ST 25 - Società Italiana di Studi Araldici
ST 25 - Società Italiana di Studi Araldici
ST 25 - Società Italiana di Studi Araldici
You also want an ePaper? Increase the reach of your titles
YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.
1<br />
N. <strong>25</strong> – Anno XVII – Marzo 2011 – Pubblicazione riservata ai soli Soci<br />
Stemmi in palazzo Corbetta Bellini<br />
Nei locali <strong>di</strong> palazzo Corbetta Bellini <strong>di</strong> Lessolo, ove ha<br />
sede sin dal 1939 (prima in forza <strong>di</strong> locazione e, quin<strong>di</strong>,<br />
dal 1951, in qualità <strong>di</strong> proprietaria) l’Accademia <strong>di</strong><br />
Agricoltura <strong>di</strong> Torino, fanno mostra <strong>di</strong> sé due <strong>di</strong>versi<br />
stemmi, che ricorrono sulle fusioni bronzee, adornanti le<br />
maniglie <strong>di</strong> porte e finestre, nonché su alcuni pannelli<br />
lignei.<br />
arma Corbetta Bellini altra arma Corbetta Bellini<br />
arma Massel<br />
altra arma Massel<br />
arma Corbetta Bellini<br />
Si tratta <strong>di</strong> armi gentilizie, realizzate per conto del primo<br />
proprietario dell’e<strong>di</strong>ficio, Giuseppe Corbetta Bellini <strong>di</strong><br />
Lessolo. Si <strong>di</strong>chiarava conte e timbrava il suo stemma <strong>di</strong>
corona comitale, ma, in realtà, i Corbetta Bellini avevano<br />
<strong>di</strong>ritto soltanto al titolo <strong>di</strong> signore <strong>di</strong> Lessolo. Nato nel<br />
1826, Giuseppe aveva sposato a Casale, il 22 giugno 1872,<br />
Eleonora dei marchesi Massel (Macello) <strong>di</strong> Caresana. Dal<br />
matrimonio non nacque <strong>di</strong>scendenza e Giuseppe Corbetta<br />
Bellini si spense a Torino il 26 aprile 1885, ultimo della<br />
sua famiglia.<br />
Erano i Corbetta alquanto oscuri, originari <strong>di</strong> Vercelli, ove<br />
si erano trasferiti – pare – da Milano. Il nome familiare,<br />
all’origine, non era neppure Corbetta, ma Cassano.<br />
Ambrogio Cassano, mercante vercellese, figlio <strong>di</strong><br />
Melchiorre e <strong>di</strong> Francesca Corbetta, infatti, alla metà del<br />
secolo XVI fu istituito erede universale dal proprio zio<br />
materno, Gianfrancesco Corbetta, a con<strong>di</strong>zione che ne<br />
assumesse il cognome. Sua figlia (ignoto il nome) sposò<br />
un tal Bigoni, <strong>di</strong>morante in Buronzo, procreando tre figli,<br />
<strong>di</strong> cui Cesare Anronio e Carlo Ambrogio, rispettivamente<br />
secondogenito e terzogenito, ere<strong>di</strong>tarono da un altro zio<br />
materno, Ambrogio Corbetta (già Cassano), con l’obbligo<br />
<strong>di</strong> assumere nome e arma dei Corbetta (19 luglio 1587,<br />
patenti <strong>25</strong>, 36, interinazione 1597). Non è senza interesse<br />
leggere nelle patenti: “… col sentimento della casata<br />
Corbetta <strong>di</strong> Milano”.<br />
Iniziarono le qualificate alleanze matrimoniali (più d’una<br />
delle quali con gli Arborio <strong>di</strong> Gattinara). Un pronipote <strong>di</strong><br />
Cesare Antonio, Lodovico, abitante in Morzano (ove è<br />
ancora un castello, risalente all’anno Mille, già<br />
appartenente alla Abbazia della Chiusa e <strong>di</strong> patronato dei<br />
conti <strong>di</strong> Cavaglià, che su per secoli <strong>di</strong> proprietà dei<br />
Corbetta Bellini, che lo trasformarono in raffinata <strong>di</strong>mora),<br />
acquistò da Francesco Maria San Martino <strong>di</strong> Valperga<br />
parte <strong>di</strong> Lessolo, <strong>di</strong> cui fu investito con titolo signorile il<br />
28 marzo 1686 (interinazione 7 giugno 1687). Aveva tolto<br />
in moglie una Bellini (dal nome proprio sconosciuto).<br />
I Bellini (Bellino) provenivano da Serravalle Sesia e nel<br />
Cinquecento erano stati aggregati, come nobili, dal duca <strong>di</strong><br />
Savoia al consortile feudale <strong>di</strong> Bornate e <strong>di</strong> Vontebbio,<br />
<strong>di</strong>venendone così consignori. Seguirono alleanze<br />
prestigiose dei Corbetta Bellini con i Berzetti Buronzo,<br />
con i Malaspina <strong>di</strong> Godasco, con i Valfré <strong>di</strong> Bonzo, sino a<br />
quella <strong>di</strong> Giuseppe con Eleonora Massel (Macello).<br />
I Massel (Macello) risiedevano sin dal secolo XVI a<br />
Pinerolo e provenivano da Cumiana. Giambattista,<br />
Cavaliere dell’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> SS. Maurizio e Lazzaro, era un<br />
militare (grado <strong>di</strong> maggiore), che il 20 febbraio 1759 aveva<br />
acquistato dal marchese Guerra il feudo <strong>di</strong> Caresana (il<br />
reale assenso era previamente intervenuto il 15 <strong>di</strong>cembre<br />
1758), ottenendo l’investitura con titolo <strong>di</strong> marchese per sé<br />
e <strong>di</strong>scendenti maschi il 14 luglio 1759. Il suo primogenito<br />
Lodovico Maurizio (1758-1816) sposò Maria Elisabetta<br />
Ferrero della Marmora e ne nacque Giambattista Federico<br />
(1813-1866), che da Luisa Calori <strong>di</strong> Vignale ebbe tre figli:<br />
Fulvio (1841-1906), ultimo marchese Massel <strong>di</strong> Caresana,<br />
personaggio <strong>di</strong> singolare misantropia, morto celibe; Teresa<br />
Luisa Felicita, sposata a Casale il 28 maggio 1866 a Luigi<br />
Baldassarre Carlo Cacherano dei conti <strong>di</strong> Bricherasio, ed<br />
Eleonora, maritata, come detto, a Giuseppe Corbetta<br />
Bellini.<br />
Teresa Luisa Felicita Massel in Cacherano ebbe due figli:<br />
Emanuele (1869-1903), fondatore della FIAT e brillante<br />
ufficiale <strong>di</strong> cavalleria, e Sofia (1867-1950). Quest’ultima,<br />
erede universale della zia Eleonora Corbetta Bellini e del<br />
fratello Emanuele, nel 1945 fece dono del palazzo<br />
all'Istituto Salesiano per le Missioni, il quale a sua volta<br />
2<br />
vendette all'Accademia <strong>di</strong> Agricoltura <strong>di</strong> Torino quella<br />
parte dell’e<strong>di</strong>ficio che ancor oggi la celebre istituzione,<br />
fondata nel 1785 e da oltre due secoli altamente meritoria<br />
nel progresso degli stu<strong>di</strong> del comparto primario, occupa.<br />
Corbetta-Bellini arma: D’azzurro, alla fascia<br />
d’argento, accompagnata da tre corbelli d’oro.<br />
Massel (Macello) arma: Di rosso, a tre mazzuoli d’oro<br />
Bellini arma: Inquartato: nel 1° e 4°, d’argento, a<br />
tre piante <strong>di</strong> lino <strong>di</strong> verde, fiorite <strong>di</strong> rosso, nodrite sulla<br />
pianura erbosa al naturale; nel 2° e 3°, <strong>di</strong> rosso, alla<br />
banda d’argento, carica <strong>di</strong> sette rombi d’azzurro,<br />
accollati.<br />
Cacherano arma: Fasciato innestato d’argento e <strong>di</strong><br />
nero.<br />
asco
3<br />
UN’AGGIUNTA LEGITTIMI<strong>ST</strong>A<br />
Noto e apprezzato è il “Saggio storico degli or<strong>di</strong>ni<br />
cavallereschi antichi e moderni estinti o esistenti istituiti<br />
nel regno delle Due Sicilie sotto le varie <strong>di</strong>nastie”, che<br />
Raffaele Ruo, ‘certificatore reale, notajo del Real Or<strong>di</strong>ne<br />
Costantiniano’, pubblicò nel 1832 a Napoli, presso la<br />
stamperia della benemerita <strong>Società</strong> Filomatica, ispirandosi<br />
a rigorosi criteri <strong>di</strong> concisa e documentata storicità.<br />
L’opera, <strong>di</strong> pp. VIII-184, è corredata da XX tavole fuori<br />
testo in rame. Ma l’esemplare in mio possesso ne conta<br />
XXI.<br />
Il volume, acquistato presso un libraio ginevrino, riserva<br />
un’altra sorpresa: inserzione <strong>di</strong> un foglietto <strong>di</strong> cm. 7x12,<br />
scritto su entrambe le facciate<br />
Due blasonature, dunque. Poiché sono, tra l’altro, elencati<br />
e descritti i nastri delle decorazioni, è <strong>di</strong> tutta evidenza che<br />
essendo Fischer decorato del Costantiniano, dell’Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong><br />
Francesco I e delle medaglie delle campagne <strong>di</strong> Sicilia e <strong>di</strong><br />
