teocrito le siracusane - San Giuseppe de Merode
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TEOCRITO<br />
LE SIRACUSANE<br />
GORGO È in casa Prassinoe?<br />
PRASSINOE Gorgò cara, da quanto tempo! Son qui. Che miracolo che tu sia venuta, finalmente!<br />
Guarda, Eunoe, prendi<strong>le</strong> quella sedia: e mettici su un cuscino.<br />
GORGO Benissimo.<br />
PRASSINOE Accòmodati dunque.<br />
GORGO Oh, povera me! A stento l'ho scampata, cara Prassinoe, tanta era la folla. E quante<br />
quadrighe! Stivaloni dovunque, e dovunque soldati in uniforme. E la strada che non finiva mai! Tu<br />
poi, vai a star di casa, sempre più lon¬tano.<br />
PRASSINOE Già, quello sciagurato di mio marito è an-dato in capo al mondo, per pren<strong>de</strong>re non<br />
una casa ma questa stamberga, perché non fossimo vicine: è sempre lo stesso, quel brutto invidioso,<br />
quando c'è da farmi un dispetto.<br />
GORGO Cara, non parlare così di tuo marito Dinone dinanzi al bambino. Vedi come ti guarda. Da<br />
bravo, Zopirione, bambino buono: non parla di papà tuo.<br />
PRASSINOE Persefone veneranda, il bambino ha ca¬pito!<br />
GORGO Papà tuo è bello.<br />
PRASSINOE Co<strong>de</strong>sto bel papà ier l'altro - proprio ier l'altro - gli dico: «Va' alla bottega e<br />
comprami sapone e bel-<strong>le</strong>tto.» E lui torna... e non mi porta <strong>de</strong>l sa<strong>le</strong>, gran<strong>de</strong> e grosso com'è?<br />
GORGO Anche Diocli<strong>de</strong>, il mio, è lo stesso: una rovina, per il danaro. Ieri, per sette dramme!, mi<br />
compra cinque velli di pecora... duri come pelli di cane, spelazzature di bisacce vecchie, tutto un<br />
sudiciume, un'altra bella fatica a lavarli! Ma sù, prendi la tunica e il mantello con la fibbia, e<br />
andiamo al palazzo <strong>de</strong>l re To<strong>le</strong>meo - che magnificenza! - a ve<strong>de</strong>r la festa di Adone. Dicono che la<br />
regina ha preparato una cosa veramente bella.<br />
PRASSINOE «Casa ricca, tutto ricco».<br />
GORGO Così, quel che avrai visto, potrai raccontarlo a chi non c'è stato. Ma sarebbe tempo di<br />
andare.<br />
PRASSINOE Per gli scioperati, è sempre festa! Eunoe, porta via la tela, la mia superbiosa, e non<br />
lasciarla ancora in giro: la gatta vuol dormire sul morbido. Muoviti, porta subito l'acqua. Ci vuo<strong>le</strong><br />
l'acqua, prima: e <strong>le</strong>i arriva col sapone. E va bene, dammelo: ma non tanto, sprecona. Versa l'acqua,<br />
ora. Sciagurata, non vedi che mi stai bagnando tutta la tunica? Fermati: come dio vuo<strong>le</strong>, mi son<br />
lavata. E la chiave <strong>de</strong>l cassone, dov'è? Portala qui.<br />
GORGO Come ti sta bene, Prassinoe, questa tunica pieghettata! Quanto ti è costata la stoffa sul<br />
telaio, dimmi?<br />
PRASSINOE Non me ne parlare, Gorgò. Più di due mi-ne d'argento fino: e ci ho messa l'anima, a<br />
lavorarla.<br />
GORGO Ma ti è venuta proprio come vo<strong>le</strong>vi, puoi ben dirlo.<br />
PRASSINOE Portami il mantello e il cappello largo: aggiustami per bene. Non posso portarti,<br />
piccolo. C'è il babau e il cavallo mor<strong>de</strong>. Piangi quanto vuoi: non voglio che ti azzoppino. Andiamo.<br />
Balia, tu prendi il bambino e divertilo: chiama <strong>de</strong>ntro la cagna e chiudi la porta di casa. Che folla,<br />
per gli dèi! Come si potrà mai passare, in questa calca <strong>de</strong>lla malora? Son come <strong>le</strong> formiche, senza<br />
numero e senza misura. Quante cose bel<strong>le</strong> hai fatto, o To<strong>le</strong>meo, da quando tuo padre è fra<br />
gl'immortali! Nessun malfattore rapina più il viandante, venendogli addosso all'egiziana, come<br />
facevano prima, a tradimento, <strong>de</strong>i gran brutti scherzi: tutti <strong>de</strong>lla stessa risma, gente scel<strong>le</strong>rata,<br />
ma<strong>le</strong><strong>de</strong>tti! Gorgo carissima, che sarà di noi? Ma ecco i cavalli da guerra <strong>de</strong>l re. Amico, non mi<br />
pestare. Quel baio s'è impennato: guarda com'è selvaggio, ammazzerà lo staffiere. Scànsati, Eunoe,<br />
non far la coraggiosa. Meno ma<strong>le</strong> che l'ho lasciato a casa, il bambino!<br />
GORGO Coraggio, Prassinoe: ormai son passati. E i cavalli sono andati a posto.
