Mauro Caselli, “«Bisogna isolare una cosa perché ... - WebLearn
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<strong>Mauro</strong> <strong>Caselli</strong><br />
”Bisogna <strong>isolare</strong> <strong>una</strong> <strong>cosa</strong> <strong>perché</strong> diventi <strong>una</strong> <strong>cosa</strong> sola”.<br />
Saggio sull’ontologia di Svevo<br />
Dovetti ripetermi, ciò ch'è noioso <strong>perché</strong> si ripete male.<br />
La scrittura di Italo Svevo, nel suo stile piano, si mostra particolarmente aliena dal<br />
coagularsi in frasi isolate, apoftegmi, aforismi, difficile trovare punti ben definiti nei<br />
quali il pensiero possa trovare compiuta dimora. A tutto ciò è forse legata la ben nota<br />
diffidenza di questo scrittore sia nei confronti della speculazione sistematica, di ogni<br />
processo di teorizzazione - la filosofia tradizionalmente intesa - che nei confronti di<br />
tutta quella espressività che opera nell’opacità della parola - in termini, certo generali ed<br />
imprecisi, verso la poesia. Si tratta di quella riluttanza da parte di Svevo verso gli<br />
”istinti predicatori e didascalici” già notata da Montale (1925, 73). Questo assestamento<br />
su di un linguaggio di basso impatto, ad un’attenta analisi appare tutt’altro che<br />
concettualmente neutro, soprattutto se l’opera di questo autore viene posta in relazione<br />
con quel sentimento di crisi di pensiero che, emerso negli ultimi decenni del XIX<br />
secolo, ha condizionato in maniera decisiva la riflessione filosofica successiva, con tale<br />
forza da non avere ancora, ai nostri giorni, esaurito il proprio effetto.<br />
Nello Svevo dei primi due romanzi, Una vita e Senilità, la struttura speculativa è<br />
dominata dalla metafisica, modello radicato di spiegazione del mondo in cui <strong>una</strong> ferma<br />
presenza del soggetto viene posta di fronte ad un mondo da lui nettamente distinto.<br />
L’insuccesso di critica di queste due opere induce Svevo a vietarsi alla letteratura. È<br />
noto che non si tratta di un silenzio totale. Lo scrittore continua in tutti questi anni<br />
saltuariamente a scrivere, ma tanto l’angustia della forma racconto, quanto il bisogno di<br />
catarsi, ne condizionano la qualità espressiva. Sono le opere del cosiddetto periodo di<br />
silenzio, dove non v’è quasi traccia del rivolgimento sostanziale che in quel torno di<br />
tempo avviene effettivamente nell’autore. Infatti, ne La coscienza di Zeno, il terzo<br />
romanzo con il quale Svevo riattiva il proprio rapporto con la letteratura, la forma del<br />
testo appare decisamente cambiata. Essa è ora governata da <strong>una</strong> legge che segue <strong>una</strong><br />
verità plurima, modificabile, molto differente da quella dei due romanzi precedenti.<br />
Tutto ciò è reso possibile dal peculiare, straordinariamente profondo, rapporto di Svevo<br />
con la parola, con la parola in quanto scrittura. Nel suo terzo romanzo, Svevo si mostra<br />
in grado di articolare significativamente quella componente di sfuggimento propria del<br />
segno linguistico, che Jacques Derrida definisce ”forza di dislocazione”, capace di<br />
sommuovere la Setzung metafisica e mantenere l’apertura del linguaggio (Derrida<br />
1997a, 5 – 6; 2002b, 36). Si tratta di <strong>una</strong> tendenza decostruttiva che in questo romanzo<br />
attiva l’espressione attraverso ”l’impossibilità del sistema”, nella spinta cioè di un<br />
superamento che richiama comunque ciò che viene oltrepassato. 1 È paradigmatico qui<br />
1 L’indizio di un’apertura connaturata alla struttura della parola sveviana potrebbe essere visto nella<br />
problematicità di soluzione narrativa dei suoi tre romanzi. Si tratta di un punto nodale, sviluppato ogni<br />
volta differentemente. Il finale di Una vita appare con ogni evidenza affrettato, dove la vicenda precipita<br />
improvvisamente, in pochissimi tratti. In Senilità la misura perfetta è raggiunta, la curva conclusiva segue<br />
senza scarti quella dell’intero romanzo. Con La coscienza di Zeno si dà l’attraversamento di questo<br />
equilibrio, con l’aggiunta fattizia di diverse pagine – si tratta di quasi tutto l’intero ultimo capitolo – ad un<br />
testo che presentava invero di per sé un esito letterariamente soddisfacente.
l’atteggiamento eversivo nei confronti della psicoanalisi il quale, nel suo evitamento,<br />
nella sua critica, mobilizza lo studio nella psiche proprio a partire, e quindi grazie, alla<br />
teorizzazione freudiana.<br />
Si cercheranno ora di indicare quali sono le soluzioni stilistiche che vengono<br />
adottate da Svevo nel procedere sopra indicato.<br />
I. Una delle caratteristiche più evidenti dell’opera di Svevo è il tratto di spaesamento dei<br />
personaggi attorno ai quali si sviluppano le vicende. La figura è sempre fuori contesto,<br />
l’ambiente che lo circonda non gli perviene compiutamente. L’effetto è quello di un<br />
accentuarsi della diastasi fra soggetto e mondo. Non c’è relazione comprensibile fra<br />
l’uomo e il suo contesto, l’abisso è profondo e - in quella che possiamo definire la prima<br />
fase dell’opera di Svevo e che si conclude grosso modo col secolo - il linguaggio non si<br />
presenta nella condizione di superare, di eccepire questa distonia. La manifestazione<br />
forse più superficiale e vistosa di tutto ciò, può essere vista in <strong>una</strong> tematica<br />
apparentemente anodina e pure molto presente in Svevo, quella del tradimento. Esso<br />
viene inteso sostanzialmente come la disattenzione nei confronti di <strong>una</strong> norma di<br />
condotta, come <strong>una</strong> variazione imprevista e non condivisa della rete relazionale, che si<br />
dà in quella zona trascendente tra gli enti, in quel ”non luogo” che li separa. Da qui<br />
nelle pagine sveviane la presenza sovrabbondante, di peso non puramente fenomenico,<br />
del tema dell’adulterio:<br />
Non solo ti tradisco ma ti tradisco con la tua sarta. Tu non ti degnasti di<br />
guardare ma ti degni di condannare, di uccidere. Oh! Avessi tu guardato!<br />
Avresti visto che quella donna non era e non poteva essere la tua sarta. Né<br />
magra, né alta, né elegante. Un piccolo elefante. E non bionda… (La verità,<br />
Svevo 2004c, 386)<br />
In Svevo tutto questo si compone ontologicamente in <strong>una</strong> tensione fra qualità<br />
differenti, senza che l’intervento di <strong>una</strong> qualche misura consenta il passaggio da un<br />
elemento all’altro. Il suo è un mondo composito, un mosaico, dove il fenomeno<br />
relazionale si configura come soluzione aporetica, inspiegata, della continuità, come<br />
attraversamento inopinato.<br />
II. Nel primo romanzo di Svevo, Una vita, la linea di separazione tra gli enti è molto<br />
pronunciata. Lo sviluppo della vicenda va a compiersi in linea con le conseguenze di un<br />
autismo esistenziale, con l’invalicabilità della divisione. In Senilità il fronte si fa<br />
interno, e va a segnare <strong>una</strong> partizione nel soggetto stesso. Il passaggio da un ente<br />
all’altro è più agevole che nel romanzo precedente, ed anzi viene a porsi come il tema<br />
speculativo della vicenda. 2 In questo romanzo i collegamenti fra autore ed opera<br />
risultano più profondi, il vissuto penetra nella pagina e va a decantarsi lungo le linee di<br />
confine tra gli enti, formando un certo chiaroscuro del senso che va a stemperare la<br />
freddezza della prospettiva quantizzante.<br />
Nella prima fase dell’opera di Svevo, l’uomo si pone quindi come soggetto e<br />
oggetto di <strong>una</strong> impossibilia, dove gli estremi vengono posti in <strong>una</strong> coniugazione tensiva,<br />
e in cui dissidio e distanza, differenza e assenza divengono poli di un dinamismo<br />
esistenziale omeostatico. Da un punto di vista speculativo, il rapporto tra essere e<br />
significato perde la sua ovvietà e si mostra piuttosto come il manifestarsi di <strong>una</strong><br />
2 A questo proposito, forse è l’esatta sovrapposizione di struttura espressiva e senso comune che ha<br />
potuto spingere la critica più avveduta nel vedere in questo testo <strong>una</strong> certa perfezione formale.
