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Rivista quadrimestrale di cultura e spiritualità della <strong>Passio</strong>ne<br />

La<br />

a cura dei <strong>Passio</strong>nisti italiani e della Cattedra Gloria Crucis<br />

della Pontificia Università Lateranense<br />

Sapienza<br />

della<br />

CroCe<br />

EDITORIALE<br />

Esegesi scientifica ed esegesi teologica<br />

della Parola della Croce<br />

Gianni SGreva cp<br />

SACRA SCRITTURA E TEOLOGIA<br />

Ritrovare il primitivo ebraismo messianico.<br />

La Chiesa di Gerusalemme,<br />

madre di tutte le Chiese.<br />

adolfo lippi cp<br />

L’esserci dell’Amore che vede<br />

anGela Maria lupo cp<br />

«E subito uscì sangue e acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione di allusioni all’AT<br />

franceSco voltaGGio<br />

L’Ora in Gv 2,1-11: anticipazione o inizio?<br />

Lettura giudaico-patristica<br />

delle nozze di Cana<br />

Gianni SGreva cp<br />

PSICOLOGIA E TEOLOGIA<br />

Quando l’amore è legge.<br />

Il rapporto tra l’indicativo di salvezza<br />

e l’imperativo morale<br />

GiuSeppe della Malva<br />

SPIRITUALITÀ<br />

La congregazione tra passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

tito paolo Zecca cp<br />

RECENSIONI<br />

a cura di<br />

leopoldo BoriS laZZaro cmop<br />

145-148<br />

149-170<br />

171-195<br />

197-229<br />

231-276<br />

277-324<br />

325-356<br />

357-372<br />

Anno XXVII - n. 2<br />

mAggIo-Agosto 2012<br />

Direttore responsabile<br />

Gianni Sgreva c.p.<br />

Direttore amministrativo<br />

Vincenzo Fabri c.p.<br />

Cattedra Gloria Crucis<br />

Comitato scientifico<br />

Fernando Taccone c.p. - Antonio Livi<br />

Lubomir Zak - Riccardo Ferri<br />

Denis Biju-Duval - Angela Maria Lupo c.p.<br />

Gianni Sgreva c.p. - Adolfo Lippi c.p.<br />

Segretari di redazione<br />

Leopoldo Boris Lazzaro cmop,<br />

Carlo Baldini c.p. - Flavio Toniolo c.p.<br />

Lorenzo Baldella c.p. - Vittorio Lucchini<br />

Lucia Ulivi - Franco Nicolò<br />

Collaboratori<br />

Tito Amodei c.p., Vincenzo Battaglia ofm,<br />

G. Marco Salvati op, Tito Paolo Zecca c.p.,<br />

Maurizio Buioni c.p., Max Anselmi c.p.,<br />

Giuseppe Comparelli c.p., Mario Collu c.p.,<br />

Alessandro Ciciliani c.p., Carmelo Turrisi<br />

c.p., Roberto Cecconi c.p., Lorenzo<br />

Mazzocante c.p.<br />

Redazione:<br />

La Sapienza della Croce<br />

Piazza SS. Giovanni e Paolo, 13<br />

00184 Roma<br />

Tel. 06.77.27.11<br />

Fax 06.700.81.92<br />

e-mail: sapienzadellacroce@tiscali.it<br />

Abbonamento annuale<br />

Italia E 20,00, Estero $ 30<br />

Fuori Europa (via aerea) $ 38<br />

Singolo numero E 10,00<br />

C.C.P. CIPI n. 50192004 - Roma<br />

Finito di stampare Ottobre 2012<br />

Stampa:<br />

Tipografia CSR - Roma<br />

Progetto grafico: Filomena Di Camillo<br />

Impaginazione: Serena Pico<br />

ISBN 978-88-85421-43-1<br />

Autorizzazione del tribunale di Roma n. 512/85, del 13 novembre 1985 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento<br />

Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2 e 3, Teramo Aut. N. 123/2009<br />

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Gianni SGreva cp<br />

Il sinodo dei vescovi del 2008<br />

sulla Parola di Dio con l’esortazione<br />

post-sinodale di Papa Benedetto<br />

XVI, Verbum Domini<br />

hanno messo a fuoco l’esigenza<br />

di riagganciare l’esegesi scientifica<br />

all’esegesi teologica della<br />

scrittura. La Parola è parola di salvezza, è<br />

messaggio dello spirito che la Chiesa ha riconosciuto<br />

depositario e veicolo della pienezza<br />

della Rivelazione divina. L’obbiettivo di ogni<br />

esegesi è quello di condurre a scoprire tra le<br />

righe della Parola ciò che Dio rivela per la salvezza.<br />

L’esegesi, pertanto, non può limitarsi a<br />

sondare il testo della lettera, anzi questa operazione<br />

previa è esigita al fine di giungere al significato teologicospirituale<br />

di ogni testo rivelato. ossia, è necessaria l’esegesi scientifica/letterale<br />

che, lungi dal rinchiudersi in se stessa, costituisce il<br />

presupposto in vista dell’esegesi teologica/spirituale.<br />

Proprio per raggiungere il fine teologico-spirituale l’esegesi deve<br />

riandare alle fonti della scrittura stessa che si ritrovano nel contesto<br />

giudaico e rabbinico ripreso dall’ermeneutica patristica.<br />

Quest’ultima, infatti, si rivela capace di unire la lettura scientifica-letterale<br />

con il suo punto di arrivo che è il livello teologicospirituale<br />

del testo. Infatti, proprio accogliendo nella ricerca dell’esegesi<br />

scientifica il sottofondo giudaico e la prima interpretazione<br />

patristica, si entra già nell’esegesi teologica.<br />

editoriale<br />

EsEgEsi<br />

sciEntifica<br />

Ed EsEgEsi<br />

tEologica<br />

dElla Parola<br />

dElla crocE<br />

Esegesi scientifica ed<br />

esegesi teologica della<br />

Parola della Croce<br />

145-148<br />

editoriale<br />

145<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 145 04/02/13 09:38


editoriale<br />

Gianni SGreva<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

editoriale<br />

146<br />

La prima esegesi organica inaugurata nella Chiesa dal grande<br />

origene, sia quello di Alessandria, come quello di Cesarea, ha visto<br />

questa sintesi dei due livelli, quello letterale e quello spirituale,<br />

quello scientifico e quello teologico, in simbiosi e sinergia con<br />

l’humus giudaico-rabbinico.<br />

La grande esegesi patristica ha poggiato su questa sintesi, dall’oriente<br />

origeniano all’occidente ambrosiano ed agostiniano. se c’è<br />

stato un freno a questa sintesi per una maggiore preoccupazione di<br />

stampo scientifico-letterale (vedi la scuola di Antiochia con Diodoro<br />

di tarso, teodoro di mopsuestia e giovanni Cristostomo) questo fu<br />

dovuto al timore che tra i due livelli ci fosse una sproporzione, del<br />

livello spirituale-teologico a scapito del suo punto di partenza che è<br />

il livello scientifico-letterale.<br />

In realtà origene non conobbe questa sproporzione, ma i due momenti<br />

in lui rimasero chiari e saldi, affinché il primo fosse base per<br />

il secondo, il livello scientifico base del livello teologico-spirituale.<br />

Per questo Origene ci teneva all’esegesi scientifica, ossia a ben<br />

identificare il testo, sia ebraico come greco delle Scritture Sacre, e<br />

per questo attingeva all’Antico testamento e alle letture viventi e<br />

orali del medesimo fatte dai rabbini e dagli ebrei in genere da lui<br />

consultati, non essendoci ancora nel III secolo una vera e propria letteratura<br />

rabbinica scritta. solo così origene ci ricorda, ad esempio,<br />

il significato di Calvario, come “luogo del cranio”, perché aveva attinto<br />

la notizia dai rabbini, così pure il significato salvifico della Tav<br />

di Ez 9,4.<br />

Poi, in particolare, per quanto concerne la teologia della croce,<br />

come potremmo capire Paolo senza Dt 21, 22-23 (Gal 3, 13-14)?<br />

Paolo si appropriò della vera identità del gesù entrato nell’orizzonte<br />

della sua vita di ebreo sulla via di Damasco allorché dovette ammettere<br />

che il maledetto di Dt 21, 22-23 si identificava con Gesù,<br />

il Messia crocifisso. Senza la luce proiettata da Dt 21, 22-23 Paolo<br />

non avrebbe mai dichiarato di non conoscere nessun altro se gesù il<br />

Messia, il Messia crocifisso (1 Cor 2,2).<br />

E prima di Paolo, come capire lo stesso gesù senza legarlo alle<br />

radici dell’insegnamento della halakah dei padri dell’ebraismo? Purtroppo,<br />

molta esegesi scientifica è stata condotta sulla falsariga della<br />

cultura greco-romana e approfondita alla luce di categorie ermeneutiche<br />

appartenenti a filosofie occidentali, antiche moderne e contem-<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 146 04/02/13 09:38


poranee, senza anzitutto preoccuparsi di conoscere il milieu culturale<br />

di gesù fedele alla torah. Così ancora l’esegesi, allontanatasi<br />

dalle sue fonti “naturali” giudaiche e patristiche, stenta a offrire alla<br />

teologia un fondamento sicuro pertinente all’area culturale giudaica.<br />

si citano i passi del nuovo testamento accanto a quelli dell’Antico<br />

testamento senza la preoccupazione di far derivare i primi dai secondi.<br />

In fin dei conti, l’ideologia marcionita non è ancora rientrata.<br />

Persiste l’allergia verso l’Antico testamento e la scarsa conoscenza,<br />

per non dire il disinteresse, per la tradizione ebraica e rabbinica. A<br />

soffrire per la mancanza di questo innesto del nt nell’At e della<br />

presa di coscienza della germinazione del nuovo dal e nell’Antico<br />

è alla fine il messaggio teologico-spirituale che è il vero obbiettivo<br />

dell’esegesi stessa. spesso gli stessi teologi, privi della conoscenza<br />

dei risultati di una esegesi scientifico-teologica poggiata sulle fonti<br />

giudaico-patristiche, incorrono in incomprensioni o in veri errori di<br />

prospettiva, dovuti a una maggiore fiducia poggiata sull’interpretazione<br />

ellenistica che sui fondamenti semitici della scrittura.<br />

In questi ultimi tempi ci sono stati offerti dei preziosi contributi<br />

per scavare e trovare il messaggio teologico-spirituale a partire dal<br />

pozzo stesso da cui zampilla l’acqua salvatrice della scrittura, le<br />

vene sotterranee dell’AT e della riflessione rabbinica. Tra i primi<br />

precursori filosemiti ricordiamo Joseph Bonsirven (1880-1958) 1 . tra<br />

gli altri ricordiamo la ricerca sulla teologia di Dio condotta da Pierre<br />

Lenhard: L’Unité de la Trinité. À l’écoute de la Tradition d’Israël, 2<br />

che evidenzia come il nuovo testamento e la tradizione della Chiesa<br />

sono illuminati dall’insegnamento di Israele sull’Unità ineffabile del<br />

Dio Uno e Unico. E per gesù il recente lavoro di P. michel Remaud,<br />

Paroles d’Évangile, paroles d’Israël 3 , mette in luce che il contesto<br />

dell’azione e della predicazione di gesù era la tradizione ebraica del<br />

suo tempo e che la stessa interpretazione della scrittura di gesù era<br />

debitrice delle categorie di pensiero rabbiniche. molti passaggi e pa-<br />

1 cf Th.-M. anDrevOn, Joseph Bonsirven et le « mystère d’Israël, in NRT<br />

133/4 (2011), 547-567.<br />

2 p. LeHnarD, L’Unité de la Trinité. À l’écoute de la Tradition d’Israël, col.<br />

essai 9, paris, collège des Bernardins, parole et Silence, 2011.<br />

3 M. reMaUD, Paroles d’Évangile, paroles d’Israël, paris, collège des Bernardins,<br />

parole et Silence, 2012.<br />

editoriale<br />

Esegesi scientifica<br />

ed esegesi teologica<br />

della Parola della Croce<br />

145-148<br />

editoriale<br />

147<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 147 04/02/13 09:38


editoriale<br />

Gianni SGreva<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

editoriale<br />

148<br />

role di gesù restano incomprese e incomprensibili se non sono lette<br />

dentro la ricchezza dell’At e della tradizione di Israele.<br />

In questo numero della rivista abbiamo voluto ospitare alcuni<br />

contributi elaborati alla luce delle convinzioni espresse fin qui, con il<br />

desiderio che quanto papa Benedetto XVI propone nella sua Verbum<br />

Domini trovi la sua attuazione e quindi l’esegesi scientifica approdi<br />

veramente al patrimonio fondante delle scritture, disveli le potenzialità<br />

della religiosità e del pensiero ebraico, per proseguire nel suo<br />

servizio di indagine e di offerta del messaggio teologico e spirituale<br />

della Parola. La stessa Parola della Croce, allora, si farà autentica<br />

“sapienza” della Croce.<br />

A questo proposito ci piace menzionare in casa passionista un<br />

ottimo lavoro di rielaborazione biblica e di ricerca dei fondamenti<br />

biblici di un carisma spirituale come quello della <strong>Passio</strong>ne in s.Paolo<br />

della Croce. si tratta della ricerca di sr. Angela maria Lupo, cp,<br />

membro del Comitato scientifico della cattedra “Gloria Crucis” e<br />

professore invitato di Antico testamento all’IsCsm della Pontifica<br />

Università Urbaniana, La mistica del Calvario in S.Paolo della<br />

Croce: Per essere i nuovi santi del terzo millennio 4 , che volentieri<br />

e con sincero piacere teologico-spirituale proponiamo alla lettura e<br />

all’apprezzamento dei nostri lettori.<br />

Insomma, da un’esegesi scientifica, che nel riferimento alle radici<br />

ebraiche della Rivelazione già si scopre aperta all’esegesi teologica,<br />

di cui i Padri sono i primi protagonisti, emerge il Dio cristiano proveniente<br />

essenzialmente dalla Croce. si ricava, cioè, non solo una<br />

teologia della croce, ma una teo-logia dalla Croce.<br />

Gianni Sgreva cp<br />

totustuus@hotmail.it<br />

4 a. M. LUpO, La mistica del Calvario in S.Paolo della croce. Per essere i<br />

nuovi santi del terzo millennio, ed OcD, roma 2012.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 148 04/02/13 09:38


aDOLfO Lippi cp<br />

marco Cassuto morselli<br />

e gabriella maestri<br />

stanno portando<br />

avanti una ricerca per<br />

ricostruire la fisionomia<br />

autentica della<br />

primitiva comunità<br />

cristiana, quella chiesa di gerusalemme, tutta quanta<br />

ex circumcisione (non esisteva ancora la ecclesia ex<br />

gentibus), dalla quale hanno avuto origine tutte le<br />

altre chiese. osservo io a questo proposito che, più<br />

o meno inconsciamente, si è portati a proiettare su<br />

quella comunità caratteristiche e categorie mentali<br />

che si sono sviluppate più tardi nel cristianesimo,<br />

più tardi ed anche in ambienti culturali assai diversi,<br />

soprattutto ambienti non ebraici, ellenistici, romani<br />

e bizantini. Cassuto morselli e maestri si esercitano a<br />

riportare documenti antichissimi del cristianesimo all’ambiente culturale<br />

nel quale sono sorti ed al quale si rivolgevano. Hanno fatto<br />

questo, finora, per la Didachè e per la Lettera di Giacomo 1 . stanno<br />

lavorando alla Lettera agli Ebrei, un documento indubbiamente più<br />

1 Didachè. La Torah del Messia attraverso i Dodici Apostoli ai goyim, a cura<br />

di Gabriella Maestri e Marco Morselli, Marietti 1820, Genova-Milano 2009;<br />

Lettera di Giacomo alle Dodici Tribù della Diaspora, a cura di Marco cassuto<br />

Morselli e Gabriella Maestri, Marietti 1820, Genova-Milano2011.<br />

sacra scrittura<br />

ritroVarE<br />

il PriMitiVo<br />

EBraisMo<br />

MEssianico<br />

la chiesa di<br />

gerusalemme,<br />

madre di tutte<br />

le chiese<br />

Ritrovare Il primitivo<br />

ebraismo messianico<br />

149-170<br />

sacra<br />

149<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Adolfo lippi cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

150<br />

scrittura<br />

impegnativo sul quale, però, ha già lavorato, con un intento simile,<br />

lo studioso svedese Jesper Svartvik 2 . scrivono i due studiosi:<br />

“I primi discepoli di Yehoschua, che i testi canonici della Chiesa<br />

definiscono ‘cristiani’ erano ebrei messianici che molto si sarebbero<br />

stupiti se avessero potuto conoscere quali cambiamenti si sarebbero<br />

prodotti nel corso di pochi decenni in seno a quella Comunità<br />

a cui appartenevano e che ben presto li avrebbe emarginati e<br />

ripudiati” 3 .<br />

sembra proprio che questa storia sia stata deformata leggendola<br />

secondo teorie preconcette o anche concezioni dogmatiche che si<br />

sono sviluppate in seguito. Bisogna ripartire dai fatti, che naturalmente<br />

precedono ogni riflessione. La nostra storia di cristiani è<br />

quella che è stata e così la storia degli ebrei. È necessario oggi, per il<br />

compito che si ha davanti, ripercorrere i processi storici, allo scopo<br />

di disinnescarne i fattori di incomprensioni e conflitti e aprire la<br />

strada del dialogo, del reciproco interesse e della reciproca cura, gli<br />

uni per gli altri. nel corso di pochi decenni si passò dalla concezione<br />

del rapporto degli ebrei messianici con la radice di Israele espressa<br />

nella Didachè e nella Lettera di giacomo a quella espressa nella Lettera<br />

di Barnaba. nel corso di qualche secolo, poi, esauritasi per le<br />

vicende che vedremo la ecclesia ex circumcisione, la Chiesa oramai<br />

composta di soli gentili svilupperà la ben nota teologia della sostituzione,<br />

ma svilupperà anche una teologia conseguente all’inculturazione<br />

della fede nelle categorie proprie dell’ellenismo, una vera ontoteologia,<br />

che risulterà diversa e lontana per coloro che erano voluti<br />

rimanere fedeli al linguaggio e alle tradizioni bibliche, limitandosi a<br />

commentarle.<br />

La Lettera di Barnaba contiene già una vera e propria teologia<br />

della revoca dell’Alleanza e un certo insegnamento del disprezzo,<br />

ma possiamo osservare che essa parte dal rilevare che gli ebrei non<br />

passati alla fede cristiana intendevano delegittimare i cristiani nel<br />

2 J. SvarTiK, Reading the Epistle to the Hebrews Without Presupposing Supersessionism,<br />

in aa. vv. Christ Jesus and the Jewish People today, eerdman-<br />

GUp, Grand rapids-rome 2011, 77-91.<br />

3 Lettera di Giacomo, cit., 55.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 150 04/02/13 09:38


loro richiamarsi alle scritture ebraiche, dicendo: l’alleanza è nostra 4 .<br />

È come se avessero detto: è nostra proprietà, voi siete degli intrusi.<br />

L’autore della Lettera di Barnaba è molto preoccupato della fede di<br />

coloro ai quali scrive, conosce molto bene l’Antico testamento che<br />

cita moltissimo, ma lo fa dandone un’interpretazione funzionale alla<br />

finalità di incoraggiare i cristiani nella loro fede. Non c’è più posto<br />

per la coesistenza. Ben presto si svilupperanno teorie gnostiche che,<br />

con marcione, arriveranno alla demonizzazione dell’Antico testamento.<br />

C’è da meravigliarsi ed anche certamente da rallegrarsi che<br />

l’ortodossia cristiana non abbia mai accolto l’invito a sradicarsi totalmente<br />

dalla storia ebraica e dalle sue scritture, anzi abbia continuato<br />

a cercare e trovare in esse l’ispirazione fondamentale per la<br />

propria teologia e spiritualità.<br />

I due commentatori mettono in rilievo alcuni elementi fondamentali<br />

per comprendere la condizione degli ebrei messianici della primitiva<br />

chiesa di gerusalemme. Essi sono:<br />

1. la fortissima tensione escatologica che caratterizzava le comunità<br />

cristiane primitive, attesa condivisa anche da Paolo e dalle sue<br />

comunità, attesa che comportava anche problemi pastorali. L’attenzione<br />

delle comunità non era tanto volta al messia venuto quanto<br />

al messia venturo. gli ebrei messianici cristiani erano tesi verso<br />

il ritorno del messia-gesù morto e risorto, mentre tutta la società<br />

ebraica era suggestionata da attese apocalittiche.<br />

2. La grande autorevolezza di cui godeva “Giacomo, fratello<br />

dell’Adon-Signore” tanto nella comunità ebraico-messianica,<br />

quanto, al di fuori di essa, tra i giudei di gerusalemme. non c’è<br />

motivo, infatti, di dubitare di quanto racconta giuseppe Flavio, contemporaneo<br />

di giacomo e protagonista in prima persona della guerra<br />

giudaica, intorno al martirio di giacomo nell’anno 62 d. C. Il sommo<br />

sacerdote Anano fece condannare Giacomo alla lapidazione. “Ma le<br />

persone più equanimi della città, considerate le più strette osservanti<br />

della Legge, si sentirono offese da questo fatto”. Ci furono ricorsi al<br />

4 cf Lettera di Barnaba, iv, 1, 6-7; in I Padri apostolici, a cura di a. Quacquarelli,<br />

città nuova, roma 1978, 190 ss.<br />

sacra scrittura<br />

Ritrovare Il primitivo<br />

ebraismo messianico<br />

149-170<br />

sacra<br />

151<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 151 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

Adolfo lippi cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

152<br />

scrittura<br />

procuratore Albino e al re Agrippa, il quale depose Anano 5 . molti ritengono<br />

che a protestare contro il sadduceo Anano fossero i farisei 6 .<br />

3. La discreta integrazione degli ebrei messianici all’interno della<br />

società giudaica dell’epoca, che era assai più variegata e tollerante di<br />

quello che sarà dopo la distruzione del secondo tempio.<br />

4. L’enorme devastazione prodotta dalle due guerre giudaiche<br />

del 66-70 e del 132-135, che produssero una vera Shoah, riducendo<br />

l’ebraismo a un decimo di quello che era precedentemente. Questa<br />

situazione può far comprendere il rigore con cui si procedé nella ricerca<br />

di una sopravvivenza e di una più rigida identificazione dell’ebraismo.<br />

Questa si sviluppò nella corrente talmudica e rabbinica:<br />

come affermava Lévinas senza il Talmud non ci sarebbero stati più<br />

ebrei 7 , ma è anche vero che non poté più esserci la tolleranza precedente.<br />

5. La notevole integrazione fra ecclesia ex circumcisione ed ecclesia<br />

ex gentibus che esisteva precedentemente: gli ebrei messianici<br />

continuavano a frequentare il tempio, a circoncidersi e ad osservare<br />

le mitzvot, ma non pretendevano che questo fosse fatto anche dai<br />

fratelli provenienti dalla gentilità. D’altra parte i fratelli gentili raccoglievano<br />

e inviavano elemosine che erano ben accette alle chiese<br />

della Palestina.<br />

1. dal mondo come è<br />

al mondo che viene<br />

La proiezione<br />

all’indietro<br />

degli sviluppi<br />

posteriori della fede<br />

5 GiUSeppe fLaviO, Antichità giudaiche, 2, Utet, Torino 2006, p. 1247.<br />

nella Storia ecclesiastica di eusebio di cesarea sono raccolte varie tradizioni<br />

riguardanti Giacomo e il suo martirio, anche contraddittorie. esse tuttavia possono<br />

rappresentare una conferma dell’importanza storica di questo uomo, chiamato<br />

in varie tradizioni il Giusto, elogiato per ascetismo e serietà. Si arrivava<br />

a dire che l’assedio e la distruzione di Gerusalemme, accadute dopo la sua<br />

uccisione, non fossero state altro che il castigo di Dio per tale delitto (ii, XXiii,<br />

19-20).<br />

6 cf ad es. e. p. SanDerS, Il Giudaismo: Fede e prassi (63 a. C.-66 d. C.),<br />

Morcelliana, Brescia 1999, 635.<br />

7 cf S. MaLKa, Leggere Lévinas, Queriniana, Brescia 1986, 59.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 152 04/02/13 09:39


cristiana fa pensare alla tensione escatologica della Comunità gerosolimitana<br />

come attesa di una prossima fine del mondo. Invece<br />

ciò che la Comunità degli ebrei messianici anzitutto aspettava era<br />

il passaggio da questo mondo – Olam ha-zeh – al mondo che viene<br />

– Olam ha-ba -, pieno della conoscenza del Dio vivente (cf Ger 31,<br />

11). Ciò che accade nella storia reale determina la trasformazione<br />

delle Weltanschauung teologiche assai più di quanto queste influiscano<br />

sui fatti. Alla fine dei sacrifici del tempio di Gerusalemme, gli<br />

Israeliti sopravvissuti e desiderosi di mantenere viva la fede nel Dio<br />

che ha scelto Israele reagiscono con la creazione del talmud, con la<br />

halakah, col sospetto verso il messianismo. Anche tra i cristiani, il<br />

mancato ritorno del messia durante la prima generazione cristiana<br />

porta a sviluppare una diversa visione del mondo e della sua consumazione.<br />

già nella prima Lettera di Pietro si ricorre ad un salmo<br />

per dire che davanti a Dio un giorno è come mille anni e mille anni<br />

come un giorno: quindi, anche se sembra che il signore ritardi a venire,<br />

di fatto non ritarda (cf 1Pt, 3, 8). Questa nuova teologia porta<br />

a leggere certe frasi del nuovo testamento in un senso diverso da<br />

come venivano lette dai destinatari di quegli scritti. Ad esempio l’espressione<br />

passa la scena (o la figura) di questo mondo (1Cor, 7, 31)<br />

significava per loro che sta per venire un mondo diverso da questo,<br />

che cioè stiamo per passare dall’ olam-ha-zeh all’ olam-ha-bah. noi<br />

la leggiamo spontaneamente nel senso della fragilità umana: passa la<br />

scena di questo mondo in quanto da un momento all’altro possiamo<br />

morire e questo stesso mondo è destinato a finire per dar luogo alla<br />

vita eterna dopo la morte.<br />

2. cultura ebraico-biblica<br />

e cultura greca<br />

La Weltanschauung<br />

greca è tendenzialmente<br />

statica.<br />

Può essere ben rappresentata<br />

con l’idea del<br />

mondo eterno e sempre uguale a se stesso di Aristotele o con la teoria<br />

dell’eterno ritorno del nostalgico nietzsche. La Weltanschauung<br />

ebraico-biblica è tendenzialmente dinamica. Il messianismo, l’attesa<br />

di una nuova creazione, dei cieli nuovi e della terra nuova pervade<br />

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ebraismo messianico<br />

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tutta quella cultura. È una cultura dell’attesa e della speranza. Di<br />

conseguenza il profetismo tende alla trasformazione della società,<br />

così come le religioni antropologiche tendono essenzialmente alla<br />

stabilizzazione degli equilibri sociali esistenti mediante la loro sacralizzazione.<br />

non dimentichiamo mai, peraltro, che noi tutti, ebrei o cristiani<br />

che accettiamo di far discorsi accademici sulla fede e la storia della<br />

salvezza, utilizziamo categorie e procedimenti logici di tipo greco e<br />

occidentale, non ebraico o orientale, e che dal movimento e dal confronto<br />

delle idee è sempre facile scadere nelle ideologie 8 . soltanto la<br />

disponibilità al dialogo ci salva da questo pericolo. Lévinas riconosceva<br />

di adoperarsi per esprimere i contenuti della Bibbia ebraica in<br />

categorie greche. La disponibilità a che ebrei e cristiani si confrontino<br />

su testi dell’Antico e del nuovo testamento ben conosciuti da<br />

entrambi, come attesta ad esempio il volume Christ Jesus and the<br />

Jewis People Today già citato, è da considerarsi una grazia di Dio<br />

per il nostro tempo.<br />

non fa meraviglia, quindi, che la cultura ebraica, della quale<br />

stiamo trattando, sia stata in perenne movimento, né che si siano<br />

verificati sviluppi diversi di uno stesso evento, quale può essere<br />

stato la vita di Cristo, la sua morte voluta e la sua risurrezione<br />

proclamata nella predicazione. Questo non significa relativismo.<br />

Infatti, di fronte ad alcuni di quegli sviluppi i responsabili delle<br />

comunità cristiane reagiscono rifiutandoli come pericolose deviazioni.<br />

L’esempio più evidente, forse, è l’orgoglio dei nuovi cristiani<br />

provenienti dal paganesimo di fronte al popolo dell’Alleanza,<br />

contro cui reagisce duramente proprio l’Apostolo dei gentili nei<br />

capitoli 9-11 della Lettera ai Romani. Questa reazione, purtroppo,<br />

fu poco ascoltata.<br />

8 ad esempio la fede ebraica di cui parla Y. Leibowitz (La fede ebraica, La<br />

Giuntina, firenze 2001) potrebbe rapportarsi maggiormente all’amor puro su<br />

cui si dissertava al tempo del Giansenismo (amare Dio senza pensare al paradiso,<br />

amarlo anche all’inferno) che alla fede ebraico-biblica nella quale la sofferenza,<br />

il male, sono segni chiari della lontananza del Dio o dal Dio di israele.<br />

L’approdo alla profezia del Servo Sofferente (is 53) non avviene a causa di una<br />

teoria, ma di un’illuminazione, la quale, peraltro, mantiene viva la certezza di<br />

un imprevedibile trionfo finale.<br />

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Un vero gioiello di cultura ebraico-biblica sono i vangeli dell’infanzia<br />

di Luca e di matteo. tutta la terminologia ivi usata è tipicamente<br />

ebraica, così come i concetti e le proposizioni. scelgo alcune di<br />

tali espressioni: a gesù Dio darà il trono di Davide suo padre per regnare<br />

per sempre sulla casa di Giacobbe (Lc 1, 32-33); Iddio soccorre<br />

Israele suo servo ricordandosi della sua misericordia (Lc 1, 54); Il Dio<br />

di Israele visita e redime il suo popolo (Lc 1, 68); concede misericordia<br />

ai nostri padri (Lc 1, 72). Gesù salverà il suo popolo dai suoi peccati<br />

(Mt 1, 21) ed è chiamato fin dall’inizio “re dei giudei” (Mt 2, 2), viene<br />

per pascere il popolo di Dio Israele (Mt 2, 6). Otto giorni dopo la sua<br />

nascita gesù fu regolarmente circonciso come ogni altro israelita e<br />

quaranta giorni dopo fu portato al tempio per la purificazione secondo<br />

la legge di mosè. Ivi il santo vecchio simeone apre una prospettiva<br />

universale (del resto presente, come è ormai pacifico, in tutta la bibbia<br />

ebraica) dicendo che gesù è salvezza preparata da Dio davanti a tutti<br />

i popoli, non senza però rilevare che mentre per i popoli è salvezza,<br />

per Israele è gloria (Lc 1, 32). Questa affermazione fa pensare alla<br />

celebre teoria di Rosenzweig secondo la quale Israele non ha bisogno<br />

di venire al Padre perché è già presso il Padre 9 , teoria che è certamente<br />

in contrasto con altre affermazioni del nuovo testamento secondo le<br />

quali gesù è salvezza per tutti, ebrei prima e poi gentili.<br />

Resta da spiegare come siano arrivati a essere inseriti nei vangeli<br />

questi testi così tipicamente ebraici, addirittura poetici, oltretutto<br />

perché Luca, secondo una verosimile tradizione, non era nemmeno<br />

ebreo. La spiegazione tradizionale offre certamente minori difficoltà<br />

delle varie teorie storico-critiche. Il greco Luca, infatti, si presenta<br />

come un uomo colto, di mentalità greca, che ha fatto ricerche accurate<br />

presso i testimoni (cf Lc 1, 1-4). Di una di loro, Maria, Luca<br />

rileva che conservava nel cuore la memoria di quanto accadeva, meditandovi<br />

sopra (cf Lc 2, 19; 2, 51). L’ebrea Maria, o altri testimoni,<br />

avrebbero riferito pari pari eventi e cantici, così come erano accaduti<br />

ed erano stati pronunciati, senza quelle interferenze antigiudaiche<br />

che si notano nei vangeli e, ancor più, senza aggiunte provenienti da<br />

teologie sviluppatesi sul semplice kerigma primitivo.<br />

9 cf Lettera di Rosenzweig a R. Ehrenberg, del 31-10-1913, in f. rO-<br />

SenZWeiG, La Scrittura. Saggi dal 1914 al 1929, città nuova, roma 1991,<br />

288.<br />

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4. la varietà dei punti<br />

di vista sulla fede<br />

e i loro sviluppi<br />

B. cristianesimi<br />

D. Ehrman<br />

parla di vari<br />

primitivi 10 . L’espressione<br />

può fare un’impressione<br />

negativa o<br />

scandalizzare. L’impor-<br />

tante è comprendere quella realtà. C’erano vari modi di percepire<br />

e vivere il Cristianesimo come c’erano vari modi di percepire e vivere<br />

l’ebraismo. D’altra parte nel mondo ebraico in genere non c’era<br />

quella preoccupazione per l’ortodossia che caratterizzerà la Chiesa nel<br />

mondo greco, portando a lotte interne, ad aggressioni e reciproche persecuzioni.<br />

si suole dire che nell’ebraismo non ci si occupa tanto di conoscere<br />

come è Dio, ma di sapere ciò che Lui vuole da noi. All’ebreo<br />

della Bibbia interessa più l’ortoprassi che l’ortodossia. L’espressione<br />

biblica faremo ed ascolteremo può far capire la differenza fra la mentalità<br />

ebraico-biblica e quella occidentale, tendenzialmente scientifica,<br />

dove prima si comprende e si programma e poi si agisce. ma nel cristianesimo<br />

primitivo ed anche nel cammino mistico dei santi avviene<br />

proprio così: prima si è spinti ad operare, poi si riflette e si esplicita ciò<br />

che si era intuito nell’agire.<br />

I manuali di teologia ci avevano insegnato a proiettare indietro<br />

la dogmatica affermatasi successivamente nella vita della Chiesa,<br />

cercando appoggi e prove nei testi primitivi e portandoci così a leggere<br />

quei testi alla luce degli sviluppi posteriori. ma non c’è niente<br />

di strano nel pensare che ciò che oggi si recepisce della Rivelazione<br />

cristiana (che non è affatto tutto quello che si comprenderà<br />

in futuro) sia stato compreso progressivamente 11 . E non c’è niente<br />

di strano nel pensare che ci siano stati adattamenti alle culture che<br />

oggi possono aver perso la loro utilità. stando ai testi del nuovo testamento,<br />

all’inizio si comprese (non senza fatica) il kerigma della<br />

risurrezione. Gesù di Nazareth, che era stato crocifisso, è vivo ed<br />

effonde lo spirito santo con i suoi carismi. È passato per prove e<br />

10 B. D. eHrMan, I Cristianesimi perduti. Apocrifi, sette ed eretici nella battaglia<br />

per le Sacre Scritture, carocci, roma 2005.<br />

11 Un capolavoro di J. H. newman esprime bene questo sviluppo: è An<br />

Essay on the Development of <strong>Christi</strong>an Doctrine,tradotto in italiano col titolo Lo<br />

sviluppo della Dottrina cristiana, Jaca Book, Milano 2003.<br />

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tormenti per arrivare alla sua gloria. non c’è niente di dirompente<br />

in questo annuncio: il passare per la prova è un chiaro insegnamento<br />

delle scritture ebraiche. C’è certamente di nuovo l’annuncio di un<br />

fatto: la risurrezione di gesù. Poi Paolo, l’autore della Lettera agli<br />

ebrei e Giovanni riflettono e sviluppano ciascuno per proprio conto,<br />

ma non senza reciproche influenze, una profonda teologia di questi<br />

eventi. sarà una teologia sempre confrontata con la vita pratica delle<br />

comunità delle quali si occupano, una teologia che non si sviluppa,<br />

quindi, a tavolino o sulle cattedre universitarie, ma nella pastorale.<br />

La frettolosa unificazione delle teologie di Paolo, della Lettera<br />

Ebrei e di Giovanni dentro l’unica categoria della riflessione teologica<br />

opposta alla categoria delle narrazioni che sarebbe propria dei<br />

sinottici o dell’etica propria di giacomo e così via, non fa giustizia<br />

alla storia. si suppone che gesù fosse anzitutto il Verbo preesistente<br />

e poi incarnato, diventato uomo nella pienezza dei tempi, Uomo-Dio<br />

che sa tutto, anche ‘i nostri pensieri’. Stridono con questa concezione<br />

vari passi del nuovo testamento, quali ad esempio: Rom 1, 4,<br />

secondo cui Gesù fu “costituito Figlio di Dio con potenza secondo<br />

lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti”; Eb 5,<br />

8, secondo cui “imparò l’obbedienza dalle cose che patì”; Lc 2, 52,<br />

secondo cui il fanciullo Gesù, sottomesso ai suoi genitori, “cresceva<br />

in sapienza età e grazia davanti a Dio e davanti agli uomini”.<br />

giacomo e la Chiesa di gerusalemme continuarono a fare quello<br />

che aveva fatto gesù, che si riconosceva mandato alle pecore perdute<br />

della casa di Israele e rifiutava almeno in linea di principio di<br />

occuparsi del gentili (cf Mt 15, 24). Il ricondurre Israele alla Torah,<br />

l’accogliere la torah nel cuore, il circoncidere il cuore era un compito<br />

assai impegnativo e avrebbe sviluppato una forza di vita capace<br />

di trasformare l’intera umanità. shaùl-Paolo sentì di andare ai gentili,<br />

sentì che questo era un grande mistero implicito in tante espressioni<br />

della Bibbia ebraica ma solo allora attuato e svelato (cf Ef 3,<br />

1-13). Poi rifletté e solo lui, fra tutti, percepì un pericolo collegato<br />

a questa sua missione: il pericolo dell’orgoglioso sradicamento dei<br />

gentili dalla radice ebraica.<br />

non c’è motivo di riprovare la posizione di giacomo o quella di<br />

Paolo. La loro coesistenza però poteva produrre dei conflitti. Questi<br />

vennero contenuti finché non accadde quell’evento terribile che i curatori<br />

dei nostri testi descrivono come una vera e propria Shoah, la<br />

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distruzione del tempio di gerusalemme, la dispersione del popolo<br />

ebraico e la strategia usata dai superstiti per conservarne l’identità di<br />

fede e di azione mediante la halakah, probabilmente l’unica strategia<br />

in grado di impedire la totale assimilazione dell’ebraismo nelle culture<br />

mondanamente vincenti.<br />

È molto verosimile che gesù abbia detto frasi come quelle contenute<br />

nei vangeli: vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a un popolo<br />

che lo farà fruttificare (cf Mt 21, 43). Ma non è detto che l’interpretazione<br />

corretta di questo e di altri brani simili sia quella data dalla<br />

teologia della sostituzione. Anche i profeti di Israele, ammonendo,<br />

avevano detto cose terribili contro il popolo a cui appartenevano.<br />

A questo proposito fa impressione leggere i primi capitoli di Ezechiele:<br />

ti mando a un popolo di ribelli, testardi dal cuore indurito,<br />

genia di ribelli… (cf Ez 2). Alcuni antisemiti che si dicevano cristiani<br />

trovavano in essi più che nel nuovo testamento argomenti<br />

per disprezzare il popolo ebraico. Checché i critici pensino della divinità<br />

di gesù Cristo, si deduce dai vangeli che lui aveva una percezione<br />

chiara delle forze che operavano nell’ambiente ebraico in cui<br />

viveva: sapete leggere i segni del tempo atmosferico, possibile che<br />

non capite questo tempo? (cf Mt 16, 1-4); “Non piangete su di me,<br />

ma piangete su di voi e sui vostri figli (Lc 23, 28). Quando, però,<br />

lui faceva quelle ammonizioni e proferiva quelle minacce, lo faceva<br />

soffrendo, come dimostra il suo amaro pianto sulla città di gerusalemme<br />

(cf Lc 19, 41 e anche 23, 28). Nulla in lui della rivalsa sopra<br />

i suoi avversari che caratterizzerà l’atteggiamento di tanti cristiani<br />

verso gli ebrei e che shaùl-Paolo, in sintonia col maestro, percepisce<br />

come un enorme pericolo in Rom 9-11.<br />

5. che cosa significa parlare<br />

di antica e nuova alleanza<br />

se la primitiva alleanza<br />

non è stata mai revocata?<br />

Il testo fondamentale<br />

che parla di<br />

una nuova alleanza<br />

è ger 31, 31-33:<br />

“Ecco verranno<br />

giorni – oracolo del<br />

signore – nei quali<br />

con la casa di Israele e con la casa di giuda concluderò un’alleanza<br />

nuova. non sarà come l’alleanza che ho concluso con i loro padri,<br />

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quando li presi per mano per farli uscire dalla terra d’Egitto, alleanza<br />

che essi hanno infranto, benché io fossi loro Signore. Oracolo del<br />

signore. Questa sarà l’alleanza che concluderò con la casa di Israele<br />

dopo quei giorni – oracolo del signore -: porrò la mia torah nel loro<br />

animo, la scriverò sul loro cuore. Allora io sarò il loro Dio ed essi<br />

saranno il mio popolo”.<br />

non c’è traccia qui della riprovazione di Israele come popolo e<br />

della sua sostituzione con altri popoli. Anzi c’è l’affermazione che<br />

Israele sarà confermato per l’eternità, superando tutte le sue resistenze.<br />

È vero che c’è una variazione nella traduzione di questo<br />

passo riportata dalla Lettera agli Ebrei, presa, sembra, dalla traduzione<br />

dei LXX, che direbbe “poiché essi non sono stati fedeli alla<br />

mia alleanza, anch’io non ebbi più cura di loro” 12 . Anche così, però,<br />

resta vero che Dio stipula la nuova alleanza col suo popolo e che<br />

questo sarà per sempre tale.<br />

La promessa della nuova Alleanza inscindibile e della torah nel<br />

cuore è la più grande promessa mai fatta da Dio all’uomo. Israele si<br />

caratterizza per il rapporto fra il Dio vivente e il popolo che sceglie<br />

per dargli vita, si caratterizza per una relazione viva fra Dio e il popolo,<br />

ma si caratterizza anche per una proiezione verso il futuro che<br />

è speranza e messianismo, attesa del Dio che viene, l’Emanuele. La<br />

promessa di una liberazione dall’oppressione di popoli stranieri, la<br />

promessa della terra, la promessa di una felicità comprensibile per<br />

un popolo oppresso ed affamato, si amplia con i profeti nella promessa<br />

di un’intimità fra Dio e il suo popolo. L’insegnamento paolino<br />

sull’alleanza mai revocata poggia su questa manifestazione di Dio<br />

tramite i profeti: l’iniziativa di salvezza dell’onnipotente non può<br />

essere vanificata dalla resistenza dei cuori duri. Dio è più potente<br />

dei cuori duri, il Creatore vince gli spiriti della morte. Questo non<br />

implica l’abolizione della libertà dell’uomo, perché la Torah viene<br />

infusa nell’interiorità, nel cuore, cioè nella parte più intima e propria<br />

della coscienza intelligente e libera. Facendo un grande salto, possiamo<br />

collegare questa profezia al modo con cui il teologo cattolico<br />

Balthasar interpreta l’affermazione neotestamentaria: Dio vuole che<br />

12 rimando alla spiegazione data da J. Svartvik nello studio citato: Reading<br />

the Epistle to the Hebrews…, cit., 81 ss.<br />

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tutti gli uomini siano salvi e giungano alla coscienza della verità<br />

(1Tim, 2, 4) e tante altre affermazioni analoghe, col pensiero che,<br />

mediante il desiderio e la preghiera di tutti, l’inferno possa essere<br />

svuotato 13 . La forza della Vita proveniente da Dio vincerà così i poteri<br />

di morte scatenati dalle deviazioni della libertà.<br />

si tratta di credere che il Dio Vivente c’è – quaggiù sulla terra,<br />

cioè nella storia dell’uomo - e non soltanto è lassù nel cielo, lontano<br />

dalla vita, come pensavano i deisti. si tratta di attuare il comando<br />

primo: ama il Dio Vivente. L’uomo ama Dio quando lo disseppellisce<br />

14 dal suo nascondimento, lo ingrandisce, per usare un termine<br />

veterotestamentario che entra nel cantico di maria, forse un po’ velato<br />

nella liturgia dal conservarne l’etimo latino: Magnifica. Dio fa<br />

crescere l’uomo nella misura in cui questi ingrandisce Dio. C’è una<br />

reciprocità dinamica fra il Dio vivente e l’Israele (l’uomo) vivente.<br />

Paolo vede un mistero in Israele che opera persino attraverso il<br />

velo e il rifiuto. La sua esclamazione sulla profondità della ricchezza,<br />

della sapienza e della scienza di Dio riguarda proprio il mistero di<br />

Israele col quale l’alleanza non viene mai revocata (cf Rom 11, 33).<br />

Come per Isaia, anche per lui il Regnare di Dio va ben al di là delle<br />

nostre vedute miopi (cf Is 55, 8-9; 40, 13-28). Per vari anni, tenendo<br />

presente soprattutto l’ebraismo strettamente rabbinico, ho pensato<br />

l’Alleanza mai revocata alla maniera di Rosenzweig. Questo uomo<br />

di Dio, vero profeta nel senso che annunciava la verità di Dio e anticipava<br />

il futuro, ha mostrato nei suoi scritti come ebrei e cristiani<br />

possono vivere e operare concordemente per il Regno di Dio sulla<br />

terra. scriveva all’amico Ehrenberg, commentando il passo di gv<br />

14, 6: “Nessuno viene al Padre – è però diverso se uno non ha più bisogno<br />

di venire al Padre, perché è già presso di lui. E questo è il caso<br />

del popolo d’Israele” 15 . sulla base di questa intuizione, Rosenzweig<br />

13 rimando in particolare e H. U. v. BaLTHaSar, Breve discorso sull’inferno,<br />

Queriniana, Brescia 1988.<br />

14 Questo termine molto significativo era caro a e. Hillesum. cf a. Lippi,<br />

Conoscere il Dio vivente con la figlia più vulnerabile del popolo più vulnerabile:<br />

Etty Hillesum, in SapCr XXiii (2008), 49-72.<br />

15 La lettera è riportata integralmente in f. rOSen ZWzweig, La Scrittura.<br />

Saggi dal 1914 al 1929, città nuova, roma 1991, 286-291, qui 288. vedi<br />

anche f. rosenzweig-e. rosenstock, La radice che porta. Lettere su ebraismo e<br />

cristianesimo, 16-17.<br />

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svilupperà la sua teologia della coesistenza fra ebraismo e cristianesimo<br />

e della reciproca implicazione che esporrà specialmente ne La<br />

Stella della Redenzione. senza dover riprodurre necessariamente il<br />

sistema di pensiero di Rosenzweig, il suo Neues Denken, pensavo<br />

che esso rappresentasse un ottimo tentativo di proporre una visione<br />

teologica nella quale ebrei e cristiani trovino un loro posto importante<br />

e onorevole.<br />

Poi un giorno lessi una frase, che è addirittura il titolo di una<br />

sezione di un’opera di David H. stern, che mi fece l’effetto di un<br />

pugno nello stomaco: Rifiutare o trascurare di portare il vangelo<br />

agli Ebrei è antisemita 16 . Approfondendo lo studio dell’ebraismo<br />

attuale rimasi impressionato dal numero di ebrei messianici che ci<br />

sono anche oggi. Ho pensato allora che l’ebraismo è una realtà assai<br />

più complessa di quella che viene presentata dal rabbinato e che essa<br />

va tenuta presente tutta. È, inoltre, una realtà misteriosa, dove tutto<br />

parte dall’iniziativa di Dio e ad essa ritorna.<br />

nella profezia<br />

6. la battaglia per la torah<br />

di geremia,<br />

come abbiamo<br />

visto, non c’è<br />

traccia dell’opposizione fra un popolo e un altro popolo, di una delimitazione<br />

che potremmo chiamare verticale. C’è, invece, la separazione<br />

fra chi viene preso dal Dio vivente e riceve l’ ‘infusione della<br />

torah nel cuore’ e chi non la riceve, una delimitazione orizzontale,<br />

che può verificarsi dovunque. C’è la passione per la Torah, che caratterizza<br />

il profetismo di Israele, la battaglia per la torah. Dentro<br />

questa battaglia per la Torah operano chiaramente la Didaché – traduzione<br />

esatta, come fanno osservare i due commentatori, del termine<br />

torah, ben più di quanto lo sia la parola Nomos, preferita dai<br />

LXX – e la Lettera di giacomo.<br />

I profeti lottano contro l’indifferenza verso Dio e la sua giustizia,<br />

l’idolatria che continuamente tenta Israele, ma anche l’ipocrisia per<br />

16 D. Stern, Ristabilire l’ebraicità del Vangelo. Un messaggio per i cristiani,<br />

ed. Beth-lehem, cremnago (cO), 2004, 71.<br />

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cui si crede di soddisfare la Divinità con le pratiche cultuali, trascurando<br />

la giustizia verso i fratelli più deboli, l’amore. In questo linea<br />

gesù lotta contro le ipocrisie, smascherandole. non è la battaglia a<br />

favore di un gruppo di credenti contro un altro, dove i gruppi sarebbero<br />

definiti con criteri cultuali, dottrinali o addirittura etnici, ma<br />

una battaglia a favore del Regno di Dio e del suo insegnamento. Possiamo<br />

oggi sperimentare, di fatto, che molte volte ci si ritrova con<br />

persone lontane dal proprio gruppo di appartenenza a lottare per la<br />

giustizia e la verità e si converge su persuasioni condivise, alle quali<br />

non sono sensibili, invece, altri membri del proprio gruppo di appartenenza.<br />

Bonhoeffer fece sulla sua propria pelle questa esperienza.<br />

La battaglia per la torah è la battaglia dei senza-potere contro i<br />

potenti della terra. I profeti del Dio vivente lottano con la sola arma<br />

della parola contro re, sacerdoti e falsi profeti. Prima di essere teologia<br />

della Croce, la forza della debolezza è teologia dei profeti di<br />

Israele, teologia della torah. Le potenze della terra si appoggiano<br />

sugli idoli delle genti, sono idolatriche. La fede poggia su Dio, sulla<br />

sua Paola, sulla sua promessa.<br />

I due documenti finora pubblicati da Cassuto Morselli e Maestri<br />

– La Didachè e la Lettera di giacomo - sono due testimonianze straordinarie<br />

della battaglia per la Torah. Dall’inizio alla fine lottano per<br />

la giustizia davanti a Dio, per la via della vita che si oppone alla via<br />

della morte, per una rettitudine del cuore – la torah nel cuore – che<br />

si tiene lontana da qualsiasi forma di ipocrisia. non si contentano<br />

delle apparenze. Vogliono veramente sradicare dai singoli e dalle comunità<br />

ogni astuzia demoniaca, ogni violenza, ogni approfittamento<br />

della propria superiorità. nel nome dell’Adon obbediente fino alla<br />

morte si propone ascolto, obbedienza ed anche autentica gioia.<br />

nel senso qui indicato, Paolo, più che essere, come viene descritto,<br />

un apostolo che ha sciolto i cristiani dalla torah, è un apostolo<br />

che – d’accordo con Pietro e giacomo, le colonne -, ha introdotto i<br />

gentili nella torah, senza farne, per questo, degli ebrei. Ha offerto il<br />

dono supremo della torah, che ha strutturato la stessa vita e morte<br />

di gesù, a coloro che non la conoscevano e non potevano goderne 17 .<br />

17 cf ad es. come rosenzweig esprime questa verità per quanto riguarda<br />

l’ingenuità propria del paganesimo antico: “Gli ebrei sono gli unici non-ingenui<br />

nel mondo dell’antichità, e perciò è senza dubbio il cristianesimo, in quanto<br />

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oggi la torah è là dove regna il Dio vivente, il Dio d’Israele, dove<br />

Dio non è dimenticato, ma disseppellito, come diceva Etty Hillesum,<br />

e dove di conseguenza regna l’amore, la giustizia, l’accoglienza, la<br />

cura dell’orfano, della vedova, dello straniero. gesù è Colui che si<br />

è reso conto che per la battaglia per la torah non bastava insegnare,<br />

ma bisognava sacrificarsi, cioè inverare tutti i sacrifici del tempio,<br />

l’alleanza nel sangue, attraverso la propria immolazione, come<br />

l’Israele santo è sempre chiamato a fare.<br />

Questa partecipazione della torah ai gentili diventa evidente se si<br />

riflette a come si sono dileguate di fronte all’annuncio ebraico-cristiano<br />

le religioni del mediterraneo e del nord Europa. Esse hanno<br />

perso stima in una maniera tale che a nulla sono valse le nostalgie<br />

di uomini come Rutilio namanziano o i tentativi di rivitalizzazione<br />

di uomini come giuliano l’Apostata. Per comprendere la portata di<br />

questa vittoria, però, bisogna decostruirla, riprendendo coscienza di<br />

ciò che significava quella religione per la cultura e la società del<br />

tempo. La religione politeista e idolatrica era il fondamento di quella<br />

cultura e di quella società. non era del tutto stupido considerare ebrei<br />

e cristiani empi in quanto proponevano di abbattere quella pietas<br />

verso gli dèi che era il fondamento dell’etica sociale. I miti culturali<br />

sono miti fondanti. Con la vittoria del cristianesimo, di fatto, la<br />

fondazione mitologica pagana è stata sostituita da una fondazione<br />

mitologica proveniente dalla cultura ebraica. Figure come quelle di<br />

Adamo ed Eva, Caino e Abele, Noè e i suoi figli, Abramo, Isacco,<br />

giacobbe, i profeti e certamente gesù, maria, gli apostoli, i martiri,<br />

hanno sostituito le mitologie pagane privandole del loro ruolo di fondazione<br />

della coesione sociale.<br />

Certamente gli ebrei rabbinici possono trovare dei difetti in<br />

questa accoglienza della torah da parte delle genti. ma loro stessi<br />

dovranno riconoscere che la tesi fondamentale della torah viene accolta:<br />

il rifiuto delle idolatrie, intese anche in senso profondo, oltre il<br />

semplice rifiuto delle immagini, l’adorazione del Dio unico che non<br />

è, come spesso si dice, la semplice sostituzione del politeismo col<br />

monoteismo (questi termini appartengono ancora all’ambito della<br />

toglie a questo mondo dell’antichità la spregiudicatezza del suo pou stw, a costituire<br />

una ‘giudaizzazione dei pagani’” (f. rOSenZWeiG- e. rOSenSTOcK,<br />

La radice che porta, Marietti, Genova 1992, 108).<br />

sacra scrittura<br />

Ritrovare Il primitivo<br />

ebraismo messianico<br />

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sacra<br />

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sacra scrittura<br />

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SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

164<br />

scrittura<br />

ontoteologia), ma l’accoglienza del Dio vivente e, più esattamente<br />

ancora, del Dio di Israele, quel Dio al quale il rabbino Emil Fackenheim<br />

fa dire rivolto a Israele: “se voi non siete il mio popolo, io, per<br />

così dire, in quanto possibile, non sono più Dio” 18 .<br />

La passione per il Regno di Dio e la torah è espressa da gesù di<br />

nazareth nella prima parte della sua preghiera del Padre nostro: la<br />

santificazione del Nome, il Regno di Dio, la volontà del Padre, questo<br />

era tutto nella mente e nella vita di gesù di nazareth e questo desiderava<br />

che fosse nei suoi discepoli, tutti. Per questo sacrificava se stesso,<br />

totalmente perduto nel Dio vivente, Padre di Israele, Padre suo che per<br />

mezzo di Lui sarebbe diventato Padre per tutti gli uomini.<br />

7. il senso della parola<br />

conversione<br />

Cassuto morselli<br />

e maestri,<br />

perciò, come<br />

molti altri, trovano inadatta<br />

la parola conversione<br />

per parlare della<br />

trasformazione che fece di shaul un credente nel messia gesù. Paolo<br />

non ha lasciato niente della sua fede nel Dio vivente di Israele. non ha<br />

diminuito, ma aumentato la sua devozione e dedizione. Diversi altri<br />

ebrei, tra i quali Edith stein e il cardinal Lustiger hanno affermato che<br />

la fede nel messia gesù non implicava l’abbandono della propria fede<br />

ebraica 19 . Purtroppo, con la teologia della sostituzione si arrivava a<br />

pensare la fede ebraica come empietà e si esigevano atti di ripudio, a<br />

volte anche banali e veramente offensivi. Veniva a mancare anche il<br />

rispetto della buona coscienza che tuttavia poi, nella Morale, si definiva<br />

l’ultimo giudizio pratico per l’azione da compiere. Ricordo qui il<br />

grande insegnamento dato da Newman sulla coscienza. Se si riflettesse<br />

sul valore che ha la coscienza come la più autentica partecipazione a<br />

ciò che Dio stesso è, non sarebbe difficile la pace fra le religioni, che<br />

è condizione della pace fra i popoli. La mancanza del rispetto della<br />

18 i e. facKenHeiM, Judaïsme au présent, Michel, paris 1992, 395-398.<br />

19 È noto che il cardinal Lustiger volle che prima del rito cristiano delle sue<br />

esequie svoltosi nella cattedrale di notre Dame, si recitasse, all’esterno, il kaddish<br />

ebraico.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 164 04/02/13 09:39


coscienza manifesta un’ignoranza non sempre innocente perché frutto<br />

della pigrizia mentale che rifiuta lo studio ed è certamente una controtestimonianza,<br />

che allontana tante persone dal culto a Dio e dalle pratiche<br />

della propria religione.<br />

Newman è anche un testimone della difficoltà di quella che era<br />

chiamata conversione, termine che anche nel suo caso sarebbe stato<br />

meglio non usare, trattandosi del passaggio da una chiesa cristiana<br />

ad un’altra. La esprime particolarmente nel romanzo autobiografico<br />

Loss and Gain 20 . ogni religione o appartenenza è anzitutto fedeltà<br />

alla paternità, esercizio di figliolanza, la passività della quale parlava<br />

Lévinas, che fonda l’efficacia di ogni attività. Shaùl-Paolo non rinnegò<br />

affatto la paternità della Rivelazione ebraico-biblica.<br />

8. l’albero porta in se stesso<br />

e restituisce il seme<br />

da cui è nato<br />

lismocriL’universastianosradicato dalla dottrina e<br />

dall’esperienza dell’elezione<br />

di Israele e<br />

professato come una<br />

dottrina teoretica, insieme con l’inculturazione della Rivelazione<br />

ebraica nell’Ellenismo, hanno condotto al vicolo cieco della cultura<br />

illuminista e deista, che pervade tutto l’Occidente e influisce su tutti<br />

noi, non escluso lo scrivente. È necessario riscoprire le radici ebraiche<br />

della fede, riflettendo sopra una storia nella quale si esprime, non senza<br />

immani sacrifici, l’Alleanza mai revocata né revocabile.<br />

C’è un Israele santo all’interno della cristianità, l’Israele di Dio di<br />

cui parla Paolo (Gal 6, 16), che non permette che il cristianesimo si<br />

riduca a gnosticismo (Buber) o anche a istituzione e dottrina. È l’Israele<br />

spesso non compreso non soltanto all’esterno ma a volte anche<br />

all’interno della Chiesa, spesso perseguitato. La cristianità istituzionalizzata<br />

e dottrinalmente definita, beneficia di questo Israele santo<br />

ed è per questo che la sua vitalità sempre si rinnova, non si esaurisce,<br />

20 Trad. ital. J. H. neWMan,, Perdita e guadagno, Jaka Book, Milano<br />

1996.<br />

sacra scrittura<br />

Ritrovare Il primitivo<br />

ebraismo messianico<br />

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sacra<br />

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SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

166<br />

scrittura<br />

non diventa vecchia così che stia per morire. È l’Israele che non<br />

prega per sé, non desidera qualcosa per sé (Leibovitz), ma prega<br />

per Dio, come nella prima parte del Padre nostro, desidera per Dio<br />

e basta. L’Israele della fede, del rapporto mistico con Dio e del sacerdozio<br />

secondo l’ordine di Melchisedech, senza padre né madre,<br />

senza interessi da custodire.<br />

sarà ancora Rosenzweig a esprimere bene il contenuto di questo<br />

pensiero, avendo la precauzione di liberarlo dalle rigidità legate<br />

all’epoca dei nazionalismi esacerbati ed anche alla polemica tra lui e<br />

l’ebreo convertito Rosenstock:<br />

“Così il cristianesimo come potenza che riempie il mondo (secondo<br />

le parole di uno dei due esponenti della Scolastica, Yehudah<br />

ha-Levy: l’albero che cresce dal seme dell’ebraismo e fa ombra su<br />

tutta la terra, ma il suo frutto conterrà di nuovo il seme di cui nessuno<br />

però, vedendo l’albero, seppe accorgersi) è un dogma ebraico tanto<br />

quanto l’ebraismo come ostinata origine ed ultimo dei convertiti, è<br />

un dogma cristiano” 21 .<br />

9. conclusione: una liturgia<br />

adeguata alla concezione<br />

dell’alleanza mai revocata<br />

si lamenta a volte<br />

che nella liturgia<br />

ci siano ancora<br />

vestigia della teologia<br />

della sostituzione. sarà<br />

bene toglierle quando<br />

è possibile. Ma perché<br />

non pensare a inserire testi che esprimano in positivo la concezione<br />

dell’Alleanza mai revocata, che sfaterebbero automaticamente le<br />

paure? Se, ad esempio, si prega per la Chiesa sacramento di salvezza<br />

per l’umanità, non si potrebbe fare qualcosa di simile per Israele? L’abolizione<br />

della festa della Circoncisione, celebrata dalla più remota<br />

antichità, a parte il fatto che non è stata gradita, ovviamente, dai fratelli<br />

ebrei, non sembra di valore positivo neanche per noi cristiani. L’approfondimento<br />

del significato del berit-milah per l’Alleanza stipulata da<br />

21 f. rOSenZWeiG- e. rOSenSTOcK, La radice che porta. Lettere su<br />

ebraismo e cristianesimo, Marietti, Genova 1992, 90.<br />

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Dio con Abramo, radice di ogni altra Rivelazione ed Alleanza, rompe<br />

veramente la tirannia del piatto egualitarismo illuminista 22 . Da parte<br />

ebraica, auspicava qualcosa del genere, cioè la reciprocità dell’autentica<br />

preghiera che sale al Dio vivente, quell’altro uomo di Dio che fu<br />

Abraham Joshua Heschel, scrivendo: “Nessuna religione è un’isola.<br />

siamo coinvolti l’uno con l’altro. Il tradimento da parte di uno di noi<br />

si ripercuote sulla fede di noi tutti. non dovremmo pregare ognuno per<br />

la salute dell’altro e aiutarci reciprocamente a preservare la rispettiva<br />

eredità, preservando un’eredità comune?” 23 .<br />

In una concezione della fede per cui non ci si limita a rispettare<br />

l’altro, ma si vuole andare oltre, arrivando ad avere cura dell’altro in<br />

quanto altro, concezione che è al fondo di tutta la tradizione ebraicocristiana,<br />

ci si preoccupa della fedeltà dell’altro alla propria vocazione<br />

come ci si preoccupa della nostra.<br />

Quale è il posto della teologia della Croce – oggetto di ricerca di<br />

questa rivista - in questo discorso? C’è anzitutto il problema sollevato<br />

dalla stessa parola Croce-Stauròs. Lévinas fa osservare, quasi<br />

con rammarico, che purtroppo il segno della Croce era legato ai peggiori<br />

fra i ricordi dell’ebreo. Lui stesso, però, parla - lì come altrove<br />

- dell’esperienza della carità cristiana durante la Shoah e della vicinanza<br />

fra il concetto cristiano della kenosi e la sensibilità ebraica 24 .<br />

Chi sa leggere in profondità trova che l’immagine kenotica di Dio e<br />

la teologia della Croce sono presenti dappertutto nel discorso che ho<br />

fatto. Basta ricordare che la battaglia per la torah è la battaglia dei<br />

senza-potere contro i potenti della terra. ma l’insieme del discorso<br />

evidenzia che la Croce viene svuotata quando si sceglie la strada<br />

della contrapposizioni dei gruppi e dei poteri, radice di ogni specie<br />

di violenza. Alla base di tutto questo c’è la paura, la preoccupazione<br />

di sé, la paura della morte che è potere di Satana, l’oppressore (cf Eb<br />

2, 14-15). Noi crediamo che una morte ha distrutto da dentro questo<br />

22 cf ad es. lo studio di a. BUcKenMaier, Abramo padre dei credenti,<br />

Marietti 1820, Genova-Milano 2011, 64 ss. cita dallo Zoar: “finché israele<br />

mantiene la tradizione della circoncisione, i cieli e la Terra proseguiranno nel<br />

loro cammino ordinato, ma se israele trascurerà la sua alleanza, i cieli e la<br />

Terra saranno distrutti” (67).<br />

23 riportato da n. Ben HOrin, in Nuovi orizzonti fra ebrei e cristiani, Messaggero,<br />

padova 2011, 78.<br />

24 cf e. LevinaS, Nell’ora delle nazioni, Jaca Book, Milano 2000, 190-191.<br />

sacra scrittura<br />

Ritrovare Il primitivo<br />

ebraismo messianico<br />

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sacra<br />

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scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Adolfo lippi cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

168<br />

scrittura<br />

potere della paura ed è questo il tema di tutta la Lettera agli Ebrei.<br />

I sacrifici del tempio non appartengono a uno stadio ormai superato<br />

della vita di Israele. Restano come Eucaristia, ma questo è un tema<br />

che spero di trattare quando marco Cassuto morselli e gabriella maestri<br />

avranno concluso il loro studio sulla Lettera agli Ebrei.<br />

Ancora Lévinas scriveva di aver pensato che la vera Eucaristia sta<br />

nell’incontro con altri – gli ultimi - piuttosto che nel pane e nel vino<br />

(e cita Mt 25) 25 . Ma, anche qui, nel fondo, non c’è differenza, purché<br />

si tenga presente quanto insegna Benedetto XVI: che l’Eucaristia si<br />

riceve degnamente quando si diventa a nostra volta Eucaristia - pane<br />

che viene mangiato - per gli altri. non c’è Eucaristia senza Croce.<br />

L’Eucaristia non è fede in una trasformazione metafisica e quasi magica<br />

o in una presenza di Dio in certi oggetti corporei, ma è fede in<br />

un Dio che essendo, nel suo mistero profondo, agàpe cioè dono, si dà<br />

in cibo. Questo è il senso sociale dell’Eucaristia, non un corollario,<br />

ma un senso intrinseco. “L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di<br />

gesù. noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato,<br />

ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione” 26 .<br />

Concludo questo discorso tornando a come Cassuto morseli e<br />

maestri traducono – o ritraducono - l’intervento di giacomo al cosiddetto<br />

Concilio di gerusalemme, narrato dagli Atti degli Apostoli.<br />

Queste parole possono offrirci il senso primordiale, sorgivo e vitale,<br />

dell’espandersi della Torah verso i gentili:<br />

“Fratelli, ascoltatemi. Shimon ha narrato come all’inizio D. ha avuto<br />

cura di scegliersi fra i goyim un popolo consacrato al suo nome. Con ciò<br />

concordano le parole dei Neviim, come sta scritto: ‘Dopo di ciò ritornerò<br />

e ricostruirò la capanna di David che è caduta, ricostruirò le sue rovine e<br />

la rialzerò, affinché gli altri uomini cerchino Ha-Shem e tutti i goyim che<br />

portano (sui quali è stato invocato) il mio Nome’. Così dice Ha-Shem<br />

che fa queste cose conosciute dai tempi antichi” (At 15, 13-18).<br />

Adolfo Lippi cp<br />

adolfolippi@libero.it<br />

25 Ibidem, 190.<br />

26 BeneDeTTO Xvi, Deus caritas est, 13, cf anche ib., 14-18; Sacramentum<br />

caritatis, 14-15, e altrove.<br />

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Ritrovare il primitivo ebraismo messianico<br />

ItA<br />

di Adolfo Lippi, cp<br />

Partendo da due pubblicazioni di marco Cassuto morselli e di gabriella<br />

maestri, l’autore, che ha già pubblicato molti articoli sull’ebraismo<br />

e i suoi rapporti con la cristianità, offre alcune sue riflessioni<br />

sull’argomento e sullo stato di questi studi negli ultimi anni, come<br />

propria personale ricerca e invito alla ricerca di altri.<br />

Retrouver le premier hébraïsme messianique<br />

fRA<br />

de Adolfo Lippi, cp<br />

Partant de deux publications de marco Cassuto morselli et de gabriella<br />

Maestri, l’auteur, qui a déjà publié de nombreux articles sur<br />

l’hébraïsme et ses rapports avec la christianité, offre quelques-unes<br />

de ses réflexions sur le thème et sur l’état de ces études entreprises<br />

ces dernières années comme recherche personnelle propre ; il invite<br />

à poursuivre cette recherche.<br />

EnG<br />

Finding the Primitive Messianic Judaism<br />

Adolfo Lippi, cp<br />

Using two publications by Cassuto marco morselli and gabriella<br />

Masters, the author – who has published many articles on Judaism<br />

and its rapport with <strong>Christi</strong>anity – offers some of his reflections on<br />

the status of these studies in recent years, as their own personal research<br />

and invitation in search of others.<br />

Reencontrar el primitivo ebraísmo mesiánico.<br />

SPA<br />

de Adolfo Lippi, cp<br />

Partiendo de dos publicaciones de marco Cassuto morselli y de<br />

gabriella maestri, el autor, que ya ha publicado muchos artículos<br />

sobre el ebraísmo y su relación con la cristiandad, ofrece algunas<br />

reflexiones suyas sobre el argumento y sobre el estado de estos estudios<br />

en los últimos años, como búsqueda personal propia e invitación<br />

a otros a la investigación.<br />

sacra scrittura<br />

Ritrovare Il primitivo<br />

ebraismo messianico<br />

149-170<br />

sacra<br />

169<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Adolfo lippi cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

170<br />

scrittura<br />

Odnaleźć pierwotny hebraizm mesjański<br />

Pol<br />

Adolfo Lippi CP<br />

Opierając się na dwóch publikacjach Marca Cassuto Morselliego<br />

i Gabrielli Maestri, autor, który opublikował już wiele artykułów o<br />

hebraizmie i jego relacjach z chrześcijaństwem, przedstawia kilka<br />

refleksji na temat studiów nad tą problematyką i o ich stanie. Jest<br />

to owoc jego badań własnych i zaproszenie do innych by podjęli<br />

podobny wysiłek.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 170 04/02/13 09:39


Premessa<br />

anGeLa Maria LUpO cp<br />

nel nostro mondo, desacralizzato e secolarizzato,<br />

sembra che non ci sia più posto per Dio e perciò essere<br />

credente o non credente non sarebbe un affare<br />

importante, conterebbe poco, dal momento che la<br />

cultura contemporanea non si erge più contro Dio<br />

ma modella un’umanità senza Dio. tuttavia, mentre<br />

l’uomo distoglie il suo sguardo da Dio e si ripiega su<br />

se stesso e sulle cose, Dio invece non allontana mai il suo sguardo<br />

dall’uomo, è sempre presente a lui e la sua presenza si manifesta in<br />

quell’offrirsi che è Lui stesso.<br />

Dio continuerà sempre a sconvolgere l’uomo di ogni tempo e<br />

a svegliarlo dal suo letargo, poiché Egli non cesserà mai di essere<br />

coinvolto nelle vicende umane. Paradossalmente possiamo dire che,<br />

mentre si può pensare all’uomo senza far riferimento a Dio, dire Dio<br />

significa invece parlare anche dell’uomo: non si può speculare su<br />

Dio, pensare a Dio escludendo l’uomo, dal momento che Dio non<br />

solo è entrato nella nostra storia ma nel suo manifestarsi è sempre<br />

il Dio di qualcuno, di Abramo, di Isacco, di giacobbe, di mosè, del<br />

popolo...<br />

Partendo dall’affermazione di Ugo di san Vittore: «Ubi amor, ibi<br />

oculos» 1 , per cui l’amore è occhio e amare è vedere, considereremo,<br />

alla luce di alcuni testi dell’Antico Testamento, che Yhwh, fin dalle<br />

1 Benjamin minor 13: pL 196, 10a-B.<br />

sacra scrittura<br />

l’EssErci<br />

dEll’aMorE<br />

cHE VEdE<br />

L’esserci dell’amore<br />

che vede<br />

171-195<br />

sacra<br />

171<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

AngelA mAriA lupo cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

172<br />

scrittura<br />

prime pagine della Bibbia è Colui che vede e che apre gli occhi degli<br />

uomini affinché questi possano comprendere chiaramente la realtà 2 .<br />

Il primo racconto della creazione ci segnala che il vedere di Dio<br />

fonda la bontà insita nel creato, cioè la sua rispondenza allo scopo<br />

per cui ogni cosa è stata creata e il suo senso intrinseco: «… e Dio<br />

vide che era cosa buona» 3 ; allora, come scriveva il cardinale Cusano,<br />

si può dire che «l’essere della creatura è il tuo vedere e l’essere visto<br />

insieme» 4 .<br />

nella Bibbia ebraica per esprimere il vedere è utilizzata soprattutto<br />

la radice r’h che compare 1303 volte; a differenza di altri verbi<br />

che si riferiscono alla percezione visiva, «rā’â descrive l’esperienza<br />

del vedere come una totalità nella quale sensazione e percezione si<br />

fondono in una sola unità» 5 . Il «vedere» di Dio traduce, in maniera<br />

molto originale, la sua realtà più profonda, il suo essere Amore, cioè<br />

Colui vedendo una realtà che opprime il giusto, vedendo l’afflizione,<br />

penetra nelle ferite dell’uomo, le assume e le trasforma, facendone<br />

l’epifania del suo amore.<br />

Alla luce di alcuni testi del libro dell’Esodo considereremo che<br />

il Dio-Amore presentato nell’At è una realtà che avviene e che<br />

manifesta la verità di Sé in rapporto con l’uomo in un infinito darsi<br />

che crea uno spazio proprio, lo spazio della libertà, che suscita la<br />

risposta umana. L’’ehyeh che si rivela a mosè è il Dio-Amore che si<br />

fa vicino, che crea una relazione di alleanza, che vede e interviene<br />

a favore di chi è oppresso, perché è proprio dell’amore di Dio identificarsi<br />

con l’amato. La certezza che l’amore «vedente» di Dio non<br />

finirà mai è ben espressa dal profeta Isaia: «Nel riversarsi dell’ira,<br />

per un istante ho nascosto il mio volto da te ma per amore eterno<br />

ho avuto pietà di te, dice il tuo redentore, il signore… sì, i monti<br />

verranno meno e le colline vacilleranno, ma la mia carità non verrà<br />

meno e il mio patto di pace non vacillerà» (Is 54,8.10).<br />

Alla fine della presente riflessione potremo affermare che proprio<br />

in forza del vedere di Dio, le diverse vicende storiche sono cariche<br />

2 cf Gen 21,9; 2re 6,17.20; pv 20,12.<br />

3 cf Gen 1,4.10.12.18.21.25.31.<br />

4 N. CusaNo, Opere filosofiche, Torino 1972, 564.<br />

5 H.-F. FuHs, «rā’â», in Grande Lessico dell’Antico Testamento, viii, paideia,<br />

Brescia 2008, 69.<br />

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di un profondo significato salvifico, perché chi ama vede e rende<br />

visibile il suo amore intervenendo. Protetto dall’occhio misericordioso<br />

del signore, ogni uomo non solo è chiamato a volgere il suo<br />

sguardo verso di Lui per invocare protezione e salvezza: «… tengo<br />

i miei occhi rivolti al Signore, perché libera dal laccio il mio piede»<br />

(Sl 25,15); «… a te, Signore, mio Dio, sono rivolti i miei occhi, in<br />

te mi rifugio, proteggi la mia vita» (Sl 141,8); «… gli occhi di tutti<br />

sono rivolti a te in attesa e tu provvedi loro il cibo a suo tempo» (Sl<br />

156,15); ciascuno deve essere altresì prolungamento dello sguardo<br />

amante del signore facendosi carico delle debolezze altrui.<br />

nei testi<br />

dell’At il<br />

vedere di<br />

Dio è espresso con il<br />

verbo rā’â ed è un processo complesso, un antropomorfismo che<br />

accentua la sua conoscenza universale e implica un suo intervento<br />

che fa percepire la sua presenza; ricorre come motivo costante nella<br />

preghiera e nella lamentazione6 , nella lode e nel ringraziamento7 e<br />

come promessa divina8 .<br />

mentre l’empio pensa: «Il signore non mi vede affatto» 9 1. Yhwh è un dio che vede<br />

