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implica che in condizioni di steady state l’investimento pro capite in impianti e macchinari e<br />

capannoni dovrebbe essere più basso. E in effetti ciò si verifica in entrambe le aree più arretrate.<br />

In particolare, gli investimenti in macchinari nel Mezzogiorno sono il 40% del Centro-Nord e<br />

anche in Germania, sia pure in misura minore, la percentuale delle regioni dell’Est è l’88%<br />

rispetto alla Germania Ovest.<br />

Tuttavia, se l’andamento degli investimenti pro capite è in linea con il principio neoclassico,<br />

l’andamento della disoccupazione non lo è. Il modello neoclassico, infatti, prevede la piena<br />

occupazione. Al contrario, nel 2000 la disoccupazione in Germania interessava 1,3 milioni di<br />

lavoratori, pari a un tasso di disoccupazione esplicito di circa il 17% e che corrisponde a circa il<br />

doppio del tasso di disoccupazione della Germania Ovest. A questi, se si aggiungono i short time<br />

workers, i lavoratori in formazione o coloro che sono coinvolti nei programmi per la creazione di<br />

occupazione, si avrebbe un numero di disoccupati nascosti maggiore del 40% rispetto alla<br />

disoccupazione registrata (per un totale di 1,9 milioni). Inoltre, i 200 000 emigrati e i 400 000<br />

lavoratori pendolari, che contribuiscono a ridurre la forza lavoro delle regioni dell’Est, fanno sì<br />

che il tasso di disoccupazione complessivo risultava essere del 33%. Una percentuale che si è<br />

ridotta ben poco rispetto al 1992, quando il tasso di disoccupazione complessivo era, come<br />

abbiamo detto, del 37%. Questo dato, inoltre, diventa più grave se si prendono in considerazione<br />

i circa 300 000 prepensionamenti e la considerazione che la ristrutturazione produttiva della<br />

Germania dell’Est ha avuto un impatto drammatico sull’occupazione. L’occupazione si è ridotta,<br />

infatti, del 40% rispetto all’inizio del processo dell’unificazione, passando dai 9,89 milioni di<br />

occupati nel 1989 ai 5,75 milioni dell’inizio degli anni 2000.<br />

In Italia il tasso di disoccupazione nel Mezzogiorno negli ultimi anni si attesta intorno al 20%, un<br />

valore di circa quattro volte maggiore del tasso di disoccupazione del Centro-Nord. In buona<br />

sostanza nelle regioni meridionali è concentrato circa il 65% della disoccupazione italiana<br />

esplicita.<br />

Sempre secondo la teoria della crescita neoclassica, i differenziali di disoccupazione si dovrebbero<br />

annullare adottando salari più bassi che, da un lato, indurrebbero un aumento della domanda di<br />

lavoro nelle regioni meno sviluppate e, dall’altro, favorirebbero il riequilibrio spingendo la<br />

popolazione ad emigrare. La spiegazione della persistenza di una così alta disoccupazione è,<br />

quindi, data dalla presenza di salari fissati a un livello più elevato di quelli market clearing. Salari<br />

troppo elevati creano disoccupazione, inducono a livello macro il capitale a emigrare e, quindi,<br />

contribuiscono a ridurre la produttività totale dei fattori produttivi.<br />

Le ragioni del perdurare dei differenziali regionali di disoccupazione vanno, quindi, ricondotte<br />

alla politica degli alti salari praticata nei due paesi. Nel Mezzogiorno il fenomeno inizia tra la fine<br />

degli anni sessanta e i primi anni settanta, come conseguenza dell’abolizione delle gabbie salariali..<br />

Da quella data le relazioni industriali, basate sostanzialmente sulla contrattazione centralizzata in<br />

cui viene esaltato ancora di più l’aumentato potere contrattuale dei sindacati a seguito delle lotte<br />

operaie nel periodo dell’autunno caldo, hanno teso al raggiungimento del livellamento dei salari tra<br />

le diverse aree del paese (Boltho et al. 1997; Kostoris Padoa Schioppa 1999).<br />

Anche in Germania, pur partendo da una situazione in cui i salari dell’Est all’inizio degli anni<br />

Novanta era 1/3 di quelli dell’Ovest, vi è stato un recupero salariale straordinario, almeno fino<br />

alla metà degli anni Novanta. E ciò, come abbiamo detto, è avvenuto grazie alle scelte salariali<br />

fortemente influenzate dai sindacati della Germania Ovest, in assenza di una cultura sindacale ed<br />

imprenditoriale nella ex Germania Est. Anche in questo caso la similitudine con quanto è<br />

avvenuto in Italia è interessante; infatti, anche in questo paese la contrattazione è stata<br />

sostanzialmente guidata dalla esigenze degli imprenditori e degli operai del Nord.<br />

La spiegazione, in linea con la teoria neoclassica, che il perdurare dei differenziali di produttività<br />

sia dovuto a una politica di alti salari e tendente alla salvaguardia degli interessi dei lavoratori più<br />

sindacalizzati, non è tuttavia molto convincente. Infatti, nonostante la tendenza al livellamento

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