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teocrito le siracusane - San Giuseppe de Merode

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PRASSINOE Ecco, mi son ripresa: da bambina, ho una gran paura <strong>de</strong>i cavalli. E i serpenti, poi, che<br />

brivido di freddo! Ma facciamo presto: ci arriva addosso una gran folla.<br />

GORGO Vieni dal palazzo, la mamma?<br />

VECCHIA Certo, figliuo<strong>le</strong>.<br />

GORGO Ci si fa, ad entrare?<br />

VECCHIA «Provando, i Greci arrivarono a Troia», figlie bel<strong>le</strong>: provando 'Si arriva a tutto.<br />

GORGO Ha spacciato un oracolo e se n'è andata, la vecchia!<br />

UOMO Le donne san tutto, anche come fece Zeus a sposare Era.<br />

GORGO Guarda, Prassinoe, davanti alla porta: che folla!<br />

PRASSINOE Immensa. Dammi la mano, Gorgò. E tu, Eunoe, dalla ad Eutiche: attàccati a <strong>le</strong>i e non<br />

ti sper<strong>de</strong>re. Entriamo tutte insieme. Eunoe, tieniti stretta a noi. Povera me, Gorgò, il mio velo è a<br />

bran<strong>de</strong>lli! Per Zeus, che tu sia felice, buon uomo; fa' attenzione al mio vestito.<br />

UOMO Ci ba<strong>de</strong>rò, ma non dipen<strong>de</strong> da me.<br />

PRASSINOE Davvero, che calca! Spingono come maiali.<br />

UOMO Coraggio, la donna: siamo in salvo.<br />

PRASSINOE Che tu sia salvo anche per l'avvenire, brav'uomo che ci hai protetto! Che persona per<br />

bene e riguardosa! Ma Eunoe è nel<strong>le</strong> peste: sù, poverina, una spinta. Ecco fatto. "Tutte <strong>de</strong>ntro",<br />

come disse quel ta<strong>le</strong> chiu<strong>de</strong>ndo in casa la sposa.<br />

GORGO Vieni qui, Prassinoe. Guarda queste stoffe ri¬camate, come son tenui e bel<strong>le</strong>! Le diresti<br />

opera di una <strong>de</strong>a.<br />

PRASSINOE Che tessitrici, o veneranda Atena, quel<strong>le</strong> che <strong>le</strong> hanno lavorate! E che pittori, per far<br />

quel<strong>le</strong> figure così precise! Come son vere, anche nei movimenti! Vive sono, non ricamate. Che<br />

essere abi<strong>le</strong> è l'uomo! E anche lui, Adone, com'è bello, disteso sul suo <strong>le</strong>tto d'argento, con la prima<br />

pelurie sul volto, l'amatissimo Adone, amato pur nell'Acheronte!<br />

STRANIERO Ma la finite, disgraziate, di garrire continuamente come tortore? E che strazio, quella<br />

pronunzia sguaiata!<br />

PRASSINOE O di dove è uscito, costui? Che t'importa se ciarliamo? Comanda ai tuoi servi.<br />

Vorresti forse comandare a noi <strong>siracusane</strong>? Perché tu lo sappia, noi siamo corintie di stirpe, come<br />

Bel<strong>le</strong>rofonte, e parliamo il dia<strong>le</strong>tto <strong>de</strong>l Peloponneso. Ai Dori, credo, è <strong>le</strong>cito parlar dorico. E non è<br />

nato ancora - per la dolce Persefone! - un altro che mi comandi, tranne mio marito. Di te non mi<br />

curo: e tu perdi il tuo tempo.<br />

GORGO Sta' zitta, Prassinoe. La figlia di Argiva sta per cantare l'inno di Adone. È una brava<br />

cantante, quella che anche l'anno scorso eseguì così bene il canto di Ia<strong>le</strong>mo. Certo, ci farà sentire<br />

qualche cosa di bello: ecco, si schiarisce la voce..<br />

«Signora, cui Golgo e Idalio son care ed Erice eccelsa, che ti compiaci al fulgore <strong>de</strong>ll'oro, Afrodite<br />

possente, qui dal perenne Acheronte, nel dodicesimo mese, Adone ti addussero l'Ore dai teneri<br />

piedi, <strong>le</strong> <strong>de</strong>e fra tutte più <strong>le</strong>nte, <strong>le</strong> Ore di<strong>le</strong>tte, che amabili sempre vengono a tutti i mortali<br />

apportatrici di doni. Cipri<strong>de</strong> figlia di Dione, tu Berenice morta<strong>le</strong> -<br />

come tra gli uomini è fama - facesti immorta<strong>le</strong>, stillando a <strong>le</strong>i nel seno l'ambrosia: e di Berenice la<br />

figlia, a te grata, o divina con molti nomi invocata<br />

in molti templi, Arsinòe ad E<strong>le</strong>na pari in bel<strong>le</strong>zza, con ricchi doni e belli Adone venera e onora.<br />

Maturi a lui dintorno giacciono quanti mai frutti portano gli alberi; giacciono entro canestri<br />

d'argento teneri orti, e fia<strong>le</strong> d'oro con siri profumi.<br />

E quante sfoglie <strong>le</strong> donne lavorano alla spianatoia, di candida farina commista con fiori diversi,<br />

quante di dolce mie<strong>le</strong> intrise e di liquido olio, tutte qui sono, in forma d'animali e d'uccelli. Pergo<strong>le</strong><br />

ver<strong>de</strong>ggianti, folte di morbido aneto, sorgono: e i piccoli Eroti intorno volteggiano, a guisa di<br />

usigno<strong>le</strong>tti i quali su l'albero tentano al volo di ramo in ramo <strong>le</strong> tenere ali spuntate appena.<br />

Oh aqui<strong>le</strong> bianche d'avorio, intarsiate d'ebano e d'oro, che portano a Zeus Croni<strong>de</strong> il suo coppiere<br />

fanciullo! Oh purpurei tappeti, più molli <strong>de</strong>l sonno a giacervi! E dirà Mi<strong>le</strong>to e colui che in Samo<br />

pascola il gregge: «Noi per il bello Adone abbiam preparato i <strong>le</strong>tti.» Cipri<strong>de</strong> dall'una parte, e il roseo<br />

Adone dall'altra. Diciotto o diciannove son <strong>de</strong>llo sposo gli anni:

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