, Dio<br />

invece vede tutti gli uomini, vede l’ingiustizia, l’oppressione, l’idolatria.<br />

Dio si rende perfettamente conto delle trasgressioni di un<br />

individuo o del popolo. Dinanzi alla dichiarazione di gen 6,3: «… il<br />

signore vide che la malvagità degli uomini era grande», che motiva<br />

la decisione di Dio di annientare l’umanità, la corruzione dell’uomo<br />

è la causa del suo profondo dolore (Gen 6,5). Dio vede il sangue di<br />

Nabot (2Re 9,26), gli abomini commessi a Betel (Os 6,10), gli obbrobri<br />

tra i profeti di Samaria (Ger 23,13ss), l’impurità di Israele (Ez<br />

23,13; cf. Dt 23,15), le sue abominazioni sulle colline e nei campi<br />

(Ger 13,27), l’oltraggio dei suoi figli e delle sue figlie (Dt 32,19),<br />

6 1Sam 1,11; 2Sam 16,12; Sl 10,14; 25,18.19; 59,5; 119,153.<br />

7 Sl 9,14; 31,8.<br />

8 Gen 31,12; 2re 20,5; is 38,5.<br />

9 Sl 10,11; 94,7; Gb 22,14; Ger 12,4.<br />

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che «non c’è più giustizia» e nessuno interviene (Is 59,15ss), e tutte<br />

queste realtà determinano la sofferenza di Dio. nel suo giudizio Dio<br />

stesso soffre: «Dio mandò un angelo in gerusalemme per sterminarla;<br />

mentre Egli stava per sterminarla, il Signore volse lo sguardo<br />

e si pentì della sciagura minacciata» (1Cr 21,15).<br />

talvolta il vedere di Dio è legato alla nascita di un bambino: «Il<br />

signore vide che Lia era trascurata e aprì il suo grembo, mentre<br />

Rachele fu sterile. Così Lia concepì e partorì un figlio e lo chiamò<br />

Ruben, perché disse: “Il Signore ha guardato la mia afflizione; ora<br />

mio marito mi amerà”» (Gen 29,31-32). Anche in Gen 22,8 il nome<br />

Yhwh jr’h è la risposta di Abramo al figlio Isacco che gli chiedeva<br />

dove fosse l’agnello per l’olocausto: «Dio vedrà per sé l’agnello per<br />

il suo sacrificio»; e alla fine del racconto, nel v. 14 leggiamo che<br />

«Abramo chiamò quel luogo: “Il Signore vede”, perciò oggi si dice:<br />

“Il Signore si è fatto vedere”». Il Signore vede (all’attivo), il Signore<br />

si è fatto vedere (al passivo). Che cosa il Signore vede? L’obbedienza<br />

di Abramo? Come nel contempo si può dire che Dio si è fatto<br />

vedere? La duplice affermazione non può che insinuare una cosa di<br />

grande importanza: lo scopo della prova di Abramo non è soltanto<br />

che «Dio vede», ma che «Dio si è rivelato» ad Abramo, si è manifestato<br />

a lui indicandogli come vivere la sua paternità.<br />

L’occhio scrutatore di Dio riconosce chi tra gli uomini possa sostituire<br />

il re Saul e tra i figli di Iesse «ha visto Davide come re»<br />

(1Sam 16,1; cf. 2Re 8,13). La stessa storia della salvezza comincia<br />

con la promessa di Dio che è pronto a intervenir dopo aver visto<br />

l’afflizione del suo popolo in Egitto (cf. Es 3,7.9).<br />

Considereremo che l’atto del vedere in Dio è espressione del suo<br />

infinito ed eterno amore, poiché in esso non sono inclusi soltanto<br />

il processo della riflessione e della decisione; il vedere non sottintende<br />

solo il rendersi conto, il valutare, ma implica anche gli affetti<br />

emotivi, la partecipazione e il dolore, dal momento che le viscere di<br />

Dio si commuovono per la miseria e l’oppressione del suo popolo:<br />

«Guardò (ar>Y:w:) nell’angustia a essi, quando udì il loro grido; si ricordò<br />

del suo patto con loro e nella sua gran misericordia si pentì»<br />

(Sl 106,44-45).<br />

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1.1. L’intervento decisivo di Dio (Es 2,23-25)<br />

I primi capitoli del libro dell’Esodo ci presentano il volto di un<br />

Dio diverso non soltanto dalle divinità egiziane ma anche dalle divinità<br />

degli altri popoli: un Dio che, pur non essendo rappresentato<br />

con caratteristiche umane e nonostante sieda in alto, osserva tutto sin<br />

nel profondo (cf. Sl 113,6), fino ai confini della terra (cf. Gb 28,24) e<br />

nessuno può nascondersi al suo sguardo (cf. Ger 23,24). Yhwh è un<br />

dio che raccoglie il grido di coloro che soffrono avendo l’orecchio<br />

teso e l’occhio vigile e quando vede il bisogno e la miseria, la sua<br />

percezione coincide con la sua compassione, cosicché l’aiuto e il<br />

bisogno vengono subito soddisfatti 10 .<br />

Dio è l’esserci, presenza dentro la storia umana che si prende cura<br />

dell’uomo. tutto ciò emergerà chiaramente dalla lettura del testo di<br />

Es 2,23-25 11 :<br />

23Dopo un lungo tempo il re d’Egitto morì. gli israeliti gemevano sotto la<br />

schiavitù e gridavano per essere aiutati, e le loro grida sotto la schiavitù<br />

arrivarono a Dio. 24Dio udì i loro gemiti e Dio si ricordò del suo patto con<br />

Abramo, Isacco e giacobbe. 25E Dio vide gli israeliti e Dio ne prese cura<br />

(~yhil{a/ [d;YEw: laer’f.yI ynEB.-ta, ~yhil{a/ ar>Y:w:).<br />

Il grido degli israeliti, che segnala un atto di querela da parte di<br />

Israele contro l’Egitto, giunge fino a Dio 12 . si tratta del grido dell’oppresso,<br />

dello schiavo, un grido inarticolato che si alza senza una direzione<br />

ben precisa verso la quale rivolgersi. Eppure Dio lo ascolta,<br />

perché Egli non ha dimenticato la sua fedeltà ai padri ma si ricorda<br />

del giuramento fatto ai patriarchi (cf. Gen 17), cioè si ricorda del<br />

legame in virtù del quale si sente obbligato ad agire in favore del suo<br />

10 L’atteggiamento di Dio che ascolta il grido di israele in egitto è ricordato<br />

in nm 20,16; Dt 26,7; ne 9,9, nei tre piccoli «credo» storici. in altre occasioni<br />

Dio promette di ascoltare il grido delle vittime dell’ingiustizia: es 22,22.26; 2cr<br />

20,9; ne 9,27-28; Sl 34,18; Gb 27,9; is 30,9.<br />

11 per l’analisi minuziosa delle varie tappe di formazione del testo vd. P.<br />

Weimar, Die Berufung des Moses. Literaturwissenschaftliche Analyse von Exodus<br />

2,23-5,5, freiburg 1980.<br />

12 cf P. Bovati, Ristabilire la giustizia. Procedure, vocabolario, orientamenti<br />

(anBib 110), piB, roma 1986, 289-290.<br />

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popolo, della b e rît con Abramo, Isacco e giacobbe che stabilisce un<br />

legame giuridico fra i contraenti e Dio, e lo vincola al suo popolo.<br />

Nel v. 25 leggiamo che Dio «vide e conobbe»: dopo aver sentito<br />

il grido del popolo, Dio inizia l’indagine 13 . I verbi r’h e yd‘ si trovano<br />

spesso insieme in contesti giuridici per descrivere queste due<br />

operazioni del giudice che precedono la discussione e la sentenza 14 .<br />

Il vedere implica il muoversi con amabilità verso l’altro che è nel<br />

bisogno 15 : si tratta di controllare, verificare, rendersi conto e arrivare<br />

alla conclusione 16 .<br />

2. l’amore sofferto di dio<br />

nell’apparizione a Mosè<br />

(Es 3,1-6)<br />

Chi ama soffre<br />

per l’amato e<br />

vuole sostituirsi<br />

all’amato nella<br />

sofferenza che questi<br />

patisce. tale è l’amore<br />

di Dio per il suo po-<br />

polo, un amore che soffre, poiché Dio non è indifferente alle sofferenze<br />

umane ma partecipa in prima persona a ogni dolore delle sue<br />

creature. Come si può intendere il soffrire di Dio per l’uomo? Come<br />

partecipa Egli alla sofferenza di chi soffre? La vocazione di Mosè è<br />

13 Ibid., 292: «Questo “grido” non è solo uno sfogo personale o la semplice<br />

reazione istintiva alla sofferenza: esso è essenzialmente rivolto a qualcuno<br />

(’el…), e chiede di essere ascoltato in nome del diritto».<br />

14 cf P. Bovati, Ristabilire la giustizia, o.c., 58-59. vedi i testi di Gn 18,21;<br />

Lv 5,1; Ger 2,23; 5,1; 1Sam 12,17; 14,38; 23,22-23; 1re 20,7; 2re 5,7; is<br />

29,15; 41,20.<br />

15 G. azou, Dalla servitù al servizio. Il libro dell’Esodo, Dehoniane, Bologna<br />

1975, 108: «Dire che Dio “guarda” è manifestare che egli entra in rapporto,<br />

che il suo sguardo è attivo e che si prende tutto a carico».<br />

16 F. miCHaeli, Le livre de l’Exode, Delachaux et niestlé, paris 1974, 401:<br />

«Le texte dit exactement: Dieu regarda le fils d’Israël et Dieu connut… plutôt que<br />

d’imaginer un ou plusieurs mots qui auraient disparu du texte, le sens théologique<br />

du verbe connaître en hébreu donne ici une possibilité d’interprétation<br />

très riche: connaître, c’est reconnaître l’existence de l’autre, c’est lui apporter<br />

son soin, c’est se lier à lui, l’aimer, lui être attaché totalement, c’est parce que<br />

Dieu a entendu la souffrance de son peuple, parce qu’il l’a vue, et parce qu’il<br />

se souvient de son alliance, qu’il met maintenant à exécution son projet de<br />

libération. eu tout cela s’exprime la connaissance que Dieu a de son peuple».<br />

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la risposta concreta di Dio all’appello del suo popolo e la partecipazione<br />

al grido di quanti erano oppressi dall’Egitto:<br />

3,1 mentre mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote<br />

di madian: condusse il gregge oltre il deserto e arrivò al monte di Dio,<br />

l’oreb. 2Gli apparve l’angelo di Yhwh (hA’hy> %a;l.m; ar’YEw:) come una fiamma di<br />

fuoco, in mezzo ad un roveto. E vide (ar>Y:w:), ed ecco che il roveto bruciava<br />

nel fuoco, ma il roveto non era divorato. 3E mosè disse: «Voglio spostarmi<br />

per vedere questa visione (ldoG”h; ha,r>M;h;-ta, ha,r>a,w> aN”-hr’sua’): perché mai il roveto<br />

non si consuma». 4Yhwh vide (hw”hy> ar>Y:w:) che si era spostato per vedere<br />

(tAar>li), e lo chiamò dal mezzo del roveto e disse: «mosè, mosè!». Disse:<br />

«Eccomi!». 5Disse: «Non avvicinarti: togliti i sandali dai tuoi piedi, perché<br />

il luogo sul quale stai è suolo santo». 6E disse: «Io sono il Dio di tuo padre,<br />

Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di giacobbe». mosè si coprì allora il<br />

volto perché temeva di guardare Dio (~yhil{a/h’-la, jyBih;me arey” yKi wyn”P’ hv,mo rTes.Y:w:).<br />

tale brano si trova inserito nella sezione che inizia in Es 2,23 con<br />

la morte del faraone, che annuncia l’inizio di una nuova era 17 , e si<br />

conclude in 4,17 perché il versetto seguente introduce un cambiamento<br />

di luogo: mosè lascia la zona dell’apparizione divina per tornare<br />

in Egitto dove ritrova suo suocero 18 . I vv. 1-6 sono strettamente<br />

collegati con quelli di Es 2,11-14 dove mosè prende per la prima<br />

volta l’iniziativa di aiutare il suo popolo, chiamato ad assumere su di<br />

sé il destino dei suoi fratelli 19 . In Es 2,11 leggiamo infatti che mosè<br />

«vede» i suoi fratelli oppressi dall’Egitto e tale visione non lo lascia<br />

indifferente; Mosè non è un osservatore disinteressato e, dopo aver<br />

visto l’oppressione del popolo, prende l’iniziativa di agire perché<br />

non tollera quella situazione e uccide un egiziano che colpiva un<br />

ebreo (v. 12).<br />

17 cf B.s. CHilds, Il libro dell’Esodo. Commentario critico-teologico, piemme,<br />

casale Monferrato 1995, 69.<br />

18 per la delimitazione della scena, vd. G. FisCer, Jahwe unser Gott. Sprache,<br />

Aufbau und Erzähltechnik in der Berufung des Mose (ex 3-4), vandenhoeck &<br />

ruprecht, Göttingen 1989, 85-87<br />

19 cf J.s. BadeN, «from Joseph to Moses: The narratives of exodus 1-2», vT<br />

62 (2012) 133-158.<br />

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In Es 3,1-6 domina il campo semantico del «vedere»: per sei volte<br />

appare la radice r’h (3,2[2x].3[2x].4[2x] 20 e tale verbo riappare altre<br />

3 volte nei versetti successivi (vv. 7-10) anche se non si tratta più<br />

della visione di Dio, ma di Dio che «ha visto» la situazione di Israele<br />

in Egitto e si è accorto della sua gravità. All’inizio leggiamo che<br />

mosè si inoltra nel deserto più lontano del solito e si ritrova in una<br />

regione sconosciuta, l’oreb 21 . «L’angelo di Dio appare come una<br />

fiamma di fuoco dal mezzo del roveto» (v. 2): l’angelo che appare<br />

a mosè non designa un’entità distinta da Dio 22 ma il suo approssimarsi<br />

che ne preserva la santità e la trascendenza 23 , sottolineata dal<br />

comando di non avvicinarsi 24 .<br />

L’apparizione di Dio avviene in mezzo a un roveto, sěneh, termine<br />

raro, accompagnato dall’articolo come se si trattasse di un roveto<br />

conosciuto o già citato prima. Il racconto contiene un significato<br />

simbolico relativo al roveto, come la tradizione giudaica ha voluto<br />

spiegare; infatti, nello Shemot Rabbà leggiamo: «Un tale chiese a<br />

R. Jehoshua ben Korchà: “Perché il Signore parlò con Mosè proprio<br />

da un roveto? Non avrebbe potuto rivolgersi a lui da un albero più<br />

20 cf B.s. CHilds, Il libro dell’Esodo, o.c., 70.<br />

21 cf W.H.C. ProPP, Exodus 1-18. A New Translation with Introduction and<br />

Commentary (The anchor Bible), Doubleday, new York 1998, 197.<br />

22 cf Gen 16,7-14; 21,14-21; 22,11.15; 24,7.40; 31,11-13; 48,15-16;<br />

Gs 5,13-16; Gdc 6,11-24; 13,2-23. vd. W.H.C. ProPP, Exodus 1-18, oc., 198.<br />

23 a. maNaraNCHe, Il monoteismo cristiano, Queriniana, Brescia 1988, 101-<br />

102: «La religione di israele deve accordare insieme due esigenze; annunciare<br />

Dio come egli è nel suo mistero, rifiutando qualsiasi idolatria; e annunciarlo a<br />

un popolo in favore del quale egli si propone di intervenire e di cui è necessario<br />

conoscere la mentalità. Ora il monoteismo, se bene adempie alla prima parte<br />

del programma, rischia di trascurare la seconda, facendosi troppo astratto.<br />

Sta qui il problema. La nozione dell’angelo di Jhwh deve contribuire a risolverlo.<br />

Lungi dal costituire una concessione fatta al politeismo, è una protezione<br />

contro il monoteismo talmente epurato da divenire disumano. Grazie ad essa,<br />

l’Unico senza cesare di essere tale, può comunicarsi una moltitudine di volte; il<br />

totalmente altro può, senza cessare di essere tale, fasi più familiare. L’angelo<br />

riveste quindi una figura difficile da identificare: è accostabile come un uomo<br />

e sfuggente come uno spirito; è vicino e lontano. Ma la sua presenza risulta<br />

indispensabile perché l’uomo possa effettivamente essere interpellato e trovare<br />

a chi rivolgersi; indispensabile anche perché gli siano spiegati eventi misteriosi<br />

che lo lasciano perplesso e inquieto».<br />

24 a. raBatel, Une histoire du point de vue, Université de Metz, paris–Metz<br />

1997; iD., La construction textuelle du point de vue, Delachaux et niestlé, Lausanne–paris<br />

1998.<br />

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importante?”. Rispose: “Se gli avesse parlato da un qualunque altro<br />

albero si sarebbe sempre potuto porre una domanda come questa.<br />

Ma ciò è avvenuto perché non v’è luogo in questo mondo in cui<br />

non sia presente l’immanenza di Dio, perfino in una pianta come un<br />

roveto”» 25 . Più oltre leggiamo: «Disse il Signore a Mosè: “Ti rendi<br />

conto di come partecipo alle sofferenze dei figli d’Israele? Vedi, ti<br />

parlo di mezzo alle spine del roveto ed è quindi come se anch’Io<br />

partecipassi direttamente al loro dolore» 26 . Il Dio di mosè è un Dio<br />

solidale e compassionevole, che partecipa personalmente al dolore<br />

del popolo, per questo parla dal roveto, dalle spine: se il popolo è nel<br />

dolore anche Dio è nel dolore e, se il fuoco non consuma il roveto,<br />

è perché neppure il dolore consumerà Israele. R. Shimon Jochai diceva:<br />

«Perché il Signore che sta nell’alto dei cieli si manifestò a<br />

Mosè in un roveto? Come il roveto è fra le piante la più insidiosa<br />

perché per esempio se un uccello vi si introduce non ne può più<br />

uscire se non dopo aver perso penne e brandelli di carne, così il signore<br />

riteneva la schiavitù egiziana la più pericolosa e insidiosa di<br />

tutte» 27 .<br />

siamo sulla «montagna di Dio, l’oreb» e lo scopo del redattore<br />

è chiaro: l’ubicazione della visione non è un luogo qualunque; là<br />

Dio si rivela e quello sarà il luogo della proclamazione della legge<br />

e dell’alleanza di Yhwh con Israele. È lì che Israele, dopo l’uscita<br />

dall’Egitto, diventerà popolo di Yhwh e renderà culto a Dio. Perciò<br />

nella tradizione dell’Oreb/Sinai viene stabilita una relazione stretta<br />

fra l’avvenimento della liberazione del popolo per opera di mosè e il<br />

luogo dell’alleanza che Dio farà con il suo popolo 28 .<br />

Dio «vede» Mosè avvicinarsi (v. 4) e si mostra in una «fiamma di<br />

fuoco», simbolo della sua santità 29 . La visione descritta è di un fenomeno<br />

misterioso, poco comprensibile: un roveto che brucia senza<br />

25 Shemot Rabbà ii.5; cf. r. PaCiFiCi, Midrashim. Fatti e personaggi biblici,<br />

Marietti, casale Monferrato 1986, 59.<br />

26 Ibid.<br />

27 Berachoth, viii.<br />

28 G. vaNHoomisseN, Cominciando da Mosè. Dall’Egitto alla terra promessa,<br />

edizioni Dehoniane, Bologna 2004, 115ss.<br />

29 cf 1re 18,38; 2re 1,10-14; nm 11,1; 16,35; 21,28; 26,10; Lv 10,2;<br />

Sl 8,9; 50,3; 97,3; 144,5-6; Gb 1,16.<br />

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consumarsi. In altre parole c’è un vedere che non è veramente tale,<br />

perché quello che si vede è solo un fatto esteriore, un roveto che<br />

brucia; allora c’è un vedere che non vede veramente, perché non sa<br />

vedere al di là di ciò che vede, non sa vedere l’invisibile e tale invisibile<br />

si comincia a vedere solo quando interviene la parola. Il senso<br />

del fenomeno può essere capito solo quando interviene la parola di<br />

Dio a spiegare ogni cosa 30 . Il roveto segnala la presenza attraverso<br />

il fuoco che lo consuma, poiché il fuoco non ha contorni e sfugge a<br />

ogni tentativo di delimitazione; quindi, è qualcosa di indefinibile o<br />

afferrabile e in tal senso dice qualcosa del mistero di Dio; il fuoco<br />

è inoltre l’invisibilità di ciò che è visibile: la legna che brucia. Vedendo<br />

il roveto mosè non vede Dio, ma capisce qualcosa di Lui:<br />

come il fuoco, Dio non ha contorni, non lo si può limitare, non lo si<br />

può rinchiudere e se per caso si riuscisse a rinchiuderlo senza che il<br />

fuoco bruci il contenitore, allora sarà il fuoco a spegnersi 31 .<br />

La parola è l’unica relazione con Dio adeguata per l’uomo e sostenibile<br />

per lui, infatti mosè ha paura di guardare, ma non di parlare<br />

e ascoltare. Quindi, il roveto mentre segnala nasconde. È negata la<br />

visione secondo la carne, perché l’esperienza del vedere è fondamentalmente<br />

idolatria, oggettivizzando la cosa vista e pretendendo<br />

che ciò che si vede sia totalmente identificabile con la realtà. La<br />

visione è parziale ed esteriore e perciò non riconducibile a Dio in<br />

quanto Egli non ha un’esteriorità a cui si può riportare, non è delimitabile<br />

e qualunque tentativo di visione di Dio uccide l’uomo. Il<br />

roveto, soltanto alla luce della parola segnala la presenza di Dio, e<br />

allora mosè capisce di non poter vedere e si vela il viso.<br />

Dio non solo si fa presente sensibilmente nel segno del fuoco,<br />

ma interpella mosè rivolgendogli la parola e chiamandolo per nome,<br />

volendo entrare in un rapporto personale con lui: «mosè, mosè».<br />

Colui che chiama mosè gli ricorda che c’è una distanza da mantenere:<br />

«togliti i sandali» (3,5). Calzare i sandali è simbolo di potere:<br />

il gesto di mettere il piede in un campo o di gettarvi sopra il proprio<br />

sandalo indicava la volontà di prenderne possesso. togliersi i sandali<br />

30 cf B. reNaud, «La figure prophétique de Moïse in exode 3,1-4,17», in rB<br />

93 (1986), 510-534.<br />

31 cf r. tourNey, «Le nom de “Buisson ardent”», vT 7 (1957) 410-413 ; a.<br />

laCoCque, Le Devenir de Dieu, paris 1967, 71ss.<br />

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equivale dunque a riconoscere la propria vulnerabilità e che il diritto<br />

di riscatto di quella terra appartiene a Dio perché quella, come dice<br />

il testo ebraico, è la terra della sua santità. Il signore tuttavia riscatta<br />

quella terra per concederla in eredità a Israele come ha promesso ai<br />

loro padri.<br />

3. la missione di Mosè<br />

(Es 3,7-10)<br />

Il testo di Es 3,7-10<br />

prosegue la narrazione<br />

ponendo<br />

l’attenzione su un’importante<br />

dichiarazione<br />

di Dio: Egli si rivela<br />

a mosè come Colui che, avendo visto la miseria del suo popolo,<br />

avendo ascoltato il grido di coloro che soffrono e le invocazioni di<br />

quanti subiscono ingiustizia, è pronto a intervenire:<br />

7Il signore disse: «Ho visto, ho visto l’oppressione del mio popolo che è in<br />

Egitto (~yIr’c.miB. rv,a] yMi[; ynI[\-ta, ytiyair’ haor’ hw”hy> rm,aYOw), ho udito il suo grido di<br />

fronte ai suoi oppressori, poiché conosco le sue angosce. 8Voglio scendere<br />

a liberarlo dalla mano dell’Egitto e farlo salire da quella terra a una terra<br />

buona e vasta, a una terra dove scorre latte e miele, nel luogo del Cananeo,<br />

dell’Hittita, dell’Amorreo, del Perizzita, dell’Eveo e del gebuseo. 9E ora,<br />

ecco, il grido dei figli d’Israele è giunto fino a me, e ho visto pure l’oppressione<br />

con cui l’Egitto li opprime (~t’ao ~ycix]l{ ~yIr;c.mi rv,a] #x;L;h;-ta, ytiyair’-~g:w> yl’ae<br />

ha’B’ laer’f.yI-ynEB. tq;[]c; hNEhi hT’[;). 10E ora va’: ti invio dal faraone per fare uscire il<br />

mio popolo, i figli d’Israele, dall’Egitto».<br />

Dio dichiara: «Ho visto, ho visto» (v. 7): il verbo «vedere» non a<br />

caso è ripetuto due volte in questo versetto, volendo segnalare con<br />

ciò che Dio ha chiaramente visto e preso nota della situazione del<br />

suo popolo. Dio conoscendo la miseria del popolo, si schiera dalla<br />

sua parte, decide di liberarlo e di farlo salire verso una terra fertile<br />

e vasta.<br />

mosè è chiamato a «vedere», «sentire» e «conoscere» le cose così<br />

come Dio le «vede», le «sente» e le «conosce»; infatti a Mosè Dio<br />

«fa sentire» il grido del suo popolo e gli «fa conoscere» la sua sofferenza.<br />

A mosè viene dato uno sguardo nuovo sulla situazione dei<br />

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L’esserci dell’amore<br />

che vede<br />

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suoi fratelli che gli fa capire le cose in modo diverso. È da questa<br />

nuova «percezione» che scaturisce la sua missione. Lo scopo del<br />

brano è quindi di mostrare chiaramente che l’iniziativa della liberazione<br />

degli ebrei non è di mosè, bensì di Dio 32 . si possono notare<br />

forti similitudini tra il vocabolario di Es 2,23b-25 e quello di<br />

Es 3,7.9, perché il Dio che sente il grido del suo popolo è Colui che<br />

chiama mosè e lo invia dal faraone, e il motivo del suo agire è lo<br />

stesso, il grido del popolo oppresso.<br />

Un testo vicino a Es 3,7-10 è Gn 10,20-21: «Yhwh disse: “Siccome<br />

il grido che sale da sodoma e gomorra è grande e siccome il<br />

loro peccato è molto grave, io scenderò e vedrò se hanno veramente<br />

agito secondo il grido che è giunto fino a me; e se così non è, lo<br />

saprò”». Nel testo di Genesi leggiamo che Dio scende per un sopraluogo<br />

e per verificare se si tratta davvero di una situazione grave,<br />

mentre in Es 3,7-10 la perizia ha avuto luogo e Dio ha iniziato la sua<br />

azione giuridica e salvifica 33 . La tragica situazione in cui versano<br />

gli ebrei è definita con due vocaboli: ‘anî, «povertà, debolezza, miseria»<br />

(v. 7) e lahas, «oppressione» (v.9). Al centro del brano risuona<br />

il termine sa‘q, il lamento legale che si indirizza ad un giudice e<br />

Dio non tarda ad intervenire: Egli «guarda» e «capisce», cioè se ne<br />

prende cura. Lo studioso greenberg ha notato la struttura chiastica<br />

che unisce il v. 7 al v. 9 34 :<br />

v. 7: (a) r’h (vedere) – (b) s e āqâ (grido)<br />

v. 9: (b) s e āqâ (grido) – (a) r’h (vedere).<br />

Per tale motivo possiamo dire che il vedere di Dio non è il vedere<br />

di un osservatore disinteressato ma lo porta a fare esperienza e a<br />

condividere la sofferenza di chi soffre, a prendere parte al grido degli<br />

oppressi.<br />

Ai vv. 7-8 si riallacciano i vv. 16-17, considerati come una continuazione<br />

di essi: « 16 Va’, riunisci gli anziani di Israele e di’ loro:<br />

“Yhwh, Dio dei vostri padri, fu visto da me (yl;ae ha’r>nI ~k,yteboa] yhel{a/<br />

hw”hy>), il Dio di Abramo, di Isacco e di giacobbe per dire: sono ve-<br />

32 F. miCHaeli, Le livre de l’Exode. Commentaire de l’Ancien Testament, Delachaux<br />

& niestlé, neuchâtel 1974, 48.<br />

33 cf 2cr 20,9; ne 9,27-28; Sl 34,18; Gb 27,9; is 30,9; Ger 11,11;<br />

14,12; ez 8,18.<br />

34 m. GreeNBerG, Understanding Exodus, Behrman, new York 1969, 83-84.<br />

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nuto a vedere voi e ciò che viene fatto a voi in Egitto, 17 e ho detto: vi<br />

faccio salire dall’oppressione dell’Egitto…». nel v. 16 troviamo un<br />

accenno all’apparizione divina di Es 3,1-6 con il verbo chiave r’h,<br />

la menzione del Dio dei tre patriarchi (cf. 3,6) e dell’oppressione in<br />

Egitto (cf. 3,7.9). L’espressione generica «quello che vi è stato fatto<br />

in Egitto» è un modo semplice di riassumere quanto detto nei vv. 7.9<br />

senza ripetersi. Il verbo ‘śh, «fare» è generico e può rinviare senza<br />

difficoltà a quanto è stato detto in modo più preciso sull’oppressione<br />

degli egiziani nei vv. 7.9. 35<br />

Il vedere di Dio implica perciò un prendere coscienza e un partecipare<br />

a quella situazione a cui segue un intervento concreto. A<br />

tale proposito è molto significativo il testo di 1Sam 9,15-16: «Yhwh<br />

aveva rivelato ciò a samuele un giorno prima dell’arrivo di saul:<br />

“Domani, a quest’ora, ti invierò un Beniaminita; lo ungerai come<br />

capo sul mio popolo; egli salverà il mio popolo dalla mano dei Filistei,<br />

perché ho visto il mio popolo e perché il suo grido è giunto a me<br />

(yl’ae Atq’[]c; ha’B’ yKi yMi[;-ta, ytiyair’ yKi)». Anche in questo testo la risposta<br />

concreta di Dio al grido del popolo è la chiamata di un personaggio,<br />

Saul, colui che dovrà liberare dall’oppressione dei filistei e manifestare<br />

con ciò la presenza operante e amante di Dio a favore dei suoi.<br />

4. l’esserci dell’amore<br />

(Es 3,11-15)<br />

Il capitolo 3 del<br />

libro dell’Esodo<br />

prosegue come un<br />

racconto di vocazione<br />

presentando, dopo<br />

l’irruzione divina,<br />

gli elementi che si possono trovare in altri racconti di tale genere:<br />

l’obiezione del chiamato, la promessa di assistenza e il segno dato<br />

come pegno dell’aiuto divino:<br />

11mosè disse a Dio: «Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall’Egitto<br />

i figli d’Israele?». 12E Dio disse: «Va’, perché io sarò con te (%M’[i hy


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yKi). Questo sarà il segno che sono io che ti ho mandato: quando avrai fatto<br />

uscire il popolo dall’Egitto, voi servirete Dio su questo monte». 13mosè disse a Dio: «Ecco, quando sarò andato dai figli d’Israele e avrò detto loro:<br />

“Il Dio dei vostri padri mi ha mandato da voi”, se essi dicono: “Qual è il<br />

suo nome?” che cosa risponderò loro?». 14Dio disse a mosè: «Io sono colui<br />

che sono». Poi disse: «Dirai così ai figli d’Israele: “Io Sono mi ha mandato<br />

da voi”» (`~k,ylea] ynIx;l’v. hy


la sua presenza attuale e operante 38 , per tale motivo è impossibile che<br />

l’uomo conosca il nome di Dio, poiché sarebbe come vedere Dio,<br />

aver capito il senso più profondo di Lui, il suo mistero. Conoscere il<br />

nome di Dio equivarrebbe a identificarsi con Lui; soltanto Dio può<br />

dire all’uomo: «Io ti conosco per il tuo nome» (Es 33,12), conoscenza<br />

che implica un’azione di Dio nell’uomo.<br />

La domanda di Mosè riceve una duplice risposta nei vv. 14-15,<br />

che sono i versetti più discussi e più commentati di tutto il Pentateuco<br />

39 , segno della complessità del lavoro redazionale, ma anche<br />

della difficoltà di parlare del mistero così rivelato: «Dio disse a<br />

mosè: ’ehyeh ’ăšer ’ehyeh (hy


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non ha realtà oggettiva e perciò il verbo è per essenza atemporale e<br />

si coniuga in rapporto all’azione che descrive 42 . Il verbo hyh si può<br />

tradurre con essere, esistere, accadere, divenire; significa l’esistenza<br />

in quanto si esercita e si manifesta con la sua attività. Essere equivale<br />

ad essere in rapporto agli altri esistenti, essere in relazione, vivere<br />

con, agire su, agire per 43 .<br />

La formulazione all’imperfetto vuole perciò indicare la presenza<br />

attiva di Dio in tutte le dimensioni concepibili, cioè che Dio è sempre<br />

presente e operante nella storia e perciò tutti possono conoscerlo 44 ,<br />

poiché Egli è sempre accanto all’uomo ma non permette di catalogarlo,<br />

poiché Lui rimane invisibile 45 .<br />

Inoltre è da notare che la dichiarazione ’ehyeh ’ăšer ’ehyeh non<br />

afferma soltanto la presenza attiva e dinamica di Dio, dal momento<br />

che tale presenza è rafforzata dal raddoppiamento del verbo hyh 46 .<br />

Considerando che il pronome relativo ’ăšer, che collega i due ’ehyeh,<br />

si può correttamente tradurre con i due punti: «sono: sono», allora<br />

42 a. CHouraqui, Mosè. Viaggio ai confini di un mistero rivelato e di una<br />

utopia possibile, Marietti, Genova 1996, 122.<br />

43 m. BuBer, Moïse, presses Universitaires de france, paris 1957, 59: ««Je<br />

suis celui qui suis», avec la signification que YHvH se désigne comme l’existant<br />

ou même l’éternellement existant, celui qui persiste immuablement dans son être.<br />

Mais outre qu’il y aurait là un genre d’abstraction qui n’a pas coutume de se<br />

manifester à une époque de vitalité religieuse en expansion, on ne peut tirer du<br />

verbe, dans la langue biblique, ce sens d’existence pure. il signifie: se produire,<br />

devenir, être là, être présent, être de telle ou telle façon, mais non pas: être en<br />

soi».<br />

44 r.e. ClemeNts, Exodus, o.c., 76: «We must see in the phrase here, that kind<br />

of indefiniteness “which leaves open a large number of possibilities” in which<br />

the deity implies, “i am whatever i mean to be”».<br />

45 N.m. sarNa, Exploring Exodus. The Heritage of Biblical Israel, new York<br />

1986, 52: «La persona divina può venir conosciuta solo in quanto Dio decide<br />

di rivelare se stesso, e può essere veramente qualificata solo nei termini suoi<br />

propri, non per analogia con alcunché d’altro. È questo l’equivalente in forma<br />

articolata dello spettacolo del fuoco nel roveto ardente, un fuoco che si autogenera<br />

e si autosostiene».<br />

46 J.i. durHam, Exodus (Word Biblical commentary 3), Word Books, Waco,<br />

Texas 1987, 39: «“i am being that i am being”, or “i am the is-ing One”, that<br />

is, “the One Who always is”. not conceptual being, being in the abstract, but<br />

active being, is the intent of this reply. it is a reply that suggests that it is inappropriate<br />

to refer to God as “was” or as “will be”, for the reality of this active<br />

existence can be suggested only by the present: “is” or “is-ing”, “always is”,<br />

or “am”.<br />

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la doppia affermazione risulterebbe alquanto significativa perché<br />

esprimerebbe un doppio senso, implicherebbe l’interrogante mosè e<br />

Dio che è interrogato: «sono» implicherebbe Colui che ha pronunciato<br />

questo nome e colui che lo ascolta e lo ripete 47 . Dio infatti non è<br />

qualcuno che abita nel fondo dei cieli o al di là dei mari, ma è vicino<br />

all’uomo ogni volta che è invocato (cf. Dt 4,7), e l’’ehyeh ricorda a<br />

ciascuno che Dio è Colui che non può dire il suo essere in modo che<br />

ci si possa servire di lui 48 ; Egli esiste indipendentemente da tutto ed è<br />

la sorgente di ogni esistenza; è la Presenza attenta e totalmente libera<br />

che ricorda all’uomo la sua identità: Dio è l’’ehyeh di ogni essere 49 .<br />

L’Io Sono, hw”hy>, possiede la forza divina e spirituale non di annullare<br />

i sé individuali, ma di rammentarci che mai, fin dall’inizio,<br />

siamo stati indipendenti. ogni Io sussiste grazie al fatto che partecipa<br />

di un Sé più grande, di un Io più grande. Il nostro sé è una parte<br />

essenziale del Santo, del Sé di Dio. La rivelazione del Nome dice<br />

quindi qualcosa, perché dice: «Sono», ma non permette di catalogare<br />

Dio, perché il Dio invisibile accetta la mediazione del visibile che è<br />

mosè 50 .<br />

4.1 L’’ehyeh nel fuoco del roveto<br />

L’affermazione della presenza di hw”hy> nell’uomo e a favore<br />

dell’uomo è la rivelazione centrale di Dio che viene e che interviene<br />

a motivo della sua presenza attiva; essa spiega bene l’affermazione<br />

presente nel v. 12: %M’[i hy


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passione». Dio infatti rivela la sua efficace prossimità e misericordia,<br />

è Colui che si pone in relazione, attraverso mosè, con Israele per<br />

liberarlo, chiedendogli una risposta di esclusivo amore e fedeltà 51 .<br />

L’Io Sono è un invito a non fermarsi al nome; il tetragramma non<br />

è una formula dogmatica filosofica, ma sottolinea la realtà attuale<br />

di Dio: Io sono qui realmente, Io sono Colui che si fa riconoscere,<br />

perché si prende cura dell’altro, totalmente coinvolto con l’uomo 52 .<br />

Tale significato è confermato dalla rivelazione del nome che avviene<br />

dopo la visione di un roveto che brucia ma non si consuma,<br />

come il dolore che opprimeva il popolo: Dio manifesta il suo essere<br />

lì, in quella sofferenza e in quel dolore del suo popolo. Il nome rende<br />

sensibile e costante la relazione di Dio con il popolo, è segno efficace<br />

della sua presenza che entra i rapporto con Israele e lo salva,<br />

poiché Dio non si limita ad aprire un dialogo con le sue creature ma<br />

si fa carico del loro destino.<br />

Risulta pertanto che il nome di Dio è teofanico e performativo,<br />

dal momento che i destinatari sono oggetto di un atto di salvezza 53 :<br />

non è questione di definire l’essenza di Dio, ma si tratta della promessa<br />

di Dio che si realizza sul popolo, che inizia con mosè e che<br />

man mano si compie come un processo. Il nome di Dio è un evento<br />

e perciò conoscere Dio significherà sperimentare il suo intervento liberatore<br />

e salvatore, l’efficacia della sua azione. Possiamo chiederci<br />

allora: in che modo si manifesta l’esserci di Dio? Leggendo bene il<br />

testo si comprende che l’incontro con l’automanifestazione di Dio<br />

realizza il contenuto del tetragramma in mosè che è chiamato ad<br />

essere «Dio» per Aronne, per il faraone e per il popolo di Israele, dal<br />

momento che Dio opera attraverso strumenti umani.<br />

Dio dice a Mosè: «Io sarò con te» (v. 12a): Dio impegna tutto se<br />

stesso nella storia del suo inviato, condivide se stesso con l’uomo,<br />

51 m. BuBer, Moïse, o.c., 61: ««YHvH est celui qui sera là» ou «qui est là»,<br />

celui qui n’est pas seulement présent n’importe quand et n’importe où, mais à<br />

chaque moment du présent et à chaque place où l’on se trouve… Ehyeh n’est<br />

pas un nom, on ne peut pas nommer ainsi le Dieu».<br />

52 W. eiCHrodt, Teologia dell’Antico Testamento, i, Brescia 1979, 191: «io<br />

sono effettivamente e veramente qui, sono pronto ad aiutare e ad agire, così<br />

come sempre lo sono stato».<br />

53 cf a. laCoCque – P. riCoeur, Come pensa la Bibbia. Studi esegetici ed<br />

ermeneutici, paideia, Brescia 2002, 309.<br />

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nella relazione con mosè manifesta il suo essere. Quando mosè<br />

incontra per la prima volta il Faraone, simbolo di tutto ciò che si<br />

oppone a Dio e che rende schiavo l’uomo, e questi si rifiuta di concedere<br />

al popolo il permesso di partire, così come aveva chiesto<br />

mosè, è interessante considerare in che modo il Faraone replica alla<br />

richiesta di Mosè: «Il Faraone rispose: chi è il Signore perché io<br />

debba ascoltare la sua voce per lasciar partire Israele? Non conosco<br />

il Signore e neppure lascerò partire Israele» (Es 5,2). Il rifiuto è duplice.<br />

Non soltanto il Faraone si rifiuta di dare al popolo il permesso<br />

di partire, ma il suo rifiuto assume i tratti della negazione stessa di<br />

Dio: «non conosco il signore!». Anche in questo caso la tradizione<br />

ebraica rilegge questo episodio in modo estremamente significativo.<br />

Ci sono due midrashim che interpretano questo testo. Il primo<br />

dice che il Faraone, quando udì l’espressione «il Dio degli ebrei»,<br />

esclamò con meraviglia: «Da quando gli schiavi hanno un Dio?».<br />

nella sua mentalità era inconcepibile che gli schiavi avessero un<br />

Dio. Invece, il Dio che si rivela a mosè non è neutrale, non interviene<br />

nella storia in modo generico; Egli si schiera, prende sempre<br />

una posizione precisa e la posizione che prende è di stare dalla parte<br />

degli oppressi; è il Dio degli schiavi che stabilisce con l’uomo un<br />

rapporto di libertà. Un secondo midrash, riferito sempre a questo<br />

versetto, racconta che il Faraone afferma di non conoscere il Dio<br />

degli ebrei e dice: «“Non lascerò partire il popolo che ha un Dio<br />

senza nome, dunque un Dio che non esiste”. E dice così, perché in<br />

precedenza aveva mandato i suoi servi a consultare negli archivi e a<br />

cercare il nome del Dio di mosè, ma i servi non riuscirono a trovare<br />

negli achivi tale nome. Quindi, se il suo nome non era conservato,<br />

evidentemente era un Dio che non esisteva. ma mosè prese la parola<br />

e rispose al Faraone: “Non puoi trovare il nome di Dio negli archivi<br />

e negli elenchi, perché quelli sono il cimitero degli dei. Il nostro Dio<br />

non ha nome, vive eternamente e riceve il nome dalle azioni che<br />

compie, dalla storia che fa”» 54 . Ancora una volta appare che Dio si<br />

rivela nella storia e che noi non possiamo conoscere il nome di Dio<br />

prima di averlo visto agire. Per questo il nome che Israele dà a Dio<br />

è: Colui che ha liberato i padri dalla schiavitù dell’Egitto. Appunto,<br />

54 Shemot Rabba v.14.<br />

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il Dio che ascolta il grido degli oppressi e si mostra solidale è anche<br />

un Dio che libera.<br />

Da tutto ciò ne consegue Dio si rende vulnerabile per il fatto<br />

stesso che avvia una relazione con qualcun altro; quando Yhwh si<br />

coinvolge nella storia dell’uomo, l’Io divino diviene nel tu umano,<br />

poiché l’Io pone un’altra persona, esterna a lui, che diventa sua eco<br />

alla quale dice tu. Dio è Colui che sta di fronte a un tu e i due sono<br />

in un contrasto reciproco che li definisce entrambi: «Che sia l’Essere<br />

o il signore dell’ente, Dio stesso è, appare come quello che è nella<br />

differenza, vale a dire come la differenza e nella dissimulazione» 55 .<br />

4.2 Il Nome ineffabile di Dio<br />

La rivelazione inaudita che mosè riceve sull’oreb lega l’Io di Dio<br />

all’io dell’uomo, unisce l’Io al tu. Dio si rivela e si incarna nell’uomo<br />

che è chiamato a parlare a suo nome. mosè apparirà dunque al suo<br />

popolo come hw”hy>, come l’’ehyeh che lo invia e che è presente in lui.<br />

senza perdere la sua trascendenza, Dio assume l’umanità di colui<br />

al quale si rivela, è presenza vivente nell’uomo: l’’ehyeh è il nome<br />

ineffabile dell’Essere presente in ogni essere.<br />

Di particolare interesse per l’interpretazione di Es 3,14 è il testo<br />

del Targum Onqelos che traduce: «Io sono come colui con cui io<br />

sono»; mentre lo Zohar Wajjiqra legge: «’ehyeh è il supremo<br />

occultamento… “Io è me stesso”… ’ăšer ’ehyeh, sono in procinto di<br />

rivelare me stesso…’ehyeh è “la madre divenne gravida” … yhwh il<br />

momento della fioritura del Tutto». tali riferimenti ci fanno considerare<br />

che il verbo ebraico hyh non è usato per sottolineare la realtà<br />

di un soggetto ma per esprimere un rapporto da persona a persona,<br />

tra Dio e colui in favore del quale Egli è; la sfumatura espressa dal<br />

verbo hyh è significante una presenza, un’apertura verso un altro<br />

soggetto.<br />

secondo il midrash Shemòth Rabbà, mosè avrebbe invece detto:<br />

«Ecco, d’accordo, io vado dai figli d’Israele a parlare a Tuo Nome.<br />

se mi chiedono chi mi manda, io devo sapere qual è il tuo nome».<br />

Rispose il signore: «tu, dunque, vuoi sapere il mio nome. sappi<br />

55 J. derrida, La scrittura e la differenza, Torino 1967, 92.<br />

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dunque che Io sono conosciuto secondo le mie opere. ora mi chiamo<br />

El-Shaddai; ora Zevaoth, ora Elohim, ora Yhwh; allorché io esercito<br />

la giustizia mi chiamo Elohim, allorché combatto contro la malvagità<br />

degli uomini mi chiamo Zevaoth, quando indulgo al peccato<br />

mi chiamo El-shaddai, quando dimostro la mia pietà verso il mio<br />

mondo mi chiamo Yhwh» 56 . tale interpretazione midrashica è significativa<br />

perché segnala che il tetragramma hw”hy> denota sempre<br />

l’attributo della divina misericordia, esprime Dio in quanto Amore.<br />

Dio fa sapere al suo popolo, tramite mosè, che Egli si impegna a<br />

loro favore, che è sempre vicino e presente dovunque si soffre e che<br />

vuole instaurare con il popolo dei rapporti particolari; man mano gli<br />

israeliti comprenderanno che Yhwh è il donarsi di Dio per loro e in<br />

loro, e conosceranno Dio attraverso le sue manifestazioni. Il nome di<br />

Dio rende sensibile e costante la relazione di Dio e del popolo: Yhwh<br />

è il Dio che viene e che interviene sempre.<br />

Alla luce di al-<br />

conclusione<br />

cuni testi del<br />

libro dell’Esodo<br />

abbiamo considerato<br />

che il nucleo centrale della rivelazione biblica di Dio non è la<br />

sua trascendenza ma la sua condiscendenza, perché Dio è colui che<br />

si china dai cieli a guardare sulla terra, ascolta, si ricorda, guarda<br />

e si prende cura delle sue creature. L’immagine dell’occhio vigile,<br />

simbolo dell’onniscienza, della vigilanza e dell’onnipresenza protettiva<br />

di Dio, diventa espressione della sua bontà e del suo amore:<br />

«Ecco, l’occhio del signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella<br />

sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame»<br />

(Sl 33,18-19); «Il Signore… volge sul mondo il suo sguardo, i suoi<br />

occhi scrutano l’uomo. Il signore giudica giusti e malvagi, disprezza<br />

chi ama la violenza» (Sl 11,4-5).<br />

Chi ama non può non vedere i bisogni della persona amata e anche<br />

in Dio amare è vedere, l’amore che vede manifesta il movimento di<br />

condiscendenza di Dio che non rimane chiuso nel mistero della sua<br />

56 Testo citato da a. seGre, Mosè nostro maestro, fossano 1975, 95.<br />

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assolutezza, ma si china sull’uomo mostrandosi a lui. Dio non può<br />

non vedere perché è Amore ed è proprio l’amore all’origine di ogni<br />

cosa, della stessa creazione con cui Dio è uscito dal suo mistero assoluto;<br />

senza l’amore non si comprenderebbe la mirabile storia narrata<br />

nella sacra scrittura, storia di un Dio che si comunica amando.<br />

Mi piace concludere questa riflessione riportando sinteticamente<br />

alcuni brani del libro di m. Buber, che riguardano le vicende di Rabbi<br />

Sussja, discepolo di un grande spirituale del suo tempo 57 . Vedendolo<br />

pieno di discernimento, capace di aiutare tutti quelli che venivano<br />

a lui, Sussja aveva chiesto al suo maestro di pregare il Signore di<br />

concedergli la visione del bene e del male nei cuori. E Dio gli aveva<br />

concesso questa grazia. Poco dopo un commerciante venne a trovare<br />

il maestro di Sussja; la vita di quest’uomo era profondamente contrassegnata<br />

dal male, e il giovane discepolo a prima vista scorge lo<br />

stato di quell’anima e pieno di orrore grida: «Come osi tu presentarti<br />

davanti al volto di un santo, impuro come sei?». E il commerciante<br />

se ne andò. Il maestro richiamò allora Sussja e gli disse: «Poco fa è<br />

venuto un uomo che tu hai scacciato e tuttavia era la sua ultima speranza<br />

di salvezza!». Allora il discepolo inorridito supplicò di ottenere<br />

da Dio che egli non vedesse più il male. ma il maestro gli rispose di<br />

no, perché i doni di Dio sono irrevocabili, ma che avrebbe pregato<br />

il signore di aggiungere un nuovo dono a quello che gli aveva fatto,<br />

di scorgere cioè con una tale forza la sua identità con il fratello in<br />

modo da vedere il male non più come colpa dell’altro, ma come<br />

sua propria. Dopo vari giorni di viaggio Sussja arriva a un’osteria,<br />

getta gli occhi sull’oste e lo vede come Dio lo vede, nell’orrore del<br />

male in cui viveva. L’oste gli chiede quali siano le sue esigenze e il<br />

giovane rabbino risponde: «niente… voglio semplicemente un angoletto<br />

dove poter pregare». gli si mostra un piccolo bugigattolo…<br />

e poi l’oste dice alla moglie: «Che uomo è questo? Dopo una lunga<br />

strada, stanco, tutto impolverato, certamente affamato, non chiede<br />

né cibo né riposo, ma soltanto un posto dove poter pregare. Vado<br />

a vedere cosa fa». Egli arriva fino alla porta, la socchiude piano e<br />

trova il giovane rabbino che prega Dio e gli fa il racconto di tutta<br />

57 cf m. BuBer, I racconti dei hassidim, Ugo Guanda editore, parma 1992,<br />

214-217.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 192 04/02/13 09:39


la vita dell’oste come se fosse la sua, perché nella solidarietà totale<br />

che vi è tra gli uomini l’ha sentita come un peccato suo proprio. E<br />

l’oste si trova tutto a un tratto di fronte alla propria vita, così come<br />

Dio la vedeva. Il suo cuore si spezza, si è pente e comincia una vita<br />

nuova. Più tardi egli chiese allo stesso rabbino come mai tutti quelli<br />

che venivano da lui, alla fine erano indotti al pentimento e cambiavano<br />

vita. E il rabbino diede la risposta seguente: «Quando viene a<br />

vedermi un uomo che non vuole pentirsi, scendo scalino per scalino<br />

nel più profondo del suo peccato e quando ho raggiunto il fondo<br />

della sua anima, lego la radice della mia anima alla radice della sua<br />

e unito a lui comincio a pentirmi del nostro peccato ed egli non può<br />

non pentirsi con me perché siamo diventati uno solo».<br />

Le vicende di questo rabbino ci portano a concludere che, essendo<br />

il tetragramma il cuore del mistero divino rivelato a mosè,<br />

allora ogni uomo è vivente quando il nome si impadronisce di lui<br />

nella trascendenza dell’Essere creatore, come è stato per mosè, per<br />

Sussja e per quanti, in ogni tempo, sono diventati presenza di Yhwh<br />

nel mondo, ’ehyeh di ’ehyeh.<br />

Angela Maria Lupo cp<br />

srmarialupocp@tiscali.it<br />

sacra scrittura<br />

L’esserci dell’amore<br />

che vede<br />

171-195<br />

sacra<br />

193<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 193 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

AngelA mAriA lupo cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

194<br />

scrittura<br />

L’esserci dell’Amore che vede<br />

ItA<br />

di Angela maria Lupo, cp<br />

Partendo dall’affermazione di Ugo di san Vittore: «Ubi amor, ibi<br />

oculos», l’autrice analizza alcuni testi del libro dell’Esodo (2,23-25;<br />

3,1-6; 3,7-10; 3,11-15) nei quali emerge che il Dio di Abramo, di<br />

Isacco e di giacobbe, nel rivelare a mosè il suo nome, ’ehyeh ’ăšer<br />

’ehyeh, afferma la sua presenza attiva e dinamica a favore del suo<br />

popolo che «vede» oppresso dalla schiavitù. Il confronto con altri<br />

testi dell’At mette in luce che il nome di Dio è teofanico e performativo<br />

poiché traduce la sua realtà più profonda, il suo essere<br />

Amore. In Dio amare è vedere e l’Amore che vede non può rimanere<br />

chiuso nel mistero della sua assolutezza ma si china inevitabilmente<br />

sull’uomo per liberarlo e salvarlo.<br />

L’y être de l’Amour qui voit<br />

fRA<br />

de Angela maria Lupo, cp<br />

Partant de l’affirmation de Ugo di san Vittore « Ubi amor, ibi<br />

oculos », l’auteur analyse quelques textes du livre de l’Exode<br />

(2,23-25 ; 3,1-6 ; 3,7-10 ; 3,11-15) desquels il ressort que le Dieu<br />

d’Abraham, d’Isaac et de Jacob, en révélant son Nom à Moïse, ‘ehyeh<br />

‘aser ‘ehyeh, affirme sa présence active et dynamique en faveur de<br />

son peuple qu’il « voit » opprimé par la servitude. Le parallèle avec<br />

d’autres textes de l’AT met en lumière que le Nom de Dieu est théophanique<br />

et efficace car il traduit sa réalité la plus profonde, son être<br />

Amour. En Dieu aimer c’est voir et l’Amour qui voit ne peut rester<br />

enclos dans le mystère de son absoluité mais se penche inévitablement<br />

sur l’homme pour le libérer et le sauver.<br />

The being of the Love who sees<br />

EnG<br />

Angela maria Lupo, CP<br />

Starting with the premise of Hugh of Saint Victor, “Ubi amor, ibi<br />

oculos”, the author analyzes some texts of the Book of Exodus (2.23<br />

to 25, 3.1 to 6, 3.7 to 10, 3, 11-15) in which it appears that the God of<br />

Abraham, Isaac, and Jacob, by revealing his name to Moses, ’ehyeh<br />

’ăšer ’ehyeh, affirms his active and dynamic presence in favor of his<br />

people whom he “sees” oppressed by slavery. The comparison with<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 194 04/02/13 09:39


other texts of the old testament shows that god’s name is both<br />

theophanic and performative because it represents his most profound<br />

reality, i.e., his being Love. In god to love is to see and the love that<br />

sees cannot be closed in the mystery of his absoluteness, but is inevitably<br />

inclined to man to free and save him.<br />

El estar ahí del Amor que ve<br />

SPA<br />

de Angela maria Lupo, cp<br />

A partir de la afirmación de Hugo de san Víctor: “Ubi amor,<br />

ibi oculos”, la autora analiza algunos textos del libro del Éxodo<br />

(2,23-25; 3,1-6; 3,7-10; 3,11-15) en los cuales emerge que el Dios<br />

de Abraham, de Isaac y de Jacob, al revelar a Moisés su Nombre,<br />

’ehyeh ’ăšer ’ehyeh, afirma su presencia activa y dinámica en favor<br />

de su pueblo al que “ve” oprimido por la esclavitud. La confrontación<br />

con otros textos del At pone en claro que el nombre de Dios es<br />

teofánico y performativo porque traduce su realidad más profunda,<br />

su ser Amor. En Dios amar es ver, y el Amor que ve no puede permanecer<br />

cerrado en el misterio de su absoluto, sino que se inclina<br />

inevitablemente sobre el hombre para liberarlo y salvarlo.<br />

Obecność Miłości, która widzi<br />

Pol<br />

Angela maria Lupo CP<br />

Wychodząc od stwierdzenia Hugona od Św. Wiktora Ubi amor, ibi<br />

oculos, autorka analizuje kilka tekstów z Księgi Wyjścia (2,23-25;<br />

3,1-6; 3,7-10; 3,11-15), z których wynika, że Bóg Abrahama, Izaaka<br />

i Jakuba, objawiając Mojżeszowi swe imię ’ehyeh ’ăšer ’ehyeh, potwierdza<br />

swą aktywną i dynamiczną obecność, przez którą wspiera<br />

swój lud, który “widzi” uciśniony w niewoli. Zestawienie z innymi<br />

tekstami Starego Testamentu czyni widocznym, że imię Boga<br />

jest teofaniczne i performatywne, ponieważ ukazuje Jego głęboką<br />

prawdę, Jego bycie Miłością. W Bogu miłowanie jest widzeniem i<br />

miłość, która widzi, nie może pozostać zamknięta w misterium swej<br />

absolutności, ale w sposób konieczny pochyla się nad człowiekiem,<br />

aby go uwolnić i zbawić.<br />

sacra scrittura<br />

L’esserci dell’amore<br />

che vede<br />

171-195<br />

sacra<br />

195<br />

scrittura<br />

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2 la sapienza 2012 ciano.indd 196 04/02/13 09:39


franceScO vOLTaGGiO<br />

Sgorgò dal costato acqua e sangue.<br />

Non prendere alla leggera, o diletto,<br />

il mistero!<br />

s. giovanni Crisostomo<br />

introduzione<br />

L’evento della fuoriuscita di sangue<br />

e acqua dal costato trafitto di Gesù (Gv<br />

19,34), cui l’autore del quarto Vangelo<br />

dà tanta rilevanza, è da lui stesso<br />

interpretato alla luce dell’At nei vv. 36-<br />

37. oltre a due citazioni esplicite, tali<br />

versetti contengono diverse allusioni all’At. Il presente contributo<br />

intende raccogliere le evocazioni anticotestamentarie di maggior rilievo<br />

contenute in questo testo, per valutarne l’eventuale presenza<br />

nell’intenzione dell’autore e mostrarne la ricchezza emergente per<br />

l’esegesi.<br />

L’interesse del presente studio dipende dalla difficoltà d’interpretare<br />

l’evento descritto in gv 19,34, mentre l’evangelista ne rimarca<br />

l’assoluta importanza. 1 Una nuova via all’interpretazione di questo<br />

1 a conferma di tale difficoltà, basti citare i. de la Potterie, Studi di Cristologia<br />

Giovannea (Dabar. Studi biblici e giudaistici), Torino 2 1986, 172: «come sono<br />

interpretati il sangue e l’acqua dai commentatori contemporanei? Bisogna riconoscerlo:<br />

confrontato con la rigogliosità delle interpretazioni antiche, il bilancio<br />

è qui piuttosto deludente, almeno per quanto riguarda il sangue. Si ha l’impressione<br />

di un certo smarrimento tra gli esegeti».<br />

sacra scrittura<br />

«E suBito uscì<br />

sanguE E acqua»<br />

(gV 19,34): una<br />

concEntrazionE<br />

di allusioni all’at<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

197<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 197 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

198<br />

scrittura<br />

testo non può essere aperta senza riferirsi all’At, che è la via stessa<br />

additata dall’evangelista, il quale, per indicare il senso profondo<br />

dell’evento, impiega il metodo a lui più congeniale: il ricorso alla<br />

scrittura. Il nostro studio si basa sulla convinzione che il nt rimane<br />

spesso un enigma senza una conoscenza approfondita dello sfondo<br />

costituito dall’intera tradizione testuale dell’At e dell’At in quanto<br />

interpretato dalla liturgia e dalla tradizione orale ebraica. 2<br />

Il presente contributo, inoltre, ha un intento metodologico più generale,<br />

giacché è volto ad approfondire il modo in cui l’autore del<br />

quarto Vangelo allude volentieri all’At, anche quando non lo cita in<br />

modo esplicito. Di fronte ad alcuni testi giovannei, ogni lettore ha<br />

potuto avvertire talvolta un senso di «vertigine». Ciò si deve, oltre<br />

che alla profondità teologica dell’autore, anche allo spazio d’interpretazione<br />

che egli apre, concentrando in minimi dettagli ricche evocazioni<br />

dell’At.<br />

1. il costato di gesù,<br />

centro focale di gv 19,31-37,<br />

e l’adempimento<br />

della scrittura<br />

Per quanto<br />

concerne<br />

l’andamento<br />

di gv 19,31-37,<br />

va notato anzitutto<br />

che il v. 31 costitui-<br />

sce l’introduzione<br />

di tutta la pericope: si tratta della richiesta dei giudei che è il motore<br />

propulsore dell’azione. Considerando le indicazioni di tempo<br />

e i soggetti delle azioni (Giudei – soldati – uno dei soldati) si nota<br />

una certa progressione dal generale al particolare, come se l’evangelista<br />

stesse mettendo sempre più a fuoco gli eventi e i personaggi<br />

intorno al corpo esanime di gesù, e in particolare al suo costato,<br />

2 il presente articolo si poggia sull’indubitabile (ma purtroppo non ovvia)<br />

considerazione che solo su tale sfondo, la figura e il senso del nT possano<br />

emergere in tutta la loro ricchezza. La Bibbia ereditata dagli autori del nT, lungi<br />

dall’essere un testo «nudo», era già una Bibbia interpretata dalla tradizione<br />

orale e dalla liturgia: si veda in proposito F.G. voltaGGio, La oración de los<br />

padres y las madres de Israel. Investigación en el Targum del Pentateuco. La<br />

antigua tradición judía y los orígines del cristianismo (Biblioteca Midrásica 33),<br />

estella (navarra) 2010, 39-42.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 198 04/02/13 09:39


centro ideale di tutta la scena. tutto tende ai due eventi narrati nei<br />

vv. 33-34. Il primo evento (v. 33) è un’azione che Gesù non subisce:<br />

«non gli spezzarono le gambe». L’importanza del secondo evento è<br />

evidenziata, nel v. 35, dall’intervento solenne del testimone oculare,<br />

cui si aggiunge la finalità della testimonianza: suscitare la fede dei<br />

lettori/ascoltatori. Nei vv. 36-37 si dà la finalità dei due eventi narrati:<br />

il compimento di due passi scritturistici. La prima citazione (v.<br />

36) pare connessa al primo evento (v. 33), cioè al fatto che a Gesù<br />

non furono spezzate le gambe. La seconda citazione (v. 37) è da<br />

collegare piuttosto all’evento del v. 34, la trafittura del costato di<br />

gesù. tutto il brano è incentrato sull’adempimento della scrittura. 3<br />

Persino nel descrivere l’ordine eseguito dai soldati, l’evangelista<br />

fa convergere tutta l’attenzione su gesù, anche a scapito della successione<br />

logica delle operazioni: 4 Gesù è riservato per la fine (v. 33),<br />

pur stando nel mezzo. sembra qui di vedere compiuto quanto l’evangelista<br />

ha messo in bocca a gesù in 12,32: «E io, quando sarò<br />

innalzato da terra, attirerò tutti a me». tramite tale focalizzazione,<br />

l’autore rileva il fatto straordinario del non avvenuto crurifragium<br />

per gesù. Questo primo evento è da lui interpretato con la citazione<br />

del v. 36, che si riferisce anzitutto all’agnello pasquale. Anche l’insistenza<br />

sulla Parasceve, di per sé superflua (già in 19,14 si era notato<br />

il particolare del giorno e dell’ora) e perciò voluta, sembra alludere<br />

al fatto che proprio in quella sera, al tramonto del sole, si dava inizio<br />

all’immolazione degli agnelli pasquali nel tempio. 5<br />

3 il fatto è tanto più rilevante quanto più si considerano le divergenze dai sinottici.<br />

Dopo la morte di Gesù, l’attenzione di Marco si rivolge allo squarcio del<br />

velo del tempio e alla professione di fede del centurione (Mc 15,38-39); Matteo<br />

inserisce tra questi due eventi lo sconvolgimento della natura (Mt 27,51-54);<br />

Luca focalizza la sua attenzione sull’affermazione del centurione e alla reazione<br />

degli astanti (Lc 23,47-49). Giovanni si sofferma invece su due eventi originali,<br />

spiegati con due citazioni dalla Scrittura. Questi eventi sono originati dalla preoccupazione<br />

dei Giudei, rispettata da pilato, di rimuovere i cadaveri dei giustiziati<br />

prima del tramonto, secondo quanto prescrive la Torah (Dt 21,22-23). Tale<br />

preoccupazione doveva essere particolarmente pressante in prossimità della<br />

solennità. ciò spiega la richiesta a pilato dell’applicazione del crurifragium,<br />

per accelerare la morte dei crocifissi e la loro deposizione. il rispetto di tale<br />

prescrizione ai tempi di Gesù è confermato da Giuseppe flavio, Bell 4,317;<br />

filone, Flacc 1,83; 11Q19 LXiv,6-13.<br />

4 così nota r. FaBris, Giovanni (commenti Biblici), roma 1992, 986.<br />

5 Si veda J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù. Ricerche di storia<br />

economica e sociale per il periodo neotestamentario, roma 1989, 132-133.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

199<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 199 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

200<br />

scrittura<br />

Che tutta la pericope sia incentrata al compimento della scrittura<br />

è confermato anche dal contesto precedente. già in 19,24 l’evangelista<br />

nota l’adempimento di un passo della scrittura, dando rilevanza<br />

all’evento. In 19,28 è gesù stesso che interviene proprio per adempiere<br />

la Scrittura; ma non ci si ferma qui. Giovanni pone l’accento<br />

sul fatto che Gesù muore dicendo: «È compiuto» (v. 30). Benché<br />

quest’espressione possa avere un significato più ampio, vi è qui un<br />

chiaro riferimento al compimento delle scritture. Ciò dimostra che<br />

anche la nostra pericope, che costituisce il climax della narrazione<br />

della passione, sia tutta incentrata sull’adempimento dell’At.<br />

2. Brevi note esegetiche al<br />

v. 34, akmè della pericope<br />

19,31-37<br />

del v. 34 è<br />

L’importanza<br />

rimarcata<br />

dall’eccezionale «intrusione»dell’evangelista<br />

e testimone<br />

oculare nel v. 35. 6<br />

Quest’ultimo versetto, tipicamente giovanneo, è ridondante e ben costruito,<br />

per ridestare l’attenzione del lettore all’evento straordinario;<br />

come nota s. Lyonnet, l’insistenza dell’autore indica che il fatto è<br />

ricco di significato e che egli vuole comunicare questo significato ai<br />

lettori. 7 La paratassi accentua la sottolineatura dell’affermazione. Il<br />

versetto raccoglie in sintesi termini chiave di tutto il vangelo: la visione<br />

(o` e`wrakw,j), 8 la testimonianza (memartu,rhken, h` marturi,a), la<br />

verità di quest’ultima (avlhqh/, avlhqinh,), la finalità della fede (i[na kai.<br />

u`mei/j pisteu,ÎsÐhte, che peraltro è la finalità dell’intero vangelo: cf.<br />

6 cf a. CarmiNati, È venuto nell’acqua e nel sangue. Riflessione biblico-patristica,<br />

Bologna 1979, 19; i. de la Potterie, «Le symbolisme du sang et de l’eau en<br />

Jn 19,34», Did 14(1984), 213.<br />

7 cf s. lyoNNet, «il sangue nella trafittura di Gesù: Gv 19,31ss», in F. vattioNi<br />

(ed.), Atti della settimana Sangue e antropologia biblica (Roma, 10-15 marzo<br />

1980), roma 1981, 740.<br />

8 così nota s. CiPriaNi, «il sangue di cristo in S. Giovanni», in F. vattioNi<br />

(ed.), Atti della settimana Sangue e antropologia biblica (Roma, 10-15 marzo<br />

1980), roma 1981, 728: «L’episodio per l’autore è altamente significativo, se<br />

egli sente il bisogno di aggiungere, per dare maggiore credibilità all’accaduto,<br />

la testimonianza di chi tutto ha visto con i propri occhi».<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 200 04/02/13 09:39


20,31).. Ciò induce a pensare che gv 19,34 costituisca l’akmè della<br />

pericope e che la visione del costato trafitto e la testimonianza a essa<br />

relativa siano un punto culminante di tutto il suo vangelo. 9<br />

Lo stupore dell’evangelista traspare dall’uso dell’avverbio di<br />

tempo euvqu,j («subito») sebbene Giovanni non mostri una predilezione<br />

particolare per quest’avverbio (a differenza di Marco, che lo<br />

utilizza ben 41 volte), le rimanenti due volte che lo utilizza lo fa in<br />

momenti decisivi del vangelo, in connessione con la glorificazione<br />

di Gesù (cf. Gv 13,30.32).<br />

Il verbo e;nuxen significa propriamente «punse», ma, unito al seguente<br />

evxh/lqen, ha certamente il significato di «trafiggere». Il termine<br />

pleura, ha il significato generale di «lato» o «fianco» (nella<br />

LXX, in Es 27,7 è riferito al «lato» dell’altare, in 1Re 6,8.15 e in Ez<br />

41,5-9 al «lato» del tempio), ma può avere quello più specifico di<br />

«costato» o «costola» (come in Gn 2,21-22[LXX]). Questo termine<br />

ricorre per ben tre volte nei racconti della risurrezione (20,20.25.27).<br />

Per quanto riguarda il sintagma «sangue e acqua» (ai-ma kai.<br />

u[dwr) notiamo per ora che questo è l’unico caso nel quarto Vangelo<br />

dove i due termini compaiono così uniti. Un approfondimento dei<br />

due vocaboli secondo l’uso che se ne fa in giovanni, è oggetto delle<br />

seguenti pagine. Basti qui accennare al fatto che, pur costituendo<br />

sangue e acqua una realtà unitaria, l’accento sembra cadere sul secondo<br />

elemento. Ciò che suscita la sorpresa di chi vede (v. 35) non<br />

è tanto il sangue (è pressoché normale che questo fuoriuscisse), ma<br />

l’acqua e l’acqua unita al sangue. 10<br />

9 per questa ragione, è veramente arduo condividere l’opinione di r. Bultmann,<br />

per cui il v. 34 sarebbe un’aggiunta redazionale, in quanto si riscontrerebbe<br />

in esso un’assenza di temi tipicamente giovannei. concordiamo invece<br />

con l’affermazione di s. CiPriaNi, «il sangue di cristo», 728: «Direi che s. Giovanni<br />

vi è tutto, con la sua ricchezza di simbolismo e con gli evidenti rimandi<br />

a se stesso».<br />

10 cf s. CiPriaNi, «il sangue di cristo», 728.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

201<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 201 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

202<br />

scrittura<br />

3. il riferimento all’at nel<br />

Vangelo di giovanni<br />

gli autori del<br />

nt erano<br />

compenetrati<br />

di At, sia per un motivo<br />

culturale e liturgico,<br />

ovvero a causa<br />

del loro essere ebrei, sia soprattutto per la loro convinzione teologica<br />

dell’adempimento di tutte le scritture d’Israele in gesù Cristo. 11<br />

Il dato inconfutabile che gli autori del nt fossero «imbevuti»<br />

delle Scritture aiuta a capire perché essi si riferiscano spesso all’AT<br />

non con una rigorosa fedeltà al testo, ma volendo coglierne il suo<br />

senso pieno (a tale proposito, non va dimenticato che gli autori del<br />

nt avevano a disposizione una traduzione testuale ampia). 12<br />

se è necessario approfondire la conoscenza dello sfondo del nt<br />

nella sua ampiezza (letteratura rabbinica, scritti apocrifi, rotoli del<br />

mar morto, sfondo ellenistico, ecc.), non va dimenticato che in primo<br />

luogo «bisogna intensificare il retroterra culturale del Vangelo, che è<br />

innanzitutto l’AT nell’efflorescenza della galassia del giudaismo, in<br />

tutte le sue espressioni». 13 Ciò non va dato mai per scontato. 14<br />

si lamenta che oggi qualche studioso possa asserire che, sebbene<br />

fonti del quarto Vangelo siano il tm e la LXX, l’autore stesso rimanga<br />

indifferente a esse. 15 In realtà, il rapporto del Vangelo di giovanni<br />

con l’AT appare notevole: benché, infatti, siano solo diciotto<br />

le citazioni giovannee esplicite dell’At, il modo di citare indica un<br />

11 per tale ragione, è impossibile non fare i conti con das Judische am Christentum,<br />

cf r. PeNNa, «appunti sul come e perché il nuovo Testamento si rapporta<br />

all’antico», Bib 81(2000) 102-104, dove si trova un’ottima sintesi del<br />

tema.<br />

12 per queste ragioni, s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico<br />

(Lezioni tenute dall’autore alla VII Settimana Biblica del Clero, Napoli, luglio<br />

1968), Brescia 1972, 16, insiste sul fatto che «il nuovo Testamento è spesso un<br />

enigma per chi non si riferisca all’antico».<br />

13 m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento del vangelo Giovanneo»,<br />

in l. Padovese (ed.), Atti del IV Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo (Turchia:<br />

la chiesa e la sua storia 6), roma 1994, 39.<br />

14 J. duNCaN m. derrett, The Victim: the Johannine <strong>Passio</strong>n Narrative Reexamined,<br />

Shipston-on-Stour 1993, 4, ha affermato: «Yet a general indifference<br />

to Old-Testament themes prevails, and has been made almost into a creation of<br />

“correctness”. The problem known as “The Old Testament in the new” remains<br />

meanwhile».<br />

15 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 4.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 202 04/02/13 09:39


apporto strettissimo con l’At, come vedremo. 16 Per dare solo un<br />

esempio, alcuni esegeti continuano a indicare il grande ruolo giocato<br />

dal libro del profeta Zaccaria nella narrazione della passione e, più<br />

in generale, in tutto il Vangelo di giovanni. 17<br />

Riguardo alla forma concreta delle citazioni esplicite, è interessante<br />

notare che, mentre nella prima parte del Vangelo esse sono<br />

introdotte con la formula tradizionale «sta scritto» o «dice», da gv<br />

12,38 in poi si ha prevalentemente la formula di citazione più solenne<br />

«affinché si compisse». Ciò conferma l’interesse, già da noi rilevato,<br />

che l’autore dà al compimento delle Scritture: la fine di Gesù<br />

è, per lui, essenzialmente un compimento.<br />

Bisogna evitare il pericolo di limitare l’uso giovanneo delle scritture<br />

alla citazione esplicita. Al contrario, noi vorremmo qui focalizzare<br />

l’attenzione sull’ingente numero riferimenti impliciti e allusioni.<br />

Il Vangelo di Giovanni allude spesso a figure, personaggi,<br />

eventi e istituzioni dell’At.<br />

Riguardo alla forma del testo citato, si trova l’intera gamma delle<br />

possibilità: il testo può riferirsi alla versione greca della LXX, al<br />

testo ebraico, al Targum, alla forma testuale attestata nei rotoli del<br />

mar morto. tra queste possibilità, un riferimento prioritario è da<br />

attribuire «alla tradizione testuale manifestantesi nelle due versioni<br />

più importanti, quella aramaica dei Targumim e quella greca dei<br />

LXX». 18<br />

Per alcuni, ciò che rende stupefacente l’impiego delle scritture da<br />

parte dell’autore del quarto Vangelo non è tanto la quantità dei riferimenti,<br />

ma la loro caratteristica inconfondibile: talvolta, come nota<br />

16 cf m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 31; ma s. Grasso, Il<br />

Vangelo di Giovanni. Commento esegetico e teologico, roma 2008, 839, ne<br />

conta quattordici; cf anche m. mazzeo, Vangelo e lettere di Giovanni. Introduzione,<br />

esegesi e teologia, Milano 2007, 34. per un’analisi approfondita delle<br />

citazioni scritturistiche in Gv, si veda G. reim, Studien zum alttestamentlichen<br />

