora della glorificazione del Signore<br />
con la sua morte.<br />
teodoro di mopsuestia, esponente della scuola letterale antiochena<br />
del secolo V, dà una spiegazione cronologica del terzo giorno.<br />
Egli dice che si tratta del terzo giorno dopo il battesimo di Gesù (Gv<br />
1, 29) e dell’incontro di giovanni e Andrea con gesù. nel secondo<br />
giorno invece sono accaduti gli incontri con Filippo e Natanaele (Gv<br />
1, 35), mentre il terzo giorno è il giorno dell’invito al matrimonio di<br />
Cana di galilea 19 .<br />
L’espressione “nel terzo giorno”, che in Gv 2, 1 è l’unica volta ad<br />
essere usata da giovanni, è una formula che nel nt rimanda all’annuncio<br />
pasquale della resurrezione 20 .<br />
In realtà se mettiamo insieme le indicazioni cronologiche che<br />
giovanni ci dà nei primi due capitoli, risulta che le nozze di Cana avvennero<br />
nel giorno settimo della prima settimana di gesù. I primi tre<br />
giorni sono indicati dall’espressione “l’indomani” di Gv 1, 29.35.43.<br />
Quindi ai primi tre giorni si aggiungono altri tre giorni (Gv 2,1) che<br />
completano i primi sei giorni della settimana 21 . L’espressione di gv<br />
2, 1 pone il numero tre in posizione “ordinale”, e quindi va tradotto:<br />
“nel terzo giorno”, dopo evidentemente i tre primi giorni descritti<br />
19 Theod. Mops. Co Jo ii, 1: cScO 62-63, 39.<br />
20 cf Mt 16,21; 13,23; 20,19; Lc 9,22; 18,33; 24,7.21.46; at 10,40;<br />
1 cor 15,4. in Giovanni si trova ancora l’espressione: “dopo tre giorni” in<br />
riferimento alla ricostruzione del tempio=corpo di Gesù: Gv 2, 19-20.<br />
21 Origene in Co Jo X, iii, 10 (Sch 157,386-387) ritiene che sei giorni dopo<br />
il battesimo avvenne l’”economia” alle nozze di cana. inoltre in quello stesso<br />
sesto giorno, dopo la celebrazione dell’ “economia” delle nozze di cana di<br />
Galilea, Gesù discese con la madre i fratelli e i discepoli a cafarnao, campo<br />
della consolazione: Orig Co Jo X, viii, 37 (Sch 157, 406) e Xiii, XXXvii, 25,<br />
1 (Sch 157,532) anche in Co Jo XXviii, fr., mentre in Co Jo Xiii, Lii, 347 (Sch<br />
222, 224-226): si parla solo di terzo giorno.<br />
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in Gv 1, 29.35.43. Allora le nozze, che avvengono dopo i tre giorni,<br />
rispetto agli altri primi tre, si celebrano, di fatto, il giorno settimo,<br />
cioè il sabato 22 . Il matrimonio ebraico 23 si celebrava in sette giorni,<br />
da sabato a sabato. Possiamo dire che il matrimonio di Cana si colloca<br />
di sabato e nell’ultimo giorno della settimana celebrativa del<br />
matrimonio giudaico. Infatti, la numerazione della cronologia delle<br />
nozze di Cana ci riporta alla settimana della creazione (Gen 1), e<br />
il matrimonio presso gli ebrei cominciava di sabato, allorché allo<br />
sposo era chiesto di proclamare la torah nella sinagoga, per concludersi<br />
in una grande festa popolare che accoglieva tutto il villaggio,<br />
il sabato successivo, con l’incontro degli sposi, la benedizione sotto<br />
la tenda, la grande festa e la conduzione della sposa alla casa dello<br />
sposo in un corteo di fiaccole e al suono dei flauti. Se la famiglia<br />
poteva permetterselo, i due sposi erano incoronati con corone d’oro.<br />
22 J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter and Bridegroom of the Wedding at<br />
Cana: Structure and Meaning of John 2.1-12, in Journal for Studies of the N.T,<br />
30/1 (2007), p. 58-59 è per il quarto giorno, ma nello stesso tempo riporta<br />
in nota 10 le altre possibile letture: 8 giorni o 7 giorni (Barnabas Lindars) o 6<br />
giorni secondo Brodie. comunque per tutti ogni lettura rimanda a una lettura<br />
simbolica. cf anche f. MannS, o.c, 98: «Dans le cadre temporel de Jn 1,<br />
29.29.35.43 la mention du troisième jour prend un supplément de sens: elle<br />
pourrait évoquer le schéma des sept jours».<br />
23 Una parola sul matrimonio ebraico, che, al tempo di Gesù, era preparato<br />
dal fidanzamento. il matrimonio era prerogativa dei genitori che sceglievano<br />
la sposa o lo sposo secondo la convenienza generale della famiglia o del clan<br />
(cf Gen 21,21; 24,2-4.50.51.67; 34,1-7). raramente un giovane si sposava<br />
contro la volontà dei genitori (Gen 26,34-35). a volte il fidanzamento era<br />
contrattato da mediatori che restavano a digiuno fino alla conclusione degli<br />
accordi (Gen 24,33; 2cor 5,20). il fidanzamento si divideva in due tempi:<br />
la promessa di fidanzamento e il fidanzamento vero e proprio. La promessa<br />
del fidanzamento poteva avvenire anche molti anni prima dal fidanzamento<br />
vero e proprio che al momento della ufficializzazione diventava vincolante e<br />
aveva quasi gli stessi diritti e obblighi del matrimonio: era infatti accompagnato<br />
da un documento-contratto scritto o verbale (Gen 29,18). i fidanzati erano<br />
riconosciuti come marito e moglie e avevano l’obbligo della fedeltà (Mt 1,18-<br />
20) com’è evidente nel caso di Giuseppe di nazareth che non vuole che Maria<br />
sia accusata di adulterio, con la conseguente condanna alla lapidazione. i due<br />
promessi restavano nelle rispettive case e non avevano rapporti sessuali (Gen<br />
29,21). L’età del fidanzamento avveniva intorno ai 13-14 anni per lei e 18-24<br />
per lui e durava circa un anno, durante il quale il fidanzato preparava la casa<br />
e la sposa l’abito nuziale e le celebrazioni nuziale era a carico della famiglia<br />
della sposa. non era consentito il matrimonio con donne cananee, moabite e<br />
ammonite (es 34,11-12,16; Dt 23,3-4), ma era lecito quello con una schiava<br />
straniera o con una prigioniera di guerra (Dt 21,1-11).<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
241<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
242<br />
scrittura<br />
Il matrimonio ebraico è sempre rievocativo del matrimonio di<br />
Dio con il suo popolo e celebra il rinnovo dell’alleanza Dio e Israele.<br />
Il matrimonio ebraico è sempre una liturgia che celebra, nell’unità<br />
dell’uomo e della donna, l’unità di Dio con Israele.<br />
Il Vangelo di giovanni è l’annuncio della nuova creazione, della<br />
nuova settimana. Il nuovo primo giorno corrisponderà, in effetti,<br />
all’ottavo giorno, il giorno della Resurrezione dello sposo nella sua<br />
Chiesa. Il Vangelo di giovanni comincia con le stesse parole della<br />
Bibbia, nella Genesi: “In principio…” (Gen 1, 1; Gv 1, 1).<br />
La nuova creazione si realizzerà nell’Eden-giardino di gerusalemme,<br />
in cui è collocata la realizzazione della <strong>Passio</strong>ne e Resurrezione<br />
dello Sposo. Il giardino (kepos, in greco, e gan, in ebraico), menzionato<br />
all’inizio, nel mezzo e alla fine del racconto della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione<br />
in Giovanni, è evocazione del giardino della Genesi: Gv 18, 1;<br />
Gv 18, 26 e Gv 19, 41; Gv 20, 15. Nel primo giardino vi era l’albero,<br />
fonte della condanna, mentre nel giardino della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione<br />
a gerusalemme fu innalzato l’albero della vita e della salvezza.<br />
L’”arké”, (Gv 1, 1) l’inizio del vangelo di Giovanni che rimanda<br />
alla creazione, a sua volta è rivolto al “telos” della Morte e della Resurrezione<br />
(Gv 13,1: li amò sino al telos, sino alla fine”.<br />
Questo rimando della creazione al giardino della <strong>Passio</strong>ne, che<br />
costituisce il contesto largo del segno di Cana, permette pure di dare<br />
una lettura pasquale dei tre giorni segnalati da gv 2, 1. I tre giorni<br />
rievocano pure i giorni del compiersi definitivo delle nozze della<br />
nuova ed Eterna Alleanza con la resurrezione dello sposo gesù.<br />
tutto il Vangelo di giovanni offre, pertanto una rilettura protologica,<br />
con la presentazione della nuova creazione, in rapporto alla<br />
<strong>Passio</strong>ne e Resurrezione. Possiamo dire che tutto il Vangelo di giovanni<br />
sia anche una grande ed estesa celebrazione eucaristica del<br />
memoriale della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione come nuova creazione e che<br />
trova nel capitolo 6 la sua chiave di lettura (pane di vita, mangiare la<br />
carne, bere il sangue!).<br />
Ricordiamo che giovanni per sette volte richiama la festa della<br />
Pasqua definitiva di Gesù (Gv 11, 55 (2v); 12, 1; 13, 1, 18, 28.39; 19,<br />
14). Nella Pasqua di Gesù si compie la definitiva nuova creazione<br />
con la nuova ed Eterna Alleanza.<br />
Vogliamo ricordare anche la lettura spirituale del terzo giorno<br />
proposta da Gaudenzio di Brescia. Egli lega il significato del giorno<br />
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alla luce. ora la luce è il signore. Quindi il terzo giorno è il giorno<br />
del signore secondo gv 1, 9, il giorno dello sposo celeste, gesù signore,<br />
che ama le anime che credono in lui, e che unisce a sé quale<br />
sposa la Chiesa proveniente dai pagani, cui dà l’anello del suo sigillo<br />
e gli orecchini della fede”. Allora il primo giorno è la fase della legge<br />
naturale, da Adamo a mosè, mentre il secondo giorno indica il tempo<br />
di mosè. E così il terzo giorno è l’epoca della grazia del salvatore 24 .<br />
2. i protagonisti:<br />
lo sposo e la sposa<br />
In questo matrimonio<br />
non si fa<br />
cenno alla sposa.<br />
si parla solo dello<br />
sposo in modo anonimo,<br />
e al quale si fa<br />
presente l’osservazione, carica di stupore, del vino migliore offerto<br />
alla fine della festa del matrimonio.<br />
Lo sposo è l’Adamo della prima creazione che si vede raggiunto<br />
inaspettatamente da una grazia incomparabile. La sposa, non citata,<br />
sembra rimanere nascosta dietro lo sposo, perché non ci sarebbe<br />
sposo se non ci fosse una sposa. È l’Eva ancora dentro il corpo di<br />
Adamo, che nell’unità con lo sposo condivide la gioia resa possibile<br />
da altri due protagonisti, quelli veri, quelli ricordati e sottolineati da<br />
Giovanni, come se fossero non solo madre e figlio, ma soprattutto la<br />
sposa e lo sposo. La sposa, la madre di gesù, è presentata tra l’altro<br />
già presente (“c’era”: v. 2, 1), come “stava” presso l’Ora della croce:<br />
Gv 19,25. Quindi i veri protagonisti sono la Madre di Gesù e Gesù.<br />
La Madre di Gesù, la sposa<br />
L’identità di maria, nome che tra l’altro non appare mai nel vangelo<br />
di Giovanni, è quella della “madre di Gesù” (2, 1.3.12) e “donna” (2,<br />
4), proprio come nella pericope di Gv 19, 25-27: presso la croce stava<br />
la “madre di Gesù” (19, 25: 2 volte; 19, 26: due volte; Gv 19, 27) e che<br />
da Gesù è chiamata “donna” (19, 26). Nel linguaggio familiare ebraico<br />
24 Gaud Brix Tr viii, 22-23.41: cSeL 68, 69.72.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
243<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
244<br />
scrittura<br />
i membri di una famiglia sono rinominati alla luce delle loro relazioni<br />
di sangue. Se Gesù non è solo il figlio di Giuseppe, ma il suo nome è<br />
“Figlio di Giuseppe =Ben Josef”, così Maria non solo è la Madre di<br />
Gesù, ma anche il suo nome è “Madre di Gesù-Em Yeshua ”. Qui Giovanni<br />
è fedelissimo ai linguaggi ebraici. Egli non cita mai maria con il<br />
nome di maria, ma con l’Em Yeshua=Madre di Gesù!<br />
In oriente, infatti, e particolarmente ancora ai nostri giorni nella<br />
tradizione popolare araba, è normale chiamare la madre o il padre a<br />
partire dalla loro relazione con il figlio primogenito, o chiamare il<br />
figlio a partire dalla sua relazione con il padre e la madre.<br />
In gv 2, le nozze di Cana sono proiettate verso il compimento<br />
dell’ora della croce. In gv 2 si parla tre volte della madre di gesù e<br />
una volta di donna; mentre sotto la croce, si parla cinque volte della<br />
madre di gesù e una volta di donna.<br />
In altre parole, dei due brani mariani di giovanni il primo è introduzione<br />
del secondo, e il secondo è compimento del primo, sia per quanto<br />
riguarda l’annuncio, la teofania del sopraggiungere dell’alleanza finale<br />
di Dio con l’umanità, l’Israele senza confini in Gv 2, che ha in Gv<br />
19 il suo definitivo compimento, sia per quanto riguarda la posizione<br />
della madre di gesù. In gv 2, la madre di gesù è colei che annuncia<br />
l’Alleanza nuova ed eterna, in gv 19, è Colei che assiste alla celebrazione<br />
dell’alleanza definitiva nel Sangue del Figlio (Tutto è compiuto:<br />
Gv 19, 28) e accoglie le primizie della storia della “qehillàh”, della<br />
comunità, della Chiesa universale del Figlio, frutto del suo ministero<br />
iniziato alla presenza della Madre a Cafarnao (Gv 2, 12).<br />
Il fatto che in gv 2 maria è detta madre di gesù per tre volte, mentre<br />
in gv 19 è detta madre di gesù per cinque volte, la crescita numerica<br />
nel medesimo tema mariano, sembra affermare del primo brano (Gv<br />
2) il carattere dell’inizio, mentre del secondo (Gv 19) il carattere del<br />
compimento della presentazione della stessa identità materna di maria<br />
nei confronti di Gesù e nel contesto della glorificazione della <strong>Passio</strong>ne.<br />
maria sta al matrimonio di Cana come la regina madre che, secondo<br />
l’uso orientale presente al matrimonio del figlio, pensa ad incoronarlo,<br />
a mettergli sul capo la corona regale, come il cantico dei<br />
Cantici lo afferma di Salomone (CC 3, 11: Figlie di Gerusalemme,<br />
uscite, contemplate, figlie di Sion, il re Salomone, adorno della sua<br />
corona, con la quale sua madre l’ha incoronato il giorno del suo sposalizio,<br />
nel giorno della gioia del suo cuore”).<br />
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Quindi maria a Cana ricopre il ruolo di chi è coinvolta, per il<br />
piano di Dio, in quanto “Serva del Signore, che fa il Suo Verbo”:<br />
(Lc 1, 38), nella realizzazione delle nozze messianiche, previste in<br />
modo largo e incalzante dai profeti. Le nozze messianiche, l’alleanza<br />
nuova ed eterna si compie grazie alla presenza (c’era!) della Regina-<br />
Madre-Sposa, e grazie al suo sì (Lc 1, 38).<br />
In corrispondenza al numero tre, legato all’indicazione cronologica-teologica<br />
del terzo giorno, è ribadita per tre volte, cioè in modo<br />
corrispondente al compimento perfetto del Disegno di Dio, la presenza<br />
di maria, come la presenza di Colei che ha la chiave dell’esecuzione<br />
del piano di Dio, la realizzazione dell’Alleanza, nuova<br />
ed eterna, nel “Suo” Sangue. Senza di Lei non viene il vino nuovo,<br />
il vino del sangue del signore, il vino dello spirito. senza di Lei<br />
non ci sarà il sangue di gesù, che sostituisce il sangue dell’alleanza<br />
mosaica (Ex 24). Senza di Lei non ci sarà lo Spirito=vino su cui, secondo<br />
Geremia (Ger 31, 31-34), si fonda l’Alleanza nuova ed eterna.<br />
Ora per il fatto che l’espressione “Madre di Gesù” sia congiunto<br />
per tre volte al termine donna, l’appellativo “donna” sta come al<br />
centro di un triangolo equilatero. La donna (guné in greco-isha in<br />
ebraico) richiama la prima donna, la donna della creazione, legata<br />
intrinsecamente all’uomo, all’adam e all’ish. Prima della sua creazione<br />
da Adamo, la donna faceva parte della stessa adamah, terra,<br />
dell’Adam, primo uomo: un’alleanza sponsale dove veramente l’uno<br />
è carne e ossa dell’altro. Poi dall’adam-ish emerge la isha, la donna,<br />
la sua femminilità, la sua complementarietà all’uomo (Gen 2, 21-<br />
23), con la vocazione specifica, quella della maternità, perché Eva<br />
significa “Madre dei viventi-Havah”, mentre Adamo mantiene il<br />
nome di Adam (Gen 3,20.).<br />
La tradizione rabbinica descrive la bellezza di Eva, come la madre<br />
dei viventi. Come immagine del Dio della vita, Eva è rivestita di 24<br />
ornamenti che richiamano le perle preziose di cui parla Ezechiele<br />
riferendosi al principe di Tiro (Ez 28, 13).<br />
Il serpente sedusse Eva a motivo della sua bellezza. Ireneo 25 conosce<br />
questa tradizione giudaica in riferimento ad Eva. La madre di<br />
25 iren AH v, 19,1: Sch 153, 248-250; Dem 32-33: Sch 406, 128-130.<br />
agostino afferma che se il cristo prende il corpo da Maria, anche la sinagoga<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
245<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
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SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
246<br />
scrittura<br />
gesù sarà l’Eva, la bella, che realizzerà anche la bellezza del popolo<br />
di Israele che ai piedi del Sinai accoglie la Torah (Ex 24 ).<br />
Per giovanni, la madre di gesù è la nuova Eva, la madre dei viventi,<br />
che entra in modo indispensabile nella realizzazione non solo<br />
del matrimonio di Dio con Israele, ma di Dio con “tutti i viventi”,<br />
con tutta l’umanità. La madre di gesù a Cana riveste il ruolo di<br />
spingere gli avvenimenti verso la loro realizzazione, annunciando<br />
l’arrivo dell’ora dell’Alleanza sponsale con il sangue dello sposo,<br />
e di aprire l’Alleanza in proiezione universale, come fu predetto da<br />
geremia e da Ezechiele.<br />
nello stesso tempo, essa è la madre dei viventi, cioè di coloro<br />
che credono. L’episodio di Cana finisce, di fatto, con la creazione<br />
dei primi cinque discepoli credenti, primizia della nuova “Torah” e<br />
della nuova qehillàh fondata sulla Torah ebraica realizzata in gesù<br />
di nazareth, con la celebrazione dell’assenso in base al sangue di<br />
gesù! Cinque sono i libri della torah mosaica, come cinque sono<br />
i primi discepoli di gesù, che rappresentano la primizia del Popolo<br />
della Torah eterna, in continuità con la Torah mosaica!<br />
Per Efrem di siria, se lo sposo di Cana è gesù, la sposa non può<br />
essere che sua madre:<br />
“Gridate di gioia, voi sposi e voi spose. Benedetto il Figlio la cui<br />
madre divenne una sposa per il santo. Benedetta la festa di nozze<br />
dove tu, Cristo, eri presente: anche se il suo vino verrà a mancare<br />
all’improvviso, grazie a te sarà abbondante il nuovo” 26 .<br />
gaudenzio legato alla doppia lettura esegetica, afferma che maria<br />
secundum carnem è la madre di Cristo che intercede a Cana perché<br />
gli sposi abbiano il vino delle nozze, ma figuraliter maria rappresenta<br />
tutti i giusti dell’Antico testamento, dai quali è uscito Cristo,<br />
e che hanno interceduto per i pagani al fine di ottenere loro la letizia<br />
del vino celeste 27 .<br />
può essere considerata madre di cristo: Quaestiones in Hept 49, 16: ccL 33,<br />
367 e En in Ps 44, 12: ccL 38, 502. cf B. DeGÓrSKi, art. cit., 291.<br />
26 ephrem, Inni sulla Natività 8,18: Sch 459, 153. cf S. p. BrOcK, L’occhio<br />
luminoso. La visione spirituale di sant’Efrem, Lipa, roma 1999, 146.<br />
27 Gaud Brix Tr iX, 15-16: cSeL 68,79.<br />
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Gesù, lo sposo<br />
gesù è l’invitato con i suoi cinque discepoli. marco ci dice che<br />
il primo giorno del suo ministero messianico gesù entra nella sinagoga<br />
di Cafarnao seguito dai primi quattro discepoli raccolti lungo<br />
la riva del lago: gesù è il primo libro della Torah, e quindi il primo<br />
libro di tutta la Bibbia, mentre gli altri quattro libri sono rappresentati<br />
dai primi quattro discepoli che per la fede (Gv 1, 11) formano<br />
l’unica Torah. tutti insieme, gesù e i discepoli, sono cinque, come<br />
cinque sono i libri della torah ebraica. Le reazioni dei giudei in sinagoga<br />
saranno quelle di chi si sta convincendo di essere alla presenza<br />
di una nuova “Torah”, insegnata con Torah-autorità, non come gli<br />
scribi (Mc 1, 21-22).<br />
A Cana gesù inizia il suo ministero: è invitato Lui con la Torah,<br />
significata dai primi cinque discepoli. Davanti ad Hanna-Yohanan,<br />
sommo sacerdote emerito, Gesù sarà interrogato sulla “sua” Torah e<br />
sui suoi discepoli (Gv 18, 19), cioè sul su insegnamento della Torah.<br />
In un matrimonio preso come haggadàh-racconto e simbolo del<br />
compimento del matrimonio di Dio con il suo popolo, in Cristo e<br />
la sua Chiesa, per la celebrazione dell’Alleanza definitiva, Gesù è<br />
presentato non solo come il rabbino-interprete della Torah, ma Dio<br />
stesso che porta la Torah definitiva, quella della nuova ed eterna alleanza.<br />
gesù ci è offerto da giovanni come l’esecutore dello sposalizio<br />
e colui che, condiviso dalla sposa, dalla madre, espressione del<br />
nuovo popolo (infatti, le parole di Gesù alla Madre, di Gv 2, 4, sono<br />
parole di memoria e di condivisione del progetto di Dio da parte di<br />
entrambi, veri sposi del matrimonio definitivo), porta il segno del<br />
compimento, cioè il vino messianico, il vino del suo sangue e il vino<br />
dello spirito.<br />
se teodoro di mopsuestia commenta la partecipazione di gesù<br />
alle nozze di Cana con i suoi discepoli come la decisione di gesù<br />
di far esercitare i suoi discepoli non anzitutto nelle cose dure, portandoli<br />
con sé a questo scopo ad una festa di nozze 28 , e giovanni<br />
Crisostomo semplicemente precisa che gesù è venuto alle nozze di<br />
28 Theod Mops Co Jo ii, 2: cScO 62-63, 39.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
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247<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
248<br />
scrittura<br />
Cana non per ostentare miracoli ma per fare un atto di bene 29 , gaudenzio<br />
di Brescia invita a non meravigliarsi della presenza di gesù<br />
alle nozze di Cana, perché ciò rientra nella logica dell’incarnazione<br />
del Cristo Dio, che vivendo tra gli uomini, si rese presente nelle<br />
afflizioni umane, in base a Mt 9,12 30 . Cirillo insiste nel dire che la<br />
presenza di gesù alle nozze di Cana è una benedizione e l’atto di<br />
santificazione dell’esercizio della sessualità e della procreazione, in<br />
antitesi con la maledizione di gen 3,16 31 .<br />
E Cristo venne alle nozze di Cana, anche secondo il vescovo di<br />
Brescia, per benedire il matrimonio legittimo che corrisponde all’intenzione<br />
originale del Creatore 32 . stessa idea è offerta da giovanni<br />
Crisostomo, per il quale contro le tendenze encratite e marcionite,<br />
gesù è presente alle nozze di Cana e le rallegra con il vino, proprio<br />
per dichiarare che il matrimonio non è male 33 . Per il Crisostomo è<br />
la verginità che viene, nelle nozze di Cana, a onorare con la sua<br />
presenza il matrimonio 34 , affinché, completa Teodoreto di Ciro,<br />
esaltando la verginità non si corra il rischio di disprezzare il matrimonio<br />
35 . Così pure nella scuola alessandrina, Cirillo insiste nel dire<br />
che la presenza di gesù alle nozze di Cana è una benedizione e l’atto<br />
di santificazione dell’esercizio della sessualità e della procreazione,<br />
in antitesi con la maledizione di gen 3,16 36 . Efrem il siro scrive che<br />
a Cana ha suonato l’arpa della creazione 37 . già origene 38 , ancora<br />
prima, nel III secolo, in polemica contro gli gnostici, in particolare<br />
contro Eracleone, che rifiutano la bontà del matrimonio, afferma che<br />
29 ioh crys In Jo Ho XXi, 1: pG 59, 129.<br />
30 Gaud Brix Tr viii, 2-5: cSeL 68, 64-65.<br />
31 cyril alex In Jo ii, 1-4: pG 73, 221D-225a.<br />
32 Gaud.Brix Tr viii, 10: cSeL 68, 66.<br />
33 Joh crys In Jo Ho XXii, 1: pG 95, 134.<br />
34 ioh crys In Ozias Ho iv, 3, 24-29: Sch 211.<br />
35 Theodoret cyr De incarn. 25 : pG 75, 1464 Bc.<br />
36 cyril alex In Jo ii, 1-4: pG 73, 221D-225a.<br />
37 ephrem, Hymn haer 40,7: cScO 170, 144.<br />
38 Orig Co Jo XXviii, fr.(edizione preuschen, Origenes, Der<br />
Johanneskommentar, 1903). Sebbene preuschen ritenga che questo frammento<br />
non sia di Origene, perché sembrerebbe che sia attribuita a Origene l’opinione<br />
degli ebioniti secondo cui la creazione dell’uomo e della donna avrebbe come<br />
soggetto creatore cristo.<br />
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gesù venne alle nozze di Cana in quanto creatore dell’uomo e della<br />
donna, il quale, dopo aver plasmato Eva, l’ha condotta ad Adamo.<br />
Quindi a Cana gesù ottempera alle stesse parole pronunciate da lui<br />
in Mt 19, 6: “L’uomo non osi separare quello che Dio ha unito”.<br />
Efrem ci testimonia la tradizione siriaca che legge nel vero sposo<br />
di Cana gesù stesso. mentre la sposa è la madre:<br />
“Benedetta sei tu, Cana, perché era lo Sposo dall’alto che invitò il<br />
tuo sposo, a cui il vino venne meno; egli invitò l’Ospite che invita i<br />
popoli alla festa di nozze della gioia e della vita nell’Eden” 39 . mentre<br />
l’anima è la sposa e il corpo la stanza nuziale, gli invitati sono i sensi<br />
e i pensieri, mentre la Chiesa è il banchetto nuziale 40 .<br />
Anche per Agostino il vero sposo di Cana è Gesù. “Cosa c’è di<br />
strano che si rechi alle nozze in quella casa, lui che è venuto a nozze<br />
in questo mondo? Se infatti non fosse venuto a nozze, non avrebbe<br />
qui la sposa”. E poi, basandosi su 2 Cor 11, 2-3, prosegue: “Il Signore<br />
ha qui una sposa che egli ha redento con il suo sangue, e a<br />
cui ha dato in pegno lo spirito santo. L’ha strappata dalla schiavitù<br />
del diavolo, è morto per i peccati di lei, è risorto per la sua salvezza.<br />
Chi mai offrirebbe alla sua sposa doni così grandi? Il Signore invece<br />
muore sicuro, dà il suo sangue per colei che sarà sua dopo la resurrezione,<br />
colei cui si era già unito nel seno della Vergine. Il Verbo è<br />
lo sposo, infatti, e la sposa è la carne umana; ed entrambi sono un<br />
solo Figlio di Dio, un solo e medesimo Figlio dell’uomo. Il seno<br />
della Vergine è il letto nuziale dove egli divenne capo della Chiesa, e<br />
donde si leva come lo sposo dal suo letto nuziale, come la scrittura<br />
aveva predetto: “Esce come uno sposo dal suo letto nuziale, lieto,<br />
come un eroe, di percorrere la via” (Ps 18, 6) Egli è uscito dal letto<br />
nuziale come uno sposo e, invitato, viene a nozze” 41 . Agostino ha di<br />
mira le nozze del Verbo con l’umanità, nozze che si celebrano già nel<br />
corpo di maria. E intanto precorre i linguaggi cristologici di Efeso.<br />
39 ephrem, Inni sulla Verginità 16,2 (tr. S. p. BrOcK, L’occhio luminoso. La<br />
visione spirituale di sant’Efrem, Lipa, roma 1999, p.141). cf anche Inni sulla<br />
verginità 33,4 (BrOcK, o.c., 141-142). Inni sulla Fede 14, 1-5 (BrOcK o.c.,<br />
142-143)<br />
40 cf ephrem, Inni sulla fede 14, 1-5 (BrOcK o.c., 142-143).<br />
41 aug Tr Jo viii, 4-5: ccL 36, 83-84: “verbum enim sponsus, et sponsa caro<br />
humana…de thalamo processit velut sponsus, et invitatus venit ad nuptias” (Tr in<br />
Jo viii, 4: ccL 36, 84).<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
249<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
250<br />
scrittura<br />
Il mistero dell’incarnazione in maria fa sì che il Verbo sia e Figlio<br />
di Dio e Figlio dell’uomo, ma un solo Figlio e di Dio e dell’uomo.<br />
E ancora Agostino ribadisce: “Il Signore dunque accettò l’invito ed<br />
andò a nozze, per confermare la castità coniugale, e palesare il mistero<br />
(sacramentum) che è figurato dal matrimonio: in quello sposo<br />
delle nozze era figurata la persona del Signore, cui fu detto: “Hai<br />
riservato il buon vino fino a questo momento, cioè il Vangelo” 42 .<br />
La medesima lettura si ritrova in Cirillo di Alessandria, per il quale<br />
le nozze di Cana sono le nozze del Logos con l’umanità: “Il Logos<br />
di Dio è disceso dal cielo. Come lui stesso lo dichiara in un passo, al<br />
fine di persuadere la natura umana, che aveva resa propria, a ricevere<br />
in sé i semi spirituali della saggezza. Per questo giustamente l’umanità<br />
è detta “sposa” e il Salvatore “sposo”, perché la divina Scrittura<br />
eleva il suo discorso dalla nostra realtà a una comprensione che ci<br />
supera. Il matrimonio accade il terzo giorno che rappresenta l’inizio,<br />
la metà e la fine” 43 .<br />
Pure gaudenzio di Brescia parla di matrimonio di Cristo con la<br />
Chiesa, al momento in cui Cristo le offre il vino nuziale 44 .<br />
origene sovrappone alla historia la lettura teologico-allegorica<br />
del brano di Cana, unendo questo al secondo episodio di Cana che<br />
vede gesù operare un secondo miracolo, quello della guarigione a<br />
distanza del servo del funzionario regio di Cafarnao (Gv 4, 43-54).<br />
origene mette in parallelo entrambi gli episodi, il miracolo della<br />
trasformazione dell’acqua in vino è allegoria della prima venuta di<br />
gesù con l’incarnazione, mentre il miracolo della guarigione del<br />
servo è allegoria della seconda venuta di gesù nel tempo del giudizio.<br />
I convitati alle nozze sono figura di tutte le Nazioni, mentre<br />
il servo del funzionario regio è figura del popolo ebraico, l’ultimo a<br />
essere salvato alla fine dei tempi.<br />
42 aug Tr Jo iX, 2: ccL 36, 91.<br />
43 cyril alex In Jo II, 11-13: pL 73, 228-229.<br />
44 Gaud Brix Tr viii, 31 : cSeL 68, 69.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 250 04/02/13 09:39
3. il Vino messianico,<br />
il vino delle nozze:<br />
“Non hanno più vino!”<br />
(gv 2, 3)<br />
La madre di<br />
gesù dice:<br />
“Non hanno<br />
più vino” (Gv 2, 3).<br />
L’affermazione della<br />
madre di gesù solleva<br />
una mentalità che af-<br />
fonda le radici nella letteratura antico- testamentaria, investe il tema<br />
del vino nel nuovo testamento, ed è accolta dai padri come simbolica<br />
eucaristica. nel brano di gv 2,1-11 la parola vino ritorna ben<br />
cinque volte. Questo dice l’importanza teologico-simbolica rimarcata<br />
dall’autore del IV Vangelo.<br />
Il vino è simbolo della gioia messianica (Ps 104, 14) o della letizia<br />
spirituale, ricorda gaudenzio di Brescia 45 . Il profeta Amos parla<br />
dell’abbondanza del vino quando si sarebbe stabilita l’alleanza (Am<br />
9, 13-14). Il profeta osea aggiunge che la qualità del vino nuovo<br />
sarebbe stata superiore a quella del vino del Libano (Os 14, 8). Isaia<br />
diceva che nel banchetto escatologico il vino sarà abbondante e dato<br />
gratuitamente (Is 25, 6; 55, 1). Nell’Apocalisse di Baruch si dice<br />
che ai giorni del messia le vigne produrranno mille pampini ed ogni<br />
pampino mille grappoli d’uva 46 .<br />
Ed è la madre che si occupa di far realizzare l’alleanza, il matrimonio<br />
definitivo: “Non hanno più vino” (Gv 2, 3).<br />
Un’immagine cara ai profeti è quella del popolo-vigna (cf Is 5, 7<br />
riflettuto in Ps 80).<br />
si parla per la prima volta di vino nella Bibbia con l’alleanza conclusa<br />
da Dio con Noè: (Gen 9, 20-21). Noè piantò la vigna e bevve<br />
di quel vino. secondo il targum 47 la pianta della vite veniva dal Paradiso.<br />
Il diluvio l’aveva sradicata. Ancora il targum suggerisce che<br />
dopo aver creato la vite Dio volle mettere da parte del vino, sotto il<br />
suo trono, per i tempi del messia. La missione del messia sarebbe<br />
stata appunto quella di dare questo vino conservato da Dio 48 . I grap-<br />
45 Gaud Brix Tr viii, 6: cSeL 68, 66: virtus laetitiae spiritalis.<br />
46 cf 2 Bar 29, 5-8: Sch 144, 483.<br />
47 cf J. BOWKer, The Targum and rabbinic literature. An introduction to the<br />
Jewish interpretation of Scriptures, cambridge 1969, 173-175.<br />
48 cf il Targum di ct 8,2.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
251<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
252<br />
scrittura<br />
poli di Ebron saranno i segni della ricchezza della terra Promessa<br />
(Nm 13, 23; Dt 7, 13; 28, 51).<br />
L’insediamento nella terra sarà dato dall’abbondanza di vigneti<br />
e di vino (Am 9, 13-14). Ci sarà molto vino nelle nozze di Jhwh con<br />
il suo popolo, come assicura Osea (Os 14, 8). Il Cantico dei Cantici<br />
evoca le grazie della sposa che sono espresse dalla dolcezza inebriante<br />
del vino (Ct 2,4). Il Midrash CtR 2, 4, 1 49 dice che lo sposo<br />
ha introdotto la sposa nella cantina, nella casa del vino. nello stesso<br />
testo midrashico si legge che il monte sinai era come una grande<br />
cantina dove era riposto il vino della Torah, perché la Torah è il vino,<br />
infatti, la Torah e il vino rallegrano il cuore dell’uomo (Cf anche CtR<br />
1,2,7 50 ).<br />
Anche l’identità del messia, della tribù di giuda, sarà legata al<br />
vino nella benedizione di Giacobbe: “Egli lega alla vite il suo asinello<br />
e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e<br />
nel sangue dell’uva il manto” (Gen 49, 11).<br />
Nel Targum di Gen 49, la figura del Messia è legata al vino: “Le<br />
sue vesti sono bagnate nel sangue, è simile a chi pigia l’uva. Come<br />
sono belli gli occhi del re Messia, come il vino puro” 51 .<br />
Nel libro del Siracide la vite è assimilata alla sapienza (Sir 24,<br />
17-18), mentre il vino delle quattro coppe del seder pasquale corrispondono<br />
alle quattro espressioni della redenzione di Israele che si<br />
trovano in Ex 6, 6: “…Vi farò uscire dalle fatiche di Egitto, vi libererò<br />
dalla loro schiavitù, e vi riscatterò con braccio teso e con grandi<br />
prodigi”, secondo l’esegesi di Rabbi Banaya.<br />
Ireneo di Lione menziona che “i presbiteri che videro Giovanni, il<br />
discepolo del signore, ricordano di aver udito da lui come il signore,<br />
a proposito dei tempi, insegnava e diceva: verranno giorni in cui nasceranno<br />
vigne, con diecimila viti ciascuna. ogni vite avrà diecimila<br />
tralci e ogni tralcio diecimila poppaioni. ogni poppaione avrà die-<br />
49 Song of songs. An analytical translation (by J. neusner), Brown Jewish<br />
Studies 197, atlanta 1989, p. 160. Midrash Rabba, Song of the Songs II,4 (tr.<br />
M. Simon),The Soncino press, London-new York, 102-103.<br />
50 Songs of Songs. An analytical translation (by J. neusner), Brown Jewish<br />
Studies 197, atlanta 1989, p.69-71. Midrash Rabba, Song of the Songs I, 2, 7<br />
(tr. M. Simon),The Soncino press, London-new York, 35.<br />
51 cf J. BOWKer, The Targum and rabbinic literature. An introduction to the<br />
Jewish interpretation of Scriptures, cambridge 1969, 278.284.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 252 04/02/13 09:39
cimila pampini, e ogni pampino diecimila grappoli. ogni grappolo<br />
avrà diecimila acini e ogni acino spremuto darà venticinque metrete<br />
di vino. Quando uno dei santi prenderà un grappolo, un altro grappolo<br />
griderà: Prendi me, io sono migliore e per mio mezzo benedici<br />
il Signore” 52 .<br />
Per Ippolito di Roma, commentando la benedizione di Neftali: “Il<br />
vino è la potenza dello Spirito Santo” 53 . Anche gaudenzio di Brescia<br />
dirà che il vino mancante era il vino dello Spirito Santo, perché<br />
“non c’era alcuno che fosse in grado di dissetare con il vino spirituale<br />
le genti assetate, ma si attendeva il signore gesù che riempisse<br />
mediante il battesimo col vino nuovo otri nuovi” 54 . gaudenzio precisa<br />
che con il venir meno dei profeti nel popolo di Israele il popolo<br />
ebraico non aveva più il vino, cioè lo spirito santo. non potendo<br />
quindi dar da bere ai pagani, venne gesù a riempire di vino nuovo,<br />
di spirito santo, i nuovi otri, le nazioni, i non ebrei, grazie al battesimo<br />
55 .<br />
Per il libro dei Proverbi il vino è anche simbolo della Parola e<br />
della sapienza generata dalla Parola (Pr 9, 5-6). Quindi la mancanza<br />
di vino indica la mancanza della Parola, la mancanza della sapienza,<br />
e del maestro-profeta che la possa offrire (Ps 74, 9). Gesù è venuto a<br />
portare il vino della Parola e della sapienza, inaridite nel giudaismo<br />
rabbinico al tempo di gesù. oppure come afferma origene, l’acqua<br />
trasformata in vino è la trasformazione compiuta da Cristo della lettera<br />
della scrittura in spirito 56 .<br />
52 iren AH v, 33, 3: Sch 153, 414-415.<br />
53 Hipp rom Bened Patriar (Gen 49, 21), XXv: pO 27, 98.<br />
54 Gaud Brix Tr viii, 46-47: cSeL 68, 73. cf B. DeGÓrSKi, Le nozze di Cana<br />
nell’esegesi di San Gaudenzio di Brescia, in Vox Patrum 23 (44-45/2003) ,<br />
293. cf B. DeGÓrSKi, art. cit, 293-294.<br />
55 Gaud Brix Tr viii, 46-47: cSeL 68,73. il medesimo pensiero era già stato<br />
espresso da Origene per il quale in Princ i 3,7: GcS 58,22, gli otri sono<br />
immagine dell’uomo nuovo aperto a ricevere la grazia dello Spirito Santo.<br />
all’identificazione degli otri nuovi con gli uomini nuovi e del vino nuovo con lo<br />
Spirito Santo si allineano sia Massimo di Torino in Serm 28, 3, sia agostino,<br />
per il quale il vino nuovo è lo Spirito dato il giorno di pentecoste, Serm 267:<br />
pL 38,1230. Stessa idea di agostino si ritrova in Gerolamo (Jeron Adv Iovin i,<br />
30: pL 23,265).<br />
56 Orig Co Jo Xiii, 438: Sch 222, 272. cf anche il commento di H. De<br />
LUBac, Storia e Spirito. La comprensione della Scrittura secondo Origene,<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
253<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
254<br />
scrittura<br />
E Origene insiste nel suo commento al Cantico dei Cantici: “Il<br />
vino che è prodotto dalla vera vite è sempre nuovo, sempre. grazie<br />
al progresso di coloro che imparano, si rinnova la conoscenza della<br />
sapienza e della scienza divina”. Origene allude alla perfezione<br />
di chi ormai è posseduto dalla dolcezza del vino maturo, che è il<br />
sangue del nuovo testamento, in quanto il Logos, gesù, è la vera<br />
vite: “Così finalmente offre loro la dolcezza della maturità, fino a<br />
condurli ai torchi dove si espande il sangue dell’uva, il sangue del<br />
nuovo testamento, per essere bevuto al piano superiore nel giorno<br />
di festa, là dove è stata preparata una grande mensa. Così bisogna<br />
che procedano attraverso graduali progressi coloro i quali, iniziati<br />
per mezzo del sacramento della vite e del grappolo di cipro, vanno<br />
alla perfezione e desiderano bere il calice del nuovo testamento ricevuto<br />
da Gesù” 57 . Il passaggio all’Eucaristia è evidente, ma non<br />
solo come passaggio al sacramento, ma come passaggio al banchetto<br />
della piena sapienza espressa dall’Eucaristia, a cui il vino di Cana<br />
rimanda.<br />
Infatti, Efrem il siro insisterà soprattutto sulla lettura eucaristica<br />
della trasformazione dell’acqua in vino a Cana di galilea, in quanto il<br />
signore ha fatto gustare un pane e un vino transitori, per suscitare in<br />
essi il desiderio del suo corpo e del suo sangue”, e in modo gratuito,<br />
perché si fosse attirati gratuitamente dal bene inestimabile dell’Eucaristia<br />
che non poteva essere pagato ad alcun prezzo. “Infatti, ha<br />
nascosto la dolcezza nel vino che aveva prodotto per indicare ai convitati<br />
che tesoro magnifico sia nascosto nel suo sangue vivificante”.<br />
L’acqua trasformata in vino fu per donare il primo segno che il suo<br />
sangue sarebbe stato di gioia per tutte le nazioni. E da questa lettura<br />
della destinazione universale del sangue di Cristo, Efrem aggiunge<br />
un completamento per l’ambito ebraico: “L’acqua cambiata in vino<br />
paoline, roma 1971, p. 550. anche per eusebio di cesarea, la trasformazione<br />
dell’acqua in vino è simbolo del passaggio dall’antico al nuovo Testamento,<br />
passaggio dalla realtà carnale a quella spirituale: Dem Evan iX, 8, 7: GcS<br />
23, 424. anche cirillo di alessandria dice che la mancanza del vino è propria<br />
della Legge, mentre il vino sono i divini insegnamenti della dottrina evangelica:<br />
Co in Jo ii, 13 : pG 73, 229B.<br />
57 Orig Co CC ii, 6-8 in cc 1,14: Sch 375,459.<br />
2 la sapienza 2012 ciano.indd 254 04/02/13 09:39
nelle anfore era il simbolo del primo comandamento portato alla<br />
perfezione” 58 .<br />
Ireneo, già nel II secolo, metteva in relazione il vino creato da<br />
Dio, rispetto al quale il vino creato dal Verbo a Cana era migliore.<br />
Gesù a Cana trasse il vino dall’acqua come moltiplicò i pani, perché<br />
fossero il cibo e la bevanda per tutto il genere umano negli ultimi<br />
tempi 59 .<br />
A gerusalemme, a metà del IV secolo, Cirillo conosce l’idea<br />
eucaristica della trasformazione dell’acqua in vino e del vino nel<br />
sangue, perché “ai compagni dello sposo egli dà ora di godere del<br />
suo corpo e del suo sangue” 60 .<br />
Più tardi, nel V secolo, Pietro Crisologo riconosce nel vino il<br />
segno dell’Eucarestia 61 , mentre Agostino ritiene che il buon vino<br />
conservato per la fine delle nozze è il Vangelo 62 .<br />
4. “cosa è in comune<br />
tra me e te, donna (?).<br />
non è giunta la mia ora<br />
(?)(gv 2, 4)<br />
La madre di<br />
gesù nel dire<br />
al Figlio. “Non<br />
hanno più vino”(Gv<br />
2,3) dimostra ben più<br />
di una pura consapevolezza<br />
che gesù avrebbe<br />
potuto risolvere il pro-<br />
blema imbarazzante che era emerso a Cana, con uno strepitoso miracolo,<br />
come nota nel suo commentario giovanni Crisostomo 63 ,<br />
e anche Efrem il siro 64 , anche se il miracolo della trasformazione<br />
dell’acqua in vino effettivamente accadde. La cosa più significativa<br />
di Cana non è il miracolo del vino, per cui, ad una lettura diremmo<br />
58 ephrem, Comm Diat Xii, 1-2: Sch 121, 213-214<br />
59 iren, AH iii, 11, 5: Sch 153, 152-154.<br />
60 cyril Jerus Cat iv/XXii, 2, 2: Sch 126, 136-137.<br />
61 petrus chrys Serm 160: pL 52, 622 B.<br />
62 aug Tr Jo iX, 2: ccL 36, 91.<br />
63 Joh chrys, In Jo Ho XXi, 2: pG 59, 130 (ebouleto gar … eauten lamproteran<br />
poiesai dià tou paidòs).<br />
64 ephrem, Diat v, 10: Sch 121, 111.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
255<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
256<br />
scrittura<br />
superficiale, emergerebbe il problema dell’opportunità o dell’audacia<br />
della madre di gesù nel chiedere e strappare in quella circostanza<br />
un miracolo. In realtà possiamo cogliere il significato di<br />
Cana, dopo il tentativo di lettura delle parole espresse nella risposta<br />
di gesù a sua madre in gv 2,4.<br />
Come già l’abbiamo affermato, possiamo avere due letture, una<br />
polemica, quella maggiormente seguita, e quella di impronta positiva.<br />
“Cosa c’è in comune a te e a me, donna? Non è giunta la mia ora”<br />
(lettura polemica)<br />
“Ciò che appartiene a te appartiene a me, donna. Non è forse<br />
giunta la mia ora?”(lettura positiva).<br />
mai come questa obiezione di gesù è stata staccata dal suo naturale<br />
e familiare contesto semita e biblico. sembra che la traduzione<br />
greca dall’ebraico/aramaico originale abbia favorito un’interpretazione<br />
riduttiva, fino a renderla un rimprovero da parte di Gesù nei<br />
confronti della madre. ma nulla di tutto questo 65 . Una semplice lettura<br />