Gaeta, a lui si devono l’aggiunta della tavola e le decorazioni.<br />
In or<strong>di</strong>ne alle descrizioni blasoniche, saltano<br />
all’occhio non pochi oltraggi al lessico aral<strong>di</strong>co.<br />
Rendendone l’espressione grafica, ho optato per<br />
l’omissione del colore/ metallo del campo dell’arma<br />
Ragué, sia perché avrebbe dato luogo ad un’arma falsa
(colore su colore), sia in quanto la fascia, azzurra, sarebbe<br />
andata a confondersi nel campo del medesimo smalto.<br />
Singolari riferimenti sono quelli in or<strong>di</strong>ne a uno sfondo<br />
(fond), collocato chissà dove, ai rami <strong>di</strong> quercia (peraltro, 1<br />
e 2), ai cimieri (<strong>di</strong> non semplicissima identificazione come<br />
tali) e alle <strong>di</strong>citure sovrapposte. Strano anche che, sulla<br />
base <strong>di</strong> queste, il champ supérieur sia lo chef e quello<br />
inferiore la pointe, in entrambi i casi, e tanto vale anche<br />
per bord=bordure.<br />
L’arma Fischer, peraltro, non corrisponde esattamente ad<br />
alcuna delle tante reperite sotto tale cognome, mentre non<br />
ho trovato alcuno stemma Ragué. Ciò non toglie, che nel<br />
foglietto si legga Fischer d’Arlesheim e Rogué de<br />
Grandfontaine. Non si tratta <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cati feudali o <strong>di</strong><br />
onore, bensì dei rispettivi luoghi d’origine, collocati il<br />
primo nel cantone <strong>di</strong> Basilea e il secondo nel Giura. Due<br />
famiglie elvetiche, dunque. Ciò aiuta a ricostruire l’arma<br />
Fischer (V. & H.V. Rolland’s, “Supplement to Armorial<br />
Général by j.-B. Rietstap”, VII, ried. London, 1971, p.<br />
195) e a dubitare dell’esattezza <strong>di</strong> quanto si legge a p. 284<br />
<strong>di</strong> “Il Sacro Militare Or<strong>di</strong>ne Costantiniano <strong>di</strong> San Giorgio”,<br />
a cura del Gran Magistero dell’Or<strong>di</strong>ne, vol. I, dove<br />
tra i Cavalieri <strong>di</strong> grazia si trovano: 14.2.1860, rev. Sacerdote<br />
Giuseppe Fisher (Baviera); 1862, Dottor Enrico Fischer<br />
(Baviera). Al <strong>di</strong> là della lieve <strong>di</strong>fferenza nel nome <strong>di</strong><br />
famiglia, non rara nei ruoli Costantiniani, il nostro personaggio<br />
con la Baviera non proprio nulla a che vedere e<br />
avrà fatto parte, con ogni probabilità, <strong>di</strong> una delle quattro<br />
compagnie <strong>di</strong> Svizzeri, che a Gaeta si batterono con spiccato<br />
valore, <strong>di</strong>fendendo il promontorio <strong>di</strong> Torre Vista, al<br />
comando del capitano Hess e sotto la supervisione dell’<br />
eroico colonnello von Metzel. Per quanto concerne il<br />
Rogué, dovrebbe trattarsi <strong>di</strong> un avo materno. In calce alla<br />
porzione <strong>di</strong> foglietto che lo riguarda, a caratteri microscopici,<br />
si legge: “+ Croix reçue sur le champ de bataille<br />
de Fontenoy par le Cap. n Rogué, pour blessure”. Dunque<br />
la croce <strong>di</strong> San Luigi sarebbe stata conferita sul campo <strong>di</strong><br />
battaglia <strong>di</strong> Fontenoy, nel 1745, a un non meglio identificato<br />
capitano Rogué, rimasto ferito. Proprio nello scontro<br />
in cui i francesi avrebbero rivolto al nemico il celebre<br />
invito, “Messieurs les Anglais, tirez-vous par premiers!”,<br />
riportando poi una clamorosa sconfitta e lasciando sul<br />
terreno 350 uomini.<br />
Asco<br />
4<br />
Il titolo <strong>di</strong> Conte in Sicilia<br />
Il titolo <strong>di</strong> conte insieme a quello <strong>di</strong> barone e <strong>di</strong> miles<br />
comparve in Sicilia alla conquista normanna, iniziata nel<br />
1061 con lo sbarco nella zona <strong>di</strong> Milazzo e completata 31<br />
anni dopo con l’ingresso a Palermo <strong>di</strong> Roberto il<br />
Guiscardo duca <strong>di</strong> Puglia, seguito dal fratello Ruggero e<br />
dai principali condottieri normanni. La situazione<br />
dell’isola era profondamente <strong>di</strong>versa da quella delle altre<br />
zone d’Italia e d’Europa, l’occupazione mussulmana non<br />
aveva infatti consentito lo sviluppo del feudalesimo, così<br />
gli Altavilla non dovettero me<strong>di</strong>are con preesistenti signori<br />
- che mantenevano le loro ambizioni malgrado la<br />
conquista-, così come era loro capitato nell’Italia Meri<strong>di</strong>onale,<br />
anche se utilizzarono a loro vantaggio alcuni fra i<br />
maggiori rappresentanti delle comunità mussulmane.<br />
I feu<strong>di</strong> vennero concessi da Roberto ai <strong>di</strong>versi condottieri<br />
normanni quale compenso per l’impegno preso nella<br />
conquista, a cominciare da Ruggero, suo fratello <strong>di</strong><br />
Roberto, che fu creato Gran Conte <strong>di</strong> Sicilia ed a cui andò<br />
larga porzione dell’isola anche perché era quello che si era<br />
maggiormente impegnato.<br />
Uno <strong>di</strong> tratti specifici delle concessioni feudali da parte<br />
degli Altavilla fu quella <strong>di</strong> non assegnare in feudo a laici, a<br />
meno non fossero stretti congiunti del Gran Conte, le città<br />
ma piuttosto ad esponenti del clero in modo che alla morte<br />
del destinatario la concessione tornasse alla corona.<br />
Sotto la dominazione normanna le contee furono pochissime,<br />
in genere appannaggio dei parenti stretti dei sovrani<br />
e sovente <strong>di</strong>ssoltesi o per l’avversa fortuna dell’assegnatario.<br />
Dei titoli concessi in quel periodo si ha però notizia<br />
solo dalle citazione che ne fecero gli storici fra i più<br />
antichi sono note le nomine <strong>di</strong> un conte <strong>di</strong> Geraci (prima<br />
del 1072 a Serlone, nipote <strong>di</strong> Ruggero per la vittoria presso<br />
Cerami), <strong>di</strong> Siracusa nel 1096 (Tancre<strong>di</strong>, nipote del Gran<br />
Conte Ruggero), <strong>di</strong> Malta nel 1113 e <strong>di</strong> Bucchieri nel<br />
1160.<br />
Una dotta <strong>di</strong>sputa che ha in passato visto <strong>di</strong>scutere fra loro<br />
alcuni illustri storici e aral<strong>di</strong>sti fu quello <strong>di</strong> trovare il<br />
<strong>di</strong>scriminante fra la baronia a la contea. Gregorio nel suo<br />
«Considerazioni sulla storia della Sicilia» sostiene che<br />
come la baronia è composta da più feu<strong>di</strong> così la contea<br />
deve essere composta da più baronie, teoria che oltre a non<br />
fondarsi sulla realtà dei fatti, come noti, trovò contrari altri<br />
scrittori fra cui l’Orlando, che nel suo «Il feudalesimo in<br />
Sicilia» sostiene che la <strong>di</strong>fferenza fra contea e baronia non<br />
consisteva che nel solo titolo avuto nella concessione,<br />
facendo riferimento, per sostenere la sua tesi, alla<br />
costituzione de re Ruggero «Si quis Baro vel Miles».<br />
Successivamente, nel periodo svevo i feu<strong>di</strong> aumentarono<br />
notevolmente <strong>di</strong> numero e durante la dominazione angioina<br />
(1265 -1282) buona parte <strong>di</strong> questi vennero tolti ai<br />
seguaci <strong>di</strong> Manfre<strong>di</strong> e concessi a quelli <strong>di</strong> Carlo d’Angiò,<br />
nel primo periodo aragonese (1282-1377) si ebbero molte<br />
nuove investiture e si vide l’elevazione <strong>di</strong> alcune baronie a<br />
contee. L’ultima parte del periodo aragonese fu caratterizzato<br />
da una pressoché totale anarchia, per la debolezza<br />
della monarchia che non riusciva a tenere a bada i maggiori<br />
feudatari, che alla morte <strong>di</strong> Federico III, si arrogarono il<br />
potere imprigionando <strong>di</strong> fatto la figlia <strong>di</strong> questo, Maria,<br />
che fatta poi fuggire da uno <strong>di</strong> essi si venne a trovare in<br />
balia <strong>di</strong> Pietro d’Aragona che gli fece sposare il nipote<br />
Martino, il quale intraprese poi, accompagnato dalla consorte,<br />
la riconquista dell’isola nel 1391. Nel periodo <strong>di</strong><br />