Hintergrund des Johannesevangeliums (MSSnTS 22), cambridge 1974; e.d.<br />

Freed, Old Testament Quotations in the Gospel of John (nT.S 11), Leiden 1965;<br />

circa le citazioni esplicite, cf. B.G. sCHuCHard, Scripture Within Scripture. The<br />

Interrelationship of Form and Function in the Explicit Old Testament Citations in<br />

the Gospel of John (SBL.DS 133), atlanta 1992.<br />

17 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 137; F.F. BruCe, «The Book of<br />

Zechariah and the passion narrative», BJRL 43(1961), 336-353; F. maNNs,<br />

«Zacharie 12,10 relu en Jean 19,37», SBFLA 56(2006), 309.<br />

18 m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 30.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

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scrittura<br />

nobile, «la citazione non ha un riferimento univoco, tanto che si<br />

può parlare, come dice il Cothenet, di “citation confluente”». 19 Egli<br />

porta come esempio la citazione in gv 6,31, che può riferirsi a Es<br />

16,4.15, ma anche a Sal 78,24 o a Ne 9,15; ma ancora più sorprendente<br />

è la citazione presente in 7,38, di fondamentale importanza per<br />

noi, perché molto legata al nostro testo: tale citazione si riferisce, a<br />

suo parere, a una conflazione scritturistica formatasi intorno al tema<br />

dell’acqua zampillante nel deserto, così com’è stato sviluppato nelle<br />

tradizioni targumiche a Es 15,22.25, a Es 15,27 e Nm 33,9 e a Es<br />

17,2-6 e nm 20,1ss, in connessione con il racconto dell’acqua sgorgante<br />

dal tempio di Ez 47,1-12. non sembra perciò esagerato asserire<br />

che talvolta le citazioni giovannee siano legate a conflazioni<br />

scritturistiche, già note forse nella tradizione ebraica: in conclusione,<br />

l’autore del quarto Vangelo è abile nel creare delle concentrazioni di<br />

allusioni all’At. 20<br />

4. il sottofondo anticotestamentario<br />

di gv 19,34:<br />

le due citazioni esplicite 20<br />

Le due citazioni<br />

dell’At costituiscono<br />

la<br />

chiave indispensabile<br />

per comprendere ciò<br />

che l’autore vuole indicare<br />

nell’evento del<br />

fiotto di sangue e acqua dal costato di Gesù. L’insistenza sull’importanza<br />

dell’evento, espressa nel v. 35, prepara la comunicazione del<br />

suo significato. Come avviene tale comunicazione? D’importanza<br />

fondamentale è per noi il fatto che, per introdurre il suo lettore nel<br />

mistero dell’evento eccezionale del v. 34, giovanni rimanda il lettore<br />

all’At. 21<br />

La prima citazione «Non gli sarà spezzato alcun osso» (v. 36:<br />

VOstou/n ouv suntribh,setai auvtou/) spiega anzitutto la ragione dell’i-<br />

19 m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 31.<br />

20 Una dettagliata esposizione dei problemi principali riguardanti le forme<br />

testuali delle due citazioni e delle soluzioni degli esegeti in proposito, si troverà<br />

in m.J.J. meNkeN, Old Testament Quotations in the Fourth Gospel. Studies in<br />

Textual Form (cBeT 15), Kampen 1996, 147-185.<br />

21 cf s. lyoNNet, «il sangue nella trafittura di Gesù», 740.<br />

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nadempienza del crurifragium per gesù. L’inadempienza dei soldati<br />

non si deve, per l’evangelista, alla mera constatazione che gesù<br />

fosse già morto (v. 33). Egli vede più in profondità: in questa inadempienza<br />

scorge un adempimento della scrittura. La citazione è introdotta<br />

in modo solenne: «Questo, infatti, avvenne perché si adempisse<br />

la Scrittura» (evge,neto ga.r tau/ta i[na h` grafh. plhrwqh/|).<br />

È difficile stabilire con esattezza da dove provenga la citazione<br />

seguente: gli studiosi oscillano tra due riferimenti principali. Il<br />

primo possibile riferimento è Es 12,10.46(LXX), dove è descritto<br />

il rituale dell’agnello pasquale. In entrambi i versetti, si legge: kai.<br />

ovstou/n ouv suntri,yete avpV auvtou/ («e non gli spezzerete alcun osso»)<br />

una traduzione abbastanza fedele a Es 12,46 del TM. La difficoltà<br />

viene dal fatto che il verbo, nella LXX, è all’attivo e alla seconda<br />

persona plurale, mentre nella citazione giovannea si trova al passivo<br />

e alla terza persona singolare. Anche in nm 9,12 il verbo è all’attivo.<br />

Il futuro passivo ricorre invece nel Sal 34(33),21(LXX): ku,rioj<br />

fula,ssei pa,nta ta. ovsta/ auvtw/n e]n evx auvtw/n ouv suntribh,setai. Il<br />

salmo si riferisce alla sorte del giusto. sebbene tale allusione, come<br />

vedremo tra breve, non sia da trascurare, 22 il riferimento principale<br />

è all’agnello pasquale. Ciò è confermato dalla cornice pasquale in<br />

cui l’autore del quarto Vangelo colloca la morte di gesù. 23 L’autore,<br />

infatti, insiste a più riprese (vv. 31.42) sul fatto che si era nel giorno<br />

della Parasceve, poco prima del tramonto del sole, tempo in cui si<br />

dava inizio al rito dell’immolazione degli agnelli nel tempio.<br />

Un altro riferimento a vantaggio di questa ipotesi è il dettaglio<br />

dell’issopo (19,29), 24 pianta che si usava proprio per l’aspersione del<br />

sangue dell’agnello, secondo quanto narrato in Es 12,21ss. 25 L’evangelista<br />

ha quindi davanti in primo luogo Es 12,46. Va notato però<br />

22 16 r. BultmaNN, Das Evangelium des Johannes, Göttingen 1959, 524, ritiene<br />

che nella citazione Gv ricorra sì al Sal 34, ma alludendo volutamente a<br />

es 12,46.<br />

23 cf r. FaBris, Giovanni, 990; s. lyoNNet, «il sangue nella trafittura di Gesù»,<br />

741.<br />

24 cf J.P. Heil, Blood and Water. The Death and Resurrection of Jesus in John<br />

18-21 (cBQMS 27), Washington 1995, 107.<br />

25 cf J. mateos – J. Barreto, Il Vangelo di Giovanni. Analisi linguistica e<br />

commento esegetico, assisi 1982, 772; a.m. luPo, La sete, l’acqua, lo spirito.<br />

Studio esegetico e teologico sulla connessione dei termini negli scritti giovannei<br />

(anGreg 289), roma 2003, 240.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

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scrittura<br />

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Francesco Voltaggio<br />

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maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

206<br />

scrittura<br />

che, quando un autore del nt si riferisce a un evento dell’At, vuole<br />

sempre rifarsi a tutto il contesto dell’episodio come avente valore figurativo.<br />

26 Così facciamo nostra l’affermazione di s. Lyonnet: «giovanni<br />

fa ricorso precisamente ad una circostanza secondaria dell’agnello<br />

ebraico per provare che gesù è il vero Agnello Pasquale». 27<br />

Degno di nota è che, nel rito dell’agnello pasquale come descritto<br />

in Es 12, il gesto principale non era quello della manducazione, ma<br />

quello dell’effusione del sangue, con cui si dovevano tingere gli stipiti<br />

per allontanare lo sterminio e fare sì che Dio passasse oltre. 28<br />

Il sangue dell’agnello consacra così le case degli Ebrei. tutto ciò<br />

permette di entrare più in profondità nel senso dell’evento descritto<br />

nel v. 34: il sangue di Cristo consacra l’umanità così come il sangue<br />

dell’agnello consacrò le dimore degli Israeliti.<br />

J.P. Heil nota che l’uccisione dell’agnello pasquale era interpretata<br />

come un sacrificio, poiché in Es 12,21.27(LXX) si usano i termini<br />

qu,sate-qusi,a. 29 L’autore del quarto Vangelo vuole così esprimere<br />

l’idea che la morte di gesù come agnello pasquale non salva<br />

solo dallo sterminio, ma toglie anche il peccato del mondo. già<br />

dall’inizio del Vangelo, infatti, l’autore aveva messo in bocca a giovanni<br />

il Battista: «Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato<br />

del mondo!» (Gv 1,29). Quest’affermazione prepara Gv 19,33.36. 30<br />

Così gesù è presentato qui come il nuovo e perfetto agnello pasquale,<br />

immolato per la liberazione dalla schiavitù del peccato e per la salvezza<br />

del mondo. D’altra parte, il fatto che la forma del verbo contenuto<br />

nella citazione sia letteralmente uguale a quella contenuta in sal<br />

34(33),21(LXX) può far pensare che l’autore abbia in mente anche<br />

26 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95, accosta tale<br />

intenzione a quella dei padri della chiesa.<br />

27 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95; si veda anche<br />

m. miGueNs, «“Salió sangre y agua” (Jn 19,34)», SBFLA 14(1963-64), 5-31;<br />

J.m. Ford, «“Mingled Blood” from the Side of christ (John xix.34)», NTS<br />

15/3(1969), 337-338; H.C. WaetJeN, The Gospel of the Beloved Disciple. A<br />

Work in Two Editions, London 2005, 405-406.<br />

28 cf F. maNNs, L’Évangile de Jean à la lumière du Judaïsme (SBfa 33) Jerusalem<br />

1991, 424.<br />

29 cf J. P. Heil, Blood and Water, 107.<br />

30 J. P. Heil, Blood and Water, 106, sostiene un affascinante collegamento<br />

tra la nostra pericope (sangue dell’agnello – acqua che è lo Spirito) e Gv 1<br />

(agnello che toglie/porta il peccato del mondo – battesimo di acqua e battesimo<br />

in Spirito)<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 206 04/02/13 09:39


il giusto in esso menzionato. A ciò va aggiunto che più della metà<br />

delle citazioni esplicite fatte dall’autore del quarto Vangelo sono<br />

tratte proprio dai salmi. Come tenteremo di mostrare nelle pagine<br />

seguenti, i due riferimenti all’agnello pasquale e al giusto potevano<br />

essere già uniti nella tradizione e quindi non si escludono a vicenda.<br />

L’origine della seconda citazione «Volgeranno lo sguardo a colui<br />

che hanno trafitto» (v. 37: :Oyontai eivj o]n evxeke,nthsan), che l’evangelista<br />

impiega per spiegare l’evento descritto nel v. 34, è meno difficile<br />

da individuare. Si tratta senza dubbio di Zc 12,10. Sembra più<br />

arduo, invece, determinare quale forma testuale egli abbia scelto. 31<br />

Il TM ha: «Guarderanno a me, colui che hanno trafitto» (Wrq›D›-rv,a] tae<br />

yl;ae WjyBihiw>). La LXX traduce così: «guarderanno verso me, colui per il<br />

quale hanno danzato» o «colui che hanno ingiuriato» (evpible,yontai<br />

pro,j me avnqV w-n katwrch,santo). tale traduzione è spiegabile con<br />

la confusione nella grafia tra il verbo rqd («colpire, trafiggere») e<br />

dqr («danzare», «ingiuriare»); è possibile che per alcuni scribi fosse<br />

ripugnabile l’idea di un «Dio trafitto» e abbiano voluto così «targumizzare»<br />

l’espressione. solo la versione di simmaco, traducendo<br />

evpexeke,nthsan, è simile a gv 19,37. La traduzione dell’evangelista<br />

era comunque nota: Ap 1,7 usa la stessa forma evxeke,nthsanÅ Il verbo<br />

evkkente,w è sempre usato nella LXX per esprimere una trafittura di<br />

lancia o di spada. L’evangelista ha scelto questo verbo per applicare<br />

il testo di Zc 12,10 a Gesù trafitto. Secondo la consueta tecnica di<br />

citazione, l’autore richiama tutto il contesto immediato di Zc 12 e<br />

non solo la frase citata. 32<br />

Alcuni vanno oltre e pensano che lo sfondo da considerare sia Zc<br />

12-14, che rappresenterebbe un blocco fondamentale per la costruzione<br />

di tutto il testo. 33 Certo è che, come notato sopra, l’autore del<br />

31 per un’analisi della tradizione testuale di Zc 12,10 nelle varie versioni<br />

e delle sue interpretazioni nella tradizione ebraica antica, si veda F. maNNs,<br />

«Zacharie 12,10», 302-307.<br />

32 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 95, sulla base di tale<br />

convinzione sviluppa la sua esegesi di questo passo.<br />

33 d.J. moo, The Old Testament in the Gospel <strong>Passio</strong>n Narratives, Sheffield<br />

1983, 218, usa l’espressione «building block». per F. maNNs, L’Évangile de<br />

Jean, 424, e per J. duNCaN m. derrett, The Victim, 137, il contesto da considerare<br />

è Zc 12-13.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

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scrittura<br />

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sacra<br />

208<br />

scrittura<br />

quarto Vangelo mostra una predilezione per Zaccaria 34 e in particolare<br />

per i cc. 12-14. Ad ogni modo, la tesi che l’evangelista abbia citato<br />

questo testo per riferirsi anche a tutto il suo contesto immediato<br />

è facilmente dimostrabile. In Zc 12, in un contesto escatologico, si<br />

parla della morte di un personaggio misterioso, per cui si farà lutto e<br />

come un figlio unico, come un primogenito (Zc 12,10[LXX] traduce<br />

w`j evpV avgaphto.n…w`j evpi. prwtoto,kw|, che contiene due titoli che<br />

diverranno titoli cristologici). Questo giorno d’angoscia e terrore<br />

(12,2.4), di lamento e grande lutto (su cui s’insiste in modo particolare<br />

in 12,11-14), sarà lo stesso giorno in cui Dio riverserà sulla<br />

casa di Davide e sugli abitanti di gerusalemme «uno spirito di grazia<br />

e di consolazione» (12,10). Di tale giorno si continua a parlare nei<br />

cc. 13-14 e fin da Zc 13,1 si annuncia che proprio in quel giorno di<br />

catastrofe avverrà qualcosa di stupendo: «Vi sarà una sorgente zampillante<br />

per lavare il peccato e l’impurità» (Zc 13,1; la LXX traduce<br />

«luogo» invece di «sorgente»). Sulla possibile allusione a Zc 13-14<br />

torneremo più avanti.<br />

Vari esegeti<br />

sono convinti<br />

che il<br />

rimando all’At del<br />

nostro testo non si fermi alle due citazioni esplicite. 35 5. le possibili allusioni all’at<br />

Intraprendendo<br />

ora un cammino difficile, si passeranno in rassegna le possibili allusioni,<br />

valutandone la plausibilità. Poiché la rilevanza dell’evento<br />

della fuoriuscita di sangue e acqua è massima per l’evangelista e<br />

sopravanza il fenomeno contingente, non c’è da meravigliarsi se egli<br />

voglia accumulare molti rimandi biblici nell’uso di pochi termini. Le<br />

allusioni seguenti non sono elencate in conformità a un criterio particolare:<br />

talvolta esse riguardano più il sangue, talvolta più l’acqua,<br />

spesso entrambi; in non pochi casi, le stesse allusioni possono mo-<br />

34 È interessante notare che il libro che cita e allude maggiormente al profeta<br />

Zaccaria è l’apocalisse (forse nel circolo giovanneo era un libro di profezia<br />

molto meditato, perché molto «messianico»?).<br />

35 cf in proposito J. duNCaN m. derrett, The Victim, 8; r.e. BroWN, La morte<br />

del Messia. Dal Getsemani al Sepolcro. Un commentario ai racconti della passione<br />

nei quattro vangeli (BTcon 108), Brescia 1999, 1334.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 208 04/02/13 09:39


strare un legame tra loro. Per questa ragione, intendiamo fornire in<br />

questo capitolo solo una carrellata in ordine sparso delle possibili<br />

allusioni, raccogliendole alla fine in una sintesi più organica.<br />

L’acqua dalla roccia e la festa di Sukkot<br />

Una delle allusioni bibliche più indicate dagli esegeti in gv 19,34<br />

è quella della roccia sgorgante acqua nel deserto. Ciò proviene dal<br />

collegamento tra gv 19,34 e gv 7,37-39. La solenne affermazione<br />

di gesù contenuta in questi ultimi versetti è collocata nel «grande<br />

giorno» della festa (VEn de. th/| evsca,th| h`me,ra| th/| mega,lh| th/j e`orth/j);<br />

anche in Gv 19,31-37 siamo in una festa e nel «grande giorno» (v.<br />

31: h=n ga.r mega,lh h` h`me,ra). In 7,37-39 gesù stesso, in una cornice<br />

solenne (il grande giorno della festa di Sukkot) e in modo solenne<br />

(levatosi in piedi e a gran voce, v. 37), cita la Scrittura: potamoi. evk<br />

th/j koili,aj auvtou/ r`eu,sousin u[datoj zw/ntoj. sebbene sia controversa<br />

la questione se il pronome auvtou/ si riferisca al credente o a<br />

Gesù e sia difficile stabilire esattamente da dove sia tratta questa<br />

citazione, 36 i legami con il nostro testo gv 19,31-37 sono innegabili.<br />

La citazione presente in gv 7,38 è da molti collegata all’evento della<br />

fuoriuscita di acqua dalla roccia nel deserto (Es 17,1-7; Nm 20,1-<br />

13). 37 Per alcuni, il riferimento a quell’evento è operato attraverso il<br />

collegamento diretto con Sal 78,15-16.20, dove nella versione greca<br />

si usa lo stesso verbo che in gv 7,38 per lo «scorrere» dell’acqua<br />

(anche in Is 48,21).<br />

tutto ciò sarebbe confermato dalla cornice in cui l’evangelista<br />

colloca l’affermazione di gesù: la festa di Sukkot, che si protraeva<br />

per sette giorni, era un memoriale del miracolo dell’acqua nel deserto<br />

38 e comportava libagioni d’acqua 39 e preghiere per la pioggia;<br />

36 Si segnalano come possibili fonti is 12,3; 43,20; 44,3; 55,1; 58,11; ez<br />

1-12; Gl 3,1; 4,18; Zc 13,1; 14,8.<br />

37 Questo è il riferimento più probabile per s. CiPriaNi, «il Sangue di cristo»,<br />

729-30.<br />

38 cf s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 103.<br />

39 cf J. Jeremias, Gerusalemme al tempo di Gesù, 405; si veda anche p.<br />

259, nota 106. Durante la festa di Sukkot, il sommo sacerdote faceva libagioni<br />

d’acqua e di vino in due fori sotto l’altare, che comunicavano con le acque<br />

dell’abisso, come rito di propiziazione per la pioggia; questo sottofondo non<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

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scrittura<br />

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scrittura<br />

la festa era accompagnata dalle letture profetiche riguardanti la sorgente<br />

escatologica che avrebbe rigenerato sion. non va dimenticato<br />

che, fra tali letture, il profeta Zaccaria, che annuncia tale sorgente<br />

zampillante per gli abitanti di Gerusalemme (Zc 13,1) e le acque<br />

vive sgorganti da Gerusalemme (14,8), doveva avere un’importanza<br />

notevole, giacché esso termina proprio con la menzione della celebrazione<br />

della festa di Sukkot (Zc 14,16-19).<br />

Il collegamento tra gesù e la roccia sgorgante nel deserto era già<br />

stato fatto, prima della stesura del Vangelo, da Paolo in 1Cor 10,4.<br />

Come sopra accennato, ciò che stupisce il testimone oculare non è<br />

tanto la fuoriuscita di sangue dal corpo di Gesù (che sarebbe stata<br />

del tutto naturale), ma quella dell’acqua, o meglio del sangue unito<br />

all’acqua. L’enfasi è sul secondo elemento. In gv 7,39 si spiega<br />

la citazione dicendo che gesù intendeva fare un collegamento tra<br />

acqua e Spirito, dopo la sua glorificazione, che per l’evangelista<br />

è il momento del suo innalzamento sulla croce. ora, in gv 19,34,<br />

dopo la glorificazione e la resa dello Spirito, menziona nuovamente<br />

quest’acqua.<br />

Come appendice, notiamo che nel Targum Pseudo-Jonathan a<br />

nm 20,11 la roccia del deserto fa uscire prima sangue e poi acqua,<br />

quando mosè la percuote con il bastone due volte. 40 non conosciamo<br />

purtroppo l’antichità della tradizione sottostante a questo testo e sarebbe<br />

perciò audace collegarla direttamente a gv 19,34. 41 Ad ogni<br />

modo, ci sono motivi per collegare gv 19,34 con gv 7,37-39 e forse,<br />

attraverso quest’ultimo, anche con il racconto della roccia colpita<br />

sgorgante acqua nel deserto.<br />

deve essere trascurato, come nota F. maNNs, Le symbole eau-esprit dans le judaïsme<br />

ancien (SBfa 19), Jerusalem 1983, 292.<br />

40 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 36; occorre notare che la tradizione<br />

della fuoriuscita di sangue e acqua dalla roccia poteva essere antica, essendo<br />

basata sull’accostamento dei testi del Sal 78,20 (cf. anche Sal 105,41) e di Lv<br />

15,25. nel primo testo, ove si fa riferimento al miracolo dell’acqua sgorgata<br />

dalla roccia, si usa il verbo bwz, che nel secondo testo del Lv è usato per indicare<br />

il flusso di sangue. Tale accostamento è esplicito in ShemR 3,13.<br />

41 cf F. maNNs, L’Évangile de Jean, 424.<br />

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Il sangue dei sacrifici e il sangue dell’alleanza<br />

Per alcuni, l’evangelista ha dato rilevanza all’evento del v. 34,<br />

in riferimento non solo all’agnello pasquale, ma anche ai sacrifici<br />

dell’At. 42 Vale la pena di sondare la plausibilità di questa seconda<br />

eventuale allusione. Come in molte religioni antiche, anche nell’At,<br />

il sangue è sede della vita; 43 basti citare in proposito Lv 17,11: «La<br />

vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di porlo sull’altare<br />

in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia, in quanto<br />

è la vita (vp,N


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ticolare dei riti di espiazione dello Yom Kippur? 45 Quest’interpretazione<br />

è sicuramente presente nella Lettera agli Ebrei (cf. 9,15-28).<br />

Il sangue non ha tuttavia solo forza espiatrice: esso santifica e<br />

consacra; in Es 29,15-21 il sacerdote e le sue vesti sono consacrati<br />

proprio dal sangue delle vittime sacrificali. È interessante notare<br />

che nel rito di consacrazione di Aronne e dei suoi figli in Es 29, il<br />

primo gesto che essi sono chiamati a fare è il lavaggio con acqua<br />

(v. 4), che li dispone a indossare le vesti. In seguito, queste vesti<br />

saranno asperse dal sangue dell’altare (v. 21). In Lv 16, il sangue<br />

riveste un’importanza essenziale (vv. 14-15), ma si menziona anche<br />

il lavaggio del sacerdote con l’acqua (vv. 23-24). Il collegamento<br />

tra sangue e acqua nei sacrifici dell’AT andrebbe approfondito. Entrambi<br />

erano usati come elementi per l’aspersione, ma qual è la differenza<br />

tra le due aspersioni? Ritorneremo sul tema più avanti, prestando<br />

particolare attenzione a nm 19, dove pare vi sia un legame tra<br />

aspersione del sangue – acqua purificatrice – giovenca rossa.<br />

È impossibile far riferimento ai sacrifici dell’AT, senza considerare<br />

il rapporto essenziale di questi con l’alleanza. È sufficiente<br />

leggere Es 24,5-8 per notare che il rito essenziale nella stipulazione<br />

dell’alleanza è il rito del sangue. 46 In Es 24,6-8 si narra che mosè<br />

fece aspergere l’altare e il popolo con il sangue dei sacrifici di comunione,<br />

proclamando (v. 8): «Ecco il sangue dell’alleanza che il<br />

Signore ha concluso con voi» (~k,M›[i hw»hy> tr;K› rv,a] tyrIB.h;-~d; hNEhi). Così<br />

«il sangue dell’alleanza» unisce Dio e il popolo in comunione di<br />

vita e in un vincolo di sangue quasi parentale. Va constatato che, per<br />

adempiere questo rito, il taglio delle vittime era talmente importante<br />

che, com’è risaputo, in ebraico l’espressione usuale per stringere<br />

un’alleanza è letteralmente «tagliare un’alleanza» (tyrb twrkl). si<br />

potrebbe pensare, pertanto, che il «taglio» del costato di gesù e il<br />

sangue uscito desti l’interesse dell’evangelista anche per un riferimento<br />

all’alleanza.<br />

non c’è dubbio che nei sinottici e in Paolo, il sangue di Cristo<br />

è interpretato come «sangue della nuova alleanza» in stretto riferimento<br />

con la frase di Mosè sopra riportata (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc<br />

45 cf a. CarmiNati, È venuto nell’acqua e nel sangue, 48.<br />

46 s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 71, insiste particolarmente<br />

su questo punto nell’esegesi di Gv 19,31-37.<br />

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22,20; 1Cor 11,25). Giovanni non riporta il racconto dell’istituzione<br />

dell’Eucarestia, ma è senza dubbio al corrente della sua tradizione.<br />

Passando per tale tradizione, è difficile negare che l’evangelista non<br />

stia pensando in gv 19,34 al sangue dell’alleanza. 47 se ciò è vero,<br />

il sangue di Cristo, sangue della nuova alleanza, è effuso dal suo<br />

costato in unione con l’acqua sia per lavare il peccato (sangue del<br />

sacrificio in remissione dei peccati), sia per realizzare una totale riconciliazione<br />

e unione tra Dio e l’uomo (sangue dell’alleanza).<br />

L’acqua della purificazione e l’acqua dei sacrifici<br />

Nell’AT, l’acqua è il mezzo per eccellenza per la purificazione<br />

fisica. Insieme al fuoco, al sangue e all’olio, è impiegato nelle purificazioni<br />

rituali, per cancellare l’impurità. Le viscere delle vittime<br />

sacrificali dovevano essere lavate con acqua (cf. Es 29,17; Lv 1,9.13;<br />

8,21; 9,14).<br />

Per alcuni, l’acqua che esce dal costato trafitto e su cui naturalmente<br />

verte lo stupore dell’evangelista, significa essenzialmente per<br />

l’evangelista una purificazione. 48<br />

In nm 19, l’acqua lustrale si ottiene con le ceneri di una giovenca<br />

rossa, immolata e arsa fuori dall’accampamento (vv. 1-10).<br />

Il rituale dell’immolazione della giovenca è minuzioso. Il sacerdote<br />

Eleazaro deve prendere del sangue dell’animale con il suo dito e<br />

spruzzare con esso la parte anteriore della tenda della riunione (v.<br />

4). Poi deve lavarsi le vesti e il corpo con acqua (vv. 7-8). Le ceneri<br />

della giovenca rossa, preparate con questo rito, servono a cancellare<br />

l’impurità contratta per il contatto con un morto (vv. 11-16). Il<br />

sacrificio, le ceneri della giovenca rossa (per molti il colore vuole<br />

richiamare il sangue) 49 , l’acqua, sono così segni e strumenti di purificazione.<br />

Nel v. 17 si dice che per l’impuro si prenderanno le ceneri<br />

e vi si porrà sopra «acqua viva»; la LXX traduce quest’espressione<br />

47 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 182-183, che vedrebbe un collegamento<br />

anche con Mt 27,24-25. y. simoeNs, Secondo Giovanni. Una traduzione<br />

e un’interpretazione, Bologna 2000, 782, nel commentare il fiotto di sangue in<br />

Gv 19,34, conclude: «Questo sangue è il sangue dell’alleanza».<br />

48 cf J. duNCaN m. derrett, The Victim, 183.<br />

49 in proposito, occorre ricordare l’assonanza, nella lingua ebraica, tra ~da<br />

(«rosso») e ~d («sangue»).<br />

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«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

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con u[dwr zw/n, un sintagma che in questa forma ricorre solo qui e<br />

in Zc 14,8 (altro passo legato a Gv 19,31-37), e che per il Vangelo<br />

di giovanni è di grande importanza. Quest’acqua lustrale è capace<br />

di purificare quanto il fuoco (cf. Nm 31,22-23): possiede in sé una<br />

grande potenza. Il fascino di tale acqua potrebbe essere stato accresciuto,<br />

nell’attento lettore dell’At, dal racconto che segue il testo del<br />

rituale delle acque lustrali: il miracolo dell’acqua che sgorga dalla<br />

roccia nel deserto (Nm 20), di cui abbiamo già trattato. 50<br />

L’agnello e il giusto/servo<br />

Per alcuni autori, il sottofondo anticotestamentario più probabile<br />

per l’interpretazione giovannea degli eventi successivi alla morte di<br />

gesù, è il riferimento al giusto del sal 34. secondo la loro opinione,<br />

la prima citazione presente nella pericope non si riferirebbe tanto al<br />

rito dell’agnello pasquale, ma soprattutto alla figura del giusto perseguitato.<br />

Questo non solo per l’impiego della stessa forma verbale<br />

(futuro passivo) in Gv 19,36 e in Sal 34(33),21(LXX), ma anche<br />

perché quando Giovanni usa il termine «Scrittura» (come in 19,36)<br />

non cita mai un passo della torah e, specialmente durante il racconto<br />

della passione, egli trae le sue citazioni esclusivamente dal libro dei<br />

Salmi e dal profeta Zaccaria. 51 In questo salmo, il giusto è protetto<br />

da Dio, mentre altrove si allude al giudizio divino subito dal pecca-<br />

50 L’importanza del rituale delle ceneri della giovenca rossa è rimarcata<br />

dall’autore della Lettera agli ebrei in 9,13-14: «Se il sangue dei capri e dei<br />

vitelli e la cenere di una giovenca, sparsa su quelli che sono contaminati, li<br />

santificano purificandoli nella carne, quanto più il sangue di cristo – il quale,<br />

mosso dallo Spirito eterno, offrì se stesso senza macchia a Dio – purificherà la<br />

nostra coscienza dalle opere morte, perché serviamo al Dio vivente?». Qui, il<br />

sacrificio (sangue delle vittime) e la cenere della giovenca (collegata strettamente<br />

all’acqua della purificazione) santificano e purificano: il sangue di cristo<br />

è collegato a queste realtà come compimento superiore.<br />

51 m.l. riGato, «Gesù “l’agnello di Dio”, “colui che toglie il peccato del<br />

mondo” (Gv 1,29), nell’immaginario cultuale giovanneo. Secondo Giovanni<br />

Gesù muore il 13 durante il “tamid” del pomeriggio (Gv 18,28; 19,14.31-37)»,<br />

in l. Padovese (ed.), Atti del VII Simposio di Efeso su S. Giovanni Apostolo (Turchia:<br />

la chiesa e la sua storia 13), roma 1999, 110, conclude che «la rilettura<br />

cristologica giovannea di “un osso non sarà spezzato” è in riferimento al giusto<br />

del Sal 34».<br />

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tore, riferendosi alle sue «ossa spezzate» (Sal 51,10). 52 non si può<br />

pertanto negare che giovanni possa alludere anche a sal 34,21. 53<br />

ora, i salmi del giusto sofferente sono spesso associati ai canti del<br />

servo in Isaia. 54 Basti pensare a Is 53,7, dove il giusto sofferente è<br />

paragonato a un «agnello condotto al macello». non è impossibile<br />

dunque che Giovanni voglia alludere a una conflazione di testi o<br />

faccia una «citazione confluente» (molto comune nella Scrittura e<br />

non rara in giovanni), 55 in cui vi è un legame sottostante tra agnello<br />

pasquale – giusto sofferente – Servo di YHWH in Is 53. Si tratta<br />

di un’ipotesi da approfondire. menzioniamo qui solo il fatto che la<br />

tradizione dell’accostamento fra le ossa dell’agnello pasquale menzionate<br />

in Es 12,46 e in nm 9,12 da una parte, e quelle del giusto del<br />

Sal 34,21 dall’altra, può essere molto antica, poiché è presente già<br />

nel Libro dei Giubilei 49,13 dove il precetto di non spezzare alcun<br />

osso dell’agnello pasquale è motivato dal fatto che «nessun osso dei<br />

figli d’Israele fu spezzato» (secondo la versione etiopica).<br />

Altrettanto interessante sarebbe un’indagine su di un’altra<br />

possibile allusione al giusto sofferente in gv 19,34 56 . nel sal<br />

22(21),15(LXX) si legge: w`sei. u[dwr evxecu,qhn («come acqua sono<br />

versato»). ora, se si considera che lo stesso versetto fa riferimento<br />

alle ossa del giusto e soprattutto che tutto il Sal 22(21) è il salmo che<br />

per gli autori del NT si è adempiuto per eccellenza sulla croce (lo<br />

stesso giovanni lo cita poco prima in 19,24), è davvero impossibile<br />

un’allusione almeno inconscia da parte dell’evangelista?<br />

L’agnello e Isacco<br />

Da menzionare è anche il possibile riferimento a Isacco, presentato,<br />

nella tradizione ebraica antica, come agnello e figura del giu-<br />

52 cf G. ravasi, Il Libro dei Salmi. Commento e attualizzazione, 1: Salmi<br />

1-50, 3 voll., Bologna 1981-1984, 624.<br />

53 Questa è l’opinione di r.e. BroWN., Giovanni. Commento al Vangelo spirituale,<br />

assisi 1979, ii, 1192; si veda anche s. Grasso, Il Vangelo di Giovanni,<br />

743.<br />

54 Si veda G. ravasi, Il Libro dei Salmi, i, 625.<br />

55 cf m.J.J. meNkeN, Old Testament Quotations in the Fourth Gospel. 157.<br />

56 Tale allusione è notata da J. duNCaN m. derrett, The Victim, 136<br />

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«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

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sto. 57 In gn 22, Isacco è associato all’agnello per l’olocausto e le versioni<br />

targumiche «giocano» volentieri su questo particolare. nella<br />

tradizione targumica palestinese a gn 22,8.10, Isacco è chiaramente<br />

paragonato a una vittima sacrificale e in particolare a un agnello.<br />

nel Targum a Lv 22,27 il sacrificio quotidiano dell’agnello (Tamid)<br />

è interpretato in relazione alla ‘Aqedah, alla legatura d’Isacco. già<br />

l’autore del Liber Antiquitatum Biblicarum allude alla relazione tra<br />

legatura dell’agnello e legatura d’Isacco, allorché specifica in 32,4<br />

che i piedi di costui furono legati: «Et cum obtulisset pater filium in<br />

aram, et ligasset ei pedes, ut eum occideret, festinavit». ora, secondo<br />

la tradizione ebraica antica, la ‘Aqedah d’Isacco ha avuto luogo nel<br />

monte del futuro tempio, il quattordici di nisan. Il terminus a quo<br />

di questa tradizione è almeno il I secolo a.C.: secondo il Libro dei<br />

Giubilei, infatti, il sacrificio d’Isacco è avvenuto in Sion durante la<br />

Pasqua (cf. 17,15; 18,3.13). 58 Anche il Targum mette in rapporto la<br />

legatura d’Isacco con la notte di Pasqua e la ambienta nel monte<br />

del tempio. 59 E cosa si sacrifica nel tempio durante la Pasqua se non<br />

l’agnello? Si può così affermare che «la legatura d’Isacco è il primo<br />

sacrificio pasquale». 60<br />

Secondo Es 12,5 l’agnello pasquale doveva essere ~ymt («integro»):<br />

nell’At questo termine è riferito non solo alle vittime sacrificali,<br />

che dovevano essere senza difetto e immacolate, 61 ma anche<br />

all’uomo integro e innocente. 62 Le vittime sacrificali dovevano essere<br />

integre perché segno visibile dell’integra intenzione del cuore<br />

da parte dell’offerente. In particolare, la «perfezione» dell’agnello<br />

nei sacrifici era legata alla mitezza dell’animale, che non recalcitra<br />

dinanzi a chi lo sacrifica.<br />

57 La trattazione che segue è sviluppata in F.G. voltaGGio, La oración de los<br />

padres, 144-151.<br />

58 così afferma J. vaN ruiteN, «abraham, Job and the Book of Jubilees: the<br />

intertextual relationship of Genesis 22:1-19, Job 1:1-2,13 and Jubilees 17:15-<br />

18,19», in e. Noort – e. tiGCHelaar (edd.), The Sacrifice of Isaac. The Aqedah<br />

(Genesis 22) and its Interpretations (TBn 4), Leiden – Boston – Köln 2002, 75-<br />

76: «The association of the sacrifice of isaac with passover was important for<br />

the author of Jubilees».<br />

59 cf Targum Neofiti e Targum Frammentario a es 12,42.<br />

60 F. maNNs, L’Évangile de Jean, 425.<br />

61 cf Lv 1,3.10; 3,1.6; 4,3.23; 5,15.18.25; 22,19.21; 23,12; nm 6,14.<br />

62 cf Gn 6,9; 17,1; Dt 18,13; 2Sam 22,24.26<br />

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secondo il Targum Palestinese a Gn 12,42 (Neofiti, Targum<br />

Frammentario) Isacco aveva trentasette anni al momento della sua<br />

‘Aqedah: il fatto che egli fu portato al sacrificio quando non era più<br />

un bambino corrisponde all’antica tradizione palestinese, riportata<br />

anche da giuseppe Flavio in Antichità Giudaiche 1,227. La tradizione<br />

dell’offerta libera d’Isacco era diffusa nel primo secolo d.C.,<br />

com’è attestato nel Quarto Libro dei Maccabei (13,12; 16,20), ove<br />

Isacco è presentato come figura esemplare di martire.<br />

Possiamo ora tirare alcune conclusioni. In sal 34,21 si paragona<br />

il giusto sofferente all’agnello pasquale: a entrambi non è spezzato<br />

alcun osso. Anche in Is 53,7 il Servo di YHWH è paragonato<br />

a un «agnello condotto al macello», perché dinanzi alle umiliazioni<br />

«non aprì la sua bocca». Isacco, agnello, giusto/Servo sofferente:<br />

tali figure potevano essere legate già all’epoca del secondo tempio. 63<br />

Forse l’agnello pasquale aveva già ricevuto una certa «personificazione»<br />

in Isacco, nel giusto sofferente, nel Servo di YHWH di Is 53.<br />

L’immolazione dell’agnello pasquale nel tempio era compiuta<br />

«tra le due sere» (Es 12,6: ~ybr[h !yb) e il sangue dell’agnello era<br />

asperso sull’altare. nell’immolazione dell’agnello pasquale ogni<br />

israelita era chiamato a sentirsi come Abramo e Isacco che avevano<br />

dato culto sul Moria/luogo del tempio: quanto avvenuto nei Padri era<br />

un segno per i figli. Ma non solo ciò. Filone rileva che ogni ebreo nel<br />

giorno di Pasqua è elevato alla dignità di sacerdote: ogni ebreo è al<br />

tempo stesso come Abramo e come un sacerdote e perciò deve immolare<br />

la vittima di propria mano. 64 su questo sfondo Isacco poteva<br />

essere visto come un simbolo dell’agnello pasquale che si doveva<br />

scegliere bene e portare nel luogo del tempio perché fosse legato<br />

e immolato. L’autore del quarto Vangelo mostra che gesù è nello<br />

stesso tempo il nuovo Isacco e il nuovo agnello pasquale: Abramo<br />

ha visto il suo giorno e ha gioito (Gv 8,56); egli è stato legato nel<br />

giardino (Gv 18,12). Egli è anche l’Agnello di Dio che si carica del<br />

peccato del mondo (Gv 1,29.36); è portato al processo e viene «esa-<br />

63 come asserisce a. díez maCHo, «Targum y nuevo Testamento», in<br />

Mélanges Eugène Tisserant. i. Écriture sainte – Ancien orient (StT 231), città del<br />

vaticano 1964, 162: «Los círculos teológicos judíos del s.i de la era cristiana<br />

habían asociado ‘Aqedá, Siervo de Yahveh y sacrificio del cordero pascual».<br />

64 cf filone, VitMos 2,224; SpecLeg 2,146; Quaest in Ex 1,10; compara<br />

con m.Pes 5,6.<br />

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«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

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minato» come un agnello. Gesù è portato al sacrificio nell’ora in<br />

cui si comincia a immolare l’agnello pasquale al tempio (Gv 19,14).<br />

sulla croce gli porgono un ramo d’issopo con una spugna imbevuta<br />

d’aceto: poiché l’issopo non si addiceva a un tale uso, si può pensare<br />

che vi sia qui un’altra allusione all’agnello pasquale (in Es 12,22<br />

l’aspersione degli stipiti delle porte con il sangue dell’agnello si<br />

compie con l’issopo). 65 Come quell’agnello e come il giusto in sal<br />

34,21, a Gesù in croce non fu spezzato alcun osso (Gv 19,33.36).<br />

su tale ampio sfondo, non è da escludere, nel passo che è oggetto<br />

del nostro studio, un’associazione implicita delle figure dell’agnello<br />

pasquale, del giusto/servo sofferente e d’Isacco.<br />

Il lato del tempio e il costato di Adamo<br />

Per altri autori, il riferimento primario che l’evangelista ha in<br />

mente quando si sofferma sul sangue e l’acqua sgorgante dal costato<br />

di Gesù è Ez 47,1ss, testo ripreso da Zc 14,8 (cf. anche 13,1). Ezechiele<br />

parla di un fiume che scende sotto il lato destro del tempio e<br />

che è fonte di vita, Zaccaria descrive le «acque vive» che sgorgheranno<br />

da gerusalemme nel giorno escatologico. In gv 19,34, è possibile<br />

che l’autore voglia presentare gesù come «il tempio escatologico,<br />

da cui sgorga l’acqua viva della salvezza». 66 Vi sono elementi<br />

sufficienti per sostenere questa possibilità?<br />

In Gv 19,34 si usa l’espressione «colpì il fianco» (th.n pleura.n<br />

e;nuxen). Il termine usato per indicare il fianco di Cristo (pleura,) è lo<br />

stesso usato in Gn 2,21-22(LXX) per indicare il costato di Adamo.<br />

I Padri hanno tratto gran parte delle loro interpretazioni di gv 19,34<br />

da questo dato. Anche autori moderni però hanno voluto vedervi<br />

un’allusione. Anzi, ad alcuni pare plausibile che l’evangelista voglia<br />

operare un collegamento tra il giardino edenico e quello in cui è<br />

stata posta la croce. Ciò può essere confermato dall’uso dello stesso<br />

termine greco (kh/poj) per indicare il giardino da parte di giovanni<br />

65 cf s. Grasso, Il Vangelo di Giovanni, 738.<br />

66 i. de la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, 178.<br />

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(18,1.26; 19,41), della LXX in Ez 36,35, di Aquila in Gn 2,8; 3,2 e<br />

di Teodozione in gn 3,2. 67<br />

Più convincente è invece il riferimento a un’altra realtà evocata<br />

dal termine pleura,. nella LXX ricorre spesso questo termine per<br />

indicare il lato del tempio, in stretta connessione con il santo dei<br />

Santi (1Re 6,8; Ez 41,4-9). Questo può essere confermato, per M.L.<br />

Rigato, dalla «percezione che per Giovanni la trafittura del fianco-lo<br />

squarcio della carne sia un passaggio parallelo a quello dei sinottici<br />

sullo strappo dall’alto verso il basso della cortina (katapetasma) del<br />

Tempio (Mt 27,51 e par.)». 68 Questo non sembra astruso, se si considera<br />

che in Eb 10,20 questa cortina sia identificata con la carne di<br />

gesù, in consonanza con la linea teologica tipicamente giovannea<br />

del «tempio-corpo» di gesù. L’allusione al lato del tempio sembra<br />

più plausibile di quella al costato di Adamo. L’acqua escatologica<br />

che sgorga come una sorgente dal tempio è un tema tipicamente profetico<br />

(Ez 47,1; Zc 13,1; 14,8; Gl 4,18), che per la sua rilevanza<br />

merita la trattazione particolare che segue.<br />

L’acqua escatologica della nuova alleanza e il legame acqua-Spirito<br />

se si considera il collegamento esistente tra l’affermazione di<br />

gesù in gv 7,38 e gv 19,34, si può concludere che, nel racconto<br />

giovanneo dell’immolazione di Cristo, è nascosto un rimando, anche<br />

se velato, alla visione messianica in Ez 47,1ss e forse agli altri testi<br />

profetici a esso correlati (basti pensare a Zc 13-14, il cui contesto<br />

è forse nella mente dell’evangelista, a causa della citazione di Zc<br />

12,10 in gv 19,37). L’acqua escatologica sgorgante dal tempio, che<br />

feconda e vivifica, è un tema tipicamente profetico, che s’inserisce<br />

nell’uso metaforico più ampio di «sorgente» e di «fiume» nell’AT e<br />

specialmente nei Profeti; l’acqua infatti, simbolo di vita, è nell’AT<br />

67 cf m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 39. andrebbe approfondita<br />

l’importanza del giardino edenico nel quarto evangelista: il kepos<br />

ricorre all’inizio (18,1), al centro (18,26) e alla fine (19,41) del racconto giovanneo<br />

della passione e in tal modo egli sembra voler presentare la passione<br />

come recupero del giardino edenico.<br />

68 cf m.l. riGato, «La testimonianza di policrate di efeso su Giovanni evangelista.<br />

riscontri nel quarto vangelo», in l. Padovese (ed.), Atti del III Simposio<br />

di Efeso su S. Giovanni Apostolo (Turchia: la chiesa e la sua storia 4), roma<br />

1993, 138.<br />

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«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

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sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

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scrittura<br />

caratteristica dei tempi messianici: la benedizione dei tempi messianici<br />

inonderà il popolo di Dio come un fiume che irriga (Is 48,18;<br />

66,11); anzi, Dio stesso è chiamato «fonte di acqua viva» (Ger<br />

2,13[LXX]: phgh.n u[datoj zwh/j). 69 In Is 58,11, il giusto è paragonato<br />

a un giardino irrigato e a una fonte le cui acque non inaridiscono. 70<br />

tutti questi concetti si concentrano sulle immagini profetiche del<br />

fiume degli ultimi tempi che, irrigando e purificando la terra in cui<br />

passa (Ez 47,1-12; Gl 4,18; Zc 13,1; 14,8), la rende un nuovo Eden.<br />

Anzi, la fecondità del fiume sembra trascendere quella del fiume<br />

paradisiaco di gn 2,10-14. Questa visione profetica troverà la sua<br />

massima espressione in Ap 22,1ss, in cui il fiume d’acqua viva della<br />

gerusalemme messianica scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello.<br />

nella tradizione giovannea, così come nella nostra pericope, un<br />

tema centrale è il riferimento a Cristo come nuovo tempio. Ez 47 è di<br />

grande importanza per questa tradizione. non sarebbe quindi strano<br />

che giovanni in gv 19,34 voglia alludere all’acqua messianica.<br />

Degno di nota è che, con tutta probabilità, Ez 47 (insieme al racconto<br />

della roccia sgorgante acqua nel deserto: Es 17; Nm 20) si leggesse<br />

proprio durante la festa di Sukkot. 71 La liturgia di questa festa prevedeva,<br />

come uno dei rituali essenziali, l’effusione dell’acqua sull’altare<br />

(è interessante notare che su di esso si spargeva normalmente il<br />

sangue!). Ad ogni modo, da quanto sopra notato, si può condividere,<br />

circa il sangue e l’acqua di gv 19,34, la conclusione di un commentario,<br />

molto attento alle allusioni anticotestamentarie: «Questo<br />

sangue è il sangue dell’alleanza. L’acqua in tal caso è l’acqua della<br />

nuova alleanza». 72<br />

Alla trattazione precedente, occorre aggiungere un legame essenziale:<br />

quello tra acqua e spirito. 73 nel Vangelo di giovanni tale le-<br />

69 nella tradizione sapienziale e nel giudaismo antico, anche «la Torah<br />

trova un simbolo preferenziale nell’acqua», come nota m. NoBile, «alcune note<br />

sull’antico Testamento», 38.<br />

70 Degno di nota è anche il riferimento del testo al rinvigorimento delle ossa<br />

del giusto (la LXX v’insiste due volte nello stesso versetto; cf anche is 66,14): un<br />

altro chiaro legame giusto-ossa.<br />

71 cf m. NoBile, «alcune note sull’antico Testamento», 38.<br />

72 y. simoeNs, Secondo Giovanni, 782.<br />

73 Si veda F. maNNs, Le symbole eau-esprit dans le judaïsme ancien (SBfa<br />

19), Jerusalem 1983, 280-298; per quanto concerne Gv 19,34 cf specialmente<br />

pp. 291-292.<br />

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game è evidente (cf. Gv 4; 7,38-39) 74 . ora, ci si può domandare se<br />

sia originale. A nostro parere, la risposta è negativa, poiché l’evangelista<br />

riprende un’idea ben presente nell’At e specialmente nei Profeti.<br />

L’autore del quarto Vangelo, sebbene non citi spesso la scrittura<br />

in modo esplicito, è profondamente compenetrato dall’At. Alcune<br />

sue associazioni o simbolismi, a prima vista originali, sono in realtà<br />

frutto di una profonda comprensione dell’At. Basti ad esempio<br />

leggere Is 44,3, che mette in parallelo l’acqua e i torrenti sul luogo<br />

deserto da una parte, e l’effusione dello spirito di Dio e della sua benedizione,<br />

dall’altra: spandere lo spirito è come far scorrere acqua.<br />

L’irrigamento dei tempi messianici, descritto dai profeti, è figura<br />

dell’effusione escatologica dello spirito. L’acqua di gv 19,34, spiegata<br />

dall’evangelista con la citazione di Zc 12,10, che parla dello<br />

«spirito di grazia e consolazione», può essere così collegata a Zc 13,1<br />

(sorgente zampillante) e 14,8 (acque vive sgorganti dal tempio), 75 e<br />

quindi al contesto più ampio della breve citazione. Per questa ragione,<br />

per vari studiosi, l’acqua uscita dal costato del trafitto è per<br />

l’evangelista segno e compimento dell’effusione dello spirito. 76<br />

6. sintesi conclusiva circa le<br />

allusioni anticotestamentarie<br />

si può ora fornire<br />

una sintesi del<br />

gran numero<br />

di evocazioni anticotestamentarie<br />

sopra<br />

elencate, approfon-<br />

dite, valutate. Per verificare la plausibilità del ricorso a esse fatto da<br />

parte dell’evangelista nel descrivere l’evento di gv 19,34, dobbiamo<br />

ora avere un occhio all’intero suo Vangelo.<br />

74 cf ad es., s. lyoNNet, Il Nuovo Testamento alla luce dell’Antico, 101; i. de<br />

la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, 177.<br />

75 cf d.J. moo, The Old Testament, 218.<br />

76 i. de la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, imposta buona parte della<br />

sua esegesi di Gv 19,31-37 su questo legame giovanneo; si veda, dello stesso<br />

autore, «Le symbolisme du sang et de l’eau en Jn 19,34», 214; cf. anche u.C.<br />

voN WaHlde, The Gospel and Letters of John. Volume 3: The Three Johannine<br />

Letters, 3 voll., Grand rapids 2010, 187.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

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scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

222<br />

scrittura<br />

Per quanto concerne il «sangue», a eccezion fatta di gv 1,13,<br />

l›evangelista usa il termine ai-ma solo in un altro passo: in Gv 6,53-<br />

56, per quattro volte (una in ogni versetto), Gesù parla del suo<br />

sangue. La rivelazione è progressiva: nel v. 53 si usa il pronome<br />

possessivo auvtou/, perché Gesù si riferisce al Figlio dell’Uomo; nei<br />

vv. 54-56 invece, s’impiega l’aggettivo possessivo alla prima persona<br />

singolare (mou), per tre volte. L’accento su questo possessivo è<br />

forte: nel v. 54 e nel v. 56, esso è anticipato (mou to. ai-ma) e dunque<br />

enfatizzato. In questi versetti, il sangue di gesù, unito alla sua carne,<br />

è garanzia di vita posseduta in sé (v. 53), di vita eterna e risurrezione<br />

(v. 54). Ora, ci chiediamo: è possibile che l’evangelista, che<br />

non riporta il racconto della Cena, non faccia alcuna allusione in<br />

gv 19,34 al «sangue della nuova alleanza», ovvero: è totalmente da<br />

escludere un riferimento eucaristico? Per molti autori, in Gv 19,34<br />

è indubbia l’allusione eucaristica. Heil tenta di giustificare tale idea<br />

connettendo gv 19,31-37 anzitutto al miracolo di Cana narrato in gv<br />

2 (base di ciò sarebbero i collegamenti tematici tra i due racconti:<br />

il riferimento all’ora; il vedere la gloria; la donna, ecc.), ove gesù<br />

trasforma l’acqua delle purificazioni rituali in bevanda, cioè in vino<br />

(da notare che nella tradizione ebraica il vino è spesso collegato al<br />

sangue). sulla base di tali legami, Heil conclude: «Che l’acqua dello<br />

Spirito segue e fiotta insieme con il sangue dal costato trafitto di<br />

gesù risponde all’obiezione dei giudei su come gesù avrebbe potuto<br />

dare loro la sua carne da mangiare e il suo sangue da bere». 77<br />

Per l’autore, pertanto, come per i Padri, vi è in gv 19,34 un’allusione<br />

eucaristica. noi non ci sentiamo di negare tale allusione. Vorremmo<br />

però precisare, a conclusione di questa indagine, che è impossibile<br />

affermare ciò senza riferirsi all’agnello pasquale, un riferimento<br />

che certamente l’evangelista ha in mente nel redigere gv 19,31-<br />

37. Questo è per noi il riferimento centrale, da cui partono le altre<br />

evocazioni, prima tra esse quella del sangue dell’alleanza. Passando<br />

per questa via marcata dall’autore, che presenta gesù come nuovo<br />

Agnello Pasquale, l’allusione eucaristica è molto difficile da negare.<br />

77 J. P. Heil, Blood and Water, 108.<br />

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Il sangue di gesù, segno della morte avvenuta, è al tempo stesso<br />

segno di nuova vita. 78 Ciò che desta l’interesse dell’evangelista è però<br />

soprattutto l’unione straordinaria di sangue e acqua. Quell’acqua è<br />

per giovanni qualcosa di mirabile. L’acqua anzitutto lava e purifica:<br />

così Giovanni vuole significare che il sangue di Gesù-Agnello<br />

lava e purifica; ciò è confermato dal collegamento del nostro testo<br />

con la tradizione presente in Ap 7,14, dove il sangue dell’Agnello<br />

è interpretato come un sangue che lava e rende bianche le vesti.<br />

Quest’acqua ha tuttavia un significato più profondo e questo si può<br />

percepire essenzialmente da due fatti: in primo luogo, dalla citazione<br />

di Zc 12,10, fatta dall’evangelista, che richiama il contesto più ampio<br />

di Zc 12-14; in secondo luogo, dal collegamento con Gv 7,38, poiché<br />

i passi dell’AT che hanno influito su questo versetto (anzitutto Nm<br />

20,11; Sal 78,15-16; Ez 47,1ss) hanno potuto influire anche sul nostro<br />

v. 34, 79 tanto che qualcuno ha affermato che lo stesso giovanni<br />

veda l’evento del v. 34 come un compimento delle parole di gesù<br />

in gv 7,37-39. 80 L’acqua uscita dal costato di gesù, nuovo tempio<br />

e nuovo Agnello, in unione al sangue della nuova alleanza, costituisce<br />

perciò, agli occhi dell’evangelista, l’acqua della nuova alleanza,<br />

cioè la fonte d’acqua viva che nei tempi messianici sgorgherà<br />

dal tempio e purificherà Gerusalemme. 81 Quest’interpretazione, già<br />

presente in nuce in gv 19,34, è condensata nell’impressionante simbolismo<br />

della visione finale di Ap 22,1-5. Qui, un fiume di acqua<br />

viva (espressione profetica presente già nel Vangelo), scaturisce dal<br />

trono di Dio e dell’Agnello (che è al tempo stesso il tempio, come<br />

si nota in 21,22), in collegamento con un albero di vita, le cui foglie<br />

guariscono le nazioni (chiaro riferimento a Ez 47,1ss). Quest’acqua,<br />

come mostrato, è lo spirito. Questo permette di comprendere l’interpretazione<br />

di 1Gv 5,6-8, che lega in modo mirabile sangue – acqua<br />

– spirito.<br />

Alla luce dello sfondo dell’AT, il fiotto di sangue e acqua dal costato<br />

di gesù, appare come una grande aspersione. Cos’hanno in<br />

comune, infatti, il sangue e l’acqua nell’AT? Un dettaglio da non<br />

78 cf i. de la Potterie, Studi di Cristologia Giovannea, 178.<br />

79 cf r.e. BroWN, La morte del Messia, 1335.<br />

80 cf d.J. moo, The Old Testament, 218.<br />

81 cf la conclusione di F. maNNs, L’Évangile de Jean, 425.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

223<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

224<br />

scrittura<br />

trascurare è, a nostro parere, il fatto che entrambi fossero usati per<br />

l’aspersione. L’aspersione con sangue sacrificale o con acqua è<br />

un segno o meglio una realtà di purificazione nell’AT. Nello Yom<br />

Kippur, il santuario e gli oggetti cultuali erano purificati con l’aspersione<br />

del sangue di una vittima sacrificale. Con acqua erano<br />

aspersi coloro che si erano resi impuri per il contatto con cadaveri.<br />

In Lv 13-14 si tratta di riti di purificazione, in cui erano usati insieme<br />

sangue e acqua. In Ez 36,25 l’aspersione con acqua simboleggia la<br />

purificazione che Dio attuerà nella nuova alleanza. Il sangue, sparso<br />

nel tempio, che riconcilia con Dio e l’acqua che purifica, segno dello<br />

spirito, realtà essenziali dell’At, sono ora indissolubilmente unite in<br />

gv 19,34. Questo versetto riassume dunque alcune istituzioni essenziali<br />

dell’AT: l’agnello pasquale, il tempio e il sangue dei sacrifici<br />

delle vittime, il sangue dell’alleanza, l’acqua dell’abluzione e della<br />

nuova alleanza. tutte queste realtà, solo velate in gv 19,34, sono<br />

indicate, in modo del tutto esplicito, come pienamente compiute in<br />

gesù Cristo dall’autore della Lettera agli Ebrei. A conferma di ciò,<br />

basta una lettura di Eb 10,19-31, dove l’autore condensa in poche<br />

frasi il riferimento al sangue dei sacrifici (e forse in particolare a<br />

quelli compiuti nel giorno dell’Espiazione, v. 19), al santo dei santi,<br />

cuore del tempio (v. 19), al velo del tempio (v. 20), al sacerdozio<br />

(v. 20), all’acqua dell’abluzione (v. 22), al sangue dell’alleanza che<br />

santifica (v. 29) e allo Spirito della grazia (v. 29).<br />

7. conclusione e nuovi<br />

orizzonti metodologici<br />

ed ermeneutici<br />

Abbiamo indagato<br />

la ricchezzacontenuta<br />

nel testo di gv<br />

19,31-37, con particolare<br />

attenzione all’evento<br />

descritto nel<br />

v.34. si è mostrato come tale ricchezza emerge in tutta la sua abbondanza,<br />

se si prendono in considerazione non solo le citazioni esplicite,<br />

ma anche le allusioni anticotestamentarie nascoste nel testo. Il<br />

v. 34 è apparso così come una vera e propria concentrazione di allusioni<br />

all’AT. Alcune allusioni ci sono sembrate con tutta probabilità<br />

volute dall’autore, mentre è difficile dimostrare che altre allusioni<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 224 04/02/13 09:39


siano intenzionali. Alcuni rapporti intertestuali sono emersi in tutto<br />

il loro interesse. talvolta, infatti, il rapporto a un testo dell’At può<br />

essere sottostante a due testi legati nello stesso Vangelo. Altre volte,<br />

come in un gioco di specchi, una parola dell’At è indissolubilmente<br />

legata alla sua interpretazione o attualizzazione a un’altra dell’At.<br />

La scrittura ereditata dal nt, lungi dall’essere un testo morto o<br />

nudo, è già rivestita delle sue riletture all’interno della scrittura e<br />

dalle interpretazioni della tradizione orale e della liturgia.<br />

A questo punto, sorge una questione metodologica. Fino a che<br />

punto alcune allusioni erano realmente presenti nella mente dell’autore<br />

al momento della redazione del testo? In conformità a quale criterio<br />

potremmo raggiungere la sicurezza? Tali domande riguardano<br />

una dimensione irrinunciabile (ma purtroppo presa a volte alla leggera)<br />

dell’ermeneutica biblica, quale il ricorso alle indicazioni che<br />

la Bibbia stessa ci dà circa l’arte d’interpretarla. Per alcuni libri del<br />

nt, tali questioni sono di enorme importanza, a causa delle frequenti<br />

citazioni esplicite o implicite dell’AT (nell’Apocalisse, ad esempio,<br />

se ne contano circa 814).<br />

Alla luce di questa breve indagine, talvolta è arduo stabilire se<br />

una determinata allusione sia presente nell’intenzione dell’autore.<br />

spesso, del resto, il fatto di essere imbevuti di una certa cultura, ci<br />

rende inconsapevoli di un riferimento a essa. ora, è indubbio che<br />

gli autori del nt siano «imbevuti» di At. non è quindi da escludere<br />

che talvolta i riferimenti all’AT possano essere inconsci (per<br />

quanto siano ispirati a uomini in pieno possesso delle loro facoltà).<br />

non solo, spesso l’evento descritto dagli evangelisti travalica il loro<br />

pensiero a tal punto che, per spiegarlo, fanno riferimento a qualche<br />

profezia, che, come visto, già all’interno dell’At ha ricevuto un’interpretazione,<br />

la quale, a sua volta, può essere contenuta nel riferimento<br />

fatto dagli stessi evangelisti. Infine, talvolta il testo può avere<br />

un senso più profondo di quello inteso dall’autore stesso. Questo<br />

fenomeno, che può avvenire in ogni tipo di creazione artistica e<br />

che è tipico dell’ispirazione umana, è presente a maggior ragione<br />

negli autori sacri divinamente ispirati. È riconosciuto, infatti, che<br />

il testo possa avere spesso un senso più profondo (certamente voluto<br />

da Dio), ma non presente nell’intenzione esplicita dell’autore (il<br />

cosiddetto «senso pieno»): quest’ultimo può esprimere realtà di cui<br />

egli stesso non percepisce tutta la profondità. Queste considerazioni<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

225<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

226<br />

scrittura<br />

consentirebbero una più ampia e feconda ricerca (ma non per questo<br />

meno rigorosa!) del sottofondo anticotestamentario nei testi del nt,<br />

senza la continua paura di essere considerati poco «critici» e aprirebbero<br />

così nuove vie d’interpretazione più vicine all’ermeneutica<br />

dei rabbini e dei Padri, 82 aiutando a superare l’empasse in cui si trova<br />

una certa esegesi attuale.<br />

Lo stupore dell’evangelista per l’evento del fiotto di sangue e<br />

acqua dal costato di Gesù, stupore espresso nel v. 35, passa anche al<br />

lettore quando considera le citazioni esplicite, scelte accuratamente<br />

dall’evangelista come interpretazione dell’evento, e le numerose<br />

evocazioni e allusioni implicite. L’evangelista vuol mostrare che, nel<br />

momento culminante del compimento totale dell’opera di Gesù («È<br />

compiuto»), vale a dire il suo innalzamento sulla croce e la sua glorificazione,<br />

egli compie realtà messianiche e profetiche importanti,<br />

prefigurate nell’AT. L’evangelista, penetrando in profondità nelle<br />

«cose antiche» del tesoro delle scritture d’Israele, «tira fuori cose<br />

nuove», aprendo orizzonti immensi: gesù è il nuovo Agnello Pasquale,<br />

il cui sangue libera dalla morte e santifica e il nuovo Tempio<br />

dal cui fianco sgorga l’acqua della nuova alleanza, ovvero lo Spirito<br />

(il riferimento che fecero i Padri ai sacramenti dell’Eucaristia<br />

e del Battesimo è quindi del tutto legittimo). Intorno a questa idea<br />

fondamentale, ruotano tutte le altre evocazioni: per l’autore, gesù è<br />

anche la nuova Roccia che emana acqua viva, la sorgente dell’acqua<br />

escatologica, la nuova e perfetta Vittima sacrificale il cui sangue è<br />

sparso, il servo e giusto perseguitato le cui ossa rimangono intatte,<br />

il nuovo Adamo che dona il suo costato. se ciò è vero, ci troviamo<br />

dinanzi ad un buon esempio di come l’esegesi tipologica dei Padri,<br />

che sviluppa alcuni dei temi sopra elencati, non sia meno scientifica<br />

dell’esegesi moderna. solo che i Padri non presero mai alla leggera<br />

il mistero nascosto nel testo.<br />

Francesco Voltaggio<br />

fravolt@gmail.com<br />

82 Una buona sintesi tra esegesi moderna ed esegesi patristica riguardo il<br />

nostro passo, si può trovare in J.C. CarvalHo, «The Symbology of ai-ma kai. u[dwr<br />

in John 19:34: a reappraisal» Did 31/1(2001), 41-59.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 226 04/02/13 09:39


«E subito uscì sangue e acqua» (Gv 19,34): una<br />

ItA<br />

concentrazione di allusioni all’AT,<br />

di Francesco Voltaggio<br />

Il presente studio raccoglie le evocazioni anticotestamentarie<br />

«nascoste» in gv 19,34, che appare come una ricca concentrazione<br />

di allusioni a realtà dell’At, tra le quali: l’acqua dalla roccia e la<br />

Festa di Sukkot; il sangue dei sacrifici e dell’alleanza; l’acqua della<br />

purificazione; l’agnello e il giusto/servo; l’agnello e Isacco; il lato<br />

del tempio e il costato di Adamo; l’acqua escatologica e il legame<br />

acqua/Spirito. Si aprono così nuovi orizzonti ermeneutici: alcune<br />

allusioni all’At fatte dall’autore, per quanto inconsce, vanno tenute<br />

in seria considerazione nell’interpretazione, giacché l’evento<br />

descritto travalica spesso la sua comprensione da parte dell’autore.<br />

Ciò permette di recuperare nell’esegesi moderna la forza dell’ermeneutica<br />

rabbinica e soprattutto di quella patristica.<br />

« Et aussitôt, il sortit du sang et de l’eau » (Jn 19,34) :<br />

fRA<br />

une concentration d’allusions à l’AT,<br />

de Francesco Voltaggio<br />

Cette étude recueille les évocations de l’Ancien Testament « cachées<br />

» en Jn 19,34 ; elle se présente comme une riche concentration<br />

d’allusions aux la réalités de l’AT, parmi lesquelles ; l’eau du rocher<br />

et la Fête de Sukkot ; le sang des sacrifices et de l’alliance ; l’eau<br />

de la purification, l’agneau et le juste/serviteur ; l’agneau et Isaac ;<br />

le côté du temple et la côte d’Adam ; l’eau eschatologique et le lien<br />

eau/Esprit. S’ouvrent alors de nouveaux horizons herméneutiques:<br />

quelques allusions à l’AT faites par l’auteur, même inconsciemment,<br />

doivent être prises en compte sérieusement dans l’interprétation,<br />

puisque pour l’auteur l’intelligence de l’évènement qu’il décrit va<br />

souvent au-delà de ce que l’on perçoit. Cela permet de récupérer<br />

dans l’exégèse moderne la force de l’herméneutique rabbinique et<br />

surtout celle de l’herméneutique patristique.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

227<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 227 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

Francesco Voltaggio<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

228<br />

scrittura<br />

“And immediately there flowed out blood and water” (Jn<br />

EnG<br />

19:34): A Concentration of Allusions to the OT<br />

by Francesco Voltage<br />

This study collects Old Testament evocations “hidden” in Jn<br />

19:34, which appears as a rich concentration of allusions to the old<br />

testament realities, such as water from the rock and the Feast of<br />

Sukkot; the blood of the sacrifices and covenant; the water of purification;<br />

the lamb and just/servant; the lamb and Isaac; the side of<br />

the temple and the side of Adam; and eschatological water and the<br />

link between water/Spirit. This opens up new horizons of interpretation.<br />

some allusions made by the author to the ot, however unaware<br />

we may be of them, must be taken into serious consideration in the<br />

interpretation, because the event described often goes beyond the<br />

comprehension of the author. this allows us to bring back in modern<br />

exegesis the strength of rabbinical, but especially patristic, hermeneutics.<br />

“Y al instante salió sangre y agua” (Jn 19,34): una con-<br />

SPA<br />

centración de alusiones al AT.<br />

de Francesco Voltaggio<br />

El presente estudio recoge las evocaciones veterotestamentarias<br />

“escondidas” en Jn 19,34, que se presenta como una rica concentración<br />

de alusiones a la realidad del At, entre las cuales: el agua de la<br />

roca y la Fiesta de Sukkot, la sangre de los sacrificios y de la alianza,<br />

el agua de la purificación, el cordero y el justo/siervo, el cordero e<br />

Isaac, el lateral del templo y el costado de Adán, el agua escatológica<br />

y la unión agua/Espíritu. Se abren así nuevos horizontes hermenéuticos:<br />

algunas alusiones al At hechas por el autor, sin ser consciente<br />

de ello, son tenidas en seria consideración en la interpretación, ya<br />

que el evento descrito traspasa frecuentemente la comprensión de<br />

parte del autor. Esto permite recuperar en la exégesis moderna la<br />

fuerza de la hermenéutica rabínica y sobre todo de la patrística.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 228 04/02/13 09:39


Pol “I natychmiast wypłynęły krew i woda” (J 19,34): nagromadzenie<br />

aluzji do Starego Testamentu.<br />

Francesco Voltaggio<br />

Artykuł ten zbiera ukryte odwołania do Starego Testamentu<br />

“ukryte” w J 19,34, który ukazuje się jako bogate nagromadzenie<br />

aluzji do rzeczywistości obecnych w Starym Testamencie, takich<br />

jak: woda ze skały, święto Sukkot; krew ofiar i przymierza, woda<br />

oczyszczenia, baranek i sprawiedliwy/sługa, baranek i Izaak, bok<br />

świątyni i bok Adama, woda eschatologiczna i związek woda-<br />

-Duch. W ten sposób otwierają się nowe horyzonty hermeneutyczne:<br />

pewne aluzje do Starego Testament, które odkrywa autor,<br />

choć nieświadome, powinny być wzięte na poważnie pod uwagę<br />

w interpretacji, ponieważ opisane wydarzenie wykracza poza to<br />

jego rozumienie, które miał autor. Pozwala to na przywrócenie w<br />

egzegezie współczesnej osiągnięć hermeneutyki rabinistycznej a<br />

zwłaszcza patrystycznej.<br />

sacra scrittura<br />

«E subito uscì sangue e<br />

acqua» (Gv 19,34):<br />

una concentrazione<br />

di allusioni all’AT<br />

197-229<br />

sacra<br />

229<br />

scrittura<br />

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Gianni SGreva cp<br />

nella tradizione patristica<br />

1 raccogliamo<br />

due interpretazioni<br />

dell’ora alla quale<br />

fa menzione gesù<br />

nella sua risposta alla<br />

madre. C’è l’interpretazione<br />

tradizionale, che possiamo chiamare<br />

tradizione agostiniana, secondo la quale, gesù<br />

non ritiene sia giunta la sua ora, e lo dice a<br />

guisa di rimprovero rivolto alla madre che gli<br />

stava sottoponendo il problema dell’assenza del<br />

vino alle nozze di Cana. È la tradizione più consistente,<br />

sia nella letteratura patristica, sia nella<br />

restante letteratura esegetica fino ad oggi. Basti<br />

confrontare la più recente traduzione biblica della Cei (2008) che per<br />

Gv 2, 4 dà la seguente traduzione: “Donna che vuoi da me? Non è<br />

ancora giunta la tua ora”.<br />

Agostino, infatti, che commenta gv 2, 4, legge e spiega le parole<br />

di Gesù: “L’Ora mia non è ancora venuta”, secondo il tenore della<br />

differenza che sussiste tra la madre creatura e il Figlio Dio che co-<br />

1 cf J. n. GUinOT, Les lectures patristiques grecques (IIIe-Ve s.) du miracle<br />

de Cana (Jn 2, 1-11). Constantes et développements christologiques, in Studia<br />

Patristica 30 (Leuven 1997), 28-41. cf anche a. SMiTManS, Das Weinwunder<br />

von Kana. Die Auslegung von Joh 2, 1-11 bei den Vätern und heute, Tübingen<br />

1966.<br />

sacra scrittura<br />

l’ora in<br />

gV 2,1-11:<br />

anticiPazionE<br />

o inizio?<br />

lettura giudaicopatristica<br />

delle<br />

nozze di cana<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

231<br />

sacra scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

232<br />

scrittura<br />

nosce i tempi della salvezza, e cioè: “Non è ancora l’ora in cui io<br />

riconosco che sia opportuno che io patisca, che sia utile la mia passione;<br />

allora soffrirò di mia volontà” 2 .<br />

C’è l’altra tradizione che cronologicamente non solo precede Agostino<br />

ma che s’inserisce anche in una scuola esegetica di stampo più<br />

letteralista, rispetto alla tradizione spirituale-allegorica, ambrosiana<br />

e quindi ultimamente origeniana, cui appartiene il vescovo di Ippona.<br />

Alludiamo a teodoro di mopsuestia, il quale, esponente dell’esegesi<br />

antiochena, più fortemente interessata al tenore letterario-filologicostorico<br />

del testo biblico, studia più da vicino Gv 2,4 in sé e in chiave<br />

di coerenza con i versetti giovannei che seguono immediatamente.<br />

teodoro di mopsuestia cerca di trascinare il punto interrogativo alla<br />

conclusione della risposta che gesù dà alla madre, per cui la lettura<br />

che ne risulta è la seguente: “Perché mi solleciti e insisti con me, o<br />

donna, non è forse giunta la mia Ora?” 3 . In altre parole, per teodoro<br />

di mopsuestia, la domanda di gesù alla madre non suona come un<br />

rimprovero, bensì risulta essere una totale convergenza tra gesù e<br />

sua madre, anzi la domanda della madre di gesù sembra retorica,<br />

pleonastica, non necessaria. Per gesù quella era l’ora dell’inizio e<br />

sua madre non anticipa nulla dei piani del Figlio, anzi i due, Figlio<br />

e madre, mostrano una totale convergenza sull’inizio dell’ora. In<br />

altre parole, se per Agostino e la tradizione allegorico-spirituale che<br />

egli rappresenta, la madre con la sua iniziativa crea l’anticipazione<br />

dell’ora di gesù, teodoro di mopsuestia individua nella risposta di<br />

gv 4 non solo la piena convergenza tra gesù e la madre, ma anche<br />

l’inizio dell’ora.<br />

Che il tema dell’ora sia il tema che in sede giovannea è direttamente<br />

connesso con la glorificazione che si compie nella <strong>Passio</strong>nemorte-Resurrezione<br />

di gesù nel dono dello spirito, è una tesi convergente<br />

dell’unanime lettura esegetica post-patristica 4 . Ce ne fa<br />

fede, infatti, la lettura agostiniana poco sopra riportata, secondo la<br />

2 aug Tr Jo viii, 12: ccL 36, 89.<br />

3 Theod Mops Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39-40.<br />

4 Basti citare r. BrOWn, The Gospel according to John, i, new York 1966<br />

e c.H.DODD, The interpretation of the fourth Gospel, cambridge 1953 e c.H.,<br />

