Quando la sottoveste era d'obbligo, i cappellini - Focus
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Vita quotidiana<br />
<strong>Quando</strong> <strong>la</strong> <strong>sottoveste</strong> <strong>era</strong> d’obbligo, i <strong>cappellini</strong> fantasiosi e le calze con <strong>la</strong> riga indispensabili (e, a volte, finte)<br />
Ve`stiti, usciamo<br />
Di tutto<br />
punto<br />
Il salone<br />
del<strong>la</strong> casa di<br />
una famiglia<br />
benestante e <strong>la</strong><br />
coppia, vestita<br />
in abiti da<br />
passeggio. Lui<br />
ha i capelli<br />
impomatati,<br />
lei indossa<br />
un cappellino e<br />
una sciarpa.<br />
Sguardi un po’ retró<br />
Volti di oggi truccati e pettinati in stile<br />
Anni ’30. Le ricostruzioni di queste pagine<br />
riprendono <strong>la</strong> moda del tempo.<br />
Lui amava i capelli lunghi, ma molte<br />
di loro continuarono ostinatamente<br />
a tagliarseli corti,“al<strong>la</strong> maschietta”.<br />
Lui le voleva in divisa, oppure in<br />
abiti tradizionali. Ma loro, le signore benestanti<br />
degli Anni ’20, almeno sui vestiti opposero<br />
un fiero “me ne infischio” alle direttive<br />
che venivano dall’alto. <strong>Quando</strong>, a partire<br />
dal decennio successivo, le imposizioni<br />
fasciste si fecero più pressanti, anche <strong>la</strong> moda<br />
cercò di adeguarsi. Ma di certo «se il consenso<br />
al regime si fosse dovuto valutare dall’osservanza<br />
dei consigli di moda impartiti<br />
alle donne del<strong>la</strong> media borghesia, Mussolini<br />
sarebbe risultato l’uomo meno obbedito<br />
d’Italia» si legge nel libro di Gian Franco<br />
Venè Mille lire al mese (Mondadori). Forse<br />
perché, quando il duce salì al potere, le donne<br />
avevano iniziato già da tempo a fare di<br />
testa loro, senza dare ascolto agli uomini.<br />
A imprimere una svolta decisiva <strong>era</strong>no<br />
stati gli anni del<strong>la</strong> Prima guerra mondiale,<br />
«quando le donne si <strong>era</strong>no trovate a svolgere<br />
compiti che prima <strong>era</strong>no stati tipicamente<br />
maschili» spiega Emanue<strong>la</strong> Mora,<br />
docente di Sociologia del<strong>la</strong> cultura all’Università<br />
Cattolica di Mi<strong>la</strong>no. «Le borghesi,<br />
che non avevano mai <strong>la</strong>vorato, si impegnarono<br />
ad assistere i ma<strong>la</strong>ti o a svolgere <strong>la</strong>vori<br />
d’ufficio; le popo<strong>la</strong>ne diventarono spazzine,<br />
carrettiere e, a Mi<strong>la</strong>no, si misero al<strong>la</strong> guida<br />
dei tram. Questo contribuì a cambiare il<br />
gusto e a far avvertire, in tutte le c<strong>la</strong>ssi sociali,<br />
che l’abbigliamento poteva coniugare<br />
gusto e funzionalità». Così, messi al bando i<br />
busti rigidi con le stecche di balena e i gonnelloni<br />
lunghi e ingombranti, negli Anni ’20<br />
<strong>la</strong> moda iniziò a guardare ai modelli più<br />
pratici che provenivano dal di là delle Alpi. ▼<br />
<strong>Focus</strong> Storia 57
▼<br />
Vestivamo al<strong>la</strong> francese. Il centro ispiratore<br />
<strong>era</strong> <strong>la</strong> Francia: «Dopo le sfi<strong>la</strong>te, i sarti<br />
parigini vendevano i diritti di copia a distributori<br />
ufficiali che li portavano in Italia, dove<br />
venivano riprodotti su centinaia di cartamodelli<br />
in modo che in poche settimane<br />
qualsiasi sartina potesse già reinterpretare<br />