del testo greco alla luce di quello che sarebbe potuto essere stato<br />
il testo originale ebraico/aramaico, può suggerire non solo una interpretazione<br />
positiva di queste parole di gesù, ma, anzi, la risposta di<br />
gesù suonerebbe come l’annuncio che il Figlio fa alla madre del loro<br />
mutuo consenso circa il comune piano di salvezza che vede Cana<br />
come il luogo dell’inizio della sua realizzazione. mentre il Figlio è<br />
l’esecutore del compimento degli ultimi tempi, la madre diventa lo<br />
strumento, esattamente la “mediatrice” del compimento dell’Ora di<br />
Gesù. Per cui, non solo la Madre fa bene a ricordare che sono finiti i<br />
65 Questa espressione di Gv 2,4 è stata studiata da a. GOMeZ fernanDeZ,<br />
Ti moi kai soi. Que hay entre tu y yo? Jo 2,4a. Nuevas perspectivas, Salamanca<br />
2003. prima di lui da p. GaecHTer, Maria in Erdenleben, innsbruck 1953,<br />
155-200; da J.cOrTeS QUiranT, “Las bodas de Caná”: la respuesta de Cristo<br />
a su Madre (Jn 2,4), in Marianum 20 (1958), 157-158; da M. peinaDOr, La<br />
respuesta de Jesús a su Madre en las Bodas de Caná, in Eph Mar 8 (1958),<br />
61; da ch.p.cerOKe, The problem of ambiguity in John 2,4, in Catholic<br />
Biblical Quartely 21/3 (1959), 316-340, il quale esamina in dettaglio il<br />
possibile dilemma del diniego o dell’assenso espresso nelle parole di risposta<br />
di Gesù a sua Madre; e anche da W. H. riTva, The Mother of Jesus at Cana: a<br />
social-science interpretation of John 2:1-12, in Catholic Biblical Quartely 59/4<br />
(1997), 679-692. e più recentemente da J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter<br />
and Bridegroom of the Wedding at Cana: Structure and Meaning of John 2.1-<br />
12, in Journal for Studies of the N.T, 30/1 (2007), 55-73.<br />
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tempi dell’attesa (Non hanno più vino!), ma Gesù ricorda alla Madre<br />
che questo era “l’affare da portare a termine insieme”.<br />
L’espressione: ti emoi kai soi, gynai; oupo ekei e ora emou, τί<br />
μοˆ καˆ σο† γÚνα‡ οßπω ¼κει ¹ éρα μου, corrispondente all’ebraico:<br />
ma li va lakh… מַ ה־לִּ ֣ י וָלָ֔ ך, nel nt torna in mt 8, 29, mc 1, 24,<br />
Mc 5,7, Lc 16, 10 e Lc 8, 28, mentre nella LXX la troviamo in Gs<br />
22,24; Gd 11, 12; 2 Sam 16, 10; 19, 23; 1 Re 17, 18; 2 Re 3, 13; 2 Cr<br />
35, 21 e in Esdra 1, 24.<br />
Come osserva Matand Bulembat, la decifrazione del significato<br />
dipende molto dal contesto, o positivo o polemico66 . se il contesto<br />
è positivo il significato è: quello che è mio è tuo. se il contesto è<br />
polemico il significato viene ad essere: che c’entri tu con me? Ma<br />
tutto fa pensare che tra gesù e sua madre non ci fosse nessun momento<br />
polemico o di incomprensione. Anzitutto essa non avrebbe<br />
detto con sicurezza ai servi di fare tutto quello che il Figlio avrebbe<br />
loro detto (Gv 2, 5). Inoltre il fatto che effettivamente Gesù dia un<br />
doppio comando positivo ai servi di riempire di acqua le anfore e di<br />
portarle al maestro di tavola (Gv 2, 7-8) fa supporre che esistesse una<br />
perfetta intesa tra gesù e sua madre. Entrambi erano ben convinti<br />
che era giunta l’ora, l’inizio dell’ora di gesù, quell’ora che avrebbe<br />
raggiunto il suo compimento sulla Croce (Gv 13, 1 e Gv 19, 28). L’evangelista,<br />
poi, enfatizza l’accaduto e il risultato dell’intesa di gesù<br />
e sua Madre, annotando alla fine che quello fu il primo dei segni<br />
con i quali Gesù manifestò la sua gloria (Gv 2,11). Cana è il piccolo<br />
pezzetto di terra in cui Dio manifesta l’inizio del suo acquisto redentivo<br />
dell’umanità interna con la gloria della croce. non c’è stata<br />
nessuna opera di convincimento da parte della madre nei confronti<br />
del Figlio, tanto meno essa si sarebbe lasciata spingere dall’idea positiva<br />
di dire a tutti chi fosse suo Figlio e la sua potenza. sarebbe<br />
stato troppo poco. giovanni invece illumina la perfetta alleanza tra<br />
la madre e il Figlio, impegnati entrambi a dare inizio all’ora della<br />
gloria della croce.<br />
Dall’espressione di gv 2,4, riletta in modo positivo e in una stupenda<br />
coerenza teologica con tutto il contesto, emerge l’unità per-<br />
66 J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter and Bridegroom of the Wedding at<br />
Cana: Structure and Meaning of John 2.1-12, in Journal for Studies of the N.T,<br />
30/1 (2007), 65.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
257<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
258<br />
scrittura<br />
fetta di madre e Figlio, e, a questo punto, di sposa e sposo, uniti<br />
nella celebrazione, come nuova Eva e nuovo Adamo, delle nozze<br />
dell’alleanza nuova, piena ed eterna. “Ma li valah, isha!” (= ti moi<br />
kai soi, gunai), potrebbe essere stato il pensiero e l’espressione<br />
ebraica trasmessi in greco, il greco parlato da un giudeo. In altre<br />
parole Gesù dice a sua Madre in modo affermativo: “Ciò che è mio<br />
è tuo, o donna; non è forse giunta la mia Ora?”, con la necessaria<br />
trasposizione della domanda dalla prima parte alla seconda parte del<br />
versetto di gv 2,4. La prima parte è una affermazione, mentre la seconda<br />
parte diventa come una domanda retorica 67 .<br />
non è secondario. Infatti, ricordare che a partire dalla particella<br />
oupo, οßπω, che introduce il secondo lemma di Gv 2,4, questo diventa<br />
una interrogativa retorica e non una sentenza negativa 68 , per<br />
cui gesù conferma di condividere il pensiero di sua madre, in quanto<br />
è giunta l’ora dell’inizio della sua missione che si concluderà con<br />
l’Ora della glorificazione della <strong>Passio</strong>ne. Gesù chiede pertanto in<br />
modo retorico: “ Non è forse giunta mia ora”.<br />
L’uso di “donna” per riferirsi alla Madre è spiegabile solo con<br />
l’alta considerazione che prende questo nome nell’ebraico isha, che<br />
non solo significa donna, ma è il modo comune quotidiano di indicare<br />
la moglie, la sposa da parte del marito. È vero che l’uso di<br />
donna da parte di gesù in altri contesti evangelici sembra essere legato<br />
a contesti più negativi che positivi (cf Gv 8, 10; Gv 20, 13 o in<br />
Mt 15,28; Lc 13, 12; Lc 22, 57), ma non in Gv 4, 21 e soprattutto in<br />
Gv 19, 26 e Gv 20, 15.<br />
Chiaramente gv 2, 4 è associato a gv 19, 26, rispettivamente l’inizio<br />
e il compimento dell’ora: dove la madre di gesù sembra essere<br />
67 anche esegeti contemporanei come M.e. BOiSMarD (Du baptême à<br />
Cana (Jo I, 19- II, 11), paris 1956, 151-154) e a. vanHOYe (Interrogation<br />
johannique et exégèse de Cana, Jn 2, 4, in Bib 55 (1974), 157-167) sono sulla<br />
stessa linea, per cui il primo lemma di Gv 2,4 è una affermazione di consenso<br />
e il secondo è una interrogazione.<br />
68 cf f. BLaSS- a. DeBrUnner, Grammatik des neutestamentlichen<br />
Grieschich, Göttingen 1976/14, n .476, 3,3; cf anche ch. p. cerOKe, The<br />
problem of ambiguity in John 2,4, in Catholic Biblical Quartely 21/3 (1959),<br />
326.<br />
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considerata da Gesù come la “sposa”. La madre-sposa in Gv 2, 4 e la<br />
sposa-madre in gv 19, 26 69 .<br />
Gaudenzio di Brescia afferma che “La Madre di Gesù non avrebbe<br />
mai detto ai servi :“Fate quello che egli vi dirà”, se, essendo ricolma<br />
di spirito anche dopo il parto divino, non solo avesse conosciuto la<br />
potenza della risposta di Cristo, ma anche non avesse previsto l’intero<br />
disegno secondo cui egli avrebbe mutato l’acqua in vino. Quale<br />
sapienza poteva mai rimanere nascosta alla madre, che era stata capace<br />
di porre Dio nel suo seno e che era la dimora degnissima di così<br />
grande virtù?...Questa Madre del Signore dunque intercedette per<br />
noi pagani presso l’Eterno Figlio di Dio e figlio suo secondo la carne,<br />
affinché concedesse a noi bisognosi la gioia del vino celeste” 70 .<br />
La madre, infatti, ha compreso benissimo gesù, e continua il suo<br />
compito di mediazione, trasmettendo agli inservienti l’ordine di fare<br />
quello che avrebbe detto loro di lì a poco gesù. gesù acconsente<br />
alla madre compiendo un segno che pertanto non anticipava l’ora,<br />
bensì segnava l’inizio dell’ora. L’ora di gesù sarebbe stata quella<br />
della glorificazione attraverso la morte e la resurrezione (cf Gv 1, 1),<br />
per cui il segno di Cana segna l’inizio di cui la croce sarebbe stato il<br />
compimento. La finalità era quella del sigillare con il vino-Sangue<br />
di gesù la nuova ed Eterna Alleanza profetizzata da geremia. Cana<br />
non è prefigurazione o anticipazione, è l’inizio, l’inizio dei segni<br />
dello sposalizio. Cana è il primo segno che porta a credere all’inizio<br />
del matrimonio che Dio celebra con Israele allargato fino a comprendere<br />
tutti i go’im, tutte le nazioni del mondo.<br />
teodoro di mopsuestia, della scuola delle esegesi letteralista di<br />
Antiochia dell’inizio del V secolo, sembra muoversi in questa direzione<br />
nella sua lettura di gv 2, 4. secondo lui il punto interrogativo<br />
non va messo nella prima parte della risposta di gesù, ma nella seconda,<br />
per cui si deve leggere così: “Perché mi solleciti e insisti con<br />
me, o donna, non è forse giunta la mia ora? Non pensare che in me<br />
69 in questa interpretazione di Gv 2, 4, ci sentiamo totalmente dissociati<br />
dal pensiero di J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter and Bridegroom of the<br />
Wedding at Cana: Structure and Meaning of John 2.1-12, in Journal for Studies<br />
of the N.T, 30/1 (2007), 67-68. a questo arriviamo proprio in considerazione<br />
del linguaggio ebraico soggiacente al testo di Gv 2,4 e di cui il testo greco è<br />
una traduzione.<br />
70 Gaud Brix Tr iX, 14 : cSeL 68, 79.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
259<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
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sacra<br />
260<br />
scrittura<br />
siano distinti i momenti del pensiero e dell’operare, come accadeva a<br />
mosè, il quale a seconda delle necessità dei riceventi dava la manna,<br />
la carne, e poi fece scaturire l’acqua dalla pietra”. In Gesù, -continua<br />
teodoro-, è sempre presente il potere di fare quando e come vuole,<br />
e questo non è condizionato da nessuna contingenza. Quindi gesù<br />
non si lascia muovere nel caso di Cana dal pretesto della mancanza<br />
del vino, come se il suo potere di compiere il miracolo dipendesse<br />
da una contingenza, cioè dalla mancanza del vino, ma perché egli ha<br />
la potenza di operare che può sovvenire alla necessità contingenti 71 .<br />
La Madre di Gesù, sposa di Gesù-sposo, è identificata da Giovanni<br />
come la madre, mediatrice, che permette la realizzazione del<br />
matrimonio della Nuova Alleanza, dal suo inizio (Gv 2, 1-11) al suo<br />
compimento (Gv 19, 25-30). In Gv 2, 11 cogliamo il termine “inizio”<br />
inizio dei segni”, mentre in Gv 19,28 troviamo “tetelestai”, il verbo<br />
del compimento: “Tutto è stato compiuto”, quindi Gesù diede lo Spirito<br />
della nuova ed Eterna alleanza. nella sua morte gesù dà tutto il<br />
suo sangue (Gv 19, 34) e il suo Spirito (Gv 19, 30.34 “acqua dello<br />
Spirito”).<br />
Contro questa tesi, ricordiamo la lettura polemica di Ireneo di<br />
Lyon, per il quale maria avrebbe chiesto qualche cosa di intempestivo,<br />
per cui con la sua risposta gesù avrebbe voluto respingere la<br />
richiesta della madre, che avrebbe voluto in questo modo anticipare<br />
in modo inopportuno l’Ora che il Padre aveva fissato per il suo Figlio.<br />
E a riprova di questa lettura Ireneo si rifà a Gv 7, 30: “Nessuno<br />
mise le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora” 72 .<br />
71 Theod Mops Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39-40: “Sensu contrario legendum<br />
est hoc: Nondum venit hora mea? id est: quare me sollicitas et quid molesta es<br />
mihi? noli cogitare distincta mihi adesse momenta cognitionis atque operum,<br />
prout contingebat Moysi…Haud ita mihi contingit. Semper adest mihi potentia<br />
operandi quandocumque et quomodo voluero…et non e contrario quia potens<br />
sum, ideo haec necessitas locum haberet ». e ancora: Theod Mops Co Jo ii,<br />
7: cScO 62-63, 40: “Si autem verba: Nondum venit hora mea, imperative<br />
seu definite essent dicta, prout quidam putaverunt, perinde acsi recusaret<br />
opus facere, destitisset mater eius; neque e contrario, ut oboedirent ei ministri<br />
praecepisset ».<br />
72 iren AH iii, 16, 7: Sch 211, 314-316.<br />
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teodoro di mopsuestia respinge invece proprio questa lettura di<br />
Ireneo commentando che gesù era libero di non seguire la legge dei<br />
tempi essendo il creatore del tempo 73 .<br />
Anche giovanni Crisostomo, appartenente alla stessa scuola esegetica<br />
antiochena, rimarca il fatto che gesù non era sottomesso alle<br />
leggi del tempo, in quanto creatore dei tempi e dei secoli 74 . Inoltre<br />
rileva il rispetto di gesù verso la madre 75 , volendo con la sua risposta<br />
polemica ricordare che la fede e la virtù sono un titolo più<br />
grande di quello di essere madre o fratello 76 . Si chiede inoltre (e ne<br />
riassumiamo il pensiero!) che cosa abbia spinto la madre di gesù a<br />
chiedere al Figlio di fare un miracolo, allorché essa fino a quel momento<br />
non vide mai un miracolo del Figlio. Cerca di giustificare la<br />
madre ricordando che maria non poteva aver dimenticato la concezione<br />
verginale del Figlio, il suo modo di essere nato, il fatto che il<br />
Figlio fu preannunciato dal Battista. tutto questo deve aver indotto<br />
la Madre ad avere sicura fiducia che il Figlio avrebbe fatto un miracolo.<br />
La madre non è importante per gesù in quanto madre, anche<br />
se ad essa doveva il rispetto e l’onore obbedienziale di Figlio, anzi in<br />
questo caso sarebbe stato meglio che nessuno dei parenti, tanto meno<br />
la madre avesse indotto il Figlio a compiere un miracolo. non sarebbe<br />
stato, infatti, credibile questo miracolo. Piuttosto della madre<br />
gesù aveva una grande considerazione in base alla beatitudine che<br />
le riguardava, e che gesù aveva proclamato quando l’aveva esaltata<br />
come colei che ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica (cf Mc<br />
3, 33). D’altronde quello di gesù non è da intendersi come un rimprovero<br />
rivolto alla madre. gesù esaltava non tanto il fatto di essere<br />
stato partorito da Lei, quanto piuttosto la sua fede e la sua virtù 77 .<br />
Cirillo di Alessandria, pur muovendosi secondo l’interpretazione<br />
del non consenso tra gesù e la madre, preferisce leggere positiva-<br />
73 Theod Mops, Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39- 40.<br />
74 Joh crys In Jo Ho XXii, 1: pG 59, 135. J.-n. GUinOT, in art.cit, p.29 n<br />
32 riferisce anche di efrem (Diat v, 2: Sch 121, 108) e di Gregorio di nissa<br />
(In 1 Cor 15,28: pG 44, 1308D) che presenterebbero una identica lettura.<br />
L’interrogazione sarebbe per il cristo un modo di far comprendere che la sua<br />
ora era venuta.<br />
75 Joh chrys In Jo Ho XXii, 1: pG 95, 134.<br />
76 Joh chrys In Jo Ho XXi, 3: pG 59, 131-132.<br />
77 Joh chrys In Jo Ho XX, 2: pG 59, 130-131.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
261<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
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sacra<br />
262<br />
scrittura<br />
mente la reazione di gesù che per rispetto e onore della madre compie<br />
il miracolo che lui personalmente avrebbe preferito differire 78 .<br />
Agostino pure propende per la spiegazione tradizionale e polemica<br />
di Gv 2, 4: “In quanto Signore del mondo, Signore del cielo e<br />
della terra, egli è certamente Signore anche di Maria; in quanto creatore<br />
del cielo e della terra, è creatore anche di maria. non ti meravigliare<br />
che Egli, insieme, figlio e Signore, è chiamato figlio di Maria<br />
come anche è chiamato figlio di David perché è figlio di Maria…E<br />
poiché ella non era la madre della divinità, e il miracolo che essa<br />
chiedeva doveva essere opera della divinità, per questo le rispose:<br />
Che c’è tra me e te, o donna. D’altra parte, affinché tu, Maria, non<br />
credessi che egli ti rinnegava come madre, egli aggiunse: “L’ora mia<br />
non è ancora venuta”; allora ti riconoscerò, quando l’infermità di cui<br />
sei madre penderà dalla croce” 79 . E le parole di Gesù: “L’Ora mia<br />
non è ancora venuta”, Agostino le legge e le spiega ancora secondo<br />
il tenore della differenza che sussiste tra maria creatura e Lui Dio<br />
che conosce i tempi della salvezza: “Non è ancora il momento in cui<br />
io riconosco che sia opportuno che io patisca, che sia utile la mia<br />
passione; allora soffrirò di mia volontà” 80 . Facciamo semplicemente<br />
notare come Agostino che legge giovanni solo in traduzione latina,<br />
contribuirà per dare l’interpretazione di gv 2, 4 che resterà poi tradizionale<br />
nell’esegesi cristiana fino ad oggi.<br />
5. “fate tutto quello<br />
che egli vi dirà” (gv 2, 5)<br />
Cioè, “Tutto quello<br />
che dovrebbe<br />
dirvi, fatelo creativamente!”.<br />
Gv 2,5 pare<br />
rimandare a Gen 41, 55<br />
che riporta le parole del<br />
Faraone che invita tutto l’Egitto, oppresso dalla carestia, a rivolgersi<br />
a Giuseppe: “Andate da Giuseppe, fate quello che vi dirà”. E Giuseppe<br />
salvò sia gli egiziani sia i suoi fratelli e suo padre giacobbe.<br />
78 cyril alex In Jo ii, 4: pG 73, 225c.<br />
79 aug Tr Jo viii, 9: ccL 36, 88.<br />
80 aug Tr Jo viii, 12: ccL 36, 89.<br />
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Così, possiamo riscontrare nelle parole della madre di gesù<br />
quelle che il popolo disse a mosè per accogliere il dono della torah<br />
del Sinai: “Noi faremo tutte le cose che il Signore ha detto” ( Ex 24,<br />
3). gesù non stava forse dando a Cana la nuova torah, quella fondata<br />
sul suo sangue, di cui l’acqua trasformata in vino era il simbolo?<br />
teodoro di mopsuestia trova molto coerente l’ordine impartito<br />
da gesù, in quanto, avendo egli sempre il potere di operare, non essendo<br />
condizionato dalle circostanze, egli poteva fare qualsiasi cosa.<br />
Di conseguenza anche sua madre, conoscendo il potere del Figlio,<br />
ha impartito ai servi un comando con maggiore fiducia 81 .<br />
stesso pensiero ritorna in giovanni Crisostomo che proviene dal<br />
medesimo indirizzo esegetico antiocheno di teodoro di mopsuestia.<br />
Cristo non è sottoposto alla necessità del tempo ed Egli operava<br />
sempre nel tempo giusto 82 .<br />
I servi cui si rivolge la madre di gesù sono gli apostoli e i loro<br />
successori, secondo gaudenzio di Brescia, ai quali è impartito il<br />
mandato apostolico, rappresentato dall’ordine di riempire le giare<br />
dell’acqua 83 .<br />
6. c’erano là sei giare<br />
di pietra, ed essi le<br />
riempirono fino all’orlo<br />
(gv 2, 5s)<br />
Erano le giare<br />
piene d’acqua<br />
che servivano<br />
per la purificazione<br />
dei giudei secondo la<br />
legge giudaica, prima<br />
dei pasti e degli atti<br />
cultuali.<br />
Erano sei, numero debole, che rimanda facilmente ai sei giorni<br />
della creazione, culminati nel giorno settimo della conclusione della<br />
creazione e del riposo di Dio. Così osserva Origene: “Ben a ragione<br />
sono sei le idrie per coloro che si purificano nel mondo, poiché il<br />
81 Theod. Mops Co Jo ii, 5: cScO 62-63, 40.<br />
82 Joh crys In Jo Ho XXii, 1: pG 59, 133-134.<br />
83 Gaud Brix Tr iX, 32: cSeL 68, 85.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
264<br />
scrittura<br />
mondo è stato creato in sei giorni, numero perfetto” 84 . sono i sei<br />
giorni della preparazione alla venuta della sposa, preparazione allo<br />
Iom Shabbat, il giorno in cui ogni fine settimana il popolo giudaico<br />
celebra l’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo. Le giare allora<br />
parlano della storia uscita dalle mani del Creatore, ma una storia<br />
legata ancora alla necessità della purificazione perché incompleta,<br />
perché non ancora del tutto abitata dalla sovranità del Signore, e<br />
alla quale il popolo di Israele e con esso l’umanità tutta che risale al<br />
tempo noachide prima di Abramo e di mosè si deve ancora del tutto<br />
consegnare.<br />
se per origene le sei giare sono simbolo dei sei giorni della creazione<br />
del mondo, si ha qui un rinvio, nel vangelo di giovanni, allo<br />
schema della settimana iniziale.<br />
Per Agostino, invece, le sei giare rappresentano le sei età della<br />
storia del mondo che Cristo riempie con la sua grazia e sovranità salvifica<br />
(prima età: da Adamo ed Eva all’arca di Noé; seconda età: da Noé<br />
ad Abramo; terza età: da Abramo a Davide; la quarta età da Davide<br />
all’esilio in Babilonia; quinta età fino a Giovanni Battista e richiama<br />
la roccia del profeta Daniele, simbolo della pietra che è Cristo che<br />
scende dal monte del regno dei giudei, la sesta è l’epoca di giovanni<br />
Battista dal cui battesimo dalle pietre, simbolo della solidità della fede,<br />
vengono fuori i nuovi figli di Abramo. La sesta età prosegue fino alla<br />
fine del mondo 85 . In realtà, esse rappresentano fondamentalmente le<br />
sei età della storia ebraica che parte dalla creazione fino alla venuta<br />
di gesù. Ciò di cui si preoccupa Agostino è di rilevare che le sei età,<br />
se possono essere considerate come l’evoluzione delle sei tappe della<br />
storia del giudaismo, in effetti, esse sono come sei gradini che preparano<br />
l’allargamento dell’ebraismo a tutta l’umanità.<br />
Per Gaudenzio di Brescia, che conosce l’identificazione spirituale<br />
dell’acqua della purificazione dei Giudei con il lavacro battesimale,<br />
le sei giare sono simbolo dei sei sensi dell’uomo (vista, udito, odorato,<br />
bocca, mani e piedi) che passano dalla morte dell’idolatria alla<br />
vita con Cristo 86 .<br />
84 Orig Princ iv, 2, 5: Sch 268, 318.<br />
85 aug Tr Jo iX, 6. 9-17: ccL 36, 93-94.96-100.<br />
86 Gaud Brix Tr 27-28: cSeL 68, 82-83.<br />
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mentre teodoro di mopsuestia nota che le giare furono riempite<br />
fino all’orlo affinché non si potesse dire che se l’acqua fosse stata<br />
poca, fosse stato aggiunto del vino prima del miracolo, e quindi il<br />
vino fu trasformato abbondantemente grazie all’abbondanza del<br />
potere di Gesù, affinché fosse servito anche in futuro 87 . E poi, le<br />
due o tre metrete, ossia le due o tre misure di acqua, alludono al<br />
binomio Padre e spirito oppure al trinomio Padre Figlio e spirito<br />
santo, quindi alla pienezza della rivelazione del monoteismo ebraico<br />
avvenuto in gesù 88 .<br />
origine vede nelle due o tre misure come due o tre possibili letture<br />
delle Scritture: “Forse per questo le idrie pronte per la purificazione<br />
dei giudei, di cui leggiamo nel vangelo di giovanni, contenevano<br />
due o tre misure d’acqua, in quanto questa espressione allude a<br />
quelli che l’apostolo definisce Giudei nell’intimo (Rom 2, 29). Costoro<br />
vengono purificati dal senso delle Scritture, che contengono a<br />
volte due misure, cioè il senso psichico e il senso spirituale; a volte<br />
tre, là dove, oltre ai due sensi predetti, contengono anche il senso<br />
corporeo capace di edificare” 89 .<br />
Agostino vede nell’acqua contenuta nelle sei giare il simbolo<br />
delle profezie non ancora adempiute: “Ora, le profezie, (significate<br />
dall’acqua contenuta nelle sei giare), che sono enunciate fin dai tempi<br />
antichi, mirano alla salvezza di tutte le genti. Certo, mosè fu inviato<br />
al solo popolo di Israele e solo a quel popolo per mezzo di lui fu data<br />
la Legge; è solo da quel popolo che uscirono i profeti, e la stessa<br />
divisione delle età del mondo è fondata sulla storia di quel popolo.<br />
Per questo è detto che le anfore erano là preparate per l’abluzione dei<br />
giudei. ma è chiaro che quelle profezie erano annunziate a tutte le<br />
genti, perché Cristo era celato in colui, nel cui nome sono benedette<br />
tutte le genti, secondo la promessa del signore ad Abramo: nella tua<br />
discendenza si diranno benedette tutte le genti” (Gen 12, 1 e 22, 18).<br />
87 Theod Mops Co Jo ii, 7: cScO 62-63, 40: “Haud frustra addidit: usque<br />
ad summum; sed ne oriretur suspicio, si pauca fuisset aqua, vinum fuisse<br />
admixtum »<br />
88 aug Tr Jo iX, 7-8: ccL 36, 94-95.<br />
89 Orig Prin iv, 2, 5: Sch 268, 316.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
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SapCr XXVII<br />
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266<br />
scrittura<br />
Ciò ancora non si comprendeva, perché ancora l’acqua non era stata<br />
tramutata in vino. Dunque le profezie erano rivolte a tutte le genti” 90 .<br />
giovanni Crisostomo rileva che gesù avrebbe potuto semplicemente<br />
creare il vino dal nulla, e invece ha ordinato ai servi di riempire<br />
le giare di acqua, affinché essi potessero essere testimoni che<br />
non si è trattato di un atto di magia sotto la spinta di un’altra divinità.<br />
Ugualmente ordina al direttore di tavola, non a tutti di provare<br />
il vino, affinché il direttore di mensa, che non poteva essere brillo<br />
come gli invitati, e quindi, in quanto padrone di se stesso, avrebbe<br />
potuto dare la propria testimonianza valida a favore dell’autenticità<br />
del segno dato da gesù 91 .<br />
Il fatto, poi, che le sei giare erano di pietra è un richiamo alle due<br />
tavole della torah che erano di pietra o anche vi ci si può trovare l’allusione<br />
al cuore di pietra che attende d’essere trasformato in cuore<br />
di carne nella Nuova Alleanza (Ez 36, 26). La pietra evoca anche<br />
quella pietra da cui è scaturita l’acqua che è Cristo (1 Cor 10, 4). Per<br />
gaudenzio di Brescia, le giare di pietra sono simbolo dei pagani che<br />
ricevono il battesimo nel nome delle tre persone della trinità 92 .<br />
Agostino precisa che l’acqua è simbolo delle profezie dell’Antico<br />
Testamento. Esse sono solo acqua finché non sono lette in Cristo.<br />
In base a 2 Cor 3, 14-16, in cui Paolo parla del velo di mosè che<br />
copre i giudei, commenta: “L’immagine del velo sta a significare<br />
l’oscurità che avvolge la profezia, così da farla inintelligibile. Il<br />
velo è tolto, quando ti volgi al signore, è tolta l’insipienza, e ciò che<br />
era acqua diventa vino. Cosa c’è di più insipido, di più fatuo di tutti<br />
i libri profetici se li vedi senza vedere in essi Cristo?” 93 . Più avanti<br />
Agostino si premura di chiarificare che le giare non furono svuotate<br />
dell’acqua per essere riempite di vino, ma che il miracolo consistette<br />
nel fatto che proprio l’acqua che era presente nelle giare, cioè<br />
l’acqua delle profezie, l’acqua delle scritture dell’Antico testamento,<br />
sono queste che diventano vino in Gesù. “La profezia è esistita<br />
fin dai tempi antichi, e non c’è stata epoca che non abbia avuto<br />
90 aug Tr Jo iX, 9: ccL 36, 95-96.<br />
91 Joh crys In Jo Ho XXXii, 3: pG 59, 135-136.<br />
92 Gaud Brix Tr IX, 33-34: CSEL 68, 84-85.<br />
93 aug Tr Jo iX, 3: ccL 36, 92.<br />
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le sue profezie. In un certo senso il vino è nascosto nell’acqua…” 94 .<br />
E se il signore avesse gettato via l’acqua per sostituirla con il vino,<br />
“se così avesse fatto avrebbe fatto credere che disapprovava le antiche<br />
scritture. Cambiando invece l’acqua in vino, ci mostrò che<br />
le scritture antiche hanno anch’esse origine da lui: infatti, per suo<br />
comando furono riempite le anfore. Dunque anche quelle scritture<br />
sono del signore: ma non sanno di nulla se non si vede Cristo in<br />
esse” 95 . E come esempio di questo miracolo adduce il servizio di<br />
gesù cha aiuta i due discepoli di Emmaus a leggere mosè profeti<br />
e salmi alla luce di Cristo. origene già aveva pensato che l’acqua<br />
della lettera della scrittura fu cambiata da Cristo nel vino della lettura<br />
della Parola nello spirito 96 .<br />
E a proposito del miracolo del vino proveniente non ex nihilo, ma<br />
dall’acqua, Ireneo 97 , e dopo di lui anche in Epifanio di salamina 98 ,<br />
ritengono che sarebbe un modo di denunciare la tesi manichea secondo<br />
cui il Dio della creazione sarebbe diverso da gesù. A sua volta<br />
gaudenzio di Brescia sottolinea che il miracolo di Cana non è miracolo<br />
ex nihilo, ma dalla materia preesistente dell’acqua, simbolo<br />
dell’At. Il vino della Parola del nuovo testamento è continuazione e<br />
pienezza dell’Antico, nella continuità della Parola 99 . Bello, a questo<br />
punto, il rilievo del vescovo di Brescia sul valore della lettera della<br />
Legge, dell’At, alla quale gesù ha attinto lo spirito santo 100 . gaudenzio<br />
è l’unico a vedere nel maestro di tavola la figura di Mosè, al<br />
quale gesù manda i servi per annunciargli il nuovo nella continuità<br />
94 aug Tr Jo iX, 3: ccL 36, 91: “In aqua enim vinum quodammodo latet”.<br />
95 aug Tr Jo iX, 5: ccL 36, 93: “Cum autem ipsam aquam convertit in vinum,<br />
ostendit nobis quod et scriptura vetus ab ipso est; nam iussu ipsius impletae sunt<br />
hydriae. A Domino quidem et illa scriptura; sed nihil sapit, si non ibi Christus<br />
intelligitur“.<br />
96 Orig Co Jo Xiii, X, 59-62: Sch 222, 64-66.<br />
97 iren AH iii, 11, 5: Sch 211,152-154.<br />
98 epiph Pan 51, 30, 13: GcS 31, 303<br />
99 Gaud Brix Tr viii, 48: cSeL 68, 73: Sic tamen facta sunt omnia nova, ut<br />
origo maneret ex veteri, cum non ex nihilo vinum, sed ex antiquo aquae gignitur<br />
elemento“.<br />
100 Gaud Brix Tr viii, 49: cSeL 68, 73: “Nec legem litterae existimes esse<br />
temnendam, unde Spiritus Sanctus Iesu operante per fideles ministros haurit”.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
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268<br />
scrittura<br />
dell’Antico. mosè a sua volta rimanda allo sposo, gesù, che ha preparato<br />
per i non giudei il vino molto buono dello spirito 101 .<br />
Allora nel matrimonio di Cana, è arrivata la sposa, assimilata<br />
allo iom Shabbat. Per giovanni la sposa è la madre di gesù, la Figlia<br />
di sion, che consegna Israele e tutta l’umanità allo sposo, che<br />
viene a trasformare l’acqua delle giare nel vino messianico delle<br />
nozze. si deve fare attenzione che le giare non sono riempite di<br />
vino frutto di un miracolo, cioè di una creazione dal nulla, in sostituzione<br />
dell’acqua. Le giare restano piene di acqua, ed è questa<br />
medesima acqua già esistente ad essere trasformata in vino. ossia<br />
non c’è la sostituzione, ma la medesima materia, la stessa storia,<br />
lo stesso Israele, la stessa umanità è trasformata e assunta nello<br />
sposalizio messianico. non è sostituita la storia dell’umanità con<br />
un’altra storia, non è sostituita la creazione, non è sostituito Israele,<br />
piuttosto ora, la trasformazione dell’acqua in vino, nel vino messianico,<br />
annuncia che la creazione, la storia noachide, il popolo di<br />
Israele entrano nella nuova ed Eterna Alleanza grazie al sangue e<br />
allo spirito. Qui si allude alla tematica della non sostituzione del<br />
popolo ebraico, della sua permanenza, ma anche della novità di un<br />
Israele, di un nuovo Israele che non è un altro, perché la Chiesa<br />
non sostituisce Israele, ma è lo stesso Israele visitato dallo sposo<br />
e dalla sposa, dotato del segno della novità delle nozze, il vino<br />
del sangue dello sposo e il dono del suo spirito. Quindi la madre<br />
di Gesù e Gesù, Sposa e Sposo, inaugurano il sabato definitivo, il<br />
tempo della sovranità esclusiva dell’unico Dio ebraico. Vi risuona<br />
l’eco delle parole del Prologo del Vangelo di Giovanni: “La Torah<br />
fu data per mezzo di mosè, mentre la grazia e la verità si presentarono<br />
attraverso Gesù Cristo” (Gv 1, 17).<br />
si insinua, infatti, anche questa lettura giudaico-cristiana: la torah<br />
mosaica resta valida, non viene abolita (cf Mt 5, 17), ma è anche<br />
incompleta. La stessa acqua della torah ebraica che serviva per la<br />
purificazione dal peccato, ora è trasformata nel vino del Sangue di<br />
Gesù che veramente purifica.<br />
E qui si aggancia anche la tematica e la lettura eucaristica delle<br />
nozze di Cana. mentre si insiste sul tema delle nozze messianiche<br />
101 Gaud Brix Tr viii, 49: cSeL 68, 73 ; Tr iX, 40-43 : cSeL 68, 87-89.<br />
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e della nuova ed Eterna Alleanza, il linguaggio si trasferisce facilmente<br />
nell’ambito eucaristico. nell’Eucaristia abbiamo il vino che<br />
non solo è simbolo, ma è il Sangue di Gesù che purifica. Pertanto il<br />
vino-sangue dona all’Eucaristia una lettura essenzialmente sacrificale,<br />
in cui si realizza in modo “presente” la nuova ed eterna Alleanza.<br />
Il rito della brakha ebraica sfocia nell’Eucaristia cristiana.<br />
7. “Prendete e portate al<br />
direttore della mensa…”<br />
(gv 2, 7-8)<br />
Quando gesù<br />
incontra la<br />
samaritana<br />
al pozzo di giacobbe,<br />
questa gli chiede se<br />
avesse un mezzo per<br />
prendere l’acqua…<br />
(Gv 4, 11). Il termine usato (antlema) richiama il verbo usato da<br />
Gesù con cui si è rivolto ai servi (antlesate), e mentre in gv 2 ci si<br />
riferisce al vino proveniente dall’acqua, in gv 4, 11 il discorso verte<br />
sul simbolismo del dono dell’acqua viva dello spirito, che gesù darà<br />
nella sua morte in croce (Gv 7, 29 e 19, 30).<br />
8. “tu hai conservato<br />
il vino buono-bello”<br />
(gv 2, 10)<br />
Riprendiamo<br />
qui ancora<br />
l’immagine<br />
del targum che suggerisce<br />
che dopo aver<br />
creato la vite Dio<br />
volle mettere da parte<br />
del vino, sotto il suo trono, per i tempi del messia. La missione del<br />
messia sarebbe stata appunto quella di dare questo vino conservato<br />
da Dio.<br />
Allora, giovanni sembra alludere a questa tradizione conosciuta<br />
ai suoi tempi. A Cana è tolto da sotto il trono di Dio il vino nuovo per<br />
i tempi messianici. La madre di gesù sollecita l’inizio di questi tempi<br />
messianici, e gesù adempie le attese e apre la stagione messianica<br />
delle nozze della nuova ed Eterna Alleanza. Anche una tradizione<br />
sul Cantico dei Cantici insiste su questa lettura del vino messo fuori<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
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scrittura<br />
per i tempi messianici 102 . È veramente lo sposo che ha fatto questo,<br />
che ha riservato il vino buono nei tempi maturi, il vino conservato<br />
a parte fin dall’epoca della creazione, prima di Abramo e di Mosè.<br />
Facciamo notare che il greco per dire buono usa kalos, bello, il<br />
vino bello, il vino della bellezza nuziale.<br />
Il vino di Cana è il vino della sapienza, osserva Agostino: “A parte<br />
il miracolo, la circostanza stessa nasconde qualche mistero nascosto.<br />
Bussiamo perché ci apra, e ci inebri del vino invisibile; anche noi<br />
eravamo acqua e ci ha fatti vino, ci ha resi sapienti; gustiamo, infatti,<br />
la sapienza della fede che egli ci ha donato, noi che prima eravamo<br />
insipienti. E forse è proprio per la sapienza, unita all’onore di Dio e<br />
alla lode della sua maestà, e all’amore della sua potentissima misericordia,<br />
è proprio per la sapienza che capiremo il senso nascosto di<br />
questo miracolo” 103 .<br />
E il buon vino dell’ultimo momento è il Vangelo, aggiunge Agostino<br />
104 .<br />
Efrem ha un’interpretazione tutta cristologica dell’acqua trasformata<br />
in vino, cioè la trasformazione dell’umanità nella divinità e il<br />
mistero del concepimento e della nascita verginale di gesù 105 .<br />
Con la celebrazione delle nozze di Cana, tutto era pronto. Con<br />
la discesa a Cafarnao (Gv 2, 12) si assiste al passaggio dal simbolo<br />
evocativo alla materializzazione della storia della nuova ed Eterna<br />
Alleanza. Questa storia per Giovanni come per i sinottici (Mc 1, 21;<br />
Mt 4, 13; Lc 4, 31) inizia a Cafarnao, dove Gesù scende, con sua<br />
madre e con i primi cinque discepoli diventati credenti. Cioè, se<br />
Cana è l’inizio simbolico della storia della glorificazione di Gesù<br />
che culmina sulla croce, Cafarnao segna l’inizio materiale della sua<br />
missione, con la presenza ancora della madre, e che si concluderà<br />
sul Calvario, alla presenza della Madre. E portando con sé i primi<br />
cinque discepoli diventati credenti, gesù arriva a Cafarnao reca con<br />
sé il libro della Torah rinnovata grazie alla fede in Lui (Gv 2, 11-<br />
12). Il “discendere” di Gesù verso Cafarnao richiama tra l’altro la<br />
102 Tg I Gen 27,25; Tg Ct 8,2; Ber 34,b; Sanh 99.<br />
103 aug Tr Jo viii, 3: ccL 36, 83.<br />
104 aug Tr Jo iX, 2: ccL 36, 91.<br />
105 Ephrem Diat V, 6-7: SCh 121, 109-110.<br />
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discesa di mosè dal monte sinai, mentre tiene nelle mani la torah<br />
(Es 32,15).<br />
Agostino commenta gv 2, 12. Chi sono i fratelli che con la madre<br />
accompagnano gesù nella sua discesa verso Cafarnao. non sono<br />
certo i figli di Maria o i fratelli di Gesù secondo i legami diretti<br />
del sangue, come lo suggerisce il linguaggio orientale e semita, ma<br />
piuttosto per Agostino questa parentela, madre e fratelli di gesù, va<br />
letta alla luce di Mt, 12,46-50: “Ecco qua… i miei fratelli:; poiché<br />
chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quegli mi è<br />
fratello, sorella e madre!”. “Anche Maria, dunque, perché fece la volontà<br />
del Padre. Questo Dio lodò in lei, non il fatto di aver generato<br />
dalla sua carne del Figlio di Dio, quanto l’aver fatto la Volontà del<br />
Padre. Fate attenzione”.<br />
Così, continua ancora il vescovo di Ippona, in base a Lc 11, 27-<br />
28: “Come a dire: anche mia madre, che voi avete chiamata beata, è<br />
beata perché osserva la Parola di Dio, non perché in Lei il Verbo si è<br />
fatto carne ed abitò fra noi; perché ha custodito il Verbo di Dion per<br />
mezzo del quale è stata creata e che in Lei si è fatto carne” 106 .<br />
giovanni ci tiene a precisare che quello fu non solo l’inizio dei<br />
“segni”, bensì l’inizio della nuova storia, sponsale e messianica, di<br />
cui Cana fu il primo segno. E quindi è iniziata la storia della gloria<br />
della Croce, nel matrimonio, nella solidarietà, nell’azione comune<br />
della madre e del Figlio, della sposa e dello sposo, della gloria di<br />
Dio e della fede in gesù da parte dei discepoli.<br />
Conclusione<br />
L’Ora di Gesù inizia a Cana di Galilea non semplicemente perché<br />
la Madre di Gesù ne ha anticipato l’inizio, ma piuttosto perché la<br />
madre si è rivelata pienamente partecipe e collaboratrice dell’inizio<br />
della missione del Figlio il cui compimento accadrà nella sua <strong>Passio</strong>ne<br />
e morte.<br />
Per gaudenzio di Brescia e per Agostino si tratta dell’inizio<br />
dell’ora della <strong>Passio</strong>ne.<br />
106 aug Tr Jo X, 3: ccL 36, 101-102.<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
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Gianni SGreva cp<br />
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scrittura<br />
Quindi a Cana la madre è testimone dell’inizio dell’ora, come lo<br />
sarà del suo compimento, in piedi, presso la croce,<br />
Una missione che segna lo sposalizio di gesù con Israele aperto<br />
alle nazioni, che purificate dall’acqua del battesimo ricevono il vino<br />
dello spirito.<br />
Missione che significa passaggio e compimento delle Scritture<br />
ebraiche in Gesù e nel Vangelo. Compimento ed esegesi definitiva<br />
della Parola che, iniziata nell’antico, si compie per la grazia dello<br />
spirito nel nuovo.<br />
Gianni Sgreva cp<br />
totustuus@hotmail.it<br />
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L’Ora in Gv 2,1-11: anticipazione o inizio? Lettura giu-<br />
ItA<br />
daico-patristica delle nozze di Cana<br />
di gianni sgreva, cp<br />
La più recente (2008) traduzione di Gv 2,4 nella Bibbia della<br />
CEI: “Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la tua ora”, ha<br />
stimolato l’autore dell’articolo, specialista in patristica ed esperto<br />
di giudaismo, a fare una ulteriore ricerca, tenendo presenti la bibliografia<br />
esegetica e patristica finora apparsa sull’argomento. Infatti,<br />
l’interpretazione del testo giovanneo apre ad interpretazioni che si<br />
elidono tra loro. Una lettura polemica, che punta sul disaccordo<br />
Madre-Figlio, ha una ricaduta sulla “cronologia” dell’Ora della<br />
<strong>Passio</strong>ne e morte di gesù il messia, per cui ne risulta, su istanza<br />
della madre, una anticipazione cronologica dell’ora. Una lettura di<br />
consenso, invece, conduce alla evidenziazione della condivisione<br />
di madre e Figlio sull’ora della <strong>Passio</strong>ne redentiva, e quindi all’affermazione<br />
che Cana segna l’inizio dell’Ora della glorificazione<br />
della Croce. L’autore insiste su questa seconda tesi, fondandosi,<br />
oltre che sulle suggestioni patristiche, anche sul fondo ebraico del<br />
greco di giovanni, per cui ne risulta che le parole di gesù rivolte<br />
alla Madre dovrebbero essere: “Quello che è tuo è mio, o donna/<br />
sposa. Non è forse giunta la mia Ora?”. Cana allora segna l’inizio<br />
dell’Ora della glorificazione della Croce.<br />
L’Heure en Jn 2,1-11 : anticipation ou commencement ?<br />
fRA<br />
Lecture judaïco-patristique des noces de Cana<br />
de gianni sgreva, cp<br />
La plus récente traduction (2008) de Jn 2,4 dans la Bible de<br />
la CEI : « Femme que me veux-tu ? Mon heure n’est pas encore<br />
venue » », a poussé l’auteur de cet article, spécialiste en patristique<br />
et expert du judaïsme, à réaliser une autre recherche, tenant<br />
présente la bibliographie exégétique et patristique apparue jusqu’à<br />
présent sur ce sujet. De fait, l’interprétation du texte johannique<br />
ouvre à des interprétations qui se neutralisent l’une l’autre. Une lecture<br />
polémique, qui met l’accent sur le désaccord Mère-Fils, a une<br />
«retombée» sur la « chronologie » de l’Heure de la <strong>Passio</strong>n et Mort<br />
de Jésus le Messie ; il en résulte alors, sur l’instance de la Mère,<br />
une anticipation chronologique de l’Heure. Une lecture qui va dans<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
274<br />
scrittura<br />