situazione liminare, l’indicazione di <strong>una</strong> distanza nella quale, con Nietzsche, si può<br />
identificare l’epicentro di un certo pathos (Nietzsche 1992, 112). Il termine ”malattia”<br />
viene impiegato dall’autore - in maniera invero alquanto incostante e con eccesso di<br />
simbolismo - proprio per definire questa situazione di impasse ontologica, determinata<br />
dall’incapacità di risolvere la separazione degli enti, dalla conseguente reclusione in sé<br />
del soggetto.<br />
III. Nella scrittura, questa percezione desultoria della realtà assume rilievo ontologico<br />
per un’attenzione verso l’imminenza, intesa nel suo significato relazionale - che tiene<br />
insieme e collega le cose. Ciò che importa è pertanto lo spazio interstiziale e il suo<br />
superamento, <strong>perché</strong> ”la vita non può essere che sforzo, risentimento e attesa di gioia!”<br />
(Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 505). Questo luogo è ”interesse” - ciò che<br />
sta in mezzo - che separa e allo stesso tempo unisce forma e contenuto, ad un livello più<br />
concreto, ciò che consente la relazionalità dei qualia. Se è vero che ”tante cose a questo<br />
mondo accumulandosi mutano d’aspetto” (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b,<br />
589) è qui che si mostra ciò che può essere considerata la trascendenza di Svevo, che si<br />
espone come mistero, come <strong>una</strong> forma resistente di inconoscibilità determinante. Da<br />
tutto questo procede l’attenzione per la parola, intesa come ente tra gli enti del mondo,<br />
”avvenimento che si riallaccia agli avvenimenti” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a,<br />
987), ”l’esperienza stessa della possibilità (impossibile) dell’impossibile” (Derrida<br />
2005, 137), come scrive Derrida, per la capacità illocutiva che la lega al referente e la<br />
mobilità del senso che questo spazio consente, all’origine d’ogni fenomeno di<br />
connotazione.<br />
In seno a tale dinamica ha buon aggio la deviazione della componente dialettale<br />
nella lingua di Svevo, tema critico importante e che certo inopport<strong>una</strong>mente ha tanto<br />
angustiato l’autore. 3 Tuttavia, se alla consapevolezza di <strong>una</strong> reale possibilità di<br />
rivelazione del linguaggio nel mondo, del suo ingombro, Svevo giunge subito, devono<br />
passare degli anni <strong>perché</strong> egli sia in grado di padroneggiare la potenzialità eversiva che<br />
vi si collega.<br />
Nell’onomastica di Svevo si segnala il movimento di cui si è detto. A ragione,<br />
Roland Barthes sostiene che ”il nome proprio è un nome che rinvia all’incomparabile”<br />
(2002, 142). In Svevo è significativo che si verifichi <strong>una</strong> tendenza contraria, in direzione<br />
della contestualizzazione. Basti pensare ai collegamenti che in questo modo vengono<br />
costruiti fra alcuni personaggi (Emilio e Amalia), fra un nome e un specifico ruolo<br />
(Angiolina, Samigli, Achille, Bianca), o i casi di omonimia tra personaggi di differenti<br />
opere, per non citare tutto il complesso lavorio di dissimulazione dell’autore nei propri<br />
personaggi. Ma certo questa erotica della distanza fra nome proprio e mondo in Svevo è<br />
maggiormente visibile nell’uso dello pseudonimo, su cui non è necessario soffermarsi,<br />
data l’evidenza. 4<br />
IV. Nella pagina del primo periodo il senso ineffabile, la trascendenza immanente<br />
costituita dalla distinzione degli enti, viene resa da Svevo attraverso un uso inflativo<br />
3 “Il romanzo raggiunge la pienezza della propria coscienza creatrice solo nelle condizioni di un<br />
plurilinguismo attivo”. (Bachtin 1979, 431). Montale, per questo, parla di “imperfezione positiva”<br />
(Montale 1961, 2513). Da parte sua, per questa scrittura, Giacomo Debenedetti parla di “un utensile<br />
efficace, per quanto inelegante”.<br />
4 Va ricordato che il nom de plume Italo Svevo fu preceduto da Erode, Ettore Samigli, Ettore Muranese.<br />
Jean Starobinski scrive che scegliere uno pseudonimo al posto del nome anagrafico “equivale<br />
all’assassinio del padre ed è la forma meno crudele dell’uccisione in effigie” (Starobinski 1975, 161).