l’ultimo grido parigino» spiega Silvia Grandi,<br />
storica dell’arte dell’Università di Bologna.<br />
«Si trattava di modelli che nascevano<br />
per l’alta moda, ma che nelle città italiane<br />
<strong>era</strong>no accolti da tutti gli strati del<strong>la</strong> popo<strong>la</strong>zione»<br />
sottolinea Emanue<strong>la</strong> Mora. L’interesse<br />
<strong>era</strong> stimo<strong>la</strong>to anche dal<strong>la</strong> diffusione di<br />
riviste femminili specializzate per i diversi<br />
tipi di pubblico e dal cinema hollywoodiano.<br />
Negli Anni ’20 esplose <strong>la</strong> moda del<strong>la</strong> vita<br />
bassa, dei seni piatti e del<strong>la</strong> figura sottile e<br />
scattante. Per le più audaci fu l’epoca dei capelli<br />
al<strong>la</strong> garçonne, corti con un ricciolo che<br />
scendeva sul<strong>la</strong> gota, e dei pantaloni, che si<br />
diffusero nonostante l’aperta ostilità del regime<br />
e del<strong>la</strong> Chiesa. Condannati da papa<br />
Pio XI, i pantaloni <strong>era</strong>no per Mussolini<br />
«adatti alle gambe rinsecchite delle suffragette»<br />
(termine usato per indicare le femministe<br />
dell’epoca).<br />
Più in gen<strong>era</strong>le «il fascismo non incoraggiò<br />
le donne a occuparsi del<strong>la</strong> loro bellezza» dice<br />
Stefano Anselmo, truccatore. Ne è un<br />
esempio l’ostilità nei confronti del trucco,<br />
che «nonostante fosse appena accennato,<br />
<strong>era</strong> fatto oggetto di indignazione, come si<br />
può leggere in un articolo del<strong>la</strong> rivista Anni<br />
Venti, che paragonava le unghie smaltate delle<br />
donne a quelle di persone che immergono<br />
le mani in piaghe sanguinanti, o le sopracciglia<br />
depi<strong>la</strong>te ad arco a quelle dei pagliacci».<br />
Esplodono le forme. A partire dal<strong>la</strong> seconda<br />
metà degli Anni ’20, però, almeno per<br />
alcuni aspetti i gusti delle signore cominciarono<br />
ad allinearsi a quelli propagandati dal<br />
regime. «La donna asciutta e senza curve,<br />
<strong>la</strong>sciò il posto a una figura che iniziava a recup<strong>era</strong>re<br />
fianchi, seno e vita» racconta Silvia<br />
Grandi. «Negli abiti e nei tailleur da giorno il<br />
punto vita tornò a rialzarsi, le linee si fecero<br />
più fluide e le gonne si allungarono, mosse in<br />
fondo con pannelli sbiechi o vo<strong>la</strong>nt».<br />
Per evidenziare meglio le forme si indossavano<br />
guaine e<strong>la</strong>stiche che rimodel<strong>la</strong>vano i<br />
fianchi. «E per sollevare il seno si diffusero i<br />
primi reggiseni, a volte imbottiti proprio co-<br />
me si usa oggi» spiega Graziano Ballinari,<br />
studioso del costume e collezionista di biancheria<br />
intima che ama autodefinirsi “mutandologo”.<br />
Il reggicalze, nato come un semplice<br />
accessorio, si arricchì di tulle e nastri.<br />
Mentre <strong>la</strong> forma delle gambe <strong>era</strong> sottolineata<br />
e s<strong>la</strong>nciata dal<strong>la</strong> cucitura posteriore<br />
delle calze di seta, un vero oggetto di culto<br />
per le donne dell’epoca. Indispensabili nel<br />
guardaroba delle signore, le calze <strong>era</strong>no però<br />
piuttosto costose e per questo, quando si<br />
smagliavano, venivano riparate dalle rammagliatrici.<br />
Le più economiche costavano<br />
10 lire, più o meno come allora 3 kg di pasta,<br />
le più eleganti 22 lire (circa 18 euro di oggi).<br />