Historical tradition in the Forth Gospel, cambridge 1963.<br />

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quale, l’ora è quella della <strong>Passio</strong>ne. Come pure anche per gaudenzio<br />

di Brescia, l’hora concerne il tempo della <strong>Passio</strong>ne 5 .<br />

Allora nell’esegesi patristica riconosciamo due tradizioni, quella<br />

agostiniana che è a favore dell’ “anticipazione” dell’Ora della glorificazione<br />

della <strong>Passio</strong>ne provocata dalla Madre di Gesù, e quella antiochena<br />

a favore dell’ “inizio” dell’Ora, fondata sul consenso pieno<br />

di gesù e di sua madre.<br />

introduzione e piste metodologiche<br />

se ci muoviamo secondo i criteri dell’esegesi rabbinica, secondo<br />

cui ogni parola della Parola potrebbe essere suscettibile di<br />

almeno 70 interpretazioni 6 , ci dovremmo accontentare di affermare<br />

che ogni interpretazione è anche una illuminazione. Quindi tante<br />

sono le interpretazioni e tante sono le luci che vengono proiettate<br />

sulla Parola, che resta, per usare il linguaggio di Efrem il siro,<br />

una fontana d’acqua inestinguibile” 7 . Lo stesso Agostino nel cuore<br />

dei sermoni dedicati, nel commentario al Vangelo di giovanni, al<br />

racconto delle nozze di Cana, vorrebbe accontentare la fame di chi<br />

sta alla mensa della Parola del signore. E, lasciando la libertà di<br />

scegliere il tipo di intelligenza della Parola del Signore (Sed est<br />

et alius intellectus non praetermittendus, et ipsum dicam; eligat<br />

quisque quod placet; nos quod suggeritur non subtrahimus), ricorda<br />

che “questa è la Mensa del Signore, e non è opportuno che<br />

il ministro defraudi i convitati, soprattutto quando sono così avidi,<br />

come vedo che voi siete: Mensa enim Domini est, et non oportet<br />

5 Gaud Brix Tr iX, 13: cSeL 68, 78-79. cf B. DeGÓrSKi, Le nozze di Cana<br />

nell’esegesi di San Gaudenzio di Brescia, in Vox Patrum 23 (44-45/2003),<br />

285-299.<br />

6 nelle 70 scintille della Parola si possono rinvenire le 70 culture o nazioni, in cui<br />

la Parola, inculturata, crea un movimento di espansione ma anche di concentrazione<br />

all’unum. La Parola una, suscettibile d’essere letta e accolta dalle 70 culture e nazioni<br />

noachide (cf Gen 10), ha il potere dell’unità. Per la tradizione secondo cui la terra<br />

era abitata da 70 popoli che parlavano 70 lingue (v. tabella dei popoli in Gen 10), cf<br />

l’apocrifo cristiano del IV sec. d.C. contenente materiale anche ebraico, molto antico,<br />

La Caverna del Tesoro, 24,18 (E. Weidinger, ed., L’altra Bibbia 73).<br />

7 ephrem, Co Diat 1,18-19: Sch 121, 52-53.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

233<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

234<br />

scrittura<br />

ministrum fraudare convivas, praesertim sic esurientes ut appareat<br />

aviditas vestra” 8 .<br />

salva restando che le interpretazioni possono essere molteplici,<br />

si potrebbe fare un’opzione? Nel leggere ed interpretare Gv 2, 4, ci<br />

porremo sulle linea dell’anticipazione della glorificazione o semplicemente<br />

sulla linea dell’inizio della glorificazione, cioè della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione?<br />

Ora la risposta a questa domanda è connessa<br />

con altre prospettive aperte dalla teologia giovannea, ossia il tema<br />

della nuova creazione e della nuova ed eterna alleanza, e il ruolo<br />

della madre di gesù nella <strong>Passio</strong>ne, nella nuova creazione e nella<br />

nuova ed eterna alleanza.<br />

È necessario interrogare le testimonianze patristiche, quantunque<br />

non sia sufficiente. La stessa letteratura patristica necessariamente<br />

ha conosciuto un tempo prolungato di osmosi con la letteratura intertestamentaria<br />

giudaica e con le tradizioni esegetiche sinagogali<br />

(I-III secolo), per cui la stessa letteratura patristica successiva, quella<br />

dal IV in avanti, resterà segnata da questo rapporto. E quindi non<br />

possiamo non tenerne conto 9 . non solo, ad esempio, l’esegesi origeniana<br />

risente dell’esegesi per lo più orale rabbinica e della letteratura<br />

giudaica intertestamentaria e di quella giudeo-cristiana, ma<br />

dobbiamo affermare che anche l’esegesi patristica delle varie scuole<br />

dei secoli successivi reca residui o filoni interpretativi di origine giudaica<br />

ormai cristallizzati e assimilati dall’esegesi patristica sia orientale<br />

sia occidentale.<br />

Il nuovo testamento affonda le radici non solo nell’Antico testamento,<br />

ma in tutta la cultura e la letteratura giudaica. non solo<br />

il nuovo testamento spiega l’Antico, ma anche l’Antico spiega il<br />

nuovo.<br />

nel nuovo testamento è indispensabile far emergere le sue radici<br />

ebraiche, sia linguistiche, sia culturali, secondo la convinzione di<br />

Agostino per il quale: “Il Nuovo Testamento è celato nell’Antico e<br />

8 aug Tr Jo iX, 9: ccL 36, 95.<br />

9 f. MannS ha studiato Gv 2, 1-11 cogliendo il background giudaico in<br />

stretto collegamento con le affermazioni patristiche: L’Évangile de Jean à la<br />

lumière du judaïsme, franciscan printing press, Jerusalem 1991, 93-110. cf<br />

anche f. MannS, L’Évangile de Jean et la Sagesse, franciscan printing press,<br />

Jerusalem 2003, 49-60.<br />

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nel Nuovo l’Antico è svelato” 10 . È indispensabile, perciò situare il<br />

nuovo testamento in tutte le testimonianze del mondo ebraico, le<br />

scritture ebraiche dell’At, la letteratura giudaica intertestamentaria,<br />

la letteratura giudeo-cristiana, la letteratura rabbinica. La letteratura<br />

patristica si situa non solo accanto, ma spesso con intersecazioni con<br />

la lettura giudaica, sia quando si tratta di elementi che congiungono<br />

il complesso della letteratura ebraica con la lettura cristiana della<br />

prima ora, sia quando la letteratura cristiana precede o entra in conflitto<br />

con la successiva letteratura rabbinica, sia quella mishnica, sia<br />

quella talmudica, o quella che rientra nel complesso della letteratura<br />

midrashica.<br />

Il brano di gv 2, 1-11, le nozze di Cana, costituisce un esempio<br />

suggestivo della ricchezza di una pagina della Parola di Dio comprensibile<br />

solo alla luce della tradizione e delle tradizioni, sia del<br />

giudaismo, sia del giudeo-cristianesimo, sia del cristianesimo delle<br />

nazioni.<br />

le nozze di cana: un matrimonio secondo la tradizione<br />

giudaica<br />

Partecipare alle nozze, per un ebreo, significava compiere un<br />

atto di misericordia, che consentiva di partecipare alla gioia degli<br />

sposi ebrei chiamati a rinnovare nel segno l’unità di uomo e donna,<br />

Eva ed Adamo, segno di Dio Creatore della vita nell’amore, espressione<br />

della sua immagine, celebrazione dell’alleanza sponsale di<br />

Dio con l’umanità pre-mosaica. Così farà Paolo quando applicherà<br />

al rapporto Cristo-Chiesa l’alleanza sponsale (Ef 5, 21-31). Questa<br />

è l’alleanza sponsale primitiva di Dio con l’umanità, l’alleanza che<br />

segna non solo l’inizio dell’umanità, ma il proposito di Dio di essere<br />

sempre Alleanza con l’umanità. L’Alleanza Dio e noè, Dio e<br />

Abramo, Dio e Israele in Mosè, la Nuova Alleanza dei profeti (Ger<br />

31, 31-34), fino all’alleanza sponsale di Cristo con la Chiesa grazie<br />

al sangue di gesù. tutto questo è teologia della creazione in chiave<br />

matrimoniale, che si fa teologia della storia, non solo della storia di<br />

Israele, ma anche di tutta l’umanità.<br />

10 aug Quaest in Heptateuchum 2, 73: pL 34, 623: “Quamquam ei in Vetere<br />

Novum lateat, et in Novo Vetus pateat”.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

235<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

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SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

236<br />

scrittura<br />

Il Cantico dei Cantici è allora il canto di ogni alleanza di Dio con<br />

l’umanità.<br />

gesù, accogliendo l’invito di partecipare alle nozze di Cana, con<br />

la sua presenza consacra il matrimonio voluto da gen 1, 22, come<br />

lo afferma Cirillo di Alessandria, che nel suo commento a giovanni<br />

sottolinea la presenza di gesù alle nozze di Cana come la presenza<br />

di chi viene a santificare l’inizio della generazione umana e a rinnovare<br />

la stessa natura dell’uomo in rapporto a quanto si legge in gen<br />

3, 16: “Partorirai i figli nel dolore”. E basandosi su 2 Cor 5, 17: “Se<br />

qualcuno è in Cristo è una creatura nuova”, Gesù è venuto a Cana<br />

per rendere nuove le nozze, luogo della generazione della vita 11 .<br />

Cana, inoltre, in ebraico, dal verbo liqnot=acquistare, significa<br />

acquisto, proprietà. Cana è il primo luogo, in galilea, regione dalle<br />

dimensioni universali e internazionali, in cui lo sposo prende possesso<br />

della primizia di una terra destinata a essere teatro delle nozze<br />

di Dio con l’umanità, per la celebrazione dell’Alleanza definitiva.<br />

Questa interpretazione la ritroviamo in gaudenzio di Brescia, che<br />

verso la fine del IV secolo, facendo l’esegesi di Gv 2, 1-11, afferma:<br />

“E perché tu conoscessi che in questo terzo giorno queste nozze<br />

spirituali sono celebrate da Cristo tra il popolo dei pagani, esse non<br />

avvengono in Giudea, ma in Cana di Galilea; questo a prescindere<br />

dalla testimonianza del santo Isaia che citò la galilea delle genti, apparirà<br />

più chiaro dal significato dei nomi stessi. Cana, infatti, significa<br />

possesso e Galilea corrisponde a “girevole”, a “ruota”, stando<br />

al significato della lingua ebraica” 12 . Da chi il vescovo di Brescia<br />

poteva conoscere questa corrispondenza del significato del nome<br />

Cana se non leggendo Girolamo, per il quale “Cana: possessio sive<br />

possedit” 13 ? Già Origene aveva dato questa lettura di Cana: “Le<br />

due venute del nostro salvatore a Cana si possono comprendere<br />

come simbolo delle sue due venute sulla terra, terra che fu chiamata<br />

11 cyril alex In Jo ii, 1-4: pG 73, 224D-225B.<br />

12 Gaud Brix Tr viii, 24.31: cSeL 68, 69.<br />

13 Hier Hom Hebr: ccL 72, 142. anche epifanio di Salamina conosce il<br />

significato di “acquisto” per cana in Pan 51, 30, 11: GcS 31, 303.<br />

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“Cana”, in quanto è una terra che è divenuta “possesso” di colui che<br />

ha ricevuto ogni potere in cielo e in terra” 14 .<br />

E Cana è in galilea, e galilea è la terra delle nazioni. Eusebio<br />

di Cesarea rimarca la scelta del miracolo avvenuto a Cana e non<br />

a Gerusalemme, perché legge il miracolo di Cana alla luce di Is 9,<br />

1-3, per affermare la priorità dei non-giudei, le nazioni, rispetto ai<br />

giudei di gerusalemme 15 .<br />

Il matrimonio di Cana offre l’occasione a gesù di manifestare<br />

questo linguaggio dell’Alleanza, unito a quello della sua realizzazione.<br />

I due sposi non sono nominati, i loro nomi sono i nomi di<br />

coloro che celebrano ogni alleanza, Dio e Adamo/Eva, Dio e Noé,<br />

Dio e Abramo, Dio e Israele, Dio/Gesù e la Chiesa. A Cana in modo<br />

specifico gli sposi sono Gesù, che in ebraico significa Salvezza, e<br />

maria, la madre di gesù, ossia la madre della salvezza. gli sposi di<br />

Cana rappresentano e significano la concentrazione di ogni alleanza<br />

con Dio.<br />

Lo sposo è la Salvezza (Yeshua), Gesù: al matrimonio di Cana<br />

è invitata la salvezza nella persona del salvatore. Alla salvezza è<br />

dichiarato che è iniziato il suo tempo per la presenza del salvatore.<br />

La sposa è la madre di gesù, la madre della salvezza, la madre<br />

del Salvatore, la “Donna”, la sua maternità, la sua vocazione a generare<br />

la salvezza-salvatore-gesù.<br />

gesù è l’Adam, mentre la madre è la madre dei Viventi, Eva.<br />

Come a nazareth, Luca ci dona la descrizione di un nuovo inizio,<br />

non più di una donna da un uomo (Gen 2), ma un uomo da una<br />

donna, non più Eva da Adamo, ma Adamo da Eva, così giovanni<br />

ci parla dell’alleanza matrimoniale della madre della salvezza con<br />

la salvezza stessa. segno che i tempi sono arrivati, e la madre della<br />

salvezza sollecita e accelera il compimento. “Non hanno più vino”…<br />

Fate tutto quello che Egli vi dirà”.<br />

In mezzo, però, ci stanno le parole dell’intesa, del matrimonio,<br />

le parole della formula del consenso matrimoniale: “Ma li ve lah,<br />

isha, (gunai)”, ossia qual è il progetto, l’affare, il compito, il piano<br />

della salvezza per il quale le nostre due persone sono implicate<br />

14 Orig Co Jo Xiii, LXii, 433: Sch 222, 272; Tr in Jo Lvii, 391-392: Sch<br />

222, 248-220.<br />

15 eus caes Dem Evang iX, 8, 7: GcS 23, 424.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

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sacra<br />

237<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

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maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

238<br />

scrittura<br />

indissolubilmente? 16 ”. Così la pensava anche Teodoro di Mopsuestia<br />

nel suo commento a giovanni 17 . se le parole di gesù fossero da leggere<br />

in modo occidentale, come un rimprovero di gesù a sua madre,<br />

quasi che essa si fosse discostata dalla sua vocazione di madre del<br />

salvatore, allora non si capisce come gesù abbia proseguito a dare<br />

esecuzione alla volontà-desiderio della madre. Le parole di gesù<br />

sono eco delle altre che Luca pone sulla bocca di gesù dodicenne,<br />

cioè fatto adulto nel Bar-Mitztvah nel tempio di gerusalemme:<br />

“Perché mi cercavate? Non sapevate forse che io devo stare nelle<br />

cose che riguardano mio Padre?” (Lc 2, 50). Parole che assumono<br />

il tono retorico, poiché denunciano la consapevolezza che Gesù sapeva<br />

bene che i suoi genitori erano altrettanto consci della missione<br />

del Figlio.<br />

Le parole di gesù alla madre sono le parole della memoria della<br />

loro Alleanza sponsale per l’incarnazione-esecuzione del Piano definitivo<br />

della Salvezza, di cui Ger 31, 31-34: “Ma questa sarà l’alleanza<br />

che stipulerò con la casa di Israele alla fine di quei giorni, oracolo<br />

del signore! Io porrò la mia torah in mezzo al loro cuore e sul<br />

loro cuore la scriverò. E io sarò per essi il loro Dio ed essi saranno<br />

per me il mio popolo” (Ger 31, 31-34, specialmente v.33). È l’Alleanza<br />

del cuore nuovo e dello spirito nuovo di cui parla Ezechiele<br />

(Ez 36, 23-28).<br />

Il Regno di Dio, compimento dell’Alleanza nuova, è assimilato<br />

da gesù a un banchetto. Ricordiamo la parabola delle vergini che<br />

vanno incontro allo sposo (Mt 25, 1-13) o quella del banchetto nuziale<br />

preparato dal re per suo figlio (Mt 22, 1-14).<br />

Gesù è il Figlio del Re (Mt 22, 1), è lo sposo, come lo dice espressamente<br />

Marco (2, 18-20: “Possono forse gli invitati a nozze digiunare<br />

mentre lo sposo è ancora con loro? Per tutto il tempo che lo<br />

sposo è con loro non possono digiunare”), che promette vino nuovo<br />

16 O forse, come vedremo nell’analisi di Gv 2,4, si tratta semplicemente<br />

di cambiare posizione al punto interrogativo, per cui in 2,4, la prima parte<br />

non sarebbe una domanda, mentre la seconda parte invece diventerebbe una<br />

domanda retorica in bocca alla Madre di Gesù, secondo il pensiero di Teodoro<br />

di Mopsuestia.<br />

17 Theod Mops Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39-40.<br />

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in otri nuovi (Mc 2, 22: “Similmente nessuno mette vino nuovo in<br />

otri vecchi, ma vino nuovo in otri nuovi”).<br />

giovanni sfrutta un fatto storico e ne trae un simbolismo teologico.<br />

se in gv 1, 29, abbiamo nelle parole del Battista la presentazione<br />

dell’identità di Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio, colui che prende<br />

su di sé i peccati del mondo”, in Gv 2, 1-11 abbiamo la presentazione<br />

del programma di Gesù, l’annuncio del suo inizio (Gv 2,11: arké) e<br />

la prefigurazione del suo compimento (Gv 13, 1: telos; sia Gv 19,<br />

28).<br />

analisi<br />

ora tentiamo di analizzare i dati interni alla pericope di gv 2,<br />

1-11 alla luce dei riferimenti giudaici e dei commenti patristici, per<br />

evidenziare il simbolismo che affiora dalla celebrazione di un matrimonio<br />

ebraico. Analizziamo pertanto gli elementi descrittivi del<br />

fatto storico delle nozze di Cana, che da giovanni sono presentati<br />

ed interpretati come annuncio simbolico del compimento del piano<br />

salvifico di Dio.<br />

Il matrimonio si<br />

celebra il giorno<br />

terzo, cioè di martedì,<br />

secondo la tradizione<br />

ebraica.<br />

In gen 1, 9-13, nel terzo giorno Dio separa l’asciutto dalle<br />

acque, la terra dal mare, e poi dà inizio alla fecondità della terra,<br />

e per due volte è dato il commento: “E Dio vide che questo era<br />

buono”. Il martedì, il terzo giorno, è un giorno particolarmente<br />

salvifico: è il giorno del sacrificio di Abramo (Gen 22, 4), del dono<br />

della Torah (Es 19, 16) 18 1. “nel terzo giorno” (gv 2, 1)<br />

, dell’intercessione di Ester (Est 5, 1).<br />

18 cf a. Serra, Contributi dell’antica letteratura giudaica per l’esegesi di<br />

Giovanni 2, 1-11 e 19, 25-27, roma 1977. f. MannS, o.c., 98. Manns<br />

menziona l’articolo di Serra che fa del Targum di es 19-24 lo sfondo giudaico<br />

di Gv 2, 1-11, con riferimento al Libro dei Giubilei 16, 17 e alla Mekilta di r.<br />

ismael, es 15,16.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

239<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

240<br />

scrittura<br />

osea 6, 2 parla del terzo giorno in cui Dio interverrà per guarire o<br />

per risuscitarci (Bibbia greca della LXX). Sappiamo come questo<br />

passo è stato letto in chiave cristiana e applicato alla resurrezione<br />

di gesù.<br />

E così abbiamo il ciclo completo del significato del terzo giorno:<br />

dal primo “terzo giorno”, quello della settimana della creazione, fino<br />

al terzo giorno, ma non più quello della settimana, il martedì, bensì<br />

il terzo giorno che concerne l’Ora della glorificazione del Signore<br />

con la sua morte.<br />

teodoro di mopsuestia, esponente della scuola letterale antiochena<br />

del secolo V, dà una spiegazione cronologica del terzo giorno.<br />

Egli dice che si tratta del terzo giorno dopo il battesimo di Gesù (Gv<br />

1, 29) e dell’incontro di giovanni e Andrea con gesù. nel secondo<br />

giorno invece sono accaduti gli incontri con Filippo e Natanaele (Gv<br />

1, 35), mentre il terzo giorno è il giorno dell’invito al matrimonio di<br />

Cana di galilea 19 .<br />

L’espressione “nel terzo giorno”, che in Gv 2, 1 è l’unica volta ad<br />

essere usata da giovanni, è una formula che nel nt rimanda all’annuncio<br />

pasquale della resurrezione 20 .<br />

In realtà se mettiamo insieme le indicazioni cronologiche che<br />

giovanni ci dà nei primi due capitoli, risulta che le nozze di Cana avvennero<br />

nel giorno settimo della prima settimana di gesù. I primi tre<br />

giorni sono indicati dall’espressione “l’indomani” di Gv 1, 29.35.43.<br />

Quindi ai primi tre giorni si aggiungono altri tre giorni (Gv 2,1) che<br />

completano i primi sei giorni della settimana 21 . L’espressione di gv<br />

2, 1 pone il numero tre in posizione “ordinale”, e quindi va tradotto:<br />

“nel terzo giorno”, dopo evidentemente i tre primi giorni descritti<br />

19 Theod. Mops. Co Jo ii, 1: cScO 62-63, 39.<br />

20 cf Mt 16,21; 13,23; 20,19; Lc 9,22; 18,33; 24,7.21.46; at 10,40;<br />

1 cor 15,4. in Giovanni si trova ancora l’espressione: “dopo tre giorni” in<br />

riferimento alla ricostruzione del tempio=corpo di Gesù: Gv 2, 19-20.<br />

21 Origene in Co Jo X, iii, 10 (Sch 157,386-387) ritiene che sei giorni dopo<br />

il battesimo avvenne l’”economia” alle nozze di cana. inoltre in quello stesso<br />

sesto giorno, dopo la celebrazione dell’ “economia” delle nozze di cana di<br />

Galilea, Gesù discese con la madre i fratelli e i discepoli a cafarnao, campo<br />

della consolazione: Orig Co Jo X, viii, 37 (Sch 157, 406) e Xiii, XXXvii, 25,<br />

1 (Sch 157,532) anche in Co Jo XXviii, fr., mentre in Co Jo Xiii, Lii, 347 (Sch<br />

222, 224-226): si parla solo di terzo giorno.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 240 04/02/13 09:39


in Gv 1, 29.35.43. Allora le nozze, che avvengono dopo i tre giorni,<br />

rispetto agli altri primi tre, si celebrano, di fatto, il giorno settimo,<br />

cioè il sabato 22 . Il matrimonio ebraico 23 si celebrava in sette giorni,<br />

da sabato a sabato. Possiamo dire che il matrimonio di Cana si colloca<br />

di sabato e nell’ultimo giorno della settimana celebrativa del<br />

matrimonio giudaico. Infatti, la numerazione della cronologia delle<br />

nozze di Cana ci riporta alla settimana della creazione (Gen 1), e<br />

il matrimonio presso gli ebrei cominciava di sabato, allorché allo<br />

sposo era chiesto di proclamare la torah nella sinagoga, per concludersi<br />

in una grande festa popolare che accoglieva tutto il villaggio,<br />

il sabato successivo, con l’incontro degli sposi, la benedizione sotto<br />

la tenda, la grande festa e la conduzione della sposa alla casa dello<br />

sposo in un corteo di fiaccole e al suono dei flauti. Se la famiglia<br />

poteva permetterselo, i due sposi erano incoronati con corone d’oro.<br />

22 J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter and Bridegroom of the Wedding at<br />

Cana: Structure and Meaning of John 2.1-12, in Journal for Studies of the N.T,<br />

30/1 (2007), p. 58-59 è per il quarto giorno, ma nello stesso tempo riporta<br />

in nota 10 le altre possibile letture: 8 giorni o 7 giorni (Barnabas Lindars) o 6<br />

giorni secondo Brodie. comunque per tutti ogni lettura rimanda a una lettura<br />

simbolica. cf anche f. MannS, o.c, 98: «Dans le cadre temporel de Jn 1,<br />

29.29.35.43 la mention du troisième jour prend un supplément de sens: elle<br />

pourrait évoquer le schéma des sept jours».<br />

23 Una parola sul matrimonio ebraico, che, al tempo di Gesù, era preparato<br />

dal fidanzamento. il matrimonio era prerogativa dei genitori che sceglievano<br />

la sposa o lo sposo secondo la convenienza generale della famiglia o del clan<br />

(cf Gen 21,21; 24,2-4.50.51.67; 34,1-7). raramente un giovane si sposava<br />

contro la volontà dei genitori (Gen 26,34-35). a volte il fidanzamento era<br />

contrattato da mediatori che restavano a digiuno fino alla conclusione degli<br />

accordi (Gen 24,33; 2cor 5,20). il fidanzamento si divideva in due tempi:<br />

la promessa di fidanzamento e il fidanzamento vero e proprio. La promessa<br />

del fidanzamento poteva avvenire anche molti anni prima dal fidanzamento<br />

vero e proprio che al momento della ufficializzazione diventava vincolante e<br />

aveva quasi gli stessi diritti e obblighi del matrimonio: era infatti accompagnato<br />

da un documento-contratto scritto o verbale (Gen 29,18). i fidanzati erano<br />

riconosciuti come marito e moglie e avevano l’obbligo della fedeltà (Mt 1,18-<br />

20) com’è evidente nel caso di Giuseppe di nazareth che non vuole che Maria<br />

sia accusata di adulterio, con la conseguente condanna alla lapidazione. i due<br />

promessi restavano nelle rispettive case e non avevano rapporti sessuali (Gen<br />

29,21). L’età del fidanzamento avveniva intorno ai 13-14 anni per lei e 18-24<br />

per lui e durava circa un anno, durante il quale il fidanzato preparava la casa<br />

e la sposa l’abito nuziale e le celebrazioni nuziale era a carico della famiglia<br />

della sposa. non era consentito il matrimonio con donne cananee, moabite e<br />

ammonite (es 34,11-12,16; Dt 23,3-4), ma era lecito quello con una schiava<br />

straniera o con una prigioniera di guerra (Dt 21,1-11).<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

241<br />

scrittura<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 241 04/02/13 09:39


sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

242<br />

scrittura<br />

Il matrimonio ebraico è sempre rievocativo del matrimonio di<br />

Dio con il suo popolo e celebra il rinnovo dell’alleanza Dio e Israele.<br />

Il matrimonio ebraico è sempre una liturgia che celebra, nell’unità<br />

dell’uomo e della donna, l’unità di Dio con Israele.<br />

Il Vangelo di giovanni è l’annuncio della nuova creazione, della<br />

nuova settimana. Il nuovo primo giorno corrisponderà, in effetti,<br />

all’ottavo giorno, il giorno della Resurrezione dello sposo nella sua<br />

Chiesa. Il Vangelo di giovanni comincia con le stesse parole della<br />

Bibbia, nella Genesi: “In principio…” (Gen 1, 1; Gv 1, 1).<br />

La nuova creazione si realizzerà nell’Eden-giardino di gerusalemme,<br />

in cui è collocata la realizzazione della <strong>Passio</strong>ne e Resurrezione<br />

dello Sposo. Il giardino (kepos, in greco, e gan, in ebraico), menzionato<br />

all’inizio, nel mezzo e alla fine del racconto della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione<br />

in Giovanni, è evocazione del giardino della Genesi: Gv 18, 1;<br />

Gv 18, 26 e Gv 19, 41; Gv 20, 15. Nel primo giardino vi era l’albero,<br />

fonte della condanna, mentre nel giardino della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione<br />

a gerusalemme fu innalzato l’albero della vita e della salvezza.<br />

L’”arké”, (Gv 1, 1) l’inizio del vangelo di Giovanni che rimanda<br />

alla creazione, a sua volta è rivolto al “telos” della Morte e della Resurrezione<br />

(Gv 13,1: li amò sino al telos, sino alla fine”.<br />

Questo rimando della creazione al giardino della <strong>Passio</strong>ne, che<br />

costituisce il contesto largo del segno di Cana, permette pure di dare<br />

una lettura pasquale dei tre giorni segnalati da gv 2, 1. I tre giorni<br />

rievocano pure i giorni del compiersi definitivo delle nozze della<br />

nuova ed Eterna Alleanza con la resurrezione dello sposo gesù.<br />

tutto il Vangelo di giovanni offre, pertanto una rilettura protologica,<br />

con la presentazione della nuova creazione, in rapporto alla<br />

<strong>Passio</strong>ne e Resurrezione. Possiamo dire che tutto il Vangelo di giovanni<br />

sia anche una grande ed estesa celebrazione eucaristica del<br />

memoriale della <strong>Passio</strong>ne-Resurrezione come nuova creazione e che<br />

trova nel capitolo 6 la sua chiave di lettura (pane di vita, mangiare la<br />

carne, bere il sangue!).<br />

Ricordiamo che giovanni per sette volte richiama la festa della<br />

Pasqua definitiva di Gesù (Gv 11, 55 (2v); 12, 1; 13, 1, 18, 28.39; 19,<br />

14). Nella Pasqua di Gesù si compie la definitiva nuova creazione<br />

con la nuova ed Eterna Alleanza.<br />

Vogliamo ricordare anche la lettura spirituale del terzo giorno<br />

proposta da Gaudenzio di Brescia. Egli lega il significato del giorno<br />

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alla luce. ora la luce è il signore. Quindi il terzo giorno è il giorno<br />

del signore secondo gv 1, 9, il giorno dello sposo celeste, gesù signore,<br />

che ama le anime che credono in lui, e che unisce a sé quale<br />

sposa la Chiesa proveniente dai pagani, cui dà l’anello del suo sigillo<br />

e gli orecchini della fede”. Allora il primo giorno è la fase della legge<br />

naturale, da Adamo a mosè, mentre il secondo giorno indica il tempo<br />

di mosè. E così il terzo giorno è l’epoca della grazia del salvatore 24 .<br />

2. i protagonisti:<br />

lo sposo e la sposa<br />

In questo matrimonio<br />

non si fa<br />

cenno alla sposa.<br />

si parla solo dello<br />

sposo in modo anonimo,<br />

e al quale si fa<br />

presente l’osservazione, carica di stupore, del vino migliore offerto<br />

alla fine della festa del matrimonio.<br />

Lo sposo è l’Adamo della prima creazione che si vede raggiunto<br />

inaspettatamente da una grazia incomparabile. La sposa, non citata,<br />

sembra rimanere nascosta dietro lo sposo, perché non ci sarebbe<br />

sposo se non ci fosse una sposa. È l’Eva ancora dentro il corpo di<br />

Adamo, che nell’unità con lo sposo condivide la gioia resa possibile<br />

da altri due protagonisti, quelli veri, quelli ricordati e sottolineati da<br />

Giovanni, come se fossero non solo madre e figlio, ma soprattutto la<br />

sposa e lo sposo. La sposa, la madre di gesù, è presentata tra l’altro<br />

già presente (“c’era”: v. 2, 1), come “stava” presso l’Ora della croce:<br />

Gv 19,25. Quindi i veri protagonisti sono la Madre di Gesù e Gesù.<br />

La Madre di Gesù, la sposa<br />

L’identità di maria, nome che tra l’altro non appare mai nel vangelo<br />

di Giovanni, è quella della “madre di Gesù” (2, 1.3.12) e “donna” (2,<br />

4), proprio come nella pericope di Gv 19, 25-27: presso la croce stava<br />

la “madre di Gesù” (19, 25: 2 volte; 19, 26: due volte; Gv 19, 27) e che<br />

da Gesù è chiamata “donna” (19, 26). Nel linguaggio familiare ebraico<br />

24 Gaud Brix Tr viii, 22-23.41: cSeL 68, 69.72.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

243<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

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SapCr XXVII<br />

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sacra<br />

244<br />

scrittura<br />

i membri di una famiglia sono rinominati alla luce delle loro relazioni<br />

di sangue. Se Gesù non è solo il figlio di Giuseppe, ma il suo nome è<br />

“Figlio di Giuseppe =Ben Josef”, così Maria non solo è la Madre di<br />

Gesù, ma anche il suo nome è “Madre di Gesù-Em Yeshua ”. Qui Giovanni<br />

è fedelissimo ai linguaggi ebraici. Egli non cita mai maria con il<br />

nome di maria, ma con l’Em Yeshua=Madre di Gesù!<br />

In oriente, infatti, e particolarmente ancora ai nostri giorni nella<br />

tradizione popolare araba, è normale chiamare la madre o il padre a<br />

partire dalla loro relazione con il figlio primogenito, o chiamare il<br />

figlio a partire dalla sua relazione con il padre e la madre.<br />

In gv 2, le nozze di Cana sono proiettate verso il compimento<br />

dell’ora della croce. In gv 2 si parla tre volte della madre di gesù e<br />

una volta di donna; mentre sotto la croce, si parla cinque volte della<br />

madre di gesù e una volta di donna.<br />

In altre parole, dei due brani mariani di giovanni il primo è introduzione<br />

del secondo, e il secondo è compimento del primo, sia per quanto<br />

riguarda l’annuncio, la teofania del sopraggiungere dell’alleanza finale<br />

di Dio con l’umanità, l’Israele senza confini in Gv 2, che ha in Gv<br />

19 il suo definitivo compimento, sia per quanto riguarda la posizione<br />

della madre di gesù. In gv 2, la madre di gesù è colei che annuncia<br />

l’Alleanza nuova ed eterna, in gv 19, è Colei che assiste alla celebrazione<br />

dell’alleanza definitiva nel Sangue del Figlio (Tutto è compiuto:<br />

Gv 19, 28) e accoglie le primizie della storia della “qehillàh”, della<br />

comunità, della Chiesa universale del Figlio, frutto del suo ministero<br />

iniziato alla presenza della Madre a Cafarnao (Gv 2, 12).<br />

Il fatto che in gv 2 maria è detta madre di gesù per tre volte, mentre<br />

in gv 19 è detta madre di gesù per cinque volte, la crescita numerica<br />

nel medesimo tema mariano, sembra affermare del primo brano (Gv<br />

2) il carattere dell’inizio, mentre del secondo (Gv 19) il carattere del<br />

compimento della presentazione della stessa identità materna di maria<br />

nei confronti di Gesù e nel contesto della glorificazione della <strong>Passio</strong>ne.<br />

maria sta al matrimonio di Cana come la regina madre che, secondo<br />

l’uso orientale presente al matrimonio del figlio, pensa ad incoronarlo,<br />

a mettergli sul capo la corona regale, come il cantico dei<br />

Cantici lo afferma di Salomone (CC 3, 11: Figlie di Gerusalemme,<br />

uscite, contemplate, figlie di Sion, il re Salomone, adorno della sua<br />

corona, con la quale sua madre l’ha incoronato il giorno del suo sposalizio,<br />

nel giorno della gioia del suo cuore”).<br />

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Quindi maria a Cana ricopre il ruolo di chi è coinvolta, per il<br />

piano di Dio, in quanto “Serva del Signore, che fa il Suo Verbo”:<br />

(Lc 1, 38), nella realizzazione delle nozze messianiche, previste in<br />

modo largo e incalzante dai profeti. Le nozze messianiche, l’alleanza<br />

nuova ed eterna si compie grazie alla presenza (c’era!) della Regina-<br />

Madre-Sposa, e grazie al suo sì (Lc 1, 38).<br />

In corrispondenza al numero tre, legato all’indicazione cronologica-teologica<br />

del terzo giorno, è ribadita per tre volte, cioè in modo<br />

corrispondente al compimento perfetto del Disegno di Dio, la presenza<br />

di maria, come la presenza di Colei che ha la chiave dell’esecuzione<br />

del piano di Dio, la realizzazione dell’Alleanza, nuova<br />

ed eterna, nel “Suo” Sangue. Senza di Lei non viene il vino nuovo,<br />

il vino del sangue del signore, il vino dello spirito. senza di Lei<br />

non ci sarà il sangue di gesù, che sostituisce il sangue dell’alleanza<br />

mosaica (Ex 24). Senza di Lei non ci sarà lo Spirito=vino su cui, secondo<br />

Geremia (Ger 31, 31-34), si fonda l’Alleanza nuova ed eterna.<br />

Ora per il fatto che l’espressione “Madre di Gesù” sia congiunto<br />

per tre volte al termine donna, l’appellativo “donna” sta come al<br />

centro di un triangolo equilatero. La donna (guné in greco-isha in<br />

ebraico) richiama la prima donna, la donna della creazione, legata<br />

intrinsecamente all’uomo, all’adam e all’ish. Prima della sua creazione<br />

da Adamo, la donna faceva parte della stessa adamah, terra,<br />

dell’Adam, primo uomo: un’alleanza sponsale dove veramente l’uno<br />

è carne e ossa dell’altro. Poi dall’adam-ish emerge la isha, la donna,<br />

la sua femminilità, la sua complementarietà all’uomo (Gen 2, 21-<br />

23), con la vocazione specifica, quella della maternità, perché Eva<br />

significa “Madre dei viventi-Havah”, mentre Adamo mantiene il<br />

nome di Adam (Gen 3,20.).<br />

La tradizione rabbinica descrive la bellezza di Eva, come la madre<br />

dei viventi. Come immagine del Dio della vita, Eva è rivestita di 24<br />

ornamenti che richiamano le perle preziose di cui parla Ezechiele<br />

riferendosi al principe di Tiro (Ez 28, 13).<br />

Il serpente sedusse Eva a motivo della sua bellezza. Ireneo 25 conosce<br />

questa tradizione giudaica in riferimento ad Eva. La madre di<br />

25 iren AH v, 19,1: Sch 153, 248-250; Dem 32-33: Sch 406, 128-130.<br />

agostino afferma che se il cristo prende il corpo da Maria, anche la sinagoga<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

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sacra scrittura<br />

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scrittura<br />

gesù sarà l’Eva, la bella, che realizzerà anche la bellezza del popolo<br />

di Israele che ai piedi del Sinai accoglie la Torah (Ex 24 ).<br />

Per giovanni, la madre di gesù è la nuova Eva, la madre dei viventi,<br />

che entra in modo indispensabile nella realizzazione non solo<br />

del matrimonio di Dio con Israele, ma di Dio con “tutti i viventi”,<br />

con tutta l’umanità. La madre di gesù a Cana riveste il ruolo di<br />

spingere gli avvenimenti verso la loro realizzazione, annunciando<br />

l’arrivo dell’ora dell’Alleanza sponsale con il sangue dello sposo,<br />

e di aprire l’Alleanza in proiezione universale, come fu predetto da<br />

geremia e da Ezechiele.<br />

nello stesso tempo, essa è la madre dei viventi, cioè di coloro<br />

che credono. L’episodio di Cana finisce, di fatto, con la creazione<br />

dei primi cinque discepoli credenti, primizia della nuova “Torah” e<br />

della nuova qehillàh fondata sulla Torah ebraica realizzata in gesù<br />

di nazareth, con la celebrazione dell’assenso in base al sangue di<br />

gesù! Cinque sono i libri della torah mosaica, come cinque sono<br />

i primi discepoli di gesù, che rappresentano la primizia del Popolo<br />

della Torah eterna, in continuità con la Torah mosaica!<br />

Per Efrem di siria, se lo sposo di Cana è gesù, la sposa non può<br />

essere che sua madre:<br />

“Gridate di gioia, voi sposi e voi spose. Benedetto il Figlio la cui<br />

madre divenne una sposa per il santo. Benedetta la festa di nozze<br />

dove tu, Cristo, eri presente: anche se il suo vino verrà a mancare<br />

all’improvviso, grazie a te sarà abbondante il nuovo” 26 .<br />

gaudenzio legato alla doppia lettura esegetica, afferma che maria<br />

secundum carnem è la madre di Cristo che intercede a Cana perché<br />

gli sposi abbiano il vino delle nozze, ma figuraliter maria rappresenta<br />

tutti i giusti dell’Antico testamento, dai quali è uscito Cristo,<br />

e che hanno interceduto per i pagani al fine di ottenere loro la letizia<br />

del vino celeste 27 .<br />

può essere considerata madre di cristo: Quaestiones in Hept 49, 16: ccL 33,<br />

367 e En in Ps 44, 12: ccL 38, 502. cf B. DeGÓrSKi, art. cit., 291.<br />

26 ephrem, Inni sulla Natività 8,18: Sch 459, 153. cf S. p. BrOcK, L’occhio<br />

luminoso. La visione spirituale di sant’Efrem, Lipa, roma 1999, 146.<br />

27 Gaud Brix Tr iX, 15-16: cSeL 68,79.<br />

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Gesù, lo sposo<br />

gesù è l’invitato con i suoi cinque discepoli. marco ci dice che<br />

il primo giorno del suo ministero messianico gesù entra nella sinagoga<br />

di Cafarnao seguito dai primi quattro discepoli raccolti lungo<br />

la riva del lago: gesù è il primo libro della Torah, e quindi il primo<br />

libro di tutta la Bibbia, mentre gli altri quattro libri sono rappresentati<br />

dai primi quattro discepoli che per la fede (Gv 1, 11) formano<br />

l’unica Torah. tutti insieme, gesù e i discepoli, sono cinque, come<br />

cinque sono i libri della torah ebraica. Le reazioni dei giudei in sinagoga<br />

saranno quelle di chi si sta convincendo di essere alla presenza<br />

di una nuova “Torah”, insegnata con Torah-autorità, non come gli<br />

scribi (Mc 1, 21-22).<br />

A Cana gesù inizia il suo ministero: è invitato Lui con la Torah,<br />

significata dai primi cinque discepoli. Davanti ad Hanna-Yohanan,<br />

sommo sacerdote emerito, Gesù sarà interrogato sulla “sua” Torah e<br />

sui suoi discepoli (Gv 18, 19), cioè sul su insegnamento della Torah.<br />

In un matrimonio preso come haggadàh-racconto e simbolo del<br />

compimento del matrimonio di Dio con il suo popolo, in Cristo e<br />

la sua Chiesa, per la celebrazione dell’Alleanza definitiva, Gesù è<br />

presentato non solo come il rabbino-interprete della Torah, ma Dio<br />

stesso che porta la Torah definitiva, quella della nuova ed eterna alleanza.<br />

gesù ci è offerto da giovanni come l’esecutore dello sposalizio<br />

e colui che, condiviso dalla sposa, dalla madre, espressione del<br />

nuovo popolo (infatti, le parole di Gesù alla Madre, di Gv 2, 4, sono<br />

parole di memoria e di condivisione del progetto di Dio da parte di<br />

entrambi, veri sposi del matrimonio definitivo), porta il segno del<br />

compimento, cioè il vino messianico, il vino del suo sangue e il vino<br />

dello spirito.<br />

se teodoro di mopsuestia commenta la partecipazione di gesù<br />

alle nozze di Cana con i suoi discepoli come la decisione di gesù<br />

di far esercitare i suoi discepoli non anzitutto nelle cose dure, portandoli<br />

con sé a questo scopo ad una festa di nozze 28 , e giovanni<br />

Crisostomo semplicemente precisa che gesù è venuto alle nozze di<br />

28 Theod Mops Co Jo ii, 2: cScO 62-63, 39.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

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scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

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sacra<br />

248<br />

scrittura<br />

Cana non per ostentare miracoli ma per fare un atto di bene 29 , gaudenzio<br />

di Brescia invita a non meravigliarsi della presenza di gesù<br />

alle nozze di Cana, perché ciò rientra nella logica dell’incarnazione<br />

del Cristo Dio, che vivendo tra gli uomini, si rese presente nelle<br />

afflizioni umane, in base a Mt 9,12 30 . Cirillo insiste nel dire che la<br />

presenza di gesù alle nozze di Cana è una benedizione e l’atto di<br />

santificazione dell’esercizio della sessualità e della procreazione, in<br />

antitesi con la maledizione di gen 3,16 31 .<br />

E Cristo venne alle nozze di Cana, anche secondo il vescovo di<br />

Brescia, per benedire il matrimonio legittimo che corrisponde all’intenzione<br />

originale del Creatore 32 . stessa idea è offerta da giovanni<br />

Crisostomo, per il quale contro le tendenze encratite e marcionite,<br />

gesù è presente alle nozze di Cana e le rallegra con il vino, proprio<br />

per dichiarare che il matrimonio non è male 33 . Per il Crisostomo è<br />

la verginità che viene, nelle nozze di Cana, a onorare con la sua<br />

presenza il matrimonio 34 , affinché, completa Teodoreto di Ciro,<br />

esaltando la verginità non si corra il rischio di disprezzare il matrimonio<br />

35 . Così pure nella scuola alessandrina, Cirillo insiste nel dire<br />

che la presenza di gesù alle nozze di Cana è una benedizione e l’atto<br />

di santificazione dell’esercizio della sessualità e della procreazione,<br />

in antitesi con la maledizione di gen 3,16 36 . Efrem il siro scrive che<br />

a Cana ha suonato l’arpa della creazione 37 . già origene 38 , ancora<br />

prima, nel III secolo, in polemica contro gli gnostici, in particolare<br />

contro Eracleone, che rifiutano la bontà del matrimonio, afferma che<br />

29 ioh crys In Jo Ho XXi, 1: pG 59, 129.<br />

30 Gaud Brix Tr viii, 2-5: cSeL 68, 64-65.<br />

31 cyril alex In Jo ii, 1-4: pG 73, 221D-225a.<br />

32 Gaud.Brix Tr viii, 10: cSeL 68, 66.<br />

33 Joh crys In Jo Ho XXii, 1: pG 95, 134.<br />

34 ioh crys In Ozias Ho iv, 3, 24-29: Sch 211.<br />

35 Theodoret cyr De incarn. 25 : pG 75, 1464 Bc.<br />

36 cyril alex In Jo ii, 1-4: pG 73, 221D-225a.<br />

37 ephrem, Hymn haer 40,7: cScO 170, 144.<br />

38 Orig Co Jo XXviii, fr.(edizione preuschen, Origenes, Der<br />

Johanneskommentar, 1903). Sebbene preuschen ritenga che questo frammento<br />

non sia di Origene, perché sembrerebbe che sia attribuita a Origene l’opinione<br />

degli ebioniti secondo cui la creazione dell’uomo e della donna avrebbe come<br />

soggetto creatore cristo.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 248 04/02/13 09:39


gesù venne alle nozze di Cana in quanto creatore dell’uomo e della<br />

donna, il quale, dopo aver plasmato Eva, l’ha condotta ad Adamo.<br />

Quindi a Cana gesù ottempera alle stesse parole pronunciate da lui<br />

in Mt 19, 6: “L’uomo non osi separare quello che Dio ha unito”.<br />

Efrem ci testimonia la tradizione siriaca che legge nel vero sposo<br />

di Cana gesù stesso. mentre la sposa è la madre:<br />

“Benedetta sei tu, Cana, perché era lo Sposo dall’alto che invitò il<br />

tuo sposo, a cui il vino venne meno; egli invitò l’Ospite che invita i<br />

popoli alla festa di nozze della gioia e della vita nell’Eden” 39 . mentre<br />

l’anima è la sposa e il corpo la stanza nuziale, gli invitati sono i sensi<br />

e i pensieri, mentre la Chiesa è il banchetto nuziale 40 .<br />

Anche per Agostino il vero sposo di Cana è Gesù. “Cosa c’è di<br />

strano che si rechi alle nozze in quella casa, lui che è venuto a nozze<br />

in questo mondo? Se infatti non fosse venuto a nozze, non avrebbe<br />

qui la sposa”. E poi, basandosi su 2 Cor 11, 2-3, prosegue: “Il Signore<br />

ha qui una sposa che egli ha redento con il suo sangue, e a<br />

cui ha dato in pegno lo spirito santo. L’ha strappata dalla schiavitù<br />

del diavolo, è morto per i peccati di lei, è risorto per la sua salvezza.<br />

Chi mai offrirebbe alla sua sposa doni così grandi? Il Signore invece<br />

muore sicuro, dà il suo sangue per colei che sarà sua dopo la resurrezione,<br />

colei cui si era già unito nel seno della Vergine. Il Verbo è<br />

lo sposo, infatti, e la sposa è la carne umana; ed entrambi sono un<br />

solo Figlio di Dio, un solo e medesimo Figlio dell’uomo. Il seno<br />

della Vergine è il letto nuziale dove egli divenne capo della Chiesa, e<br />

donde si leva come lo sposo dal suo letto nuziale, come la scrittura<br />

aveva predetto: “Esce come uno sposo dal suo letto nuziale, lieto,<br />

come un eroe, di percorrere la via” (Ps 18, 6) Egli è uscito dal letto<br />

nuziale come uno sposo e, invitato, viene a nozze” 41 . Agostino ha di<br />

mira le nozze del Verbo con l’umanità, nozze che si celebrano già nel<br />

corpo di maria. E intanto precorre i linguaggi cristologici di Efeso.<br />

39 ephrem, Inni sulla Verginità 16,2 (tr. S. p. BrOcK, L’occhio luminoso. La<br />

visione spirituale di sant’Efrem, Lipa, roma 1999, p.141). cf anche Inni sulla<br />

verginità 33,4 (BrOcK, o.c., 141-142). Inni sulla Fede 14, 1-5 (BrOcK o.c.,<br />

142-143)<br />

40 cf ephrem, Inni sulla fede 14, 1-5 (BrOcK o.c., 142-143).<br />

41 aug Tr Jo viii, 4-5: ccL 36, 83-84: “verbum enim sponsus, et sponsa caro<br />

humana…de thalamo processit velut sponsus, et invitatus venit ad nuptias” (Tr in<br />

Jo viii, 4: ccL 36, 84).<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

249<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

250<br />

scrittura<br />

Il mistero dell’incarnazione in maria fa sì che il Verbo sia e Figlio<br />

di Dio e Figlio dell’uomo, ma un solo Figlio e di Dio e dell’uomo.<br />

E ancora Agostino ribadisce: “Il Signore dunque accettò l’invito ed<br />

andò a nozze, per confermare la castità coniugale, e palesare il mistero<br />

(sacramentum) che è figurato dal matrimonio: in quello sposo<br />

delle nozze era figurata la persona del Signore, cui fu detto: “Hai<br />

riservato il buon vino fino a questo momento, cioè il Vangelo” 42 .<br />

La medesima lettura si ritrova in Cirillo di Alessandria, per il quale<br />

le nozze di Cana sono le nozze del Logos con l’umanità: “Il Logos<br />

di Dio è disceso dal cielo. Come lui stesso lo dichiara in un passo, al<br />

fine di persuadere la natura umana, che aveva resa propria, a ricevere<br />

in sé i semi spirituali della saggezza. Per questo giustamente l’umanità<br />

è detta “sposa” e il Salvatore “sposo”, perché la divina Scrittura<br />

eleva il suo discorso dalla nostra realtà a una comprensione che ci<br />

supera. Il matrimonio accade il terzo giorno che rappresenta l’inizio,<br />

la metà e la fine” 43 .<br />

Pure gaudenzio di Brescia parla di matrimonio di Cristo con la<br />

Chiesa, al momento in cui Cristo le offre il vino nuziale 44 .<br />

origene sovrappone alla historia la lettura teologico-allegorica<br />

del brano di Cana, unendo questo al secondo episodio di Cana che<br />

vede gesù operare un secondo miracolo, quello della guarigione a<br />

distanza del servo del funzionario regio di Cafarnao (Gv 4, 43-54).<br />

origene mette in parallelo entrambi gli episodi, il miracolo della<br />

trasformazione dell’acqua in vino è allegoria della prima venuta di<br />

gesù con l’incarnazione, mentre il miracolo della guarigione del<br />

servo è allegoria della seconda venuta di gesù nel tempo del giudizio.<br />

I convitati alle nozze sono figura di tutte le Nazioni, mentre<br />

il servo del funzionario regio è figura del popolo ebraico, l’ultimo a<br />

essere salvato alla fine dei tempi.<br />

42 aug Tr Jo iX, 2: ccL 36, 91.<br />

43 cyril alex In Jo II, 11-13: pL 73, 228-229.<br />

44 Gaud Brix Tr viii, 31 : cSeL 68, 69.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 250 04/02/13 09:39


3. il Vino messianico,<br />

il vino delle nozze:<br />

“Non hanno più vino!”<br />

(gv 2, 3)<br />

La madre di<br />

gesù dice:<br />

“Non hanno<br />

più vino” (Gv 2, 3).<br />

L’affermazione della<br />

madre di gesù solleva<br />

una mentalità che af-<br />

fonda le radici nella letteratura antico- testamentaria, investe il tema<br />

del vino nel nuovo testamento, ed è accolta dai padri come simbolica<br />

eucaristica. nel brano di gv 2,1-11 la parola vino ritorna ben<br />

cinque volte. Questo dice l’importanza teologico-simbolica rimarcata<br />

dall’autore del IV Vangelo.<br />

Il vino è simbolo della gioia messianica (Ps 104, 14) o della letizia<br />

spirituale, ricorda gaudenzio di Brescia 45 . Il profeta Amos parla<br />

dell’abbondanza del vino quando si sarebbe stabilita l’alleanza (Am<br />

9, 13-14). Il profeta osea aggiunge che la qualità del vino nuovo<br />

sarebbe stata superiore a quella del vino del Libano (Os 14, 8). Isaia<br />

diceva che nel banchetto escatologico il vino sarà abbondante e dato<br />

gratuitamente (Is 25, 6; 55, 1). Nell’Apocalisse di Baruch si dice<br />

che ai giorni del messia le vigne produrranno mille pampini ed ogni<br />

pampino mille grappoli d’uva 46 .<br />

Ed è la madre che si occupa di far realizzare l’alleanza, il matrimonio<br />

definitivo: “Non hanno più vino” (Gv 2, 3).<br />

Un’immagine cara ai profeti è quella del popolo-vigna (cf Is 5, 7<br />

riflettuto in Ps 80).<br />

si parla per la prima volta di vino nella Bibbia con l’alleanza conclusa<br />

da Dio con Noè: (Gen 9, 20-21). Noè piantò la vigna e bevve<br />

di quel vino. secondo il targum 47 la pianta della vite veniva dal Paradiso.<br />

Il diluvio l’aveva sradicata. Ancora il targum suggerisce che<br />

dopo aver creato la vite Dio volle mettere da parte del vino, sotto il<br />

suo trono, per i tempi del messia. La missione del messia sarebbe<br />

stata appunto quella di dare questo vino conservato da Dio 48 . I grap-<br />

45 Gaud Brix Tr viii, 6: cSeL 68, 66: virtus laetitiae spiritalis.<br />

46 cf 2 Bar 29, 5-8: Sch 144, 483.<br />

47 cf J. BOWKer, The Targum and rabbinic literature. An introduction to the<br />

Jewish interpretation of Scriptures, cambridge 1969, 173-175.<br />

48 cf il Targum di ct 8,2.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

251<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

252<br />

scrittura<br />

poli di Ebron saranno i segni della ricchezza della terra Promessa<br />

(Nm 13, 23; Dt 7, 13; 28, 51).<br />

L’insediamento nella terra sarà dato dall’abbondanza di vigneti<br />

e di vino (Am 9, 13-14). Ci sarà molto vino nelle nozze di Jhwh con<br />

il suo popolo, come assicura Osea (Os 14, 8). Il Cantico dei Cantici<br />

evoca le grazie della sposa che sono espresse dalla dolcezza inebriante<br />

del vino (Ct 2,4). Il Midrash CtR 2, 4, 1 49 dice che lo sposo<br />

ha introdotto la sposa nella cantina, nella casa del vino. nello stesso<br />

testo midrashico si legge che il monte sinai era come una grande<br />

cantina dove era riposto il vino della Torah, perché la Torah è il vino,<br />

infatti, la Torah e il vino rallegrano il cuore dell’uomo (Cf anche CtR<br />

1,2,7 50 ).<br />

Anche l’identità del messia, della tribù di giuda, sarà legata al<br />

vino nella benedizione di Giacobbe: “Egli lega alla vite il suo asinello<br />

e a scelta vite il figlio della sua asina, lava nel vino la veste e<br />

nel sangue dell’uva il manto” (Gen 49, 11).<br />

Nel Targum di Gen 49, la figura del Messia è legata al vino: “Le<br />

sue vesti sono bagnate nel sangue, è simile a chi pigia l’uva. Come<br />

sono belli gli occhi del re Messia, come il vino puro” 51 .<br />

Nel libro del Siracide la vite è assimilata alla sapienza (Sir 24,<br />

17-18), mentre il vino delle quattro coppe del seder pasquale corrispondono<br />

alle quattro espressioni della redenzione di Israele che si<br />

trovano in Ex 6, 6: “…Vi farò uscire dalle fatiche di Egitto, vi libererò<br />

dalla loro schiavitù, e vi riscatterò con braccio teso e con grandi<br />

prodigi”, secondo l’esegesi di Rabbi Banaya.<br />

Ireneo di Lione menziona che “i presbiteri che videro Giovanni, il<br />

discepolo del signore, ricordano di aver udito da lui come il signore,<br />

a proposito dei tempi, insegnava e diceva: verranno giorni in cui nasceranno<br />

vigne, con diecimila viti ciascuna. ogni vite avrà diecimila<br />

tralci e ogni tralcio diecimila poppaioni. ogni poppaione avrà die-<br />

49 Song of songs. An analytical translation (by J. neusner), Brown Jewish<br />

Studies 197, atlanta 1989, p. 160. Midrash Rabba, Song of the Songs II,4 (tr.<br />

M. Simon),The Soncino press, London-new York, 102-103.<br />

50 Songs of Songs. An analytical translation (by J. neusner), Brown Jewish<br />

Studies 197, atlanta 1989, p.69-71. Midrash Rabba, Song of the Songs I, 2, 7<br />

(tr. M. Simon),The Soncino press, London-new York, 35.<br />

51 cf J. BOWKer, The Targum and rabbinic literature. An introduction to the<br />

Jewish interpretation of Scriptures, cambridge 1969, 278.284.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 252 04/02/13 09:39


cimila pampini, e ogni pampino diecimila grappoli. ogni grappolo<br />

avrà diecimila acini e ogni acino spremuto darà venticinque metrete<br />

di vino. Quando uno dei santi prenderà un grappolo, un altro grappolo<br />

griderà: Prendi me, io sono migliore e per mio mezzo benedici<br />

il Signore” 52 .<br />

Per Ippolito di Roma, commentando la benedizione di Neftali: “Il<br />

vino è la potenza dello Spirito Santo” 53 . Anche gaudenzio di Brescia<br />

dirà che il vino mancante era il vino dello Spirito Santo, perché<br />

“non c’era alcuno che fosse in grado di dissetare con il vino spirituale<br />

le genti assetate, ma si attendeva il signore gesù che riempisse<br />

mediante il battesimo col vino nuovo otri nuovi” 54 . gaudenzio precisa<br />

che con il venir meno dei profeti nel popolo di Israele il popolo<br />

ebraico non aveva più il vino, cioè lo spirito santo. non potendo<br />

quindi dar da bere ai pagani, venne gesù a riempire di vino nuovo,<br />

di spirito santo, i nuovi otri, le nazioni, i non ebrei, grazie al battesimo<br />

55 .<br />

Per il libro dei Proverbi il vino è anche simbolo della Parola e<br />

della sapienza generata dalla Parola (Pr 9, 5-6). Quindi la mancanza<br />

di vino indica la mancanza della Parola, la mancanza della sapienza,<br />

e del maestro-profeta che la possa offrire (Ps 74, 9). Gesù è venuto a<br />

portare il vino della Parola e della sapienza, inaridite nel giudaismo<br />

rabbinico al tempo di gesù. oppure come afferma origene, l’acqua<br />

trasformata in vino è la trasformazione compiuta da Cristo della lettera<br />

della scrittura in spirito 56 .<br />

52 iren AH v, 33, 3: Sch 153, 414-415.<br />

53 Hipp rom Bened Patriar (Gen 49, 21), XXv: pO 27, 98.<br />

54 Gaud Brix Tr viii, 46-47: cSeL 68, 73. cf B. DeGÓrSKi, Le nozze di Cana<br />

nell’esegesi di San Gaudenzio di Brescia, in Vox Patrum 23 (44-45/2003) ,<br />

293. cf B. DeGÓrSKi, art. cit, 293-294.<br />

55 Gaud Brix Tr viii, 46-47: cSeL 68,73. il medesimo pensiero era già stato<br />

espresso da Origene per il quale in Princ i 3,7: GcS 58,22, gli otri sono<br />

immagine dell’uomo nuovo aperto a ricevere la grazia dello Spirito Santo.<br />

all’identificazione degli otri nuovi con gli uomini nuovi e del vino nuovo con lo<br />

Spirito Santo si allineano sia Massimo di Torino in Serm 28, 3, sia agostino,<br />

per il quale il vino nuovo è lo Spirito dato il giorno di pentecoste, Serm 267:<br />

pL 38,1230. Stessa idea di agostino si ritrova in Gerolamo (Jeron Adv Iovin i,<br />

30: pL 23,265).<br />

56 Orig Co Jo Xiii, 438: Sch 222, 272. cf anche il commento di H. De<br />

LUBac, Storia e Spirito. La comprensione della Scrittura secondo Origene,<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

253<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

254<br />

scrittura<br />

E Origene insiste nel suo commento al Cantico dei Cantici: “Il<br />

vino che è prodotto dalla vera vite è sempre nuovo, sempre. grazie<br />

al progresso di coloro che imparano, si rinnova la conoscenza della<br />

sapienza e della scienza divina”. Origene allude alla perfezione<br />

di chi ormai è posseduto dalla dolcezza del vino maturo, che è il<br />

sangue del nuovo testamento, in quanto il Logos, gesù, è la vera<br />

vite: “Così finalmente offre loro la dolcezza della maturità, fino a<br />

condurli ai torchi dove si espande il sangue dell’uva, il sangue del<br />

nuovo testamento, per essere bevuto al piano superiore nel giorno<br />

di festa, là dove è stata preparata una grande mensa. Così bisogna<br />

che procedano attraverso graduali progressi coloro i quali, iniziati<br />

per mezzo del sacramento della vite e del grappolo di cipro, vanno<br />

alla perfezione e desiderano bere il calice del nuovo testamento ricevuto<br />

da Gesù” 57 . Il passaggio all’Eucaristia è evidente, ma non<br />

solo come passaggio al sacramento, ma come passaggio al banchetto<br />

della piena sapienza espressa dall’Eucaristia, a cui il vino di Cana<br />

rimanda.<br />

Infatti, Efrem il siro insisterà soprattutto sulla lettura eucaristica<br />

della trasformazione dell’acqua in vino a Cana di galilea, in quanto il<br />

signore ha fatto gustare un pane e un vino transitori, per suscitare in<br />

essi il desiderio del suo corpo e del suo sangue”, e in modo gratuito,<br />

perché si fosse attirati gratuitamente dal bene inestimabile dell’Eucaristia<br />

che non poteva essere pagato ad alcun prezzo. “Infatti, ha<br />

nascosto la dolcezza nel vino che aveva prodotto per indicare ai convitati<br />

che tesoro magnifico sia nascosto nel suo sangue vivificante”.<br />

L’acqua trasformata in vino fu per donare il primo segno che il suo<br />

sangue sarebbe stato di gioia per tutte le nazioni. E da questa lettura<br />

della destinazione universale del sangue di Cristo, Efrem aggiunge<br />

un completamento per l’ambito ebraico: “L’acqua cambiata in vino<br />

paoline, roma 1971, p. 550. anche per eusebio di cesarea, la trasformazione<br />

dell’acqua in vino è simbolo del passaggio dall’antico al nuovo Testamento,<br />

passaggio dalla realtà carnale a quella spirituale: Dem Evan iX, 8, 7: GcS<br />

23, 424. anche cirillo di alessandria dice che la mancanza del vino è propria<br />

della Legge, mentre il vino sono i divini insegnamenti della dottrina evangelica:<br />

Co in Jo ii, 13 : pG 73, 229B.<br />

57 Orig Co CC ii, 6-8 in cc 1,14: Sch 375,459.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 254 04/02/13 09:39


nelle anfore era il simbolo del primo comandamento portato alla<br />

perfezione” 58 .<br />

Ireneo, già nel II secolo, metteva in relazione il vino creato da<br />

Dio, rispetto al quale il vino creato dal Verbo a Cana era migliore.<br />

Gesù a Cana trasse il vino dall’acqua come moltiplicò i pani, perché<br />

fossero il cibo e la bevanda per tutto il genere umano negli ultimi<br />

tempi 59 .<br />

A gerusalemme, a metà del IV secolo, Cirillo conosce l’idea<br />

eucaristica della trasformazione dell’acqua in vino e del vino nel<br />

sangue, perché “ai compagni dello sposo egli dà ora di godere del<br />

suo corpo e del suo sangue” 60 .<br />

Più tardi, nel V secolo, Pietro Crisologo riconosce nel vino il<br />

segno dell’Eucarestia 61 , mentre Agostino ritiene che il buon vino<br />

conservato per la fine delle nozze è il Vangelo 62 .<br />

4. “cosa è in comune<br />

tra me e te, donna (?).<br />

non è giunta la mia ora<br />

(?)(gv 2, 4)<br />

La madre di<br />

gesù nel dire<br />

al Figlio. “Non<br />

hanno più vino”(Gv<br />

2,3) dimostra ben più<br />

di una pura consapevolezza<br />

che gesù avrebbe<br />

potuto risolvere il pro-<br />

blema imbarazzante che era emerso a Cana, con uno strepitoso miracolo,<br />

come nota nel suo commentario giovanni Crisostomo 63 ,<br />

e anche Efrem il siro 64 , anche se il miracolo della trasformazione<br />

dell’acqua in vino effettivamente accadde. La cosa più significativa<br />

di Cana non è il miracolo del vino, per cui, ad una lettura diremmo<br />

58 ephrem, Comm Diat Xii, 1-2: Sch 121, 213-214<br />

59 iren, AH iii, 11, 5: Sch 153, 152-154.<br />

60 cyril Jerus Cat iv/XXii, 2, 2: Sch 126, 136-137.<br />

61 petrus chrys Serm 160: pL 52, 622 B.<br />

62 aug Tr Jo iX, 2: ccL 36, 91.<br />

63 Joh chrys, In Jo Ho XXi, 2: pG 59, 130 (ebouleto gar … eauten lamproteran<br />

poiesai dià tou paidòs).<br />

64 ephrem, Diat v, 10: Sch 121, 111.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

255<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

256<br />

scrittura<br />

superficiale, emergerebbe il problema dell’opportunità o dell’audacia<br />

della madre di gesù nel chiedere e strappare in quella circostanza<br />

un miracolo. In realtà possiamo cogliere il significato di<br />

Cana, dopo il tentativo di lettura delle parole espresse nella risposta<br />

di gesù a sua madre in gv 2,4.<br />

Come già l’abbiamo affermato, possiamo avere due letture, una<br />

polemica, quella maggiormente seguita, e quella di impronta positiva.<br />

“Cosa c’è in comune a te e a me, donna? Non è giunta la mia ora”<br />

(lettura polemica)<br />

“Ciò che appartiene a te appartiene a me, donna. Non è forse<br />

giunta la mia ora?”(lettura positiva).<br />

mai come questa obiezione di gesù è stata staccata dal suo naturale<br />

e familiare contesto semita e biblico. sembra che la traduzione<br />

greca dall’ebraico/aramaico originale abbia favorito un’interpretazione<br />

riduttiva, fino a renderla un rimprovero da parte di Gesù nei<br />

confronti della madre. ma nulla di tutto questo 65 . Una semplice lettura<br />

del testo greco alla luce di quello che sarebbe potuto essere stato<br />

il testo originale ebraico/aramaico, può suggerire non solo una interpretazione<br />

positiva di queste parole di gesù, ma, anzi, la risposta di<br />

gesù suonerebbe come l’annuncio che il Figlio fa alla madre del loro<br />

mutuo consenso circa il comune piano di salvezza che vede Cana<br />

come il luogo dell’inizio della sua realizzazione. mentre il Figlio è<br />

l’esecutore del compimento degli ultimi tempi, la madre diventa lo<br />

strumento, esattamente la “mediatrice” del compimento dell’Ora di<br />

Gesù. Per cui, non solo la Madre fa bene a ricordare che sono finiti i<br />

65 Questa espressione di Gv 2,4 è stata studiata da a. GOMeZ fernanDeZ,<br />

Ti moi kai soi. Que hay entre tu y yo? Jo 2,4a. Nuevas perspectivas, Salamanca<br />

2003. prima di lui da p. GaecHTer, Maria in Erdenleben, innsbruck 1953,<br />

155-200; da J.cOrTeS QUiranT, “Las bodas de Caná”: la respuesta de Cristo<br />

a su Madre (Jn 2,4), in Marianum 20 (1958), 157-158; da M. peinaDOr, La<br />

respuesta de Jesús a su Madre en las Bodas de Caná, in Eph Mar 8 (1958),<br />

61; da ch.p.cerOKe, The problem of ambiguity in John 2,4, in Catholic<br />

Biblical Quartely 21/3 (1959), 316-340, il quale esamina in dettaglio il<br />

possibile dilemma del diniego o dell’assenso espresso nelle parole di risposta<br />

di Gesù a sua Madre; e anche da W. H. riTva, The Mother of Jesus at Cana: a<br />

social-science interpretation of John 2:1-12, in Catholic Biblical Quartely 59/4<br />

(1997), 679-692. e più recentemente da J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter<br />

and Bridegroom of the Wedding at Cana: Structure and Meaning of John 2.1-<br />

12, in Journal for Studies of the N.T, 30/1 (2007), 55-73.<br />

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tempi dell’attesa (Non hanno più vino!), ma Gesù ricorda alla Madre<br />

che questo era “l’affare da portare a termine insieme”.<br />

L’espressione: ti emoi kai soi, gynai; oupo ekei e ora emou, τί<br />

μοˆ καˆ σο† γÚνα‡ οßπω ¼κει ¹ éρα μου, corrispondente all’ebraico:<br />

ma li va lakh… מַ ה־לִּ ֣ י וָלָ֔ ך, nel nt torna in mt 8, 29, mc 1, 24,<br />

Mc 5,7, Lc 16, 10 e Lc 8, 28, mentre nella LXX la troviamo in Gs<br />

22,24; Gd 11, 12; 2 Sam 16, 10; 19, 23; 1 Re 17, 18; 2 Re 3, 13; 2 Cr<br />

35, 21 e in Esdra 1, 24.<br />

Come osserva Matand Bulembat, la decifrazione del significato<br />

dipende molto dal contesto, o positivo o polemico66 . se il contesto<br />

è positivo il significato è: quello che è mio è tuo. se il contesto è<br />

polemico il significato viene ad essere: che c’entri tu con me? Ma<br />

tutto fa pensare che tra gesù e sua madre non ci fosse nessun momento<br />

polemico o di incomprensione. Anzitutto essa non avrebbe<br />

detto con sicurezza ai servi di fare tutto quello che il Figlio avrebbe<br />

loro detto (Gv 2, 5). Inoltre il fatto che effettivamente Gesù dia un<br />

doppio comando positivo ai servi di riempire di acqua le anfore e di<br />

portarle al maestro di tavola (Gv 2, 7-8) fa supporre che esistesse una<br />

perfetta intesa tra gesù e sua madre. Entrambi erano ben convinti<br />

che era giunta l’ora, l’inizio dell’ora di gesù, quell’ora che avrebbe<br />

raggiunto il suo compimento sulla Croce (Gv 13, 1 e Gv 19, 28). L’evangelista,<br />

poi, enfatizza l’accaduto e il risultato dell’intesa di gesù<br />

e sua Madre, annotando alla fine che quello fu il primo dei segni<br />

con i quali Gesù manifestò la sua gloria (Gv 2,11). Cana è il piccolo<br />

pezzetto di terra in cui Dio manifesta l’inizio del suo acquisto redentivo<br />

dell’umanità interna con la gloria della croce. non c’è stata<br />

nessuna opera di convincimento da parte della madre nei confronti<br />

del Figlio, tanto meno essa si sarebbe lasciata spingere dall’idea positiva<br />

di dire a tutti chi fosse suo Figlio e la sua potenza. sarebbe<br />

stato troppo poco. giovanni invece illumina la perfetta alleanza tra<br />

la madre e il Figlio, impegnati entrambi a dare inizio all’ora della<br />

gloria della croce.<br />

Dall’espressione di gv 2,4, riletta in modo positivo e in una stupenda<br />

coerenza teologica con tutto il contesto, emerge l’unità per-<br />

66 J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter and Bridegroom of the Wedding at<br />

Cana: Structure and Meaning of John 2.1-12, in Journal for Studies of the N.T,<br />

30/1 (2007), 65.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

257<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

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sacra<br />

258<br />

scrittura<br />

fetta di madre e Figlio, e, a questo punto, di sposa e sposo, uniti<br />

nella celebrazione, come nuova Eva e nuovo Adamo, delle nozze<br />

dell’alleanza nuova, piena ed eterna. “Ma li valah, isha!” (= ti moi<br />

kai soi, gunai), potrebbe essere stato il pensiero e l’espressione<br />

ebraica trasmessi in greco, il greco parlato da un giudeo. In altre<br />

parole Gesù dice a sua Madre in modo affermativo: “Ciò che è mio<br />

è tuo, o donna; non è forse giunta la mia Ora?”, con la necessaria<br />

trasposizione della domanda dalla prima parte alla seconda parte del<br />

versetto di gv 2,4. La prima parte è una affermazione, mentre la seconda<br />

parte diventa come una domanda retorica 67 .<br />

non è secondario. Infatti, ricordare che a partire dalla particella<br />

oupo, οßπω, che introduce il secondo lemma di Gv 2,4, questo diventa<br />

una interrogativa retorica e non una sentenza negativa 68 , per<br />

cui gesù conferma di condividere il pensiero di sua madre, in quanto<br />

è giunta l’ora dell’inizio della sua missione che si concluderà con<br />

l’Ora della glorificazione della <strong>Passio</strong>ne. Gesù chiede pertanto in<br />

modo retorico: “ Non è forse giunta mia ora”.<br />

L’uso di “donna” per riferirsi alla Madre è spiegabile solo con<br />

l’alta considerazione che prende questo nome nell’ebraico isha, che<br />

non solo significa donna, ma è il modo comune quotidiano di indicare<br />

la moglie, la sposa da parte del marito. È vero che l’uso di<br />

donna da parte di gesù in altri contesti evangelici sembra essere legato<br />

a contesti più negativi che positivi (cf Gv 8, 10; Gv 20, 13 o in<br />

Mt 15,28; Lc 13, 12; Lc 22, 57), ma non in Gv 4, 21 e soprattutto in<br />

Gv 19, 26 e Gv 20, 15.<br />

Chiaramente gv 2, 4 è associato a gv 19, 26, rispettivamente l’inizio<br />

e il compimento dell’ora: dove la madre di gesù sembra essere<br />

67 anche esegeti contemporanei come M.e. BOiSMarD (Du baptême à<br />

Cana (Jo I, 19- II, 11), paris 1956, 151-154) e a. vanHOYe (Interrogation<br />

johannique et exégèse de Cana, Jn 2, 4, in Bib 55 (1974), 157-167) sono sulla<br />

stessa linea, per cui il primo lemma di Gv 2,4 è una affermazione di consenso<br />

e il secondo è una interrogazione.<br />

68 cf f. BLaSS- a. DeBrUnner, Grammatik des neutestamentlichen<br />

Grieschich, Göttingen 1976/14, n .476, 3,3; cf anche ch. p. cerOKe, The<br />

problem of ambiguity in John 2,4, in Catholic Biblical Quartely 21/3 (1959),<br />