della negazione. I linguisti Chaïm Perelman e Lucie Olbrecths-Tyteca ne hanno<br />
sottolineato la funzione argomentativa, dialettica (2001, 163). L’impiego che il nostro<br />
autore fa di essa, si mostra funzionale a quella percezione del mondo di cui si è detto. Il<br />
suo è un tentativo di superamento dell’espressione antitetica, in cui <strong>una</strong> buona parte<br />
della forza significativa viene assorbita dalla contrapposizione. Ben lontana dalla teoresi<br />
hegeliana, la negazione pare qui avvertire la funzione devastante che presenta in<br />
Nietzsche, il quale individua il punto in cui essa diviene permutabile con il suo<br />
contrario, con l’affermazione, delineando così - ma in Svevo rimanendone al di qua -<br />
l’orizzonte mobile e paradossale del nichilismo.<br />
Il compito della negazione in Svevo è quindi di indebolire l’affermazione, in un<br />
costante formarsi d’<strong>una</strong> distinzione, di un’obiezione al senso alternativa all’antitesi.<br />
Ecco alcuni esempi, desunti da un elenco molto ampio:<br />
Non s'era ancora risolto per uno o l'altro motivo di cui avrebbe potuto<br />
indicare parecchi, ma nessuno tanto verosimile da venir creduto senza<br />
esitazioni. (Una vita, Svevo 2004a, 247 - 8)<br />
Non era il dolore per la morte della madre che lo faceva barcollare e che gli<br />
offuscava la vista. Egli non vedeva dinanzi a sé il volto della defunta ora<br />
illividito, o non richiamava alla mente la voce che non doveva udire più mai,<br />
o il gesto che tanto spesso era stato affettuoso per lui. (L’assassinio di via<br />
Belpoggio, Svevo 2004b, 43)<br />
ed infatti egli non aveva creduto in ness<strong>una</strong> delle felicità che gli erano state<br />
offerte; non ci aveva creduto e veramente non aveva mai cercato la felicità.<br />
(Senilità, Svevo 2004a, 502)<br />
Verrà il momento in cui egli non ci sarà ed allora non gl’importerà come non<br />
gl’importa mai quando non c’è. (Argo e il suo padrone, Svevo 2004b, 106)<br />
Non si era né buoni né cattivi come non si era tante altre cose ancora. (La<br />
coscienza di Zeno, Svevo, 2004a, 976)<br />
La miglior prova ch’io non ho avuta quella malattia risulta dal fatto che non<br />
ne sono guarito. (La coscienza di Zeno, 2004a, 1049)<br />
Avevo detto di stimare mia moglie, ma non avevo mica ancora detto di non<br />
amarla. Non avevo detto che mi piacesse, ma neppure che non potesse<br />
piacermi. (La coscienza di Zeno, 2004a, 836 - 837)<br />
Tuttavia non seppe cambiar discorso e non solo <strong>perché</strong> i vecchi sono un po'<br />
come i coccodrilli che non cambiano facilmente direzione, ma anche <strong>perché</strong><br />
oramai con la giovinetta egli non aveva che un legame. In fondo piú di uno<br />
con lei non aveva mai avuto, solo che non era piú lo stesso. (La novella del<br />
buon vecchio e della bella fanciulla, Svevo 2004b, 477)<br />
Il ladro poteva essere preso in flagrante, ma non c'era <strong>una</strong> prova così<br />
risolutiva per il non ladro. Era come la prova Wassermann. La negativa non<br />
era mai sicura. 5 (Corto viaggio sentimentale Svevo 2004b, 543)<br />
5 A questo proposito, la prova Wassermann non è un test della verità come qualche critico l’ha definita,<br />
ma un test per l’identificazione del morbo della sifilide.
Come si vede, si tratta di un modello argomentativo distribuito lungo l’intera opera di<br />
Svevo. 6 È il fulcro d’<strong>una</strong> negazione senza replica, un rapporto fondato sulla qualità.<br />
Quella di questo autore si pone infatti come l’attivazione di un movimento differenziale<br />
rispetto alla Aufhebung hegeliana, che agisce su quella stessa speculazione e la<br />
modifica, in ciò per nulla distinguendosi dalla différance di Jacques Derrida. D’altro<br />
canto, l’opera di Svevo è orientata su ciò che può essere definito come il resto della<br />
misura hegeliana, per il quale l’Anerkennung, il riconoscimento, rimane sempre al di là<br />
del compimento, e proprio per questo importa, per questa funzione di apertura. 7 Dando<br />
un più ampio respiro alla questione, questa peculiarità di negazione consente di porre<br />
Svevo all’interno di quel movimento di pensiero che nei primi decenni del secolo si era<br />
assunto un compito che a buon diritto può essere definito epocale. Definita, con<br />
Nietzsche, la morte di dio, accertata la porosità del senso della metafisica, che da<br />
Platone in poi aveva dettato i fondamenti dell’esistenza, il compito è ora quello di<br />
rintracciare le articolazioni esistenziali di questo nuovo scenario, indicare le linee di<br />
svezzamento dai vecchi valori. Martin Heidegger è il filosofo che affronta la questione<br />
nella maniera più convincente. 8 E proprio con questo pensatore, la componente<br />
speculativa dell’opera di Svevo mostra sensibili analogie. Basti pensare all’idea,<br />
fondativa del pensiero del filosofo, di ”differenza ontologica”, per cui l’essere non è<br />
l’ente e può apparire solo nella forma della negazione. Più nei particolari, quella<br />
negazione non relazionata, che si è visto stabilirsi come sostrato della sua visione del<br />
mondo, si trova declinata in maniera decisiva in Heidegger, nella sua idea del Dasein,<br />
dell’esserci, come privo di fondamento, come Ab-grund (Heidegger 1952, 77). Anche la<br />
posizione particolare del linguaggio per Svevo, quel suo porsi come ente di rivelazione,<br />
trova rispondenza nel filosofo tedesco, per il quale esso è ”un utilizzabile ontico (...) che<br />
manifesta la struttura ontologica dell’utilizzabilità” (Heidegger 1969, 159).<br />
Determinante per entrambi è il tema del raccoglimento, la sospensione dell’assenso agli<br />
interessi intramondani in funzione di recupero rispetto a quella parcellizzazione degli<br />
enti di cui si è detto, in un movimento di com-prensione, in cui l’ascoltare diventa<br />
essenziale quanto il parlare, tema quest’ultimo dell’Erörterung heideggeriana<br />
(Heidegger 2010). Il raccoglimento, inteso come Versammlung, è, in questo filosofo,<br />
peculiare della memoria – secondo il quale è “il raccogliersi del pensiero” (Heidegger,<br />
1996, 37) - ma soprattutto del logos. 9 Similmente accade in Svevo, per il quale è<br />
fortemente sentita l’importanza di ciò che Heidegger chiama la Zusammengehörigkeit,<br />
6 In realtà, a partire da un uso molto frequente della negazione, si nota <strong>una</strong> sua sensibile diminuzione già<br />
con Senilità, con un suo netto recupero nelle opere prossime alla Coscienza. Va ricordato che in queste<br />
domina la narrazione in prima persona, con <strong>una</strong> lingua più vicina al parlato, più predisposta ad accogliere<br />
le modalità di manifestazione indiretta della realtà.<br />
7 È qui opinione che l’interese di Svevo per il pensiero di Schopenhauer vada essere visto anche come<br />
presa di distanza - nella forma di <strong>una</strong> Verwindung - da quella struttura speculativa a forma chiusa<br />
costituita dalla dialettica hegeliana, che aveva decisamente condizionato la cultura ottocentesca, ed anche<br />
oltre. Del resto, Fabio Vittorini osserva che “la Coscienza sembra fornire <strong>una</strong> personalissima versione<br />
della dialettica signore-servo teorizzata da Hegel” (Svevo 2004a, 1571).<br />
8 Va ricordato che si tratta di un impulso di uscita che prima di Heidegger era stato del suo maestro,<br />
Edmund Husserl, nei due movimenti di Abbau e Aufbau del suo lavoro fenomenologico. Derrida ne<br />
riconosce la fondamentale importanza in (2004a, 89 – 90 ; 2002c, 199 – 218).<br />
9 Si veda (Derrida 2010). Il filosofo francese qui in realtà non risolve chiaramente l’opposizione tra la sua<br />
idea del pensiero come dispersione e la Versammlung heideggeriana.