La voce incideva non poco sui bi<strong>la</strong>nci familiari<br />
e per questo «nell’inferno del<strong>la</strong> guerra,<br />
ancor prima che una riserva di calze di seta<br />
fosse assegnata in dotazione ai soldati occupanti<br />
per ottenere facili amori e informazioni,<br />
le signore del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> borghesia accolsero<br />
l’invito geniale di chi mise sul mercato<br />
il necessario per <strong>la</strong> “fintacalza”: una tintura da<br />
spalmare fino alle cosce corredata da una<br />
matita a carboncino, per disegnare lungo il<br />
polpaccio <strong>la</strong> riga» si legge nel libro di Venè.<br />
Biancheria fantasiosa. «Le mutande<br />
da donna <strong>era</strong>no a calzoncino e, negli anni<br />
del consenso, spesso ricamate con motivi che<br />
si ispiravano al regime. C<strong>la</strong>retta Petacci,<br />
▼<br />
Lui, lei<br />
e l’altra<br />
Ricca vestaglia<br />
di raso per lei<br />
ed elegante<br />
gilet per lui. Le<br />
cameriere delle<br />
“famiglie bene”<br />
portavano una<br />
divisa completa<br />
di grembiulino<br />
e crestina.<br />
Un rasoio<br />
per due<br />
La pubblicità<br />
di un rasoio<br />
ne sottolinea<br />
l’utilità anche<br />
per le donne.<br />
Gli uomini <strong>era</strong>no<br />
sempre ben<br />
rasati. Qui lui<br />
indossa una<br />
giacca da casa,<br />
un indumento<br />
allora comune.<br />
Dalle colonie, un indumento<br />
ancora al<strong>la</strong> moda<br />
a giacca<br />
L sahariana, con<br />
il colletto aperto,<br />
le quattro tasche<br />
applicate sul<br />
davanti e <strong>la</strong> cintura<br />
in vita, si presenta<br />
puntuale ogni anno<br />
fra le proposte di<br />
moda per l’estate.<br />
In pochi però sanno<br />
che i primi a<br />
indossar<strong>la</strong> furono<br />
i soldati italiani impegnati<br />
nel<strong>la</strong> guerra<br />
d’Etiopia (v. a pag.<br />
114). La sahariana,<br />
infatti, fu creata<br />
per loro, ma il<br />
successo nel<strong>la</strong><br />
moda quotidiana fu<br />
immediato e passò<br />
i confini nazionali.<br />
Motivo di vanto.<br />
Con orgoglio, i giornali<br />
degli Anni ’30<br />
sottolineavano che<br />
l’italianissimo<br />
modello, simbolo<br />
del<strong>la</strong> nostra<br />
potenza militare e<br />
del nostro buon<br />
gusto, aveva<br />
successo persino<br />
in America, dove<br />
<strong>la</strong> indossavano<br />
giovani, sportivi,<br />
ma anche maturi<br />
uomini d’affari.<br />
I colori più utilizzati<br />
ancora oggi vanno<br />
dal cachi al marroncino,<br />
sfumature<br />
che, non a caso,<br />
chiamiamo genericamente<br />
“coloniali”.<br />
Il trucco femminile <strong>era</strong> allora malvisto: le sopracciglia depi<strong>la</strong>te, per esempio, <strong>era</strong>no consid<strong>era</strong>te pagliacciate<br />
Sfi<strong>la</strong>ta<br />
romana<br />
Cappelli, gonne<br />
al polpaccio e<br />
linee morbide in<br />
una collezione<br />
presentata per<br />
<strong>la</strong> primav<strong>era</strong><br />
del 1931. Sullo<br />
sfondo, l’Arco<br />
di Costantino.<br />
Bellezze al bagno<br />
Un gruppo di ragazze a Imperia, con<br />
abiti a vita bassa e gonne al ginocchio,<br />
tratti tipici del<strong>la</strong> moda degli Anni ’20.<br />
Il carro di un venditore ambu<strong>la</strong>nte di<br />
abiti e accessori, a Roma, nel 1934.<br />
18 LUGLIO 1941<br />
DISPOSIZIONI ALLA STAMPA<br />
Nessun trafiletto e tanto meno nessuna<br />
condanna contro le donne senza calze.
