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rivista El Aleph - WhipArt

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era fatto di gomma e quindi l’ho fatto innamorare della bambola di Alma Malher,<br />

insomma da cosa è nata cosa. In particolare, cercando informazioni sugli<br />

scrittori suicidi, mi sono imbattutto in una serie di coincidenze, l’uccisione di<br />

Renault, la morte di Citroen. Poi ho scoperto che Citroen aveva fatto illuminare<br />

la torre Eiffel per l’arrivo di Lindberg e via dicendo. Alla fine tutti quei dati reagivano<br />

formando cortocircuiti, per cui tutto sembrava tornare, o meglio, tutto<br />

sembrava richiamare tutto il resto. Ma il romanzo in generale l’ho scritto veramente<br />

in modo accumulatorio. Addirittura devo dire che a un certo punto si è<br />

creato un senso di vertigine, dovuto al fatto che alla fine nulla più riconverge,<br />

e quindi tante cose le ho lasciate aperte. Anche perché quasi tutti i personaggi<br />

sono dei doppi, dei golem, dei nani, delle marionette, dei robot, e anche tutti<br />

questi suicidi, quello di Benjamin, ma<br />

anche tutti quelli dei letterati del novecento...<br />

Nei sui testi è sempre presente una forte opposizione tra presente<br />

e passato, sia nella dimensione personale dei protagonisti, sia nella<br />

dimensione storica, e sempre la vittoria spetta al passato, come se<br />

rispetto al presente, alla contemporaneità, all’attualità, provasse in<br />

qualche modo un avversione, un fastidio, come mai questa avversione,<br />

se così si può chiamare?<br />

Questo è vero, verissimo, ho sempre sentito il presente come una dimensione<br />

estranea. In qualche modo mi sono sempre sentito come una specie di<br />

sopravvissuto, un relitto approdato dal passato e ho sempre parteggiato sentimentalmente<br />

con il passato, molto più che col presente. Per quanto riguarda<br />

la mia vita personale poi, come risulta esplicitamente in Rondini sul filo, ma<br />

come è proprio della mia vita prima che della mia letteratura, avendo avuto una<br />

giovinezza non giovinezza, una giovinezza non vissuta, ho maturato una sorta di<br />

sindrome da atto mancato, un senso di rincorsa verso tutto ciò che ho perso e<br />

che cerco di recuperare, per cui vivo in modo molto più giovanile adesso che a<br />

vent’anni. Mi rendo conto che c’è qualcosa di ridicolo, di grottesco in questo,<br />

ma è come se il passato avesse mantenuto questa caratteristica negando la sua<br />

più intima sostanza, il suo nome. Dunque il passato non passa, il passato continua.<br />

Nei miei libri, e anche nei miei saggi, cito molto spesso uno psichiatra<br />

degli anni Trenta che parla proprio di una sorta di reificazione schizofrenica del<br />

passato, un meccanismo che trasforma il tempo in spazio: il passato diventa un<br />

paesaggio, uno spazio in cui muoversi, una specie di ambientazione di tutte le<br />

proprie storie ed effettivamente è così. A me capita ancora adesso di tornare con<br />

la mente ad alcune discussioni, situazioni vissute o non vissute, e dire ecco avrei<br />

potuto dire, avrei potuto fare, come se fossero ancora tutte partite aperte, come<br />

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