le sens d’un consensus, au contraire, conduit à mettre en évidence<br />
pour la Mère et le Fils la même perception de Heure de la <strong>Passio</strong>n<br />
rédemptrice, et donc revient à affirmer que Cana signe le commencement<br />
de l’Heure de la glorification de la Croix. L’auteur insiste sur<br />
cette seconde interprétation, se fondant, à la fois sur les suggestions<br />
patristiques, et aussi sur le fond hébraïque du grec de Jean, d’où il<br />
résulte que les paroles de Jésus à sa Mère devraient être : «Ce qui est<br />
tien est mien, oh femme/épouse. Mon heure n’est-elle pas venue ? ».<br />
Cana signe alors le commencement de l’Heure de la glorification de<br />
la Croix.<br />
The Hour in Jn 2:1-11: Anticipation or Beginning? A Ju-<br />
EnG<br />
deo-Patristic Reading of Cana<br />
by gianni sgreva, cp<br />
The most recent (2008) translation of Jn 2:4 in the Bible of the<br />
CEI, where Jesus says, “Woman, what do you want from me? My<br />
hour has not yet come”, has motivated the author, a specialist in patristic<br />
and expert in Judaism, to do further research on it, bearing in<br />
mind the exegetical and patristic literature on the subject. The interpretation<br />
of the text of John opens to interpretations that cancel each<br />
other out. A reading debate that points to a disagreement between<br />
Mother-Son has an effect on the “history” of the Hour of the <strong>Passio</strong>n<br />
and Death of Jesus, the Messiah. At the request of the Mother,<br />
this results in a chronological anticipation of the Hour. A consensus<br />
reading, however, underscores both mother and son as sharing the<br />
Hour of the redemptive <strong>Passio</strong>n and to the fact that Cana marks the<br />
beginning of the Hour of the glorification of the Cross. The author<br />
emphasizes this second approach, relying, not only on patristic suggestions,<br />
but also on the Hebrew background of John’s Greek. The<br />
result is that the words of Jesus addressed to the Mother should be:<br />
“What is yours is mine, oh Woman/Spouse. Has not my hour come?”.<br />
Cana then marks the beginning of the Hour of the glorification of the<br />
Cross.<br />
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La Hora en Jn 2,1-11: ¿anticipación o inicio? Lectura ju-<br />
SPA<br />
deo-patrística de las bodas de Caná<br />
de gianni sgreva, cp<br />
La traducción más reciente (2008) de Jn 2,4 en la Biblia de la<br />
Conferencia Episcopal Italiana: “Mujer, ¿qué quieres de mí?, No ha<br />
llegado aún mi hora”, ha estimulado al autor del artículo, especialista<br />
en patrística y experto en judaísmo, a hacer una búsqueda, teniendo<br />
presente la bibliografía exegética y patrística aparecida hasta la fecha<br />
sobre este argumento. En efecto, la interpretación del texto joáneo<br />
abre a otras interpretaciones contrapuestas. Una lectura polémica,<br />
que se centra en el desacuerdo Madre-Hijo, tiene una recaída<br />
en la “cronología” de la Hora de la Pasión y Muerte de Jesús el<br />
mesías, que nos daría como resultado una anticipación cronológica<br />
de la Hora a instancias de la madre. Una lectura consensuada, sin<br />
embargo, conduce a poner en evidencia la condivisión de madre<br />
e Hijo sobre la Hora de la Pasión redentora, y por lo tanto a la<br />
afirmación que Caná marca el inicio de la Hora de la glorificación de<br />
la Cruz. El autor insiste sobre esta segunda tesis, basándose, además<br />
de las sugerencias patrísticas, sobre el trasfondo hebreo del griego<br />
de Juan, por el cual resulta que las palabras de Jesús dirigidas a la<br />
Madre deberían ser: “Lo que es tuyo es mío, oh mujer/esposa. ¿No<br />
ha llegado acaso mi Hora?” Caná entonces señala el comienzo de la<br />
Hora de la glorificación de la Cruz.<br />
Godzina w J 2,1-11: antycypacja czy początek? Lektura<br />
Pol<br />
judaistyczno-patrystyczna wesela w Kanie<br />
gianni sgreva, cp<br />
Najnowsze (2008) tłumaczenie J 2,4 w Biblii CEI (Konferencja<br />
Episkopatu Włoch): “Niewiasto, czego ode mnie chcesz? Nie nadeszła<br />
jeszcze moja godzina” pobudziła autora artykułu, specjalistę<br />
w dziedzinie patrystyki i znającego judaizm, by podjąć dalsze badania,<br />
biorąc pod uwagę opracowania egzegetyczne i patrystyczne,<br />
które do tej pory ukazały się na ten temat. Interpretacja tekstu Janowego<br />
otwiera się na rozwiązana, które się wykluczają. Odczytanie<br />
go w duchu polemicznym, który podkreśla niezgodę między Matką<br />
a Synem, wiąże się z chronologią „godziny” Męki i Śmierci Jezusa<br />
Mesjasza, z czego wynika, że Matka chciała antycypować „go-<br />
sacra scrittura<br />
L’Ora in Gv 2,1-11:<br />
anticipazione<br />
o inizio?<br />
231-276<br />
sacra<br />
275<br />
scrittura<br />
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sacra scrittura<br />
Gianni SGreva cp<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
sacra<br />
276<br />
scrittura<br />
dzinę”. Lektura oparta na domniemaniu zgody prowadzi natomiast<br />
do podkreślenia, że Matka i Syn są zgodni co do „godziny” zbawczej<br />
Męki, a więc potwierdza to, że Kana jest początkiem „godziny” wywyższenia<br />
na krzyżu. Autor idzie raczej za tą drugą tezą, opierając<br />
się na materiale patrystycznym oraz na hebrajskim podłożu greki<br />
Janowej, z czego wynika, że słowa Jezusa skierowane do Matki powinny<br />
brzmieć: „To, co jest twoje, jest moje, niewiasto-oblubienico.<br />
Czyż nie nadeszła moja godzina?”. Kana wyznacza więc początek<br />
„godziny” wywyższenia na krzyżu.<br />
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introduzione<br />
GiUSeppe DeLLa MaLva<br />
“Dio lo vuole”. Al grido di queste parole, si sa, la<br />
storia umana più volte ha visto tragicamente aprirsi<br />
le dighe della violenza e dell’odio. Fiumi di sangue<br />
sono scorsi e, purtroppo, scorrono ancora. In nome<br />
della volontà di Dio. Già, perché è questo il nodo della<br />
questione: la volontà di Dio. Che cosa voglia Dio: è<br />
questa la prima ineludibile domanda. messa da parte<br />
la malafede di chi strumentalizza i testi sacri per legittimare<br />
la propria volontà di potenza e di sopraffazione,<br />
rimane da illuminare la coscienza di chi si chiede onestamente<br />
quale sia il volere di Dio sull’uomo e che<br />
cosa ne pensino le religioni. Può Dio chiedere il male?<br />
Può egli confezionare una morale a-morale e imporla<br />
all’uomo? Può rendere lecito ciò che la coscienza<br />
umana avverte già in se stesso illecito e dannoso? Il nominalismo<br />
più radicale risponderebbe di sì. Ciò che Dio comanda è legge. E<br />
non perché sia giusto in sé ma perché è lui a comandarlo. Ne deriva<br />
che quanto comanda oggi potrebbe essere l’opposto di ciò che<br />
comanderà domani. In tal caso, la legge morale sarebbe la versione<br />
aggiornata del capriccio di Dio e l’uomo un cameriere a tempo determinato,<br />
tanto più disorientato quanto meno conosce il menù del<br />
giorno da servire all’onnipotente. È evidente che una morale teologica<br />
senza fondamento oggettivo suggerisce a proprio riguardo<br />
un’altra decisiva domanda: a che cosa serve? O meglio, a chi serve:<br />
a Dio o all’uomo?<br />
psicologia e teologia<br />
quando<br />
l’aMorE È<br />
lEggE<br />
il rapporto tra<br />
l’indicativo di<br />
salvezza e<br />
l’imperativo<br />
morale<br />
Quando<br />
l’amore è legge<br />
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psicologia e teologia<br />
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SapCr XXVII<br />
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psicologia e teologia<br />
Per rispondere a tali domande dobbiamo indagare sul peculiare<br />
rapporto tra la legge morale proposta e il contenuto di salvezza offerto.<br />
se infatti non possiamo parlare di un’oggettività in astratto,<br />
non possiamo allo stesso modo parlare di un credo generico. tutte<br />
le grandi religioni della terra contengono un nucleo di fede ed uno<br />
morale. Ciò appare chiaro anche ai non esperti del settore. Altrettanto<br />
agevole è rilevare come i due nuclei siano contemperati, di<br />
volta in volta, in modo diseguale: in alcune religioni appare più<br />
marcato il primo, in altre il secondo; talora la morale ha il compito<br />
esplicito di portare l’uomo alla coerenza rispetto alla salvezza o<br />
alla credenza proposte, talaltra essa è quasi implicita, fondamentale<br />
ma poco enfatizzata. La constatazione generale è che il rapporto<br />
tra le due dimensioni, in ogni caso, non è mai un dato scontato.<br />
Ora, la seguente riflessione, sebbene possa offrirsi come spunto<br />
metodologico per indagare su tutte le grandi religioni, è interessata<br />
esplicitamente alla rivelazione cristiana e cattolica (che - va precisato<br />
contro ogni angusta interpretazione settaria - significa “universale”).<br />
Ci chiediamo, più precisamente, quale rapporto esista<br />
nella religione cristiana tra gli eventi di salvezza (biblicamente<br />
formulati all’indicativo) e la loro ricaduta morale (espressi all’imperativo).<br />
Presentare prima (o solo) gli uni e poi (o solo) l’altra è<br />
pura scelta arbitraria? È forse un’opzione non riferibile alla rivelazione<br />
biblica, senza alcuna conseguenza teologica e irrilevante dal<br />
punto di vista psicologico? Le riflessioni di seguito proposte non<br />
conducono ad una risposta affermativa. Esse anzi asseriscono con<br />
forza la priorità dell’indicativo di salvezza rispetto all’imperativo<br />
morale e la motivano da diversi punti di vista.<br />
Vedremo che propendere per l’indicativo o per l’imperativo è<br />
tutt’altro che mera scelta linguistica. È cosa ben diversa che disquisire<br />
oziosamente di due modi verbali e della presunta inderivabilità,<br />
sul piano logico-grammaticale, del secondo dal primo (Hume). È<br />
piuttosto ritornare al cuore dell’annuncio cristiano, che è la gratuità/<br />
libertà dell’amore di Dio rivelatosi nella Pasqua di gesù. A partire da<br />
qui poi, è cercare di balbettare qualche parola, forte ma pur sempre<br />
umanamente limitata, sulla natura di Dio e, in lui, dell’uomo. Ed<br />
evidenziare infine che la gratuità/libertà dell’amore si riflette anche<br />
nel modo con cui Dio da sempre dialoga con l’uomo, nel rispetto<br />
della sua struttura psicologica. noi partiremo da quest’ultimo punto,<br />
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prendendo in prestito il kerygma 1 , frutto maturo della rivelazione<br />
cristiana, e mostrando, in negativo, quali ricadute esso avrebbe nel<br />
dialogo Dio-uomo se coniugato originariamente ed esclusivamente<br />
all’imperativo, prescindendo dall’indicativo che lo fonda (approccio<br />
conversazionale). Apriranno la strada le acquisizioni della pragmatica<br />
della comunicazione umana, a partire dalle quali alcuni autori<br />
(Girard, Žižek) hanno tratto conclusioni che noi riteniamo utili e illuminanti<br />
per il nostro tema. Lasciandoci condurre dal biblista V.<br />
spicacci prima e dal teologo H.U. von Balthasar poi passeremo,<br />
rispettivamente nella seconda e nella terza parte, all’enucleazione<br />
dell’annuncio evangelico, come “buona notizia” (approccio kerygmatico),<br />
il quale a sua volta retroproietta un fascio di luce intensa<br />
sull’identità di Dio e dell’uomo (approccio sistematico). Si parte,<br />
insomma, da quanto ci appare più evidente perché quotidiano, si<br />
prosegue su ciò che solo Dio poteva annunciare e si conclude con<br />
l’inevidenza di quanto solo la speculazione può, con umiltà e pazienza,<br />
accostare 2 . Il cammino globalmente ci porterà a scoprire che<br />
il terreno comune alla salvezza e alla morale cristiane è l’amore, ma<br />
1 “Kerygma è una parola greca, che vuol dire ‘annuncio’. nel mondo greco il<br />
kerygma non è un annuncio qualunque. È l’annuncio del banditore, dell’araldo,<br />
che va per le strade e per le piazze di questo mondo, per comunicare ai sudditi<br />
i messaggi del re. La tradizione cristiana ha adottato, sin dall’inizio, questo<br />
termine per indicare il nucleo centrale del messaggio cristiano. Tale nucleo si<br />
identifica con il cosiddetto ‘vangelo’” (v. Spicacci, La buona notizia di Gesù,<br />
Monti, varese 2000, 5).<br />
2 in realtà, la speculazione deve abbandonare la dispotica pretesa di<br />
possedere Dio e lasciarsi guidare dagli “occhi semplici” dei mistici, ai quali è<br />
dato di penetrare la caligine che, ad un certo punto, si frappone fra la ragione ed<br />
il mistero di Dio, partecipando essi per grazia alle profondità che contemplano.<br />
pertanto la teologia va fatta “in ginocchio”, umilmente, imparando anche dai<br />
santi: “Quelli che amano conoscono Dio meglio di tutti e perciò il teologo<br />
deve ascoltarli” (U.H. von BaLTHaSar, Solo l’amore è credibile, 14; cf G.<br />
SOMMaviLLa, Balthasar in Italia, testimonianza di un traduttore, in Communio<br />
120 (1991), 53). Balthasar, cui ci riferiamo nella terza parte del nostro studio,<br />
ne era convinto. Lo testimonia l’intreccio tra la sua indagine speculativa e la<br />
“semplicità di sguardo” della mistica a. von Speyr, operato anche a spese di<br />
un certo rigore del linguaggio teologico e malgrado le non rare critiche che, al<br />
riguardo, gli piovvero dal mondo accademico (cf U.H. von BaLTHaSar, Con<br />
occhi semplici, Morcelliana, Brescia 1970, 11-29; iD., Teologia e santità, in<br />
Communio 96 (1987), 7-16; iD., Il nostro compito, Jaca Book, Milano 1991;<br />
iD., La vita, la missione teologica e l’opera di Adrienne von Speyr, in a. SpeYr,<br />
Mistica oggettiva, Milano 1975, 9-63).<br />
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l’amore è legge<br />
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psicologia e teologia<br />
che è soltanto la libertà il criterio capace di discriminare chi, tra le<br />
due, può seminare e chi raccogliere.<br />
1. l’imperativo assurdo:<br />
“ama!”<br />
(approccio psicologico-<br />
conversazionale)<br />
1.1. Comunicazione umana e comunicazione della fede<br />
La scelta di partire da una prospettiva psicologica è dettata dalla<br />
convinzione che l’esperienza religiosa non sia altra cosa rispetto a<br />
quella umana quotidiana e che il linguaggio della fede sia profondamente<br />
intrecciato con quello di tutti i giorni. È un dato di fatto<br />
incontrovertibile che la nostra quotidianità sia costituita prevalentemente<br />
di comunicazione, verbale e non verbale. Le parole che scegliamo<br />
di dire o non dire, i racconti che costruiamo e i modi con cui<br />
li intessiamo, le spiegazioni che offriamo oppure omettiamo, tutto<br />
questo non è solo “parola” (o silenzio): è la nostra realtà. Noi siamo<br />
le storie che abitiamo, le parole e le modalità con cui le narriamo.<br />
Perché è mediante quelle che selezioniamo la realtà, mai del tutto<br />
circoscrivibile, ed è a partire da quelle che organizziamo l’esistenza<br />
e cerchiamo di consegnarle un senso unitario e coerente. Parlare è<br />
molto di più che parlare: è “fare cose con le parole” 3 , produrre realtà.<br />
Dunque, la comunicazione e le modalità con cui essa si esplica<br />
sono decisive per l’uomo. Giacché questi è fondamentalmente homo<br />
fabulus 4 .<br />
La questione ora è: la comunicazione della fede (biblico-cristiana)<br />
sfugge alle dinamiche della più generale comunicazione umana? Se<br />
“Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla ma-<br />
3 cf J.L. aUSTin, Come fare cose con le parole, Marietti, Genova 1987.<br />
4 O. GOncaLveS, Narrazioni e cognizioni: implicazioni cliniche,<br />
psicoterapia 5 (1996), 5-20.<br />
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niera di uomini” 5 , non dovrebbero sussistere motivi per rispondere<br />
affermativamente. Il passo appena citato, nel documento conciliare<br />
da cui è tratto apre, com’è noto, il paragrafo che si occupa dell’interpretazione<br />
delle Scritture. Il disegno salvifico che la Chiesa da<br />
sempre crede infallibilmente indicato in esse non è in alcun modo<br />
negoziato. La questione evidenziata qui dai padri conciliari, piuttosto,<br />
è quella della “forma” storico-culturale del linguaggio agiografico<br />
e, soprattutto poi, della sua indagine/attualizzazione esegetico-teologica.<br />
Alla luce di quanto abbiamo detto sopra, la forma,<br />
ovvero la modalità comunicativa, della teologia – particolarmente di<br />
quella cosiddetta “pastorale” che in-forma la presentazione catechetica<br />
ed omiletica del vangelo – è decisiva perché genera anch’essa<br />
realtà. Forse essa può persino oscurare la luminosità del contenuto<br />
di salvezza che intende trasmettere. In che modo? Presentando, ad<br />
esempio, prima l’imperativo morale, poi (eventualmente) l’indicativo<br />
di salvezza. Qui vogliamo sostenere l’ipotesi che tale scelta,<br />
prima di costituire un deplorevole errore teologico, anzitutto generi<br />
o possa generare un paradosso comunicativo, un doppio legame.<br />
Anzi, un duplice doppio legame.<br />
1.2. Il doppio legame<br />
Che cos’è, più precisamente, un doppio legame? Per comprenderlo,<br />
dobbiamo prima fare nostre le profonde intuizioni sulla comunicazione<br />
offerte della scuola di Palo Alto 6 . gli studiosi cui esse<br />
si devono - P. Watzlawick, J.H. Beavin e D.D. Jackson e G. Bateson<br />
– evidenziarono nel 1967 che la comunicazione umana, insieme<br />
ad un aspetto sintattico e ad uno semantico, veicola anche un<br />
aspetto pragmatico, ossia di influenza sul comportamento umano.<br />
Se io dico ad una persona: “Ti amo”, non le sto comunicando semplicemente<br />
un’informazione corretta secondo i codici linguistici comuni<br />
ad entrambi (sintassi), né solamente un significato più o meno<br />
chiaro (semantica), ma sto anche prefigurando un’azione (pragma-<br />
5 cOnciLiO vaTicanO ii, Dei Verbum, Costituzione dogmatica sulla divina<br />
rivelazione, n. 12.<br />
6 cf p. WaTZLaWicK, J.H. Beavin, D.D. JacKSOn, Pragmatica della<br />
comunicazione umana, astrolabio, roma 1967.<br />
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tica): un perdono, un fidanzamento, un tradimento… Tale azione,<br />
tuttavia, si sottrae alle dinamiche lineari di causa-effetto proprie dei<br />
sistemi chiusi o semplici. gli studiosi di Palo Alto compresero che<br />
la comunicazione umana è, invece, un sistema aperto o complesso,<br />
perché dotato di dinamiche cibernetiche, cioè retroattive e circolari.<br />
Nel dire: “Ti amo” ad una persona, non determino necessariamente<br />
amore; lei infatti non soltanto riceverà la mia dichiarazione ma a sua<br />
volta risponderà in un certo modo (retroattività) e tale risposta genererà<br />
una mia controrisposta e questa un’altra sua e così via (circolarità),<br />
generando un’interazione complessa il cui esito è impredeterminabile.<br />
La complessità delle interazioni comunicative, tuttavia,<br />
sembra correre ed intensificarsi lungo i binari di alcune regole implicite,<br />
che i succitati autori definiscono “assiomi”. Essi ne individuano<br />
cinque. Qui ne affronteremo per brevità solo due, quelli più cruciali<br />
per il proseguo del nostro studio.<br />
Il secondo assioma della pragmatica della comunicazione umana<br />
evidenzia che ogni segmento comunicativo tra due interlocutori non<br />
trasmette solamente un contenuto, ma anche una particolare definizione<br />
della relazione in corso e che è questa a fungere da contesto<br />
di quello; definizione della relazione che, secondo il quinto assioma,<br />
dispone i due comunicanti in posizione o simmetrica o complementare.<br />
Un banale esempio servirà a chiarire i due assiomi congiunti.<br />
Una coppia di giovani sposi, di comune accordo molto disponibile ad incontrare<br />
amici in casa propria, si trova a litigare, in modo apparentemente<br />
incomprensibile, a proposito di tale consuetudine. Ciò accade un giorno<br />
in cui il marito, di propria iniziativa, propone a marco, un amico comune,<br />
di condividere una cena a casa loro. Alla sera, appena ritornato dal lavoro,<br />
informa del fatto la moglie. Ed è allora che scoppia il diverbio. L’informazione:<br />
“Ho invitato Marco a casa nostra” (contenuto) sembra il motivo<br />
del disaccordo; in realtà, i due stanno discutendo, forse senza saperlo,<br />
dell’autonoma iniziativa di lui, la quale ha definito la relazione coniugale<br />
in termini complementari: lui in posizione di superiorità (“one-up”), lei<br />
d’inferiorità (“one-down”). Il litigio, in tal senso, è un tentativo di ridefinire<br />
simmetricamente la relazione.<br />
Nel 1956 Gregory Bateson, in collaborazione con Jackson, Haley<br />
e Weakland, aveva già dimostrato che molti disastri psichici si si-<br />
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tuano proprio qui, nella confusione tra i due livelli comunicativi 7 . Ed<br />
eccoci al punto. Si assiste ad un “doppio legame” (double bind), vero<br />
e proprio paradosso comunicativo, quando la gerarchia tra relazione<br />
e contenuto si dissolve ed il soggetto non sa più quale dei due livelli<br />
è il contesto entro cui interpretare l’altro.<br />
L’imperativo: “Sii spontaneo” è il tipico esempio di doppio legame. Qui,<br />
infatti, il contenuto (la spontaneità) è incomponibile con l’aspetto relazionale<br />
che lo accompagna (si tratta di un imperativo).<br />
Più precisamente, il doppio legame consterebbe di tre elementi<br />
fondamentali:<br />
1. una relazione intensa, vitale fisicamente e/o psicologicamente<br />
per una o per tutte le persone coinvolte (paradigmatica è la situazione<br />
genitore-figlio);<br />
2. un messaggio, a sua volta costituito a) da un’asserzione b) da<br />
un’asserzione sull’asserzione c) dalla contraddizione tra a) e b): se il<br />
messaggio è un imperativo esso dev’essere disatteso per poter essere<br />
rispettato;<br />
3. la condizione di colui che riceve il messaggio: essa non permette<br />
né di abbandonare il campo né di uscire dallo schema cognitivo.<br />
non ci si può sottrarre al doppio legame se non attraverso la metacomunicazione,<br />
ossia comunicando sulla comunicazione 8 . ma è<br />
proprio questa che, nei modelli interattivi sistematicamente caratterizzati<br />
da doppio legame, è preclusa. Così la riflessività che ne scaturisce,<br />
se da una parte può diventare la culla dell’arte, dell’umorismo<br />
e del gioco, dall’altra può più facilmente trasformarsi nel letto di<br />
Procuste che torce il significato delle sequenze comunicative in dire-<br />
7 cf G. BaTeSOn, D.D. JacKSOn, J. HaLeY, J.H. WeaKLanD, Verso una<br />
teoria della schizofrenia, in iD., Verso un’ecologia della mente, adelphi, Milano<br />
1977, 244-274.<br />
8 È quello che facciamo normalmente quando, a chi ci ha trasmesso un<br />
messaggio paradossale, chiediamo: “Ma stai scherzando?”, oppure: “cosa<br />
intendi dire?”, o qualcosa di simile ancora.<br />
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psicologia e teologia<br />
zioni contrastanti, fino all’indecidibilità. Non a caso, qui nascerebbe,<br />
a parere di Bateson, la schizofrenia 9 .<br />
9 L’incapacità di discriminare situazioni universali di doppio legame portò<br />
rapidamente la teoria batesoniana dal plauso iniziale del mondo accademico<br />
all’obsolescenza. nel 1982 tre studiosi della comunicazione umana, cronen,<br />
Johnsonn e Lannamann, rivisitando le premesse epistemologiche della teoria,<br />
scoprirono che la sua fragilità non consisteva nell’incapacità discriminativa<br />
oggettiva, ma nella pretesa di possederla. contro le sue stesse intuizioni iniziali e<br />
forse senza rendersene conto, Bateson aveva costruito la teoria su una concezione<br />
realista della comunicazione. Quest’ultima di per sé avrebbe il compito di<br />
“rappresentare” una realtà esterna pre-organizzata secondo livelli discreti, privi<br />
di intrecci o grovigli, che il doppio legame, invece, quale trasmissione fallace,<br />
disorganizzerebbe. in sostanza, prima ci sarebbero contenuti e relazione, poi il<br />
doppio legame ne inquinerebbe purezza e gerarchia mediante comunicazione<br />
paradossale. pertanto la riflessività andrebbe bandita dal linguaggio attraverso<br />
una specie di “decreto”, proprio come, su un altro piano, avevano già fatto<br />
col paradosso logico Withehead e russel (confusione dei “tipi logici”), cui<br />
Bateson si era ispirato. Tale visione rappresentazionalista della comunicazione<br />
(quotidiana e scientifica) oggi - alla luce della recente rivoluzione epistemologica<br />
apportata nei saperi in modo congiunto dalla teoria generale dei sistemi (L. von<br />
Bertalanffy), dall’epistemologia genetica (J. piaget), dalla seconda cibernetica (H.<br />
von föerster), dal principio d’indeterminazione (W.K. Heisenberg), dai teoremi<br />
d’incompletezza (K. Gödel), nonché dalla fisica del novecento (teoria della<br />
relatività di a. Heinstein, fisica del caos e dei quanti di H. poincarè) – appare<br />
del tutto insostenibile. essa piuttosto, a parere di cronen, Johnsonn e Lannamann,<br />
deve fare spazio ad una visione costruzionista della stessa. La comunicazione non<br />
“rappresenta” la realtà esterna né veicola contenuti mentali preesistenti (sentimenti,<br />
emozioni, credenze…) alla relazione ma li costruisce essa stessa. e ciò non<br />
“contro” una possibile oggettività del reale, ma “dentro” di essa. L’uomo, infatti,<br />
seleziona il reale in base a precise dimensioni semantiche salienti nell’interazione<br />
conversazionale, rispetto alle quali àncora la propria identità a quella degli altri.<br />
Ora, se la gerarchia dei livelli di significato (contenuto, relazione, cui i tre autori<br />
aggiungono i livelli della biografia personale e dei modelli culturali) non è data<br />
a priori rispetto all’interazione conversazionale, la riflessività, che ad un certo<br />
punto necessariamente si instaura tra i livelli, risulta una componente normale<br />
del processo comunicativo e addirittura indispensabile alla sua evoluzione. ciò<br />
non impedisce che in taluni casi – mai tuttavia predeterminati e universalmente<br />
riconoscibili – la riflessività possa generare situazioni patogene. in quanto elemento<br />
normale/indispensabile alla comunicazione umana, la riflessività sortisce “circuiti<br />
armonici” (charmed loops); in quanto elemento patogeno, predispone invece a<br />
“circuiti bizzarri” (strange loops). Sarebbe interessante e certamente più fecondo<br />
agganciare il tema generale della nostra riflessione alla revisione costruzionista<br />
del doppio legame. ciò, tuttavia, a motivo della complessità dell’argomento,<br />
chiederebbe di dare molta più attenzione all’approccio psicologico, finendo per<br />
sbilanciare l’economia globale dello studio che intende, invece, contemperare<br />
anche altri approcci. ci basti qui essere avvertiti dell’equivoco di fondo presente<br />
nella primitiva teoria del doppio legame ed evitare di edificare proprio su di esso<br />
le nostre successive riflessioni. per un approfondimento, cf v.e. crOnen, K.M.<br />
JOHnSOn, K.M. LannaMann, Paradossi, doppi legami e circuiti riflessivi:<br />
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1.3. Ama Dio e il prossimo<br />
Cosa ha che fare tutto questo con l’indicativo di salvezza e l’imperativo<br />
morale? Il “doppio double bind”, che abbiamo prefigurato<br />
possibile in una trasmissione della fede che ignori le suddette regole<br />
della comunicazione umana, è comprensibile solo alla luce del peculiare<br />
messaggio biblico-cristiano. Il suo cuore pulsante, il kerygma,<br />
annuncia che Dio è amore gratuito e che proprio tale gratuità libera<br />
l’uomo. ora, ci sembra che comunicare questo annuncio non come<br />
indicativo di salvezza ma anzitutto nella forma del conseguente imperativo<br />
morale (ama Dio/il prossimo e vivi da libero) possa generare<br />
10 , sotto un profilo psicologico, una duplice situazione d’insanabile<br />
indecidibilità. Se ciò è vero, dobbiamo almeno poter verificare,<br />
in tale ingiunzione, la presenza dei tre elementi fondamentali costitutivi<br />
del doppio legame batesoniano, precedentemente elencati.<br />
1. La relazione intensa è quella tra il fedele e Dio, rappresentato<br />
da chi parla “a nome suo”. Essa è ritenuta vitale psicologicamente<br />
(in ordine al senso ultimo del vivere: qui Dio è visto quale salvatore)<br />
e/o fisicamente (in ordine ai bisogni materiali quotidiani: qui Dio è<br />
visto quale creatore).<br />
2. Il messaggio è così strutturato: a) ama Dio/il prossimo b) l’amore<br />
vero è gratuito/libero c) ama gratuitamente/liberamente su ingiunzione.<br />
una prospettiva teorica alternativa, Ter. fam. vol. 14 (1983), 87-120; v. UGaZiO,<br />
Storie permesse, storie proibite, Bollati Boringhieri, Torino 2008, 104-135.<br />
10 il modo del verbo esprime eventualità e non determinismo. esso ci pare<br />
d’obbligo per due motivi: in primo luogo perché la nostra, come già dichiarato,<br />
è un’ipotesi speculativa; in secondo luogo, per le ragioni, già in parte su<br />
esposte, in base alle quali cronen, Johnsonn e Lannamann ritengono che non<br />
esistano situazioni di doppio vincolo universali, ma che il loro evolvere verso<br />
una riflessività armonica o bizzarra dipenda da meta-regole, sintesi a loro volta<br />
dei diversi modelli culturali e dei diversi posizionamenti semantici di ciascun<br />
individuo nei contesti di appartenenza. Da questo punto di vista, per esempio,<br />
sempre ragionando in astratto - e secondo una prospettiva squisitamente<br />
psicologica, non ancora biblica o teologica – si può ipotizzare che l’imperativo:<br />
“ama il tuo Dio” rivolto ad un israelita dell’epoca monarchica, e sganciato<br />
dall’indicativo di salvezza che lo fonda (esodo e dono della terra), potrebbe<br />
risultare non del tutto intransitivo con il livello della biografia personale del<br />
soggetto (già improntata ad un atteggiamento di subordinazione) né questo con<br />
il livello della relazione con Dio (percepita in termini di sudditanza), a sua volta<br />
contestualizzato da un modello socio-culturale di tipo teocratico.<br />
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3. Colui che riceve il messaggio, infine, è in una condizione che<br />
non gli rende agevole né abbandonare il campo – in questo caso la<br />
propria religione, le tradizioni popolari e familiari, gli abituali contesti<br />
formativi e socializzanti, etc… - cui spesso è emotivamente<br />
molto legato, né uscire dallo schema cognitivo, opzione che in tal<br />
caso esigerebbe la capacità e la competenza di metacomunicare<br />
sul messaggio così autorevolmente ricevuto (“La volontà di Dio è<br />
questa: tu devi…”).<br />
La riflessività che connota tale messaggio è molto visibile. Proviamo,<br />
tuttavia, a ricondurla ad un esempio più vicino a noi. Cosa<br />
penseremmo di una persona che ci intimasse perentoriamente:<br />
“Amami”? Se completamente sconosciuta, è assai probabile che la<br />
riterremmo una persona malata di mente e la eviteremmo; se semplicemente<br />
conosciuta, è probabile che anziché amarla di più, la<br />
ameremmo di meno; se per noi figura vitale, è probabile che continueremmo<br />
ad amarla, non sapendo però più decidere in quale posizione:<br />
se a partire dalla relazione (ma in tal caso dovremmo ignorare<br />
il comando-contenuto) o se a partire dal comando-contenuto (ma<br />
in tal caso contro la relazione). Il detto popolare: “Al cuor non si<br />
comanda” accoglie molte più verità di quelle che l’interpretazione<br />
romantica, anch’essa popolare, ne estrae. Al cuore non si comanda<br />
non tanto perché esso spesso sembri innamorarsi per capriccio o per<br />
un codice estetico del tutto personale, misterioso ed incomunicabile<br />
(“È bello non ciò che è bello ma ciò che piace”), ma anzitutto perché<br />
il binomio amore/comando è un assurdo, una sorta di aporia relazionale<br />
(nella cultura occidentale contemporanea più che mai). L’amore<br />
è per sua natura incoercibile, poiché nasce da una libertà e si<br />
comunica ad un’altra libertà. Il passaggio dall’una all’altra consta di<br />
gratuità. È proprio questa che si dissolve in un amore “a comando”,<br />
dove l’esperienza umana più libera e liberante si trasforma in una<br />
specie di prigione (nella quale, per la verità, si può anche sopravvivere<br />
– quante donne lungo la storia lo hanno fatto! – ma molto<br />
probabilmente abdicando al desiderio di felicità 11 ).<br />
11 L’allusione è chiaramente alla consuetudine, oggi superata in Occidente,<br />
dei cosiddetti “matrimoni combinati”. Qui, tuttavia, l’accenno alla questione<br />
femminista non è casuale né vuole fermarsi a questa prassi. infatti, la<br />
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1.4. Ama Dio e il prossimo come ha fatto Gesù<br />
Il possibile doppio legame appena mostrato, come appare evidente,<br />
potrebbe riguardare ogni forma di etica dell’amore che non<br />
esplicitasse il fondamento su cui si erige. L’imperativo morale cristiano<br />
però, a motivo della sua specifica originalità, evidenzia un<br />
secondo possibile paradosso, legato al messaggio: “Ama Dio/il prossimo<br />
come ha fatto Gesù”.<br />
Rimanendo invariati il primo e il terzo elemento del doppio legame<br />
sopra elencati, analizziamo solamente il secondo, ovvero il<br />
messaggio trasmesso. Esso implicitamente si compone delle seguenti<br />
sottoparti: a) ama come gesù b) gesù era capace di un amore illimitato<br />
perché Figlio di Dio c) ama da creatura finita in modo infinito.<br />
Qui oggetto del comando è non solo la libertà/gratuità dell’amore<br />
ma anche la sua intensità, secondo gradi che travalicano le<br />
possibilità umane perché propri delle capacità divine. Ci verrebbe<br />
prescritto, in sostanza, un modello di amore col quale a priori ci è<br />
impossibile identificarci. Ne scaturirebbe un “desiderio mimetico”<br />
che, come ha acutamente mostrato girard a proposito del complesso<br />
edipico, espone puntualmente ad una situazione di doppio legame<br />
quando oggetto della tensione ideale è un modello che avvicina<br />
e al contempo respinge: “Sii come il modello, non essere come il<br />
modello” 12 . nel nostro caso, a contraddire violentemente l’invito<br />
alla mimesis del modello (Dio illimitato) è addirittura un’impossibilità<br />
costitutiva, ontologica, di colui che è invitato (la creatura limitata)<br />
e che porta a riformulare così il double bind finale: “Sii come il<br />
modello, non puoi essere come il modello”; ovvero: “Sii come Dio,<br />
non puoi essere come Dio (sei una creatura)”. Se la legge dell’amore<br />
subordinazione cui la cultura patriarcale l’ha per secoli costretta sotto molteplici<br />
aspetti, ha reso la donna occidentale destinataria elettiva di messaggi paradossali<br />
ed invivibili. Una psicologia clinica fondata sull’approccio conversazionale non<br />
può non leggere in certe psicopatologie tipicamente femminili (vedi l’isteria di<br />
fine Ottocento o l’anoressia/bulimia moderna) un tentativo estremo, in interazioni<br />
caratterizzate da doppio legame, di metacomunicare mediante “la sintassi del<br />
corpo” e di “avere voce in capitolo” (cf per es., M. OLSOn, Ascoltando le voci<br />
dell’anoressia: il ricercatore come testimone esterno, in p. BarBeTTa, p. Benini,<br />
r. nacLeriO, (a cura di), Diagnosi della diagnosi, Guerini Studio, Milano<br />
2003, 43-74).<br />
12 cf r. GirarD, La violenza e il sacro, adelphi, Milano 2005, 235-265.<br />
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cristiano si presentasse in questi termini, prescrivendo all’uomo un<br />
comportamento di cui lo discoprisse immediatamente incapace, essa<br />
meriterebbe le conclusioni cui giunge Žižek sempre a proposito del<br />
triangolo edipico. Nella “legge del padre” – egli nota – esiste una<br />
componente di “oscenità”, perché essa prima impone al bambino<br />
il superamento di un limite (amare incestuosamente la madre), poi<br />
gli addita beffardamente la sua costitutiva impossibilità ad obbedire<br />
(l’impotenza sessuale). Il messaggio paterno in pratica è: “Sii come<br />
me, non puoi essere come me (vedi che sei impotente?)” 13 .<br />
se il messaggio biblico-cristiano, insomma, fosse presentato in<br />
termini imperativi in modo previo o addirittura indipendente rispetto<br />
al suo indicativo di salvezza, se ne otterrebbe una duplice paradossalità.<br />
Ma che ne sarebbe della suprema “legge dell’amore” cristiano<br />
se, oltre ad esibirsi paradossale, risultasse anche “oscena”?<br />
2. L’indicativo liberante:<br />
“Gesù è morto e risorto”<br />
(approccio biblico-kerygmatico)<br />
biblico-<br />
L’approccio<br />
kerygmatico<br />
sembra assestare<br />
un colpo ancora più<br />
duro alla legge: essa,<br />
da dono di Dio, si tra-<br />
sforma in Paolo nella “forza del peccato” (1Cor 15,56), addirittura in<br />
sorgente di “maledizione” (cf. Gal 3,13). Ora, com’è possibile per un<br />
Ebreo osservante, quale Paolo si professa, arrivare a pronunciarsi in<br />
termini così scandalosi e blasfemi? Che cosa nasconde questo conflitto<br />
con la legge?<br />
Se la riflessione precedente, anticipando il contenuto del kerygma,<br />
ha mostrato la duplice paradossalità cui espone a livello psicolo-<br />
13 cf S. ŽiŽeK, Violencia en acto. Conferencias en Buones Aires. paidos,<br />
Buenos aires 2004, cit. in p. BarBeTTa, Anoressia e isteria. Una prospettiva<br />
clinico-culturale, raffaello cortina editore, Milano 2005. in realtà, l’oscenità<br />
che Žižek ravvisa nella legge del padre è duplice; nel “ti vieto di essere come<br />
me” (cioè di avere lo stesso mio desiderio: la madre) è inclusa l’ingiunzione:<br />
“trasgredisci” (primo messaggio osceno), poiché la proibizione si afferma<br />
per provocare la sua trasgressione, la quale, necessariamente inadempiuta,<br />
svergogna il figlio nel suo limite: “Sei impotente” (secondo messaggio osceno).<br />
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gico-conversazionale la prescrizione di un amore gratuito - e precisamente<br />
di un amore gratuito illimitato - è soltanto un percorso a<br />
ritroso lungo l’esperienza biblico-cristiana che è capace di attraversare<br />
gli abissi che soggiacciono a tali contraddizioni. Abissi che, a<br />
partire dal tema della legge, a mano a mano si disvelano nell’esperienza<br />
religiosa ed umana di Israele e della prima comunità cristiana<br />
e che solamente dai vertici dell’azione storica di Dio, raggiunti nella<br />
Pasqua di Gesù, sono specularmente colmati e superati. La riflessione<br />
biblica così, se da un lato addirittura approfondisce la pars<br />
destruens precedentemente abbozzata, dall’altro è l’unica veramente<br />
autorizzata ad edificare una pars costruens a livello antropologico e<br />
teologico cristiano 14 . E mostra come soltanto l’annuncio (kerygma):<br />
“Gesù di Nazareth è morto e risorto” costituisca l’indicativo di salvezza<br />
capace di sciogliere le aporie in cui la legge religioso-morale<br />
ha fatto incappare Israele nel rapporto con Dio. L’annuncio della<br />
morte e della risurrezione di gesù ha che vedere, in negativo, col<br />
bisogno dell’uomo di autogiustificarsi, di fare a meno della misericordia<br />
gratuita di Dio, della quale si dubita a motivo della morte<br />
quale limite supremo (se Dio amasse davvero l’uomo perché mai lo<br />
lascerebbe morire?); e, in positivo, ha a che fare con l’amore gratuito<br />
e illimitato di Dio che rende capace di tanto anche l’uomo che se ne<br />
lascia investire. Ecco perché l’annuncio della Pasqua di Gesù è una<br />
“buona notizia” (eu-anghelion in greco, da cui il termine italiano<br />
“vangelo”) 15 . Anzi, la buona notizia per eccellenza rivolta all’uomo.<br />
14 Se è vero che le fonti della teologia non consistono unicamente nel dato<br />
biblico rivelato, è altrettanto vero che ogni esposizione teologica cristiana non<br />
può assolutamente prescindere da esso né subordinarlo ad altre fonti. La sacra<br />
Scrittura, infatti, è l’anima della teologia (cf Dei Verbum 24; Optatam Totius 16).<br />
Superfluo, dunque, aggiungere che anche la riflessione di H.U. von Balthasar,<br />
che proporremo nella terza parte come esemplificativa dell’approccio teologicosistematico,<br />
suppone anch’essa il kerygma e lo sviluppa da un punto di vista<br />
speculativo.<br />
15 in quanto “annuncio”, il kerygma – a parere di v. Spicacci cui<br />
monograficamente ci riferiamo in questa parte – si dà in modo originario ed<br />
efficace nella narrazione. Un indicativo, insomma, che connota non solo il<br />
contenuto dell’annuncio ma anche la sua forma. per ragioni di brevità, qui<br />
siamo costretti, oltre che a sintetizzare per sommi capi gli studi del nostro autore,<br />
anche a tradirne in gran parte la forma espositiva (che, peraltro, si porrebbe in<br />
perfetta sintonia con l’approccio psicologico-conversazionale che ha aperto la<br />
nostra riflessione). i principali lavori, oggetto della nostra sintesi, sono: v.<br />
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2.1. La legge come “forza del peccato”<br />
Partiamo dal fondovalle dell’esperienza religiosa di Israele. Che<br />
cosa ha precipitato qui la legge agli occhi di Paolo? Essa è dono di<br />
Dio. Precisamente, è il prezioso insegnamento di Dio 16 , l’insieme dei<br />
principi e delle norme che oggettivano l’alleanza tra il signore e il<br />
suo popolo (cf. Es 19,5; 34,10; Dt 4,13; 5,2; 29,12), fonte di vita e<br />
di benedizione per chi la osserva (cf. Lv 18,5). Dunque, necessaria e<br />
benefica. Da dove, allora, la drastica conclusione paolina?<br />
In verità, ogni positività suppone una polarità opposta. Anche la<br />
benedizione di Dio, pertanto, ha un suo possibile contrario e Israele<br />
non teme di prefigurarlo: chi trasgredirà la legge sarà maledetto (cf.<br />
Dt 27,26). Così la legge impone all’uomo un’inevitabile scelta direzionale<br />
tra la vita e il bene da una parte, la morte e il male dall’altra<br />
(cf. Dt 30,15; Sir 15,13-20). Nonostante la proclamata volontà di<br />
aderire fedelmente all’alleanza di Dio (cf. Gs 24,24), Israele scopre,<br />
dopo una serie ininterrotta di infedeltà, la propria cronica incapacità<br />
di osservare la legge (cf. Is 59,12s; Ger 14,7; Bar 1,15-18; Dn 3,29-<br />
30; 9,5-10.20; Ne 1,6s; 9,34). È una dolorosa assunzione di consapevolezza<br />
che nella coscienza di Israele innesca e allo stesso tempo<br />
acuisce una serie di dinamiche disgreganti. A queste Paolo sembra<br />
alludere quando inauditamente definisce la legge “forza del peccato”<br />