326.<br />

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considerata da Gesù come la “sposa”. La madre-sposa in Gv 2, 4 e la<br />

sposa-madre in gv 19, 26 69 .<br />

Gaudenzio di Brescia afferma che “La Madre di Gesù non avrebbe<br />

mai detto ai servi :“Fate quello che egli vi dirà”, se, essendo ricolma<br />

di spirito anche dopo il parto divino, non solo avesse conosciuto la<br />

potenza della risposta di Cristo, ma anche non avesse previsto l’intero<br />

disegno secondo cui egli avrebbe mutato l’acqua in vino. Quale<br />

sapienza poteva mai rimanere nascosta alla madre, che era stata capace<br />

di porre Dio nel suo seno e che era la dimora degnissima di così<br />

grande virtù?...Questa Madre del Signore dunque intercedette per<br />

noi pagani presso l’Eterno Figlio di Dio e figlio suo secondo la carne,<br />

affinché concedesse a noi bisognosi la gioia del vino celeste” 70 .<br />

La madre, infatti, ha compreso benissimo gesù, e continua il suo<br />

compito di mediazione, trasmettendo agli inservienti l’ordine di fare<br />

quello che avrebbe detto loro di lì a poco gesù. gesù acconsente<br />

alla madre compiendo un segno che pertanto non anticipava l’ora,<br />

bensì segnava l’inizio dell’ora. L’ora di gesù sarebbe stata quella<br />

della glorificazione attraverso la morte e la resurrezione (cf Gv 1, 1),<br />

per cui il segno di Cana segna l’inizio di cui la croce sarebbe stato il<br />

compimento. La finalità era quella del sigillare con il vino-Sangue<br />

di gesù la nuova ed Eterna Alleanza profetizzata da geremia. Cana<br />

non è prefigurazione o anticipazione, è l’inizio, l’inizio dei segni<br />

dello sposalizio. Cana è il primo segno che porta a credere all’inizio<br />

del matrimonio che Dio celebra con Israele allargato fino a comprendere<br />

tutti i go’im, tutte le nazioni del mondo.<br />

teodoro di mopsuestia, della scuola delle esegesi letteralista di<br />

Antiochia dell’inizio del V secolo, sembra muoversi in questa direzione<br />

nella sua lettura di gv 2, 4. secondo lui il punto interrogativo<br />

non va messo nella prima parte della risposta di gesù, ma nella seconda,<br />

per cui si deve leggere così: “Perché mi solleciti e insisti con<br />

me, o donna, non è forse giunta la mia ora? Non pensare che in me<br />

69 in questa interpretazione di Gv 2, 4, ci sentiamo totalmente dissociati<br />

dal pensiero di J.B. MTaMD BULeMBaT, Head-Waiter and Bridegroom of the<br />

Wedding at Cana: Structure and Meaning of John 2.1-12, in Journal for Studies<br />

of the N.T, 30/1 (2007), 67-68. a questo arriviamo proprio in considerazione<br />

del linguaggio ebraico soggiacente al testo di Gv 2,4 e di cui il testo greco è<br />

una traduzione.<br />

70 Gaud Brix Tr iX, 14 : cSeL 68, 79.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

259<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

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sacra<br />

260<br />

scrittura<br />

siano distinti i momenti del pensiero e dell’operare, come accadeva a<br />

mosè, il quale a seconda delle necessità dei riceventi dava la manna,<br />

la carne, e poi fece scaturire l’acqua dalla pietra”. In Gesù, -continua<br />

teodoro-, è sempre presente il potere di fare quando e come vuole,<br />

e questo non è condizionato da nessuna contingenza. Quindi gesù<br />

non si lascia muovere nel caso di Cana dal pretesto della mancanza<br />

del vino, come se il suo potere di compiere il miracolo dipendesse<br />

da una contingenza, cioè dalla mancanza del vino, ma perché egli ha<br />

la potenza di operare che può sovvenire alla necessità contingenti 71 .<br />

La Madre di Gesù, sposa di Gesù-sposo, è identificata da Giovanni<br />

come la madre, mediatrice, che permette la realizzazione del<br />

matrimonio della Nuova Alleanza, dal suo inizio (Gv 2, 1-11) al suo<br />

compimento (Gv 19, 25-30). In Gv 2, 11 cogliamo il termine “inizio”<br />

inizio dei segni”, mentre in Gv 19,28 troviamo “tetelestai”, il verbo<br />

del compimento: “Tutto è stato compiuto”, quindi Gesù diede lo Spirito<br />

della nuova ed Eterna alleanza. nella sua morte gesù dà tutto il<br />

suo sangue (Gv 19, 34) e il suo Spirito (Gv 19, 30.34 “acqua dello<br />

Spirito”).<br />

Contro questa tesi, ricordiamo la lettura polemica di Ireneo di<br />

Lyon, per il quale maria avrebbe chiesto qualche cosa di intempestivo,<br />

per cui con la sua risposta gesù avrebbe voluto respingere la<br />

richiesta della madre, che avrebbe voluto in questo modo anticipare<br />

in modo inopportuno l’Ora che il Padre aveva fissato per il suo Figlio.<br />

E a riprova di questa lettura Ireneo si rifà a Gv 7, 30: “Nessuno<br />

mise le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora” 72 .<br />

71 Theod Mops Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39-40: “Sensu contrario legendum<br />

est hoc: Nondum venit hora mea? id est: quare me sollicitas et quid molesta es<br />

mihi? noli cogitare distincta mihi adesse momenta cognitionis atque operum,<br />

prout contingebat Moysi…Haud ita mihi contingit. Semper adest mihi potentia<br />

operandi quandocumque et quomodo voluero…et non e contrario quia potens<br />

sum, ideo haec necessitas locum haberet ». e ancora: Theod Mops Co Jo ii,<br />

7: cScO 62-63, 40: “Si autem verba: Nondum venit hora mea, imperative<br />

seu definite essent dicta, prout quidam putaverunt, perinde acsi recusaret<br />

opus facere, destitisset mater eius; neque e contrario, ut oboedirent ei ministri<br />

praecepisset ».<br />

72 iren AH iii, 16, 7: Sch 211, 314-316.<br />

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teodoro di mopsuestia respinge invece proprio questa lettura di<br />

Ireneo commentando che gesù era libero di non seguire la legge dei<br />

tempi essendo il creatore del tempo 73 .<br />

Anche giovanni Crisostomo, appartenente alla stessa scuola esegetica<br />

antiochena, rimarca il fatto che gesù non era sottomesso alle<br />

leggi del tempo, in quanto creatore dei tempi e dei secoli 74 . Inoltre<br />

rileva il rispetto di gesù verso la madre 75 , volendo con la sua risposta<br />

polemica ricordare che la fede e la virtù sono un titolo più<br />

grande di quello di essere madre o fratello 76 . Si chiede inoltre (e ne<br />

riassumiamo il pensiero!) che cosa abbia spinto la madre di gesù a<br />

chiedere al Figlio di fare un miracolo, allorché essa fino a quel momento<br />

non vide mai un miracolo del Figlio. Cerca di giustificare la<br />

madre ricordando che maria non poteva aver dimenticato la concezione<br />

verginale del Figlio, il suo modo di essere nato, il fatto che il<br />

Figlio fu preannunciato dal Battista. tutto questo deve aver indotto<br />

la Madre ad avere sicura fiducia che il Figlio avrebbe fatto un miracolo.<br />

La madre non è importante per gesù in quanto madre, anche<br />

se ad essa doveva il rispetto e l’onore obbedienziale di Figlio, anzi in<br />

questo caso sarebbe stato meglio che nessuno dei parenti, tanto meno<br />

la madre avesse indotto il Figlio a compiere un miracolo. non sarebbe<br />

stato, infatti, credibile questo miracolo. Piuttosto della madre<br />

gesù aveva una grande considerazione in base alla beatitudine che<br />

le riguardava, e che gesù aveva proclamato quando l’aveva esaltata<br />

come colei che ascolta la Parola di Dio e la mette in pratica (cf Mc<br />

3, 33). D’altronde quello di gesù non è da intendersi come un rimprovero<br />

rivolto alla madre. gesù esaltava non tanto il fatto di essere<br />

stato partorito da Lei, quanto piuttosto la sua fede e la sua virtù 77 .<br />

Cirillo di Alessandria, pur muovendosi secondo l’interpretazione<br />

del non consenso tra gesù e la madre, preferisce leggere positiva-<br />

73 Theod Mops, Co Jo ii, 4: cScO 62-63, 39- 40.<br />

74 Joh crys In Jo Ho XXii, 1: pG 59, 135. J.-n. GUinOT, in art.cit, p.29 n<br />

32 riferisce anche di efrem (Diat v, 2: Sch 121, 108) e di Gregorio di nissa<br />

(In 1 Cor 15,28: pG 44, 1308D) che presenterebbero una identica lettura.<br />

L’interrogazione sarebbe per il cristo un modo di far comprendere che la sua<br />

ora era venuta.<br />

75 Joh chrys In Jo Ho XXii, 1: pG 95, 134.<br />

76 Joh chrys In Jo Ho XXi, 3: pG 59, 131-132.<br />

77 Joh chrys In Jo Ho XX, 2: pG 59, 130-131.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

261<br />

scrittura<br />

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sacra<br />

262<br />

scrittura<br />

mente la reazione di gesù che per rispetto e onore della madre compie<br />

il miracolo che lui personalmente avrebbe preferito differire 78 .<br />

Agostino pure propende per la spiegazione tradizionale e polemica<br />

di Gv 2, 4: “In quanto Signore del mondo, Signore del cielo e<br />

della terra, egli è certamente Signore anche di Maria; in quanto creatore<br />

del cielo e della terra, è creatore anche di maria. non ti meravigliare<br />

che Egli, insieme, figlio e Signore, è chiamato figlio di Maria<br />

come anche è chiamato figlio di David perché è figlio di Maria…E<br />

poiché ella non era la madre della divinità, e il miracolo che essa<br />

chiedeva doveva essere opera della divinità, per questo le rispose:<br />

Che c’è tra me e te, o donna. D’altra parte, affinché tu, Maria, non<br />

credessi che egli ti rinnegava come madre, egli aggiunse: “L’ora mia<br />

non è ancora venuta”; allora ti riconoscerò, quando l’infermità di cui<br />

sei madre penderà dalla croce” 79 . E le parole di Gesù: “L’Ora mia<br />

non è ancora venuta”, Agostino le legge e le spiega ancora secondo<br />

il tenore della differenza che sussiste tra maria creatura e Lui Dio<br />

che conosce i tempi della salvezza: “Non è ancora il momento in cui<br />

io riconosco che sia opportuno che io patisca, che sia utile la mia<br />

passione; allora soffrirò di mia volontà” 80 . Facciamo semplicemente<br />

notare come Agostino che legge giovanni solo in traduzione latina,<br />

contribuirà per dare l’interpretazione di gv 2, 4 che resterà poi tradizionale<br />

nell’esegesi cristiana fino ad oggi.<br />

5. “fate tutto quello<br />

che egli vi dirà” (gv 2, 5)<br />

Cioè, “Tutto quello<br />

che dovrebbe<br />

dirvi, fatelo creativamente!”.<br />

Gv 2,5 pare<br />

rimandare a Gen 41, 55<br />

che riporta le parole del<br />

Faraone che invita tutto l’Egitto, oppresso dalla carestia, a rivolgersi<br />

a Giuseppe: “Andate da Giuseppe, fate quello che vi dirà”. E Giuseppe<br />

salvò sia gli egiziani sia i suoi fratelli e suo padre giacobbe.<br />

78 cyril alex In Jo ii, 4: pG 73, 225c.<br />

79 aug Tr Jo viii, 9: ccL 36, 88.<br />

80 aug Tr Jo viii, 12: ccL 36, 89.<br />

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Così, possiamo riscontrare nelle parole della madre di gesù<br />

quelle che il popolo disse a mosè per accogliere il dono della torah<br />

del Sinai: “Noi faremo tutte le cose che il Signore ha detto” ( Ex 24,<br />

3). gesù non stava forse dando a Cana la nuova torah, quella fondata<br />

sul suo sangue, di cui l’acqua trasformata in vino era il simbolo?<br />

teodoro di mopsuestia trova molto coerente l’ordine impartito<br />

da gesù, in quanto, avendo egli sempre il potere di operare, non essendo<br />

condizionato dalle circostanze, egli poteva fare qualsiasi cosa.<br />

Di conseguenza anche sua madre, conoscendo il potere del Figlio,<br />

ha impartito ai servi un comando con maggiore fiducia 81 .<br />

stesso pensiero ritorna in giovanni Crisostomo che proviene dal<br />

medesimo indirizzo esegetico antiocheno di teodoro di mopsuestia.<br />

Cristo non è sottoposto alla necessità del tempo ed Egli operava<br />

sempre nel tempo giusto 82 .<br />

I servi cui si rivolge la madre di gesù sono gli apostoli e i loro<br />

successori, secondo gaudenzio di Brescia, ai quali è impartito il<br />

mandato apostolico, rappresentato dall’ordine di riempire le giare<br />

dell’acqua 83 .<br />

6. c’erano là sei giare<br />

di pietra, ed essi le<br />

riempirono fino all’orlo<br />

(gv 2, 5s)<br />

Erano le giare<br />

piene d’acqua<br />

che servivano<br />

per la purificazione<br />

dei giudei secondo la<br />

legge giudaica, prima<br />

dei pasti e degli atti<br />

cultuali.<br />

Erano sei, numero debole, che rimanda facilmente ai sei giorni<br />

della creazione, culminati nel giorno settimo della conclusione della<br />

creazione e del riposo di Dio. Così osserva Origene: “Ben a ragione<br />

sono sei le idrie per coloro che si purificano nel mondo, poiché il<br />

81 Theod. Mops Co Jo ii, 5: cScO 62-63, 40.<br />

82 Joh crys In Jo Ho XXii, 1: pG 59, 133-134.<br />

83 Gaud Brix Tr iX, 32: cSeL 68, 85.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

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scrittura<br />

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maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

264<br />

scrittura<br />

mondo è stato creato in sei giorni, numero perfetto” 84 . sono i sei<br />

giorni della preparazione alla venuta della sposa, preparazione allo<br />

Iom Shabbat, il giorno in cui ogni fine settimana il popolo giudaico<br />

celebra l’alleanza nuziale di Dio con il suo popolo. Le giare allora<br />

parlano della storia uscita dalle mani del Creatore, ma una storia<br />

legata ancora alla necessità della purificazione perché incompleta,<br />

perché non ancora del tutto abitata dalla sovranità del Signore, e<br />

alla quale il popolo di Israele e con esso l’umanità tutta che risale al<br />

tempo noachide prima di Abramo e di mosè si deve ancora del tutto<br />

consegnare.<br />

se per origene le sei giare sono simbolo dei sei giorni della creazione<br />

del mondo, si ha qui un rinvio, nel vangelo di giovanni, allo<br />

schema della settimana iniziale.<br />

Per Agostino, invece, le sei giare rappresentano le sei età della<br />

storia del mondo che Cristo riempie con la sua grazia e sovranità salvifica<br />

(prima età: da Adamo ed Eva all’arca di Noé; seconda età: da Noé<br />

ad Abramo; terza età: da Abramo a Davide; la quarta età da Davide<br />

all’esilio in Babilonia; quinta età fino a Giovanni Battista e richiama<br />

la roccia del profeta Daniele, simbolo della pietra che è Cristo che<br />

scende dal monte del regno dei giudei, la sesta è l’epoca di giovanni<br />

Battista dal cui battesimo dalle pietre, simbolo della solidità della fede,<br />

vengono fuori i nuovi figli di Abramo. La sesta età prosegue fino alla<br />

fine del mondo 85 . In realtà, esse rappresentano fondamentalmente le<br />

sei età della storia ebraica che parte dalla creazione fino alla venuta<br />

di gesù. Ciò di cui si preoccupa Agostino è di rilevare che le sei età,<br />

se possono essere considerate come l’evoluzione delle sei tappe della<br />

storia del giudaismo, in effetti, esse sono come sei gradini che preparano<br />

l’allargamento dell’ebraismo a tutta l’umanità.<br />

Per Gaudenzio di Brescia, che conosce l’identificazione spirituale<br />

dell’acqua della purificazione dei Giudei con il lavacro battesimale,<br />

le sei giare sono simbolo dei sei sensi dell’uomo (vista, udito, odorato,<br />

bocca, mani e piedi) che passano dalla morte dell’idolatria alla<br />

vita con Cristo 86 .<br />

84 Orig Princ iv, 2, 5: Sch 268, 318.<br />

85 aug Tr Jo iX, 6. 9-17: ccL 36, 93-94.96-100.<br />

86 Gaud Brix Tr 27-28: cSeL 68, 82-83.<br />

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mentre teodoro di mopsuestia nota che le giare furono riempite<br />

fino all’orlo affinché non si potesse dire che se l’acqua fosse stata<br />

poca, fosse stato aggiunto del vino prima del miracolo, e quindi il<br />

vino fu trasformato abbondantemente grazie all’abbondanza del<br />

potere di Gesù, affinché fosse servito anche in futuro 87 . E poi, le<br />

due o tre metrete, ossia le due o tre misure di acqua, alludono al<br />

binomio Padre e spirito oppure al trinomio Padre Figlio e spirito<br />

santo, quindi alla pienezza della rivelazione del monoteismo ebraico<br />

avvenuto in gesù 88 .<br />

origine vede nelle due o tre misure come due o tre possibili letture<br />

delle Scritture: “Forse per questo le idrie pronte per la purificazione<br />

dei giudei, di cui leggiamo nel vangelo di giovanni, contenevano<br />

due o tre misure d’acqua, in quanto questa espressione allude a<br />

quelli che l’apostolo definisce Giudei nell’intimo (Rom 2, 29). Costoro<br />

vengono purificati dal senso delle Scritture, che contengono a<br />

volte due misure, cioè il senso psichico e il senso spirituale; a volte<br />

tre, là dove, oltre ai due sensi predetti, contengono anche il senso<br />

corporeo capace di edificare” 89 .<br />

Agostino vede nell’acqua contenuta nelle sei giare il simbolo<br />

delle profezie non ancora adempiute: “Ora, le profezie, (significate<br />

dall’acqua contenuta nelle sei giare), che sono enunciate fin dai tempi<br />

antichi, mirano alla salvezza di tutte le genti. Certo, mosè fu inviato<br />

al solo popolo di Israele e solo a quel popolo per mezzo di lui fu data<br />

la Legge; è solo da quel popolo che uscirono i profeti, e la stessa<br />

divisione delle età del mondo è fondata sulla storia di quel popolo.<br />

Per questo è detto che le anfore erano là preparate per l’abluzione dei<br />

giudei. ma è chiaro che quelle profezie erano annunziate a tutte le<br />

genti, perché Cristo era celato in colui, nel cui nome sono benedette<br />

tutte le genti, secondo la promessa del signore ad Abramo: nella tua<br />

discendenza si diranno benedette tutte le genti” (Gen 12, 1 e 22, 18).<br />

87 Theod Mops Co Jo ii, 7: cScO 62-63, 40: “Haud frustra addidit: usque<br />

ad summum; sed ne oriretur suspicio, si pauca fuisset aqua, vinum fuisse<br />

admixtum »<br />

88 aug Tr Jo iX, 7-8: ccL 36, 94-95.<br />

89 Orig Prin iv, 2, 5: Sch 268, 316.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

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SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

266<br />

scrittura<br />

Ciò ancora non si comprendeva, perché ancora l’acqua non era stata<br />

tramutata in vino. Dunque le profezie erano rivolte a tutte le genti” 90 .<br />

giovanni Crisostomo rileva che gesù avrebbe potuto semplicemente<br />

creare il vino dal nulla, e invece ha ordinato ai servi di riempire<br />

le giare di acqua, affinché essi potessero essere testimoni che<br />

non si è trattato di un atto di magia sotto la spinta di un’altra divinità.<br />

Ugualmente ordina al direttore di tavola, non a tutti di provare<br />

il vino, affinché il direttore di mensa, che non poteva essere brillo<br />

come gli invitati, e quindi, in quanto padrone di se stesso, avrebbe<br />

potuto dare la propria testimonianza valida a favore dell’autenticità<br />

del segno dato da gesù 91 .<br />

Il fatto, poi, che le sei giare erano di pietra è un richiamo alle due<br />

tavole della torah che erano di pietra o anche vi ci si può trovare l’allusione<br />

al cuore di pietra che attende d’essere trasformato in cuore<br />

di carne nella Nuova Alleanza (Ez 36, 26). La pietra evoca anche<br />

quella pietra da cui è scaturita l’acqua che è Cristo (1 Cor 10, 4). Per<br />

gaudenzio di Brescia, le giare di pietra sono simbolo dei pagani che<br />

ricevono il battesimo nel nome delle tre persone della trinità 92 .<br />

Agostino precisa che l’acqua è simbolo delle profezie dell’Antico<br />

Testamento. Esse sono solo acqua finché non sono lette in Cristo.<br />

In base a 2 Cor 3, 14-16, in cui Paolo parla del velo di mosè che<br />

copre i giudei, commenta: “L’immagine del velo sta a significare<br />

l’oscurità che avvolge la profezia, così da farla inintelligibile. Il<br />

velo è tolto, quando ti volgi al signore, è tolta l’insipienza, e ciò che<br />

era acqua diventa vino. Cosa c’è di più insipido, di più fatuo di tutti<br />

i libri profetici se li vedi senza vedere in essi Cristo?” 93 . Più avanti<br />

Agostino si premura di chiarificare che le giare non furono svuotate<br />

dell’acqua per essere riempite di vino, ma che il miracolo consistette<br />

nel fatto che proprio l’acqua che era presente nelle giare, cioè<br />

l’acqua delle profezie, l’acqua delle scritture dell’Antico testamento,<br />

sono queste che diventano vino in Gesù. “La profezia è esistita<br />

fin dai tempi antichi, e non c’è stata epoca che non abbia avuto<br />

90 aug Tr Jo iX, 9: ccL 36, 95-96.<br />

91 Joh crys In Jo Ho XXXii, 3: pG 59, 135-136.<br />

92 Gaud Brix Tr IX, 33-34: CSEL 68, 84-85.<br />

93 aug Tr Jo iX, 3: ccL 36, 92.<br />

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le sue profezie. In un certo senso il vino è nascosto nell’acqua…” 94 .<br />

E se il signore avesse gettato via l’acqua per sostituirla con il vino,<br />

“se così avesse fatto avrebbe fatto credere che disapprovava le antiche<br />

scritture. Cambiando invece l’acqua in vino, ci mostrò che<br />

le scritture antiche hanno anch’esse origine da lui: infatti, per suo<br />

comando furono riempite le anfore. Dunque anche quelle scritture<br />

sono del signore: ma non sanno di nulla se non si vede Cristo in<br />

esse” 95 . E come esempio di questo miracolo adduce il servizio di<br />

gesù cha aiuta i due discepoli di Emmaus a leggere mosè profeti<br />

e salmi alla luce di Cristo. origene già aveva pensato che l’acqua<br />

della lettera della scrittura fu cambiata da Cristo nel vino della lettura<br />

della Parola nello spirito 96 .<br />

E a proposito del miracolo del vino proveniente non ex nihilo, ma<br />

dall’acqua, Ireneo 97 , e dopo di lui anche in Epifanio di salamina 98 ,<br />

ritengono che sarebbe un modo di denunciare la tesi manichea secondo<br />

cui il Dio della creazione sarebbe diverso da gesù. A sua volta<br />

gaudenzio di Brescia sottolinea che il miracolo di Cana non è miracolo<br />

ex nihilo, ma dalla materia preesistente dell’acqua, simbolo<br />

dell’At. Il vino della Parola del nuovo testamento è continuazione e<br />

pienezza dell’Antico, nella continuità della Parola 99 . Bello, a questo<br />

punto, il rilievo del vescovo di Brescia sul valore della lettera della<br />

Legge, dell’At, alla quale gesù ha attinto lo spirito santo 100 . gaudenzio<br />

è l’unico a vedere nel maestro di tavola la figura di Mosè, al<br />

quale gesù manda i servi per annunciargli il nuovo nella continuità<br />

94 aug Tr Jo iX, 3: ccL 36, 91: “In aqua enim vinum quodammodo latet”.<br />

95 aug Tr Jo iX, 5: ccL 36, 93: “Cum autem ipsam aquam convertit in vinum,<br />

ostendit nobis quod et scriptura vetus ab ipso est; nam iussu ipsius impletae sunt<br />

hydriae. A Domino quidem et illa scriptura; sed nihil sapit, si non ibi Christus<br />

intelligitur“.<br />

96 Orig Co Jo Xiii, X, 59-62: Sch 222, 64-66.<br />

97 iren AH iii, 11, 5: Sch 211,152-154.<br />

98 epiph Pan 51, 30, 13: GcS 31, 303<br />

99 Gaud Brix Tr viii, 48: cSeL 68, 73: Sic tamen facta sunt omnia nova, ut<br />

origo maneret ex veteri, cum non ex nihilo vinum, sed ex antiquo aquae gignitur<br />

elemento“.<br />

100 Gaud Brix Tr viii, 49: cSeL 68, 73: “Nec legem litterae existimes esse<br />

temnendam, unde Spiritus Sanctus Iesu operante per fideles ministros haurit”.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

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sacra<br />

267<br />

scrittura<br />

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Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

268<br />

scrittura<br />

dell’Antico. mosè a sua volta rimanda allo sposo, gesù, che ha preparato<br />

per i non giudei il vino molto buono dello spirito 101 .<br />

Allora nel matrimonio di Cana, è arrivata la sposa, assimilata<br />

allo iom Shabbat. Per giovanni la sposa è la madre di gesù, la Figlia<br />

di sion, che consegna Israele e tutta l’umanità allo sposo, che<br />

viene a trasformare l’acqua delle giare nel vino messianico delle<br />

nozze. si deve fare attenzione che le giare non sono riempite di<br />

vino frutto di un miracolo, cioè di una creazione dal nulla, in sostituzione<br />

dell’acqua. Le giare restano piene di acqua, ed è questa<br />

medesima acqua già esistente ad essere trasformata in vino. ossia<br />

non c’è la sostituzione, ma la medesima materia, la stessa storia,<br />

lo stesso Israele, la stessa umanità è trasformata e assunta nello<br />

sposalizio messianico. non è sostituita la storia dell’umanità con<br />

un’altra storia, non è sostituita la creazione, non è sostituito Israele,<br />

piuttosto ora, la trasformazione dell’acqua in vino, nel vino messianico,<br />

annuncia che la creazione, la storia noachide, il popolo di<br />

Israele entrano nella nuova ed Eterna Alleanza grazie al sangue e<br />

allo spirito. Qui si allude alla tematica della non sostituzione del<br />

popolo ebraico, della sua permanenza, ma anche della novità di un<br />

Israele, di un nuovo Israele che non è un altro, perché la Chiesa<br />

non sostituisce Israele, ma è lo stesso Israele visitato dallo sposo<br />

e dalla sposa, dotato del segno della novità delle nozze, il vino<br />

del sangue dello sposo e il dono del suo spirito. Quindi la madre<br />

di Gesù e Gesù, Sposa e Sposo, inaugurano il sabato definitivo, il<br />

tempo della sovranità esclusiva dell’unico Dio ebraico. Vi risuona<br />

l’eco delle parole del Prologo del Vangelo di Giovanni: “La Torah<br />

fu data per mezzo di mosè, mentre la grazia e la verità si presentarono<br />

attraverso Gesù Cristo” (Gv 1, 17).<br />

si insinua, infatti, anche questa lettura giudaico-cristiana: la torah<br />

mosaica resta valida, non viene abolita (cf Mt 5, 17), ma è anche<br />

incompleta. La stessa acqua della torah ebraica che serviva per la<br />

purificazione dal peccato, ora è trasformata nel vino del Sangue di<br />

Gesù che veramente purifica.<br />

E qui si aggancia anche la tematica e la lettura eucaristica delle<br />

nozze di Cana. mentre si insiste sul tema delle nozze messianiche<br />

101 Gaud Brix Tr viii, 49: cSeL 68, 73 ; Tr iX, 40-43 : cSeL 68, 87-89.<br />

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e della nuova ed Eterna Alleanza, il linguaggio si trasferisce facilmente<br />

nell’ambito eucaristico. nell’Eucaristia abbiamo il vino che<br />

non solo è simbolo, ma è il Sangue di Gesù che purifica. Pertanto il<br />

vino-sangue dona all’Eucaristia una lettura essenzialmente sacrificale,<br />

in cui si realizza in modo “presente” la nuova ed eterna Alleanza.<br />

Il rito della brakha ebraica sfocia nell’Eucaristia cristiana.<br />

7. “Prendete e portate al<br />

direttore della mensa…”<br />

(gv 2, 7-8)<br />

Quando gesù<br />

incontra la<br />

samaritana<br />

al pozzo di giacobbe,<br />

questa gli chiede se<br />

avesse un mezzo per<br />

prendere l’acqua…<br />

(Gv 4, 11). Il termine usato (antlema) richiama il verbo usato da<br />

Gesù con cui si è rivolto ai servi (antlesate), e mentre in gv 2 ci si<br />

riferisce al vino proveniente dall’acqua, in gv 4, 11 il discorso verte<br />

sul simbolismo del dono dell’acqua viva dello spirito, che gesù darà<br />

nella sua morte in croce (Gv 7, 29 e 19, 30).<br />

8. “tu hai conservato<br />

il vino buono-bello”<br />

(gv 2, 10)<br />

Riprendiamo<br />

qui ancora<br />

l’immagine<br />

del targum che suggerisce<br />

che dopo aver<br />

creato la vite Dio<br />

volle mettere da parte<br />

del vino, sotto il suo trono, per i tempi del messia. La missione del<br />

messia sarebbe stata appunto quella di dare questo vino conservato<br />

da Dio.<br />

Allora, giovanni sembra alludere a questa tradizione conosciuta<br />

ai suoi tempi. A Cana è tolto da sotto il trono di Dio il vino nuovo per<br />

i tempi messianici. La madre di gesù sollecita l’inizio di questi tempi<br />

messianici, e gesù adempie le attese e apre la stagione messianica<br />

delle nozze della nuova ed Eterna Alleanza. Anche una tradizione<br />

sul Cantico dei Cantici insiste su questa lettura del vino messo fuori<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

269<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

270<br />

scrittura<br />

per i tempi messianici 102 . È veramente lo sposo che ha fatto questo,<br />

che ha riservato il vino buono nei tempi maturi, il vino conservato<br />

a parte fin dall’epoca della creazione, prima di Abramo e di Mosè.<br />

Facciamo notare che il greco per dire buono usa kalos, bello, il<br />

vino bello, il vino della bellezza nuziale.<br />

Il vino di Cana è il vino della sapienza, osserva Agostino: “A parte<br />

il miracolo, la circostanza stessa nasconde qualche mistero nascosto.<br />

Bussiamo perché ci apra, e ci inebri del vino invisibile; anche noi<br />

eravamo acqua e ci ha fatti vino, ci ha resi sapienti; gustiamo, infatti,<br />

la sapienza della fede che egli ci ha donato, noi che prima eravamo<br />

insipienti. E forse è proprio per la sapienza, unita all’onore di Dio e<br />

alla lode della sua maestà, e all’amore della sua potentissima misericordia,<br />

è proprio per la sapienza che capiremo il senso nascosto di<br />

questo miracolo” 103 .<br />

E il buon vino dell’ultimo momento è il Vangelo, aggiunge Agostino<br />

104 .<br />

Efrem ha un’interpretazione tutta cristologica dell’acqua trasformata<br />

in vino, cioè la trasformazione dell’umanità nella divinità e il<br />

mistero del concepimento e della nascita verginale di gesù 105 .<br />

Con la celebrazione delle nozze di Cana, tutto era pronto. Con<br />

la discesa a Cafarnao (Gv 2, 12) si assiste al passaggio dal simbolo<br />

evocativo alla materializzazione della storia della nuova ed Eterna<br />

Alleanza. Questa storia per Giovanni come per i sinottici (Mc 1, 21;<br />

Mt 4, 13; Lc 4, 31) inizia a Cafarnao, dove Gesù scende, con sua<br />

madre e con i primi cinque discepoli diventati credenti. Cioè, se<br />

Cana è l’inizio simbolico della storia della glorificazione di Gesù<br />

che culmina sulla croce, Cafarnao segna l’inizio materiale della sua<br />

missione, con la presenza ancora della madre, e che si concluderà<br />

sul Calvario, alla presenza della Madre. E portando con sé i primi<br />

cinque discepoli diventati credenti, gesù arriva a Cafarnao reca con<br />

sé il libro della Torah rinnovata grazie alla fede in Lui (Gv 2, 11-<br />

12). Il “discendere” di Gesù verso Cafarnao richiama tra l’altro la<br />

102 Tg I Gen 27,25; Tg Ct 8,2; Ber 34,b; Sanh 99.<br />

103 aug Tr Jo viii, 3: ccL 36, 83.<br />

104 aug Tr Jo iX, 2: ccL 36, 91.<br />

105 Ephrem Diat V, 6-7: SCh 121, 109-110.<br />

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discesa di mosè dal monte sinai, mentre tiene nelle mani la torah<br />

(Es 32,15).<br />

Agostino commenta gv 2, 12. Chi sono i fratelli che con la madre<br />

accompagnano gesù nella sua discesa verso Cafarnao. non sono<br />

certo i figli di Maria o i fratelli di Gesù secondo i legami diretti<br />

del sangue, come lo suggerisce il linguaggio orientale e semita, ma<br />

piuttosto per Agostino questa parentela, madre e fratelli di gesù, va<br />

letta alla luce di Mt, 12,46-50: “Ecco qua… i miei fratelli:; poiché<br />

chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, quegli mi è<br />

fratello, sorella e madre!”. “Anche Maria, dunque, perché fece la volontà<br />

del Padre. Questo Dio lodò in lei, non il fatto di aver generato<br />

dalla sua carne del Figlio di Dio, quanto l’aver fatto la Volontà del<br />

Padre. Fate attenzione”.<br />

Così, continua ancora il vescovo di Ippona, in base a Lc 11, 27-<br />

28: “Come a dire: anche mia madre, che voi avete chiamata beata, è<br />

beata perché osserva la Parola di Dio, non perché in Lei il Verbo si è<br />

fatto carne ed abitò fra noi; perché ha custodito il Verbo di Dion per<br />

mezzo del quale è stata creata e che in Lei si è fatto carne” 106 .<br />

giovanni ci tiene a precisare che quello fu non solo l’inizio dei<br />

“segni”, bensì l’inizio della nuova storia, sponsale e messianica, di<br />

cui Cana fu il primo segno. E quindi è iniziata la storia della gloria<br />

della Croce, nel matrimonio, nella solidarietà, nell’azione comune<br />

della madre e del Figlio, della sposa e dello sposo, della gloria di<br />

Dio e della fede in gesù da parte dei discepoli.<br />

Conclusione<br />

L’Ora di Gesù inizia a Cana di Galilea non semplicemente perché<br />

la Madre di Gesù ne ha anticipato l’inizio, ma piuttosto perché la<br />

madre si è rivelata pienamente partecipe e collaboratrice dell’inizio<br />

della missione del Figlio il cui compimento accadrà nella sua <strong>Passio</strong>ne<br />

e morte.<br />

Per gaudenzio di Brescia e per Agostino si tratta dell’inizio<br />

dell’ora della <strong>Passio</strong>ne.<br />

106 aug Tr Jo X, 3: ccL 36, 101-102.<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

271<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

272<br />

scrittura<br />

Quindi a Cana la madre è testimone dell’inizio dell’ora, come lo<br />

sarà del suo compimento, in piedi, presso la croce,<br />

Una missione che segna lo sposalizio di gesù con Israele aperto<br />

alle nazioni, che purificate dall’acqua del battesimo ricevono il vino<br />

dello spirito.<br />

Missione che significa passaggio e compimento delle Scritture<br />

ebraiche in Gesù e nel Vangelo. Compimento ed esegesi definitiva<br />

della Parola che, iniziata nell’antico, si compie per la grazia dello<br />

spirito nel nuovo.<br />

Gianni Sgreva cp<br />

totustuus@hotmail.it<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 272 04/02/13 09:39


L’Ora in Gv 2,1-11: anticipazione o inizio? Lettura giu-<br />

ItA<br />

daico-patristica delle nozze di Cana<br />

di gianni sgreva, cp<br />

La più recente (2008) traduzione di Gv 2,4 nella Bibbia della<br />

CEI: “Donna che vuoi da me? Non è ancora giunta la tua ora”, ha<br />

stimolato l’autore dell’articolo, specialista in patristica ed esperto<br />

di giudaismo, a fare una ulteriore ricerca, tenendo presenti la bibliografia<br />

esegetica e patristica finora apparsa sull’argomento. Infatti,<br />

l’interpretazione del testo giovanneo apre ad interpretazioni che si<br />

elidono tra loro. Una lettura polemica, che punta sul disaccordo<br />

Madre-Figlio, ha una ricaduta sulla “cronologia” dell’Ora della<br />

<strong>Passio</strong>ne e morte di gesù il messia, per cui ne risulta, su istanza<br />

della madre, una anticipazione cronologica dell’ora. Una lettura di<br />

consenso, invece, conduce alla evidenziazione della condivisione<br />

di madre e Figlio sull’ora della <strong>Passio</strong>ne redentiva, e quindi all’affermazione<br />

che Cana segna l’inizio dell’Ora della glorificazione<br />

della Croce. L’autore insiste su questa seconda tesi, fondandosi,<br />

oltre che sulle suggestioni patristiche, anche sul fondo ebraico del<br />

greco di giovanni, per cui ne risulta che le parole di gesù rivolte<br />

alla Madre dovrebbero essere: “Quello che è tuo è mio, o donna/<br />

sposa. Non è forse giunta la mia Ora?”. Cana allora segna l’inizio<br />

dell’Ora della glorificazione della Croce.<br />

L’Heure en Jn 2,1-11 : anticipation ou commencement ?<br />

fRA<br />

Lecture judaïco-patristique des noces de Cana<br />

de gianni sgreva, cp<br />

La plus récente traduction (2008) de Jn 2,4 dans la Bible de<br />

la CEI : « Femme que me veux-tu ? Mon heure n’est pas encore<br />

venue » », a poussé l’auteur de cet article, spécialiste en patristique<br />

et expert du judaïsme, à réaliser une autre recherche, tenant<br />

présente la bibliographie exégétique et patristique apparue jusqu’à<br />

présent sur ce sujet. De fait, l’interprétation du texte johannique<br />

ouvre à des interprétations qui se neutralisent l’une l’autre. Une lecture<br />

polémique, qui met l’accent sur le désaccord Mère-Fils, a une<br />

«retombée» sur la « chronologie » de l’Heure de la <strong>Passio</strong>n et Mort<br />

de Jésus le Messie ; il en résulte alors, sur l’instance de la Mère,<br />

une anticipation chronologique de l’Heure. Une lecture qui va dans<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

273<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

274<br />

scrittura<br />

le sens d’un consensus, au contraire, conduit à mettre en évidence<br />

pour la Mère et le Fils la même perception de Heure de la <strong>Passio</strong>n<br />

rédemptrice, et donc revient à affirmer que Cana signe le commencement<br />

de l’Heure de la glorification de la Croix. L’auteur insiste sur<br />

cette seconde interprétation, se fondant, à la fois sur les suggestions<br />

patristiques, et aussi sur le fond hébraïque du grec de Jean, d’où il<br />

résulte que les paroles de Jésus à sa Mère devraient être : «Ce qui est<br />

tien est mien, oh femme/épouse. Mon heure n’est-elle pas venue ? ».<br />

Cana signe alors le commencement de l’Heure de la glorification de<br />

la Croix.<br />

The Hour in Jn 2:1-11: Anticipation or Beginning? A Ju-<br />

EnG<br />

deo-Patristic Reading of Cana<br />

by gianni sgreva, cp<br />

The most recent (2008) translation of Jn 2:4 in the Bible of the<br />

CEI, where Jesus says, “Woman, what do you want from me? My<br />

hour has not yet come”, has motivated the author, a specialist in patristic<br />

and expert in Judaism, to do further research on it, bearing in<br />

mind the exegetical and patristic literature on the subject. The interpretation<br />

of the text of John opens to interpretations that cancel each<br />

other out. A reading debate that points to a disagreement between<br />

Mother-Son has an effect on the “history” of the Hour of the <strong>Passio</strong>n<br />

and Death of Jesus, the Messiah. At the request of the Mother,<br />

this results in a chronological anticipation of the Hour. A consensus<br />

reading, however, underscores both mother and son as sharing the<br />

Hour of the redemptive <strong>Passio</strong>n and to the fact that Cana marks the<br />

beginning of the Hour of the glorification of the Cross. The author<br />

emphasizes this second approach, relying, not only on patristic suggestions,<br />

but also on the Hebrew background of John’s Greek. The<br />

result is that the words of Jesus addressed to the Mother should be:<br />

“What is yours is mine, oh Woman/Spouse. Has not my hour come?”.<br />

Cana then marks the beginning of the Hour of the glorification of the<br />

Cross.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 274 04/02/13 09:39


La Hora en Jn 2,1-11: ¿anticipación o inicio? Lectura ju-<br />

SPA<br />

deo-patrística de las bodas de Caná<br />

de gianni sgreva, cp<br />

La traducción más reciente (2008) de Jn 2,4 en la Biblia de la<br />

Conferencia Episcopal Italiana: “Mujer, ¿qué quieres de mí?, No ha<br />

llegado aún mi hora”, ha estimulado al autor del artículo, especialista<br />

en patrística y experto en judaísmo, a hacer una búsqueda, teniendo<br />

presente la bibliografía exegética y patrística aparecida hasta la fecha<br />

sobre este argumento. En efecto, la interpretación del texto joáneo<br />

abre a otras interpretaciones contrapuestas. Una lectura polémica,<br />

que se centra en el desacuerdo Madre-Hijo, tiene una recaída<br />

en la “cronología” de la Hora de la Pasión y Muerte de Jesús el<br />

mesías, que nos daría como resultado una anticipación cronológica<br />

de la Hora a instancias de la madre. Una lectura consensuada, sin<br />

embargo, conduce a poner en evidencia la condivisión de madre<br />

e Hijo sobre la Hora de la Pasión redentora, y por lo tanto a la<br />

afirmación que Caná marca el inicio de la Hora de la glorificación de<br />

la Cruz. El autor insiste sobre esta segunda tesis, basándose, además<br />

de las sugerencias patrísticas, sobre el trasfondo hebreo del griego<br />

de Juan, por el cual resulta que las palabras de Jesús dirigidas a la<br />

Madre deberían ser: “Lo que es tuyo es mío, oh mujer/esposa. ¿No<br />

ha llegado acaso mi Hora?” Caná entonces señala el comienzo de la<br />

Hora de la glorificación de la Cruz.<br />

Godzina w J 2,1-11: antycypacja czy początek? Lektura<br />

Pol<br />

judaistyczno-patrystyczna wesela w Kanie<br />

gianni sgreva, cp<br />

Najnowsze (2008) tłumaczenie J 2,4 w Biblii CEI (Konferencja<br />

Episkopatu Włoch): “Niewiasto, czego ode mnie chcesz? Nie nadeszła<br />

jeszcze moja godzina” pobudziła autora artykułu, specjalistę<br />

w dziedzinie patrystyki i znającego judaizm, by podjąć dalsze badania,<br />

biorąc pod uwagę opracowania egzegetyczne i patrystyczne,<br />

które do tej pory ukazały się na ten temat. Interpretacja tekstu Janowego<br />

otwiera się na rozwiązana, które się wykluczają. Odczytanie<br />

go w duchu polemicznym, który podkreśla niezgodę między Matką<br />

a Synem, wiąże się z chronologią „godziny” Męki i Śmierci Jezusa<br />

Mesjasza, z czego wynika, że Matka chciała antycypować „go-<br />

sacra scrittura<br />

L’Ora in Gv 2,1-11:<br />

anticipazione<br />

o inizio?<br />

231-276<br />

sacra<br />

275<br />

scrittura<br />

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sacra scrittura<br />

Gianni SGreva cp<br />

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maggio-agoSto 2012<br />

sacra<br />

276<br />

scrittura<br />

dzinę”. Lektura oparta na domniemaniu zgody prowadzi natomiast<br />

do podkreślenia, że Matka i Syn są zgodni co do „godziny” zbawczej<br />

Męki, a więc potwierdza to, że Kana jest początkiem „godziny” wywyższenia<br />

na krzyżu. Autor idzie raczej za tą drugą tezą, opierając<br />

się na materiale patrystycznym oraz na hebrajskim podłożu greki<br />

Janowej, z czego wynika, że słowa Jezusa skierowane do Matki powinny<br />

brzmieć: „To, co jest twoje, jest moje, niewiasto-oblubienico.<br />

Czyż nie nadeszła moja godzina?”. Kana wyznacza więc początek<br />

„godziny” wywyższenia na krzyżu.<br />

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introduzione<br />

GiUSeppe DeLLa MaLva<br />

“Dio lo vuole”. Al grido di queste parole, si sa, la<br />

storia umana più volte ha visto tragicamente aprirsi<br />

le dighe della violenza e dell’odio. Fiumi di sangue<br />

sono scorsi e, purtroppo, scorrono ancora. In nome<br />

della volontà di Dio. Già, perché è questo il nodo della<br />

questione: la volontà di Dio. Che cosa voglia Dio: è<br />

questa la prima ineludibile domanda. messa da parte<br />

la malafede di chi strumentalizza i testi sacri per legittimare<br />

la propria volontà di potenza e di sopraffazione,<br />

rimane da illuminare la coscienza di chi si chiede onestamente<br />

quale sia il volere di Dio sull’uomo e che<br />

cosa ne pensino le religioni. Può Dio chiedere il male?<br />

Può egli confezionare una morale a-morale e imporla<br />

all’uomo? Può rendere lecito ciò che la coscienza<br />

umana avverte già in se stesso illecito e dannoso? Il nominalismo<br />

più radicale risponderebbe di sì. Ciò che Dio comanda è legge. E<br />

non perché sia giusto in sé ma perché è lui a comandarlo. Ne deriva<br />

che quanto comanda oggi potrebbe essere l’opposto di ciò che<br />

comanderà domani. In tal caso, la legge morale sarebbe la versione<br />

aggiornata del capriccio di Dio e l’uomo un cameriere a tempo determinato,<br />

tanto più disorientato quanto meno conosce il menù del<br />

giorno da servire all’onnipotente. È evidente che una morale teologica<br />

senza fondamento oggettivo suggerisce a proprio riguardo<br />

un’altra decisiva domanda: a che cosa serve? O meglio, a chi serve:<br />

a Dio o all’uomo?<br />

psicologia e teologia<br />

quando<br />

l’aMorE È<br />

lEggE<br />

il rapporto tra<br />

l’indicativo di<br />

salvezza e<br />

l’imperativo<br />

morale<br />

Quando<br />

l’amore è legge<br />

277-324<br />

277<br />

psicologia e teologia<br />

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psicologia e teologia<br />

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psicologia e teologia<br />

Per rispondere a tali domande dobbiamo indagare sul peculiare<br />

rapporto tra la legge morale proposta e il contenuto di salvezza offerto.<br />

se infatti non possiamo parlare di un’oggettività in astratto,<br />

non possiamo allo stesso modo parlare di un credo generico. tutte<br />

le grandi religioni della terra contengono un nucleo di fede ed uno<br />

morale. Ciò appare chiaro anche ai non esperti del settore. Altrettanto<br />

agevole è rilevare come i due nuclei siano contemperati, di<br />

volta in volta, in modo diseguale: in alcune religioni appare più<br />

marcato il primo, in altre il secondo; talora la morale ha il compito<br />

esplicito di portare l’uomo alla coerenza rispetto alla salvezza o<br />

alla credenza proposte, talaltra essa è quasi implicita, fondamentale<br />

ma poco enfatizzata. La constatazione generale è che il rapporto<br />

tra le due dimensioni, in ogni caso, non è mai un dato scontato.<br />

Ora, la seguente riflessione, sebbene possa offrirsi come spunto<br />

metodologico per indagare su tutte le grandi religioni, è interessata<br />

esplicitamente alla rivelazione cristiana e cattolica (che - va precisato<br />

contro ogni angusta interpretazione settaria - significa “universale”).<br />

Ci chiediamo, più precisamente, quale rapporto esista<br />

nella religione cristiana tra gli eventi di salvezza (biblicamente<br />

formulati all’indicativo) e la loro ricaduta morale (espressi all’imperativo).<br />

Presentare prima (o solo) gli uni e poi (o solo) l’altra è<br />

pura scelta arbitraria? È forse un’opzione non riferibile alla rivelazione<br />

biblica, senza alcuna conseguenza teologica e irrilevante dal<br />

punto di vista psicologico? Le riflessioni di seguito proposte non<br />

conducono ad una risposta affermativa. Esse anzi asseriscono con<br />

forza la priorità dell’indicativo di salvezza rispetto all’imperativo<br />

morale e la motivano da diversi punti di vista.<br />

Vedremo che propendere per l’indicativo o per l’imperativo è<br />

tutt’altro che mera scelta linguistica. È cosa ben diversa che disquisire<br />

oziosamente di due modi verbali e della presunta inderivabilità,<br />

sul piano logico-grammaticale, del secondo dal primo (Hume). È<br />

piuttosto ritornare al cuore dell’annuncio cristiano, che è la gratuità/<br />

libertà dell’amore di Dio rivelatosi nella Pasqua di gesù. A partire da<br />

qui poi, è cercare di balbettare qualche parola, forte ma pur sempre<br />

umanamente limitata, sulla natura di Dio e, in lui, dell’uomo. Ed<br />

evidenziare infine che la gratuità/libertà dell’amore si riflette anche<br />

nel modo con cui Dio da sempre dialoga con l’uomo, nel rispetto<br />

della sua struttura psicologica. noi partiremo da quest’ultimo punto,<br />

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prendendo in prestito il kerygma 1 , frutto maturo della rivelazione<br />

cristiana, e mostrando, in negativo, quali ricadute esso avrebbe nel<br />

dialogo Dio-uomo se coniugato originariamente ed esclusivamente<br />

all’imperativo, prescindendo dall’indicativo che lo fonda (approccio<br />

conversazionale). Apriranno la strada le acquisizioni della pragmatica<br />

della comunicazione umana, a partire dalle quali alcuni autori<br />

(Girard, Žižek) hanno tratto conclusioni che noi riteniamo utili e illuminanti<br />

per il nostro tema. Lasciandoci condurre dal biblista V.<br />

spicacci prima e dal teologo H.U. von Balthasar poi passeremo,<br />

rispettivamente nella seconda e nella terza parte, all’enucleazione<br />

dell’annuncio evangelico, come “buona notizia” (approccio kerygmatico),<br />

il quale a sua volta retroproietta un fascio di luce intensa<br />

sull’identità di Dio e dell’uomo (approccio sistematico). Si parte,<br />

insomma, da quanto ci appare più evidente perché quotidiano, si<br />

prosegue su ciò che solo Dio poteva annunciare e si conclude con<br />

l’inevidenza di quanto solo la speculazione può, con umiltà e pazienza,<br />

accostare 2 . Il cammino globalmente ci porterà a scoprire che<br />

il terreno comune alla salvezza e alla morale cristiane è l’amore, ma<br />

1 “Kerygma è una parola greca, che vuol dire ‘annuncio’. nel mondo greco il<br />

kerygma non è un annuncio qualunque. È l’annuncio del banditore, dell’araldo,<br />

che va per le strade e per le piazze di questo mondo, per comunicare ai sudditi<br />

i messaggi del re. La tradizione cristiana ha adottato, sin dall’inizio, questo<br />

termine per indicare il nucleo centrale del messaggio cristiano. Tale nucleo si<br />

identifica con il cosiddetto ‘vangelo’” (v. Spicacci, La buona notizia di Gesù,<br />

Monti, varese 2000, 5).<br />

2 in realtà, la speculazione deve abbandonare la dispotica pretesa di<br />

possedere Dio e lasciarsi guidare dagli “occhi semplici” dei mistici, ai quali è<br />

dato di penetrare la caligine che, ad un certo punto, si frappone fra la ragione ed<br />

il mistero di Dio, partecipando essi per grazia alle profondità che contemplano.<br />

pertanto la teologia va fatta “in ginocchio”, umilmente, imparando anche dai<br />

santi: “Quelli che amano conoscono Dio meglio di tutti e perciò il teologo<br />

deve ascoltarli” (U.H. von BaLTHaSar, Solo l’amore è credibile, 14; cf G.<br />

SOMMaviLLa, Balthasar in Italia, testimonianza di un traduttore, in Communio<br />

120 (1991), 53). Balthasar, cui ci riferiamo nella terza parte del nostro studio,<br />

ne era convinto. Lo testimonia l’intreccio tra la sua indagine speculativa e la<br />

“semplicità di sguardo” della mistica a. von Speyr, operato anche a spese di<br />

un certo rigore del linguaggio teologico e malgrado le non rare critiche che, al<br />

riguardo, gli piovvero dal mondo accademico (cf U.H. von BaLTHaSar, Con<br />

occhi semplici, Morcelliana, Brescia 1970, 11-29; iD., Teologia e santità, in<br />

Communio 96 (1987), 7-16; iD., Il nostro compito, Jaca Book, Milano 1991;<br />

iD., La vita, la missione teologica e l’opera di Adrienne von Speyr, in a. SpeYr,<br />

Mistica oggettiva, Milano 1975, 9-63).<br />

psicologia e teologia<br />

Quando<br />

l’amore è legge<br />

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che è soltanto la libertà il criterio capace di discriminare chi, tra le<br />

due, può seminare e chi raccogliere.<br />

1. l’imperativo assurdo:<br />

“ama!”<br />

(approccio psicologico-<br />

conversazionale)<br />

1.1. Comunicazione umana e comunicazione della fede<br />

La scelta di partire da una prospettiva psicologica è dettata dalla<br />

convinzione che l’esperienza religiosa non sia altra cosa rispetto a<br />

quella umana quotidiana e che il linguaggio della fede sia profondamente<br />

intrecciato con quello di tutti i giorni. È un dato di fatto<br />

incontrovertibile che la nostra quotidianità sia costituita prevalentemente<br />

di comunicazione, verbale e non verbale. Le parole che scegliamo<br />

di dire o non dire, i racconti che costruiamo e i modi con cui<br />

li intessiamo, le spiegazioni che offriamo oppure omettiamo, tutto<br />

questo non è solo “parola” (o silenzio): è la nostra realtà. Noi siamo<br />

le storie che abitiamo, le parole e le modalità con cui le narriamo.<br />

Perché è mediante quelle che selezioniamo la realtà, mai del tutto<br />

circoscrivibile, ed è a partire da quelle che organizziamo l’esistenza<br />

e cerchiamo di consegnarle un senso unitario e coerente. Parlare è<br />

molto di più che parlare: è “fare cose con le parole” 3 , produrre realtà.<br />

Dunque, la comunicazione e le modalità con cui essa si esplica<br />

sono decisive per l’uomo. Giacché questi è fondamentalmente homo<br />

fabulus 4 .<br />

La questione ora è: la comunicazione della fede (biblico-cristiana)<br />

sfugge alle dinamiche della più generale comunicazione umana? Se<br />

“Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla ma-<br />

3 cf J.L. aUSTin, Come fare cose con le parole, Marietti, Genova 1987.<br />

4 O. GOncaLveS, Narrazioni e cognizioni: implicazioni cliniche,<br />

psicoterapia 5 (1996), 5-20.<br />

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niera di uomini” 5 , non dovrebbero sussistere motivi per rispondere<br />

affermativamente. Il passo appena citato, nel documento conciliare<br />

da cui è tratto apre, com’è noto, il paragrafo che si occupa dell’interpretazione<br />

delle Scritture. Il disegno salvifico che la Chiesa da<br />

sempre crede infallibilmente indicato in esse non è in alcun modo<br />

negoziato. La questione evidenziata qui dai padri conciliari, piuttosto,<br />

è quella della “forma” storico-culturale del linguaggio agiografico<br />

e, soprattutto poi, della sua indagine/attualizzazione esegetico-teologica.<br />

Alla luce di quanto abbiamo detto sopra, la forma,<br />

ovvero la modalità comunicativa, della teologia – particolarmente di<br />

quella cosiddetta “pastorale” che in-forma la presentazione catechetica<br />

ed omiletica del vangelo – è decisiva perché genera anch’essa<br />

realtà. Forse essa può persino oscurare la luminosità del contenuto<br />

di salvezza che intende trasmettere. In che modo? Presentando, ad<br />

esempio, prima l’imperativo morale, poi (eventualmente) l’indicativo<br />

di salvezza. Qui vogliamo sostenere l’ipotesi che tale scelta,<br />

prima di costituire un deplorevole errore teologico, anzitutto generi<br />

o possa generare un paradosso comunicativo, un doppio legame.<br />

Anzi, un duplice doppio legame.<br />

1.2. Il doppio legame<br />

Che cos’è, più precisamente, un doppio legame? Per comprenderlo,<br />

dobbiamo prima fare nostre le profonde intuizioni sulla comunicazione<br />

offerte della scuola di Palo Alto 6 . gli studiosi cui esse<br />

si devono - P. Watzlawick, J.H. Beavin e D.D. Jackson e G. Bateson<br />

– evidenziarono nel 1967 che la comunicazione umana, insieme<br />

ad un aspetto sintattico e ad uno semantico, veicola anche un<br />

aspetto pragmatico, ossia di influenza sul comportamento umano.<br />

Se io dico ad una persona: “Ti amo”, non le sto comunicando semplicemente<br />

un’informazione corretta secondo i codici linguistici comuni<br />

ad entrambi (sintassi), né solamente un significato più o meno<br />

chiaro (semantica), ma sto anche prefigurando un’azione (pragma-<br />

5 cOnciLiO vaTicanO ii, Dei Verbum, Costituzione dogmatica sulla divina<br />

rivelazione, n. 12.<br />

6 cf p. WaTZLaWicK, J.H. Beavin, D.D. JacKSOn, Pragmatica della<br />

comunicazione umana, astrolabio, roma 1967.<br />

psicologia e teologia<br />

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l’amore è legge<br />

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tica): un perdono, un fidanzamento, un tradimento… Tale azione,<br />

tuttavia, si sottrae alle dinamiche lineari di causa-effetto proprie dei<br />

sistemi chiusi o semplici. gli studiosi di Palo Alto compresero che<br />

la comunicazione umana è, invece, un sistema aperto o complesso,<br />

perché dotato di dinamiche cibernetiche, cioè retroattive e circolari.<br />

Nel dire: “Ti amo” ad una persona, non determino necessariamente<br />

amore; lei infatti non soltanto riceverà la mia dichiarazione ma a sua<br />

volta risponderà in un certo modo (retroattività) e tale risposta genererà<br />

una mia controrisposta e questa un’altra sua e così via (circolarità),<br />

generando un’interazione complessa il cui esito è impredeterminabile.<br />

La complessità delle interazioni comunicative, tuttavia,<br />

sembra correre ed intensificarsi lungo i binari di alcune regole implicite,<br />

che i succitati autori definiscono “assiomi”. Essi ne individuano<br />

cinque. Qui ne affronteremo per brevità solo due, quelli più cruciali<br />

per il proseguo del nostro studio.<br />

Il secondo assioma della pragmatica della comunicazione umana<br />

evidenzia che ogni segmento comunicativo tra due interlocutori non<br />

trasmette solamente un contenuto, ma anche una particolare definizione<br />

della relazione in corso e che è questa a fungere da contesto<br />

di quello; definizione della relazione che, secondo il quinto assioma,<br />

dispone i due comunicanti in posizione o simmetrica o complementare.<br />

Un banale esempio servirà a chiarire i due assiomi congiunti.<br />

Una coppia di giovani sposi, di comune accordo molto disponibile ad incontrare<br />

amici in casa propria, si trova a litigare, in modo apparentemente<br />

incomprensibile, a proposito di tale consuetudine. Ciò accade un giorno<br />

in cui il marito, di propria iniziativa, propone a marco, un amico comune,<br />

di condividere una cena a casa loro. Alla sera, appena ritornato dal lavoro,<br />

informa del fatto la moglie. Ed è allora che scoppia il diverbio. L’informazione:<br />

“Ho invitato Marco a casa nostra” (contenuto) sembra il motivo<br />

del disaccordo; in realtà, i due stanno discutendo, forse senza saperlo,<br />

dell’autonoma iniziativa di lui, la quale ha definito la relazione coniugale<br />

in termini complementari: lui in posizione di superiorità (“one-up”), lei<br />

d’inferiorità (“one-down”). Il litigio, in tal senso, è un tentativo di ridefinire<br />

simmetricamente la relazione.<br />

Nel 1956 Gregory Bateson, in collaborazione con Jackson, Haley<br />

e Weakland, aveva già dimostrato che molti disastri psichici si si-<br />

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tuano proprio qui, nella confusione tra i due livelli comunicativi 7 . Ed<br />

eccoci al punto. Si assiste ad un “doppio legame” (double bind), vero<br />

e proprio paradosso comunicativo, quando la gerarchia tra relazione<br />

e contenuto si dissolve ed il soggetto non sa più quale dei due livelli<br />

è il contesto entro cui interpretare l’altro.<br />

L’imperativo: “Sii spontaneo” è il tipico esempio di doppio legame. Qui,<br />

infatti, il contenuto (la spontaneità) è incomponibile con l’aspetto relazionale<br />

che lo accompagna (si tratta di un imperativo).<br />

Più precisamente, il doppio legame consterebbe di tre elementi<br />

fondamentali:<br />

1. una relazione intensa, vitale fisicamente e/o psicologicamente<br />

per una o per tutte le persone coinvolte (paradigmatica è la situazione<br />

genitore-figlio);<br />

2. un messaggio, a sua volta costituito a) da un’asserzione b) da<br />

un’asserzione sull’asserzione c) dalla contraddizione tra a) e b): se il<br />

messaggio è un imperativo esso dev’essere disatteso per poter essere<br />

rispettato;<br />

3. la condizione di colui che riceve il messaggio: essa non permette<br />

né di abbandonare il campo né di uscire dallo schema cognitivo.<br />

non ci si può sottrarre al doppio legame se non attraverso la metacomunicazione,<br />

ossia comunicando sulla comunicazione 8 . ma è<br />

proprio questa che, nei modelli interattivi sistematicamente caratterizzati<br />

da doppio legame, è preclusa. Così la riflessività che ne scaturisce,<br />

se da una parte può diventare la culla dell’arte, dell’umorismo<br />

e del gioco, dall’altra può più facilmente trasformarsi nel letto di<br />

Procuste che torce il significato delle sequenze comunicative in dire-<br />

7 cf G. BaTeSOn, D.D. JacKSOn, J. HaLeY, J.H. WeaKLanD, Verso una<br />

teoria della schizofrenia, in iD., Verso un’ecologia della mente, adelphi, Milano<br />

1977, 244-274.<br />

8 È quello che facciamo normalmente quando, a chi ci ha trasmesso un<br />

messaggio paradossale, chiediamo: “Ma stai scherzando?”, oppure: “cosa<br />

intendi dire?”, o qualcosa di simile ancora.<br />

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zioni contrastanti, fino all’indecidibilità. Non a caso, qui nascerebbe,<br />

a parere di Bateson, la schizofrenia 9 .<br />

9 L’incapacità di discriminare situazioni universali di doppio legame portò<br />

rapidamente la teoria batesoniana dal plauso iniziale del mondo accademico<br />

all’obsolescenza. nel 1982 tre studiosi della comunicazione umana, cronen,<br />

Johnsonn e Lannamann, rivisitando le premesse epistemologiche della teoria,<br />

scoprirono che la sua fragilità non consisteva nell’incapacità discriminativa<br />

oggettiva, ma nella pretesa di possederla. contro le sue stesse intuizioni iniziali e<br />

forse senza rendersene conto, Bateson aveva costruito la teoria su una concezione<br />

realista della comunicazione. Quest’ultima di per sé avrebbe il compito di<br />

“rappresentare” una realtà esterna pre-organizzata secondo livelli discreti, privi<br />

di intrecci o grovigli, che il doppio legame, invece, quale trasmissione fallace,<br />

disorganizzerebbe. in sostanza, prima ci sarebbero contenuti e relazione, poi il<br />

doppio legame ne inquinerebbe purezza e gerarchia mediante comunicazione<br />

paradossale. pertanto la riflessività andrebbe bandita dal linguaggio attraverso<br />

una specie di “decreto”, proprio come, su un altro piano, avevano già fatto<br />

col paradosso logico Withehead e russel (confusione dei “tipi logici”), cui<br />

Bateson si era ispirato. Tale visione rappresentazionalista della comunicazione<br />

(quotidiana e scientifica) oggi - alla luce della recente rivoluzione epistemologica<br />

apportata nei saperi in modo congiunto dalla teoria generale dei sistemi (L. von<br />

Bertalanffy), dall’epistemologia genetica (J. piaget), dalla seconda cibernetica (H.<br />

von föerster), dal principio d’indeterminazione (W.K. Heisenberg), dai teoremi<br />

d’incompletezza (K. Gödel), nonché dalla fisica del novecento (teoria della<br />

relatività di a. Heinstein, fisica del caos e dei quanti di H. poincarè) – appare<br />

del tutto insostenibile. essa piuttosto, a parere di cronen, Johnsonn e Lannamann,<br />

deve fare spazio ad una visione costruzionista della stessa. La comunicazione non<br />

“rappresenta” la realtà esterna né veicola contenuti mentali preesistenti (sentimenti,<br />

emozioni, credenze…) alla relazione ma li costruisce essa stessa. e ciò non<br />

“contro” una possibile oggettività del reale, ma “dentro” di essa. L’uomo, infatti,<br />

seleziona il reale in base a precise dimensioni semantiche salienti nell’interazione<br />

conversazionale, rispetto alle quali àncora la propria identità a quella degli altri.<br />

Ora, se la gerarchia dei livelli di significato (contenuto, relazione, cui i tre autori<br />

aggiungono i livelli della biografia personale e dei modelli culturali) non è data<br />

a priori rispetto all’interazione conversazionale, la riflessività, che ad un certo<br />

punto necessariamente si instaura tra i livelli, risulta una componente normale<br />

del processo comunicativo e addirittura indispensabile alla sua evoluzione. ciò<br />

non impedisce che in taluni casi – mai tuttavia predeterminati e universalmente<br />

riconoscibili – la riflessività possa generare situazioni patogene. in quanto elemento<br />

normale/indispensabile alla comunicazione umana, la riflessività sortisce “circuiti<br />

armonici” (charmed loops); in quanto elemento patogeno, predispone invece a<br />

“circuiti bizzarri” (strange loops). Sarebbe interessante e certamente più fecondo<br />

agganciare il tema generale della nostra riflessione alla revisione costruzionista<br />

del doppio legame. ciò, tuttavia, a motivo della complessità dell’argomento,<br />

chiederebbe di dare molta più attenzione all’approccio psicologico, finendo per<br />

sbilanciare l’economia globale dello studio che intende, invece, contemperare<br />

anche altri approcci. ci basti qui essere avvertiti dell’equivoco di fondo presente<br />

nella primitiva teoria del doppio legame ed evitare di edificare proprio su di esso<br />

le nostre successive riflessioni. per un approfondimento, cf v.e. crOnen, K.M.<br />

JOHnSOn, K.M. LannaMann, Paradossi, doppi legami e circuiti riflessivi:<br />

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1.3. Ama Dio e il prossimo<br />

Cosa ha che fare tutto questo con l’indicativo di salvezza e l’imperativo<br />

morale? Il “doppio double bind”, che abbiamo prefigurato<br />

possibile in una trasmissione della fede che ignori le suddette regole<br />

della comunicazione umana, è comprensibile solo alla luce del peculiare<br />

messaggio biblico-cristiano. Il suo cuore pulsante, il kerygma,<br />

annuncia che Dio è amore gratuito e che proprio tale gratuità libera<br />

l’uomo. ora, ci sembra che comunicare questo annuncio non come<br />

indicativo di salvezza ma anzitutto nella forma del conseguente imperativo<br />

morale (ama Dio/il prossimo e vivi da libero) possa generare<br />

10 , sotto un profilo psicologico, una duplice situazione d’insanabile<br />

indecidibilità. Se ciò è vero, dobbiamo almeno poter verificare,<br />

in tale ingiunzione, la presenza dei tre elementi fondamentali costitutivi<br />

del doppio legame batesoniano, precedentemente elencati.<br />

1. La relazione intensa è quella tra il fedele e Dio, rappresentato<br />

da chi parla “a nome suo”. Essa è ritenuta vitale psicologicamente<br />

(in ordine al senso ultimo del vivere: qui Dio è visto quale salvatore)<br />

e/o fisicamente (in ordine ai bisogni materiali quotidiani: qui Dio è<br />

visto quale creatore).<br />

2. Il messaggio è così strutturato: a) ama Dio/il prossimo b) l’amore<br />

vero è gratuito/libero c) ama gratuitamente/liberamente su ingiunzione.<br />

una prospettiva teorica alternativa, Ter. fam. vol. 14 (1983), 87-120; v. UGaZiO,<br />

Storie permesse, storie proibite, Bollati Boringhieri, Torino 2008, 104-135.<br />

10 il modo del verbo esprime eventualità e non determinismo. esso ci pare<br />

d’obbligo per due motivi: in primo luogo perché la nostra, come già dichiarato,<br />

è un’ipotesi speculativa; in secondo luogo, per le ragioni, già in parte su<br />

esposte, in base alle quali cronen, Johnsonn e Lannamann ritengono che non<br />

esistano situazioni di doppio vincolo universali, ma che il loro evolvere verso<br />

una riflessività armonica o bizzarra dipenda da meta-regole, sintesi a loro volta<br />

dei diversi modelli culturali e dei diversi posizionamenti semantici di ciascun<br />

individuo nei contesti di appartenenza. Da questo punto di vista, per esempio,<br />

sempre ragionando in astratto - e secondo una prospettiva squisitamente<br />

psicologica, non ancora biblica o teologica – si può ipotizzare che l’imperativo:<br />

“ama il tuo Dio” rivolto ad un israelita dell’epoca monarchica, e sganciato<br />

dall’indicativo di salvezza che lo fonda (esodo e dono della terra), potrebbe<br />

risultare non del tutto intransitivo con il livello della biografia personale del<br />

soggetto (già improntata ad un atteggiamento di subordinazione) né questo con<br />

il livello della relazione con Dio (percepita in termini di sudditanza), a sua volta<br />

contestualizzato da un modello socio-culturale di tipo teocratico.<br />

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3. Colui che riceve il messaggio, infine, è in una condizione che<br />

non gli rende agevole né abbandonare il campo – in questo caso la<br />

propria religione, le tradizioni popolari e familiari, gli abituali contesti<br />

formativi e socializzanti, etc… - cui spesso è emotivamente<br />

molto legato, né uscire dallo schema cognitivo, opzione che in tal<br />

caso esigerebbe la capacità e la competenza di metacomunicare<br />

sul messaggio così autorevolmente ricevuto (“La volontà di Dio è<br />

questa: tu devi…”).<br />

La riflessività che connota tale messaggio è molto visibile. Proviamo,<br />

tuttavia, a ricondurla ad un esempio più vicino a noi. Cosa<br />

penseremmo di una persona che ci intimasse perentoriamente:<br />

“Amami”? Se completamente sconosciuta, è assai probabile che la<br />

riterremmo una persona malata di mente e la eviteremmo; se semplicemente<br />

conosciuta, è probabile che anziché amarla di più, la<br />

ameremmo di meno; se per noi figura vitale, è probabile che continueremmo<br />

ad amarla, non sapendo però più decidere in quale posizione:<br />

se a partire dalla relazione (ma in tal caso dovremmo ignorare<br />

il comando-contenuto) o se a partire dal comando-contenuto (ma<br />

in tal caso contro la relazione). Il detto popolare: “Al cuor non si<br />

comanda” accoglie molte più verità di quelle che l’interpretazione<br />

romantica, anch’essa popolare, ne estrae. Al cuore non si comanda<br />

non tanto perché esso spesso sembri innamorarsi per capriccio o per<br />

un codice estetico del tutto personale, misterioso ed incomunicabile<br />

(“È bello non ciò che è bello ma ciò che piace”), ma anzitutto perché<br />

il binomio amore/comando è un assurdo, una sorta di aporia relazionale<br />

(nella cultura occidentale contemporanea più che mai). L’amore<br />

è per sua natura incoercibile, poiché nasce da una libertà e si<br />

comunica ad un’altra libertà. Il passaggio dall’una all’altra consta di<br />

gratuità. È proprio questa che si dissolve in un amore “a comando”,<br />

dove l’esperienza umana più libera e liberante si trasforma in una<br />

specie di prigione (nella quale, per la verità, si può anche sopravvivere<br />

– quante donne lungo la storia lo hanno fatto! – ma molto<br />

probabilmente abdicando al desiderio di felicità 11 ).<br />

11 L’allusione è chiaramente alla consuetudine, oggi superata in Occidente,<br />

dei cosiddetti “matrimoni combinati”. Qui, tuttavia, l’accenno alla questione<br />

femminista non è casuale né vuole fermarsi a questa prassi. infatti, la<br />

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1.4. Ama Dio e il prossimo come ha fatto Gesù<br />

Il possibile doppio legame appena mostrato, come appare evidente,<br />

potrebbe riguardare ogni forma di etica dell’amore che non<br />

esplicitasse il fondamento su cui si erige. L’imperativo morale cristiano<br />

però, a motivo della sua specifica originalità, evidenzia un<br />

secondo possibile paradosso, legato al messaggio: “Ama Dio/il prossimo<br />

come ha fatto Gesù”.<br />

Rimanendo invariati il primo e il terzo elemento del doppio legame<br />

sopra elencati, analizziamo solamente il secondo, ovvero il<br />

messaggio trasmesso. Esso implicitamente si compone delle seguenti<br />

sottoparti: a) ama come gesù b) gesù era capace di un amore illimitato<br />

perché Figlio di Dio c) ama da creatura finita in modo infinito.<br />

Qui oggetto del comando è non solo la libertà/gratuità dell’amore<br />

ma anche la sua intensità, secondo gradi che travalicano le<br />

possibilità umane perché propri delle capacità divine. Ci verrebbe<br />

prescritto, in sostanza, un modello di amore col quale a priori ci è<br />

impossibile identificarci. Ne scaturirebbe un “desiderio mimetico”<br />

che, come ha acutamente mostrato girard a proposito del complesso<br />

edipico, espone puntualmente ad una situazione di doppio legame<br />

quando oggetto della tensione ideale è un modello che avvicina<br />

e al contempo respinge: “Sii come il modello, non essere come il<br />

modello” 12 . nel nostro caso, a contraddire violentemente l’invito<br />

alla mimesis del modello (Dio illimitato) è addirittura un’impossibilità<br />

costitutiva, ontologica, di colui che è invitato (la creatura limitata)<br />

e che porta a riformulare così il double bind finale: “Sii come il<br />

modello, non puoi essere come il modello”; ovvero: “Sii come Dio,<br />

non puoi essere come Dio (sei una creatura)”. Se la legge dell’amore<br />

subordinazione cui la cultura patriarcale l’ha per secoli costretta sotto molteplici<br />

aspetti, ha reso la donna occidentale destinataria elettiva di messaggi paradossali<br />

ed invivibili. Una psicologia clinica fondata sull’approccio conversazionale non<br />

può non leggere in certe psicopatologie tipicamente femminili (vedi l’isteria di<br />

fine Ottocento o l’anoressia/bulimia moderna) un tentativo estremo, in interazioni<br />

caratterizzate da doppio legame, di metacomunicare mediante “la sintassi del<br />

corpo” e di “avere voce in capitolo” (cf per es., M. OLSOn, Ascoltando le voci<br />

dell’anoressia: il ricercatore come testimone esterno, in p. BarBeTTa, p. Benini,<br />

r. nacLeriO, (a cura di), Diagnosi della diagnosi, Guerini Studio, Milano<br />

2003, 43-74).<br />

12 cf r. GirarD, La violenza e il sacro, adelphi, Milano 2005, 235-265.<br />

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cristiano si presentasse in questi termini, prescrivendo all’uomo un<br />

comportamento di cui lo discoprisse immediatamente incapace, essa<br />

meriterebbe le conclusioni cui giunge Žižek sempre a proposito del<br />

triangolo edipico. Nella “legge del padre” – egli nota – esiste una<br />

componente di “oscenità”, perché essa prima impone al bambino<br />

il superamento di un limite (amare incestuosamente la madre), poi<br />

gli addita beffardamente la sua costitutiva impossibilità ad obbedire<br />

(l’impotenza sessuale). Il messaggio paterno in pratica è: “Sii come<br />

me, non puoi essere come me (vedi che sei impotente?)” 13 .<br />

se il messaggio biblico-cristiano, insomma, fosse presentato in<br />

termini imperativi in modo previo o addirittura indipendente rispetto<br />

al suo indicativo di salvezza, se ne otterrebbe una duplice paradossalità.<br />

Ma che ne sarebbe della suprema “legge dell’amore” cristiano<br />

se, oltre ad esibirsi paradossale, risultasse anche “oscena”?<br />

2. L’indicativo liberante:<br />

“Gesù è morto e risorto”<br />

(approccio biblico-kerygmatico)<br />

biblico-<br />

L’approccio<br />

kerygmatico<br />

sembra assestare<br />

un colpo ancora più<br />

duro alla legge: essa,<br />

da dono di Dio, si tra-<br />

sforma in Paolo nella “forza del peccato” (1Cor 15,56), addirittura in<br />

sorgente di “maledizione” (cf. Gal 3,13). Ora, com’è possibile per un<br />

Ebreo osservante, quale Paolo si professa, arrivare a pronunciarsi in<br />

termini così scandalosi e blasfemi? Che cosa nasconde questo conflitto<br />

con la legge?<br />

Se la riflessione precedente, anticipando il contenuto del kerygma,<br />

ha mostrato la duplice paradossalità cui espone a livello psicolo-<br />

13 cf S. ŽiŽeK, Violencia en acto. Conferencias en Buones Aires. paidos,<br />

Buenos aires 2004, cit. in p. BarBeTTa, Anoressia e isteria. Una prospettiva<br />

clinico-culturale, raffaello cortina editore, Milano 2005. in realtà, l’oscenità<br />

che Žižek ravvisa nella legge del padre è duplice; nel “ti vieto di essere come<br />

me” (cioè di avere lo stesso mio desiderio: la madre) è inclusa l’ingiunzione:<br />