anarchia i feudatari si usurparono a vicenda, si impossessa-
ono <strong>di</strong> feu<strong>di</strong> ecclesiastici, <strong>di</strong> terre e città demaniali, tanto<br />
che Martino I, col consenso del parlamento nel 1396 istituì<br />
una commissione, dalla quale erano esclusi i baroni, che<br />
provvide a restituire al demanio regio, alle città ed ai<br />
singoli quanto era stato usurpato.<br />
Nel corso del Seicento, motivi <strong>di</strong> cassa fecero sì che i<br />
Viceré spagnoli mettessero in ven<strong>di</strong>ta città, terre<br />
demaniali, secrezie, dogane, gabelle, <strong>di</strong>ritti fiscali e il mero<br />
e misto imperio, si ebbe così una esplosione nella concessione<br />
<strong>di</strong> titoli, <strong>di</strong> cui assolutamente trascurato fu quello <strong>di</strong><br />
conte, mentre numerosi furono quelli <strong>di</strong> duca cui nel<br />
Settecento si aggiunsero moltissimi <strong>di</strong> principe (nel 1734,<br />
al termine del periodo della dominazione austriaca erano<br />
122). Poi l’inflazione passò e nel 1815 erano 124.<br />
La corona antica <strong>di</strong> conte era tutta <strong>di</strong> perle sopra un<br />
cerchio d’oro guarnito <strong>di</strong> gemme. Il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> spe<strong>di</strong>zione<br />
del privilegio <strong>di</strong> conte, secondo al tariffa del sovrano spagnolo<br />
Carlo II (1665-1700) era <strong>di</strong> 8<strong>25</strong> reali d’argento.<br />
Taluni titoli <strong>di</strong> conte hanno subito nel corso dei secoli delle<br />
trasformazioni, altri ancora poggiati sul cognome sono stati<br />
successivamente incar<strong>di</strong>nati su pre<strong>di</strong>cati, altri sono stati<br />
elevati a marchese, duca, principe.<br />
Fra le contee siciliane più antiche sulle quali furono successivamente<br />
investiti titoli maggiori un cenno meritano,<br />
per la loro storia, quelle <strong>di</strong> Geraci e <strong>di</strong> Caccamo.<br />
La prima <strong>di</strong>venuta marchesato nel 1433, venne concessa<br />
dal Gran Conte Ruggero a suo nipote Serlone, dopo la<br />
morte <strong>di</strong> questo passò alla moglie Eliusa e da questa al<br />
nuovo marito, un soldato normanno noto per il suo coraggio<br />
Engelmaro, che ebbe però la cattiva idea <strong>di</strong> ribellarsi al<br />
Gran Conte e perse così vita, feudo e titolo. Tornata nella<br />
<strong>di</strong>sponibilità della corona la contea fu successivamente<br />
concessa alla figlia <strong>di</strong> Serlone e da questa al consorte <strong>di</strong> lei<br />
Ruggeri <strong>di</strong> Bernavilla, guerriero normanno che morì in<br />
Terrasanta nel 1098 e che meritò la citazione del Tasso nel<br />
canto I della Gerusalemme liberata. Per successivi passaggi,<br />
la cui ricostruzione sarebbe se non fantasiosa almeno<br />
improbabile, la contea giunse tramite la moglie, Elisabetta<br />
de Creone, ad Arrigo Ventimiglia che fu Viceré <strong>di</strong> Napoli<br />
nel 1260 e quin<strong>di</strong> Capitano generale nell’esercito <strong>di</strong> re<br />
Manfre<strong>di</strong> contro Carlo d’Angiò, dopo <strong>di</strong> che il feudo<br />
rimase in casa Ventimiglia sino alla sua elevazione, come<br />
si è detto a marchesato.<br />
Ventimiglia: Inquartato, nel 1° e nel 4° <strong>di</strong> rosso col capo<br />
d’oro; nel 2° e nel 3° d’azzurro colla banda scaccata <strong>di</strong><br />
due file d’argento e <strong>di</strong> rosso.<br />
5<br />
La seconda, nacque come baronia e venne assegnata nel<br />
1094 ad Goffredo de Sageyo, uno dei cavalieri al seguito<br />
del Gran Conte, successivamente passò verso il 1150 ai<br />
Bonello e con la morte <strong>di</strong> Matteo, implicato nella congiura<br />
dei baroni, tornò nella <strong>di</strong>sponibilità del fisco. Sotto il regno<br />
<strong>di</strong> Guglielmo il buono, venne investito della baronia Giovanni<br />
Laver<strong>di</strong>n, un francese venuto al seguito <strong>di</strong> Stefano <strong>di</strong><br />
Perche, Gran Cancelliere ed arcivescovo <strong>di</strong> Palermo, e<br />
quando questi fu allontanato dall’isola, la citta<strong>di</strong>na tornò<br />
demaniale. All’inizio del 1200 <strong>di</strong> essa venne investito col<br />
titolo comitale Paolo Cicala, Gran Connestabile del regno,<br />
e nel 1215 l’Arcivescovo <strong>di</strong> Palermo. Con l’arrivo degli<br />
Angioini, tale Fulcone de Puicard fu nominato barone <strong>di</strong><br />
Caccamo cui successe, dopo i Vespri e l’arrivo <strong>di</strong> re Pietro,<br />
Federico Prefoglio, investito della qualità <strong>di</strong> conte, alla<br />
morte del quale per successione <strong>di</strong> sua figlia il feudo passò<br />
ai Chiaramonte, ai quali rimase sino alla morte <strong>di</strong> Andrea<br />
quando la testa <strong>di</strong> Andrea Chiaramonte, rotolò sul patibolo<br />
eretto avanti al suo palazzo a Palermo per essersi opposto<br />
al rientro <strong>di</strong> Martino I e della regina Maria il 1 giugno<br />
1392, per finire dopo una serie <strong>di</strong> brevi passaggi nelle mani<br />
<strong>di</strong> Bernardo Cabrera e quin<strong>di</strong> degli Henriquez. Da questi<br />
ultimi fu venduta nel 1647, per 120 mila ducati, a Filippo<br />
d’Amato, principe <strong>di</strong> Galati, il quale ne ottenne il 2 marzo<br />
1647 l’elevazione a ducato.<br />
Chiaramonte Cabrera Henriquez<br />
Tornando alle contee rimaste tali, la più antica infeudazione<br />
<strong>di</strong> cui si ha la documentazione si riferisce a quella <strong>di</strong><br />
Mo<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> cui fu investito nel 1296 Manfredo Chiaramon-<br />
te, signore <strong>di</strong> Caccamo, sia in virtù degli importanti servigi<br />
resi al suo sovrano (re Federico II) sia per aver sposato<br />
Isabella Mosca, figlia del precedente possessore della baronia<br />
spogliato dei suoi beni per essere stato <strong>di</strong>chiarato ribelle.<br />
La contea <strong>di</strong> Mo<strong>di</strong>ca<br />
La contea rimase nelle mani <strong>di</strong> questa famiglia sino al 1<br />
giugno 1392, come la sopraccitata Caccamo. La contea fu
quin<strong>di</strong> concessa a Bernardo Cabrera e de Fois, ammiraglio<br />
del nuovo sovrano e del quale si tralascia <strong>di</strong> narrare le<br />
imprese, perché sarebbe da scriverne un libro. Per via<br />
femminile il feudo passò poi ad un’altra famiglia spagnola,<br />
gli Henriquez dove rimase con alterne vicende, anche se<br />
per un periodo rientrò per un breve periodo (1713-20) nella<br />
<strong>di</strong>sponibilità della corona <strong>di</strong> Spagna, essendo l’ammiraglio<br />
Gian Tomaso Henriquez, allora titolare del feudo,<br />
passato dalla parte degli Asburgo e non avendo accettato<br />
Filippo II come nuovo re delle Spagne e <strong>di</strong> Sicilia. Per le<br />
sue <strong>di</strong>mensioni questa contea era considerata una sorta <strong>di</strong><br />
stato nello stato e cos’ fu <strong>di</strong> fatto durante il breve regno <strong>di</strong><br />
Vittorio Amedeo II <strong>di</strong> Savoia.<br />
Fra le altre <strong>di</strong> cui si ha una conoscenza precisa si hanno, le<br />
contee <strong>di</strong>:<br />
- Adernò, creata tale, secondo alcuni storici all’inizio della<br />
dominazione normanna ed assegnata a un membro della<br />
famiglia reale (detto Goffredo Normanno) unitamente a<br />
quelle <strong>di</strong> Ragusa, Noto, Sclafani, Caltanisetta, Butera, ed<br />
altre. Di certo si sa però che <strong>di</strong> essa fu investito dal re Federico<br />
II, nel 1303, Matteo Sclafani che ne rese erede il nipote<br />
(figlio della figlia secondogenita Aloisa) Matteo Peralta,<br />
cosa che scatenò le rimostranze <strong>di</strong> un altro nipote,<br />
Matteo Moncada (figlio della primogenita Margherita) che<br />
ricorse alle armi per sostenere le sue ragioni, trovando poi<br />
conferma nelle decisione a lui favorevole del sovrano Federico<br />