(1Cor 15,56). Possiamo ricondurle sostanzialmente a tre:<br />
Spicacci, Gesù di Nazareth: una buona notizia?, ancora, Milano 1997;<br />
iD., La buona notizia di Gesù, o.c.<br />
16 il termine ebraico Torah deriva dal verbo jarah, insegnare, e significa<br />
quindi “l’insegnamento (di Dio)”, che in quanto tale è normativo. nella<br />
Bibbia dei Settanta il termine greco nómos che traduce Torah coglie di questo<br />
certamente l’aspetto normativo ma ne disperde la globale ricchezza semantica.<br />
il termine italiano legge traduce letteralmente quello greco.<br />
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1. la devastante autocoscienza della propria fallibilità: la legge<br />
inchioda ogni uomo 17 - anche coloro che la predicano 18 – alla propria<br />
debolezza e ne addita, inesorabile, il peccato 19 ;<br />
2. il seducente desiderio del male 20 : è la cosiddetta “concupiscenza”,<br />
la brama del “frutto proibito”, che proprio la conoscenza<br />
della legge scatena nell’uomo 21 ;<br />
17 paolo scrive così: “Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare<br />
a tutti misericordia!” (rm 12,32); “…la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il<br />
peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù<br />
cristo” (Gal 3,22); “…noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per<br />
quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia<br />
riconosciuto colpevole di fronte a Dio” (rm 3,19).<br />
18 avverte Gesù in Mt 23,2-4: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi<br />
e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo ed osservatelo, ma non fate secondo le loro<br />
opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono<br />
sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”<br />
e in Lc 11,46: “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini<br />
di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito”. vi<br />
fa eco paolo: “…se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro<br />
sulla legge e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà e, istruito come sei<br />
dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei<br />
ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro<br />
dei semplici, perché possiedi nella legge l’espressione della sapienza e della<br />
verità…, ebbene, come mai tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu<br />
che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?” (rm 2,17-23). cf.<br />
rm 14,4; at 15,10; Gc 4,11s.<br />
19 nota paolo che “…in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà mai<br />
giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza<br />
del peccato” (rm 3,20) e che “…la legge poi sopraggiunse a dare piena<br />
conoscenza della caduta” (rm 5,20).<br />
20 Questo disordine del cuore costituisce per paolo la “legge del peccato”,<br />
opposta alla legge di Dio: “io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti<br />
non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che<br />
non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo,<br />
ma il peccato che abita in me. io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non<br />
abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo;<br />
infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se<br />
faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita<br />
in me. io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male<br />
è accanto a me. infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle<br />
mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mente e mi<br />
rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra” (rm 7,15-24).<br />
21 in rm 7,7s, paolo scrive: “…che diremo dunque? che la legge è peccato?<br />
no certamente! però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né<br />
avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: non desiderare<br />
(es 20,17). […] Senza la legge il peccato è morto”. e poi continua: “prendendo<br />
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3. il disperato tentativo di autogiustificazione 22 : impugnare la pratica<br />
della legge permette all’uomo di vantare una propria illusoria<br />
giustizia davanti a Dio, che lo dispenserebbe dall’aver bisogno della<br />
sua misericordia 23 .<br />
Quest’ultima dinamica pare essere quella decisiva, quella che trascina<br />
con sé le prime due e che maggiormente motiva la dura espressione<br />
di Paolo. Tale è infatti il capolavoro del peccato: sfigurare la<br />
legge, dono immenso di Dio, fino a deformarla nell’idolo della propria<br />
giustizia per fare a meno di Dio stesso. La legge diventa veramente,<br />
in questo senso, la “forza del peccato”. L’esperienza religiosa<br />
dell’antico Israele, specchio della più generale esperienza religiosa<br />
umana, racconta che l’autogiustificazione si traveste ora di legalismo<br />
ora di formalismo ora, infine, di servilismo 24 .<br />
ma non è tutto qui. Alla luce buona del kerygma, che rischiara<br />
l’occhio di Paolo, l’autogiustificazione appare, in qualche modo, un<br />
abisso che richiama altri abissi. metaforicamente parlando, l’autogiustificazione<br />
è la “sindrome” che affligge il cuore dell’uomo e che si<br />
compone dei sintomi del legalismo, del formalismo e del servilismo,<br />
pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni<br />
sorta di desideri… Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso<br />
vita e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me<br />
motivo di morte. il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento,<br />
mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte” (rm 7,8-11). cf anche<br />
Gc 1,14s.<br />
22 annuncia in negativo paolo: “…dalle opere della legge non verrà mai<br />
giustificato nessuno” (Gal 2,16); e poi in positivo: “vi sia dunque noto, fratelli,<br />
che per opera di lui [Gesù] vi viene annunziata la remissione dei peccati e<br />
che per lui chiunque crede riceve giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu<br />
possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè” (at 13,38s)<br />
23 cf Lc 18,9.14: “Disse ancora questa parabola per alcuni che credevano<br />
di essere giusti e disprezzavano gli altri […] io vi dico: questi tornò a casa<br />
sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi<br />
si umilia sarà esaltato”; Mt 6,1-5; 23,5-32; Lc 11,39-48.52 (ammonimenti di<br />
Gesù contro l’ipocrisia ed il formalismo religioso); Lc 16,14s (ammonimento di<br />
Gesù ai farisei che si ritenevano giusti); Lc 15,7 (la parabola della pecorella<br />
smarrita).<br />
24 Dio denuncia queste tre forme devianti della fede nell’a.T.,<br />
emblematicamente, in Sam 15,22; is 1,10-16; 29,13s; 58,1-8; Ger 6,20;<br />
14,12; Os 6,6; 8,13; Mi 3,4; 6,5-8; Gl 2,13; Zc 7,4-6; Sl 40,7-9; 50,5-15;<br />
51,18-19 e nel n.T., con Gesù, in Lc 11,41s; Mt 7,21; Gv 4,21-24, (cf anche<br />
i passi già citati sopra).<br />
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ma non è essa stessa la causa della malattia. L’“eziopatogenesi” è da<br />
collocare, piuttosto, nei movimenti più recessi ed oscuri del cuore<br />
umano, laddove il male scopre le proprie radici: lo scandalo del limite,<br />
la paura della morte, la paura di Dio e, alla base, il sospetto<br />
sulla gratuità del suo amore.<br />
2.1.1. Servilismo, formalismo e legalismo<br />
Il servilismo, il formalismo e il legalismo della coscienza credente<br />
nascono dall’incontro-scontro tra il bisogno e la paura di Dio.<br />
L’uomo ha indiscutibilmente bisogno di Dio. I limiti personali ed<br />
esistenziali pedinano la sua vita, la assediano, la incalzano. Di essi<br />
la morte costituisce il sigillo ultimo e allo stesso tempo più rappresentativo:<br />
ogni limite, infatti, “mortifica” l’uomo, genera in lui una<br />
specie di morte. L’uomo istintivamente si rivolge a “Qualcuno” che<br />
avverte superiore a sé, che possa colmare i suoi deficit e permettergli<br />
di varcare come d’incanto la soglia altrimenti invalicabile del limite.<br />
ora, l’uomo potrebbe vivere questo bisogno in modo disteso e<br />
rilassato, poggiandolo su un rapporto di fiducia. Ma accade esattamente<br />
il contrario. Egli tende a soddisfare questo bisogno in modo<br />
avido, smodato, possessivo. In questa avidità la coscienza credente<br />
mira unicamente ad uno scopo: usare di Dio in funzione della propria<br />
auto-conservazione e della propria auto-realizzazione, impadronirsi<br />
di Dio per fare a meno di lui, dare la scalata al cielo e afferrare il<br />
suo potere per salvarsi da sola 25 . In breve, essere come Dio ma senza<br />
Dio. È il delirio dell’onnipotenza 26 .<br />
Il bisogno di Dio, così morbosamente vissuto, malcela a sua<br />
volta la paura di Dio. Essa prende forma nella coscienza credente<br />
a partire dallo stridente contrasto tra la felice onnipotenza divina<br />
e la miserrima impotenza della condizione creaturale. I motivi di<br />
diffidenza nel cuore dell’uomo, a tale riguardo, sono molti. Due in<br />
25 vedi, per es., il racconto biblico della torre di Babele (cf Gen 11,1-9) ma<br />
anche quello extra-biblico, mitologico, di icaro.<br />
26 alla base di questa riflessione sta la rilettura kerygmatica di Gen 3, in cui<br />
più che stigmatizzare un peccato originale come un quid che riguarda “gli inizi”<br />
e fondamentalmente “altri”, è necessario riconoscere una logica che perpetua<br />
se stessa attraverso ogni singola azione peccaminosa degli uomini.<br />
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particolare sembrano quelli decisivi. In primo luogo, l’onnipotenza<br />
rende Dio il “totalmente altro”, il “diverso” per antonomasia rispetto<br />
all’uomo, “la nube” cui è pericoloso avvicinarsi. In forza dei suoi<br />
smisurati poteri, egli da una parte è “l’imprevedibile” che sfugge<br />
ad ogni controllo dell’uomo, numinoso, misterioso, inafferrabile;<br />
dall’altra egli è “colui che tutto vede” e “prevede” e ai cui occhi<br />
nulla può sfuggire. Il potere del controllo, dunque, è a senso unico.<br />
La coscienza credente si percepisce braccata dal suo sguardo penetrante<br />
e pervasivo. L’uomo, ogni uomo, è una specie di “sorvegliato<br />
speciale” e lo sguardo divino, per ciascuno, una minacciosa spada<br />
di Damocle. L’onnipotenza di Dio, in secondo luogo, suggerisce al<br />
cuore dell’uomo un motivo di diffidenza ancor più grave. Essa, a<br />
fronte dei numerosi limiti umani, appare scandalosa, quasi sadica:<br />
come può Dio starsene a guardare tranquillo le proprie creature deturpate<br />
e vinte dagli affanni quotidiani e infine dalla morte? Una luce<br />
sinistra è gettata così sulle intenzioni di Dio. Esse certamente non<br />
possono essere benevole. Il sospetto inoculato è il seguente: Dio non<br />
partecipa la sua onnipotenza all’uomo perché lo ritiene un proprio<br />
potenziale concorrente. Il “progetto” sull’uomo che gliene deriva<br />
non può che essere un’esistenza mortificata e mortificante. Ecco il<br />
nodo gordiano della coscienza credente: la morte. Come comporre la<br />
sua esistenza con un presunto amore di Dio?<br />
Un Onnipotente dai connotati siffatti, imprevedibile e mortificatore,<br />
del quale tuttavia si ha un profondo bisogno, impone alla coscienza<br />
credente un rapporto cautelativo e contrattuale – tutt’altro<br />
che gratuito dunque – laddove l’osservanza della legge è merce di<br />
scambio e arma di difesa insieme. L’obbedienza alla legge, difatti,<br />
garantisce all’uomo un duplice vantaggio: l’imprevedibilità di Dio<br />
è addomesticata dalla regola do ut des – ti do tanto per tanto, né più<br />
né meno: non è ammessa slealtà alcuna – e i suoi immensi poteri<br />
gradualmente estorti. In pratica: osservanza servile, formale, legalistica<br />
in cambio dei dovuti favori divini. Una propria giustizia,<br />
insomma, comprata a caro prezzo, col sudore dell’osservanza religioso-morale.<br />
Il servilismo si distinguerebbe per i suoi modi untuosi, striscianti<br />
ed ipocriti, tipici del servo, appunto, che finge ossequio e devozione,<br />
ma non aspetta altro che il padrone si allontani per colpirlo alle spalle<br />
e coltivare i propri interessi.<br />
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Il formalismo evidenzia, invece, la “distanza di sicurezza” da tenere<br />
nei confronti di un simile Dio, indispensabile e tuttavia pericoloso,<br />
e rimarca la necessità di salvaguardare un prudente equilibrio<br />
tra bisogno e paura di lui. Ogni confidenza nei confronti di Dio qui è<br />
vietata. È invece raccomandata una condotta religioso-morale asettica<br />
- comprensiva di formule, gesti stereotipi e convenzionali che<br />
assolvano alle norme prescritte - che eviti di manifestare a Dio i<br />
propri sentimenti, compresa la propria paura di lui: permaloso e iracondo<br />
quale l’immaginazione lo ritrae, chissà che reazioni potrebbe<br />
manifestare a tale confessione! Il formalismo, in tal senso, esprime<br />
addirittura “la paura della paura di Dio”.<br />
Il legalismo è l’artefatto migliore dell’infelice e contrastante connubio<br />
tra bisogno e paura di Dio che si celebra nel cuore umano.<br />
Esso consiste nell’osservare scrupolosamente “le regole” della legge<br />
perché Dio non abbia più niente da recriminare. Lo scopo non è assolutamente<br />
incontrare Dio, bensì tenerlo il più lontano possibile,<br />
fino ad estrometterlo dalla propria vita in nome della giustizia personale.<br />
Se Dio concede qualcosa all’uomo è perché questi se l’è meritato<br />
fino in fondo. Del resto, un contratto è un contratto. È l’uomo<br />
ora ad essere creditore di Dio, non viceversa. La legge, da potere di<br />
Dio sull’uomo, finisce per diventare così il potere dell’uomo su Dio.<br />
2.1.2. L’esperienza religioso-morale come rapporto di potere<br />
Un rapporto di potere con Dio, un tenergli testa sul piano morale:<br />
ecco cosa diventa l’esperienza religiosa quando la coscienza credente<br />
tenta di autogiustificarsi. Un braccio di ferro, questo, disperato<br />
ed umiliante per l’uomo, che puntualmente si vede sconfitto a causa<br />
della propria ineluttabile fallibilità e che, dopo ogni défaillance, prometeicamente<br />
si rialza e tende di nuovo il pugno a Dio, sforzandosi<br />
di “meritare” il suo perdono. Meritare un (per)dono è però un assurdo,<br />
almeno quanto lo è “comprare” l’amore. Entrambi, perdono e<br />
amore, appartengono infatti ad un rango relazionale assai più nobile<br />
dei rapporti commerciali. Appartengono al regno della gratuità.<br />
Qui sta il punto di svolta. La paura di Dio, che scompagina il bisogno<br />
di lui nell’esperienza religiosa, rivela che l’uomo non crede al<br />
suo amore né alla presunta gratuità con cui egli avrebbe dato vita al<br />
mondo e a tutte le creature. sarebbe un atto irresponsabile, quindi,<br />
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abbandonarsi con tutti i propri limiti ad un tale Dio, di cui si sospettano<br />
fini reconditi e inconfessati. Le torbide intenzioni di Dio sono<br />
smascherate dalla morte, limite estremo, e dai limiti, quali piccole<br />
morti quotidiane. Se Dio non elimina né l’una né gli altri, lui che<br />
tutto potrebbe, è perché evidentemente gli sono necessari per tenere<br />
sotto scacco l’uomo, per ricattarlo ed estorcergli qualcosa, se non<br />
altro subordinazione. L’uomo allora gli concede quanto vuole: si<br />
sottomette obtorto collo alla sua legge, ma in cambio naturalmente<br />
esige le sue grazie, la sua pur costosa giustizia ovvero il suo potere<br />
contro la morte e le morti. Una gavetta estenuante ma necessaria.<br />
Con un obiettivo finale: arrivare ad essere come Dio per fare<br />
a meno di Dio. E con un’attesa nascosta, inconfessabile: la morte di<br />
Dio stesso. morte dalla quale l’uomo ricaverebbe due inestimabili<br />
vantaggi: l’incameramento dell’incalcolabile eredità di Dio, che è<br />
la vita, e la propria totale emancipazione 27 . La logica ivi sottesa è<br />
scandalosa per la stessa coscienza credente che la nutre ma, sembra,<br />
non per la natura che ad essa affida l’istinto di auto-conservazione e<br />
la vittoria dei “più adatti” nel processo di selezione naturale: mors<br />
tua, vita mea.<br />
2.2. Il giogo leggero di Gesù<br />
2.2.1. L’amore gratuito<br />
La contrattualità che sfocia nella competizione pervade, dunque,<br />
l’esperienza religiosa. ma non solo quella. Essa domina anche i rapporti<br />
sociali. Persino l’amore tra l’uomo e la donna sembra non riuscire<br />
a sottrarvisi 28 . Questo infatti è sempre “a condizione che” ci<br />
sia reciproca attrazione, precise caratteristiche fisiche e psicologiche,<br />
fedeltà e rituali di conferma. È, in breve, un “amore di desiderio”<br />
(eros), sempre sottoposto alla tirannia delle condizioni e tendente più<br />
al possesso che al dono. ora, se la dura legge della vita sociale in-<br />
27 È questo desiderio che sembra strisciare sotterraneo nella cosiddetta<br />
parabola del “figliol prodigo” (Lc 15,11-32), confessato nella richiesta del figlio<br />
minore, a lungo inconfessato e tuttavia centrale nell’atteggiamento formalelegalistico<br />
del figlio maggiore.<br />
28 cf v. Spicacci, Gesù di Nazareth: una buona notizia?, o.c., 161-194.<br />
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segna che “nessuno dà niente per niente”, la paura della morte suggerisce<br />
che neppure Dio sfugge a tale postulato. nessuno ama in modo<br />
del tutto incondizionato, neppure Dio. tanto meno Dio. La paura<br />
della morte insegna opportunamente ad ogni uomo che nessuno ama<br />
la sua vita più di quanto la ami lui stesso. In tutto l’universo, anzi,<br />
solo lui la ama davvero. nessuno infatti darebbe la vita per lui. nessuno<br />
si addosserebbe i suoi limiti e la sua morte, poiché ciascuno è<br />
già fin troppo impegnato a lottare contro i propri limiti e la propria<br />
morte. non rimane che una sola via percorribile: salvarsi con le proprie<br />
forze. Dare la vita per salvare la propria vita. Ansia, preoccupazione<br />
e affanno diventano così gl’immancabili compagni di viaggio,<br />
ingombranti ma inevitabili, il prezzo da pagare per non morire, per<br />
non perdersi. Fidarsi unicamente di se stessi e della paura della morte<br />
per non perdere la vita. Ecco tracciata la via per l’autosalvezza.<br />
Il signore della Buona notizia, gesù, sembra conoscere molto<br />
bene queste dinamiche del cuore umano. Le ritrova nel costante affanno<br />
per il cibo (cf. Mt 6,25,28.31) e per il domani (cf. Mt 6,34a);<br />
nella vana pretesa di poter gestire la durata della propria vita (cf. Mt<br />
6,27; Lc 12,25); nella pesantezza che soffoca l’ascolto della Parola (cf.<br />
Mt 13,22), impedisce la vigilanza (cf. Lc 21,34) e distrae dall’essenziale<br />
(cf. Lc 10,41) che è poi la giustizia di Dio (cf. Mt 6,33). Le riconosce,<br />
in particolare, nella coscienza credente schiacciata dai gravami<br />
religioso-morali di un’osservanza servile e legalistico-formale della<br />
legge. E propone di abbandonare questo giogo per accogliere il suo,<br />
che è leggero (cf. Mt 11,29). Un giogo che Gesù autorevolmente contrappone<br />
a quello della torah. È il giogo dell’amore gratuito di Dio,<br />
che la sua presenza incarna nella storia. Esso non chiede come prerequisito<br />
alcuna giustizia morale. non esige condizioni previe e neppure,<br />
inauditamente, una condotta consequenziale. non va meritato.<br />
Chiede unicamente fiducia nel Messia inviato da Dio. E in nome di<br />
questa fiducia di rinunciare a salvare la propria vita, di disubbidire alla<br />
paura della morte che costantemente sussurra al cuore umano l’equazione:<br />
fidarsi di Dio è uguale a “perdersi”. Gesù avverte che è proprio<br />
qui che si gioca il destino dell’uomo: nel decidere a chi dare fiducia.<br />
se questa verrà accordata alla paura della morte, l’uomo cercando di<br />
salvare la propria vita la perderà (cf. Lc 17,33a), perché combatterà<br />
contro lo strapotere della morte e proprio l’ansia, la preoccupazione e<br />
l’affanno che accompagnano questa lotta lo uccideranno. L’uomo in-<br />
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vece che riporrà la fiducia in Dio e nel suo amore gratuito, beffandosi<br />
della paura di perdersi in tale atto di abbandono, salverà la propria vita<br />
(cf. Lc 17,33b). Il giogo di Gesù è leggero perché è un invito a gettare<br />
in Dio ogni pesante affanno. A scagliare su lui stesso, gesù, la nostra<br />
morte. A credere che il suo amore è unico, più forte della morte, più tenace<br />
della paura che essa genera. Un amore diverso, non di desiderio,<br />
senza volontà di possesso, senza secondi fini, senza condizioni, senza<br />
tornaconto alcuno; un amore assolutamente gratuito (agape) 29 che, in<br />
contrasto con la logica comunemente osservata in natura e nelle relazioni<br />
sociali, propone: mors mea, vita tua.<br />
2.2.2. L’amore gratuito e illimitato<br />
È proprio qui, nel binomio morte-vita, che si colloca il kerygma,<br />
il cuore di tutto il Vangelo. Ora, perché mai la “buona notizia” per<br />
eccellenza rivolta all’uomo riguarda una morte? La risposta in parte<br />
è già stata data ma va precisata in ordine al morire storico di gesù<br />
narrato nei vangeli.<br />
La morte di Gesù è buona notizia anzitutto perché è diversa da<br />
tutte le altre. La sua diversità sta tutta nella libertà con cui gesù la<br />
accoglie, pur amando immensamente la vita. Anzi, proprio perché<br />
ama in questo modo la vita. È infatti una buona notizia che un uomo,<br />
almeno uno nella storia, abbia disobbedito alla paura della morte e<br />
l’abbia apertamente contraddetta. In nome di che cosa? In nome del<br />
sogno d’instaurare il Regno di Dio e di realizzare sulla terra una fraternità<br />
universale. In nome, cioè, dell’amore.<br />
ma per noi è una notizia anche migliore che la morte di gesù, libera<br />
dalla paura di perdersi, abbia liberato dallo stesso giogo molti tra coloro<br />
che assistevano al suo “spettacolo” (cf. Lc 23,48), attestando già,<br />
mentre ancora si consumava, una propria efficacia salvifica.<br />
29 La Bibbia distingue accuratamente l’amore gratuito (riconducibile<br />
all’agape) dall’amore di desiderio (riconducibile all’eros). La distinzione tuttavia<br />
non avviene in forza di una connotazione morale, ma in ordine alla loro diversa<br />
origine e alle specifiche dinamiche relazionali che ciascuno di essi comporta.<br />
in questo senso, l’eros, con la sua passionalità, è tipico del rapporto uomodonna<br />
(si veda emblematicamente l’intero libro del cantico dei cantici, nella<br />
sua traduzione greca); l’agape, invece, è tipico di Dio e della carità cristiana (si<br />
veda, per es., il celeberrimo testo di 1cor 13).<br />
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I racconti della <strong>Passio</strong>ne narrano di due malfattori condannati con<br />
gesù, uno dei quali, contro tutto un presumibile vissuto di violenza,<br />
di distruzione e di morte, inaspettatamente si rivolge al suo vicino,<br />
morente come lui e in nulla somigliante a Dio, e lo implora: “Gesù<br />
ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno” (Lc 23,42). Su di<br />
lui egli sembra gettare l’ansia per la vita e la sua paura della morte,<br />
riconciliandosi ad un tempo e con la vita e con la morte, con gli uomini<br />
e con Dio.<br />
Siamo autorizzati ad immaginare che la crocifissione di Gesù sia<br />
stata davvero uno “spettacolo” che abbia irriso, col suo amore travolgente,<br />
il potere della morte sull’uomo, se marco può narrare di un<br />
altro, apparentemente inspiegabile, episodio. si tratta del centurione 30<br />
che stava sotto la croce. Egli, racconta l’evangelista, “visto morire<br />
Gesù in quel modo, disse: ‘veramente costui era Figlio di Dio’” (Mc<br />
15,39). Un simile fatto suppone la dirompente novità della morte di<br />
Gesù, la sua inconfondibile diversità. Solo questa infatti può giustificare,<br />
nel cuore del soldato, il passaggio dall’implicita constatazione:<br />
“È un criminale, o un pazzo, condannato a morte dal suo popolo e dai<br />
Romani” alla folgorazione: “È il Figlio di Dio”. La novità assoluta,<br />
sconvolgente, è quell’amore che percorre “fino-alla-fine” 31 la morte,<br />
la propria e quella dei presenti. Presumibilmente corazzatosi, lungo<br />
gli anni, contro tutto l’odio e la paura di morire vomitatogli addosso<br />
dai condannati al patibolo e avvezzo al cinismo per mestiere, quel centurione<br />
non aveva mai visto, in tutta la sua carriera, un uomo morire<br />
così: benedicendo i suoi aguzzini ed invocando su di essi il perdono di<br />
Dio. Quell’amore gratuito e a fondo perduto, che sempre aveva pensato<br />
inesistente, ora era lì e gli trapassava la corazza del cuore.<br />
Buona notizia è anche la risurrezione di gesù. si badi, però: non<br />
in quanto gloriosa antitesi rispetto alla sua ignominiosa fine, ma in<br />
quanto conferma dell’invincibile potenza di vita presente in quella<br />
morte.<br />
30 il centurione fu colui che comandò il drappello dei soldati incaricati<br />
dell’esecuzione materiale della crocifissione di Gesù (cf Mt 27,54).<br />
31 “prima della festa di pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di<br />
passare da questo mondo al padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo<br />
li amò sino alla fine [eis tèlos]” (Gv 13,1).<br />
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“La risurrezione di Gesù è una buona notizia, perché è la conferma del<br />
fatto che un amore così, il cui vivere è perdersi continuamente in favore<br />
della vita, non poteva e non può morire, giacché è la forza stessa della vita:<br />
l’afflato dell’amore è l’afflato della vita, il respiro dell’amore è il respiro<br />
della vita” 32 .<br />
La tendenza a vedere nella risurrezione di gesù una muscolosa<br />
prova di forza, una dimostrazione dell’onnipotenza divina opposta<br />
all’impotenza della croce, un doveroso “happy end” ad una recita fin<br />
troppo drammatica, rivela una logica ancora governata dalla paura<br />
di perdersi.<br />
“Il confronto con la morte di Gesù rivoluziona questa logica: l’immortale,<br />
ciò che ‘non muore mai’, non è ciò che ‘non muore’, ma ciò che<br />
‘muore sempre’, perché ‘si perde sempre’. La pienezza della vita non è<br />
l’immortalità, ma l’assoluta, radicale libertà di perdersi, ossia di morire,<br />
dell’amore” 33 .<br />
Ciò significa anche che, benché la morte di Gesù sia un efapax 34 ,<br />
un unicum irripetibile nella storia del mondo, essa non è “il picco”<br />
dell’amore-dono di Dio da cui consegue il ritorno ad una sorta di<br />
omeostasi.<br />
“La morte di Gesù non è il segno che in quel momento della storia l’amoredono<br />
ha amato di più. Più di prima e più di dopo. È, piuttosto, la rivelazione<br />
agli uomini della stoffa dell’amore-dono: il segno che io, l’amore-dono, ho<br />
sempre amato, amo sempre ed amerò sempre come gesù ha mostrato agli<br />
uomini di amare. Giacché l’amore-dono è uno solo, non ha gradazioni né<br />
intensità: è sempre un-amore-fino-alla-morte” 35 .<br />
32 v. Spicacci, La buona notizia di Gesù, o.c., 163. il principale referente<br />
biblico qui è Giovanni che nel proprio vangelo ribadisce con forza l’inscindibilità<br />
di morte e resurrezione attraverso il tema dell’“ora”.<br />
33 Idem, 157.<br />
34 “per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte<br />
[efapax]” (rm 6,10). cf. anche eb 7,27; 9,12; 10,10.<br />
35 v. Spicacci, La buona notizia di Gesù, o.c., 254-255. La forma<br />
dell’indicativo alla prima persona singolare si giustifica qui in forza<br />
dell’approccio narrativo adottato dall’autore. È Dio stesso, quale “Signore della<br />
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Ed è questo che, quoad nos, è decisivo: che l’amore rivelatosi<br />
nella morte e resurrezione di gesù riguardi gli uomini di tutti i tempi.<br />
Per questo è la buona notizia di tutta la storia. È la notizia che esiste<br />
un amore diverso, irreperibile nelle dinamiche umane di desiderio<br />
(eros), di possesso e di convenienza sempre contrattualmente bilanciate<br />
da un “se… allora”. È la notizia che esiste un amore-dono<br />
(agape) che, anche qualora si negasse l’esistenza di Dio, assurgerebbe<br />
esso stesso alla grandezza di Dio: sarebbe esso stesso Dio,<br />
perché capace di dominare la morte e di sopravvivervi. È la notizia<br />
che questo amore accompagna e sostiene la storia dell’umanità e di<br />
ciascun essere umano, al di là della loro bontà o della loro malvagità.<br />
È infatti un amore gratuito perché non pone condizioni e non<br />
ha bisogno di essere acquistato con la buona condotta morale. Ama<br />
l’uomo indipendentemente dal fatto che egli obbedisca o disobbedisca<br />
alla legge (cf. Mt 5,45; Lc 6,35; 22,10; Rm 8,35-39). Lo ama<br />
prima di questa scelta 36 . E lo ama dopo di essa, anche quando la<br />
decisione presa è di trasgredire la legge 37 . Anzi, a maggior ragione<br />
quando l’opzione scelta è questa 38 .<br />
Buona notizia” e quale “amore-dono” a dare l’inaudito annuncio (kerygma) di<br />
sé agli uomini.<br />
36 “per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da<br />
voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.<br />
Siamo infatti opera sua, creati in cristo Gesù per le opere buone che Dio ha<br />
predisposto perché noi le praticassimo” (ef 2,8-10).<br />
37 “infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, cristo morì per gli empi nel<br />
tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto;<br />
forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene.<br />
Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora<br />
peccatori, cristo è morto per noi” (rm 5,6.8). e che ci sia un nesso tra la morte<br />
di Gesù e la trasgressione della legge è inequivocabile: “infatti ciò che era<br />
impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso<br />
possibile: mandando il proprio figlio in una carne simile a quella del peccato<br />
e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la<br />
giustizia della legge si adempisse in noi (rm 8,3-4a).<br />
38 L’idea che Dio debba punire il peccatore come per restaurare il proprio<br />
onore vilipeso riscopre il sospetto, tenace nella coscienza credente, che i<br />
comandamenti di Dio (la morale) servano a tutelare i suoi interessi e non il bene<br />
della creatura. e che, dunque, compiere il male sarebbe un bene se non ci fosse<br />
vendetta dal cielo. Se Dio non punisce ma attende pazientemente il ritorno del<br />
peccatore (cf Lc 15,20), anzi lo va a cercare (cf Lc 15,4-10) non è perché egli<br />
sia indifferente al peccato – tutt’altro! – ma perché vede bene che privarsi dei<br />
privilegi della casa del padre per agognare al cibo dei porci onde sopravvivere<br />
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Ed è poi un amore illimitato perché si espone inerme ad essere<br />
rifiutato e ripetutamente colpito e perché, ciononostante, continua<br />
ad amare ancora e ancora, ad oltranza. Anche a costo che l’uomo<br />
ne approfitti. Anzi, proprio perché ne approfitti e scopra finalmente<br />
che non c’è rappresaglia, non ci sono secondi fini né interessi personali<br />
calpestabili. L’amore incondizionato di Dio, infatti, non mira ad<br />
altro che a promuovere la libertà dell’uomo. Ad ogni costo. sempre.<br />
Anche qualora essa, nel disperato tentativo di liberarsi da sola, dovesse<br />
chiedere la morte di Dio. La <strong>Passio</strong>ne di gesù mostra inequivocabilmente<br />
che la libertà della creatura è il bene più prezioso per<br />
Dio. tanto prezioso che egli vi pospone addirittura la propria vita e<br />
la propria onnipotenza. Perché dell’una e dell’altra Dio non è geloso<br />
e da sempre sogna di renderne partecipe l’uomo 39 .<br />
sul versante di Dio, va precisato che tale amore è tanto distante<br />
dall’amore “paternalista”, che predetermina il bene dell’altro (“So<br />
io qual è il tuo bene”), quanto da quello “permessivista” (rappresentabile,<br />
seppur impropriamente, con lo slogan liberista: “Lassaiz<br />
faire, lassaiz passer”), che semplicemente lascia fare l’altro ma non<br />
assume su di sé le conseguenze delle sue scelte.<br />
sul versante dell’uomo, va ribadito che solo il vertiginoso rischio<br />
della libertà, corso fino in fondo, può liberare la coscienza credente<br />
dal desiderio del male, dalla nostalgia del “frutto proibito” quale bene<br />
che Dio le negherebbe per “mortificarla”; dal tentativo di autogiustificarsi<br />
per fare a meno dell’amore di Dio; e infine dal sentimento di<br />
autoaccusa dinanzi alla propria umana fallibilità, narcisisticamente<br />
preoccupato assai più delle scalfiture arrecate all’immagine ideale<br />
(cf Lc 15,16s) è punizione che basta a se stessa, i cui danni, anzi, fanno del<br />
peccatore un malato bisognoso delle cure di Dio (cf Mt 5,31). altra cosa rispetto<br />
alla punizione è la correzione di Dio, la quale non è nell’ottica della vendetta<br />
ma dell’amore (cf Dt 8,5; pr 3,11s; eb 12,7-11; ap 3,19; 2cor 7,8-11; rm<br />
5,3; Gc 1,2-4).<br />
39 al progetto originario di Dio: “facciamo l’uomo a nostra immagine, a<br />
nostra somiglianza” (Gen 1,26) - pervertito nel cuore dell’uomo in un risultato<br />
da raggiungere con le proprie forze (Gen 3,1-7) - corrisponde l’identità presente<br />
e futura dei redenti: “carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che<br />
saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà<br />
manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv<br />
3,2). cf anche: Sal 82,6; Gv 10,34-36; 1cor 8,6; 15,28; ef 2,18s; 4,6; col<br />
3,11.<br />
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della propria integrità morale che delle piaghe aperte nell’amore incorrisposto<br />
di Dio.<br />
2.2.3. L’amore gratuito, illimitato e inimitabile<br />
se l’amore gratuito esiste ed è entrato nella storia vuol dire che è<br />
possibile, attraversando e oltrepassando l’amore di desiderio, amare<br />
ed amarsi davvero. ma questo è forse un nuovo scossone dato alla<br />
coscienza morale, semplicemente più vibrante ed entusiasta di altri<br />
appelli? Se così fosse, il messaggio rivolto alla coscienza credente,<br />
sfibrata dalla lotta impari contro la paura di perdersi suonerebbe più<br />
o meno così:<br />
“Fatti coraggio, non ti disperare… Questa è la volta buona! Vedi come ha<br />
fatto lui… Prendi esempio da lui… L’amore-dono è a portata di mano!<br />
non ti arrendere troppo presto! se ce l’ha fatta lui, con po’ di impegno e di<br />
buona volontà puoi e devi farcela anche tu! serra i pugni, tira la cinghia,<br />
stringi i denti… se c’è riuscito lui, puoi e devi riuscirci anche tu! metticela<br />
tutta, tieni duro… gesù è il tuo modello. Fa’ come lui! Rimboccati le maniche,<br />
gambe in spalla e datti da fare! Vedrai che imparerai ad amare anche<br />
tu come Gesù ha amato…” 40 .<br />
se la novità cristiana consistesse in questa esortazione, essa non<br />
solo non sarebbe una “buona notizia”, ma sarebbe addirittura la<br />
“peggiore notizia” mai data all’uomo! E ciò per almeno due motivi.<br />
In primo luogo, perché la paura di perdersi imporrebbe all’uomo di<br />
competere in perfezione morale nientemeno che con l’amore gratuito<br />
di Gesù, che in sé è inimitabile, perché appunto senza limite, divino<br />
oltre che umano. In secondo luogo, perché svuoterebbe di significato<br />
la morte e la risurrezione di Cristo. se l’uomo, strigliando un poco<br />
il proprio orgoglio, fosse capace di tanto amore, la croce di gesù<br />
si dimostrerebbe un inutile sacrificio. E peraltro un tragico caso: la<br />
peggiore caduta di stile dell’amore umano. Il quale, di norma, però,<br />
basterebbe a se stesso, carburato e ricarburato costantemente dalla<br />
volontà umana. La salvezza sarebbe frutto delle proprie opere. Un<br />
40 v. Spicacci, La buona notizia di Gesù, o.c., 150.<br />
psicologia e teologia<br />
Quando<br />
l’amore è legge<br />
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psicologia e teologia<br />
tale appello morale, in breve, riediterebbe, in forma riveduta e peggiorata,<br />
la perenne volontà di autogiustificazione umana 41 .<br />
La rivoluzione dell’amore crocifisso e risorto sta nel fatto che esso<br />
non esige di essere riconosciuto né prima di darsi né dopo. Si dona<br />
e basta. non pretende nemmeno la gratitudine, che pure gli spetterebbe<br />
oltremodo. non pone l’accento su quanto l’uomo deve fare per<br />
Dio, ma su quanto Dio ha fatto, fa ed è disposto a fare per l’uomo.<br />
L’unica azione, tutt’altro che facile e passiva, richiesta all’uomo è<br />
quella di smettere di inventarsi parti imbonitorie da recitare davanti<br />
a Dio e credere, invece, che Dio è già buono, lasciarsi abbracciare e<br />
fare festa. solo questo 42 .<br />
L’imposizione del dovere morale, presentato quale salatissimo<br />
conto finale, confermerebbe per converso che neppure Dio “dà niente<br />
per niente”. Che anche lui, in un modo o nell’altro, debba avere il<br />
suo tornaconto, se non altro nella riconoscenza e nella “spontanea”<br />
sottomissione da parte dell’uomo. In tal modo, la legge morale, riscritta<br />
sul monte Golgotha e presentata agli astanti, finirebbe per essere<br />
l’in cauda venenum della paura della morte che avvelenerebbe<br />
l’opera meravigliosa dell’amore di Dio, qual è la <strong>Passio</strong>ne di gesù.<br />
E la legge morale, dunque? Esiste? E cos’è mai? Un orpello dismesso<br />
dal kerygma perché pacchiano e troppo pesante? Tutt’altro!<br />
La legge morale esiste ma non è una legge. È una relazione.<br />
Un’alleanza. È l’incontro tra due libertà: quella di Dio e quella<br />
dell’uomo. Se un’oggettività dei valori esiste è perché esiste Dio.<br />
Essa è, per così dire, lo sguardo di Dio sull’universo, la sua soggettività;<br />
la quale diventa intersoggettività quando si comunica<br />
all’uomo 43 . Allo stesso modo, se la morale si riassume nel duplice<br />
comandamento dell’amore è perché “Dio è amore” (1Gv 4,16) in<br />
41 il linguaggio è volutamente provocatorio. non intende certo destituire di<br />
legittimità l’imitazione di cristo, biblicamente fondata (cf rm 15,3.7; fil 2,5;<br />
ef 5,2.25), ma svincolarla dall’idea di Gesù quale semplice “modello morale”<br />
da emulare pervicacemente, liberarla dalle dinamiche di morte suesposte e<br />
inserirla in una relazione genuina, filiale, d’amore.<br />
42 cf Lc 15,18-24.<br />
43 La terminologia qui utilizzata chiaramente non è biblica, ma si rende<br />
momentaneamente necessaria per rispondere alle obiezioni che l’uomo<br />
contemporaneo può muovere al kerygma da un punto di vista filosofico. La<br />
tematica verrà ripresa nelle conclusioni generali.<br />
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se stesso. oggettivamente gratuito e illimitato. ma tale oggettività<br />
è incomprensibile al di fuori di una relazione d’amore con l’Amore.<br />
È lasciandosi amare gratuitamente che l’uomo impara ad<br />
amare allo stesso modo. solo così l’amore diventa il suo codice<br />
morale interno. solo così la creatura può riconoscere che l’amore<br />
è “doveroso”, non perché eteronomamente imposto, in modo palese<br />
o surrettizio, dall’autorità morale divina, ma perché connesso<br />
col senso di tutto, depositato proprio lì, nella relazione con Dio-<br />
Amore. Diversamente né l’amore per Dio né quello per il prossimo<br />
né quello per la propria vita hanno diritto di riassumere la morale<br />
cristiana. Al di fuori di questa relazione, infatti, la trascendenza<br />
divina appare una minaccia incombente, gli altri rivali egoisti e<br />
concorrenti e la vita una lotta per la sopravvivenza talmente estenuante<br />
da essere già morte. Al di fuori di questa relazione regna<br />
solamente la divisione da Dio, dagli altri e da stessi 44 . In una parola,<br />
la solitudine 45 . Il kerygma, in verità, offre molto di più di una<br />
teoria religiosa e morale. offre un’esperienza reale, trasformante 46 .<br />
44 Qui l’approccio kerygmatico scopre il vero volto della “paura della morte”<br />
o dell’equivalente “paura di perdersi”. La divisione che questa genera, infatti,<br />
è opera del “diavolo” (dal greco diàbolos che vuol dire appunto “divisore,<br />
separatore”: cf. Sap 2,24; ap 12,9; 20,2) e della sua suggestione nel cuore<br />
umano. infatti, “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap<br />
2,23s) e di essa, come della paura schiavizzante che genera, egli ha il potere<br />
(eb 2,14s: “poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne,<br />
anch’egli [Gesù] ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la<br />
morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che<br />
per paura della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”). a fronte delle<br />
dinamiche che la paura della morte o di perdersi innesca e alimenta nell’uomo,<br />
non è difficile comprendere ora anche gli altri appellativi che la tradizione<br />
biblica riserva al diavolo: egli è “l’avversario” (“satana”, dall’aramaico<br />
setana’: cf. Gb 1,6ss) di Dio e dell’uomo, “il bugiardo” (psèustes) e “l’omicida”<br />
(antropoktònos): cf. Gv 8,44; 1Gv 3,8-15.<br />
45 La solitudine assoluta coincide con l’inferno, la cui possibilità non è<br />
soppressa dall’amore senza limiti di Dio. infatti, proprio l’amore di Dio, che<br />
innalza sovrana la libertà umana persino sulla propria onnipotenza, non<br />
può impedire l’eventualità che la creatura, pur dinanzi a tanta benevolenza,<br />
scelga per sempre la strada assurda dell’autosufficienza. in questo senso, però,<br />
l’inferno non è una sanzione divina, ma una situazione relazionale, una sorta<br />
di “solitudine ontologica”, scelta dall’uomo (cf v. Spicacci, La buona notizia<br />
di Gesù, o.c, 243-245).<br />
46 nella tradizione cristiana, infatti, l’annuncio del kerygma e la sua<br />
accoglienza sono premessa e centro del cammino di iniziazione cristiana,<br />
ovvero del catecumenato (dal greco katechéo, “istruire oralmente, a viva voce”),<br />
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Quando<br />
l’amore è legge<br />
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Un’esperienza, umananamente inattingibile, d’amore e di comunione:<br />
“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò<br />
che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo<br />
contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo<br />
della vita… noi lo annunziamo anche a voi, perché siate in comunione<br />