l'appartenenza di cose diverse ad uno stesso ambito, elaborato nella considerazione del<br />
rapporto tra identità e differenza (Heidegger 2009).<br />
La permanenza di questa struttura diviene chiara se si considerano le due<br />
redazioni di Senilità. Il romanzo, pubblicato nel 1898, nel 1926 viene riveduto da Svevo<br />
in vista di <strong>una</strong> nuova edizione, realizzata l’anno successivo. Nonostante l’autore parli di<br />
”qualche ritocco meramente formale”, l’emendamento in realtà è piuttosto importante,<br />
pur non andando ad intaccare il tessuto espressivo di fondo. Per i dati che qui<br />
interessano, conta rilevare come l’intervento sia da considerarsi tuttavia trascurabile. Le<br />
costruzioni negative vengono solo leggermente ridotte, e i casi di emendamento in esse<br />
riguardano la variazione del verbo ausiliare – Svevo impiega di preferenza ”avere” - e<br />
della declinazione dall’indicativo al congiuntivo (Cernecca 1961). È significativo che<br />
Svevo mantenga invariate quelle strutture che si costituiscono nelle sue pagine quale<br />
significante ontologico. Tutto ciò, inoltre, avvalora l’idea di chi vede nell’italiano di<br />
Svevo un caso psicologico, più che letterario, dove la maturazione della lingua non<br />
avviene attraverso <strong>una</strong> militanza letteraria, ma sia piuttosto un prodotto esistenziale<br />
(Luti 1961).<br />
Oltre al diniego assoluto di questa negazione, privo di alternativa, la scrittura<br />
sveviana trova <strong>una</strong> sua articolazione importante in un movimento del senso, meno<br />
rilevante ma comunque significativo, imperniato sull’effetto straniante degli avversativi:<br />
L'altro fu gentile ma distrattamente. (Una vita, Svevo 2004a, 310)<br />
Rideva molto, ma ubbidiva. (Senilità, Svevo 2004a, 450)<br />
Non era più abbandonata senza parole; era vilipesa. Ma la forza non era fatta<br />
per lei, e durò poco. Emilio giurò: il Balli non gli aveva mai parlato di<br />
Amalia in modo da far capire che credesse d'esserne amato. Ella non gli<br />
credette, ma il debolissimo dubbio ch'egli le aveva messo nell'animo le tolse<br />
la forza, e si mise a piangere: - Perché non viene più in casa nostra?<br />
(Senilità, Svevo 2004a, 516)<br />
A livello di contenuto, la percezione del mondo sveviana salta all’evidenza nelle<br />
sue considerazioni estetiche:<br />
Aveva quattordici anni, ma la sua carne abbondante bianca e rosea da<br />
bambino e la statura bassotta gli davano l'aspetto di decenne appena. (Una<br />
vita, Svevo 2004a, 13)<br />
lo si diceva cinquantenne, ma, con la sua figura magra e slanciata, la pelle<br />
asciutta e senza rughe, non mostrava di avere più di trent'anni. (Una vita,<br />
Svevo 2004a, 64)<br />
di qualche anno più giovane di lui, ma più vecchia per carattere o forse per<br />
destino. (Senilità, Svevo 2004a, 403)<br />
mi ripugnava con quel suo aspetto da vecchia e gli occhi giovanili e mobili<br />
come quelli di tutti gli animali deboli. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a,<br />
645)
In questo autore, il senso del bello, il sorprendente nell’aspetto,<br />
scaturisce attraverso la catalisi di un elemento scoordinante, Unheimlich - ciò<br />
che ”copre e altera la forma“ (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 804) -<br />
percepito non tanto nelle sue caratteristiche proprie, quanto per la relazione che<br />
instaura con l’ambiente che lo contiene, in <strong>una</strong> misura del rapporto fra<br />
l’oggetto e il contesto, nella ricerca della sua delineazione.<br />
l'originalità di quella figura e la sua bellezza erano precisamente formate da<br />
ciò ch'egli aveva qualificato per difetti. (Una vita, Svevo 2004a, 123)<br />
e tale percezione è resa possibile dalla visione parcellizzata del reale di cui si è<br />
parlato:<br />
La donna a me non piaceva intera, ma... a pezzi! (La coscienza di Zeno,<br />
Svevo 2004a, 638)<br />
Si tratta di un procedimento che, seguendo Derrida, può essere definito “per innesto”, di<br />
disseminazione, dove un elemento disarticolato viene messo in condizione di modificare<br />
il contesto (Derrida 1989a).<br />
È proprio questa componente merologica - declinazione ontologica di quel tratto<br />
peculiare della triestinità che Claudio Magris e Claudio Ara hanno riassunto nel termine<br />
nebeneinander (1984) - che sta alla base della visione del mondo sconnesso di Svevo, e<br />
che induce all’uso della negazione intransitiva come forma primaria di espressione.<br />
V. Nei suoi primi due romanzi, Svevo stilisticamente segue un impianto in cui la parola<br />
scorre nella stessa direzione del mondo, e la sua funzione si limita alla resa passiva della<br />
”differenza ontica”, dell’infrazione endemica dell’insieme:<br />
Io e le cose e le persone che mi circondano siamo il vero presente (Il mio<br />
ozio, Svevo, 2004a, 1197).<br />
È <strong>una</strong> specie, se si vuole, di naturalismo trasversale, questo, che accorda mondo e<br />
parola a livello formale. Ma si tratta di un tempo presente già indebolito da <strong>una</strong><br />
tendenza protenzionale e insieme ritenzionale, tendente all’uscita dalla pura<br />
soggettività, a beneficio dell’idea di ulteriorità implicita nell’ex-sistere, nello star<br />
fuori. 10<br />
Senilità - che raffina lo stile di Una vita, in direzione di <strong>una</strong> maggiore pulizia<br />
strutturale – si orienta quindi verso il superamento della neutra narratività ottocentesca,<br />
attestandosi però al compimento di quel modello. Ma la scarsa, quasi inesistente,<br />
attenzione del mondo letterario per la sua opera, induce Svevo ad <strong>una</strong> scelta importante,<br />
quella di interrompere l’attività letteraria. Passano poco più di vent’anni di relativo<br />
silenzio, in cui l’autore torna a più riprese a scrivere, ma con un’intenzione di corto<br />
10 Svevo fra scrivere a Zeno di sua moglie, Augusta: “il presente per lei era <strong>una</strong> verità tangibile in cui si<br />
poteva segregarsi e starci caldi” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 787). E poi anche: “il tempo, per<br />
me, non è quella <strong>cosa</strong> impensabile che non s'arresta mai. Da me, solo da me, ritorna.” (La coscienza di<br />
Zeno, Svevo 2004a, 635).
