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rivista El Aleph - WhipArt

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46<br />

mane vivono, come sostiene la Santanchè, in una perenne condizione di sfruttamento<br />

e schiacciamento della propria personalità.<br />

La Santanchè si è posta come paladina delle donne musulmane in Italia e del<br />

loro diritto a ribellarsi nei confronti di sevizie psicologiche subìte negli anni. Ma<br />

quelle donne non sono TUTTE costrette; esse rispettano semplicemente usanze<br />

religiose che non appartengono a noi, e che quindi ci viene difficile comprendere.<br />

Le nostre nonne si prodigavano nel ruolo di casalinghe e mamme e, molte di<br />

loro, non hanno mai neanche lavorato. Erano altri tempi, va bene. E oggi per<br />

noi donne potrebbe essere espressione di una “costrizione” per donne che invece<br />

hanno pari capacità di lavorare rispetto agli uomini. Perciò, se estraessimo dal<br />

suo contesto storico tale funzione della donna la vedremmo come segregata a<br />

un ruolo inferiore rispetto all’uomo. E infatti dopo, abbiamo avuto le donne che<br />

hanno urlato “l’utero è mio e lo gestisco io!”, in nome della libertà d’aborto,<br />

donne che sono scese nelle nostre piazze per pretendere pari diritti nei confronti<br />

degli uomini.<br />

Eppure, visto che comunque quell’evento è radicato nel nostro patrimonio<br />

consuetudinario, se oggi incontriamo una nonna che ha vissuto quel ruolo di casalinga<br />

e madre, oltre il quale lei non andava, beh, questa nonna probabilmente<br />

gestirà ancora la casa e la cucina e tutte le faccende domestiche pensando che<br />

sia suo dovere far tutto ciò mentre l’uomo è seduto sulla sua poltrona a leggere.<br />

Ci sono ancora oggi donne che affermano: «In cucina ci sto io. Sono io che<br />

stiro, rammendo, cucino e sistemo». Ma in questo caso, a noi basta pensare che<br />

è lei che vuole così. È lei che ha deciso.<br />

La libertà e parità di una donna è concretamente l’affermazione della sua volontà,<br />

qualunque essa sia. È la costrizione da condannare, non certo un’usanza<br />

lontanissima, e per noi inconcepibile, come il dovere di una donna musulmana<br />

di non far intravedere all’uomo altro all’infuori dei proprio occhi.<br />

E allora, forse, vale la pena ricordare ciò che affermava Seneca: «Aliena vitia<br />

in oculis habemus, a tergo nostra sunt» (“ Abbiamo davanti agli occhi i vizi degli<br />

altri, mentre i nostri ci stanno dietro”).<br />

Amartya Kumar Sen, un economista indiano Premio Nobel nel 1998, ha pubblicato<br />

in Italia nel 2006 con Editori Laterza il saggio “Identità e Violenza”, contro<br />

gli abusi in nome dell’identità. Un capitolo, in particolare, ha attirato la mia<br />

attenzione, “Occidente e Antioccidente”: «La resistenza all’occidentalizzazione<br />

[…] è un fenomeno che può assumere la forma del rifiuto di idee considerate<br />

“occidentali”. […] Non c’è niente di specificamente “occidentale” nel giudicare<br />

la libertà un bene prezioso o nel difendere la libertà di espressione e discussione<br />

in pubblico. Ma il fatto di etichettare queste teorie come idee “occidentali” può<br />

generare un atteggiamento ostile verso di esse in altre società. È un fenomeno<br />

osservabile in diverse forme di retorica antioccidentale, dalla […] tesi che

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