con noi” (1Gv1,1.3).<br />
3. L’indicativo vincolante:<br />
“Dio è amore”<br />
(approccio teologico-sistematico)<br />
Quest’ultimariflessione<br />
trae se<br />
stessa dal pensiero<br />
di uno dei<br />
massimi teologi<br />
del secolo scorso: Hans Urs von Balthasar (1905-1988) 47 . Essa, declinata<br />
in chiave teologico-sistematica, intende porsi in continuità<br />
con la parte che la precede. trattasi tuttavia di una continuità non di<br />
ordine cronologico ma teologico. La morte e la resurrezione di gesù<br />
rimangono il centro, il quale funge da perno per indagare che cosa<br />
il kerygma supponga dell’essere di Dio e dell’essere dell’uomo e<br />
che cosa implichi nella relazione storica tra l’uno e l’altro. Le mire<br />
speculative qui puntano al vertice: cercare di mostrare come l’amore<br />
gratuito e illimitato sprigionato nella Pasqua di gesù sia trasparenza<br />
esperienza personale e insieme comunitaria, che si propone essenzialmente<br />
di: 1. consentire ai catecumeni di verificare nella propria vita l’autenticità<br />
della “buona notizia” 2. iniziarli al battesimo quale immersione nella morte/<br />
risurrezione di cristo e inserimento nella comunità cristiana 3. accompagnarli<br />
e sostenerli, attraverso il discernimento spirituale e la preghiera di liberazione<br />
(esorcismo), nel confronto con le immancabili risonanze negative alla buona<br />
notizia 4. educarli ad una vita morale conforme alla buona notizia. a motivo<br />
di ciò, il kerygma non può essere insegnato o studiato sui libri – qui semmai<br />
solo alluso – ma va annunciato, vissuto e contemplato. per l’approfondimento,<br />
cf v. Spicacci, Gesù di Nazareth: una buona notizia?, op. cit., 557-611; iD.,<br />
La buona notizia di Gesù, o.c., 329-331; iD., Considerazioni sulla pastorale di<br />
evangelizzazione nella Chiesa italiana, in SapCr 4 (2000), 353-398; iD., Ma<br />
cos’è, veramente, il catecumenato?, in Rivista di Teologia Morale 50 (2009),<br />
290-304.<br />
47 i testi dell’autore saranno citati secondo le abbreviazioni indicate nella<br />
bibliografia del nostro studio.<br />
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dell’identità di Dio e del progetto a cui l’uomo è invitato da sempre;<br />
mostrare, insomma, come la “legge dell’amore” sia anzitutto una<br />
“legge dell’essere” e come il cosiddetto imperativo morale discenda<br />
dal prioritario indicativo di salvezza 48 .<br />
3.1. La libertà infinita di Dio come amore gratuito eterno<br />
La croce di Gesù rivela non solo un “amore-fino-alla-morte” ma<br />
soprattutto un “amore-fino-alla-morte-di-Dio”. E ciò, se da una parte<br />
è la “buona notizia” del Vangelo, dall’altra costituisce da sempre<br />
il più grande rompicapo della teologia: come può “l’Immutabile”<br />
diventare mutevole con l’incarnazione e “l’Immortale” arrivare a<br />
morire? E morire persino della morte peggiore, quella comminata ai<br />
maledetti 49 ? Tali domande sembrano descrivere una parabola discendente<br />
dell’Infinito che assume non solo il finito ma anche il male che<br />
lo corrode: il peccato. Una discesa dell’Illimitato fino al baratro del<br />
limite. Un vero e proprio “svuotamento”, una kenosi 50 . Da qui parte<br />
von Balthasar. nella sua poderosa soteriologia 51 la kenosi, da scoglio<br />
teologico, diventa ponte tra l’azione storica di Dio e la sua dinamica<br />
natura trinitaria. Essa, se opportunamente compresa, ricusa di attri-<br />
48 il termine “salvezza”, naturalmente, è inteso qui non in un’ottica puramente<br />
negativa - salvezza “dal peccato” - ma secondo l’interpretazione teologica più<br />
corretta: come “disegno storico-salvifico” di Dio. La prima accezione vedrebbe<br />
Dio impegnato in un’opera meramente riparatoria (Dio che interviene con Gesù<br />
per emendare i pasticci combinati dalla sua creatura col peccato!) e in qualche<br />
modo più debole del peccato stesso, perché da questo costretto a tanto scomodo;<br />
la seconda accezione, invece, vede l’azione storica di Dio da sempre fedele al<br />
suo originario progetto d’amore sull’uomo, contro e al di là del peccato.<br />
49 “cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge, diventando lui<br />
stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno [Dt<br />
21,23]” (Gal 3,13).<br />
50 il sostantivo greco kenosis deriva dal verbo kenoo che vuol dire<br />
propriamente “svuotare”, “spargere completamente”, “esaurire”. È questo il<br />
termine che un celebre passo della lettera ai filippesi utilizza per alludere al<br />
mistero dell’incarnazione e della morte del figlio di Dio: “egli (cristo Gesù),<br />
essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l’essere uguale a Dio,<br />
ma annientò (ekénosen) se stesso prendendo natura di servo, diventando simile<br />
agli uomini; e apparso in forma umana si umiliò facendosi obbediente fino alla<br />
morte e alla morte di croce” (fil 2,6-8).<br />
51 La soteriologia è l’applicazione dell’intelligenza teologica allo studio della<br />
salvezza (in greco, soterìa).<br />
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buire a Dio tanto una rigida immutabilità quanto una mutabilità alienante.<br />
La verità infatti sta altrove. o meglio, più in profondità. La<br />
kenosi, in quanto “s-vuotamento”, è essenzialmente “spazio vuoto”<br />
ovvero “distanza”. È la distanza tra il Creatore e la creatura. Ma non<br />
solo. È la distanza tra la libertà infinita e la libertà finita così come<br />
essa si è storicamente connotata, ossia col peccato. Il peccato: ecco la<br />
vera e massima distanza tra Dio e l’uomo. È questa distanza, insieme<br />
alla finitezza, che il Figlio di Dio, diventando uomo, abbraccia, o<br />
meglio “sub-abbraccia” 52 . ora Dio, in gesù, può compiere questa<br />
azione senza fingere 53 ma anche senza alienarsi 54 solo se, esprimendoci<br />
ancora metaforicamente, ha già braccia più grandi del peccato.<br />
solo se la distanza posta da questo è compresa in una distanza maggiore<br />
già presente in Dio. solo, cioè, se la kenosi storica è permessa<br />
da una “sovra-kenosi” eterna (Ur-Kenose). Insomma, solo se quanto<br />
accade nella storia ha radici nelle possibilità del meta-storico 55 .<br />
La sovra-kenosi è il concetto più ardito e allo stesso tempo più<br />
originale di tutto il pensiero balthasariano. In che cosa consiste precisamente?<br />
Nell’incessante movimento di totale autodonazione di<br />
ogni Persona della trinità all’altra, realizzato da ciascuna di esse<br />
secondo il proprio specifico modo di relazionarsi alle altre: il Padre<br />
come colui che da sempre genera per un amore senza calcolo; il Fi-<br />
52 “Sub-abbraccio” è la meno inadeguata traduzione italiana del tedesco<br />
Unterfassung, a sua volta riformulazione mistica – Balthasar infatti lo mutua da<br />
a. von Speyr - del concetto, teologicamente assai spinoso, di Stellvertretung<br />
(sostituzione vicaria). cf. nota del traduttore G. Sommavilla in TD5, 263.<br />
53 La finzione (o l’apparenza) è la spiegazione con cui un’eresia dei primi<br />
secoli - il docetismo (dal greco dokein, sembrare) – spiegava la croce di Gesù.<br />
ne derivava che non il figlio di Dio aveva veramente sofferto, ma solo il<br />
corpo di un uomo di nome Gesù (Marcione) oppure qualcun altro al posto suo,<br />
probabilmente Simone di cirene sotto le sembianze del cristo (Basilide). alla<br />
base del docetismo stava l’esigenza di eliminare lo scandalo della croce.<br />
54 L’alienazione come necessità intrinseca di Dio è l’ambiguità della “teologia<br />
del processo” di Withehead, del pensiero dell’Hegel teologo, che ritiene che non<br />
esista Trinità senza dolore, morte e croce e, infine, di Moltmann che entrambi<br />
sembra richiamare. Ora, invece, «la rinuncia alla “forma di Dio” e l’assunzione<br />
della “forma di servo”, con tutte le sue conseguenze, non introducono nella<br />
vita trinitaria di Dio nessuna autoalienazione. Dio è sufficientemente divino per<br />
divenire in un senso vero e non solo apparente, attraverso l’incarnazione, la<br />
morte e la risurrezione, ciò che egli è già da sempre in quanto Dio» (Mp, 185).<br />
55 in altri termini, «è impossibile disgiungere cristologia dinamica e cristologia<br />
ontologica» (Mp, 185), oppure, che è lo stesso, soteriologia e trinitaria.<br />
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glio come colui che da sempre si “autoaccoglie” generato per amore<br />
gratuito e per amore si riconsegna al Padre in un eterno “rendimento<br />
di grazie” (eucharistia) 56 ; lo Spirito Santo come l’Amore stesso di<br />
entrambi che tiene aperta la differenza e le serve da ponte. ora, è<br />
proprio la “differenza” l’essenza dell’amore. È “l’assoluta distanza”<br />
tra le Persone, pur nell’identica natura divina, a permetterne la reciproca<br />
dedizione 57 . Il Padre deve trovare nel Figlio un “Tutt’Altro”<br />
da sé se vuole donarglisi completamente, “svuotarsi” in lui senza<br />
residui. E viceversa. La generazione del Figlio da parte del Padre è<br />
in questo senso – e solo in questo senso 58 - una “sovra-kenosi”: distanza<br />
infinita assoluta, spazio vuoto per un dono d’amore gratuito;<br />
assoluto ed infinito, perché della libertà di Dio qui si tratta. Essa, pertanto,<br />
deve essere quella distanza della quale non è possibile pensare<br />
una maggiore (id quo maius cogitari nequit), proprio come è dell’amore<br />
che la sostanzia. È la “santa distanza” che fonda e abbraccia<br />
dall’eterno ogni altra possibile distanza. Comprese quella buona<br />
rappresentata dalla creazione di una libertà finita e quella malvagia,<br />
eventuale, del peccato che la libertà creata può storicamente porre 59 .<br />
Perciò, unicamente negli “spazi infiniti di libertà” 60 , che configurano<br />
Dio come amore e in cui “è assolutamente bene che esista l’altro” 61 ,<br />
56 il termine “eucaristia” in greco vuol dire appunto “rendimento di grazie”.<br />
57 non bisogna confondere la natura di Dio, per quale vige assoluta<br />
uguaglianza tra le persone della Trinità (consustanzialità), con la modalità<br />
relazionale mediante cui ciascuna di esse la realizza (ipostasi): qui vige<br />
assoluta differenza. infatti, come illustra in modo inarrivabile san Tommaso, in<br />
Dio è proprio la relazione a distinguere ogni persona dall’altra. pertanto, “la<br />
relazione in Dio costituisce una persona quando è opposta e incomunicabile”<br />
(aa. vv., DiZiOnariO TeOLOGicO inTerDiScipLinare, Marietti, Torino<br />
1977, vol. 3, 490).<br />
58 La precisazione serve per ricordare che la trinitaria di Balthasar, tutta<br />
fondata sulla nozione di “libertà”, prende decisamente le distanze dai teologi<br />
tedeschi della kenosi del XiX, i quali ritengono l’essenza di Dio univocamente<br />
kenotica e quindi costretta all’autolimitazione (cf. Mp, 40-43; TD5, 190-191).<br />
59 TL2, 271: “il luogo metafisico-ontologico della creatura è ormai la diastasi<br />
delle persone divine nell’unità della divina natura”. Detto più semplicemente, “la<br />
possibilità della creazione riposa nella realtà della trinità. Un Dio non trinitario<br />
non potrebbe essere creatore” (a. GerKen, Theologie des Wortes, Düsseldorf<br />
1963, 81, cit. in TD5, 53). cf TD4, 337.<br />
60 TD2, 243.<br />
61 TD5, 70.<br />
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risiede la possibilità non solo di una libertà creata gratuitamente<br />
posta, ma anche di una sua peccaminosa distanza e di un suo recupero.<br />
Dove precisamente? Nella generazione e nell’eucaristia eterna<br />
del Figlio, in quella libertà infinita, cioè, che si riceve nella gratuità<br />
e si restituisce nella gratitudine. Infatti, “per mezzo di lui e in vista<br />
di lui tutte le cose sono state create” (Col 1,16) ed “in lui Dio ci ha<br />
scelti prima della creazione del mondo” (Ef, 1,4). Ecco la grande<br />
rivelazione, l’indicativo di salvezza che descrive l’essenziale: la libertà<br />
finita dell’uomo ha la stessa vocazione della libertà infinita del<br />
Figlio. Proviene dall’amore gratuito e nell’amore gratuito si realizza.<br />
L’uomo di per sé è una “creatura eucaristica”.<br />
3.2. La libertà liberata<br />
Se quanto detto è vero, l’amore non è un “dovere”. Non attiene anzitutto<br />
al dominio della morale, ma a quello dell’essere. L’uomo che<br />
non ama non “disobbedisce” a delle regole, fa molto di più: contraddice<br />
la propria natura. Alla luce della “Ur-kenose” trinitaria, quale<br />
immenso flusso d’amore gratuito fondante l’universo, il peccato è<br />
anzitutto “menzogna”. È il “no” della creatura all’amore gratuito da<br />
cui sorge e alla gratitudine cui il suo essere tende. È l’assurda “antieucaristia”<br />
umana, immotivata quanto l’amore cui si oppone 62 . È la<br />
folle volontà di autonomia intesa a non ricevere né a dare. È il suicida<br />
progetto umano di “esistere-per-se-stesso”. Da parte di Dio, tuttavia,<br />
esso è, nella distensione eucaristica del Figlio, un prevedibile<br />
punto di contorsione, al di sopra di cui l’onda dell’amore trinitario è<br />
sempre più avanti 63 .<br />
Qui l’indicativo di salvezza riguardante il “Dio in sé”, per essere<br />
credibile, deve nuovamente confrontarsi e ricalibrarsi con quello riguardante<br />
il “Dio per noi”. Teo-logicamente è il primo a fondare il<br />
62 in questa duplice gratuità (dell’amore e dell’odio) Balthasar individua<br />
addirittura la legge teodrammatica di fondo della storia, secondo cui “il quanto<br />
più della rivelazione dell’amore divino (irrazionale) provoca un quanto più<br />
(irrazionale: Gv 15,25) di odio umano” (TD4,315).<br />
63 cf TD4, 306-307.<br />
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secondo; storicamente è il secondo a rivelare il primo 64 . E il “per noi”<br />
di Dio nella storia si riassume tutto nel triduo pasquale. È un “per<br />
noi” (pro nobis) che non vuol dire solo “a nostro favore”, ma anche<br />
“a causa nostra” (del nostro peccato) e “al posto nostro”. Quest’ultimo<br />
senso dice della morte di Gesù come “sostituzione vicaria” 65 .<br />
solo lui infatti, quale Figlio di Dio fattosi uomo, poteva portare<br />
su di sé la distanza posta rispetto a Dio-amore dalla “carne di peccato”<br />
(caro peccati), abbracciarla e superarla nella distanza infinita<br />
dell’amore trinitario. Attraverso la morte. Perché proprio attraverso<br />
questa? Perché la morte rappresenta per l’uomo “l’insignificante<br />
supremo” 66 contro cui s’infrange la sua peccaminosa tentata autosufficienza,<br />
il culmine del suo dramma storico. Il capolavoro dell’amore<br />
trinitario, in gesù, è fare della morte il vertice del dramma<br />
di Dio (teodramma) vivendo anch’essa in modo eucaristico: come<br />
dono totale di sé. Di modo che la morte, cifra del peccato e massima<br />
distanza da Dio, venga sopravanzata dalla distanza dell’amore obbediente<br />
che si riceve e si restituisce nella gratuità 67 . Un’azione, questa,<br />
che per Dio niente ha del giocoso, benché da sempre contemplata<br />
come possibile. Il Figlio attraversa tutte le lontananze rispetto a Dio<br />
generate dal peccato umano e proiettate sulla morte: morte come li-<br />
64 in realtà tra i due “indicativi” c’è un rimando continuo e sincronico.<br />
ciascuno dei due, per risultare intellegibile, non può mai perdere di vista<br />
l’altro. Teologicamente parlando, si tratta del rapporto tra la cosiddetta Trinità<br />
immanente (Dio in sé) e la Trinità economica (Dio per noi), tema tutt’altro che<br />
scontato e archiviato una volta per tutte (si veda, al riguardo, il dibattito tra<br />
Balthasar e K. rahner in TD3, 148. 468; TD4 298-299).<br />
65 La sostituzione vicaria (Stellvertretung) è la “dura parola” che alcuni<br />
vorrebbero evitare, ma che appare inevitabile a fronte del peso del peccato<br />
nella storia, peso che solo Dio poteva portare e sop-portare per noi (cf iD., La<br />
mia opera ed Epilogo, Milano 1994, 155). ci permettiamo, al riguardo, di<br />
rimandare ad un nostro studio interamente dedicato a questo tema: G. DeLLa<br />
MaLva, L’onnipotente debolezza dell’amore, ed. Stauròs, roma 2007.<br />
66 TD1, 361.<br />
67 È questa “la cosa massima: l’assunzione della morte destinata per colpa<br />
mediante la morte di obbedienza. Solo per questo la morte viene da dentro penetrata<br />
e assunta come da sotto, e le viene strappato il pungiglione” (TD4, 459).<br />
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mite, destino, gettatezza 68 e soprattutto come solitudine 69 , nella quale<br />
la radicale avversione di Dio al peccato è sostitutivamente vissuta da<br />
Gesù come l’insopportabile peso dell’“ira di Dio” 70 , come giudizio<br />
(krisis) 71 , angoscia vicaria e abbandono dell’amatissimo Padre. Fino<br />
alla discesa agl’inferi, laddove “chi ha voluto scegliere per sé l’abbandono<br />
perfetto e, in tal modo, dimostrare la sua assolutezza davanti<br />
a Dio si imbatterebbe nella figura di uno che è abbandonato in<br />
modo più assoluto di lui” 72 . nessuno infatti sa, come il Figlio, cosa<br />
vuol dire vivere nel Padre, riposare nel suo seno, amarlo e servirlo;<br />
nessuno, di conseguenza, come lui, sa cosa significhi esserne abbandonato.<br />
tuttavia, è proprio qui, dove la separazione del Padre e del<br />
Figlio è perfetta, che è resa evidente la loro inseparabilità. L’estremo<br />
allontanamento dal Padre, compiuto dal Figlio sulla croce come libera<br />
obbedienza all’amore senza calcolo che sempre li ha uniti, si<br />
converte nell’ultimo cammino verso di lui, universalmente salvifico.<br />
mentre si distanzia dal Padre per recuperare la libertà umana recal-<br />
68 La gettatezza o deiezione è un costrutto heideggeriano. indica la condizione<br />
dell’uomo buttato dal nulla all’essere, la cui dinamica è insopportabilmente<br />
contraddittoria perché destinata a collidere con la fine del movimento stesso (la<br />
morte). in Gesù invece la deiezione è coerenza perfetta: il suo essere gettato<br />
nell’essere e la sua morte sono entrambi motivati dall’autodedizione.<br />
69 “La solitudine spiega ciò che la morte è attualmente: la conseguenza del<br />
peccato (rm 5,12); cercare ciò che essa altrimenti potrebbe essere è ozioso”<br />
(iD., Cordula. Ovverosia il caso serio dell’amore, Brescia 1968, 34). La morte è<br />
vissuta come un morire via da Dio, un essere da lui abbandonato (cf TD4,174).<br />
Ora, “la morte di Gesù fu la più solitaria di tutte, poiché nessun uomo creato<br />
può essere così abbandonato da Dio come l’eterno figlio del padre fatto uomo”<br />
(iD., La semplicità del cristiano, Jaca Book, Milano 1992, 57).<br />
70 Balthasar recupera il tema dell’ira di Dio, ideologicamente rimosso da una<br />
teologia perbenista come residuo mitico dell’a.T., per riconsegnargli l’unica e<br />
necessaria identità teologica. L’ira di Dio non è opposta al suo amore: ne è,<br />
anzi, l’altra faccia (cf. Mp, 128). “L’ira di Dio è la temperatura del suo amore”<br />
(BarTH M., cit. in TD2, 152). infatti, un Dio che soltanto amasse le sue creature<br />
e non odiasse il male che le distrugge si contraddirebbe (cf TD4, 316). per<br />
questo ha ragione a.J. Hescel quando dice che il pathos in Dio è identico al suo<br />
ethos (cf TD4, 320).<br />
71 La croce è il giudizio definitivo di Dio sul peccato (2 cor 5,21), svelato<br />
nella sua irriducibile incompatibilità con l’amore di Dio e condannato (cf Mp,<br />
109-113; GL7 206). Qui “le linee dell’ira e dell’amore di Dio si toccano perché<br />
l’oggetto della giusta ira di Dio è inserito nell’eterna relazione d’amore trinitario<br />
tra il padre e il figlio” (TD4, 324).<br />
72 TD5, 266-267.<br />
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citrante, il Figlio in realtà gli corre incontro portandogli un uomo<br />
nuovo, una nuova creazione 73 . La croce di gesù rivela così la grande<br />
astuzia dell’amore di Dio: il “no” della creatura è come da sotto afferrato<br />
da un “sì” più radicale e convertito nella forma dell’amore. È<br />
l’evento in cui la morte, già trionfante, ingoia la vita e ne è divorata<br />
dall’interno. Per questo il tramonto del venerdì santo, pur seguito<br />
dalla desolante notte del sabato, irradia già le prime luci dell’alba di<br />
Pasqua 74 .<br />
Chi rende efficace per gli uomini di tutti i tempi questo evento e<br />
permette di annunciarlo fino alla fine della storia come un indicativo<br />
presente? Lo Spirito Santo. Inspirato sul mondo dal Risorto, Egli<br />
– “Spirito della libertà” in cui il Padre e il Figlio da sempre si donano<br />
l’uno all’altro nella sovra-kenosi e divenuto, durante la kenosi<br />
storica del Verbo, lo “Spirito di obbedienza” al Padre – ha il potere<br />
di liberare la libertà finita che si autoincatena nell’angusto “essereper-se-stessa”,<br />
inscrivendola nell’obbediente libertà umano-divina<br />
di Gesù, la quale si realizza invece nell’“essere-per-gli-altri” eucaristico.<br />
E, come per Gesù, anche per i discepoli il “perfetto obbedire”<br />
diventa immediatamente “un essere liberi” 75 . obbedire a Dio,<br />
infatti, significa obbedire all’amore gratuito e obbedire all’amore<br />
gratuito significa obbedire alle esigenze della propria libertà. L’autodedizione<br />
diventa la nuova, sebbene antica e primigenia, vocazione<br />
dell’uomo e, proprio per questo, la sua più intima verità normante.<br />
La libertà finita è e si riscopre “riflesso della libertà infinita liberato<br />
nell’essere solamente gettandosi in seno alla ‘legge’ (trinitaria!) della<br />
libertà assoluta (dell’autodedizione), non come una legge straniera -<br />
73 “perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di<br />
lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce,<br />
cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (col<br />
1,19s). cf ef. 1,10.22s.<br />
74 come abbiamo già rilevato con l’approccio kerygmatico, morte e<br />
resurrezione di Gesù non sono opposte ma entrambe irripetibili manifestazioni<br />
dell’identica onnipotenza dell’amore di Dio. “Qualora si sia compreso che la<br />
kenosi estrema, in quanto è una possibilità nell’amore eterno di Dio, è inglobata<br />
ed assunta da questo amore, risulta anche superata radicalmente l’opposizione<br />
tra una theologia crucis e una theologia gloriae – senza che le due possano<br />
confondersi” (Mp,81. cf. anche Si, 343; Sc, 314-315).<br />
75 cf TD2, 220.<br />
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è appunto la ‘legge’ dell’essere assoluto – ma come nella legge sua<br />
massimamente propria” 76 .<br />
tutto discende da qui: la vita sacramentale, baricentrata sull’asse<br />
battesimo-eucarestia, immersione nell’amore gratuito della croce<br />
e memoriale che lo attualizza “per noi” 77 ; la comunione ecclesiale,<br />
“illimitato vicendevole fare-spazio in sé” dei credenti per “poteressere-per-gli-altri”<br />
78 ; la possibilità di partecipare all’azione vicaria<br />
di gesù, co-assumendo il dolore umano 79 ; persino la disponibilità al<br />
martirio, attestazione suprema che Cristo ha veramente assunto la<br />
morte e l’ha trasformata, da baluardo dell’io autocentrato qual era,<br />
in testimonianza dell’amore eucaristico-trinitario 80 .<br />
conclusioni e nuovi spunti<br />
Riassumiamo il percorso compiuto, indicando al momento opportuno<br />
anche alcuni possibili sentieri che da esso si dipartono, suggestioni<br />
per altri percorsi attraverso questo tema che in sé è inesauribile.<br />
se dovessimo radunare in un’immagine l’intero studio potremmo<br />
dire che le sue tre parti, ciascuna con la propria arte, dipingono l’amore<br />
gratuito come il solo paesaggio che permette la vita umana,<br />
perché è l’unico ad essere sotterraneamente attraversato dal fiume<br />
carsico della libertà. oltre questo salubre territorio, si circoscrive<br />
un ambiente di invivibili contraddizioni. Al di là dei suoi confini, ci<br />
sono solo confini: schiavitù, solitudine, morte. Ora, l’abitante della<br />
“città santa”, che su quelle fertili distese può sorgere, è l’uomo nella<br />
sua interezza, non solo la sua “anima”. La salvezza cristiana si coniuga<br />
come indicativo efficace se riguarda tutto l’essere umano e<br />
non sola una sua parte, per quanto nobile, per quanto eccellente. Ri-<br />
76 TD2, 245-246.<br />
77 cf TD4, 344-377.<br />
78 cf iD., Communio: un programma, in Communio 124 (1992), 55-56;<br />
TD3, 232-233; TD4, 388-392; Mp, 236.<br />
79 cf Mp 123-126; TD4, 360-361; Sc, 342.<br />
80 TD5, 411: “il morire dell’uomo all’interno della forma mortale del cristo,<br />
la sua purificazione nel fuoco dell’amore in croce di cristo ha spezzato […]<br />
l’io dell’uomo egoisticamente centrato su se stesso e l’ha adeguato alla forma<br />
eucaristico-trinitaria”. cf anche TD3, 417; TL3, 198-202; GL7, 360-400.<br />
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guarda anche il corpo. Riguarda anche la psiche. non è una medicina<br />
amara che cura l’anima, lascia forse indifferente il corpo e disgusta la<br />
psiche. o tutto l’uomo è assunto nella redenzione o niente è salvato.<br />
Quod non assumptum non sanatum, dicevano i padri della Chiesa 81 .<br />
Il nostro studio ha voluto sciogliere prima il nodo psicologico,<br />
che in realtà è nascosto in quello kerygmatico, ma va dipanato e attualizzato<br />
alla luce dei saperi moderni e dell’uomo d’oggi. In quella<br />
prospettiva abbiamo sottolineato, in negativo, cosa accadrebbe se<br />
il kerygma fosse detto primariamente ed esclusivamente all’imperativo,<br />
se cioè Dio imponesse l’amore come una “legge” (primo<br />
doppio legame); e se Gesù, anziché quale salvatore, fosse esibito<br />
come “modello morale”, come norma della norma (secondo doppio<br />
legame). Probabilmente - aggiungiamo ora sulla scorta dell’analisi<br />
già affrontata - l’indecidibilità di una tale interazione condurrebbe<br />
molti cristiani contemporanei ad una sorta di “schizofrenia” della<br />
fede, che sarebbe interessante studiare declinata secondo le tre forme<br />
psicopatologiche classiche (paranoia, ebefrenia, catatonia). Come<br />
la vera schizofrenia è un linguaggio comportamentale adeguato ad<br />
un contesto relazionale in cui il soggetto, a motivo del doppio legame,<br />
non sa più in quale posizione si trovi rispetto alle persone<br />
da cui dipende la propria sopravvivenza fisica e/o psicologica, così<br />
ragionevole apparirebbe il comportamento del fedele che, sottoposto<br />
alla sistematica e non fondata ingiunzione divina: “Amami e ama<br />
(come Gesù)”, davanti alla parola di Dio ricercasse costantemente<br />
intenzioni arcane (paranoia) o significati letterali (ebefrenia) o, addirittura,<br />
rinunciasse a comprenderla, opponendovi totale passività<br />
(catatonia stuporosa) o iperattivismo (catatonia agitata). Nell’essere<br />
descritti, tali comportamenti non sembrano poi così distanti da quelli<br />
effettivamente agiti da molti cristiani di oggi. In ogni caso, al di là<br />
di ogni possibile deriva fenomenologica, ciò che conta è la constatazione<br />
generale: l’amore non si può precettare. tanto più se ad essere<br />
prescritto è un amore infinito, come quello di Gesù.<br />
Le sacre scritture, però, conoscono un linguaggio assolutamente<br />
diverso, riflesso dell’infinita sapienza pedagogica di Dio e della<br />
81 La frase è di Gregorio di nazianzo, divenuta poi magisteriale (cf DS 291).<br />
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stessa gratuità con cui egli ama e parla all’uomo. Anzi, con cui la sua<br />
Parola si fa uomo e si comunica alla storia. non è un caso che tutte<br />
le lettere di Paolo offrano sempre all’inizio l’indicativo di salvezza e<br />
solo in seconda battuta l’imperativo morale 82 né che il nucleo storico<br />
originario dei vangeli sia, molto probabilmente, costituito dai racconti<br />
della <strong>Passio</strong>ne di gesù 83 . La forma del kerygma non può contraddire<br />
il suo contenuto. In altre parole, l’annuncio dell’amore gratuito/libero<br />
è esso stesso gratuito e lascia liberi. Non s’impone. Non<br />
può essere oggetto di una legge, Paolo lo sa bene. Perché proprio la<br />
legge ha condotto alla croce. O meglio, non la legge in sé, dono di<br />
Dio, ma il peccato che di essa ha fatto la propria forza, il pungolo per<br />
estorcere all’onnipotente, in nome della giustizia umana, il potere<br />
contro la morte, la vita stessa di Dio. L’amore di Dio rivelato sulla<br />
croce soppianta col suo peso leggero il giogo oneroso della legge e<br />
con essa il fardello dell’impossibile autogiustificazione. L’amore di<br />
Dio non si merita, non si compra. È fuori commercio. È diverso da<br />
ogni altro amore che l’uomo incontra nel mondo, diverso come la<br />
pace che regala 84 . Non è taglieggiato da condizioni, corvées e prestazioni.<br />
non è sottoposto a sanzioni e a rescissioni contrattuali. È<br />
gratuito. Assolutamente gratuito. È questa la “buona notizia” del<br />
vangelo, sconvolgente e consolante. La notizia che il cuore di ogni<br />
uomo, oppresso dai rapporti d’uso sul piano orizzontale-umano e su<br />
quello verticale-religioso, attende da sempre eppure sempre dispera<br />
di ricevere. L’onnipotenza di Dio, disarmata sulla croce, disarma il<br />
mortale sospetto sul disinteresse del suo amore e restituisce gratuità<br />
ai rapporti umani. È l’onnipotente debolezza dell’Amore. spingendosi<br />
“fine-alla-fine” col suo amore, Gesù mostra all’uomo che neppure<br />
lì, nella morte e oltre la morte, c’è una rivalsa di Dio. Che non ci<br />
sono doppi giochi. Che anche lì c’è solo e ancora amore incondizionato,<br />
a fondo perduto. Vita che si spende e che sempre è disposta a<br />
farlo. Per convincere il cuore umano, irretito dalla paura di perdersi,<br />
82 cf aa . v ., DiZiOnariO TeOLOGicO inTerDiScipLinare, Marietti,<br />
v<br />
Torino 1977, 645-658.<br />
83 cf B. MaGGiOni, I racconti evangelici della <strong>Passio</strong>ne, cittadella editrice,<br />
assisi 19952 , 5-11.<br />
84 “vi lascio la pace, vi do la mia pace. non come la dà il mondo io la do<br />
a voi” (Gv 14,27).<br />
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che la vita e non la morte è il progetto di Dio sul mondo 85 . Che la<br />
vita e non la morte avrà l’ultima parola nella storia 86 . E che quanto<br />
l’uomo considera il “frutto proibito” – l’essere simile a Dio - è proprio<br />
ciò che Dio da sempre desidera donargli. “Tutto ciò che è mio è<br />
tuo”, dice Dio ad ogni suo figlio (cf. Lc 15,31). Tutto: la sua sconfinata<br />
eredità, le sue delizie, persino la sua vita. Il destino dell’uomo,<br />
rivelato in gesù, è essere come Dio. non senza di lui, ma con lui.<br />
Non in competizione con l’amore, ma nell’amore. Perché è proprio<br />
di Dio non trattenere nulla per sé, partecipare la propria vita, donarla<br />
sempre, tutta, senza residui.<br />
È qui che il kerygma apre alla più vasta riflessione sistematica.<br />
soprattutto alla teologia trinitaria, laddove il linguaggio balthasariano<br />
sembra dotato di una spiccata originalità espressiva. La kenosi<br />
del Figlio è la finestra aperta nella storia sull’eterna sovra-kenosi trinitaria.<br />
È da essa che ci si può affacciare sul mistero di Dio, quale irragionevolezza<br />
dell’amore, capace di abbracciare anche il mysterium<br />
iniquitatis del peccato, quale irragionevolezza del male. La redenzione<br />
e la stessa creazione si giustificano come atti d’amore gratuito<br />
solo se Dio è amore in se stesso. Solo se la libertà infinita di Dio, da<br />
sempre, si realizza proprio nel dono illimitato di sé e solo se la libertà<br />
finita è creata “a sua immagine” (Gen 1,26s), anch’essa quindi per<br />
l’autodedizione. Amore, insomma, da intendersi non come concetto<br />
romantico o moralistico, ma come il volto di Dio davanti al quale<br />
la creatura umana ha emesso il primo gemito, il tessuto dell’essere,<br />
il codice genetico della libertà divina e, in essa, anche della libertà<br />
creata. In quest’ultima neppure il peccato, storicamente intervenuto,<br />
ha potuto cancellare i lineamenti dell’amore che le è costitutivo. offuscarli<br />
sì, rinnegarli sì, distruggerli mai. La libertà umano-divina<br />
di gesù manifesta il volto di Dio e restituisce all’uomo il suo vero<br />
85 “…Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. egli<br />
infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse<br />
non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra” (Sap 1,13s).<br />
86 “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, lo fece a immagine della<br />
propria natura” (Sap 2,23).<br />
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volto, il suo essere imago Dei. Poiché è lui la vera icona di Dio 87 . Ciò<br />
tuttavia non accade senza dolore: il teodramma fa completamente<br />
suo il dramma umano, generato dal peccato, solo sulla croce. È qui<br />
che storicamente si consuma l’atto finale. La croce è il “caso serio”<br />
dell’amore di Dio. Amore più forte di tutto, radicale quanto la vita.<br />
La gratuità dell’Amore: ecco l’indicativo sorgivo di ogni altro<br />
annuncio di salvezza. Amore gratuito quanto la bellezza, la quale si<br />
concede non per un fine estrinseco, ma per se stessa. Senza neppure<br />
la pretesa di essere accolta. si dà e basta. Inutilmente. Come del resto<br />
tutto in Dio, dalla creazione alla croce. Tutto senza un “utile”, senza<br />
un tornaconto. Un vero e proprio spreco. Come quel vaso di alabastro<br />
colmo di nardo assai prezioso, frantumato per cospargere il capo<br />
e i piedi di gesù, ormai prossimo alla morte (cf. Mt 26, 6-13; Gv<br />
12, 1-8). Dissipato per amore. tale è la natura di Dio, mostrata dal<br />
Figlio fatto uomo: essere costantemente “profuso”, eucaristicamente<br />
versato, da sempre e per sempre “per noi” (pro nobis), senza ragione<br />
da parte sua né merito da parte nostra 88 . L’amore, quale bonus odor<br />
<strong>Christi</strong>, pervade la creazione e tutta la storia: di esse ne è il senso e<br />
la bellezza. Perché, appunto, questo è anzitutto Dio. Bellezza 89 . Egli<br />
infatti non ci ama per renderci buoni: la nostra bontà sarebbe il suo<br />
guadagno. Egli non ci ama quale schiacciante verità perché gli crediamo:<br />
la nostra soggezione sarebbe il suo potere. Egli ci ama perché<br />
è bellezza assoluta, senza condizioni né restrizioni. Senza condizioni,<br />
perché si dà al di là di ogni ragione e di ogni calcolo, unicamente<br />
per essere contemplata e goduta. E senza restrizioni, perché si consegna<br />
tanto ai “buoni” quanto ai “cattivi” (cf. Mt 5,45), esponendo<br />
87 “egli è immagine (eikòn) del Dio invisibile, generato prima di ogni<br />
creatura” (col 1,15). in von Balthasar, le nozioni di “figura” (Gestalt) e di<br />
“espressione” (Ausdruck) intendono tradurre proprio questo aspetto biblico e<br />
teologico (cf GL1, 393-642; vc, 25-27; TL2, 229-234).<br />
88 cf Si, 192; TD5, 226.<br />
89 contro tutta una lunga tradizione filosofica, Balthasar ritiene che a guidare<br />
la gerarchia dei trascendentali non sia il verum o il bonum ma il pulchrum,<br />
perché meglio degli altri dice della gratuità dell’essere e dell’amore, il quale è il<br />
“trascendentale in assoluto” (cf TL2, 152-153). ecco perché la sua monumentale<br />
trilogia si apre con i sette volumi della Teo-estetica sulla bellezza, cui seguono i<br />
cinque volumi della Teo-drammatica sulla bontà e, infine, i tre volumi della Teologica<br />
sulla verità.<br />
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se stessa anche alla tragica possibilità di essere rifiutata, sfregiata,<br />
deformata. Questa è la ragione senza ragioni per cui “il più bello tra<br />
i figli dell’uomo” (Sal 45,3) può giungere sulla croce a sfigurarsi in<br />
“colui che non ha apparenza né bellezza” (Is 53,2), verme e rifiuto<br />
degli uomini (cf. Sal 22,7). Tuttavia, è proprio assumendo la “forma<br />
deforme” del rifiuto (il peccato) che il crocifisso diventa l’epifania<br />
storica della “sovra-forma” trinitaria 90 . La quale consiste unicamente<br />
di gratuità assoluta, di amore supremo. Ecco perché la bellezza ha<br />
salvato il mondo e sempre lo salverà.<br />
Qual è dunque l’identità della morale cristiana? Quella d’essere<br />
una risposta d’amore ad una Parola d’amore che da sempre, costantemente,<br />
la precede. Come tale imprescrivibile al di fuori di questa<br />
relazione dialogica (aspetto psicologico), storica (aspetto kerygmatico)<br />
e meta-storica (aspetto teologico). È la relazione con Dio – e<br />
con Dio quale relazione trinitaria – a fondare la specifica morale<br />
cristiana. Questa è obbligante non perché si riferisce allo ius di un<br />
Dio potenzialmente capriccioso e arbitrario 91 , ma perché inerisce<br />
all’essere stesso, di Dio anzitutto e, in lui, dell’uomo: agere sequitur<br />
esse. L’indicativo che narra di quest’essere, a partire dal suo agire<br />
storico, contiene già in se stesso l’imperativo: per questo è prioritario<br />
e vincolante. In questo senso, e non certo in termini giuridicopenali,<br />
Paolo parla di “legge di Cristo” (Gal 6,2; 1Cor 9,21) che è<br />
poi la “legge dello Spirito” (Rm 8,2): essa non sopprime la “legge<br />
naturale” ma la illumina e la esalta, perché come questa riassumi-<br />
90 cf iD., La mia opera ed Epilogo, o.c, 127-128; GL7, 81. 292; GL1, 400.<br />
428. È il tema del Christus deformis introdotto da sant’agostino ed ampliato poi<br />
da san Bonaventura: cf GL2, 319.<br />
91 a simili conclusioni porterebbe una morale come quella nominalistica di<br />
Guglielmo d’Ockham, per il quale “è bene ciò che la volontà positiva di Dio<br />
determina caso per caso e non per l’essenza di ciò che si compie”, giacché<br />
“la fonte del bene morale è l’obbligazione divina, non la razionalità intrinseca<br />
della cosa comandata. Quindi il bene è ciò che è liberamente imposto da<br />
Dio come legge. esso è indipendente dai valori morali e dalla natura umana,<br />
ritenuti astrazioni inesistenti. […] il bene morale non coincide neppure con Dio,<br />
il quale è amorale” (B.f. piGHin, I fondamenti della morale cristiana, eDB,<br />
Bologna 2003, 49-52). ad una simile morale non si può rispondere che con un<br />
volontarismo estremo.<br />
psicologia e teologia<br />
Quando<br />
l’amore è legge<br />
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Giuseppe Della Malva<br />
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psicologia e teologia<br />
bile nell’agape (amore gratuito) che regge il mondo 92 . Contravvenire<br />
alla morale cristiana, pertanto, non è anzitutto trasgredire dei comandamenti,<br />
ma rinnegare la relazione fondante la realtà. È ingannare<br />
se stessi. Perché questo è infatti, alla radice, il peccato: menzogna.<br />
Bugia esistenziale. Het, come lo definisce il più delle volte l’Antico<br />
testamento, ossia bersaglio mancato, debolezza dell’arco che<br />
fiacca il volo della freccia 93 . Fallimento. non senso. solitudine che<br />
estranea da Dio, dagli altri e da se stessi.<br />
Il rapporto tra indicativo di salvezza e imperativo riguarda, in sostanza,<br />
la fondazione della morale cristiana. Questa, che si riassume<br />
nel duplice comandamento dell’amore (ama Dio e il prossimo), non<br />
può erigersi su una forma di eteronomia, intesa come imposizione<br />
esterna: essa nulla avrebbe a che fare con la libertà dei figli di Dio<br />
né sarebbe rispettosa della psiche umana. Ma neppure può fondarsi<br />
su un’autonomia intesa come autosufficienza: questa sorge laddove<br />
la libertà finita confonde la possibilità, conferitale da Dio, di poter<br />
disporre di se stessa (autoexusia) con l’autopossesso (autarchia) e<br />
laddove sovverte il proprio “essere da Dio” e “per Dio” in un “essere<br />
per se stessa”. È la logica perversa dell’autogiustificazione, dell’inane<br />
tentativo umano di autosalvezza (autosoteria), della disperata<br />
lotta contro la morte e il limite creaturale. La morale cristiana scaturisce,<br />
piuttosto, da un’autonomia intesa come teonomia o, che è<br />
lo stesso, da un’autonomia teonomica 94 . È infatti l’identità di Dio,<br />
teologicamente desunta a partire dalla croce-eucaristia del Figlio, a<br />
rivelare alla creatura il suo “doversi” all’amore – in questo senso<br />
la gratitudine (eucharistia) è un dovere dell’essere - e la sua “chiamata”<br />
all’amore. Per questo Cristo «proprio rivelando il mistero del<br />
Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e<br />
92 cf B.f. piGHin, I fondamenti della morale cristiana, op. cit. 225-246.<br />
93 il termine het nell’a.T. esprime l’aspetto oggettivo del peccato ed è<br />
il più utilizzato (circa 600 volte). i termini peshà e awòn che sottolineano,<br />
invece, l’aspetto relazionale (il primo) e quello soggettivo (il secondo) sono<br />
rispettivamente usati circa 90 e 230 volte (cf B.f. piGHin, I fondamenti della<br />
morale cristiana, o.c. 275-276).<br />
94 cf B.f. piGHin, I fondamenti della morale cristiana, o.c, 97-107.<br />
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gli manifesta la sua altissima vocazione» 95 . non si tratta però solo di<br />
rivelazione, ma anche di redenzione. La Parola incarnata è l’Azione<br />
di Dio nella storia. Dio mentre dice fa. mentre rivela che l’uomo è<br />
amato lo ama e mentre lo ama lo abilita all’amore.<br />
Giuseppe Della Malva<br />
judemaje@live.it<br />
95 cOnciLiO vaTicanO ii, Gaudium et Spes, Costituzione pastorale sulla<br />
Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 22.<br />
psicologia e teologia<br />
Quando<br />
l’amore è legge<br />
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Giuseppe Della Malva<br />
SapCr XXVII<br />
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psicologia e teologia<br />
ItA<br />
Quando l’amore è legge. Il rapporto tra l’indicativo di salvezza<br />
e l’imperativo morale<br />
di giuseppe Della malva<br />
Da dove nasce il linguaggio? È il frutto felicemente incoerente<br />
di un universo caotico (Monod) maturato nell’ab-errante giardino<br />
umano o è “la casa dell’Essere” (Heidegger)? Nel primo caso, tutto<br />
è caso e niente ha senso. nel secondo, niente è caso e tutto ha senso,<br />
giacché ogni cosa è epifania. L’universo è logos del Logos. Qui è rinvenibile<br />
il legame ontologico, non puramente disciplinare, tra psicologia<br />
e teo-logia. A patto però che si ravvisi in entrambe un genitivo<br />
soggettivo: la parola che è psiche, la Parola che è Dio. non appare<br />
la massima incoerenza, allora, che il Verbo di Dio si sia “detto” in<br />