Riccione o<br />
Giappone?<br />
Una bagnante<br />
a Riccione, con<br />
un ombrellino in<br />
stile giapponese,<br />
molto di moda<br />
al<strong>la</strong> fine degli<br />
anni Venti.<br />
▼<br />
Mussolini ordinò che da giornali e riviste sparissero le foto di donne troppo magre<br />
amante del duce, ne aveva un paio con <strong>la</strong><br />
scritta: “Sei stato grande”» riprende Ballinari.<br />
La <strong>sottoveste</strong> non mancava mai. «Nemmeno<br />
le contadine ne facevano a meno. Era<br />
un obbligo igienico, ma anche un indumento<br />
che denunciava inequivocabilmente lo stato<br />
sociale di chi lo portava: di cotone o canapa<br />
per le donne dei ceti più poveri, <strong>era</strong> invece di<br />
seta o raso per le più ricche».<br />
Se si eccettua <strong>la</strong> biancheria intima, negli<br />
Anni ’30 in tutta Europa si nota però una<br />
certa mancanza di fantasia nel<strong>la</strong> moda, dovuta<br />
anche al<strong>la</strong> progressiva austerità. I tessuti,<br />
stampati a fiori o a pois, <strong>era</strong>no per lo più<br />
blu o neri. I soprabiti femminili, dello stesso<br />
colore, <strong>era</strong>no arricchiti da sciarpine, guanti e,<br />
soprattutto <strong>cappellini</strong>. Creati dalle modiste,<br />
e vero orgoglio del<strong>la</strong> donna borghese di quegli<br />
anni (che misurava il suo benessere in<br />
base a quanti ne possedeva), i <strong>cappellini</strong> passarono<br />
di moda nel<strong>la</strong> decade successiva, sostituiti<br />
dal turbante.<br />
I benestanti potevano permettersi un negozio<br />
di sartoria, ma <strong>la</strong> maggior parte degli<br />
abiti veniva confezionata dalle sarte, che <strong>la</strong>voravano<br />
in casa e si occupavano anche di<br />
rammendare, rattoppare e rigirare stoffe e<br />
colletti, per allungare quanto più possibile <strong>la</strong><br />
vita dei vestiti. Le c<strong>la</strong>ssi meno abbienti, infatti,<br />
si arrangiavano con quello che avevano,<br />
ma <strong>era</strong>no disposte a fare qualche sacrificio<br />
per apparire eleganti nei giorni di festa o al-<br />
le cerimonie. Racconta Angelo Limido, un<br />
testimone dell’epoca: «A 18 anni avevo un<br />
solo vestito buono. Lo mettevo <strong>la</strong> domenica<br />
oppure per andare a bal<strong>la</strong>re, o se c’<strong>era</strong> un fun<strong>era</strong>le.<br />
Era uno ed <strong>era</strong> solo quello».<br />
Fra divise e tradizioni.<br />
Col tempo, le imposizioni si<br />
fecero più pressanti. Il regime<br />
caldeggiò il recupero delle<br />
tradizioni, tanto che l’abito<br />
tipico, indossato dalle contadine,<br />
<strong>era</strong> consid<strong>era</strong>to al pari<br />
del<strong>la</strong> divisa fascista. «La moda<br />
cercò di adeguarsi e di<br />
mediare, creando modelli<br />
ispirati ai costumi regionali,<br />
Sotto<br />
i vestiti<br />
La <strong>sottoveste</strong> di<br />
lei, in raso e<br />
pizzo, è quel<strong>la</strong><br />
di una donna<br />
di c<strong>la</strong>sse. Così<br />
come le calze,<br />
ve<strong>la</strong>tissime, in<br />
pura seta. Lui<br />
porta mutandoni<br />
al ginocchio e <strong>la</strong><br />
retina per capelli<br />
del<strong>la</strong> notte.<br />
come le gonne a pieghe sul tipo di quelle toscane,<br />
o i cappelli di paglia decorati con nastri,<br />
frutta e fiori» spiega Alessandra Vaccari,<br />
che si occupa di design all’Università di<br />
Bologna.Verso il 1940, in omaggio alle aree<br />
alpine, si diffuse <strong>la</strong> moda<br />
del loden e delle camicette<br />
con le maniche a palloncino.<br />
Persino in spiaggia,<br />
mentre in Francia si <strong>la</strong>nciavano<br />
i primi due pezzi<br />
e il pareo, si indossavano<br />
costumi con bretelle di<br />
ispirazione tirolese, simbolo<br />
di un’italianità che però<br />
strizzava l’occhio anche al<strong>la</strong><br />
Germania amica. Negli<br />
anni dell’autarchia (v. a pag. 51) l’orbace, tipico<br />
tessuto di <strong>la</strong>na sardo, fu usato per confezionare<br />
gli indumenti invernali. E Achille<br />
Starace, segretario del partito fascista, lo impose<br />
anche per le divise dei g<strong>era</strong>rchi.<br />
Camicie nere e mutande rinforzate.<br />