III;<br />
6<br />
Peralta: Diviso, d’azzurro e d’argento<br />
- Golisano; le cronache <strong>di</strong>cono che essa fu elevata a contea<br />
alla fine del XII secolo ed assegnata a tale Paolo Cicala,<br />
successivamente le cose appaiono molto confuse, per certo<br />
si sa che <strong>di</strong> essa fu investito nel 1355 Francesco II Ventimiglia<br />
conte <strong>di</strong> Geraci. Un <strong>di</strong>scendente del quale, Antonio,<br />
oppostosi prima e ribellatosi per tre volte a re Martino I, si<br />
vide confiscata la contea che fu assegnata ad Arrigo Rosso<br />
e quin<strong>di</strong> ridatagli nel 1414 quando venne liberato dal carcere<br />
e da lui lasciata in ere<strong>di</strong>tà alla figlia che la portò in<br />
dote a Gilberto Centelles, un catalano venuto al seguito dei<br />
Martini;<br />
Centelles: Fusato d’oro e <strong>di</strong> rosso<br />
- Caltanisetta, <strong>di</strong> cui gli storici in<strong>di</strong>cano come primo conte<br />
Giordano Normanno, un figlio illegittimo del Gran Conte<br />
Ruggero, cui fu assegnata assieme a Siracusa per essere<br />
passata alla sua morte nel 1093 al Goffredo sopra in<strong>di</strong>cato<br />
come conte <strong>di</strong> Adernò. Per passare a date e fatti più certi<br />
si deve però giungere all’infeudazione che della città ebbe<br />
Corrado Lancia (gran cancelliere del regno) dopo l’arrivo<br />
Lancia: D’oro, al leone coronato <strong>di</strong> nero, armato e lampassato<br />
<strong>di</strong> rosso, e la bordura composta d’oro e <strong>di</strong> rosso.<br />
<strong>di</strong> re Pietro d’Aragona e la cacciata degli Angiò, dai<br />
Lancia, per via femminile la signoria della città passò a<br />
Giovanni <strong>di</strong> Randazzo e a sua figlia Eleonora, moglie <strong>di</strong><br />
Guglielmo Peralta, e da questa per mancanza <strong>di</strong> ere<strong>di</strong> tornò<br />
al regio fisco nel 1405 per essere ceduta subito dopo a<br />
Sancho Ruiz de Lihori, grande ammiraglio del regno, che<br />
il 23 giugno 1407 rivendette a re Martino I terra et<br />
castrum Caltanisette con tutti i suoi <strong>di</strong>ritti e privilegi, che<br />
due giorni dopo la cedette a Matteo Moncada in cambio <strong>di</strong><br />
Augusta. In quello stesso giorno il Moncada venne<br />
investito del titolo <strong>di</strong> conte, con tutti i <strong>di</strong>ritti e privilegi del<br />
suo predecessore, il mero e misto imperio e l’impegno <strong>di</strong><br />
presentare un cavallo per il servizio militare. Dopo <strong>di</strong> che<br />
Caltanisetta rimase per 400 anni feudo dei Moncada.<br />
Moncada: Di rosso, ad otto bisanti d’oro, due a due<br />
(blasone nella forma originaria)<br />
A questo punto si potrebbe continuare a lungo, ma sarebbe<br />
inutile esercizio. Mette conto ricordare, citando il San<br />
Martino de Spucches che «i titoli <strong>di</strong> conte originariamente<br />
concessi furono 40 feudali, 13 con pre<strong>di</strong>cati onorari e 37<br />
sul cognome, per un totale <strong>di</strong> 90 <strong>di</strong> cui 17 concessi dal<br />
1860 al 1939, oltre ai titoli <strong>di</strong> conte <strong>di</strong> Laiatico, che risulta<br />
trascritto nei donativi del 1806, ma <strong>di</strong> cui si ignora la data<br />
<strong>di</strong> concessione, e <strong>di</strong> altri quattro riconosciuti per il lungo<br />
uso. A questi 95 titolo possono aggiungersene altri 7, <strong>di</strong><br />
cui uno del S.R.I., due palatini, uno sassone e tre pontifici,<br />
per cui si va ad un totale <strong>di</strong> 102, senza tenere conto del<br />
titolo <strong>di</strong> conte <strong>di</strong> Grado, concesso alla medaglia d’oro<br />
Luigi Rizzo e <strong>di</strong> conte sul cognome <strong>di</strong> cui è stato<br />
autorizzato Giacomo Paulucci <strong>di</strong> Calboli Barone, ambedue<br />
iscritti nell’elenco regionale siciliano».. Un numero<br />
inferiore a quello <strong>di</strong> principe, che nel 1939 assommavano<br />
a 139, pari a quello <strong>di</strong> duca, inferiore a quello <strong>di</strong> marchese,<br />
il cui numero raggiungeva i 209, e <strong>di</strong> barone, circa 950.<br />
Alberico Lo Faso <strong>di</strong> Serra<strong>di</strong>falco<br />
L'aral<strong>di</strong>ca delle istituzioni pubbliche milanesi<br />
Se lo stato e la signoria usarono le insegne del sovrano<br />
regnante molte altre istituzioni pubbliche, unitamente, a<br />
queste armi supreme, ebbero per consuetu<strong>di</strong>ne o per<br />
privilegio la facoltà <strong>di</strong> usare le proprie.
Il comune, per esempio, perduta la caratteristica fisionomia<br />
<strong>di</strong> autorità quasi-sovrana, abbandonò lo scudo crociato e,<br />
<strong>di</strong>venuto organo amministrativo, usò, specialmente nei<br />
sigilli, l'immagine <strong>di</strong> S. Ambrogio.<br />
Anche la Repubblica Ambrosiana si servì dell'iconografia<br />
del Santo e nel gran sigillo lo rappresentò seduto sul<br />
fal<strong>di</strong>storio impugnante il pastorale, con la mano sinistra, e<br />
con, nella destra, lo staffile e, con ai lati, due piccoli sigilli<br />
crociati.<br />
Nel piccolo sigillo, invece, il Santo, a mezza figura,<br />
impugnante, sempre, pastorale e staffile.<br />
Il Collegio nobile dei giureconsulti (così come ci ricorda il<br />
Bascapé nel pregevole stu<strong>di</strong>o sui “Sigilli universitari<br />
italiani”) portò, in un primo tempo, l'aquila evangelica,<br />
posata sopra un libro, <strong>di</strong> poi, una croce biforcata accostata<br />
dalle “sacre chiavi” e recante, sul petto, lo scudetto <strong>di</strong> Pio<br />
IV- Me<strong>di</strong>ci- sormontato dal triregno.<br />
Nel sigillo confirmatorio dei <strong>di</strong>plomi <strong>di</strong> laurea, concessi<br />
dal collegio, <strong>di</strong> forma ovale, è presente, invece, l'immagine<br />
<strong>di</strong> S. Girolamo allo scrittoio.<br />
La camera dei mercanti usò anch'essa, la figura <strong>di</strong> S.<br />
Ambrogio.<br />
Le corporazioni professionali ed artigiane, le insegne<br />
delle proprie arti.<br />
- Il Collegio Elvetico portava un'arma nella quale due mani si<br />
stringevano impugnando una croce (ciò a significare l'unione<br />
tra il clero milanese e quello svizzero uniti per combattere<br />
l'eresia protestante).<br />
7<br />
- Il Collegio Borromeo <strong>di</strong> Pavia ed il Luogo Pio dell'Umiltà<br />
entrambi fondati dai car<strong>di</strong>nali Borromei, portarono la parola<br />
“humilitas” in lettere capitali nere e gotiche, sopra un campo<br />
d'argento, circondata da rami <strong>di</strong> alloro.<br />
- Il Collegio Ghislieri <strong>di</strong> Pavia, fondato da Michele Ghislieri,<br />
pontefice con il nome <strong>di</strong> Pio V, portò l'arma del fondatore.<br />
D'oro a tre bande <strong>di</strong> rosso.<br />
- Il Collegio Castiglione <strong>di</strong> Pavia assunse l'arma del<br />
fondatore car<strong>di</strong>nal Branda Castiglione ornata da cappello<br />
car<strong>di</strong>nalizio: <strong>di</strong> rosso al leone d'argento sostenente, con la<br />
branca destra, una torre dello stesso.<br />
I luoghi Pii ed elemosinieri presero immagini sacre od<br />
allegoriche: le quattro marie (per l'ente omonimo); la carità<br />
(una donna che allatta un bambino); la vergine dei sette<br />
dolori; S. Caterina alla ruota; i santi Rocco e Romano; tutte<br />
insegne riferibili agli specifici istituti.<br />
Il Luogo Pio della Divinità usò l'acronimo DITAS, in lettere<br />
gotiche nere, recinto da un serto <strong>di</strong> alloro d'oro.<br />
Il Luogo Pio <strong>di</strong> S. Maria portò due lettere capitali d'oro, una<br />
S ed una M intrecciate e coronate d'oro.<br />
L'Ospedale Maggiore sotto il patrocinio della Vergine<br />
Annunciata adottò la Madonna e l'Angelo sopra i quali vola<br />
la colomba dello Spirito Santo (che, a volte, fu <strong>di</strong>pinta in<br />
bianco sopra una rosa <strong>di</strong> fiamme alternata a raggi d'oro).<br />