“trasgredisci” (primo messaggio osceno), poiché la proibizione si afferma<br />

per provocare la sua trasgressione, la quale, necessariamente inadempiuta,<br />

svergogna il figlio nel suo limite: “Sei impotente” (secondo messaggio osceno).<br />

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gico-conversazionale la prescrizione di un amore gratuito - e precisamente<br />

di un amore gratuito illimitato - è soltanto un percorso a<br />

ritroso lungo l’esperienza biblico-cristiana che è capace di attraversare<br />

gli abissi che soggiacciono a tali contraddizioni. Abissi che, a<br />

partire dal tema della legge, a mano a mano si disvelano nell’esperienza<br />

religiosa ed umana di Israele e della prima comunità cristiana<br />

e che solamente dai vertici dell’azione storica di Dio, raggiunti nella<br />

Pasqua di Gesù, sono specularmente colmati e superati. La riflessione<br />

biblica così, se da un lato addirittura approfondisce la pars<br />

destruens precedentemente abbozzata, dall’altro è l’unica veramente<br />

autorizzata ad edificare una pars costruens a livello antropologico e<br />

teologico cristiano 14 . E mostra come soltanto l’annuncio (kerygma):<br />

“Gesù di Nazareth è morto e risorto” costituisca l’indicativo di salvezza<br />

capace di sciogliere le aporie in cui la legge religioso-morale<br />

ha fatto incappare Israele nel rapporto con Dio. L’annuncio della<br />

morte e della risurrezione di gesù ha che vedere, in negativo, col<br />

bisogno dell’uomo di autogiustificarsi, di fare a meno della misericordia<br />

gratuita di Dio, della quale si dubita a motivo della morte<br />

quale limite supremo (se Dio amasse davvero l’uomo perché mai lo<br />

lascerebbe morire?); e, in positivo, ha a che fare con l’amore gratuito<br />

e illimitato di Dio che rende capace di tanto anche l’uomo che se ne<br />

lascia investire. Ecco perché l’annuncio della Pasqua di Gesù è una<br />

“buona notizia” (eu-anghelion in greco, da cui il termine italiano<br />

“vangelo”) 15 . Anzi, la buona notizia per eccellenza rivolta all’uomo.<br />

14 Se è vero che le fonti della teologia non consistono unicamente nel dato<br />

biblico rivelato, è altrettanto vero che ogni esposizione teologica cristiana non<br />

può assolutamente prescindere da esso né subordinarlo ad altre fonti. La sacra<br />

Scrittura, infatti, è l’anima della teologia (cf Dei Verbum 24; Optatam Totius 16).<br />

Superfluo, dunque, aggiungere che anche la riflessione di H.U. von Balthasar,<br />

che proporremo nella terza parte come esemplificativa dell’approccio teologicosistematico,<br />

suppone anch’essa il kerygma e lo sviluppa da un punto di vista<br />

speculativo.<br />

15 in quanto “annuncio”, il kerygma – a parere di v. Spicacci cui<br />

monograficamente ci riferiamo in questa parte – si dà in modo originario ed<br />

efficace nella narrazione. Un indicativo, insomma, che connota non solo il<br />

contenuto dell’annuncio ma anche la sua forma. per ragioni di brevità, qui<br />

siamo costretti, oltre che a sintetizzare per sommi capi gli studi del nostro autore,<br />

anche a tradirne in gran parte la forma espositiva (che, peraltro, si porrebbe in<br />

perfetta sintonia con l’approccio psicologico-conversazionale che ha aperto la<br />

nostra riflessione). i principali lavori, oggetto della nostra sintesi, sono: v.<br />

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2.1. La legge come “forza del peccato”<br />

Partiamo dal fondovalle dell’esperienza religiosa di Israele. Che<br />

cosa ha precipitato qui la legge agli occhi di Paolo? Essa è dono di<br />

Dio. Precisamente, è il prezioso insegnamento di Dio 16 , l’insieme dei<br />

principi e delle norme che oggettivano l’alleanza tra il signore e il<br />

suo popolo (cf. Es 19,5; 34,10; Dt 4,13; 5,2; 29,12), fonte di vita e<br />

di benedizione per chi la osserva (cf. Lv 18,5). Dunque, necessaria e<br />

benefica. Da dove, allora, la drastica conclusione paolina?<br />

In verità, ogni positività suppone una polarità opposta. Anche la<br />

benedizione di Dio, pertanto, ha un suo possibile contrario e Israele<br />

non teme di prefigurarlo: chi trasgredirà la legge sarà maledetto (cf.<br />

Dt 27,26). Così la legge impone all’uomo un’inevitabile scelta direzionale<br />

tra la vita e il bene da una parte, la morte e il male dall’altra<br />

(cf. Dt 30,15; Sir 15,13-20). Nonostante la proclamata volontà di<br />

aderire fedelmente all’alleanza di Dio (cf. Gs 24,24), Israele scopre,<br />

dopo una serie ininterrotta di infedeltà, la propria cronica incapacità<br />

di osservare la legge (cf. Is 59,12s; Ger 14,7; Bar 1,15-18; Dn 3,29-<br />

30; 9,5-10.20; Ne 1,6s; 9,34). È una dolorosa assunzione di consapevolezza<br />

che nella coscienza di Israele innesca e allo stesso tempo<br />

acuisce una serie di dinamiche disgreganti. A queste Paolo sembra<br />

alludere quando inauditamente definisce la legge “forza del peccato”<br />

(1Cor 15,56). Possiamo ricondurle sostanzialmente a tre:<br />

Spicacci, Gesù di Nazareth: una buona notizia?, ancora, Milano 1997;<br />

iD., La buona notizia di Gesù, o.c.<br />

16 il termine ebraico Torah deriva dal verbo jarah, insegnare, e significa<br />

quindi “l’insegnamento (di Dio)”, che in quanto tale è normativo. nella<br />

Bibbia dei Settanta il termine greco nómos che traduce Torah coglie di questo<br />

certamente l’aspetto normativo ma ne disperde la globale ricchezza semantica.<br />

il termine italiano legge traduce letteralmente quello greco.<br />

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1. la devastante autocoscienza della propria fallibilità: la legge<br />

inchioda ogni uomo 17 - anche coloro che la predicano 18 – alla propria<br />

debolezza e ne addita, inesorabile, il peccato 19 ;<br />

2. il seducente desiderio del male 20 : è la cosiddetta “concupiscenza”,<br />

la brama del “frutto proibito”, che proprio la conoscenza<br />

della legge scatena nell’uomo 21 ;<br />

17 paolo scrive così: “Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per usare<br />

a tutti misericordia!” (rm 12,32); “…la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il<br />

peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù<br />

cristo” (Gal 3,22); “…noi sappiamo che tutto ciò che dice la legge lo dice per<br />

quelli che sono sotto la legge, perché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia<br />

riconosciuto colpevole di fronte a Dio” (rm 3,19).<br />

18 avverte Gesù in Mt 23,2-4: “Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi<br />

e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo ed osservatelo, ma non fate secondo le loro<br />

opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono<br />

sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito”<br />

e in Lc 11,46: “Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini<br />

di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito”. vi<br />

fa eco paolo: “…se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro<br />

sulla legge e ti glori di Dio, del quale conosci la volontà e, istruito come sei<br />

dalla legge, sai discernere ciò che è meglio, e sei convinto di essere guida dei<br />

ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre, educatore degli ignoranti, maestro<br />

dei semplici, perché possiedi nella legge l’espressione della sapienza e della<br />

verità…, ebbene, come mai tu che insegni agli altri non insegni a te stesso? Tu<br />

che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?” (rm 2,17-23). cf.<br />

rm 14,4; at 15,10; Gc 4,11s.<br />

19 nota paolo che “…in virtù delle opere della legge nessun uomo sarà mai<br />

giustificato davanti a lui, perché per mezzo della legge si ha solo la conoscenza<br />

del peccato” (rm 3,20) e che “…la legge poi sopraggiunse a dare piena<br />

conoscenza della caduta” (rm 5,20).<br />

20 Questo disordine del cuore costituisce per paolo la “legge del peccato”,<br />

opposta alla legge di Dio: “io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti<br />

non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto. Ora, se faccio quello che<br />

non voglio, io riconosco che la legge è buona; quindi non sono più io a farlo,<br />

ma il peccato che abita in me. io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non<br />

abita il bene; c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo;<br />

infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se<br />

faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita<br />

in me. io trovo dunque in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male<br />

è accanto a me. infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, ma nelle<br />

mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mente e mi<br />

rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra” (rm 7,15-24).<br />

21 in rm 7,7s, paolo scrive: “…che diremo dunque? che la legge è peccato?<br />

no certamente! però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né<br />

avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: non desiderare<br />

(es 20,17). […] Senza la legge il peccato è morto”. e poi continua: “prendendo<br />

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3. il disperato tentativo di autogiustificazione 22 : impugnare la pratica<br />

della legge permette all’uomo di vantare una propria illusoria<br />

giustizia davanti a Dio, che lo dispenserebbe dall’aver bisogno della<br />

sua misericordia 23 .<br />

Quest’ultima dinamica pare essere quella decisiva, quella che trascina<br />

con sé le prime due e che maggiormente motiva la dura espressione<br />

di Paolo. Tale è infatti il capolavoro del peccato: sfigurare la<br />

legge, dono immenso di Dio, fino a deformarla nell’idolo della propria<br />

giustizia per fare a meno di Dio stesso. La legge diventa veramente,<br />

in questo senso, la “forza del peccato”. L’esperienza religiosa<br />

dell’antico Israele, specchio della più generale esperienza religiosa<br />

umana, racconta che l’autogiustificazione si traveste ora di legalismo<br />

ora di formalismo ora, infine, di servilismo 24 .<br />

ma non è tutto qui. Alla luce buona del kerygma, che rischiara<br />

l’occhio di Paolo, l’autogiustificazione appare, in qualche modo, un<br />

abisso che richiama altri abissi. metaforicamente parlando, l’autogiustificazione<br />

è la “sindrome” che affligge il cuore dell’uomo e che si<br />

compone dei sintomi del legalismo, del formalismo e del servilismo,<br />

pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni<br />

sorta di desideri… Ma, sopraggiunto quel comandamento, il peccato ha preso<br />

vita e io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è divenuta per me<br />

motivo di morte. il peccato infatti, prendendo occasione dal comandamento,<br />

mi ha sedotto e per mezzo di esso mi ha dato la morte” (rm 7,8-11). cf anche<br />

Gc 1,14s.<br />

22 annuncia in negativo paolo: “…dalle opere della legge non verrà mai<br />

giustificato nessuno” (Gal 2,16); e poi in positivo: “vi sia dunque noto, fratelli,<br />

che per opera di lui [Gesù] vi viene annunziata la remissione dei peccati e<br />

che per lui chiunque crede riceve giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu<br />

possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè” (at 13,38s)<br />

23 cf Lc 18,9.14: “Disse ancora questa parabola per alcuni che credevano<br />

di essere giusti e disprezzavano gli altri […] io vi dico: questi tornò a casa<br />

sua giustificato, a differenza dell’altro, perché chi si esalta sarà umiliato e chi<br />

si umilia sarà esaltato”; Mt 6,1-5; 23,5-32; Lc 11,39-48.52 (ammonimenti di<br />

Gesù contro l’ipocrisia ed il formalismo religioso); Lc 16,14s (ammonimento di<br />

Gesù ai farisei che si ritenevano giusti); Lc 15,7 (la parabola della pecorella<br />

smarrita).<br />

24 Dio denuncia queste tre forme devianti della fede nell’a.T.,<br />

emblematicamente, in Sam 15,22; is 1,10-16; 29,13s; 58,1-8; Ger 6,20;<br />

14,12; Os 6,6; 8,13; Mi 3,4; 6,5-8; Gl 2,13; Zc 7,4-6; Sl 40,7-9; 50,5-15;<br />

51,18-19 e nel n.T., con Gesù, in Lc 11,41s; Mt 7,21; Gv 4,21-24, (cf anche<br />

i passi già citati sopra).<br />

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ma non è essa stessa la causa della malattia. L’“eziopatogenesi” è da<br />

collocare, piuttosto, nei movimenti più recessi ed oscuri del cuore<br />

umano, laddove il male scopre le proprie radici: lo scandalo del limite,<br />

la paura della morte, la paura di Dio e, alla base, il sospetto<br />

sulla gratuità del suo amore.<br />

2.1.1. Servilismo, formalismo e legalismo<br />

Il servilismo, il formalismo e il legalismo della coscienza credente<br />

nascono dall’incontro-scontro tra il bisogno e la paura di Dio.<br />

L’uomo ha indiscutibilmente bisogno di Dio. I limiti personali ed<br />

esistenziali pedinano la sua vita, la assediano, la incalzano. Di essi<br />

la morte costituisce il sigillo ultimo e allo stesso tempo più rappresentativo:<br />

ogni limite, infatti, “mortifica” l’uomo, genera in lui una<br />

specie di morte. L’uomo istintivamente si rivolge a “Qualcuno” che<br />

avverte superiore a sé, che possa colmare i suoi deficit e permettergli<br />

di varcare come d’incanto la soglia altrimenti invalicabile del limite.<br />

ora, l’uomo potrebbe vivere questo bisogno in modo disteso e<br />

rilassato, poggiandolo su un rapporto di fiducia. Ma accade esattamente<br />

il contrario. Egli tende a soddisfare questo bisogno in modo<br />

avido, smodato, possessivo. In questa avidità la coscienza credente<br />

mira unicamente ad uno scopo: usare di Dio in funzione della propria<br />

auto-conservazione e della propria auto-realizzazione, impadronirsi<br />

di Dio per fare a meno di lui, dare la scalata al cielo e afferrare il<br />

suo potere per salvarsi da sola 25 . In breve, essere come Dio ma senza<br />

Dio. È il delirio dell’onnipotenza 26 .<br />

Il bisogno di Dio, così morbosamente vissuto, malcela a sua<br />

volta la paura di Dio. Essa prende forma nella coscienza credente<br />

a partire dallo stridente contrasto tra la felice onnipotenza divina<br />

e la miserrima impotenza della condizione creaturale. I motivi di<br />

diffidenza nel cuore dell’uomo, a tale riguardo, sono molti. Due in<br />

25 vedi, per es., il racconto biblico della torre di Babele (cf Gen 11,1-9) ma<br />

anche quello extra-biblico, mitologico, di icaro.<br />

26 alla base di questa riflessione sta la rilettura kerygmatica di Gen 3, in cui<br />

più che stigmatizzare un peccato originale come un quid che riguarda “gli inizi”<br />

e fondamentalmente “altri”, è necessario riconoscere una logica che perpetua<br />

se stessa attraverso ogni singola azione peccaminosa degli uomini.<br />

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particolare sembrano quelli decisivi. In primo luogo, l’onnipotenza<br />

rende Dio il “totalmente altro”, il “diverso” per antonomasia rispetto<br />

all’uomo, “la nube” cui è pericoloso avvicinarsi. In forza dei suoi<br />

smisurati poteri, egli da una parte è “l’imprevedibile” che sfugge<br />

ad ogni controllo dell’uomo, numinoso, misterioso, inafferrabile;<br />

dall’altra egli è “colui che tutto vede” e “prevede” e ai cui occhi<br />

nulla può sfuggire. Il potere del controllo, dunque, è a senso unico.<br />

La coscienza credente si percepisce braccata dal suo sguardo penetrante<br />

e pervasivo. L’uomo, ogni uomo, è una specie di “sorvegliato<br />

speciale” e lo sguardo divino, per ciascuno, una minacciosa spada<br />

di Damocle. L’onnipotenza di Dio, in secondo luogo, suggerisce al<br />

cuore dell’uomo un motivo di diffidenza ancor più grave. Essa, a<br />

fronte dei numerosi limiti umani, appare scandalosa, quasi sadica:<br />

come può Dio starsene a guardare tranquillo le proprie creature deturpate<br />

e vinte dagli affanni quotidiani e infine dalla morte? Una luce<br />

sinistra è gettata così sulle intenzioni di Dio. Esse certamente non<br />

possono essere benevole. Il sospetto inoculato è il seguente: Dio non<br />

partecipa la sua onnipotenza all’uomo perché lo ritiene un proprio<br />

potenziale concorrente. Il “progetto” sull’uomo che gliene deriva<br />

non può che essere un’esistenza mortificata e mortificante. Ecco il<br />

nodo gordiano della coscienza credente: la morte. Come comporre la<br />

sua esistenza con un presunto amore di Dio?<br />

Un Onnipotente dai connotati siffatti, imprevedibile e mortificatore,<br />

del quale tuttavia si ha un profondo bisogno, impone alla coscienza<br />

credente un rapporto cautelativo e contrattuale – tutt’altro<br />

che gratuito dunque – laddove l’osservanza della legge è merce di<br />

scambio e arma di difesa insieme. L’obbedienza alla legge, difatti,<br />

garantisce all’uomo un duplice vantaggio: l’imprevedibilità di Dio<br />

è addomesticata dalla regola do ut des – ti do tanto per tanto, né più<br />

né meno: non è ammessa slealtà alcuna – e i suoi immensi poteri<br />

gradualmente estorti. In pratica: osservanza servile, formale, legalistica<br />

in cambio dei dovuti favori divini. Una propria giustizia,<br />

insomma, comprata a caro prezzo, col sudore dell’osservanza religioso-morale.<br />

Il servilismo si distinguerebbe per i suoi modi untuosi, striscianti<br />

ed ipocriti, tipici del servo, appunto, che finge ossequio e devozione,<br />

ma non aspetta altro che il padrone si allontani per colpirlo alle spalle<br />

e coltivare i propri interessi.<br />

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Il formalismo evidenzia, invece, la “distanza di sicurezza” da tenere<br />

nei confronti di un simile Dio, indispensabile e tuttavia pericoloso,<br />

e rimarca la necessità di salvaguardare un prudente equilibrio<br />

tra bisogno e paura di lui. Ogni confidenza nei confronti di Dio qui è<br />

vietata. È invece raccomandata una condotta religioso-morale asettica<br />

- comprensiva di formule, gesti stereotipi e convenzionali che<br />

assolvano alle norme prescritte - che eviti di manifestare a Dio i<br />

propri sentimenti, compresa la propria paura di lui: permaloso e iracondo<br />

quale l’immaginazione lo ritrae, chissà che reazioni potrebbe<br />

manifestare a tale confessione! Il formalismo, in tal senso, esprime<br />

addirittura “la paura della paura di Dio”.<br />

Il legalismo è l’artefatto migliore dell’infelice e contrastante connubio<br />

tra bisogno e paura di Dio che si celebra nel cuore umano.<br />

Esso consiste nell’osservare scrupolosamente “le regole” della legge<br />

perché Dio non abbia più niente da recriminare. Lo scopo non è assolutamente<br />

incontrare Dio, bensì tenerlo il più lontano possibile,<br />

fino ad estrometterlo dalla propria vita in nome della giustizia personale.<br />

Se Dio concede qualcosa all’uomo è perché questi se l’è meritato<br />

fino in fondo. Del resto, un contratto è un contratto. È l’uomo<br />

ora ad essere creditore di Dio, non viceversa. La legge, da potere di<br />

Dio sull’uomo, finisce per diventare così il potere dell’uomo su Dio.<br />

2.1.2. L’esperienza religioso-morale come rapporto di potere<br />

Un rapporto di potere con Dio, un tenergli testa sul piano morale:<br />

ecco cosa diventa l’esperienza religiosa quando la coscienza credente<br />

tenta di autogiustificarsi. Un braccio di ferro, questo, disperato<br />

ed umiliante per l’uomo, che puntualmente si vede sconfitto a causa<br />

della propria ineluttabile fallibilità e che, dopo ogni défaillance, prometeicamente<br />

si rialza e tende di nuovo il pugno a Dio, sforzandosi<br />

di “meritare” il suo perdono. Meritare un (per)dono è però un assurdo,<br />

almeno quanto lo è “comprare” l’amore. Entrambi, perdono e<br />

amore, appartengono infatti ad un rango relazionale assai più nobile<br />

dei rapporti commerciali. Appartengono al regno della gratuità.<br />

Qui sta il punto di svolta. La paura di Dio, che scompagina il bisogno<br />

di lui nell’esperienza religiosa, rivela che l’uomo non crede al<br />

suo amore né alla presunta gratuità con cui egli avrebbe dato vita al<br />

mondo e a tutte le creature. sarebbe un atto irresponsabile, quindi,<br />

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abbandonarsi con tutti i propri limiti ad un tale Dio, di cui si sospettano<br />

fini reconditi e inconfessati. Le torbide intenzioni di Dio sono<br />

smascherate dalla morte, limite estremo, e dai limiti, quali piccole<br />

morti quotidiane. Se Dio non elimina né l’una né gli altri, lui che<br />

tutto potrebbe, è perché evidentemente gli sono necessari per tenere<br />

sotto scacco l’uomo, per ricattarlo ed estorcergli qualcosa, se non<br />

altro subordinazione. L’uomo allora gli concede quanto vuole: si<br />

sottomette obtorto collo alla sua legge, ma in cambio naturalmente<br />

esige le sue grazie, la sua pur costosa giustizia ovvero il suo potere<br />

contro la morte e le morti. Una gavetta estenuante ma necessaria.<br />

Con un obiettivo finale: arrivare ad essere come Dio per fare<br />

a meno di Dio. E con un’attesa nascosta, inconfessabile: la morte di<br />

Dio stesso. morte dalla quale l’uomo ricaverebbe due inestimabili<br />

vantaggi: l’incameramento dell’incalcolabile eredità di Dio, che è<br />

la vita, e la propria totale emancipazione 27 . La logica ivi sottesa è<br />

scandalosa per la stessa coscienza credente che la nutre ma, sembra,<br />

non per la natura che ad essa affida l’istinto di auto-conservazione e<br />

la vittoria dei “più adatti” nel processo di selezione naturale: mors<br />

tua, vita mea.<br />

2.2. Il giogo leggero di Gesù<br />

2.2.1. L’amore gratuito<br />

La contrattualità che sfocia nella competizione pervade, dunque,<br />

l’esperienza religiosa. ma non solo quella. Essa domina anche i rapporti<br />

sociali. Persino l’amore tra l’uomo e la donna sembra non riuscire<br />

a sottrarvisi 28 . Questo infatti è sempre “a condizione che” ci<br />

sia reciproca attrazione, precise caratteristiche fisiche e psicologiche,<br />

fedeltà e rituali di conferma. È, in breve, un “amore di desiderio”<br />

(eros), sempre sottoposto alla tirannia delle condizioni e tendente più<br />

al possesso che al dono. ora, se la dura legge della vita sociale in-<br />

27 È questo desiderio che sembra strisciare sotterraneo nella cosiddetta<br />

parabola del “figliol prodigo” (Lc 15,11-32), confessato nella richiesta del figlio<br />

minore, a lungo inconfessato e tuttavia centrale nell’atteggiamento formalelegalistico<br />

del figlio maggiore.<br />

28 cf v. Spicacci, Gesù di Nazareth: una buona notizia?, o.c., 161-194.<br />

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segna che “nessuno dà niente per niente”, la paura della morte suggerisce<br />

che neppure Dio sfugge a tale postulato. nessuno ama in modo<br />

del tutto incondizionato, neppure Dio. tanto meno Dio. La paura<br />

della morte insegna opportunamente ad ogni uomo che nessuno ama<br />

la sua vita più di quanto la ami lui stesso. In tutto l’universo, anzi,<br />

solo lui la ama davvero. nessuno infatti darebbe la vita per lui. nessuno<br />

si addosserebbe i suoi limiti e la sua morte, poiché ciascuno è<br />

già fin troppo impegnato a lottare contro i propri limiti e la propria<br />

morte. non rimane che una sola via percorribile: salvarsi con le proprie<br />

forze. Dare la vita per salvare la propria vita. Ansia, preoccupazione<br />

e affanno diventano così gl’immancabili compagni di viaggio,<br />

ingombranti ma inevitabili, il prezzo da pagare per non morire, per<br />

non perdersi. Fidarsi unicamente di se stessi e della paura della morte<br />

per non perdere la vita. Ecco tracciata la via per l’autosalvezza.<br />

Il signore della Buona notizia, gesù, sembra conoscere molto<br />

bene queste dinamiche del cuore umano. Le ritrova nel costante affanno<br />

per il cibo (cf. Mt 6,25,28.31) e per il domani (cf. Mt 6,34a);<br />

nella vana pretesa di poter gestire la durata della propria vita (cf. Mt<br />

6,27; Lc 12,25); nella pesantezza che soffoca l’ascolto della Parola (cf.<br />

Mt 13,22), impedisce la vigilanza (cf. Lc 21,34) e distrae dall’essenziale<br />

(cf. Lc 10,41) che è poi la giustizia di Dio (cf. Mt 6,33). Le riconosce,<br />

in particolare, nella coscienza credente schiacciata dai gravami<br />

religioso-morali di un’osservanza servile e legalistico-formale della<br />

legge. E propone di abbandonare questo giogo per accogliere il suo,<br />

che è leggero (cf. Mt 11,29). Un giogo che Gesù autorevolmente contrappone<br />

a quello della torah. È il giogo dell’amore gratuito di Dio,<br />

che la sua presenza incarna nella storia. Esso non chiede come prerequisito<br />

alcuna giustizia morale. non esige condizioni previe e neppure,<br />

inauditamente, una condotta consequenziale. non va meritato.<br />

Chiede unicamente fiducia nel Messia inviato da Dio. E in nome di<br />

questa fiducia di rinunciare a salvare la propria vita, di disubbidire alla<br />

paura della morte che costantemente sussurra al cuore umano l’equazione:<br />

fidarsi di Dio è uguale a “perdersi”. Gesù avverte che è proprio<br />

qui che si gioca il destino dell’uomo: nel decidere a chi dare fiducia.<br />

se questa verrà accordata alla paura della morte, l’uomo cercando di<br />

salvare la propria vita la perderà (cf. Lc 17,33a), perché combatterà<br />

contro lo strapotere della morte e proprio l’ansia, la preoccupazione e<br />

l’affanno che accompagnano questa lotta lo uccideranno. L’uomo in-<br />

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vece che riporrà la fiducia in Dio e nel suo amore gratuito, beffandosi<br />

della paura di perdersi in tale atto di abbandono, salverà la propria vita<br />

(cf. Lc 17,33b). Il giogo di Gesù è leggero perché è un invito a gettare<br />

in Dio ogni pesante affanno. A scagliare su lui stesso, gesù, la nostra<br />

morte. A credere che il suo amore è unico, più forte della morte, più tenace<br />

della paura che essa genera. Un amore diverso, non di desiderio,<br />

senza volontà di possesso, senza secondi fini, senza condizioni, senza<br />

tornaconto alcuno; un amore assolutamente gratuito (agape) 29 che, in<br />

contrasto con la logica comunemente osservata in natura e nelle relazioni<br />

sociali, propone: mors mea, vita tua.<br />

2.2.2. L’amore gratuito e illimitato<br />

È proprio qui, nel binomio morte-vita, che si colloca il kerygma,<br />

il cuore di tutto il Vangelo. Ora, perché mai la “buona notizia” per<br />

eccellenza rivolta all’uomo riguarda una morte? La risposta in parte<br />

è già stata data ma va precisata in ordine al morire storico di gesù<br />

narrato nei vangeli.<br />

La morte di Gesù è buona notizia anzitutto perché è diversa da<br />

tutte le altre. La sua diversità sta tutta nella libertà con cui gesù la<br />

accoglie, pur amando immensamente la vita. Anzi, proprio perché<br />

ama in questo modo la vita. È infatti una buona notizia che un uomo,<br />

almeno uno nella storia, abbia disobbedito alla paura della morte e<br />

l’abbia apertamente contraddetta. In nome di che cosa? In nome del<br />

sogno d’instaurare il Regno di Dio e di realizzare sulla terra una fraternità<br />

universale. In nome, cioè, dell’amore.<br />

ma per noi è una notizia anche migliore che la morte di gesù, libera<br />

dalla paura di perdersi, abbia liberato dallo stesso giogo molti tra coloro<br />

che assistevano al suo “spettacolo” (cf. Lc 23,48), attestando già,<br />

mentre ancora si consumava, una propria efficacia salvifica.<br />

29 La Bibbia distingue accuratamente l’amore gratuito (riconducibile<br />

all’agape) dall’amore di desiderio (riconducibile all’eros). La distinzione tuttavia<br />

non avviene in forza di una connotazione morale, ma in ordine alla loro diversa<br />

origine e alle specifiche dinamiche relazionali che ciascuno di essi comporta.<br />

in questo senso, l’eros, con la sua passionalità, è tipico del rapporto uomodonna<br />

(si veda emblematicamente l’intero libro del cantico dei cantici, nella<br />

sua traduzione greca); l’agape, invece, è tipico di Dio e della carità cristiana (si<br />

veda, per es., il celeberrimo testo di 1cor 13).<br />

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I racconti della <strong>Passio</strong>ne narrano di due malfattori condannati con<br />

gesù, uno dei quali, contro tutto un presumibile vissuto di violenza,<br />

di distruzione e di morte, inaspettatamente si rivolge al suo vicino,<br />

morente come lui e in nulla somigliante a Dio, e lo implora: “Gesù<br />

ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno” (Lc 23,42). Su di<br />

lui egli sembra gettare l’ansia per la vita e la sua paura della morte,<br />

riconciliandosi ad un tempo e con la vita e con la morte, con gli uomini<br />

e con Dio.<br />

Siamo autorizzati ad immaginare che la crocifissione di Gesù sia<br />

stata davvero uno “spettacolo” che abbia irriso, col suo amore travolgente,<br />

il potere della morte sull’uomo, se marco può narrare di un<br />

altro, apparentemente inspiegabile, episodio. si tratta del centurione 30<br />

che stava sotto la croce. Egli, racconta l’evangelista, “visto morire<br />

Gesù in quel modo, disse: ‘veramente costui era Figlio di Dio’” (Mc<br />

15,39). Un simile fatto suppone la dirompente novità della morte di<br />

Gesù, la sua inconfondibile diversità. Solo questa infatti può giustificare,<br />

nel cuore del soldato, il passaggio dall’implicita constatazione:<br />

“È un criminale, o un pazzo, condannato a morte dal suo popolo e dai<br />

Romani” alla folgorazione: “È il Figlio di Dio”. La novità assoluta,<br />

sconvolgente, è quell’amore che percorre “fino-alla-fine” 31 la morte,<br />

la propria e quella dei presenti. Presumibilmente corazzatosi, lungo<br />

gli anni, contro tutto l’odio e la paura di morire vomitatogli addosso<br />

dai condannati al patibolo e avvezzo al cinismo per mestiere, quel centurione<br />

non aveva mai visto, in tutta la sua carriera, un uomo morire<br />

così: benedicendo i suoi aguzzini ed invocando su di essi il perdono di<br />

Dio. Quell’amore gratuito e a fondo perduto, che sempre aveva pensato<br />

inesistente, ora era lì e gli trapassava la corazza del cuore.<br />

Buona notizia è anche la risurrezione di gesù. si badi, però: non<br />

in quanto gloriosa antitesi rispetto alla sua ignominiosa fine, ma in<br />

quanto conferma dell’invincibile potenza di vita presente in quella<br />

morte.<br />

30 il centurione fu colui che comandò il drappello dei soldati incaricati<br />

dell’esecuzione materiale della crocifissione di Gesù (cf Mt 27,54).<br />

31 “prima della festa di pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di<br />

passare da questo mondo al padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo<br />

li amò sino alla fine [eis tèlos]” (Gv 13,1).<br />

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“La risurrezione di Gesù è una buona notizia, perché è la conferma del<br />

fatto che un amore così, il cui vivere è perdersi continuamente in favore<br />

della vita, non poteva e non può morire, giacché è la forza stessa della vita:<br />

l’afflato dell’amore è l’afflato della vita, il respiro dell’amore è il respiro<br />

della vita” 32 .<br />

La tendenza a vedere nella risurrezione di gesù una muscolosa<br />

prova di forza, una dimostrazione dell’onnipotenza divina opposta<br />

all’impotenza della croce, un doveroso “happy end” ad una recita fin<br />

troppo drammatica, rivela una logica ancora governata dalla paura<br />

di perdersi.<br />

“Il confronto con la morte di Gesù rivoluziona questa logica: l’immortale,<br />

ciò che ‘non muore mai’, non è ciò che ‘non muore’, ma ciò che<br />

‘muore sempre’, perché ‘si perde sempre’. La pienezza della vita non è<br />

l’immortalità, ma l’assoluta, radicale libertà di perdersi, ossia di morire,<br />

dell’amore” 33 .<br />

Ciò significa anche che, benché la morte di Gesù sia un efapax 34 ,<br />

un unicum irripetibile nella storia del mondo, essa non è “il picco”<br />

dell’amore-dono di Dio da cui consegue il ritorno ad una sorta di<br />

omeostasi.<br />

“La morte di Gesù non è il segno che in quel momento della storia l’amoredono<br />

ha amato di più. Più di prima e più di dopo. È, piuttosto, la rivelazione<br />

agli uomini della stoffa dell’amore-dono: il segno che io, l’amore-dono, ho<br />

sempre amato, amo sempre ed amerò sempre come gesù ha mostrato agli<br />

uomini di amare. Giacché l’amore-dono è uno solo, non ha gradazioni né<br />

intensità: è sempre un-amore-fino-alla-morte” 35 .<br />

32 v. Spicacci, La buona notizia di Gesù, o.c., 163. il principale referente<br />

biblico qui è Giovanni che nel proprio vangelo ribadisce con forza l’inscindibilità<br />

di morte e resurrezione attraverso il tema dell’“ora”.<br />

33 Idem, 157.<br />

34 “per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte<br />

[efapax]” (rm 6,10). cf. anche eb 7,27; 9,12; 10,10.<br />

35 v. Spicacci, La buona notizia di Gesù, o.c., 254-255. La forma<br />

dell’indicativo alla prima persona singolare si giustifica qui in forza<br />

dell’approccio narrativo adottato dall’autore. È Dio stesso, quale “Signore della<br />

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Ed è questo che, quoad nos, è decisivo: che l’amore rivelatosi<br />

nella morte e resurrezione di gesù riguardi gli uomini di tutti i tempi.<br />

Per questo è la buona notizia di tutta la storia. È la notizia che esiste<br />

un amore diverso, irreperibile nelle dinamiche umane di desiderio<br />

(eros), di possesso e di convenienza sempre contrattualmente bilanciate<br />

da un “se… allora”. È la notizia che esiste un amore-dono<br />

(agape) che, anche qualora si negasse l’esistenza di Dio, assurgerebbe<br />

esso stesso alla grandezza di Dio: sarebbe esso stesso Dio,<br />

perché capace di dominare la morte e di sopravvivervi. È la notizia<br />

che questo amore accompagna e sostiene la storia dell’umanità e di<br />

ciascun essere umano, al di là della loro bontà o della loro malvagità.<br />

È infatti un amore gratuito perché non pone condizioni e non<br />

ha bisogno di essere acquistato con la buona condotta morale. Ama<br />

l’uomo indipendentemente dal fatto che egli obbedisca o disobbedisca<br />

alla legge (cf. Mt 5,45; Lc 6,35; 22,10; Rm 8,35-39). Lo ama<br />

prima di questa scelta 36 . E lo ama dopo di essa, anche quando la<br />

decisione presa è di trasgredire la legge 37 . Anzi, a maggior ragione<br />

quando l’opzione scelta è questa 38 .<br />

Buona notizia” e quale “amore-dono” a dare l’inaudito annuncio (kerygma) di<br />

sé agli uomini.<br />

36 “per questa grazia infatti siete salvi mediante la fede; e ciò non viene da<br />

voi, ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene.<br />

Siamo infatti opera sua, creati in cristo Gesù per le opere buone che Dio ha<br />

predisposto perché noi le praticassimo” (ef 2,8-10).<br />

37 “infatti, mentre noi eravamo ancora peccatori, cristo morì per gli empi nel<br />

tempo stabilito. Ora, a stento si trova chi sia disposto a morire per un giusto;<br />

forse ci può essere chi ha il coraggio di morire per una persona dabbene.<br />

Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora<br />

peccatori, cristo è morto per noi” (rm 5,6.8). e che ci sia un nesso tra la morte<br />

di Gesù e la trasgressione della legge è inequivocabile: “infatti ciò che era<br />

impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso<br />

possibile: mandando il proprio figlio in una carne simile a quella del peccato<br />

e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne, perché la<br />

giustizia della legge si adempisse in noi (rm 8,3-4a).<br />

38 L’idea che Dio debba punire il peccatore come per restaurare il proprio<br />

onore vilipeso riscopre il sospetto, tenace nella coscienza credente, che i<br />

comandamenti di Dio (la morale) servano a tutelare i suoi interessi e non il bene<br />

della creatura. e che, dunque, compiere il male sarebbe un bene se non ci fosse<br />

vendetta dal cielo. Se Dio non punisce ma attende pazientemente il ritorno del<br />

peccatore (cf Lc 15,20), anzi lo va a cercare (cf Lc 15,4-10) non è perché egli<br />

sia indifferente al peccato – tutt’altro! – ma perché vede bene che privarsi dei<br />

privilegi della casa del padre per agognare al cibo dei porci onde sopravvivere<br />

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Ed è poi un amore illimitato perché si espone inerme ad essere<br />

rifiutato e ripetutamente colpito e perché, ciononostante, continua<br />

ad amare ancora e ancora, ad oltranza. Anche a costo che l’uomo<br />

ne approfitti. Anzi, proprio perché ne approfitti e scopra finalmente<br />

che non c’è rappresaglia, non ci sono secondi fini né interessi personali<br />

calpestabili. L’amore incondizionato di Dio, infatti, non mira ad<br />

altro che a promuovere la libertà dell’uomo. Ad ogni costo. sempre.<br />

Anche qualora essa, nel disperato tentativo di liberarsi da sola, dovesse<br />

chiedere la morte di Dio. La <strong>Passio</strong>ne di gesù mostra inequivocabilmente<br />

che la libertà della creatura è il bene più prezioso per<br />

Dio. tanto prezioso che egli vi pospone addirittura la propria vita e<br />

la propria onnipotenza. Perché dell’una e dell’altra Dio non è geloso<br />

e da sempre sogna di renderne partecipe l’uomo 39 .<br />

sul versante di Dio, va precisato che tale amore è tanto distante<br />

dall’amore “paternalista”, che predetermina il bene dell’altro (“So<br />

io qual è il tuo bene”), quanto da quello “permessivista” (rappresentabile,<br />

seppur impropriamente, con lo slogan liberista: “Lassaiz<br />

faire, lassaiz passer”), che semplicemente lascia fare l’altro ma non<br />

assume su di sé le conseguenze delle sue scelte.<br />

sul versante dell’uomo, va ribadito che solo il vertiginoso rischio<br />

della libertà, corso fino in fondo, può liberare la coscienza credente<br />

dal desiderio del male, dalla nostalgia del “frutto proibito” quale bene<br />

che Dio le negherebbe per “mortificarla”; dal tentativo di autogiustificarsi<br />

per fare a meno dell’amore di Dio; e infine dal sentimento di<br />

autoaccusa dinanzi alla propria umana fallibilità, narcisisticamente<br />

preoccupato assai più delle scalfiture arrecate all’immagine ideale<br />

(cf Lc 15,16s) è punizione che basta a se stessa, i cui danni, anzi, fanno del<br />

peccatore un malato bisognoso delle cure di Dio (cf Mt 5,31). altra cosa rispetto<br />

alla punizione è la correzione di Dio, la quale non è nell’ottica della vendetta<br />

ma dell’amore (cf Dt 8,5; pr 3,11s; eb 12,7-11; ap 3,19; 2cor 7,8-11; rm<br />

5,3; Gc 1,2-4).<br />

39 al progetto originario di Dio: “facciamo l’uomo a nostra immagine, a<br />

nostra somiglianza” (Gen 1,26) - pervertito nel cuore dell’uomo in un risultato<br />

da raggiungere con le proprie forze (Gen 3,1-7) - corrisponde l’identità presente<br />

e futura dei redenti: “carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che<br />

saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà<br />

manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è” (1Gv<br />

3,2). cf anche: Sal 82,6; Gv 10,34-36; 1cor 8,6; 15,28; ef 2,18s; 4,6; col<br />

3,11.<br />

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della propria integrità morale che delle piaghe aperte nell’amore incorrisposto<br />

di Dio.<br />

2.2.3. L’amore gratuito, illimitato e inimitabile<br />

se l’amore gratuito esiste ed è entrato nella storia vuol dire che è<br />

possibile, attraversando e oltrepassando l’amore di desiderio, amare<br />

ed amarsi davvero. ma questo è forse un nuovo scossone dato alla<br />

coscienza morale, semplicemente più vibrante ed entusiasta di altri<br />

appelli? Se così fosse, il messaggio rivolto alla coscienza credente,<br />

sfibrata dalla lotta impari contro la paura di perdersi suonerebbe più<br />

o meno così:<br />

“Fatti coraggio, non ti disperare… Questa è la volta buona! Vedi come ha<br />

fatto lui… Prendi esempio da lui… L’amore-dono è a portata di mano!<br />

non ti arrendere troppo presto! se ce l’ha fatta lui, con po’ di impegno e di<br />

buona volontà puoi e devi farcela anche tu! serra i pugni, tira la cinghia,<br />

stringi i denti… se c’è riuscito lui, puoi e devi riuscirci anche tu! metticela<br />

tutta, tieni duro… gesù è il tuo modello. Fa’ come lui! Rimboccati le maniche,<br />

gambe in spalla e datti da fare! Vedrai che imparerai ad amare anche<br />

tu come Gesù ha amato…” 40 .<br />

se la novità cristiana consistesse in questa esortazione, essa non<br />

solo non sarebbe una “buona notizia”, ma sarebbe addirittura la<br />

“peggiore notizia” mai data all’uomo! E ciò per almeno due motivi.<br />

In primo luogo, perché la paura di perdersi imporrebbe all’uomo di<br />

competere in perfezione morale nientemeno che con l’amore gratuito<br />

di Gesù, che in sé è inimitabile, perché appunto senza limite, divino<br />

oltre che umano. In secondo luogo, perché svuoterebbe di significato<br />

la morte e la risurrezione di Cristo. se l’uomo, strigliando un poco<br />

il proprio orgoglio, fosse capace di tanto amore, la croce di gesù<br />

si dimostrerebbe un inutile sacrificio. E peraltro un tragico caso: la<br />

peggiore caduta di stile dell’amore umano. Il quale, di norma, però,<br />

basterebbe a se stesso, carburato e ricarburato costantemente dalla<br />

volontà umana. La salvezza sarebbe frutto delle proprie opere. Un<br />

40 v. Spicacci, La buona notizia di Gesù, o.c., 150.<br />

psicologia e teologia<br />

Quando<br />

l’amore è legge<br />

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psicologia e teologia<br />

tale appello morale, in breve, riediterebbe, in forma riveduta e peggiorata,<br />

la perenne volontà di autogiustificazione umana 41 .<br />

La rivoluzione dell’amore crocifisso e risorto sta nel fatto che esso<br />

non esige di essere riconosciuto né prima di darsi né dopo. Si dona<br />

e basta. non pretende nemmeno la gratitudine, che pure gli spetterebbe<br />

oltremodo. non pone l’accento su quanto l’uomo deve fare per<br />

Dio, ma su quanto Dio ha fatto, fa ed è disposto a fare per l’uomo.<br />

L’unica azione, tutt’altro che facile e passiva, richiesta all’uomo è<br />

quella di smettere di inventarsi parti imbonitorie da recitare davanti<br />

a Dio e credere, invece, che Dio è già buono, lasciarsi abbracciare e<br />

fare festa. solo questo 42 .<br />

L’imposizione del dovere morale, presentato quale salatissimo<br />

conto finale, confermerebbe per converso che neppure Dio “dà niente<br />

per niente”. Che anche lui, in un modo o nell’altro, debba avere il<br />

suo tornaconto, se non altro nella riconoscenza e nella “spontanea”<br />

sottomissione da parte dell’uomo. In tal modo, la legge morale, riscritta<br />

sul monte Golgotha e presentata agli astanti, finirebbe per essere<br />

l’in cauda venenum della paura della morte che avvelenerebbe<br />

l’opera meravigliosa dell’amore di Dio, qual è la <strong>Passio</strong>ne di gesù.<br />

E la legge morale, dunque? Esiste? E cos’è mai? Un orpello dismesso<br />

dal kerygma perché pacchiano e troppo pesante? Tutt’altro!<br />

La legge morale esiste ma non è una legge. È una relazione.<br />

Un’alleanza. È l’incontro tra due libertà: quella di Dio e quella<br />

dell’uomo. Se un’oggettività dei valori esiste è perché esiste Dio.<br />

Essa è, per così dire, lo sguardo di Dio sull’universo, la sua soggettività;<br />

la quale diventa intersoggettività quando si comunica<br />

all’uomo 43 . Allo stesso modo, se la morale si riassume nel duplice<br />

comandamento dell’amore è perché “Dio è amore” (1Gv 4,16) in<br />

41 il linguaggio è volutamente provocatorio. non intende certo destituire di<br />

legittimità l’imitazione di cristo, biblicamente fondata (cf rm 15,3.7; fil 2,5;<br />

ef 5,2.25), ma svincolarla dall’idea di Gesù quale semplice “modello morale”<br />

da emulare pervicacemente, liberarla dalle dinamiche di morte suesposte e<br />

inserirla in una relazione genuina, filiale, d’amore.<br />

42 cf Lc 15,18-24.<br />

43 La terminologia qui utilizzata chiaramente non è biblica, ma si rende<br />

momentaneamente necessaria per rispondere alle obiezioni che l’uomo<br />

contemporaneo può muovere al kerygma da un punto di vista filosofico. La<br />

tematica verrà ripresa nelle conclusioni generali.<br />

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se stesso. oggettivamente gratuito e illimitato. ma tale oggettività<br />

è incomprensibile al di fuori di una relazione d’amore con l’Amore.<br />

È lasciandosi amare gratuitamente che l’uomo impara ad<br />

amare allo stesso modo. solo così l’amore diventa il suo codice<br />

morale interno. solo così la creatura può riconoscere che l’amore<br />

è “doveroso”, non perché eteronomamente imposto, in modo palese<br />

o surrettizio, dall’autorità morale divina, ma perché connesso<br />

col senso di tutto, depositato proprio lì, nella relazione con Dio-<br />

Amore. Diversamente né l’amore per Dio né quello per il prossimo<br />

né quello per la propria vita hanno diritto di riassumere la morale<br />

cristiana. Al di fuori di questa relazione, infatti, la trascendenza<br />

divina appare una minaccia incombente, gli altri rivali egoisti e<br />

concorrenti e la vita una lotta per la sopravvivenza talmente estenuante<br />

da essere già morte. Al di fuori di questa relazione regna<br />

solamente la divisione da Dio, dagli altri e da stessi 44 . In una parola,<br />

la solitudine 45 . Il kerygma, in verità, offre molto di più di una<br />

teoria religiosa e morale. offre un’esperienza reale, trasformante 46 .<br />

44 Qui l’approccio kerygmatico scopre il vero volto della “paura della morte”<br />

o dell’equivalente “paura di perdersi”. La divisione che questa genera, infatti,<br />

è opera del “diavolo” (dal greco diàbolos che vuol dire appunto “divisore,<br />

separatore”: cf. Sap 2,24; ap 12,9; 20,2) e della sua suggestione nel cuore<br />

umano. infatti, “la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo” (Sap<br />

2,23s) e di essa, come della paura schiavizzante che genera, egli ha il potere<br />

(eb 2,14s: “poiché dunque i figli hanno in comune il sangue e la carne,<br />

anch’egli [Gesù] ne è divenuto partecipe, per ridurre all’impotenza mediante la<br />

morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che<br />

per paura della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita”). a fronte delle<br />

dinamiche che la paura della morte o di perdersi innesca e alimenta nell’uomo,<br />

non è difficile comprendere ora anche gli altri appellativi che la tradizione<br />

biblica riserva al diavolo: egli è “l’avversario” (“satana”, dall’aramaico<br />

setana’: cf. Gb 1,6ss) di Dio e dell’uomo, “il bugiardo” (psèustes) e “l’omicida”<br />

(antropoktònos): cf. Gv 8,44; 1Gv 3,8-15.<br />

45 La solitudine assoluta coincide con l’inferno, la cui possibilità non è<br />

soppressa dall’amore senza limiti di Dio. infatti, proprio l’amore di Dio, che<br />

innalza sovrana la libertà umana persino sulla propria onnipotenza, non<br />

può impedire l’eventualità che la creatura, pur dinanzi a tanta benevolenza,<br />

scelga per sempre la strada assurda dell’autosufficienza. in questo senso, però,<br />

l’inferno non è una sanzione divina, ma una situazione relazionale, una sorta<br />

di “solitudine ontologica”, scelta dall’uomo (cf v. Spicacci, La buona notizia<br />

di Gesù, o.c, 243-245).<br />

46 nella tradizione cristiana, infatti, l’annuncio del kerygma e la sua<br />

accoglienza sono premessa e centro del cammino di iniziazione cristiana,<br />

ovvero del catecumenato (dal greco katechéo, “istruire oralmente, a viva voce”),<br />

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Quando<br />

l’amore è legge<br />

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Un’esperienza, umananamente inattingibile, d’amore e di comunione:<br />

“Ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò<br />

che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo<br />

contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo<br />

della vita… noi lo annunziamo anche a voi, perché siate in comunione<br />

con noi” (1Gv1,1.3).<br />

3. L’indicativo vincolante:<br />

“Dio è amore”<br />

(approccio teologico-sistematico)<br />

Quest’ultimariflessione<br />

trae se<br />

stessa dal pensiero<br />

di uno dei<br />

massimi teologi<br />

del secolo scorso: Hans Urs von Balthasar (1905-1988) 47 . Essa, declinata<br />

in chiave teologico-sistematica, intende porsi in continuità<br />

con la parte che la precede. trattasi tuttavia di una continuità non di<br />

ordine cronologico ma teologico. La morte e la resurrezione di gesù<br />

rimangono il centro, il quale funge da perno per indagare che cosa<br />

il kerygma supponga dell’essere di Dio e dell’essere dell’uomo e<br />

che cosa implichi nella relazione storica tra l’uno e l’altro. Le mire<br />

speculative qui puntano al vertice: cercare di mostrare come l’amore<br />

gratuito e illimitato sprigionato nella Pasqua di gesù sia trasparenza<br />

esperienza personale e insieme comunitaria, che si propone essenzialmente<br />

di: 1. consentire ai catecumeni di verificare nella propria vita l’autenticità<br />

della “buona notizia” 2. iniziarli al battesimo quale immersione nella morte/<br />

risurrezione di cristo e inserimento nella comunità cristiana 3. accompagnarli<br />

e sostenerli, attraverso il discernimento spirituale e la preghiera di liberazione<br />

(esorcismo), nel confronto con le immancabili risonanze negative alla buona<br />

notizia 4. educarli ad una vita morale conforme alla buona notizia. a motivo<br />

di ciò, il kerygma non può essere insegnato o studiato sui libri – qui semmai<br />

solo alluso – ma va annunciato, vissuto e contemplato. per l’approfondimento,<br />

cf v. Spicacci, Gesù di Nazareth: una buona notizia?, op. cit., 557-611; iD.,<br />

La buona notizia di Gesù, o.c., 329-331; iD., Considerazioni sulla pastorale di<br />

evangelizzazione nella Chiesa italiana, in SapCr 4 (2000), 353-398; iD., Ma<br />

cos’è, veramente, il catecumenato?, in Rivista di Teologia Morale 50 (2009),<br />

290-304.<br />

47 i testi dell’autore saranno citati secondo le abbreviazioni indicate nella<br />

bibliografia del nostro studio.<br />

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dell’identità di Dio e del progetto a cui l’uomo è invitato da sempre;<br />

mostrare, insomma, come la “legge dell’amore” sia anzitutto una<br />

“legge dell’essere” e come il cosiddetto imperativo morale discenda<br />

dal prioritario indicativo di salvezza 48 .<br />

3.1. La libertà infinita di Dio come amore gratuito eterno<br />

La croce di Gesù rivela non solo un “amore-fino-alla-morte” ma<br />

soprattutto un “amore-fino-alla-morte-di-Dio”. E ciò, se da una parte<br />

è la “buona notizia” del Vangelo, dall’altra costituisce da sempre<br />

il più grande rompicapo della teologia: come può “l’Immutabile”<br />

diventare mutevole con l’incarnazione e “l’Immortale” arrivare a<br />

morire? E morire persino della morte peggiore, quella comminata ai<br />

maledetti 49 ? Tali domande sembrano descrivere una parabola discendente<br />

dell’Infinito che assume non solo il finito ma anche il male che<br />

lo corrode: il peccato. Una discesa dell’Illimitato fino al baratro del<br />

limite. Un vero e proprio “svuotamento”, una kenosi 50 . Da qui parte<br />

von Balthasar. nella sua poderosa soteriologia 51 la kenosi, da scoglio<br />

teologico, diventa ponte tra l’azione storica di Dio e la sua dinamica<br />

natura trinitaria. Essa, se opportunamente compresa, ricusa di attri-<br />

48 il termine “salvezza”, naturalmente, è inteso qui non in un’ottica puramente<br />

negativa - salvezza “dal peccato” - ma secondo l’interpretazione teologica più<br />

corretta: come “disegno storico-salvifico” di Dio. La prima accezione vedrebbe<br />

Dio impegnato in un’opera meramente riparatoria (Dio che interviene con Gesù<br />

per emendare i pasticci combinati dalla sua creatura col peccato!) e in qualche<br />

modo più debole del peccato stesso, perché da questo costretto a tanto scomodo;<br />

la seconda accezione, invece, vede l’azione storica di Dio da sempre fedele al<br />

suo originario progetto d’amore sull’uomo, contro e al di là del peccato.<br />

49 “cristo ci ha riscattato dalla maledizione della legge, diventando lui<br />

stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno [Dt<br />

21,23]” (Gal 3,13).<br />

50 il sostantivo greco kenosis deriva dal verbo kenoo che vuol dire<br />

propriamente “svuotare”, “spargere completamente”, “esaurire”. È questo il<br />

termine che un celebre passo della lettera ai filippesi utilizza per alludere al<br />

mistero dell’incarnazione e della morte del figlio di Dio: “egli (cristo Gesù),<br />

essendo per natura Dio, non stimò un bene irrinunciabile l’essere uguale a Dio,<br />

ma annientò (ekénosen) se stesso prendendo natura di servo, diventando simile<br />

agli uomini; e apparso in forma umana si umiliò facendosi obbediente fino alla<br />

morte e alla morte di croce” (fil 2,6-8).<br />

51 La soteriologia è l’applicazione dell’intelligenza teologica allo studio della<br />

salvezza (in greco, soterìa).<br />

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buire a Dio tanto una rigida immutabilità quanto una mutabilità alienante.<br />

La verità infatti sta altrove. o meglio, più in profondità. La<br />

kenosi, in quanto “s-vuotamento”, è essenzialmente “spazio vuoto”<br />

ovvero “distanza”. È la distanza tra il Creatore e la creatura. Ma non<br />

solo. È la distanza tra la libertà infinita e la libertà finita così come<br />

essa si è storicamente connotata, ossia col peccato. Il peccato: ecco la<br />

vera e massima distanza tra Dio e l’uomo. È questa distanza, insieme<br />

alla finitezza, che il Figlio di Dio, diventando uomo, abbraccia, o<br />

meglio “sub-abbraccia” 52 . ora Dio, in gesù, può compiere questa<br />

azione senza fingere 53 ma anche senza alienarsi 54 solo se, esprimendoci<br />

ancora metaforicamente, ha già braccia più grandi del peccato.<br />

solo se la distanza posta da questo è compresa in una distanza maggiore<br />

già presente in Dio. solo, cioè, se la kenosi storica è permessa<br />

da una “sovra-kenosi” eterna (Ur-Kenose). Insomma, solo se quanto<br />

accade nella storia ha radici nelle possibilità del meta-storico 55 .<br />

La sovra-kenosi è il concetto più ardito e allo stesso tempo più<br />

originale di tutto il pensiero balthasariano. In che cosa consiste precisamente?<br />

Nell’incessante movimento di totale autodonazione di<br />

ogni Persona della trinità all’altra, realizzato da ciascuna di esse<br />

secondo il proprio specifico modo di relazionarsi alle altre: il Padre<br />

come colui che da sempre genera per un amore senza calcolo; il Fi-<br />

52 “Sub-abbraccio” è la meno inadeguata traduzione italiana del tedesco<br />

Unterfassung, a sua volta riformulazione mistica – Balthasar infatti lo mutua da<br />

a. von Speyr - del concetto, teologicamente assai spinoso, di Stellvertretung<br />

(sostituzione vicaria). cf. nota del traduttore G. Sommavilla in TD5, 263.<br />

53 La finzione (o l’apparenza) è la spiegazione con cui un’eresia dei primi<br />

secoli - il docetismo (dal greco dokein, sembrare) – spiegava la croce di Gesù.<br />

ne derivava che non il figlio di Dio aveva veramente sofferto, ma solo il<br />

corpo di un uomo di nome Gesù (Marcione) oppure qualcun altro al posto suo,<br />

probabilmente Simone di cirene sotto le sembianze del cristo (Basilide). alla<br />

base del docetismo stava l’esigenza di eliminare lo scandalo della croce.<br />

54 L’alienazione come necessità intrinseca di Dio è l’ambiguità della “teologia<br />

del processo” di Withehead, del pensiero dell’Hegel teologo, che ritiene che non<br />

esista Trinità senza dolore, morte e croce e, infine, di Moltmann che entrambi<br />

sembra richiamare. Ora, invece, «la rinuncia alla “forma di Dio” e l’assunzione<br />

della “forma di servo”, con tutte le sue conseguenze, non introducono nella<br />

vita trinitaria di Dio nessuna autoalienazione. Dio è sufficientemente divino per<br />

divenire in un senso vero e non solo apparente, attraverso l’incarnazione, la<br />

morte e la risurrezione, ciò che egli è già da sempre in quanto Dio» (Mp, 185).<br />

55 in altri termini, «è impossibile disgiungere cristologia dinamica e cristologia<br />

ontologica» (Mp, 185), oppure, che è lo stesso, soteriologia e trinitaria.<br />

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glio come colui che da sempre si “autoaccoglie” generato per amore<br />

gratuito e per amore si riconsegna al Padre in un eterno “rendimento<br />

di grazie” (eucharistia) 56 ; lo Spirito Santo come l’Amore stesso di<br />

entrambi che tiene aperta la differenza e le serve da ponte. ora, è<br />

proprio la “differenza” l’essenza dell’amore. È “l’assoluta distanza”<br />

tra le Persone, pur nell’identica natura divina, a permetterne la reciproca<br />

dedizione 57 . Il Padre deve trovare nel Figlio un “Tutt’Altro”<br />

da sé se vuole donarglisi completamente, “svuotarsi” in lui senza<br />

residui. E viceversa. La generazione del Figlio da parte del Padre è<br />

in questo senso – e solo in questo senso 58 - una “sovra-kenosi”: distanza<br />

infinita assoluta, spazio vuoto per un dono d’amore gratuito;<br />

assoluto ed infinito, perché della libertà di Dio qui si tratta. Essa, pertanto,<br />

deve essere quella distanza della quale non è possibile pensare<br />

una maggiore (id quo maius cogitari nequit), proprio come è dell’amore<br />

che la sostanzia. È la “santa distanza” che fonda e abbraccia<br />

dall’eterno ogni altra possibile distanza. Comprese quella buona<br />

rappresentata dalla creazione di una libertà finita e quella malvagia,<br />

eventuale, del peccato che la libertà creata può storicamente porre 59 .<br />

Perciò, unicamente negli “spazi infiniti di libertà” 60 , che configurano<br />

Dio come amore e in cui “è assolutamente bene che esista l’altro” 61 ,<br />

56 il termine “eucaristia” in greco vuol dire appunto “rendimento di grazie”.<br />

57 non bisogna confondere la natura di Dio, per quale vige assoluta<br />

uguaglianza tra le persone della Trinità (consustanzialità), con la modalità<br />

relazionale mediante cui ciascuna di esse la realizza (ipostasi): qui vige<br />

assoluta differenza. infatti, come illustra in modo inarrivabile san Tommaso, in<br />

Dio è proprio la relazione a distinguere ogni persona dall’altra. pertanto, “la<br />

relazione in Dio costituisce una persona quando è opposta e incomunicabile”<br />

(aa. vv., DiZiOnariO TeOLOGicO inTerDiScipLinare, Marietti, Torino<br />

1977, vol. 3, 490).<br />

58 La precisazione serve per ricordare che la trinitaria di Balthasar, tutta<br />

fondata sulla nozione di “libertà”, prende decisamente le distanze dai teologi<br />

tedeschi della kenosi del XiX, i quali ritengono l’essenza di Dio univocamente<br />

kenotica e quindi costretta all’autolimitazione (cf. Mp, 40-43; TD5, 190-191).<br />

59 TL2, 271: “il luogo metafisico-ontologico della creatura è ormai la diastasi<br />

delle persone divine nell’unità della divina natura”. Detto più semplicemente, “la<br />

possibilità della creazione riposa nella realtà della trinità. Un Dio non trinitario<br />

non potrebbe essere creatore” (a. GerKen, Theologie des Wortes, Düsseldorf<br />

1963, 81, cit. in TD5, 53). cf TD4, 337.<br />

60 TD2, 243.<br />

61 TD5, 70.<br />

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risiede la possibilità non solo di una libertà creata gratuitamente<br />

posta, ma anche di una sua peccaminosa distanza e di un suo recupero.<br />

Dove precisamente? Nella generazione e nell’eucaristia eterna<br />

del Figlio, in quella libertà infinita, cioè, che si riceve nella gratuità<br />

e si restituisce nella gratitudine. Infatti, “per mezzo di lui e in vista<br />

di lui tutte le cose sono state create” (Col 1,16) ed “in lui Dio ci ha<br />

scelti prima della creazione del mondo” (Ef, 1,4). Ecco la grande<br />

rivelazione, l’indicativo di salvezza che descrive l’essenziale: la libertà<br />

finita dell’uomo ha la stessa vocazione della libertà infinita del<br />

Figlio. Proviene dall’amore gratuito e nell’amore gratuito si realizza.<br />

L’uomo di per sé è una “creatura eucaristica”.<br />

3.2. La libertà liberata<br />

Se quanto detto è vero, l’amore non è un “dovere”. Non attiene anzitutto<br />

al dominio della morale, ma a quello dell’essere. L’uomo che<br />

non ama non “disobbedisce” a delle regole, fa molto di più: contraddice<br />

la propria natura. Alla luce della “Ur-kenose” trinitaria, quale<br />

immenso flusso d’amore gratuito fondante l’universo, il peccato è<br />

anzitutto “menzogna”. È il “no” della creatura all’amore gratuito da<br />

cui sorge e alla gratitudine cui il suo essere tende. È l’assurda “antieucaristia”<br />

umana, immotivata quanto l’amore cui si oppone 62 . È la<br />

folle volontà di autonomia intesa a non ricevere né a dare. È il suicida<br />

progetto umano di “esistere-per-se-stesso”. Da parte di Dio, tuttavia,<br />

esso è, nella distensione eucaristica del Figlio, un prevedibile<br />

punto di contorsione, al di sopra di cui l’onda dell’amore trinitario è<br />

sempre più avanti 63 .<br />

Qui l’indicativo di salvezza riguardante il “Dio in sé”, per essere<br />

credibile, deve nuovamente confrontarsi e ricalibrarsi con quello riguardante<br />

il “Dio per noi”. Teo-logicamente è il primo a fondare il<br />

62 in questa duplice gratuità (dell’amore e dell’odio) Balthasar individua<br />

addirittura la legge teodrammatica di fondo della storia, secondo cui “il quanto<br />

più della rivelazione dell’amore divino (irrazionale) provoca un quanto più<br />

(irrazionale: Gv 15,25) di odio umano” (TD4,315).<br />

63 cf TD4, 306-307.<br />

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secondo; storicamente è il secondo a rivelare il primo 64 . E il “per noi”<br />

di Dio nella storia si riassume tutto nel triduo pasquale. È un “per<br />

noi” (pro nobis) che non vuol dire solo “a nostro favore”, ma anche<br />

“a causa nostra” (del nostro peccato) e “al posto nostro”. Quest’ultimo<br />

senso dice della morte di Gesù come “sostituzione vicaria” 65 .<br />

solo lui infatti, quale Figlio di Dio fattosi uomo, poteva portare<br />

su di sé la distanza posta rispetto a Dio-amore dalla “carne di peccato”<br />

(caro peccati), abbracciarla e superarla nella distanza infinita<br />

dell’amore trinitario. Attraverso la morte. Perché proprio attraverso<br />

questa? Perché la morte rappresenta per l’uomo “l’insignificante<br />

supremo” 66 contro cui s’infrange la sua peccaminosa tentata autosufficienza,<br />

il culmine del suo dramma storico. Il capolavoro dell’amore<br />

trinitario, in gesù, è fare della morte il vertice del dramma<br />

di Dio (teodramma) vivendo anch’essa in modo eucaristico: come<br />

dono totale di sé. Di modo che la morte, cifra del peccato e massima<br />

distanza da Dio, venga sopravanzata dalla distanza dell’amore obbediente<br />

che si riceve e si restituisce nella gratuità 67 . Un’azione, questa,<br />

che per Dio niente ha del giocoso, benché da sempre contemplata<br />

come possibile. Il Figlio attraversa tutte le lontananze rispetto a Dio<br />

generate dal peccato umano e proiettate sulla morte: morte come li-<br />

64 in realtà tra i due “indicativi” c’è un rimando continuo e sincronico.<br />

ciascuno dei due, per risultare intellegibile, non può mai perdere di vista<br />

l’altro. Teologicamente parlando, si tratta del rapporto tra la cosiddetta Trinità<br />

immanente (Dio in sé) e la Trinità economica (Dio per noi), tema tutt’altro che<br />

scontato e archiviato una volta per tutte (si veda, al riguardo, il dibattito tra<br />

Balthasar e K. rahner in TD3, 148. 468; TD4 298-299).<br />

65 La sostituzione vicaria (Stellvertretung) è la “dura parola” che alcuni<br />

vorrebbero evitare, ma che appare inevitabile a fronte del peso del peccato<br />

nella storia, peso che solo Dio poteva portare e sop-portare per noi (cf iD., La<br />

mia opera ed Epilogo, Milano 1994, 155). ci permettiamo, al riguardo, di<br />

rimandare ad un nostro studio interamente dedicato a questo tema: G. DeLLa<br />

MaLva, L’onnipotente debolezza dell’amore, ed. Stauròs, roma 2007.<br />

66 TD1, 361.<br />

67 È questa “la cosa massima: l’assunzione della morte destinata per colpa<br />

mediante la morte di obbedienza. Solo per questo la morte viene da dentro penetrata<br />

e assunta come da sotto, e le viene strappato il pungiglione” (TD4, 459).<br />

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mite, destino, gettatezza 68 e soprattutto come solitudine 69 , nella quale<br />

la radicale avversione di Dio al peccato è sostitutivamente vissuta da<br />

Gesù come l’insopportabile peso dell’“ira di Dio” 70 , come giudizio<br />

(krisis) 71 , angoscia vicaria e abbandono dell’amatissimo Padre. Fino<br />

alla discesa agl’inferi, laddove “chi ha voluto scegliere per sé l’abbandono<br />

perfetto e, in tal modo, dimostrare la sua assolutezza davanti<br />

a Dio si imbatterebbe nella figura di uno che è abbandonato in<br />

modo più assoluto di lui” 72 . nessuno infatti sa, come il Figlio, cosa<br />

vuol dire vivere nel Padre, riposare nel suo seno, amarlo e servirlo;<br />

nessuno, di conseguenza, come lui, sa cosa significhi esserne abbandonato.<br />

tuttavia, è proprio qui, dove la separazione del Padre e del<br />

Figlio è perfetta, che è resa evidente la loro inseparabilità. L’estremo<br />

allontanamento dal Padre, compiuto dal Figlio sulla croce come libera<br />

obbedienza all’amore senza calcolo che sempre li ha uniti, si<br />

converte nell’ultimo cammino verso di lui, universalmente salvifico.<br />

mentre si distanzia dal Padre per recuperare la libertà umana recal-<br />

68 La gettatezza o deiezione è un costrutto heideggeriano. indica la condizione<br />

dell’uomo buttato dal nulla all’essere, la cui dinamica è insopportabilmente<br />

contraddittoria perché destinata a collidere con la fine del movimento stesso (la<br />

morte). in Gesù invece la deiezione è coerenza perfetta: il suo essere gettato<br />

nell’essere e la sua morte sono entrambi motivati dall’autodedizione.<br />

69 “La solitudine spiega ciò che la morte è attualmente: la conseguenza del<br />

peccato (rm 5,12); cercare ciò che essa altrimenti potrebbe essere è ozioso”<br />

(iD., Cordula. Ovverosia il caso serio dell’amore, Brescia 1968, 34). La morte è<br />

vissuta come un morire via da Dio, un essere da lui abbandonato (cf TD4,174).<br />

Ora, “la morte di Gesù fu la più solitaria di tutte, poiché nessun uomo creato<br />

può essere così abbandonato da Dio come l’eterno figlio del padre fatto uomo”<br />

(iD., La semplicità del cristiano, Jaca Book, Milano 1992, 57).<br />

70 Balthasar recupera il tema dell’ira di Dio, ideologicamente rimosso da una<br />

teologia perbenista come residuo mitico dell’a.T., per riconsegnargli l’unica e<br />

necessaria identità teologica. L’ira di Dio non è opposta al suo amore: ne è,<br />

anzi, l’altra faccia (cf. Mp, 128). “L’ira di Dio è la temperatura del suo amore”<br />

(BarTH M., cit. in TD2, 152). infatti, un Dio che soltanto amasse le sue creature<br />

e non odiasse il male che le distrugge si contraddirebbe (cf TD4, 316). per<br />

questo ha ragione a.J. Hescel quando dice che il pathos in Dio è identico al suo<br />

ethos (cf TD4, 320).<br />

71 La croce è il giudizio definitivo di Dio sul peccato (2 cor 5,21), svelato<br />

nella sua irriducibile incompatibilità con l’amore di Dio e condannato (cf Mp,<br />

109-113; GL7 206). Qui “le linee dell’ira e dell’amore di Dio si toccano perché<br />

l’oggetto della giusta ira di Dio è inserito nell’eterna relazione d’amore trinitario<br />

tra il padre e il figlio” (TD4, 324).<br />

72 TD5, 266-267.<br />

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citrante, il Figlio in realtà gli corre incontro portandogli un uomo<br />

nuovo, una nuova creazione 73 . La croce di gesù rivela così la grande<br />

astuzia dell’amore di Dio: il “no” della creatura è come da sotto afferrato<br />

da un “sì” più radicale e convertito nella forma dell’amore. È<br />

l’evento in cui la morte, già trionfante, ingoia la vita e ne è divorata<br />

dall’interno. Per questo il tramonto del venerdì santo, pur seguito<br />

dalla desolante notte del sabato, irradia già le prime luci dell’alba di<br />

Pasqua 74 .<br />

Chi rende efficace per gli uomini di tutti i tempi questo evento e<br />

permette di annunciarlo fino alla fine della storia come un indicativo<br />

presente? Lo Spirito Santo. Inspirato sul mondo dal Risorto, Egli<br />

– “Spirito della libertà” in cui il Padre e il Figlio da sempre si donano<br />

l’uno all’altro nella sovra-kenosi e divenuto, durante la kenosi<br />

storica del Verbo, lo “Spirito di obbedienza” al Padre – ha il potere<br />

di liberare la libertà finita che si autoincatena nell’angusto “essereper-se-stessa”,<br />

inscrivendola nell’obbediente libertà umano-divina<br />

di Gesù, la quale si realizza invece nell’“essere-per-gli-altri” eucaristico.<br />

E, come per Gesù, anche per i discepoli il “perfetto obbedire”<br />

diventa immediatamente “un essere liberi” 75 . obbedire a Dio,<br />

infatti, significa obbedire all’amore gratuito e obbedire all’amore<br />

gratuito significa obbedire alle esigenze della propria libertà. L’autodedizione<br />

diventa la nuova, sebbene antica e primigenia, vocazione<br />

dell’uomo e, proprio per questo, la sua più intima verità normante.<br />

La libertà finita è e si riscopre “riflesso della libertà infinita liberato<br />

nell’essere solamente gettandosi in seno alla ‘legge’ (trinitaria!) della<br />

libertà assoluta (dell’autodedizione), non come una legge straniera -<br />

73 “perché piacque a Dio di fare abitare in lui ogni pienezza e per mezzo di<br />

lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce,<br />

cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli” (col<br />

1,19s). cf ef. 1,10.22s.<br />

74 come abbiamo già rilevato con l’approccio kerygmatico, morte e<br />

resurrezione di Gesù non sono opposte ma entrambe irripetibili manifestazioni<br />

dell’identica onnipotenza dell’amore di Dio. “Qualora si sia compreso che la<br />

kenosi estrema, in quanto è una possibilità nell’amore eterno di Dio, è inglobata<br />

ed assunta da questo amore, risulta anche superata radicalmente l’opposizione<br />

tra una theologia crucis e una theologia gloriae – senza che le due possano<br />

confondersi” (Mp,81. cf. anche Si, 343; Sc, 314-315).<br />

75 cf TD2, 220.<br />

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è appunto la ‘legge’ dell’essere assoluto – ma come nella legge sua<br />

massimamente propria” 76 .<br />

tutto discende da qui: la vita sacramentale, baricentrata sull’asse<br />

battesimo-eucarestia, immersione nell’amore gratuito della croce<br />

e memoriale che lo attualizza “per noi” 77 ; la comunione ecclesiale,<br />

“illimitato vicendevole fare-spazio in sé” dei credenti per “poteressere-per-gli-altri”<br />

78 ; la possibilità di partecipare all’azione vicaria<br />

di gesù, co-assumendo il dolore umano 79 ; persino la disponibilità al<br />

martirio, attestazione suprema che Cristo ha veramente assunto la<br />

morte e l’ha trasformata, da baluardo dell’io autocentrato qual era,<br />

in testimonianza dell’amore eucaristico-trinitario 80 .<br />

conclusioni e nuovi spunti<br />

Riassumiamo il percorso compiuto, indicando al momento opportuno<br />

anche alcuni possibili sentieri che da esso si dipartono, suggestioni<br />

per altri percorsi attraverso questo tema che in sé è inesauribile.<br />

se dovessimo radunare in un’immagine l’intero studio potremmo<br />

dire che le sue tre parti, ciascuna con la propria arte, dipingono l’amore<br />

gratuito come il solo paesaggio che permette la vita umana,<br />

perché è l’unico ad essere sotterraneamente attraversato dal fiume<br />

carsico della libertà. oltre questo salubre territorio, si circoscrive<br />

un ambiente di invivibili contraddizioni. Al di là dei suoi confini, ci<br />

sono solo confini: schiavitù, solitudine, morte. Ora, l’abitante della<br />

“città santa”, che su quelle fertili distese può sorgere, è l’uomo nella<br />

sua interezza, non solo la sua “anima”. La salvezza cristiana si coniuga<br />

come indicativo efficace se riguarda tutto l’essere umano e<br />

non sola una sua parte, per quanto nobile, per quanto eccellente. Ri-<br />

76 TD2, 245-246.<br />

77 cf TD4, 344-377.<br />

78 cf iD., Communio: un programma, in Communio 124 (1992), 55-56;<br />

TD3, 232-233; TD4, 388-392; Mp, 236.<br />

79 cf Mp 123-126; TD4, 360-361; Sc, 342.<br />

80 TD5, 411: “il morire dell’uomo all’interno della forma mortale del cristo,<br />

la sua purificazione nel fuoco dell’amore in croce di cristo ha spezzato […]<br />

l’io dell’uomo egoisticamente centrato su se stesso e l’ha adeguato alla forma<br />

eucaristico-trinitaria”. cf anche TD3, 417; TL3, 198-202; GL7, 360-400.<br />

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guarda anche il corpo. Riguarda anche la psiche. non è una medicina<br />

amara che cura l’anima, lascia forse indifferente il corpo e disgusta la<br />

psiche. o tutto l’uomo è assunto nella redenzione o niente è salvato.<br />

Quod non assumptum non sanatum, dicevano i padri della Chiesa 81 .<br />

Il nostro studio ha voluto sciogliere prima il nodo psicologico,<br />

che in realtà è nascosto in quello kerygmatico, ma va dipanato e attualizzato<br />

alla luce dei saperi moderni e dell’uomo d’oggi. In quella<br />

prospettiva abbiamo sottolineato, in negativo, cosa accadrebbe se<br />

il kerygma fosse detto primariamente ed esclusivamente all’imperativo,<br />

se cioè Dio imponesse l’amore come una “legge” (primo<br />

doppio legame); e se Gesù, anziché quale salvatore, fosse esibito<br />

come “modello morale”, come norma della norma (secondo doppio<br />

legame). Probabilmente - aggiungiamo ora sulla scorta dell’analisi<br />

già affrontata - l’indecidibilità di una tale interazione condurrebbe<br />

molti cristiani contemporanei ad una sorta di “schizofrenia” della<br />

fede, che sarebbe interessante studiare declinata secondo le tre forme<br />

psicopatologiche classiche (paranoia, ebefrenia, catatonia). Come<br />

la vera schizofrenia è un linguaggio comportamentale adeguato ad<br />

un contesto relazionale in cui il soggetto, a motivo del doppio legame,<br />

non sa più in quale posizione si trovi rispetto alle persone<br />

da cui dipende la propria sopravvivenza fisica e/o psicologica, così<br />

ragionevole apparirebbe il comportamento del fedele che, sottoposto<br />

alla sistematica e non fondata ingiunzione divina: “Amami e ama<br />

(come Gesù)”, davanti alla parola di Dio ricercasse costantemente<br />

intenzioni arcane (paranoia) o significati letterali (ebefrenia) o, addirittura,<br />

rinunciasse a comprenderla, opponendovi totale passività<br />

(catatonia stuporosa) o iperattivismo (catatonia agitata). Nell’essere<br />

descritti, tali comportamenti non sembrano poi così distanti da quelli<br />

effettivamente agiti da molti cristiani di oggi. In ogni caso, al di là<br />

di ogni possibile deriva fenomenologica, ciò che conta è la constatazione<br />

generale: l’amore non si può precettare. tanto più se ad essere<br />

prescritto è un amore infinito, come quello di Gesù.<br />

Le sacre scritture, però, conoscono un linguaggio assolutamente<br />

diverso, riflesso dell’infinita sapienza pedagogica di Dio e della<br />

81 La frase è di Gregorio di nazianzo, divenuta poi magisteriale (cf DS 291).<br />

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stessa gratuità con cui egli ama e parla all’uomo. Anzi, con cui la sua<br />