Per il fascismo, comunque, <strong>la</strong> moda <strong>era</strong> un<br />
campo da <strong>la</strong>sciare alle donne. L’abbigliamento<br />
maschile non seguiva uno stile ben<br />
preciso. Del<strong>la</strong> moda che aveva preceduto il<br />
crollo di Wall Street (1929) rimase soltanto il<br />
gilet, per i più eleganti. Le bombette, le ghette,<br />
i bastoni e le giarrettiere, che negli anni<br />
Venti fissavano le calze sotto il ginocchio,<br />
caddero invece in disuso.<br />
Per gli impiegati <strong>era</strong> d’obbligo <strong>la</strong> cravatta,<br />
consid<strong>era</strong>ta un segno distintivo del proprio<br />
status, visto che op<strong>era</strong>i e contadini <strong>la</strong> indossavano<br />
solo per le feste. Si facevano fare il<br />
nodo direttamente dal commerciante: poi<br />
sfi<strong>la</strong>vano e rimettevano <strong>la</strong> cravatta facendo<strong>la</strong><br />
passare dal<strong>la</strong> testa, giorno dopo giorno.<br />
Per economizzare si poteva comprare <strong>la</strong> cravatta<br />
con il finto nodo, che si al<strong>la</strong>cciava con<br />
un e<strong>la</strong>stico e costava meno perché richiedeva<br />
meno stoffa.<br />
I visi <strong>era</strong>no sempre ben rasati e i capelli<br />
pettinati all’indietro e impomatati. «Deriva<br />
da qui l’uso di mettere i centrini di stoffa a livello<br />
del<strong>la</strong> testa sulle poltrone dei salotti<br />
borghesi: una decorazione già in uso nell’800<br />
che proteggeva dalle macchie di bril<strong>la</strong>ntina»<br />
spiega Danie<strong>la</strong> Casati Fava, costumista.<br />
SAPERNE DI PIÙ<br />
Vestire il<br />
Ventennio,<br />
S. Grandi e A.<br />
Vaccari (Bononia<br />
University Press).<br />
Dai capelli al<strong>la</strong><br />
garçonne al<strong>la</strong><br />
giacca sahariana.<br />
Gli uomini dormivano con <strong>la</strong> camicia da notte<br />
con il colletto basso,“al<strong>la</strong> coreana”, mentre<br />
<strong>la</strong> canotti<strong>era</strong>, bianca o n<strong>era</strong>, <strong>era</strong> un indumento<br />
da giorno. Le mutande a calzoncino,<br />
bianche o al più azzurrine, si allungavano fino<br />
al<strong>la</strong> caviglia in inverno. Non si cambiavano<br />
tutti i giorni, ma alcune avevano un triangolo<br />
di rinforzo che si poteva staccare e <strong>la</strong>vare<br />
a parte. Un modello molto amato da<br />
Mussolini aveva una taschina fod<strong>era</strong>ta di pelo<br />
di coniglio, per scaldare il pene. ❏<br />
Silvia Bragagia<br />
I completi di Greta Garbo e il fondotinta di Rodolfo Valentino<br />
a moda tra le due guerre<br />
L subì il fascino di Hollywood:<br />
i completi di taglio<br />
maschile degli Anni ’20 si<br />
ispiravano a quelli indossati<br />
da Greta Garbo; lo stile<br />
sofisticato delle volpi<br />
argentate e dei lunghi<br />
bocchini <strong>era</strong> invece quello di<br />
Marlene Dietrich. A <strong>la</strong>nciare<br />
il biondo p<strong>la</strong>tino fu Jean<br />
Harlow, attrice morta a soli<br />
26 anni. E a Rodolfo<br />
Valentino si deve il primo<br />
fondotinta: il grease paint,<br />
creato da Max Factor su<br />
richiesta del divo, che voleva<br />
accentuare il suo fascino<br />
mediterraneo con un<br />
incarnato più scuro.<br />
1. Mimmo Di Maggio crea l’acconciatura,<br />
seguito dal<strong>la</strong> giornalista Silvia Bragagia.<br />
2. Sara Ricciardelli, assistente photo<br />
editor, cura gli ultimi ritocchi agli abiti.<br />
3. Stefano Anselmo trucca <strong>la</strong> model<strong>la</strong>;<br />
Cosimo Buccolieri è pronto a scattare.<br />
Dietro le quinte di queste pagine<br />
Il nostro staff al <strong>la</strong>voro. Le foto dei<br />
modelli sono poi state montate su<br />
immagini di interni di case d’epoca.<br />
Bocche rosse. Anche il<br />
rossetto <strong>era</strong> nato per<br />
soddisfare un’esigenza del<br />
cinema, allora in bianco e<br />
nero. Le pellicole infatti non<br />
<strong>era</strong>no abbastanza sensibili e<br />
l’unico modo per evidenziare<br />
i contorni del<strong>la</strong> bocca degli<br />
attori <strong>era</strong> quello di accentuarne<br />
il colore con il rosso.<br />
<strong>Focus</strong> Storia 61