Gli istituti pii che furono, invece, posti sotto la protezione<br />
delle varie duchesse <strong>di</strong> Milano usarono innalzare, nella<br />
propria insegna, la figura della tortora impresa delle<br />
medesime.<br />
La fabbrica del Duomo si rappresentò usando uno scudo<br />
carico della figura della Madonna tenente, sotto il proprio<br />
mantello, la facciata dalla cattedrale antica. Ai lati della<br />
Vergine sono presenti, inoltre, i monogrammi <strong>di</strong> S.<br />
Bernar<strong>di</strong>no (le lettere capitali nere IHS poste dentro una<br />
rosa ra<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci raggi e <strong>di</strong> do<strong>di</strong>ci fiamme).<br />
Il Monte <strong>di</strong> Pietà portò, sul proprio labaro, un busto <strong>di</strong><br />
Cristo uscente dal sepolcro accantonato da una croce, a<br />
sua volta, accantonato da quattro sigle IHS.<br />
Il Monte <strong>di</strong> S. Teresa portò uno scudo caricato della<br />
bilancia della giustizia ed un'ancora della fede conficcata<br />
in un mare procelloso. Sopra il tutto un medaglione carico<br />
della effigie della Santa; il tutto accollato ad un'aquila<br />
bicipite.<br />
Alberto Gamaleri Calleri Gamon<strong>di</strong><br />
I Signori della Terra <strong>di</strong> Palma negli eventi del<br />
XVI secolo<br />
Alla morte <strong>di</strong> Carlo Frangipane della Tolfa (4 <strong>di</strong>cembre<br />
1586) …terzo ed ultimo de’ Conti <strong>di</strong> Sanseverino, Consigliero<br />
altresì <strong>di</strong> Stato in Regno, e Utile Signore della
Terra <strong>di</strong> Palma…, gli succede nell’ere<strong>di</strong>tà, per mancanza<br />
<strong>di</strong> figlioli maschi, la figlia primogenita Vittoria, moglie <strong>di</strong><br />
Scipione Pignatelli, marchese <strong>di</strong> Lauro.<br />
La famiglia Pignatelli si crede fosse originata dal cavaliere<br />
Landolulfo, al sevizio <strong>di</strong> Re Ruggiero, il quale<br />
partecipando all’assalto del palazzo imperiale <strong>di</strong> Costantinopoli<br />
…ne uscì con tre vasi <strong>di</strong> argento infilzati alla<br />
picca, che egli assunse per stemma e fu causa del cognome<br />
dato ai suoi <strong>di</strong>scendenti. Nel 1420 vestì l’abito <strong>di</strong> Malta ed<br />
ottenne il Grandato <strong>di</strong> Spagna, l’Or<strong>di</strong>ne del Toson d’oro ed<br />
il titolo <strong>di</strong> principe del Sacro Romano Impero. La casata<br />
Pignatelli ha goduto nobiltà in Sicilia e nella città <strong>di</strong> Napoli<br />
(seggi <strong>di</strong> Capuana e Nido), Aversa , Benevento, Bari,<br />
Lucera, Tropea, Venezia e Roma. Monumenti <strong>di</strong> questa<br />
illustre famiglia si possono ammirare in Napoli nel Duomo<br />
e nelle chiese <strong>di</strong> Santa Maria dei Pignatelli, San Severo,<br />
Santa Maria dell’Annunziata, San Domenico Maggiore,<br />
Santa Restituita, Santa Maria Mater Domini, Trinità dei<br />
pellegrini, Santi Apostoli, del Gesù e del Purgatorio: in<br />
San Pietro <strong>di</strong> Roma, nella chiesa <strong>di</strong> San Francesco <strong>di</strong> Paola<br />
e nel cappellone del monastero dei Santi Angeli <strong>di</strong> Paler-<br />
mo; in Bari nella chiesa del SS. Salvatore; in Monopoli<br />
nella chiesa Maggiore; in Monteleone nella chiesa <strong>di</strong> Santa<br />
Maria del Gesù; in Chieti; nella città <strong>di</strong> Alcà (Spagna)<br />
nella chiesa delle Cappuccine . Si contano ben 178 feu<strong>di</strong><br />
posseduti dalla famiglia durante i secoli, tra cui:14 princi-<br />
pati, 16 ducati, 22 marchesati, 18 contee. Nella gerarchia<br />
ecclesiastica la famiglia vanta <strong>di</strong>versi vescovi, arcivescovi<br />
e car<strong>di</strong>nali, Antonio Pignatelli nel 1691 fu assunto al soglio<br />
pontificio col nome <strong>di</strong> Innocenzo XII.<br />
8<br />
Innocenzo XII (Antonio Pignatelli)<br />
Lo stemma della famiglia è così blasonato: D’oro, a tre<br />
pignate <strong>di</strong> nero 2 e 1, accompagnate in capo da un<br />
lambello <strong>di</strong> tre pendenti <strong>di</strong> rosso.<br />
A devozione del Marchese Scipione Pignatelli nel 1593<br />
vengono consacrati dal vescovo <strong>di</strong> Nola Mons. Gallo una<br />
chiesa con annesso monastero sotto il titolo <strong>di</strong> San<br />
Gennaro, e<strong>di</strong>ficati a qualche chilometro dal centro urbano<br />
<strong>di</strong> Palma in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Ottajano ed affidati ai Francescani<br />
Riformati. Poco tempo fa il Centro Stu<strong>di</strong> Storici<br />
“HI<strong>ST</strong>RICANUM” è entrato in possesso per compera effettuata<br />
in Inghilterra, dell’importantissima opera dello storico<br />
napoletano Tommaso Costo, dal titolo “ Del compen<strong>di</strong>o<br />
dell’ystoria del regno <strong>di</strong> Napoli”nella quale si contiene<br />
quanto <strong>di</strong> notabile e ad esso appartenente è accaduto, dal<br />
principio dell’anno 1563, insino al fine dell’Ottantasei,<br />
stampata in Venezia nel 1591 per i tipi <strong>di</strong> Barezzo Barezzi.<br />
L’opera in questione è de<strong>di</strong>cata dall’autore all’Illustrissimo<br />
Signore e Padron mio osservan<strong>di</strong>ssimo il Signor Don Scipione<br />
Pignatello Marchese <strong>di</strong> Lauro e Signore della Terra<br />
<strong>di</strong> Palma, verso il quale nutre un affetto ed una considerazione<br />
davvero eccezionali ed anche perché m’accorsi<br />
che le fu grata, si come parve, che fusse grato alle genti il<br />
leggerla,ma soprattutto per haverla scritta in casa sua.<br />
Come innazi detto nel libro sono narrate vicende storiche<br />
del Regno <strong>di</strong> Napoli dal 1563 al 1586, non <strong>di</strong>sdegnando<br />
l’autore <strong>di</strong> citare eventi straor<strong>di</strong>nari <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso genere accaduti<br />
in tale periodo, come ad esempio l’alluvione <strong>di</strong> Napoli<br />
del 20 settembre 1566 quando si mosse inverso la sera una<br />
pioggia tale che durado fin presso a mezza notte, cagionò<br />
intorno a Napoli un mezzo <strong>di</strong>luvio imperochè da Capo<strong>di</strong>monte<br />
e da quegli altri luoghi posti in alto scendendo<br />
grossissimi torrenti, vennero poi tutti quelli unitis’insieme<br />
a formare uno simile ad un gran fiume, il quale e per lo<br />
borgo de’ Vergini e per quello <strong>di</strong> Sant’Antonio, e per<br />
quello altresì dell’Oreto fece un guasto incre<strong>di</strong>bile, buttandovi<br />
a terra molte case, con morte <strong>di</strong> parecchie persone.<br />
Nella chiesa de’ Vergini entrò tanta acqua, e vi lasciò<br />
tanta terra che poi più tosto che metterla, parve<br />
spe<strong>di</strong>ente a chi n’hebbe cura, per manco spesa , <strong>di</strong> farvi un<br />
altro suolo <strong>di</strong> sopra, talché come allora per entrarvi si<br />
scendevano parecchi gra<strong>di</strong>, ora si entra in piano. Degno<br />
<strong>di</strong> nota è ancora l’apparizione <strong>di</strong> una grande cometa nel<br />
cielo <strong>di</strong> Napoli nel novembre del 1577 che durò per lo<br />
spazio <strong>di</strong> più d’ottanta giorni(…)e spandea verso la parte<br />
opposta, quasi lunghissima coda, così gran<strong>di</strong> i luci<strong>di</strong> raggi,<br />
che nell’oscuro della notte rendea lume apparo della<br />
Luna .Evento stranissimo fu ancora il crollo del duomo <strong>di</strong><br />
Nola, avvenuto il 26 <strong>di</strong>cembre 1583, giorno <strong>di</strong> Santo Stefano,<br />
la cui mattina concorrevano a quella chiesa <strong>di</strong> molte<br />
genti, havendosi a pre<strong>di</strong>care, ove per avventura s’era<br />
finito <strong>di</strong> fare un pervio <strong>di</strong> marmo bellissimo non ancora<br />
adoperato, e cantandosi da preti l’uffizio <strong>di</strong> Mattutino,<br />
cominciarono a cadere in chiesa alcuni sassolini, e<br />
continuavano <strong>di</strong> volta in volta, si com’era accaduto la<br />