Parola si fa uomo e si comunica alla storia. non è un caso che tutte<br />

le lettere di Paolo offrano sempre all’inizio l’indicativo di salvezza e<br />

solo in seconda battuta l’imperativo morale 82 né che il nucleo storico<br />

originario dei vangeli sia, molto probabilmente, costituito dai racconti<br />

della <strong>Passio</strong>ne di gesù 83 . La forma del kerygma non può contraddire<br />

il suo contenuto. In altre parole, l’annuncio dell’amore gratuito/libero<br />

è esso stesso gratuito e lascia liberi. Non s’impone. Non<br />

può essere oggetto di una legge, Paolo lo sa bene. Perché proprio la<br />

legge ha condotto alla croce. O meglio, non la legge in sé, dono di<br />

Dio, ma il peccato che di essa ha fatto la propria forza, il pungolo per<br />

estorcere all’onnipotente, in nome della giustizia umana, il potere<br />

contro la morte, la vita stessa di Dio. L’amore di Dio rivelato sulla<br />

croce soppianta col suo peso leggero il giogo oneroso della legge e<br />

con essa il fardello dell’impossibile autogiustificazione. L’amore di<br />

Dio non si merita, non si compra. È fuori commercio. È diverso da<br />

ogni altro amore che l’uomo incontra nel mondo, diverso come la<br />

pace che regala 84 . Non è taglieggiato da condizioni, corvées e prestazioni.<br />

non è sottoposto a sanzioni e a rescissioni contrattuali. È<br />

gratuito. Assolutamente gratuito. È questa la “buona notizia” del<br />

vangelo, sconvolgente e consolante. La notizia che il cuore di ogni<br />

uomo, oppresso dai rapporti d’uso sul piano orizzontale-umano e su<br />

quello verticale-religioso, attende da sempre eppure sempre dispera<br />

di ricevere. L’onnipotenza di Dio, disarmata sulla croce, disarma il<br />

mortale sospetto sul disinteresse del suo amore e restituisce gratuità<br />

ai rapporti umani. È l’onnipotente debolezza dell’Amore. spingendosi<br />

“fine-alla-fine” col suo amore, Gesù mostra all’uomo che neppure<br />

lì, nella morte e oltre la morte, c’è una rivalsa di Dio. Che non ci<br />

sono doppi giochi. Che anche lì c’è solo e ancora amore incondizionato,<br />

a fondo perduto. Vita che si spende e che sempre è disposta a<br />

farlo. Per convincere il cuore umano, irretito dalla paura di perdersi,<br />

82 cf aa . v ., DiZiOnariO TeOLOGicO inTerDiScipLinare, Marietti,<br />

v<br />

Torino 1977, 645-658.<br />

83 cf B. MaGGiOni, I racconti evangelici della <strong>Passio</strong>ne, cittadella editrice,<br />

assisi 19952 , 5-11.<br />

84 “vi lascio la pace, vi do la mia pace. non come la dà il mondo io la do<br />

a voi” (Gv 14,27).<br />

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che la vita e non la morte è il progetto di Dio sul mondo 85 . Che la<br />

vita e non la morte avrà l’ultima parola nella storia 86 . E che quanto<br />

l’uomo considera il “frutto proibito” – l’essere simile a Dio - è proprio<br />

ciò che Dio da sempre desidera donargli. “Tutto ciò che è mio è<br />

tuo”, dice Dio ad ogni suo figlio (cf. Lc 15,31). Tutto: la sua sconfinata<br />

eredità, le sue delizie, persino la sua vita. Il destino dell’uomo,<br />

rivelato in gesù, è essere come Dio. non senza di lui, ma con lui.<br />

Non in competizione con l’amore, ma nell’amore. Perché è proprio<br />

di Dio non trattenere nulla per sé, partecipare la propria vita, donarla<br />

sempre, tutta, senza residui.<br />

È qui che il kerygma apre alla più vasta riflessione sistematica.<br />

soprattutto alla teologia trinitaria, laddove il linguaggio balthasariano<br />

sembra dotato di una spiccata originalità espressiva. La kenosi<br />

del Figlio è la finestra aperta nella storia sull’eterna sovra-kenosi trinitaria.<br />

È da essa che ci si può affacciare sul mistero di Dio, quale irragionevolezza<br />

dell’amore, capace di abbracciare anche il mysterium<br />

iniquitatis del peccato, quale irragionevolezza del male. La redenzione<br />

e la stessa creazione si giustificano come atti d’amore gratuito<br />

solo se Dio è amore in se stesso. Solo se la libertà infinita di Dio, da<br />

sempre, si realizza proprio nel dono illimitato di sé e solo se la libertà<br />

finita è creata “a sua immagine” (Gen 1,26s), anch’essa quindi per<br />

l’autodedizione. Amore, insomma, da intendersi non come concetto<br />

romantico o moralistico, ma come il volto di Dio davanti al quale<br />

la creatura umana ha emesso il primo gemito, il tessuto dell’essere,<br />

il codice genetico della libertà divina e, in essa, anche della libertà<br />

creata. In quest’ultima neppure il peccato, storicamente intervenuto,<br />

ha potuto cancellare i lineamenti dell’amore che le è costitutivo. offuscarli<br />

sì, rinnegarli sì, distruggerli mai. La libertà umano-divina<br />

di gesù manifesta il volto di Dio e restituisce all’uomo il suo vero<br />

85 “…Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi. egli<br />

infatti ha creato tutto per l’esistenza; le creature del mondo sono sane, in esse<br />

non c’è veleno di morte, né gli inferi regnano sulla terra” (Sap 1,13s).<br />

86 “Sì, Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, lo fece a immagine della<br />

propria natura” (Sap 2,23).<br />

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volto, il suo essere imago Dei. Poiché è lui la vera icona di Dio 87 . Ciò<br />

tuttavia non accade senza dolore: il teodramma fa completamente<br />

suo il dramma umano, generato dal peccato, solo sulla croce. È qui<br />

che storicamente si consuma l’atto finale. La croce è il “caso serio”<br />

dell’amore di Dio. Amore più forte di tutto, radicale quanto la vita.<br />

La gratuità dell’Amore: ecco l’indicativo sorgivo di ogni altro<br />

annuncio di salvezza. Amore gratuito quanto la bellezza, la quale si<br />

concede non per un fine estrinseco, ma per se stessa. Senza neppure<br />

la pretesa di essere accolta. si dà e basta. Inutilmente. Come del resto<br />

tutto in Dio, dalla creazione alla croce. Tutto senza un “utile”, senza<br />

un tornaconto. Un vero e proprio spreco. Come quel vaso di alabastro<br />

colmo di nardo assai prezioso, frantumato per cospargere il capo<br />

e i piedi di gesù, ormai prossimo alla morte (cf. Mt 26, 6-13; Gv<br />

12, 1-8). Dissipato per amore. tale è la natura di Dio, mostrata dal<br />

Figlio fatto uomo: essere costantemente “profuso”, eucaristicamente<br />

versato, da sempre e per sempre “per noi” (pro nobis), senza ragione<br />

da parte sua né merito da parte nostra 88 . L’amore, quale bonus odor<br />

<strong>Christi</strong>, pervade la creazione e tutta la storia: di esse ne è il senso e<br />

la bellezza. Perché, appunto, questo è anzitutto Dio. Bellezza 89 . Egli<br />

infatti non ci ama per renderci buoni: la nostra bontà sarebbe il suo<br />

guadagno. Egli non ci ama quale schiacciante verità perché gli crediamo:<br />

la nostra soggezione sarebbe il suo potere. Egli ci ama perché<br />

è bellezza assoluta, senza condizioni né restrizioni. Senza condizioni,<br />

perché si dà al di là di ogni ragione e di ogni calcolo, unicamente<br />

per essere contemplata e goduta. E senza restrizioni, perché si consegna<br />

tanto ai “buoni” quanto ai “cattivi” (cf. Mt 5,45), esponendo<br />

87 “egli è immagine (eikòn) del Dio invisibile, generato prima di ogni<br />

creatura” (col 1,15). in von Balthasar, le nozioni di “figura” (Gestalt) e di<br />

“espressione” (Ausdruck) intendono tradurre proprio questo aspetto biblico e<br />

teologico (cf GL1, 393-642; vc, 25-27; TL2, 229-234).<br />

88 cf Si, 192; TD5, 226.<br />

89 contro tutta una lunga tradizione filosofica, Balthasar ritiene che a guidare<br />

la gerarchia dei trascendentali non sia il verum o il bonum ma il pulchrum,<br />

perché meglio degli altri dice della gratuità dell’essere e dell’amore, il quale è il<br />

“trascendentale in assoluto” (cf TL2, 152-153). ecco perché la sua monumentale<br />

trilogia si apre con i sette volumi della Teo-estetica sulla bellezza, cui seguono i<br />

cinque volumi della Teo-drammatica sulla bontà e, infine, i tre volumi della Teologica<br />

sulla verità.<br />

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se stessa anche alla tragica possibilità di essere rifiutata, sfregiata,<br />

deformata. Questa è la ragione senza ragioni per cui “il più bello tra<br />

i figli dell’uomo” (Sal 45,3) può giungere sulla croce a sfigurarsi in<br />

“colui che non ha apparenza né bellezza” (Is 53,2), verme e rifiuto<br />

degli uomini (cf. Sal 22,7). Tuttavia, è proprio assumendo la “forma<br />

deforme” del rifiuto (il peccato) che il crocifisso diventa l’epifania<br />

storica della “sovra-forma” trinitaria 90 . La quale consiste unicamente<br />

di gratuità assoluta, di amore supremo. Ecco perché la bellezza ha<br />

salvato il mondo e sempre lo salverà.<br />

Qual è dunque l’identità della morale cristiana? Quella d’essere<br />

una risposta d’amore ad una Parola d’amore che da sempre, costantemente,<br />

la precede. Come tale imprescrivibile al di fuori di questa<br />

relazione dialogica (aspetto psicologico), storica (aspetto kerygmatico)<br />

e meta-storica (aspetto teologico). È la relazione con Dio – e<br />

con Dio quale relazione trinitaria – a fondare la specifica morale<br />

cristiana. Questa è obbligante non perché si riferisce allo ius di un<br />

Dio potenzialmente capriccioso e arbitrario 91 , ma perché inerisce<br />

all’essere stesso, di Dio anzitutto e, in lui, dell’uomo: agere sequitur<br />

esse. L’indicativo che narra di quest’essere, a partire dal suo agire<br />

storico, contiene già in se stesso l’imperativo: per questo è prioritario<br />

e vincolante. In questo senso, e non certo in termini giuridicopenali,<br />

Paolo parla di “legge di Cristo” (Gal 6,2; 1Cor 9,21) che è<br />

poi la “legge dello Spirito” (Rm 8,2): essa non sopprime la “legge<br />

naturale” ma la illumina e la esalta, perché come questa riassumi-<br />

90 cf iD., La mia opera ed Epilogo, o.c, 127-128; GL7, 81. 292; GL1, 400.<br />

428. È il tema del Christus deformis introdotto da sant’agostino ed ampliato poi<br />

da san Bonaventura: cf GL2, 319.<br />

91 a simili conclusioni porterebbe una morale come quella nominalistica di<br />

Guglielmo d’Ockham, per il quale “è bene ciò che la volontà positiva di Dio<br />

determina caso per caso e non per l’essenza di ciò che si compie”, giacché<br />

“la fonte del bene morale è l’obbligazione divina, non la razionalità intrinseca<br />

della cosa comandata. Quindi il bene è ciò che è liberamente imposto da<br />

Dio come legge. esso è indipendente dai valori morali e dalla natura umana,<br />

ritenuti astrazioni inesistenti. […] il bene morale non coincide neppure con Dio,<br />

il quale è amorale” (B.f. piGHin, I fondamenti della morale cristiana, eDB,<br />

Bologna 2003, 49-52). ad una simile morale non si può rispondere che con un<br />

volontarismo estremo.<br />

psicologia e teologia<br />

Quando<br />

l’amore è legge<br />

277-324<br />

319<br />

psicologia e teologia<br />

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Giuseppe Della Malva<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

320<br />

psicologia e teologia<br />

bile nell’agape (amore gratuito) che regge il mondo 92 . Contravvenire<br />

alla morale cristiana, pertanto, non è anzitutto trasgredire dei comandamenti,<br />

ma rinnegare la relazione fondante la realtà. È ingannare<br />

se stessi. Perché questo è infatti, alla radice, il peccato: menzogna.<br />

Bugia esistenziale. Het, come lo definisce il più delle volte l’Antico<br />

testamento, ossia bersaglio mancato, debolezza dell’arco che<br />

fiacca il volo della freccia 93 . Fallimento. non senso. solitudine che<br />

estranea da Dio, dagli altri e da se stessi.<br />

Il rapporto tra indicativo di salvezza e imperativo riguarda, in sostanza,<br />

la fondazione della morale cristiana. Questa, che si riassume<br />

nel duplice comandamento dell’amore (ama Dio e il prossimo), non<br />

può erigersi su una forma di eteronomia, intesa come imposizione<br />

esterna: essa nulla avrebbe a che fare con la libertà dei figli di Dio<br />

né sarebbe rispettosa della psiche umana. Ma neppure può fondarsi<br />

su un’autonomia intesa come autosufficienza: questa sorge laddove<br />

la libertà finita confonde la possibilità, conferitale da Dio, di poter<br />

disporre di se stessa (autoexusia) con l’autopossesso (autarchia) e<br />

laddove sovverte il proprio “essere da Dio” e “per Dio” in un “essere<br />

per se stessa”. È la logica perversa dell’autogiustificazione, dell’inane<br />

tentativo umano di autosalvezza (autosoteria), della disperata<br />

lotta contro la morte e il limite creaturale. La morale cristiana scaturisce,<br />

piuttosto, da un’autonomia intesa come teonomia o, che è<br />

lo stesso, da un’autonomia teonomica 94 . È infatti l’identità di Dio,<br />

teologicamente desunta a partire dalla croce-eucaristia del Figlio, a<br />

rivelare alla creatura il suo “doversi” all’amore – in questo senso<br />

la gratitudine (eucharistia) è un dovere dell’essere - e la sua “chiamata”<br />

all’amore. Per questo Cristo «proprio rivelando il mistero del<br />

Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e<br />

92 cf B.f. piGHin, I fondamenti della morale cristiana, op. cit. 225-246.<br />

93 il termine het nell’a.T. esprime l’aspetto oggettivo del peccato ed è<br />

il più utilizzato (circa 600 volte). i termini peshà e awòn che sottolineano,<br />

invece, l’aspetto relazionale (il primo) e quello soggettivo (il secondo) sono<br />

rispettivamente usati circa 90 e 230 volte (cf B.f. piGHin, I fondamenti della<br />

morale cristiana, o.c. 275-276).<br />

94 cf B.f. piGHin, I fondamenti della morale cristiana, o.c, 97-107.<br />

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gli manifesta la sua altissima vocazione» 95 . non si tratta però solo di<br />

rivelazione, ma anche di redenzione. La Parola incarnata è l’Azione<br />

di Dio nella storia. Dio mentre dice fa. mentre rivela che l’uomo è<br />

amato lo ama e mentre lo ama lo abilita all’amore.<br />

Giuseppe Della Malva<br />

judemaje@live.it<br />

95 cOnciLiO vaTicanO ii, Gaudium et Spes, Costituzione pastorale sulla<br />

Chiesa nel mondo contemporaneo, n. 22.<br />

psicologia e teologia<br />

Quando<br />

l’amore è legge<br />

277-324<br />

321<br />

psicologia e teologia<br />

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psicologia e teologia<br />

Giuseppe Della Malva<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

322<br />

psicologia e teologia<br />

ItA<br />

Quando l’amore è legge. Il rapporto tra l’indicativo di salvezza<br />

e l’imperativo morale<br />

di giuseppe Della malva<br />

Da dove nasce il linguaggio? È il frutto felicemente incoerente<br />

di un universo caotico (Monod) maturato nell’ab-errante giardino<br />

umano o è “la casa dell’Essere” (Heidegger)? Nel primo caso, tutto<br />

è caso e niente ha senso. nel secondo, niente è caso e tutto ha senso,<br />

giacché ogni cosa è epifania. L’universo è logos del Logos. Qui è rinvenibile<br />

il legame ontologico, non puramente disciplinare, tra psicologia<br />

e teo-logia. A patto però che si ravvisi in entrambe un genitivo<br />

soggettivo: la parola che è psiche, la Parola che è Dio. non appare<br />

la massima incoerenza, allora, che il Verbo di Dio si sia “detto” in<br />

modo umano. La ricerca speculativa qui sembra vedere solo ancora<br />

l’alba. ma valga, il presente studio, ad accennare che se il linguaggio<br />

ha a che fare col senso dell’Essere, allora esso è già mondo etico.<br />

L’etica non vi si aggiunge dall’esterno o alla fine per decreto. Senza<br />

gratuità, cuore della morale cristiana, le parole e la Parola sono impronunciabili.<br />

nella gratuità dell’amore, invece, la parola incontra<br />

la Parola della Croce. E questo indicativo precede, contiene e supera<br />

ogni imperativo.<br />

Quand l’amour est loi. Le rapport entre l’indicatif du<br />

fRA<br />

salut et l’impératif moral.<br />

de giuseppe della malva<br />

D’où naît le langage ? Est-il le fruit heureusement incohérent<br />

d’un univers chaotique (Monod) mûri dans l’ab-errant jardin humain<br />

ou est-il « la maison de l’Etre » (Heidegger) ? Dans le premier cas,<br />

tout est hasard et rien n’a de sens. Dans le second, rien n’est hasard et<br />

tout a sens, puisque toute chose est épiphanie. L’univers est logos du<br />

Logos. on trouve ici le lien ontologique, non purement disciplinaire,<br />

entre psy-chologie et Théo-logie. A condition cependant que se place<br />

entre les deux un génitif subjectif: la parole qui est psyché, la Parole<br />

qui est Dieu. Alors il ne semble pas la plus grande incohérence que<br />

le Verbe de Dieu se soit «dit» d’une façon humaine. La recherche<br />

spéculative ici semble ne voir encore que l’aube. Mais, le présent<br />

article, tend à indiquer le fait que si le langage concerne le sens de<br />

l’Etre, alors il est déjà monde éthique. L’éthique ne s’ajoute pas de<br />

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l’extérieur ni ne s’impose par décret. Sans gratuité, cœur de la morale<br />

chrétienne, les paroles et la Parole sont imprononçables. Dans la<br />

gratuité de l’amour, la parole rencontre la Parole de la Croix. Et cet<br />

indicatif précède, contient et dépasse tout impératif.<br />

When Love is Law. The Relationship between the Indica-<br />

EnG<br />

tive of Salvation and the Moral Imperative<br />

by giuseppe Della malva<br />

Where is language born? It is the happy and incoherent result of<br />

a chaotic universe (Monod) matured in the aberrant human garden<br />

or “the house of Being” (Heidegger)? In the first case, everything is<br />

random and nothing makes sense. In the second, however, nothing is<br />

random and everything makes sense because everything is epiphany.<br />

The universe is the logos of the Logos. Here we find the ontological,<br />

but not purely disciplinary, bond between psychology and theology.<br />

Provided, however, that both have a subjective genitive, that<br />

is, the word is psyche, the Word which is god. It is not the greatest<br />

incoherence then that the Word of God is “said” in a human way.<br />

Speculative research here seems to be just watching the dawn at this<br />

point. Yet, it is worth the present study in order to mention that if<br />

the language has to do with the sense of Being, then it is already an<br />

ethical world. Ethics is not added on from outside or at the end by<br />

decree. Without gratuity, the heart of <strong>Christi</strong>an morality, the words,<br />

and the Word are unpronounceable. In the gratuity of love, however,<br />

the word meets the Word of the Cross. this guidance precedes, contains,<br />

and surpasses all imperative.<br />

SPA<br />

Cuando el amor es ley. La relación entre el indicativo de<br />

salvación y el imperativo moral<br />

de giuseppe Della malva<br />

¿De dónde nace el lenguaje?. ¿Es el fruto felizmente incoherente<br />

de un universo caótico (Monod) madurado en el ab-errante jardín<br />

humano, o es la “casa del Ser” (Heidegger)?. En el primer caso, todo<br />

es casualidad y nada tiene sentido. En el segundo, nada es casualidad<br />

y todo tiene sentido, ya que cada cosa es epifanía. El universo es<br />

logos del Logos. Aquí recuperamos la unión ontológica, no sólo<br />

psicologia e teologia<br />

Quando<br />

l’amore è legge<br />

277-324<br />

323<br />

psicologia e teologia<br />

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psicologia e teologia<br />

Giuseppe Della Malva<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

324<br />

psicologia e teologia<br />

disciplinar, entre psico-logía y teo-logía. Acordando, no obstante,<br />

que se revise entre ambos un genitivo sujetivo: la palabra que es<br />

psique, la Palabra que es Dios. no parece descabellado entonces que<br />

el Verbo de Dios sea “dicho” en manera humana. La búsqueda especulativa<br />

parece ver solo ahora el alba. Pero, sirva el presente estudio,<br />

para señalar que si el lenguage tiene algo que ver con el sentido del<br />

Ser, entonces eso es ya mundo ético. La ética no se agrega desde el<br />

exterior o al final por decreto. Sin gratuidad, corazón de la moral cristiana,<br />

las palabras y la Palabra son impronunciables. En la gratuidad<br />

del amor, sin embargo, la palabra encuentra a la Palabra de la Cruz.<br />

Y este indicativo precede, contiene y supera a todo imperativo.<br />

Kiedy miłość jest prawem. Relacja między trybem oznaj-<br />

Pol<br />

mującym zbawienia a trybem rozkazującym moralności.<br />

giuseppe Della malva<br />

Z czego rodzi się język? Jest niespójnym na szczęście owocem<br />

chaotycznego universum (Monod) dojrzałym w sprowadzającym<br />

na manowce ogrodzi ludzkim, czy jest „domostwem bycia” (Heidegger)?<br />

W pierwszym przypadku wszystko jest przypadkowe i nic<br />

nie ma sensu. W drugim – nic nie jest przypadkiem i wszystko ma<br />

sens, a co więcej, wszystko jest epifanią. Wszechświat jest logosem<br />

Logosu. Tu wyłania się więź ontologiczna, nie tylko dyscyplinarna,<br />

między psycho-logia a Teo-logią. Jednak pod warunkiem, że w<br />

obydwóch dostrzeżemy genetiwus podmiotowy: słowo jest psyche,<br />

Słowo jest Bogiem. Nie jest więc w najwyższym stopniu niespójne,<br />

ze Słowo Boże wypowiedziało się na ludzki sposób. Badania spekulatywne<br />

są w tej dziedzinie dopiero w fazie początkowej. Artykuł ten<br />

ma jednak swoją wagę, bowiem podkreśla, że język ma coś wspólnego<br />

z sensem bycia, a więc jest bardzo etyczny. Etyka nie dołącza<br />

się z zewnątrz, albo na końcu, na mocy prawa. Bez bezinteresowności,<br />

serca moralności chrześcijańskiej, nie da się wypowiedzieć<br />

słów ani Słowa. W bezinteresowności miłowania natomiast słowo<br />

spotyka Słowo Krzyża. I ten tryb oznajmujący poprzedza, zawiera<br />

w sobie i przekracza wszelki tryb rozkazujący.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 324 04/02/13 09:39


Premesse.<br />

TiTO paOLO Zecca cp<br />

1. È celebre il detto del secondo<br />

papa avignonese, giovanni<br />

XXII (+ 1334), non molto<br />

simpatico a Dante Alighieri che,<br />

per il suo fiscalismo, nella Divina<br />

Commedia lo pose all’inferno.<br />

Questo papa, dunque, diceva:<br />

“Datemi un Frate Predicatore che<br />

osservi la sua Regola fino allo<br />

jota, e io lo canonizzo senza che vi sia bisogno di altro miracolo” 1 .<br />

L’osservanza della Regola, dunque, almeno dal medioevo in poi, è<br />

1 cf U. TOMareLLi, San Vincenzo Ferreri apostolo e taumaturgo, ed.<br />

Studio Domenicano, Bologna, 2005, p. 257. Questo papa,incrementò<br />

il fiscalismo del predecessore, clemente v, scomunicava con molta facilità<br />

si diceva, per poi concedere l’assoluzione in cambio di denaro; accumulò<br />

beni per 25 milioni di fiorini d’oro, persuaso che la fede doveva risplendere<br />

per magnificenza e grandezza. Dante ne parla nel Xviii canto del paradiso,<br />

al verso 100°. aveva un’idea della chiesa come un’istituzione che doveva<br />

essere per sua natura ricca per dimostrare lo splendore della fede. Quindi la<br />

sua amministrazione fu caratterizzata da politiche economiche che gli hanno<br />

attribuito l’appellativo di “papa banchiere”; il papato visse un momento di<br />

grande arricchimento che gli permise di costruire molti nuovi palazzi e chiese<br />

per tutta europa ma soprattutto in francia. fu anche un amante dell’arte e<br />

chiamò ad avignone artisti allora rinomati; per la sua concezione di chiesa<br />

ricca fece rappresentare cristo in croce sempre con un sacchetto di monete<br />

al fianco per dimostrare che anche in questo Gesù avrebbe potuto essere<br />

superiore.<br />

spiritualità<br />

la congrEgazionE<br />

tra Passato E<br />

futuro: fEcondità<br />

dElla rEgola<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

325-356<br />

325<br />

spiritualità<br />

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spiritualità<br />

TiTo Paolo Zecca cP<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

326<br />

spiritualità<br />

stata vista come paradigma aureo non solo di santità ma della santità<br />

canonizzata, proponibile ai fedeli di tutta la chiesa, senza ulteriori<br />

verifiche della somiglianza del fedele osservante della regola al vangelo<br />

di gesù. Anzi, secondo il movimento francescano: la Regola<br />

era il Vangelo come il Vangelo era la Regola, senza soluzione di<br />

continuità tra i due riferimenti per il comportamento virtuoso, santo,<br />

del religioso. Il religioso osservante della regola era dunque un santo<br />

perché uomo evangelico; un santo religioso non poteva non osservare<br />

fino allo jota il dettato della Regola, perché essa era il Vangelo<br />

attualizzato nella sua vita e nel suo ordine.<br />

2. Tra la fine del secolo XII e l’ultimo terzo del secolo XIII, scrive<br />

il Vauchez 2 , l’esperienza dell’umiliazione volontaria della povertà<br />

evangelica costituì, per il papato, la via regia della perfezione cristiana.<br />

La carità verso il prossimo si esplicava soprattutto nell’assistenza<br />

ai poveri e nello zelo apostolico per la salvezza delle anime.<br />

3. Venendo più vicino alla nostra epoca. Il santo, secondo le<br />

norme settecentesche di Benedetto XIV, Lambertini (De servorum<br />

Dei beatificationem…) reputato “Il maestro” per antonomasia dei<br />

postulatori fino ai nostri giorni, è un essere eccezionale che possiede<br />

nel più alto grado tutte le perfezioni (le virtù eroiche) e agisce sotto<br />

la sola mozione della Grazia (doni dello Spirito Santo). Viene così<br />

eliminato il contatto con il mondo, riducendo la santità al combattimento<br />

interiore.<br />

4. solo nel 1916, con un altro papa Benedetto, il XV della serie,<br />

si vede apparire una formulazione veramente nuova del concetto di<br />

santità e di santo. Ci riferiamo a quanto il papa dice del venerabile<br />

fra’ giovanni Battista di Borgogna, francescano riformato 3 . Bene-<br />

2 cf a. vaUcHeZ, Santità, in Dizistitperf., 8, 860.<br />

3 nato nel 1700, francescano nel 1719 a ponticelli in Sabina; morto a napoli<br />

nel 1726, ad appena un anno dalla sua ordinazione sacerdotale; sepolto nella<br />

chiesa di san Bonaventura al palatino. La sua vita claustrale, oltremodo semplice<br />

e edificante, si può riassumere in queste poche parole: fedeltà ai santi voti, alla<br />

vita comune, alle costituzioni e a tutte le altre obbligazioni anche minime. fu<br />

così illibata la sua purezza che era comunemente ritenuto un “angelo in carne”;<br />

così pronta la sua obbedienza, da prevenire i comandi e soddisfare i desideri<br />

dei superiori; così perfetta la sua povertà, da vivere totalmente distaccato da<br />

ogni cosa. riferendosi al giudizio di Dio su quest’ultima virtù, diceva: “io non<br />

ho timore, perché non ho cosa alcuna oltre di quello che concede la regola, e<br />

quest’immagine di Gesù crocifisso e di Maria immacolata” (due immagini<br />

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detto XV, nel dichiarare eroiche le sue virtù,lo presentò come un<br />

modello di “perfetta imitabilità”, confermando il principio che “la<br />

santità consiste propriamente nella sola conformità al divino volere,<br />

in un compimento costante e preciso dei doveri del proprio stato” 4 .<br />

Questo venerabile francescano, sembra essere il prototipo di tanti<br />

passionisti morti in concetto di santità, nei quali l’eroicità delle virtù<br />

si è consumata nella fatica quotidiana del vivere la comunità e nel<br />

servirla secondo le disposizioni concrete della divina volontà, con<br />

una profonda vita interiore che non avrebbe scontentato il concetto<br />

di santità eroica caro a papa Lambertini.<br />

1. le tre dimensioni<br />

delle regole<br />

gli studiosi<br />

delle Regole<br />

monastiche e<br />

conventuali classiche<br />

dividono le stesse<br />

in due grandi filoni,<br />

entro i quali però, le influenze, dipendenze, starei per dire “contaminazioni”<br />

sono frequentissime. Sintetizzo per sommi capi questo<br />

straordinario capitolo della storia della Chiesa rappresentato dai<br />

movimenti della vita consacrata cristallizzati nella massima parte<br />

nelle Regole e costituzioni (o come dir si voglia con altri termini,<br />

tipo Institutiones, Codex, Magna Charta, Charta caritatis, ecc.)<br />

senza trascurare, ma sembra una eccezione, quella “regola di vita<br />

monastica in forma narrativa”, a detta di san Gregorio Nazianzeno,<br />

che è rappresentata dalla Vita Antonii di sant’Atanasio. E qui si<br />

aprirebbe una parentesi molto interessante sulla importanza delle<br />

agiografie come “regola di vita monastica in forma narrativa” che<br />

di carta che lui stesso aveva applicate sul diritto e sul tergo di una crocetta di<br />

legno). illimitato era, inoltre, il suo abbandono alla volontà divina nella malattia<br />

e in ogni altra tribolazione, e quasi continuo il parlare delle cose celesti. in tal<br />

modo riuscì a valorizzare al massimo grado le azioni ordinarie con una vita<br />

interiore particolarmente intensa, confortato da un abituale spirito di preghiera:<br />

“nella santa orazione – soleva ripetere – trovo ogni mia consolazione, ogni<br />

pascolo spirituale, ogni mio riposo”.<br />

4 per una scheda biografica cfr. S. GOri, Venerabile Giovanni Battista da<br />

Borgogna, religioso, in sito web: Santi e beati, alla voce.<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

325-356<br />

327<br />

spiritualità<br />

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spiritualità<br />

TiTo Paolo Zecca cP<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

328<br />

spiritualità<br />

se non hanno goduto della cogenza canonica delle Regole, hanno<br />

influenzato, e in misura non mediocre, il comportamento virtuoso<br />

di innumerevoli generazioni di persone consacrate e non. A volte<br />

sono state le uniche fonti storiche di una istituzione a cui i suoi<br />

membri hanno attinto per modellare la loro vita su comportamenti<br />

virtuosi, anzi santi.<br />

a) Un primo filone, dunque, è quello rappresentato dalle Regole<br />

che pongono l’accento sulla dimensione verticale della vita religiosa,<br />

mettendo quasi ai margini la vita comunitaria e le sue implicanze,<br />

privilegiando il rapporto con Dio, in modo da conseguire la divina<br />

trasformazione vivendo davanti a Colui che è celebrato incessantemente<br />

come “Tu solus Sanctus, tu solus Dominus, tu solus Altissimus”.<br />

Il monaco di questo tipo di Regola cerca soprattutto la santità<br />

individuale. Il monastero è una schola dove si impara a seguire<br />

Cristo e a vivere sotto il suo influsso salvifico. Dio-abate-monaco: è<br />

il trinomio della vita monastica tradizionale. ma il mirabile capitolo<br />

72 della regola di san Benedetto pone anche l’accento sulla carità<br />

fraterna, manifestata nella tolleranza, nel servizio, nell’obbedienza<br />

reciproca e nell’amore rispettoso. tra le innumerevoli Regole monastiche<br />

che si potrebbero citare, quella Benedettina sintetizza in modo<br />

quasi insuperabile questa dimensione verticale della vita consacrata<br />

“ben temperata”.<br />

b) Il secondo filone è rappresentato da quelle regole che privilegiano<br />

la dimensione orizzontale: la sequela di Cristo vissuta<br />

con un forte accento comunitario, imitando il Cristo povero e crocifisso,<br />

sottolineando l’humanitas del Cristo e la fraternità (koinonia),<br />

la mitezza dei rapporti, come elemento imprescindibile per<br />

il conseguimento della perfezione evangelica. Il monastero o convento<br />

viene visto come una piccola chiesa dove si impara ad essere<br />

membri affettivi ed effettivi della Chiesa di Cristo. Passando dalla<br />

sequela all’imitazione, dalla conformazione alla trasformazione in<br />

Dio, per – in – con - Cristo. È la Regola francescana che rappresenta<br />

in modo tutto particolare questa imitazione del Cristo povero e crocifisso.<br />

Seguire nudi il Cristo nudo sulla vita della croce (nudus<br />

nudum Christum sequi). Con una fortissima spinta all’annuncio<br />

evangelico, espressa in tutte le sue forme: da quella semplice del<br />

buon esempio, alla evangelizzazione missionaria estremamente zelante<br />

ed inventiva nel campo apostolico. È il filone degli “homines<br />

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de poenitentia” che praticano un duro ascetismo eremitico e/o conventuale<br />

non fine a se stesso (per la propria santificazione), ma in<br />

vista dell’annuncio della conversione tramite la parola della croce.<br />

Annuncio espresso molto spesso in forme penitenziali estreme, al<br />

limite del fanatismo, che trascinava masse di penitenti che a loro<br />

volta diventavano predicatori e propagatori delle stesse forme e<br />

pratiche penitenziali 5 .<br />

c) C’è anche un’altra corrente ispirazionale la vita consacrata, e<br />

si tratta di quella che pone una attenzione tutta particolare al servizio<br />

dei poveri. sono le congregazioni dedite al servizio della carità<br />

espressa in tutte le sue forme: accoglienza e aiuto agli orfani,<br />

alle ragazze “pericolanti”, ai malati, ai carcerati, insomma a tutte<br />

le categorie sociali a rischio; gli istituti di educazione, soprattutto<br />

delle classi meno abbienti. Congregazioni che hanno avuto una straordinaria<br />

fioritura soprattutto nell’Otto-Novecento, con importanti e<br />

incisive anticipazioni già nel sei-settecento. Per rifarci allo schema<br />

verticale-orizzontale, questo terzo filone di vita consacrata (e relative<br />

norme costituzionali) potrebbe essere descritto con un andamento<br />

sinusoidale, che cerca di recepire la dimensione verticale e quella<br />

orizzontale di cui sopra in una sintesi di vita e di servizio caritativoapostolico<br />

ad ampio spettro.<br />

In questo contesto, descritto per linee forzatamente sommarie e<br />

semplificate, come/dove si situa la nostra Regola? Forse in quella<br />

che in termini ignaziani si potrebbe chiamare Formula instituti, da<br />

cui procede la forma vitae passionista e conseguentemente le applicazioni<br />

normative che si sono accumulate lungo quasi tre secoli di<br />

storia (Costituzioni antiche e rinnovate, i regolamenti e tutte le altre<br />

direttive, consuetudini, ecc.).<br />

5 cf i. MaGLi, Gli uomini della penitenza, franco Muzzio editore, padova<br />

1995.<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

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spiritualità<br />

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spiritualità<br />

2.“i poveri di gesù”:<br />

l’alba incompiuta di<br />

un titolo pauperistico.<br />

sappiamo che<br />

Paolo Dànei,<br />

nel redigere la<br />

Regola elaborò subito<br />

il titulus della nuova<br />

aggregazione: I Poveri<br />

di Gesù. È una<br />

denominazione che non trova nessun riscontro, sembra, nella storia<br />

della vita consacrata, dove troviamo altri riferimenti, come Povere o<br />

Poveri con un genitivo denominativo legato a una città o a un tema<br />

devozionale 6 ; ma nessuno ha mai adottato la denominazione di Poveri<br />

di Gesù.<br />

Paolo nelle lettere del primo periodo successivo alla vestizione<br />

eremitica, si firma come Paolo Francesco Minimo Povero di Gesù,<br />

oppure Minimo Servo dei Poveri di Gesù, poi si firma Eremita, senza<br />

nessuna specificazione, in seguito, nel 1727 si firma solo Paolo Francesco,<br />

o Paolo Francesco Daneo, poi Paolo Francesco della santa<br />

Croce di Gesù (siamo nel 1730), poi Paolo Francesco Daneo della<br />

S. Croce, missionario (nel 1734) e Missionario apostolico dal 1738;<br />

ed anche firma Minimo chierico Regolare Scalzo, a volte Paolo della<br />

S. Croce e poi Paolo della Croce dalla fine degli anni 30 e in modo<br />

definitivo, nel 1741 con l’approvazione benedettina della Regola:<br />

Paolo della Croce.<br />

Egli abbandona il titulus di Poveri di Gesù, che pure sembrava<br />

parte integrante del primo motivo ispirazionale, per adottare quello<br />

molto più giuridico-canonico e anche piuttosto prolisso: “Congregazione<br />

dei Chierici scalzi della ss. Croce e <strong>Passio</strong>ne di nostro signor<br />

Gesù Cristo”, che egli stesso nelle intestazioni e firme spesso riduce<br />

o semplifica.<br />

6 cf Dizionario degli Istituti di Perfezione (in seguito Dip), vol.7, ci sono circa<br />

30 ordini o congregazioni femminili cha hanno come aggettivo qualificativo<br />

il termine povere; e circa 8 congregazioni o movimenti maschili che hanno<br />

adottato quello di poveri. alcuni di essi, che in verità avevano più il taglio<br />

di un movimento che di ordo religiosus come i poveri di Lione, ecc., hanno<br />

avuto vita effimera o si sono estinti da secoli, spesso accusati di pauperismo,di<br />

anticurialismo e spesso persi nella deriva ereticale.<br />

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nulla ci viene detto dell’abbandono del titulus “Poveri di Gesù”,<br />

né da Paolo, né dal Cioni, il primo storico della congregazione, né<br />

dallo strambi. neppure, mi sembra, i moderni studiosi di cose paulocruciane<br />

si sono dilungati a spiegare l’abbandono di questo titulus;<br />

neppure ci viene spiegato come avesse pensato allo stesso. nelle<br />

locuzioni precedenti alla vestizione e al ritiro di Castellazzo non si<br />

fa assolutamente cenno a questa denominazione. Compare nella stesura<br />

delle “Regole” come d’incanto e qualche anno dopo scompare<br />

perfino dalla firma del Fondatore.<br />

“Adunar compagni”: non era solo una aspirazione utopistica ma<br />

tale desiderio aveva un preciso riscontro nel giro delle amicizie spirituali<br />

che ruotava attorno a Paolo Dànei, primo fra tutti, il fratello<br />

giovanni Battista. nelle carte originali provenienti da Castellazzo,<br />

e poi distrutte da Paolo stesso, sappiamo che c’era un bel gruppo di<br />

giovani, chierici e laici, pronti a seguire i due fratelli, per intraprendere<br />

la loro vita penitenziale. Quindi l’ispirazione della nuova famiglia<br />

religiosa non è di tipo eremitico ma cenobitico. Questo gruppo<br />

era seguito da un padre cappuccino ed alcuni di questi giovani, a<br />

detta dello stesso direttore, erano più fervorosi di Paolo stesso 7 .<br />

3. la “regola” di castellazzo<br />

e il carisma di fondazione.<br />

a) delle scarsis-<br />

Quello che<br />

leggiamo<br />

sime note della Regola<br />

del 1720-21 è<br />

come una nebulosa<br />

informe, che poi ha il suo big-bang che genera e sviluppa un corpus<br />

ben definito di norme che categorializzano l’ispirazione fondante.<br />

Diventa così essa una realtà definita, fondata, stabilita.<br />

A fatica ci si distacca da queste fonti primitive della congregazione<br />

e della sua avventura nella storia della santità; sono, come<br />

7 Qualche anno fa c’è stato un certo revival di questo preteso eremitismo<br />

passionista, che non ha nessun riscontro nella sua storia e nella sua spiritualità.<br />

eremitismo forse più legato alle difficoltà incontrate nella vita comunitaria che<br />

dettato dalla tradizione dell’istituto.<br />

spiritualità<br />

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passato e futuro:<br />

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ben rilevava stanislas Breton, in vari scritti, la poesia dell’inizio,<br />

il bereshit dell’istituto. Questa avventura della santità che non è di<br />

un solo uomo, Paolo Francesco Dànei, ma di suo fratello e poi di<br />

innumerevoli altri figli e discepoli. Ognuno di essi ha delle peculiarità<br />

caratteriali e carismi specifici; questo big bang di Castellazzo è<br />

destinato a generare altre identità carismatiche, tutte con un minimo<br />

comun denominatore , ossia la consacrazione, sigillata con un votum<br />

specifico, alla <strong>Passio</strong>ne di Gesù ma con fortissime peculiarità, con<br />

differenze specifiche, che si espandono rapidissimamente come nebulose<br />

e sistemi stellari. sono i santi passionisti, tutti legati sotto<br />

il vessillo della croce e sotto una comune regola, tutti passionisti,<br />

cittadini del calvario, ma ognuno con caratteristiche peculiari che<br />

esaltano il perenne principio generante e si cristallizzano con una<br />

missione generata che fa conoscere ed anche crescere e maturare il<br />

principio generante stesso.<br />

b) Anomalie della regola di Castellazzo.<br />

scritta prima della nascita della congregazione. ordinariamente accade<br />

il contrario. Risponde, comunque, alla legge dell’incarnazione:<br />

a)Lex credendi; b) Lex orandi; c) lex evangelizandi. sintetizza la linea<br />

verticale di tante Regole: Deus sempre major: tu solus sanctus….e la<br />

linea orizzontale: apparuit benignitas Salvatoris nostri. Basti ricordare<br />

l’amore e devozione di Paolo e della tradizione agiografia passionista<br />

a gesù bambino che ha il suo vertice nel beato Lorenzo di<br />

san Francesco saverio, salvi. Il paradosso della regola passionista.<br />

Austerissima, al limite della sopportabilità, ma è vissuta in un clima<br />

di vita fraterna, improntata a molta familiarità (a volte, forse, eccessiva)<br />

come faceva notare Breton. Il beato Domenico Barberi diceva:<br />

“Tra noi ci si è comportati sempre alla familiare”. Non troviamo in<br />

essa, come formulazione esplicita, la fondamentale affermazione che<br />

troviamo, invece, nella Regula Benedicti, e che deve essere posta,<br />

invece, come in filigrana in ogni codice monastico: “Nulla assolutamente<br />

antepongano a Cristo” (Regola 72,11; cfr 4,21), che relativizza<br />

ogni norma e nello stesso tempo dà ad ogni norma il suo centro e la sua<br />

giustificazione. Parafrasando l’effato benedettino potremmo mettere<br />

come chiave di lettura di tutte le norme della congregazione questa<br />

affermazione: “Nulla assolutamente antepongano a Cristo crocifisso”.<br />

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c) Castellazzo non è solo la Regola…<br />

Il diario di Castellazzo ha una importanza tutta peculiare per individuare<br />

il carisma di fondazione e la formula dell’Istituto. Ha avuto<br />

per fortuna molti studiosi che se ne sono occupati, ne hanno sviscerato<br />

i contenuti dopo averne stabilito l’edizione critica. Il Diario<br />

dei 40 giorni non è solo la registrazione dei celesti carismi di cui il<br />

giovane eremita era inondato, la preghiera incessante, le illustrazioni<br />

soprannaturali, le locuzioni, che testimoniano una vita interiore già<br />

molto avanzata e definita. Egli mette a nudo le prove, tentazioni,<br />

desolazioni; i disagi fisici, locali, legati al tempo ed all’ambiente.<br />

Fu una esperienza sovrumana, al limite delle forze per un uomo comune.<br />

In nuce c’è tutto Paolo asceta, mistico della <strong>Passio</strong>ne, e ci<br />

sono anche elementi della forma vitae passionista 8 che si inserirà nel<br />

vissuto profondo della congregazione e ne forma l’aspetto peculiare,<br />

ne forgerà i suoi uomini migliori.<br />

3. Per una teologia della<br />

santità passionista.<br />

A) La dimensione liturgico-sacramentale.<br />

Il diario di Castellazzo è una singolare testimonianza della dimensione<br />

liturgico-sacramentale della spiritualità passionista. In passato<br />

la dimensione eucaristica e più in generale liturgica della spiritualità<br />

paulocruciana veniva relegata nell’ambito della “devozione”.<br />

Questo aspetto è stato poco evidenziato o addirittura ignorato, relegandolo<br />

alla mera fruizione devozionale, senza nessuna o scarsa<br />

valenza specifica e fondante la spiritualità del mistico della <strong>Passio</strong>ne<br />

e della sua congregazione. si è anche preferito premere più sul tasto<br />

8 È singolare che l’inizio della regola passionista si rassomigli al testo delle<br />

costituzioni della compagnia di Gesù (n°3): “il fine della compagnia non è<br />

solo attendere con la grazia divina alla salvezza e perfezione della propria<br />

anima, ma con questa stessa grazia, procurare con tutte le forze di aiutare alla<br />

salvezza e perfezione delle anime dei prossimi”.<br />

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della teologia speculativa e/o della filosofia, ai limiti dell’astrattezza<br />

scolastica, e imprigionando la sua originalità sacramentale nella mistica<br />

intellettuale dei Renani, Taulero incluso (un Taulero, forse non<br />

ben inteso e di certo decontestualizzato, un taulero fortemente legato<br />

alla dimensione liturgica, che si riscontra in tante sue omelie).<br />

La dinamica sacramentale è invece fondante la santità passionista<br />

il cui centro, fonte e culmine è rappresentato dall’eucaristia: memoriale<br />

della morte, della Pasqua del signore, segno della sua Resurrezione,<br />

anticipo della sua Parusia. Dall’ evento sacramentale della<br />

mistica immolazione del Calvario, che si celebra e ripresenta sull’altare,<br />

scaturisce l’avvenimento della Chiesa sempre santa e bisognosa<br />

di rigenerazione; ed in questo avvenimento si colloca l’opera della<br />

fondazione della nuova aggregazione ecclesiale. Paolo la chiama nel<br />

Diario: “opus Dei”, “meraviglia di Dio”… Come si vede egli usa<br />

termini strettamente biblico-liturgici…<br />

solo con Divo Barsotti 9 , e soprattutto con Antonio m. Artola, la<br />

dimensione eucaristica del carisma di fondatore di Paolo della Croce<br />

viene finalmente aperta alla comprensione, se non del tutto distesamente<br />

spiegata. La sua è profonda mistica sacramentale, innovativa<br />

nella storia della mistica cattolica. La sua non è una mera dimensione<br />

“devozionale”, magari esuberante, di una mistica affettiva<br />

prorompente che cerca appassionatamente il suo oggetto 10 . Essa rappresenta,<br />

invece, un oggettivo e transustanziale “itinerarium mentis<br />

et cordis in Jesum Christum et hunc crucifixum”; questo perché “in<br />

nomine Jesu omne genuflectatur”…secondo l’inno ai Filippesi, tanto<br />

caro alla tradizione passionista nella celebrazione della Liturgia<br />

delle ore. Anche con la postura del corpo si indica la kenosis del<br />

Figlio di Dio e la sua esaltazione ma anche il cammino pasquale<br />

che il celebrante compie attraverso la laus perennis: dalla croce alla<br />

9 D. BarSOTTi, L’eucaristia in san Paolo della Croce, curia Generalizia<br />

passionisti, roma 1978 (collana rSSp): “Tutta la vita di paolo non è che la<br />

sua comunione al cristo: egli ne vive la morte, ne vive misteriosamente la<br />

risurrezione; in altissimo silenzio vive col cristo nel seno del padre, vive la<br />

stessa passione di amore del cristo per la salvezza degli uomini” (idi, ivi, p.<br />

12). La sottolineatura eucaristica fa temere a qualcuno, a torto, che paolo sia<br />

una specie di “sacramentino” ante litteram.<br />

10 Sono tantissime le testimonianze dei contemporanei che attestano il dono<br />

delle lacrime ricevuto da paolo.<br />

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gloria, anzi la croce è la gloria del Padre per il Figlio obbediente<br />

nello spirito d’Amore, che già si manifesta nel tempo e nello spazio<br />

santificati dalla liturgia. Per cui il rito - ben celebrato e vissuto - diventa<br />

vivo e vitale e la vita si trasfigura in rito da celebrare, secondo<br />

scansioni ben definite e saggiamente ripartite, da parte del passionista,<br />

in riferimento a se stesso, alla comunità ed a Dio.<br />

Prima ancora di entrare nel ritiro quadragesimale di san Carlo di<br />

Castellazzo Paolo vive una profonda dimensione sacramentale nelle<br />

illustrazioni che preparano la comprensione del suo destino di mistico<br />

del Calvario e di fondatore. È di ritorno dalla messa che per<br />

strada è oggetto di locuzioni e visioni intellettuali e sensibili con<br />

le quali vede l’abito nero di penitenza, il segno bianco sormontato<br />

dalla croce altrettanto bianca. Ed è maria, segno ecclesiale per antonomasia,<br />

che lo guida alla comprensione graduale di quanto va<br />

sperimentando e vedendo. Segni significanti di un significato quasi<br />

sacramentale del saio di foggia non comune che indosseranno Paolo<br />

stesso, giovanni Battista e tutti i religiosi della congregazione nascente,<br />

anche se passeranno anni prima che tutto questo venga messo<br />

in evidenza, riconosciuto, approvato e codificato.<br />

C’è anche da ricordare che durante una prolungata adorazione<br />

davanti all’altare della Reposizione, nella notte tra il giovedì ed il<br />

Venerdì santo di un anno imprecisato, Paolo ebbe infusa nel cuore<br />

dal signore la sua ss. <strong>Passio</strong>ne insieme ai dolori di maria ss.<br />

b) “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!”: le tre dimensioni<br />

della santità passionista.<br />

GETZEMANI - CALVARIO - INFERI/SHEOL<br />

GIARDINO - TOMbA VUOTA - REGNO DI DIO<br />

La mistica della passione, così come è stata vissuta da innumerevoli<br />

santi, è consistita - in estrema sintesi - in una immersione totale<br />

nella derelizione di Cristo, nella sua gloriosa kenosi, secondo la<br />

dinamica descritta liricamente nell’inno cristologico di Fil 2,5-11.<br />

L’abbandono, l’angoscia, la solitudine del getzemani, con il silenzio<br />

del Padre, il torpore dei discepoli prediletti, la fugace consolazione<br />

dell’angelo, il sudore di sangue, il calice amaro da bere fino in fondo,<br />

l’incombere del tradimento, l’offrirsi senza nessuna resistenza nelle<br />

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mani dei propri nemici, sono stati la meditazione quotidiana di intere<br />

generazioni cristiane. Il Calvario è l’altro luogo, il vertice dei luoghi,<br />

dove Dio parla nel suo silenzio più totale. Dio non risponde al “forte<br />

grido” del Figlio perché grida a se stesso il proprio infinito dolore<br />

nell’eco di quella domanda che risuonerà per tutte le cime e tutti gli<br />

abissi della terra fino alla sua consumazione apocalittica. Il luogo del<br />

Calvario è il luogo del deserto più inesplorato, della notte più oscura.<br />

Sperimentare la croce significa viverne la desolazione. Niente e nessuno<br />

può dare conforto a chi è entrato nel suo spessore. nella solitudine<br />

della croce si consuma un patto d’amore e di sangue: in questo<br />

luogo, in questo deserto, dove non è lecito a nessuno di poter entrare<br />

senza essere chiamati e dal quale nessuno può tornare indietro senza<br />

cadere nell’abisso della disperazione e della insignificanza.<br />

Con il gethsemani e il Calvario, un’altra componente della derelizione<br />

di Cristo è sempre presente nello spirito e nella mistica<br />

passiocentrica: il silenzio del sabato santo. Questo tempo sospeso,<br />

fuori del tempo, tempo di attesa, di speranza, di fede estrema, di riposo<br />

totale. Quel tempo della tomba sigillata simboleggia Il Tempo<br />

di tutti gli interrogativi davanti al mistero di Dio, al suo silenzio<br />

imperscrutabile e adamantino, squarciato solo da quella Parola che<br />

ora, però, tace. tempo che lento trascorre davanti ad una tomba<br />

ancora sigillata, che custodisce ancora un corpo, freddo, esangue,<br />

inerte, pieno di piaghe squarciate, di sangue raggrumato; il cadavere<br />

di un giustiziato “nel quale, però, abita tutta intera la divinità” (Col<br />

2,9) ma con quali modalità ciò accada non è dato sapere). nel silenzio<br />

di quell’ineffabile shabbat si compie la misteriosa “discesa”<br />

del Redentore nello sheol. L’annunzio di Pasqua raggiunge “coloro<br />

che giacevano nelle tenebre e nell’ombra della morte” ( cfr. Is 9, 2;<br />

Job 10, 22; Sal 22,4). Il Crocifisso, non ancora risorto, estingue le<br />

fiamme dell’inferno attraversandolo tutto, prima di risalire al Padre.<br />

Anche l’immobilità sepolcrale del sabato santo è redentiva: la redenzione<br />

meritoria non si estingue con l’ultimo grido esalato da gesù<br />

sulla croce.<br />

Chi desidera condividere la stessa sorte di gesù, deve come lui<br />

e con lui, attraversare questi luoghi: il getzemani, il Calvario e lo<br />

Sheol. non può non condividere con lui la stessa sorte di derelizione<br />

e di gloria (cfr Sal 65,12), entrando in una dimensione metastorica<br />

ancora nel proprio vissuto spazio-temporale. L’esperienza<br />

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dei mistici, specialmente dei mistici stimmatizzati è la riprova di<br />

questo attraversamento e di questa contemporaneità metastorica<br />

del vissuto pasquale, riproposta nella propria carne e con il proprio<br />

sangue.<br />

L’essere di Cristo con i morti - ragiona il teologo di Basilea, Hans<br />

Urs von Balthasar 11 - è l’ultima conseguenza della missione redentrice<br />

ricevuta dal Padre: è obbedienza estrema ed evento trinitario.<br />

se Dio ha creato la libertà dell’uomo ed ha mandato il Figlio per<br />

salvare questa libertà, malata a causa del peccato originale, allora<br />

deve anche introdurlo sino all’inferno, come conseguenza ultima<br />

della libertà umana. Ed il Figlio può essere presente nel regno della<br />

morte solo come morto. Il Figlio deve osservare quanto di imperfetto<br />

c’è nel dominio della creazione per riportarlo, in quanto redentore,<br />

in suo possesso. Per questo motivo non esiste alcuna realtà che non<br />

possa essere redenta da Cristo, a patto che l’uomo lo voglia: anche<br />

la condizione estrema di peccato può diventare “via” che conduce<br />

a Dio. E la stessa discesa agli inferi si ripete ogni volta che Cristo<br />

scende nei desperata corda dei peccatori ed apre loro la strada al<br />

cielo.<br />

In quanto evento trinitario, il cammino verso i morti è un evento<br />

salvifico: Cristo vi discende per condurre a salvezza i morti e quelli<br />

che morranno. E non ci sono ambiti o zone dell’Ade che non siano<br />

interessate dall’ondata di salvezza di Cristo. Infatti, prima di Cristo<br />

non c’è un purgatorio od un inferno, afferma von Balthasar ma solo<br />

Ade, regno indistinto dell’oltretomba, dove tutti i morti sono riuniti<br />

e nel quale Cristo entra per redimere.<br />

Dal punto di vista teologico il purgatorio ha origine il Venerdì<br />

santo: nella croce di Cristo e nel suo essere con i morti, egli porta nel<br />

fuoco dell’ira divina il momento della misericordia. La sua solidarietà<br />

con l’umanità manifesta la sua volontà universale di salvezza e<br />

permette la possibilità di una purificazione nel giudizio.<br />

La teologia orientale vede nel Descensus l’immagine decisiva<br />

della redenzione: il triduo pasquale viene visto come un unico mo-<br />

11 H. U. von BaLTHaSar, Mysterium Paschale, in aa.vv., Mysterium<br />

Salutis, vol. vi, Brescia, 1971, pp. 171-404. vedi anche la buona sintesi di a.<br />

MaGOGa in www.Qumran2.net , Studi teologici.<br />

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vimento che ha nel sabato santo la sua maggiore intensità drammatica.<br />

nel sabato non vi è l’anticipazione della gloria della Domenica:<br />

nella discesa agli inferi non dobbiamo vedere il Cristo trionfante,<br />

sulla scia di una iconografia che lo rappresenta, già quasi risorto,<br />

che rompe i vincoli della morte, simboleggiati dalle porte scardinate<br />

dell’Ade e che sottrae i progenitori dalla morte eterna trascinandoli<br />

via con sé. Piuttosto, alla Chiesa dello Shabbat compete meditare<br />

in silenzio la condizione del Cristo giacente nel sepolcro e seguirlo,<br />

come da lontano, secondo una partecipazione autentica: morti con<br />

il Dio morto. gesù un giorno disse a san silvano del monte Athos:<br />

“Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!” 12 . Questa sembra la<br />

cifra più profonda della mistica passionista e quindi il risolvimento<br />

della sua tensione verso la perfezione della carità. Ricordo qualche<br />

elemento di questo “mistico abbandono” , di questa partecipazione al<br />

mistero della <strong>Passio</strong>ne di Gesù (Getsemani, Calvario, sabato santo)<br />

così come si trova in alcune testimonianze in Paolo della Croce ed in<br />

altri santi passionisti.<br />

C) Fecondità del carisma.<br />

Paolo della Croce<br />

Nei Processi di canonizzazione si parla della sua “impressione”<br />

della <strong>Passio</strong>ne davanti al ss.mo sacramento: “Iddio gli aveva impressi<br />

nel suo cuore gl’istrumenti tutti della <strong>Passio</strong>ne e che in ciascun<br />

venerdì ne provava le pene”: così asserisce il fratello di Paolo,<br />

don Antonio Dànei, dep. Extra proc del 10 luglio 1776, in Zoffoli,<br />

II, p. 1480 13 . Paolo stesso parla dei “Tormenti infusi” nel Diario di<br />

Castellazzo, passim; Giammaria Cioni, sempre nei Processi (POV, p.<br />

161s), parla dello stesso fenomeno mistico 14 . Insieme a questa infu-<br />

12 cf SiLvanO dell’athos, Non disperare!, Qiqajon-Bose, 1994<br />

13 e. ZOffOLi, San Paolo della Croce, roma, curia gen. passionisti, 1963-<br />

1968, 3 voll. (poi Zoffoli e vol.)<br />

14 cf Processi di beatificazione e canonizzazione di S. Paolo della Croce, a<br />

cura di p. Gaetano dell’addolorata, roma, postulazione gen. passionisti, 1969-<br />

1979, 4 voll.: vol. 1: processo informativo di vetralla (pOv); vol. 2: processo<br />

informativo di alessandria, Gaeta, Orbetello, corneto; voll. 3 i-ii, processo<br />

informativo di roma.<br />

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sione dei tormenti della <strong>Passio</strong>ne, Paolo sperimente anche le aridità<br />

e desolazioni della <strong>Passio</strong>ne già a Castellazzo (Zoffoli, II, p. 1020-<br />

1027).<br />

Scrive Giammaria Cioni in POV, I, pp. 126 – 130: “Appena vestito<br />

del santo abito, incominciò a visitarlo per alcune ore al giorno<br />

con orribili desolazioni, tentazioni, malinconie e interni abbandoni<br />

dolorosissimi, a segno tale, che parevagli che tutti fossero felici e<br />

contenti, fuori di lui” (cfr. Diario, ed. crit. pp. 53,54, 57, 63, 68-<br />

79, 85). “Col crescere degli anni, crebbero vieppiù e nell’intensità e<br />

nella frequenza questi spirituali martiri onde poté dire, in certa occasione,<br />

che le sue tenebre o desolazioni spirituali erano sempre cresciute<br />

come sogliono crescere le tenebre nell’inoltrarsi della notte”<br />

(Id, POV, I, p. 126s.).<br />

Paolo stesso porta due esempi di quello che prova (è sempre il<br />

Cioni che ce li testimonia nei Processo Ordinario di Vetralla): “Si<br />

figuri di vedere un povero naufrago, il quale rottosi il vascello, se<br />

ne sta sopra una tavola dello sdrucito naviglio, che ad ogn’onda ed<br />

urto teme e paventa d’affogarsi; oppure si immagini d’osservare un<br />

condannato alla forca, che di momento in momento sta aspettando,<br />

con batticuore, d’essere portato al supplicio. Così appunto è lo stato<br />

mio” (Id., ivi, p. 127). “Nell’anno 1767 mi confidò che, in quella<br />

gran malattia sofferta in detto anno nel ritiro di san michele Arcangelo,<br />

nella quale ben tre volte fu in pericolo di vita, erali alle volte<br />

paruto di trovarsi all’inferno, e sperimentare la pena del danno, che<br />

provano i dannati” (Id., ivi, p. 128). Egli portava un similitudine per<br />

insegnare a Cioni e agli altri il modo “col quale dovevamo abbandonarci<br />

tutti in Dio nel tempo delle tristezze e tribolazioni…: ”Figuratevi<br />

di ritrovarvi su i lidi del mare, e di avere sopra la punta d’un dito<br />

una goccia d’acqua, ma tutta torbida e le dimandasse: Come stai, o<br />

povera gocciolina, cosa fai, cosa desideri? Il mare, risponderebbe, se<br />

parlar potesse, il mare. Ciò udito, la gettate in mare, ed eccola felicemente<br />

perduta, perché ben ritrovata nel suo centro. Così dobbiamo<br />

fare ancor noi, quando la piccola goccia dell’anima nostra, si ritrova<br />

afflitta e turbata; gettiamola nell’immenso mare del divin beneplacito,<br />

ed ecco rimediato il tutto (Id. ivi, p. 128). Questa “morte mistica”<br />

non è semplicemente una fase adulta (anche come scansione<br />

temporale) dell’itinerario verso Dio, come qualche scrittore ha detto.<br />

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spiritualità<br />

Il N. S. Padre parlando degli studenti scrive :”la maggior parte, dopo<br />

aver avute dolci visite da Dio nei principi, camminano a punta di<br />

spirito, quasi senza conforti interiori,almeno rari” (Let II,667 , del<br />

3.9.1748 al vescovo di terracina)<br />

Beato Domenico Bàrberi:<br />

Scrive di lui Filippo della SS. Annunziata: “Quello che per altro<br />

rendeva le sue croci tanto dolorose e pesanti da non potersi affatto<br />

esprimere, era la desolazione interna cioè la privazione di ogni comunicazione<br />

sensibile con Dio, e di ogni gusto, consolazione, e<br />

conforto nell’orazione, di cui tanto abbondò nel principio, quanto<br />

ne fu privo di poi, talché camminò nelle tenebre ed aridità fino alla<br />

morte” 15 .<br />

San Carlo Houben 16 .<br />

Era spesso affascinato dallo spettacolo del fuoco. guardava a<br />

lungo una fabbrica di mattoni che si trovava vicino al ritiro di mount<br />

Argus. Qualche volta entrava in cucina ed apriva i fornelli per vedere<br />

direttamente la fiamma viva e sentirne la vampa: invitava a volte<br />

altri a contemplare quello spettacolo di vita e di morte. Forse era<br />

il ricordo delle prediche del suo antico parroco di munstergeleen<br />

che gli ritornavano alla mente. soprattutto lo spingeva a quelle silenziose<br />

e prolungate soste davanti al fuoco l’acuta coscienza del<br />

peccato, delle colpe sue e degli altri, che potevano trascinarlo verso<br />

le fiamme eterne dell’inferno. Senza conversione, senza l’incessante<br />

15 proc. Domenico Madre di Dio, Positio super virtutibus, p. 706. H. U. von<br />

Balthasar, scrivendo ad una carmelitana, le ricordava che la “ vera vocazione<br />

carmelitana è di essere ‘sospesi’ con il Signore – senza un legame verificabile<br />

né sulla terra né in cielo” (cfr Teresa di Liseux, I miei pensieri, MiMep – Docete<br />

1997, p. 416). il teologo di Basilea si rifà ad una bellissima espressione di<br />

sant’agostino per il quale le nostre radici sono in alto, in cielo, e che dunque<br />

pendiamo nel vuoto, fisicamente e spiritualmente. perché, dice sempre von<br />

Balthasar, l’atto di fede in sé, è puro abbandono in Dio e dunque privazione di<br />

appoggi e certezze personali.<br />

16 vedi T. Zecca, Il taumaturgo di Dublino,San Carlo Houben (1821-1893),<br />

ed. San paolo, 2007 pp. 101s.(per la spiritualità eucaristica) e ivi, pp. 113s.<br />

(per la discesa agli inferi)<br />

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implorazione della grazia e della misericordia divine, quella sarebbe<br />

stata la sorte eterna, cioè “il pianto e lo stridore di denti” che avrebbero<br />

portato “alla morte seconda”, alle fiamme eterne, alla rovina<br />

finale. Le veglie, i digiuni, informavano di sé la sua incessante preghiera<br />

per la conversione dei peccatori, la sostenevano, l’arricchivano.<br />

Carlo scendeva giorno e notte agli inferi insieme, e al posto<br />

dei tanti che presumevano di non aver bisogno di penitenza, dei duri<br />

di mente e di cuore, dei tanti che “non sapevano distinguere la destra<br />

dalla sinistra”. Si cibava avidamente dell’eucaristia per sedersi poi<br />

“alla mensa dei peccatori”, per cibarsi del loro pane di lacrime e dissetarsi<br />

alla loro afflizione.<br />

P. Simone Bolest (o Balest?) del Cuore di Gesù,<br />

Nato a Meano (Belluno) il 16 febbraio del 1853, svolse lo stesso<br />

ministero del ven. p. Fortunato Maria De Gruttis (1826- 28 dic.<br />

1905) nel ritiro di Ceccano. Il P. Balest, poco prima di morire, il<br />

22 dicembre del 1905, disse: “Ah!, Padre, certo io ben mi merito<br />

l’inferno, ma almeno nell’inferno potessi amare il mio Dio!” 17 .<br />

In conclusione: “Pregare, secondo Silvano del Monte Athos, ossia<br />

il rapporto amoroso con Dio, per la gente, in una dimensione non<br />

narcisistica ma apostolica, vuol dire grondare sangue”: è questa la<br />

vera dimensione kenotica della preghiera ed è il segreto della sua<br />

fecondità, come ricorda Benedetto XVI nella sua prima enciclica 18 .<br />

A questo tipo di preghiera molte generazioni di passionisti sono stati<br />

appassionatamente fedeli.<br />

Nel passare in rassegna tante figure di santi passionisti, dei quali<br />

più di uno ha avuto il riconoscimento ufficiale della sua santità con<br />

17 Cenni necrologici dei nostri religiosi che sono passati a miglior vita nel<br />

corso dell’anno 1905, roma, Tip. artigianelli di San Giuseppe 1906, ivi, pp.<br />

56-58; 59-62, per le necrologie. Gesù un giorno disse a san Silvano del Monte<br />

athos: “Tieni il tuo spirito agli inferi, e non disperare!” (cfr J.- c. Larchet, Silvano<br />

del Monte Athos, Non disperare!, ed. Qiqajion, Bose, 1994).<br />

18 “nel confronto ‘faccia a faccia’ con quel Dio che è amore, il monaco<br />

avverte l’esigenza impellente di trasformare in servizio del prossimo, oltre che<br />

di Dio, tutta la propria vita” (Deus caritas est, n. 40).<br />

spiritualità<br />

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passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

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il processo di canonizzazione, si possono notare alcune costanti che<br />

è bene evidenziare.<br />

a) La profondità dell’orazione, spesso, sembra, senza doni carismatici<br />

straordinari, che forse non venivano notati o, meglio ancora,<br />

venivano spesso dissimulati, tenuti nascosti, secondo la migliore tradizione<br />

monastica. Profondità di orazione che non di rado giungeva<br />

all’unione trasformante attraverso la contemplazione - immedesimazione<br />

con Cristo Crocifisso.<br />

b) Vita di nascondimento. Nel leggere tante biografie di religiosi<br />

insigni per santità si nota che la congregazione, i superiori ed i religiosi<br />

stessi, non facevano molto per “valorizzare” gli stessi, eccetto<br />

che per “l’uso interno” alla congregazione stessa, con incarichi<br />

di responsabilità e ministeri. I <strong>Passio</strong>nisti non hanno avuto e non<br />

hanno tuttora una istituzione culturale accademica di studi teologici<br />

superiori che possa minimamente competere con altre istituzioni di<br />

altri ordini e congregazioni, che possa servire come palestra per preparare<br />

i possibili futuri responsabili della congregazione stessa ed<br />

addestrare i più dotati all’esercizio dell’apostolato specifico dell’istituto<br />

in forme più qualificate.<br />

c) Serenità / semplicità di vita. molti personaggi, se non tutti,<br />

esprimono ed irradiano una grande serenità come riflesso della loro<br />

vita interiore cristallina. non pochi si dichiarano felici del loro stato,<br />

pur vivendo in mezzo a tribolazioni, contrasti, malattie, trasferimenti,<br />

cambiamenti di incarichi, in una sorta di avvicendamento da<br />

togliere a volte il respiro. Il trinomio classico della forma di vita<br />

passionista (solitudine, povertà, preghiera) viene adottato senza sbavature<br />

e ripensamenti ed è fonte di gioia e di pace.<br />

d) Attività apostolica. Anche nei santi religiosi più schivi e più<br />

amanti della solitudine e del chiostro non manca affatto la spinta<br />

apostolica,lo zelo per l’annuncio della Parola della Croce. L’attività<br />

apostolica affianca, spesso, alle forme “de regula” (missioni parrocchiali,<br />

esercizi spirituali aperti o chiusi, per il popolo, per il clero,<br />

i seminari, o per i religiosi e le religiose), la direzione spirituale,<br />

la guida spirituale di persone bisognose di aiuto e di sostegno nel<br />

cammino delle vita interiore, specialmente nel ministero del sacramento<br />

della riconciliazione. non pochi passionisti hanno per questo<br />

composto testi (non sempre poi pubblicati) di divulgazione devota,<br />

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di animazione interiore. In questo servizio alla coltivazione della<br />

vita interiore, della guida spirituale, molti passionisti di vita santa<br />

sono stati davvero insigni, qualificati e ricercati. Come corollario<br />

allo stesso ministero della riconciliazione si è affiancato spesso il<br />

ministero della consolazione, della guarigione interiore e morale ed<br />

anche il ministero degli esorcismi.<br />

e) Discontinuità. non si può negare che in più di un religioso insigne<br />

si nota una certa discontinuità nelle opere intraprese 19 . spesso<br />

questa discontinuità era dovuta alle contingenze legate alle urgenze<br />

di servizio che venivano richieste, magari in situazione di emergenza<br />

con speranza di temporaneità: contingenze che ricevevano il sigillo<br />

ed il merito del voto di obbedienza. Altre volte questa discontinuità<br />

è attribuibile alle persone stesse, ipercritiche delle loro potenzialità,<br />

dubitose dei loro talenti, timorose di arrecare danno alla propria ed<br />

altrui serenità e semplicità di vita, al proprio ed all’altrui nascondimento.<br />

sulla discontinuità legata alla prima accezione F. giorgini ha<br />

una pagina illuminante quando descrive la spiritualità passionista<br />

del beato Domenico Bàrberi: “Uscito dallo studio il beato dovette<br />

essere “factotum”: fu lettore di filosofia e teologia a più riprese,<br />

contemporaneamente fu poi superiore, predicatore, consultore, ecc.<br />

Ebbe una vita movimentata iniziando un lavoro, interrompendolo,<br />

riprendendolo, vedendolo dimenticato e non apprezzato. Visse il<br />

destino di quasi ogni passionista: dover fare gradualmente un poco<br />

di tutto senza poter approfondire o specializzarsi decisamente in un<br />

campo” 20 . È quello che vedremo puntualmente realizzato in più di<br />

una personalità della congregazione vissuta nel secolo XX e di cui<br />

abbiamo una migliore traccia documentaria 21<br />

19 cf f. GiOrGini, Il beato Domenico della Madre di Dio: <strong>Passio</strong>nista in<br />

aa.vv., Visse per l’unità cristiana. Il b. Domenico della Madre di Dio, passionista<br />

(1792-1849), ed. eco, San Gabriele (Te) 1966, pp. 29-43.<br />

20 id, ivi, p. 33. Sottolineatura nostra.<br />

21 cf aa. vv., Spiritualità della croce. Antologia di profili e testi spirituali<br />

(a cura di c. chiari), San Gabriele (Te), ed. eco, 5 voll., 1976-1980; che<br />

abbracciano i primi 70 anni del ‘900.<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