PRASSINOE Ecco, mi son ripresa: da bambina, ho una gran paura <strong>de</strong>i cavalli. E i serpenti, poi, che<br />
brivido di freddo! Ma facciamo presto: ci arriva addosso una gran folla.<br />
GORGO Vieni dal palazzo, la mamma?<br />
VECCHIA Certo, figliuo<strong>le</strong>.<br />
GORGO Ci si fa, ad entrare?<br />
VECCHIA «Provando, i Greci arrivarono a Troia», figlie bel<strong>le</strong>: provando 'Si arriva a tutto.<br />
GORGO Ha spacciato un oracolo e se n'è andata, la vecchia!<br />
UOMO Le donne san tutto, anche come fece Zeus a sposare Era.<br />
GORGO Guarda, Prassinoe, davanti alla porta: che folla!<br />
PRASSINOE Immensa. Dammi la mano, Gorgò. E tu, Eunoe, dalla ad Eutiche: attàccati a <strong>le</strong>i e non<br />
ti sper<strong>de</strong>re. Entriamo tutte insieme. Eunoe, tieniti stretta a noi. Povera me, Gorgò, il mio velo è a<br />
bran<strong>de</strong>lli! Per Zeus, che tu sia felice, buon uomo; fa' attenzione al mio vestito.<br />
UOMO Ci ba<strong>de</strong>rò, ma non dipen<strong>de</strong> da me.<br />
PRASSINOE Davvero, che calca! Spingono come maiali.<br />
UOMO Coraggio, la donna: siamo in salvo.<br />
PRASSINOE Che tu sia salvo anche per l'avvenire, brav'uomo che ci hai protetto! Che persona per<br />
bene e riguardosa! Ma Eunoe è nel<strong>le</strong> peste: sù, poverina, una spinta. Ecco fatto. "Tutte <strong>de</strong>ntro",<br />
come disse quel ta<strong>le</strong> chiu<strong>de</strong>ndo in casa la sposa.<br />
GORGO Vieni qui, Prassinoe. Guarda queste stoffe ri¬camate, come son tenui e bel<strong>le</strong>! Le diresti<br />
opera di una <strong>de</strong>a.<br />
PRASSINOE Che tessitrici, o veneranda Atena, quel<strong>le</strong> che <strong>le</strong> hanno lavorate! E che pittori, per far<br />
quel<strong>le</strong> figure così precise! Come son vere, anche nei movimenti! Vive sono, non ricamate. Che<br />
essere abi<strong>le</strong> è l'uomo! E anche lui, Adone, com'è bello, disteso sul suo <strong>le</strong>tto d'argento, con la prima<br />
pelurie sul volto, l'amatissimo Adone, amato pur nell'Acheronte!<br />
STRANIERO Ma la finite, disgraziate, di garrire continuamente come tortore? E che strazio, quella<br />
pronunzia sguaiata!<br />
PRASSINOE O di dove è uscito, costui? Che t'importa se ciarliamo? Comanda ai tuoi servi.<br />
Vorresti forse comandare a noi <strong>siracusane</strong>? Perché tu lo sappia, noi siamo corintie di stirpe, come<br />
Bel<strong>le</strong>rofonte, e parliamo il dia<strong>le</strong>tto <strong>de</strong>l Peloponneso. Ai Dori, credo, è <strong>le</strong>cito parlar dorico. E non è<br />
nato ancora - per la dolce Persefone! - un altro che mi comandi, tranne mio marito. Di te non mi<br />
curo: e tu perdi il tuo tempo.<br />
GORGO Sta' zitta, Prassinoe. La figlia di Argiva sta per cantare l'inno di Adone. È una brava<br />
cantante, quella che anche l'anno scorso eseguì così bene il canto di Ia<strong>le</strong>mo. Certo, ci farà sentire<br />
qualche cosa di bello: ecco, si schiarisce la voce..<br />
«Signora, cui Golgo e Idalio son care ed Erice eccelsa, che ti compiaci al fulgore <strong>de</strong>ll'oro, Afrodite<br />
possente, qui dal perenne Acheronte, nel dodicesimo mese, Adone ti addussero l'Ore dai teneri<br />