mattina <strong>di</strong> Natale precedente. Per la quale cosa nacque in<br />
mente <strong>di</strong> que’ preti qualche sospezione <strong>di</strong> ruina, come per<br />
avanti non se ne fusse havuta punto,e pensarono d’uscirsene<br />
fuora: ma si risolsero alla fine <strong>di</strong> ridursi a finir<br />
l’uffizio in sacrestia fatto del tutto avvisato Filippo Spinola<br />
allora Vescovo <strong>di</strong> quella città, ed ora Car<strong>di</strong>nale, che vi<br />
mandò alcuni muratori, acciochè vedessero, e consideras-<br />
ser bene, se v’era alcun pericolo. Ma non fu loro conceduto<br />
tempo <strong>di</strong> ciò <strong>di</strong> fare perché in un tratto s’udì uno<br />
strepito, e si vidde una ruina tale, che parve in quel punto<br />
non solo un grand’e<strong>di</strong>ficio, com’era quello, ma subbissar<br />
tutto ‘l mondo. Corsero allora tutt’i Nolani alla novità del<br />
caso, empiendo l’aria <strong>di</strong> lacrimevoli stri<strong>di</strong>, come quelli,
che indebitamente credevano in cotal ruina esser morte<br />
infinite persone trovates’in chiesa, onde chi piangeva il<br />
padre, chi la madre, e chi l’unoe l’altro,chi il figliuolo,e<br />
chi il fratello, o sorella, altri il marito, o la moglie; e chi<br />
un parente, e chi un altro. Ma non si stè guari, che ( o miracolo,<br />
o bontà <strong>di</strong> Dio) si certificò ciascuno, che tutte<br />
quelle genti, riputate fermamente per morte, eran sane e<br />
vive, senza macula veruna, fuorché una sola donnicciola<br />
vecchia, la quale vi rimase alquanto ferita in testa, che fu<br />
quando il male v’occorse. Né fu <strong>di</strong> minor considerazione il<br />
caso de’ Canonici rinchiusi a cantar nella Sacrestia, che<br />
non vi rimanessero almeno dalla polvere affogati; ma era<br />
ben dovere che la <strong>di</strong>vina grazia per li meriti del Protomartire<br />
S. Stefano, <strong>di</strong> cui quel dì si celebrava la festa, e S.<br />
Felice protettor de’ Nolani, apparisse perfetta. Di che la<br />
seguente mattina si fè per quella città procession generale<br />
ringraziandosi da tutti Id<strong>di</strong>o d’una si compita , e segnalata<br />
grazia. Essi da poi quella chiesa cominciata a rie<strong>di</strong>ficare<br />
nel principio <strong>di</strong> marzo dell’anno Ottantasei non meno<br />
magnificamente <strong>di</strong> quel, ch’ella era prima. Per quanto<br />
concerne il Marchese <strong>di</strong> Lauro, Signore anche della terra <strong>di</strong><br />
Palma, l’autore ne parla a più riprese in <strong>di</strong>verse occasioni.<br />
Narrando della battaglia navale <strong>di</strong> Navarrino del 1572 della<br />
Lega Santa (Papa Pio V, Re Filippo II <strong>di</strong> Spagna e<br />
Repubblica <strong>di</strong> Venezia) guidata dal Generale don Giovanni<br />
d’Austria, fratello del Re contro l’Armata turca, a pagina<br />
32 cita i numerosi Nobili napoletani partecipanti all’evento,<br />
tra cui : Vincenzo Tuttavilla, Conte <strong>di</strong> Sarno e generale<br />
della fanteria, Pompeo Tuttavilla fratello del detto e generale<br />
delle schiere papali, don Ferrante Carafa, Duca <strong>di</strong> Nocera,<br />
Ascanio Pignatelli che è anche leggiadrissimo Poeta,<br />
figlio del Marchese <strong>di</strong> Lauro. Per le sue doti notevolis-<br />
sime nel 1609 il Re Filippo III <strong>di</strong> Spagna.lo creò Duca <strong>di</strong><br />
Bisaccia. A pagina 47 narra della tragica morte <strong>di</strong> Muzio<br />
Pignatelli un de’figlioli del Marchese vecchio <strong>di</strong> Lauro,<br />
avvenuta durante una festa in maschera la domenica del 1°<br />
marzo 1579 in Napoli. Molti cavalieri erano convenuti nel<br />
palazzo della Principessa <strong>di</strong> Bisignano per partecipare ad<br />
una festa data in onore <strong>di</strong> costei ed essendo per cominciarsi<br />
,avvenne che Muzio Pignatelli, ch’era della schiera<br />
degli immascherati, correndo a prima giunta precipitò<br />
egli, e ‘l cavallo in tal modo, ch’essendo allora intorno a<br />
ventun’hora non visse più, che in sine notte; se vivere si<br />
può, che fusse quello spazio <strong>di</strong> poche hore, nel quale privo<br />
de’ sentimenti stette appunto come morto. Erano il misero<br />
padre, e la sventurata moglie, con altri parenti a’ balconi,<br />
e si viddono perir <strong>di</strong>nanzi, senza potergli dare aiuto, quello<br />
il figliolo, e questa il marito in così strano modo; talché<br />
chi vidde quel vecchio, che s’appressava all’età d’ottanta’anni,<br />
non morire a sì fiero spettacolo, s’accertò che<br />
un’estremo dolore non puo’ dar subita morte ad un’huomo.<br />
Non fù persona <strong>di</strong> qualunque grado si fusse a cui la<br />
morte <strong>di</strong> quel sfortunato Cavaliero non <strong>di</strong>spiacesse insino<br />
all’anima, imperoché egli era notissimo a ciascun per un<br />
giovane raro, ed ammirabile, in cui pare, che la natura si<br />
fosse compiaciuta <strong>di</strong> fare reassunto <strong>di</strong> tutte quelle doti,<br />
suol compartire solamente a preclari huomini. Era Muzio<br />
Pignatell d’età presso a trent’anni d’una giusta e ben<br />
proporzionata statura, <strong>di</strong> pel biondo, <strong>di</strong> color chiaro, <strong>di</strong><br />
sanissima complessione, <strong>di</strong> corpo agile, nerbuto, e gagliardo,<br />
onde si esercitava continuamente e in giocar<br />
d’arme, ed in saltare, ed in volteggiare, ed in cavalcare,<br />
ed in ballare, ed in ogn’altra attitu<strong>di</strong>ne conveniente a<br />
Cavaliero; torneava, e giostrava, ed il tutto faceva con<br />
9<br />
tanta felicità, che pochi in alcune cose lo pareggiavano;<br />
ma in tutte niuno. Benché pochissimo sarebbe tutto questo,<br />
s’egli non fusse stato meravigliosamente versato in molte<br />
sorti <strong>di</strong> scienze, percioché egli fu e Filosofo, e Teologo, e<br />
Matematico, e Cosmografo, ed Arismetico, ed Oratore ,e<br />
Poeta. Diede opera alla musica, non fu senza parte<br />
d’Astrologia, intese d’Architettura, ardì <strong>di</strong> far macchine <strong>di</strong><br />
legno non tentate da altri ingegneri, soleva spesso <strong>di</strong>ttare<br />
a <strong>di</strong>versi cancellieri a un tratto ad imitazion <strong>di</strong> Cesare: e<br />
fra altre meravigliosa fu quella volta , che scrivendo egli<br />
medesimo <strong>di</strong>ttò a venticinque in <strong>di</strong>versi linguaggi, ed in<br />
vari soggetti in presenza <strong>di</strong> molti Signori, e d’altre persone<br />
<strong>di</strong> qualità, che tutti ne stupirono, si come haveva fatto<br />
pochi innanzi il Car<strong>di</strong>nal Granuela vedutolo <strong>di</strong>ttar nello<br />
stesso modo a <strong>di</strong>ciotto. In somma non fu cosa <strong>di</strong>fficile, e<br />
bella dov’egli e con suo honore non mettesse le mani.<br />
Arroge, che nel colmo <strong>di</strong> tante virtù egli era affabile, piacevole,<br />
cortesissimo, e liberale, veggasi dunque da tal’<br />
huomo, e da tal morte quanto strano accozzamento ci<br />
rappresenti alla memoria, ma troppi sono occulti i secreti<br />
<strong>di</strong> Dio. Torquato Tasso nelle sue opere rivela una grande<br />
stima per il detto Muzio e lo introduce interlocutore nel<br />
<strong>di</strong>alogo intitolato Porzio . A pagina 53 possiamo leggere la<br />
morte <strong>di</strong> Scipione Pignatelli primo Marchese <strong>di</strong> Lauro,<br />
scomparso il 13 settembre 1581, all’età <strong>di</strong> 81 anni ma <strong>di</strong><br />
sana e robustissima complessione aiutatovi dalla sobrietà<br />
e dal suo regolato modo <strong>di</strong> vivere,. Fu homo <strong>di</strong> gran senno,<br />
e nelle sue azzioni fortunatissimo, intanto che <strong>di</strong> povero,<br />
e privato cavaliero si fè con la sua industria ricco oltre<br />
modo, e s’acquistò il titolo prima <strong>di</strong> Conte e poi Marchese,<br />
il che ottenne dal Re per mercede <strong>di</strong> servigi fattigli, sì<br />
come vien specificato nel tenor del privilegio. A pagina 61<br />