modo umano. La ricerca speculativa qui sembra vedere solo ancora<br />
l’alba. ma valga, il presente studio, ad accennare che se il linguaggio<br />
ha a che fare col senso dell’Essere, allora esso è già mondo etico.<br />
L’etica non vi si aggiunge dall’esterno o alla fine per decreto. Senza<br />
gratuità, cuore della morale cristiana, le parole e la Parola sono impronunciabili.<br />
nella gratuità dell’amore, invece, la parola incontra<br />
la Parola della Croce. E questo indicativo precede, contiene e supera<br />
ogni imperativo.<br />
Quand l’amour est loi. Le rapport entre l’indicatif du<br />
fRA<br />
salut et l’impératif moral.<br />
de giuseppe della malva<br />
D’où naît le langage ? Est-il le fruit heureusement incohérent<br />
d’un univers chaotique (Monod) mûri dans l’ab-errant jardin humain<br />
ou est-il « la maison de l’Etre » (Heidegger) ? Dans le premier cas,<br />
tout est hasard et rien n’a de sens. Dans le second, rien n’est hasard et<br />
tout a sens, puisque toute chose est épiphanie. L’univers est logos du<br />
Logos. on trouve ici le lien ontologique, non purement disciplinaire,<br />
entre psy-chologie et Théo-logie. A condition cependant que se place<br />
entre les deux un génitif subjectif: la parole qui est psyché, la Parole<br />
qui est Dieu. Alors il ne semble pas la plus grande incohérence que<br />
le Verbe de Dieu se soit «dit» d’une façon humaine. La recherche<br />
spéculative ici semble ne voir encore que l’aube. Mais, le présent<br />
article, tend à indiquer le fait que si le langage concerne le sens de<br />
l’Etre, alors il est déjà monde éthique. L’éthique ne s’ajoute pas de<br />
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l’extérieur ni ne s’impose par décret. Sans gratuité, cœur de la morale<br />
chrétienne, les paroles et la Parole sont imprononçables. Dans la<br />
gratuité de l’amour, la parole rencontre la Parole de la Croix. Et cet<br />
indicatif précède, contient et dépasse tout impératif.<br />
When Love is Law. The Relationship between the Indica-<br />
EnG<br />
tive of Salvation and the Moral Imperative<br />
by giuseppe Della malva<br />
Where is language born? It is the happy and incoherent result of<br />
a chaotic universe (Monod) matured in the aberrant human garden<br />
or “the house of Being” (Heidegger)? In the first case, everything is<br />
random and nothing makes sense. In the second, however, nothing is<br />
random and everything makes sense because everything is epiphany.<br />
The universe is the logos of the Logos. Here we find the ontological,<br />
but not purely disciplinary, bond between psychology and theology.<br />
Provided, however, that both have a subjective genitive, that<br />
is, the word is psyche, the Word which is god. It is not the greatest<br />
incoherence then that the Word of God is “said” in a human way.<br />
Speculative research here seems to be just watching the dawn at this<br />
point. Yet, it is worth the present study in order to mention that if<br />
the language has to do with the sense of Being, then it is already an<br />
ethical world. Ethics is not added on from outside or at the end by<br />
decree. Without gratuity, the heart of <strong>Christi</strong>an morality, the words,<br />
and the Word are unpronounceable. In the gratuity of love, however,<br />
the word meets the Word of the Cross. this guidance precedes, contains,<br />
and surpasses all imperative.<br />
SPA<br />
Cuando el amor es ley. La relación entre el indicativo de<br />
salvación y el imperativo moral<br />
de giuseppe Della malva<br />
¿De dónde nace el lenguaje?. ¿Es el fruto felizmente incoherente<br />
de un universo caótico (Monod) madurado en el ab-errante jardín<br />
humano, o es la “casa del Ser” (Heidegger)?. En el primer caso, todo<br />
es casualidad y nada tiene sentido. En el segundo, nada es casualidad<br />
y todo tiene sentido, ya que cada cosa es epifanía. El universo es<br />
logos del Logos. Aquí recuperamos la unión ontológica, no sólo<br />
psicologia e teologia<br />
Quando<br />
l’amore è legge<br />
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psicologia e teologia<br />
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Giuseppe Della Malva<br />
SapCr XXVII<br />
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psicologia e teologia<br />
disciplinar, entre psico-logía y teo-logía. Acordando, no obstante,<br />
que se revise entre ambos un genitivo sujetivo: la palabra que es<br />
psique, la Palabra que es Dios. no parece descabellado entonces que<br />
el Verbo de Dios sea “dicho” en manera humana. La búsqueda especulativa<br />
parece ver solo ahora el alba. Pero, sirva el presente estudio,<br />
para señalar que si el lenguage tiene algo que ver con el sentido del<br />
Ser, entonces eso es ya mundo ético. La ética no se agrega desde el<br />
exterior o al final por decreto. Sin gratuidad, corazón de la moral cristiana,<br />
las palabras y la Palabra son impronunciables. En la gratuidad<br />
del amor, sin embargo, la palabra encuentra a la Palabra de la Cruz.<br />
Y este indicativo precede, contiene y supera a todo imperativo.<br />
Kiedy miłość jest prawem. Relacja między trybem oznaj-<br />
Pol<br />
mującym zbawienia a trybem rozkazującym moralności.<br />
giuseppe Della malva<br />
Z czego rodzi się język? Jest niespójnym na szczęście owocem<br />
chaotycznego universum (Monod) dojrzałym w sprowadzającym<br />
na manowce ogrodzi ludzkim, czy jest „domostwem bycia” (Heidegger)?<br />
W pierwszym przypadku wszystko jest przypadkowe i nic<br />
nie ma sensu. W drugim – nic nie jest przypadkiem i wszystko ma<br />
sens, a co więcej, wszystko jest epifanią. Wszechświat jest logosem<br />
Logosu. Tu wyłania się więź ontologiczna, nie tylko dyscyplinarna,<br />
między psycho-logia a Teo-logią. Jednak pod warunkiem, że w<br />
obydwóch dostrzeżemy genetiwus podmiotowy: słowo jest psyche,<br />
Słowo jest Bogiem. Nie jest więc w najwyższym stopniu niespójne,<br />
ze Słowo Boże wypowiedziało się na ludzki sposób. Badania spekulatywne<br />
są w tej dziedzinie dopiero w fazie początkowej. Artykuł ten<br />
ma jednak swoją wagę, bowiem podkreśla, że język ma coś wspólnego<br />
z sensem bycia, a więc jest bardzo etyczny. Etyka nie dołącza<br />
się z zewnątrz, albo na końcu, na mocy prawa. Bez bezinteresowności,<br />
serca moralności chrześcijańskiej, nie da się wypowiedzieć<br />
słów ani Słowa. W bezinteresowności miłowania natomiast słowo<br />
spotyka Słowo Krzyża. I ten tryb oznajmujący poprzedza, zawiera<br />
w sobie i przekracza wszelki tryb rozkazujący.<br />
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Premesse.<br />
TiTO paOLO Zecca cp<br />
1. È celebre il detto del secondo<br />
papa avignonese, giovanni<br />
XXII (+ 1334), non molto<br />
simpatico a Dante Alighieri che,<br />
per il suo fiscalismo, nella Divina<br />
Commedia lo pose all’inferno.<br />
Questo papa, dunque, diceva:<br />
“Datemi un Frate Predicatore che<br />
osservi la sua Regola fino allo<br />
jota, e io lo canonizzo senza che vi sia bisogno di altro miracolo” 1 .<br />
L’osservanza della Regola, dunque, almeno dal medioevo in poi, è<br />
1 cf U. TOMareLLi, San Vincenzo Ferreri apostolo e taumaturgo, ed.<br />
Studio Domenicano, Bologna, 2005, p. 257. Questo papa,incrementò<br />
il fiscalismo del predecessore, clemente v, scomunicava con molta facilità<br />
si diceva, per poi concedere l’assoluzione in cambio di denaro; accumulò<br />
beni per 25 milioni di fiorini d’oro, persuaso che la fede doveva risplendere<br />
per magnificenza e grandezza. Dante ne parla nel Xviii canto del paradiso,<br />
al verso 100°. aveva un’idea della chiesa come un’istituzione che doveva<br />
essere per sua natura ricca per dimostrare lo splendore della fede. Quindi la<br />
sua amministrazione fu caratterizzata da politiche economiche che gli hanno<br />
attribuito l’appellativo di “papa banchiere”; il papato visse un momento di<br />
grande arricchimento che gli permise di costruire molti nuovi palazzi e chiese<br />
per tutta europa ma soprattutto in francia. fu anche un amante dell’arte e<br />
chiamò ad avignone artisti allora rinomati; per la sua concezione di chiesa<br />
ricca fece rappresentare cristo in croce sempre con un sacchetto di monete<br />
al fianco per dimostrare che anche in questo Gesù avrebbe potuto essere<br />
superiore.<br />
spiritualità<br />
la congrEgazionE<br />
tra Passato E<br />
futuro: fEcondità<br />
dElla rEgola<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
325-356<br />
325<br />
spiritualità<br />
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spiritualità<br />
TiTo Paolo Zecca cP<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
326<br />
spiritualità<br />
stata vista come paradigma aureo non solo di santità ma della santità<br />
canonizzata, proponibile ai fedeli di tutta la chiesa, senza ulteriori<br />
verifiche della somiglianza del fedele osservante della regola al vangelo<br />
di gesù. Anzi, secondo il movimento francescano: la Regola<br />
era il Vangelo come il Vangelo era la Regola, senza soluzione di<br />
continuità tra i due riferimenti per il comportamento virtuoso, santo,<br />
del religioso. Il religioso osservante della regola era dunque un santo<br />
perché uomo evangelico; un santo religioso non poteva non osservare<br />
fino allo jota il dettato della Regola, perché essa era il Vangelo<br />
attualizzato nella sua vita e nel suo ordine.<br />
2. Tra la fine del secolo XII e l’ultimo terzo del secolo XIII, scrive<br />
il Vauchez 2 , l’esperienza dell’umiliazione volontaria della povertà<br />
evangelica costituì, per il papato, la via regia della perfezione cristiana.<br />
La carità verso il prossimo si esplicava soprattutto nell’assistenza<br />
ai poveri e nello zelo apostolico per la salvezza delle anime.<br />
3. Venendo più vicino alla nostra epoca. Il santo, secondo le<br />
norme settecentesche di Benedetto XIV, Lambertini (De servorum<br />
Dei beatificationem…) reputato “Il maestro” per antonomasia dei<br />
postulatori fino ai nostri giorni, è un essere eccezionale che possiede<br />
nel più alto grado tutte le perfezioni (le virtù eroiche) e agisce sotto<br />
la sola mozione della Grazia (doni dello Spirito Santo). Viene così<br />
eliminato il contatto con il mondo, riducendo la santità al combattimento<br />
interiore.<br />
4. solo nel 1916, con un altro papa Benedetto, il XV della serie,<br />
si vede apparire una formulazione veramente nuova del concetto di<br />
santità e di santo. Ci riferiamo a quanto il papa dice del venerabile<br />
fra’ giovanni Battista di Borgogna, francescano riformato 3 . Bene-<br />
2 cf a. vaUcHeZ, Santità, in Dizistitperf., 8, 860.<br />
3 nato nel 1700, francescano nel 1719 a ponticelli in Sabina; morto a napoli<br />
nel 1726, ad appena un anno dalla sua ordinazione sacerdotale; sepolto nella<br />
chiesa di san Bonaventura al palatino. La sua vita claustrale, oltremodo semplice<br />
e edificante, si può riassumere in queste poche parole: fedeltà ai santi voti, alla<br />
vita comune, alle costituzioni e a tutte le altre obbligazioni anche minime. fu<br />
così illibata la sua purezza che era comunemente ritenuto un “angelo in carne”;<br />
così pronta la sua obbedienza, da prevenire i comandi e soddisfare i desideri<br />
dei superiori; così perfetta la sua povertà, da vivere totalmente distaccato da<br />
ogni cosa. riferendosi al giudizio di Dio su quest’ultima virtù, diceva: “io non<br />
ho timore, perché non ho cosa alcuna oltre di quello che concede la regola, e<br />
quest’immagine di Gesù crocifisso e di Maria immacolata” (due immagini<br />
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detto XV, nel dichiarare eroiche le sue virtù,lo presentò come un<br />
modello di “perfetta imitabilità”, confermando il principio che “la<br />
santità consiste propriamente nella sola conformità al divino volere,<br />
in un compimento costante e preciso dei doveri del proprio stato” 4 .<br />
Questo venerabile francescano, sembra essere il prototipo di tanti<br />
passionisti morti in concetto di santità, nei quali l’eroicità delle virtù<br />
si è consumata nella fatica quotidiana del vivere la comunità e nel<br />
servirla secondo le disposizioni concrete della divina volontà, con<br />
una profonda vita interiore che non avrebbe scontentato il concetto<br />
di santità eroica caro a papa Lambertini.<br />
1. le tre dimensioni<br />
delle regole<br />
gli studiosi<br />
delle Regole<br />
monastiche e<br />
conventuali classiche<br />
dividono le stesse<br />
in due grandi filoni,<br />
entro i quali però, le influenze, dipendenze, starei per dire “contaminazioni”<br />
sono frequentissime. Sintetizzo per sommi capi questo<br />
straordinario capitolo della storia della Chiesa rappresentato dai<br />
movimenti della vita consacrata cristallizzati nella massima parte<br />
nelle Regole e costituzioni (o come dir si voglia con altri termini,<br />
tipo Institutiones, Codex, Magna Charta, Charta caritatis, ecc.)<br />
senza trascurare, ma sembra una eccezione, quella “regola di vita<br />
monastica in forma narrativa”, a detta di san Gregorio Nazianzeno,<br />
che è rappresentata dalla Vita Antonii di sant’Atanasio. E qui si<br />
aprirebbe una parentesi molto interessante sulla importanza delle<br />
agiografie come “regola di vita monastica in forma narrativa” che<br />
di carta che lui stesso aveva applicate sul diritto e sul tergo di una crocetta di<br />
legno). illimitato era, inoltre, il suo abbandono alla volontà divina nella malattia<br />
e in ogni altra tribolazione, e quasi continuo il parlare delle cose celesti. in tal<br />
modo riuscì a valorizzare al massimo grado le azioni ordinarie con una vita<br />
interiore particolarmente intensa, confortato da un abituale spirito di preghiera:<br />
“nella santa orazione – soleva ripetere – trovo ogni mia consolazione, ogni<br />
pascolo spirituale, ogni mio riposo”.<br />
4 per una scheda biografica cfr. S. GOri, Venerabile Giovanni Battista da<br />
Borgogna, religioso, in sito web: Santi e beati, alla voce.<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
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spiritualità<br />
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spiritualità<br />
TiTo Paolo Zecca cP<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
328<br />
spiritualità<br />
se non hanno goduto della cogenza canonica delle Regole, hanno<br />
influenzato, e in misura non mediocre, il comportamento virtuoso<br />
di innumerevoli generazioni di persone consacrate e non. A volte<br />
sono state le uniche fonti storiche di una istituzione a cui i suoi<br />
membri hanno attinto per modellare la loro vita su comportamenti<br />
virtuosi, anzi santi.<br />
a) Un primo filone, dunque, è quello rappresentato dalle Regole<br />
che pongono l’accento sulla dimensione verticale della vita religiosa,<br />
mettendo quasi ai margini la vita comunitaria e le sue implicanze,<br />
privilegiando il rapporto con Dio, in modo da conseguire la divina<br />
trasformazione vivendo davanti a Colui che è celebrato incessantemente<br />
come “Tu solus Sanctus, tu solus Dominus, tu solus Altissimus”.<br />
Il monaco di questo tipo di Regola cerca soprattutto la santità<br />
individuale. Il monastero è una schola dove si impara a seguire<br />
Cristo e a vivere sotto il suo influsso salvifico. Dio-abate-monaco: è<br />
il trinomio della vita monastica tradizionale. ma il mirabile capitolo<br />
72 della regola di san Benedetto pone anche l’accento sulla carità<br />
fraterna, manifestata nella tolleranza, nel servizio, nell’obbedienza<br />
reciproca e nell’amore rispettoso. tra le innumerevoli Regole monastiche<br />
che si potrebbero citare, quella Benedettina sintetizza in modo<br />
quasi insuperabile questa dimensione verticale della vita consacrata<br />
“ben temperata”.<br />
b) Il secondo filone è rappresentato da quelle regole che privilegiano<br />
la dimensione orizzontale: la sequela di Cristo vissuta<br />
con un forte accento comunitario, imitando il Cristo povero e crocifisso,<br />
sottolineando l’humanitas del Cristo e la fraternità (koinonia),<br />
la mitezza dei rapporti, come elemento imprescindibile per<br />
il conseguimento della perfezione evangelica. Il monastero o convento<br />
viene visto come una piccola chiesa dove si impara ad essere<br />
membri affettivi ed effettivi della Chiesa di Cristo. Passando dalla<br />
sequela all’imitazione, dalla conformazione alla trasformazione in<br />
Dio, per – in – con - Cristo. È la Regola francescana che rappresenta<br />
in modo tutto particolare questa imitazione del Cristo povero e crocifisso.<br />
Seguire nudi il Cristo nudo sulla vita della croce (nudus<br />
nudum Christum sequi). Con una fortissima spinta all’annuncio<br />
evangelico, espressa in tutte le sue forme: da quella semplice del<br />
buon esempio, alla evangelizzazione missionaria estremamente zelante<br />
ed inventiva nel campo apostolico. È il filone degli “homines<br />
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de poenitentia” che praticano un duro ascetismo eremitico e/o conventuale<br />
non fine a se stesso (per la propria santificazione), ma in<br />
vista dell’annuncio della conversione tramite la parola della croce.<br />
Annuncio espresso molto spesso in forme penitenziali estreme, al<br />
limite del fanatismo, che trascinava masse di penitenti che a loro<br />
volta diventavano predicatori e propagatori delle stesse forme e<br />
pratiche penitenziali 5 .<br />
c) C’è anche un’altra corrente ispirazionale la vita consacrata, e<br />
si tratta di quella che pone una attenzione tutta particolare al servizio<br />
dei poveri. sono le congregazioni dedite al servizio della carità<br />
espressa in tutte le sue forme: accoglienza e aiuto agli orfani,<br />
alle ragazze “pericolanti”, ai malati, ai carcerati, insomma a tutte<br />
le categorie sociali a rischio; gli istituti di educazione, soprattutto<br />
delle classi meno abbienti. Congregazioni che hanno avuto una straordinaria<br />
fioritura soprattutto nell’Otto-Novecento, con importanti e<br />
incisive anticipazioni già nel sei-settecento. Per rifarci allo schema<br />
verticale-orizzontale, questo terzo filone di vita consacrata (e relative<br />
norme costituzionali) potrebbe essere descritto con un andamento<br />
sinusoidale, che cerca di recepire la dimensione verticale e quella<br />
orizzontale di cui sopra in una sintesi di vita e di servizio caritativoapostolico<br />
ad ampio spettro.<br />
In questo contesto, descritto per linee forzatamente sommarie e<br />
semplificate, come/dove si situa la nostra Regola? Forse in quella<br />
che in termini ignaziani si potrebbe chiamare Formula instituti, da<br />
cui procede la forma vitae passionista e conseguentemente le applicazioni<br />
normative che si sono accumulate lungo quasi tre secoli di<br />
storia (Costituzioni antiche e rinnovate, i regolamenti e tutte le altre<br />
direttive, consuetudini, ecc.).<br />
5 cf i. MaGLi, Gli uomini della penitenza, franco Muzzio editore, padova<br />
1995.<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
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spiritualità<br />
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SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
330<br />
spiritualità<br />
2.“i poveri di gesù”:<br />
l’alba incompiuta di<br />
un titolo pauperistico.<br />
sappiamo che<br />
Paolo Dànei,<br />
nel redigere la<br />
Regola elaborò subito<br />
il titulus della nuova<br />
aggregazione: I Poveri<br />
di Gesù. È una<br />
denominazione che non trova nessun riscontro, sembra, nella storia<br />
della vita consacrata, dove troviamo altri riferimenti, come Povere o<br />
Poveri con un genitivo denominativo legato a una città o a un tema<br />
devozionale 6 ; ma nessuno ha mai adottato la denominazione di Poveri<br />
di Gesù.<br />
Paolo nelle lettere del primo periodo successivo alla vestizione<br />
eremitica, si firma come Paolo Francesco Minimo Povero di Gesù,<br />
oppure Minimo Servo dei Poveri di Gesù, poi si firma Eremita, senza<br />
nessuna specificazione, in seguito, nel 1727 si firma solo Paolo Francesco,<br />
o Paolo Francesco Daneo, poi Paolo Francesco della santa<br />
Croce di Gesù (siamo nel 1730), poi Paolo Francesco Daneo della<br />
S. Croce, missionario (nel 1734) e Missionario apostolico dal 1738;<br />
ed anche firma Minimo chierico Regolare Scalzo, a volte Paolo della<br />
S. Croce e poi Paolo della Croce dalla fine degli anni 30 e in modo<br />
definitivo, nel 1741 con l’approvazione benedettina della Regola:<br />
Paolo della Croce.<br />
Egli abbandona il titulus di Poveri di Gesù, che pure sembrava<br />
parte integrante del primo motivo ispirazionale, per adottare quello<br />
molto più giuridico-canonico e anche piuttosto prolisso: “Congregazione<br />
dei Chierici scalzi della ss. Croce e <strong>Passio</strong>ne di nostro signor<br />
Gesù Cristo”, che egli stesso nelle intestazioni e firme spesso riduce<br />
o semplifica.<br />
6 cf Dizionario degli Istituti di Perfezione (in seguito Dip), vol.7, ci sono circa<br />
30 ordini o congregazioni femminili cha hanno come aggettivo qualificativo<br />
il termine povere; e circa 8 congregazioni o movimenti maschili che hanno<br />
adottato quello di poveri. alcuni di essi, che in verità avevano più il taglio<br />
di un movimento che di ordo religiosus come i poveri di Lione, ecc., hanno<br />
avuto vita effimera o si sono estinti da secoli, spesso accusati di pauperismo,di<br />
anticurialismo e spesso persi nella deriva ereticale.<br />
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nulla ci viene detto dell’abbandono del titulus “Poveri di Gesù”,<br />
né da Paolo, né dal Cioni, il primo storico della congregazione, né<br />
dallo strambi. neppure, mi sembra, i moderni studiosi di cose paulocruciane<br />
si sono dilungati a spiegare l’abbandono di questo titulus;<br />
neppure ci viene spiegato come avesse pensato allo stesso. nelle<br />
locuzioni precedenti alla vestizione e al ritiro di Castellazzo non si<br />
fa assolutamente cenno a questa denominazione. Compare nella stesura<br />
delle “Regole” come d’incanto e qualche anno dopo scompare<br />
perfino dalla firma del Fondatore.<br />
“Adunar compagni”: non era solo una aspirazione utopistica ma<br />
tale desiderio aveva un preciso riscontro nel giro delle amicizie spirituali<br />
che ruotava attorno a Paolo Dànei, primo fra tutti, il fratello<br />
giovanni Battista. nelle carte originali provenienti da Castellazzo,<br />
e poi distrutte da Paolo stesso, sappiamo che c’era un bel gruppo di<br />
giovani, chierici e laici, pronti a seguire i due fratelli, per intraprendere<br />
la loro vita penitenziale. Quindi l’ispirazione della nuova famiglia<br />
religiosa non è di tipo eremitico ma cenobitico. Questo gruppo<br />
era seguito da un padre cappuccino ed alcuni di questi giovani, a<br />
detta dello stesso direttore, erano più fervorosi di Paolo stesso 7 .<br />
3. la “regola” di castellazzo<br />
e il carisma di fondazione.<br />
a) delle scarsis-<br />
Quello che<br />
leggiamo<br />
sime note della Regola<br />
del 1720-21 è<br />
come una nebulosa<br />
informe, che poi ha il suo big-bang che genera e sviluppa un corpus<br />
ben definito di norme che categorializzano l’ispirazione fondante.<br />
Diventa così essa una realtà definita, fondata, stabilita.<br />
A fatica ci si distacca da queste fonti primitive della congregazione<br />
e della sua avventura nella storia della santità; sono, come<br />
7 Qualche anno fa c’è stato un certo revival di questo preteso eremitismo<br />
passionista, che non ha nessun riscontro nella sua storia e nella sua spiritualità.<br />
eremitismo forse più legato alle difficoltà incontrate nella vita comunitaria che<br />
dettato dalla tradizione dell’istituto.<br />
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passato e futuro:<br />
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ben rilevava stanislas Breton, in vari scritti, la poesia dell’inizio,<br />
il bereshit dell’istituto. Questa avventura della santità che non è di<br />
un solo uomo, Paolo Francesco Dànei, ma di suo fratello e poi di<br />
innumerevoli altri figli e discepoli. Ognuno di essi ha delle peculiarità<br />
caratteriali e carismi specifici; questo big bang di Castellazzo è<br />
destinato a generare altre identità carismatiche, tutte con un minimo<br />
comun denominatore , ossia la consacrazione, sigillata con un votum<br />
specifico, alla <strong>Passio</strong>ne di Gesù ma con fortissime peculiarità, con<br />
differenze specifiche, che si espandono rapidissimamente come nebulose<br />
e sistemi stellari. sono i santi passionisti, tutti legati sotto<br />
il vessillo della croce e sotto una comune regola, tutti passionisti,<br />
cittadini del calvario, ma ognuno con caratteristiche peculiari che<br />
esaltano il perenne principio generante e si cristallizzano con una<br />
missione generata che fa conoscere ed anche crescere e maturare il<br />
principio generante stesso.<br />
b) Anomalie della regola di Castellazzo.<br />
scritta prima della nascita della congregazione. ordinariamente accade<br />
il contrario. Risponde, comunque, alla legge dell’incarnazione:<br />
a)Lex credendi; b) Lex orandi; c) lex evangelizandi. sintetizza la linea<br />
verticale di tante Regole: Deus sempre major: tu solus sanctus….e la<br />
linea orizzontale: apparuit benignitas Salvatoris nostri. Basti ricordare<br />
l’amore e devozione di Paolo e della tradizione agiografia passionista<br />
a gesù bambino che ha il suo vertice nel beato Lorenzo di<br />
san Francesco saverio, salvi. Il paradosso della regola passionista.<br />
Austerissima, al limite della sopportabilità, ma è vissuta in un clima<br />
di vita fraterna, improntata a molta familiarità (a volte, forse, eccessiva)<br />
come faceva notare Breton. Il beato Domenico Barberi diceva:<br />
“Tra noi ci si è comportati sempre alla familiare”. Non troviamo in<br />
essa, come formulazione esplicita, la fondamentale affermazione che<br />
troviamo, invece, nella Regula Benedicti, e che deve essere posta,<br />
invece, come in filigrana in ogni codice monastico: “Nulla assolutamente<br />
antepongano a Cristo” (Regola 72,11; cfr 4,21), che relativizza<br />
ogni norma e nello stesso tempo dà ad ogni norma il suo centro e la sua<br />
giustificazione. Parafrasando l’effato benedettino potremmo mettere<br />
come chiave di lettura di tutte le norme della congregazione questa<br />
affermazione: “Nulla assolutamente antepongano a Cristo crocifisso”.<br />
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c) Castellazzo non è solo la Regola…<br />
Il diario di Castellazzo ha una importanza tutta peculiare per individuare<br />
il carisma di fondazione e la formula dell’Istituto. Ha avuto<br />
per fortuna molti studiosi che se ne sono occupati, ne hanno sviscerato<br />
i contenuti dopo averne stabilito l’edizione critica. Il Diario<br />
dei 40 giorni non è solo la registrazione dei celesti carismi di cui il<br />
giovane eremita era inondato, la preghiera incessante, le illustrazioni<br />
soprannaturali, le locuzioni, che testimoniano una vita interiore già<br />
molto avanzata e definita. Egli mette a nudo le prove, tentazioni,<br />
desolazioni; i disagi fisici, locali, legati al tempo ed all’ambiente.<br />
Fu una esperienza sovrumana, al limite delle forze per un uomo comune.<br />
In nuce c’è tutto Paolo asceta, mistico della <strong>Passio</strong>ne, e ci<br />
sono anche elementi della forma vitae passionista 8 che si inserirà nel<br />
vissuto profondo della congregazione e ne forma l’aspetto peculiare,<br />
ne forgerà i suoi uomini migliori.<br />
3. Per una teologia della<br />
santità passionista.<br />
A) La dimensione liturgico-sacramentale.<br />
Il diario di Castellazzo è una singolare testimonianza della dimensione<br />
liturgico-sacramentale della spiritualità passionista. In passato<br />
la dimensione eucaristica e più in generale liturgica della spiritualità<br />
paulocruciana veniva relegata nell’ambito della “devozione”.<br />
Questo aspetto è stato poco evidenziato o addirittura ignorato, relegandolo<br />
alla mera fruizione devozionale, senza nessuna o scarsa<br />
valenza specifica e fondante la spiritualità del mistico della <strong>Passio</strong>ne<br />
e della sua congregazione. si è anche preferito premere più sul tasto<br />
8 È singolare che l’inizio della regola passionista si rassomigli al testo delle<br />
costituzioni della compagnia di Gesù (n°3): “il fine della compagnia non è<br />
solo attendere con la grazia divina alla salvezza e perfezione della propria<br />
anima, ma con questa stessa grazia, procurare con tutte le forze di aiutare alla<br />
salvezza e perfezione delle anime dei prossimi”.<br />
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della teologia speculativa e/o della filosofia, ai limiti dell’astrattezza<br />
scolastica, e imprigionando la sua originalità sacramentale nella mistica<br />
intellettuale dei Renani, Taulero incluso (un Taulero, forse non<br />
ben inteso e di certo decontestualizzato, un taulero fortemente legato<br />
alla dimensione liturgica, che si riscontra in tante sue omelie).<br />
La dinamica sacramentale è invece fondante la santità passionista<br />
il cui centro, fonte e culmine è rappresentato dall’eucaristia: memoriale<br />
della morte, della Pasqua del signore, segno della sua Resurrezione,<br />
anticipo della sua Parusia. Dall’ evento sacramentale della<br />
mistica immolazione del Calvario, che si celebra e ripresenta sull’altare,<br />
scaturisce l’avvenimento della Chiesa sempre santa e bisognosa<br />
di rigenerazione; ed in questo avvenimento si colloca l’opera della<br />
fondazione della nuova aggregazione ecclesiale. Paolo la chiama nel<br />
Diario: “opus Dei”, “meraviglia di Dio”… Come si vede egli usa<br />
termini strettamente biblico-liturgici…<br />
solo con Divo Barsotti 9 , e soprattutto con Antonio m. Artola, la<br />
dimensione eucaristica del carisma di fondatore di Paolo della Croce<br />
viene finalmente aperta alla comprensione, se non del tutto distesamente<br />
spiegata. La sua è profonda mistica sacramentale, innovativa<br />
nella storia della mistica cattolica. La sua non è una mera dimensione<br />
“devozionale”, magari esuberante, di una mistica affettiva<br />
prorompente che cerca appassionatamente il suo oggetto 10 . Essa rappresenta,<br />
invece, un oggettivo e transustanziale “itinerarium mentis<br />
et cordis in Jesum Christum et hunc crucifixum”; questo perché “in<br />
nomine Jesu omne genuflectatur”…secondo l’inno ai Filippesi, tanto<br />
caro alla tradizione passionista nella celebrazione della Liturgia<br />
delle ore. Anche con la postura del corpo si indica la kenosis del<br />
Figlio di Dio e la sua esaltazione ma anche il cammino pasquale<br />
che il celebrante compie attraverso la laus perennis: dalla croce alla<br />
9 D. BarSOTTi, L’eucaristia in san Paolo della Croce, curia Generalizia<br />
passionisti, roma 1978 (collana rSSp): “Tutta la vita di paolo non è che la<br />
sua comunione al cristo: egli ne vive la morte, ne vive misteriosamente la<br />
risurrezione; in altissimo silenzio vive col cristo nel seno del padre, vive la<br />
stessa passione di amore del cristo per la salvezza degli uomini” (idi, ivi, p.<br />
12). La sottolineatura eucaristica fa temere a qualcuno, a torto, che paolo sia<br />
una specie di “sacramentino” ante litteram.<br />
10 Sono tantissime le testimonianze dei contemporanei che attestano il dono<br />
delle lacrime ricevuto da paolo.<br />
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gloria, anzi la croce è la gloria del Padre per il Figlio obbediente<br />
nello spirito d’Amore, che già si manifesta nel tempo e nello spazio<br />
santificati dalla liturgia. Per cui il rito - ben celebrato e vissuto - diventa<br />
vivo e vitale e la vita si trasfigura in rito da celebrare, secondo<br />
scansioni ben definite e saggiamente ripartite, da parte del passionista,<br />
in riferimento a se stesso, alla comunità ed a Dio.<br />
Prima ancora di entrare nel ritiro quadragesimale di san Carlo di<br />
Castellazzo Paolo vive una profonda dimensione sacramentale nelle<br />
illustrazioni che preparano la comprensione del suo destino di mistico<br />
del Calvario e di fondatore. È di ritorno dalla messa che per<br />
strada è oggetto di locuzioni e visioni intellettuali e sensibili con<br />
le quali vede l’abito nero di penitenza, il segno bianco sormontato<br />
dalla croce altrettanto bianca. Ed è maria, segno ecclesiale per antonomasia,<br />
che lo guida alla comprensione graduale di quanto va<br />
sperimentando e vedendo. Segni significanti di un significato quasi<br />
sacramentale del saio di foggia non comune che indosseranno Paolo<br />
stesso, giovanni Battista e tutti i religiosi della congregazione nascente,<br />
anche se passeranno anni prima che tutto questo venga messo<br />
in evidenza, riconosciuto, approvato e codificato.<br />
C’è anche da ricordare che durante una prolungata adorazione<br />
davanti all’altare della Reposizione, nella notte tra il giovedì ed il<br />
Venerdì santo di un anno imprecisato, Paolo ebbe infusa nel cuore<br />
dal signore la sua ss. <strong>Passio</strong>ne insieme ai dolori di maria ss.<br />
b) “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!”: le tre dimensioni<br />
della santità passionista.<br />
GETZEMANI - CALVARIO - INFERI/SHEOL<br />
GIARDINO - TOMbA VUOTA - REGNO DI DIO<br />
La mistica della passione, così come è stata vissuta da innumerevoli<br />
santi, è consistita - in estrema sintesi - in una immersione totale<br />
nella derelizione di Cristo, nella sua gloriosa kenosi, secondo la<br />
dinamica descritta liricamente nell’inno cristologico di Fil 2,5-11.<br />
L’abbandono, l’angoscia, la solitudine del getzemani, con il silenzio<br />
del Padre, il torpore dei discepoli prediletti, la fugace consolazione<br />
dell’angelo, il sudore di sangue, il calice amaro da bere fino in fondo,<br />
l’incombere del tradimento, l’offrirsi senza nessuna resistenza nelle<br />
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mani dei propri nemici, sono stati la meditazione quotidiana di intere<br />
generazioni cristiane. Il Calvario è l’altro luogo, il vertice dei luoghi,<br />
dove Dio parla nel suo silenzio più totale. Dio non risponde al “forte<br />
grido” del Figlio perché grida a se stesso il proprio infinito dolore<br />
nell’eco di quella domanda che risuonerà per tutte le cime e tutti gli<br />
abissi della terra fino alla sua consumazione apocalittica. Il luogo del<br />
Calvario è il luogo del deserto più inesplorato, della notte più oscura.<br />
Sperimentare la croce significa viverne la desolazione. Niente e nessuno<br />
può dare conforto a chi è entrato nel suo spessore. nella solitudine<br />
della croce si consuma un patto d’amore e di sangue: in questo<br />
luogo, in questo deserto, dove non è lecito a nessuno di poter entrare<br />
senza essere chiamati e dal quale nessuno può tornare indietro senza<br />
cadere nell’abisso della disperazione e della insignificanza.<br />
Con il gethsemani e il Calvario, un’altra componente della derelizione<br />
di Cristo è sempre presente nello spirito e nella mistica<br />
passiocentrica: il silenzio del sabato santo. Questo tempo sospeso,<br />
fuori del tempo, tempo di attesa, di speranza, di fede estrema, di riposo<br />
totale. Quel tempo della tomba sigillata simboleggia Il Tempo<br />
di tutti gli interrogativi davanti al mistero di Dio, al suo silenzio<br />
imperscrutabile e adamantino, squarciato solo da quella Parola che<br />
ora, però, tace. tempo che lento trascorre davanti ad una tomba<br />
ancora sigillata, che custodisce ancora un corpo, freddo, esangue,<br />
inerte, pieno di piaghe squarciate, di sangue raggrumato; il cadavere<br />
di un giustiziato “nel quale, però, abita tutta intera la divinità” (Col<br />
2,9) ma con quali modalità ciò accada non è dato sapere). nel silenzio<br />
di quell’ineffabile shabbat si compie la misteriosa “discesa”<br />
del Redentore nello sheol. L’annunzio di Pasqua raggiunge “coloro<br />
che giacevano nelle tenebre e nell’ombra della morte” ( cfr. Is 9, 2;<br />
Job 10, 22; Sal 22,4). Il Crocifisso, non ancora risorto, estingue le<br />
fiamme dell’inferno attraversandolo tutto, prima di risalire al Padre.<br />
Anche l’immobilità sepolcrale del sabato santo è redentiva: la redenzione<br />
meritoria non si estingue con l’ultimo grido esalato da gesù<br />
sulla croce.<br />
Chi desidera condividere la stessa sorte di gesù, deve come lui<br />
e con lui, attraversare questi luoghi: il getzemani, il Calvario e lo<br />
Sheol. non può non condividere con lui la stessa sorte di derelizione<br />
e di gloria (cfr Sal 65,12), entrando in una dimensione metastorica<br />
ancora nel proprio vissuto spazio-temporale. L’esperienza<br />
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dei mistici, specialmente dei mistici stimmatizzati è la riprova di<br />
questo attraversamento e di questa contemporaneità metastorica<br />
del vissuto pasquale, riproposta nella propria carne e con il proprio<br />
sangue.<br />
L’essere di Cristo con i morti - ragiona il teologo di Basilea, Hans<br />
Urs von Balthasar 11 - è l’ultima conseguenza della missione redentrice<br />
ricevuta dal Padre: è obbedienza estrema ed evento trinitario.<br />
se Dio ha creato la libertà dell’uomo ed ha mandato il Figlio per<br />
salvare questa libertà, malata a causa del peccato originale, allora<br />
deve anche introdurlo sino all’inferno, come conseguenza ultima<br />
della libertà umana. Ed il Figlio può essere presente nel regno della<br />
morte solo come morto. Il Figlio deve osservare quanto di imperfetto<br />
c’è nel dominio della creazione per riportarlo, in quanto redentore,<br />
in suo possesso. Per questo motivo non esiste alcuna realtà che non<br />
possa essere redenta da Cristo, a patto che l’uomo lo voglia: anche<br />
la condizione estrema di peccato può diventare “via” che conduce<br />
a Dio. E la stessa discesa agli inferi si ripete ogni volta che Cristo<br />
scende nei desperata corda dei peccatori ed apre loro la strada al<br />
cielo.<br />
In quanto evento trinitario, il cammino verso i morti è un evento<br />
salvifico: Cristo vi discende per condurre a salvezza i morti e quelli<br />
che morranno. E non ci sono ambiti o zone dell’Ade che non siano<br />
interessate dall’ondata di salvezza di Cristo. Infatti, prima di Cristo<br />
non c’è un purgatorio od un inferno, afferma von Balthasar ma solo<br />
Ade, regno indistinto dell’oltretomba, dove tutti i morti sono riuniti<br />
e nel quale Cristo entra per redimere.<br />
Dal punto di vista teologico il purgatorio ha origine il Venerdì<br />
santo: nella croce di Cristo e nel suo essere con i morti, egli porta nel<br />
fuoco dell’ira divina il momento della misericordia. La sua solidarietà<br />
con l’umanità manifesta la sua volontà universale di salvezza e<br />
permette la possibilità di una purificazione nel giudizio.<br />
La teologia orientale vede nel Descensus l’immagine decisiva<br />
della redenzione: il triduo pasquale viene visto come un unico mo-<br />
11 H. U. von BaLTHaSar, Mysterium Paschale, in aa.vv., Mysterium<br />
Salutis, vol. vi, Brescia, 1971, pp. 171-404. vedi anche la buona sintesi di a.<br />
MaGOGa in www.Qumran2.net , Studi teologici.<br />
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vimento che ha nel sabato santo la sua maggiore intensità drammatica.<br />
nel sabato non vi è l’anticipazione della gloria della Domenica:<br />
nella discesa agli inferi non dobbiamo vedere il Cristo trionfante,<br />
sulla scia di una iconografia che lo rappresenta, già quasi risorto,<br />
che rompe i vincoli della morte, simboleggiati dalle porte scardinate<br />
dell’Ade e che sottrae i progenitori dalla morte eterna trascinandoli<br />
via con sé. Piuttosto, alla Chiesa dello Shabbat compete meditare<br />
in silenzio la condizione del Cristo giacente nel sepolcro e seguirlo,<br />
come da lontano, secondo una partecipazione autentica: morti con<br />
il Dio morto. gesù un giorno disse a san silvano del monte Athos:<br />
“Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!” 12 . Questa sembra la<br />
cifra più profonda della mistica passionista e quindi il risolvimento<br />
della sua tensione verso la perfezione della carità. Ricordo qualche<br />
elemento di questo “mistico abbandono” , di questa partecipazione al<br />
mistero della <strong>Passio</strong>ne di Gesù (Getsemani, Calvario, sabato santo)<br />
così come si trova in alcune testimonianze in Paolo della Croce ed in<br />
altri santi passionisti.<br />
C) Fecondità del carisma.<br />
Paolo della Croce<br />
Nei Processi di canonizzazione si parla della sua “impressione”<br />
della <strong>Passio</strong>ne davanti al ss.mo sacramento: “Iddio gli aveva impressi<br />
nel suo cuore gl’istrumenti tutti della <strong>Passio</strong>ne e che in ciascun<br />
venerdì ne provava le pene”: così asserisce il fratello di Paolo,<br />
don Antonio Dànei, dep. Extra proc del 10 luglio 1776, in Zoffoli,<br />
II, p. 1480 13 . Paolo stesso parla dei “Tormenti infusi” nel Diario di<br />
Castellazzo, passim; Giammaria Cioni, sempre nei Processi (POV, p.<br />
161s), parla dello stesso fenomeno mistico 14 . Insieme a questa infu-<br />
12 cf SiLvanO dell’athos, Non disperare!, Qiqajon-Bose, 1994<br />
13 e. ZOffOLi, San Paolo della Croce, roma, curia gen. passionisti, 1963-<br />
1968, 3 voll. (poi Zoffoli e vol.)<br />
14 cf Processi di beatificazione e canonizzazione di S. Paolo della Croce, a<br />
cura di p. Gaetano dell’addolorata, roma, postulazione gen. passionisti, 1969-<br />
1979, 4 voll.: vol. 1: processo informativo di vetralla (pOv); vol. 2: processo<br />
informativo di alessandria, Gaeta, Orbetello, corneto; voll. 3 i-ii, processo<br />
informativo di roma.<br />
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sione dei tormenti della <strong>Passio</strong>ne, Paolo sperimente anche le aridità<br />
e desolazioni della <strong>Passio</strong>ne già a Castellazzo (Zoffoli, II, p. 1020-<br />
1027).<br />
Scrive Giammaria Cioni in POV, I, pp. 126 – 130: “Appena vestito<br />
del santo abito, incominciò a visitarlo per alcune ore al giorno<br />
con orribili desolazioni, tentazioni, malinconie e interni abbandoni<br />
dolorosissimi, a segno tale, che parevagli che tutti fossero felici e<br />
contenti, fuori di lui” (cfr. Diario, ed. crit. pp. 53,54, 57, 63, 68-<br />
79, 85). “Col crescere degli anni, crebbero vieppiù e nell’intensità e<br />