piedi, <strong>le</strong> <strong>de</strong>e fra tutte più <strong>le</strong>nte, <strong>le</strong> Ore di<strong>le</strong>tte, che amabili sempre vengono a tutti i mortali<br />
apportatrici di doni. Cipri<strong>de</strong> figlia di Dione, tu Berenice morta<strong>le</strong> -<br />
come tra gli uomini è fama - facesti immorta<strong>le</strong>, stillando a <strong>le</strong>i nel seno l'ambrosia: e di Berenice la<br />
figlia, a te grata, o divina con molti nomi invocata<br />
in molti templi, Arsinòe ad E<strong>le</strong>na pari in bel<strong>le</strong>zza, con ricchi doni e belli Adone venera e onora.<br />
Maturi a lui dintorno giacciono quanti mai frutti portano gli alberi; giacciono entro canestri<br />
d'argento teneri orti, e fia<strong>le</strong> d'oro con siri profumi.<br />
E quante sfoglie <strong>le</strong> donne lavorano alla spianatoia, di candida farina commista con fiori diversi,<br />
quante di dolce mie<strong>le</strong> intrise e di liquido olio, tutte qui sono, in forma d'animali e d'uccelli. Pergo<strong>le</strong><br />
ver<strong>de</strong>ggianti, folte di morbido aneto, sorgono: e i piccoli Eroti intorno volteggiano, a guisa di<br />
usigno<strong>le</strong>tti i quali su l'albero tentano al volo di ramo in ramo <strong>le</strong> tenere ali spuntate appena.<br />
Oh aqui<strong>le</strong> bianche d'avorio, intarsiate d'ebano e d'oro, che portano a Zeus Croni<strong>de</strong> il suo coppiere<br />
fanciullo! Oh purpurei tappeti, più molli <strong>de</strong>l sonno a giacervi! E dirà Mi<strong>le</strong>to e colui che in Samo<br />
pascola il gregge: «Noi per il bello Adone abbiam preparato i <strong>le</strong>tti.» Cipri<strong>de</strong> dall'una parte, e il roseo<br />
Adone dall'altra. Diciotto o diciannove son <strong>de</strong>llo sposo gli anni:
non punge il bacio <strong>de</strong>l labbro ombrato di bionda pelurie. Cipri<strong>de</strong> ora s'al<strong>le</strong>gri tenendo il suo sposo: e<br />
noi tutte nell'alba rugiadosa lo porteremo di fuori, là dove frangonsi l'on<strong>de</strong> e imbiancano il lido di<br />
spuma, sciolte <strong>le</strong> chiome, <strong>le</strong> vesti discinte fin giù alla caviglia, nudo il seno, intonando un<br />
melodioso canto.<br />
Unico fra i semi<strong>de</strong>i - com'è fama - Adone di<strong>le</strong>tto, torni qui e nell'Acheronte: non ebbero invero tal<br />
sorte l'Atri<strong>de</strong>, non il gran<strong>de</strong> Aiace, eroe dall'ira tremenda; non Ettore, il primo <strong>de</strong>i venti figli da<br />
Ecuba nati; non Patroclo, non Pirro dopo il ritorno da Troia; non, prima ancora, i Lapiti, non di<br />
Deucalione la stirpe, non d'Argo i signori pelasgi, non pure di Pelope i figli. Proteggine, Adone<br />
di<strong>le</strong>tto, e ora e per l'anno avvenire: come benigno venisti, benigno a noi possa tornare.»<br />
GORGO Com'è brava quella ragazza, o Prassinoe! Beata <strong>le</strong>i che è così abi<strong>le</strong>, beatissima per la dolce<br />
sua voce! Ma è tempo di tornare a casa: Diocli<strong>de</strong> è ancora senza cena. E tutto aceto, quell'uomo; e<br />
quando ha fame, è meglio non accostarlo. Addio, di<strong>le</strong>tto Adone! E torna ancora, per la nostra gioia.<br />
[trad. di Raffae<strong>le</strong> Cantarella, cit.]