Il visconte dimezzato - Calvino - Recensione - Appunti - Controcampus
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IL VISCONTE DIMEZZATO – RECENSIONE<br />
Siamo nel 1952 e nei Gettoni, la collana di Narrativa sperimentale diretta da<br />
Vittorini, viene pubblicato“<strong>Il</strong> Visconte <strong>dimezzato</strong>”.<br />
Italo <strong>Calvino</strong> si concede l’ennesima “evasione geniale” in anni per lui molto<br />
difficili a causa di due lutti decisamente gravosi: quello di Cesare Pavese,<br />
suicidatosi nel 1950 e, quello del padre, morto dopo lunghi anni di malattia nel<br />
1951.<br />
In questo racconto, come negli altri due della trilogia araldica (e come nella<br />
grande maggioranza degli scritti dell’autore), <strong>Calvino</strong> parte da un’immagine più<br />
che da un’idea; l’immagine è quella dell’uomo diviso in due. <strong>Il</strong> <strong>visconte</strong><br />
Medardo di Terralba, viene centrato da una palla di cannone sul campo di<br />
battaglia boemo e, ne esce salvo ma a metà. Una metà decisamente crudele, per<br />
nulla disposta a compromessi o a gesti di generosità verso il suo popolo e la sua<br />
famiglia. Una metà priva di compassione e benevolenza, incapace di lasciare<br />
immuni dalla sua crudeltà anche gli oggetti e gli animali: separati<br />
sistematicamente in due metà.<br />
La comparsa dell’altra metà del <strong>visconte</strong>, la metà buona, rende la storia ancora<br />
più avvincente. <strong>Il</strong> susseguirsi delle peripezie della metà cattiva: il cosiddetto<br />
Gramo e di quella caritatevole, il Buono, arricchisce il racconto di aspetti<br />
sempre più esilaranti. “<strong>Il</strong> <strong>visconte</strong> <strong>dimezzato</strong>” è un libro con molti contenuti<br />
significativi, niente è fatto al caso. Ӗ però, in primis un libro che diverte il<br />
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lettore. <strong>Calvino</strong> come Brecht vede nel divertimento la prima funzione sociale di<br />
un’opera. <strong>Il</strong> divertimento – ci dice l’autore- è una cosa seria.<br />
Nonostante lo scrittore ci parli di un uomo spaccato in due, il libro non tratta di<br />
certo la classica lotta tra bene e male né ci parla della dualità umana in modo<br />
ordinario: la guerra interna di ogni uomo viene analizzata in tutte le sue<br />
complessità. Avvalendosi dell’elemento fantastico <strong>Calvino</strong> ci accompagna in un<br />
percorso narrativo per nulla semplice, dove si intrecciano trame fiabesche e<br />
orditi più realistici. Quel che ne esce è un tessuto narrativo privo dei classici<br />
luoghi comuni letterari. Le due metà sono, ad esempio, in egual modo<br />
insopportabili: non lo è solo la metà destra per la sua spietatezza ma anche<br />
quella sinistra, melensa ed eccessivamente buona, tanto buona da risultare<br />
noiosa.<br />
All’ovvietà di corvi e avvoltoi che si nutrono di cadaveri, <strong>Calvino</strong> sostituisce<br />
insospettabili gru e cicogne. A tutto questo si vanno ad aggiungere antitesi<br />
d’autore: la bassezza morale degli ugonotti va ad opporsi alle orge e al<br />
divertimento senza limiti dei lebbrosi di Pratofungo.<br />
Lo scrittore oltre a Medardo, disegna anche gli altri personaggi in maniera<br />
magistrale: dalla vecchia balia Sebastiana costretta a fingere di essere lebbrosa,<br />
al bastaio Pietrochiodo immerso nella costruzione di strumenti di tortura. Ci<br />
sono poi il nipote del Visconte, nonché voce narrante della storia, nato dalla<br />
passione di una nobildonna con un bracconiere e rimasto poi orfano; Curzio lo<br />
scudiero e Galateo, con il suo corno di richiamo dei lebbrosi.<br />
Personalmente ritengo che la bravura di <strong>Calvino</strong> si esemplifichi nella<br />
descrizione di due personaggi in particolare; il primo è il Dottor Trelaway,<br />
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“arrivato sulle coste dopo un naufragio a cavallo d’una botte di Bordò”, un<br />
medico più interessato a conservar fuochi fatui che a curare gli ammalati. <strong>Il</strong><br />
secondo è Pamela, la pastorella contesa dalle due metà. Ella nulla ha a che fare<br />
con il topos della campagnola ingenua, anzi, smaliziata e consapevole di quello<br />
che vuole riesce a portare il Gramo e il Buono a sfidarsi a un duello all’ultimo<br />
sangue. Grazie al duello le ferite di entrambi si riaprono e consentono a<br />
Trelaway di bendare insieme le due metà riportando Medardo ad essere un<br />
unico uomo.<br />
Un lieto fine quindi, però non privo delle sue zone buie; come ci dice il<br />
narratore nell’ultima pagina: “è chiaro che non basta un <strong>visconte</strong> completo<br />
perché diventi completo tutto il mondo”.<br />
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