espiro, che rende gli esiti solo in parte significativi. 11 Tuttavia non è questo un periodo<br />
che passa invano, <strong>perché</strong> in quella quiete viene a maturazione in Svevo ciò che nelle<br />
opere precedenti si era fermato al solo annuncio. Con La coscienza di Zeno, con il quale<br />
lo scrittore torna alla propria intonazione letteraria tipica, si dà la risoluzione. Le parole<br />
diventano il luogo del loro effetto, l’evidenza del confine, il mezzo e il messaggio, - per<br />
sua natura traditore - della discrezione del reale. Uno dei temi dominanti del romanzo, la<br />
psicoanalisi, che all’apparenza funge da schema di contrasto, in realtà rappresenta<br />
l’occasione di riportare allo scoperto il rapporto problematico fra la teoria e il bios, ciò<br />
che Svevo chiama la ”vita orrida vera” (Le confessioni del vegliardo, Svevo 2004a<br />
1116). Zeno, il protagonista del romanzo, è il soggetto che “si sa composto”, ed è con<br />
questa consapevolezza che elabora la propria coscienza. Anche tra autore ed opera si<br />
gioca con l’effetto di promiscuità, eppure mai si avverte nella pagina <strong>una</strong> catarsi, mai lo<br />
Svevo si riduce all’idioletto. L’importanza della Coscienza, la sua permanente vitalità,<br />
sta in questa ”imminenza” della parola letteraria sul mondo, in uno sbilanciamento della<br />
compostezza di Senilità ai fini d’un affondo nel piano del referente. Il linguaggio non si<br />
limita più a descrivere i chiaroscuri, le forti opposizioni che hanno contrassegnato il<br />
gusto culturale del secolo precedente, ma anzi abbandona il ruolo di semplice medium<br />
per farsi parte in causa. La scrittura viene qui a porsi in un deciso tentativo di oltranza,<br />
di superare l’assoluta alterità nel mondo, la paradossalità d’essere nella verità solo fra<br />
sconosciuti - come scrive lo stesso Svevo (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b<br />
526). La parola si rapporta ora al referente in maniera differenziale, con un movimento<br />
di scarto che è declinazione sveviana dello Schritt zurück heideggeriano (Heidegger<br />
2009, 64). Si riduce così l’imminenza trascendente della negazione e compare un<br />
elaborato impiego delle figure del discorso, al fine di attraversare la vertenza tra gli enti<br />
e dare effetto alla loro relazione. Si tratta di modelli spontanei, legati prevalentemente al<br />
parlato, ma consaputi nella loro potenzialità espressiva.<br />
Ciò che più importa sottolineare di questa nuova modalità in Svevo è che si<br />
tratta sostanzialmente dell’impiego di figure di ripetizione. Gabriel Tarde, intellettuale<br />
di ampio respiro vissuto al tempo di Svevo, scrive che la ripetizione<br />
È un procedimento di stile ben altrimenti energico e meno faticoso<br />
dell’antitesi, ed anche più adatto ad innovare il soggetto (Tarde 1897, 69).<br />
La ripetizione può essere vista, in effetti, come il fenomeno differenziale<br />
minimo, ed anzi fondativo, laddove l’opposizione diviene il movimento della differenza<br />
più completa, come scrive Gilles Deleuze (1997). 12 Certo, a questo discorso non sono<br />
estranee le considerazioni di Freud sulla coazione a ripetere quale carattere generale<br />
delle pulsioni che, nelle sue elaborazioni iniziali, potevano essere in qualche misura<br />
note a Svevo (Freud 1975). Con la ripetizione ci si situa all’origine del movimento di<br />
11 La tracciatura di questo sviluppo attribuisce secondaria importanza alle opere composte durante il<br />
“periodo di latenza” in Svevo. A differenza dell’analisi psicanalitica, l’indagine ontologica è orientata allo<br />
studio del lavorio cosciente dell’autore, nella sua contesa con il principio di realtà, in cui lo sforzo<br />
espressivo viene sottoposto alla legge della forma. Elio Gioanola ha giustamente sottolineato il tenore<br />
catartico, libero da costrizioni, della produzione sveviana del periodo in questione (1979). In effetti, la<br />
confessione non coordinata da <strong>una</strong> prospettiva di fruizione pubblica, induce la pagina al farsi più<br />
inventiva, più variegata, ma alla fin fine anche confusa, risultato di spinte pulsionali, piuttosto che di <strong>una</strong><br />
loro consapevole “messa in forma” letteraria.<br />
12 Anche Eduardo Saccone ha posto in relazione Svevo e Deleuze, ma su un altro piano, accostando il<br />
movimento di differenza e ripetizione di questi al gioco sveviano di verità e menzogna (Saccone 1973).
pensiero, nel carattere ricorsivo della parola che si manifesta concettualmente. A livello<br />
di contenuto, la ripetizione inerisce al tema della memoria, che in Svevo assume<br />
importanza crescente nel tempo. Ne La coscienza di Zeno, il suo porsi come<br />
autobiografia, come rimemorazione di sé, ricalca l’idea di scrittura come ripetizione, ma<br />
anche come differenza, come lavorio espressivo in absentia (Derrida 2002d). Sempre<br />
Derrida osserva opport<strong>una</strong>mente che iterazione deriva da iter, ”nuovamente”, ma anche<br />
dal sanscrito itara, che sta per “altro” (1997b, 403 – 404).<br />
La pagina di Svevo segue questa traccia e, ponendosi nella prospettiva<br />
dell’espressione, declina la ripetizione come forma minima negativa. Essa va inoltre ad<br />
assumere qui anche il ruolo di assorbire la componente di trascendenza che prima aveva<br />
espresso lo iato ontologico fra gli enti. 13<br />
Anche l’ironia di Svevo può essere collegata al fenomeno di reiterazione, <strong>perché</strong><br />
la ripetizione appartiene allo humor e all’ironia; essa è per sua natura<br />
trasgressione, eccezione, poiché esibisce sempre <strong>una</strong> singolarità contro i<br />
particolari sottomessi alla legge, un universale contro le generalità che fanno<br />
legge (Deleuze 1997, 12). 14<br />
Svevo quindi ora procede verso <strong>una</strong> contesa con il reale attuata attraverso lo<br />
stemperarsi della contesa stessa. Come accennato, in lui il discorso rimane al di qua di<br />
ogni consapevolezza concettuale, e la sua rimane <strong>una</strong> ripetizione “vestita”, elaborata<br />
attraverso un uso irriflesso delle forme retoriche.<br />
Anafora:<br />
assentí alla prima malsicura promessa, assentí riconoscente alla seconda e<br />
assentí anche al mio terzo proposito, sempre sorridendo. (La coscienza di<br />
Zeno, Svevo 2004a, 824).<br />
Epifora:<br />
Avevo perduto un momento favorevole e sapevo benissimo che certe donne<br />
ne hanno per <strong>una</strong> volta sola. A me sarebbe bastata quella sola volta. (La<br />
coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 904).<br />
Il vecchio sorrise, con un poco d'amarezza, ma sorrise (La novella del buon<br />
vecchio (…), Svevo 2004b, 479).<br />
Epanadiplosi:<br />
Il vino preso come cura era già di troppo o volevo oramai tutt'altro vino. (La<br />
coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 870)<br />
13 Si ricorda ancora Deleuze, quando scrive che “se la ripetizione è possibile essa inerisce al miracolo<br />
piuttosto che alla legge” (Deleuze 1997, 9).<br />
14 Riguardo alla scrittura, va ricordato che “l’origine di <strong>una</strong> sequenza non è l’osservazione della realtà,<br />
ma la necessità di variare e di superare la prima forma che si sia presentata all’uomo, cioè la ripetizione”<br />
(Barthes, 1991, 121 - 122). A ciò va aggiunto quanto scrive Eduardo Saccone, il quale sottolinea che per<br />
Svevo “l’arte, la letteratura sembra consistere non in <strong>una</strong> imitazione o un’invenzione, ma in <strong>una</strong><br />
ripetizione” (Saccone, 38).