si narra dell’affidamento avvenuto nel febbraio 1585 delle<br />
30 galee napoletane (che facevano parte della flotta composta<br />
da 207 galee della lega Santa) a carico d’alquanti<br />
nobili, c’havevan desiderio d’adoprarsi in servizio del re,<br />
e fra costoro ritroviamo Ascanio Pignatelli a cui fu consegnata<br />
la galea chiamata Idria. A pagina 65 veniamo a<br />
conoscenza della mancanza <strong>di</strong> pane nella città <strong>di</strong> Napoli e<br />
dei tumulti che ne seguirono la mattina <strong>di</strong> giovedì 9 maggio<br />
1585. A tal guisa il Viceré avendo incominciato<br />
fortemente a temere, mandò subito alquanti Cavalieri<br />
principali, che rime<strong>di</strong>assono. Tra costoro vi era il Marchese<br />
<strong>di</strong> Lauro e Signore della Terra <strong>di</strong> Palma Ascanio<br />
Piganatelli. A pagina 74 nell’elenco delle Città, Terre e<br />
Castella della provincia <strong>di</strong> terra <strong>di</strong> lavoro che fu detta<br />
Campagna Felice, leggiamo il nome <strong>di</strong> Palma, dopo quello<br />
<strong>di</strong> Nola e Ottaiano. Nel 1605 il feudo palmese passò a Don<br />
Camillo Pignatelli, figlio <strong>di</strong> Scipione per rinunzia <strong>di</strong><br />
quest’ultimo. Nel 1643 don Camillo Pignatelli vendette il<br />
feudo <strong>di</strong> Palma a Donna Maria <strong>di</strong> Capua, Principessa <strong>di</strong><br />
Cariati, madre <strong>di</strong> Scipione Spinelli, dal quale passerà nel<br />
1647 a Massimo Passero, presidente della regia Camera<br />
della Sommaria.<br />
Vincenzo Amorosi e Felice Marciano<br />
RECENSIONE<br />
Alberico Lo Faso <strong>di</strong> Serra<strong>di</strong>falco, Italo Pennaroli, “Il<br />
contributo della Savoia all’Unità d’Italia (1814-1860)”,<br />
pp. 539, E<strong>di</strong>trice Impressioni Grafiche, Acqui Terme,<br />
2010, e<strong>di</strong>zione fuori commercio.<br />
Con questo volume, che rappresenta evidente contributo<br />
alle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia,
esor<strong>di</strong>sce la collana “Stu<strong>di</strong> e Testi” della <strong>Società</strong> <strong>Italiana</strong> <strong>di</strong><br />
Stu<strong>di</strong> Aral<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong>retta e curata da Marco Di Bartolo.<br />
Il saggio si compone <strong>di</strong> due parti:<br />
- la prima, articolata in sette capitoli, corredati da corposi<br />
allegati, fornisce in 212 pagine la rassegna degli eventi<br />
occorsi nel regno <strong>di</strong> Sardegna dalla Restaurazione al 1860,<br />
ponendo in risalto la partecipazione dei Savoiar<strong>di</strong>, a partire<br />
dalla repressione dei moti del 1821, <strong>di</strong>stintisi col<br />
versamento del proprio sangue e piena de<strong>di</strong>zione alla<br />
patria e devozione alla loro antica <strong>di</strong>nastia nei fatti d’armi<br />
delle due prime guerre d’in<strong>di</strong>pendenza.<br />
Attenzione particolare è riservata alle vicende gloriose<br />
della Brigata Savoia, sotto le cui ban<strong>di</strong>ere servì la<br />
maggioranza dei Savoiar<strong>di</strong>. Prima <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>sciolta, volle<br />
rivolgere il suo ultimo, toccante saluto al sovrano, sfilando<br />
in parata a Torino durante la festa dello Statuto del 1860.<br />
Gli allegati, <strong>di</strong> non comune interesse, riportano:<br />
- A) nomi dei Savoiar<strong>di</strong> insigniti dell’Or<strong>di</strong>ne della SS.<br />
Annunziata e del Gran Cordone Mauriziano, nonché gli<br />
estremi delle prove <strong>di</strong> nobiltà dei Cavalieri <strong>di</strong> Giustizia <strong>di</strong><br />
quell’Or<strong>di</strong>ne;<br />
- B) nomi, gra<strong>di</strong>, dati anagrafici e note, relativi a soldati e<br />
sottufficiali Savoiar<strong>di</strong> morti nella guerra 1848-49 e agli<br />
ufficiali, morti o feriti, in quel conflitto;<br />
- C) decorazioni e proposte <strong>di</strong> ricompense al valore,<br />
interessanti ufficiali, sottufficiali e soldati, partecipanti alla<br />
campagna del 1859;<br />
- D) liste degli ufficiali Savoiar<strong>di</strong>, optanti nel 1860 per la<br />
nazionalità sarda, id est italiana (<strong>di</strong> numero maggiore <strong>di</strong><br />
quanti preferirono quella francese).<br />
La seconda parte, dal titolo “Les soldats oubliés”, traccia<br />
in oltre 1000 schede la storia militare <strong>di</strong> altrettanti ufficiali<br />
della Savoia o <strong>di</strong> famiglie da essa originarie, del contiguo<br />
Vallese, nonché <strong>di</strong> quelli della contea <strong>di</strong> Nizza e del ducato<br />
<strong>di</strong> Aosta, accomunati tutti dall’aver prestato servizio nella<br />
Brigata Savoia.<br />
Tra essi troviamo, ovviamente, i nomi dell’aristocrazia<br />
Savoiarda, grande e piccola, e quelli <strong>di</strong> non pochi<br />
personaggi passati alla storia. C’è, come Monseigneur le<br />
Duc de Savoie, il futuro re Vittorio Emanuele II, in<br />
10<br />
compagnia <strong>di</strong> Luigi Menabrea, <strong>di</strong> Ettore de Sonnaz,<br />
dell’ultimo dei d’Angennes e del prode Philibert Mollard.<br />
Tante le famiglie, partecipanti con più membri, talora <strong>di</strong><br />
rami <strong>di</strong>versi: 11 proprio i Gerbaix de Sonnaz; 10 i de<br />
Charbonneau e i de Varax; 9 i de Blonay; 8 i d’Oncieux; 6<br />
i de Seyssel d’Aix, i de Menthon, i de Humilly, i de la<br />
Flechère, i de Constanti, i de Mouxy; 5 i Costa de<br />
Beauregard, i de Clermont, i de Foras, i de Rochette, i<br />
Duboius, i de Millet, i Nicod de Maugny; 4 i de Faucigny<br />
de Lucinge, i de Bellegarde, i Bracorens de Savoiroux, i de<br />
Capré de Mègève, i de Chissé, i de S.t André, i Sallier de<br />
la Tour, i Pacoret de S.t Bon, i de Bons. Tanto per fare<br />
cenno dei contributi numericamente più consistenti.<br />
Il lavoro può definirsi, piuttosto che documentato,<br />
documentale, in quanto ogni dato trova puntuale riscontro<br />
pressi citati fon<strong>di</strong> dell’Archivio <strong>di</strong> Stato torinese.<br />
L’obiettivo <strong>di</strong> tramandare il ricordo dei Savoiar<strong>di</strong> che, per<br />
quasi mezzo secolo, servirono con valore, talora sino<br />
all’estremo sacrificio, la loro patria, che era al tempo il<br />
regno <strong>di</strong> Sardegna, è stato pienamente raggiunto dagli<br />
autori <strong>di</strong> questo volume. Ai lettori incombono alcune<br />
risposte sulla correttezza dei politici del tempo e sulla<br />
sostanziale in<strong>di</strong>fferenza della <strong>di</strong>nastia alla per<strong>di</strong>ta dei suoi<br />
più antichi dominî e, quel che più conta, <strong>di</strong> un prezioso<br />
patrimonio umano.<br />
asco<br />
Un sonetto per il Car<strong>di</strong>nale<br />
Senza voler <strong>di</strong>scorrere sulla vita <strong>di</strong> Giovanni Battista<br />
Rovero (Roero), ancora oggi non approfon<strong>di</strong>tamente<br />
stu<strong>di</strong>ata e della quale troviamo memoria nei volumi Il<br />
car<strong>di</strong>nal Domenico della Rovere, costruttore della<br />
cattedrale, e gli arcivescovi <strong>di</strong> Torino dal 1515 al 2000 <strong>di</strong><br />
Giuseppe Tuninetti e Gianluca D’Antino del gennaio 2000<br />
e nella più datata, ma sempre ottima fonte <strong>di</strong> notizie, Storia<br />
della Chiesa Metropolitana <strong>di</strong> Torino a cura <strong>di</strong> P. Giò<br />
Battista Semeria e<strong>di</strong>ta a Torino nel 1840, è necessario<br />
ricordare che il futuro Car<strong>di</strong>nale, nato nell’astigiano il 18<br />
novembre 1684 dalla nobile famiglia dei conti Rovero ò<br />
Roero <strong>di</strong> Pralormo, compì i propri stu<strong>di</strong> a Roma, venendo<br />
or<strong>di</strong>nato sacerdote nel 1717 e laureandosi dottore in<br />
entrambe le leggi a Pisa.<br />
Il suo percorso ebbe inizio con la nomina a canonico<br />
arci<strong>di</strong>acono della chiesa metropolitana.