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spiritualità<br />

D) La scuola di spiritualità passionista (SSP).<br />

a) Esiste una scuola di spiritualità passionista?<br />

si può parlare, in base ai brevi riferimenti e richiami sopra esposti,<br />

di una scuola di spiritualità passionista 22 ? Essa, è vero, ha poco o<br />

nulla di strutturato organicamente come sistema di pensiero che si<br />

possa avvicinare alla sistematicità di altre scuole 23 . Vi è stato finora<br />

poco o nulla che potesse rappresentare un pensiero riflesso, oggettivamente<br />

ricondotto ad un insieme di saperi ascetico-mistici dottrinalmente<br />

organizzati e riproposti in forma, non dico accademica,<br />

ma almeno ufficiale o ufficiosa. Quando qualcuno, in passato, si è<br />

cimentato in questa riproposizione,organicamente strutturata, presentandola<br />

come il genuino spirito del passionista ha miseramente<br />

fallito 24 .<br />

La SSP attinge contenuti, forme e metodi da due filoni principali.<br />

Il primo è La regola, intendendo con essa l’insieme delle norme<br />

riconosciute e canonicamente definite sia dall’autorità ecclesiastica,<br />

come appunto la Regola e le Costituzioni. Rientra nel termine generico,<br />

a nostro avviso, anche la legislazione interna alla congregazione<br />

stessa, ossia i decreti e le raccomandazioni dei capitoli generali<br />

e provinciali, cristallizzati poi nella serie dei vari regolamenti:<br />

generali, provinciali, e per vari ceti di persone, come, per esempio, i<br />

novizi ed i missionari. Accanto ai regolamenti si affiancavano le consuetudini,<br />

più o meno vincolanti, ma che avevano forza normativa di<br />

fatto attuata e presentata come inerente allo “spirito del passionista”<br />

22 cf f. GiOrGini, La scuola di spiritualità passionista, in Dizionario degli<br />

istituti di perfezione (in seguito Dip), vol. 8, ed. paoline 1988, col. 1218-1220.<br />

23 Sul tema vedi aa.vv., Scuole di spiritualità, Dip, vol. 8, ed. paoline 1988,<br />

col. 1198-1220, spec. il contributo di a. Matanic, ivi, col. 1199-2005.<br />

24 vedi paTriZiO di n. S. del S. cuore, Migliori, Lo spirito del passionista,<br />

roma 1930,pp. 896, ed. riservata pro manuscripto ai passionisti. per certi<br />

aspetti ha subìto la stessa sorte anche lo Zoffoli, soprattutto nel iii volume della<br />

sua monumentale biografia di San paolo della croce, peraltro ricchissima di dati<br />

e di buone sintesi sui vari aspetti della personalità del biografato, specialmente<br />

nel i e nel ii volume. il suo precedente saggio, I passionisti, spiritualità ed<br />

apostolato, roma, ed. il crocifisso, 1955, rivela un impianto filosofico neoscolastico<br />

precostituito, nel quale vengono fatti confluire i dati teoretici della<br />

spiritualità-missionarietà passionista.<br />

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anche se oralmente trasmesse e legate alle inevitabili contingenze di<br />

persone, di tempi o di aree geografiche della congregazione.<br />

Il secondo riferimento della ssP è la trasmissione orale della<br />

stessa. È il filone aureo che ha legato tutte le generazioni passioniste<br />

ed in essa i religiosi esimi che l’illustrarono, a partire dal Fondatore<br />

stesso ed i suoi primi compagni, quasi senza soluzione di continuità,<br />

nonostante le due gravi fratture, anzi tre, accadute nel corso della<br />

storia della congregazione.<br />

mi riferisco alle due grandi soppressioni: quella napoleonica<br />

(1810-1816) e quella piemontese, iniziata nel 1861 e durata per più<br />

di un decennio, risolta soltanto con i Patti lateranensi del 1929. nel<br />

decennio susseguente alla presa di porta Pia (20 settembre 1870), la<br />

congregazione subì una grave frattura interna, interrogandosi sulla<br />

sua identità profonda, sul suo “spirito” e sulla forma apostolica che<br />

essa doveva assumere con il mutare dei tempi, della nuova temperie<br />

culturale derivata dall’Illuminismo e susseguenti movimenti filosofico-teologici<br />

e la dilatazione della congregazione stessa, presente<br />

ormai in più di una nazione europea, nel nord-America e con approcci<br />

giunti a buon fine, dopo vari tentativi, anche nel Sud-America<br />

e in Australia. Frattura interna che trovò nella personalità esimia del<br />

beato Bernardo Maria Silvestrelli (+1911) un punto di coagulo per<br />

ancorare la congregazione allo spirito del Fondatore, od a quello che<br />

si riteneva tale. La congregazione si interrogava sulla sua identità e<br />

quindi sulla sua proponibilità come scuola di santità che per tutto<br />

l’ottocento appariva indiscussa e altamente riconosciuta nell’ambito<br />

ecclesiastico-ecclesiale, quasi sancita dall’alto con l’esaltazione di<br />

alcuni insigni passionisti alla gloria del Bernini, dopo la beatificazione-canonizzazione<br />

del Fondatore (1853; 1867).<br />

b) La Scuola di Spiritualità <strong>Passio</strong>nista tra Otto e Novecento.<br />

nella congregazione passionista è stata sempre tenuta in alta<br />

stima, fin dalle origini, la memoria dei religiosi passati a miglior vita.<br />

È questo un indubbio segnale dell’apprezzamento per persone che<br />

avevano speso la loro esistenza nella congregazione, sia realizzando<br />

la missione apostolica specifica della stessa oppure vivendo più discretamente<br />

il carisma paulocruciano nell’ambito della conventualità.<br />

Il beato Bernardo M. Silvestrelli (+1911), tra il 1884 e il 1888,<br />

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spiritualità<br />

sentì il bisogno di riprendere queste antiche memorie biografiche<br />

per riproporle alle nuove generazioni passioniste che subivano lo<br />

sconquasso della soppressione o ne erano ancora toccate nel nuovo<br />

assetto che faticosamente le comunità locali e provinciali (mi riferisco<br />

alla situazione italiana) stavano realizzando. sono tre i volumi<br />

silvestrelliani che possono essere collocati nell’ambito agiografico<br />

interno all’istituto: Memorie dei primi compagni di s. Paolo della<br />

Croce, Viterbo, Tip. Agnesotti, 1884, pp. 405 (ristampato nel 1932);<br />

Biografie edificanti di alcuni chierici passionisti, Roma, tip. guerra<br />

e Mirri, 1885, pp. 249 (ristampato nel 1938); Cenni biografici di<br />

alcuni religiosi passionisti che professarono l’istituto nel suo primo<br />

periodo di 50 anni, Roma, tip. guerra, 1886, pp. 380. A questi tre<br />

volumi strettamente agiografici si può affiancare, come testimone<br />

della SSP di fine Ottocento, ma che recupera ampiamente tematiche<br />

già presenti in precedenza nella stessa, il suo volume dei Trattenimenti<br />

spirituali ad uso dei novizi, Roma, tip. della Pace, 1886, pp.<br />

314 (ristampa nel 1936) 25 .<br />

Le Memorie, le biografie edificanti e i Cenni biografici del silvestrelli<br />

hanno avuto una continuità nei Cenni necrologici che dal 1880<br />

dell’’800 hanno fedelmente registrato brevi biografie, in stile edificante,<br />

di tutti i religiosi deceduti nell’anno precedente 26 e questo fino<br />

25 Una edizione approntata da n. cavatassi della stessa opera nel 1990,<br />

con ampi tagli e rimaneggiamenti redazionali, non rispecchia molto la<br />

genuina caratteristica del testo silvestrelliano. Sempre Silvestrelli, nel 1888,<br />

pubblicò ma subito dopo ritirò dalla circolazione, il volume Raccolta delle<br />

principali consuetudini vigenti nella congregazione della <strong>Passio</strong>ne, pp. 223,<br />

che fu poi successivamente ristampato da f. Giorgini, nella sua edizione delle<br />

Consuetudines, editio critica textuum pp. Dominici, Seraphim, Bernardo, curante<br />

f. Giorgini, romae 1958; cfr. le Consuetudini secondo il Silvestrelli, ivi, pp.<br />

103-279, ed. bilingue. il primo volume edito dal Silvestrelli aveva per titolo:<br />

Regole generali di civiltà e buona creanza, roma, Tip. Guerra, 1882. Queste<br />

“regole generali” servivano probabilmente per educare alle buone maniere<br />

i giovinetti delle prime “scuole apostoliche” (i seminari minori passionisti<br />

che in italia iniziarono nel ritiro di san Giuseppe sull’argentario nel 1880).<br />

nell’’800 i passionisti venivano bonariamente chiamati “gesuiti di campagna”:<br />

nella inedita situazione seguita alla soppressione italiana il Silvestrelli sentì il<br />

dovere di dare un certo indirizzo nel comportamento personale e nei rapporti<br />

comunitari e sociali.<br />

26 cenni necrologici dei nostri religiosi che sono passati a miglior vita nel<br />

corso dell’anno 1881-1961, roma 1883-1962 (in fascicoli, per ogni anno).<br />

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alla fine degli anni ‘60 del ‘900. In precedenza queste brevi biografie<br />

venivano inviate a tutte le comunità e spesso venivano trascritte per<br />

intero nel registro delle ss. messe di suffragio del confratello defunto.<br />

non mancano in questi testi informazioni preziose sulla vita<br />

di tanti religiosi che hanno edificato la congregazione e la chiesa con<br />

la loro condotta di vita.<br />

Spiritualità della croce. In questo contesto vorrei indicare all’attenzione<br />

ed all’approfondimento sul tema della fecondità della regola<br />

passionista in ordine alla santità, i cinque volumi antologici di profili<br />

e testi spirituali 27 di passionisti,monache e suore della Famiglia <strong>Passio</strong>nista<br />

del ‘900. Non mancano medaglioni biografici di sacerdoti,<br />

monache, suore e laiche, non strettamente collegate all’istituto dei<br />

passionisti ma che hanno vissuto la sua spiritualità, a prescindere<br />

dall’appartenenza giuridica allo stesso: prima fra tutte santa gemma<br />

Galgani (+ 1903) che apre la serie dei profili. Essa si chiude con i<br />

lineamenti biografici del P. Pio Falco 28 , per un totale di 92 persone<br />

biografate. Uno sforzo notevole, compiuto da molti collaboratori<br />

del Chiari e del naselli che va ben oltre la mera riproposizione di<br />

dati bio-cronologici, per manifestarsi anche come test prezioso di<br />

percezione della ssP in tutto il novecento, in relazione alla pratica<br />

della Regola, fino alla vigilia della presentazione delle nuove Costituzioni,<br />

susseguenti al dettato conciliare deuterovaticano, con la<br />

celebre e perentoria accomodata renovatio.<br />

Così, scorrendo per flash, - omettendo i santi e beati dei quali sono<br />

state pubblicate le biografie e quindi supponendole già note - si legge<br />

di P. Generoso Capaldi (+1910) che a detta del biografo era “la regola<br />

esiste anche un “Diario negrologico di tutti i religiosi defunti della congregazione<br />

della passione”, dal 1745 al 1879, pp. 507 (ms in arch. gen. passionisti,<br />

roma), del p. eustachio della s. famiglia.<br />

27 aa. vv., Spiritualità della croce. Antologia di profili e testi spirituali (a<br />

cura di c. chiari, collana Documenti e testimonianze diretta da c. a. naselli, +<br />

1989).), San Gabriele (Te), ed. eco, v voll.,1976-1980. i vol: 1903-1926 (20<br />

profili); ii vol.: 1928-1946 (24 profili); iii vol.: 1948-1956 (18 profili); iv vol.:<br />

1959-1966 (15 profili); v vol.: 1967-1976 (15 profili), per complessive 2.162<br />

pp. (in seguito SdC e vol.).<br />

28 Spiritualità della croce, v: L’intuito del <strong>Passio</strong>nista: “Il Signore vuole anime<br />

vittime!”, P. Pio Falco (1900-1976), ivi, pp. 395-421. educatore e missionario<br />

infaticabile in italia ed all’estero, trascorse gli ultimi anni della sua vita (dal<br />

1968 al 1976) paralizzato nell’infermeria dei Ss. Giovanni e paolo a roma.<br />

spiritualità<br />

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viva e parlante in azione” 29 . Rivide le opere filosofiche di p. Silvestro<br />

Zannelli C.P. Era probabilmente un tipo un po’ duro, anche se<br />

in modo involontario, cosa che gli attirò più di una antipatia e avversione.<br />

Padre Giovanni Meoni (+1911) rimane affascinato dalla descrizione<br />

della vita regolare osservata dai <strong>Passio</strong>nisti fattale da don<br />

Vincenzo tucci. Per il quale il meoni offrì la vita per il suo ritorno<br />

alla Chiesa dopo la crisi modernista 30 . Il P. Giovanni Testi (+ 1912)<br />

fu considerato un “Ségneri redivivo”, consultore con il beato Silvestrelli,<br />

rigidissimo nell’osservanza del voto di povertà 31 ; richiamava in<br />

modo molto forte i superiori locali perché fossero guide spirituali dei<br />

confratelli nell’osservanza della Regola. stessi forti richiami espresse<br />

più di una volta P. Pietro Paolo Moreschini (+ 1918), poi vescovo di<br />

Camerino, contrario alle idee di riforme e di aggiornamenti che in<br />

quel periodo (1893-1899) serpeggiavano in congregazione 32 . stessa<br />

tempra ma con maggiore umanità e levità di rapporti troviamo in P.<br />

Luigi Besi (+ 1923) 33 . P. Angelo Sabuzi (+ 1926) spende tutta la sua<br />

vita per il santuario della madonna delle grazie di nettuno e per la<br />

nascente venerazione verso s. maria goretti 34 . Confratel Angelo Bologna<br />

(+ 1934) è una figure più patetiche e toccanti tra i tanti giovani<br />

passionisti morti prematuramente anche per l’applicazione rigida della<br />

Regola, imposta dal metodo educativo ma molto spesso attuata dagli<br />

29 Sdc, i, pp. 153-178. rivide le opere filosofiche di Silvestro Zannelli c.p.<br />

30 Sdc, i, pp. 179-206. Molto interessante leggere come si viveva in concreto<br />

la regola nel 1908; ed anche come veniva seguito amorevolmente un morente<br />

(ivi, pp. 191; 197-199).<br />

31 Sdc, i, pp. 279-295. nel 1887 nelle missioni ancora ci si flagellava in<br />

pubblico (ivi, p. 282). Sulla rigidissima pratica della povertà cfr. ivi, pp. 285s.<br />

32 Sdc, i, pp. 333-355: estremamente fedele alla “tradizione della<br />

congregazione (ivi, p. 338), rivolse un forte richiamo ai superiori locali nel “fare<br />

l’esame in coro” in pieno capitolo generale del 1907 (ivi, p. 339). fu anche<br />

visitatore apostolico in varie diocesi nel periodo antimodernista. Devoto di santa<br />

Gemma Galgani di cui riscontrò di persona la genuinità dei fenomeni mistici.<br />

Sulle stesso stile severo ritroviamo p. Giustino croxato che lasciò una forte<br />

impronta della sua personalità nella provincia cOrM (nord italia). Mandato<br />

come visitatore e provinciale della provincia DOL (Basso lazio-campania) nel<br />

triennio 1945-1948: cfr Sdc, iii, pp. 99-127.<br />

33 Sdc, i, pp. 439-463: Uno dei passionisti più insigni del novecento<br />

passionista.<br />

34 Sdc, i, pp. 465-475.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 348 04/02/13 09:39


stessi con generosità e dedizione senza pari 35 . Una vita di studio nella<br />

pratica inappuntabile della vita regolare passionista e nello zelo apostolico<br />

troviamo in P. Amedeo Casetti (+ 1935), eccellente nel campo<br />

agiografico e soprattutto altamente benemerito per la pubblicazione<br />

delle lettere di s. Paolo della Croce e di altri documenti inediti della<br />

storia della congregazione fin dalle origini 36 . Altro grande missionario<br />

deceduto nel 1936 è stato P. Claudio Di Lelio, regolarissimo nella<br />

vita comunitaria pur essendo missionario a tempo pieno 37 . sempre<br />

nell’ambito della erigenda Provincia del S. Costato (Puglia, Calabria,<br />

Basilicata) in questo periodo spicca la figura di P. Flaviano De Vincentiis<br />

(+ 1936), ricordato come un santo, autentico figlio di s. Paolo della<br />

Croce 38 . Colpisce nel leggere il breve profilo di P. Giacomo Uccellini<br />

(1944) la sua estrema sincerità nelle annotazioni diaristiche personali<br />

che offrono uno spaccato di varia umanità nell’ambito di comunità che<br />

professavano e praticavano la Regola in modo molto rigido 39 . Attività<br />

frenetica in campo apostolico, che li portò prematuramente alla tomba,<br />

ritroviamo in P. marino Canducci e in P. Pio gòdio, ambedue morti<br />

nel 1945 40 amanti della vita comune, soprattutto della preghiera. nello<br />

stesso anno si spegneva, neppure settantenne, P. Ireneo Pontremolesi<br />

(1878-1945), grande, anzi geniale, studioso: eroico nell’obbedienza e<br />

35 Sdc, ii, pp. 97-109.Lo stesso dolore e capacità di eroica accettazione della<br />

croce ritroviamo in confr. Gustavo cascio ingurgia (+ 1948): Scc, iii, pp. 23-30 .<br />

36 Sdc, ii, 123-142: il casetti si spense all’improvviso a roma a soli 47<br />

anni. nello stesso anno moriva alla Madonna della Stella (pG). altro scrittore di<br />

notevole spessore è stato p. aurelio verticchio ( + 1951), biografo, tra gli altri,<br />

di s. Maria Goretti e di p. nazzareno Santolini (+ 1930): Sdc, ii, pp. 37-64:<br />

la cui indiscussa santità era unita ad una straordinaria humanitas tanto da farlo<br />

riconoscere come “il maestro” per antonomasia. p. filippo fanti missionario<br />

indefesso, geniale nell’organizzazione della preghiera (via crucis vivente),<br />

carismatico riconosciuto e ricercato anche se inadatto a fare da superiore (ivi,<br />

pp. 143-171).<br />

37 Sdc, ii, pp. 173-199.La sua persona è ancora ricordata nel ritiro di<br />

ceglie M. (Br).<br />

38 Sdc, ii, pp. 201-214. fu profondamente influenzato dal magistero del b.<br />

Bernardo Silvestrelli (+ 1911).<br />

39 Sdc, ii, pp. 315-340, soffrì molto per reiterate incomprensioni dovute<br />

forse anche alla sua ipersensibilità.<br />

40 Sdc, ii, pp- 353-370; 371-390. Gòdio fu l’artefice della collocazione<br />

autonoma della Basella, sia nel campo religioso che in quello civile, nell’ambito<br />

del comune di Urgnano (BG).<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

325-356<br />

349<br />

spiritualità<br />

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spiritualità<br />

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SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

350<br />

spiritualità<br />

nel far fronte alle difficili condizioni in cui si trovò a sviluppare i suoi<br />

talenti di insegnante e di educatore 41 .<br />

Non mancano figure di religiosi fratelli che hanno speso tutta la loro<br />

vita nel servizio comunitario e soprattutto notevoli per la capacità di<br />

sacrificio ben motivato con ragioni spirituali nell’estenuante servizio<br />

della questua 42 . Anche qualche sacerdote passionista non ricusò la<br />

fatica della questa per il bene della propria comunità, specialmente dei<br />

giovani, come P. Angelico Nicolini (+ 1949) 43 . P. Luigi Fizzotti invece<br />

era dello stampo del P. Amedeo Casetti, assiduo al confessionale ed<br />

esperto nella guida spirituale di anime elette, come teresa Palminota,<br />

si dice che fu discepolo del servo di Dio P. Leone di gesù nazareno<br />

dal quale apprese lo spirito genuino della congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />

44 . Altro P. Leone di cognome Ferrarese (1890-1955), per lunghi<br />

anni maestro dei novizi, troviamo vivissima la preoccupazione di essere<br />

“custode fedele dello spirito del S. Fondatore” e di “conservare<br />

lo spirito proprio della congregazione” 45 . Ultimo epigono di questa<br />

esasperata accentuazione conservatrice, e quasi la riassume tutta, ritroviamo<br />

Patrizio Migliori (1872-1955) , “fedele a qualsiasi costo allo<br />

spirito del passionista”, come viene definito in questa serie di profili.<br />

La sua vicenda di scrittore e di editorialista delle proprie opere, sostanzialmente<br />

fallimentare, tocca il patetico ma anche l’ ammirativo per la<br />

profonda sua convinzione delle proprie idee sul cosa fosse “lo spirito<br />

41 Sdc, ii, pp. 391-426.<br />

42 cf Sdc, iii, pp. 13-22: “volto sereno, sorriso sulle labbra” (p. 15); conobbe<br />

s. Gemma (p. 18).<br />

43 Sdc, iii, pp. 31-43 di cui si conserva un epistolario intriso di affetto e<br />

di spirito soprannaturale per i familiari. Lo stesso dicasi di p. Bernardo Dutto<br />

(+ 1950) singolare figura di calzolaio, questuante e confessore ricercato del<br />

duomo di Genova. Stesso amore e dedizione, anche se con un carattere un po’<br />

ruvido, ritroviamo in fratel valentino colombo (1953), Sdc, iii, pp. 171-180<br />

44 Sdc, iii, pp. 45-76: scrittore fecondo e inesauribile nell’inventiva<br />

apostolica.<br />

45 Sdc, iii, pp. 275-293. appartenne alla provincia cOrM. Giunse a<br />

disertare, insieme con il maestro dei novizi della provincia pieT un convegno<br />

di maestri di novizi di tutte le province italiane indetto all’argentario nel 1954,<br />

perché vi aveva ravvisato idee novatrici. Già da superiore provinciale nel<br />

periodo della ii guerra mondiale aveva fortemente richiamato i religiosi con<br />

apposite circolari alla pratica della vita regolare, alla povertà, solitudine e<br />

orazione (cfr ivi, pp. 290-292).<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 350 04/02/13 09:39


del passionista”, tetragono a qualsiasi confronto e verifica delle mutate<br />

condizioni del tempo 46 , della società e della chiesa.<br />

Potremmo continuare a presentare altri profili agiografici ma<br />

sarebbe ripetitivo del fin qui detto. Nel leggere queste biografie di<br />

passionisti del ‘900 si nota subito come ci si trovi di fronte ad ad<br />

un lungo, lunghissimo tramonto, con una situazione crepuscolare<br />

susseguente, non privo di nubi e di presagi. nel leggere il resoconto<br />

dei biografati missionari, tra l’altro, si riscontra che la sensibilità<br />

religiosa del popolo è ancora, fin quasi alla fine degli anni<br />

’60, non molto dissimile da quanti partecipavano alla predicazione<br />

dei passionisti delle passate generazioni, fino a lambire l’epoca<br />

del Fondatore. Per questo, forse, non si manca di sottolineare che<br />

lo stile passionista quasi prescinde dalla contingenze spazio-temporali-culturali,<br />

per una specie di atemporalità, che ravvisa come<br />

santo e quindi proponibile all’ammirazione ed all’imitazione dei<br />

confratelli e dei fedeli, colui che è diventato una sorta di “regola<br />

vivente”, sine glossa 47 . Con l’avvento della secolarità e le istanze<br />

susseguenti al deutero vaticano questo crepuscolo interminabile si<br />

è spento del tutto e per sempre.<br />

E) Conclusione<br />

Il trinomio su cui si basava la vita regolare passionista: povertà,<br />

solitudine, orazione, incessantemente richiamata , in fondo non può<br />

essere identificativo della spiritualità e dell’apostolato di una congregazione.<br />

È esso un mezzo orientato al fine. A ben vedere tutti i<br />

consacrati, di qualsiasi genere, di qualsiasi latitudine ed epoca, non<br />

ne possono fare a meno, secondo modalità specifiche di ogni istituto<br />

e secondo la triade vocazione- consacrazione-missione in cui si incarna<br />

un determinato carisma.<br />

Allora qual è lo specifico della spiritualità della congregazione<br />

della <strong>Passio</strong>ne e quindi la proponibilità della stessa come scuola di<br />

santità? Nel suo genitivo determinativo: la <strong>Passio</strong>ne, appunto.<br />

46 Sdc, iii, pp. 295-311.<br />

47 per una panoramica dell’agiografia passionista che va dalle origini fin<br />

quasi ai nostri giorni ci si può servire del volume di p. Di eugenio, Sotto la croce<br />

appassionatamente, San Gabriele edizioni, San Gabriele, Te 2006.<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

325-356<br />

351<br />

spiritualità<br />

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spiritualità<br />

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352<br />

spiritualità<br />

nell’’800 passionista e nei suoi epigoni novecenteschi sembra sia<br />

difettato un riferimento strettamente teologico al carisma specifico<br />

della congregazione, ossia la sua consacrazione alla <strong>Passio</strong>ne, sigillata<br />

dal cosiddetto quarto voto, che identifica la congregazione e la<br />

colloca nel suo specifico, nell’ambito ecclesiale e giustifica la sua<br />

missione apostolica.<br />

non difettò in passato l’ascesi, che fu anzi vissuta spesso in modo<br />

supererogatorio. non ci fu una adeguata sostanza teologica, un valido<br />

supporto teoretico ancorato in definitiva al dato rivelato che<br />

giustificasse il trinomio e il vissuto quotidiano (la cosiddetta “osservanza”).<br />

Le motivazioni del quarto voto erano relegate a insufficienti<br />

giustificazioni devozionali che spingevano più all’ascesi che ad una<br />

spiritualità, o meglio ad una mistica “ben temperata”, così come era<br />

stata vissuta da Paolo della Croce e dai primi compagni.<br />

Cosa resse allora la compagine dell’istituto in questa plurisecolare<br />

accentuazione ascetica? L’ancoraggio, anche solo devozionaleaffettivo<br />

alla <strong>Passio</strong>ne, fu un coefficiente di non poco conto perché il<br />

trinomio (povertà, solitudine, orazione) non fagocitasse in modo irreversibile<br />

la base, almeno implicita, biblico-teologica. In non pochi<br />

casi questo “implicito teologico” della <strong>Passio</strong>ne come giustificativo<br />

della vocazione-consacrazione-missione passionista si risolveva in<br />

genuina spiritualità se non di alta mistica.<br />

La breve rassegna dei vari personaggi che hanno decorato la congregazione<br />

con le loro virtù esimie; il lavoro apostolico indefesso di<br />

tanti missionari; la piena e totale dedizione alla vita comunitaria di<br />

tanti religiosi (fratelli, sacerdoti, studenti, novizi), ne sono la riprova<br />

più persuasiva.<br />

Le nuove costituzioni (o rinnovate), oggetto della presente riflessione,<br />

al trinomio classico dell’ascesi passionista, che ha prodotto<br />

indubbi frutti di santità nel corso della sua plurisecolare storia, danno<br />

finalmente allo stesso una adeguata motivazione staurologica, o meglio<br />

staurosofica. La vena teo-mistica cristocentrica che ha percorso<br />

tutta la storia agiografica della congregazione anche se con andamento<br />

spesse volte carsico, può ora irrigare in modo abbondante e<br />

motivato un terreno che rischiava di inaridirsi e di non produrre più<br />

i frutti sperati.<br />

Allora anche per il terzo millennio cristiano e per il terzo secolo<br />

della congregazione della <strong>Passio</strong>ne si può sperare di poter perpetuare<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 352 04/02/13 09:39


quella ‘scuola della <strong>Passio</strong>ne di Gesù’ dove “ si impara la scienza dei<br />

santi” 48 .<br />

Tito Paolo Zecca cp<br />

tpkoala@gmail.com<br />

48 paOLO della croce, Lettere, i, p. 558. il presente testo, riveduto ed<br />

ampliato, si basa sulla relazione tenuta a falvaterra nel convegno I passionisti<br />

ieri e oggi, Le nuove costituzioni dei passionisti a 25 anni dall’approvazione<br />

(1984-2009) e poi pubblicato a cura di Giuseppe comparelli, isola del Liri, fr<br />

2010, pp. 67-90.<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

325-356<br />

353<br />

spiritualità<br />

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spiritualità<br />

TiTo Paolo Zecca cP<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

354<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra passato e futuro: fecondità della<br />

ItA<br />

Regola<br />

di Tito Paolo Zecca, cp<br />

La fecondità della Regola passionista, come tutte le Regole di<br />

qualsiasi forma di vita consacrata, deriva dalla conformazione della<br />

stessa al norma normante di qualsiasi forma di vita cristiana: il santo<br />

evangelo. La peculiarità della Regola della Congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />

va al di là delle singole norme redatte in un lungo arco di<br />

tempo. Il suo primo abbozzo fu redatto durante il ritiro di san Paolo<br />

della Croce a Castellazzo nel 1720-21 per I poveri di Gesù. Ha il suo<br />

culmine nella codificazione di essa, vivente ancora il Fondatore nel<br />

1775, per i Chierici scalzi della SS. Croce e <strong>Passio</strong>ne di N. S. Gesù<br />

Cristo. Le modifiche successive non hanno scalfito fino alla formulazione<br />

delle Costituzioni scaturite dalla accomodata renovatio della<br />

vita consacrata promossa dal Concilio Vaticano II e dal magistero<br />

pontificio che ne attuava le indicazioni, la sua sostanza essenziale.<br />

La Regola paulocruciana ha dimostrato la sua fecondità con le numerose<br />

espressioni di santità che ad essa si sono ispirate per più di<br />

due secoli. Le Costituzioni rinnovate della Congregazione della <strong>Passio</strong>ne<br />

di Gesù hanno in sé elementi di fecondità protesi al futuro in<br />

base alle “radici sante” di cui sono espressione attuale.<br />

fRA<br />

La Congrégation entre passé et futur : fécondité de la<br />

Règle<br />

De Tito Zecca, cp<br />

La fécondité de la Règle passioniste, comme il en est de toutes les<br />

Règles de vie consacrée, dérive de sa conformité à la norme de toute<br />

vie chrétienne : le saint Evangile. La caractéristique de la Règle de<br />

la Congrégation de la <strong>Passio</strong>n, dépasse les normes particulières rédigées<br />

durant un long laps de de temps. Sa première ébauche vit le jour<br />

durant la retraite de saint Paul de la Croix à Castellazzo en 1720-21<br />

pour les pauvres de Jésus. Elle a trouvé son achèvement dans sa codification,<br />

le fondateur étant encore en vie, en 1775, pour les Clercs<br />

déchaussés de la T.S. Croix et <strong>Passio</strong>n de N.S. Jésus Christ. Les modifications<br />

successives ne l’ont pas éraflée, jusqu’à la formulation des<br />

Constitutions issues de l’accomodata renovatio de la vie consacrée<br />

promue par le Concile Vatican II et par le magistère pontifical qui en<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 354 04/02/13 09:39


actualisait les indications, sa substance essentielle. La Règle paulicrucienne<br />

a démontré sa fécondité par les nombreuses expressions de<br />

sainteté qui se sont inspirées d’elle pendant plus de deux siècles. Les<br />

Constitutions renouvelées de la Congrégation de la <strong>Passio</strong>n de Jésus<br />

contiennent des éléments de fécondité orientés vers le futur sur la base<br />

des « racines saintes » qui en sont l’expression actuelle.<br />

The Congregation between past and future: fecundity of<br />

EnG<br />

the Rule<br />

by Tito Paolo Zecca, cp<br />

the fruitfulness of the <strong>Passio</strong>nist Rule, like all rules of any form<br />

of consecrated life, derives from the shape of the same standard of<br />

any form of <strong>Christi</strong>an life, namely, the holy gospel. the peculiarity<br />

of the Rule of the Congregation of the <strong>Passio</strong>n, goes beyond single<br />

rules drawn up over a long period of time. Its first draft was written<br />

during the retreat of st. Paul of the Cross in Castellazzo in 1720-21<br />

for The Poor of Jesus. It has its culmination in its codification while<br />

the founder was still living in 1775, for the Discalced Clerics of the<br />

Most Holy Cross and <strong>Passio</strong>n of our Lord Jesus Christ. subsequent<br />

changes have not scratched its essential substance until to the formulation<br />

of the Constitutions resulting from the accommodata renovatio<br />

of consecrated life promoted by the second Vatican Council<br />

and the papal magisterium which implemented its directions. the<br />

Pauline Cross Rule has shown to be fruitful by the many expressions<br />

of holiness that has been inspired by it for more than two centuries.<br />

the renewed Constitutions of the Congregation of the <strong>Passio</strong>n of<br />

Jesus have some elements of fecundity towards the future based on<br />

the “holy roots” of which they are a current expression.<br />

La Congregación entre el pasado y el futuro: fecundidad<br />

SPA<br />

de la Regla<br />

de Tito Paolo Zecca, cp<br />

La fecundidad de la Regla passionista, como todas la Reglas de<br />

cualquier forma de vida consagrada, deriva de la conformación de<br />

la misma al norma normante de cualquier forma de vida cristiana:<br />

el santo Evangelio. La particularidad de la Regla de la Congrega-<br />

spiritualità<br />

La congregazione tra<br />

passato e futuro:<br />

fecondità della Regola<br />

325-356<br />

355<br />

spiritualità<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 355 04/02/13 09:39


spiritualità<br />

TiTo Paolo Zecca cP<br />

SapCr XXVII<br />

maggio-agoSto 2012<br />

356<br />

spiritualità<br />

ción de la Pasión va más allá de las concretas normas redactadas en<br />

un amplio arco de tiempo. su primer esbozo fue redactado durante<br />

el retiro de san Pablo de la Cruz en Castellazzo en 1720-21 para<br />

los Pobres de Jesús. Tiene su culmen en la codificación de ésa, viviendo<br />

todavía el Fundador en 1775, para los Clérigos Descalzos de<br />

la Santísima Cruz y Pasión de Nuestro Señor Jesucristo. Las modificaciones<br />

sucesivas no han dejado mayor huella hasta la formulación<br />

de las Constituciones surgida de la accomodata renovatio de la vida<br />

consagrada promovida por el Concilio Vaticano II y del magisterio<br />

pontificio que señalaba las indicaciones, lo esencial. La Regla pablocruciana<br />

ha demostrado su fecundidad en numerosas expresiones de<br />

santidad que en ésa se hen inspirado durante más de dos siglos. Las<br />

Constituciones renovadas de la Congregación de la Pasión de Jesús<br />

tienen en sí mismas elementos de fecundidad que tienden hacia el futuro,<br />

en base a las “raíces santas” de las cuales son expresión actual.<br />

Zgromadzenie między przeszłością a przyszłością: płod-<br />

Pol<br />

ność Reguły<br />

Tito Paolo Zecca CP<br />

Płodność Reguły Pasjonistów, jak wszystkich Reguł jakiejkolwiek<br />

formy życia konsekrowanego, pochodzi ze zgodności między<br />

nią a norma normującą życia chrześcijańskiego: święta ewangelia.<br />

Szczególny charakter Reguły Zgromadzenia Męki Pańskiej idzie dalej<br />

niż konkretne normy zredagowane na przestrzeni czasu. Pierwszy<br />

szkic został zredagowany podczas rekolekcji św. Pawła od krzyża w<br />

Castellazzo (1720-1721) dla Ubogich Jezusa. Ma swój szczyt w kodyfikacji<br />

Reguły Pasjonistów, jeszcze za życia Założyciela, w 1775,<br />

dla Kleryków Bosych Najświętszego Krzyża i Męki Naszego Pana<br />

Jezusa Chrystusa. Dalsze zmiany zmieniły jej charakteru aż do powstania<br />

Konstytucji, które wynikły z potrzeby „przystosowanej odnowy”<br />

życia konsekrowanego, do której zachęcał Sobór Watykański<br />

II i papieży, którzy dawali wskazówki co do jej realizacji, co nadało jej<br />

zasadniczy kształt. Reguła Pawła od Krzyża ukazała swą płodność poprzez<br />

liczne wyrazy świętości, które się nią inspirowały przez ponad<br />

dwa wieki. Odnowione Konstytucje Zgromadzenia Męki Jezusa mają<br />

w sobie elementy płodności ukierunkowane ku przyszłości w oparciu<br />

o „święte korzenie”, których są aktualnym wyrazem.<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 356 04/02/13 09:39


MARIO CuCCA,<br />

Il corpo e la città.<br />

Studio del rapporto di significazione<br />

paradigmatica tra la vicenda di<br />

Geremia e il destino di Gerusalemme,<br />

Studi e ricerche – Sez. biblica,<br />

cittadella editrice, assisi 2010,<br />

pp. 358, e 21,00.<br />

Questa prima<br />

opera di<br />

m a r i o<br />

Cucca, frutto della<br />

sua tesi dottorale difesa<br />

presso la Pontificia<br />

Università Gregoriana<br />

di Roma, si<br />

presenta come uno<br />

studio corposo, complesso,<br />

coraggioso,<br />

forse addirittura pionieristico. L’intento è quello di mostrare, attraverso<br />

l’analisi di alcuni passi seletti del libro di geremia, il rapporto<br />

intercorrente tra la vicenda concreta del profeta di Anatot e la sorte<br />

drammatica della città di gerusalemme. non si tratta della classica<br />

tesi della «personalità corporativa» in cui il singolo assomma in sé il<br />

percorso di molti, né della (purtroppo mal compresa) dottrina della<br />

«sostituzione vicaria» ove la pena di molti si scaraventa su un unico<br />

garante. Si tratta piuttosto di un «rapporto di significazione paradigmatica»,<br />

come recita il sottotitolo del volume, in cui il profeta,<br />

proprio perché tale, parla in nome di Dio non solo con gli organi<br />

di fonazione, né semplicemente con alcuni gesti simbolici, ma con<br />

tutto il proprio corpo, con la propria vita: «non solo – scrive l’A. –<br />

geremia ha compiuto dei “gesti simbolici”», ma «la totalità della sua<br />

esistenza umana è stata “simbolica”, cioè funzionale al ministero<br />

profetico». E conclude: «Il nostro parere è che questa proposizione<br />

– dato il carattere comunicativo della profezia – trovi il suo peculiare<br />

assetto nel corpo del profeta, che in tal modo, nella complessità<br />

delle vicende vissute, viene presentato come “corpo comunicativo”,<br />

“luogo” di rivelazione della profezia stessa» (p. 30).<br />

A monte di questa suggestiva ipotesi di lavoro sta il rinnovato<br />

interesse di molta filosofia e teologia contemporanee per la realtà del<br />

recensioni<br />

357<br />

recensioni<br />

2 la sapienza 2012 ciano.indd 357 04/02/13 09:39


ecensioni<br />

recensioni 358<br />

corpo, la realtà dei sensi, come parte integrante dell’essere-uomo,<br />

non meno nobile di ciò che chiamiamo «anima», «volontà» e «intelletto».<br />

Più prossimamente, la tesi si mostra come uno sviluppo<br />

di alcune intuizioni fondamentali avanzate nel 1987 dal gesuita P.<br />

Bovati, docente emerito del Pontificio Istituto Biblico di Roma (e del<br />

Bovati è anche il costante riferimento all’ambito giudiziale del rib).<br />

Se la tesi di Cucca si presenta quanto meno avvincente, più difficile<br />

risulta la sua dimostrazione sul piano rigorosamente esegetico.<br />

Anzitutto perché il materiale a disposizione è enorme – i 52 capitoli<br />

del libro di Geremia (da dove partire? Quali pericopi selezionare?)<br />

– e poi perché l’assunto da dimostrare (ciò che accade al corpo del<br />

profeta accadrà alla città di gerusalemme) rischia di assurgere a precomprensione<br />

rigida, che può viziare gli stessi procedimenti analitici,<br />

svilendone il rigore critico.<br />

L’A. cerca di rispondere a tali possibili obiezioni giustificando le<br />

proprie scelte: concentrerà la propria attenzione solo su quei capitoli<br />

del libro di Geremia (Ger 1; 20; 26; 36; 37; 38) che, sul piano<br />

redazionale, occupano una posizione strategica (iniziale o finale),<br />

mentre, sul piano tematico, evocano la totalità della vicenda profetica,<br />

ponendola a confronto, anche se non sempre in modo diretto,<br />

con la sorte finale della città santa. In particolare sono le relazioni<br />

lessicali e tematiche tra l’ouverture del libro sacro e i successivi<br />

capitoli 20; 26; 36 ad intrecciare una sorta di «ordito testuale significativo»<br />

(p. 92) che rende ragione della selezione del materiale esegetico<br />

operata dall’A. Più facilmente intuibile risulta la decisione di<br />

trattare ger 37-38, capitoli questi «che precedono immediatamente<br />

la presa di gerusalemme, segnando in tal modo, al livello temporale,<br />

anche la conclusione del ministero di Geremia» (p. 34; cf. p.<br />

204).<br />

Il volume si struttura in due grandi sezioni. La prima, comprensiva<br />

di cinque capitoli, affronta anzitutto il problema della «fondazione<br />

del fenomeno» tematizzato (cap. I). Muovendosi nel solco di<br />

un’attenta indagine lessicografica, Cucca mostra come tutta la vicenda<br />

di Geremia possa essere assunta come parola di Dio (dābār)<br />

e, di conseguenza, come esempio parabolico, come simbolo (māšāl)<br />

di quanto avverrà ai suoi concittadini. Di qui l’A. si inoltra nell’analisi<br />

di Ger 1 (cap. II): fin dal grembo materno l’elezione divina ha<br />

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fatto del corpo del profeta un luogo simbolico. Da questo punto di<br />

vista, ger 1,18-19 costituisce il primigenio istituirsi del confronto<br />

tra corpo e città: la guerra che si muove ai danni del profeta è infatti<br />

prefigurazione del processo intentato contro la città (1,13-17).<br />

In Ger 20 (cap. III), invece, il registro si inverte, sicché all’uomo di<br />

Anatot viene applicato in prevalenza il sistema simbolico del giudizio,<br />

mentre contro i suoi persecutori, rappresentanti dell’intera gerusalemme,<br />

si impone il dramma della guerra.<br />

Con lo studio di Ger 26 (cap. IV) emerge l’immagine di un profeta<br />

«sottoposto a processo». Emblematica non è soltanto la vicenda dibattimentale,<br />

ma anche l’imprevisto esito della stessa, con lo scagionamento<br />

dell’imputato. Suggestiva l’analisi di Ger 36 (cap. V) ove<br />

la dinamica paradigmatica non ha più per soggetto il corpo concreto<br />

di geremia, ma quella del rotolo scritturistico, ridotto in frantumi dal<br />

re di giuda, incapace di accogliere un destino di sottomissione alla<br />

potenza babilonese. Eppure, anche in questo caso, il rotolo tornerà<br />

ad essere scritto interamente, da capo, preludio di una salvezza che<br />

passa proprio attraverso l’accettazione del dramma.<br />

La seconda parte del volume guarda al tempo della fine (Ger<br />

37,1-38,13). Enucleata la dinamica narrativa degli eventi ivi esposti<br />

(cap. VI), in modo alquanto originale Cucca indaga il valore simbolico<br />

dell’arresto del profeta (cap. VII): nella brutale concretezza<br />

di quell’avvenimento cerca di decifrare i segni di un’ulteriore parola<br />

di Dio. Diventa allora significativa l’analisi di alcuni elementi<br />

narrativi (Ger 38,6), a prima vista marginali, i quali, al contrario,<br />

paiono alludere ancora una volta al destino della città: si tratta del<br />

pozzo in cui geremia viene gettato, delle corde impiegate per calarlo<br />

nella cisterna e del fango depositato nel fondo della stessa. L’indagine<br />

fenomenologico-simbolica mette in luce una comune semantica<br />

di morte. L’A. spiega: «La morte (simbolica) del profeta, allora<br />

non può essere considerata come un fattore casuale e perciò estrinseco<br />

all’essenza del suo ministero […] Il tratto drammatico delle<br />

vicende di geremia appare al contrario una necessità intrinseca al<br />

suo stesso essere costituito profeta» (p. 312). È a questo punto però<br />

che irrompe, del tutto inatteso, l’intervento di Ebed-mèlec, grazie al<br />

quale l’uomo di Dio viene liberato (38,7-13). In tal modo, attraverso<br />

le vicende del suo corpo, il profeta sembra mostrare che la punizione<br />

«non è il destino ultimo, ma solo la condizione, paradossale ma ne-<br />

recensioni<br />

recensioni 359<br />

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ecensioni<br />

recensioni 360<br />

cessaria, per l’affermarsi di una misericordia che fa accadere […]<br />

una nuova alleanza» (p. 313).<br />

L’A. mostra di possedere adeguatamente lo strumentario metodologico<br />

tipico dell’esegesi scientifica: si muove con scioltezza<br />

sul registro dell’approccio narrativo come su quello retorico, passa<br />

dall’analisi lessicografica a quella simbolica, senza disdegnare gli<br />

apporti del metodo canonico. ogni testo pone infatti interrogativi<br />

diversi e richiede pertanto approcci diversi. Cucca ricorre però a<br />

questi variegati approcci cum granu salis, vale a dire senza eccessive<br />

pedanterie e tecnicismi, quelle che paiono talvolta ingabbiare il<br />

testo e soffocarlo. In tal modo, egli rimane continuamente aperto a<br />

valutazioni di ordine ermeneutico, teologico, ricercando il senso del<br />

dettato biblico. Il libro risulta così accessibile anche ad un pubblico<br />

di non addetti ai lavori esegetici.<br />

E tuttavia si ha spesso l’impressione che la scelta dei brani da<br />

commentare non sia sufficientemente suffragata da argomentazioni<br />

convincenti, che ci si muova su un terreno sabbioso, che si cerchi<br />

il simbolo laddove il genere letterario, quello del racconto, non lo<br />

richiede affatto. Certo, la tesi di fondo si mostra talmente ampia che<br />

a chiunque sarebbe stato difficile destreggiarsi nel mare magnum del<br />

libro di Geremia. Forse andava bilanciata l’ipotesi fin dal suo sorgere,<br />

limitandosi, ad esempio, ad evidenziare il rapporto paradigmatico<br />

tra corpo e città in pochissimi brani. Questo avrebbe permesso<br />

di approfondire l’analisi specie laddove essa pare come abbozzata. E<br />

forse sarebbe stato pertinente anche l’impiego di una teoria metaforica<br />

di base (Lakoff, Ricoeur, ecc.), che esplicitasse ulteriormente la<br />

valenza di alcuni elementi semantici.<br />

Questo nulla toglie al pregio del presente studio, di cui va comunque<br />

premiata l’audacia e il carattere innovativo.<br />

Leopoldo Boris Lazzaro cmop<br />

oraetlabora07@yahoo.it<br />

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PAOLO GAMbeRInI,<br />

Pathos e Logos in<br />

Abraham J. Heschel,<br />

contributi di Teologia 58,<br />

città nuova, roma 2009,<br />

pp. 144, e 14,50.<br />

Appartiene<br />

alla collana<br />

“Contributi<br />

di Teologia” diretta da<br />

Piero Coda per i tipi<br />

di Città nuova questa<br />

semplice monografia<br />

del teologo italiano<br />

Paolo gamberini, ge-<br />

suita, docente presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale,<br />

sezione “San Luigi”. La collana appena menzionata si<br />

compone di brevi saggi, pensati non come rigorose trattazioni, ma<br />

come abbozzi, come “ipotesi di lavoro”, come “tracce di approfondimento”<br />

per additare la via di una possibile teologia di frontiera, in<br />

dialogo con le istanze che provengono dalla modernità.<br />

Brevità non significa banalità, semplificazione ingenua. La brevitas,<br />

semmai, suppone la complessità del ragionamento. Per questo<br />

motivo la brevitas è essenzialmente un’arte. E P. gamberini sembra<br />

essersi cimentato in questo genere letterario con sufficiente maestria:<br />

linguaggio piano, struttura ordinata del discorso, brevi “assaggi” o,<br />

se preferite, “brecce” appena scolpite sul pensiero di Abraham Joshua<br />

Heschel (1907-1972), ebreo di origine polacca, esegeta, filosofo,<br />

maestro di spiritualità, insigne rappresentante del chassidismo<br />

del secolo scorso. su di lui, qualche anno fa, l’Università di Roma<br />

“Tor Vergata”, in collaborazione con altre istituzioni romane, organizzò<br />

una giornata di studio (“Tra terra e cielo: Abraham Joshua Heschel<br />

nel centenario della nascita”, 13 dicembre 2007), segno che il<br />

rilievo di tale figura non è appannaggio di qualche limitrofa nicchia<br />

“religiosa”. L’eredità di Heschel appartiene al mondo universale (accademico<br />

e non).<br />

Il saggio di Gamberini è presentato dalla figlia dello stesso Heschel,<br />

susannah, che ricorda i legami del padre con l’ambiente catto-<br />

recensioni<br />

361<br />

recensioni<br />

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ecensioni<br />

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lico, specialmente italiano. E conclude: “È Volontà di Dio che ebrei<br />

e cattolici si rafforzino l’un con l’altro nelle loro rispettive comunità<br />

di fede” (p. 10).<br />

segue quindi l’introduzione dell’A. con un rapido sguardo d’insieme<br />

alla vita, le opere, il pensiero del filosofo polacco (pp. 11-24).<br />

Filo conduttore dell’analisi di gamberini è, come annunciato nel<br />

titolo, il tema del pathos, inteso “come passione per il Significato<br />

trascendente”, “slancio entusiastico e nello stesso tempo drammatico<br />

per il Senso ultimo dell’esistenza” (p. 24, corsivo nostro). In<br />

altri termini, il tema del pathos umano-divino sembra mettere ordine<br />

nell’universo frastagliato della poliedrica produzione hescheliana. E<br />

l’A. ne disegna il percorso servendosi di una prospettiva sostanzialmente<br />

fenomenologica, che si snoda in cinque “momenti”: intenzionale<br />

(gnoseologico), ontologico, teologico, antropologico, etico.<br />

Il tutto continuamente re-impastato da un esplicito afflato mistico,<br />

sia che si parli di preghiera sia che si parli di politica. È l’afflato che<br />

ha permeato d’altra parte tutta la vita, o meglio la missione di A. J.<br />

Heschel. E l’A. riesce a comunicarcelo.<br />

La realtà del conoscere, tanto per cominciare, non ha nulla di<br />

astratto (“momento intenzionale”). Il pensiero, per il filosofo<br />

ebraico, si pone sempre entro i limiti di una situazione, dialoga con<br />

le concrete circostanze della vita. E gode esso stesso, il pensiero, di<br />

un originario momento creativo, uno shock positivo, che ha nome<br />

“meraviglia”. Tale esperienza permette al pensiero di trascendere se<br />

stesso, incessantemente aperto all’incontro con l’Ineffabile. Heschel<br />

supera in questo modo, con il rigore del filosofo e l’effervescenza del<br />

mistico, le strettoie dell’idealismo e di ogni gnoseologia razionalista.<br />

Il vigore della conoscenza (logos) si lascia continuamente compenetrare<br />

dal trasporto di una sorta di emozione, inerente al conoscere<br />

stesso: è il pathos la forza intima, “l’intenzionalità trasgressiva” (p.<br />

41) che permette al pensiero-logos di rimanere sempre aperto. Insomma,<br />

la logica riconquista la sua originaria formalità religiosa, la<br />

sua anima meta-logica, diviene apertura al mistero.<br />

Di qui avviene il passaggio al “momento ontologico”. Perché è<br />

proprio nello snodarsi fenomenologico dell’evento della conoscenza<br />

che l’uomo percepisce una parola a lui sempre anteriore, un a-priori<br />

irrinunciabile, una premessa necessaria ed immediatamente intui-<br />

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ile, come la luce del sole: si tratta della presenza di Dio. L’umano<br />

interrogare è in fondo una risposta ad un’eterna domanda che lo<br />

precede. L’Ineffabile si dona immediatamente come il senso ultimo<br />

dell’esistenza, “l’orizzonte entro cui il pensiero comprende” (p. 51);<br />

alla sua luce l’uomo afferra qualcosa del mistero dell’unità cosmica,<br />

della sua pienezza di vita. Lo stesso uomo si percepisce come oggetto<br />

del pensiero divino. Ed è sempre il pathos a guidarlo sui tracciati<br />

di un’intuizione metafisica talmente profonda: l’essere, nelle<br />

infinite forme dei suoi esistenti, nasce dalla sollecitudine divina, è<br />

“rivelazione del pathos di Dio” (p. 58), ne è la cifra, la concreta<br />

rappresentazione. Prima dell’essere-creato sta la pura sollecitudine<br />

divina, il pathos di un Dio che parla, anzi dà un comando assoluto:<br />

“Sia!” Siamo ben distanti dalla rigida staticità dell’onotologia parmenidea!<br />

L’essere di cui parla Heschel ha un carattere epifanico,<br />

transitivo, eccentrico.<br />

Ciò che è stato colto sul piano gnoseologico e metafisico non è<br />

altro che il riverbero di un dato teologico-biblico essenziale, il pathos<br />

divino, tema che aveva appassionato Heschel fin dalla sua tesi<br />

di laurea, difesa all’università di Berlino nel 1933 (“La coscienza<br />

profetica”). Approdiamo così al “momento teologico” della nostra<br />

riflessione. Secondo Gamberini, il pathos che la Bibbia attribuisce a<br />

Dio costituisce “una rivoluzione profonda del pensiero religioso” (p.<br />

74), perché permette di pensare la trascendenza di Dio senza dissociarla<br />

dal suo coinvolgimento nella storia di Israele e dell’umanità<br />

intera: “la concezione di Dio come di un essere distaccato e non<br />

emotivo è totalmente estranea alla mentalità biblica” (ibidem). si<br />

impone però a questo punto una distinzione essenziale, sfuggita a<br />

molti che a vario titolo e in vario modo (Moltmann in primis, si veda<br />

il breve excursus a pp. 81-88) si sono rifatti alle provocanti affermazioni<br />

teologiche di Heschel: “il pathos – in ciò consiste la distinzione<br />

che abbiamo chiamato essenziale – non denota l’essenza di Dio, ma<br />

il rapporto tra l’uomo e la volontà di Dio: è una realtà funzionale più<br />

che sostanziale, è un atto divino più che un Suo attributo” (ibidem).<br />

Né, d’altra parte, il pathos è dissociato dall’ethos, dalla norma, in<br />

quanto è il risultato di una decisione che impegna radicalmente la<br />

libertà divina, la volontà di un Dio sollecito per la sorte delle sue<br />

creature. Questa inesauribile verità divina ci è accessibile, ancora<br />

una volta, in virtù di una peculiare esperienza intra-coscienziale,<br />

recensioni<br />

recensioni 363<br />

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ecensioni<br />

recensioni 364<br />

quella vissuta dal profeta. A quest’ultimo poi spetta il compito di<br />

comunicare la Parola divina con tutto il pathos di cui essa è pregna.<br />

Per Heschel, dunque, il profeta è colui che intrattiene con Dio una<br />

relazione sim-patetica. Anche in questo l’opera di gamberini appare<br />

ben riuscita, poiché l’A. fa rifare al suo lettore il medesimo percorso<br />

che Heschel ha compiuto nella maturazione del suo pensiero: si parte<br />

dai dati della coscienza (“momento intenzionale-gnoseologico”),<br />

sia pure di un’esperienza intra-coscienziale particolarissima qual è<br />

quella profetica, per approdare a verità più grandi, ineffabili, originarie<br />

(“momento metafisico-teologico”).<br />

Il circolo ermeneutico può infine completarsi: partito dall’uomo<br />

il discorso ritorna, arricchito, all’uomo stesso, per ridefinirlo (“momento<br />

antropologico”). Contro una lunga tradizione filosofica che<br />

da Aristotele giunge fino a Kant, Heschel recupera il valore positivo<br />

della passione umana. Il pathos non è nulla di irrazionale,<br />

degradante, nulla di dannoso, di temibile; esso costituisce piuttosto<br />

il momento emotivo del pensiero stesso: pathos e logos si intrecciano<br />

in modo fecondo. In fin dei conti, il pathos è una passione<br />

necessaria per l’esistenza religiosa. gamberini ha modo di sottolinearlo<br />

nel contesto di un ampio raffronto tra il pensiero di Heschel<br />

e quello del filosofo danese S. Kierkegaard (forse le basi del<br />

raffronto non sono del tutto convincenti. nondimeno le conclusioni<br />

sembrano esserlo). Per entrambi i pensatori il pathos gode<br />

di un’inderogabile pregnanza esistenziale, è appassionamento per<br />

l’Assoluto. Tuttavia, a differenza di Kierkegaard, Heschel coglie il<br />

pathos in una chiave più radiosa, ottimista, tipica del chassidismo<br />

di cui era figlio ed esponente: in altri termini il trascendimento cui<br />

l’uomo è chiamato non è contraddizione, frattura, pessimistica lacerazione<br />

esistenziale, ma comunione, incontro, gioia del mistero,<br />

passione d’amore. se una conversione deve avvenire in seno al<br />

pathos, essa è di natura etica: bisogna decentrarne il riferimento,<br />

spostare l’asse di interesse da sé all’altro da sé. In questo sforzo<br />

estatico, eccentrico, l’uomo si determina incessantemente, liberamente,<br />

come umano: “Sono nato uomo – afferma Heschel – ma<br />

devo diventare uomo, devo diventare ciò che sono” (p. 105). In<br />

fondo, il pathos che inabita la creatura è pura partecipazione al<br />

pathos-ruah del Creatore: è così che l’uomo realizza il suo essere<br />

icona della divinità.<br />

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Il “momento etico”, ultima parte del libro, non fa altro che raccogliere<br />

le fila di quanto fin qui detto. L’uomo può decentrarsi, può<br />

lanciarsi nell’avventura dell’agire, dell’essere a somiglianza di Dio,<br />

con amore e sollecitudine verso il suo prossimo, solo perché sente<br />

gravare su di sé il bisogno divino: “Ogni anima è indispensabile per<br />

Lui. L’uomo è necessario, è una necessità di Dio … Il bisogno che<br />

noi sentiamo di Lui è solo l’eco del bisogno che Egli ha di noi” (p.<br />

112). A questo livello il pathos si offre come strumento di discrimine<br />

tra valori e bisogni, a conferma, ancora una volta, che a dispetto<br />

della sua dimensione emotiva, esso non si riduce a passione,<br />

ma implica la volontà, la libertà, il rapporto con Dio.<br />

Il tentativo non facile di “riassumere” il pensiero hescheliano<br />

alla luce di un peculiare punto di vista sembra complessivamente<br />

riuscito. A suffragare la robustezza dell’analisi è peraltro l’abbondante<br />

bibliografia (pp. 123-138), inusuale per un libro di modeste<br />

dimensioni.<br />

Il contributo ha dunque sortito il fine che si era prefisso, quello di<br />

tracciare “un’ipotesi di lavoro”, di lanciare una provocazione al pensiero<br />

occidentale, di far gustare, brevemente ed in modo esaustivo,<br />

la ricchezza di un pensiero altro, quello di un “fratello maggiore”.<br />

Una via per tentare il dialogo con la grande tradizione ebraica.<br />

Leopoldo Boris Lazzaro cmop<br />

oraetlabora07@yahoo.it<br />

recensioni<br />

recensioni 365<br />

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ÁLVARO PeReIRA DeLGADO,<br />

De apóstol a esclavo.<br />

el exemplum de pablo en<br />

1 corintios 9,<br />

anBib 182, G&B press,<br />

roma 2010, pp. 366, e 25,00.<br />

sono abituali<br />

nel vocabolario<br />

della<br />

spiritualità, dell’omiletica,<br />

persino<br />

della teologia cristiane,<br />

alcune emblematichesentenze<br />

del capitolo<br />

9 della prima lettera di Paolo ai Corinzi. Frasi come “Mi sono fatto<br />

tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno”, “Guai a me se non<br />

predicassi il Vangelo!” sono penetrate oramai nella memoria collettiva<br />

delle nostre comunità di fede, ne hanno intessuto la vita, ne<br />

hanno promosso la santità.<br />

Eppure lo svolgimento complessivo e coerente del pensiero paolino<br />

spesso ci sfugge, non riusciamo ad afferrarlo interamente nel suo<br />

svolgersi. Alcune affermazioni paiono addirittura in contrasto con<br />

altre. Così ci si aggrappa a singole frasi, a singole espressioni, perdendo<br />

di vista la ricchezza dell’insieme. Per comprendere la teologia<br />

dell’Apostolo in tutta la sua profondità è dunque necessario non solo<br />

ricostruire l’ambiente storico in cui l’epistolario paolino si formò, la<br />

situazione a cui esso intese offrire una risposta (è il giusto cruccio<br />

dei fautori del metodo storico-critico in tutte le sue modulazioni);<br />

bisogna molto più delinearne la coerenza, la logica argomentativa.<br />

In tale ambito di ricerca, ormai da qualche decennio si sono impegnati<br />

alcuni specialisti (in primis J.-N. Aletti). Il loro merito è stato<br />

quello di mostrare l’organizzazione interna dei discorsi paolini, conformemente<br />

alle categorie retoriche dell’epoca tardo-ellenistica. In<br />

questo alveo di indagine si inserisce anche il presente volume, versione<br />

leggermente corretta della dissertazione dottorale difesa dallo<br />

spagnolo Álvaro Pereira Delgado nel giugno 2009 presso il Pontificio<br />

Istituto Biblico di Roma. Il lavoro, compiuto sotto la magistrale<br />

recensioni<br />

recensioni 367<br />

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ecensioni<br />

recensioni 368<br />

guida del prof. J.-N. Aletti S.J., appartiene ad un ambito peculiare<br />

dell’esegesi paolina, ciò che, nella prefazione, lo stesso Aletti definisce<br />

“investigazione retorica di seconda generazione”. Se, infatti,<br />

come sopra accennato, negli anni ’90 del secolo scorso molti commentatori<br />

si cimentarono nell’identificazione della struttura retorica<br />

delle lettere paoline (come fece A. Pitta nel 1992, con il suo studio<br />

sulla dispositio della lettera ai galati), ora l’attenzione sembra spostarsi<br />

sulla modalità argomentativa impiegata dall’Apostolo per convincere<br />

il suo uditorio (si pensi alla monografia di F. Bianchini, pubblicata<br />

nel 2006 sempre dalla prestigiosa collana di Analecta Biblica,<br />

sulla strategia retorica dell’elogio di sé in Fil 3,1-4,1).<br />

Il presente studio si svolge in modo strettamente tecnico, con continui<br />

rimandi alle opere di trattatisti e retori greco-romani, presumibilmente<br />

noti a Paolo fin dall’epoca dei suoi studi (progymnasmata)<br />

presso la prestigiosa scuola di tarso. Eppure il tentativo, apparentemente<br />

arido, di determinare la precisa funzione retorica di un passaggio<br />

o la valenza di una metafora, mostra ripercussioni significative<br />

proprio a livello ermeneutico, nella decifrazione del pensiero<br />

cristologico ed etico dell’Apostolo: in altri termini, l’argomentazione<br />

risulta essere il principale veicolo delle idee. Vale dunque la<br />

pena di passare il difficile guado esegetico per far maturare una teologia<br />

di più ampio respiro a vari livelli: cristologico, etico, spirituale<br />

e persino sacramentario, nella comprensione dell’intima essenza del<br />

ministero sacerdotale.<br />

ne consegue che il tentativo di capire se 1Cor 9 costituisca un<br />

esempio personale di Paolo o piuttosto una apologia dello stesso, se<br />

non addirittura una semplice digressione rispetto alla questione sulle<br />

carni immolate agli idoli dibattuta in 1Cor 8,1-11,1 – ciò che costituisce<br />

il focus dei capitoli I-III della tesi – non pare una questione<br />

marginale. Né per gli esperti né per il credente meno avvezzo alle<br />

tecniche della moderna esegesi biblica.<br />

Procedendo con una serie di argomentazioni serrate, l’A. mostra<br />

come Paolo istituisca un sapiente dialogo con i propri interlocutori.<br />

Ricorrendo allo stratagemma retorico delle concessiones e delle correctiones,<br />

egli procede a piccoli passi, ammettendo dapprincipio la<br />

plausibilità dell’opinione dei cosiddetti “forti” di Corinto per poi<br />

correggerla progressivamente (si pensi allo slogan “Tutto è lecito”<br />

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di 6,12, ripreso in 10,23): è certamente lecito mangiare la carne immolata<br />

agli idoli; tuttavia per amore del fratello più debole un simile<br />

comportamento può/deve essere abbandonato. All’interno di questa<br />

dinamica argomentativa si collocano i due exempla del cap. 9 e di<br />

10,1-13, l’uno dal timbro positivo, l’altro dal timbro negativo, che<br />

illuminano rispettivamente i due imperativi di 8,9 (“Badate però che<br />

questa vostra libertà non divenga un inciampo per i deboli”) e di<br />

10,14 (“Perciò, o miei cari, fuggite l’idolatria”).<br />

Di fronte allo sguardo dei cristiani di Corinto, Paolo pone dunque<br />

se stesso come esempio – lo conferma la conclusione della sezione<br />

8,1-11,1, “Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (11,1). Infatti,<br />

l’esempio concreto della sua scelta di vita può aiutare i Corinzi<br />

a rileggere le proprie pretese. Anch’egli ha un diritto (exousìa), tanto<br />

più grande del loro in quanto egli gode addirittura dei privilegi legati<br />

al ministero apostolico (essere mantenuto dalla comunità, condurre<br />

presso di sé una sorella, etc.). Egli tuttavia ha rinunciato a tali diritti pur<br />

di non porre ostacolo all’Evangelo. Ha lavorato con le proprie mani<br />

e ha trovato nell’annuncio della salvezza l’unico suo guadagno. La<br />

cosa diventa ancor più paradossale in quanto l’Apostolo non rinuncia<br />

soltanto ai diritti legati al ministero, ma amplifica la propria kenosi,<br />

parlando di una rinuncia al diritto alla libertà: Paolo, per il Vangelo, si<br />

è fatto addirittura schiavo. 1Cor 9 si chiude sottolineando l’orizzonte<br />

escatologico entro cui si disegna un simile orientamento etico: bisogna<br />

comportarsi come dei buoni atleti, che, per ottenere la corona della<br />

vittoria, sono disposti a grandi rinunce (normalmente connesse all’ambito<br />

sessuale e alimentare, proprio come nel caso dei forti di Corinto).<br />

Anche a questo livello Paolo si pone come modello: alla maniera dei<br />

corridori dell’epoca, egli è fisso su un solo obiettivo, quello della predicazione<br />

del Vangelo, e, alla maniera di un pugile, egli fa violenza a<br />

se stesso. Allo stesso modo i presunti forti della comunità di Corinto<br />

debbono aver di mira l’unico obiettivo della salvezza dei propri fratelli,<br />

anche al costo di privazioni, anche al costo di optare per scelte<br />

che apparentemente contrastano con il loro punto di vista (gnosi). Il<br />

ricorso all’arte dell’exemplum, pur temperata da alcune affermazioni<br />

di difesa e sapientemente scandita dalle motivazioni che sottendono la<br />

scelta di Paolo, non vuole solo generare un nuovo comportamento tra<br />

i cristiani, vuole molto più mostrare loro una logica superiore, quella<br />

dell’amore. Vuole, in altri termini – ed è questa l’acquisizione più volte<br />

recensioni<br />

recensioni 369<br />

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ecensioni<br />

recensioni 370<br />

segnalata dall’A. – creare una nuova mentalità, quella annunciata già<br />

in 1Cor 2,16 (“Ora noi abbiamo il pensiero di Cristo!”): al di là di ciò<br />

che è permesso o non permesso, si impone così l’unico criterio genuino<br />

dell’etica cristiana, quello del Vangelo e della salvezza del fratello.<br />

stabilita solidamente l’impalcatura esegetica delle proprie argomentazioni,<br />

il Pereira può avventurarsi (capp. IV-V) nell’analisi dei<br />

principali lessemi e delle metafore impiegati da Paolo in 1Cor 9: che<br />

cosa significhi godere di un diritto, in che cosa consista l’ostacolo<br />

che può interferire nel dinamismo dell’annuncio, che cosa indichi<br />

l’adattamento indiscriminato di Paolo ad interlocutori che provengono<br />

tanto dal mondo pagano quanto da quello giudaico, quali valori<br />

sottendano le metafore dello schiavo e dell’atleta. Così, al crescendo<br />

retorico delle argomentazioni, si accompagna un chiaro decrescendo<br />

dell’itinerario esistenziale dell’Apostolo, sottolineato proprio dalla<br />

semantica di 1Cor 9: Paolo si pone al pari di chi è privo di ogni<br />

diritto, si fa schiavo pur di guadagnare qualcuno; egli tenta di rovesciare<br />

il senso di competizione che ancora sopravviveva tra i suoi<br />

uditori (la vana-gloria), fino al paradosso della schiavitù, dell’alienazione<br />

della propria identità, una vera e propria “morte sociale”. Pur<br />

non sviscerando fino in fondo la valenza simbolica di espressioni<br />

tanto pregnanti, l’A. riesce a delineare la logica persuasiva del linguaggio<br />

paolino: gli esempi che l’Apostolo offre con tanta dovizia<br />

devono illuminare (illustrans) in modo indiretto la realtà concreta<br />

(illustrandum) in cui è invischiata la comunità di Corinto ed, al contempo,<br />

devono indicare una via d’uscita dall’impasse.<br />

Emerge così una sorta di cristologia implicita, poiché il tragitto kenotico<br />

in cui Paolo si avventura riducendosi “da apostolo a schiavo”<br />

trova il suo ultimo fondamento in una scelta anteriore a tutte, quella<br />

di Cristo che si svuotò di se stesso, rinunciando ai privilegi legati<br />

alla propria condizione divina, che si sottomise alla legge, che accettò<br />

il patibolo della croce. Conformandosi a Cristo, l’Apostolo ne<br />

sposa la logica di abbassamento, di dono di sé per il bene dell’altro,<br />

il fratello. Solo perché misticamente coinvolto in questo dinamismo<br />

di incessante trasfigurazione kenotica, Paolo può offrirsi agli altri,<br />

concretamente, personalmente, come exemplum.<br />

Leopoldo Boris Lazzaro cmop<br />

oraetlabora07@yahoo.it<br />

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PADRe TheODOssIOs MARIA<br />

DeLLA CROCe,<br />

Rinnovarsi ogni giorno,<br />

premessa del cardinale Mauro<br />

piacenza,<br />

Libreria editrice vaticana,<br />

città del vaticano 2012,<br />

pp. 444, e 13.<br />

n-<br />

“Ri<br />

novarsi ogni<br />

giorno è un’azione<br />

di portata eterna.<br />

L’anima compie<br />

ad ogni minuto,<br />

coscientemente o<br />

inconsciamente,<br />

tra le più soavi<br />

consolazioni e le più aride prove, l’offerta di tutto, assolutamente<br />

tutto, a Colui che è la causa e la sorgente di tutto. Questa azione di<br />

offerta ci rinnova, perché ci consolida nell’amore più perfetto, che<br />

direttamente o indirettamente ci lega all’amore ineffabile di Dio<br />

per noi” (p.7).<br />

In questo libro, Padre theodossios maria della Croce ci offre per<br />

ogni giorno dell’anno una breve meditazione scelta seguendo i tempi<br />

liturgici della Chiesa o in rapporto con il santo del giorno. I testi sono<br />

tratti prevalentemente da omelie e da insegnamenti pronunciati dal<br />

Padre per i suoi figli spirituali e si rivolgono a quanto di più profondo<br />

ogni uomo porta dentro di sé. La parola di P. Theodossios, originale<br />

e poetica, parola d’amore e di verità, ci fa entrare in un mondo di<br />

luce che ridà vita, speranza e pace alle anime.<br />

Padre theodossios maria della Croce, nato in grecia nel 1909,<br />

ha unito nella sua persona la tradizione orientale nella quale era cresciuto<br />

e quella occidentale che ha amato e abbracciato come sacerdote<br />

della Chiesa cattolica.<br />

Possedeva una vasta cultura e una profonda conoscenza dei cuori,<br />

e nei difficili anni dopo il Concilio Vaticano II ha dedicato tutte le<br />

forze a infondere nelle anime un rinnovamento nella fedeltà alla<br />

grande tradizione della Chiesa. Si è consumato fino all’ultimo re-<br />

recensioni<br />

371<br />

recensioni<br />

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ecensioni<br />

recensioni 372<br />

spiro per la Chiesa per trasmettere a quanti l’avvicinavano l’amore<br />

della verità e il desiderio di coerenza.<br />

Si è spento a Bagnoregio (Viterbo) nel 1989, circondato dai suoi<br />

Figli e Figlie spirituali della “Fraternità della Santissima Vergine<br />

Maria”, da lui fondata.<br />

Abbiamo creduto bene diffondere a livello più ampio i tesori spirituali<br />

che questi insegnamenti contengono. “Noi tutti siamo qui per<br />

rinascere ogni giorno, per essere trasformati, per arrivare rinnovati<br />

alla fine della nostra vita e penetrare nell’eternità salvati da Cristo.<br />

Questa trasformazione è tutto lo scopo e il mistero della Chiesa”<br />

(p.393).<br />

Le Suore della Fraternità della SS.ma Vergine Maria<br />

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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE<br />

CAttEDRA GLORIA CRUCIS<br />

Produzione scientifica<br />

della cattedra Gloria crucis<br />

AA.VV. Memoria <strong>Passio</strong>nis in Stanislas Breton, Edizioni<br />

Staurós, S. Gabriele Teramo, 2004.<br />

Piero CodA Le sette Parole di Cristo in Croce, Edizioni<br />

Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.<br />

Luis diez Merino, CP Il Figlio dell’Uomo nel Vangelo della <strong>Passio</strong>ne,<br />

Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, ottobre 2004.<br />

MArio CoLLu, CP Il Logos della Croce centro e fonte del Vangelo,<br />

Edizioni Staurós, S. Gabriele Teramo, novembre 2004.<br />

TiTo di sTefAno, CP Croce e libertà, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />

Teramo, dicembre 2004.<br />

CArLo Chenis, sdB Croce e arte, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />

Teramo, gennaio 2004.<br />

AngeLA MAriA LuPo, CP La Croce di Cristo segno definitivo dell’Alleanza<br />

tra Dio e l’Uomo, Edizioni Staurós, S. Gabriele<br />

Teramo, febbraio 2004.<br />

fernAndo TACCone, CP (ed.) Quale volto di Dio rivela il Crocifisso?, Edizioni<br />

OCD, Roma Morena, 2006.<br />

fernAndo TACCone, CP (ed.) La visione del Dio invisibile nel volto del<br />

Crocifisso, Edizioni OCD, Roma Morena, 2008.<br />

fernAndo TACCone, CP (ed.) Stima di sé e kenosi, Edizioni OCD, Roma<br />

Morena, 2008.<br />

fernAndo TACCone, CP (ed.) Croce e identità cristiana di Dio nei primi secoli,<br />

Edizioni OCD, Roma Morena, 2009.<br />

fernAndo TACCone, CP (a cura) John Henri Newman e Domenico Barberi, in La<br />

Sapienza della Croce, Edizioni CIPI, S. Gabriele,<br />

n. 4, 2010.<br />

fernAndo TACCone, CP (a cura) L’agire sociale alla luce della teologia della Croce,<br />

Edizioni OCD, Roma Morena, 2011.<br />

fernAndo TACCone, CP (ed.) Persona e croce, Edizioni OCD, Roma Morena,<br />

2011.<br />

fernAndo TACCone, CP (ed.) La colpa umana dinanzi al mistero della croce,<br />

Edizioni OCD, Roma Morena, 2011.<br />

AA.VV. Il Beato Domenico Bàrberi passionista nell’itine-<br />

rario di conversione del Card. John Henry<br />

Newman, in La Sapienza della Croce, Anno XXV,<br />

n. 4, ottobre-dicembre 2010, Edizione CIPI.<br />

AA. VV. Emigrazione e multiculturalità: croce su cui<br />

morire o risorgere, in La Sapienza della Croce,<br />

Anno XXVI, n. 1, gennaio-aprile 2011, Edizione<br />

CIPI.<br />

AA. VV., Il concetto cristiano di Dio a partire dalla Croce.<br />

La fondazione biblica: Dio è amore, in La Sa-<br />

pienza della Croce, anno XXVI, n.2, maggio-<br />

agosto 2012, Edizione CIPI<br />

AA. VV. La sapienza della croce come risposta alla do-<br />

manda di senso, in La Sapienza della Croce,<br />

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anno XXVI n.3, settembre-dicembre 2012, Edi<br />

zione CIPI.<br />

AA. VV. La sapienza della Croce nel pensiero e nella te<br />

stimonianza del beato Giovanni Paolo II, in La<br />

Sapienza della Croce, anno XXVII n.1, gennaio-<br />

aprile (2012), Edizione CIPI.<br />

L’attività scientifica della Cattedra Gloria Crucis è fruibile nel sito www.passiochristi.org<br />

alla voce Cattedra Gloria Crucis.<br />

La rivista La Sapienza della Croce è anch’essa fruibile nello stesso sito alla voce<br />

Sapienza della Croce.<br />

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