Anadiplosi:<br />
Io rimasi apparentemente lieto anche quando la malattia mi riprese intero.<br />
Lieto come se il mio dolore fosse stato sentito da me quale un solletico. (La<br />
coscienza di Zeno, Svevo 2004a,790).<br />
Epanadiplosi e anadiplosi:<br />
Avevo presa e violentemente abbandonata per ben due volte <strong>una</strong> donna ed<br />
ero ritornato due volte a mia moglie per rinnegare anche lei per due volte.<br />
(La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 861).<br />
Polittoto:<br />
Quando si muore si ha ben altro da fare che di pensare alla morte. (La<br />
coscienza di Zeno, cit., p. 678).<br />
Epanortosi:<br />
Io sapevo, io credevo di sapere. (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 726).<br />
Antimetabole:<br />
La parola aveva rilevato l'atto e l'atto la parola. (La coscienza di Zeno, Svevo<br />
2004a, 866).<br />
Sillessi:<br />
Mio padre, a quell'ora, era piú vicino alla morte che a me. (La coscienza di<br />
Zeno, Svevo 2004a, 667).<br />
È chiaro che un eccesso di anni è piú pericoloso che un eccesso di vino, di<br />
cibo e anche di amore (La novella del buon vecchio (…), Svevo 2004b, 457).<br />
Polittoto e antitesi:<br />
Per la brutta fanciulla che m'amava, avevo tutto il disdegno che non<br />
ammettevo avesse per me la sua bella sorella, che io amavo. (La coscienza di<br />
Zeno, Svevo 2004a, 724).<br />
L’”indirezione” del discorso negativo viene mantenuta e il suo impiego si fa più<br />
raffinato:<br />
A me pareva doloroso, ma molto logico. Perciò non protestai, ma finsi di<br />
non sentire. (Vino generoso, Svevo 2004b, 143).<br />
Egli credeva d'essere un uomo che desiderava tante cose non permesse e che<br />
- visto che non erano permesse - le proibiva a se stesso, lasciandone però<br />
vivere intatto il desiderio. Egli poi non ne parlava neppure e stava facendo<br />
delle asserzioni che dovevano celare meglio - negandoli - quei desiderii.<br />
(Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 549 -550).<br />
Verrà il momento in cui egli non ci sarà ed allora non gl'importerà come non<br />
gl'importa mai quando non c'è. (Argo e il suo padrone, Svevo 2004b, 106)<br />
Da me la virtù non fu grande, ma il desiderio ne fu eccessivo. (Confessioni<br />
del vegliardo 2004a, 1147)<br />
Ciò che pare porsi al centro dell’interesse di Svevo è ora <strong>una</strong> produzione di
senso intesa eminentemente come transazione di fase, come movimento di discontinuità.<br />
È questo che, ad esempio, fornisce il fondale di molte scene sveviane, dove a un interno<br />
immobile, anche doloroso, si contrappone un mondo che fuori continua ad essere vitale,<br />
se non proprio festoso – come nelle ben note scene d’agonia. È anche ciò che dà<br />
particolare risalto ai passaggi dal sonno alla veglia, dalla fantasticheria alla realtà di<br />
molti personaggi, e che giustifica la frequente riflessione sul rapporto fra parole e cose.<br />
E, a ben pensare, lo stesso interesse per la psicanalisi può rientrare in questa attenzione<br />
per la comunicazione tra sistemi chiusi, da parte di Svevo.<br />
Da un punto di vista ontologico, l’attenzione è ancora rivolta al bordo, al limite.<br />
Essa però ora diviene manifestazione dell’aporia, vale a dire di un’impossibilità di<br />
passaggio che è condizione stessa di quel movimento. Emerge pertanto in Svevo la<br />
situazione derridiana di double bind, che compare non tanto come tensione antitetica fra<br />
due opposti, quanto come loro compresenza, se non proprio complicità. Attraverso un<br />
significato, Svevo allude ad un altro, il che ha come effetto quello di attivare entrambi.<br />
Conta il movimento, la considerazione di un passaggio, di <strong>una</strong> transazione qualitativa, e<br />
quindi la statuizione di quel luogo paradossale che è il confine. Il vuoto, la mancata<br />
trasmissione di senso, lascia il posto ad un’azione non oppositiva, quanto piuttosto di<br />
temperamento. È questa la base su cui poggia la tonalità ironica di Svevo, molto<br />
presente nelle ultime opere. La quale può essere vista come un’eversione misurata, un<br />
movimento che prende la strada del nichilismo per attestarsi però alla decostruzione.<br />
Con il padroneggiamento del piano inclinato costituito dall’ironia, la “doppiezza” di<br />
Svevo si trasforma in atteggiamento idiorritmico, in un rapporto paradossale con la<br />
propria opera, di distanziamento e al contempo di prossimità, distacco ed adesione, che<br />
consente di mantenere la tensione d’indecidibilità fra due posizioni. In Svevo il cerchio<br />
del reale viene così a chiudersi proprio grazie al lavoro di creazione letteraria, grazie<br />
alla “possibilità esistentiva” che la scrittura presenta per lui, e che egli stesso identifica<br />
nel simulacro della letteraturizzazione.<br />
VI. Nell’ironia - si ricorda che in essa György Lukács vede il principio formale del<br />
romanzo tout court - si può evidenziare come il linguaggio contenga già in sé <strong>una</strong> certa<br />
teatralità, <strong>una</strong> finzionalità scoperta, atta a veicolare un senso intenzionalmente<br />
malcelato 15 .<br />
non potevo lasciare la città quando non ero ancora certo che nessuno sarebbe<br />
venuto a cercarmi. Quale sventura se fossero venuti e non m'avessero<br />
trovato! (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 728)<br />
Del resto si tratta di un effetto, come è già stato detto, che viene ad esaltarsi<br />
nell’oralità, nella pronuntiatio (Lausberg 2001, 107), 16 che agisce a livello relazionale<br />
15 Alla luce di tutto ciò andrebbe indagato il motivo per il quale il teatro di Svevo non sia stato<br />
in grado di raggiungere il livello delle opere narrative. Va anche ricordato che per un esploratore<br />
dell’io come Svevo il fatto che “solo la scrittura è in grado di raccogliere l’estrema soggettività,<br />
in quanto nella scrittura si trova l’accordo tra l’indiretto dell’espressione e la verità del<br />
soggetto” (Barthes 2002, 178). Del resto, in Svevo è possibile rilevare finanche <strong>una</strong> distanza<br />
ontologica dal teatro. In quanto espressione peculiare della phoné, seguendo Derrida (1989),<br />
esso risulta maggiormente legato alla Vorhandenheit heideggeriana, espressione del<br />
logocentrismo, e quindi da quella metafisica da cui Svevo si avvia a prendere congedo.<br />