nella frequenza questi spirituali martiri onde poté dire, in certa occasione,<br />
che le sue tenebre o desolazioni spirituali erano sempre cresciute<br />
come sogliono crescere le tenebre nell’inoltrarsi della notte”<br />
(Id, POV, I, p. 126s.).<br />
Paolo stesso porta due esempi di quello che prova (è sempre il<br />
Cioni che ce li testimonia nei Processo Ordinario di Vetralla): “Si<br />
figuri di vedere un povero naufrago, il quale rottosi il vascello, se<br />
ne sta sopra una tavola dello sdrucito naviglio, che ad ogn’onda ed<br />
urto teme e paventa d’affogarsi; oppure si immagini d’osservare un<br />
condannato alla forca, che di momento in momento sta aspettando,<br />
con batticuore, d’essere portato al supplicio. Così appunto è lo stato<br />
mio” (Id., ivi, p. 127). “Nell’anno 1767 mi confidò che, in quella<br />
gran malattia sofferta in detto anno nel ritiro di san michele Arcangelo,<br />
nella quale ben tre volte fu in pericolo di vita, erali alle volte<br />
paruto di trovarsi all’inferno, e sperimentare la pena del danno, che<br />
provano i dannati” (Id., ivi, p. 128). Egli portava un similitudine per<br />
insegnare a Cioni e agli altri il modo “col quale dovevamo abbandonarci<br />
tutti in Dio nel tempo delle tristezze e tribolazioni…: ”Figuratevi<br />
di ritrovarvi su i lidi del mare, e di avere sopra la punta d’un dito<br />
una goccia d’acqua, ma tutta torbida e le dimandasse: Come stai, o<br />
povera gocciolina, cosa fai, cosa desideri? Il mare, risponderebbe, se<br />
parlar potesse, il mare. Ciò udito, la gettate in mare, ed eccola felicemente<br />
perduta, perché ben ritrovata nel suo centro. Così dobbiamo<br />
fare ancor noi, quando la piccola goccia dell’anima nostra, si ritrova<br />
afflitta e turbata; gettiamola nell’immenso mare del divin beneplacito,<br />
ed ecco rimediato il tutto (Id. ivi, p. 128). Questa “morte mistica”<br />
non è semplicemente una fase adulta (anche come scansione<br />
temporale) dell’itinerario verso Dio, come qualche scrittore ha detto.<br />
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spiritualità<br />
Il N. S. Padre parlando degli studenti scrive :”la maggior parte, dopo<br />
aver avute dolci visite da Dio nei principi, camminano a punta di<br />
spirito, quasi senza conforti interiori,almeno rari” (Let II,667 , del<br />
3.9.1748 al vescovo di terracina)<br />
Beato Domenico Bàrberi:<br />
Scrive di lui Filippo della SS. Annunziata: “Quello che per altro<br />
rendeva le sue croci tanto dolorose e pesanti da non potersi affatto<br />
esprimere, era la desolazione interna cioè la privazione di ogni comunicazione<br />
sensibile con Dio, e di ogni gusto, consolazione, e<br />
conforto nell’orazione, di cui tanto abbondò nel principio, quanto<br />
ne fu privo di poi, talché camminò nelle tenebre ed aridità fino alla<br />
morte” 15 .<br />
San Carlo Houben 16 .<br />
Era spesso affascinato dallo spettacolo del fuoco. guardava a<br />
lungo una fabbrica di mattoni che si trovava vicino al ritiro di mount<br />
Argus. Qualche volta entrava in cucina ed apriva i fornelli per vedere<br />
direttamente la fiamma viva e sentirne la vampa: invitava a volte<br />
altri a contemplare quello spettacolo di vita e di morte. Forse era<br />
il ricordo delle prediche del suo antico parroco di munstergeleen<br />
che gli ritornavano alla mente. soprattutto lo spingeva a quelle silenziose<br />
e prolungate soste davanti al fuoco l’acuta coscienza del<br />
peccato, delle colpe sue e degli altri, che potevano trascinarlo verso<br />
le fiamme eterne dell’inferno. Senza conversione, senza l’incessante<br />
15 proc. Domenico Madre di Dio, Positio super virtutibus, p. 706. H. U. von<br />
Balthasar, scrivendo ad una carmelitana, le ricordava che la “ vera vocazione<br />
carmelitana è di essere ‘sospesi’ con il Signore – senza un legame verificabile<br />
né sulla terra né in cielo” (cfr Teresa di Liseux, I miei pensieri, MiMep – Docete<br />
1997, p. 416). il teologo di Basilea si rifà ad una bellissima espressione di<br />
sant’agostino per il quale le nostre radici sono in alto, in cielo, e che dunque<br />
pendiamo nel vuoto, fisicamente e spiritualmente. perché, dice sempre von<br />
Balthasar, l’atto di fede in sé, è puro abbandono in Dio e dunque privazione di<br />
appoggi e certezze personali.<br />
16 vedi T. Zecca, Il taumaturgo di Dublino,San Carlo Houben (1821-1893),<br />
ed. San paolo, 2007 pp. 101s.(per la spiritualità eucaristica) e ivi, pp. 113s.<br />
(per la discesa agli inferi)<br />
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implorazione della grazia e della misericordia divine, quella sarebbe<br />
stata la sorte eterna, cioè “il pianto e lo stridore di denti” che avrebbero<br />
portato “alla morte seconda”, alle fiamme eterne, alla rovina<br />
finale. Le veglie, i digiuni, informavano di sé la sua incessante preghiera<br />
per la conversione dei peccatori, la sostenevano, l’arricchivano.<br />
Carlo scendeva giorno e notte agli inferi insieme, e al posto<br />
dei tanti che presumevano di non aver bisogno di penitenza, dei duri<br />
di mente e di cuore, dei tanti che “non sapevano distinguere la destra<br />
dalla sinistra”. Si cibava avidamente dell’eucaristia per sedersi poi<br />
“alla mensa dei peccatori”, per cibarsi del loro pane di lacrime e dissetarsi<br />
alla loro afflizione.<br />
P. Simone Bolest (o Balest?) del Cuore di Gesù,<br />
Nato a Meano (Belluno) il 16 febbraio del 1853, svolse lo stesso<br />
ministero del ven. p. Fortunato Maria De Gruttis (1826- 28 dic.<br />
1905) nel ritiro di Ceccano. Il P. Balest, poco prima di morire, il<br />
22 dicembre del 1905, disse: “Ah!, Padre, certo io ben mi merito<br />
l’inferno, ma almeno nell’inferno potessi amare il mio Dio!” 17 .<br />
In conclusione: “Pregare, secondo Silvano del Monte Athos, ossia<br />
il rapporto amoroso con Dio, per la gente, in una dimensione non<br />
narcisistica ma apostolica, vuol dire grondare sangue”: è questa la<br />
vera dimensione kenotica della preghiera ed è il segreto della sua<br />
fecondità, come ricorda Benedetto XVI nella sua prima enciclica 18 .<br />
A questo tipo di preghiera molte generazioni di passionisti sono stati<br />
appassionatamente fedeli.<br />
Nel passare in rassegna tante figure di santi passionisti, dei quali<br />
più di uno ha avuto il riconoscimento ufficiale della sua santità con<br />
17 Cenni necrologici dei nostri religiosi che sono passati a miglior vita nel<br />
corso dell’anno 1905, roma, Tip. artigianelli di San Giuseppe 1906, ivi, pp.<br />
56-58; 59-62, per le necrologie. Gesù un giorno disse a san Silvano del Monte<br />
athos: “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!” (cfr J.- c. Larchet, Silvano<br />
del Monte Athos, Non disperare!, ed. Qiqajion, Bose, 1994).<br />
18 “nel confronto ‘faccia a faccia’ con quel Dio che è amore, il monaco<br />
avverte l’esigenza impellente di trasformare in servizio del prossimo, oltre che<br />
di Dio, tutta la propria vita” (Deus caritas est, n. 40).<br />
spiritualità<br />
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il processo di canonizzazione, si possono notare alcune costanti che<br />
è bene evidenziare.<br />
a) La profondità dell’orazione, spesso, sembra, senza doni carismatici<br />
straordinari, che forse non venivano notati o, meglio ancora,<br />
venivano spesso dissimulati, tenuti nascosti, secondo la migliore tradizione<br />
monastica. Profondità di orazione che non di rado giungeva<br />
all’unione trasformante attraverso la contemplazione - immedesimazione<br />
con Cristo Crocifisso.<br />
b) Vita di nascondimento. Nel leggere tante biografie di religiosi<br />
insigni per santità si nota che la congregazione, i superiori ed i religiosi<br />
stessi, non facevano molto per “valorizzare” gli stessi, eccetto<br />
che per “l’uso interno” alla congregazione stessa, con incarichi<br />
di responsabilità e ministeri. I <strong>Passio</strong>nisti non hanno avuto e non<br />
hanno tuttora una istituzione culturale accademica di studi teologici<br />
superiori che possa minimamente competere con altre istituzioni di<br />
altri ordini e congregazioni, che possa servire come palestra per preparare<br />
i possibili futuri responsabili della congregazione stessa ed<br />
addestrare i più dotati all’esercizio dell’apostolato specifico dell’istituto<br />
in forme più qualificate.<br />
c) Serenità / semplicità di vita. molti personaggi, se non tutti,<br />
esprimono ed irradiano una grande serenità come riflesso della loro<br />
vita interiore cristallina. non pochi si dichiarano felici del loro stato,<br />
pur vivendo in mezzo a tribolazioni, contrasti, malattie, trasferimenti,<br />
cambiamenti di incarichi, in una sorta di avvicendamento da<br />
togliere a volte il respiro. Il trinomio classico della forma di vita<br />
passionista (solitudine, povertà, preghiera) viene adottato senza sbavature<br />
e ripensamenti ed è fonte di gioia e di pace.<br />
d) Attività apostolica. Anche nei santi religiosi più schivi e più<br />
amanti della solitudine e del chiostro non manca affatto la spinta<br />
apostolica,lo zelo per l’annuncio della Parola della Croce. L’attività<br />
apostolica affianca, spesso, alle forme “de regula” (missioni parrocchiali,<br />
esercizi spirituali aperti o chiusi, per il popolo, per il clero,<br />
i seminari, o per i religiosi e le religiose), la direzione spirituale,<br />
la guida spirituale di persone bisognose di aiuto e di sostegno nel<br />
cammino delle vita interiore, specialmente nel ministero del sacramento<br />
della riconciliazione. non pochi passionisti hanno per questo<br />
composto testi (non sempre poi pubblicati) di divulgazione devota,<br />
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di animazione interiore. In questo servizio alla coltivazione della<br />
vita interiore, della guida spirituale, molti passionisti di vita santa<br />
sono stati davvero insigni, qualificati e ricercati. Come corollario<br />
allo stesso ministero della riconciliazione si è affiancato spesso il<br />
ministero della consolazione, della guarigione interiore e morale ed<br />
anche il ministero degli esorcismi.<br />
e) Discontinuità. non si può negare che in più di un religioso insigne<br />
si nota una certa discontinuità nelle opere intraprese 19 . spesso<br />
questa discontinuità era dovuta alle contingenze legate alle urgenze<br />
di servizio che venivano richieste, magari in situazione di emergenza<br />
con speranza di temporaneità: contingenze che ricevevano il sigillo<br />
ed il merito del voto di obbedienza. Altre volte questa discontinuità<br />
è attribuibile alle persone stesse, ipercritiche delle loro potenzialità,<br />
dubitose dei loro talenti, timorose di arrecare danno alla propria ed<br />
altrui serenità e semplicità di vita, al proprio ed all’altrui nascondimento.<br />
sulla discontinuità legata alla prima accezione F. giorgini ha<br />
una pagina illuminante quando descrive la spiritualità passionista<br />
del beato Domenico Bàrberi: “Uscito dallo studio il beato dovette<br />
essere “factotum”: fu lettore di filosofia e teologia a più riprese,<br />
contemporaneamente fu poi superiore, predicatore, consultore, ecc.<br />
Ebbe una vita movimentata iniziando un lavoro, interrompendolo,<br />
riprendendolo, vedendolo dimenticato e non apprezzato. Visse il<br />
destino di quasi ogni passionista: dover fare gradualmente un poco<br />
di tutto senza poter approfondire o specializzarsi decisamente in un<br />
campo” 20 . È quello che vedremo puntualmente realizzato in più di<br />
una personalità della congregazione vissuta nel secolo XX e di cui<br />
abbiamo una migliore traccia documentaria 21<br />
19 cf f. GiOrGini, Il beato Domenico della Madre di Dio: <strong>Passio</strong>nista in<br />
aa.vv., Visse per l’unità cristiana. Il b. Domenico della Madre di Dio, passionista<br />
(1792-1849), ed. eco, San Gabriele (Te) 1966, pp. 29-43.<br />
20 id, ivi, p. 33. Sottolineatura nostra.<br />
21 cf aa. vv., Spiritualità della croce. Antologia di profili e testi spirituali<br />
(a cura di c. chiari), San Gabriele (Te), ed. eco, 5 voll., 1976-1980; che<br />
abbracciano i primi 70 anni del ‘900.<br />
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passato e futuro:<br />
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D) La scuola di spiritualità passionista (SSP).<br />
a) Esiste una scuola di spiritualità passionista?<br />
si può parlare, in base ai brevi riferimenti e richiami sopra esposti,<br />
di una scuola di spiritualità passionista 22 ? Essa, è vero, ha poco o<br />
nulla di strutturato organicamente come sistema di pensiero che si<br />
possa avvicinare alla sistematicità di altre scuole 23 . Vi è stato finora<br />
poco o nulla che potesse rappresentare un pensiero riflesso, oggettivamente<br />
ricondotto ad un insieme di saperi ascetico-mistici dottrinalmente<br />
organizzati e riproposti in forma, non dico accademica,<br />
ma almeno ufficiale o ufficiosa. Quando qualcuno, in passato, si è<br />
cimentato in questa riproposizione,organicamente strutturata, presentandola<br />
come il genuino spirito del passionista ha miseramente<br />
fallito 24 .<br />
La SSP attinge contenuti, forme e metodi da due filoni principali.<br />
Il primo è La regola, intendendo con essa l’insieme delle norme<br />
riconosciute e canonicamente definite sia dall’autorità ecclesiastica,<br />
come appunto la Regola e le Costituzioni. Rientra nel termine generico,<br />
a nostro avviso, anche la legislazione interna alla congregazione<br />
stessa, ossia i decreti e le raccomandazioni dei capitoli generali<br />
e provinciali, cristallizzati poi nella serie dei vari regolamenti:<br />
generali, provinciali, e per vari ceti di persone, come, per esempio, i<br />
novizi ed i missionari. Accanto ai regolamenti si affiancavano le consuetudini,<br />
più o meno vincolanti, ma che avevano forza normativa di<br />
fatto attuata e presentata come inerente allo “spirito del passionista”<br />
22 cf f. GiOrGini, La scuola di spiritualità passionista, in Dizionario degli<br />
istituti di perfezione (in seguito Dip), vol. 8, ed. paoline 1988, col. 1218-1220.<br />
23 Sul tema vedi aa.vv., Scuole di spiritualità, Dip, vol. 8, ed. paoline 1988,<br />
col. 1198-1220, spec. il contributo di a. Matanic, ivi, col. 1199-2005.<br />
24 vedi paTriZiO di n. S. del S. cuore, Migliori, Lo spirito del passionista,<br />
roma 1930,pp. 896, ed. riservata pro manuscripto ai passionisti. per certi<br />
aspetti ha subìto la stessa sorte anche lo Zoffoli, soprattutto nel iii volume della<br />
sua monumentale biografia di San paolo della croce, peraltro ricchissima di dati<br />
e di buone sintesi sui vari aspetti della personalità del biografato, specialmente<br />
nel i e nel ii volume. il suo precedente saggio, I passionisti, spiritualità ed<br />
apostolato, roma, ed. il crocifisso, 1955, rivela un impianto filosofico neoscolastico<br />
precostituito, nel quale vengono fatti confluire i dati teoretici della<br />
spiritualità-missionarietà passionista.<br />
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anche se oralmente trasmesse e legate alle inevitabili contingenze di<br />
persone, di tempi o di aree geografiche della congregazione.<br />
Il secondo riferimento della ssP è la trasmissione orale della<br />
stessa. È il filone aureo che ha legato tutte le generazioni passioniste<br />
ed in essa i religiosi esimi che l’illustrarono, a partire dal Fondatore<br />
stesso ed i suoi primi compagni, quasi senza soluzione di continuità,<br />
nonostante le due gravi fratture, anzi tre, accadute nel corso della<br />
storia della congregazione.<br />
mi riferisco alle due grandi soppressioni: quella napoleonica<br />
(1810-1816) e quella piemontese, iniziata nel 1861 e durata per più<br />
di un decennio, risolta soltanto con i Patti lateranensi del 1929. nel<br />
decennio susseguente alla presa di porta Pia (20 settembre 1870), la<br />
congregazione subì una grave frattura interna, interrogandosi sulla<br />
sua identità profonda, sul suo “spirito” e sulla forma apostolica che<br />
essa doveva assumere con il mutare dei tempi, della nuova temperie<br />
culturale derivata dall’Illuminismo e susseguenti movimenti filosofico-teologici<br />
e la dilatazione della congregazione stessa, presente<br />
ormai in più di una nazione europea, nel nord-America e con approcci<br />
giunti a buon fine, dopo vari tentativi, anche nel Sud-America<br />
e in Australia. Frattura interna che trovò nella personalità esimia del<br />
beato Bernardo Maria Silvestrelli (+1911) un punto di coagulo per<br />
ancorare la congregazione allo spirito del Fondatore, od a quello che<br />
si riteneva tale. La congregazione si interrogava sulla sua identità e<br />
quindi sulla sua proponibilità come scuola di santità che per tutto<br />
l’ottocento appariva indiscussa e altamente riconosciuta nell’ambito<br />
ecclesiastico-ecclesiale, quasi sancita dall’alto con l’esaltazione di<br />
alcuni insigni passionisti alla gloria del Bernini, dopo la beatificazione-canonizzazione<br />
del Fondatore (1853; 1867).<br />
b) La Scuola di Spiritualità <strong>Passio</strong>nista tra Otto e Novecento.<br />
nella congregazione passionista è stata sempre tenuta in alta<br />
stima, fin dalle origini, la memoria dei religiosi passati a miglior vita.<br />
È questo un indubbio segnale dell’apprezzamento per persone che<br />
avevano speso la loro esistenza nella congregazione, sia realizzando<br />
la missione apostolica specifica della stessa oppure vivendo più discretamente<br />
il carisma paulocruciano nell’ambito della conventualità.<br />
Il beato Bernardo M. Silvestrelli (+1911), tra il 1884 e il 1888,<br />
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spiritualità<br />
sentì il bisogno di riprendere queste antiche memorie biografiche<br />
per riproporle alle nuove generazioni passioniste che subivano lo<br />
sconquasso della soppressione o ne erano ancora toccate nel nuovo<br />
assetto che faticosamente le comunità locali e provinciali (mi riferisco<br />
alla situazione italiana) stavano realizzando. sono tre i volumi<br />
silvestrelliani che possono essere collocati nell’ambito agiografico<br />
interno all’istituto: Memorie dei primi compagni di s. Paolo della<br />
Croce, Viterbo, Tip. Agnesotti, 1884, pp. 405 (ristampato nel 1932);<br />
Biografie edificanti di alcuni chierici passionisti, Roma, tip. guerra<br />
e Mirri, 1885, pp. 249 (ristampato nel 1938); Cenni biografici di<br />
alcuni religiosi passionisti che professarono l’istituto nel suo primo<br />
periodo di 50 anni, Roma, tip. guerra, 1886, pp. 380. A questi tre<br />
volumi strettamente agiografici si può affiancare, come testimone<br />
della SSP di fine Ottocento, ma che recupera ampiamente tematiche<br />
già presenti in precedenza nella stessa, il suo volume dei Trattenimenti<br />
spirituali ad uso dei novizi, Roma, tip. della Pace, 1886, pp.<br />
314 (ristampa nel 1936) 25 .<br />
Le Memorie, le biografie edificanti e i Cenni biografici del silvestrelli<br />
hanno avuto una continuità nei Cenni necrologici che dal 1880<br />
dell’’800 hanno fedelmente registrato brevi biografie, in stile edificante,<br />
di tutti i religiosi deceduti nell’anno precedente 26 e questo fino<br />
25 Una edizione approntata da n. cavatassi della stessa opera nel 1990,<br />
con ampi tagli e rimaneggiamenti redazionali, non rispecchia molto la<br />
genuina caratteristica del testo silvestrelliano. Sempre Silvestrelli, nel 1888,<br />
pubblicò ma subito dopo ritirò dalla circolazione, il volume Raccolta delle<br />
principali consuetudini vigenti nella congregazione della <strong>Passio</strong>ne, pp. 223,<br />
che fu poi successivamente ristampato da f. Giorgini, nella sua edizione delle<br />
Consuetudines, editio critica textuum pp. Dominici, Seraphim, Bernardo, curante<br />
f. Giorgini, romae 1958; cfr. le Consuetudini secondo il Silvestrelli, ivi, pp.<br />
103-279, ed. bilingue. il primo volume edito dal Silvestrelli aveva per titolo:<br />
Regole generali di civiltà e buona creanza, roma, Tip. Guerra, 1882. Queste<br />
“regole generali” servivano probabilmente per educare alle buone maniere<br />
i giovinetti delle prime “scuole apostoliche” (i seminari minori passionisti<br />
che in italia iniziarono nel ritiro di san Giuseppe sull’argentario nel 1880).<br />
nell’’800 i passionisti venivano bonariamente chiamati “gesuiti di campagna”:<br />
nella inedita situazione seguita alla soppressione italiana il Silvestrelli sentì il<br />
dovere di dare un certo indirizzo nel comportamento personale e nei rapporti<br />
comunitari e sociali.<br />
26 cenni necrologici dei nostri religiosi che sono passati a miglior vita nel<br />
corso dell’anno 1881-1961, roma 1883-1962 (in fascicoli, per ogni anno).<br />
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alla fine degli anni ‘60 del ‘900. In precedenza queste brevi biografie<br />
venivano inviate a tutte le comunità e spesso venivano trascritte per<br />
intero nel registro delle ss. messe di suffragio del confratello defunto.<br />
non mancano in questi testi informazioni preziose sulla vita<br />
di tanti religiosi che hanno edificato la congregazione e la chiesa con<br />
la loro condotta di vita.<br />
Spiritualità della croce. In questo contesto vorrei indicare all’attenzione<br />
ed all’approfondimento sul tema della fecondità della regola<br />
passionista in ordine alla santità, i cinque volumi antologici di profili<br />
e testi spirituali 27 di passionisti,monache e suore della Famiglia <strong>Passio</strong>nista<br />
del ‘900. Non mancano medaglioni biografici di sacerdoti,<br />
monache, suore e laiche, non strettamente collegate all’istituto dei<br />
passionisti ma che hanno vissuto la sua spiritualità, a prescindere<br />
dall’appartenenza giuridica allo stesso: prima fra tutte santa gemma<br />
Galgani (+ 1903) che apre la serie dei profili. Essa si chiude con i<br />
lineamenti biografici del P. Pio Falco 28 , per un totale di 92 persone<br />
biografate. Uno sforzo notevole, compiuto da molti collaboratori<br />
del Chiari e del naselli che va ben oltre la mera riproposizione di<br />
dati bio-cronologici, per manifestarsi anche come test prezioso di<br />
percezione della ssP in tutto il novecento, in relazione alla pratica<br />
della Regola, fino alla vigilia della presentazione delle nuove Costituzioni,<br />
susseguenti al dettato conciliare deuterovaticano, con la<br />
celebre e perentoria accomodata renovatio.<br />
Così, scorrendo per flash, - omettendo i santi e beati dei quali sono<br />
state pubblicate le biografie e quindi supponendole già note - si legge<br />
di P. Generoso Capaldi (+1910) che a detta del biografo era “la regola<br />
esiste anche un “Diario negrologico di tutti i religiosi defunti della congregazione<br />
della passione”, dal 1745 al 1879, pp. 507 (ms in arch. gen. passionisti,<br />
roma), del p. eustachio della s. famiglia.<br />
27 aa. vv., Spiritualità della croce. Antologia di profili e testi spirituali (a<br />
cura di c. chiari, collana Documenti e testimonianze diretta da c. a. naselli, +<br />
1989).), San Gabriele (Te), ed. eco, v voll.,1976-1980. i vol: 1903-1926 (20<br />
profili); ii vol.: 1928-1946 (24 profili); iii vol.: 1948-1956 (18 profili); iv vol.:<br />
1959-1966 (15 profili); v vol.: 1967-1976 (15 profili), per complessive 2.162<br />
pp. (in seguito SdC e vol.).<br />
28 Spiritualità della croce, v: L’intuito del <strong>Passio</strong>nista: “Il Signore vuole anime<br />
vittime!”, P. Pio Falco (1900-1976), ivi, pp. 395-421. educatore e missionario<br />
infaticabile in italia ed all’estero, trascorse gli ultimi anni della sua vita (dal<br />
1968 al 1976) paralizzato nell’infermeria dei Ss. Giovanni e paolo a roma.<br />
spiritualità<br />
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spiritualità<br />
viva e parlante in azione” 29 . Rivide le opere filosofiche di p. Silvestro<br />
Zannelli C.P. Era probabilmente un tipo un po’ duro, anche se<br />
in modo involontario, cosa che gli attirò più di una antipatia e avversione.<br />
Padre Giovanni Meoni (+1911) rimane affascinato dalla descrizione<br />
della vita regolare osservata dai <strong>Passio</strong>nisti fattale da don<br />
Vincenzo tucci. Per il quale il meoni offrì la vita per il suo ritorno<br />
alla Chiesa dopo la crisi modernista 30 . Il P. Giovanni Testi (+ 1912)<br />
fu considerato un “Ségneri redivivo”, consultore con il beato Silvestrelli,<br />
rigidissimo nell’osservanza del voto di povertà 31 ; richiamava in<br />
modo molto forte i superiori locali perché fossero guide spirituali dei<br />
confratelli nell’osservanza della Regola. stessi forti richiami espresse<br />
più di una volta P. Pietro Paolo Moreschini (+ 1918), poi vescovo di<br />
Camerino, contrario alle idee di riforme e di aggiornamenti che in<br />
quel periodo (1893-1899) serpeggiavano in congregazione 32 . stessa<br />
tempra ma con maggiore umanità e levità di rapporti troviamo in P.<br />
Luigi Besi (+ 1923) 33 . P. Angelo Sabuzi (+ 1926) spende tutta la sua<br />
vita per il santuario della madonna delle grazie di nettuno e per la<br />
nascente venerazione verso s. maria goretti 34 . Confratel Angelo Bologna<br />
(+ 1934) è una figure più patetiche e toccanti tra i tanti giovani<br />
passionisti morti prematuramente anche per l’applicazione rigida della<br />
Regola, imposta dal metodo educativo ma molto spesso attuata dagli<br />
29 Sdc, i, pp. 153-178. rivide le opere filosofiche di Silvestro Zannelli c.p.<br />
30 Sdc, i, pp. 179-206. Molto interessante leggere come si viveva in concreto<br />
la regola nel 1908; ed anche come veniva seguito amorevolmente un morente<br />
(ivi, pp. 191; 197-199).<br />
31 Sdc, i, pp. 279-295. nel 1887 nelle missioni ancora ci si flagellava in<br />
pubblico (ivi, p. 282). Sulla rigidissima pratica della povertà cfr. ivi, pp. 285s.<br />
32 Sdc, i, pp. 333-355: estremamente fedele alla “tradizione della<br />
congregazione (ivi, p. 338), rivolse un forte richiamo ai superiori locali nel “fare<br />
l’esame in coro” in pieno capitolo generale del 1907 (ivi, p. 339). fu anche<br />
visitatore apostolico in varie diocesi nel periodo antimodernista. Devoto di santa<br />
Gemma Galgani di cui riscontrò di persona la genuinità dei fenomeni mistici.<br />
Sulle stesso stile severo ritroviamo p. Giustino croxato che lasciò una forte<br />
impronta della sua personalità nella provincia cOrM (nord italia). Mandato<br />
come visitatore e provinciale della provincia DOL (Basso lazio-campania) nel<br />
triennio 1945-1948: cfr Sdc, iii, pp. 99-127.<br />
33 Sdc, i, pp. 439-463: Uno dei passionisti più insigni del novecento<br />
passionista.<br />
34 Sdc, i, pp. 465-475.<br />
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stessi con generosità e dedizione senza pari 35 . Una vita di studio nella<br />
pratica inappuntabile della vita regolare passionista e nello zelo apostolico<br />
troviamo in P. Amedeo Casetti (+ 1935), eccellente nel campo<br />
agiografico e soprattutto altamente benemerito per la pubblicazione<br />
delle lettere di s. Paolo della Croce e di altri documenti inediti della<br />
storia della congregazione fin dalle origini 36 . Altro grande missionario<br />
deceduto nel 1936 è stato P. Claudio Di Lelio, regolarissimo nella<br />
vita comunitaria pur essendo missionario a tempo pieno 37 . sempre<br />
nell’ambito della erigenda Provincia del S. Costato (Puglia, Calabria,<br />
Basilicata) in questo periodo spicca la figura di P. Flaviano De Vincentiis<br />
(+ 1936), ricordato come un santo, autentico figlio di s. Paolo della<br />
Croce 38 . Colpisce nel leggere il breve profilo di P. Giacomo Uccellini<br />
(1944) la sua estrema sincerità nelle annotazioni diaristiche personali<br />
che offrono uno spaccato di varia umanità nell’ambito di comunità che<br />
professavano e praticavano la Regola in modo molto rigido 39 . Attività<br />
frenetica in campo apostolico, che li portò prematuramente alla tomba,<br />
ritroviamo in P. marino Canducci e in P. Pio gòdio, ambedue morti<br />
nel 1945 40 amanti della vita comune, soprattutto della preghiera. nello<br />
stesso anno si spegneva, neppure settantenne, P. Ireneo Pontremolesi<br />
(1878-1945), grande, anzi geniale, studioso: eroico nell’obbedienza e<br />
35 Sdc, ii, pp. 97-109.Lo stesso dolore e capacità di eroica accettazione della<br />
croce ritroviamo in confr. Gustavo cascio ingurgia (+ 1948): Scc, iii, pp. 23-30 .<br />
36 Sdc, ii, 123-142: il casetti si spense all’improvviso a roma a soli 47<br />
anni. nello stesso anno moriva alla Madonna della Stella (pG). altro scrittore di<br />
notevole spessore è stato p. aurelio verticchio ( + 1951), biografo, tra gli altri,<br />
di s. Maria Goretti e di p. nazzareno Santolini (+ 1930): Sdc, ii, pp. 37-64:<br />
la cui indiscussa santità era unita ad una straordinaria humanitas tanto da farlo<br />
riconoscere come “il maestro” per antonomasia. p. filippo fanti missionario<br />
indefesso, geniale nell’organizzazione della preghiera (via crucis vivente),<br />
carismatico riconosciuto e ricercato anche se inadatto a fare da superiore (ivi,<br />
pp. 143-171).<br />
37 Sdc, ii, pp. 173-199.La sua persona è ancora ricordata nel ritiro di<br />
ceglie M. (Br).<br />
38 Sdc, ii, pp. 201-214. fu profondamente influenzato dal magistero del b.<br />
Bernardo Silvestrelli (+ 1911).<br />
39 Sdc, ii, pp. 315-340, soffrì molto per reiterate incomprensioni dovute<br />
forse anche alla sua ipersensibilità.<br />
40 Sdc, ii, pp- 353-370; 371-390. Gòdio fu l’artefice della collocazione<br />
autonoma della Basella, sia nel campo religioso che in quello civile, nell’ambito<br />
del comune di Urgnano (BG).<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
325-356<br />
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spiritualità<br />
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spiritualità<br />
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SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
350<br />
spiritualità<br />
nel far fronte alle difficili condizioni in cui si trovò a sviluppare i suoi<br />
talenti di insegnante e di educatore 41 .<br />
Non mancano figure di religiosi fratelli che hanno speso tutta la loro<br />
vita nel servizio comunitario e soprattutto notevoli per la capacità di<br />
sacrificio ben motivato con ragioni spirituali nell’estenuante servizio<br />
della questua 42 . Anche qualche sacerdote passionista non ricusò la<br />
fatica della questa per il bene della propria comunità, specialmente dei<br />
giovani, come P. Angelico Nicolini (+ 1949) 43 . P. Luigi Fizzotti invece<br />
era dello stampo del P. Amedeo Casetti, assiduo al confessionale ed<br />
esperto nella guida spirituale di anime elette, come teresa Palminota,<br />
si dice che fu discepolo del servo di Dio P. Leone di gesù nazareno<br />
dal quale apprese lo spirito genuino della congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />
44 . Altro P. Leone di cognome Ferrarese (1890-1955), per lunghi<br />
anni maestro dei novizi, troviamo vivissima la preoccupazione di essere<br />
“custode fedele dello spirito del S. Fondatore” e di “conservare<br />
lo spirito proprio della congregazione” 45 . Ultimo epigono di questa<br />
esasperata accentuazione conservatrice, e quasi la riassume tutta, ritroviamo<br />
Patrizio Migliori (1872-1955) , “fedele a qualsiasi costo allo<br />
spirito del passionista”, come viene definito in questa serie di profili.<br />
La sua vicenda di scrittore e di editorialista delle proprie opere, sostanzialmente<br />
fallimentare, tocca il patetico ma anche l’ ammirativo per la<br />
profonda sua convinzione delle proprie idee sul cosa fosse “lo spirito<br />
41 Sdc, ii, pp. 391-426.<br />
42 cf Sdc, iii, pp. 13-22: “volto sereno, sorriso sulle labbra” (p. 15); conobbe<br />
s. Gemma (p. 18).<br />
43 Sdc, iii, pp. 31-43 di cui si conserva un epistolario intriso di affetto e<br />
di spirito soprannaturale per i familiari. Lo stesso dicasi di p. Bernardo Dutto<br />
(+ 1950) singolare figura di calzolaio, questuante e confessore ricercato del<br />
duomo di Genova. Stesso amore e dedizione, anche se con un carattere un po’<br />
ruvido, ritroviamo in fratel valentino colombo (1953), Sdc, iii, pp. 171-180<br />
44 Sdc, iii, pp. 45-76: scrittore fecondo e inesauribile nell’inventiva<br />
apostolica.<br />
45 Sdc, iii, pp. 275-293. appartenne alla provincia cOrM. Giunse a<br />
disertare, insieme con il maestro dei novizi della provincia pieT un convegno<br />
di maestri di novizi di tutte le province italiane indetto all’argentario nel 1954,<br />
perché vi aveva ravvisato idee novatrici. Già da superiore provinciale nel<br />
periodo della ii guerra mondiale aveva fortemente richiamato i religiosi con<br />
apposite circolari alla pratica della vita regolare, alla povertà, solitudine e<br />
orazione (cfr ivi, pp. 290-292).<br />
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del passionista”, tetragono a qualsiasi confronto e verifica delle mutate<br />
condizioni del tempo 46 , della società e della chiesa.<br />
Potremmo continuare a presentare altri profili agiografici ma<br />
sarebbe ripetitivo del fin qui detto. Nel leggere queste biografie di<br />
passionisti del ‘900 si nota subito come ci si trovi di fronte ad ad<br />
un lungo, lunghissimo tramonto, con una situazione crepuscolare<br />
susseguente, non privo di nubi e di presagi. nel leggere il resoconto<br />
dei biografati missionari, tra l’altro, si riscontra che la sensibilità<br />
religiosa del popolo è ancora, fin quasi alla fine degli anni<br />
’60, non molto dissimile da quanti partecipavano alla predicazione<br />
dei passionisti delle passate generazioni, fino a lambire l’epoca<br />
del Fondatore. Per questo, forse, non si manca di sottolineare che<br />
lo stile passionista quasi prescinde dalla contingenze spazio-temporali-culturali,<br />
per una specie di atemporalità, che ravvisa come<br />
santo e quindi proponibile all’ammirazione ed all’imitazione dei<br />
confratelli e dei fedeli, colui che è diventato una sorta di “regola<br />
vivente”, sine glossa 47 . Con l’avvento della secolarità e le istanze<br />
susseguenti al deutero vaticano questo crepuscolo interminabile si<br />
è spento del tutto e per sempre.<br />
E) Conclusione<br />
Il trinomio su cui si basava la vita regolare passionista: povertà,<br />
solitudine, orazione, incessantemente richiamata , in fondo non può<br />
essere identificativo della spiritualità e dell’apostolato di una congregazione.<br />
È esso un mezzo orientato al fine. A ben vedere tutti i<br />
consacrati, di qualsiasi genere, di qualsiasi latitudine ed epoca, non<br />
ne possono fare a meno, secondo modalità specifiche di ogni istituto<br />
e secondo la triade vocazione- consacrazione-missione in cui si incarna<br />
un determinato carisma.<br />
Allora qual è lo specifico della spiritualità della congregazione<br />
della <strong>Passio</strong>ne e quindi la proponibilità della stessa come scuola di<br />
santità? Nel suo genitivo determinativo: la <strong>Passio</strong>ne, appunto.<br />
46 Sdc, iii, pp. 295-311.<br />
47 per una panoramica dell’agiografia passionista che va dalle origini fin<br />
quasi ai nostri giorni ci si può servire del volume di p. Di eugenio, Sotto la croce<br />
appassionatamente, San Gabriele edizioni, San Gabriele, Te 2006.<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
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spiritualità<br />
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352<br />
spiritualità<br />
nell’’800 passionista e nei suoi epigoni novecenteschi sembra sia<br />
difettato un riferimento strettamente teologico al carisma specifico<br />
della congregazione, ossia la sua consacrazione alla <strong>Passio</strong>ne, sigillata<br />
dal cosiddetto quarto voto, che identifica la congregazione e la<br />
colloca nel suo specifico, nell’ambito ecclesiale e giustifica la sua<br />
missione apostolica.<br />
non difettò in passato l’ascesi, che fu anzi vissuta spesso in modo<br />
supererogatorio. non ci fu una adeguata sostanza teologica, un valido<br />
supporto teoretico ancorato in definitiva al dato rivelato che<br />
giustificasse il trinomio e il vissuto quotidiano (la cosiddetta “osservanza”).<br />
Le motivazioni del quarto voto erano relegate a insufficienti<br />
giustificazioni devozionali che spingevano più all’ascesi che ad una<br />
spiritualità, o meglio ad una mistica “ben temperata”, così come era<br />
stata vissuta da Paolo della Croce e dai primi compagni.<br />
Cosa resse allora la compagine dell’istituto in questa plurisecolare<br />
accentuazione ascetica? L’ancoraggio, anche solo devozionaleaffettivo<br />
alla <strong>Passio</strong>ne, fu un coefficiente di non poco conto perché il<br />
trinomio (povertà, solitudine, orazione) non fagocitasse in modo irreversibile<br />
la base, almeno implicita, biblico-teologica. In non pochi<br />
casi questo “implicito teologico” della <strong>Passio</strong>ne come giustificativo<br />
della vocazione-consacrazione-missione passionista si risolveva in<br />
genuina spiritualità se non di alta mistica.<br />
La breve rassegna dei vari personaggi che hanno decorato la congregazione<br />
con le loro virtù esimie; il lavoro apostolico indefesso di<br />
tanti missionari; la piena e totale dedizione alla vita comunitaria di<br />
tanti religiosi (fratelli, sacerdoti, studenti, novizi), ne sono la riprova<br />
più persuasiva.<br />
Le nuove costituzioni (o rinnovate), oggetto della presente riflessione,<br />
al trinomio classico dell’ascesi passionista, che ha prodotto<br />
indubbi frutti di santità nel corso della sua plurisecolare storia, danno<br />
finalmente allo stesso una adeguata motivazione staurologica, o meglio<br />
staurosofica. La vena teo-mistica cristocentrica che ha percorso<br />
tutta la storia agiografica della congregazione anche se con andamento<br />
spesse volte carsico, può ora irrigare in modo abbondante e<br />
motivato un terreno che rischiava di inaridirsi e di non produrre più<br />
i frutti sperati.<br />
Allora anche per il terzo millennio cristiano e per il terzo secolo<br />
della congregazione della <strong>Passio</strong>ne si può sperare di poter perpetuare<br />
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quella ‘scuola della <strong>Passio</strong>ne di Gesù’ dove “ si impara la scienza dei<br />
santi” 48 .<br />
Tito Paolo Zecca cp<br />
tpkoala@gmail.com<br />
48 paOLO della croce, Lettere, i, p. 558. il presente testo, riveduto ed<br />
ampliato, si basa sulla relazione tenuta a falvaterra nel convegno I passionisti<br />
ieri e oggi, Le nuove costituzioni dei passionisti a 25 anni dall’approvazione<br />
(1984-2009) e poi pubblicato a cura di Giuseppe comparelli, isola del Liri, fr<br />
2010, pp. 67-90.<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
325-356<br />
353<br />
spiritualità<br />
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spiritualità<br />
TiTo Paolo Zecca cP<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
354<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra passato e futuro: fecondità della<br />
ItA<br />
Regola<br />
di Tito Paolo Zecca, cp<br />
La fecondità della Regola passionista, come tutte le Regole di<br />
qualsiasi forma di vita consacrata, deriva dalla conformazione della<br />
stessa al norma normante di qualsiasi forma di vita cristiana: il santo<br />
evangelo. La peculiarità della Regola della Congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />
va al di là delle singole norme redatte in un lungo arco di<br />
tempo. Il suo primo abbozzo fu redatto durante il ritiro di san Paolo<br />
della Croce a Castellazzo nel 1720-21 per I poveri di Gesù. Ha il suo<br />
culmine nella codificazione di essa, vivente ancora il Fondatore nel<br />
1775, per i Chierici scalzi della SS. Croce e <strong>Passio</strong>ne di N. S. Gesù<br />
Cristo. Le modifiche successive non hanno scalfito fino alla formulazione<br />
delle Costituzioni scaturite dalla accomodata renovatio della<br />
vita consacrata promossa dal Concilio Vaticano II e dal magistero<br />
pontificio che ne attuava le indicazioni, la sua sostanza essenziale.<br />
La Regola paulocruciana ha dimostrato la sua fecondità con le numerose<br />
espressioni di santità che ad essa si sono ispirate per più di<br />
due secoli. Le Costituzioni rinnovate della Congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />
di Gesù hanno in sé elementi di fecondità protesi al futuro in<br />
base alle “radici sante” di cui sono espressione attuale.<br />
fRA<br />
La Congrégation entre passé et futur : fécondité de la<br />
Règle<br />
De Tito Zecca, cp<br />
La fécondité de la Règle passioniste, comme il en est de toutes les<br />
Règles de vie consacrée, dérive de sa conformité à la norme de toute<br />
vie chrétienne : le saint Evangile. La caractéristique de la Règle de<br />
la Congrégation de la <strong>Passio</strong>n, dépasse les normes particulières rédigées<br />
durant un long laps de de temps. Sa première ébauche vit le jour<br />
durant la retraite de saint Paul de la Croix à Castellazzo en 1720-21<br />
pour les pauvres de Jésus. Elle a trouvé son achèvement dans sa codification,<br />
le fondateur étant encore en vie, en 1775, pour les Clercs<br />
déchaussés de la T.S. Croix et <strong>Passio</strong>n de N.S. Jésus Christ. Les modifications<br />
successives ne l’ont pas éraflée, jusqu’à la formulation des<br />
Constitutions issues de l’accomodata renovatio de la vie consacrée<br />
promue par le Concile Vatican II et par le magistère pontifical qui en<br />
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actualisait les indications, sa substance essentielle. La Règle paulicrucienne<br />
a démontré sa fécondité par les nombreuses expressions de<br />
sainteté qui se sont inspirées d’elle pendant plus de deux siècles. Les<br />
Constitutions renouvelées de la Congrégation de la <strong>Passio</strong>n de Jésus<br />
contiennent des éléments de fécondité orientés vers le futur sur la base<br />
des « racines saintes » qui en sont l’expression actuelle.<br />
The Congregation between past and future: fecundity of<br />
EnG<br />
the Rule<br />
by Tito Paolo Zecca, cp<br />
the fruitfulness of the <strong>Passio</strong>nist Rule, like all rules of any form<br />
of consecrated life, derives from the shape of the same standard of<br />
any form of <strong>Christi</strong>an life, namely, the holy gospel. the peculiarity<br />
of the Rule of the Congregation of the <strong>Passio</strong>n, goes beyond single<br />