Successivamente, nel 1727, <strong>di</strong>venne vescovo <strong>di</strong> Aqui ed<br />
in<strong>di</strong>, nel 1744, venne trasferito all’Arcivescovado <strong>di</strong><br />
Torino. Cancelliere del Supremo Or<strong>di</strong>ne della Santissima<br />
Annunziata, ebbe concessione della porpora car<strong>di</strong>nalizia<br />
nel 1756 da S.S. Papa Benedetto XIV su istanza <strong>di</strong> Re<br />
Carlo Emanuele III e con il quale dovevano esserci<br />
reciproci rapporti <strong>di</strong> stima e <strong>di</strong> considerazione. Morì a<br />
Torino, all’età <strong>di</strong> 83 anni, il 9 ottobre 1766.<br />
11<br />
Stemma del car<strong>di</strong>nale GiamBattista Roero<br />
Molti sono gli esempi, i mo<strong>di</strong> ed i luoghi grazie ai quali i<br />
personaggi del passato hanno volutamente lasciato traccia<br />
degli eventi, consci così facendo <strong>di</strong> tramandare ai posteri<br />
frammenti <strong>di</strong> storia. Non è cosa rara, per chi stu<strong>di</strong>a i molti<br />
documenti custo<strong>di</strong>ti negli archivi, imbattersi in<br />
testimonianze sparse, rimaste a volte “nascoste” e<br />
<strong>di</strong>menticate, con riferimenti ad eventi storici locali, come<br />
nel caso della pagina del Registro dell’Insinuazione <strong>di</strong><br />
Moncalieri, presa qui in esame.<br />
Il Car<strong>di</strong>nale Gioanni Battista Rovero, al tempo del suo<br />
arrivo in qualità <strong>di</strong> Arcivescovo e poco prima <strong>di</strong> convocare<br />
un sinodo <strong>di</strong>ocesano nel 1755, aveva compiuto la sua visita<br />
pastorale a Moncalieri il 13 settembre 1750. Il Conte<br />
Felice Patteri, per onorare tale visita, preparò ed insinuò<br />
nell’apposito registro, una sua lode all’Arcivescovo.<br />
Suddetta testimonianza, seppur scarsa <strong>di</strong> precisi riferimenti<br />
a questo personaggio nell’ambito della poesia piemontese<br />
del ‘700 e <strong>di</strong> una sua attività in tal senso, rimane tuttavia,<br />
sia abbia egli compiuto altri lavori sia questa un caso<br />
isolato, una manifestazione dalle doti non comuni.<br />
Stemma Pateri/Patteri <strong>di</strong> Moncalieri.<br />
Conti <strong>di</strong> Stazzano<br />
Dal suddetto registro:<br />
1750<br />
Nelle publiche <strong>di</strong>mostrazioni <strong>di</strong> gioja ed allegrezza<br />
per la Solenne<br />
Entrata in Moncalieri Li 13 Settembre 1750 in occasione<br />
della Visita Pastorale <strong>di</strong> S. E. R.ma Mons.r<br />
GiamBattista Rovero<br />
Arcivescovo <strong>di</strong> Torino Gran Canceliere del Supremo<br />
Or<strong>di</strong>ne della SS.a Annunziata<br />
Ed a continuazione, (sistemato a due colonne, separate da<br />
una ricercata ed elegante linea curva attorcigliata), il testo:<br />
Sonetti<br />
Saggio Signor <strong>di</strong> cui si chiaro Spande<br />
con sue trombe La fama il giusto Onore<br />
mentre tu da Torino delle ammirande<br />
tue virtù ci tramman<strong>di</strong> il bel fulgore<br />
Or’che per nostra Sorte avvien’che il grande<br />
della Chiesa Dio Sovran Pastore<br />
La nostra greggia à visitar ti man<strong>di</strong><br />
oh come esulta in noi per gioja il core!<br />
Siccome il Sol tutto co’raggi Suoi<br />
rischiara il mondo tal ne nostri tempj<br />
spargon’ Luce <strong>di</strong> gloria i raggi tuoi.<br />
E così ben’Le proprie parti adempi<br />
che dubio è solo qual più giovi à noi<br />
<strong>di</strong> tue voci la forza ò degli Esempj.<br />
Lui dove à gara La natura e L’arte<br />
fanno dei doni lor L’ultima prove<br />
or’che alto Zelo à seminar ti muove<br />
L’opre che à te fecondo il Ciel comparte<br />
Ed a conclusione:<br />
Quanti in altri virtù veggonsi Sparte<br />
fia che ciascuno unite in te vi trove<br />
e che si adornin <strong>di</strong> più belle e nuove<br />
virtù L’anime nostre à parte à parte.<br />
Seguendo L’orme tue Strada Sicura<br />
pure al fin prenderà La fida greggia<br />
alla Celeste angelica Pastura.<br />
Onde il Mott’or della Stellante Reggia<br />
Sol tua mercè rìSorger qui le mura<br />
dell’Alma Sua GieruSalem riveggia.<br />
In tributo d’ossequio<br />
Felice Patteri C.<br />
------ ------ ------<br />
M. Boniscontro In. (Intendente, Maurizio. n.a.)<br />
Fonte: Archivio <strong>di</strong> Stato <strong>di</strong> Torino, SR. Uffici Insinuazione,<br />
Moncalieri, N. 213.<br />
Michelangelo Ferrero<br />
Una memoria aral<strong>di</strong>ca nel Duomo <strong>di</strong> Fossano<br />
All’interno della Cattedrale <strong>di</strong> Santa Maria e <strong>di</strong> San<br />
Giovenale <strong>di</strong> Fossano, posizionato nella navata laterale<br />
destra, troneggia maestosamente un antico confessionale in
legno degli inizi del XVIII secolo sul quale è scolpita<br />
l’arma ecclesiastica del committente dell’epoca. Nella<br />
parte alta del mobile, a cornice e base della parte finale<br />
nella quale è scolpito lo stemma, l’iscrizione<br />
CONFESSIONALE DOMINI CANONICI PŒNITENTIARII<br />
MALLIANI EIUSQUE SUCCESSORUM DIE 2 AUGU<strong>ST</strong>I ANNO<br />
DOMINI 1721 ne denota appunto la committenza.<br />
La famiglia Malliani, Magliani o Malliano, oriunda<br />
proprio <strong>di</strong> Fossano, annovera molti esponenti <strong>di</strong> rilievo<br />
della realtà locale ed in particolar modo della Chiesa<br />
grazie ai canonici del Duomo citta<strong>di</strong>no. L’arma della<br />
famiglia è <strong>di</strong> rosso, al maglio d’argento e porta, nei vari<br />
rami, i titoli <strong>di</strong> conti <strong>di</strong> Villar S. Marco, <strong>di</strong> consignori <strong>di</strong><br />
Scagnello e <strong>di</strong> consignori <strong>di</strong> Costigliole Saluzzo, Torre<br />
Bormida e Villanova Solaro.<br />
Il blasone scolpito sull’arredo in esame, oltre al galero da<br />
canonico nero con 3 nappe 1,2, vede la presenza dell’elmo<br />
sormontato da una corona comitale.<br />
12<br />
L’ecclesiastico, fautore del manufatto, potrebbe essere<br />
ricondotto al ramo dei conti <strong>di</strong> Villar San Marco e<br />
presumibilmente nella persona del canonico Cesare<br />
Malliano o ad altro consanguineo prossimo, vista la folta<br />
presenza <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong> chiesa nella famiglia. Un’analisi più<br />
approfon<strong>di</strong>ta dell’archivio storico del Duomo e <strong>di</strong> altre<br />
fonti più specifiche potrebbe fugare ogni dubbio.<br />
M.D.B.<br />
Si ricorda ai Signori Consoci che hanno presentato una<br />
relazione all’ultimo XXVIII Convivio Scientifico del<br />
nostro Sodalizio che il termine per la consegna del testo<br />
e delle immagini, solo ed esclusivamente su supporto<br />
cd-rom e non cartaceo, è stato prorogato<br />
inderogabilmente al 31 marzo 2011. Il materiale è da<br />
inviare presso la residenza del Segretario. Si ringrazia<br />
per la collaborazione.<br />
Si ringrazia Federico Bona per l’utilizzo dello stemma<br />
Malliani nell’articolo Una memoria aral<strong>di</strong>ca nel Duomo<br />
<strong>di</strong> Fossano tratto dal Blasonario Subalpino.<br />
Sul tutto perio<strong>di</strong>co della SISA riservato ai Soci<br />
Direttore<br />
Alberico Lo Faso <strong>di</strong> Serra<strong>di</strong>falco<br />
Comitato redazionale<br />
Marco Di Bartolo, Andrew Martin Garvey,<br />
Vincenzo Pruiti, Angelo Scordo<br />
Testata del perio<strong>di</strong>co<br />
<strong>di</strong> † Salvatorangelo Palmerio Spanu<br />
In<strong>di</strong>rizzi postali<br />
Direttore: Piazza Vittorio Veneto,12 10123 Torino<br />
Redattore: Marco Di Bartolo, Via IV novembre, 16<br />
10092 Beinasco (Torino)<br />
Sito Internet<br />
www.socistara.it<br />
Posta elettronica<br />
presidenza@socistara.it<br />
redazione@socistara.it<br />
I contributi saranno pubblicati se inviati su supporto<br />
magnetico in formato word o via e-mail ai sopraccitati<br />
in<strong>di</strong>rizzi. Quanto pubblicato è responsabilità esclusiva<br />
dell’autore e non riflette il punto <strong>di</strong> vista della <strong>Società</strong> o<br />
della redazione. Gli scritti verranno pubblicati<br />
compatibilmente con le esigenze redazionali ed<br />
eventualmente anche in due o più numeri secondo la loro<br />
lunghezza. La redazione si riserva la possibilità <strong>di</strong><br />
apportare qualche mo<strong>di</strong>fica ai testi per renderli conformi<br />
allo stile del perio<strong>di</strong>co.