16 Va detto che nel teatro di Svevo questo particolare uso della negazione è poco presente.
dell’implicito (Anolli, Ciceri, Giaele Infantino 1999, 97). Anche questa è <strong>una</strong><br />
caratteristica presente sin dai primi lavori in Svevo, e che nel tempo viene ad assumere<br />
sempre più importanza:<br />
usciva non appena deposto il libro e dopo quell’ora passata con gl’idealisti<br />
tedeschi, gli sembrava che le cose lo salutassero. (Una vita, Svevo 2004a,<br />
71)<br />
L’ironia nello scrittore triestino non si presenta mai nel suo aspetto classico,<br />
quello d’inversione semantica, essa assume piuttosto il compito di indicare <strong>una</strong><br />
differenza dal senso proprio, più che un’opposizione ad esso. In questo manifesta un<br />
forte carattere dialogico, in <strong>una</strong> semantizzazione che rimane nella parola stessa, come<br />
sottolineato da Marina Mizzau (1984, 68). 17 Ed è questa studiosa a dare <strong>una</strong> definizione<br />
del tropo che molto si avvicina al suo uso in Svevo:<br />
L’ironia sopperisce alla finitezza qualitativa del repertorio di parole e frasi a<br />
nostra disposizione, alle restrizioni orizzontali della lingua, introducendo le<br />
variazioni verticali date dalla stratificazione delle intenzioni (Mizzau 1984,<br />
10).<br />
Il suo essere in Svevo sostanzialmente un effetto diminuito, attenuato, indebolisce<br />
un’altra caratteristica dell’ironia, la sua potenzialità illocutiva, mirando essa piuttosto ad<br />
attestare l’uomo in <strong>una</strong> “zona d’incertezza psicologica” (Almansi, 1984, 22). Ciò<br />
consente di vedere nella scelta della prima persona ne La coscienza <strong>una</strong> declinazione<br />
ulteriore della differenzialità di cui si è detto. Il soggetto subisce qui <strong>una</strong> fortissima<br />
delocalizzazione, in quanto vi si trova l’autore e il narratore, il quale a sua volta rivede<br />
se stesso, e nel rivedersi si inventa. 18 È il movimento frattale indicato da Svevo stesso<br />
quando, per questo romanzo, parla di “un’autobiografia e non la mia”. Non ci sono<br />
significati assoluti, il senso certo si pone stabilmente per un tempo determinato, ma<br />
prima o poi rovina. E in questo ricomporre la realtà passata si nota quanto l’idea di<br />
verità, tema che per Svevo meriterebbe <strong>una</strong> trattazione a parte, tenda ora a distanziarsi<br />
dalla adequatio, dalla conformazione alla <strong>cosa</strong>, in direzione della heideggeriana<br />
aletheia, disvelamento, il cui alfa privativo greco rimanda ancora <strong>una</strong> volta al valore<br />
sorgivo della negazione. Di essa fa parte quella negative capability che John Keats<br />
aveva visto come caratteristica suprema in Shakespeare, l’essere in grado di vivere nel<br />
caos del reale senza farne <strong>una</strong> ragione, e che non è più <strong>una</strong> qualità elettiva per Svevo,<br />
ma destino.<br />
VII. Per quanto riguarda le opere successive alla Coscienza si nota un sensibile<br />
cambiamento di registro. Lo stato d’incompiutezza di questi testi, peraltro non<br />
omogenei nel risultato e probabilmente diversi per intenzione, obbligano ad <strong>una</strong> loro<br />
considerazione solo accessoria al fine di rintracciare le linee di tessitura del mondo<br />
sveviano. Qui la pagina si fa più sciolta, il periodare si sviluppa in un gioco espressivo<br />
in cui un indubbio compiacimento consuma parte della forza della parola. Nei contenuti<br />
17 Sull’ironia da un punto di vista retorico si veda (Lausberg 2001, 128 – 129 e 237 – 240).<br />
18 Svevo indica il valore generale di questa impostura nel comportamento di Ada, nel suo ricordo del<br />
marito: “Stava ricostruendo la sua relazione col povero morto. Non doveva somigliare affatto a quella<br />
ch'essa aveva avuta col vivo.” (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 1032).
c’è un’insistenza rilassata nella autodecostruzione, in contrasto con quell’affanno per<br />
l’unità dell’opera precedente, e soprattutto in attrito con l’idea di morte, tipicamente<br />
associata in Svevo al concetto di “dissoluzione”. Tuttavia, pur mancando il lavorio di<br />
revisione, la sanzione della ragione letteraria - che sola consente all’autore di ottenere la<br />
propria forma espressiva tipica - vi si possono individuare alcune peculiarità rispetto al<br />
tema in questione. La negazione viene a perdere di peso, mentre si raffinano alcune<br />
modalità differenziali d’espressione. Interessante è l’uso delle congiunzioni avversative,<br />
attenuate sensibilmente della loro funzione, con importante compito proprio<br />
dell’epanortosi:<br />
Avevo fatto bene baciando la mano di Ada o avevo fatto male di non<br />
baciarla anche sulle labbra? (La coscienza di Zeno, Svevo 2004a, 715).<br />
Presto m’accorsi che con lui non dovevo parlare ma che di lui potevo fidarmi<br />
(Un contratto, Svevo 2004a, 1092).<br />
Non è indiscreto ma intelligente per cui gli fu possibile di un mio lieve<br />
cenno per intendere tutto (Umbertino, Svevo 2004a, 1186).<br />
Non si poteva dire ch'egli amasse qualcuno, ma egli amava intensamente<br />
tutta la vita, gli uomini le bestie e le piante, tutta roba anonima e perciò tanto<br />
amabile (Corto viaggio sentimentale, Svevo 2004b, 530).<br />
Anche i fenomeni iterativi vengono ulteriormente elaborati. Le figure retoriche relative<br />
tendono nelle ultime opere a svilupparsi al di là del livello di frase, andando a strutturare<br />
la pagina in un orizzonte macrostrutturale:<br />
Ogni malessere che sentisse il signor Aghios lo diceva vecchiaia, ma<br />
pensava che <strong>una</strong> parte di tale malessere gli venisse dalla famiglia. Sta bene<br />
che vecchio come ora non era mai stato, ma mai s'era sentito, oltre che<br />
vecchio, anche tanto ruggine. E la ruggine proveniva sicuramente dalla<br />
famiglia, l'ambiente chiuso ove c'è muffa e ruggine (Corto viaggio (…),<br />
Svevo 2004b, 504).<br />
Pare che ricordare non sia <strong>una</strong> vera azione. Il ricordo lo si subisce immobile.<br />
Chi ricorda e chi è ricordato s'immobilizzano (Corto viaggio (…), Svevo<br />
2004b, 535)<br />
Di questo ampliamento d’orizzonte risente anche la negazione:<br />
La chiamai ed essa venne fino alla porta per dirmi a bassa voce due volte:<br />
“No! No!”. Dovetti retrocedere ed i cani ringhiarono <strong>perché</strong>, non aspettando<br />
di vedermi tanto presto, credettero non fossi io. Mi coricai, ma non seppi<br />
dormire e alla mattina mi domandai: “Perché non la truffai ancora? Perché<br />
non le promisi di sposarla purché mi aprisse quella porta?”. Così m'avviai<br />
alla decisione nuova senza saperlo (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 588).<br />
In questi ultimi testi, assumono forte rilevanza le costruzioni chiasmatiche, già<br />
presenti invero ne la Coscienza, ma ancora non debitamente perfezionate. La funzione è<br />
quella di temperare il contrappunto antitetico, la statuizione della separatezza, nel