rules drawn up over a long period of time. Its first draft was written<br />
during the retreat of st. Paul of the Cross in Castellazzo in 1720-21<br />
for The Poor of Jesus. It has its culmination in its codification while<br />
the founder was still living in 1775, for the Discalced Clerics of the<br />
Most Holy Cross and <strong>Passio</strong>n of our Lord Jesus Christ. subsequent<br />
changes have not scratched its essential substance until to the formulation<br />
of the Constitutions resulting from the accommodata renovatio<br />
of consecrated life promoted by the second Vatican Council<br />
and the papal magisterium which implemented its directions. the<br />
Pauline Cross Rule has shown to be fruitful by the many expressions<br />
of holiness that has been inspired by it for more than two centuries.<br />
the renewed Constitutions of the Congregation of the <strong>Passio</strong>n of<br />
Jesus have some elements of fecundity towards the future based on<br />
the “holy roots” of which they are a current expression.<br />
La Congregación entre el pasado y el futuro: fecundidad<br />
SPA<br />
de la Regla<br />
de Tito Paolo Zecca, cp<br />
La fecundidad de la Regla passionista, como todas la Reglas de<br />
cualquier forma de vida consagrada, deriva de la conformación de<br />
la misma al norma normante de cualquier forma de vida cristiana:<br />
el santo Evangelio. La particularidad de la Regla de la Congrega-<br />
spiritualità<br />
La congregazione tra<br />
passato e futuro:<br />
fecondità della Regola<br />
325-356<br />
355<br />
spiritualità<br />
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spiritualità<br />
TiTo Paolo Zecca cP<br />
SapCr XXVII<br />
maggio-agoSto 2012<br />
356<br />
spiritualità<br />
ción de la Pasión va más allá de las concretas normas redactadas en<br />
un amplio arco de tiempo. su primer esbozo fue redactado durante<br />
el retiro de san Pablo de la Cruz en Castellazzo en 1720-21 para<br />
los Pobres de Jesús. Tiene su culmen en la codificación de ésa, viviendo<br />
todavía el Fundador en 1775, para los Clérigos Descalzos de<br />
la Santísima Cruz y Pasión de Nuestro Señor Jesucristo. Las modificaciones<br />
sucesivas no han dejado mayor huella hasta la formulación<br />
de las Constituciones surgida de la accomodata renovatio de la vida<br />
consagrada promovida por el Concilio Vaticano II y del magisterio<br />
pontificio que señalaba las indicaciones, lo esencial. La Regla pablocruciana<br />
ha demostrado su fecundidad en numerosas expresiones de<br />
santidad que en ésa se hen inspirado durante más de dos siglos. Las<br />
Constituciones renovadas de la Congregación de la Pasión de Jesús<br />
tienen en sí mismas elementos de fecundidad que tienden hacia el futuro,<br />
en base a las “raíces santas” de las cuales son expresión actual.<br />
Zgromadzenie między przeszłością a przyszłością: płod-<br />
Pol<br />
ność Reguły<br />
Tito Paolo Zecca CP<br />
Płodność Reguły Pasjonistów, jak wszystkich Reguł jakiejkolwiek<br />
formy życia konsekrowanego, pochodzi ze zgodności między<br />
nią a norma normującą życia chrześcijańskiego: święta ewangelia.<br />
Szczególny charakter Reguły Zgromadzenia Męki Pańskiej idzie dalej<br />
niż konkretne normy zredagowane na przestrzeni czasu. Pierwszy<br />
szkic został zredagowany podczas rekolekcji św. Pawła od krzyża w<br />
Castellazzo (1720-1721) dla Ubogich Jezusa. Ma swój szczyt w kodyfikacji<br />
Reguły Pasjonistów, jeszcze za życia Założyciela, w 1775,<br />
dla Kleryków Bosych Najświętszego Krzyża i Męki Naszego Pana<br />
Jezusa Chrystusa. Dalsze zmiany zmieniły jej charakteru aż do powstania<br />
Konstytucji, które wynikły z potrzeby „przystosowanej odnowy”<br />
życia konsekrowanego, do której zachęcał Sobór Watykański<br />
II i papieży, którzy dawali wskazówki co do jej realizacji, co nadało jej<br />
zasadniczy kształt. Reguła Pawła od Krzyża ukazała swą płodność poprzez<br />
liczne wyrazy świętości, które się nią inspirowały przez ponad<br />
dwa wieki. Odnowione Konstytucje Zgromadzenia Męki Jezusa mają<br />
w sobie elementy płodności ukierunkowane ku przyszłości w oparciu<br />
o „święte korzenie”, których są aktualnym wyrazem.<br />
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MARIO CuCCA,<br />
Il corpo e la città.<br />
Studio del rapporto di significazione<br />
paradigmatica tra la vicenda di<br />
Geremia e il destino di Gerusalemme,<br />
Studi e ricerche – Sez. biblica,<br />
cittadella editrice, assisi 2010,<br />
pp. 358, e 21,00.<br />
Questa prima<br />
opera di<br />
m a r i o<br />
Cucca, frutto della<br />
sua tesi dottorale difesa<br />
presso la Pontificia<br />
Università Gregoriana<br />
di Roma, si<br />
presenta come uno<br />
studio corposo, complesso,<br />
coraggioso,<br />
forse addirittura pionieristico. L’intento è quello di mostrare, attraverso<br />
l’analisi di alcuni passi seletti del libro di geremia, il rapporto<br />
intercorrente tra la vicenda concreta del profeta di Anatot e la sorte<br />
drammatica della città di gerusalemme. non si tratta della classica<br />
tesi della «personalità corporativa» in cui il singolo assomma in sé il<br />
percorso di molti, né della (purtroppo mal compresa) dottrina della<br />
«sostituzione vicaria» ove la pena di molti si scaraventa su un unico<br />
garante. Si tratta piuttosto di un «rapporto di significazione paradigmatica»,<br />
come recita il sottotitolo del volume, in cui il profeta,<br />
proprio perché tale, parla in nome di Dio non solo con gli organi<br />
di fonazione, né semplicemente con alcuni gesti simbolici, ma con<br />
tutto il proprio corpo, con la propria vita: «non solo – scrive l’A. –<br />
geremia ha compiuto dei “gesti simbolici”», ma «la totalità della sua<br />
esistenza umana è stata “simbolica”, cioè funzionale al ministero<br />
profetico». E conclude: «Il nostro parere è che questa proposizione<br />
– dato il carattere comunicativo della profezia – trovi il suo peculiare<br />
assetto nel corpo del profeta, che in tal modo, nella complessità<br />
delle vicende vissute, viene presentato come “corpo comunicativo”,<br />
“luogo” di rivelazione della profezia stessa» (p. 30).<br />
A monte di questa suggestiva ipotesi di lavoro sta il rinnovato<br />
interesse di molta filosofia e teologia contemporanee per la realtà del<br />
recensioni<br />
357<br />
recensioni<br />
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ecensioni<br />
recensioni 358<br />
corpo, la realtà dei sensi, come parte integrante dell’essere-uomo,<br />
non meno nobile di ciò che chiamiamo «anima», «volontà» e «intelletto».<br />
Più prossimamente, la tesi si mostra come uno sviluppo<br />
di alcune intuizioni fondamentali avanzate nel 1987 dal gesuita P.<br />
Bovati, docente emerito del Pontificio Istituto Biblico di Roma (e del<br />
Bovati è anche il costante riferimento all’ambito giudiziale del rib).<br />
Se la tesi di Cucca si presenta quanto meno avvincente, più difficile<br />
risulta la sua dimostrazione sul piano rigorosamente esegetico.<br />
Anzitutto perché il materiale a disposizione è enorme – i 52 capitoli<br />
del libro di Geremia (da dove partire? Quali pericopi selezionare?)<br />
– e poi perché l’assunto da dimostrare (ciò che accade al corpo del<br />
profeta accadrà alla città di gerusalemme) rischia di assurgere a precomprensione<br />
rigida, che può viziare gli stessi procedimenti analitici,<br />
svilendone il rigore critico.<br />
L’A. cerca di rispondere a tali possibili obiezioni giustificando le<br />
proprie scelte: concentrerà la propria attenzione solo su quei capitoli<br />
del libro di Geremia (Ger 1; 20; 26; 36; 37; 38) che, sul piano<br />
redazionale, occupano una posizione strategica (iniziale o finale),<br />
mentre, sul piano tematico, evocano la totalità della vicenda profetica,<br />
ponendola a confronto, anche se non sempre in modo diretto,<br />
con la sorte finale della città santa. In particolare sono le relazioni<br />
lessicali e tematiche tra l’ouverture del libro sacro e i successivi<br />
capitoli 20; 26; 36 ad intrecciare una sorta di «ordito testuale significativo»<br />
(p. 92) che rende ragione della selezione del materiale esegetico<br />
operata dall’A. Più facilmente intuibile risulta la decisione di<br />
trattare ger 37-38, capitoli questi «che precedono immediatamente<br />
la presa di gerusalemme, segnando in tal modo, al livello temporale,<br />
anche la conclusione del ministero di Geremia» (p. 34; cf. p.<br />
204).<br />
Il volume si struttura in due grandi sezioni. La prima, comprensiva<br />
di cinque capitoli, affronta anzitutto il problema della «fondazione<br />
del fenomeno» tematizzato (cap. I). Muovendosi nel solco di<br />
un’attenta indagine lessicografica, Cucca mostra come tutta la vicenda<br />
di Geremia possa essere assunta come parola di Dio (dābār)<br />
e, di conseguenza, come esempio parabolico, come simbolo (māšāl)<br />
di quanto avverrà ai suoi concittadini. Di qui l’A. si inoltra nell’analisi<br />
di Ger 1 (cap. II): fin dal grembo materno l’elezione divina ha<br />
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fatto del corpo del profeta un luogo simbolico. Da questo punto di<br />
vista, ger 1,18-19 costituisce il primigenio istituirsi del confronto<br />
tra corpo e città: la guerra che si muove ai danni del profeta è infatti<br />
prefigurazione del processo intentato contro la città (1,13-17).<br />
In Ger 20 (cap. III), invece, il registro si inverte, sicché all’uomo di<br />
Anatot viene applicato in prevalenza il sistema simbolico del giudizio,<br />
mentre contro i suoi persecutori, rappresentanti dell’intera gerusalemme,<br />
si impone il dramma della guerra.<br />
Con lo studio di Ger 26 (cap. IV) emerge l’immagine di un profeta<br />
«sottoposto a processo». Emblematica non è soltanto la vicenda dibattimentale,<br />
ma anche l’imprevisto esito della stessa, con lo scagionamento<br />
dell’imputato. Suggestiva l’analisi di Ger 36 (cap. V) ove<br />
la dinamica paradigmatica non ha più per soggetto il corpo concreto<br />
di geremia, ma quella del rotolo scritturistico, ridotto in frantumi dal<br />
re di giuda, incapace di accogliere un destino di sottomissione alla<br />
potenza babilonese. Eppure, anche in questo caso, il rotolo tornerà<br />
ad essere scritto interamente, da capo, preludio di una salvezza che<br />
passa proprio attraverso l’accettazione del dramma.<br />
La seconda parte del volume guarda al tempo della fine (Ger<br />
37,1-38,13). Enucleata la dinamica narrativa degli eventi ivi esposti<br />
(cap. VI), in modo alquanto originale Cucca indaga il valore simbolico<br />
dell’arresto del profeta (cap. VII): nella brutale concretezza<br />
di quell’avvenimento cerca di decifrare i segni di un’ulteriore parola<br />
di Dio. Diventa allora significativa l’analisi di alcuni elementi<br />
narrativi (Ger 38,6), a prima vista marginali, i quali, al contrario,<br />
paiono alludere ancora una volta al destino della città: si tratta del<br />
pozzo in cui geremia viene gettato, delle corde impiegate per calarlo<br />
nella cisterna e del fango depositato nel fondo della stessa. L’indagine<br />
fenomenologico-simbolica mette in luce una comune semantica<br />
di morte. L’A. spiega: «La morte (simbolica) del profeta, allora<br />
non può essere considerata come un fattore casuale e perciò estrinseco<br />
all’essenza del suo ministero […] Il tratto drammatico delle<br />
vicende di geremia appare al contrario una necessità intrinseca al<br />
suo stesso essere costituito profeta» (p. 312). È a questo punto però<br />
che irrompe, del tutto inatteso, l’intervento di Ebed-mèlec, grazie al<br />
quale l’uomo di Dio viene liberato (38,7-13). In tal modo, attraverso<br />
le vicende del suo corpo, il profeta sembra mostrare che la punizione<br />
«non è il destino ultimo, ma solo la condizione, paradossale ma ne-<br />
recensioni<br />
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ecensioni<br />
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cessaria, per l’affermarsi di una misericordia che fa accadere […]<br />
una nuova alleanza» (p. 313).<br />
L’A. mostra di possedere adeguatamente lo strumentario metodologico<br />
tipico dell’esegesi scientifica: si muove con scioltezza<br />
sul registro dell’approccio narrativo come su quello retorico, passa<br />
dall’analisi lessicografica a quella simbolica, senza disdegnare gli<br />
apporti del metodo canonico. ogni testo pone infatti interrogativi<br />
diversi e richiede pertanto approcci diversi. Cucca ricorre però a<br />
questi variegati approcci cum granu salis, vale a dire senza eccessive<br />
pedanterie e tecnicismi, quelle che paiono talvolta ingabbiare il<br />
testo e soffocarlo. In tal modo, egli rimane continuamente aperto a<br />
valutazioni di ordine ermeneutico, teologico, ricercando il senso del<br />
dettato biblico. Il libro risulta così accessibile anche ad un pubblico<br />
di non addetti ai lavori esegetici.<br />
E tuttavia si ha spesso l’impressione che la scelta dei brani da<br />
commentare non sia sufficientemente suffragata da argomentazioni<br />
convincenti, che ci si muova su un terreno sabbioso, che si cerchi<br />
il simbolo laddove il genere letterario, quello del racconto, non lo<br />
richiede affatto. Certo, la tesi di fondo si mostra talmente ampia che<br />
a chiunque sarebbe stato difficile destreggiarsi nel mare magnum del<br />
libro di Geremia. Forse andava bilanciata l’ipotesi fin dal suo sorgere,<br />
limitandosi, ad esempio, ad evidenziare il rapporto paradigmatico<br />
tra corpo e città in pochissimi brani. Questo avrebbe permesso<br />
di approfondire l’analisi specie laddove essa pare come abbozzata. E<br />
forse sarebbe stato pertinente anche l’impiego di una teoria metaforica<br />
di base (Lakoff, Ricoeur, ecc.), che esplicitasse ulteriormente la<br />
valenza di alcuni elementi semantici.<br />
Questo nulla toglie al pregio del presente studio, di cui va comunque<br />
premiata l’audacia e il carattere innovativo.<br />
Leopoldo Boris Lazzaro cmop<br />
oraetlabora07@yahoo.it<br />
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PAOLO GAMbeRInI,<br />
Pathos e Logos in<br />
Abraham J. Heschel,<br />
contributi di Teologia 58,<br />
città nuova, roma 2009,<br />
pp. 144, e 14,50.<br />
Appartiene<br />
alla collana<br />
“Contributi<br />
di Teologia” diretta da<br />
Piero Coda per i tipi<br />
di Città nuova questa<br />
semplice monografia<br />
del teologo italiano<br />
Paolo gamberini, ge-<br />
suita, docente presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale,<br />
sezione “San Luigi”. La collana appena menzionata si<br />
compone di brevi saggi, pensati non come rigorose trattazioni, ma<br />
come abbozzi, come “ipotesi di lavoro”, come “tracce di approfondimento”<br />
per additare la via di una possibile teologia di frontiera, in<br />
dialogo con le istanze che provengono dalla modernità.<br />
Brevità non significa banalità, semplificazione ingenua. La brevitas,<br />
semmai, suppone la complessità del ragionamento. Per questo<br />
motivo la brevitas è essenzialmente un’arte. E P. gamberini sembra<br />
essersi cimentato in questo genere letterario con sufficiente maestria:<br />
linguaggio piano, struttura ordinata del discorso, brevi “assaggi” o,<br />
se preferite, “brecce” appena scolpite sul pensiero di Abraham Joshua<br />
Heschel (1907-1972), ebreo di origine polacca, esegeta, filosofo,<br />
maestro di spiritualità, insigne rappresentante del chassidismo<br />
del secolo scorso. su di lui, qualche anno fa, l’Università di Roma<br />
“Tor Vergata”, in collaborazione con altre istituzioni romane, organizzò<br />
una giornata di studio (“Tra terra e cielo: Abraham Joshua Heschel<br />
nel centenario della nascita”, 13 dicembre 2007), segno che il<br />
rilievo di tale figura non è appannaggio di qualche limitrofa nicchia<br />
“religiosa”. L’eredità di Heschel appartiene al mondo universale (accademico<br />
e non).<br />
Il saggio di Gamberini è presentato dalla figlia dello stesso Heschel,<br />
susannah, che ricorda i legami del padre con l’ambiente catto-<br />
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lico, specialmente italiano. E conclude: “È Volontà di Dio che ebrei<br />
e cattolici si rafforzino l’un con l’altro nelle loro rispettive comunità<br />
di fede” (p. 10).<br />
segue quindi l’introduzione dell’A. con un rapido sguardo d’insieme<br />
alla vita, le opere, il pensiero del filosofo polacco (pp. 11-24).<br />
Filo conduttore dell’analisi di gamberini è, come annunciato nel<br />
titolo, il tema del pathos, inteso “come passione per il Significato<br />
trascendente”, “slancio entusiastico e nello stesso tempo drammatico<br />
per il Senso ultimo dell’esistenza” (p. 24, corsivo nostro). In<br />
altri termini, il tema del pathos umano-divino sembra mettere ordine<br />
nell’universo frastagliato della poliedrica produzione hescheliana. E<br />
l’A. ne disegna il percorso servendosi di una prospettiva sostanzialmente<br />
fenomenologica, che si snoda in cinque “momenti”: intenzionale<br />
(gnoseologico), ontologico, teologico, antropologico, etico.<br />
Il tutto continuamente re-impastato da un esplicito afflato mistico,<br />
sia che si parli di preghiera sia che si parli di politica. È l’afflato che<br />
ha permeato d’altra parte tutta la vita, o meglio la missione di A. J.<br />
Heschel. E l’A. riesce a comunicarcelo.<br />
La realtà del conoscere, tanto per cominciare, non ha nulla di<br />
astratto (“momento intenzionale”). Il pensiero, per il filosofo<br />
ebraico, si pone sempre entro i limiti di una situazione, dialoga con<br />
le concrete circostanze della vita. E gode esso stesso, il pensiero, di<br />
un originario momento creativo, uno shock positivo, che ha nome<br />
“meraviglia”. Tale esperienza permette al pensiero di trascendere se<br />
stesso, incessantemente aperto all’incontro con l’Ineffabile. Heschel<br />
supera in questo modo, con il rigore del filosofo e l’effervescenza del<br />
mistico, le strettoie dell’idealismo e di ogni gnoseologia razionalista.<br />
Il vigore della conoscenza (logos) si lascia continuamente compenetrare<br />
dal trasporto di una sorta di emozione, inerente al conoscere<br />
stesso: è il pathos la forza intima, “l’intenzionalità trasgressiva” (p.<br />
41) che permette al pensiero-logos di rimanere sempre aperto. Insomma,<br />
la logica riconquista la sua originaria formalità religiosa, la<br />
sua anima meta-logica, diviene apertura al mistero.<br />
Di qui avviene il passaggio al “momento ontologico”. Perché è<br />
proprio nello snodarsi fenomenologico dell’evento della conoscenza<br />
che l’uomo percepisce una parola a lui sempre anteriore, un a-priori<br />
irrinunciabile, una premessa necessaria ed immediatamente intui-<br />
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ile, come la luce del sole: si tratta della presenza di Dio. L’umano<br />
interrogare è in fondo una risposta ad un’eterna domanda che lo<br />
precede. L’Ineffabile si dona immediatamente come il senso ultimo<br />
dell’esistenza, “l’orizzonte entro cui il pensiero comprende” (p. 51);<br />
alla sua luce l’uomo afferra qualcosa del mistero dell’unità cosmica,<br />
della sua pienezza di vita. Lo stesso uomo si percepisce come oggetto<br />
del pensiero divino. Ed è sempre il pathos a guidarlo sui tracciati<br />
di un’intuizione metafisica talmente profonda: l’essere, nelle<br />
infinite forme dei suoi esistenti, nasce dalla sollecitudine divina, è<br />
“rivelazione del pathos di Dio” (p. 58), ne è la cifra, la concreta<br />
rappresentazione. Prima dell’essere-creato sta la pura sollecitudine<br />
divina, il pathos di un Dio che parla, anzi dà un comando assoluto:<br />
“Sia!” Siamo ben distanti dalla rigida staticità dell’onotologia parmenidea!<br />
L’essere di cui parla Heschel ha un carattere epifanico,<br />
transitivo, eccentrico.<br />
Ciò che è stato colto sul piano gnoseologico e metafisico non è<br />
altro che il riverbero di un dato teologico-biblico essenziale, il pathos<br />
divino, tema che aveva appassionato Heschel fin dalla sua tesi<br />
di laurea, difesa all’università di Berlino nel 1933 (“La coscienza<br />
profetica”). Approdiamo così al “momento teologico” della nostra<br />
riflessione. Secondo Gamberini, il pathos che la Bibbia attribuisce a<br />
Dio costituisce “una rivoluzione profonda del pensiero religioso” (p.<br />
74), perché permette di pensare la trascendenza di Dio senza dissociarla<br />
dal suo coinvolgimento nella storia di Israele e dell’umanità<br />
intera: “la concezione di Dio come di un essere distaccato e non<br />
emotivo è totalmente estranea alla mentalità biblica” (ibidem). si<br />
impone però a questo punto una distinzione essenziale, sfuggita a<br />
molti che a vario titolo e in vario modo (Moltmann in primis, si veda<br />
il breve excursus a pp. 81-88) si sono rifatti alle provocanti affermazioni<br />
teologiche di Heschel: “il pathos – in ciò consiste la distinzione<br />
che abbiamo chiamato essenziale – non denota l’essenza di Dio, ma<br />
il rapporto tra l’uomo e la volontà di Dio: è una realtà funzionale più<br />
che sostanziale, è un atto divino più che un Suo attributo” (ibidem).<br />
Né, d’altra parte, il pathos è dissociato dall’ethos, dalla norma, in<br />
quanto è il risultato di una decisione che impegna radicalmente la<br />
libertà divina, la volontà di un Dio sollecito per la sorte delle sue<br />
creature. Questa inesauribile verità divina ci è accessibile, ancora<br />
una volta, in virtù di una peculiare esperienza intra-coscienziale,<br />
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recensioni 364<br />
quella vissuta dal profeta. A quest’ultimo poi spetta il compito di<br />
comunicare la Parola divina con tutto il pathos di cui essa è pregna.<br />
Per Heschel, dunque, il profeta è colui che intrattiene con Dio una<br />
relazione sim-patetica. Anche in questo l’opera di gamberini appare<br />
ben riuscita, poiché l’A. fa rifare al suo lettore il medesimo percorso<br />
che Heschel ha compiuto nella maturazione del suo pensiero: si parte<br />
dai dati della coscienza (“momento intenzionale-gnoseologico”),<br />
sia pure di un’esperienza intra-coscienziale particolarissima qual è<br />
quella profetica, per approdare a verità più grandi, ineffabili, originarie<br />
(“momento metafisico-teologico”).<br />
Il circolo ermeneutico può infine completarsi: partito dall’uomo<br />
il discorso ritorna, arricchito, all’uomo stesso, per ridefinirlo (“momento<br />
antropologico”). Contro una lunga tradizione filosofica che<br />
da Aristotele giunge fino a Kant, Heschel recupera il valore positivo<br />
della passione umana. Il pathos non è nulla di irrazionale,<br />
degradante, nulla di dannoso, di temibile; esso costituisce piuttosto<br />
il momento emotivo del pensiero stesso: pathos e logos si intrecciano<br />
in modo fecondo. In fin dei conti, il pathos è una passione<br />
necessaria per l’esistenza religiosa. gamberini ha modo di sottolinearlo<br />
nel contesto di un ampio raffronto tra il pensiero di Heschel<br />
e quello del filosofo danese S. Kierkegaard (forse le basi del<br />
raffronto non sono del tutto convincenti. nondimeno le conclusioni<br />
sembrano esserlo). Per entrambi i pensatori il pathos gode<br />
di un’inderogabile pregnanza esistenziale, è appassionamento per<br />
l’Assoluto. Tuttavia, a differenza di Kierkegaard, Heschel coglie il<br />
pathos in una chiave più radiosa, ottimista, tipica del chassidismo<br />
di cui era figlio ed esponente: in altri termini il trascendimento cui<br />
l’uomo è chiamato non è contraddizione, frattura, pessimistica lacerazione<br />
esistenziale, ma comunione, incontro, gioia del mistero,<br />
passione d’amore. se una conversione deve avvenire in seno al<br />
pathos, essa è di natura etica: bisogna decentrarne il riferimento,<br />
spostare l’asse di interesse da sé all’altro da sé. In questo sforzo<br />
estatico, eccentrico, l’uomo si determina incessantemente, liberamente,<br />
come umano: “Sono nato uomo – afferma Heschel – ma<br />
devo diventare uomo, devo diventare ciò che sono” (p. 105). In<br />
fondo, il pathos che inabita la creatura è pura partecipazione al<br />
pathos-ruah del Creatore: è così che l’uomo realizza il suo essere<br />
icona della divinità.<br />
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Il “momento etico”, ultima parte del libro, non fa altro che raccogliere<br />
le fila di quanto fin qui detto. L’uomo può decentrarsi, può<br />
lanciarsi nell’avventura dell’agire, dell’essere a somiglianza di Dio,<br />
con amore e sollecitudine verso il suo prossimo, solo perché sente<br />
gravare su di sé il bisogno divino: “Ogni anima è indispensabile per<br />
Lui. L’uomo è necessario, è una necessità di Dio … Il bisogno che<br />
noi sentiamo di Lui è solo l’eco del bisogno che Egli ha di noi” (p.<br />
112). A questo livello il pathos si offre come strumento di discrimine<br />
tra valori e bisogni, a conferma, ancora una volta, che a dispetto<br />
della sua dimensione emotiva, esso non si riduce a passione,<br />
ma implica la volontà, la libertà, il rapporto con Dio.<br />
Il tentativo non facile di “riassumere” il pensiero hescheliano<br />
alla luce di un peculiare punto di vista sembra complessivamente<br />
riuscito. A suffragare la robustezza dell’analisi è peraltro l’abbondante<br />
bibliografia (pp. 123-138), inusuale per un libro di modeste<br />
dimensioni.<br />
Il contributo ha dunque sortito il fine che si era prefisso, quello di<br />
tracciare “un’ipotesi di lavoro”, di lanciare una provocazione al pensiero<br />
occidentale, di far gustare, brevemente ed in modo esaustivo,<br />
la ricchezza di un pensiero altro, quello di un “fratello maggiore”.<br />
Una via per tentare il dialogo con la grande tradizione ebraica.<br />
Leopoldo Boris Lazzaro cmop<br />
oraetlabora07@yahoo.it<br />
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recensioni 365<br />
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ÁLVARO PeReIRA DeLGADO,<br />
De apóstol a esclavo.<br />
el exemplum de pablo en<br />
1 corintios 9,<br />
anBib 182, G&B press,<br />
roma 2010, pp. 366, e 25,00.<br />
sono abituali<br />
nel vocabolario<br />
della<br />
spiritualità, dell’omiletica,<br />
persino<br />
della teologia cristiane,<br />
alcune emblematichesentenze<br />
del capitolo<br />
9 della prima lettera di Paolo ai Corinzi. Frasi come “Mi sono fatto<br />
tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”, “Guai a me se non<br />
predicassi il Vangelo!” sono penetrate oramai nella memoria collettiva<br />
delle nostre comunità di fede, ne hanno intessuto la vita, ne<br />
hanno promosso la santità.<br />
Eppure lo svolgimento complessivo e coerente del pensiero paolino<br />
spesso ci sfugge, non riusciamo ad afferrarlo interamente nel suo<br />
svolgersi. Alcune affermazioni paiono addirittura in contrasto con<br />
altre. Così ci si aggrappa a singole frasi, a singole espressioni, perdendo<br />
di vista la ricchezza dell’insieme. Per comprendere la teologia<br />
dell’Apostolo in tutta la sua profondità è dunque necessario non solo<br />
ricostruire l’ambiente storico in cui l’epistolario paolino si formò, la<br />
situazione a cui esso intese offrire una risposta (è il giusto cruccio<br />
dei fautori del metodo storico-critico in tutte le sue modulazioni);<br />
bisogna molto più delinearne la coerenza, la logica argomentativa.<br />
In tale ambito di ricerca, ormai da qualche decennio si sono impegnati<br />
alcuni specialisti (in primis J.-N. Aletti). Il loro merito è stato<br />
quello di mostrare l’organizzazione interna dei discorsi paolini, conformemente<br />
alle categorie retoriche dell’epoca tardo-ellenistica. In<br />
questo alveo di indagine si inserisce anche il presente volume, versione<br />
leggermente corretta della dissertazione dottorale difesa dallo<br />
spagnolo Álvaro Pereira Delgado nel giugno 2009 presso il Pontificio<br />
Istituto Biblico di Roma. Il lavoro, compiuto sotto la magistrale<br />
recensioni<br />
recensioni 367<br />
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ecensioni<br />
recensioni 368<br />
guida del prof. J.-N. Aletti S.J., appartiene ad un ambito peculiare<br />
dell’esegesi paolina, ciò che, nella prefazione, lo stesso Aletti definisce<br />
“investigazione retorica di seconda generazione”. Se, infatti,<br />
come sopra accennato, negli anni ’90 del secolo scorso molti commentatori<br />
si cimentarono nell’identificazione della struttura retorica<br />
delle lettere paoline (come fece A. Pitta nel 1992, con il suo studio<br />
sulla dispositio della lettera ai galati), ora l’attenzione sembra spostarsi<br />
sulla modalità argomentativa impiegata dall’Apostolo per convincere<br />
il suo uditorio (si pensi alla monografia di F. Bianchini, pubblicata<br />
nel 2006 sempre dalla prestigiosa collana di Analecta Biblica,<br />
sulla strategia retorica dell’elogio di sé in Fil 3,1-4,1).<br />
Il presente studio si svolge in modo strettamente tecnico, con continui<br />
rimandi alle opere di trattatisti e retori greco-romani, presumibilmente<br />
noti a Paolo fin dall’epoca dei suoi studi (progymnasmata)<br />
presso la prestigiosa scuola di tarso. Eppure il tentativo, apparentemente<br />
arido, di determinare la precisa funzione retorica di un passaggio<br />
o la valenza di una metafora, mostra ripercussioni significative<br />
proprio a livello ermeneutico, nella decifrazione del pensiero<br />
cristologico ed etico dell’Apostolo: in altri termini, l’argomentazione<br />
risulta essere il principale veicolo delle idee. Vale dunque la<br />
pena di passare il difficile guado esegetico per far maturare una teologia<br />
di più ampio respiro a vari livelli: cristologico, etico, spirituale<br />
e persino sacramentario, nella comprensione dell’intima essenza del<br />
ministero sacerdotale.<br />
ne consegue che il tentativo di capire se 1Cor 9 costituisca un<br />
esempio personale di Paolo o piuttosto una apologia dello stesso, se<br />
non addirittura una semplice digressione rispetto alla questione sulle<br />
carni immolate agli idoli dibattuta in 1Cor 8,1-11,1 – ciò che costituisce<br />
il focus dei capitoli I-III della tesi – non pare una questione<br />
marginale. Né per gli esperti né per il credente meno avvezzo alle<br />
tecniche della moderna esegesi biblica.<br />
Procedendo con una serie di argomentazioni serrate, l’A. mostra<br />
come Paolo istituisca un sapiente dialogo con i propri interlocutori.<br />
Ricorrendo allo stratagemma retorico delle concessiones e delle correctiones,<br />
egli procede a piccoli passi, ammettendo dapprincipio la<br />
plausibilità dell’opinione dei cosiddetti “forti” di Corinto per poi<br />
correggerla progressivamente (si pensi allo slogan “Tutto è lecito”<br />
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di 6,12, ripreso in 10,23): è certamente lecito mangiare la carne immolata<br />
agli idoli; tuttavia per amore del fratello più debole un simile<br />
comportamento può/deve essere abbandonato. All’interno di questa<br />
dinamica argomentativa si collocano i due exempla del cap. 9 e di<br />
10,1-13, l’uno dal timbro positivo, l’altro dal timbro negativo, che<br />
illuminano rispettivamente i due imperativi di 8,9 (“Badate però che<br />
questa vostra libertà non divenga un inciampo per i deboli”) e di<br />
10,14 (“Perciò, o miei cari, fuggite l’idolatria”).<br />
Di fronte allo sguardo dei cristiani di Corinto, Paolo pone dunque<br />
se stesso come esempio – lo conferma la conclusione della sezione<br />
8,1-11,1, “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (11,1). Infatti,<br />
l’esempio concreto della sua scelta di vita può aiutare i Corinzi<br />
a rileggere le proprie pretese. Anch’egli ha un diritto (exousìa), tanto<br />
più grande del loro in quanto egli gode addirittura dei privilegi legati<br />
al ministero apostolico (essere mantenuto dalla comunità, condurre<br />
presso di sé una sorella, etc.). Egli tuttavia ha rinunciato a tali diritti pur<br />
di non porre ostacolo all’Evangelo. Ha lavorato con le proprie mani<br />
e ha trovato nell’annuncio della salvezza l’unico suo guadagno. La<br />
cosa diventa ancor più paradossale in quanto l’Apostolo non rinuncia<br />
soltanto ai diritti legati al ministero, ma amplifica la propria kenosi,<br />
parlando di una rinuncia al diritto alla libertà: Paolo, per il Vangelo, si<br />
è fatto addirittura schiavo. 1Cor 9 si chiude sottolineando l’orizzonte<br />
escatologico entro cui si disegna un simile orientamento etico: bisogna<br />
comportarsi come dei buoni atleti, che, per ottenere la corona della<br />
vittoria, sono disposti a grandi rinunce (normalmente connesse all’ambito<br />
sessuale e alimentare, proprio come nel caso dei forti di Corinto).<br />
Anche a questo livello Paolo si pone come modello: alla maniera dei<br />
corridori dell’epoca, egli è fisso su un solo obiettivo, quello della predicazione<br />
del Vangelo, e, alla maniera di un pugile, egli fa violenza a<br />
se stesso. Allo stesso modo i presunti forti della comunità di Corinto<br />
debbono aver di mira l’unico obiettivo della salvezza dei propri fratelli,<br />
anche al costo di privazioni, anche al costo di optare per scelte<br />
che apparentemente contrastano con il loro punto di vista (gnosi). Il<br />
ricorso all’arte dell’exemplum, pur temperata da alcune affermazioni<br />
di difesa e sapientemente scandita dalle motivazioni che sottendono la<br />
scelta di Paolo, non vuole solo generare un nuovo comportamento tra<br />
i cristiani, vuole molto più mostrare loro una logica superiore, quella<br />
dell’amore. Vuole, in altri termini – ed è questa l’acquisizione più volte<br />
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segnalata dall’A. – creare una nuova mentalità, quella annunciata già<br />
in 1Cor 2,16 (“Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo!”): al di là di ciò<br />
che è permesso o non permesso, si impone così l’unico criterio genuino<br />
dell’etica cristiana, quello del Vangelo e della salvezza del fratello.<br />
stabilita solidamente l’impalcatura esegetica delle proprie argomentazioni,<br />
il Pereira può avventurarsi (capp. IV-V) nell’analisi dei<br />
principali lessemi e delle metafore impiegati da Paolo in 1Cor 9: che<br />
cosa significhi godere di un diritto, in che cosa consista l’ostacolo<br />
che può interferire nel dinamismo dell’annuncio, che cosa indichi<br />
l’adattamento indiscriminato di Paolo ad interlocutori che provengono<br />
tanto dal mondo pagano quanto da quello giudaico, quali valori<br />
sottendano le metafore dello schiavo e dell’atleta. Così, al crescendo<br />
retorico delle argomentazioni, si accompagna un chiaro decrescendo<br />
dell’itinerario esistenziale dell’Apostolo, sottolineato proprio dalla<br />
semantica di 1Cor 9: Paolo si pone al pari di chi è privo di ogni<br />
diritto, si fa schiavo pur di guadagnare qualcuno; egli tenta di rovesciare<br />
il senso di competizione che ancora sopravviveva tra i suoi<br />
uditori (la vana-gloria), fino al paradosso della schiavitù, dell’alienazione<br />
della propria identità, una vera e propria “morte sociale”. Pur<br />
non sviscerando fino in fondo la valenza simbolica di espressioni<br />
tanto pregnanti, l’A. riesce a delineare la logica persuasiva del linguaggio<br />
paolino: gli esempi che l’Apostolo offre con tanta dovizia<br />
devono illuminare (illustrans) in modo indiretto la realtà concreta<br />
(illustrandum) in cui è invischiata la comunità di Corinto ed, al contempo,<br />
devono indicare una via d’uscita dall’impasse.<br />
Emerge così una sorta di cristologia implicita, poiché il tragitto kenotico<br />
in cui Paolo si avventura riducendosi “da apostolo a schiavo”<br />
trova il suo ultimo fondamento in una scelta anteriore a tutte, quella<br />
di Cristo che si svuotò di se stesso, rinunciando ai privilegi legati<br />
alla propria condizione divina, che si sottomise alla legge, che accettò<br />
il patibolo della croce. Conformandosi a Cristo, l’Apostolo ne<br />
sposa la logica di abbassamento, di dono di sé per il bene dell’altro,<br />
il fratello. Solo perché misticamente coinvolto in questo dinamismo<br />
di incessante trasfigurazione kenotica, Paolo può offrirsi agli altri,<br />
concretamente, personalmente, come exemplum.<br />
Leopoldo Boris Lazzaro cmop<br />
oraetlabora07@yahoo.it<br />
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PADRe TheODOssIOs MARIA<br />
DeLLA CROCe,<br />
Rinnovarsi ogni giorno,<br />
premessa del cardinale Mauro<br />
piacenza,<br />
Libreria editrice vaticana,<br />
città del vaticano 2012,<br />
pp. 444, e 13.<br />
n-<br />
“Ri<br />
novarsi ogni<br />
giorno è un’azione<br />
di portata eterna.<br />
L’anima compie<br />
ad ogni minuto,<br />
coscientemente o<br />
inconsciamente,<br />
tra le più soavi<br />
consolazioni e le più aride prove, l’offerta di tutto, assolutamente<br />
tutto, a Colui che è la causa e la sorgente di tutto. Questa azione di<br />
offerta ci rinnova, perché ci consolida nell’amore più perfetto, che<br />
direttamente o indirettamente ci lega all’amore ineffabile di Dio<br />
per noi” (p.7).<br />
In questo libro, Padre theodossios maria della Croce ci offre per<br />
ogni giorno dell’anno una breve meditazione scelta seguendo i tempi<br />
liturgici della Chiesa o in rapporto con il santo del giorno. I testi sono<br />
tratti prevalentemente da omelie e da insegnamenti pronunciati dal<br />
Padre per i suoi figli spirituali e si rivolgono a quanto di più profondo<br />
ogni uomo porta dentro di sé. La parola di P. Theodossios, originale<br />
e poetica, parola d’amore e di verità, ci fa entrare in un mondo di<br />
luce che ridà vita, speranza e pace alle anime.<br />
Padre theodossios maria della Croce, nato in grecia nel 1909,<br />
ha unito nella sua persona la tradizione orientale nella quale era cresciuto<br />
e quella occidentale che ha amato e abbracciato come sacerdote<br />
della Chiesa cattolica.<br />
Possedeva una vasta cultura e una profonda conoscenza dei cuori,<br />
e nei difficili anni dopo il Concilio Vaticano II ha dedicato tutte le<br />
forze a infondere nelle anime un rinnovamento nella fedeltà alla<br />
grande tradizione della Chiesa. Si è consumato fino all’ultimo re-<br />
recensioni<br />
371<br />
recensioni<br />
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ecensioni<br />
recensioni 372<br />
spiro per la Chiesa per trasmettere a quanti l’avvicinavano l’amore<br />
della verità e il desiderio di coerenza.<br />
Si è spento a Bagnoregio (Viterbo) nel 1989, circondato dai suoi<br />
Figli e Figlie spirituali della “Fraternità della Santissima Vergine<br />
Maria”, da lui fondata.<br />
Abbiamo creduto bene diffondere a livello più ampio i tesori spirituali<br />
che questi insegnamenti contengono. “Noi tutti siamo qui per<br />
rinascere ogni giorno, per essere trasformati, per arrivare rinnovati<br />
alla fine della nostra vita e penetrare nell’eternità salvati da Cristo.<br />
Questa trasformazione è tutto lo scopo e il mistero della Chiesa”<br />
(p.393).<br />
Le Suore della Fraternità della SS.ma Vergine Maria<br />
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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE<br />
CAttEDRA GLORIA CRUCIS<br />
Produzione scientifica<br />
della cattedra Gloria crucis<br />
AA.VV. Memoria <strong>Passio</strong>nis in Stanislas Breton, Edizioni<br />
Staurós, S. Gabriele Teramo, 2004.<br />
Piero CodA Le sette Parole di Cristo in Croce, Edizioni<br />
Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.<br />
Luis diez Merino, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della <strong>Passio</strong>ne,<br />
Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.<br />
MArio CoLLu, CP Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,<br />
Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre 2004.<br />
TiTo di sTefAno, CP Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />
Teramo, dicembre 2004.<br />
CArLo Chenis, sdB Croce e arte, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />
Teramo, gennaio 2004.<br />
AngeLA MAriA LuPo, CP La Croce di Cristo segno definitivo dell’Alleanza<br />
tra Dio e l’Uomo, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />
Teramo, febbraio 2004.<br />
fernAndo TACCone, CP (ed.) Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, Edizioni<br />
OCD, Roma Morena, 2006.<br />
fernAndo TACCone, CP (ed.) La visione del Dio invisibile nel volto del<br />
Crocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.<br />
fernAndo TACCone, CP (ed.) Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, Roma<br />
Morena, 2008.<br />
fernAndo TACCone, CP (ed.) Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli,<br />
Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.<br />
fernAndo TACCone, CP (a cura) John Henri Newman e Domenico Barberi, in La<br />
Sapienza della Croce, Edizioni CIPI, S. Gabriele,<br />
n. 4, 2010.<br />
fernAndo TACCone, CP (a cura) L’agire sociale alla luce della teologia della Croce,<br />
Edizioni OCD, Roma Morena, 2011.<br />
fernAndo TACCone, CP (ed.) Persona e croce, Edizioni OCD, Roma Morena,<br />
2011.<br />
fernAndo TACCone, CP (ed.) La colpa umana dinanzi al mistero della croce,<br />
Edizioni OCD, Roma Morena, 2011.<br />
AA.VV. Il Beato Domenico Bàrberi passionista nell’itine-<br />
rario di conversione del Card. John Henry<br />
Newman, in La Sapienza della Croce, Anno XXV,<br />
n. 4, ottobre-dicembre 2010, Edizione CIPI.<br />
AA. VV. Emigrazione e multiculturalità: croce su cui<br />
morire o risorgere, in La Sapienza della Croce,<br />
Anno XXVI, n. 1, gennaio-aprile 2011, Edizione<br />
CIPI.<br />
AA. VV., Il concetto cristiano di Dio a partire dalla Croce.<br />
La fondazione biblica: Dio è amore, in La Sa-<br />
pienza della Croce, anno XXVI, n.2, maggio-<br />
agosto 2012, Edizione CIPI<br />
AA. VV. La sapienza della croce come risposta alla do-<br />
manda di senso, in La Sapienza della Croce,<br />
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anno XXVI n.3, settembre-dicembre 2012, Edi<br />
zione CIPI.<br />
AA. VV. La sapienza della Croce nel pensiero e nella te<br />
stimonianza del beato Giovanni Paolo II, in La<br />
Sapienza della Croce, anno XXVII n.1, gennaio-<br />
aprile (2012), Edizione CIPI.<br />
L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passiochristi.org<br />
alla voce Cattedra Gloria Crucis.<br />
La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voce<br />
Sapienza della Croce.<br />
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