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qui - Giulio Marcon

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sponsabile dell’Unhcr (l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati)<br />

a Bagdad. Non lo conosco, ma è affabile e mi invita subito ad andarlo<br />

a trovare. Mi accoglie nella sua sede, tutto sommato semplice e sobria.<br />

Ha i baffi, è alto e sembra un attore di soap della Bbc: una specie di Peter<br />

Sellers meno trasandato. Chiacchieriamo della situazione in Iraq, è giovale<br />

e mi invita a cena per l’indomani. Scopro dopo pochi minuti di conoscenza<br />

la ragione di questa affabilità. A Bagdad è solo: le Nazioni Unite hanno<br />

fatto sloggiare la sua famiglia e anche di funzionari internazionali ne sono<br />

rimasti pochi. Un po’ il cameratismo tra operatori umanitari (governativi e<br />

non), un po’ la solitudine, un po’ la rarità delle visite degli occidentali fanno<br />

di Bellamy un interlocutore disponibile. Parla molto, mi spiega molte cose<br />

dell’Iraq. Ascolto, imparo. È la mia prima volta. Quando siamo nella<br />

sede delle Nazioni Unite, non nomina mai Saddam Hussein, ma si passa la<br />

mano sui baffi per farmi capire che sta parlando di lui. Anche la sede delle<br />

Nazioni Unite è infestata di microfoni del regime. Ha un modo tutto suo<br />

di farsi volere bene dagli iracheni: stringe la mano a tutti in modo particolare,<br />

non caloroso, ma con grande rispetto e dignità. Ogni stretta di mano<br />

sembra un evento importante. Stringe la mano all’autista che ci porta al ristorante,<br />

al cameriere che ci accoglie sulla porta, all’edicolante quando<br />

compra il giornale, al venditore di quadri nella galleria d’arte, al giardiniere<br />

che annaffia le piante di casa. Per ognuno ha un sorriso e un saluto dignitoso.<br />

La sua casa, una grande villa da diplomatici, nel quartiere residenziale<br />

di Mansur è vuota, triste e un po’ angosciante. Ha due piani e una scala<br />

paraboloide che sembra quella delle ville old fashioned del profondo sud degli<br />

Stati Uniti. Seguiamo insieme al notiziario della Cnn il servizio su una<br />

seduta del consiglio di sicurezza in cui si parla di Iraq. Spiega le dinamiche,<br />

i contrasti e le alleanze nelle Nazioni Unite. È a un anno dalla pensione:<br />

racconta dei paesi che ha girato, delle missioni che ha avuto. È comprensivo<br />

verso gli iracheni e critica – in modo diplomatico, ovviamente – gli americani<br />

per l’atteggiamento arrogante e aggressivo verso il paese. Non riesce<br />

a capire le ragioni di questo comportamento. Poi passiamo agli argomenti<br />

di carattere umanitario e al ruolo dell’agenzia delle Nazioni Unite: “Delle<br />

agenzie internazionali l’Unhcr è quello che ha il ruolo minore. Attualmente<br />

l’agenzia ha il mandato sui profughi stranieri residenti in Iraq (iraniani,<br />

curdi-turchi, palestinesi), in sostanza circa 30mila profughi e lavora direttamente<br />

con il governo (che è molto generoso con i profughi) e prioritariamente<br />

con le organizzazioni locali”. Mi racconta che hanno un budget<br />

modestissimo, un milione di dollari. In caso di emergenza umanitaria non<br />

avranno mandato sull’assistenza agli sfollati interni (sarà delle altre agenzie,<br />

in particolare di Unochi, l’agenzia umanitaria dell’Onu per l’Iraq), ne prevedono<br />

600mila (al massimo faranno solo la protection) mentre il grosso dei<br />

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