compito di differenziale proprio, di equilibrio semantico degli enti separati, se non<br />
proprio degli opposti:<br />
Quando a qualcuno è tolta la possibilità di fare all’amore per proprio conto è<br />
costretto dall’istinto imperioso a farlo per conto altrui (Umbertino, Svevo<br />
2004a, 1181).<br />
Mi pareva insomma ch’egli parlasse ma non ascoltasse se stesso. Era come<br />
me che non l’ascoltavo affatto e invece lo guardavo tentando d’intendere<br />
proprio quello ch’egli non diceva (Il mio ozio, Svevo, 2004a, 1210).<br />
Era abituato da lungo tempo al rimorso dei buoni affari che faceva ed egli<br />
continuava a farne ad onta del rimorso (La novella del buon vecchio (…),<br />
2004b, 451).<br />
“Io sono un vecchio che non amerebbe nessuno e da nessuno sarebbe amato<br />
se non ci fossi io stesso che amo e da cui sono amato” (Corto viaggio (…),<br />
Svevo 2004b, 529).<br />
Poteva essere che, come essa non l'indovinava in lui, così lui non lo<br />
scoprisse da lei (Corto viaggio (…), Svevo 2004b, 523).<br />
Corto viaggio sentimentale, fra gli ultimi testi sveviani, è quello che mostra gli sviluppi<br />
più interessanti. Il viaggio è qui la metafora di ogni transazione, di ogni azione di<br />
legame:<br />
Con dolce violenza il signor Aghios si staccò dalla moglie e a passo celere<br />
tentò di perdersi nella folla che s'addensava all'ingresso della stazione (Corto<br />
viaggio (…), Svevo 2004b, 501). 19<br />
Il gioco ironico – certo mai banale in Svevo, ma a volte troppo compiaciuto – fa qui<br />
posto a un’elaborazione speculativa di cui la morte improvvisa dell’autore ha lasciato a<br />
livello di abbozzo.<br />
Rimane inteso che La coscienza di Zeno è l’ultima opera di Svevo in cui possiamo<br />
rintracciare interamente la forma primaria del suo mondo, i principi con i quali la sua<br />
parola lo abita. Essa è, per la sua pervasiva differenzialità, legata alla scena della<br />
scrittura. In questo, e proprio per questo, Svevo è essenzialmente scrittore.<br />
VIII. Queste considerazioni consentono di mettere in evidenza quanto l’opinione di<br />
Joyce, diventata canonica, di <strong>una</strong> fondamentale costanza nell’opera di Svevo, l’aver cioè<br />
lui scritto tre volte il medesimo romanzo, sia vera solo in parte. Dell’ipotizzata<br />
evoluzione dello scrittore da <strong>una</strong> fase romantica ad <strong>una</strong> naturalistica rimane solo il<br />
movimento, attraverso <strong>una</strong> decostruzione sul piano dei rapporti formali degli enti. Se la<br />
forte coesione del tessuto testuale, contrappunta ad <strong>una</strong> narrazione di fatti scarsamente<br />
incisi, se la ricorrenza di ben precise situazioni rende ragione di <strong>una</strong> componente<br />
invariabile a livello macrostrutturale, il testo sveviano si mostra invero incentrato su di<br />
un “soggetto processuale”, attraverso <strong>una</strong> linea di sviluppo sensibile, e anzi ripida e<br />
importante, non solo per l’autore. In effetti, gli oltre due decenni che separano la<br />
19 Si tratta dell’incipit del racconto.
composizione di Senilità da La coscienza di Zeno segnano <strong>una</strong> decisa trasformazione<br />
della narratività. La sostanziale differenza tra queste opere mostra <strong>una</strong> capacità di agire<br />
in profondità sull’intero orizzonte del lavoro letterario, dal livello lessicale fino<br />
all’architettura del testo. È proprio questo che ha consentito a Svevo sia di portare a<br />
compimento la struttura chiusa del romanzo ottocentesco, che garantisce la nondispersione<br />
del soggetto che scrive (Morpurgo, 1988, 156), che d’inaugurare poi quello<br />
stile d’infrazione che caratterizzerà la gran parte della produzione letteraria del<br />
Novecento, in cui l’individuo viene a porsi come la posta in gioco della conoscenza di<br />
sé.<br />
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1950 Decenni per Svevo, in Studi di Stilistica, Firenze, Le Monnier.<br />
Freud Sigmund<br />
1975 Al di là del principio di piacere, Torino, Boringhieri (ed. or.:<br />
Jenseits des Lustprinzips, Leipzig, Internationaler Psychoanalytischer Verlag, 1920).<br />
Gioanola Elio<br />
1979 Un killer dolcissimo. Indagine psicanalitica sull’opera di Italo<br />
Svevo, Genova, Il Melangolo/Università.<br />
Heidegger Martin<br />
1952 L’essenza del fondamento, Milano, Bocca (ed. or.: Vom wesen des<br />
Grundes, Halle, Niemeyer, 1929).<br />
1969 Essere e tempo, Torino, Utet (ed. or.: Sein und Zeit, Halle,<br />
Niemeyer, 1927).<br />
1996 Che <strong>cosa</strong> significa pensare?, Milano, Sugar, 1978 - 9 (ed. or.: Was<br />
heisst Denken?, Tübingen, Niemeyer, 1954).<br />
2009 Identità e differenza, Milano, Adelphi (ed. or.: Identität und<br />
Differenz, Pfullingen, Neske, 1957).<br />
2010 Il linguaggio della poesia. Il luogo del poema di Georg Trakl, in In<br />
cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia, (ed. or.: Unterwegs zur Sprache,<br />
Pfullingen, Neske,1959).<br />
Lausberg Heinrich<br />
2001 Elementi di retorica, Bologna, Il Mulino, (ed. or.: Elemente der<br />
literarischen Rhetorik, München, Max Hueber Verlag, 1949).<br />
Luti Giorgio
1961 Italo Svevo e altri studi sulla letteratura italiana del primo<br />
Novecento, Milano, Lerici.<br />
Mizzau Marina<br />
1984 L’ironia: la contraddizione consentita, Milano, Feltrinelli.<br />
Montale Eugenio<br />
1925 Omaggio a Italo Svevo, in ‘L’Esame’, a. IV, fasc. XI-XII, Milano,<br />
novembre-dicembre 1925, pp. 804-13; poi in Id., Il secondo mestiere, Prose 1920-1979,<br />
a cura di Giorgio Zampa, tomo primo, 1996.<br />
1961 Italo Svevo nel centenario della nascita, discorso pronunciato il 10<br />
novembre 1961 in occasione del I centenario della nascita, Trieste, Circolo della Cultura<br />
e delle arti; in Id., Il secondo mestiere, Prose 1920-1979, a cura di Giorgio Zampa, tomo<br />
secondo, 1996.<br />
Morpurgo Enzo<br />
1988 Parola letteraria e parola analitica, in Fra tempo e parola. Figure<br />
del dialogo psicoanalitico, Milano, Franco Angeli.<br />
Nietzsche Friedrich<br />
1992 Il crepuscolo degli idoli. Come si filosofa col martello. Scorribande<br />
di un inattuale. (ed. or.: Götzen-Dämmerung oder Wie man mit dem Hammer<br />
philosophirt, Leipzig, Naumann, 1888).<br />
Perelman Chaïm, Olbrechts-Tyteca Lucie<br />
2001 Trattato dell’argomentazione: la nuova retorica, Torino, Einaudi<br />
(ed. or.: Traité de l'argumentation : la nouvelle réthorique, Paris, Presses universitaires<br />
de France, 1958).<br />
Saccone Eduardo<br />
1973 Commento a “Zeno”. Saggio sul testo di Svevo, Il Mulino,<br />
Bologna.<br />
Starobinski Jean<br />
1975 L’occhio vivente, Einaudi, Torino (ed. or.: L’Œil vivant, Gallimard,<br />
Paris, 1961).<br />
Svevo Italo<br />
2004a Romanzi e “continuazioni”, Milano, Mondadori.<br />
2004b Racconti e scritti autobiografici, Milano, Mondadori.<br />
2004c Teatro e saggi, Milano, Mondadori.<br />
Vittorini Fabio<br />
2004 Commento a Svevo 2004a<br />
Tarde Gabriel<br />
1897 L’opposition universelle. Essai d’une théorie des contraire, Alcan,<br />
Paris.